Pure

di DilettaMaselli
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 3 ***
Capitolo 4: *** 4 ***
Capitolo 5: *** 5 ***
Capitolo 6: *** 6 ***
Capitolo 7: *** 7 ***
Capitolo 8: *** 8 ***
Capitolo 9: *** 9. ***



Capitolo 1
*** 1 ***


Giorgia era splendida: con il suo viso morbido e innocente che ricordava un angelo e la sua lunga cascata di capelli dorati sembravano oro colato. La ragazza più bella con cui Ian avesse mai fatto l'amore. 
Probabilmente Giorgia era bella come tante altre donne, ma agli occhi di Ian era perfetta. Giorgia era l'unica che lui avesse mai amato. 

Si erano conosciuti quando Giorgia era in quarta superiore, mentre Ian, un anno più piccolo, portando con sé tutto il suo fascino di adolescente straniero, arrivò in Italia dalla Germania per uno scambio culturale con il liceo linguistico A. Manzoni di Modena. 
Fu amore a prima vista? No. Ian e Giorgia non si innamorarono tra i banchi si scuola. 
Di quel periodo, Giorgia ricordava solo che quattro ragazzi tedeschi di sedici anni si unirono alla classe 4^C, la sua classe, per un periodo di tre o quattro settimane e, poi, sparirono improvvisamente com'erano arrivati. Pensandoci su qualche minuto , forse avrebbe potuto ricordarsi che nel gruppo c'era solo un maschio e tre femmine, tra cui una aveva i capelli talmente biondo platino che sembravano quasi i capelli di un'anziano. Ma nient'altro le tornava alla mente. 
Ian, invece, quelle settimane le ricordava bene perché con quel viaggio, l'Italia aveva conquistato un posto speciale nel suo cuore. Avendo nonni materni e paterni di origine italiana, in casa Da Rold si era sempre parlato quella lingua melodica tanto diversa dal tedesco. Ma fino a poco prima di quei giorni passati all'estero, considerava quasi triste sapere alla perfezione una lingua senza conoscere le usanze e la cultura del luogo in cui viene parlata.
Giorgia non ricordava Ian ed Ian non ricordava Giorgia, tuttavia il destino decise di incrociare le loro strade una seconda, dolcissima, volta.
Accadde a New York negli Stati Uniti, in un giorno d'estate piuttosto umido, quando Giorgia rovesciò un cappuccino bollente di Sturbucks sulla felpa di Ian. Non seguì nessun tipo di scuse da parte di lei, perché quel disastro non era stato causato dalla sua testa sempre fra le nuvole. Giorgia rovesciò di proposito la bevanda calda addosso a Ian, quel bel ragazzo alto e forte che aveva intravisto di sfuggita in coda dietro di lei alla caffetteria, biondo castano dagli occhi nocciola. 
<< Ciao, mi chiamo Giorgia. >> le venne spontaneo dire in Italiano, ma subito si morsicò la lingua. Quante possibilità aveva di beccare qualcuno che parlasse la sua lingua a più di quattromila chilometri di distanza da casa? 
Una almeno doveva averla, perché il ragazzo davanti a lei sfoggiò un sorriso perfetto e rispose: << Piacere, Ian. >>
Ian aveva intuito che non si era trattato di un incidente, ma qualcosa in quegli occhi verdi e umidi per l'imbarazzo gli suggerivano che non c'era malizia in quel gesto, solo tenera ingenuità. 
Si sedettero su un tavolino all'aperto, sotto un'ombrellone. Giorgia, sorpresa di sé stessa per avere provato per la prima volta nella sua vita ad attaccare bottone con un ragazzo niente male, insistette per offrire qualcosa da bere a Ian che accettò ben volentieri, pensando che se non le avesse chiesto il numero di lì a giusto il tempo di finire il caffè, l'avrebbe persa per sempre. 
<< Allora, Giorgia, dimmi un po', come mai non hai preso un bel Frappuccino? >>
<< Frappuccino? >>
<< Si, il frappè al cappuccino. >>
<< So cos'è, ma non capisco perché tu me lo stia chiedendo. >>
Ian distaccò lo sguardo e si lasciò sfuggire una risatina. << Beh, sarebbe stato meno ustionante. >>
Giorgia avvampò e per la tensione iniziò a lacrimare e ridere allo stesso tempo. Era stata proprio pessima. E lo era anche il quel momento. Doveva ammettere di avere dei modi un po' strani per relazionarsi con le persone. 
<< Cosa ci fai qui a New York? >> domandò Ian per evitare di crearle altro imbarazzo.
<< Cerco lavoro. Per ora faccio la cassiera al market sotto casa mia. Tu? >>
<< Sono qui per amore. >>
Giorgia abbassò penosamente gli occhi. << Ah, sei fidanzato. >>
Lui sorrise, contento che avesse abboccato. << No, è un amore che condivido con troppe persone per considerarmi "fidanzato". >>
<< Non capisco. >> disse assumendo un'espressione interrogativa, un po' preoccupata.
<< Pratico sport estremi. Free climbing, bungee jumping, base jumping, torrentismo, paracadutismo, kitesurfing e tuffi. Sono la mia passione. Mi trovo qui con un mio amico e stiamo girando un po' tutta l'America per cercare raduni di appassionati, eventi e cose simili. >>
Lei rise, più tranquilla ma anche un po' impressionata da quello che aveva appena sentito. << Ah, e non hai paura? >> 
Forse avrebbe dovuto immaginare di avere a che fare con uno sportivo: era un ragazzo molto alto e anche se indossava dei vestiti che mettevano poco in risalto il suo fisico, sembrava piuttosto robusto.
Ian sorrise un'altra volta. Giorgia ormai aveva notato quel sorriso furbo e iniziava a piacerle parecchio. << Io non ho paura di niente. >>
Da quel momento la conversazione si incentrò su passioni e hobby. Ian scoprì che Giorgia adorava i Coldplay come lui, ma preferiva musica un po' più rock come gli ACDC e i Deep Purple. Amava mangiare, ma odiava cucinare, infatti gli raccontò che spendeva in cibi pronti ciò che le restava del suo stipendio dopo aver pagato le bollette. Ian spiegò che aveva già fatto viaggi lunghi come quello: in Australia, in Giappone e in India. I suoi genitori erano benestanti ed erano contenti di finanziargli le sue avventure  perché credevano che si stesse facendo una cultura viaggiando così spesso. In realtà lui si spostava solo per provare il brivido che gli regalava  il suo amato sport. 
Ian raccontò che tra tutti i viaggi che aveva fatto, non aveva mai dimenticato quelle tre settimane Italia che gli avevano permesso di conoscere un po' meglio le sue origini. Così, Giorgia scoprì che lui non aveva la nazionalità Italiana, ma tedesca e tra una cosa e l'altra saltò fuori che quelle settimane le aveva trascorse proprio a Modena,  frequentando il liceo linguistico A. Manzoni, nella classe 4^C.
I due parlarono ancora per almeno due ore. Sembrava che avessero una montagna di cose da dire da una vita e che entrambi stessero aspettando proprio l'altro per raccontarle. La verità era che spesso ripetevano cose già dette e a volte si soffermavano su particolari veramente inutili. Nessuno dei due aveva voglia di mettere un fine a quella conversazione. Il tempo, però, nessuno poteva fermarlo, così ci pensò un'addetta della caffetteria. 
<< Ragazzi, scusate il disturbo, ma se non ordinate più niente è il caso che liberiate il tavolo. >>
I loro sguardi si incrociarono, poi caddero sull'orologio alle loro spalle. 17:47. Non erano le 15:30 quando Giorgia era entrata in quel bar? 
La ragazza si allontanò mentre Ian e Giorgia si alzavano dalle rispettive sedie. 
<< Devo versarti un caffè addosso per chiederti il numero? >> scherzò lui. 
<< No, tranquillo non ce n'è bisogno. >>
Ian salvò il suo numero tra i contatti del telefono e le fece uno squillo in modo che anche Giorgia potesse avere il suo. 
Uscirono in silenzio, poi si fermarono davanti all'entrata di Sturbucks. Ian la scrutò con i suoi dolci occhi marroni, poi lei intimidita indietreggiò di un passo. 
<< Guarda che non ti mordo, sai. Voglio solo baciarti. >> 
Chiuse gli occhi e scoppiò a ridere, sicura che stesse scherzando. 
Sentì prima le sue mani tra i capelli, un'attimo di esitazione, poi le labbra morbide di Ian sulle sue. In quell'istante il tempo sembrava non esistere più ancora una volta, come prima quando chiacchieravano. 
Doveva ammettere che non se l'aspettava. 
Non ebbe il coraggio di riaprire gli occhi. Anche quando quell'indimenticabile momento si concluse, le ci volle qualche istante. Tenendo le palpebre abbassate, a Giorgia sembrava quasi di prolungare ancora un po' le sensazioni che stava provando. Avrebbe voluto che durasse un po' di più.
Quando lentamente socchiuse gli occhi, lui era sparito.
Fu il bacio più bello di tutta la sua vita; il primo di una lunga serie. 

