Take Me Away

di reginamills
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


salve a tutti, carissimi oncers italiani! questa è una fanfiction che ho già postato su un sito di fanfiction americano e tumblr ma sinceramente non pensavo che questo sito italiano fosse così frequentato! così, visto che scrivo sempre le mie storie prima in italiano e poi le traduco, ho pensato di postare la versione italiana qui. 
premessa: i contenuti sono forti, perlomeno nei primi capitoli. Capisco perfettamente se non ve la sentite di continuare a leggere.
enjoy your reading and viva la outlawqueen!
 

La campanella suonò e Regina Mills tirò un sospiro di sollievo. 
Era solo la terza ora e gliene aspettavano altre tre, ma era tempo della pausa pranzo e poteva finalmente dedicarsi a sè stessa. Per un quarto d'ora almeno.
“Miss Mills, è richiesta in presidenza” un bussare alla porta succeduto da una voce femminile la svegliarono dai suoi pensieri. 
“ho la pausa pranzo, dica a Mr. Locksley che sarò da lui tra venti minuti” non conosceva bene quell'uomo, era il nuovo preside della scuola ed era arrivato da pochi giorni; aveva solo sentito parlare -splendidamente- di lui. Della sua bellezza, in particolare.
Probabilmente voleva solo presentarsi e Regina non aveva intenzione di sprecare gli unici quindici minuti liberi della sua giornata con un uomo che conosceva appena.
La donna -che probabilmente era una sua assistente- annuì e le rivolse un sorriso cortese prima di andarsene. 
Regina sorrise tra sé e tirò fuori il suo pranzo dalla borsa: sandwich con prosciutto e formaggio e una bottiglietta d'acqua. Era tutto ciò che era riuscita a prendere quella mattina mentre cercava di lasciare il più in fretta possibile la casa, con le lacrime che le riempivano gli occhi e le alteravano la vista. Si incupì a quel pensiero e guardò il telefono: nessuna nuova chiamata, un solo messaggio.

Buongiorno tesoro, mi dispiace per ieri sera. Passa una buona giornata. Ti amo.

Nonostante l'apparente dolcezza di quel messaggio, Regina non riuscì a sorridere.
Bugiardo. Bastardo.
Le scuse non bastavano più e lei lo sapeva. 
“Posso?” di nuovo quel bussare alla porta seguito da una voce, ma stavolta era calda, accogliente, bassa. Da brividi. Regina alzò lo sguardo e si ritrovò immersa negli occhi blu come l'oceano dell'uomo di fronte a lei. Oh, mio Dio.
Prima che lei potesse anche solo annuire, lui si fece avanti e le tese la mano:
“Robin Locksley.” le sorrise e Regina sentì le ginocchia diventarle deboli. Lasciò immediatamente il sandwich che aveva in mano e si pulì dalle briciole addosso alla gonna. Merda.
“oh, mi dispiace, io...” era impacciata, come se fosse appena stata colta a fare qualcosa di sbagliato. “è la mia pausa pranzo e io stavo mangiando...” continuava a giustificarsi per non avergli stretto la mano, come se la sua vita dipendesse da quello, ma lui ridacchiò e si lasciò cadere il braccio lungo il fianco.
“va tutto bene. Lo sapevo, ho insistito io per vederla.” i suoi occhi si fusero coi suoi per un lungo istante e lei si sentì mancare il respiro. Quegli occhi azzurri, quelle fossette, quelle labbra sottili ma così incredibilmente invitanti, quei capelli biondi che gli cadevano leggermente sulla fronte. 
Oh, Dio. Era davvero bello. Ora, finalmente, poteva capire le chiacchiere e gli apprezzamenti delle sue colleghe nei corridoi, le voci su quanto fosse bello e affascinante... lo era. Lo era davvero. Ed aveva insistito per vedere lei.
“oh” arrossì lievemente, abbassando lo sguardo.
“si beh... è l'unica professoressa che ancora non conosco in questa scuola.” le sorrise e il cuore prese a batterle all'impazzata.
“oh, certo. Beh, eccomi qui.” si strinse nelle spalle con una dolcezza che non credeva di avere.
“già e devo dire che... non sono affatto deluso.” sussurrò come se fosse un segreto che Regina doveva custodire, come se fosse incantato da quegli occhi che non riusciva a lasciare. 
Stava... flirtando con lei? Sentì le farfalle nello stomaco, come quando aveva quindici anni e aveva avuto la sua prima cotta. Ma che cosa le stava facendo quell'uomo?
I suoi occhi finirono sulla fede che Regina portava al dito e immediatamente il suo sorriso svanì. Era sposata e lui stava decisamente esagerando.
Si schiarì la gola e sorrise di nuovo, seppur meno disinvolto.
“lingua e letteratura, giusto?” il suo era un tono cordiale e Regina continuava a ripetersi che non c'era niente di strano in quella conversazione, che non doveva montarsi la testa e che probabilmente erano entrambi sposati.
Doveva smetterla provare... qualcosa per quell'uomo.
“sì, esatto.” finalmente sorrise anche lei. Non un sorriso timido, ma uno di quelli a trentadue denti. “è un piacere conoscerla, mr Locksley.”
“la prego mi chiami Robin. E mi dia del tu.” Robin. Voleva pronunciare il suo nome, lo desiderava in quel momento per sentire come suonava detto da lei, come le sarebbe scivolato dalla lingua.
“beh, anche tu allora.”
"vuoi che ti chiami Robin?" 
Scoppiò a ridere all'impazzata, e Dio, sapeva di avere una risata imbarazzante. Ma non le importava, semplicemente non riusciva a controllarsi, per qualche strana ragione; sentiva di poter essere se stessa quando era insieme a quell'uomo. Quella se stessa che non era stata per troppi anni.
"Regina." disse poi, più seria.
“è un bellissimo nome.” si guardarono in silenzio per qualche secondo, finchè lui non parlò di nuovo: “è il tuo pranzo?” indicò il sandwich alzando un sopracciglio, perplesso. 
“già.”
“e ti basta?” Regina notò il suo scetticismo e incrociò le braccia al petto:
“stai giudicando?!” 
Robin la guardò per un instante, come se stesse valutando se fosse arrabbiata oppure no, poi rise, optando per la seconda:
“no, affatto! Stavo solo... sai, c'è la mensa al piano di sotto!”
Regina lo fulminò con lo sguardo per qualche istante, poi finalmente rise, allentando la tensione sul cuore di Robin:
“guarda che sei tu quello nuovo, non io! So benissimo dov'è la mensa!” perchè sembrava così naturale ridere con quell'uomo come se si conoscessero da una vita? Cosa c'era di diverso in lui che non la faceva sussultare, spaventare, trasalire?
“è che preferisco starmene qui tutta sola.” si strinse nelle spalle e lui sorrise teneramente. 
“allora sarà meglio che io tolga il disturbo.” per un secondo, Regina sperò davvero che non avesse detto quella frase. Voleva che rimanesse, per qualche ragione. Voleva conoscere meglio quell'uomo così gentile con lei, voleva continuare a ridere con lui, come non faceva da tanto, troppo tempo.
“è stato un vero piacere, signorina Mills.”
“Regina.” lo corresse con un sorriso gentile.
“Regina.” e di nuovo, un brivido le corse lungo la schiena. Era bellissimo sentirlo ripetere il suo nome, aveva una voce così calda e profonda in grado di entrarle in testa immediatamente.
“anche per me, Robin.” finalmente lasciò che il suo nome scivolasse dalla sua lingua con delicatezza e poteva quasi giurare di averlo visto trasalire quando lo aveva fatto. 
Di nuovo quegli occhi color ghiaccio nei suoi, di nuovo quel silenzio colmato da un lungo sguardo e due timidi sorrisi, un apparentemente imbarazzante momento che di imbarazzante in realtà non aveva nulla, finchè finalmente uno dei due, lui, deglutì con fatica ed annuì, rompendo quella magia fatta di sguardi e lasciandola sola. Di nuovo.

Rimase ferma per qualche minuto davanti alla sua stessa casa, nella macchina, con le mani strette sul volante e le lacrime bloccate nei suoi occhi color cioccolato.
Poteva farcela, era forte abbastanza. Forse oggi Victor era di buon umore, forse non sarebbe ricapitato; forse avrebbe risparmiato al suo cuscino tutte le lacrime che era solita versare ogni notte. 
Regina si chiedeva quanto ancora avrebbe sopportato tutto ciò. Era infelice, talmente infelice che il pensiero di tornare a casa sua la terrorizzava. Talmente infelice che continuava a chiudere fuori dalla sua bolla tutte le persone che aveva attorno; non aveva neppure un'amica, una confidente. Non aveva neanche accettato l'aiuto della psicologa. Voleva rimanere chiusa in sé stessa, tenersi tutto dentro finchè non sarebbe scoppiata.
A volte pensava che sarebbe stato più facile farla finita una volta per tutte. Ci era andata vicino più di una volta, quando durante la notte, nel mezzo di una lite, si chiudeva in bagno e afferrava il rasoio. Ne stringeva forte il manico fra i pugni e piangeva quanto più silenziosamente possibile, poi lo lasciava cadere a terra.
Non hai neanche le palle per farla finita, Mills.
Si passò una mano tra i capelli scuri e si fece coraggio; entrò in casa.
“ma guarda chi ci ha degnato della sua presenza! Signorina Mills.” la sua voce fu la prima cosa che riuscì a sentire. Strinse gli occhi e prese un lungo respiro. Puoi farcela. 
“ciao, Vic.” cercò di sorridere, ma quando lo vide camminare verso di lei non riuscì a controllarsi e trasalì. Sentì la sua viscida mano posarsi sulla sua guancia, lì dove la notte prima aveva usato tanta violenza. 
“com'è andata la giornata, tesoro?” sorrise anche lui e per un secondo le sembrò di essere tornata indietro nel tempo a sette anni prima; quando tutto era perfetto. Quando erano innamorati.
“bene. Ho avuto tutte le classi oggi, è stato impegnativo ma sono finalmente a casa. Devo correggere alcuni compiti, poi posso finalmente riposare.” stava dicendo cose completamente a caso; cose che in sette anni non gli aveva mai detto.
“interessante. Ti ho aspettato per pranzare.” mi hai aspettato perchè volevi che ti preparassi il pranzo. 
“ti preparo qualcosa, che preferisci?” si morse il labbro, maledicendosi per essere così maledettamente accomodante dopo tutto ciò che le aveva fatto. La notte scorsa, quella prima ancora, la settimana precedente; ogni giorno degli scorsi tre anni.
te.” affondò il viso nel suo collo e prese a baciarlo, a morderlo e a succhiarlo. Regina sentì il suo stomaco rivoltarsi completamente, un enorme senso di nausea avvolgerla finchè non sentì il vomito bruciarle in fondo alla gola.
“Vic... sono molto stanca...”
“andiamo, ho aspettato tutta la mattina.” non era una richiesta, ma un ordine; e lei lo sapeva benissimo. No, ti prego, non adesso. 
“Victor” gemette quando sentì le sue mani fredde sotto i suoi vestiti, sulla sua pelle bollente. 
“mmh”
“Victor devo andare in bagno” con una forza e un coraggio che non credeva di avere lo spinse via e corse verso il bagno, aprendo la porta e gettandosi sul water in meno di un secondo. Vomitò il suo stupido sandwich al prosciutto e formaggio e il ricordo di Robin, di come aveva illuminato quel maledetto quarto d'ora, tornarono alla sua mente. 
“maledizione!” lo sentì urlare dalla cucina, succeduto da un tonfo incredibile. Aveva dato un pugno sul tavolo, facendolo tremare completamente. Regina strinse gli occhi, di nuovo.
“ma è possibile che non riesco neanche più a scoparti?! Adesso ti faccio anche vomitare?!” si avvicinò a lei, afferrandola per un braccio.
“Victor, ti prego, è solo... l'influenza credo. Non sei tu il problema.”
“questo lo so!” esclamò “sei tu il cazzo di problema, Regina. Non riesci neanche più a soddisfarmi!” la sua schiena era premuta con forza contro il muro e poteva benissimo sentire il suo alito contro il suo collo. Il suo schifoso, putrido alito.
“s-scusa, io...”
“dovresti ringraziarmi perchè ti trovo ancora attraente. Hai 37 anni, non sei più giovane come prima, Regina, apri gli occhi!”
Perfetto, ora non era neanche più bella ai suoi occhi. Era... attraente. Era solo un modo diverso di soddisfare i suoi bisogni. 
“mi dispiace. P-possiamo riprovare se vuoi, io...”
“certo, pensi che sia facile farmelo venire duro di nuovo?” mentre diceva -o meglio, urlava- questa frase si tirò giù la zip dei pantaloni e si abbassò i boxer. Regina alzò lo sguardo, cercando in tutti i modi di non guardare quello spettacolo pietoso. Sentì la nausea arrivare di nuovo.
“guardalo. E pensare che potevi averlo tutto, duro, dentro di te. Guardalo adesso. Guarda che cosa hai fatto.” glielo ordinò ma lei non obbedì. Continuava a fissare il soffitto, pregando chiunque ci fosse lassù che quella tortura finisse subito.
“GUARDALO!” gridò Victor tirandole i capelli, forzandola ad abbassare lo sguardo. Regina si lasciò sfuggire un singhiozzo e si maledì per averlo fatto.
“ti ho già detto che mi dispiace.” mormorò fievolmente, tentando invano di tenere indietro le lacrime.
“non me ne fotte un cazzo delle tue scuse.” la lasciò cadere contro la porta del bagno e lei vi pianse addosso, silenziosamente, come al solito. 
Tutto sembrò fermarsi per un istante; Victor era lì, al centro del bagno, mentre si passava una mano tra i capelli e cercava di calmarsi. Regina era in piedi, ancora per poco, contro il legno della porta, pregando mentalmente di rimanere sola il più presto possibile, così che potesse finalmente esplodere in singhiozzi.
“vai pure a correggere quei cazzo di compiti che ti fanno sentire tanto soddisfatta di te stessa, tanto la giornata è rovinata.” detto questo fece per andarsene, ma non prima di aver sussurrato puttana quando era sicuro che lei potesse sentirlo.
“Victor” lo chiamò “voglio il divorzio.” 
Lui la guardò per un istante, dalla testa ai piedi, completamente, con serietà. Poi scoppiò a ridere come un pazzo, dal nulla. Si avvicinò a lei e le mollò uno schiaffo in pieno viso, poi se ne andò, lasciandola finalmente in preda ai pianti e ai singhiozzi che aveva trattenuto per troppo tempo.

lasciate una recensione se volete il seguito, o anche solo per insultarmi! 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


tanto per cominciare vorrei ringraziare tutti coloro che hanno letto il capitolo precedente, con un ringraziamento speciale a chi ha voluto lasciarmi una recensione. L'ho apprezzato davvero molto.
Eccoci qui, al secondo capitolo. Spero che questa storia vi piaccia, che vi coinvolga quanto ha coinvolto me mentre la scrivevo -era come se, per quei minuti, non esistesse altro.
Quindi grazie ancora, davvero, e buona lettura!

 

"L'ho trovato a fumare" disse fermamente, mentre faceva ciondolare nervosamente il suo piede in modo circolare sotto la scrivania del preside.
Robin la guardava con occhi attenti e il mento poggiato sulle nocche delle sue mani, un sopracciglio inarcato e un sorriso complice.
"Mh, nel bagno?"
"No, alla finestra, nella classe, prima del suono della campanella."
"Oh. beh, è molto grave." mentre lo diceva, sfogliò la sua agenda, cercò con le dita un numero di telefono e poi lo compose. Regina lo guardava di nascosto, cercando di non farsi notare; era bellissimo con il telefono bloccato tra la guancia e il collo, lo sguardo perso in un punto indefinito e quel sorriso paziente e cortese sempre stampato sul suo viso.
Regina non aveva certo previsto di rivederlo, non così presto almeno. Ma si ripeteva che era il dovere, era sua compito riportare un'infrazione da parte di un alunno, lui era il preside e doveva saperlo. Non c'era nient'altro. Solo il lavoro.
"Sarà qui a momenti." esordì riattaccando il telefono. Immerse gli occhi nei suoi e piegò le labbra in un tenero sorriso. Regina si sentì sciogliere, quindi sorrise a sua volta.
"Io... non credo che sia necessario sospenderlo." disse, cercando in tutti i modi di mantenere quella situazione in tono scolastico. Robin sembrò divertito:
"Non intendevo farlo."
"Bene." distolse lo sguardo, non potendo più sostenere i pensanti occhi blu di quell'uomo che la faceva sentire così meravigliosamente strana come non si sentiva da troppo tempo.
"Allora... sarà meglio che io vada. ho la pausa." 
"Di nuovo sandwich prosciutto e formaggio?" questa volta lasciò che il suo essere divertito prendesse forma in una risatina.
"Tonno e pomodoro. E comunque devi smetterla di giudicarmi!" rise anche lei. Fanculo tutto, si sentiva bene con quell'uomo. Fanculo la situazione scolastica, era capace di illuminarle le giornate sempre più amare e non voleva permettere a niente di trattenerla dal godersele.
“Oh ma tu mi diverti, sai.” le disse tra i sorrisi e il cuore di regina perse un battito. Sentì l'aria entrare ed uscire con fatica nei suoi polmoni e, per un secondo, si preoccupò di essere arrossita decisamente troppo per una sciocchezza del genere.
"Signore, Mc Kluskey è qui." una terza voce -la stessa che aveva interrotto il pranzo di Regina il giorno prima- li interruppe. Il ragazzo entrò con quel sorriso da viziatello, talmente sicuro di sè che a Regina fece venire la nausea. Era vestito di verde, i capelli ricci e scuri, quegli occhi marroni brillavano con sicurezza. Aveva quel non so che di familiare. 
La donna li lasciò soli e gli occhi di Robin lasciarono quelli di Regina per concentrarsi sul ragazzo:
"Lo sai che è vietato fumare all'interno dell'edificio?"
"Infatti fumavo all'esterno."
"La professoressa afferma di averti visto fumare in classe”. Mc Kluskey squadrò Regina dalla testa ai piedi, soffermandosi sul seno, inarcando un sopracciglio alla vista di quanto fosse prosperoso. Regina si accorse di avere gli occhi del ragazzo addosso e si sentì come un pezzo di carne. Disgusto. Puro e semplice disgusto. Abbassò lo sguardo e cercò di ignorarlo, finchè finalmente il ragazzo parlò:
“ma il mio braccio era fuori dalla finestra.” disse con quell'aria sicura di sé che Regina avrebbe volentieri schiaffeggiato via dalla sua faccia.
Sentì Robin sospirare:
“è comunque contro le regole. Questa volta te la cavi con un'ammonizione, ma la prossima volta verrai sospeso.” disse serio, inforcando gli occhiali. Per un secondo, Regina si dimenticò della presenza del ragazzo e dedicò la sua attenzione a Robin: con gli occhiali era ancora più affascinante, se ciò era possibile. Gli davano quell'aria da professore che lei amava da morire. Sorrise quando fu sicura che lui non stesse guardando.
“Signor Locksley.” il ragazzo chinò il capo in cenno di saluto, poi si voltò verso Regina e le fece l'occhiolino “Miss. Mills” 
Robin non lo notò, ma Regina sì, visto che aveva gli occhi dritti in quelli del ragazzo. Sentì lo stomaco rivoltarsi sottosopra, come accadeva quando era a casa con Victor. Non riusciva neanche più ad ottenere il rispetto dei suoi alunni adesso.
Il ragazzo uscì e lei gli corse dietro:
“come ti permetti, Mc Kluskey?” gli urlò contro
“oh andiamo, signorina Mills! Non dica che non ci sta... ho visto come arrossisce quando mi guarda” si avvicinò a lei e le accarezzò un braccio, facendola rabbrividire. Il tremendo senso di nausea che Regina sentiva ogni volta che Victor la toccava, la assalì di nuovo.
“Mc Kluskey...”
“oh... mi chiami Rob. E mi dia il suo numero, così posso chiamarla quando mi annoio la sera” continuava ad ammiccare mentre la sua mano si spingeva sempre più in basso, oltre quella di Regina, scivolando sul retro. Le strinse il sedere, facendola sobbalzare. Regina questa volta reagì: si tirò indietro e gli tirò uno schiaffo in pieno viso.
“come ti permetti?! Ti faccio sospendere!” 
Lui le rise in faccia:
“non ne ha le palle.” detto ciò se ne andò, correndo per il corridoio.
“MC KLUSKEY!” gridò invano. Sentì la porta dello studio di Robin aprirsi e lo sentì camminare verso di sé. Era alle sue spalle, pronto a difenderla. Forse, però, era arrivato un po' tardi.
“cosa è successo?” le chiese preoccupato, avendo sentito le sue urla.
Regina deglutì con difficoltà. Era la sua occasione. Poteva dirgli tutto, o almeno solo quello che aveva fatto Mc Kluskey; poteva farla pagare a quel ragazzo per averla trattata come un pezzo di carne. Poteva smetterla per un istante di essere la debole della situazione ed accettare l'aiuto di qualcuno. Ma non lo fece.
“Niente. Stava solo... correndo in corridoio.” abbassò lo sguardo e lui notò quella luce negli occhi che aveva pochi minuti prima nel suo ufficio spegnersi. Doveva fare immediatamente qualcosa per riaccenderlo di nuovo, non gli importava niente del resto.
“per oggi la mia pausa pranzo è saltata e devo tornare a lavoro. E indovina di chi è la colpa?” disse scherzando, fingendo di guardare l'orologio. Regina finalmente alzò lo sguardo e gli sorrise:
“non certo mia, Locksley!” ridacchiò. 
Si, eccola quella luce.
“oh si, si da il caso che sia proprio la sua, Mills. Allora stavo pensando... cosa potrebbe fare per farsi perdonare?” la colpiva come non si sentisse a disagio nemmeno per un secondo con lui. Sembrava tutto così naturale, come dovrebbe essere normalmente in un rapporto tra uomo e donna. C'era una complicità incredibile e strana che si era creata in meno di 48 ore.
“non faccio ore extra di lavoro, fattene una ragione.”
“oh no no, infatti ti propongo... una maggiore pausa pranzo.” il suo sorriso si ampliò mentre pronunciava il suo invito: “vorrei invitardi a pranzo. E non parlo di quel tipo di pranzo che piace a te, con un sandwich e una bottiglia d'acqua, intendo un pranzo vero. Qui, nel mio ufficio. Ordinerò qualcosa dal miglior ristorante che conosco e farò spazio sulla mia scrivania. Pensa di poter accettare questa mia richiesta, signorina Mills?”
Il cuore le batteva all'impazzata e lei non poteva fare niente per fermarlo. Non riusciva a credere alle sue orecchie: l'aveva veramente invitata fuori! Beh... non proprio fuori. Più che altro dentro il suo ufficio; ma non importava. Voleva passare la sua pausa pranzo con lei, voleva conoscerla meglio proprio quanto lo voleva lei. 
“sì, certo. Mi farebbe piacere.” disse cercando di mantenere un tono pacato. Robin sorrise ampiamente:
“allora va bene. Domani alle 12.30. Puntuale. Ci conto.”
“non mancherò.” gli sorrise anche lei e, questa volta, il sorriso raggiunse gli occhi.

Niente sarebbe riuscito a toglierle quel bellissimo sorriso che aveva stampato sul volto quella mattina. Si era svegliata di buon umore. Il solo pensiero di rivedere Robin le faceva brillare gli occhi e le faceva venire le farfalle nella pancia. Erano sensazioni che non provava da tanto, troppo tempo. Emozioni che aveva desiderato provare ogni giorno della sua vita.
Continuava a ripetersi che tutto ciò era sbagliato. Era una donna sposata, e probabilmente anche lui lo era. E anche se nessuno dei due lo fosse stato, lui era il suo datore di lavoro e lei una dipendente. Ma più ci pensava, più capiva che non le importava niente di tutto ciò: voleva trascorrere del tempo con lui. E il suo matrimonio, per quanto la riguardava, era comunque finito.
China sempre il capo, Regina. Il matrimonio è sacro, e come tale va rispettato. Sempre. Non importa quello che succederà, devi sempre cercare di preservarlo. Le parole di sua madre le risuonarono nella mente e immediatamente il suo sorriso si spense. Si chiese che cosa avrebbe pensato sua madre della situazione in quel momento: le avrebbe chiesto di preservare il matrimonio anche sapendo che il marito la picchiava? Se non fosse morta solo l'anno prima, probabilmente avrebbe avuto una risposta. 
Si ricordava di quando le diceva che era ancora sposata con suo padre perchè era il dovere; il sentimento non c'era più, vivevano praticamente da separati in casa, ma non importava. Per la gente, per gli amici, loro erano innamorati e sposati più che mai.
Bisognava sempre salvare la faccia. 
Regina sapeva che non c'era via d'uscita da quella trappola mortale che continuava a chiamare matrimonio, neanche se lo volesse: aveva provato a chiedere a Victor il divorzio e la risposta era stato un forte e sonoro schiaffo. Forse, un giorno, avrebbe trovato il coraggio di parlarne a qualcuno, forse sarebbe riuscita per la prima volta nella sua vita a chiedere aiuto a qualcuno. E quel qualcuno, forse, era l'uomo con cui avrebbe dovuto pranzare quel giorno.
Non sapeva per quale motivo, ma Robin le ispirava quel tipo di fiducia. Certo, non lo avrebbe fatto di lì a poco, ma forse, con il tempo, con lui si sarebbe aperta. Forse. Se non è sposato. Se ha ancora voglia di vederti dopo una sola uscita, Mills.
“dove credi di andare vestita così?” la voce assonnata di Victor proveniente dal letto la fece sobbalzare. Di solito non si svegliava prima delle undici, dopodichè poltriva sul divano finchè lei non tornava a casa per preparargli da mangiare. Dio, quanto lo odiava.
“a lavorare.” disse, cercando di non suonare troppo infastidita, temendone le conseguenze.
“per strada?” rise da solo “perchè questo è quello che sembra, con quella gonna.” Regina abbassò lo sguardo e per un secondo si domandò se avesse esagerato. Diede un rapido sguardo allo specchio e scosse la testa: non c'era niente di male nella gonna rossa sopra al ginocchio che stava indossando, né nella camicetta bianca di cui aveva lasciato aperti i primi due bottoni. Era vero, le gambe erano nude e aveva più scollatura rispetto al solito, ma continuava a ripetersi che non c'era alcun motivo particolare.  Non era per Robin. Davvero. Solo... a scuola faceva caldo.
“non mi piace che gli altri uomini guardino mia moglie.” disse mettendosi a sedere sul materasso. Regina manteneva lo sguardo basso, cercando in tutti i modi di non incrociare il suo sguardo.
“siamo tutte donne a scuola.” mentì. Forse in quel modo sarebbe riuscita ad andarsene senza essere costretta a cambiarsi. Perchè lui glielo avrebbe chiesto, ne era sicura.
“oh. Beh... allora dovrei venire a farti visita a lavoro più spesso.” rise “ogni tanto devo ricordarmi di come è fatta una vera donna.” Regina sentiva le lacrime premere conrto i suoi occhi per uscire. Era sicura che non gliene importasse più nulla di quello che pensava suo marito; ormai tutto ciò che era anche solo paragonabile all'amore si era trasformato in odio, avrebbe dato tutto pur di non vederlo mai più; ma c'era qualcosa nelle sue parole... le sentiva come un coltello nel pieno del cuore.
“perché non ne cerchi una, allora?” si lasciò sfuggire un pizzico di impertinenza e si morse la lingua, come se potesse già sentire la sua mano schiaffeggiarla in pieno viso.
“chi ti dice che io non l'abbia già fatto?” invece lui rise, rise di lei e di quanto la faceva soffrire. Attimo dopo attimo, giorno dopo giorno. Le aveva portato via la felicità e presto anche la vita, ne era sicura.
Regina lasciò la casa mentre tutto ciò che riusciva a sentire erano le sue risate, e si chiese se quello che le aveva appena detto fosse vero.
Se lui aveva un amante... perchè lei si sentiva così in colpa per andare semplicemente a pranzo con un collega che conosceva appena? C'entravano qualcosa le parole di sua madre? Sei un'idiota, Regina. 
Questa volta, si disse, la voce nella sua testa aveva ragione.

La lezione finì alle 12.20 e lei alle 12.25 era in aula professori, nervosa come non mai, cercando di sistemare il più veloce possibile i vari documenti sul tavolo. Lì, sotto il registro, trovò un bigliettino piegato. Per Regina. Il cuore prese a batterle all'impazzata, convinta di sapere da chi aveva ricevuto quel biglietto. Lo aprì e lo lesse:
Ti aspetto. Puntuale o ti licenzio. 
Le venne da ridere; giurò di riuscire quasi a sentire la risata di Robin.
Dio, il modo in cui la faceva sentire... in altre circostanze, si direbbe quasi che la stesse corteggiando, ma lei continuava a ripetere a se stessa di non farsi troppe illusioni; anche perchè il suo cuore non avrebbe retto all'ennesima delusione.
Smettila, continuava a ripetersi, come a voler fermare i battiti irregolari del suo cuore.
Camminò, o meglio, corse, per quanto i tacchi glielo permettessero, verso l'ufficio del preside e, una volta arrivata, prese un profondo respiro. Poteva farcela. Era una donna adulta, doveva smetterla di comportarsi come un'adolescente alla prima cotta.
Bussò ed aprì la porta con un sorriso che credeva di aver perso tanto tempo prima.
“posso?”
“Miss Mills...” Robin annunciò guardando l'orologio “Due minuti di ritardo. Dovrà rivalutare la sua condotta in futuro.” voleva fingere di essere serio ma non ci riuscì e scoppiò in una risata che Regina ricambiò protontamente. Era così a suo agio con quell'uomo, anche quando aveva chiuso la porta ed erano rimasti soli... aveva sempre avuto paura, da ormai tre anni, di rimanere sola con un uomo in un luogo chiuso. Ma lui era... così diverso...
“vino? È il migliore che avevo in casa.” le porse un magnifico bicchiere di vetro riempito di vino rosso che Regina non potè fare a meno di apprezzare. Aveva fatto tutto questo per lei. 
“dovrei pensare che mi vuoi far ubriacare?” 
“mmh, forse. Ma non faccio mai ubriacare le donne con la fede al dito.” indicò la sua fede, sollevando il dito dal bicchiere, e lì Regina si incupì. Merda. Aveva rovinato tutto con le sue stesse mani, ora non c'era neppure una piccola possibilità che lui la trovasse... cosa Mills? Frequentabile? Lo sapevi che non poteva esserci nulla tra voi, fin dall'inizio.
“ti prego, siediti.” la sua voce la risvegliò dai suoi pensieri e la fece concentrare su quella che normalmente era la sua scrivania. Fino a quel momento non si era accorta di come l'avesse imbandita e preparata per l'occasione. Aveva messo una bellissima tovaglia blu, dei piatti con quello che aveva tutta l'idea di essere del fantastico cibo, una bottiglia di vino nel mezzo ed il pane.
“in caso volessi farti un sandwich.” la prese in giro.
Per tutto il tempo in cui mangiarono, Regina non riusciva a smettere di sorridere. Si sentiva bene, nonostante quello che gli aveva detto, ormai non ci pensava neanche più. Ok, forse non poteva nascere niente tra loro di diverso da un'amicizia, ma di sicuro voleva quell'uomo nella sua vita. 
Parlarono del più e del meno, lui le chiese cose come da quanti anni insegnasse e se amava il suo lavoro, lei gli chiese se avesse dei figli. Non ne aveva.
“io e la mia ex compagna ci abbiamo provato, anni fa, ma... niente. Probabilmente non era destino.”
“beh... sei ancora giovane, magari potresti riprovare... con quella giusta.” si morse il labbro involontariamente e i suoi occhi finirono in quelli blu di Robin. Oh, dio.
“si... con quella giusta.” lui ripetè, come incantato dal suo sguardo. Un brivido li percorse entrambi, completamente, forzandoli a distogliere lo sguardo. 
Robin si schiarì la gola e avanzò la sua prossima domanda:
“e tu? Tu hai... dei bambini?”
Regina rabbrividì di nuovo, e stavolta non piacevolmente. Ricordava che era esattamente quello il motivo per cui il suo matrimonio era andato in crisi, tre anni prima. Lei e Victor avevano provato per molto tempo ad avere un figlio loro, ma non aveva funzionato. Lui continuava a ripetere che era colpa sua, che lui era perfettamente sano; così la spinse a fare delle analisi e... aveva ragione. Lei non era in grado di dargli un figlio. E lì iniziarono le prime liti, le prime spinte, il primo schiaffo.
“no io... non ne ho.” la vide incupirsi, abbassare lo sguardo, così le prese la mano.
"
ehi... non volevo turbarti. Mi dispiace.” Regina non sussultò neppure al suo tocco improvviso. Era tutto così naturale, così confortevole... sentiva la mano calda di lui sulla sua, gelida, e gli sorrise, così come non aveva mai sorriso a nessuno.
“va tutto bene. Sono solo... brutti ricordi, tutto qui.” lui ricambiò il sorriso solo quando si fu assicurato che le fosse tornata quell'aria spensierata che aveva avuto durante tutto il loro pranzo.
“allora” esordì, togliendo la mano dalla sua per alzarsi. Regina non potè negare di essere rimasta dipiaciuta; le mancava già il suo contatto. “ho anche il dolce, cara signorina Mills. Non la lascerò andar via pensando che sono pessimo ad organizzare i pranzi.”
“non l'ho pensato neanche per un secondo. Era tutto delizioso.” si alzò a sua volta, aiutandolo a mettere via i piatti sporchi. Si chiese dove li avrebbe messi e lui gli indicò la stessa scatola con cui li aveva trasportati.
“suppongo quindi che questo non sarà il nostro primo e ultimo pranzo insieme, vero?” lo vide mordersi il labbro, con esitazione. Robin non voleva suonare troppo desideroso di vederla, anche perchè era una donna sposata e quello per lui era un terreno delicato. 
“assolutamente no. La prossima volta, offro io. Ma in un vero ristorante.” Regina rise.
“oh no, milady. Non le lascerei mai pagare il pranzo.”
Milady. Mentre il suo cuore continuava a cercare un modo per schizzarle fuori dal petto, Regina prese un lungo respiro:
“sarebbe un piacere, Robin, davvero. Devo pur ricambiare. Ti prego, dimmi solo quando sarai disponibile.” oh, Dio. Il solo pensiero di rivederlo, che lui volesse rivederla, le fece salire un groppo alla gola. Si, stava succedendo davvero. “se vuoi puoi lasciarmi il tuo numero, così possiamo...” si mordeva il labbro nervosamente, come se avesse paura di qualsiasi parola che le potesse uscire di bocca.
“assolutamente.” il sorriso con cui le rispose la tranquillizzò e, allo stesso tempo, le fece battere il cuore tanto come sempre. Amava il sorriso di quell'uomo, da morire.
Robin si piegò sulla scrivania per scarabocchiare il suo numero su un post-it giallo, poi glielo porse. Regina si soffermò per un secondo sulle dita tra cui era stretto il pezzettino di carta: erano lunghe, affusolate e si chiedeva come si sarebbero posate sulla sua pelle. Sarebbero state delicate, di una delicatezza che ormai non conosceva più, avrebbero accarezzato ogni centimetro del suo corpo, curando ogni ferita, colmando ogni vuoto.
Smettila, Mills.
Scosse la testa e prese il biglietto: “grazie.”
“grazie a te per questa fantastica mezz'ora. Spero di aver trovato finalmente almeno un'amica, in questa scuola.” ridacchiò e Regina provò a convincere il suo cuore che il solo motivo per il quale usava il termine “amica” era per quella stramaledetta fede che portava al dito. Se solo non ci fosse Victor...
“è stato un piacere.” e gli sorrise.

grazie per aver letto fino ad ora! vi prego, lasciate una recensione, anche le critiche sono ben accette!
ci vediamo al prossimo capitolo :) x

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


buonasera, popolo di efp! eccomi tornata con un nuovo capitolo. Questa volta, devo avvisarvi, la lettura non sarà facile e scorrevole come i primi due; non è stato facile per niente scriverlo e immagino non lo sarà per voi leggerlo.
Vi avviso; leggerete di violenza, fisica e soprattutto psicologica, vi darà fastidio e probabilmente vi imprimerà quello stesso senso di nausea che ho provato io nello scriverla. Vi prego, se siete facilmente impressionabili o se la tematica trattata vi turba in particolar modo, non continuate a leggere. Io ho ritenuto fondamentale inserire questa dolorosa parte nella mia piccola folle storia poichè ritenevo ci dovesse essere una svolta, un punto in cui la nostra protagonista decide di dire basta. E questo, come nella vita, succede solo quando una situazione estremamente drastica ci scuote dalla testa ai piedi.
Dopo questo lungo sproloquio che sembrava non voler finire mai vi auguro una buona lettura per quelli che vorranno continuare.

 

Le ci vollero giorni, diverse uscite, prima che Regina potesse aprire completamente il suo cuore a Robin. Una mattina, mentre pranzavano in un ristorante dall'altra parte della città, dove nessuno avrebbe mai potuto raggiungerli -e Regina si sentiva tremendamente rassicurata da questo-, decise di parlargli del suo matrimonio:
“le cose con Victor non... non vanno bene. Da tempo.” confessò prendendo un sorso di vino dal suo bicchiere. Robin fu sorpreso da quella sua affermazione, ma decise comunque di non dire nulla e di continuare ad ascoltare attentamente ciò che Regina aveva da dire: “anche noi, come te e la tua ex, abbiamo provato ad avere un bambino. Victor lo voleva più di ogni altra cosa, ed anche io lo volevo, davvero. Eravamo ancora così innamorati dopo quattro anni di matrimonio... volevamo allargare la nostra famiglia. Abbiamo provato e riprovato, finché la cosa non è diventata vitale per Victor. Per lui era più importante di qualsiasi altra cosa, veniva prima del nostro matrimonio, prima di... di noi. Facevamo sesso così tante volte al giorno, anche quando io non ne avevo voglia, lui mi...” si morse il labbro. Forse non avrebbe dovuto proseguire. Se avesse raccontato a qualcuno, a Robin, di come la costringeva a fare sesso con lui anche quando era stanca, quando tornava dal lavoro sfinita... non importava quante lacrime scorressero sulle sue guance mentre lo facevano, lui aveva uno scopo e voleva ottenerlo. 
Non aveva mai raccontato a nessuno di quanto avesse sofferto in quel periodo, e ora stava per farlo con Robin. Il suo cuore accelerò mentre continuava il suo racconto: “mi forzava. Finchè un giorno io ho suggerito di smetterla. Fu lì che mi costrinse a fare le analisi per andare affondo al problema. Io...” una lacrima cadde sulla tovaglia e fu allora, solo allora, che Regina Mills si accorse di stare piangendo già da tempo. Merda. “io non posso avere bambini, Robin. Non posso.” prese di corsa il suo tovagliolo e si asciugò quante più lacrime riuscisse a fare, ma lui la fermò con una delicatezza che Regina non conosceva più. Avvicinò la sedia alla sua e, con pazienza, asciugò ogni singola lacrima, placò ogni singhiozzo, finchè Regina non si sentì di proseguire il discorso: “lui non mi ha mai più trattata allo stesso modo da quando l'ha saputo. Mi diceva che una donna che non fosse in grado di avere bambini, non era una donna.” un'altra lacrima, per tutti gli schiaffi e le urla che aveva omesso di raccontare. Un passo alla volta, si disse. 
“gli ho chiesto di lasciarmi, di cercarsi una donna che potesse dargli ciò che desiderava di più, visto che io non potevo farlo. Mi ha detto di no. Che il matrimonio è sacro e come tale va onorato e se volevo conservare ciò che rimaneva della mia dignità dovevo rimanere sua moglie. Tutt'ora non vuole concedermi il divorzio.” a sua madre Victor era sempre piaciuto e ora, sentendo le parole che lei stessa stava dicendo a Robin, poteva capire finalmente il perchè: entrambi erano convinti che il matrimonio vincolasse le persone per l'eternità, quello che accadeva al suo interno non importava. Non importava se l'amore non c'era più ed era stato sostituito soltanto da lacrime e dolore. 
“Regina, sai che ci sono vie legali per ottenere il divorzio, vero?” 
“lo so! Lo so, ma io...” ho paura che mi uccida “voglio sperare che cambi, che torni ad essere il Victor di cui mi sono innamorata, il Victor che ho sposato sette anni fa.” 
Robin immediatamente rimosse la mano da sopra la sua e cessò di asciugarle le lacrime:
“sei ancora innamorata di lui?” era una domanda semplice e legittima a cui lei avrebbe dovuto rispondere no. Perchè era la verità, era quello che voleva gridargli da settimane. Ma invece rispose un semplice “si”, perchè era meglio così. Se gli avesse detto di no, lo avrebbe solo incoraggiato; lui si sarebbe illuso di poter costruire qualcosa con lei, qualcosa che lei moriva dalla voglia di costruire. Ma aveva paura di farlo intromettere nel suo matrimonio perchè Dio solo sapeva cosa Victor sarebbe stato capace di fare se lo avesse scoperto. 
“oh.” si limitò a dire Robin, tornando dov'era con la sua sedia. “beh, potreste... provare con la terapia di coppia.” c'era qualcosa di diverso nella sua voce e nel suo comportamento, qualcosa che Regina stessa aveva causato dicendo una semplice, breve bugia.
E adesso? Aveva rovinato tutto? Sarebbero rimasti amici oppure no? Avrebbe preferito morire piuttosto che smettere di vedere quell'uomo. 
“già... potremmo. Ma non voglio più parlare di me. Parliamo di te, ok?”
Le sorrise ma il suo sorriso non raggiunse gli occhi. Era piuttosto quel cordiale e cortese sorriso che era solito rivolgere a tutti i suoi dipendenti.
Sei un'idiota, Regina.