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Capitolo 2
*** 2 ***


Ian si fermò davanti ai distributori automatici. Non aveva fame, ma era già passato un giorno dall'ultima volta che aveva messo qualcosa sotto i denti e nonostante lo stress delle ultime ore, lo stomaco gli brontolava. 
Si trovava al Roosvelt Hospital di Manhattan, in uno di quei corridoi odoranti di candeggina dove di solito non passava mai nessuno. Almeno non in quel reparto. Chi poteva avere fame con un parente o un caro amico in fin di vita?
<< Io ho fame. >> disse piano, senza quasi accorgersi che le sue labbra si erano socchiuse per dire qualcosa. 
Da almeno cinque minuti stava fissando un Kinder Bueno, ma non aveva intenzione di comprarlo. Ian odiava i dolci. 
Si girò per assicurarsi che non ci fosse qualcuno dietro di lui ad aspettare il suo turno. Era solo ed era un bene. Aveva intenzione di scegliere il suo pranzo con tutta la calma del pianeta. 
Partì dall'alto: patatine fritte, un dollaro e settantacinque centesimi, numero ventisei.
Ci pensò su qualche istante, ma poi proseguì: patatine fritte grigliate, un dollaro e settantacinque centesimi, numero ventisette.
Ventisette, come gli anni di Giorgia.
Patatine fritte al peperoncino, un dollaro e settantacinque centesimi, numero ventotto. 
Quel giorno era esattamente il 28 settembre 2015. 
Salatini non salati, un dollaro e settantacinque centesimi, numero ventinove.
Salatini non salati?
Scrok Scrok, lo snak che scrocchia, due dollari, numero ventinove.
Pizzetta sottovuoto, due dollari e settanta centesimi, numero quaranta. 
Quaranta? Ma dopo il ventinove non c'è il trenta?
Seconda fila: tramezzino prosciutto e funghi sottovuoto, due dollari e settanta centesimi, numero quarantuno.
Quattro meno uno fa tre. Io e Giorgia stiamo insieme da due anni, ma arriveremo anche al terzo.
Ian inserì delle monetine e compose sulla tastiera a lato il numero quarantuno. Prese anche una bottiglietta d'acqua. 
Ma cosa stava facendo? Aveva scelto un tramezzino come se stesse scegliendo i numeri della lotteria. Non era Giorgia quella che ragionava in quel modo? Secondo lei tutto doveva essere ben ponderato ed avere un senso. Ma che senso aveva mangiare un tramezzino prosciutto e funghi perché quattro meno uno faceva tre? 
Tre. Tre anni insieme dobbiamo raggiungerli.
Ian decise di consumare il suo pasto appena fuori la stanza in cui avevano deposto Giorgia, come se fosse una merce. Un paziente uguale agli altri. Certo, per i dottori lo era, ma non per Ian. In quelle venticinque ore passate a contare ogni secondo che scorreva, avrebbe voluto dirlo ai dottori che Giorgia non era come gli altri. Insomma, lei era più importante. Lei veniva prima di tutti, di tutto. 
Ian sentì formarsi un nodo in gola, ma lo mandò giù con l'ultimo pezzo di tramezzino. In quelle venticinque ore non aveva versato una lacrima e non l'avrebbe fatto nemmeno in quel momento. No. Soprattutto adesso che di lì a poche ore sarebbero arrivati i parenti più stretti di Giorgia - madre, padre e sorella. Non voleva farsi vedere debole, non poteva.
In pochi sorsi finì anche la bottiglietta d'acqua e poi tornò a fissarsi le All Star rosso bordeaux, così come aveva fatto per tutta il pomeriggio precedente, la notte e quella mattina. 
Le All Star erano la passione di Giorgia: ne aveva di tutti i colori e di tutti i tipi. Le sue preferite, però, erano quelle bianche basse. Le più semplici, un po' come lei. 
Ian, invece, preferiva quelle alte. A dire il vero, non aveva mai amato le All Star. Ma in quegli anni Giorgia lo aveva talmente tanto ossessionato che alla  fine se ne era comprato un paio anche lui. E di sua spontanea volontà.
Tutto le ricordava lei. Come avrebbe fatto a dimenticarla?
<< Non ci sarà bisogno di dimenticare nessuno. >> si disse sottovoce.
Qualche istante dopo si materializzò il Dottor Robson davanti a lui. Da dove era sbucato, Ian non lo sapeva. Era certo che non fosse nella stanza di Giorgia. Forse era troppo occupato a navigare nel mare di pensieri che aveva in testa per accorgersi di ciò che accadeva intorno a lui. Forse stava affogando il quel mare.
<< Buongiorno. Lei è qui da ieri pomeriggio, forse dovrebbe andare a farsi una doccia e dormire un po'. >>
<< Sto benissimo, grazie. >> rispose freddo.
<< Lo dico per lei, la aiuterà a metabolizzare gli avvenimenti delle ultime ventiquattro ore. La sua presenza qui non è d'aiuto a noi e nemmeno alla ragazza. Non si alzerà dal letto se lei continua a fissare il pavimento. >>
Ian si sforzò di sorridere, ma non aveva alcuna voglia di farlo. << Sa, lei mi ricorda il Dottor House. >>
<< Chiunque sia questo Dottor House dev'essere molto comprensivo perché ho deciso che può entrare qualche minuto nella stanza della signorina. >>
<< Dice davvero? >>
<< Certo, ma a patto che poi vada subito a casa. Uscire da qui la aiuterà a schiarirsi le idee. Sguardi come il suo ne ho visti tanti in questo reparto e posso assicurarle che più le persone rimangono qui, più si incupiscono. >>
Ian non era sicuro di voler entrare nella stanza di Giorgia. Era troppo doloroso immaginarla stesa su un letto in fin di vita, non poteva pensare cosa volesse dire vederla con i propri occhi. << Aveva detto che non avendo nessun tipo di legame ufficiale non potevo vederla, almeno non senza il consenso dei famigliari. >> 
Stava cerando una scusa, non era ancora pronto.
<< E' esattamente quello che ho detto, tuttavia in queste situazioni drammatiche vado spesso controvento.>> Sorrise. << Anche il Dottor House infrange il protocollo, qualche volta? >>
Il Dottor Robson stava iniziando a diventare irritante. Ian non sopportava tutto quel buon umore in un momento simile. 
Dovette fare appello a tutta la sua volontà per alzarsi dalla sedia e dirigersi verso la porta, di fronte a lui.
<< Grazie, Dottor Robson. >>
<< Mi raccomando, faccia una cosa veloce. >> Un'altro sorriso sgradito.
Ian entrò molto rapidamente. Tentennare davanti alla stanza rendeva le cose solo molto più difficili. 
Si richiuse la porta alle spalle e si avvicinò al letto un po' intimorito da tutti quei macchinari che circondavano il letto della sua Giorgia. 
Come aveva previsto, lì dentro non era affatto un bello spettacolo. Giorgia aveva la testa fasciata da metà del naso in su. Anche un braccio era fasciato, l'altro ingessato. Il labbro inferiore era diviso a metà da un taglio non molto profondo e appena sotto il mento si intravedeva un grosso ematoma. 
Si avvicinò ancora un po'. Allungò una mano e le accarezzò le dita del braccio non ingessato. 
L'unica cosa che voleva in quel momento era sapere se sarebbe sopravvissuta. Tutto il resto era poco rilevante.
<< Forse. >> gli aveva risposto il dottore poco dopo averla stabilizzata.
<< Cosa... che... quali danni ha riportato? >> aveva domandato Ian incapace di formulare una frase per lo shock.
<< Non sono autorizzato a dirle nient'altro. Dovrà aspettare i famigliari. Posso solo aggiungere che se ce la farà... >> i suoi occhi guardavano oltre le spalle di Ian. << molte cose cambieranno. >>
Le strinse due dita della mano, ma non ebbe il coraggio di toccarla di più. Aveva quasi paura di farle male. Sembrava così fragile. 
<< E lei che ci fa qui dentro? >> sussurrò una voce. 
Ian si voltò. Un'infermiera piuttosto bassa e paffutella lo stava guardando con aria sprezzante. 
La guardò per un'ultima volta e senza dire una parola, uscì dalla stanza. 
Sì, aveva un gran bisogno di una doccia. Si diresse verso l'uscita, ma non sarebbe tornato a casa. Non lì, dove il profumo di muffin al cioccolato che comprava per lei in una bakery ogni mattina, si mescolava a quello di Giorgia. Dove c'erano tutte le sue cose e le foto appese sul frigo. Le sue All Star. I suoi orribili fiori finti. Il loro letto. 
Proprio perché tutte quelle cose gli ricordavano lei e ricordarla in quel momento faceva troppo male, decise di recarsi nel luogo del loro primo appuntamento. 
Tanto per non pensarci.