Quella notte, Regina Mills non riuscì a dormire. Erano passati tre giorni ormai dal loro ultimo pranzo e Robin non le aveva più mandato neanche un messaggio. Era insolito, considerato che da quando avevano iniziato a trascorrere insieme le loro pause pranzo, si scambiavano messaggi ogni giorno, anche solo per salutarsi. Regina sapeva di aver rovinato tutto; lo aveva capito da quando aveva pronunciato quel “sì”, da quando lo aveva sentito allontanarsi, fisicamente e metaforicamente. 
Si erano salutati con un “a domani”, ma il giorno dopo non si videro. Né quello dopo ancora. Regina aveva pensato di scrivergli un messaggio, anche solo per chiedergli come stava, come stava davvero, ma qualcosa l'aveva sempre trattenuta dal farlo. Quella notte, però, qualcosa cambiò: era nel suo letto, continuava a fissare il soffitto ed a pensare a lui, a quanto le mancasse la sua risata ed i suoi occhi blu che le scrutavano l'anima. Si voltò verso il comodino e si accorse che erano le due di notte. Prese il telefono e aprì la conversazione con Robin. “Mi manchi” scrisse e rimase per qualche secondo a fissare lo schermo. Decisamente troppo romantico. Decisamente non adatto alla situazione. Lo cancellò.
“Mi mancano i nostri pranzi, Locksley.” questa volta sorrise a se stessa. Sì, era quello che voleva dirgli; era la pura e semplice verità. Lo inviò senza indugiare e sorrise pensando a quando lo avrebbe letto, il giorno dopo, appena sveglio. 
Bloccò il telefono e lo mise di nuovo sul comodino, convinta di poter finalmente dormire serena. 
Si sbagliava.
“che cazzo stavi facendo?” la voce di Victor, per niente assonnata, la fece sobbalzare, rabbrividire. Oh merda. Era stata un'idiota a pensare di poter portare avanti quella storia senza che suo marito se ne accorgesse. Merda, merda, merda. 
“niente, stavo solo guardando l'ora.”  provò a mentire, sperando che il buio della stanza potesse essere un vantaggio per coprire la preoccupazione sul suo viso.
“oh, ma davvero?!” allungò il braccio dalla sua parte del letto e prese il telefono sul suo comodino. Lo sbloccò e la prima cosa che vide fu la conversazione con Robin. Scorse velocemente tra i vecchi messaggi e ne lesse alcuni: “grazie per il fantastico pranzo”, “voglio rivederti domani” e “dobbiamo rifarlo. Presto”. 
“che cosa cazzo significa questo?!” disse Victor, cercando di calmarsi quanto più possibile.
“niente.” gli strappò il telefono di mano e lo mise nella tasca del pigiama, con un coraggio che non credeva neppure di avere; un coraggio che servì solo a farlo imbestialire di più. Le prese i polsi e li premette con forza contro il materasso:
“chi è quest'uomo? Chi è questo... Robin?” le ordinò di rispondere e Regina deglutì con difficoltà.
“il nuovo preside. Noi... siamo usciti a pranzo un paio di volte, ma si tratta solo di lavoro, davvero!”  la zittì con uno schiaffo, succeduto da un singhiozzo di Regina.
“certo, come no! Chi pensi di prendere per il culo?!” le salì sopra; lo sentiva contro il suo stomaco. Duro. Tutta quella situazione lo eccitava. Lo stomaco le faceva male e le veniva da vomitare al solo pensiero. “ti sei fatta scopare, non è vero?!”
“no!” un altro schiaffo. Regina gemette per il dolore: “te lo giuro, Victor, non mi ha toccata!” 
“non ti credo!” gridò, abbassandole i pantaloni del pigiama. Lo stomaco le faceva male, la testa le girava, mentre provava a convincersi che era solo un sogno. Non lo era e se ne accorse solo quando lo sentì infilare una mano nelle sue mutandine:
“ti sei fatta toccare così?” Regina era fredda come il ghiaccio ed arida come il deserto, ma a lui non importava, inserì comunque due dita in lei, facendole inarcare la schiena per il dolore. “si, ti ha fatto questo, non è vero?” 
“Victor, ti prego, smettila! Smettila!” urlò tra le lacrime che inevitabilmente avevano iniziato a macchiare il cuscino. Victor rideva come un pazzo mentre la insultava, mentre la trattava come spazzatura. Regina lo vedeva eccitarsi sempre di più ad ogni suo gesto e questo la fece singhiozzare ancora di più. Ti prego, Dio, fallo smettere, pregò chiudendo gli occhi.
“smettila di piangere!” lo sentì gridare.
“t-ti prego... basta...” 
“basta?! Era quello che dicevi a lui, basta?! Oh, no! Tu ne volevi ancora. Una puttana ne vuole sempre ancora.” rise mentre si tirava giù i boxer. Regina tossì, poi di nuovo un singhiozzo. “ho detto smettila di piangere!” 
“m-mi dispiace, non ci riesco...” 
A Victor piaceva picchiarla, lo eccitava da morire, ma le lacrime e i singhiozzi... erano decisamente troppo, anche per un pezzo di merda come lui. Forse qualcosa dell'uomo che era una volta era rimasta.
"smettila di piangere o ti farò smettere io!” ripetè.
Regina non sapeva cosa fare. Pregava, pregava incessantemente che chiunque ci fosse nel cielo ponesse fine alla sua vita in quel preciso momento. Voleva solo morire, prima di vivere l'ennesima tortura.
“maledizione, Regina!” quell'urlo di Victor fu l'ultima cosa che riuscì a sentire chiaramente, prima di sentire le mani di lui chiudersi attorno al suo fragile collo. E stringevano, stringevano forte, finchè l'aria non riusciva più ad entrare nei suoi polmoni. Stava soffocando, ma almeno non piangeva più. Victor sorrise e strinse ancora più forte mentre spingeva in lei con tutte le sue forze. Le faceva male da morire, ovunque, in ogni parte del suo corpo, fuori e dentro. Era sicura di stare per morire e, forse, una parte di lei ne era felice. Niente più sofferenza, niente più lacrime, niente più Victor, niente più Robin. Oh, Robin... giurò a sé stessa che se mai fosse sopravvissuta a quella notte, lo avrebbe chiamato, gli avrebbe confessato ogni cosa, ogni singolo, sporco dettaglio. Gli avrebbe detto anche dei sentimenti che provava per lui, di quanto amasse il suo sorriso, i suoi occhi, i suoi gesti così delicati. Gli avrebbe chiesto di proteggerla, come avrebbe dovuto fare tempo prima.
È troppo tardi, Mills.
Regina lasciò andare un'ultima lacrima, mentre lo sentì venire in lei. Finalmente la presa attorno al suo collo si allentò e lei riuscì a respirare di nuovo, seppur con fatica. Vide il sorriso soddisfatto di Victor, mentre lo sentiva uscire dal suo corpo, come se fosse tutto naturale. Lo sentì crollare sul suo lato del letto e non disse una parola finchè non lo sentì dormire pesantemente. 
Soffocò ogni singola lacrima, ogni singhiozzo contro il cuscino, poi prese il telefono e, questa volta, il numero di Robin lo compose.
Uno squillo, due squilli, tre squilli.
Erano le tre del mattino, non avrebbe mai risposto, non c'era alcuna speranza. Ma invece...
“Regina! Che diavolo... è notte fonda!”
“lo so, s-scusa...” cercò di suonare calma, mentre la sua voce non faceva altro che tremolare, ancora in shock “i-io...” attacca il telefono, Regina, sei ridicola. Cosa pensi di fare? Victor dorme a due centimetri da te, ti ucciderà stavolta. “potresti... potresti raggiungermi a casa?”
“adesso?” era confuso, assonnato e probabilmente infastidito, ma riuscì comunque a rassicurarla.
“si. Ti prego. È... è importante.” per un paio di secondi non sentì più nulla dalla sua parte del telefono, e pensò che avesse riattaccato, poi lo sentì sospirare:
“certo. Dammi il tuo indirizzo.”
Infondo, valeva la pena di tentare di vivere la vita che voleva piuttosto che morire in quel modo.

Quando Robin arrivò con la sua macchina, la trovò ad aspettare sotto al portico, con la sua borsa ed una sigaretta tra le dita. Appena lo vide corse da lui, come se fosse la sua salvezza. Lo era. 
“grazie per essere venuto.” disse semplicemente, entrando e buttando la sigaretta fuori dal finestrino. Robin ebbe il tempo di osservare che non ne aveva fumata neanche metà: Regina Mills non fumava, qualcosa non andava, c'era qualcosa di dannatamente, spaventosamente insolito.
Rimase a fissarla per qualche istante: aveva una lunga sciarpa di lana attorno al collo, nonostante fosse una calda nottata di settembre. Gli occhi erano gonfi, come se avesse pianto, e i capelli erano un vero disastro. Qualcosa stava succedendo a quella donna, qualcosa di talmente grave da averla spinta a chiamarlo nel cuore della notte. 
“Regina, non partirò da qui finchè non mi dirai che cosa sta succedendo.” spense la macchina e la guardò dritto negli occhi.
“Robin...”
“no! Merito una spiegazione! Insomma, mi chiami alle tre del mattino, mi chiedi di venirti a prendere come se fossimo in pieno pomeriggio, ti trovo in queste condizioni! Dimmi che cosa succede.”
Regina abbassò lo sguardo e trattenne l'ennesima lacrima. Aveva ragione. Doveva dirgli tutto. Meritava di saperlo.
“te lo dirò. Ma prima dobbiamo andare via di qui.”
“Regina...”
“Robin.” disse seria, portando gli occhi dritti nei suoi. “portami via.

vi prego di lasciare un pensiero, anche solo per prendermi a parolacce! 
 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


grazie, veramente grazie per tutte le recensioni, tutti i preferiti che avete messo a questa storia. Quando ho deciso di pubblicarla anche qui non mi aspettavo tutta questa attenzione, ad esserne sincera, e non può che farmi immensamente piacere. Grazie, grazie infinite, davvero.
Spero vi piaccia anche questo capitolo in cui, la nostra eroina, compie un enorme, immenso passo avanti dal mio punto di vista.
Un bacio e buona lettura :)

Robin guidò per diversi chilometri, Regina non gli chiese nemmeno una volta dove stessero andando, non le importava. Era un posto dove Victor non avrebbe mai potuto raggiungerla e questo, per lei, era abbastanza.
Non guardò Robin nemmeno per un istante, aveva paura di incrociare i suoi occhi che, invece, cercavano quelli di lei in continuazione. La testa era sulle sue nocche, volta a guardare il finestrino; a volte cercava il suo riflesso nel vetro e si soffermava a guardare la sua figura: il suo angelo custode. L'aveva finalmente portata via da quel mostro. 
Era stata così coraggiosa ad andarsene, Dio solo sapeva quanto, ma senza di lui sicuramente non ne sarebbe stata in grado.
Lo sentì spegnere la macchina e finalmente si voltò a guardarlo:
"dove siamo?" mormorò
"sulla spiaggia."
Cosa? La spiaggia più vicina era a chissà quanti chilometri lontana da casa sua! Sorrise, spontaneamente. Dio, come faceva quell'uomo ad essere sempre così meraviglioso? 
Scese dalla macchina e, immediatamente, l'aria salmastra le riempì i polmoni. Si tolse le scarpe e lasciò che la sabbia le solleticasse i piedi, poi guardò Robin: aveva appena fatto lo stesso.
"vuoi darmi la sciarpa?" le chiese rivolgendole un sorriso cortese. Quello stesso sorriso che le era mancato da morire.
"no, sto bene così."
Lui annuì, senza dire altro. Gli avrebbe parlato lei, pian piano, con il tempo, quando si sarebbe sentita a suo agio.
Camminarono in riva al mare senza dire una parola, finchè Robin, stanco di quella pesantezza che tra loro non c'era mai stata, tentò di farla ridere immergendo i piedi in acqua, rabbrividendo come un pulcino bagnato a quanto fosse fredda.
"sei pazzo, Locksley!" si ritrovò a ridere, così dal nulla, quando vide i pantaloni di lui già bagnati quasi fino al ginocchio. Li arrotolò e rise a sua volta:
"l'acqua è... un po' freddina." commentò. Regina rise ancora.
Dio, stava ridendo. Dopo tutto quello che le era capitato quella notte, stava ridendo. Come poteva, quell'uomo, farla sentire così tremendamente bene? Aveva bisogno di saperlo e, allo stesso tempo, aveva paura di scoprire che ne stava diventando sempre di più dipendente. 
"mh, davvero?" immerse un piede anche lei e subito lo ritirò fuori, rabbrividendo "direi che 'un po'' è un eufemismo!"
Si buttò a sedere sulla sabbia, seguita da Robin che le fu subito accanto. La vide rabbrividire ancora una volta e si tolse la giacca: 
"tieni, prendila."
"oh" sorrise intenerita da tanta gentilezza a cui, decisamente, non era abituata "non è necessario!" 
"insisto, hai freddo e..."
"davvero, Robin..."
"stai rabbrividendo..."
"ho detto di no!" esclamò all'improvviso, facendolo sobbalzare. 
"ok." mormorò, guardando la sabbia. Non disse altro, ascoltò solo il lungo sospiro di Regina:
"mi dispiace, davvero. non... non so cosa mi sia preso." si che lo sai, continuava a ripetere quella dannata vocina nella sua testa. Forse quella volta avrebbe dovuto ascoltarla. 
"non è niente." disse, ma lei si sentiva in colpa lo stesso. L'ultima cosa che voleva era ferirlo dopo tutto quello che aveva fatto per lei; dopo tutto quello che significava per lei.
Stettero in silenzio per alcuni minuti, minuti che sembrarono ore, poi lei gli prese la mano; così, dal nulla, e gli sorrise, come non aveva mai sorriso a nessuno: "vorrei sdraiarmi un po' con te e raccontarti cosa è successo." gli disse con una voce per niente insicura, decisa e dolce allo stesso tempo. Robin ricambiò il sorriso:
"mi piacerebbe sentirlo."
Si sdraiò per primo, aprì un braccio e la invitò a sdraiarvisi sopra, in modo che potesse stringerla in un tenero abbraccio. Regina ci mise un po' ad abituarsi al contatto tra i loro corpi, ma non disse nulla; non gli lasciò capire quanto stesse ancora soffrendo.
"stai comoda?" le chiese, facendola sorridere ancora di più. Il fatto che si preoccupasse per ogni sua emozione e sensazione le facevano stringere il cuore in una presa a dir poco mozzafiato. Non si sentiva così da tempo, era come se, per la prima volta, sentisse di meritare un po' di dolcezza, di intimità, di semplice attenzione.
"molto. ti va di coprirci con la tua giacca?" sembrava una bambina e Robin non poteva certo dirle di no: le sorrise amorevolmente e la coprì con dolcezza, poi si rimise giù con lei. 
Era buio in quella spiaggia, erano coperti solo dalla luce della luna e delle stelle, ma non importava: loro riuscirono comunque a guardarsi negli occhi.
"Io e Victor abbiamo... abbiamo discusso." oh piantala! sii onesta per una volta "tre anni fa. abbiamo iniziato a discutere tre anni fa." si corresse e Robin aggrottò le sopracciglia perplesso. "non sono stata completamente onesta con te, l'altro giorno; da quando abbiamo scoperto che non potevo avere figli, Victor non mi ha più trattato allo stesso modo. Ha iniziato... ad usare parole forti con me. Tanto per iniziare. Poi, pian piano, la violenza è diventata fisica." lo vide spalancare gli occhi e non sapeva se fosse sorpreso o arrabbiato, o confuso, o magari tutte e tre insieme. 
"ti ha..."
"ha iniziato a picchiarmi. prima solo sul corpo, poi..." una lacrima le rigò la guancia "anche sul viso. Mi diceva che ero io che lo costringevo a farlo. Ero una donna inutile, si era pentito di avermi sposato." un singhiozzo la scosse e Robin voleva stringerla forte, ma poi si accorse che qualcosa lo bloccava dal farlo: paura. Pura e semplice. Era come se all'improvviso si fosse ritrovato a toccare il cristallo più delicato al mondo, così fragile che solo sfiorarlo lo avrebbe distrutto in mille pezzi. 
"non ho detto niente, mai, a nessuno. Avevo così tanta paura che non potessero credermi, io... non lo so. Victor era un uomo così rispettabile quando c'era qualcun altro insieme a noi, forse... forse non mi avrebbero creduto. Senza contare che avevo paura che potesse uccidermi." proseguiva la sua storia, ma Robin si rese conto che non lo stava più guardando negli occhi: il suo sguardo era basso, fissava la sua maglietta blu scuro che toccava la sua canottiera bianca, i suoi addominali contro i suoi seni, e per un secondo le sembrò di essere nuda davanti a lui.
"stanotte ci è andato molto vicino." fu lì che finalmente lasciò scivolare via la pesante sciarpa di lana dal suo collo e la tirò dietro di sé. Sul collo aveva dei pesanti segni violacei delle grandezza delle mani di Victor, come a voler ricordare il preciso momento in cui si erano strette forte attorno alla sua fragile vita.
"Dio" sì, a Robin sembrò il momento giusto per invocare il nome di Dio. Quello che quella donna aveva provato, ogni singolo dolore, fu come se lo sentisse sulla sua stessa pelle, tutto insieme. Voleva sfiorarle quella ferita, come se volesse curarla con le sue dita, con delle carezze, là dove c'era stato tanto dolore e tanta violenza.
Non lo fece, rimase immobile, come paralizzato.
"non... non devi sentirti obbligata a raccontare, se non vuoi."
"no, ti prego... voglio farlo. Voglio dirti tutto. Voglio che tu conosca... ogni parte di me. Anche la più oscura." dicendo questo, iniziò a raccontargli tutto ciò che era successo quella notte. Ogni dettaglio, ogni sensazione, ogni gesto.
"ho chiamato te perchè non ho nessun altro." concluse, trovando finalmente il coraggio di creare un contatto: poggiò le sue dita delicate sul suo viso, sfiorandogli la barba, toccando la sua pelle dove non aveva mai fatto. 
"io lo ammazzo." disse dopo dei lunghi minuti colmati solo dal silenzio. Lo sentì stringere i denti contro la sua mano e all'improvviso spalancò i suoi grandi occhi marroni:
"Robin! non farlo ti prego, non lasciarmi."
"Regina, quel bastardo merita di pagare! e non parlo di sbatterlo semplicemente in galera, voglio ucciderlo, voglio fargli provare quello che ha fatto provare a te!" 
Aveva avuto anche lei quel desiderio, provare a negarlo a se stessa e a Robin sarebbe stato stupido. Ma in quel momento non le importava niente di Victor; sentiva come se, dicendo tutto a quell'uomo che aveva davanti a sé, lo avesse cancellato per sempre dalla sua vita. Come se avesse chiuso definitivamente quel capitolo infelice della sua esistenza e fosse pronta ad aprirne uno nuovo.
Non subito, certo, non in quel momento, ma lo avrebbe fatto.
Con quell'uomo.
Ne era certa.
"Stringimi. Stringimi tra le tue braccia. Questo lo ferirà più di ogni altra cosa, fidati. Solo... stringimi." i suoi occhi erano fissi in quelli blu di lui e Robin non poté evitare di notare lo scintillio di supplica che vi era all'interno. Annuì impercettibilmente e avvolse delicatamente le braccia attorno al suo corpo esile. Aveva così paura di farle del male, di ferirla in qualche modo... non voleva assolutamente rischiare, quindi lasciò che lei lo guidasse: la sentì stringersi contro il suo petto, poggiare il viso fra gli addominali, ascoltare il suo battito del cuore con l'orecchio così vicino... solo in quel momento riuscì finalmente a sorridere. Era l'angelo più bello che avesse mai avuto l'occasione di conoscere, ed in quel momento era fra le sue braccia.
Regina si sentiva così incredibilmente protetta... niente sarebbe riuscita a spaventarla in quell'istante; era tra le braccia dell'unico uomo di cui si fidava in tutto il mondo, non avrebbe mai più avuto paura di nulla. 
Rimasero in quella posizione per molto tempo, senza dire una parola. Sembrava quasi che stessero dormendo, ma entrambi sapevano che erano svegli. Fu Robin a vedere le prime luci dell'alba per primo, poichè lei aveva gli occhi chiusi e la testa contro il suo petto, mentre lui ce li aveva spalancati, volti ad elaborare chissà quale pensiero, mentre le sue labbra premevano contro la fronte di lei.
"guarda." sussurrò verso le cinque del mattino. Era passata esattamente un'ora e tre quarti, ma a Regina sembravano cinque minuti da quando l'aveva abbracciata. 
Con delicatezza tolse le braccia da attorno il suo corpo e si mise a sedere, seguito da lei che lo raggiunse pochi istanti dopo. Guardarono insieme il sole che sorgeva dall'altra parte della strada, fra le colline. Sorrisero come bambini curiosi che stavano vedendo il mondo per la prima volta, poi Regina lo guardò intensamente. 
Dio, quegli occhi erano così profondi, Robin giurò di poterci passare ogni secondo immerso al loro interno.
"è bellissimo." sussurrò, non potendo fare a meno di guardargli le labbra. Dio, voleva baciarlo; voleva baciarlo lì, in quel momento, farsi stringere come aveva fatto prima, solo con le loro labbra finalmente congiunte. Voleva stringerlo, sentirlo contro di lei, fare l'amore con lui, in quella spiaggia. Fanculo tutto.
Ma forse era troppo presto, per entrambi.
"già, decisamente." sussurrò Robin e per un'instante Regina credette che stesse rispondendo alle domande che segretamente si era fatta nella mente.
Rimasero lì a guardarsi ancora per qualche secondo, senza sapere assolutamente cosa fare; entrambi con una voglia matta di baciarsi, entrambi con molta paura di farlo.
"vuoi che..." esordì Robin, rompendo definitivamente quella magia "vuoi che ti accompagni alla centrale?" 
La vide sussultare per un istante, come se si fosse ricordata di Victor solo allora.
"io... non credo che sia una buona idea."
Robin avrebbe voluto protestare, dirle che era la cosa giusta da fare, la prima per iniziare una nuova vita. Poi, però, si rese conto che probabilmente quella donna era stata costretta a sentirsi dire cosa doveva fare per troppo tempo, quindi non disse nulla.
"ok. allora... dove vorresti andare?" le sorrise e lei ci pensò per qualche istante, prendendo un po' di sabbia nelle sue mani, giocandoci come una bambina.
"mmh... non possiamo rimanere qui? per sempre?" lo guardò con quegli occhi marroni scintillanti a cui lui non sapeva proprio resistere e lo fece ridere:
"oh, certo milady, possiamo restare qua tutto il tempo che vogliamo, ma non credo che rimarremo da soli ancora per molto..." indicò un vecchio signore con un cane che avevano iniziato a camminare lungo la riva. Regina alzò gli occhi al cielo e sbuffò:
"non capisco che cosa ci facciano in giro a quest'ora." sì, sembrava decisamente una bambina. 
Robin rise di gusto: "la stessa cosa che potrebbero dire di noi, suppongo." disse sfiorandole la punta del naso con l'indice, solo per vederla arricciarlo e ridere di nuovo. Dio mio, voleva vederla così per tutta la vita, voleva che ci fossero solo felicità e risate nella sua vita.
Aveva voglia di baciarla ma non glielo disse. Nessuno dei due disse nulla, finchè lei non gli prese la mano e intrecciò le dita con le sue:
"voglio andare alla polizia e denunciare Victor." disse seria, senza però guardarlo negli occhi. Guardava le loro mani congiunte, strette forte l'una con l'altra:
"è un gesto davvero coraggioso, Regina, ti ammiro davvero per quello--"
"ad una sola condizione." portò gli occhi nei suoi e sorrise dolcemente: "che tu mi rimanga accanto." 
Le sorrise e portò la mano che aveva intrecciato con la sua sul suo viso, con delicatezza, attento a farle capire ad ogni istante che tutto ciò che voleva era amarla con ogni gesto.
"non devi neanche chiedere, Regina, certo che sarò con te. Finché lo vorrai." sentiva il suo pollice muoversi in tenere carezze lungo la sua guancia e sorrise alla dolcezza con cui la stava trattando. Era tutto ciò che chiedeva, tutto ciò che voleva.
"grazie, Robin. per tutto. E scusami se ti ho chiamato alle due, se ti ho... impedito di dormire stanotte, io--"
"ehi, ssh. Sei una persona estremamente forte e coraggiosa, Regina Mills. Il minimo che io potessi fare era rimanerti accanto." avvicinò il viso al suo ed a Regina mancò il fiato. Sentiva le labbra cosí vicine alle sue, le voleva, la stavano attirando. 
Ci rimase piuttosto male quando lo sentì baciarle la fronte, come se fosse... una semplice amica.

Lasciarono la stazione di polizia soltanto alle due del pomeriggio. Avevano fotografato i segni sul collo di Regina, avevano raccolto la sua deposizione e le avevano assicurato che Victor sarebbe stato in manette entro la fine della giornata. Aveva pianto al sentire quell'ultima frase, ma non sapeva dire se era sollievo o dispiacere. Forse una parte di lei voleva ancora bene a Victor, ma quell'uomo non era più lui. Non era l'uomo che aveva sposato. Al suo posto c'era un mostro che lei stessa non riusciva più a riconoscere da tempo.
Robin la vide silenziosa e se ne preoccupò, sorrise e le prese la mano, accarezzandogliela con dolcezza, circoscrivendo cerchi sul suo dorso:
“ehi...” sussurrò, guardandola per un istante, distraendosi dalla strada
“ehi” lei ricambiò il sorriso, ma non c'era niente di simile ai sorrisi che gli aveva fatto quella mattina sulla spiaggia. Quel sorriso non raggiungeva i suoi occhi marroni, non gli sembrava sentito.
"
tutto bene?” 
“no.” ammise, mordendosi il labbro inferiore. Si sentiva incredibilmente sicura di potersi aprire con quell'uomo; c'era sempre stato per lei, era sempre stato lì quando lei aveva bisogno di qualcuno. Era l'unico. 
“vuoi parlarne?” strinse entrambe le mani sul volante, come per trattenersi dal fermare la macchina ed abbracciarla forte.
“magari davanti a un panino, muoio di fame.” un lieve, leggero sorriso piegò le sue labbra.
“certo. Offro io, dove vuoi andare?” 
“no io... voglio stare sola.” si strinse nelle spalle ma lui interpretò male: vide un'ombra attraversare il suo viso ed immediatamente mise una mano sulla sua “con te. Voglio stare sola con te.” arrossì come una bambina che era stata beccata a rubare un biscotto appena sfornato quando si rese conto di cosa avesse detto: “v-voglio dire...”
“ho capito, sta tranquilla.” nonostante il cuore gli stesse battendo all'impazzata nel petto, Robin riuscì a sorridere come se niente fosse successo. Quella frase lo aveva colpito, l'aveva illuso per un lungo istante, non poteva negarlo, neppure a sé stesso. “ma se andiamo da me, non ti lascerò mangiare un panino nemmeno per sogno. Sono stufo dei tuoi sandwich; meriti molto meglio, Regina Mills. Che ne dici di... spaghetti alla bolognese? come quelli di Lilli e il Vagabondo.” 
Regina scoppiò a ridere follemente, mentre parte della sua mente era già impegnata a valutare la possibilità di assaporare della vera e propria pasta. Erano mesi che non aveva il piacere di potersi sedere a tavola ed avere un pranzo decente, quasi si era dimenticata che sapore avesse qualcosa di diverso da affettato, pomodori e cibi precotti o in scatola:
“oh, sembra fantastico, ma non voglio darti tanti disturbo, hai già fatto così tanto per me, io...”
“ma non ho detto che lo farò da solo! Tu mi aiuterai. Intendo fare la pasta fatta in casa, e tu mi aiuterai, signorina Mills.”
Lei rise senza riserva, di nuovo, lasciandosi andare completamente:
“oh mio dio, e se non lo facessi? Mi licenzia, capo?” 
“no, peggio, la lascio senza pranzo.”

Prima di arrivare a casa sua, passarono al supermercato per comprare gli ingredienti necessari ad un buon pranzetto. Regina sorrideva serena mentre spingeva il carrello della spesa al fianco di Robin. Scherzavano ogni volta che potevano, si sorridevano e lui non poteva fare a meno di apprezzare quanto realmente bella fosse quella donna. Ogni volta che lei porgeva lo sguardo altrove, i suoi occhi vagavano lungo il suo corpo e sorrideva. Sorrideva perchè era perfetta, in ogni singolo dettaglio. Sorrideva perchè, nonostante tutte le cose orribili che quel mostro le aveva fatto, lei riusciva comunque a sorridere. Nonostante tutto, quell'angelo sorrideva.
Quando arrivarono a casa sua, Robin le fece poggiare tutto sul grande tavolo in cucina e iniziarono a tirar fuori le cose che avevano comprato dalle buste. 
“dove tieni i recipienti? Vorrei iniziare a prepare la miscela per la pasta.”
“proprio lì.” le indicò la parte bassa dell'enorme credenza e la osservò mentre si chinava per aprire gli sportelli. Si morse un labbro tanto forte da farlo quasi sanguinare. Maledizione, smettila. Quei jeans scuri stretti che Regina indossava in quel momento le evidenziavano il fondoschiena perfettamente e mettevano seriamente alla prova l'autocontrollo di Robin. Dovette schiaffeggiarsi mentalmente un paio di volte, dicendosi che quella non era una donna qualunque con cui poteva passare massimo due notti e poi mollare con una futile scusa -non che fosse abituato a quel genere di cose, ma comunque...- quella donna aveva bisogno di qualcuno che fosse sempre presente nella sua vita. Di qualcuno che ci andasse piano con lei, che non pensasse a lei come se fosse un giocattolo sessuale. Meritava di essere amata, meritava qualcuno che si prendesse cura di lei sempre. E lui... lui non poteva essere quella persona. Lui era solo l'amico che c'era sempre per lei.
“perfetto, allora, inizio rompendo... quante uova?” sembrava una bambina e Robin non potè fare a meno di sorridere. Tirò fuori dalla scatola l'esatto numero di uova che le servivano per l'impasto, poi si mise a preparare il sugo. Mentre erano impegnati con i rispettivi lavori, l'unico rumore che si sentiva era il muoversi continuo dei cucchiai e delle pentole; finchè Regina, stanca di quel silenzio, prese a canticchiare:
I don't know where you're going but do you got a room for one more troubled soul?” Robin la sentì e ridacchiò leggermente, attento a non farsi vedere. Non voleva assolutamente che smettesse di farlo, non l'aveva mai vista così spensierata. Era lì che maneggiava l'impasto con le mani, ripassandolo con la farina di tanto in tanto, mentre cantava una canzone che gli pareva fosse dei Fall Out Boys. Sì, l'aveva sentita una volta alla radio, era senz'altro Alone Together.
say yeah!” esclamò alzando una mano in aria, come se fosse ad un concerto. La risatina di Robin si fece leggermente più udibile “and let's be alone together! We can stay young forever. Scream it from the top of your lungs, lu-lungs, say yeah!” di nuovo la mano in aria, questa volta però era coperta di farina, quindi gliene cadde un po' sopra la testa, fra i capelli. Robin stavolta scoppiò letteralmente a ridere e lei si rese conto di stare ridendo a sua volta solo quando si girò a guardarlo:
“era da un sacco che non mi sentivo così, era da secoli che non cantavo!” disse felice, un sorriso a trentadue denti. “this is the road to ruin, and we're startin' at the end!” prese un po' di farina e gliela lanciò contro con nonchalance, ignorando il senso di colpa che la assalì non appena la sua maglietta blu scuro si sporcò di bianco. Lui spalancò la bocca fingendosi arrabbiato, dopodichè immerse le mani nella farina e prese a farle il solletico, ricoprendo tutta la sua canottiera e gran parte delle braccia. Presero a ridere come dei folli, rincorrendosi per tutta la cucina. Regina gli tirò anche un pezzo di impasto e lui prontamente lo raccolse con una mano e glielo tirò indietro, colpendola sulla spalla. A quel punto lei provò a catturare le sue mani e lui sembrò assecondarla, se non fosse che stava già progettando un modo per catapultare la situazione. E fu quel che fece; in meno di un secondo, Regina si ritrovò intrappolata contro il marmo della cucina e il corpo caldo di Robin. 
“signorina Mills, non posso proprio accettare questo comportamento, lo sa? Ha mancato di rispetto ad un suo superiore...” la sua voce era involontariamente bassa e riuscì a penetrare nella mente di Regina con un'estrema facilità, facendola uscire di testa. Oh, Dio.
“mmh... davvero?” finse di non capire, piegando il collo di lato.
“già. Prenderò provvedimenti.” voleva continuare a scherzare ma Robin non potè fare a meno di notare i segni sul collo che quel bastardo le aveva lasciato. Erano scomparsi almeno un pochino, ma dovevano ancora far male a giudicare dal colore violaceo che avevano; sicuramente le avrebbero lasciato dei lividi per settimane. Stronzo. Pezzo di merda. Merita di pagare.
Lo vide incupirsi e immediatamente lasciò che il suo sorriso crollasse:
“smettila.” disse seria, guardando in basso per un secondo.
“c-cosa...?”
“non voglio più essere guardata così. Come se fossi malata o Dio solo sa cos'altro. Robin, smettila. Non voglio essere più compatita, non voglio più farti pena.” lasciò cadere lo straccio sul tavolo e se ne andò lasciandolo lì da solo, come un idiota.

fatemi sapere che cosa ne pensate se vi va! 
Un bacio, alla prossima.

 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


come al solito, grazie mille per tutte le recensioni e tutte le visite al precedente capitolo. Grazie veramente, è sempre emozionante per me trovare una nuova recensione.
Spero vi piaccia anche questo capitolo che, probabilmente (non sono una che conta le parole), è più corto dei precedenti. Mi dispiace ma tanto, per come sto aggiornando, già dopodomani riuscirete ad avere un nuovo aggiornamento. :)
Un bacio grande, buona lettura!

Mangiarono in silenzio per tutto il tempo, ma non era quel tipo di silenzio allegro a cui ormai era abituato Robin, quello durante il quale sapeva di potersi sempre voltare e trovarla a sorridere; era un silenzio pesante, al quale nessuno dei due sapeva mettere fine. Lasciò cadere la forchetta sul piatto in un tonfo secco, poi la guardò e prese un profondo respiro, deciso ad iniziare un discorso serio:
“non mi hai mai fatto pena. Mai. Tutto ciò che provo per te è un enorme senso di ammirazione, Regina. Tutto quello che hai passato, tutto quello che quel figlio di puttana ti ha fatto passare... beh, io non so se sarei stato in grado di passarci sopra, se fossi stato al tuo posto. Si sente tutti i giorni ai notiziari di donne che si uccidono perchè stufe di sopportare situazioni del genere o di mariti che uccidono le mogli perchè è martedì o perchè la tv via cavo non funziona. Tu sei una persona incredibilmente forte, una persona che, nel giro di una mattinata, mi ha insegnato più di quanto la vita non abbia fatto in quarant'anni. Tu, Regina Mills, avevi bisogno di un eroe, quindi è ciò che sei diventata, hai salvato te stessa, da sola. E tutte le volte che vedo quei dannatissimi segni sul tuo corpo, io me ne rendo conto. E ricordo a me stesso chi ho davanti. E mi vengono i brividi.” aveva gli occhi dritti nei suoi mentre pronunciava quelle parole, e Regina non potè far a meno di lasciar cadere una lacrima. Quell'uomo era semplicemente fantastico, era tutto ciò che aveva sempre chiesto nella vita. E sì, era dispiaciuta di averlo sgridato come se fosse un bambino piccolo, ma era stufa di rovinare ogni volta l'atmosfera con il ricordo di Victor. Anche quando quel mostro non era presente, era in grado di rovinarle la vita.
Era semplicemente stufa.

“mi dispiace di averti sgridato.” sussurrò mordendosi l'interno della guancia. Eccola, quell'innocente bambina che Robin amava vedere. Sorrise dolcemente e mise una mano sulla sua:
“è tutto ok. Hai fatto una pasta all'uovo deliziosa, posso perdonarti.”
La vide sorridere di nuovo dopo quelli che erano sembrati anni e invece era stata solo una mezz'ora. 

Dopo aver mangiato e lavato i piatti assieme, come una vera coppia, Robin la invitò a sedersi sul divano accanto a lui ed accese la tv. Non c'era niente di che a quell'ora del pomeriggio e lui lo sapeva bene, ma decise comunque di fare un po' di zapping.
“oh, lascia qui, lascia qui! Questo telefilm è fantastico, la protagonista è davvero fantastica!” esclamò Regina appena lesse il titolo Major Crimes fra le info del programma. Si rese conto di aver interrotto la sua attività e arrossì di colpo: “voglio dire... sempre se non vuoi vedere altro.”
In tutta risposta, lui le porse il telecomando con un bellissimo sorriso.
Regina non era abituata a tutto quello. Di solito, la tv era proprietà esclusivamente di Victor visto che ci era seduto davanti dodici ore al giorno. Non aveva più visto i suoi programmi preferiti praticamente da tre anni e quando provava a sedersi accanto a lui ed a guardare qualcosa che piacesse ad entrambi, lui le toglieva il telecomando dalle mani in malomodo spingendole i piedi contro per costringerla ad alzarsi. 
Scosse la testa a quello che ormai era solo un brutto ricordo e si sistemò accanto a Robin, che nel frattempo aveva preso una grossa coperta di pile.
Si sdraiò sul divano -come faceva Victor- ma, diversamente da quel mostro, aprì le braccia e la invitò a sdraiarsi accanto a lui. Regina valutò la situazione: il divano non era affatto largo, sarebbero finiti l'una sull'altro in meno di qualche secondo, lei avrebbe finito per addormentarsi con la faccia sul suo petto e il tutto sarebbe stato estremamente... rilassante? Piacevole? Imbarazzantemente fantastico. Fanculo, non le importava più. Infondo erano stati in quell'esatta posizione fino all'alba, quella mattina.
“stai comoda? vuoi un’altra coperta?”
“no, sto bene.” ed era vero, stava meglio che mai, tra le sue braccia. Guardarono il film per qualche minuto, prima che gli occhi potessero cominciare a diventare pesanti ad entrambi; nessuno dei due aveva dormito quella notte, si meritavano un po’ di riposo. Solo che… Regina si rese conto solo in quel momento che stavano per dormire insieme. Per la prima volta. Forse non come aveva sognato fino ad allora ma… era comunque un inizio.
“grazie Robin” sussurrò chiudendo gli occhi, accoccolandosi contro il suo petto. “per tutto.” 
“ssh, non dirlo mai più.” le baciò la tempia, ma lei era già addormentata per accorgersene. 

Furono risvegliati dopo poche ore dallo squillo del telefono di Regina. Fu lui ad alzarsi per primo e a spegnere la tv che, nel frattempo, era rimasta accesa. Sorrise guardando la donna tranquillamente dormire tra le sue braccia e desiderò che quel momento durasse per sempre, un’eternità. Voleva trascorrere l’eternità con Regina Mills. 
“ehi, bell’addormentata.” sussurrò scuotendola dolcemente. Voleva che avesse un risveglio pacifico e sereno, per la prima volta dopo tempo. 
“mh” gemette, stiracchiando le gambe. Robin sorrise per la milionesima volta. Era davvero la cosa più bella e dolce che gli fosse mai capitato di vedere. “che c’è? è già mattina?” 
“no signora; come suo superiore, non le permetterò di mancare a lavoro un altro giorno.” rise dolcemente; una risata che Regina sentì direttamente nel suo orecchio, provando un brivido lungo tutta la schiena.
“mmh, le ricordo che è mancato anche lei, boss.” quasi inconsciamente, si strinse ancora di più a lui, ignorando completamente il telefono che continuava a squillare.
“non certo per colpa mia!” risero ancora, poi, nel momento in cui finalmente Regina spalancò i suoi occhi marroni, si ritrovarono immersi in un lungo, intenso sguardo che sembrò non finire mai. Erano così vicini, così incantati da quella magia… erano ad un passo dal…
“il telefono…” sussurrò Robin, scuotendo la testa. Regina non potè negare di esserci rimasta un pochino male: forse non voleva baciarla? Era questo il motivo per cui continuava a trovare delle scuse quando erano così vicini? Forse gli faceva schifo. Nessuno ti troverebbe mai attrente. La voce di Victor le risuonò nella testa come una canzone ed a stento trattenne una lacrima.
“si… hai ragione.” si alzò immediatamente, interrompendo qualsiasi contatto con lui il più in fretta possibile. Robin voleva dire qualcosa, o forse soltanto maledirsi per essere stato così idiota, aprì la bocca ma non ne uscì alcun suono. Attese pazientemente che Regina concludesse la sua chiamata, osservando il modo con cui si mordeva nervosamente il labbro mentre stringeva forte il suo telefono tra le dita, ormai divenute bianche come il muro.
“la ringrazio molto.” concluse, e mise giù.
Tornò a guardare Robin, con un mezzo sorriso:
“Hanno… portato via Victor. è in prigione. E' finita.” il suo sorriso si ampliò quando vide Robin reagire immediatamente: saltò in piedi e la strinse forte tra le sue braccia, in un tenero abbraccio.
“è finita davvero, ce l’ho fatta.” 
“già. sei la persona più forte che io conosca, Regina” una lacrima rigò il viso di entrambi ma Robin riuscì a scacciarla via prima che lei potesse vederla.
“io… io non credevo che sarei mai riuscita a…”
“e invece lo hai fatto, e sai perchè? perché sei una guerriera.” le asciugò le lacrime con il suo pollice, poi le baciò la fronte. Era il loro gesto, ormai, la cosa in grado di farli sentire appagati, quasi come un vero e proprio bacio.
“grazie Robin, grazie ancora.”
“ssh, vieni qui.” la strinse tra le braccia un’altra volta, dove continuò a piangere silenziosamente, quasi senza accorgersene. 
“mi hanno detto che posso tornare a casa quando voglio, quindi, se non è troppo disturbo ti vorrei chiedere…”
“ti porterò appena vorrai. Tu di soltanto una parola ed io salto in macchina” sorrise. Rimasero in quella posizione per ancora un po’, poi robin prese a cullarla dolcemente, come se stessero danzando a ritmo di una musica che sentivano solo loro due, una dolce melodia. “sono fiero di te.” e quello sorprese Regina Mills come poche cose nella sua vita erano state in grado di fare. Mai, nemmeno i suoi genitori le avevano detto una cosa del genere. ma quell’uomo che conosceva da così poco ma del quale sapeva di non poter più far a meno, lo aveva fatto, glielo aveva detto come se fosse fondamentale per lei saperlo. Ed era vero, ogni parola era sentita, profondamente, lo capiva dal tono della sua voce.
Gi chiese se gli andasse di accompagnarla subito e lui annuì con dolcezza. Salirono in macchina, entrambi con un sorriso stampato sulle labbra e lui le lasciò accendere la radio. Per la prima volta dopo tempo, le andava di nuovo di ascoltare della musica allegra:
“si! la amo questa!” esclamò felice iniziando a cantare: “my ex man brought his new girlfriend she’s like oh my god! I’m just gonna shake; and to the fella over there with the hella good hair” guardò Robin dritto negli occhi, accertandosi del fatto che anche lui la stesse guardando “won’t you come on over, baby?” fece una smorfia tremendamente sensuale “we can shake, shake, shake.” e concluse con un occhiolino. Robin sentì il bisogno di prendere un lungo respiro di aria fresca quando si rese conto di stare arrossendo incontrollabilmente. Dio mio, quella donna; anche quando giocava in quel modo riusciva a stuzzicarlo, come se le venisse naturale essere così desiderabile. Dio mio. Premette sull’acceleratore, sperando che il tragitto verso casa sua potesse essere più breve in quel modo. Aveva semplicemente bisogno di smettere per qualche secondo di volerla, di desiderare il profumo dei suoi capelli nelle narici, la morbidezza della sua pelle sotto le sue dita e la sua bocca… Cristo, amico, datti una regolata!
Parcheggiò davanti a casa sua e le fece un sorriso mentre la guardava scendere, dopo averlo ringraziato per la milionesima volta. Camminò verso il portone con la sua borsa in mano e lo sguardo basso, finchè non la vide estrarre le chiavi dalla tasca e le girò nella serratura. Robin si morse il labbro, abbassando lo sguardo a sua volta, poi riportandolo verso la strada davanti a sé. 
Doveva lasciarla andare, almeno per allora. Doveva tornare nel suo mondo, doveva ricominciare da zero e, con lui al suo fianco, non sarebbe mai riuscita a camminare da sola. Doveva staccarsi da lei, per quel giorno, poi chissà. Lei aveva bisogno di tempo, non poteva certo buttarsi subito in una relazione con lui; ma lui l’avrebbe aspettata, di questo era convinto. Avrebbe aspettato quella donna per tutto il tempo di cui aveva bisogno. 
Riportò gli occhi su di lei, questa volta con un sorriso sincero, più rivolto a sè stesso che ad altro. Un sorriso che cadde nel momento in cui vide lei, inginocchiata davanti al portone, in lacrime.
“ma che diavolo…” corse immediatamente fuori dalla sua auto, verso di lei. “Regina!”
“non ce la faccio, non ce la faccio, Robin…” cadde in ginocchio accanto a lei, avvolgendole ancora una volta le braccia attorno al corpo, stringendola a sè. “lui è ancora qui, è ovunque, è nella mia testa… non ce la faccio!”
“ssh, ssh, è tutto ok. sono qui, è tutto ok.”
“Non voglio rimanere qui, non voglio vivere mai più in questa casa. Ovunque io guardi… c’è lui.” gli faceva una tenerezza immensa, voleva coccolarla finché ogni singola lacrima sarebbe tornata al mittente. Aveva bisogno che lei sorridesse di nuovo, che ridesse, che cantasse come faceva prima nella sua auto.
“ho un’idea, vuoi sentirla?” le sorrise e lei annuì “Prima però devi far sparire quelle lacrime, ok? come tuo capo te lo ordino.” riuscì a farla ridere e Regina si ritrovò di nuovo a ringraziare il cielo per averle messo accanto quell’uomo. Si asciugò in fretta le lacrime, ma lui ovviamente non glielo lasciò fare da sola: con la manica della sua camicia completò il lavoro, poi le sorrise:
“perchè non prendi un po’ delle tue cose e vieni a stare da me per un po’?”
Il
 cuore di Regina prese a battere all’impazzata, come se avesse iniziato improvvisamente a correre:
“Robin io…”
“nel frattempo potresti mettere la tua casa in vendita e, quando troverai un acquirente, con i soldi che ne ricaverai ne comprerai un’altra e potrai andar via. Senza fretta, davvero. Non è un disturbo.” è più un piacere, credimi. Zittì rapidamente la voce nella sua testa e le rivolse uno splendido sorriso.
“io non vorrei crearti problemi di nessun tipo neanche al lavoro…”
“non ne creerai. non lo diremo a nessuno e, solo se ci vedranno insieme, confesseremo la verità. Regina, non devi giustificarti con nessuno, mai, per le tue azioni. Ricordalo.” Di nuovo, poggiò il viso tra i suoi pettorali, inspirando il suo profumo. Già, forse quella era la cosa giusta da fare, forse era davvero il nuovo modo per ricominciare: vendere la casa che fino ad allora le aveva ricordato una vera e propria prigione con tanto di torture. Sarebbe andata a vivere da lui per un po’. Come amici, ovviamente. E, quando avrebbe trovato un acquirente, se ne sarebbe andata. Poteva funzionare. Era una cosa del tutto innocente. 
Sarebbero rimasti soltanto amici. 

fatemi sapere che cosa ne pensate se vi va! 
 