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Capitolo 3
*** 3 ***


Il Luna Park quel giorno era chiuso. Pioveva a dirotto e nessuno si sarebbe mai presentato per fare un giro sugli autoscontri o per prendere uno zucchero filato. 
Un paio di anni prima, quando Ian e Giorgia si erano dati appuntamento vicino al tiro a segno, il sole era bollente e penetrante con i suoi raggi luminosi. Quel 28 settembre, invece, il maltempo sembrava non voler dare tregua a niente e nessuno.
Sarà che era autunno e, invece, quel giorno di sole di due anni prima era trascorso in pieno luglio, ma Ian aveva la sensazione che il cielo lo stesse prendendo in giro. In un giorno felice ti regalo il sole, il momento più brutto della tua vita lo condisco con la pioggia. 
I giochi e i chioschi del Luna Park erano coperti da teloni impermeabili o protetti dalle saracinesche. Ian, però, si ricordava bene cosa si nascondeva lì sotto. Giorgia, amante delle giostre come lui dello sport, lo aveva portato in quel posto almeno una decina di volte se non di più e Ian ricordava ormai bene tutte le attrazioni che c'erano, anche se non poteva vederle. 
Non c'era molto da fare quel giorno, sotto la pioggia. Gli venne poi in mente che forse, un luogo in cui gli sarebbe piaciuto finire di inzupparsi per benino, c'era. 
Si allontanò dal Luna Park di circa duecento metri, per poi svoltare a destra. Pochi passi e si ritrovò davanti ad un minuscolo parchetto o, per meglio dire, una piccola area verde, dato che lì c'era soltanto un cestino, un giovane pino e un tavolo da pic nic. Fu proprio lì, seduti uno di fronte all'altro che Giorgia ed Ian, due anni prima, si fermarono a chiacchierare. Entrambi scoprirono quanto amassero parlare con l'altro e quanto una lunga chiacchierata poteva farli sentire soddisfatti.
<< Giorgi... >> Ian fece un sospiro e incrociò le braccia. << Giorgi, Giorgi. Sei veramente la ragazza più stramba con cui io sia mai uscito. Insomma, mi hai portato sulle giostre e mi hai fatto mangiare le frittelle al cioccolato. >> Scoppiò a ridere e Giorgia lo imitò. << Io odio i cibi dolci. Eppure le ho mangiate e me le sono godute. >>
<< Forse sono io che rendo tutto migliore. >> scherzò.
<< Sicuramente. >> disse serio, poi tornò a sorridere. << Non credo che con te dovrò mai preoccuparmi di portarti in un buon ristorante, a te bastano i cupcakes. >>
<< Hai fatto bingo. Però potresti doverti preoccupare di portarmi in una buona pasticceria. Alcune possono farti sborsare un bel po' di quattrini, lo sai? >>
Giorgia piegò la testa di lato e sorrise. Ian sospirò sonoramente. 
<< Ti piacciono i miei capelli? >> domandò lui.
<< Cosa? >>
<< Sì, i miei capelli. Cosa ne pensi? >>
Giorgia lo fissò impassibile, poi gli rise in faccia. << E poi sarei io quella stramba! Le persone normali non se ne escono con improvvise domande fuori luogo. >>
<< Due strambi insieme potrebbero compiere un sacco di meravigliose stramberie. >>
Si sorrisero un po' su di giri tutti e due per la promessa racchiusa in quella frase. << Potrebbero. >> rispose poi lei in tono provocatorio. 
A quel punto, sentivano entrambi che ormai il seme era già piantato e in quello stesso momento stava mettendo le radici. Il fiore del loro amore sarebbe sbocciato molto presto. 
All'apparenza potevano sembrare due persone molto diverse, ma infondo loro sentivano di avere qualcosa che li accomunava. Qualcosa di più profondo dei passatempi e dei gusti riguardo al cibo. Ciò che li rendeva simili era la voglia di stare bene. La voglia di essere leggeri come quando ci si butta con  il paracadute o come quando ci si diverte con gli autoscontri. La voglia di vivere.
La conversazione proseguì.
<< Comunque la domanda era molto seria. Io giudico la pochezza di una ragazza in base alla sua risposta a questa domanda. >>
<< Tu... giudichi la pochezza? >>
<< Voi donne non giudicate la mascolinità di un uomo? Mettila un po' sullo stesso piano. >>
<< Assurdo. >> bisbigliò.
Assurdo non era l'insolita fissazione di Ian per i suoi capelli, assurdo era che Giorgia in quel momento non sentisse bisogno più di niente. Nemmeno di un pasticcino (cosa più unica che rara).
<< Niente assurdità, qui >> fece un gesto con la mano per indicare lo spazio circostante. << si sta parlando di questioni di vita reale. >>
<< Cosa stai dicendo? >>
<< Oh,>> sospirò. << non ne ho la minima idea! >> Ian appoggiò i gomiti sul tavolo e si prese la testa tra le mani con aria annoiata. << Vorrei solo una risposta sincera. >>
Giorgia capì di essere dinnanzi ad una povera anima in pena. Decise di non prolungare oltre la sua ingiusta sofferenza, ma...
<< Prima una domanda. >>
<< Mio dio. Se dopo tutto questo tempo perso non ti piacciono i miei capelli, sarò costretto a riporti nella categoria "Ragazze con poco buon gusto da chiamare alle feste-flop di amici noiosi" >>
< < Ecco...  io mi innamoro abbastanza facilmente. >> La pelle pallida di Giorgia arrossì di colpo mentre ascoltava l'eco delle sue stesse parole.
<< L'ho notato. Quale sarebbe la domanda? >> Ian manteneva un'espressione annoiata, ma in realtà era molto preso da quella conversazione.
Lo disse tutto ad un fiato: << Mi chiedevo se faresti mai soffrire una ragazza innamorata. >> La domanda che le premeva da quel giorno, dal primissimo istante quando lo aveva visto nella caffetteria.
In un certo senso, premeva anche ad Ian. Avrebbe mai ferito una ragazza? Avrebbe mai fatto soffrire Giorgia? Qualcosa gli faceva pensare che con lei sarebbe stato diverso. Diverso da tutte le storie avute con ragazze superficiali e sempre su di giri, che Ian non si era fatto scrupoli a tradire per cercare qualcosa di più profondo. Purtroppo, talvolta, si accorgeva di avere abbandonato una ragazza per una ancora più sciocca e noiosa.
<< Dipende. Di cosa è innamorata questa ragazza? Dei soldi dei miei genitori, del mio aspetto, di un mio amico. >>
<< Dei tuoi capelli? >>
<< Ecco, questo sarebbe una motivo più che ragionevole per non farla soffrire. >> Risero insieme, per l'ennesima volta.
<< Mi spieghi perché sei così fissato con l'acconciatura? >>
<< Non te lo dirò mai .>> 
<< E dài! I tuoi capelli mi piacciono. >> Ian portava da sempre i capelli un po' lunghi, che arrivavano fino a sotto l'orecchio. Erano molto curati e lucenti, a Giorgia non dispiacevano per niente. Anzi, a volte avrebbe desiderato affondarci le mani... << Prometto che non lo dirò a nessuno. >>
Ian storse la bocca e scosse la testa. << Niente da fare. Stai evitando un'altra domanda, comunque. >>
Giorgia sapeva a che domanda si riferiva e non aveva intenzione di sviarla. Nemmeno di parlare usando terze persone. << Beh, io sono innamorata di te. >> sorrise debolmente.
No, Giorgia non era sciocca e noiosa. Giorgia era speciale e Ian lo aveva capito dal primo istante. Forse aveva un po' la testa tra le nuvole e faticava a stare con i piedi saldi a terra, ma era proprio quella la caratteristica che attirava lui. Era bello, ogni tanto, raggiungerla nel suo mondo. Lì, era tutto più bello. 
Giorgia aveva proprio ragione: lei rendeva tutto migliore. 
<< Anche io sono innamorato di te. >> disse Ian quel giorno d'autunno, sotto la pioggia, seduto nel posto esatto dove si era accomodato tempo prima. 
Fissava assorto un punto di fronte a lui, sperando che guardando più intensamente sarebbe ricomparsa Giorgia. Era impossibile e lo sapeva, ma non poteva smettere di farlo. 
Neanche un tuono potente e rumoroso portò Ian alla realtà. 
La pioggia che iniziò a cadere più determinata gli stava inzuppando i jeans, le All Star e i capelli. L'unica cosa che si salvava era il giubbotto di pelle, su cui le gocce scivolavano via. 
Il viso era completamente bagnato. Le lacrime che avevano iniziato a scorrere già da un quarto d'ora abbondante si confondevano con la pioggia. Ian si accorse di stare piangendo solo quando iniziò a singhiozzare, ma ben presto quei singhiozzi si trasformarono in un ruggito di rabbia. 
Era arrabbiato, furioso con se stesso. Era colpa sua se Giorgia era in fin di vita; era colpa sua se il giorno prima era uscita a camminare sotto la pioggia. Le aveva detto lui che prendere un po' d'aria l'avrebbe aiutata a rilassarsi in vista di un importante colloquio di lavoro. Avrebbe dovuto essere lì quando era scivolata in mezzo alla strada, doveva esserci. In qualche modo era sicuro che avrebbe potuto evitare che un furgone la investisse in pieno mentre si stava rialzando. La loro vita sarebbe proseguita nella normalità.
Ma non era così.
Giorgia forse non avrebbe superato la notte. E lui non se lo sarebbe mai e poi mai perdonato. 

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Capitolo 4
*** 4 ***


Prima di tornare all'ospedale, fece una tappa a casa per un veloce spuntino ed un cambio d'abito. 
I genitori e la sorella di Giorgia lo stavano aspettato all'aeroporto. Insieme sarebbero tornati da Giorgia ed Ian cercò di fare tutto il  più in fretta possibile perché non voleva lasciarla sola. Anche se non poteva vederlo o sentirlo, era sicuro che lei in qualche modo potesse percepirlo accanto. Vicino a lei, al posto che gli spettava.
Ian guidò fino all'aeroporto in una specie di trans profonda. Adesso che aveva pianto e sfogato la rabbia che si teneva dentro da ore, si sentiva semplicemente vuoto e spompato come un palloncino sgonfio d'aria. Era talmente preso da ciò che sentiva dentro di lui - niente - che i rumori attorno sembravano quasi ovattati. Gli insulti di un'autista, una donna che attraversa senza guardare, un taxi che gli taglia la strada. Nulla poteva interferire con il suo stato d'animo. 
Giovanni, Annalisa e Giulia lo aspettavano alla fermata dell'autobus. Quando Ian accostò erano zuppi di pioggia, ma a nessuno di loro sembrava importare. 
Oltre ad un << Grazie Ian >> detto da Annalisa, la madre di Giorgia, mentre il ragazzo caricava i bagagli, non ci fu più nessuno scambio di battute fino al Roosvelt Hospital ed Ian ne fu grato. Voleva soffrire in silenzio, solo lui, il suo dolore e il senso di colpa che lo soffocava. 
Posteggiò l'auto in un parcheggio a pagamento poco distante dall'ospedale e sempre in silenzio, si avviarono tutti verso l'edificio. 
Appena superata la soglia d'ingresso, Giulia prese Ian per un braccio e lo costrinse a voltarsi e a guardarla negli occhi, mentre Annalisa e Giovanni si guardavano attorno un po' spaesati. 
Ian la guardò con uno sguardo addolorato: assomigliava così tanto a Giorgia che quasi scoppiò a piangere di nuovo. Stessi capelli color miele, stessi lineamenti, solo gli occhi erano diversi: marroni e un po' più allungati rispetto a quelli di Giorgia.
<< Io... non voglio avere brutte sorprese. Dimmi se è molto grave. >>
<< Probabilmente sì. >> rispose Ian abbassando lo sguardo. 
Madre, padre e figlia lo seguirono fino al quarto piano, dove si trovava la stanza di Giorgia. Ad Ian batteva forte il cuore perché di lì a pochi minuti avrebbe ricevuto qualche brutta notizia. Quando il Dottor Robson li vide arrivare, infatti, venne loro in contro con un'espressione molto dispiaciuta. La conferma di ciò che presumeva.
Ian si sentì morire. 
<< Buongiorno. Immagino che siate parenti della signorina Barbieri. >> Ian annuì. << Bene, qualcuno di voi parla inglese? >>
<< Io. Me la cavo. >> Rispose Giulia.
<< Cosa state dicendo? Dov'è mia figlia? >> intervenne Annalisa che si stringeva le mani al petto. 
<< Tranquilla Annalisa. Adesso il dottore spiegherà la situazione a me e a Giulia e poi noi vi tradurremo ciò che ci ha detto. >> 
Ian fissò per un istante Annalisa. Aveva cercato di tranquillizzarla, ma nemmeno lui era molto calmo. Quella donna che aveva dato gli occhi e la carnagione pallida a Giorgia, era sua madre. Quanto poteva soffrire una madre per un figlio, in un momento come quello? 
Il Dottor Robson prese a parlare interrompendo i suoi pensieri.
Si rivolse a Giulia: << Prima di tutto voglio comunicarvi che l'abbiamo stabilizzata e che non è più in pericolo di vita. >> Entrambi sospirarono di sollievo ed Ian si affrettò a comunicare la notizia a Giovanni ed Annalisa, agitati e preoccupati alle loro spalle. << Devo aggiungere, però, che ha subito molti danni. >> Il suo sguardo si fece più grave. << Alcuni permanenti. >>
<< Cosa intende dire? >> domandò tempestivamente Giulia.
<< La signorina è attualmente paralizzata dalla vita in giù e si trova in uno stato di cecità. Permanente, a quanto pare. Dobbiamo ancora fare alcuni accertamenti. Mi dispiace. >> sospirò. << Ha riportato anche alcune fratture ossee, ma quelle guariranno. >>
<< Mi sta dicendo che... >> Giulia fissava il vuoto e non trovava le parole.
<< Cecità permanente? >> domandò Ian, sconvolto.
Nel suo profondo aveva immaginato che Giorgia non avrebbe più potuto camminare, era una sensazione che lo perseguitava da ore. Ma non lo aveva mai sfiorato l'idea che potesse perdere la vista. Poi ricordò quella fascia che le bendava gli occhi e la testa. << Come è successo? >> domandò.
<< L'impatto con il furgone è stato così violento che ha mandato in frantumi il parabrezza. In pratica il vetro le è esploso in faccia e un sacco di frammenti di vetro minuscoli sono finiti negli occhi. Hanno completamente rovinato la cornea. >> Nessuno dei due disse niente e il dottore proseguì. << Devo anche dirvi che mi è stato comunicato che al pronto soccorso, hanno iniziato a prendere provvedimenti per il volto e in particolare gli occhi, un po' in ritardo. Non ne sono sicuro, ma forse avremo potuto intervenire diversamente. >>
Ma che cosa conta, ormai?
Non importava più. La vita di Giorgia era stata sconvolta per sempre  e lui non aveva idea di che cosa fare. 
<< Adesso vi lascio confrontarvi con gli altri. Se avete bisogno di  qualche chiarimento fatemi chiamare da un'infermiera. >> detto questo si allontanò. 
Ian e Giulia si voltarono contemporaneamente, esasperati. Ian guardò i volti speranzosi dei genitori di Giorgia e comprese che la parte difficile doveva ancora arrivare. Capì quanto dura doveva essere per il Dottor Robson, affrontare sguardi del genere ogni giorno. 
Tradussero tutto per filo e per segno ad Annalisa e Giovanni che mentre ascoltavano attentamente quasi gridavano per il dolore che li stava affliggendo dalla testa ai piedi. Lo stesso dolore insopportabile che stava prendendo a schiaffi Ian e, probabilmente, anche Giulia. 
E adesso? Cosa rimaneva da fare?
Ian tornò a chiudersi in sé stesso e a pensare che una soluzione Giorgia l'aveva sempre trovata. Gli aveva insegnato lei che si poteva risolvere tutto, in un modo o nell'altro. Solo che questa volta la soluzione spettava a lui trovarla, ma ne avrebbe avuto la forza?

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Capitolo 5
*** 5 ***


Quando Giorgia si risvegliò, circa tre mesi dopo, tutto ciò che conosceva iniziò a sgretolarsi. Tutte le sue certezze, i progetti, caddero tutti insieme il giorno stesso in cui Giorgia aprì gli occhi e vide il buio.

Non sapeva bene dove si trovasse o cosa stesse accadendo attorno a lei. Sentiva solo delle voci, alcune estranee, e questo le mise un po' di agitazione. Si sentiva intontita ed era tutto strano. Lei, l'odore di candeggina, le mani intorpidite, la gola secca e naso che prudeva. Sentiva anche la voce di Ian e questo la tranquillizzò un poco. Non capiva cosa stava dicendo, parlava piano e lentamente, quasi avesse paura di farsi sentire da qualcuno. C'era anche Giulia in quella stanza? No, impossibile. Ma dove si trovava? Cosa stava succedendo?
Provò ad aprire gli occhi, ma le palpebre erano tanto pesanti. Tutto quello che stava succedendo era confuso e Giorgia iniziava ad avere mal di testa. 
Riuscì a captare un pezzo di conversazione prima di cadere in un sonno profondo. << E' sicuro che sia sveglia, dottore? Non si muove. >> Sì, lì c'era Ian. Non si era sbagliata.
<< Sicurissimo. E' solo molto stanca. Non tenti di svegliarla, ha bisogno di riposo. >>
E poi il sonno l'avvolse e tornò il silenzio.
Le sembrò di avere dormito solo qualche minuto, ma si sentiva la bocca impastata come se avesse dormito per due giorni di seguito. 
Cercò di deglutire, ma la saliva le finì in gola e iniziò a tossire piano, poi sempre più forte. 
<< Giorgia. >>
La voce di Ian le riempì il cuore e quando sentì una sua mano grande e forte sul suo braccio, si sentì al sicuro. << Giorgi... >> disse questa volta, con un tono supplichevole.
Giorgia si sforzò di aprire gli occhi, ma continuava a sentire le palpebre molto pesanti. C'era qualcosa che non quadrava.
<< Ian... Ian... >> la sua voce era un sussurro. Si sentiva sfinita.
<< Dimmi Giorgi, sono qui. >> la sua voce tremava. Giorgia sentì che le posava la mano libera sulla sua.
<< Io... non capisco... non riesco ad aprire gli occhi. >>
Silenzio. Nessuna risposta. << Ian... >>
Sentì la stretta sul braccio aumentare leggermente ed una strana sensazione si insinuò dentro di lei. 
<< Giorgi, hai gli occhi socchiusi. >>
<< No, Ian, non riesco ad aprirli. >>
<< Giorgi... >> Adesso sentiva Ian muoversi vicino a lei. << Hai gli occhi socchiusi. Giorgi sei all'ospedale e... >> 
Poi, sentì la mano di lui sulla sua guancia per asciugarle la lacrima che aveva iniziato a rigarle il volto. << Mi dispiace, amore mio. >>
Giorgia richiuse gli occhi che ormai sapeva essere aperti. Non voleva affrontare la realtà, non ancora. Girò la testa a sinistra, appoggiando la guancia alla mano di Ian che con il pollice continuava ad asciugarle le lacrime. 
Qualcosa dentro di lei bruciava e faceva male. Era la sensazione di sconforto più grande che avesse mai provato. 
Non voleva nient'altro in quel momento: solo continuare ad avere Ian vicino. Per il momento le bastava.
Il mal di testa tornò velocemente e con esso anche un senso profondo di abbandono. 
Ancora una volta si lasciò portare via dal sonno, consapevole che al suo risveglio avrebbe dovuto affrontare quello che era il suo destino... o almeno ciò che ne rimaneva. 