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


grazie, grazie come sempre per le bellissime recensioni che mi fanno sorridere ogni volta e mi spingono a pubblicare anche su questo sito. spero vi piaccia anche questo capitolo!
un bacio e buona lettura! :)

“Ti prego, entra tu a prendere le mie cose, io… non ce la faccio.” mormorò imbarazzata, tornando a fissare il pavimento. Erano ancora lì, davanti a quella casa che l’aveva tanto terrorizzata, la porta aperta e nessuno dei due aveva il coraggio di entrarvi. 
“Regina, io non sono mai stato in casa tua, e inoltre non saprei proprio dove cercare le tue cose, quindi… perché non ti fai coraggio e provi ad entrare? ne hai superate tante, puoi fare anche questo.” le sussurrò dolcemente, accarezzandole il braccio con le sue dita morbide che la facevano sentire al sicuro.
“i-io…” scosse leggermente la testa.
“verrò con te, sarò al tuo fianco, te lo prometto. non succederà niente. Vuoi?” le prese il mento fra due dita, portando gli occhi color caffè di Regina nel suo oceano meraviglioso. Vi lesse un’immensa paura al loro interno; tanto forte da far rabbrividire anche lui, ma riuscì a non far trapelare alcuna emozione. Doveva essere forte, quella donna aveva bisogno di lui.
Regina annuì, anche se riusciva perfettamente a capire quanto ancora incerta fosse realmente. Chiuse le mani attorno al suo braccio forte e, insieme, mossero i primi passi dentro la casa. 
Il divano, dove Victor usava dormire e mangiare tutto il giorno davanti alla tv, era un completo disastro: bibite versate a terra, briciole dappertutto; la cucina esattamente come l’aveva lasciata la mattina prima -un totale disordine; a destra c’era il bagno dove si rifugiava per dar sfogo alle sue lacrime, dove aveva pensato varie volte di farla finita. E laggiù c’era la loro camera da letto. Dove tutto succedeva. Senza volerlo, strinse forte le dita attorno al braccio di Robin, mentre diversi brividi le attraversavano il corpo.
Non poteva farlo, non poteva riviverlo. Non dopo neanche ventiquattro ore, non era forte abbastanza.

“ehi… sono qui.” sussurrò, come se avesse letto nella sua mente. Poggiò per un istante la sua fronte su quella di Regina, come a volerle infondere più sicurezza, come se volesse farle capire ancora una volta che lui era lì per proteggerla.
Entrarono nella stanza da letto e Regina non potè far a meno di guardare il letto: era nelle stesse esatte condizioni in cui, la notte prima, Victor l’aveva ridotto. C’era il cuscino nel quale aveva soffocato i suoi singhiozzi, le lenzuola sporche di chissà quale liquido e… c’era lui. Nella sua testa, lui era ancora lì. Si sentiva come se fosse pronto a comparirle dietro alle spalle per prenderla e sbatterla su quel letto un’altra volta, abusando del suo corpo ancora una volta mentre la insultava e la picchiava per aver parlato con Robin, per averlo mandato in prigione, per avergli rovinato la vita nel giro di poche ore. Maledetta puttana, ti ammazzo.
“Robin” lo chiamò non appena sentì le sue braccia abbandonarla.
“si?”
“stringimi, ti prego.” era sul punto di scoppiare in lacrime di nuovo e in quel momento gli ricordò l’angelo ferito e spaventato che aveva visto la notte prima, quando l’aveva implorato di portarla via di lì. Senza esitare, allargò di nuovo le braccia e la strinse in un caldo abbraccio, dal quale Regina non avrebbe mai voluto staccarsi.
“lo so che è difficile, ma devi pensare che presto tutto questo finirà definitivamente. Domattina chiamerò un agente immobiliare e qualcuno che sistemi questa casa e la prepari ad essere venduta. Non ti permetterò mai più di rivivere le cose orribili che quel maniaco ti ha fatto.” Robin stava usando un tono calmo, ma la rabbia nella sua voce era palpabile. Avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di prendere a pugni quel figlio di puttana; anche se sapeva che non gli sarebbe bastato, neanche ucciderlo sarebbe bastato. Niente avrebbe mai potuto cancellare dalla memoria o dal tempo le cose orribili che aveva fatto a Regina. Alla sua Regina.
Annuì, scuotendo quei leggeri riccioli scuri che gli piacevano da impazzire, quei riccioli che avrebbe ritrovato, da quel giorno, ad ogni risveglio, ogni mattina, ogni sera. 
“dove posso trovare una valigia per sistemarci la tua roba?” le chiese, regalandole un altro dei suoi sorrisi meravigliosamente dolci. Regina gli indicò il letto, e lui capì che dovevano trovarsi sotto di esso. Gli disse anche dove teneva la maggior parte dei suoi soldi, quindi lui li prese, sotto sua richiesta. C’erano anche quelli di Victor ma, inizialmente, Regina era contraria al prenderli, poi però lui le spiegò che non li avrebbe dovuti usare per altro se non per mettere in vendita quella casa e sbarazzarsi del suo ricordo per sempre. Fu solo allora che lei acconsentì.
Lo guidava in ogni movimento, gli diceva quali cassetti aprire per trovare i suoi vestiti -lei non voleva assolutamente toccare nulla, ne era terrorizzata- e quali prendere, le sue scarpe, la sua… biancheria.
“f-forse è meglio se…”
“Robin, siamo amici. E sono sicura che sai cosa una donna normalmente indossa sotto i vestiti.” non potè far a meno di sorridere alla sua stessa battuta, nonostante la tragicità della situazione. 
Robin annuì, anche se Regina poteva dire di vederlo abbastanza impacciato mentre apriva il cassetto e si ritrovava davanti decine di reggiseni e mutandine. Regina credeva, in tutta onestà, di trovarsi in una situazione meno imbarazzante, invece si sbagliava: gli suggerì di prendere tutto ciò che c'era, senza soffermarsi su ogni capo, così da rendere il tutto più facile ad entrambi. 
“ecco qui. c’è l’essenziale. Manderò a prendere le altre tue cose domani mattina.” 
“si. ah, aspetta! la mia cartella!” indicò ai piedi del tavolo la cartella che di solito Robin la vedeva portare al lavoro. “ci sono i compiti dei ragazzi che avrei dovuto correggere per oggi.” sorrise timidamente, rendendosi conto che era effettivamente la prima volta che parlava del suo lavoro a qualcuno disposto ad ascoltarla.
“e lo ha fatto, signorina Mills?” le sorrise, scherzando.
“me lo sta chiedendo il mio capo o il mio amico Robin?” risero assieme, poi lui prese la cartella che le aveva chiesto e gliela porse. Ora avevano davvero tutto. Erano pronti per aprire un nuovo capitolo; insieme.

“Ho liberato alcuni cassetti per i tuoi vestiti.” le disse uscendo dalla sua camera da letto. Regina lo stava aspettando in salotto, sul divano: stare sola con lui in una camera da letto una volta in una giornata poteva bastare.
“ti ringrazio, Robin, davvero. grazie mille.”
“ehi, non voglio che mi ringrazi mai più, ok?” le prese il viso tra le mani, facendola sorridere ed arrossire come un’idiota. 
“ok.” annuì impercettibilmente. Si sorrisero per un’ultima volta, poi lui la lasciò per entrare in cucina:
“cosa vuoi per cena?” le chiese, ma lei non stava ascoltando. Era entrata in camera da letto per sistemare le sue cose nei cassetti che Robin le aveva liberato ed era rimasta bloccata a guardare quel letto. Accarezzò le coperte con la punta delle sue dita, mentre la mente si perdeva in mille pensieri. Chiuse gli occhi, lasciò che le narici le si riempissero del suo profumo. Era ovunque; così buono, così diverso da quello di Victor, le entrava nell’anima, le penetrava in testa. Ne voleva di più, Dio mio, voleva rotolarsi in quelle lenzuola e perdersi con lui in quella magia. Corpo contro corpo, pelle contro pelle, labbra contro labbra.
Fu lì che Regina Mills realizzò di desiderare Robin Locksley. Di desiderarlo davvero, nel vero senso del termine; ma non al puro scopo del piacere fisico, voleva fare l’amore con lui. Fare di nuovo l’amore per la prima volta dopo tanto tempo -ammesso che avesse mai fatto realmente l’amore con qualcuno. Voleva sentirlo vicino a sé, contro di sé, dentro di sé.
“tutto bene?” la sua voce le arrivò come un sussurro leggero, ma fu comunque in grado di sorprenderla. Si voltò all’improvviso e gli sorrise dolcemente:
“si, io, stavo solo… ambientandomi, si.” non poté far a meno di arrossire, come se Robin avesse letteralmente visto lo scenario che aveva in mente. 
“sai, pensavo a una cosa” sussurrò avvicinandosi a lei con un meraviglioso sorriso. Regina deglutì con fatica, sentendo lo stomaco chiudersi di botto. Merda. Erano loro due, insieme, in una stanza da letto, da soli. Un’altra volta. E lui ora era così vicino, così dannatamente vicino…
“a-a cosa?”
“non ho voglia di cucinare quindi pensavo che…” le prese una ciocca di capelli e la fece rotolare attorno a due delle sue dita. Il cuore di Regina prese a battere con violenza. Oh mio… “forse potremmo… andare a cena fuori.” la vicinanza tra loro era davvero troppa, le labbra a neanche un centimetro di distanza, gli occhi di entrambi incatenati in uno sguardo apparentemente senza fine.
“si… potremmo.” 
Chiusero gli occhi, convinti di stare già assaporando il bacio che tanto avevano atteso e voluto, ma ancora una volta rimasero delusi ed interrotti dall’ennesimo squillo di telefono. Stavolta era di Robin.
Dannazione. Per un attimo Robin credette di averlo detto ad alta voce, poi capì -grazie a Dio- di non averlo fatto. 
Corse nell’altra stanza, lasciandola lì così, senza una parola, senza una spiegazione. Era stufa di quella situazione; era come avvicinarsi al cielo tanto da poterlo quasi toccare, per poi cadere a picco di nuovo sulla terra. 
“scusa, era Amanda” la vicepreside, lo sapeva bene. “voleva sapere soltanto se sarei andato al lavoro domani.” il sorriso sulle sue labbra era timido, Regina poteva quasi dire imbarazzato. Non era quel sorriso sfrontato e acceso che aveva di solito; forse era per l’ennesimo mancato bacio.
“e tornerai?” gli chiese, portando gli occhi nei suoi 
“assolutamente. E tu con me.” 
Fu sopresa da quella reazione; un uomo qualunque le avrebbe proposto di prendersi qualche giorno, specialmente dopo tutto quello che aveva passato. Ma lui, nonostante fosse così incredibilmente protettivo nei suoi confronti, non lo fece. Si chiese perché ma non fece in tempo a porgli la domanda che lui la anticipò: “Regina, oggi mi hai detto che non vuoi più essere trattata da vittima. Sarò il primo a non farlo; tu devi uscire, devi andare a lavorare, devi vivere la tua vita al meglio. Perché da oggi ricomincerai a vivere, Regina Mills, te lo posso garantire.” di nuovo quel sorriso fiero e splendente che, stavolta, Regina prontamente ricambiò. 
Oh, quell’uomo non era assolutamente “un uomo qualunque”.

Erano usciti a cena fuori, ma non si era trattato di quelle cene romantiche o eleganti che si vedono nei film. No, assolutamente. Regina aveva indossato un paio di jeans strappati ed una felpa di Robin -rubandola praticamente dal suo armadio e, quando se ne accorse, lui scoppiò a ridere come un matto- che era grande più del doppio rispetto alla sua taglia. Sembrava molto più giovane della sua età, non le avrebbe dato più di venticinque anni se l’avesse vista da fuori; era raggiante. Il pensiero di uscire con lui a cena la divertiva. Non la emozionava, non le faceva battere il cuore come quello di una liceale al suo primo appuntamento, la divertiva. 
E fu così che si ritrovarono a mangiare alette di pollo fritte alla paprika in uno sperduto ristorante messicano. Ridevano come pazzi, bevevano birra di bassa qualità, mangiavano con le mani e giocavano, rubandosi le salse a vicenda come i bambini. Le persone agli altri tavoli li guardavano male, ma a loro non importava, non vedevano nessun altro all'infuori di loro due. 
“Dio mio, è stata la serata più bella della mia vita!” esclamò quando rientrarono in casa. Era talmente brilla che neanche si rese conto di quanto fosse felice di tornare finalmente a casa con qualcuno di cui si fidasse, con qualcuno che amasse.
“già, ma adesso dobbiamo davvero dormire, è tardi… domani dobbiamo lavorare.” mentre diceva questo, gli occhi già mezzi socchiusi e la voce assonnata, non si rendeva conto del modo in cui Regina gli aveva chiuso le braccia attorno al collo e lo aveva abbracciato.
“mmh, davvero? dobbiamo proprio?”
“assolutamente sì.” anche le mani di lui presero a vagare lungo la sua schiena, ma da vero gentiluomo quale era, non andò troppo in là. Conosceva perfettamente i suoi limiti, anche da brillo. Dio, era decisamente troppo perfetto.
“non ho sonno, capo.” sussurrò nel suo orecchio prima di baciargli il collo e lasciarsi andare, poggiando la testa sulla sua spalla. Nonostante Robin ci stesse provando con tutto sé stesso, il suo corpo non potè far a meno di reagire e, in pochi secondi, Regina si rese conto di sentirlo contro di sé. Per la prima volta.
“Regina…”
“portami a letto.” gli sussurrò baciandogli il lobo, poi mordendolo, finché ciò che sentiva contro di sè non diventò completamente duro. Merda, merda, merda. La sentì ridere e gli sembrò di impazzire; continuava a ripetersi che Regina non lo voleva realmente, era ubriaca, stavano perdendo entrambi il controllo, ma lui non poteva permetterselo.
“ti prego.” gemette “portami a letto.” 
E portarla a letto fu esattamente ciò che fece; la prese in braccio come se fosse la sua sposa, facendola ridere, anche se non era esattamente ciò che lei si aspettava. Arrivò nella sua stanza da letto e, quando la mise giù per sistemare le coperte, lei lo fermò:
“non vorrai farmi dormire con questi vestiti… puzzo di pollo fritto.” sorrise, ma non era un sorriso giocoso. Alzò un sopracciglio maliziosamente quando lo vide arrossire:
“i-io…”
“spogliami.” sussurrò, facendogli vibrare lo stomaco “per favore.” 
“Regina, non posso.”
“puoi. Vuoi. Fallo, ti prego.” 
Non poteva lasciarla lì così, non poteva e forse la parte più grande di lui non voleva. Lentamente le prese le estremità della felpa e gliela sfilò con molta lentezza, assaporando ogni momento, ogni centimetro che scopriva. Sotto aveva -sfortunatamente, o fortunatamente, dipendeva dai punti di vista- una canottiera bianca, non troppo trasparente che gli lasciava intuire il colore del suo reggiseno. Da una parte era contento che non avrebbe visto il suo corpo quasi completamente nudo quella notte: voleva conservare la cosa per quando sarebbe stato tutto vero, voluto da entrambi, sul serio. 
Le tolse le scarpe e i calzini, poi passò ai jeans, sbottonandoglieli completamente e abbassandoli pian piano, arrossendo ad ogni centimetro delle sue mutandine che scopriva. Dio mio, sperava con tutto se stesso che non fossero trasparenti, lo sperava davvero. Non lo erano. Erano nere, come il buio di quella stanza, come gli occhi di Regina in quell’istante.
“tutto bene?” le chiese, ricordando a se stesso chi aveva davanti. Lei sorrise ed annuì, senza mai smettere di sperare che continuasse nel modo in cui lei voleva. Non lo fece, ma infondo se lo aspettava.
“avanti, sotto le coperte signorina Mills.” esclamò sorridendo. Lei obbedì ma, quando lo sentì lasciarla, gli afferrò il braccio:
“ti prego, rimani. Voglio dormire un’altra volta stretta a te.” non gli avrebbe mai, mai detto quelle parole da sobria, non ne avrebbe mai avuto il coraggio e lui lo sapeva bene. Ma il fatto che fosse ubriaca non le rendeva meno vere, quindi sorrise. Non disse nulla, semplicemente si fece spazio sotto le coperte, lasciando che Regina si mettesse sul fianco, poi la strinse in un morbido, caldo abbraccio protettivo. 
E lì si addormentarono, con il sorriso più sincero stampato sulle labbra.

fatemi sapere cosa ne pensate! :)

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


io davvero non riesco a crederci: più di 400 visualizzazioni per questa storia! inutile dire quanto tutto questo mi renda felice, grazie mille a tutti voi! grazie anche e soprattutto a coloro che lasciano una recensione per farmi sapere cosa ne penso. ed ora, prendete pure un pacco di oreo (come ho fatto io) e sedetevi per un altro po' in mia compagnia :)
buona lettura!

 

Fu Robin a svegliarsi per primo. Era abituato ad alzarsi con le prime luci dell'alba, senza alcun bisogno di una sveglia. La prima cosa che vide davanti ai suoi occhi fu il bellissimo viso di Regina, a pochissimi centimetri di distanza dal suo, tanto da sentire il suo respiro contro le labbra. Sorrise spontaneamente, desiderando di ritrovare quello spettacolo ogni singolo giorno della sua vita. Voleva accarezzarle il viso, baciarle la fronte e sussurrarle un dolce "buongiorno"; ma non lo fece. Non voleva rischiare di svegliarla, non avrebbe mai voluto farlo. Era così bella mentre dormiva tra le sue braccia, ancora una volta.
Lentamente e controvoglia si alzo' dal letto, attento a non disturbarla in alcun modo. Si rese conto di avere addosso ancora i vestiti della notte scorsa, di puzzare di pollo fritto e di avere il sapore della birra a poco prezzo che avevano bevuto per tutta la sera. Sorrise al ricordo di quella serata ed arrossì quando gli tornò in mente il modo in cui era finita.
"portami a letto" il modo in cui l'aveva pronunciato, in cui l'aveva sussurrato nel suo orecchio. Ricordava perfettamente il modo in cui il suo corpo aveva reagito a quel sussurro e non potè far a meno di sperare con ogni fibra del suo essere che non l'avesse sentito. O almeno, che non se lo ricordasse.
Camminò verso la cucina, mentre decideva cosa preparare. Il fatto che stesse cucinando la colazione per lei per la prima volta lo fece sorridere tra sè e, mentre tagliava il pane da friggere, si rese conto di stare canticchiando. Era felice. Per la prima volta dopo tanto tempo, anche lui era finalmente felice.
"isn't she lovely? isn't she wonderful? isn't she precious?" fischiettò sistemando tutto nei piatti e mettendoli nel vassoio. Versò il caffè in una grande tazza e lo ricoprì di panna, poi rise pensando al modo in cui lo avrebbe sorseggiato, immaginandola con la panna sulla punta del naso ed i baffi di latte. Il cuore gli batteva forte e deciso nel petto, come se non vedesse l'ora di passare ogni secondo con lei, di vederla aprire gli occhi e sorridergli come aveva fatto ieri sera.
Lentamente poggiò il vassoio sul comodino accanto a lei, lasciando che l'odore di french toast e sciroppo d'acero le invadesse le narici. Prese la tazza con il caffè, con la panna che quasi cadeva e, dolcemente, prese a muoverla sotto il suo naso, sorridendo alle smorfie che faceva inconsciamente, nel sonno. Aveva le labbra leggermente schiuse, Robin riusciva ad intravedere la lingua pesantemente abbandonata sui denti inferiori. La vide chiudere lentamente la bocca ed ecco che la lingua scivolò sulle labbra, bagnandole. Era un tale spettacolo, un mix di dolcezza e sensualità innata che l'avevano sempre caratterizzata. 
Rise tra sè, poi avvicinò la tazza al suo naso finchè la panna non ne toccò la punta, sporcandola.
Eccoli, quegli occhi. Eccola, quella dolcezza. 

"mmh.." si stiracchiò dolcemente "che cos'è questo odore?"
Robin ridacchiò: "ho preparato la colazione." non le disse nulla della panna sul suo naso e lei non se ne accorse. 
"hai preparato la colazione? oh, Robin, davvero, non era affatto necessario!" 
"volevo farlo. e poi cercavo un modo carino per dirti che mi devi un paio di scarpe nuove." lo guardò con aria interrogativa, prendendo una fetta di pane dal vassoio "si beh, ieri sera hai vomitato sulle mie; erano le mie preferite!" vide una sfumatura di rosso colorarle le guance immediatamente, accendendole ogni secondo di più.
"d-davvero? io... mi dispiace, c-credevo di non aver..." non ricordava nulla di quella sera. Almeno non dal momento in cui erano usciti da quel ristorante. Si sforzava, si sforzava davvero di rievocare ciò che aveva fatto ma... non sapeva neppure com'era finita lì. Oh mio... era nel suo letto, con addosso solo la biancheria e una canottiera leggera. Non... non avranno mica...
"tranquilla, scherzavo. Non.. non ti ricordi niente?"
"non dopo essere usciti dal ristorante." nonostante fosse sollevata per le scarpe, il pensiero di aver fatto sesso con lui e di non ricordarselo le martellava nella mente. No, non era giusto, non poteva aver rovinato tutto così, non voleva che la loro prima volta fosse così.
"lascia che te lo ricordi, allora." si avvicinò lentamente, tanto da farle sentire il calore del suo corpo. Quasi si toccavano, i loro visi così dannatamente vicini un'altra volta. Lo vide sorridere e allungare la mano verso il vassoio, prese una fetta di pane e se la portò fra i denti. Il cuore di Regina lentamente tornò a battere regolarmente e quasi sospirò.
"siamo tornati a casa e... tu sei praticamente svenuta tra le mie braccia, quindi ti ho portata a letto."
"e basta?" gli occhi ancora spalancati, preoccupata.
"perchè non è abbastanza signorina Mills?" rise.
"no, no, certo è solo che.." era sollevata, Dio solo sapeva quanto. Forse un po' delusa da se stessa per essere stata così stupida da lasciarsi andare all'alcol, ma era contenta di non aver fatto niente di cui si sarebbe pentita successivamente.
"m-mi... mi hai spogliata." guardò in basso, tra le lenzuola che la sera prima aveva accarezzato; le guance ancora in fiamme.
"ho dovuto farlo, puzzavi di pollo fritto!" rideva, provava a sdrammatizzare la situazione nel quale l'imbarazzo era tangibile, e Regina gli era grata per questo. Da impazzire.
Finalmente sorrise e sorseggiò il suo caffè. Prese un po' di panna sulla punta del suo indice e la leccò dolcemente, senza malizia. Era semplicemente, splendidamente se stessa. Robin, però, non potè far a meno di notare quanto quel gesto gli facesse desiderare cose che non avrebbe dovuto desiderare. Non con una donna così fragile, così delicata.
"vado a fare una doccia." disse, scuotendo la testa, cercando di distogliere i pensieri dalla bocca di Regina Mills che si chiudeva attorno al suo dito. 
"ma che ore sono?" sbadigliò, ora molto più rilassata di quanto non lo fosse prima.
"le sei e mezza. Farò presto, così poi puoi andare tu." o forse potremmo farlo insieme, così risparmiamo acqua; dovette mordersi il labbro per trattenersi dal dirlo. La situazione era già abbastanza delicata, un'altra battuta e sarebbe esploso.
Annuì, prendendo un'altra fetta di pane mentre pensava a quanto il cielo fosse stato buono con lei per avergli messo accanto un tale angelo.

Fu quando Regina uscì da quel bagno che Robin si rese conto di desiderare quella donna. Non era semplice attrazione, non era neppure il semplice desiderio di proteggerla dai pericoli esterni: voleva accarezzare quella pelle, ogni centimetro. Voleva guardarla con il piacere negli occhi, voleva regalarle piacere molto più di quanto le parole potessero esprimere. 
Desiderava Regina Mills, in tutto ciò che era.
Indossava una gonna stretta che le fasciava le cosce e arrivava sopra al ginocchio. Il resto delle gambe erano nude, nude come l'aveva viste la notte prima quando le aveva tolto i pantaloni. La maglietta era rosa, aveva una scollatura leggermente accentuata che lo costrinse ad affondare i denti nel suo labbro inferiore. Le braccia nude come le gambe e gli immancabili tacchi sul quale riusciva a camminare tutto il giorno -e Robin non riusciva ancora a capire come.
La donna che aveva di fronte non era per nulla simile alla ragazza che era uscita a cena con lui la sera prima; quella che beveva birra scadente e mangiava ali di pollo ricoperte di salsa. Gli piacevano questi due lati di lei, l'idea che potesse essere allo stesso tempo il suo desiderio proibito e la ragazza della porta accanto che amava da impazzire.
Perchè Robin Locksley amava Regina Mills e non era un segreto ormai.
"c'è qualcosa che non va?" gli chiese, notando lo sguardo di lui fisso sul suo corpo. Arrossì leggermente.
"no, perdonami... non c'è niente, sei... sei bellissima."
Il rossore sulle guance si accentuò, mentre un timido sorriso le si aprì sulle guance. 
"anche tu non sei male." rise. Amava il modo in cui riusciva sempre a sciogliere la tensione che, inevitabilmente, si creava tra di loro.
"beh, grazie signorina Mills." sorrise a sua volta poi prese il cappotto e glielo porse: "vogliamo andare? non ci terrei ad arrivare tardi per colpa sua."
Si offrì di metterle il cappotto e Regina non potè far a meno di arrossire per l'ennesima volta mentre sollevava le braccia come una bambina piccola che si lasciava vestire dal papà. Sentì le mani di Robin scorrerle dalle spalle fino ai polsi, erano calde e provava un forte desiderio di averle lungo tutto il suo corpo. Si morse il labbro, vergognandosi per quei pensieri: lui era così gentile e corretto e lei voleva solo entrargli nelle mutande. 
"pronta?" la sua voce le arrivò come un sussurro dritto nell'orecchio che le fece tremare le ginocchia. Chiuse gli occhi per un secondo di troppo, affondando i denti nel labbro più del dovuto. Dio mio, se avesse saputo cosa le provocava...
"s-si." dovette lottare contro se stessa per non gemere.
"andiamo allora. ti aspetto in macchina." appena le sue mani lasciarono le sue braccia, si sentì persa, completamente. Non era possibile essere così dipendente da qualcuno, non poteva permetterselo. Tra di loro non c'era niente e probabilmente non ci sarebbe mai stato, visto che trovava ogni scusa per allontanarsi da lei quando stavano per baciarsi. Lui aveva tutto il diritto di vivere la sua vita, trovare una donna che lo amasse e che possa amare senza sentirsi suo padre.
Lo raggiunse in macchina e si allacciò la cintura. Cercò di sorridere per tutto il tragitto anche se non disse una parola: non voleva dargli l'impressione che ci fosse qualcosa ma lui lo notò comunque. La sua Regina non era così silenziosa; affatto. Tolse la mano dalla sua gamba e, lentamente, discretamente, la portò su quella di Regina, facendo intrecciare le loro dita. La vide voltarsi verso di lei e le sorrise:
"tutto bene?"
"si. mi chiedevo quando potrò guidare di nuovo la mia auto." cercò di convincere se stessa che era quello il motivo per cui era silenziosa "l'idea di guidare di nuovo mi spaventa, Robin. non riesco a capire perchè..." lui si invece, e molto bene: quel mostro l'aveva privata del suo controllo, della sua libertà. Qualsiasi cosa facesse le ricordava lui, le ricordava la vita che aveva vissuto fino al giorno prima. Probabilmente in quella macchina sentiva il suo odore, avvertiva la sua presenza... quel figlio di puttana continuava a tormentarla anche da lontano.
"sono sicuro che passerà presto, a costo di comprarti una nuova auto, Regina Mills, tu riprenderai a guidare. E pian piano Victor sarà solo un brutto ricordo. Tornerai a vivere, te lo prometto." doveva essere solo un pensiero e si sorprese quando si sentì dirlo ad alta voce. Ma la vide sorridere, era tutto ciò che gli importava.
"non credo ci sia bisogno di comprarmi un'auto, ma se proprio insisti, io ho un debole per l'Audi." rise dolcemente giocherellando con le dita tra le sue. 
"gusti piuttosto pretenziosi, signorina Mills." 
"già." si sorrisero un'ultima volta, poi tornò a concentrarsi sulla strada davanti a sè. Regina sentì la mano di Robin pian piano scivolare dalla sua e accomodarsi di nuovo sulla gamba. Abbassò lo sguardo e si morse il labbro; quell'uomo era in grado di mancarle semplicemente con un gesto.
"vuoi che scenda prima io?" chiese in un sussurro quando Robin spense la macchina. "o prima tu? magari dovresti andare per primo e io dopo."
"di che stai parlando?" alzò un sopracciglio
"del fatto che non dovremmo farci vedere insieme." il suo sguardo si perse per un secondo lontano, poi riportò gli occhi nei suoi: "non voglio crearti alcun tipo di problema." 
"mi sembra che ne abbiamo già parlato, Regina." il suo tono era dolce ma severo allo stesso tempo. Non voleva più parlarne, non voleva neanche solo che lei pensasse che potesse essere un problema per lui. Tutto ciò che faceva era... per amore.
"i-io..."
"Regina, non mi interessa di quello che penseranno gli altri. Tra noi c'è una semplice, meravigliosa amicizia. Se vogliono crederci o no non è un mio problema." lo guardò, guardò il modo in cui le sue mani si stringevano più forte attorno al volante alla parola "amicizia", al tipo di ombra con cui i suoi occhi si erano velati. Sorrise, Dio solo sapeva perchè. 
"allora andiamo, Locksley, non vorrai fare tardi!"

La giornata passò spaventosamente in fretta e lei si rese conto solo dopo di aver sorriso per tutto il tempo. Non era mai stata così serena, non aveva mai avuto tanta voglia di tornare a casa. Dio mio, quell'uomo le aveva stravolto la vita, l'aveva cambiata per il meglio. 
Guardò l'orologio e si rese conto che era mezzogiorno. Si era ripromessa che avrebbe ringraziato Robin per tutto quello che aveva fatto portandogli il pranzo e, sfortunatamente, la mensa era quanto di meglio potesse fare per quell'ora.
"Ms. Mills." si sentì chiamare quando era da sola, in aula insegnanti.
No, non lui di nuovo. Quando si voltò, lo ritrovò davanti a se: Mc Kluskey con quel sorrisetto compiaciuto e quella faccia che avrebbe preso volentieri a schiaffi tutto il giorno senza mai stancarsi.
Respira.

"non ho tempo ora." la voce le tremava mentre si malediceva per essere così debole.
È solo un ragazzino, Regina. Solo un ragazzino.

"cos'è? deve succhiarlo al preside prima della prossima ora?" lo sentì ridere e i suoi occhi si riempirono di lacrime. Se lui lo sapeva, se lui lo pensava, allora lo pensavano anche tutti gli altri. Dio, aveva messo entrambi nei guai, lo sapeva. Lo aveva previsto.
"come ti permetti?!"
"per favore, ho visto il modo in cui vi guardate. Lui la mangia con gli occhi appena ne ha l'occasione. Si lascia scopare vero? è questo che fa per lavorare?" "ti sei fatta scopare, vero?" le parole che Victor aveva usato quella sera le risuonarono nella mente, come se fosse proprio lì, alle sue spalle, pronto a farle rivivere ogni singolo, maledetto dettaglio. 
Mentre pensava a quel mostro, mise fine al veleno che quello stupido ragazzino sputava con uno schiaffo, in pieno viso, che lo fece sobbalzare: 
"non osare mai più rivolgerti a me con questo tono, o lo riporterò al preside."
"si, come no, prima o dopo essersi inginocchiata per lui nel suo ufficio?" un altro schiaffo, sull'altra guancia. Stavolta i suoi occhi si riempirono di lacrime, lacrime di rabbia, di tristezza, di voglia di urlare. 
Lo sentí ridere, le guance che pulsavano, rosse come il sangue ma a lui non importava: rideva.
"coraggio, lo dica al preside. Sono proprio curioso di sapere se ne ha le palle." Regina sollevò una mano per schiaffeggiarlo un'altra volta ma lui le bloccò il polso. Avvicinò la mano alla sua bocca e baciò il suo dito indice, mentre Regina struggeva per allontanarla. Le lacrime avevano ormai preso a scorrere sul suo viso. Merda, non poteva permettersi di piangere con un suo alunno...
"mmh. così delicata, così ingenua." emise un suono animalesco, chiudendo gli occhi per godersi il suo sapore. "potrebbe essere la mia puttana ma, sa, io sono molto possessivo. Amo avere l'esclusiva." con un singhiozzo, Regina riuscì a liberarsi. Nella sua testa, non aveva più Mc Kluskey davanti, ma Victor. Victor che la insultava, Victor che le portava via la dignità e, pian piano, la vita. Victor che si avvicinava, Victor che abusava del suo corpo. 
Corse via, non avrebbe dovuto farlo, non avrebbe dovuto mostrarsi così debole, non avrebbe dovuto. Ma non le interessava, voleva solo chiudersi in sé stessa e piangere, piangere finchè non ne avrebbe avuto abbastanza. Raggiunse il bagno delle donne, dove era sicura che nessun uomo avrebbe mai potuto raggiungerla; le facevano paura, schifo. Tutti. Tranne... 
Esplose in un singhiozzo quando l'immagine di Robin apparve nella sua mente. Desiderava trovarsi tra le sue braccia più di ogni atra cosa, e forse lo avrebbe fatto, se non fosse stato per quell'imbecille. 
Non era così un tempo, riusciva a terrorizzare i suoi alunni solo entrando in una classe! Prima... che tutto iniziasse. Avrebbe dovuto avere le palle per prendere Mc Kluskey con la forza e trascinarlo nello studio di Robin, era la cosa giusta. Ma per dirgli cosa? "questo idiota pensa che mi sia guadagnata il lavoro venendo a letto con te"? o forse era meglio "non dovrei più stare a casa tua perchè la gente pensa che io sia una puttana". Se lo aspettava, lo sapeva che prima o poi sarebbe successo, qualcuno avrebbe sospettato. E nonostante quello che le diceva Robin, lei non riusciva a far finta di nulla.
Sentì il telefono vibrarle in tasca e strinse gli occhi. Pregò che chiunque fosse smettesse subito, perchè le lacrime le rigavano ancora il viso e i singhiozzi non avevano cessato di esplodere. Ma no, chiunque fosse non avrebbe rinunciato così facilmente, così si convinse a prendere un respiro profondo e a guardare il nome sullo schermo: "Robin". Il cuore prese a batterle forte nel petto e per un secondo credette davvero che quell'uomo fosse il suo angelo custode. Era sempre lì quando aveva bisogno di lui, anche solo quando pensava di volerlo accanto, lui appariva. Un brivido la scosse completamente e poi un sorriso leggero le piegò le labbra:
"pronto?"
"Regina! Ti ho cercato dappertutto. Ho comprato dell’ottima lasagna alla mensa, speravo di poter mangiare insieme se ti va. Dimmi dove sei e ti raggiungo altrimenti si fredda e-"
"Robin" lo interruppe. Il sorriso si ampliò perchè, Dio, avevano avuto la stessa idea. Entrambi volevano vedersi per pranzo, stare l'uno con l'altra e sorridersi di nuovo. Chissà se anche lui aveva sentito la sua mancanza come aveva fatto lei.
Si morse il labbro, dandosi dell'idiota per averlo anche solo pensato. "ti raggiungo io. nel tuo ufficio?" mentre parlava si asciugava le lacrime in fretta e si controllava allo specchio per assicurarsi che il suo trucco non fosse un totale disastro.

"Regina?"
"si?"
"stai bene?" 
Si morse il labbro con forza, reprimendo l'ennesima lacrima. Riusciva a leggerle l'anima anche da lontano, maledizione.
"si, certo! sono.. sono in bagno e.."
"oh, ok, ok, ho capito." lo sentì ridere, e quasi poteva immaginare il leggero rossore sulle sue guance.
"ti raggiungo subito."
"ti aspetto." ed ecco, quella voce calda di cui era perdutamente innamorata e quel sorriso che quasi riusciva a vedere. Dio mio, lo amava, da impazzire.
Aprì il rubinetto e lasciò che l’acqua le bagnasse i polsi, le mani; ne prese un po’ e se la portò al viso, cercando di stare attenta a non pasticciare con il mascara che aveva abbondantemente steso sugli occhi quella mattina. Per lui. Si guardò allo specchio e fu sorpresa di vedere con quanta rapidità aveva sostituito lo scintillio delle lacrime con la gioia pura nei suoi occhi; la gioia di rivedere lui, l’unica persona che la teneva in vita in quel momento.
Sorrise a quel pensiero, un sorriso che durò una frazione di secondo, concedendole appena il tempo di pensare a ciò che le stava succedendo: era innamorata. Completamente e totalmente innamorata di quell'uomo. Cosa sarebbe successo? Glielo avrebbe detto? Il cuore le batteva forte ogni volta che era con lui, come se la stesse spingendo a parlare, a dirgli tutto ciò che provava e anche di più; ma la sua testa, quella che aveva sempre prevalso nella sua vita, su qualsiasi decisione che aveva preso, la sua testa le diceva di lasciar perdere, che lui meritava di meglio, che meritava di trovare una donna con cui costruire una famiglia, una donna senza problemi, senza un passato che la tormentasse costantemente. meritava soltanto il meglio e quello non era lei.

Entrò nel suo ufficio con i capelli completamente, inevitabilmente spettinati; le capitava sempre che qualche ricciolo scuro le cadesse sul viso mentre correva per arrivare in orario a scuola, solo che questa volta il suo aspetto le interessava particolarmente. Non voleva che Robin la vedesse così, ma era tardi ormai; era davanti a lui e si sentiva nuda, completamente nuda sotto ai due oceani profondi, caldi, accoglienti che aveva al posto degli occhi e che la stavano scrutando nel profondo, desiderandola.
Si schiarì la gola e distolse lo sguardo dalla meraviglia che era: “ciao” sorrise teneramente.
“ciao” rispose semplicemente con un diverso bagliore negli occhi. Non era solo felice di vederlo; era qualcosa di più. Era sollevata, si sentiva come se fosse finalmente tornata a casa dopo un lungo, faticoso e spiacevole viaggio.
Spostò gli occhi sul tavolo e lo vide apparecchiato, come sempre da ormai alcune settimane, per loro due. Aveva anche imparato i suoi gusti in fatto di vino e provvedeva a comprarne dell’ottimo ogni volta, solo per lei. 
Si sedettero l’uno di fronte all’altra e, per un lungo istante, regnò il silenzio. Nessuno dei due sapeva come iniziare la conversazione, anche se entrambi avevano la sensazione di aver mille cose da dirsi. 
“com’è stata la tua mattinata?” semplice, diretto, e gli interessava davvero. Voleva sapere tutto quello che passava per quella pazza testa ricoperta di riccioli scuri; ogni cosa, ogni pensiero, ogni momento, voleva esserne partecipe.
Regina sussultò per un istante, scegliendo con cura le parole con cui rispondere “lunga. Estenuante. Il mio stomaco non faceva che brontolare.” abbozzò un sorriso mentre la sua bocca accoglieva un altro boccone di lasagna. Fino ad ora era riuscita a dirgli la verità. Non tutta, ma almeno non gli aveva mentito.
“potevi chiamarmi, ti avrei portato subito qualcosa!” esclamò, come se lo avesse appena insultato.
“Robin, davvero, non ce n’è bisogno! Sono perfettamente in grado di scendere alla mensa a prendermi una ciambella se ho fame, non sono una bambina.” roteò gli occhi, sotto quelli vigili di Robin e lui non poté trattenersi dal sorridere e rispondere:
“si che lo sei.” 
Rimase colpita. Dal modo in cui l’aveva detto e dal modo in cui i suoi occhi si erano accesi. Dio, cosa credeva di fare? Come si permetteva di farle sentire tutte quelle farfalle nello stomaco? Come osava farle desiderare di fare cose di cui, per gli scorsi tre anni, aveva avuto paura?
“no invece.” sorrise, ma le sue guance si accesero ugualmente. Dio solo sapeva quanta voglia aveva di leccarsi il labbro superiore e morderlo nervosamente; ma riuscì a trattenersi. No, non poteva rendere la situazione più tesa di quanto già lo fosse.
“stai contraddicendo il tuo capo?” fu lui stavolta a mordersi la lingua, mentre, poggiandosi sui gomiti, avvicinava il viso al suo, fino a ritrovarselo a pochissimi centimetri di distanza.
“e se anche fosse?” le loro labbra. Così dannatamente vicine ancora una volta, così desiderose di toccarsi, di assaporarsi. Questa volta nessuno dei due sarebbe riuscito a controllarsi, ne era sicura. E sì, magari anche lui in quel momento aveva voglia di baciarla, ma era sbagliato. Lei sapeva quanto dannatamente sbagliato fosse. Stavano giocando col fuoco, stavano facendo finta che tutto attorno a loro non significasse nulla, ma significava, e molto. In quel momento, non poteva permettersi di vivere una storiella leggera, non dopo tutto quello che aveva dovuto affrontare, non dopo aver passato tutta la sua vita senza un minimo di amore. Se mai avesse riaperto il suo cuore a qualcuno, sarebbe stato perché la amava, per davvero. Per ciò che era. 
“per la verità ho avuto una giornata di merda.” sospirò. Vide gli occhi di Robin dilatarsi, chiaramente colto di sorpresa; sia dal rapido cambio di argomento, sia da ciò che gli aveva rivelato.
“cosa è successo?”
“i-io” abbassò lo sguardo. Forse non era il caso di dirglielo, forse non doveva soffocarlo con i suoi racconti, con i suoi problemi e con i suoi bisogni. Forse non avrebbe dovuto trattarlo come se fosse il suo psicologo e prendere seriamente appuntamento con un bravo terapista. Magari a Robin neanche importava davvero, forse stava soltando cercando di essere gentile…
“lo vedo ovunque. Il lavoro riesce a distrarmi un po’ ma, la verità è che lo vedo ovunque. Lui mi ha portato via la mia forza. Non riesco neanche più a farmi rispettare come insegnante…”
“ehi ehi ehi, frena”  gesticolò di fronte a lei per invitarla a fermarsi “prima di tutto, quel pezzo di merda non ti ha portato via proprio niente perchè, da quando ti conosco, non hai fatto che dimostrarmi ogni giorno che razza di guerriera tu sia, Regina.” sorrise dolcemente e la vide fare lo stesso, abbassando per l’ennesima volta lo sguardo, con le guance leggermente arrossate. Ormai non ci faceva neanche più caso al suo imbarazzo; era così talmente tipico di lei che aveva imparato ad amarlo. Come il resto di lei.
“e poi, e ti prego di dirmelo, se qualcuno ti ha mancato di rispetto in classe voglio saperlo” cercò di mantenere un tono calmo, pacato, come se avesse avuto paura di mostrarle quanto vulnerabile fosse quando qualcuno toccava ciò che amava. 
Regina non rispose, si limitò a guardare a terra. Questa volta però non sorrideva, il viso era grigio, come il piatto vuoto che continuava a guardare pur di evitare gli occhi blu di Robin.
“cristo, Regina! Chi è stato?”
“Mc Kluskey.” confessò infine, dividendo se stessa in due parti: la prima si convinceva di aver fatto la cosa giusta e apprezzava il peso enorme che si era appena tolta dal cuore; l’altra continuava a darsi dell’idiota perché quello in cui si era cacciata era certamente un altro guaio. 
“Dio…” si portò entrambe le mani davanti alla bocca, come se volesse fermarsi dall’urlare contro Dio sapeva cosa. “che cosa ti ha fatto?” 
“p-per la verità… non è la prima volta.”
“cosa?”
“alcune settimane fa lui mi ha… dato della puttana e mi ha… toccato il sedere.” continuava a tenere lo sguardo basso, ma il suo viso ora era completamente rosso; rosso come non mai, come se stesse facendo uno sforzo disumano a lasciar andare quella confessione. Prima che Robin potesse intervenire, lei continuò: “oggi l’ha rifatto, mi ha chiesto favori sessuali e io l’ho spinto via, gli ho detto di non permettersi e che l’avrei riportato al preside” lo guardò per un istante ma lesse pura e semplice rabbia nei suoi occhi; una rabbia che non aveva mai visto prima, neanche quando gli parlava di Victor. Ebbe paura; non sapeva dire se parte di quella rabbia fosse rivolta anche a lei, ma continuò lo stesso il suo racconto: “lui mi ha riso in faccia e ha detto che…” un profondo respiro “ha detto che mi avresti creduto subito visto che io... vengo a letto con te.” scelse con cura le parole, ed a ciascuna arrossiva, ancora, e ancora. Era sul punto di piangere ed entrambi lo sapevano.
“gli ho dato uno schiaffo, e lui mi ha insultato di nuovo. Gliene ho dato un altro e lui ha… ha afferrato il mio polso e…” mentre gli raccontava del modo in cui la viscida bocca di Mc Kluskey -che le ricordava spaventosamente quella di Victor- era scivolata sulla sua pelle, senza lasciarle scampo, aveva iniziato a piangere, interrotta soltanto qualche volta da alcuni singhiozzi.
“mi dispiace non avertelo detto, Robin, te lo giuro, io… io non sapevo cosa fare, ero così debole!” la vedeva lì, piangere sulla sua sedia, inerme. Un soffio di vento in quel momento sarebbe stato in grado di distruggerla completamente. Il suo cuore, la sua anima; entrambi erano pieni, pieni di emozioni totalmente contrastanti. Da una parte avrebbe voluto prenderla, abbracciarla forte e proteggerla per sempre; dall’altra avrebbe voluto uscire come una furia da quella stanza, cercare Mc Kluskey e picchiarlo, prenderlo a pugni finchè la sua faccia non avesse sanguinato, e magari mentre lo faceva avrebbe pensato a Victor, a quanto desiderava fargliela pagare per ogni cosa. 
Si alzò di scatto dalla sedia, spostandola con un rumore che spaventò molto Regina. Premette entrambi i pugni chiusi contro il muro e prese un lungo, profondo respiro, abbandonando le palpebre pesantemente sopra gli occhi per un istante.
Doveva calmarsi. 
Non valeva la pena giocarsi l’intera carriera per picchiare uno stupido ragazzino arrapato.
Ma Dio, il modo in cui l’aveva trattata, in cui aveva osato toccarla…
"
Cristo, Regina! Avresti dovuto dirmelo prima! avresti dovuto dirmelo, lo avrei sospeso!”
Regina si lasciò andare ad un singhiozzo, perché il pensiero che fosse seriamente arrabbiato con lei le faceva male profondamente.
“mi dispiace Robin-”
“mandi Mc Kluskey in presidenza” alzò la cornetta del telefono senza neppure ascoltarla. Quasi riusciva a immaginare la vecchia Amanda trascinare la sua testa piena di capelli rossi nella classe di Mc Kluskey e chiamarlo. E lui non sarebbe stato affatto sorpreso, oh no, era esattamente quello che quel bastardello voleva.
“mi dispiace Robin” Regina provò a ripetere ma Robin si limitò ad annuire:
“lo so. adesso ti prego, esci.”
“c-cosa?” 
“non voglio che ti veda qui, esci.”

Con gli occhi pieni di lacrime e tante, troppe parole non dette, uscì da quello studio. Corse di nuovo in bagno dove rigettò tutto ciò che aveva mangiato; poi si lasciò scivolare lentamente contro la parete finchè non fu seduta a terra. Lì si abbandonò ad un lungo pianto: l’aveva perso.

lasciate un pensiero in una recensione se vi va :)

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


come al solito grazie veramente a tutti coloro che spendono qualche secondo per lasciarmi una recensione.
davvero molto apprezzato, grazie infinite! grazie anche a coloro che semplicemente si fermano a leggere; siete la ragione per cui scrivo anche qui! spero vi piaccia anche questo capitolo!
buona lettura :)

 

Aveva preso un taxi ed era tornata a casa, da sola. Non aveva più parlato con Robin dopo la sfuriata nel suo ufficio, non sapeva se avesse risolto la situazione o se semplicemente stesse cercando di evitarla; tutto ciò che sapeva era che aveva rovinato tutto. Aveva sbagliato.
Quando rientrò, non lo trovò in casa e ne fu felice: sarebbe stato meno doloroso andarsene senza vederlo più. Perché sì, Regina Mills voleva tornare a casa sua. Non importava più quanto facesse male rivivere il tutto, non importava quanto odiasse ogni centimetro di quella casa… tutto pur di evitare quegli occhi blu che sapeva di aver deluso.
E perché no, forse anche lei era rimasta un po’ delusa da lui. Forse si aspettava che la abbracciasse, che le dicesse che andava tutto bene e che quello stronzo sarebbe presto stato cacciato una volta per tutte dalla scuola… ma non lo aveva fatto. Era saltato in piedi dalla sedia e l’aveva invitata ad andarsene. E quello sguardo— Dio, quello sguardo avrebbe potuto ucciderla se solo l’avesse prolungato per alcuni secondi in più.
Scosse la testa, cercando di cacciare quel pensiero per quanto le fosse possibile. Corse in camera da letto e tirò fuori la sua valigia dall’armadio. Neppure una settimana in quella casa e già voleva andarsene. No. Doveva andarsene, quello che lei voleva non importava. Tirò fuori dai cassetti tutto quello che aveva sistemato e lo infilò frettolosamente nella valigia; fu quando non riuscì a chiuderla che si rese conto di stare piangendo di nuovo. Dio, era un totale disastro.
Sentì la porta aprirsi e richiudersi un attimo dopo e il suo cuore perse un battito: era tornato. Doveva affrontarlo; doveva affrontare quegli occhi azzurri che l’avrebbero implorata di restare. Avrebbe dovuto lottare contro se stessa per portare avanti le sue convinzioni ed andarsene comunque, una volta per tutte.
“Regina? sei a casa?” chiuse gli occhi e prese un profondo respiro: la stava cercando. Dalla voce sembrava preoccupato, terrorizzato quasi. Sentiva i suoi passi dappertutto, in ogni stanza. Cercava te. Ci tiene a te. 
“sono qui.” sussurrò, strizzando le palpebre. Lo sentì correre dritto dove il suono della sua voce l’aveva guidato; in quella camera da letto. 
“Cristo, Regina, ti ho cercato dappertutto! Non hai ricevuto le mie chiamate? Mi hai fatto preoccupare!” n-non… non era arrabbiato. I suoi occhi caddero sulla valigia chiusa di lei e il suo cuore perse un battito. “che stai facendo?” non era una vera e propria domanda, più un debole respiro. 
“i-io… me ne vado Robin. Non ho fatto altro che crearti problemi. Oggi ho anche messo a repentaglio la tua reputazione… devo andarmene. E’ meglio per tutti.” rimase immobile per qualche secondo a guardarla passargli attraverso come se non esistesse. Per un istante, il suo profumo fu tutto ciò che fu in grado di sentire. Lo stava invadendo completamente, lo mandava fuori di testa, non riusciva a farlo pensare. Le afferrò un braccio, con delicatezza, assicurandosi di non farle alcun male:
“Non farlo, ti prego.” no, non poteva averlo detto davvero. Per la prima volta lui la stava pregando di restare. Era lui ad aver bisogno di lei, era lui a volerla accanto. 
“perchè?” la sua voce era un semplice e debole sussurro ma Robin riuscì a sentirlo forte e chiaro.
“Non mi iteressa minimamente della mia reputazione; potrei rinunciarci in ogni momento, per te. Lotterei con chiunque, per proteggere te. Rifarei tutto quello che ho fatto, solo per te, Regina.” ormai non capiva più nulla. Sentiva le sue labbra —così dannatamente vicine al suo collo, alla sua pelle profumata, liscia, che moriva dalla voglia di assaporare— muoversi e pronunciare parole che gli arrivavano direttamente dal cuore, ma che non aveva neppure avuto il tempo di processare. In quel momento, non ragionava, era il suo cuore a prendere in mano la situazione e a parlare per lui.
La vide schiudere le labbra e socchiudere gli occhi ad ogni centimetro che guadagnava verso il suo viso. 
“perchè?” sussurrò ancora una volta, il cuore che le batteva all’impazzata.
“perchè io…” le sue dita chiuse attorno al suo braccio —quelle dita morbide, affusolate; i suoi palmi contro la sua pelle calda, le sue labbra —Dio, quelle labbra. Non capiva più niente. La voleva, voleva lei, ogni parte di lei —quelle labbra. Non capiva più niente. “perchè io ci tengo a te.”
E fu lì che lei capì: dopo tutto quello che le aveva detto, tutte quelle importanti parole che aveva usato… sarebbe stato il momento giusto per confessarle i suoi sentimenti, per darle quel bacio che tanto avevano rimandato. Ma se non era successo e non stava succedendo c’era un motivo: non era destino. Lui non era pronto e forse neanche lei; forse neppure lo amava. Era solo semplice, intenso affetto nei confronti di una persona che ti ha salvato la vita letteralmente, più di una volta.
Fu lì che lei sorrise e gli buttò le braccia attorno al collo, stringendolo forte a sé:
“mi dispiace tanto” pianse sulla sua spalla, e lui, dopo un momento di esitazione —probabilmente di delusione e di confusione— le massaggiò la schiena dolcemente, su e giù, come se volesse calmarla. Doveva sfogarsi, doveva piangere; poi lui le avrebbe dato la buona notizia. Poi lui le avrebbe detto che Mc Kluskey non sarebbe più stato un problema, che lo aveva cacciato dalla sua scuola. Magari l’unica cosa che non le avrebbe detto sarebbe stato che era fu quasi sul punto di picchiarlo, perché per lei avrebbe ucciso.
Ma lei… non era pronta. Forse non lo sarebbe mai stata. Se non era successo e non stava succedendo c’era un motivo: non era destino. Forse neppure la amava. Forse era solo semplice, intenso affetto nei confronti di una persona alla quale hai letteralmente salvato la vita, più di una volta. 
Fu lì che Robin chiuse gli occhi, accolse il suo profumo dentro di sé, e giurò a se stesso che non avrebbe mai più guardato Regina Mills con occhi diversi da quelli dell’amicizia. Avrebbero continuato a vivere insieme, a condividere momenti speciali come avevano fatto fino ad allora, ma non avrebbe mai più pensato che quei momenti potessero sfociare in qualcos’altro. 
Era una promessa.

I due mesi successivi passarono talmente in fretta da sembrare giorni. Regina era tornata a sorridere, a lavorare con serenità, con gioia. Ogni giorno faceva progressi; era di nuovo in grado di dormire da sola, senza il bisogno di sentire le braccia di Robin attorno a sé. Addirittura, passava intere serate a casa da sola. Ormai non pensava più tutto in nero: metteva su della musica e girovagava in cucina a preparare dolci per il ritorno di Robin. Aveva davvero fatto dei progressi enormi.
E Robin… beh, Robin era il viso che vedeva ogni mattina, quando scendeva dal letto e camminava in cucina a cercare cioccolata. Aveva smesso di portarle la colazione a letto —“devi alzare quel bel culo e iniziare a far qualcosa, Mills! Non posso più permettermi di trattarti da regina!” aveva scherzato facendola ridere fino alle lacrime— ma si assicurava che mangiasse abbondantemente prima di correre a lavoro. Era importante per lui.
“Buonasera, bellezza!” lo accolse in casa in pigiama, i capelli legati in due piccoli deliziosi codini e una ciotola enorme di pop corn. Era venerdì sera, lui sarebbe tornato tardi, ma era la loro serata cinema ed era il momento che entrambi adoravano di più della settimana. 
“mmh salve, vostra maestà! come siamo eleganti!” esclamò rubando una manciata di popcorn mentre appendeva la giacca all’attaccapanni. 
“che c’è? è il mio pigiama migliore, e l’ho messo per te!” scherzò. 
“oh, lo adoro. Con i maialini poi, è adorabile.” risero assieme.
“allora, che film hai scelto per la nostra serata?” corse in camera a cambiarsi, ma continuava a parlarle da lì. Regina sorrise:
“Una notte al museo.”
“oh si, ne ho sentito parlare! è divertente, a quanto dicono.” 
Sparì nella sua camera da letto, lasciando Regina dietro di sé, con un sorriso. Mise il dvd nel lettore e si sistemò sul divano, con la ciotola di popcorn tra le gambe.
Aspettò che Robin uscisse, indossando solo una morbida tuta grigia e una canottiera bianca, quasi trasparente. Involontariamente si morse il labbro, facendolo sorridere:
“pronta?” 
Per un secondo, Regina si trovò spaesata; il film! Si riferisce al film, Mills, ovviamente.
“assolutamente! coraggio, vieni qui e abbracciami, Locksley!” gli fece spazio sul divano e Robin si sedette accanto a lei, aprendo le braccia per invitarla tra di esse. Si ritrovò lì, sdraiata sul suo petto, fra le sue gambe, stretta in un tenero, amichevole abbraccio. Era il momento che entrambi preferivano in assoluto, il momento che aspettavano per tutta la settimana; ma nessuno dei due aveva il coraggio di ammetterlo, sia a se stesso che all’altro.
Regina si sentiva protetta, al sicuro da qualunque cosa, e, mentre chiudeva gli occhi e poggiava la testa sulla sua spalla, ascoltando il battito del suo cuore, cullata dal suo respiro, era sicura che il mondo sarebbe potuto crollare in quel momento e a lei sarebbe andato bene.
La sentì ridere varie volte durante il film, e rise anche lui, non tanto realmente divertito dalle scene, quanto da lei; dal suo viso piegato da uno splendido, smagliante sorriso e quella risata che la faceva sembrare una bambina.
Alla fine, avevano finito per rubarsi i popcorn, ignorando completamente il film dopo nemmeno la metà. Era sempre così tra loro; ogni volta finivano per dedicarsi l’uno a l’altra e parlare per ore ed ore della settimana trascorsa.
“e poi mi ha detto che ero bellissima e mi ha regalato un fiore!” sorrise giocherellando con un popcorn “i ragazzi del primo anno sono davvero carini. Certo, solo alcuni. Anche io avevo una cotta per il mio insegnante in primo.”
“oh, ma che uomo fortunato!”
“già. Per la verità ero davvero bruttina al liceo; ero paffutella e avevo gli occhiali e questi capelli spaventosamente ricci! Dio, è stato orribile!” rise nervosamente, arrossendo a ciò che aveva appena confessato al suo migliore amico. 
“sono sicuro che eri un vero schianto. E se fossi stato nel tuo liceo sicuramente ti avrei chiesto di uscire.”
“tu?!” scoppiò a ridere fragorosamente “Dio mio, Robin! scommetto che eri il classico giocatore di football per cui tutte le ragazze avevano una cotta! non saresti mai uscito con me!”
“per la verità ero pessimo in tutti gli sport, tranne l’atletica. Correvo molto, avevo gli addominali, piccola!” le fece l’occhiolino, facendola ridere come una pazza “ma sì, devo ammettere che ero proprio un bel tipo. Ho avuto… molte ragazze, modestamente.” le sorrise “ma sarei stato un idiota se mi fossi fatto sfuggire una tale meraviglia.” era sincero, era sempre sincero quando parlava con lei. Il luccichio che aveva negli occhi poteva illuminare l’intera stanza. E quel sorriso, quelle labbra dello stesso rosso che colorava le guance di Regina—
“certo che ne dici di cazzate, Locksley!” gli diede una bottarella sulla spalla, facendolo sorridere. Forse non avrebbe dovuto insistere su quanto realmente, veramente fosse bella quella donna;  infondo aveva giurato a sé stesso che avrebbe mantenuto il loro rapporto ad una semplice amicizia, che non avrebbe pensato a lei neanche per un secondo… ma non c’era riuscito. Inutile quanto continuasse a combattere contro sé stesso: quella donna era sotto la sua pelle.
“hai ragione, ero un idiota. Probabilmente avrei preferito una di quelle cheerleader troiette, stupide e senza cervello ad una persona seria come te, bella dentro e fuori. In quel periodo non mi importava. Pensavo soltanto a soddisfare ogni mio capriccio, mi interessava solo andarci a letto una volta, due al massimo, niente di più. Ero un grandissimo idiota, Mills, credimi, sei fortunata a non avermi incontrato.” lo vide incupirsi e sentì il bisogno di dirgli qualcosa. Qualcosa che lo facesse stare meglio, che gli facesse capire che uomo straordinario fosse diventato. 
Gli mise una mano sulla guancia, accarezzandogli la barba leggera, poi sorrise:
“qualunque donna sarebbe fortunata ad incontrarti adesso, però. E forse avrai fatto degli errori ma, credimi, non contano. Basta guardarti negli occhi per capire che uomo meraviglioso tu sia ora.” lo vide sorridere, finalmente, e ricambiò, spontaneamente.
Dio, se solo si fossero visti dall’esterno avrebbero capito quanto le scintille volassero fra di loro, quanto avrebbero potuto accendere un fuoco soltanto guardandosi negli occhi. 
Ma purtroppo entrambi avevano paura di ammetterlo.
“allora credo che dovrò approfittarne, finché mi chiedono di uscire.” sorrise di nuovo.
“cosa?”
“la Daniels. Mi ha invitato a cena domani. Per la verità credo di averlo fatto io, ma non ne sono sicuro. E’ capitato tutto per caso, lei è entrata nel mio ufficio e… credo di aver flirtato con lei.” si morse il labbro, sopprimendo un altro sorriso, mentre Regina si sentiva morire. “solo quando se n’è andata ho capito che avevamo parlato per più di mezz’ora” mentre lui continuava a parlare, gli occhi di Regina vagavano ovunque, ovunque ma non nei suoi. No, Dio, no, non poteva essere. No. No. Non era gelosa. Cristo, non poteva esserlo! Se l’era ripromesso, dannazione!
Irene Daniels era l’insegnante di matematica a scuola e, in quel momento, Regina avrebbe voluto odiarla, trovarle anche il minimo difetto, ma la verità era che era davvero carina; sia dentro che fuori. La carnagione leggermente scura, gli occhi verdi, labbra piene, boccoli scuri… era davvero bella. Le portava sempre il caffè durante la pausa e con lei era stata sempre davvero gentile. Non aveva motivo di avercela con lei, non importava quanto si stesse sforzando.
“allora, cosa ne pensi? dovrei?”
Alzò lo sguardo con riluttanza: l’ultima cosa che voleva era dargli modo di pensare che fosse gelosa. Anche perché non lo era! 
“e me lo chiedi?” si sforzò di sorridere “certo che devi, Locksley! è probabilmente l’unica donna talmente pazza da voler uscire con te!” scherzò facendolo ridere. Stavolta fu lui a darle una leggera spinta sulla spalla, mentre Regina forzava l’ennesima risata. Dio, non poteva credere di stare spingendo l’uomo che amava tra le braccia di un’altra…
“già, l’ho pensato anch’io.” lo vide mordersi il labbro di nuovo. Per un secondo desiderò ardentemente di poter leggere i suoi pensieri, per sapere cosa provava in quel momento, quando la stringeva tra le braccia, e quando parlava con Daniels. Avrebbe dato qualunque cosa pur di leggere nel suo cuore, i suoi sentimenti.
“stavo pensando di portarla al nuovo hotel-ristorante che hanno aperto sul mare!” 
“oh… hotel-ristorante! punti in alto!” cercava di mantenere un tono giocoso, ma era davvero, davvero distrutta. Il solo pensiero che lui potesse stringere tra le braccia un’altra, baciare un’altra, fare l’amore con un’altra la mangiava dentro. Ma non era gelosa. Il solo pensiero che un’altra donna potesse assaggiare quelle labbra che lei aveva desiderato più di ogni altra cosa per più di tre mesi la stava torturando. Ma non era gelosa. Il solo pensiero che un’altra donna potesse amare il suo corpo, passare le dita lungo quel corpo che aveva desiderato sentire sotto il suo, baciarlo e sentirlo dentro la faceva impazzire. Ma non era affatto gelosa.
“non so come andrà. Voglio provare a lasciarmi andare finalmente, per una volta.”
Annuì. Con un’abilità che non credeva di avere finse uno sbadiglio, poi un altro: “dio, sono davvero stanca!” gli posò un bacio sulla guancia, poi sorrise “ti auguro tutto il meglio Locksley. Te lo meriti.” ed era vero, ogni parola.

lasciate un pensiero se vi va! :)

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


ed eccoci con un nuovo capitolo con il tanto atteso... beh!
grazie a tutti per le recensioni come sempre, spero vi piaccia anche questa parte. un bacio enorme :)

Lo aveva visto andarsene, vestito perfettamente in giacca e cravatta, come se dovesse andare ad un matrimonio. Tutto per andare da un’altra donna, che non era lei. Le aveva sorriso, chiesto se avesse bisogno di qualcosa o se avesse preferito che lui non andasse. Infondo avrebbero dovuto rimandare il loro venerdì sera… ma lei gli disse di no, che andava tutto bene e che gli augurava di concludere la serata in bellezza. Gli aveva sorriso, un po’ maliziosamente per lasciargli credere ancora per un po’ che intendeva ogni parola, che sperava veramente che potesse passare la notte con la sua nuova fiamma.
Poi aveva chiuso la porta dietro di lui e aveva lasciato che quel finto sorriso le cadesse dalle labbra, sostituendolo con le sue mani sul viso, a coprirsi gli occhi, la bocca. Le tremava ogni singolo muscolo, gli occhi bruciavano e la testa pulsava. E non capiva perché.
L’hai lasciato andare. Si sforzò di riportare alla mente la promessa che aveva fatto a se stessa: devi lasciarlo andare, vivere la sua vita, merita il meglio e non sei tu.
Aveva pianto; prima cominciato con un paio di lacrime, poi anche i singhiozzi si erano uniti all’orchestra. Si buttò sul divano, si aprì due birre e si fece i popcorn. Mise Dirty Dancing in dvd e passò la loro serata del venerdì sera, come tutti i venerdì. Verso il finale del film iniziò a piangere di nuovo e non poteva dire se era per le scene del film o per la sua situazione sentimentale; poi si aprì un’altra birra ma non la finì: aveva bisogno di qualcosa di più forte. 
Robin aveva un mobiletto per i vini ed altri liquori, così prese un po’ di whiskey, ci aggiunse del ghiaccio e ne scolò due, tre, quattro bicchieri. Finché tutto ciò che sapeva fare era ridere di sè stessa, della sua vita, dei suoi sentimenti.
Si addormentò sul divano, come se nulla fosse. Non sentì neppure Robin rientrare; non era neppure l’una e lui era vestito esattamente come era uscito. Aveva un po’ di rossetto sulla guancia ed una faccia non tanto diversa da quella di Regina. Aveva bevuto, e molto.
La vide sul divano e sorrise; il suo piccolo angelo. Dormiva beata ma aveva il viso segnato dal trucco, probabilmente aveva pianto. Le si avvicinò lentamente e le accarezzò una guancia; la tentazione di svegliarla era troppa, come quella di sapere che cosa era successo e perché diavolo stesse piangendo. Ma era… dio, troppo ubriaco. Non riusciva neppure a formulare un pensiero coerente con lei lì accanto. Le baciò la fronte, prese una coperta e gliela mise sopra, sorridendo all’immagine davanti ai suoi occhi. 
“Dio… quanto ti amo, Regina Mills.” sapeva che era l’alcol a parlare, ma non per questo quelle parole erano meno vere. Sorrise un’ultima volta, poi se ne andò a dormire. E finalmente tutte quelle voci nella sua testa cessarono.

Si svegliarono tardi entrambi, ma non importava. Era sabato, non lavoravano. 
Regina si svegliò per prima e, per i primi due minuti, non fece altro che lamentarsi del terribile mal di testa che aveva. Corse in bagno, si diede una sistemata ai capelli e prese un’aspirina. Il viso —Dio mio, era stanca di vedere il suo viso segnato dalle lacrime, era stufa— coperto di trucco, pregò chiunque ci fosse lassù che Robin non l’avesse visto… se mai fosse rientrato.
Un lampo di sadica curiosità la percorse e per un istante si maledì per questo: non avrebbe dovuto importarle, Cristo Santo!
Si lavò la faccia, considerò l’idea di farsi una doccia ma… la doccia era nel suo bagno. Per raggiungerlo sarebbe dovuta passare per la sua stanza e scoprire la verità. Se aveva dormito con la Daniels oppure era rientrato, o forse era rientrato dopo aver fatto l’amore con lei. Dannazione, smettila Mills, ti prego. 
Scosse la testa, mandando a fanculo tutto, si tolse i vestiti, la biancheria e si guardò allo specchio. Non le mancava niente, poteva anche lei trovare qualcuno con cui ricominciare… se non fosse che amava già qualcuno. Qualcuno che la vedeva solo come un’amica.
“fanculo” ripetè ancora una volta. Camminò per la casa nuda, non le importava, era sola, sapeva che lui non c’era, lo sentiva. Prese a canticchiare, spensierata, non le interessava più niente. Aveva deciso che sarebbe andata per la sua strada, avrebbe trovato qualcuno che le piacesse —e a cui lei piacesse— e avrebbe ritrovato la felicità.
Prese un asciugamano dal cassetto e cominciò a ridere, senza motivo. 
“ma si, fanculo Locksley. Fanculo!” corse ovunque per raccogliere i prodotti necessari per la doccia, poi finalmente entrò nella sua camera, cantando a squarciagola una canzone degli U2: you say you want diamonds on a ring of gold, you say you want your story to remain un—” si bloccò quando, con sua immensa sorpresa, si ritrovò i suoi occhi blu come l’oceano, ancora assonnati, puntati addosso. La sua bocca si spalancò immediatamente, mentre Regina, con le guance in fiamme, tentava di coprirsi quanto più poteva con l’asciugamano che aveva preso. 
“Robin! che cosa diavolo ci fai qui? i-io credevo— oh mio dio… devo—devo andare” si chiuse in bagno, camminando goffamente contro il muro per evitare di mostrargli altro. Quando sparì dietro la porta, Robin si lasciò andare al sorriso più ampio e sfacciato che avesse mai avuto.
Cristo. Cristo, Cristo, Cristo. L’aveva vista nuda. Nuda, completamente. Ok, forse solo per un paio di secondi, forse solo di sfuggita, mentre decideva quale parte di lei divorare per prima con lo sguardo. Forse si era soffermato sul seno, o forse su quelle gambe che l’avevano tormentato per tutto questo tempo… Dio mio, dio mio.
Non ricordava nulla di quando era tornato, non ricordava lo stato in cui l’aveva ritrovata, né di averle sussurrato "ti amo" prima di andare a dormire. Sapeva solo che la testa gli pulsava e, ora, per colpa sua, anche un’altra sua parte del corpo.
Oh no. Non vorrai mica… sollevò le coperte e si rese conto dell’effetto che lei aveva avuto su di lui. Ancora. Si infilò la mano nei boxer perché, Dio, faceva male. Tutta quella storia lo stava uccidendo piano piano. Prese a muovere la mano lentamente, immaginandola in tutti i modi, sopra, sotto, affianco a lui, in tutti i possibili scenari. “Dio, Regina” si sforzò di tenere un tono di voce basso perché—Cristo! era nella stanza accanto! Se chiudeva gli occhi poteva quasi immaginare la sua bocca, la sua meravigliosa bocca attorno a—
“Dio!” gridò (fortunatamente per lui Regina aveva già aperto l’acqua, non poteva sentirlo), venendo sulla sua maglietta. Merda. Merda, merda, merda. Era venuto pensando a lei, alla sua migliore amica, alla donna che aveva giurato di lasciare libera di vivere la sua vita lontano da lui… Cristo.
Si tolse la maglietta e la gettò tra i panni da lavare. Ma cosa diavolo aveva fatto? Sei un uomo, Locksley. I sentimenti non c’entrano niente, fidati. E’ solo, semplice attrazione per il corpo di una donna. Non scopi da più di un anno, Cristo! è normale.
Prese un profondo respiro e cercò di convincersi che era quella la verità. Solo quella.
“Robin!” la sentì urlare uscendo dal bagno. Quell’asciugamano le copriva il corpo, questa volta completamente. Il rossore sulle guance era ancora come quel momento e lui non potè far a meno di sorridere. “Robin, mi dispiace tanto io—”
“va tutto bene, Mills, so com’è fatta una donna sai? e poi non ho visto nulla, sfortunatamente.” 
Rise nervosamente e gli diede una bottarella sulla spalla “scusami davvero, io pensavo che non ci fossi e così stavo…” si morse il labbro “oddio è così imbarazzante!” si coprì il viso con le mani e per un istante i capelli bagnati le caddero in avanti. Robin la strinse in un abbraccio timido:
“stavi cantando e ballando nuda? sì beh, è imbarazzante lo ammetto” risero insieme. Non è cambiato nulla, Locksley. Nulla. E’ tutto come prima. Come prima. “sei bellissima, non devi vergognarti di me. Siamo amici, viviamo insieme, succede.” Già, amici.
La cullò tra le sue braccia per qualche secondo, poi lei si distaccò per guardarlo negli occhi: “credevo fossi rimasto con Irene per la notte.” di nuovo quel lieve rossore sulle guance.
“no. noi… abbiamo cenato, è stato bello. Lei è una persona fantastica, interessante e bellissima ma… voglio fare le cose con calma.” con sua sorpresa, questa volta fu lui a mordersi il labbro nervosamente. Non era vero, lo sapeva. Avrebbero potuto finire a letto, e lui lo sapeva, entrambi lo sapevano, ma ogni volta che provava a toccarla, ad avvicinarsi a lei… gli sembrava sbagliato. Qualcosa lo bloccava e lui sapeva perfettamente di cosa si trattava. Anche se provava con ogni sua forza a negarlo. 
Così l’aveva riaccompagnata a casa e si era ubriacato. Perché l’amore per un angelo meraviglioso gli stava consumando la vita, gli stava impedendo di andare avanti. Irene non era Regina. Non importava quante volte sarebbe uscito con lei, non sarebbe cambiato.
“sembra che tu voglia fare sul serio, Locksley.”
“già.” abbassò lo sguardo per un solo istante. “e tu cosa hai fatto ieri sera?”
Regina non rispose e, come aveva fatto lui, si morse il labbro.

Passarono altre due settimane e Robin aveva continuato ad uscire con la Daniels. Regina lo aveva accettato e gli aveva solo chiesto di non uscire il venerdì sera, per mantenere le loro serate settimanali. Tutte le volte lo aspettava sveglia, col fiato sospeso, si chiedeva se avessero fatto l’amore e, tutte le volte, lui rispondeva di no. E lei poteva tirare il suo respiro di sollievo.
Quel martedì, però, qualcosa era diverso. Qualcosa stava per cambiare radicalmente le loro vite.
“a dopo, Mills” le baciò la fronte e lei gli augurò buona fortuna, come al solito. Ultimamente passava più tempo con la Daniels che con lei, o per una cena o per un semplice caffè come quel pomeriggio. Regina provava a convincersi che era normale e tutto sommato meglio così per tutti; che era quello che lui doveva fare. Infondo lei stava bene così, erano le tre del pomeriggio, avrebbe corretto i compiti dei suoi ragazzi e avrebbe aspettato fino a tardi che lui tornasse, ma la sua giornata tranquilla fu interrotta da una telefonata.
Era la suo agente immobiliare, la casa che condivideva con Victor era stata finalmente venduta, e ad un prezzo più alto di quanto si aspettasse. Una parte di sé iniziò a saltare di gioia, l’altra si incupì: era finita. Per sempre. E questo includeva anche la sua convivenza con Robin. Erano stati d’accordo fin dall’inizio: non appena lei avrebbe venduto la casa e ne avrebbe trovata un’altra, se ne sarebbe andata. Per sempre.
“la ringrazio molto.” attaccò il telefono e sospirò. Non era destino, ormai era chiaro. Tutto ciò che c’era stato con Robin, quella splendida amicizia, la loro convivenza… tutto era finito. Una volta per tutte. Forse sarebbero rimasti amici, chi poteva saperlo…
Tirò fuori le valige da sotto il letto e ci infilò i vestiti che sapeva che non le sarebbero serviti nei prossimi giorni. Lasciò fuori solo un paio di magliette e alcuni pantaloni. E, ovviamente, la biancheria.
Quasi sperò che Robin passasse la serata a casa di Irene per non dovergli dare quella notizia mentre lo guardava negli occhi. Ma così non fu; neanche un’ora dopo, Robin era già rientrato. E le sue valigie erano ancora sul letto, mezze vuote. Non c’era tempo di nasconderle, doveva dirgli la verità.
“Mills, c’è il consiglio tra un’ora.” lo sentì gridare dalla porta “per fortuna che la Daniels me l’ha ricordato. Cristo, sono il preside e l’ho dimenticato!” sentiva il suo tono di voce avvicinarsi sempre di più, pian piano accompagnato dai suoi passi. 
“Regina?”
“ehi” lo accolse con un sorriso, uscendo dalla camera da letto e chiudendo la porta. Robin alzò un sopracciglio, perplesso, immediatamente avvertendo la strana sensazione che gli stesse nascondendo qualcosa. 
“c’è qualcosa che non va?”
Regina abbassò lo sguardo. Non poteva e non voleva mentirgli. Non se lo meritava, e poi non l’aveva mai fatto: “Vivianne mi ha chiamato. Ha venduto la mia casa. Questa sera mi darà l’assegno e… domattina mi porterà in giro a guardare un po’ di case con la speranza di concludere subito l’affare. Sembra che… sia finita.” si strinse nelle spalle. Gli occhi erano lucidi ma cercò di non darlo a vedere.
Rimase per qualche secondo in silenzio, la bocca secca, piena di parole che non sapeva come pronunciare:
“n-non devi andartene se non vuoi…” non sapeva cosa stesse dicendo. La testa aveva cominciato a girargli come una trottola. Non capiva più nulla, solo che la stava perdendo.
Non avrebbe più potuto vivere senza vederla ogni mattina, ad ogni risveglio. Non avrebbe più sorriso sentendola cantare sotto la doccia, o mentre preparava i pancakes. Non avrebbe più passato il venerdì sera sul divano con lei a mangiare popcorn e a guardare film terribili. Niente più Regina Mills. 
No, non poteva capitare, non poteva.
Sapeva che quel momento sarebbe arrivato prima o poi, solo che…— sei ridicolo Locksley, smettila di farti promesse che sai che non manterrai. Avevi detto che l’avresti lasciata libera.
“devo, Robin. Tu devi vivere la tua vita, devi portare a casa tua la donna con cui stai uscendo, prepararle una cena fantastica e magari passare la notte qui con lei.” tra le lenzuola in cui immaginavi te stessa nuda, sopra di lui “devi vivere una vita normale e vivere con la tua migliore amica… beh, non lo è.” la tua migliore amica che non ha fatto altro che immaginare cose tremendamente sconce con te per tutto il maledetto tempo. La voce dentro la sua testa sembrava non voler smettere di urlarle cattiverie, come se quel momento non fosse già abbastanza difficile. 
“resta ancora un po’. Comprare una casa non è facile, posso aiutarti a sceglierla, posso—”
“Robin” sorrise “non perderemo la nostra amicizia.” afferrò la maniglia per aprire la porta e fu lì che le vide: le valigie, sul suo letto, mezze piene. Era tutto vero, se ne stava andando.
“non farlo, ti prego.” mise la mano sulla sua, come se volesse impedirle di entrare in quella stanza.
Lo guardò negli occhi e fu come guardarsi allo specchio. No. Quelle non sono lacrime, non pensarci nemmeno. Ma lo erano. I suoi occhi erano pieni almeno quanto i suoi e per un secondo, solo per un secondo Regina si lasciò andare:
“perché?” 
Avevano già vissuto questo momento, lo sapevano entrambi. E aveva portato alla cosa più bella che fosse mai capitata loro. Ma questa volta non poteva essere così, stavolta era davvero finita.
“perchè non voglio che te ne vada.” ed era vero. 
“perchè?” ripetè. Doveva farlo un altro tentativo. 
Non rispose, abbassò semplicemente lo sguardo. Regina scosse la testa; non lo avrebbe mai ammesso. 
“dormirò nella mia stanza ancora per una notte, domani mattina prima di andarmene laverò le lenzuola. Oh, a proposito, ho preso un giorno libero se per te va bene, sembra che ci vorrà un po’. Non voglio accontentarmi della prima casa che capita, sono sicura che ne troverò una e sarai il primo che inviterò a cena. Mi piacerebbe avere un giardino, sai, l’ho sempre voluto.” si sforzò di scherzare “mi piacerebbe che venissi anche tu ma sei il preside, lo capisco, hai degli impegni. Immagino che domani pranzerai con Daniels, quindi non voglio essere di troppo—” stava straparlando, ma lui ascoltava solo poche parole. Tutto ciò che sapeva era che se ne stava andando e lui doveva impedirlo.
Stava per entrare, ma lui la fermò di nuovo, questa volta chiudendo la porta.
“non andartene.”
“perché?” chiese di nuovo, stavolta sembrava quasi spazientita. Ma che cosa si aspettava? Che si mettesse in ginocchio? che le dichiarasse il suo amore? Dio, non poteva davvero essere così stupida…
“perché non è lo stesso senza di te.” i suoi occhi dritti nei suoi.
Regina sorrise amaramente: “non basta.”
Robin non capiva più nulla. Mille voci nella sua testa, ognuna delle quali diceva cose diverse, non riusciva a capire neppure una parola. Non stava pensando più. Non poteva perderla. Era semplice istinto, era stanco di ragionare, di far prevalere sempre la ragione sul cuore. Non poteva perderla. Significava troppo per lui e voleva saperlo, glielo stava esplicitamente chiedendo. Non poteva perderla. 
In un solo istante la sua mano era dietro al suo collo, fra i capelli, che cercava di portare il suo viso vicino al suo. In meno di un istante le sue labbra erano finalmente su quelle di lei e la schiena di Regina era premuta contro il muro con forza. Finalmente stava assaggiando le sue labbra e lei non riusciva neppure a godersene il sapore. La lingua di Robin cercava la sua mentre le sue mani gli accarezzavano la schiena, il collo, i capelli. Tutto era così dannatamente passionale e animalesco allo stesso tempo, niente era come l’avevano immaginato entrambi. Lo sentì gemere nella sua bocca e voleva di più —Dio, non riusciva neppure a credere a quello che stava succedendo. Lo sentì contro il suo corpo e sorrise, sorrise perché lei era eccitata almeno quanto lo era lui, se non di più, ed era una sensazione che non aveva provato per tanto, troppo tempo. 
“questo basta?” he panted staccandosi da lei per un solo istante. 
“i-io—” erano entrambi senza fiato, ad entrambi sembrò di star vivendo un sogno. La baciò di nuovo, questa volta era un bacio casto, dolce. 
“ti amo, Regina Mills. ti ho amato dal primo momento che ti ho visto. questo basta? perché se non ti basta—” stavolta fu lei a interromperlo con un bacio, ingoiando lo splendido sorriso che le aveva fatto. 
“Dio mio, e c’era bisogno di andarmene per fartelo dire?” ancora baci, tanti, dolcissimi baci. E sorrisi, sorrisi meravigliosi. La prese in braccio, mentre le sue gambe si allacciavano finalmente attorno alla sua vita. Regina aprì la porta della sua camera, ma lui scosse la testa:
“no no” un altro bacio “ti voglio nel mio letto.” la fece sorridere, mentre percorreva con le mani la lunghezza della sua schiena. Era così perfetta, aveva desiderato toccarla per decisamente troppo tempo. La poggiò sul letto come se fosse la cosa più delicata al mondo —perchè per lui lo era.
“ti amo” le sussurrò ancora una volta, prima di affondare le labbra nel suo collo. Regina gemette, inarcando la schiena, infilando le dita tra i suoi capelli. I suoi baci tracciarono una strada dal collo al seno —che aveva già liberato dalla camicetta, sbottonandola completamente. Solo un reggiseno nero lo separava dalle sue labbra. 
Si fermò a guardarla per qualche istante e tutto ciò che Regina riusciva a sentire era il suo respiro bollente sulla pelle. Dio, il contatto con le sue labbra le mancava da morire; era come aver assaggiato il paradiso ed essersene staccata un istante dopo.
“Robin?”
“sei… sei stupenda, Regina Mills.” la guardò dritto negli occhi e il suo cuore perse un battito. Gli occhi gli scintillavano come non mai, tanto da farle venire la pelle d’oca. C’era qualcosa di totalmente diverso in lui, qualcosa che non aveva mai visto prima, in alcun uomo. Non riusciva a dire se fosse desiderio, o amore, o forse entrambi. O forse era semplicemente perso per quella donna, era completamente e totalmente innamorato di lei e aveva desiderato quel momento per così tanto tempo che non gli sembrava vero. 
Lei gli sorrise ed arrossì, ma c’era qualcosa di diverso dalle altre volte in cui arrossiva per lui e Robin se ne accorse. Lentamente la liberò della camicetta sbottonata e, con dei teneri baci, arrivò alla zip dei suoi pantaloni blu.
“sei sicura di volerlo fare?” sussurrò contro la sua pelle mentre Regina si mordeva il labbro talmente forte da sentire il sapore ferruginoso del sangue sulla punta della sua lingua.
“sì, ti prego.” ansimò.
Lui le sorrise di nuovo, e, proprio mentre stava per sbottonarli, sentì qualcosa vibrare in una delle tasche. Merda. Lo tirò fuori velocemente, solo per vedere chi fosse: 
“è il lavoro”
“non rispondere.” gemette mentre tracciava teneri baci attorno al suo ombelico. Regina sorrise:
“devo, o il mio capo si arrabbierà molto” si mise su a sedere, cercò di sistemarsi e di calmare il respiro affannato. Poi, al quinto squillo, rispose: “pronto?”
Robin non poteva crederci; era lì, mezza nuda davanti a lui. La donna che aveva desiderato con ogni fibra del suo essere era lì per lui, erano finalmente insieme e c’era… un altro ostacolo tra di loro. La vide sorridergli e riconobbe quella scintilla, quella voglia di giocare che aveva:
“il colloquio, certo che lo ricordo. Quale idiota se lo dimenticherebbe?!” lo guardò dritto negli occhi.
Oh, voleva giocare allora. Affondò le labbra nel suo collo, baciando, succhiando ogni centimetro, salendo fino all’orecchio, leccandole lentamente la pelle.
“oh Cristo!” gemette, tirando la testa all’indietro “volevo dire—certo, sarò lì tra dieci minuti.” succhiò lì, dietro al suo orecchio, forte “oh mio— avviserò Rob— mmh, il preside. Arrivederci.” tirò il telefono da qualche parte sul letto e fulminò Robin con lo sguardo: “quanti anni hai?”
“abbastanza per fare questo” voleva farle un altro segno rosso sul collo ma lei lo fermò in tempo, ridendo. “ti voglio, Regina Mills. Ti voglio da troppo tempo.” le accarezzò un braccio, mentre con gli occhi mangiava quel seno ancora una volta.
“ti voglio anch’io, Robin, ma sembra che dovremmo rimandare ancora un po’.” gli posò un tenero bacio sulle labbra
“stanotte. Ti voglio tutta la notte, Regina, fino all’alba, fino allo stremo, voglio farti venire ancora, e ancora finché non ti addormenterai tra le mie braccia, finalmente mia.” chiuse gli occhi, sentendo ogni parola come un sussurro dritto sulle sue labbra. Dovette trattenersi dal gemere ancora una volta, e lui se ne accorse, sorridendo.
Avevano finalmente l’un l’altra, il resto non importava.