Del tempo dopo Giorgia si svegliò nella stessa posizione, ma la mano di Ian non era più sotto la sua guancia. Aprì gli occhi, questa volta meno pesanti, ma la vista non cambiò. Buio. Nero. Panico.
<< Ian... >> 
Nessuna risposta, forse non si trovava nemmeno  in quella stanza. << Ian... >> disse con un po' più di voce. 
Poi sentì una mano che le accarezzava il volto. << Sono qui. Scusami, avevo preso sonno. >>
<< Che... che ore sono? >>
<< Sono le cinque del mattino. >>
<< E che giorno siamo? >>
<< E' mercoledì. Mercoledì cinque gennaio. >>
<< Gennaio? Ma... >> 
<< Giorgi, devo andare a chiamare il Dottor Robson finché è ancora di turno. >>
Giorgia sentì Ian staccarsi da lei e allontanarsi di qualche passo. Tornò ad agitarsi più di prima. 
<< No, Ian, non lasciarmi da sola. Ti prego, >> gli occhi le si riempirono di lacrime. << ho paura. >>
Ian si riavvicinò e le baciò la fronte. << Credo sia nello studio qui di fronte alla tua stanza. >> disse piano. << Ci metto meno di un minuto, promesso. >>
<< Ho paura, mi sento confusa. >>
<< Andrà tutto bene. >> 
Un'altro bacio sulla fronte.
<< Non posso venire con te? >>
<< No, Giorgi. E' meglio che stai qui e non ti muovere. Ci metto un secondo, davvero. >>
Certo, come avrebbe potuto andare con lui. Sarebbe stato complicato anche scendere dal letto non vedendo niente.
<< Va bene. >> acconsentì. 
Come aveva promesso, Ian tornò dopo pochi istanti. 
Non era solo, qualcuno si schiarì la voce e iniziò a parlare: << Buongiorno signorina. Come sta? >>
<< Perché vedo tutto nero? >> domandò con la voce spezzata. Dov'era Ian? Aveva bisogno di sentirlo accanto.
Come se le avesse letto nel pensiero lui le prese la mano.
<< Si ricorda di avere avuto un incidente? >>
<< Sì, più o meno. >>
<< Ebbene, adesso lei si trova in un stato di... >>
<< Oh, mio dio... non riesco a muovere le gambe! >> 
Iniziò ad agitarsi sul letto, ma la situazione non cambiò. << Perché non riesco a muovere le gambe. >>
<< Signorina, si calmi. >>
Giorgia iniziò a piangere, nel panico e nella confusione più totali. << Se non si calma subito dovremo sedarla, mia cara. >>
<< No! >>
<< Giorgia, ti prego, tranquillizzati. >>
<< Voglio sapere cosa sta succedendo! >>
<< Adesso questo dottore te lo spiegherà, se ti calmi. Ti prego, Giorgi, ti ho visto incosciente per mesi. Non voglio mai più assistere ad una scena simile. Ti prego, fallo per me. >>
Ian si sedette sul bordo del letto e si portò al viso la mano che le teneva stretta. Sotto il suo palmo, Giorgia riconobbe i lineamenti di lui e sembrò tranquillizzarsi. Ian era lì e questo contava. 
<< Ok, mi calmo. >>
<< Bravissima, cara. >> disse il dottore. << Allora, le stavo spiegando che lei si trova in uno stato di cecità permanente. E come ha appena notato... è paralizzata. >>
<< Vuol dire che... che non potrò più vedere? Ne camminare? >>
Giorgia non piangeva più, ma respirava affannosamente. Avrebbe solo voluto gridare tutta la sua rabbia, in quel momento.
<< No, signorina. Ne sono rammaricato, ma non abbiamo potuto fare molto per lei, se non stabilizzarla. >>
<< C'è qualcos'altro che non potrò più fare? >> 
Adesso la sua voce era un sussurro. Giorgia cercava di gridare, ma la voce usciva tanto quanto bastava per essere a malapena udibile.
<< No, questo è tutto. Fortunatamente non ha subito alcun tipo di danno a livello celebrale. In questi mesi le fratture e le ecchimosi sono guarite e da quel punto di vista non c'è nulla di cui preoccuparsi. Sa, devo dire che il tempo che ha impiegato per svegliarsi è stato relativamente breve, per i danni permanenti che ha subito è sorprendente. >>
E avrebbe dovuto consolarla? Cosa cambiava se si svegliava tra un'altro mese o tra uno, due anni? Poi, si ricordò di Ian vicino a lei. Certo che cambiava. Cambiava per lui.
Il dottore continuò: << Dovrà fare della fisioterapia e sottoporsi a dei controlli per un po' di tempo. Immagino anche che sia utile rivolgersi ad uno psicologo. Lo consiglio sempre ai pazienti che subiscono questo tipo di danni. A volte, queste situazioni possono risultare traumatiche. Anche per chi le è vicino. >>
Sentì Ian sospirare.
Infine il dottore aggiunse: << Adesso vi lascio un po' da soli. Credo che avrete molte cose da dirvi, ma mi raccomando: non si affatichi troppo con le chicchere. >> detto questo sentì i passi del dottore allontanarsi.
Finalmente era di nuovo sola con Ian. Tutto ciò di cui aveva davvero bisogno.

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Capitolo 6
*** 6 ***


Il rientro a casa face sentire Giorgia davvero molto confusa. Il suo discreto appartamento sopra il market era sempre quello: salotto e piccola cucina con isola, camera da letto, bagno spazioso, ripostiglio e il minuscolo terrazzo. La collezione di All Star nell'armadio in salotto, la TV 3D di Ian sul tavolino di vetro, il frigorifero sempre strapieno. Cos'era cambiato? Tutto e niente. Giorgia poteva solo ricordare il suo appartamento arredato amorevolmente con mobili di seconda mano, ma entrando si sentì a casa sentendo il profumo che in quei giorni le era tanto mancato: sapone e miele. Era quello l'odore che invadeva quei 60 mq e Giorgia lo aveva sempre adorato. Appena superata la soglia, sulla sua sedia a rotelle, ispirò bene l'aria di casa sua immaginandosi l'ingresso con l'appendiabiti e il porta ombrelli sulla destra. << Casa. >> disse.
Ian la spinse avanti ancora di qualche metro e subito Giorgia sentì un odore diverso nell'aria. Sembrava... tabacco? Ian non fumava.
<< Eccoci! >> esclamò Ian. Giorgia si domandò se credeva fosse diventata anche sorda oltre che cieca, ma prima che potesse aprir bocca sentì dei rumori provenire da salotto. Non poteva essere Ian, era proprio lì, accanto a lei e stava sistemando le giacche sull'appendiabiti. 
<< Giorgia! Ciao. >> 
Giulia? << Giulia? >> 
<< Sì, sono io. >>
<< Cosa ci fai qui? Non... quando sei arrivata? >>
<< Io... ecco... >> 
Sembrava nervosa. Perché sua sorella non l'aveva abbracciata come faceva di solito? << Sono arrivata qui con mamma e papà quando hai avuto l'incidente. Loro sono tornati in Italia, ma io non me la sono sentita di lasciarti in un momento simile. >>
<< Oh, è stato gentile da parte tua. >> 
Se Giulia voleva essere fredda e distaccata, Giorgia si sarebbe comportata allo stesso modo. 
Poi, un dubbio l'assalì. Sua sorella si sentiva a disagio, era palese. Ma cosa la faceva sentire così? Il suo stato fisico forse? Da pochi giorni, Giorgia conviveva con la realtà. La sua piccola, dolorosa, ingiusta realtà... ed era sua sorella che si sentiva a disagio? La rabbia iniziò a montarle dentro, ma subito quel fuoco si spense. Doveva iniziare a convivere con la consapevolezza che tutti si sentivano a disagio di fronte ad un disabile. Peggio se paralizzato e cieco contemporaneamente. Avrebbe dovuto dare del tempo a tutti per abituarsi, compresa a lei stessa. 
<< Bene, adesso che ti sei svegliata sono molto più tranquilla. >>
<< Mi fa piacere. >> buttò lì Giorgia.
<< Mi sarebbe piaciuto rimanere qualche giorno con te, ma ho la aereo tra qualche ora. Sai, al negozio potrei avere dei problemi se mi assento altro tempo. >>
Che genere di problemi? Giulia aveva un'attività tutta sua; faceva la parrucchiera in un salone molto grazioso nei pressi di modena e gli affari andavano così bene che aveva assunto tre parrucchiere e una segretaria. Se erano riuscite a mandare avanti la baracca senza di lei per tutti quei mesi, qualche giorno non avrebbe sicuramente fatto la differenza.
<< Ok. >> si limitò a dire. In fondo, ciò che desiderava di più in quel momento era rannicchiarsi un po' tra le braccia di Ian, senza nessun'altro intorno.
<< Io... io vado allora. Ciao. >> Un bacio veloce e freddo sulla guancia, il rumore delle rotelle di un trolley e la porta che sbatte. La presenza di Giulia era stata così evanescente che quasi le sembrò tutto uno strano sogno.
<< Scusami. >> disse Ian.
Giorgia sentì i passi di lui allontanarsi verso l'ingresso e in un'attimo si ritrovò sola nel suo appartamento. Aspettò qualche secondo poi udì la voce di Giulia provenire dalle scale del condominio. Giorgia non aveva sentito la porta sbattere, quindi Ian doveva averla lasciata aperta. Si spinse indietro di qualche metro, quanto bastava per udire quello che sua sorella stava dicendo al suo ragazzo. 
<< ...è la cosa migliore. E poi... no, scusa, ma non riesco nemmeno a guardarla in faccia. E' cieca, ma non stupida. >>
<< Fa come ti pare, ma tanto lo scoprirà. Glielo dirò io stesso. >>
<< Sei scemo o cosa? Non ti pare che sia già abbastanza amara la vita per lei? >>
<< Non so tenere un segreto. Non con Giorgia. E poi non sono tanto bastardo da mentirle tutti i giorni. Mi dispiace che la mia decisione coinvolga anche te, ma non riuscirai a farmi cambiare idea. >>
Giorgia sentì il rumore del trolley di Giulia che sbatteva sui gradini, dopo qualche istante i passi di Ian che si avvicinavano. Si affrettò a tornare nella posizione iniziale, o quantomeno in una posizione simile.
<< Eccomi. Volevo assicurarmi che Giulia avesse preso il suo biglietto. >> 
Ian le aveva appena mentito. Per la prima volta, in due anni, Ian le aveva mentito. Questo la confuse ancor più della conversazione che aveva appena origliato e, mentre Ian la conduceva probabilmente verso la cucina, Giorgia si domandò cosa ci fosse di così gravoso da spingere Ian, sincero e trasparente come l'acqua, a dirle una bugia. 
<< Hai fame? Sono già le tre e mezza e non abbiamo ancora pranzato. Vuoi che metto su una pasta? >>
<< La pasta va bene. >>
Era successo qualcosa a sua mamma? O a suo papà? O magari era proprio Ian ad essersi ammalato e non voleva dirglielo. Forse si era ferito lanciandosi con il paracadute o surfando un'onda troppo impetuosa. 
<< Spaghetti o fusilli? >>
<< Decidi tu. >>
No, niente di tutto ciò. "Mi dispiace che la mia decisione coinvolga anche te". Cosa poteva essere accaduto in quei mesi che coinvolgeva Ian e Giulia, insieme? Insieme.
<< Che dici, pomodoro o pesto? >>
<< E'... E' indifferente. >>
<< Allora, pomodoro. E mi dispiace per le tue papille gustative, ma lo sai che a me piace piccante. >>
<< Fa lo stesso. >> sussurrò, in trans. Probabilmente Ian non l'aveva nemmeno sentita perché non disse più nulla.
No, Ian non avrebbe mai potuto ferirla in quel modo. E Giulia? Giulia era... era sua sorella!
Improvvisamente Giorgia sentì Ian interrompersi. Poi le si avvicinò. Si inginocchio, le accarezzò il viso e lei si irrigidì.
<< Giorgi, so che è dura. Anzi no, non lo so. Ma sono qui e se vuoi parlare di qualcosa... >>
<< No, devo solo abituarmi. Ci vorrà del tempo... >>
<< Capisco. >> 
Lei cercò di sorridere, per quanto fosse disgustata.
Ian sospirò e si allontanò per rimettersi a lavoro.
Giorgia decise che non avrebbe aperto bocca sull'argomento. Doveva essere lui a dirglielo. Doveva essere Ian a confessarle che mentre lei era in coma, lui era andato a letto con sua sorella. 

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Capitolo 7
*** 7 ***


Le settimane successive al rientro di Giorgia furono molto caotiche per Ian. Doveva occuparsi di mille cose, soprattutto di Giorgia, e questo per lui era un novità. Giorgia necessitava aiuto per tutto. Andare al bagno, mangiare, lavarsi, spostarsi, prendere qualcosa, erano tutte azioni che almeno per il momento,  non riusciva a fare da sola ed Ian era sempre lì, a sua disposizione. In più, aveva dovuto occuparsi di rendere la casa il meno pericolosa possibile, un po' come si fa per i bambini. Niente oggetti appuntiti a portata di mano, niente spigoli sporgenti, niente oggetti fragili in giro per la casa. Aveva preso appuntamento con una psicoterapeuta - per tutti e due - e portava avanti e indietro Giorgia dall'ospedale per i controlli settimanali. In più, aveva organizzato l'arrivo dei genitori di entrambi e si era preoccupato di trovar loro una sistemazione. Si stava impegnando anche per trovare lavoro perché sapeva che i suoi avrebbero potuto mantenerlo all'infinito, con tutti i soldi che guadagnavano dai loro vari investimenti, ma l'incidente di Giorgia lo aveva fatto riflettere su molti aspetti della sua vita e aveva deciso di volere essere totalmente indipendente. Per ultimo, a malincuore, aveva telefonato al suo amico Josh per informarlo che quell'estate, non lo avrebbe raggiunto a Dallas, in Texas, per assistere al rodeo di tori a cui partecipava il suo amico. Ian avrebbe sempre desiderato montare un toro imbestialito, ma Giorgia lo aveva convinto a limitarsi a fare lo spettatore. Tuttavia, avrebbe dovuto rinunciare anche a quello come a tante altre cose, del resto. 
I genitori si fermarono a New York solo per un weekend. Giorgia era stata chiara al riguardo: niente chicchere sgradite, niente attenzioni superflue, niente regali che tanto non avrebbe potuto vedere. Praticamente, avrebbe preferito non ricevere visite, ma alla fine aveva compreso che non poteva pretendere che i suoi genitori non venissero a trovarla dopo tre mesi tormentati da ansie e paure. In quanto ai suoi genitori, Ian doveva stare attento a non inimicarseli prima di trovare  un lavoro, altrimenti lui e Giorgia avrebbero potuto incontrare anche delle difficoltà economiche. 
Quei due giorni furono davvero pesanti. I Barbieri scoppiavano in pianti isterici guardando Giorgia, lei sbuffava, i Da Rold non facevano altro che incrementare il dolore di tutti facendo notare quanto fosse stata sfortunata la povera Giorgia. Finalmente, il lunedì mattina, uscirono tutti e quattro dall'appartamento e nella casa piombò il silenzio. 
Ian corse in bagno, si spogliò e si infilò nella doccia. Acqua gelata. Aveva bisogno di acqua gelata. 
La doccia fu abbastanza breve e mentre Ian si avvolgeva l'asciugamano intorno alla vita sentì uno strano bisogno di piangere. 
Si guardò allo specchio fissandosi intensamente. 
<< Sei una merda. >> si disse. 
I suoi capelli non erano più curati come un tempo: adesso erano sempre spettinati ed arrivavano quasi alle spalle. Non aveva più tempo di andarli a tagliare e non gliene importava niente. Non era per quel motivo che era disgustato da sé stesso. 
Appoggiò le mani sul lavandino e abbassò lo sguardo. Sospirò profondamente. 
Era arrivato il momento. Forse quello sarebbe stato il suo ultimo giorno con Giorgia, in quell'appartamento, ma ormai non aveva più scuse. I genitori erano andati via e tutto quello che c'era da fare lo aveva fatto, mancava solo una cosa: confessare. 
Si tamponò il viso con un'altro asciugamano e si rivestì. Uscì da bagno per dirigersi verso la camera da letto. La loro camera, che ormai era diventata la camera di Giorgia. Da quando era tornata a casa non avevano mai dormito insieme. Ian non se la sentiva proprio di condividere lo stesso materasso e contemporaneamente nasconderle la verità. Giorgia non aveva proferito parola al riguardo, quindi aveva pensato che a lei stesse bene così. Forse, dopo tutti quei traumi preferiva un po' di privacy. 
Aprì la porta e lei era lì, seduta sul letto dove l'aveva lasciata circa un'ora prima, e ascoltava la musica con le cuffiette.
Ogni volta, ogni singola volta che Ian guardava Giorgia scrutare il vuoto con quei suoi occhioni verde smeraldo, una piccola parte dentro di lui moriva. Quell'occasione non fu un'eccezione. 
Si avvicinò. Si sedette sul bordo del letto e le accarezzò una caviglia. Sarebbe stata l'ultima volta che la toccava?
Giorgia sussultò e si tolse gli auricolari. 
<< Ian. Cosa c'è? >>
<< C'è qualcosa che dovresti sapere. >>
Ad Ian sembrò di vedere Giorgia irrigidirsi e serrare la mascella, ma forse era solo una sua impressione.
<< Sentiamo. >> 
Perché era così fredda?
Fece un respiro profondo ed iniziò a spiegare l'errore più grande della sua vita: << Circa tre mesi fa, quando eri in coma da più o meno quattro settimane, c'è stato un giorno in cui le tue condizioni sembravano essere molto peggiorate. Una dottoressa ti ha visitata e ha detto che... ha detto che non c'era pericolo che tu morissi, ma forse non ti saresti più svegliata. >>
Giorgia non batteva ciglio, allora Ian proseguì: << A me è sembrata la fine del mondo, perché la prospettiva di saperti attaccata alle macchine tutta la vita senza sapere se soffrivi o meno, poteva essere di gran lunga peggiore della morte. >>
 << Sono tornato a casa infuriato. Ho preso quell'orrendo vaso che mi ha regalato mia zia a Natale e l'ho lanciato contro il muro. Giulia era qui ed era abbastanza scioccata dalla mia reazione. Così, mi ha fatto sedere e ho iniziato a spiegare come stavano le cose. Abbiamo iniziato anche a bere una birra, dopo un'altra, un'altra ancora e poi ho perso il conto. Abbiamo davvero esagerato, ma eravamo tutti e due... tristi e... Giorgia lei è la tua fotocopia e io non reggo molto bene l'alcool. E' successo che... Giorgia, abbiamo fatto sesso. >>
Giorgia rimase impassibile. Non disse nulla, non emetteva nessun suono. Solo quando Ian alzò lo sguardo dalle piastrelle del pavimento che fissava da dieci minuti, si rese conto che stava piangendo già da un pezzo.