lasciate una recensione se vi va! :)

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


buonasera a tutti! ecco qui, finalmente, il nuovo capitolo.
ho un paio di cose da dirvi prima di lasciarvi alla vostra lettura; la prima è, come al solito, un grazie speciale per aver letto fino ad ora, per ogni recensione e preferito che avete messo. Sono onorata, davvero.
La seconda è che, probabilmente, il rating di questa storia cambierà da arancione a rosso, visti i contenuti di questi ultimi capitoli... ditemi voi se cambiarlo o no perchè, onestamente, non sono molto esperta in questo sito, è la prima volta che pubblico storie qui.
Una ragazza dolcissima che mi lascia sempre recensioni mi ha chiesto quanti capitoli intendo srivere per questa storia e la risposta è che, sinceramente, non lo so. Continuo a scrivere ancora ed ancora, senza mai stancarmi, quindi non saprei, davvero.
In conclusione, come al solito, vi auguro una buona lettura! :)

 

Durante il colloquio, Robin e Regina non riuscivano a smettere di scambiarsi sguardi complici, sorrisetti e cenni ammiccanti. Cristo, Cristo, si stavano comportando come due ragazzini alla prima cotta. Ma non potevano farci niente; erano così stupidamente innamorati e immensamente felici di essere finalmente insieme che non riuscivano a smettere di sorridere per un singolo istante. C’era anche la Daniels al colloquio, ovviamente, e Robin cercava di trattenersi specialmente per lei. Non aveva ancora davvero chiuso nulla tra di loro, ma qualsiasi cosa ci fosse doveva finire, se non tentare di sfociare in una splendida amicizia. La donna che voleva era di fronte a sé e lo stava guardando tra le sue immense ciglia scure, con il sorriso più bello che le aveva mai visto fare.
Scarabocchiò qualcosa sul foglio e lui moriva dalla voglia di sapere cosa fosse; voleva semplicemente sapere a cosa stesse pensando, cosa provasse in quel momento, se il suo cuore stesse battendo tanto quanto il suo. Dio, si sentiva un completo imbecille. Ma era innamorato, follemente innamorato di quell’angelo.

La riunione sembrò finire presto: infondo era solo una formalità, riuscivano sempre a cavarsela con meno di un’oretta. Robin guardò l’orologio e sorrise al fatto che fossero solo le sei; aveva tutto il tempo per tornare a casa con lei, cucinarle una cena perfetta e preparare una serata per loro due e basta. Solo loro due, finalmente, insieme.
“allora, Mr Locksley” sentì la sua voce arrivargli da dietro le spalle e non potè far a meno di voltarsi per sorriderle. La voglia di prenderla, stringerla a sè e baciarla di nuovo e poi ancora, ancora ed ancora, era troppo forte. Ma non potevano. Non lì. Non così presto. “sei sicuro di non essere troppo stanco per passare una serata con me?” gli sorrise scherzando.
“mmh… forse sì, sai. Poi ci ho ripensato e non mi va neanche più tanto…” cercò di rimanere serio ma non ci riusciva; era forse la più grossa bugia che le avesse mai detto, poteva giurarci. Scoppiò a ridere, trascinando anche lei dietro di sè:
“oh, perfetto perché l’insegnante di ginnastica, Baylor, continuava a guardarmi per tutta la durata del meeting. Mh, forse dovrei uscirci… è così bello, atletico…” si morse il labbro inferiore e, per un secondo, Robin dovette trattenersi dal prenderla e spingerla dolcemente contro il muro per baciarla e ricordarle che era sua, e che la amava.
“oh davvero?” rise nervosamente “Baylor, uh? Beh dì a Baylor che non sono affatto stanco e che, se domattina non ti vedrà arrivare, sarà probabilmente perché non riuscirai a camminare per quanto piacere ti avrò dato stanotte, Regina Mills.” lo disse ad alta voce, senza curarsi delle persone attorno a loro e del fatto che potessero probabilmente sentirlo. Regina si girò e gli diede una pacca sulla spalla, mentre le sue guance si arrossavano come un lampone.
“Robin!” esclamò
“oh ma credimi, è la verità.” lo vide distrarsi un attimo, poi, quando si era accertato di aver raggiunto una zona poco frequentata della scuola, le prese una mano e la tirò via con sé. Raggiunsero la biblioteca, infilandosi tra i corridoi strapieni di libri e, quando finalmente ne trovarono uno vuoto, lui ce la spinse dentro, contro uno degli scaffali, baciandola come se la sua vita dipendesse da quello.
Regina si ritrovò a ringraziare mentalmente il cielo per averle fatto mettere la gonna quella mattina quando sentì le mani di lui lentamente alzarla, quel tanto che bastava per permetterle di stingere le cosce attorno alla sua vita.
“Dio, sembriamo ragazzini.” soffocò un sorriso contro il suo collo mentre lo baciava ancora, e ancora. Lui non rispose, si limitò a chiudere gli occhi ed a godersi la sensazione di avere finalmente le labbra di Regina Mills addosso, su ogni centimetro della sua pelle e della sua anima.
“non hai idea di quanto ti voglio, Regina.” la mise giù, solo per permetterle di aprire leggermente le gambe, quel tanto che serviva per accarezzarle l’interno coscia, salendo pian piano sempre più in alto, fino ad arrivare alle sue mutandine. Bagnate, completamente. “ma, ti assicuro, che ho un’idea di quanto mi vuoi tu, in questo momento.” quel sorrisetto che la faceva impazzire invase i suoi occhi di nuovo, prima che si chiudessero completamente, al contatto della sua mano con la stoffa bagnata della biancheria.
“oh” gemette, gettando la testa indietro, lasciandogli più spazio da poter assaporare con labbra e lingua. Sentì le dita di lui scivolare sotto la stoffa e per un istante trattenne il fiato. Cristo, aveva bisogno di quelle dita, ovunque. “Robin!” cercò di non gridare, ma non riusciva a mantenere un tono di voce basso in quella situazione.
“non qui, amore mio. Voglio godermi ogni istante, voglio guardarti negli occhi mentre vieni nella mia mano, sulla mia lingua, attorno a me. Voglio sentirti fremere ripetutamente e gemere il mio nome senza doverti preoccupare di regolare il tono di voce. Voglio che ti senta libera, Regina, e voglio che ti senta soprattutto amata.” così dicendo, l’accarezzò per un’ultima volta, poi le risistemò la gonna e leccò dolcemente il frutto della sua eccitazione. Regina osservava ogni suo gesto e ne gemeva, come se la stesse ancora toccando. Era incredibile l’effetto che quell’uomo le faceva.
“hai un sapore delizioso, passerei la vita ad assaporarti” le sorrise, piantandole un bacio sulle labbra che sapeva di lei. Era la prima volta che si assaggiava, la prima volta che un uomo la faceva sentire in grado di poter fare tutto.
“andiamo prima che ci scoprano.” sussurrò.

Proprio mentre stavano per uscire dalla scuola, una voce femminile chiamò il nome di Robin e stavolta non era quella che desiderava sentire.
“Robin!” si voltò e la vide: Irene Daniels. La donna che meritava decisamente di più di quello che poteva dargli lui, che si limitava solo a qualche cena ed un caffè o un pranzo ogni tanto. Ci avevano provato, Dio solo sapeva quanto, ma non era destino, o meglio: lui era innamorato dell’angelo con cui condivideva la casa. Una volta Irene aveva provato a baciarlo, e lui non l’aveva fermata. Era stata solo l’ennesima conferma di quanto fosse impossibile per lui sentire un paio di labbra diverse da quelle di Regina Mills a contatto con le sue. Era come se quella donna fosse la parte mancante del suo cuore, della sua anima. Ed ora che finalmente l’aveva trovata non aveva alcuna intenzione di lasciarla scappare (a meno che lei non lo volesse) via per un altro po’. Per assicurarsene, doveva eliminare quella che ormai non era altro che un terzo incomodo:
“Irene, ciao!” le posò un bacio amichevole sulla guancia, sperando che Regina, che era accanto a lui aspettando di poter uscire, non ne risentisse. O forse lo voleva? Il pensiero di vederla gelosa come lui lo era di lei non gli dispiaceva. Per la verità gli sarebbe piaciuto provare, ma non in quel momento, non quando non c’era niente di certo o di lontanamente iniziato nella loro relazione.
“ciao! ti ho cercato dopo la riunione ma sembravi sparito! dove diavolo eri?” 
“ehm…” sembrò arrossire lievemente. Ero impegnato con le mani tra le cosce di questa donna con cui non vedo l’ora di andare a casa e fare l’amore se voi tutti smetteste di interromperci, voleva gridare la voce nella sua testa. “ho accompagnato Regina a prendere un libro in biblioteca.” si spostò, in modo che le due donne riuscissero a notarsi.
“ciao, Regina!” esclamò la donna dagli occhi verdi, con uno splendido sorriso. Era davvero così gentile e non si meritava affatto tutti i pensieri colmi d’odio, dettati dalla gelosia che Regina aveva fatto su di lei.
“Irene, come stai?” 
“non posso lamentarmi.” tornò a guardare Robin, poi di nuovo Regina per un solo istante, poi Robin ancora. Regina sembrò capire: 
“ehm… io vi aspetto in macchina, sembra che abbiate molto di cui parlare…”
“ma no, resta pure! So quanto sei importante per Robin, insomma, sei come una sorella, giusto?” quasi Robin soffocò con la sua stessa saliva. Già, una sorella che ho immaginato in tutte le possibili posizioni -e anche le più improbabili. Gli veniva da ridere se ripensava a quello che solo pochi minuti prima stavano facendo nella libreria, e quasi lo fece quando si ricordò che la sua mano aveva ancora il suo sapore addosso. 
“già” Regina arrossì, come se avesse letto nella mente perversa di Robin. Lui sorrise:
“cosa volevi chiedermi, Irene?”
“per la verità io… volevo invitarti a cena. Stasera.”
Merda. “stasera?”
“già. è un problema? perché è successa una cosa e io… vorrei parlartene. Davvero, Robin, ho bisogno di parlartene il più presto possibile.” quasi scorse un leggero rossore sulle guance della Daniels. Cosa diamine poteva andare peggio di così? Non vorrà mica dirgli che si è innamorata di lui e che vuole di più, vero? Merda, non proprio quella sera. Si voltò per un istante a guardare Regina, notando come il sorriso sulla sua faccia si fosse spento, sostituito dall’ombra di chi vedeva sfumare la serata perfetta che aveva aspettato da una vita.
“certo. voglio dire, certo che non è un problema, Ren, passo a prenderti alle otto.” le sorrise gentilmente e le diede un altro bacio prima di voltarsi verso la sua donna.
“ciao Regina!” la salutò con un sorriso ed un gesto della mano.
Lei ricambiò, fredda.

Nessuno dei due disse una parola sulla strada di casa. Non avevano neppure il coraggio di pronunciare un sospiro. Regina si sentiva come se un enorme macigno pesante le stesse schiacciando lo stomaco e, contemporaneamente, stesse impedendo al suo cuore di battere. Era come se fosse tutto sospeso, appeso ad un filo, che aspettava solo di essere ristabilito. Entrarono in casa e lei si affrettò a cercare dei documenti nel cassetto: doveva ancora vedere Vivianne, la sua agente immobiliare. Aveva ancora intenzione di ritirare il suo assegno quel giorno stesso e di valutare il da farsi. 
“io rientrerò tra un’ora, mi vedo con Vivianne alle sei. Probabilmente tu sarai già andato via per quando sarò tornata, quindi… passa una buona serata.” i suoi occhi non avevano sfiorato quelli di Robin neppure per un istante, troppo timorosi di trovarvi del senso di colpa che non sarebbe riuscita a sopportare.
“Regina—” tentò di prenderle la mano ma lei scivolò via, prendendo la sua borsa e il cellulare dal piano della cucina.
“devo andare, Robin” 
“ti prego, amore mio, aspetta” riuscì a fermarla con quelle parole. Si voltò verso di lui e finalmente si fece coraggio: immerse gli occhi in quegli oceani blu che il cielo gli aveva donato al posto dell’iridi. Rimase ferma, davanti a lui, lasciando che le dicesse ciò che aveva bisogno di dirle:
“non è cambiato niente tra di noi, vero?” si morse l’interno della sua guancia, nervosamente. 
“Robin, tra di noi non c’è niente, non è neanche cominciato.” sorrise amaramente “Io ho sofferto… per quasi tutta la mia vita. Quello che credevo essere l’amore della mia vita si è rivelato un bastardo, che mi trattava come un oggetto, mi metteva sempre in secondo piano e mi dava per scontato. Ti prego, ti prego non osare farlo anche tu. Non lo sopporterei, nemmeno se ci provassi. Perché credimi, Locksley, tu sei tutto ciò che voglio, tutto ciò che desidero, nonché la persona di cui mi fido di più in tutto il mondo. All’inizio ho avuto paura; la sola idea che un uomo potesse ancora avvicinarsi a me, toccarmi, baciarmi, conquistare la mia fiducia mi faceva venire i brividi. Ma quando ho conosciuto te… era come se il cuore mi dicesse che tu non eri così, e non lo saresti mai stato. Come se qualcuno mi avesse mandato un angelo custode a prendersi cura di me, sempre.” si interruppe per soffocare un singhiozzo e cacciare via qualche lacrima che, inevitabilmente, era caduta su quelle guance perfettamente rosse. “non spezzarmi il cuore Robin Locksley, ti prego.”
Rimase immobile per qualche secondo, incapace di trovare delle parole che valessero almeno la metà di quelle che aveva scelto lei per confidargli ciò che provava. E fu lì che capì; lei non gli aveva ancora detto che lo amava perché era spaventata, non dal fatto che lui potesse non provare lo stesso —perchè di ciò sapeva che lei non aveva mai dubitato— ma perché temeva che dirlo l’avrebbe reso reale. E Robin sapeva che, quando Regina Mills amava, ci metteva ogni fibra del suo essere, ogni parte di sé.
Perciò la strinse, la strinse tra le sue braccia e lasciò che piangesse silenziosamente sulla sua spalla. Le sue mani prima lungo la sua schiena, poi tra i capelli, poi a coppa, sul suo viso, mentre affondava lo sguardo nel suo e le sorrideva:
“non me lo perdonerei mai, mai. Preferirei morire cento volte piuttosto che vederti soffrire ancora, per causa mia. Io ti amo più di ogni cosa, Regina, e giuro, giuro su tutto ciò che ho di più caro che non ti ho mai dato per scontato, non ti ho mai visto come un oggetto o come una storiella leggera. Io voglio un per sempre con te, voglio vivere ogni giorno della mia vita con te, svegliarmi accanto a te, fare colazione con te, uscire a lavoro e poi tornare a casa con te, portare a spasso il nostro futuro cane dopo cena, tornare e fare l’amore con te, tutta la notte, per poi ripetere tutto fino a quando saremo vecchi.” la sentì ridacchiare e lasciò che contagiasse anche lui. “ti amo e ho intenzione di urlarlo al mondo, cominciando dalla Daniels, questa sera.” le accarezzò le guance dolcemente, poi posò un bacio su ciascuna e, poi, finalmente, fece sfiorare le loro labbra. “ti amo” un altro bacio, poi un altro ed un altro ancora.
“i-io… ti prego non ferire Irene. Lei è sempre così gentile con entrambi” sorrise alla dolcezza infinita che era quella donna; anche mentre si confessavano i loro sentimenti più profondi, lei pensava agli altri, ad un modo per proteggere gli altri, come se valessero più di lei, come se la loro felicità importasse più della sua.
“non la ferirò, le dirò soltanto la verità, amore mio. Irene merita moltissimo, proprio come noi. Merita di trovare qualcuno che la ami come io amo te.” Regina voleva piangere di nuovo, ma stavolta di gioia, di voglia di stringerlo, di toccare il suo corpo il più possibile, per assicurarsi che fosse reale e non solo un sogno. Non poteva credere di meritarsi quest’uomo meraviglioso, lei che credeva di non meritare nulla, ed ora aveva tutto.
Si strinsero di nuovo, e lei lasciò che le baciasse la fronte come una bambina:
“l’unica cosa di cui mi dispiace davvero è il fatto che dovremo rimandare la nostra serata ancora una volta.”
Regina sorrise: “abbiamo una vita solo per noi, Robin. Tu va, io ti aspetterò qui” si distaccò, quel tanto che bastava per guardarla negli occhi “e quando tornerai potremmo…” arrossì violentemente facendolo sorridere.
“cosa, amore mio?”
“beh…”
La baciò ancora, e ancora, e ancora. “dimmi, amore mio, cosa vorresti fare quando torno?”
“i-io—” fu interrotta da un altro bacio, poi da altri cinque ancora.
“vuoi fare l’amore con me, Regina?” sussurrò, passando con le labbra sul suo collo, facendole soffocare un gemito. 
“sì” passò le dita tra i suoi capelli biondo cenere, spingendo la sua testa contro la sua pelle, facendogli capire quanto avesse bisogno del contatto tra le sue labbra e la sua pelle. La sollevò da terra, mettendola a sedere sul piano della cucina, facendola gemere al contatto tra le sue gambe seminude e il freddo del marmo. Catturò le labbra con le sue, mentre le mani si infilavano sotto la sua gonna, accarezzando la sua pelle, arrivando fino al tessuto delle mutandine.
“Regina, se continuiamo così non riuscirò a fermarmi” sussurrò, ma Regina non lo stava neppure più ascoltando, non poteva. Era così vicino, così vicino al punto in cui lei lo desiderava di più. “oh, amore mio” gemette, sfilando con riluttanza le mani da sotto la sua gonna, portandole attorno al suo viso; erano calde e profumavano di lei.
“Robin, non ne posso più, ho bisogno di te” poggiò la fronte contro la sua, respirandolo per qualche secondo, mentre ancora cercava di regolarizzare il respiro.
“anche io, Regina, ho bisogno di sentirti, di essere dentro di te… ti voglio da impazzire.” ogni frase era succeduta da un bacio dolcissimo, che Regina amava da morire. “ti prometto che quando tutto finirà e non ci saranno più ostacoli a dividerci, ci dedicheremo l’uno all’altra, fino a quando lo vorrai.” fece sfiorare la punta del naso con la sua, poi la baciò, facendola sorridere.
“ti amo, Regina.” 
La donna prese un profondo respiro, come se stesse cercando di trovare il coraggio —e probabilmente era così: “ti amo anch’io, Robin.”

Furono quelle parole a dargli la forza di andare avanti, di uscire di casa con il sorriso sulle labbra quella sera, pur sapendo di stare rinunciando alla prima notte che avrebbero potuto passare assieme. Gliel’aveva detto; lo amava. Lo amava anche lei. Nonostante la sua paura di perderlo, nonostante la sua convinzione che fosse destinata a perdere tutto ciò che amava… glielo aveva detto; perché lui doveva saperlo, meritava di saperlo.
Era appena mezzanotte quando rientrò ed aveva un bellissimo sorriso sulle labbra: la cena con la Daniels si era rivelata completamente diversa da ciò che si aspettava; gli aveva confidato ciò che non credeva fosse possibile e non vedeva l’ora di dirlo a Regina. Era come se si fosse tolto un peso enorme dal cuore.
Pensò a lei, alle parole che gli aveva detto —“vuoi fare l’amore con me?” “sì”— mentre girava la chiave nella porta. Quasi fremeva dalla voglia di vederla, di fare l’amore con lei, quella notte.
“amore mio?” le luci erano spente, solo quella debole della bajour della camera da letto riusciva ad intravedere. Sorrise quando la trovò sdraiata, nel suo letto, sotto le coperte. Dormiva, il suo bellissimo angelo, o almeno così credeva:
“Robin?” disse assonnata.
“amore, sono qui” sussurrò, mentre si toglieva le scarpe e, subito dopo, i pantaloni. Regina non riusciva a vederlo, ma sarebbe rimasta piacevolmente sorpresa da quello spettacolo. Si tolse anche la maglietta, rimanendo a petto nudo, stampandosi sul viso quel sorrisetto malizioso; oh, avrebbe gradito eccome.
“mmh” gemette inconsciamente al contatto tra i loro corpi. Quello di Robin era talmente caldo ed invitante ed il modo in cui aveva aperto le braccia per stringerla… si sentiva a casa, finalmente. “com’è andata la cena?” sussurrò, mentre si girava, per affondare il viso nel suo petto, respirando il suo profumo a pieni polmoni. Dio, era tutto ciò di cui aveva bisogno.
“ah benissimo, non c’è stato neanche bisogno di chiudere con la Daniels” sorrise, baciandole la fronte. Regina spalancò gli occhi; ora completamente sveglia:
“cosa?”
“sì, ha chiuso lei. A quanto pare ha trovato un altro uomo che le fa battere il cuore, ma vuole comunque che rimaniamo buoni amici.” non poté far a meno di ridere per la reazione immediata e preoccupata della sua Regina, che tirò un sospiro di sollievo immediatamente.
“che sollievo, temevo che…”
“cosa? che le avrei spezzato il cuore?” sussurrò, quasi offeso
“no, tu non ne saresti capace, e questo io lo so. E’ solo che… temevo non l’avrebbe presa bene.” stettero in silenzio per i seguenti secondi, poi lui le baciò il capo di nuovo.
“Robin?” lo chiamò
“sì, amore mio?”
“promettimi che rimarremo ogni notte così, promettimelo ti prego” il suo era un debole sussurro che Robin non avrebbe neppure sentito se ci fosse stato un minimo rumore d’interferenza nella stanza. Le sorrise, prendendole il mento tra le dita per poterla guardare dritta negli occhi:
“è tutto ciò che desidero, Regina, non c’è neppure bisogno di prometterlo.” sorrise nel buio di quella stanza prima di ribadire un’altra volta quanto l’amasse.
Regina si strinse ancora più forte contro il suo petto, tra le sue braccia e, lentamente, si addormentò, finalmente felice, finalmente completa.

fatemi sapere cosa ne pensate se vi va! 

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


eccoci qui! perdonate il ritardo ma sono in vacanza anche io!
ecco il capitolo tanto atteso (direi da quando è iniziata la storia, circa ahahhaha). Spero vi piaccia!
un bacio.

 

La sveglia suonò alle 6 precise, come ogni mattina. Ma stavolta, il risveglio non fu così spiacevole; la prima cosa che entrambi videro fu l’un l’altra, e la reazione fu immediata: un sorriso, bellissimo. 
“Buongiorno, amore mio.” le sussurrò, mentre la sentiva stiracchiarsi dolcemente accanto a lui. Sorrise spontaneamente mentre si convinceva che quello non era un sogno, era la realtà, la realtà che avrebbe vissuto ogni giorno per il resto della sua vita.
“mmh, buongiorno!” ridacchiò mentre le sue labbra furono la prima cosa che assaggiò quella mattina. I suoi splendidi occhi marroni erano ancora chiusi, troppo spaventati di accogliere le prime luci del sole, e Robin fu intenerito da quell’immagine.
Regina sorrise baciando la sua spalla nuda. Era un bacio dolce ma aveva quel non so che di malizioso che lo faceva impazzire.
“ti va di fare colazione con me?” chiese con quel tono di bambina innocente, che Robin sapeva le apparteneva per poco ancora.
“mmh… certo che sì, Miss Mills. Che cosa le va di mangiare?” baci, baci ed ancora baci. Regina stava stringendo tra le braccia ciò che credeva sarebbe rimasto solo un sogno, una scena tipica dei film d’amore che era solita vedere da adolescente. 
“waffles. Con tanta cioccolata.” un altro bacio “e panna.”
La mente di Robin volò da tutt’altra parte a quelle parole, mentre sulla sua lingua poteva quasi sentire il sapore di Regina Mills, professoressa di lingua e letteratura.
“vado immediatamente.” fece per staccarsi da lei e la sentì sussultare:
“ok, allora nel frattempo farò un doccia.” si strinse nelle spalle, con nonchalance. 
Gli occhi di Robin quasi uscirono dalle sue orbite:
“c-cosa?”
“una doccia, Locksley.” si sfilò la canottiera, rimanendo solo con il suo reggiseno di pizzo bianco. I pantaloni di Robin, nonostante fossero di stoffa morbida, iniziarono a stargli stretti. 
“sai come si fa una doccia, vero?” rise, con malizia. “si tolgono i vestiti, si entra sotto l’acqua…” si alzò dal letto, facendo cadere anche i pantaloncini.
Era in intimo. In semplice, coordinato, intimo di pizzo bianco che contrastava perfettamente con la sua pelle olivastra. Robin si sentiva come se qualcuno lo stesse strangolando; gli mancava l’aria.
“Regina…” sussurrò sotto forma di gemito quando la vide far scivolare lentamente una spallina del reggiseno lungo la spalla. Cristo.
“ci vediamo dopo, Locksley.” sorrise e… Dio, quel sorriso. Sparì dietro la porta del bagno, ma non prima di avergli regalato un’ampia veduta del suo fondoschiena. Robin poté tirare un sospiro di sollievo e, per un breve istante, pensò di tirarsi addosso un bicchiere di acqua gelata, per ridurre la temperatura corporea alzatasi decisamente troppo a quella vista.
O forse avrebbe potuto raggiungerla nella doccia… Per quanto lo desiderasse sapeva che la parte più grande di lui voleva aspettare.
Andò in cucina e cercò di dedicarsi per qualche minuto a qualcosa di diverso dal corpo perfetto di Regina Mills. Per esempio alla colazione: mise a scaldare i waffles e squagliò della cioccolata al latte —la sua preferita, senza alcun dubbio— in un pentolino. La panna era ancora da montare, quindi la versò in una ciotola arancione e si diede da fare.
“che profumo delizioso!” la sentì dire entrando nella stanza. Quando Robin si voltò a guardarla, per poco non fece cadere tutti i piatti che aveva in mano: indossava una semplice vestaglia di seta bianca e i capelli, appena asciugati, le cadevano lungo le spalle. Se la conosceva abbastanza bene sapeva che sotto a quel sottile strato di stoffa non aveva altro.
Dovette mordersi il labbro, per evitare di imprecare.
Lui era ancora a petto nudo, e quegli addominali che aveva desiderato accarezzare per tanto tempo erano davanti a lei, finalmente. Si avvicinò a lui, lentamente, con quel sorriso.
“panna.” sussurrò
“c-cosa?” Robin riuscì a malapena a parlare.
“hai montato la panna.” immerse le dita nella ciotola, poi le leccò lentamente, con un sorriso dolcissimo. Robin non capiva se avesse intenzione di farlo uscire di testa o di sembrare la bambina innocente che ormai sapeva non essere.
Cazzo, cazzo, cazzo.
“amore mio” gemette, mentre Regina passava le dita bagnate lungo il petto di Robin. “hai deciso di farmi impazzire stamattina?” lo disse ad alta voce, quasi inconsciamente.
Passò le mani lungo i suoi addominali, accarezzandone uno per uno, con cura, divorandoli con gli occhi. Chiuse le braccia attorno al suo collo e lo guardò dritto negli occhi finalmente:
“ti voglio.” sussurrò teneramente, sbattendo quelle lunghe ciglia scure che Robin amava da impazzire. Fu lì che non riuscì più a controllarsi; la voleva anche lui, Cristo, se la voleva. Era in cerca continuamente del momento perfetto per fare l’amore con lei, ma non capiva che ogni momento era perfetto per due persone che si erano desiderate e volute così tanto. Posò le mani sui suoi fianchi, spingendo il corpo di Regina contro il suo ancora più di quanto non lo fossero già; fece incontrare le loro labbra in un bacio tremendamente passionale, mentre la sollevava e, come se fosse la sua sposa, la portava in camera da letto.
Robin non poteva sentirlo, ma il cuore di Regina stava battendo all’impazzata. Si sentiva come quando, da adolescente, aveva fatto l’amore per la prima volta. Era tutto così nuovo, tutto da scoprire. Lentamente la poggiò sul materasso, senza mai distogliere lo sguardo dai suoi occhi. Lasciò che i pantaloni della tuta gli scivolassero dalla vita fino ai piedi, poi se li tolse. I suoi boxer erano neri e, quando gli occhi di Regina inevitabilmente vi caddero, non riuscì a trattenersi dal mordersi il labbro. 
Era come se non avesse mai visto nulla di simile prima, come la sua prima esperienza, come se non si aspettasse la sua prossima mossa. Era così, tutto ciò che ricordava da una simile situazione era violenza, dolore, terrore. Ed ora, nel momento in cui lui si piegava su di lei e avvolgeva le sue braccia attorno al suo corpo, poggiandosi sui palmi delle mani per non schiacciarla col suo peso, si sentiva la donna più felice ed amata che conosceva. 
Portò gli occhi nei suoi, fermamente, mentre avanzava una mano lungo il suo petto, cercando la cintura della vestaglia di seta. Quando la trovò, la aprì e la fece scivolare dolcemente lungo i lati del suo corpo.
Oh, mio dio. Era nuda, finalmente nuda davanti a lui. Era una visione, la cosa più bella che avesse mai visto nella sua vita. La sua pelle liscia, i seni sodi, i capezzoli turgidi e rossi quasi quanto le sue guance in quel momento, il ventre perfettamente piatto e scolpito; e quelle gambe… Robin Locksley aveva sempre guardato, ammirato, desiderato ogni centimetro delle gambe di Regina Mills, non era un segreto. Dal primo giorno in cui aveva posato gli occhi su di lei se ne era reso conto; avrebbe riconosciuto quelle gambe ovunque.
“sei…” bellissima? perfetta? In tutta onestà, ogni parola gli sembrava banale, scontata, e decisamente non adatta alla situazione: lei era molto di più, e lui lo sapeva. “sei la cosa più bella che abbia mai visto, amore mio.” la vide sorridere ed arrossire con leggerezza, mentre le sue braccia si chiudevano attorno al collo di lui.
“fa l’amore con me, Robin.” non ci fu bisogno di dire altro per portare quel tenero sorriso anche sulle sue labbra, mentre si chinava dolcemente sul suo petto, baciando ogni centimetro dal collo in giù. Baciava il solco tra i suoi seni perfetti, sentendola gemere, sospirare, inarcare la schiena, decisamente troppo per un semplice contatto con le sue labbra. Ma non poteva lamentarsi, amava il suo essere ipersensibile a qualsiasi cosa lo riguardasse, amava il modo in cui i suoi baci la facevano gemere e le mozzavano il fiato.
“ti amo” sussurrò mentre, con la lingua, tracciava il contorno di uno dei suoi capezzoli turgidi. Sentì le dita di Regina insinuarsi tra i suoi capelli biondi e tirare, forte. “ti amo da impazzire” ribadì, mentre lo prendeva tra i denti ed applicava una pressione leggera, quel tanto che bastava per farla gemere di nuovo. Tracciò una scia di baci fino al seno destro, praticando i medesimi movimenti, mentre con la mano continuava a dare piacere anche alla parte opposta, massaggiandola dolcemente, in teneri cerchi.
“Robin” sussurrò in preda al piacere. “ti prego” le sue mani vagarono lungo la sua schiena, graffiandola dolcemente, senza fargli male. 
“cosa vuoi, amore mio?” sorrise, respirando sul suo stomaco, facendola sussultare. Tracciava un percorso con le sue labbra lungo la pancia, giù fino all’ombelico, soffermandosi attorno ad esso, con la lingua, guardandola dritta negli occhi. “dimmelo e te lo darò.”
Un gemito colmò il vuoto della stanza quando la sua bocca assaggiò per la prima volta il dolce sapore di Regina Mills. La sua pelle era perfettamente liscia, scivolava sotto la sua lingua come se fosse fatta apposta per starvi a contatto. Baciò il suo monte di Venere, ripetutamente, dolcemente. Regina fremeva ad ogni suo gesto, desiderava di più, stringeva forte le cosce attorno al suo viso, applicando pressione.
“oh mio Dio, Robin” quasi urlò. Sapeva che non avrebbe fatto altro se non glielo avesse esplicitamente chiesto; perché lo conosceva, sapeva com’era quando voleva ottenere qualcosa, quanto lontano potesse spingersi la sua tenacia. Per lui era importante che lei esplicitasse i suoi pensieri, i suoi desideri più nascosti; voleva che sentisse di meritarli per poi vederli realizzarsi.
“cosa vuoi, amore mio?” lo sentì ripetere.
Regina sentì di star arrossendo come mai nella sua vita, mentre faceva scorrere una mano giù per la sua vita, tra le sue gambe, fino a raggiungere la sua bocca. Poggiò il dito indice sulle sue labbra, accarezzandole dolcemente, poi lo portò sulla sua intimità, come ad indicarla. Era stata chiarissima, dolcissima, tanto da farlo sorridere come un bambino. 
Era abbastanza per ora.
Lentamente, dolcemente passò la lingua lungo la sua femminilità, sentendola inarcare la schiena, mentre con le mani stringeva forte i lenzuoli, fin a far diventare le nocche bianche.
“Robin!” gridò mentre il piacere aumentava sempre di più. Erano anni che non sentiva tanto piacere, erano anni che non lo credeva più possibile. 
Labbra, lingua, perfino i suoi denti sentiva ovunque, in ogni centimetro del suo corpo, dritta fino al cervello. 
“oh, mio—” spalancò la bocca, formando una “o” perfetta mentre inarcava la sua schiena verso l’alto; Robin ne approfittò per sostenerle il fondoschiena con le mani e affondare completamente la bocca in lei. La sentì fremere, gemere, urlare ed infine venire, sulla sua lingua, sulle sue labbra, aveva il suo sapore ovunque. Sorrise, uno di quei sorrisetti soddisfatti mischiato alla pura e semplice gioia di averle fatto provare quel piacere che aveva ormai dimenticato.
Mentre guardava il suo viso avvolto dal piacere più forte, sentì il desiderio di farla venire ancora, ed ancora, ed ancora. E questa volta, voleva farlo mentre era dentro di lei.
Si tolse i boxer di fretta, ma non troppo, mentre la guardava, cercando di memorizzare quell’immagine nella sua mente per sempre.
“ti voglio, Regina, ho bisogno di sentirti” i suoi seni sodi a contatto con il suo petto lo stavano facendo impazzire ancora di più se ciò era possibile, mentre si chiedeva se avesse resistito ancora quando fosse stato finalmente dentro di lei.
“allora prendimi, Robin. Non mi romperò, te lo giuro” sussurrò, la voce ancora affannata. Sorrise dolcemente mentre le loro labbra si congiungevano ancora una volta, stavolta, assieme ai loro corpi. Per Regina sentirlo dentro di sé fu come sentirsi finalmente completa, come se qualcuno avesse inserito il tassello mancante del suo puzzle, come se avesse trovato l’unico pezzo compatibile con ciò che era il suo essere.
Gemette, mentre lui le sussurrava ancora una volta quanto la amasse. Lo sentiva muoversi dentro di sé ed era così diverso da ciò a cui era abituata, così nuovo; lo sentiva in ogni centimetro del suo corpo mentre si muoveva dentro e fuori, dentro e fuori con cautela, stando attento a non farle alcun male. La sentiva gemere nel suo orecchio e mormorare parole che non si sarebbe mai aspettato di sentire da lei; sorrise a quel pensiero, oh aveva fatto molto di più di dare semplicemente voce ai suoi desideri.
Portò le mani dietro al suo collo, invitandolo a guardarla negli occhi, così da trasmettergli ciò che voleva dirgli senza parlare. Aveva il viso contratto dal piacere e Robin non poté far a meno di sorriderne; era per merito suo se si sentiva così bene, non poteva che esserne felice, ed ora che stava per raggiungere l’apice voleva assicurarsi che fosse tutto perfetto, come l’aveva desiderato sin dall’inizio.
“baciami” gli chiese, prima di lasciarsi andare ad un gemito; stavolta soffocato nella sua bocca. 
Robin sapeva di poter lasciarsi andare dentro di lei, e sapeva di non poter resistere ancora per molto; tuttavia voleva aspettare, prolungare quel momento il più possibile, aspettare lei, regalarle ancora più tempo avvolta tra le braccia del piacere puro che era in grado di regalarle, lei che aveva sofferto per così tanto.
E vennero, vennero insieme, contemporaneamente, tanto era la sintonia che li univa. Nonostante si sentisse tanto bene da voler chiudere gli occhi e collassare al suo fianco, Robin si prese del tempo, per guardarla, ancora una volta, col viso contratto in quel fremito, le labbra fermamente spalancate e le palpebre lasciate cadere pesantemente davanti alle pupille. Per un secondo dubitò del fatto che stesse ancora respirando, che il suo cuore riuscisse ancora a battere, poi però, quando spalancò quegli occhi color caffè che per lui, solo per lui, erano diventati neri come la notte, sorrise e rotolò al suo fianco.
Era ancora dentro di lei, e Regina non poteva far altro che godersi quella sensazione ancora per un altro po’: si voltò, girandosi verso di lui. Si strinsero forte, si baciarono, si sorrisero. Erano finalmente completi e quella sensazione era in assoluto la migliore che avessero mai provato.
“ti amo” gli sussurrò. Un altro colpo al cuore. Sarebbe stato così tutte le volte che glielo avrebbe detto, ne era più che sicuro.
“ti amo.” replicò, con un altro bacio.

Erano rimasti in quella posizione per minuti interi; semplicemente li avevano lasciati scorrere con la convinzione che fossero solo istanti, secondi brevi. Invece era finita per passare quasi un’ora e se ne accorsero soltanto quando, tra baci e sorrisi complici, gli occhi di lei finirono sullo schermo del cellulare accesosi per un messaggio.
Le otto meno venti. Le otto meno venti.
“merda!” esclamò lei, facendogli quasi strabuzzare gli occhi. Scoppiò a ridere:
“Miss Mills! Non è da lei utilizzare questo linguaggio!” 
“oh, vaffanculo!” un’altra risata, così vera e spontanea che non riusciva neppure lui a crederci “guarda cosa hai fatto, ci hai fatto fare tardi!” 
“Io?”
“sì, certo.”
“ti ricordo che sei entrata praticamente nuda nella mia cucina.” tentò di farle il solletico ma lei riuscì a sfuggirgli, alzandosi dal letto mentre tentava di coprirsi, trascinandosi dietro le lenzuola bianche.
“oh, certo, ora è mia la colpa se sono irresistibile.” rideva, rideva come un folle anche se infondo sapeva che aveva ragione; era irresistibile e lui non aveva alcuna voglia né intenzione di farlo. 
“bene, Miss Irresistibile” si alzò a sua volta, ma, al contrario di lei, lui non si preoccupò affatto di coprirsi. Dovette mordersi il labbro mentre cercava in tutti i modi di evitare di arrossire: lo aveva già visto nudo, ed anche molto da vicino, come era possibile che avesse ancora quell’effetto su di lei?
“dove stai andando?”
“a fare una doccia, Mills. Sai come si fa una doccia, vero?” citò le parole che lei stessa aveva usato prima, con quel sorrisetto che la faceva impazzire, e non sempre in modo positivo. Camminava verso di lei con quell’aria sicura di sé e quel corpo… Cristo, quel corpo.
“d’accordo.” mormorò Regina.
“d’accordo.”
“bene.”
bene.” si morse il labbro ancora una volta, mentre il suo viso era ormai solo a pochissimi centimetri da quello di Robin. Non lo avrebbe baciato, no, sapeva dove voleva arrivare e non poteva permetterglielo. Erano le otto meno venti, Cristo Santo, se avessero iniziato la loro relazione facendo tardi a lavoro come potevano pensare di portarla avanti senza problemi? Lui era il suo capo!
Lo sentì avvolgere le sue lunghe dita morbide attorno al lenzuolo che era ancora fermamente deciso a coprire il corpo di Regina. Gli bastò tirarlo un minimo per far sì che cadesse ai suoi piedi; ed ecco che era lì, di nuovo completamente nuda di fronte a lui, con quell’aria da innocente bambina che non voleva giocare per paura che la mamma li beccasse nascosti nella casa sull’albero. 

“adesso” sussurrò dolcemente, portando la punta del suo dito indice a tracciare il contorno della sua spalla “io vado a vestirmi, e manderò te a fare la doccia —da solo, a costo di prenderti a calci nel culo. Sai perchè, Locksley?” sorrise, fiera di sé stessa e di aver resistito a quella voglia irrefrenabile di baciarlo e rifare da capo ciò che avevano finito di fare solo pochi minuti prima. “perché ti amo, e non voglio che la nostra relazione inizi in modo sbagliato.” gli baciò il petto, proprio lì, in mezzo ai suoi seni, poi sorrise di nuovo: “non pensare a me là sotto.” e, mentre diceva questo, se ne andava. A vestirsi, lontana da lui.

pareri? :)

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


Salve! Eccoci qui con un nuovo capitolo un po' breve. Spero vi piaccia! Godetevi il resto di luglio, outlaw queeners!
Buona lettura!

 

Robin Locksley sapeva di aver fatto una follia nel momento esatto in cui aveva posato gli occhi su Regina Mills in quel modo. Quando aveva anche solo per un secondo pensato che tra di loro potesse esserci di più che una semplice complicità tra colleghi. Sapeva che tutto ciò era destinato a sfociare in qualcos’altro, infondo lo aveva sempre saputo, anche quando aveva ripromesso a sé stesso che non avrebbe più guardato quella donna così.
Ma fu quando si rese conto di non poter più neanche formulare una frase di senso compiuto senza pensare a lei, a come si era sentito quando aveva preso pieno possesso del suo corpo, di ogni centimetro della sua anima, che aveva capito che quella donna era sotto alla sua pelle e che aver cominciato una simile follia l’avrebbe portato soltanto a guai. Guai che nessuno dei due sapeva fronteggiare, assolutamente.
Continuava a ripetersi che era solo l’inizio, che non stavano insieme da neppure 48 ore e che, essendosi desiderati per tanto tempo quanto l’avevano fatto loro, era perfettamente normale un simile comportamento da perfetti imbecilli innamorati.
“ho bisogno di vederti, ora.” glielo scrisse quando era più che sicuro che avesse la pausa. Ormai conosceva i suoi orari a memoria.
Arrivò nel suo ufficio esattamente cinque minuti dopo —il tempo che le ci voleva a liberarsi delle sue colleghe pettegole che utilizzavano ogni minuto prezioso per spettegolare di tutto e di tutti e prendere l’ascensore fino al suo ufficio.
I capelli erano tutti arruffati, tipico di quando era di fretta; alcune ciocche leggere e sottili le ricadevano davanti agli occhi, incorniciando quel viso d’angelo in una maniera quasi voluta. Era perfetta. Appena la vide, si tolse gli occhiali lanciandoli da qualche parte sulla scrivania, si alzò di scatto dalla sedia e le avvolse le braccia attorno alla vita; la baciò, la baciò come se non la vedesse da giorni, mentre in realtà erano passate soltanto tre ore.
Regina si ritrovò contro la porta del suo ufficio, mentre Robin le prendeva il labbro inferiore tra le sue labbra e applicava una dolce, piacevole pressione, prima di staccarsi del tutto. La sentì soffocare un gemito e sorrise a sé stesso: le era mancato anche lui.
“dimmi se sto impazzendo, Regina, ma non riesco a smettere di pensare a te.” le sussurrò, serio più che mai, mentre le prendeva il viso tra le mani e lasciava qualche tenero, breve bacio qua e là su quella pelle morbida al sapore di fiori di pesco e vaniglia —proprio come il suo bagnoschiuma che quella mattina aveva avuto il piacere di provare.
“siamo in due ad impazzire, allora.” sussurrò, cercando le sue labbra con le sue un’altra volta.
“cosa ci succede, amore mio? sembriamo ragazzini alla prima cotta.” le mani di Robin scivolarono lungo la sua schiena, mentre la teneva nel suo abbraccio protettivo e la cullava, dolcemente, come se stessero ballando al suono di qualche melodia che sentivano solo loro.
“siamo semplicemente innamorati.” sorrise, baciandogli la punta del naso come di solito lui faceva con lei. Lo fece sorridere.
“non riesco a chiudere gli occhi nemmeno per un istante senza pensare a te, al tuo sorriso, a quello che abbiamo fatto stamattina…” quel sorrisetto, di nuovo.
Regina lo ricambiò, con altrettanta malizia:
“oggi pomeriggio ho appuntamento con Vivianne ma questa sera potremmo…” si morse il labbro arrossendo “rifarlo.”
Robin aggrottò la fronte, mentre Regina sentiva le sue mani scivolarle giù dalla schiena:
“come hai appuntamento con Vivianne? Hai ancora intenzione di comprare una casa?”
“Robin…”
“vuoi ancora comprare una casa?” la vide abbassare lo sguardo, come se si sentisse in colpa per ciò che stava per dire, ed era vero: “è solo che… voglio avere una casa. Una casa su cui poter contare nel caso in cui… le cose tra noi non dovessero funzionare.” 
“vuoi dire se dovessi rivelarmi un pazzo maniaco come quel figlio di puttana? Che picchia la moglie ed arriva quasi sul punto di ucciderla? E’ questo ciò che temi?” alzò il tono, ma solo leggermente; era sempre molto attento con lei, con ogni parola, con ogni gesto. 
Regina aveva gli occhi lucidi: non avevano mai litigato prima, se non una sola volta, e ricordava perfettamente bene come era finita. Non sapeva come reagire, non voleva che finisse così. Non voleva.
“Robin, ti prego—”
“Regina, guardami” disse serio, mentre prendeva il viso tra le sue mani, con dolcezza, e portava gli occhi nei suoi; erano grandi, pieni di lacrime che volevano uscire ma lui non glielo avrebbe mai permesso, mai.
“amore mio, io non potrei mai, mai farti del male. Giuro che preferirei morire piuttosto che essere la causa del tuo dolore o delle tue lacrime, come in questo momento.” le accarezzò le guance, passando i pollici sotto i suoi occhi, come a volerle asciugare delle lacrime che non avrebbe mai lasciato cadere.
“io lo so, Robin, lo so!” sussurrò, regalandogli un debole sorriso. “è solo che…”
“cosa?” 
La vide abbassare lo sguardo e mordersi il labbro nervosamente, mentre le guance —ancora sotto le sue dita morbide— le si coloravano di un rosso acceso. Era indecisa se dirglielo o no, le sembrava una cosa stupida, ma se dirglielo avrebbe impedito loro un litigio inutile, lo avrebbe fatto. Assolutamente. 
“ho paura che… insomma… abbiamo fatto l’amore questa mattina per la prima volta. Quante ancora potremmo farlo? Due? Forse tre, ma poi ti annoierai. Io ti annoierò. Perché, in tutta onestà, Robin, mi rendo perfettamente conto di non essere Miss Universo, di non avere un corpo da urlo o chissà cos’altro, ma—” fu interrotta da una specie di gridolino: il suo. Robin l’aveva sollevata, per lasciarla sedere sulla sua scrivania, facendola sorridere inconsciamente: che diamine gli stava saltando in mente?
“adesso ascoltami, ok?” le disse serio, senza mai interrompere l’abbraccio di sguardi che avevano creato tra di loro. Regina annuì impercettibilmente: “io ti amo. Ti amo da impazzire e, non importa quanto ci proverai, non riuscirai a farmi credere neppure per un secondo che potrei stancarmi di te. Ti voglio, Regina. Ti ho voluto per mesi interi senza mai poterti toccare, assaporare, sentire, ed adesso che ti ho solo per me…” si lasciò andare ad un risolino, perché Dio, Dio, quella situazione era ridicola! Non poteva davvero pensare che si sarebbe stancato di lei, non era proprio possibile! “Regina, non riesco a smettere di pensare a te, al tuo corpo sotto al mio, alla tua pelle sotto le mie dita e alla mia bocca su ogni centimetro di te. Ho voglia di rifare tutto quello che abbiamo fatto stamattina ed anche di più. Ho voglia di te, ora, qui, su questo tavolo. Ti voglio sulla mia poltrona, su quel divano, contro il muro. Ti voglio su tutti i banchi, in ogni classe, su ogni cattedra, contro ogni lavagna. Ti voglio a casa nostra, sul tavolo della cucina, sul nostro divano, nella stanza degli ospiti, poi nel nostro letto di nuovo, solo per poter ricominciare da capo il giro.” la vide mordersi il labbro a quelle parole e non poté far a meno di sorridere soddisfatto. La baciò, la baciò con passione perché la voglia di mordere quel labbro come aveva appena fatto lei lo stava facendo impazzire. Le accarezzò la lingua con la sua, sentendola soffocare un gemito ed aprire ulteriormente le labbra, come a volergli offrire più spazio. 
La sentì avvolgergli le braccia attorno al collo e non poté far a meno di prenderla, stringerla, spingerla contro di sè, contro il suo petto, contro il suo corpo.
“ti amo, lo sai, vero?” sussurrò mentre Regina affondava il viso nell’incavo del suo collo e inspirava il suo profumo.
“lo so” sorrise “e ti amo anch’io.”

I giorni passavano e Robin e Regina erano ormai una coppia felice da due settimane. Regina non era mai stata così bene, mai. Il semplice risvegliarsi ogni mattina tra le sue braccia, dopo aver fatto l’amore tutta la notte, e vedere come prima cosa il suo sorriso, le bastava per sorridere tutto il giorno. Era la donna più felice del mondo e Robin… beh, Robin era semplicemente l’uomo perfetto, tutto ciò che aveva sognato e desiderato fin da quando ero bambina.
“buonasera, Locksley!” esclamò con un sorriso smagliante, entrando dalla porta con una gran quantità di buste della spesa. Robin le fu subito accanto per darle una mano, mentre, con il suo stesso sorriso, le posava un bacio dolce sulle labbra. “mmh, che profumo delizioso, cosa prepari?”
“sugo. Vuoi assaggiare?” poggiarono le buste sul tavolo della cucina e Robin cominciò a sistemare ciò che aveva comprato nel frigo e nelle mensole.
“oh si!” rise, avvicinandosi al cucchiaio sporco di rosso che Robin le tendeva vicino alla bocca. “è buonissimo, aggiungi solo un pochino di peperoncino.”
“mh, sapevo ti piacesse piccante ma…” le fece l’occhiolino mentre lei scoppiava a ridere come una folle.
“sei incorreggibile, lo sai?” sorrise di nuovo mentre sistemava il latte e le uova nel frigo. 
“hai comprato il gelato?” le chiese notando le altre cose nella busta.
“sì, cioccolato, nocciola e pistacchio.” 
“mh, io ho preso la panna. Potremmo metterla sul gelato e… non solo su quello.” non era una battuta come quella di prima, la guardava dritto negli occhi, uno sguardo che la fece sciogliere come un panetto di burro al sole. Dio, facevano l’amore quasi tutte le notti e aveva ancora una voglia di esplorare il suo corpo come se fosse la prima volta; le faceva venire la pelle d’oca sentire il suo desiderio ogni volta.
“forse… dopo cena…” si avvicinava verso di lui mentre arrossiva e si mordeva l’interno della guancia nervosamente. Era ancora quell’adolescente mai cresciuta e alla sua prima cotta che aveva conosciuto, non sarebbe mai cambiata ed era per questo che era sicuro che di quella donna non ne avrebbe avuto mai abbastanza.
Il tempo di lasciarle posare la mano sul suo petto che lui le strinse un braccio attorno alla vita e la tirò a sé, baciandola con passione. Era un bacio profondo, di quelli che fanno perdere la testa, che proprio lui fu costretto ad interrompere:
“devo dirti una cosa.”
“mh-mmh.” sussurrava, senza neppure essere realmente interessata; cercava di riportare le labbra di Robin sulle sue perchè, ormai, era diventata una droga per lei, i loro baci le davano una vera e propria assuefazione.
“domani…” e maledizione, maledizione era maledettamente distratto da quel corpo che continuava a premere contro il suo, non sarebbe riuscito a controllarsi a lungo, non con lei. “domani mia madre arriva in città.”
Bastarono queste semplici parole, più il tempo che il suo cervello ci impiegò a metabolizzare, a farla distaccare completamente, come se si fosse appena risvegliata da un sogno bellissimo.
“che cosa? domani? tua madre? ma io… non la conosco!” 
Robin ridacchiò: “già, è proprio questo il punto: voglio presentartela.” Il cuore di Regina prese a battere all’impazzata; non le era mai capitata una situazione simile prima: Victor aveva perso entrambi i genitori quando era molto piccolo ed aveva passato la maggior parte della sua vita con lo zio, il fratello della madre, che pure era morto quando lui aveva 21 anni. Regina aveva sempre pensato che lo scarsa presenza di una figura materna fosse parte del motivo per cui si comportava così, per il suo disprezzo per le donne, per il suo pensarne e trattarle come fossero un oggetto.
“I—Io…”
“che c’è, amore mio?” le accarezzò le braccia dolcemente.
Regina aveva sempre avuto l’esempio sbagliato di madre; Cora era dura, non si commuoveva facilmente, neppure davanti alle lacrime di una bambina di quattro anni che già allora non si sentiva benvoluta ed accettata. Aveva passato gran parte della sua vita a domandarsi come fosse una mamma normale, se la sera, prima di andare a letto, baciasse sul serio la fronte della sua bambina e le rimboccasse le coperte; se la mattina, appena sveglia, le preparasse davvero la colazione e la accogliesse con un sorriso; se, una volta cresciuta, avesse sul serio capito quando una situazione non le piaceva e fosse stata sempre dalla sua parte, non importava ciò in cui credeva, era pur sempre la sua bambina.
Regina aveva sempre avuto un esempio sbagliato, ma non era detto che, da qualche parte, là fuori, la mamma dei suoi sogni esistesse, per qualcuno.
“non credo di poterlo fare, Robin, davvero.”
La guardò scivolare via dal suo tocco e sedersi su una delle sedie, in cucina. Sul suo viso d’angelo, era scomparso il sorriso che tanto gli piaceva, ed anche le guance non erano più rosse per l’imbarazzo per il suo corpo contro quello di Robin. Regina gli aveva sempre parlato, durante i loro mesi di convivenza, di sua madre e di quanto fosse fredda, non si era focalizzata sui dettagli e lui non aveva insistito, poiché vedeva come il suo viso cambiasse ogni volta che rievocava quei ricordi, ma era riuscita a raccontargli degli episodi che gli fecero venire voglia di alzarsi e urlare contro il soffitto, chiamare quel Dio che per quella donna non c’era mai stato, lei che lo meritava così tanto. Possibile che nessuno aveva saputo darle almeno la metà dell’amore che lui stesso sentiva per lei? Cristo, come si poteva andare avanti con una simile vita? Quella donna era davvero troppo coraggiosa, e, in quel momento, Robin giurò a sé stesso che non avrebbe speso un secondo della sua vita senza dimostrarle l’amore infinito che provava per lei.
“ehi…” si sedette di fronte a lei e le prese la mano, portando gli occhi dritti nei suoi “so quello che hai passato, ma mi devi credere quando ti dico che mia madre ti adorerà. Ti adora già.” sorrise “lei è la persona più dolce, più comprensiva, più amorevole che abbia mai avuto affianco per tutta la mia vita. Io… le parlavo di te tutti i giorni, amore mio, mi devi credere. Non le ho mai nascosto niente, ho sempre potuto parlare con lei di ogni cosa perché sapevo che lei mi avrebbe capito. So che tu non hai avuto questa possibilità ed io non posso cambiare il passato, per quanto lo vorrei.” vedeva gli occhi di lei lucidi, di nuovo. Erano settimane che non piangeva più e, maledizione, ora lo stava rifacendo e per colpa sua. “ma posso cambiare il presente, e ti giuro che mi impegnerò affinché anche il tuo futuro sia pieno d’amore, di coccole, e di tenerezze.” riuscì a farla sorridere e per lui fu come riprendere fiato dopo un lungo periodo in apnea “ti amo, amore mio, ti amo da morire, e mia madre questo lo sa più di chiunque altro, puoi credermi.” sorrise a sua volta “lo sa dal primo giorno che ti ho vista, quando al telefono le ho parlato di te; lo sa da quando le ho raccontato delle cose orribili che quel figlio di puttana ti ha fatto, quando l’ho chiamata il giorno dopo averti portata via da lui; lo sa da quando ho cominciato ad uscire con la Daniels e le parlavo di quanto speravo che questo potesse sotterrare il mio amore per te; lo sa da quando, due settimane fa, le ho detto di noi, che eravamo finalmente insieme, che ci amavamo da impazzire e che non mi ero mai sentito tanto felice. Lo sai qual’è stata la sua risposta?” Regina scosse la testa, mentre una lacrima di pura commozione per le sue parole le rigava il viso “‘Robin Jonathan Locksley, sei proprio come tuo padre, vero? Non mi dai mai retta e alla fine, quando ho ragione, ti dimentichi di ammetterlo’” imitò la sua voce e Regina scoppiò a ridere. Sì, era quello il suo suono preferito. “sapeva dal primo giorno che quello che provavo per te era amore, dal giorno in cui le ho parlato di te per la prima volta. Mia madre è stata sposata con mio padre per 55 lunghissimi anni e, quando l’ha perso, è stato come se un pezzo della sua anima fosse morto con lui. Era l’amore della sua vita, e lo aveva capito dal primo momento. E’ sempre stata brava con questo genere di cose.”
Regina sorrise; forse era troppo tardi perché loro potessero passare 55 anni della loro vita insieme, ma di sicuro avrebbero speso fino all’ultimo dei loro respiri ad amarsi ed a dimostrare l’un l’altro quanto si amassero.
“pensi davvero che non finirò per deludere le sue aspettative?” sospirò.
“non dire sciocchezze. Ti amerà come se fossi sua figlia, te lo garantisco.” non le lasciò la mano finché non la vide totalmente convinta. Regina annuì, poi sorrise:
“allora, dove porti a cena me ed Angela Locksley, domani sera?”

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


scusate l'enorme ritardo carissme, ma è estate anche per me ahah!
grazie mille per tutte le bellissime recensioni e un grazie speciale a chi ha aggiunto questa follia tra i preferiti.
spero vi piaccia anche questo capitolo, un bacio!

 

Regina era nervosa. Robin le aveva detto di aspettare a casa, quel pomeriggio, mentre lui sarebbe andato a prendere Angela all’aeroporto. Aveva annuito ed aveva sorriso, ma, dentro, il suo cuore stava battendo a mille. Era ansiosa, non si sentiva così da quando aveva dato gli esami per la laurea. Non le era mai capitato prima, non aveva esperienze passate, era tutto così nuovo…
Continuava a guardarsi allo specchio, domandandosi se quel vestito blu scuro che stava indossando fosse troppo. Non voleva che Angela pensasse che si fosse tirata a lucido solo per incontrare lei e per fare una buona impressione; tutto ciò che voleva sembrare ed essere era naturale. Tutto ciò che faceva era vero, era pieno d’amore, non avrebbe dovuto preoccuparsi.
Era un vestito che arrivava sopra al ginocchio, stretto, di quelli che, a detta di Robin, la facevano sembrare una direttrice davvero molto sexy. Sorrise a quel pensiero mentre indossava un filo d’oro al collo ed un po’ di profumo. Aveva tirato indietro due ciocche di capelli, legandole l’una con l’altra con un fermaglio. Era a dir poco perfetta per l’occasione, ma… pronta? No. Assolutamente no.
“siamo arrivati, amore!” lo sentì esclamare, accompagnato dal suono della porta che si chiudeva. Una seconda voce, che doveva essere quella di Angela, risuonò nelle sue orecchie:
“oh Santo Cielo, Robin, questa casa è completamente diversa da come la ricordavo, ci voleva un tocco femminile, l’ho sempre detto.” era una voce dolce, alla quale Regina non potè far a meno di sorridere. Fu lì che capì: tutto sarebbe andato per il meglio, non aveva assolutamente niente da temere.
“amore?” la chiamò di nuovo.
“sono qui.” uscì dalla stanza e il cuore di Robin prese a battere all’impazzata, mentre uno dei sorrisi più belli che avesse mai visto si faceva strada sul suo volto. Le due donne più importanti della sua vita erano finalmente faccia a faccia e ciò che Robin provava era… indescrivibile.
“Salve, signora Locksley.” arrossì lievemente mentre le tendeva la mano.
Angela Locksley era una bellissima donna che aveva passato la settantina da un po’. Aveva dei capelli bianchi, leggermente ricci, che non arrivavano a toccarle le spalle. Gli occhi erano color nocciola e la bocca era sorridente, sempre. Indossava un vestito giallo per l’occasione e delle scarpe aperte e basse. Era la classica donna a cui sorridi senza neppure sapere il perché, cosa che, in tutta onestà, suo figlio aveva ereditato in pieno.
“oh, per amor del Cielo… cara, vieni immediatamente qui ed abbracciami.” Robin si morse il labbro, cercando di trattenersi dal ridere, mentre l’amore della sua vita veniva letteralmente stritolata dalle braccia esili della madre. “ti prego, chiamami Angela. Robin mi ha parlato davvero tanto di te, mi aveva detto che eri bellissima, certo, per la verità non faceva che parlare di quanto fossi bellissima” risero, mentre Robin arrossiva “fin dalla prima volta che ti ha incontrato non ha fatto che tormentarmi su quanto fossi—”
“mamma!” esclamò mentre Regina rideva assieme alla donna.
“scusami tesoro. Quello che volevo dire è che sapevo fossi bella, ma non così tanto! Sei davvero meravigliosa.”
“grazie mille signora Loc—Angela.” sorrise dolcemente, mentre Robin si avvicinava a Regina e la stringeva a sé. Le posò un dolce bacio sulle labbra e le sorrise. 
“mia madre ti bombarderà di domande da un momento all’altro, lo fa sempre con tutti, anche con il postino” sussurrò contro le sue labbra, tanto piano da far sì che Angela non potesse sentirlo. Regina sorrise. “quindi sarà meglio che usciamo da qui, così potrai affogare tutto nel vino.” la baciò di nuovo, poi tornò a concentrarsi su sua madre, mentre prendeva la mano di Regina:
“andiamo?”

Passarono una bellissima serata. Angela non aveva fatto poi così tante domande, nonostante lo volesse, si era controllata. Poteva dire di riuscire a leggere Regina Mills con un solo sguardo. Sicuramente era una persona che aveva sofferto molto, ma non aveva alcun dubbio quando parlava dell’amore incondizionato che provava per suo figlio; senza contare che non perdeva occasione di dimostrarlo con ogni gesto, senza ostentare.
La cosa che di più piaceva ad Angela era quel suo saper fare tutto con naturalezza, con spontaneità, con l’ingenuità di una ragazzina alla sua prima cotta: ogni volta che Robin la accarezzava, o metteva la mano sulla sua, o la baciava con dolcezza davanti a lei, Regina arrossiva. Non era una cosa tipica delle ragazze che di solito aveva portato a casa Robin.
“suo figlio mi ha salvato la vita più volte signora, gli devo tutto.” concluse la frase sorseggiando un po’ di vino, mentre Angela sorrideva, con il mento poggiato sulle nocche, come una bambina che ascolta la favola d’amore che la mamma le racconta.
“Robin mi racconta sempre di” fece una piccola pausa, prendendo un respiro “di come il suo modo di pensare sia cambiato radicalmente da quando sei entrata nella sua vita. Prima non credeva nelle relazioni a lungo termine, nonostante ne avesse un esempio proprio davanti agli occhi” si indicò, facendo sorridere entrambi “ma lo pensava soltanto perché non aveva trovato la persona con cui era sicuro di voler spendere il resto dei suoi giorni. Ed ogni volta che ti guarda, cara, mi sembra di rivedere Clay. Ti guarda nello stesso modo in cui mio marito guardava me e, credimi, mi ricordo bene quello sguardo.” 
Robin prese la mano di Regina e fece intrecciare le loro dita.
“ti ama, tesoro. E so che pensi che lui ti abbia salvato la vita, ma, credimi, anche tu hai salvato il mio bambino. Gli hai donato la speranza, la fiducia nell’amore che non aveva mai avuto.”
Regina guardò Robin per un istante e lo trovò a sorriderle, con quella scintilla negli occhi tipica di un bambino che aveva appena ricevuto ciò che desiderava per Natale. Era quella scintilla che la faceva sorridere sempre.
“anche io lo amo, da morire.” sussurrò, guardandolo ancora. Abbassò lo sguardo per un secondo, e sia Robin che Angela erano sicuri di averla vista incupirsi: “mi dispiace solo che… insomma… non potrò dargli… una famiglia.” 
Robin voleva immediatamente dire qualcosa, ma Angela lo precedette:
“tesoro, non devi preoccuparti di questo. La famiglia si fa anche in due, credimi, e se l’amore è vero… è una famiglia perfetta.” Regina alzò lo sguardo e, finalmente, incontrò gli occhi di Robin. Vi si perse per un lungo istante e fu come se, in quel momento, potesse leggergli l’anima. Sapeva quanto desiderasse un figlio, almeno quanto lo aveva sempre desiderato lei, e il pensiero di non potergliene dare la tormentava ogni notte, quando chiudeva gli occhi e sentiva le sue braccia avvolgerla in un abbraccio.
Era una vera e propria tortura, un sentimento che non la lasciava in pace mai. Non gliene aveva mai parlato perché sapeva che avrebbe detto qualcosa come “Non importa, io ti amo e voglio stare con te”, e l’argomento sarebbe finito lì perché avrebbe sorriso alle sue parole e si sarebbero scambiati un tenero bacio. Ma ora che finalmente avevano l’occasione di parlarne… per un po’ si sentiva meglio.
“Robin mi ha detto, una volta, di quanto gli piacerebbe avere dei figli…” maledizione, aveva di nuovo gli occhi lucidi. Non poteva piangere lì, non poteva rovinare tutto.
“Amore mio” le prese la mano, costringendola a voltarsi per guardarlo dritto negli occhi “non mi importa, davvero. Tutto ciò che voglio sei tu, rinuncerei a tutto pur di passare la vita con te.”
“rinunceresti ad avere dei figli solo per stare con me, Robin? Onestamente, che cosa ci guadagni da questa storia? Non faccio che assillarti con il mio passato, ogni gesto che fai devi sempre ricordarti di quello che ho subito, scommetto che non riesci ad essere te stesso neppure mentre facciamo l’amore” le lacrime erano sul punto di uscire dai suoi occhi e in quel momento, sia Angela che Robin si resero conto che era troppo tardi, non avrebbero potuto fermarle. “quante volte non ti sei lasciato andare con me, temendo una mia reazione?” Robin non rispose. Dirle che l’amava non sarebbe servito, giusto? Perché lei lo sapeva già. “Dio, sono stata un’egoista a credere che potesse funzionare.” si alzò, si sistemò il vestito e prese la pochette: “con permesso.” non stava andando da nessuna parte, andava verso il bagno, ma Robin si sentiva comunque come se qualcuno stesse cercando di portargliela via. Dio, Dio come erano arrivati a questo?
Fece per alzarsi anche lui, ma sua madre lo bloccò: “ci penso io, tesoro.” si guardarono per un lungo istante prima che Robin potesse convincersi a lasciare le sorti della sua felicità in mano ad una delle donne di cui si fidava di più nella sua vita.

Quando Angela Locksley entrò nel lussuoso bagno del ristorante nel quale suo figlio l’aveva portata a cena affinché conoscesse la sua futura nuora, ritrovò la donna in questione a piangere, cercando in ogni modo di controllare il flusso delle sue lacrime per non rovinare il trucco che, con tanta precisione e cura, aveva messo prima di uscire.
Si sentiva una vera idiota per aver rovinato una cena importante per una sciocchezza, ma era semplicemente stanca di rimandare l’inevitabile.
“Tesoro?” quando sentì la voce calma di Angela arrivarle all’orecchio, non poté far a meno di lasciar andare un’altra lacrima:
“oh, Angela, perché—Non era necessario, davvero. Va tutto bene. E’ solo un attimo.”
“no, non è solo un attimo. Sai anche tu che non lo è.” le si avvicinò, prendendole lentamente il fazzoletto dalle mani, ripercorrendo il percorso che lei stessa, prima, aveva fatto sotto i suoi occhi. Regina si ritrovò a fissare quegli occhi scuri, così diversi da quelli dell’uomo che amava tanto, mentre tentava invano di smettere di piangere. “io e Clay abbiamo desiderato un figlio per molto tempo, per quindici lunghissimi anni di matrimonio. Avevamo perso la speranza, forse un bambino non era nel nostro destino. Abbiamo smesso di preoccuparcene, di comportarci come se la nostra vita dipendesse da quello e fu proprio allora che concepimmo il nostro amato Robin. Vedi, tesoro” fece una pausa, per ricambiare il sorriso meraviglioso che si era aperto sul viso di Regina “io non voglio darti false speranze, perché credo sia la cosa peggiore al mondo. Ma forse, le cose succedono quando devono succedere. Forse si tratta solo di trovare il tempo giusto per tutto.” quando si assicurò che Regina avesse finalmente smesso di piangere, buttò il fazzoletto e ne prese uno pulito, passandolo sotto il getto d’acqua fresca. Lo tamponò leggermente sotto i suoi occhi: “anche se non dovesse succedere, tesoro, credimi, non devi sottovalutare quel figlio di una buona donna.” rise “spesso nella vita si è costretti a fare delle scelte; mio figlio ha dovuto scegliere tra l’avere dei figli con una donna che non era chiaramente quella giusta per lui, e vivere una vita felice con accanto l’amore della sua vita. Indovina quale ha scelto.” 
Regina arrossì dolcemente, ma sorrise comunque. Il suo cuore batteva ogni volta che Angela si riferiva a lei come l’amore della vita di suo figlio. Significava che era così che Robin si riferiva a lei quando parlava con sua madre, e non poteva che sentirsene onorata.
“tesoro, non sottovalutare mai le decisioni che Robin prende. Ci mette una vita a prenderle, è vero, ma quando lo fa, non torna indietro. Ti ama, e ti ama come non credeva possibile amare qualcuno. Devi fidarti quando te lo dice, conosco il mio bambino.” sorrise un’ultima volta, prima di buttare anche l’alto fazzoletto. Ecco, ora era perfetta, come se niente fosse successo, come se il suo viso non avesse mai visto una lacrima. Angela era una vera esperta in questo. “Coraggio, ora va da lui. Conoscendolo si starà strappando i capelli dalla voglia di entrare in questo bagno.”
Risero assieme, poi Regina annuì con serietà:
“grazie mille, Angela.”
“di nulla, tesoro.”

Quando tornarono a casa, Robin aiutò Angela a sistemare la stanza degli ospiti. Le diede delle lenzuola nuove, un cuscino comodo e si assicurò che avesse tutto ciò di cui aveva bisogno. Sia lui che Regina salutarono la donna con due baci sulle guance, poi, quando finalmente rimasero soli, Robin non disse una parola, ma guardò intensamente la donna che amava per un lungo istante. Rimasero così, un intreccio di sguardi che sembrava non finire mai. E poi, lui se ne andò, dritto nella loro camera, senza neppure un sospiro di più.
Regina era preoccupata; dopo il suo pianto al ristorante non avevano avuto occasione di parlarsi sul serio, a parte un “va tutto bene?” ed un semplice “sì” come risposta, si erano sistemati in macchina e lui aveva riportato le due donne a casa. Dovevano chiarirsi, lui aveva bisogno di chiarire ancora molti punti.
“Robin?” sussurrò timidamente, entrando in quella che ormai era la loro camera da letto. Entrò e chiuse la porta dietro di sé, poggiandovisi con la schiena. “credo che… sia il caso di parlarne.”
“no.” disse semplicemente. Era in piedi, di fronte a letto, le mani sui fianchi e un’aria piuttosto esausta. Era arrabbiato? Con lei? Accidenti, non avrebbe dovuto dire quelle cose. “sono stufo di parlare, Regina. Sono mesi che continuo a ripeterti le stesse cose e tu… non mi credi. Non servono più le parole.” camminò verso di lei, lentamente, prima un passo poi l’altro. “vuoi vedermi essere me stesso?” le sue mani erano improvvisamente sui fianchi di lei, tirandola a sé, contro di sé. Regina si sentì mancare l’aria quando sentì le sue mani accarezzarle la schiena, arrivare al sedere e scendere più giù, fino all’estremità del suo vestito blu. La baciò, la baciò con così tanta passione che Regina dovette soffocare un gemito nella sua bocca, mentre stringeva i suoi capelli biondi tra i pugni. La baciò con così tanta passione che si dimenticò di dove fosse, di cosa fosse successo prima e di cosa stava succedendo in quel momento. Era così maledettamente persa in quel bacio che la casa sarebbe potuta crollare attorno a loro e lei avrebbe continuato a stringerlo a sé, pur di sentire le sue labbra contro quelle di Robin.
Si divisero ed immediatamente la sua bocca si concentrò sul collo di Regina, divorandolo come se la sua pelle avesse il sapore del suo cibo preferito. Sentiva le sue mani sollevare il tessuto del vestito, finché non era appena sopra al suo inguine, quel tanto che bastava per permettergli di accarezzarle le cosce, come ad invitarla a stringerle attorno alla sua vita.
E così fece, nel giro di un secondo, Regina era tra le sue braccia, bloccata contro il suo corpo e la porta, come la prima volta. Questa volta, però, come da lei richiesto, non si sarebbe trattenuto, avrebbe dato vita a tutte le fantasie che aveva avuto su di lei, si sarebbe lasciato andare e le avrebbe sussurrato ogni desiderio nascosto, ogni sensazione, esplicitamente.
Camminò verso il letto e la poggiò sul materasso. La guardò negli occhi, era buio nella stanza ma lei riusciva comunque a distinguere quella scintilla in quell’oceano profondo color blu metallico che le faceva venire i brividi.
Velocemente si liberò delle scarpe, si sbottonò la camicia e la lanciò chissà dove nella stanza; si prese tempo per slacciarsi la cintura, godendosi il modo in cui le pupille di Regina si dilatavano ad ogni centimetro di pelle che scopriva. Non si sarebbe tolto quei jeans, non quella volta.
“vuoi che mi lasci andare mentre faccio l’amore con te stanotte, amore mio?” Sentì le sue mani alzare la gonna quanto più possibile, poi afferrò l’elastico delle sue mutandine e le tirò giù, lentamente, ma non troppo. Regina strangolò un gemito:
“sì. Ti Prego.”
“sei sicura? Perché non ci saranno coccole, non ci saranno tenerezze, esitazioni o momenti di pausa. Ti prenderò qui e ora, perché ti voglio, ti voglio da impazzire, non riesco a pensare ad altro da quando ti sei messa questo vestito addosso.” le prese il labbro inferiore tra i denti e ne percorse l’intera superficie, sentendo il modo in cui la sua pelle si elettrizzava ogni secondo di più. “perciò te lo ripeto ancora una volta, amore mio.” la sua lingua accarezzò ciò che i suoi denti avevano appena toccato, poi le sorrise. Quel sorriso. “vuoi che mi lasci andare mentre facciamo l’amore, stanotte?” 
Dio, lo voleva. Lo voleva lì e subito, non voleva coccole, non voleva tenerezze, non voleva esitare un momento di più. Non voleva che si fermasse nel bel mezzo dell’atto, solo perché aveva paura di una sua reazione. Niente più ostacoli, non si sarebbe dovuto mai più trattenere. 
Mentre Robin faceva scivolare la mano nelle sue mutandine per accertarsi che si sentisse davvero a suo agio con la situazione, Regina gemette un “sì”, inarcando la schiena contro il suo tocco. “ti prego, sì.” ribadì mentre Robin portava gli occhi nei suoi, semichiusi. Era deciso ormai, e lo era anche lei.
Velocemente, sfilò quello strato di stoffa leggera che era solo un ostacolo per l’unione tra i loro copri. La guardò un’ultima volta, prima di allineare i suoi fianchi a quelli di Regina, ed entrare finalmente in lei. I loro occhi si erano chiusi all’unisono, mentre le labbra di Regina si spalancavano per lasciare uscire un dolce gemito. La stoffa dei pantaloni di Robin strusciava contro il suo corpo ad ogni movimento, e non faceva che eccitarla ancora di più. Era tutto così fugace, intenso, passionale. Dettato dalla foga del momento, non c’era niente di calcolato, niente di razionale, come è giusto che sia il sesso. Si muoveva dentro di lei ad un ritmo irregolare, alternando spinte forti e decise ad alcune più dolci, in cui si dedicava a venerare il resto del suo corpo. Alzò ancora un po’ il suo vestito, che ormai era solo uno strato di stoffa blu arrotolata sopra il suo seno; prese un capezzolo fra i denti, poi lo passò sulla sua lingua e lo strinse tra le labbra, applicando la pressione necessaria a farle inarcare la schiena e chiederne ancora. Ne voleva ancora, della sua bocca, ovunque. Sentiva il bisogno di sentirlo in ogni parte di sé, e glielo dimostrava mentre spingeva le unghie nella sua pelle, scendendo per la schiena fino ad incontrare la cintura dei suoi pantaloni, superandola, infilando le mani nei suoi boxer, afferrando il suo fondoschiena. Sentiva ogni movimento del suo bacino contro i suoi palmi e, ad una spinta più decisa delle altre, affondò le dita nella sua carne, mentre un gemito riempiva la stanza.
“Ancora” aveva chiesto, quando era talmente vicina all’apice del piacere da non poter più tollerare un ritmo dolce e lento. “Ne voglio ancora.”
Robin gemette nel suo orecchio, prima di portare i palmi all’altezza delle spalle di Regina e sorreggervisi. “non hai idea di quanto tu sia bella in questo momento.” sussurrò piano. Ed era vero; illuminata da nient’altro se non la luce della luna, il corpo completamente imperlato di gocce di sudore, i capelli erano un vero e proprio disastro ormai, ma era quel tipo di disastro sexy che gli piaceva da impazzire. “mi muovo dentro di te, possiedo il pieno controllo del tuo corpo eppure voglio di più, non ne ho mai abbastanza di te, Regina, mi stai guidando sull’orlo della follia.” non aveva smesso di spingere in lei neppure per un secondo; la sua testa era abbandonata sul materasso, il collo inarcato verso l’alto, la bocca spalancata e gli occhi semichiusi. Era in estasi, proprio come lo era lui. “ti voglio tutta la notte, voglio prenderti in tutti i modi” Regina si morse il labbro così forte che una piccola goccia di sangue ebbe accesso alla punta della sua lingua:
“sì, ti prego. Sì.” un sorrisetto si fece strada sul viso di Robin, mentre aumentava sempre di più il suo ritmo. Regina fremeva, gemeva, si dimenava sotto di lui; le sue braccia si chiusero attorno al suo collo e quello era un segnale più che chiaro per lui. Si copriva sempre il viso quando veniva, faceva in modo di coprirlo contro il suo corpo, in particolare preferiva nasconderlo nell’incavo della sua spalla.
Ma questa volta non gliel’avrebbe lasciato fare. Questa volta non si sarebbe dovuta frenare.
“Guardami” sussurrò, portando gli occhi nei suoi, con fatica. Regina dovette trattenersi ancora una volta dal gridare il suo nome, mentre Robin, con l’ennesima spinta, toccava il punto più sensibile dentro di lei. “Guardami mentre vieni, amore mio. Lasciati andare con me.”
“Robin, non— sto per—” stava per collassare, era quella la verità: faticava a tenere gli occhi ancora aperti e guardarlo, guardare il modo in cui quell’oceano profondo si riempiva di piacere, di desiderio ancora più intenso, di quella scintilla che le faceva desiderare cose di cui si vergognava; era semplicemente troppo per lei. Doveva esplodere, esplodere attorno a lui. 
E così fece, fu questione di un attimo, un attimo in cui lo sentì venire dentro di sé in un gemito profondo, mentre, non solo i loro corpi, ma anche i loro occhi erano uniti, intrecciati, cioccolato e oceano.
Le prese il viso in una mano e la baciò con così tanta passione da farle desiderare di ricominciare tutto d’accapo, pur essendo ancora scossa dall’orgasmo precedente.
Fece in modo di rivoltare la situazione: ora lei era sopra di lui, e la sua lingua era ancora nella bocca di Robin.
“Ti voglio ancora” gemette contro le sue labbra “prendimi ancora, prendimi tutta la notte, prendimi in tutti i modi, Locksley. Sono tua.” e quel sorriso non poteva che confermarglielo. Eccola quella regina guerriera, ecco la donna forte di cui si era perdutamente innamorato, eccola lì, di nuovo, dopo troppo tempo era di nuovo lì. E non se ne sarebbe più andata.
Era sua.
 

come direbbe Zelena: oops. Mi ero dimenticata di mettervi in guardia sui contenuti espliciti di questo capitolo!
spero vi sia piaciuto comunque, fatemi sapere cosa ne pensate, come al solito, se vi va.
un bacio, alla prossima!

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


Come al solito, perdonate l'immenso ritardo.
Spero vi piaccia anche questo capitolo!

 

Svegliarsi alle dieci inoltrate di domenica mattina non era usuale per loro. Ma dopo una nottata come quella che avevano passato, di sicuro si meritavano un po’ di riposo. Erano nudi, abbracciati stretti, a malapena coperti da un morbido lenzuolo di seta azzurro che a Regina ricordava tanto gli occhi di Robin. Furono proprio questi ultimi ad aprirsi per primi.
Regina era sdraiata sul fianco, gli dava le spalle e, certo lui non poteva vederlo, ma sorrideva, proprio come lui, inconsciamente, nel sonno. La prima sensazione che Robin ebbe da appena sveglio fu di completezza, pura e semplice. Sentiva il profumo dolce della sua pelle solleticargli il naso, quindi avvicinò le labbra alla sua spalla e vi lasciò un tenero, delicato bacio. Apparentemente fu abbastanza per svegliarla: la sentì girarsi verso di lui, con gli occhi ancora chiusi, solo per rannicchiarsi contro il suo petto nudo. 