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Capitolo 8
*** 8 ***


Dopo cinque interminabili minuti, Giorgia riuscì a trovare la forza per dire qualcosa.
<< Lo sapevo. >> fu l'unica frase in grado di formulare.
Aveva sperato fino all'ultimo di sbagliarsi, ma purtroppo i segnali erano molti e quella mattina ne aveva avuto la conferma. 
Aveva cercato di trovare una spiegazione plausibile per ogni comportamento anomalo di Ian, soprattutto per il fatto che ogni sera si fermava a dormire sul divano, ma non c'erano scusanti.
<< Come... come lo sapevi? >> 
<< L'ho capito da sola. >> disse tirando su col naso.
Lui tacque per un po'. Probabilmente non se l'aspettava.
<< Se vuoi che me ne vado, posso capirlo. Questa è casa tua. Lo so che pago anche io l'affitto, le bollette e tutto il resto, ma comunque ci abitavi prima te. Dammi qualche ora e sparisco. So che ti ho fatto male e probabilmente stando qui peggioro solo la situazione. Tu sai che io ho sempre voluto il meglio per te. >>
Ian iniziò a parlare a raffica e Giorgia aveva la nausea. Non voleva sentire più niente. << Però prima voglio dirti una cosa, Giorgia. Io non ho mai cercato di rimpiazzarti o di trovare consolazione in qualcun'altra. Non ho mai nemmeno pensato di lasciarti e... >>
<< Ian, ti prego, chiudi la bocca. Stai dicendo un sacco di cazzate. >>
Nessuna risposta. << Io sono cieca, sono paralizzata e tu sei l'unica persona che ho. Vai, vai pure. E poi io cosa faccio se devo andare al bagno? Mi strascino per terra? >> Il suo tono di voce rimaneva freddo e distaccato.
<< Immagino di no. >>
Giorgia era preparata a quel momento; sapeva esattamente cosa dire. Era vero che aveva sperato che il suo brutto presentimento rimanesse tale, ma dentro di lei non aveva potuto fare a meno di rimuginare su come si sarebbe comportata nel caso si fosse verificato reale. 
Aveva pensato di mettersi ad urlare, aveva pensato di chiamare i suoi genitori per farsi venire a prendere, le era addirittura passato per la testa di fargliela pagare ad Ian, in qualche modo. 
Non fece nulla di tutto ciò perché in quei giorni aveva anche maturato la consapevolezza che la rabbia avrebbe portato solo altro dolore ed avrebbe cancellato tutto quello che di buono c'era tra loro. No, lei non voleva questo.
<< Non voglio che mi lasci. Forse dovrei essere io a farlo, comunque non lo farò e non solo perché  in questo momento io ho concretamente bisogno di te, ma anche perché ti amo. Ti amo, Ian, nonostante ciò che hai fatto. E ti perdono.>>
Giorgia lo sentì fare quello che sembrava essere un grande sospiro liberatorio. << Giorgi, io... >>
<< No, aspetta. Non ho finito. Per me questa è una parentesi già chiusa, quindi non cercare di farti perdonare dandomi più attenzioni del necessario o standomi sempre appiccicato per dimostrarmi la tua fedeltà perché non lo sopporterei. Non farebbe altro che ricordarmi perché lo fai e mi farebbe soffrire. Voglio solo che tutto torni alla normalità... per quanto sia possibile. >>
Sentì Ian muoversi accanto a lei, poi ad un tratto si ritrovò tra le sue braccia, stretta in un abbraccio troppo intenso per non ricambiarlo. 
<< Tu sei una persona meravigliosa. Te l'ho sempre detto, ma adesso ho scoperto una parte ancora più bella di te. Credevo di sapere tutto, invece non so niente e ti ringrazio perché mi dai la possibilità di poter continuare a conoscerti. >>
<< Anche io ho scoperto qualcosa che non sapevo di te: ho scoperto che mi puoi fare male... e non lo credevo possibile. >> Si costrinse a proseguire, anche se desiderava solo lasciarsi andare a quell'abbraccio e non pensarci più. << Devi sapere che se mi avessi tradita in un altro momento, probabilmente non ti avrei dato un'altra possibilità. Riesco ad amarti ancora solo perché per me quei mesi non sono mai esistiti. È stato come se il tempo si fosse fermato. >>
<< Si è fermato anche per me, amore mio, e non credo che avrei mai fatto  una cosa simile in circostanze diverse. >>
Rimasero lì, accoccolati sul letto, ancora per qualche minuto. Giorgia sentiva che l'abbraccio di Ian era sincero e pieno d'amore e solo mentre le trasmetteva tutto quell'affetto, comprese che anche lui aveva davvero sofferto in quei mesi. Da come la stringeva, da come la toccava, lei capì che Ian non desiderava altro da tanto tempo. 
<< Giorgi... >>
In quell'istante Giorgia si accorse che stava prendendo sonno. Era così bello starsene lì, insieme a lui.
<< Uhm? >>
<< Andiamo al mare. >>
<< Al mare? Che dici? >> il sonno e quella proposta inaspettata la fecero sentire molto confusa.
<< Andiamo al mare, dai. >>
<< Ma siamo in pieno febbraio. Fuori farà un freddo cane e poi, cosa ci vengo a fare io al mare? >>
<< Non è una proposta, ho già deciso. >> disse mentre la spostava per alzarsi dal letto. << Comunque non pensare che solo perché non vedi e non cammini, ti lascerò marcire dentro questo appartamento per tutta la vita. >>
"Solo perché non vedi e non cammini"... Giorgia avrebbe dovuto deprimersi sentendo quelle parole e in parte la ferirono, ma sorrise ricordandosi che Ian era fatto così e lei lo adorava proprio per questo.
Pensò al mare e si rese conto che anche lei aveva voglia di andarci, ma poi fu investita da uno sconforto profondo.
<< Hai ragione è che... ho paura che mi faccia male sentire il rumore delle onde... il profumo del mare... la sabbia morbida, senza potere vedere niente. >>
<< È probabile, ma devi iniziare famigliarizzare con questo genere di cose e tu sai che io non credo sia giusto darsi tempo quando c'è una questione importante da affrontare. Prima lo si fa, meglio è. Soprattutto se dopo potresti stare molto meglio. >>
Giorgia non disse nulla. Era giusto quello che le aveva appena detto. Lei sarebbe rimasta cieca per tutta la vita e ci sarebbero state molte cose di cui avrebbe sentito la mancanza, ma doveva imparare a convivere con quelle sensazioni e doveva iniziare ad apprezzare altro... altrimenti non sarebbe mai più stata felice. Questa consapevolezza le mise un po' d'ansia. Cosa sarebbe successo se non ci fosse riuscita? 