“Ti lascio dormire ancora un po’, vado a controllare che mia madre non abbia fatto saltare in aria la cucina.” sorrise, baciandole la tempia. Lei lo supplicò:
“Ti prego no, rimani ancora un po’ qui con me! Mi piace restare un po’ a letto con te la mattina, lo sai.” sorrise teneramente, lasciando un bacio sul suo petto caldo. Robin ghignò: non poteva assolutamente dirle di no, quell’angelo era semplicemente di una dolcezza irresistibile. La strinse a sé teneramente: “dovresti dormire, lo sai? Ci siamo lasciati prendere la mano stanotte…” 
ci?” rise, tirando su il viso per poterlo guardare. “Robin, tre volte.”
“tre meravigliose volte.” chiuse gli occhi e, per un breve istante rievocò alla mente tutte le sensazioni meravigliose che avevano provato la sera prima. Solo verso le tre del mattino erano crollati esausti nella stessa posizione in cui si erano svegliati.
“mi sento… stanca.” 
“dovresti dormire ancora un po’, ci penso io a mia madre.” improvvisamente, a quelle parole, fu come se un lampo di memoria la scuotesse completamente. Merda. 
oddio, che vergogna!” disse, seppellendo la testa sotto il cuscino come una bambina. 
“che c’è?” Robin voleva ridere alla dolcezza che era, anche senza rendersene conto.
“tua madre! Pensi che ci abbia sentito?”
“beh, diciamo che non hai certo mantenuto un tono di voce basso.” sorrise, accarezzandole la schiena.
“oddio! Oddio! Non potrò mai più guardarla negli occhi, sarà orribile!”
Robin finalmente ridacchiò: “tesoro, potrai non crederci, ma mia madre sa come si fa sesso. E sa che siamo adulti, siamo grandi, vaccinati e sappiamo quello che facciamo.”
“è stata una pessima idea, avremmo dovuto aspettare—”
“oh, credimi, con quel vestito che avevi, è già tanto se sono riuscito a resistere fino a casa.” la vide arrossire di colpo, poi sorridere mentre Robin le si avvicinava per baciarla. “dormi, amore mio, dormi un altro po’.” la strinse a sé e non la lasciò finché non si fosse assicurato che stesse dormendo tranquilla. 
Si infilò i boxer e il pigiama, poi aprì la porta, solo per trovare un profumo delizioso a solleticargli il naso. Mmh, torta di mele. E… biscotti. Seguì la scia fino alla cucina, dove trovò sua madre intenta a sfornare un’altra teglia di biscotti. Sul tavolo c’era già una torta, due crostate, un piatto colmo di frittelle e un cesto pieno di biscotti.
“Mamma, hai fatto da mangiare per un esercito!”
“Beh, direi che hai bisogno di energie dopo stanotte.” gli fece l’occhiolino e le guance di Robin si colorarono di un rosso leggero.
“Hai..”
“Ho solo immaginato che abbiate fatto la pace ieri sera, dopo tornati. Come facevamo io e tuo padre dopo ogni lite.”
“Oh, ti prego, risparmiami i dettagli.” Angela rise, mentre sistemava i biscotti caldi accanto agli altri. Robin prese un piatto e si sedette accanto a lei, prendendo subito un paio di frittelle e una fetta di crostata. Era una bellissima giornata, perfetta per una passeggiata all’aperto. Magari ne avrebbero approfittato per portare Angela a visitare la città, l’occasione perfetta per farla avvicinare a Regina ancor più di quanto già non lo fosse.
“Allora, che ne pensi di Boston? La preferisci ad Atlanta?”
“Non particolarmente. Atlanta è meno caotica e la gente non sembra tutta appena uscita da un manicomio.” Robin ridacchiò. 
“Mi piacerebbe portarci Regina, un giorno.”
“Oh sì, dovresti. La adorerebbe, ne sono sicura.” fu proprio in quel momento che sentirono la porta della stanza da letto aprirsi. Regina ne uscì timidamente, indossando la sua vestaglia bianca ma, grazie a Dio, aveva indossato la biancheria sotto.
"Buongiorno a tutti!” esclamò.
“Amore, ti avevo detto di dormire un altro po’!” 
“Lo so ma mi sono svegliata un attimo e tu non c’eri, quindi…” arrossì “tanto valeva alzarsi.” diede un’occhiata al tavolo e ciò che vide le fece venire immediatamente l’acquolina in bocca. “Dio, Angela, sembra tutto delizioso.”
“accomodati pure, cara, prendi quello che vuoi, l’ho fatto per voi.” la donna sorrise con dolcezza e a Regina si strinse il cuore. Mai nessuna l’aveva trattata con così tanto amore, come se fosse una figlia a cui voleva bene. In Angela Locksley aveva ritrovato quella madre che non aveva mai avuto e sempre desiderato, quella figura dolce e gentile che prepara le frittelle per colazione e ti accoglie la mattina con un sorriso invece che le solite critiche sulle sue scelte di vita.
“Grazie.” si ritrovò a dire, mentre addentava un biscotto.
“Figurati. Dunque, oggi è una splendida giornata e io avrei davvero bisogno di comprare dei vestiti nuovi” disse, emozionata “Vi va di accompagnarmi per negozi? So che abbiamo tutta una settimana, ma—”
“Assolutamente sì” Regina sorrise, ignorando Robin che, da sotto il tavolo, le stringeva la mano, come a impedirle di farlo. “Sarà divertente, vero Robin?”

“Tu non hai idea di che cosa hai acconsentito di fare.” disse tutto serio, entrando nella loro camera già vestito, mentre lei era ancora in intimo. Regina lo guardò con aria confusa e lui si apprestò a chiarire: “Mia madre spende ore intere in un negozio, prova duemila vestiti e finisce per sceglierne solo uno. E’ estenuante starle dietro, credimi.”
Regina rise: “Niente che io non condivida. Ci vuole tempo per comprare una cosa, lo sai? Capisco che per voi uomini sia più facile, visto che i vostri vestiti sono tutti uguali ma—”
“Ok, adesso stai iniziando a farmi paura. Dici le stesse cose che dice lei!”
Rise di nuovo, poi gli si avvicinò lentamente.
“Non fare il bambino capriccioso. Ad un certo punto potremmo… lasciare tua madre nel negozio accanto mentre  io vado a comprare dell’intimo nuovo.” sussurrò mentre giocherellava con la bretella del reggiseno. Lo vide mordersi il labbro e arrossì, ma decise di continuare: “E magari potresti accompagnarmi e consigliarmi su quale dovrei prendere.” tracciò teneri baci lungo la sua mandibola. Robin scoppiò a ridere, trascinandosi dietro anche lei:
“Ok, ok, mi hai convinto. Ma solo se farai alcune prove per me, nel camerino.”
Regina sorrise, poi gli mollò un bacio sulla guancia ed annuì: “Prometto.” 
Alla fine, poteva essere divertente.

Robin aveva avuto ragione: erano riusciti a visitare soltanto tre negozi e, in ognuno, Angela ci aveva speso almeno mezz’ora, senza comprare assolutamente nulla. Regina ne era divertita, mentre Robin si sentiva come un bambino costretto a seguire la mamma mentre fa shopping. Avrebbe preferito di gran lunga una passeggiata nel parco.
Ad un certo punto, Regina gli aveva preso la mano, gli aveva sorriso e, con la stessa innocenza di sempre, l’aveva trascinato nei camerini. Il sorriso che si era acceso sul viso di Robin sarebbe stato in grado di illuminare l’intera città durante un blackout, ma si era fatto un’idea totalmente sbagliata delle sue intenzioni: “Aspetta qui.” gli aveva detto prima di sparire dietro una di quelle tendine di un giallo spento del negozio. Non aveva neppure notato quello che aveva preso dagli stand, troppo impegnato a fantasticare sulle mille cose che avrebbero potuto fare dietro quelle tende.
“Che te ne sembra?” Uscì di lì quasi svestita, indossava soltanto un minuscolo bikini rosso, che le faceva risaltare perfettamente il colore olivastro della sua pelle. Robin dovette sorreggersi contro la colonna per non cadere e mordersi la lingua per non imprecare. Era bellissima, e, in quel momento, era come se la stesse guardando per la prima volta.
“Pensavo che, magari, un giorno, potremmo andare in vacanza al mare. Ti piace?”
“Oh… sì.” fu in grado di biascicare. Regina ridacchiò, facendo un giro su sé stessa e fu lì che lo vide: il pezzo sotto lasciava ben poco all’immaginazione e, normalmente avrebbe gradito eccome, se non fosse che avrebbe dovuto indossarlo in una spiaggia. Pubblica. Con altra gente. “Forse dovresti prenderne uno più coprente.” era… rossore quello sulle sue guance? Regina dovette trattenersi dallo scoppiare a ridere.
“Oh, non ricordavo ti desse così fastidio in camera da letto.”
“Questo è perché era uno spettacolo riservato solo ai miei occhi ma in spiaggia ci sarà… gente.”
Si lasciò finalmente andare ad una lunga risata, poi gli buttò le braccia al collo, attenta a non uscire troppo dal camerino: “Io sono interessata ad avere la tua di attenzione, non quella degli altri. E, alla fine della giornata, chi tornerà a casa con questo culo sarai tu, Locksley.”
Nonostante la gelosia, era felice che fosse di nuovo sicura di sé e della sua bellezza. Per troppo tempo aveva nascosto quel corpo, temendo chissà quale reazione del marito o perché si vergognasse o temesse qualche insulto. Era felice perché poteva essere di nuovo la meravigliosa sé stessa di cui si era follemente innamorato.
“Dovresti prenderne anche uno blu.” sussurrò, portando una ciocca dei suoi capelli scuri dietro l’orecchio. “E’ un colore che, come avrai notato ieri notte, mi fa impazzire su di te.” così dicendo, con quel sussurro provocatorio, si staccò da lei, permettendole di richiudere le tendine e cambiarsi.
Fu solo allora che Regina Mills riuscì a riprendere fiato.
Uscì soltanto quando si assicurò che Robin non fosse lì. Aveva una cosa da fare e lui… non poteva saperlo. Nemmeno Angela, non ancora.
Entrò in un negozio tutto particolare, mentre prendeva il telefono dalla borsa e componeva un numero. “Rothman.” rispose la voce dall’altra parte.
“Linda? Sono Regina. Vorrei vederti per discutere di una cosa.” 
“Ancora Victor?”
“Sì. Voglio fargli visita in prigione.”
 

zan zan!
ahahaha, colpo di scena, kind of.
un bacio alla prossima che, vi giuro, sarà presto.
x Ella

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


Eeeeeed eccoci tornati!! spero che, dopo questa lunga attesa (date pure la colpa ai libri e allo studio) siate ancora pronti per seguire un nuovo capitolo!
Spero vi piaccia, un bacio grande e buona lettura! xx

ah e, ci sono dei contenuti espliciti *emoji sassy che non posso mettere dal pc*

 
 
Passò una settimana da quando Regina aveva telefonato al suo avvocato. Ormai era decisa a fare visita a Victor in prigione; si sentiva pronta per rivederlo dopo tempo, era sicura di sé. Aveva acquistato una forza ed una fiducia in sé stessa che non ricordava di avere mai avuto, e tutto grazie all’uomo che amava.
“Amore mio” sussurrò Robin, arrivando alle sue spalle con un tenero abbraccio, mentre lei era intenta a preparare il pranzo. “Vieni con me oggi pomeriggio? Porto mamma ad assaggiare il gelato più buono della città.” inspirò il suo profumo a pieni polmoni, prima di lasciare un morbido bacio sulla pelle liscia del suo collo. “Domani all’ora di pranzo la riaccompagno all’aeroporto. E poi sarai tutta, tutta mia finalmente.” la fece sorridere e rabbrividire allo stesso tempo. Era da una settimana che non facevano l’amore; si mancavano da morire, e il desiderio per entrambi era folle, solo che Regina non aveva voluto. Non dopo l’esperienza della settimana scorsa, assolutamente. Non voleva rischiare che Angela sentisse di nuovo tutto, era già stato abbastanza imbarazzante la prima volta.
“Mmh, dunque ti sono mancata.”
“Da impazzire.” le sue mani vagarono lungo tutto il suo corpo, si infilarono sotto la sua maglietta e salirono di nuovo, fino ad incontrare il reggiseno. Regina liberò un gemito mentre si lasciava andare contro il suo corpo, rilassando la testa sulla sua spalla. Lasciò che lui la toccasse perchè, Dio, le mancava il suo tocco, da morire. Angela era appena entrata in bagno per fare una doccia, avevano almeno trenta minuti.
Sentiva le sue mani massaggiarle il seno tra i suoi gemiti, mentre dolcemente le sussurrava quanto e come gli fosse mancata. 
“Robin, il letto…” sussurrò quando si accorse che, per lui, toccarsi non bastava più.
“No” lo sentì respirare nel suo orecchio e non poté che chiudere gli occhi e gemere di nuovo. “Ti voglio qui, ora.” Si sbottonò in fretta i jeans e lasciò che cadessero attorno alle sue caviglie, le alzò la gonna così velocemente che Regina neppure si rese conto di quello che stava succedendo. Era tutto così… improvviso. Sorrise, mentre le accarezzava l’intimità dalla stoffa delle sue mutandine. 
“Ho creduto di impazzire per tutta la settimana, lo sai, vero?”
Regina annuì, conscia di avere il viso completamente in fiamme. Era così dolce, mentre tentava di nascondere la faccia nell’incavo del suo collo; la desiderava. La voleva da impazzire.
“Prendimi.” sussurrò prima di baciargli il lobo dell’orecchio. Robin non se lo fece ripetere due volte, la accarezzò un’ultima volta, per assicurarsi che fosse realmente pronta per lui, poi spostò le sue mutandine di lato ed entrò in lei, mentre il fondoschiena di Regina premeva con forza contro i suoi fianchi.
Gemettero entrambi e lui osservò come la sua schiena si inarcava ad ogni spinta, formando un arco perfetto. Regina lo sentiva muoversi velocemente dentro di sé e desiderava urlare, urlare per dirgli che ne voleva ancora, urlare per dirgli che stava toccando, oh, proprio il punto giusto, urlare semplicemente il suo nome. Ma non poteva fare niente di tutto ciò e lo sapevano entrambi. 
Robin sapeva quanto Regina fosse sensibile ed avesse bisogno di gemere, quindi, mentre le faceva fare qualche passo finché non si ritrovò bloccata tra il muro ed il suo corpo, le mise una mano sulla bocca, invitandola a poggiare di nuovo il viso sulla sua spalla e a rilassarsi.
Ma non era facile, Regina era tesa, ogni spinta era come toccare l’apice e non poterne gridare, era come se stesse lì lì per esplodere.
“Robin… oh…” riuscì a sussurrare, mentre le dita di Robin si insinuavano tra i suoi capelli, tirandole il viso all’indietro, contro il suo. Aveva libero accesso al suo collo, il punto in cui i baci la eccitavano di più, non poteva non approfittarne: affondò labbra e lingua nella sua pelle, succhiando forte, lasciando ciò che presto sarebbe diventato rosso, grande e oh, davvero imbarazzante.
Regina si dimenò, sbatté entrambi i pugni contro il muro contro il quale l’aveva spinta, si morse il labbro così forte da farlo sanguinare, mentre si sentiva così maledettamente vicina al culmine. “Sto per… Mmfh” Sì, aveva gridato e sì, l’aveva fermata in tempo, poggiando la sua mano contro le sue labbra. Riportando il viso sulla sua spalla, ora erano di nuovo vicini, ora potevano guardarsi e sorridersi, mentre lei gli sussurrava, supplicando, di non fermarsi proprio ora.
Ogni spinta era forte e decisa, ma allo stesso tempo era riuscito a mantenere quel ritmo veloce che la faceva impazzire. 
“Lasciati andare, amore mio. Vieni. Vieni per me.” e così fece, di lì a poco, mentre lui la sentiva contrarsi attorno a sé. Bastò questo a mandarlo fuori di testa, a fargli tirare la testa all’indietro e gemere, il più piano possibile.
Regina si lasciò andare in avanti, finché i suoi palmi non si ressero fermamente sul tavolo. Era a malapena in grado di reggersi in piedi, come poteva sperare di comportarsi come se niente fosse successo? 
“Dio…” 
“già.” sorrise, mentre si sistemava i pantaloni e la guardava riprendere fiato, non potendo far a meno di gongolare per essere stato in grado di darle così tanto piacere. “Ti consiglio di tirare giù quella gonna prima che mi venga voglia di rifare tutto da capo.” sorrise, mentre la raggiungeva e la baciava con passione. Regina sorrise:
“Domani.”
“Domani.”

Regina aveva tentato di coprire quel succhiotto per tutto il tempo, ma ormai era tardi, Angela Locksley aveva un occhio speciale per i dettagli e sicuramente quello non le era sfuggito. O forse si stava facendo troppe paranoie. Troppe.
Mentre era in camera da letto a tentare faticosamente di coprirlo con il trucco, si chiedeva se fosse realmente pronta per riaffrontare tutto di nuovo. Sapeva di dover rivedere Victor prima o poi, non poteva sperare di esserselo tolto dai piedi per sempre. Ma era ciò che voleva. Finalmente aveva preso una decisione, per la prima volta nella sua vita era sicura di una decisione presa nei confronti di quell’uomo. Non sarebbe tornata indietro.
“Io e la mamma stiamo uscendo. Sicura di non voler venire con noi?” entrò nella loro camera da letto, con un bellissimo sorriso.
“Sicura. Credo di essere davvero troppo impegnata a tentare di coprire ciò che hai fatto.” lo fulminò con lo sguardo attraverso lo specchio e Robin non poté far a meno di ridere.
“Ehm… mi dispiace?” si strinse nelle spalle.
Regina sorrise: era davvero impossibile anche solo fingere di essere arrabbiata con quell’uomo. 
“Quindi, cosa farai questo pomeriggio tutta sola in casa?” 
“Credo che…” ingoiò il magone e tentò di mantenere un tono calmo, sperando davvero che non si accorgesse che mentisse. “Credo che correggerò alcuni compiti e riposerò. E’ stata una settimana davvero estenuante.” 
Robin annuì semplicemente. La capiva. 
“Ci vediamo dopo, amore mio.” Regina si voltò e finalmente le loro labbra si unirono. “Ti amo.” 
“Ti amo anch’io.” c’era una strana titubanza nella sua voce. Mentirgli era la cosa che più odiava fare. Non l’aveva mai fatto davvero e, il solo pensarci, le dava i brividi, ma questa volta doveva. Prima o poi glielo avrebbe detto, certo, ma per ora, doveva solo fingere.
Si assicurò che Angela e Robin fossero usciti da almeno un quarto d’ora, prima di salire in macchina e guidare fino alla prigione. Il cielo era grigio, come se il mondo avesse voglia di rispecchiare il suo stato d’animo in quel momento. Mentre si segnava sulla lista dei visitatori, provava lo stesso senso di angoscia che provava ogni volta che tornava a casa e c’era Victor ad aspettarla. Quella sensazione che, ormai, non provava più da quattro mesi.
“Il suo nome, prego.” disse una delle guardie, riportandola al presente.
Regina scosse la testa, poi tentò di sorridere e con un tono cortese sussurrò: “Regina Mills.”
“In che veste viene a visitare il detenuto?”
“Sono… sono sua moglie.” si morse la lingua, sentendosi morire. Era una sensazione orribile sentirsi chiamare così di nuovo. 
“Lei è la signora Hadler?” 
“Sì. Ho—Ho mantenuto il mio cognome.” 
“Posso avere un documento?” 
“Pensa che menta? Crede davvero che verrei mai a far visita al figlio di puttana che mi ha violentato per tre anni consecutivi, che mi picchiava e mi faceva sentire una merda, se non fosse necessario?” Calma, Mills, calma. 
“E’ la legge signora.” Vedeva la donna di fronte a sé mortificarsi ed avvampare d'improvviso. Dio, aveva esagerato.
“Scusi.” tirò fuori il portafogli e fornì la sua carta d’identità, al quale la donna diede un’occhiata veloce, mordendosi il labbro, come se fosse estremamente dispiaciuta per lei. Di nuovo persone a cui faceva pena. Erano mesi che non provava queste sensazioni.
“Prego, segua la guardia.” un uomo alto, in uniforme, con un panciotto, perfetto per incarnare la figura del poliziotto buffo dei fumetti. Regina sorrise cordialmente, seguendolo fino ad una sala in cui la gente era separata da un vetro e si parlava attraverso la cornetta di quello che apparentemente era un telefono. C’era di tutto là dentro, senza neppure menzionare la puzza tremenda di sudore e… altro. Cercò con lo sguardo una sedia libera che, a giudicare dalle circostanze, doveva essere la sua. Il che sarebbe significato che, dietro a quel vetro, c’era lui.
“Ci siamo. Si sieda pure e si ricordi che non può toccarla in alcun modo. Io sarò proprio qui, se ha bisogno di me.”
“La ringrazio.” l'uomo sorrise e, con gentilezza, si congedò.
Non c’era ancora nessuno di fronte a lei, Victor non era ancora arrivato, il che era un bene. Aveva forse ancora un minuto prima che il suo passato, il suo dolore, la sua sofferenza, le si parassero davanti agli occhi di nuovo.
Poteva farcela. Sapeva di potercela fare. Prese un profondo respiro, poi un altro e, quando riaprì gli occhi, lui era lì, seduto di fronte a lei, mentre indossava la tuta arancione che era chiaramente ciò che si meritava.
Si affrettò ad afferrare il telefono, come se fosse la sua ancora di salvezza, mentre lo portava sul viso ed esclamava un “Regina!” tanto forte che riusciva a sentirsi comunque, anche attraverso il vetro. Regina prese il suo, lo poggiò sulla guancia lentamente, la mano palesemente tremolante.
“Tesoro, come stai?” 
E poi, all’improvviso, le venne da ridere: “come sto? Tesoro?” sorrise, amaramente “Molto meglio di come stavo quattro mesi fa.”
“Lo so, e mi dispiace. Credimi, sto facendo passi da gigante da quando sono qui. Ho capito moltissime cose e, credimi, so di aver sbagliato con te.” sorrise, stringendo forte le dita attorno alla cornetta “Ti amo, Regina. Ti amo da sempre. Finalmente l’ho capito.” 
Ok, si aspettava tutto ma non questo.
“Tu non mi ami. Tu ami l’idea di possedermi, come se fossi un oggetto. Tu non hai la più pallida idea di che cosa sia l’amore, Victor.”
“No, credimi, lo so. Ti ricordi come eravamo felici, prima? Avevamo tutto. La mia voglia di avere un bambino ha… ha mandato tutto a puttane e di questo mi dispiace. Io ti accetto per quello che sei, anche se non puoi darmi un figlio, Regina.” sorrise, ma durò poco, perché i suoi occhi caddero su quel maledetto segno rosso che non era riuscita a coprire e dove una sciarpa non poteva arrivare. “che cos’è quello?” disse, freddo. Il tono che aveva prima nella voce era decisamente sparito. Eccolo, l’uomo che era davvero.
“Non sono affari tuoi.”
“Invece lo sono, sei mia moglie, Cristo Santo, sono affari miei se ti fai scopare da un altro.” ringhiò “Chi è? E’ quel preside vero? Com’era il suo stupido nome? Robert…”
“Robin. E io lo amo.” era così decisa, non aveva esitato neppure per un secondo e, di questo, ne era fiera. “Sì, facciamo l’amore e sai una cosa? Quando mi tocca, quando mi accarezza, non ho voglia di urlare, non ho un insopportabile senso di nausea. Gemo, fremo e mi lascio andare come non facevo da quasi quattro fottutissimi anni.” 
Lo vide stringere la cornetta fino a far diventare le nocche bianche, rabbia, forse voglia di gridarle contro tutti gli insulti che conosceva. Lo vide chiudere gli occhi e prendere un profondo respiro: “Ma sei venuta comunque qui da me. Mi ami ancora, non è vero?” un lampo di speranza guizzò nei suoi occhi.
“No. Sono qui per dirti di chiamare un avvocato, perché lunedì prossimo alle due incontreremo un giudice.” disse severamente. “Voglio il divorzio, Victor, e lo otterrò, che tu lo voglia o no.” 
Lo sentì sbattere un pugno contro il tavolo, così forte da far accorrere la guardia che l’aveva accompagnata da lui, per assicurarsi che andasse tutto bene. Lei annuì semplicemente.
“Che cosa credi? Che ti sposerà? Scommetto che gli hai raccontato tutto di me. Sta con te solo perché gli fai pena e probabilmente crede che ti suicideresti se ti lasciasse.”
“Lui mi ama. Cosa che tu non hai mai fatto e non sarai mai in grado di fare. Perciò vaffanculo, Victor. Ci vediamo in tribunale.” stava per riagganciare, quando lui le chiese, o meglio, le ordinò di aspettare.
“Ti prego, tesoro, ripensaci. Sai che siamo fatti per stare insieme, lo sai che nel profondo mi ami ancora.” portò gli occhi dritti nei suoi e ghignò “ti prego, Regina, perdonami. Io ti amo e voglio dimostrartelo. Tutti commettono errori, giusto?”
“Sì. Ma i tuoi errori erano contro la legge.” e così dicendo, posò la cornetta e si alzò, chiamando la guardia per annunciargli che la sua visita era finita.
 

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


ritardo disastroso, ma eccomi di nuovo qui!
questo capitolo è... particolare.

 
Quando tornò a casa, Regina sapeva di star portandosi dietro un enorme segreto. Parlarne con Robin era fuori discussione, non voleva che Victor lo vedesse, era molto pericoloso e, sicuramente, non sarebbe rimasto in prigione a vita. Non voleva rischiare di mettere in pericolo la persona che amava con tutta sé stessa.
E poi, comunque, parlarne quando Angela era ancora con lei non sarebbe stato possibile. Non aveva alcuna voglia di coinvolgerla in tutta quella merda. 
Si spogliò in fretta, rimettendosi addosso ciò che aveva prima che Robin uscisse, poi prese i compiti che doveva davvero correggere e si sedette sul divano. Robin ed Angela rientrarono solo due ore dopo, carichi di buste colorate.
“Regina? Oh tesoro, abbiamo fatto shopping!” esclamò Angela, tutta contenta.
“Lo vedo!” ridacchiò, mentre Robin, carico come un mulo, poggiò tutto ciò che teneva in mano sul tavolo, con fatica.
“Questa è l’ultima volta che mi lasci a fare spese da solo, con mia madre.” disse, fingendo di rimproverarla. Regina scoppiò a ridere, mentre Angela sbuffava:
“Non riesco a crederci, per un paio di buste ti lamenti proprio come quando eri piccolo.”
Robin sorrise, avvicinandosi a Regina per lasciarle un tenero bacio sulle labbra:
“Come hai passato il pomeriggio? Ti sei divertita a fare la prof?”
“Moltissimo.” si morse il labbro, un po’ titubante. Lui sembrò non accorgersene, sorrise e la baciò di nuovo. “Questa è l’ultima sera che Angela è con noi, che ne dici di portarla fuori a cena?”
“Mmh, sembra un’ottima idea. Speriamo solo che non finisca come l’ultima volta.”
“Oh, a dire il vero io lo spero, visto il modo in cui si è conclusa.” sorrise maliziosamente, senza tuttavia poter far a meno di arrossire come al suo solito. Gli prese il viso tra le mani e lo baciò a sua volta, questa volta con passione.
Sì, si mancavano decisamente troppo.

Angela se n’era andata da ormai cinque giorni e, quel venerdì mattina Regina aprì gli occhi con un desiderio tutto speciale. Si girò tra le braccia di Robin, finché i loro nasi si toccavano e bastò questo a svegliarli. Erano le cinque di mattina, erano in anticipo rispetto alla loro solita ora.
“Buongiorno, amore mio.” sorrise, baciandogli la punta del naso. Era così di buonumore che riusciva a trasmettergli tutta la sua positività.
“Mmh, buongiorno. Che succede?” sussurrò, gli occhi ancora pesantemente chiusi.
“Ho voglia di coccole.” ridacchiò, mentre seppelliva la testa sotto le coperte. Robin ci impiegò un po’ per svegliarsi totalmente.
“Ma che diavolo…?”
“Vieni sotto le coperte con me.” era una mattinata fredda per Boston, fuori pioveva e l’idea di rifugiarsi sotto le coperte con lei non gli sembrava affatto male. “Lo senti, il rumore della pioggia?” sussurrò “Quando ero piccola mi infilavo sempre sotto le coperte quando pioveva, e facevo finta che fosse il mio rifugio. Poi ci portavo il mio peluche e lo coccolavo finché non mi addormentavo.” strinse di nuovo le braccia attorno a lui e poggiò il viso sul suo petto, proprio lì, dove batteva il cuore. Robin sorrise alla dolcezza infinita che era, mentre la stringeva a sua volta e le baciava il capo:
“Quindi ora sono io lo sfortunato peluche.”
Regina gli diede una botta sul braccio, fingendosi arrabbiata, poi rise: “Oh sì. Il mio sexy peluche.” lo baciò di nuovo. “Ti amo, lo sai, Robin? Non te lo dico spesso quanto lo fai tu, ma ti amo. Sono completamente” un bacio leggero “e totalmente” ed un altro “assolutamente innamorata di te.” lo fece sorridere, mentre dolcemente le accarezzava il viso.
“E’ sempre meraviglioso sentirtelo dire.” ricambiò ogni bacio, poi Regina alzò le coperte:
“Doccia. Non voglio fare tardi, oggi è un’importante giornata.” non sapeva neppure lei perché, ma se lo sentiva. Robin sorrise, mentre Regina saltellava qui e là, scegliendo le cose da mettersi nei cassetti. Si avvicinò a lei e le avvolse le braccia attorno alla vita, per lasciarle un rapido bacio sul collo:
“Preparo la colazione.” Regina annuì con uno splendido sorriso, poi si divisero, ciascuno in una stanza diversa. 
Angela preparava praticamente una crostata al giorno ne avevano ancora molta da mangiare, quindi Robin preparò solo il caffè. Sapeva che Regina aveva bisogno di un’enorme tazza di caffè per iniziare bene la giornata e sorrise mentre glielo versava.
Regina uscì dal bagno, completamente asciutta, con un accappatoio addosso, solo un paio di minuti dopo, con il sorriso più bello che le avesse mai visto sul viso. 
“Già fatto?” chiese, ridendo. Lei non disse nulla, lo guardò solamente, con quel sorriso meraviglioso, come se fosse incantata, in un mondo tutto suo, fatto solo di cose belle. Quella mattina c’era davvero qualcosa che non andava, o meglio, che andava troppo bene.
“Facciamola insieme.” sussurrò buttandogli le braccia al collo. Quel sorriso stupendo non accennava a spegnersi neppure quando le labbra di Robin coprirono le sue, in un bacio dolce che presto diventò pura passione. 
“Ma ho preparato il caffè…” rise tra un bacio e l’altro.
“Può aspettare.” lasciò cadere l’accappatoio, rivelando il suo corpo completamente nudo e vide i suoi occhi illuminarsi con desiderio. Regina sorrise, gli prese la mano e lo trascinò in bagno, fino alla doccia, dove aveva lasciato l’acqua aperta, bollente. Si tolse rapidamente i pantaloni, mentre la guardava mordersi il labbro, come se volesse divorarla.
Entrò con lei, senza curarsi della temperatura dell’acqua, le sue labbra immediatamente sulle sue mentre premeva il suo corpo contro il muro, accarezzandone ogni curva.
“Ti amo.” gli sussurrò quando lo sentì entrare in lei. “Ti amo.” ripeté stringendosi forte a lui, lasciando che si muovesse dentro il suo corpo fino a raggiungere l’apice.

Sorridere per quei tre giorni come se nulla fosse cambiato, come se non stesse nascondendo due delle notizie più importanti della sua vita all’uomo che amava; uscire di casa e tornare, guardarlo, baciarlo, fare l’amore con lui come se nulla stesse succedendo era stato difficile, forse la cosa più difficile che avesse mai fatto. La voglia di parlare con Robin era tanta, di esplicitare ogni emozione, ogni sensazione.
Ma c’era riuscita. Mentre entrava in quel tribunale, indossando il completo più professionale che aveva nell’armadio, si sentiva più leggera, come se stesse per togliersi un peso enorme dallo stomaco.
“Regina.” Linda l’accolse con un sorriso, mentre tendeva un braccio per abbracciarla e posarle un bacio su entrambe le guance. 
Linda Rothman era il miglior avvocato che Regina avesse mai conosciuto, nonché sua amica dalle scuole elementari. Quando aveva saputo che per ottenere il divorzio sarebbe servito un processo, Regina aveva subito chiamato lei. Si fidava. Sapeva che era la migliore nel suo campo, in quella città.
“Ciao, grazie di essere venuta.”
“E’ il mio lavoro, tesoro. Allora, sei pronta?” sorrise.
“Sì.” aveva esitato un istante, ma il tono che le uscì dalla bocca era fermo e deciso. Era pronta, decisamente. Presto tutta quella storia sarebbe finita, una volta per tutte. Non avrebbe mai più rivisto la faccia di Victor, questa volta per davvero.
“Andiamo, allora.” 
La porta era di legno, c’era su il nome del giudice. Mentre prendeva coraggio per entrare, si immaginava di camminare in un vero e proprio tribunale. Non fu così, tutt’altro: quello in cui entrò era un semplice ufficio, simile a quello di Robin. Con un tavolo sul quale era poggiato un uomo sulla cinquantina, per niente simile ai giudici che era solita vedere nei film. E, davanti a lui, quattro sedie. E Victor, ammanettato alla sua, che la guardava dritto negli occhi.
Rabbrividì, ma si sentì subito meglio quando Linda si sedette su una delle sedie, invitandola accanto a lei. Era così vicina a lui, quasi la spaventava vederlo di nuovo, questa volta senza alcun vetro a separarli.
Ingoiò il groppo di saliva che le si era formato in gola, prese un profondo respiro e guardò l’altra sedia accanto a quello che presto sarebbe stato il suo ex marito. Il suo avvocato era basso, capelli grigi, barba incolta. Il tipico uomo che rappresenterebbe uno stupratore in tribunale. Dio, il solo pensiero le faceva venire i brividi.
“Tanto per cominciare vorrei informare i vostri clienti dell’accordo che è stato preso. Qualora dovessero accettarlo non vi sarà alcun processo, faciliteremo le cose a tutti ed eviteremo, a noi e ai signori, di spendere un mucchio di soldi.” il giudice parlava piano, scandendo bene ogni parola, assicurandosi che, sia Regina, sia Victor, comprendessero ogni cosa. 
Le due donne si guardarono un istante, mentre Regina supplicava mentalmente Linda di spiegarle di cosa diavolo stesse parlando. Nessuno le aveva detto nulla di nessun accordo!
Fortunatamente per lei, Linda sembrò capirla:
“Regina, tesoro, Victor firmerà per l’annullamento.” sorrise brevemente “a patto che la sua pena sia ridotta a tre anni.”
“Che cosa?” esclamò, talmente forte da far sobbalzare il giudice. “Tre anni? E’ questo quello che ottiene un uomo che abusa della moglie, la picchia e la usa come se fosse un oggetto per quasi quattro fottuti anni? E’ questo che merita? Tre anni?” le lacrime erano sul punto di esplodere, scendendo dai suoi occhi come fiumi in piena. Il battito cardiaco le galoppava e No, Mills. Non è un bene. Sta calma. 
Si voltò verso Victor che sorrideva, soddisfatto. 
“Ti passerà gli alimenti, avrai diritto a circa metà dei soldi che—”
“Non me ne frega un cazzo dei suoi soldi, non toccherei un centesimo neppure sotto tortura. Voglio il processo.”
“Regina—”
“Signorina Mills—”
“Tre anni sono una vergogna. Cosa succederà quando uscirà da qui?”
“Sarà costretto a starti ad almeno cinquanta metri di distanza, non potrà mai più avvicinarsi a te, questa è una promessa.” spiegò Linda.
“E per quanto riguarda Robin? E il mio—” si morse la lingua. Merda. “L’uomo che amo.” si corresse, un po’ esitante “Dio solo sa che cosa è capace di fare questo pazzo psicopatico.”
“Si calmi, signorina Mills.” Giusto, Mills, sta calma, sta calma.
Il giudice sembrò abbastanza spazientito mentre si massaggiava le tempie. Prese una penna dal suo porta matite, avanzò il documento davanti ai suoi occhi e la esortò a firmare: “L’accordo rimane valido per i prossimi due minuti. Il signor Hadler l’ha già firmato.”
Regina cercò gli occhi di Linda, mentre il panico la assaliva totalmente. Tra solamente tre anni, Victor sarebbe tornato a piede libero, mettendo in pericolo tutto ciò che amava, distruggendo tutto ciò che con fatica era riuscita a costruire. Era davvero pronta per quello?
“Regina, riflettici bene. Sei davvero sicura di voler affrontare un processo? Sarai costretta a testimoniare, a rivivere tutto, dal primo all’ultimo giorno di tortura.” la Rothman parlava piano, affinché il resto dei presenti non la sentisse. “Quella belva di Goldman ti farà delle domande sulla tua vita privata, e metterà in dubbio tutto quanto, tanto da poter richiedere addirittura la libertà vigilata. Sei sicura di essere pronta ad affrontare tutto questo?” la guardò dritta negli occhi, mentre il tempo scorreva.
“Potrebbero mettere in dubbio il fatto che mi abbia violentata?” Una lacrima riuscì a disegnare la sua scia sulla sua guancia destra e strinse le labbra in una linea sottile, per evitare di liberarne altre. 
“Sì. Diranno che avevi un amante, Robin. Sosterranno che ti sia messa d’accordo con lui per inscenare il tutto e mandare Victor in galera, fuori dai piedi. Infondo, tesoro, frequentavi Robin da prima. E la prima cosa che hai fatto quando Victor è andato in prigione è stato vendere la casa e andare a vivere con Robin.”
“Quella casa era la mia, avevo il diritto di farlo! Ora non mi credi nemmeno tu?” Niente da fare, stava piangendo. 
“Regina, se non ti credessi, non sarei qui a rappresentarti. Sto solo dicendo ciò che quasi sicuramente sosterrebbe un qualsiasi avvocato della difesa davanti a una giuria. E sappiamo entrambe che Victor Hadler sa fingere molto bene quando vuole.” Linda Rothman era davvero dispiaciuta. Sapeva che tre anni di galera per stupro e violenza domestica erano davvero troppo pochi, e sapeva anche di poter vincere la causa, qualora la portassero fino in fondo. Ma valeva davvero la pena rischiare? Stava consigliando a Regina ciò che era meglio per tutti, per chiudere una volta per tutte quella storia e non pensarci più.
“Trenta secondi.” disse l’avvocato Goldman, stizzito. Che si fotta. Si asciugò in fretta le lacrime, poi si voltò verso il giudice, prese in mano la penna e firmò quel dannato foglio.
“Questa è una vergogna. Sono stata venduta.” disse soffocando un singhiozzo. 
“Questo è quello che ottieni quando sei troppo ostinata, Regina.” disse Victor, ridacchiando. Dio, Dio la voglia di voltarsi e prenderlo a pugni finché la faccia non fosse caduta al suolo era troppo allettante per reprimerla. Ma dovette farlo. “Ti avevo detto di ripensarci. Io ti avevo offerto un nuovo inizio e tu… hai preferito questo.”
Regina dovette prendere un profondo respiro, ma trovò comunque la forza di sorridere:
“Già, ma indovina cosa? Quello che dovrà indossare una tuta arancione per altri tre anni sarai tu, mentre io, adesso, torno a casa. Dove, ad aspettarmi, ci sarà l’amore della mia vita, l’uomo che amo con tutta me stessa e che mi sposerà. Oh sì, hai sentito bene, ci sposiamo il mese prossimo.” solo una piccola, innocente bugia per ferirlo, per farlo uscire di testa tanto quanto in quel momento lo era lei “Mi ama, sai? Mi ama e me lo ripete tutte le notti mentre facciamo l’amore.” vide il sorrisetto sulla faccia di Victor spegnersi lentamente, mentre un sorriso enorme si accese sul suo volto. “Perciò, chi è che vince, alla fine della giornata?” alzò un sopracciglio, con aria di sfida. 
Quella era la vera Regina Mills, la donna forte, tenace che quel verme aveva tentato di soffocare con ogni gesto, ogni parola. Era risorta dalle sue ceneri, proprio come una fenice. 
“Voglio rimanere da solo con la mia neo ex moglie.” disse Victor, fermamente. “Mi è concesso, signor giudice?”
L’uomo guardò Regina, poi Victor, poi di nuovo Regina: “Non può farle alcun male, è ammanettato, stia tranquilla. Noi saremo qui fuori, ci chiami se ne ha bisogno.”
Lei annuì con fermezza. Era sicura di sé, era pronta anche a quell’ennesimo passo. Sola con Victor in una stanza. Di nuovo. Poteva farcela. Non gli avrebbe dato la soddisfazione di vederla rifiutare per codardia.
Quando tutti se ne furono andati, Victor cominciò a parlare:
“Sai, in realtà, sono molto felice che tu abbia firmato quel documento.” sorrise “Perchè, inconsciamente, hai firmato la tua condanna a morte.” disse piano, come se fosse un segreto tra di loro. Regina rabbrividì, ma non si lasciò spaventare troppo da quelle parole: sapeva che avrebbe detto qualcosa di simile. “Te lo giuro, Regina, te lo giuro sulla mia stessa vita, tra tre anni, quando uscirò da qui, ti troverò, troverò te e il tuo amichetto Robin. E vi ucciderò, come avrei dovuto fare con te quattro mesi fa. Avrei dovuto finirti quella notte, mentre tenevo stretto il tuo collo tra le mani—”
“Ok, basta così.” scosse la testa, mentre le lacrime pulsavano nei suoi occhi ancora una volta “basta così” ripetè, più forte, affinché qualcuno entrasse. Linda le fu subito accanto: “è finita.” le sussurrò nell’orecchio. Lei annuì, prendendo la sua borsa e il cappotto. 
“Buona fortuna nel trovarci, lurido figlio di puttana.” disse d’un fiato, prima di aprire la porta. Oh, un’ultima cosa. La cosa che lo avrebbe ferito più di tutte. Sarebbe stato il primo a saperlo e Regina dovette pensarci più di una volta prima di farlo, ma lo voleva. Desiderava vederlo soffrire, impazzire per i prossimi tre anni, infliggergli lo stesso destino che le aveva inflitto lui.
“Oh, e… Victor?” si assicurò che i suoi occhi fossero immersi in quelli di lui, poi si lasciò andare ad una risatina: “Sono incinta.”

BOOM! 

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Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***


 
Well, well. Guess who's back!
Eccoci qui con un nuovo capitolo e vi prego ancora una volta di scusare il ritardo!
Spero vi piaccia, siamo quasi alla fine!

 
Paura, paura mista alla soddisfazione di avergli urlato in faccia l’unica cosa in grado di ferirlo. L’insieme di emozioni che Regina sentiva in quel momento era talmente confuso e forte che la spaventava.
Tanti segreti, troppi. Stava nascondendo alla persona che amava di più al mondo due delle cose più importanti della sua vita. Come aveva trovato la forza di farlo? Come era riuscita a tenere la bocca chiusa per più di due settimane? Mentre parcheggiava la macchina nel viale di casa di Robin si toccò la pancia e sorrise. 
“Ciao piccolo miracolo” sussurrò, le lacrime che si affrettavano ad offuscarle la vista. Non aveva mai parlato a qualcosa che ancora non c’era. O forse sì, da piccola, quando si sentiva sola e fingeva di parlare con qualcuno. Ma allora era diverso, quel qualcuno era solo frutto della sua fantasia; il miracolo che cresceva in lei era reale, anche se faticava ancora a crederci. Quel venerdì mattina fu l’inizio di tutto, quando si accorse di avere un ritardo. Non le era mai successo prima, il suo ciclo era proprio come lei: puntuale come un orologio. Le era sembrato fin da subito strano e, quando si era guardata allo specchio, per la prima volta dopo tempo, aveva sorriso a se stessa.  C’era qualcosa di diverso in lei, era chiaro. I suoi occhi brillavano senza motivo ed era raggiante, nonostante la spiacevole situazione che stava segretamente portando avanti con Victor. Così era andata da Robin, l’aveva baciato e trascinato sotto la doccia, dove avevano fatto l’amore. Di nuovo.
Soltanto il giorno dopo aveva trovato il coraggio di comprare un test di gravidanza. Attendere quei secondi era stato uno dei momenti più stressanti della sua vita: e se fosse stato tutto soltanto un enorme sbaglio? E se si stesse illudendo per qualcosa che in realtà non sarebbe mai successo? Aveva preso un respiro profondo, represso qualsiasi forma di pensiero negativo ed aveva afferrato il test: positivo. Era incinta. Per davvero. 
Ricordava di aver pianto, pianto come non aveva mai fatto, di una gioia indescrivibile, di voglia di urlare, di ringraziare il mondo per questo miracolo che, fra tutti, era capitato proprio a lei.
“Adesso andiamo da papà, abbiamo molte cose da dirgli” il suo sorriso si spense solo per un istante: Robin si sarebbe arrabbiato. E molto. Avrebbero litigato di nuovo, ne era sicura. Nascondergli di Victor era stata una cosa stupida e il pensiero di litigare ancora una volta con lui la spaventava, ma sapeva che era stata la scelta giusta da fare: Victor non aveva mai visto Robin, né conosceva il suo cognome. Non lo avrebbe mai trovato, una volta fuori di prigione. Lo aveva fatto per proteggere la sua famiglia. 
“Ciao amore” esclamò con un sorriso, entrando con due enormi buste. Aveva fatto la spesa, una volta uscita dal tribunale.
“Ehi” lo vide sorriderle e il suo cuore smise di battere per un istante: perché vederlo le faceva sempre quell’effetto? “Come mai così tardi, amore mio?” si avvicinò a lei per aiutarla e per posarle un dolce bacio sulle labbra.
Maledizione. Era già arrivato il momento.
“Sediamoci, così ti racconto tutto.” cercò di tranquillizzarsi.
La tavola era già apparecchiata e la cena era pronta. Regina guardò l’orologio e sì, era più tardi del solito. Accidenti.
“E' successo qualcosa?” chiese Robin, preoccupato.
“Niente di cui preoccuparsi, Robin, davvero.” gli prese la mano, cercando di calmarlo. Si sedettero davanti ad un buon piatto di pasta che Regina assaggiò subito, con la fame che aveva. “Ho… Ho preso un giorno libero oggi, come saprai.” lo vide annuire e proseguì “Sono…” un profondo respiro “Sono andata in tribunale.”
“In tribunale? A far cosa?” lo vide smettere di fare qualsiasi altra cosa per concentrarsi su di lei, sul suo sguardo, attentamente. 
“La settimana scorsa ho fatto visita a Victor, in prigione. Gli ho chiesto il divorzio, o meglio, gliel’ho imposto. Gli ho detto che l’avrei trascinato in tribunale in pochi giorni se non avesse accettato. Lui mi ha… supplicato di ripensarci, inventandosi che era cambiato e che mi amava ancora. Io non ci ho creduto neanche per un secondo e… oggi ci siamo incontrati con i nostri avvocati. Ha stretto un accordo col giudice che mi permetterà di avere il divorzio ma… in cambio la sua pena sarà ridotta a tre anni.” 
“Che cosa?” esclamò sbattendo l'altra mano sul tavolo, facendola sobbalzare. 
“Lo so, ho avuto la tua stessa reazione, ma ho dovuto firmare, Robin. Se non l’avessi fatto, avrei dovuto portarlo davanti a un giudice e a una giuria, senza contare che quello squalo del suo avvocato ha promesso di farmi rivivere ogni cosa, ogni orribile momento, arrivando addirittura a mettere in dubbio le cose orribili che mi ha fatto.” abbassò lo sguardo, mettendo inconsciamente una mano sulla sua pancia. Fu lì che immediatamente ritrovò il suo sorriso: “Robin, questa storia è chiusa per sempre. Abbiamo finalmente la nostra vita.”
Sentì la mano sotto la sua scivolare via e si sentì morire. 
“Avresti dovuto parlarmene, Cristo.” sbottò, dopo un lungo istante di silenzio.
“Robin, ti prego, l’ho fatto per proteggerti! Se ti avessi portato con me lui avrebbe saputo riconoscerti e sarebbe arrivato a te una volta uscito di prigione, come ha promesso di fare!” si morse la lingua, una volta resasi conto di aver detto quelle maledette parole ad alta voce. Cazzo. Cazzo, cazzo, cazzo. 
“Che cosa?”
“Niente.” abbassò lo sguardo.
“Regina,”
“Robin, non è niente, davvero.” si alzò di scatto dal tavolo, passandosi una mano tra i capelli nervosamente.
“Che cosa ti ha detto, Regina?” Tacque, non aveva il coraggio di dire altro, di ascoltare la sua reazione. Ma sapeva che tacendo avrebbe solo peggiorato le cose, quindi prese un profondo respiro: “Solo che ce l’avrebbe fatta pagare una volta uscito di prigione.” minimizzare al massimo le minacce di Victor le parve una buona idea. Far preoccupare Robin inutilmente le sembrava stupido, davvero non necessario. 
Lo vide chiudere gli occhi, stringere le palpebre, prendere un respiro profondo e infine parlare: “Avresti dovuto dirmelo. Certe cose si condividono, in una coppia.” prese il suo bicchiere di vino, mandò giù fino all’ultima goccia, poi si alzò. Lo vide camminare verso la loro camera da letto e chiudersi la porta alle spalle, senza dire altro. Regina sentì il suo cuore pian piano rallentare, quasi come se fosse lì lì per smettere di battere. Poi, alla fine, si alzò anche lei e, con le lacrime quasi sul punto di scendere, le cacciò indietro, fece i piatti, sistemò la cucina e andò a dormire. 
Nella stanza degli ospiti, come una volta.

Riuscì ad addormentarsi soltanto alle tre del mattino, quando le lacrime e la stanchezza che si trascinavano dietro vinsero su di lei e le fecero finalmente chiudere quegli occhi marroni, stanchi di stare lontani dall’uomo che amava. Aveva difficoltà ormai ad addormentarsi senza le sue braccia chiuse attorno ai suoi fianchi, gli mancava più che mai il calore del suo corpo e le sue labbra vicino al suo orecchio.
Aveva pianto, conscia di aver forse rovinato la cosa più bella della sua vita, per uno stupido capriccio, uno stupido errore che sapeva di star commettendo fin dal principio.
Mentre gli occhi di Regina finalmente si lasciavano andare ad un lungo sonno, Robin continuava a fissare il soffitto: che razza di idiota. Come aveva potuto lasciarla lì così? La conosceva abbastanza bene da sapere che, se non era lì con lui in quel momento, probabilmente era sul divano, in un mare di lacrime che per l’ennesima volta erano scese per colpa sua. La amava abbastanza da sapere che le avrebbe perdonato qualsiasi cosa, ogni errore, per quanto grave potesse essere. Sapeva che il giorno dopo avrebbero fatto pace a modo loro ma, per qualche ragione, non sopportava l’idea di passare neppure un altro secondo lontano da lei. Quindi lo fece: si alzò dal letto e mise da parte l’orgoglio per una cosa che in lui cresceva molto più forte: l’amore per quell’angelo.
Quando si rese conto che non era neppure sul divano, pensò immediatamente alla camera degli ospiti e fu lì che la trovò: il cuscino bagnato da quelle maledette lacrime, i capelli raccolti in una tenera coda e le labbra contratte in un espressione di tristezza mista a semplice dolore. Si avvicinò a lei, lentamente salì sul letto riuscendo a non svegliarla, poi le avvolse le braccia attorno alla vita, come faceva sempre e poggiò le labbra sul suo orecchio: “Perdonami, amore mio, sono stato un idiota.” sussurrò. 
Quando Regina avvertì il calore del suo corpo e si svegliò, ormai Robin aveva perso le speranze. Ma così non fu: si strinse ancora di più tra le sue braccia e finalmente si sentì di nuovo completa. “Non riesco a stare senza di te, Regina.” le baciò il lobo, certo che ormai potesse sentirlo “Ti amo da morire.” e, finalmente, si addormentò.
Al suo risveglio, con sua sorpresa, non la trovò accanto a sé, tra le sue braccia, come l'aveva lasciata. Al suo posto solo il suo profumo, che ormai era sul punto di svanire. Doveva essersene andata da parecchio. Forse era ancora arrabbiata.
Idiota, Locksley. Sei davvero un idiota. 
Si alzò per cercarla in bagno, in camera da letto, in cucina, poi finalmente guardò in salotto, sul tavolo. C’era un biglietto che profumava tremendamente di lei, con accanto una rosa, rosa, e una busta gialla.

Neanche io riesco a stare senza di te. Ti amo con tutta me stessa, Robin. Apri la busta e raggiungimi, non fare troppe domande, lasciati guidare dal cuore come ho fatto io. Ti aspetto.

Aprì la busta, senza esitare, ma sul suo volto era comparso un tenero sorriso: non era arrabbiata, non più, ed aveva ascoltato ogni parola che le aveva detto prima di addormentarsi. Era tutto apposto tra di loro, nulla sarebbe cambiato… o forse si? Quando aprì la busta si ritrovò con in mano un biglietto aereo con destinazione… Atlanta? Era forse impazzita? Si trovava ad Atlanta? Aveva preso il primo volo senza dirglielo e… Dio, doveva essere uscita di testa. Robin non sapeva perché ma gli veniva da ridere, un’incontrollabile voglia di ridere a crepapelle. Quella donna…
Insieme al biglietto c’era un indirizzo, decisamente troppo familiare: la strada era la stessa in cui viveva sua madre, ma il numero era diverso, 23, mentre sua madre aveva il 55. Qualcosa lo confondeva, non riusciva a capire, dovette darsi un paio di pizzicotti per assicurarsi di non star vivendo in qualche folle sogno dei suoi.
Quando tornò in camera da letto per vestirsi, trovò le sue valige sul letto, aperte, e sorrise di nuovo: allora Regina faceva sul serio. Forse gli aveva soltanto regalato una vacanza ad Atlanta, tanto per distaccarsi da quel folle mondo che li aveva circondati di nuovo, forse avrebbe dovuto semplicemente smettere di farsi domande e seguire il proprio cuore, come gli aveva detto lei.
“Dio, Regina!” rise, così, dal nulla, poi guardò di nuovo l’indirizzo e la voglia di andare a prenderla, stringerla fra le sue braccia e dirle quanto folle fosse stata, era decisamente troppa e il suo cuore non smetteva di pulsare all’impazzata.
Quindi lo seguì.
 
 
 

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Capitolo 18
*** Capitolo 18 ***


Eccoci di nuovo con un nuovo capitolo! Sarete i primi a leggerlo visto che non l'ho ancora pubblicato su ff.net. E' che ho deciso che ve lo meritate, dopo tutto il tempo che avete aspettato per leggere questa storia.
Inoltre, ho cominciato un seguito per questa fanfic, che posterò solo qui e che spero leggiate, anche se, sinceramente, non ne sono tanto sicura visto il modo in cui comincerà... ma, per adesso, godetevi questo penultimo capitolo!
Buona lettura!


Da quando aveva conosciuto quella donna, tutta la sua vita era stata una follia. Dal primo momento in cui i suoi occhi si erano posati sul suo bellissimo volto, aveva capito che quella donna sarebbe stata solo fonte di guai, di pazzie, di cose che non avrebbe mai immaginato di fare. La sua vita si era trasformata in un film prima che potesse rendersene conto, in uno di quei film a lieto fine, in cui l’attore protagonista rincorre l’amore della sua vita in giro per il mondo e, infine, vivono per sempre felici e contenti con sette cani, otto figli e quattordici gattini. 
Sorrise mentre pensava a questo e guardava le nuvole sotto di sé. Sorvolava la città che gli aveva fatto incontrare ciò che di più bello avesse mai potuto desiderare. Robin Locksley non era mai stato troppo religioso, almeno non tanto quanto sua madre, ma sapeva di dover chiudere gli occhi ogni notte prima di addormentarsi e ogni mattina prima di alzarsi dal letto, e pregare chiunque ci fosse lassù, ringraziarlo per averlo reso l’uomo più felice e completo che avesse mai incontrato.
Ti aspetto” diceva la lettera che continuava a fissare come una fotografia mentre non poteva fare a meno di sorridere. Non vedeva l’ora di rivederla, di stringerla tra le sue braccia e non lasciarla più, mai più, andare via.
Quando scese dall’aereo, la prima cosa che fece fu tirar fuori il telefono dalla borsa, accenderlo e digitare il numero che ormai conosceva a memoria.
“Robin?” rispose subito, al secondo squillo e Robin poteva certamente dire che aveva il cuore in gola.
“Amore mio” sospirò, stringendo le palpebre.
“Ciao”
“Ciao. Sono appena atterrato ad Atlanta e lasciami dire che sei completamente pazza.” la sentì ridere dall’altra parte e non poté far a meno di ricambiare. Quel suono era decisamente il suo preferito.
“Lo so. Ti spiegherò tutto quando mi raggiungerai all’indirizzo che ti ho scritto nella lettera.”
“Sei sicura che—“
“Ti aspetto.” non disse altro, mise giù. Robin sorrise, chiamò un taxi ed assecondò quella follia.

Il taxi lo lasciò proprio davanti al numero 23. 
Era una casa che non aveva certamente mai visto, ma questo non lo fermò dall’ammirare quanto fosse bella. Un cancello bianco, che qualcuno aveva lasciato aperto, probabilmente la stessa Regina, portava ad un modesto giardino, dove cresceva un ciliegio. Una stradina di mattoni rossi portava a degli scalini, di un portico, dove, al posto del tipico divano, ce n’era uno a dondolo, davanti ad un tavolo di vimini. Era davvero molto grazioso ma… la casa era ciò che aveva catturato la sua attenzione per prima: a due piani, le pareti perfettamente bianche, porte e finestre in legno. Era così tipica di Regina che un nodo gli si formò in gola. 
Fu proprio quest’ultima ad aprire la porta quando Robin era appena arrivato sul portico. Indossava un vestitino bianco, i piedi nudi, i capelli sciolti che le cadevano sulla scollatura. Era semplicemente… perfetta. Il suo angelo perfetto.
“Ciao, Locksley.” sorrise, poggiandosi allo stipite.
“Ciao” ricambiò il sorriso, senza cercare di nascondere la perplessità. “A chi abbiamo rubato questa casa?” scherzò.
“Ti piace?” chiese con un timido sorriso.
“Moltissimo, ma…”
“Ho dato l’acconto.”
“Cosa?” gli venne da ridere, e forse un po’ lo fece. 
“Ho usato i soldi della vecchia casa. E’ nostra.” si strinse nelle spalle, con l’innocenza di una bambina piccola, quasi avesse paura della reazione sbagliata da parte di Robin.
“Regina…” sussurrò incredulo “E’ bellissima, direi perfetta, ma… non avresti dovuto— avrei dovuto aiutarti a pagarla, non— e poi è ad Atlanta, lontanissima dal nostro lavoro, io…”
“C’è una scuola a pochi isolati da qui, privata. Potremmo chiedere il trasferimento. Puoi dire che vuoi trasferirti per stare vicino a tua madre che, tra parentesi, è al corrente di tutto. L’abbiamo scelta assieme, sai?” sorrise “E io… Io ho un ottimo motivo per chiedere il trasferimento. A scuola capiranno.” abbassò lo sguardo per un secondo ma la tristezza nei suoi occhi durò poco. “ E’ un modo per ricominciare, Robin. Sul serio. Non ci saranno più brutti ricordi a tormentarci, niente prigioni, niente minacce. Saremo solo io, te e…” si bloccò improvvisamente e lo vide alzare un sopracciglio, quindi si affrettò a continuare: “Io, te ed un nuovo inizio.” si morse il labbro inferiore, nervosamente.
Robin non disse nulla. Stette lì, fermo, a guardare la pazza donna che amava con tutto sé stesso; con un sorriso ebete stampato sul volto. Avrebbe potuto funzionare, infondo. Era ragionevole e… ne aveva voglia. Voleva davvero ricominciare con lei, buttare via tutti i ricordi di un passato tormentato e finalmente voltare pagina, definitivamente.
Era la cosa che più desiderava.
“Vuoi vedere l’interno?” sorrise, interrompendo i suoi pensieri. Lui annuì e lei gli prese la mano. Lo trascinò per ogni stanza, nell’enorme cucina, nel vasto salone, poi al piano di sopra. Le scale erano in legno, proprio come le porte, a chiocciola; portavano al bagno, grande, che includeva la vasca da bagno che Robin aveva sempre desiderato avere. E poi c’era una stanza, vuota, spaziosa, che, nella mente di Regina, era perfetta per diventare la camera del loro bambino.
“Potremmo farci uno studio qui.” disse Robin, sorridendo innocentemente.
“No. Sai, non credo che potremmo.” sorrise anche lei, ma con l’aria di qualcuno che sapeva di cosa stesse parlando.
Avrebbe voluto chiedere qualcosa, qualcosa come una spiegazione, ma Regina non gliene lasciò il tempo: “La camera da letto è quella che preferisco.” si morse il labbro, di nuovo. “Vieni.” lo guidò, aprì l’ennesima porta e lo lasciò senza parole.
Sì, era decisamente la stanza che preferiva anche lui. Il letto era enorme, molto più di quello che avevano a casa, c’era una grande finestra che dava sul parco accanto, un comò antico, un armadio a sei ante e una porta per un altro bagno, decisamente più piccolo dell’altro.
“La casa era ammobiliata, quindi se non ti piace qualcosa, basta che tu lo dica.”
“E’ perfetta.” sussurrò, guardandola intensamente negli occhi. Regina arrossì, poi sorrise. “E’ nostra?” 
“Ci puoi scommettere.”
“Ne sei sicura?” chiuse la porta dietro di sé, poi si tolse la giacca. Regina rise. 
“Assolutamente.” 
“Da adesso?”
“Da stamattina.”
“Bene.” le prese il viso tra le mani e la baciò, la baciò come aveva voluto fare dal primo momento in cui l’aveva vista uscire con quel vestitino bianco e i piedi nudi. La baciò come non aveva fatto la notte prima, la baciò per tutte le volte che avrebbe voluto farlo quella mattina, sull’aereo. La prese in braccio, la fece stendere sul letto e le sussurrò, dolcemente, quanto la amasse. Sembrava passata un’eternità dall’ultima volta che glielo aveva detto, invece erano appena passate dodici ore.
“C’è una cosa che volevo dirti, prima di fare l’amore con te, qui, su questo letto.” sussurrò mentre le sue labbra erano sui suoi seni. Robin sorrise:
“Ti ascolto.”
“Sono…” si interruppe, sentendo il cuore in gola una volta che gli occhi blu come l’oceano di Robin si insinuarono nei suoi color nocciola. “Sono… Sono molto felice che la casa ti piaccia e…” dovette mettersi a sedere, mentre nervosamente si toccava i capelli “E voglio davvero ricominciare con te, quindi…” nascose la mano sotto al cuscino, tirandone fuori una piccola scatola di velluto blu. “So che, normalmente, è l’uomo che lo chiede alla donna, ma… noi non siamo mai stati una coppia normale.” rise, mentre il cuore di Robin batteva come mai nella sua vita “Io sono arrivata ad un punto in cui… non riesco ad immaginare una vita senza di te, Robin. So che non te lo dico spesso quanto lo fai tu, ma… Io ti amo. Ti amo con tutto il mio cuore. E visto che hai fatto così tanto per me, per noi” si asciugò una lacrima che, sfuggita al suo controllo, era rotolata lungo la sua guancia, fino al mento. “era giusto che almeno un passo importante lo facessi io. Perciò sposami, Locksley.” ridacchiò, aprendo la scatola che teneva in mano. L’anello era semplice, in oro bianco. L’aveva preso quel giorno in cui lei, Robin ed Angela erano andati a far compere, subito dopo essere uscita dal negozio d’intimo. Era una cosa che avrebbe sempre voluto chiedergli e, finalmente, l’aveva fatto. “Sposami.” ripeté, con un bellissimo sorriso. 
Robin rise, prese in mano la scatola e guardò il gioiello, poi lei. Quella folle, folle donna che amava con tutto sé stesso.
“Certo che ti sposo, amore mio. Non c’è nulla che vorrei di più.” la strinse forte a sé, la baciò e poi lasciò che lei prendesse l’anello e glielo infilasse all’anulare sinistro. Era suo, proprio come Regina era sua. 
Ora più che mai.

Fecero l’amore così passionalmente ed intensamente che non si accorsero del passare delle ore. Erano ormai le sette e la sera calava su Atlanta. Robin aveva il viso poggiato sul ventre piatto di Regina e si chiedeva per quale motivo, ogni volta che la accarezzava proprio lì, sopra l’ombelico, le venisse la pelle d’oca. Non aveva neppure la benché minima idea dell’enorme segreto che Regina stava custodendo, seppur ancora per poco. Non poteva immaginare quanto forte il suo cuore stesse battendo, ora che con l’orecchio destro, seppur inconsciamente, Robin stesse sentendo il frutto del loro amore muoversi. Il loro piccolo miracolo che, per ora, era solo un minuscolo puntino dentro di lei che le prometteva di crescere ogni giorno di più, fino al giorno in cui l’avrebbe finalmente tenuto tra le sue braccia. 
“Ti amo.” gli sussurrò, dal nulla. Robin sorrise, baciandole il solco tra i seni nudi. Stava per dire qualcosa, ma lei riuscì a bloccarlo: “Non dire niente, volevo solo che tu lo sapessi, che me lo sentissi dire ancora una volta.” sentì il cuore scioglierglisi come un panetto di burro e decise di baciare la sua pelle di nuovo, stavolta un po’ più in basso. Regina rabbrividì, ma era un brivido piacevole.
Rimasero in quella posizione ancora per qualche minuto, poi lui sollevò il viso e si mise a sedere sul letto, non senza prima averle dato un ultimo bacio. Non si sarebbe mai stancato di venerare quel corpo con le sue labbra, mai.
“Usciamo a cena stasera. Per festeggiare un nuovo inizio.” disse, pimpante.
Regina non poté far a meno di sorridergli: “Oh, questa sì che è una buona idea Mr. Locksley.” si mise a sedere a sua volta, avvolgendogli le braccia al collo mente Robin sentiva i suoi seni sodi premere contro il suo petto. Dovette reprimere la voglia di ricominciare da capo ciò che avevano appena concluso dopo ore e Dio, Dio, quella donna. Non si sarebbe mai stancato di desiderarla.
“Dove le piacerebbe andare, futura Mrs. Locksley?” ridacchiò mentre infilava le dita tra i suoi capelli corvini, lasciando libero accesso al suo collo per quelle labbra instancabili.
“Sorprendimi.” lo baciò sulle labbra, un leggero contatto. “Vado a cambiarmi. Intanto pensa.” si alzò di tutta fretta dal letto per dirigersi in bagno, ma cambiarsi non era certo la priorità in quel momento. Le sue nausee mattutine non avevano assolutamente niente di mattutino. Sorrise, pulendosi la bocca con un fazzoletto prima di sciacquarsi il viso. 
“Ehi tu, Piccolo Miracolo” si guardò lo stomaco riflesso nello specchio “Vedi di non farmi sorprese stasera. Io in cambio non berrò vino, né mangerò funghi, come ci ha consigliato la nonna, che ne dici? Ti sembra un accordo ragionevole?” sorrise, mentre il ricordo perfettamente vivido delle lacrime di Angela Locksley le invadeva la mente. Avere avuto finalmente l’opportunità di parlarne con qualcuno di cui sapeva di potersi fidare, aveva fatto sciogliere in un pianto anche lei, un pianto che si era concluso tra le braccia della sua futura suocera. Le aveva detto qualcosa come “sapevo che prima o poi sarebbe successo, una madre sente certe cose” e poi “congratulazioni tesoro, mi piacerebbe esserci quando lo dirai a Robin solo per vedere la sua faccia ma, credimi, varrà la pena vivere il momento in intimità.” Regina ricordava di averle confidato ogni sua paura, ogni suo dubbio sulla gravidanza, e di essersi domandata più volte se fosse effettivamente in grado di portarla avanti e di crescere la piccola creatura che portava in grembo, dato l’amore da parte della madre che le era sempre mancato. Angela non aveva esitato un solo secondo prima di dirle che aveva tutte le carte in regola per diventare la mamma perfetta, che lei e Robin sarebbero stati la coppia di neo-genitori più felici del mondo e che l’unico vero problema sarebbe stato sopravvivere alle prime nottate in bianco. Regina aveva riso, prima di cominciare a farle qualsiasi tipo di domanda su ciò che riteneva potesse esserle utile.
Condividere la sua gioia con Angela era qualcosa di inspiegabile per lei, qualcosa che non aveva mai avuto e per cui era enormemente grata. Quella donna rappresentava, assieme a Robin, il suo punto di riferimento, un rifugio sicuro su cui poter contare, sempre.
“Ti amo, Piccolo Miracolo, lo sai vero?” sorrise, accarezzandosi il ventre ancora piatto. “Ti amo con tutto il cuore. Ti prometto che ti darò tutto l’amore di cui hai bisogno e non ci sarà una sola volta in cui ti sentirai solo. Ti proteggerò da tutto e lo farà anche il tuo papà. Aspetta solo che gli dirò di te e impazzirà, vedrai.” ridacchiò.
Si allacciò il reggiseno in fretta, e uscì dal bagno in biancheria intima, sicura del fatto che Robin non fosse in camera ad aspettarla. Infatti era in cucina; nella loro splendida cucina ammobiliata in maniera impeccabile, con un forno enorme (la prima cosa che, onestamente, l’aveva colpita di più) da cui avrebbe potuto sfornare migliaia di dolci.
Aveva addosso il suo morbido accappatoio bianco e stava versando il vino in due bicchieri.
Oh, merda.
“Mrs. Locksley,” sussurrò, notandola in biancheria intima “ripensamenti sull’uscita a cena? Preferirebbe forse rimanere a casa e… passare subito al dessert?” le porse un bicchiere, un bicchiere di ottimo merlot invecchiato gentilmente regalatole da Angela, come augurio per la nuova casa. Per non destare sospetti, Regina prese il bicchiere, lasciando che il dolce sapore del suo vino preferito le invadesse le narici. Dio, cosa avrebbe dato per assaggiarlo… Non preoccuparti, Piccolo Miracolo, non ci sto pensando sul serio.
Vide Robin bagnarsi le labbra con quel nettare rosso e sentì un brivido di invidia percorrerla interamente. Se c’era un punto debole che Regina Mills aveva, oltre alla cioccolata, era il merlot. Specialmente se invecchiato.
“Non bevi?” le chiese, destandola dai suoi pensieri.
“Sai, pensavo” biascicò, tentando di cambiare discorso “potremmo fare una passeggiata nel parco, all’aria aperta, sotto le luci della città, e… mangiare un hot dog.” si strinse nelle spalle, con dolcezza.
“Un hot dog? Davvero?” lo vide ridere “E’ questa la tua idea di festeggiamento?”
“Beh, è qualcosa di diverso. Mi manca mangiare schifezze ogni tanto.” sorrise a sua volta e Robin non poté far a meno di ricordarsi quella donna intenta a mangiare un sandwich al prosciutto e formaggio che aveva visto per la prima volta nella sua scuola.
“Se è ciò che vuoi, per me va bene.” poggiò le labbra sulle sue un’ennesima volta, e Regina indugiò sul suo labbro inferiore, sul quale era rimasto un po’ del sapore del vino, succhiandolo dolcemente.
“Lo è. Vado a vestirmi.” 
“Vuoi una mano?” alzò un sopracciglio e lei ridacchiò.
“Non credo che mi saresti molto d’aiuto, sinceramente.”
“Mi sottovaluta, Mrs. Locksley?”
“Non me lo sognerei nemmeno.”
 

ebbene sì, ho deciso di farvi penare fino all'ultimo con questa storia della gravidanza! spero vi sia piaciuto, fatemi sapere cosa ne pensate nelle recensioni se vi va :)
un bacio e alla prossima!

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Capitolo 19
*** Capitolo 19 ***


Ed eccoci arrivati alla fine di quest'avventura. Premetto che questa è stata la prima fanfic Outlaw Queen che sono riuscita a completare e ne vado molto fiera. Mi è piaciuta dalla prima all'ultima parola, da quando ho cominciato a scrivere fino all'ultimo punto che ho digitato.
Mi è piaciuta talmente tanto che ho cominciato a scrivere un seguito che, premetto, è completamente diverso da qualsiasi storia io abbia mai scritto. Un salto nel vuoto, senza neanche sapere come e se finirà; o meglio, so dove voglio arrivare, ho tutto nella mente, ma metterlo per iscritto è tutt'altro.
Comunque, basta con le sciocchezze, dovete ancora leggere l'ultimo capitolo di questa!
Spero, come sempre, che vi piaccia, e, per l'ultima volta, buona lettura!

 


Aveva indossato un paio di jeans chiari e aveva insistito per mettere una delle sue camicie, una bianca, arrotolando le maniche fino al gomito, lasciandola fuori dai jeans. Le arrivava appena sotto l’inguine, e, con una coda di cavallo morbida e le ciocche che le ricadevano sulle spalle, sembrava una ragazza di poco più di vent’anni.
Quando la vide, Robin si ricordò di quando l’aveva portata fuori a cena per la prima volta, al ristorante messicano. Quella sera in cui gli aveva sussurrato di portarla a letto, con quella voce che avrebbe potuto metterlo in ginocchio con un solo sussurro, ma con l’alito intriso di alcol che l’aveva spinto a rifiutare, seppure il suo corpo fosse restio a farlo.

“Ho sempre voluto abitare accanto ad un parco.” sussurrò, dando un morso al suo hot dog. 
“Davvero?” sorrise, guardando il modo in cui si concentrava per non far cadere la salsa dal suo panino, proprio come una bambina.
“Già. Credo sia importante trascorrere del tempo all’aria aperta. Potremmo andare a fare jogging la mattina all’alba e portare a spasso il cane la sera…”
“Abbiamo un cane?”
“No, ma lo avremo. Insomma, se ti va.” sentì le guance scottarle all’improvviso e si morse il labbro. Dio, era davvero pessima a mantenere i segreti.
Robin annuì: 
“Joe.”
“Come?” portò gli occhi nei suoi.
“Il cane. Si chiamerà Joe.”
“Oh, no” ridacchiò, scuotendo la testa, mentre apriva la bocca per divorare ciò che restava del suo hot dog. “Non ti lascerò chiamare il nostro cane Joe. Un cane deve avere un nome diverso, tipo Fulmine o… Principessa”
“Non è una renna.” si morse il labbro a sua volta, per non scoppiare a ridere. “Che ne dici di Wilson?” sorrise.
“Wilson. Mi piace. ‘Si chiamava Wilson Locksley, il golden retriever che salvò la città da un incendio’” disse, cercando di imitare quanto più possibile la voce della giornalista della tv del notiziario della mattina. “Suona bene.”
Robin non poté far a meno di ridere con lei. Quella pazza, pazza donna.
La vide alzarsi dalla panchina e tendergli la mano: “Vieni. Facciamo una passeggiata.” sorrise. Lui gliela strinse e fece come gli aveva chiesto. 
Camminarono mano nella mano lungo tutto il parco, illuminato da nient’altro se non la luce della luna e qualche lampione. Aveva scelto forse la zona più tranquilla della città e Robin gliene era grato; odiava il caos, amava il silenzio, la calma, la tranquillità. 
Ogni tanto incrociavano qualche coppietta felice, intenta ad amoreggiare sulle panchine e, per la prima volta, Regina si sentì felice di vederli. Aveva sempre detestato le effusioni in pubblico, aveva sempre detestato i giovani innamorati che si guardavano negli occhi come se il mondo potesse finire in quell’istante e loro sarebbero rimasti lì, a baciarsi. Ricordava perfettamente il nodo che le si formava allo stomaco quando li vedeva e, si era detta, doveva essere perché le ricordavano ciò che lei non avrebbe mai potuto avere.
Oh, se si sbagliava. Si sbagliava di grosso perché, in quel momento, aveva tutto. Stava vivendo appieno, per la prima volta in tutta la sua vita. Era così felice che il mondo sarebbe potuto finire in quell’istante e lei sarebbe rimasta lì, a stringere la mano di Robin.
“Guarda.” indicò un piccolo parco giochi, completamente deserto ma che, durante il giorno, pululava di bambini. Sorrise, mentre gli lasciava la mano, senza tuttavia distogliere gli occhi dai suoi, invitandolo a seguirla. 
Andò a sedersi su una delle altalene, lasciando che i piedi la dondolassero un po’. Robin si fermò davanti a lei, guardandola alzare lo sguardo al cielo stellato e sorridere. Giurò di non averla mai vista così radiosa, doveva esserci un motivo. Un motivo che presto avrebbe scoperto.
“Quando ero piccola, l’altalena era il mio gioco preferito. Ci andavo sempre con mio padre; lui mi spingeva e io, in quel momento, sentivo di poter volare. Ogni volta era come toccare il cielo. Dimenticavo tutto; la mamma, i compiti, i compagni di scuola. Ero leggera come il vento ed ero libera.” sorrise, poggiando i capelli sulla corda. “Mio padre me ne costruì una nel nostro giardino, ma la mamma la fece togliere appena una settimana dopo. Diceva che non faceva che distrarmi e che… era un gioco stupido.” Robin ascoltava ogni parola, con lo stomaco che gli si contorceva dalla voglia di tornare indietro anche solo per un secondo ed abbracciare quella bambina tanto sola e ferita. Quella con i boccoli corvini, gli occhi marroni e gli enormi occhiali scuri che lei descriveva sempre.
La vide afferrare entrambe le corde e guardarlo con quegli stessi occhioni enormi e pieni di vita, scintillanti. “Ti va di spingermi, Robin?” gli sorrise e il suo cuore si sciolse. Non dovette neppure annuire, le fu subito accanto. Alle sue spalle, più precisamente. Poggiò dolcemente le mani sulla sua schiena e la spinse in avanti; una, due, tre volte, finché non acquistò abbastanza velocità da spingersi con le proprie gambe. La sentiva ridere spensierata e giurò solennemente che avrebbe potuto vivere tutta la vita senza bisogno di altro. Il solo saperla così felice era abbastanza.
“Mi gira la testa” disse tra le risate “Okay, adesso scendo” e così fece. Smise di muovere le gambe e, in pochi secondi, i suoi piedi toccarono terra e lei si alzò, trovando le braccia forti di Robin a sorreggerla, mentre ancora soffocava le risate contro il suo petto.
“Dio, erano circa trent’anni che volevo farlo.” alzò il viso per guardarlo negli occhi ma, quando lo fece, sentì un conato divorarle lo stomaco.
“Ti senti bene, amore mio?”
“No.” Ehi Piccolo Miracolo, ti prego, non ora. Non ora. Ti prometto che domani mangerò tutta la cioccolata che vuoi, ma ti prego, ti prego, ti prego, non— Il conato si calmò, prima che potesse continuare il suo pensiero. Sorrise. Ci capiamo già da subito, piccolo Locksley. Sei proprio come tuo padre: se non ottieni qualcosa in cambio non cedi. “Si.” sorrise, vedendolo confuso e preoccupato allo stesso tempo. “Ho solo lo stomaco un po’ in disordine. Non sarei dovuta salire sull’altalena appena dopo mangiato.”
“Vuoi che andiamo a casa? Forse dovresti prendere qualcosa, girava una brutta influenza intestinale a scuola, questa settimana.” le accarezzò le spalle, disegnando piccoli cerchi con i pollici.
“No, non credo che sia questo il caso.” sorrise. Era il momento. Il cuore le batteva all’impazzata mentre immaginava il suo Piccolo Miracolo fare capriole all’idea di sentire finalmente il calore e l’amore del suo papà. “C’è una cosa che non ti ho ancora detto.” si morse il labbro, mentre Robin inarcava un sopracciglio. “Voglio dei figli.” sorrise, mentre il cuore le balzava dritto in gola. “E tu? Ne vuoi?”
Robin si sentì crollare il mondo addosso. Certo che ne voleva. Più di ogni altra cosa al mondo. Era il suo sogno più grande, quello di crescere un figlio con lei, darle l’opportunità di essere la madre che aveva sempre desiderato di avere. Aveva immaginato più volte come sarebbe stato un figlio loro, anche se non glielo avrebbe mai confidato, per paura di ferirla. Immaginava una bambina con i suoi occhioni, le sue labbra rosse e carnose e i suoi boccoli neri. Immaginava un bambino con i suoi occhi azzurri, i capelli scuri come la notte e un nasino all’insù.
Ma sapeva che non era possibile. Non sarebbe mai stato più di una semplice fantasia. Un sogno ad occhi aperti.
“Certo, amore mio.” le avvolse le braccia attorno alla vita, tirandola a sé in un tenero, caldo abbraccio. “Sono contento che tu stia considerando l’adozione come una possibile scelta.” le sorrise.
“No, vedi…” si morse il labbro di nuovo, abbassando gli occhi per un istante, guardando i loro corpi stretti l’uno all’altra. Il suo Piccolo Miracolo era proprio lì e, poteva scommetterci, le stava urlando contro per tenersi dentro quelle dannate parole ancora per un po’. “Non credo che ci sarà bisogno di considerare quell’opzione.” sorrise, come non l’aveva mai vista sorridere prima, mentre gli occhi le si riempivano di lacrime che, alla luce della luna, sembravano piccoli preziosi diamanti. “Sono incinta, Robin.” 
E fu lì che la sentì di nuovo; quella sensazione di leggerezza, di libertà, la sensazione di poter volare e toccare quasi il cielo che sentiva da piccola. Era lì, tra le braccia dell’uomo che amava con tutta sé stessa a dargli la notizia più bella ed importante della sua vita, mentre il cuore le batteva come non mai.
Per un lungo, interminabile minuto regnò il silenzio, e questo bastò per riuscire quasi a farle perdere il sorriso. Non stava reagendo. Forse non era felice, forse aveva aspettato troppo per dirglielo ed era arrabbiato, forse—
“Tu sei…” disse finalmente, gli occhi blu che vagavano ovunque fuorché nei suoi “Come puoi essere… Insomma… Io credevo che…”
“Già. Anch’io.” sentì le sue morbide dita accarezzargli la barba, ma era troppo concentrato  a trattenere le lacrime ed a metabolizzare ciò che gli aveva appena detto per accorgersi del suo tocco. “Ancora stento a crederci. Ho dovuto rifare il test decine di volte. Ogni mattina, per le scorse due settimane, mi alzavo e correvo in bagno a fare un altro test, per vedere se fosse ancora lì. Il mio Piccolo Miracolo. Il nostro Piccolo Miracolo. Ed è qui, Robin.” gli prese la mano e se la portò sul ventre ancora piatto, “Proprio qui. Ed è reale.” rimase a guardare le loro mani unite nel punto in cui il loro Miracolo stava crescendo, finché sentì qualcosa bagnarle la pelle. Lacrime. Erano di Robin, stavolta. 
“Regina—”
“Ehi” sorrise, asciugandogliele con la mano ancora libera. “Dì qualcosa, ti prego.”
“I-Io non… non so che cosa dire io… ho solo voglia di…” senza alcun preavviso, la tirò a sé e la strinse forte, seppellendo il viso nell’incavo del suo collo, soffocando ogni singhiozzo mentre si lasciava andare ad un lungo pianto. “Ti amo così tanto, Regina. E’ che… non riesco a crederci, io—”
“E’ tutto okay” avrebbe voluto piangere anche lei, ma le faceva effetto vederlo in quel modo. Era buffa la vita: tutte le volte in cui aveva pianto lei in quel modo, lui l’aveva sempre stretta forte, accarezzato la schiena e sussurrato che sarebbe andato tutto per il meglio. Ed eccoli lì, a fare la stessa cosa, ma con i ruoli invertiti.
Sorrise a quel pensiero, mentre aspettava che lui si sentisse pronto a guardarla di nuovo negli occhi. Quando lo fu, lei gli asciugò le lacrime, poi lo baciò, assaggiandole per una manciata di secondi.
“Ti amo.” le sussurrò, prima di un altro bacio. “Ti amo” ed un altro, “Ti amo” e un altro ancora. Regina rise mentre Robin la spingeva contro il legno che sorreggeva le altalene e continuava a baciarla con passione, finché non la sentì avvolgere le gambe attorno alla sua vita. Le sussurrò “Ti amo” l’ultima volta, poi la lasciò scendere, senza tuttavia togliere le braccia. 
“Ti amo anch’io.” sorrise, baciandogli la punta del naso. “E ti ama anche il Piccolo Miracolo.” lo sentì ridere come non mai, poi portò una mano sul suo stomaco e la risata si ridusse ad un tenero, emozionato sorriso. 
“Piccolo Miracolo, eh?” ridacchiò “E io che l’avrei chiamato Fulmine o Principessa.” risero insieme.
In quel momento, Regina ne era sicura: non sarebbe mai potuta essere più felice. Aveva tutto ciò che aveva sempre desiderato, e anche quello che non avrebbe mai immaginato di avere. 
Forse, infondo, da qualche parte, lassù, qualcuno faceva il tifo per lei. E per quella sua folle, folle famiglia che avrebbero costruito insieme, lei e Robin, e protetto, sempre.
Quella famiglia per cui avevano sofferto, lottato, pianto. 
Quella famiglia che prometteva di ripagarli con tutto l’amore del mondo.
 

Oddio, credo che potrei anche commuovermi.
Sono contenta di essere arrivata fino alla fine, con questa follia, insieme a voi. Grazie infinite per aver letto ed apprezzato (o almeno spero) fino all'ultimo capitolo.
Un grazie speciale a chi ha trovato il tempo di scrivere un commento, anche breve, a questa storia, per farmi sapere ciò che ne pensava, nel bene e nel male. Sinceramente, spero ne arrivino altri per questo finale e per il seguito, che spero di postare molto presto.
Un abbraccio forte, alla prossima.

-Ella.

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