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Capitolo 9
*** 9. ***


Qualche ora e un piatto di spaghetti dopo, Ian e Giorgia erano seduti in riva al mare con i piedi nell'acqua gelida e i pantaloni arrotolati.
L'aria era ghiacciata e anche il cuore di Ian, in quel momento.
Il viaggio in macchina era andato discretamente bene: Giorgia era stata tranquilla ed era anche riuscita a sorridere alle battute di Ian. Appena arrivati in spiaggia, però, la situazione era precipitata.
Ian aveva i gomiti appoggiati sulle ginocchia piegate e le mani unite. Giorgia si trovava proprio lì, in quello spazio creato dal corpo di lui che la proteggeva dal vento, ma non dal suo dolore. 
Piangeva e tremava tutta. Ian stava impazzendo, non riusciva a sentirla così fragile e ferita tra le sue braccia. 
Proprio Giorgia, proprio lei. 
Perché proprio lei? 
Il destino aveva osato interferire sulla felicità della persona più importante della sua vita e lui era arrabbiato. Avrebbe voluto spaccare qualcosa, spaccare il mondo intero, perché sapeva che non poteva allontanarla dal suo dolore. Purtroppo doveva viverlo fino in fondo per riuscire ad accettarlo, ma starle vicino stava diventando straziante. Faceva male. Bruciava come sale su una ferita aperta. 
Voleva distrarla, strapparle un sorriso o solo un pensiero felice, ma come fare? 
Ian ripensò alla prima seduta avuta con la psicoterapeuta, una certa Dottoressa Mirrone, emigrata nella Grande Mela "per fornire supporto agli italiani all'estero", così diceva. Quella donna tanto formale e composta, gli aveva riferito che il pianto era una fase naturale per le persone nella stessa situazione di Giorgia e almeno le prime volte, non era il caso di interferire. Chi più o chi meno, era un momento non evitabile ed erano peggio quelli che sembravano prendere la cosa come una passeggiata in campagna. Non era naturale. 
Ian, però, non riusciva a starsene lì a guardarla affogare nelle sue lacrime. 
<< Lei è convinto? >> gli aveva chiesto la Dottoressa Mirrone.
<< Convinto di cosa? >>
<< Convinto vereamente di stare con Giorgia. Perché se non lo è, sarebbe meglio che non si prendesse questo tipo di responsabilità. Potrebbe causare a Giorgia un ulteriore trauma. >>
Ian sorrise ripensando alla risposta che aveva dato. Aveva detto la verità più grande di tutte: << Io sono fermamente convinto su tante cose. Solo una proprio non riesco a capire ed è quello che provo per Giorgia. >>
La dottoressa era rimasta confusa dalla risposta e probabilmente aveva frainteso, ma non importava. Quello che c'era da dire lui lo aveva detto. 
Fu proprio ripensando a quella conversazione che decise di non ascoltare il consiglio della psicoterapeuta ed interferire. 
Gli strizza-cervelli non capiscono niente, pensò. Se quella Dottoressa Mirrone metteva in dubbio i suoi sentimenti per Giorgia, allora non aveva capito nulla della vita e si sbagliava anche su tutto il resto. 
Decise che se non poteva togliere Giorgia dal suo dolore, forse avrebbe potuto condividerlo con lei o almeno provare a distrarla. Per fare questo, era necessario che lei parlasse, che si esprimesse, che buttasse fuori tutto. Era difficile, ma lo era anche per Ian, abituato ad avere accanto una Giorgia espressiva e loquace, a volte lagnosa, che se le si dava troppa confidenza non stava zitta nemmeno durante una pioggia di meteoriti. Ora, invece, Giorgia era silenziosa e cupa. Da che parte iniziare, per aiutarla?
<< Hey... >> provò a dire. 
Giorgia continuò il suo pianto isterico senza nessuna apparente intenzione di volerlo ascoltare. 
Lui le baciò la chioma di capelli color miele e ispirò profondamente quel profumo di shampoo alla frutta che gli era tanto mancato in quei mesi. 
Pensa, Ian, pensa. Come arrivare al suo cuore? Il suo cuore triste e nuvoloso. 
<< Mi fa male vederti cosi. >>
Non ci fu risposta. In cambio singhiozzi si fecero più sonori. 
Ian rise piano, non poté proprio trattenersi.
<< Vedo... vedo che... stai proprio male. >> disse tra un singhiozzo e l'altro.
Finalmente qualche parola.
<< No, scusa... è che stavo pensando. >>
Giorgia tornò muta. << Non vuoi sapere a cosa stavo pensando? >>
<< Ho altro per la testa. >>
<< Beh, io te lo dico comunque.
<< Ti ricordi la prima volta che mi hai invitato nel tuo appartamento? Era sera e avevamo appena mangiato da Mc Donald. Ci conoscevamo da un mese e mezzo più o meno e io avevo una voglia matta di portarti a letto. Stavo andando via di testa. Non tanto per l'attesa, ma perché tu mi facevi impazzire. Mi davi dei baci abbastanza spinti, mi toccavi anche, e poi, sul più bello, trovavi ogni volta qualche scusa idiota tipo: "Vado a fare la pipì" Oppure: "Ho prurito ad un piede" e ti toglievi anche la scarpa. Mio dio, Giorgi, mi facevi morire dal ridere, ma avrei voluto anche strozzarti. >>
Ian notò che aveva smesso di singhiozzare. Ecco, aveva trovato la strada giusta. Adesso doveva solo percorrerla fino in fondo. 
Continuò: << Io sapevo che eri vergine, lo avevo intuito, ma sapevo anche che non avevi paura di quello. Tu mi stavi provocando. Lo facevi apposta e a me questa cosa non andava giù. Lo aveva capito anche Josh e mi aveva detto di lasciarti perdere, sai lui com'è fatto, ma mi divertivi troppo.
<< Comunque quella sera ero sicurissimo che l'avremo fatto. Voglio dire, una ragazza ti invita a casa sua dopo un mese e mezzo che la frequenti. Come lasciarsi sfuggire un'occasione del genere?
<< Invece, quando entro a casa tua, mi porti in cucina, mi offri un succo alla pera e dei cioccolatini e inizi a parlare. A parlare. A parlare e a parlare ancora. >>
Giorgia adesso era completamente calma, quindi lui arrivò al punto. << Mi spieghi che vorresti correre la maratona di New York, ma che ti stancheresti dopo venti metri; che una volta ti è venuta l'emicrania perché hai guardato troppo intensamente le nuvole per cercare di vederci qualcosa; che non usi le infradito perché ti sembra di avere un verme tra le dita dei piedi; che mangi tante carote per avere una carnagione più scura, ma poi in spiaggia non prendi mai il sole. >> 
Fece una pausa per riprendere fiato. Non poteva fare a meno di sorridere ripensando a quella sera. << E poi, mi racconti che ti piacerebbe lavorare in un'asilo, in una gelateria, in un negozio di animali... >> 
Giorgia sospirò profondamente. 
<< Dici che ti piacerebbe anche avere dei figli un giorno, e magari un cane, però sei incerta sui nomi. Vorresti chiamare tuo figlio Charlie, ma hai paura che sia un nome da femmina. O da cane. >>
<< Credevo davvero di morire quando hai iniziato a farmi l'elenco di città che vorresti visitare. Hai nominato: Torino, Barcellona, Madrid, Londra, Nizza, Roma, Firenze, Lisbona e tante, tante altre. >>
Giorgia aveva ripreso a piangere, ma lui doveva continuare.
<< E hai anche accennato al desiderio di comprare una casa in montagna perché ti piace il panorama che c'è lì e perché così puoi fare le passeggiate nel bosco. "Nei boschi si trovano tante cose interessanti" hai detto. >>
<< Basta, ti prego. >> disse piano lei, ma lui fece finta di non sentirla.
<< Credo che hai anche iniziato a dirmi come vorresti l'abito da sposa. Non so ripeterti le parole che hai usato per descriverlo, mi ricordo solo alcuni termini come "tullè", "corpetto di pizzo", "bouquet di lavanda"... >>
<< Smettila! >>
<< Arrivano le due e io sono esausto, ubriaco di succo alla pera e cioccolato e fare sesso è decisamente l'ultima cosa di cui ho voglia. Mi accompagni verso la porta e mi fissi con il tuo sguardo sempre troppo sveglio, che non si addice affatto a quell'ora. >>
<< Sei cattivo! >>
<< "Sei pazza." ti dico. >>
<< Non voglio più ascoltarti, basta! >> Giorgia fece per portarsi le mani alle orecchie, ma Ian le trattenne tra le sue.
Le diede un bacio sulla guancia e poi le disse piano all'orecchio: << Poi, ti bacio sulla fronte e scappo via  più velocemente possibile. >>
Giorgia piangeva più di prima, ma non era più agitata. Piangeva silenziosa e quando parlò la sua voce era poco più che un sussurro: << Ma perché? Perché mi fai ricordare queste cose? Mi fanno tanto male... >> Ian non disse niente. << Perché mi fai male, Ian? >> 
Si lasciò andare completamente contro il petto di lui e respirò sonoramente. << Sei davvero senza cuore. >> 
È proprio perché un cuore ce l'ho che faccio tutto questo, amore mio, avrebbe voluto dire. Ma non disse nulla. Toccava a lei parlare, adesso.
<< Lo sai, no? Non potrò mai più fare un lavoro che mi piace, correre o camminare per i boschi, vedere posti nuovi, guardare le nuvole e tutto il resto. Perché me lo stai ricordando? >>
Bastò solo qualche istante e Giorgia tornò a parlare. Parlare e parlare, come aveva sempre fatto. Eccola lì, la solita Giorgi.
<< Io non capisco, Ian, davvero non capisco. Non credo di essermi mai comportata così male per meritarmi questo. Non ho mai avuto brutte litigate con nessuno e se qualcuno mi stuzzica, io lascio sempre perdere. Se qualcuno mi chiede una mano, io ci sono. Magari controvoglia, ma aiuto sempre chi è in difficoltà.
<< Io faccio sempre tutto in buona fede, anche quando sbaglio. Una volta, mia sorella giocava ad appiccicare le formiche nell'Attak e io cercavo di salvarle pulendole con l'acqua. Alla fine sono morte annegate, ma io cercavo di compiere una buona azione.
<< Fino alla cresima sono andata a messa ogni domenica, poi, come fa la maggior parte della gente, non ci ho più messo piede. Ma è normale no? Se devo essere sincera, non so se credo in Dio, ma sono sicura che esiste qualche specie di entità superiore. Forse, allora, Dio esiste ed è stato lui a volere questo perché ho fatto qualcosa di sbagliato?
<< Ian, davvero, più ci penso e più mi sento male perché non riesco a trovare niente. Non mi sembra di avere mai commesso qualcosa di così orribile. >>
Ah, Giorgi, Giorgi. Sempre a pensare al Karma. 
<< Com'è possibile che tante persone cattive di questo mondo la passino liscia? So che alla fine ognuno di noi pagherà il conto, ma non capisco perché io devo farlo proprio ora. Ora che ho conosciuto te, Ian. Mi sentivo così fortunata... Io che mi accontento sempre di tutto e di tutti, sto con il ragazzo più bello, simpatico e profondo che abbia mai conosciuto... E forse, avrei potuto lavorare in quell'asilo nido in cui mi aspettavano per un colloquio.
<< Adesso ho paura. Ho tanta paura di non riuscire ad essere più felice perché quando provi il meglio, è difficile tornare alla mediocrità. Io, invece, dal meglio sono passata al peggio del peggio... tutto mi manca tantissimo... >>
<< Avevo la vita in mano, Ian. Tutto ciò che potevo desiderare. Adesso la mia vita è finita. >>
Ian si lasciò scappare un sorriso mentre la stringeva piano.
<< La vita non ha fine, Giorgia. >>
Si scostò da lei e si alzò in piedi. Prese Giorgia in braccio con facilità e la riportò sulla sedia a rotelle che aveva lasciato sulla passerella insieme alle scarpe, per non doverla avere sempre intorno. 
<< Andiamo a prendere un gelato. >> le disse, e lei sorrise. 

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