Pioggia nella notte

di _Lollipop_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1: La terza ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2: Souvenirs ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3: Hero ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1: La terza ***


Ciao a tutte voi che avete deciso di leggere questa mia nuova storia. Dopo anni di silenzio sono tornata con un racconto del tutto diverso dai miei soliti (sono l’autrice di due vecchie storie: “Fate? Who knows?”, con il suo sequel, e “Io sono Tom! Io sono Bill!”). Se avete letto le mie precedenti storie sappiate che questa non ha, quasi, nulla a che fare con quelle. È un racconto un po’ particolare, dove i personaggi non fanno parte dei Tokio Hotel. Spero ugualmente che vi piaccia. Questo primo capitolo è particolarmente lungo, io vi avviso. Spero non vi dispiaccia. Detto questo, ringrazio tutte voi che state per leggere e vi auguro una buona lettura. Se vorrete farmi sapere il vostro parere –positivo o negativo che sia- sarà ben accetto. A risentirci!

Sara.

«Pioggia nella notte»

Capitolo 1: La terza

L’aria gelida colpiva imperterrita tutto ciò che trovava davanti a sé. I rami e le poche foglie che stavano spuntando sugli alberi frusciavano e si muovevano convulsamente sotto la spinta del vento. Il cielo cominciava a tingersi di colori caldi che accompagnavano il sorgere del sole e si mescolavano al gelido bianco che caratterizzava il cielo di quella fredda mattina di marzo. Erano le sei e trenta quando il detective Kaulitz era stato allontanato dal calore delle sue coperte e accompagnato nella famosa Grünewald, la più grande foresta di Berlino. Il suo umore rispecchiava ciò che sentiva all’esterno: gelo. Ogni passo che compiva verso la zona della foresta circondata da un nastro giallo sembrava rimbombare nel suo cervello. Il rumore delle foglie e dei rami secchi schiacciati sotto le sue scarpe pareva quello di un tuono. Era infastidito. Faceva quel lavoro da due anni ormai, eppure ancora non si era abituato a ciò che doveva vedere. Infatti, superato il nastro giallo, si appoggiò con la schiena al grosso tronco di un albero per sorreggersi, cercando di non dare a vedere il suo disagio. Davanti a lui, al centro della zona delimitata, stava il corpo martoriato di una giovane donna dai capelli rossi; nuda. Era posizionata sulla schiena, un braccio era piegato a quarantacinque gradi con la mano che sfiorava la sua stessa guancia, come in un ultimo gesto d’affetto prima che la vita la abbandonasse. Una gamba era piegata verso sinistra, l’altra era distesa ma in modo anomalo. Era rotta. Chiuse gli occhi per pochi secondi ma quell’immagine non abbandonava la sua mente. Avrà avuto due o tre anni in più di lui, era troppo giovane. Il precipitoso arrivo del coroner alle sue spalle lo distolse dai suoi pensieri.

-Perdona il mio ritardo, Tom. Il traffico di Berlino non si smentisce mai-

Il vecchio signor Kröger era un grande uomo. Il ragazzo aveva un debole per l’anziano dottore. Era dotato di grande umanità e rispetto verso le povere persone che capitavano sul suo tavolo. Si accarezzò la bianca e curata barba e si portò una mano alla testa pelata, scuotendola.

- È la terza ragazza questo mese, poveretta- Tom scrutò l’uomo senza rispondere. Aveva pensato la stessa cosa. L’uomo si abbassò, mettendosi carponi di fianco alla giovane, e le accarezzò i lunghi capelli rosso fuoco.

-Stai tranquilla cara, lo troveremo- poi posò il pollice e l’indice sugli occhi della ragazza ancora aperti e le abbassò le palpebre.

-Dunque…-cominciò. –come puoi vedere quel mostro l’ha brutalmente picchiata. Queste penso siano rotte- indicò le costole sul lato sinistro –probabilmente è stata stuprata come le altre. Ma questo te lo dirò con precisione più tardi, arrivati allo studio… Ovviamente, questa gamba è stata rotta… Non aveva modo di scappare…- Tom notò come la mascella dell’uomo si stringeva nel proseguire l’elenco. E lui poteva benissimo capire cosa stava provando l’anziano dottore. I suoi pugni continuavano a stringersi con rabbia.

-Sai dirmi se è morta per le percosse o le ferite?- chiese alludendo ai numerosi tagli sul corpo della giovane. L’uomo scosse la testa.

-Così su due piedi, credo che la causa della morte sia il dissanguamento dovuto alle numerose ferite. Ma, come ti ho già detto, potrò esserne sicuro solo dopo- Tom si guardò in giro, cercando con lo sguardo pozze o almeno tracce di sangue. Non c’era nulla.

-Immagino che non sia stata uccisa qui. Probabilmente l’ha uccisa, ripulita e abbandonata qua- rispose ai pensieri del giovane detective riferendosi al pungente odore di ammoniaca.

-Che bastardo- gli occhi gli si strinsero con forza. Quando ti avrò tra le mani…

-Poverina. Cos’hai passato…- continuò l’uomo dalla barba bianca, accarezzandole lievemente il braccio piegato. Poi le prese la mano, stringendola tra le sue, e osservò le unghie: erano spezzate.

-Hai lottato fino alla fine. Speriamo che questo ci aiuti- il detective sospirò, amareggiato.

-L’ora della morte?- Kröger sfilò un lungo strumento dalla valigetta e lo infilò nel fegato della ragazza.

-Non è morta da molto. Tra le quattro e le cinque- Tom si passò per l’ennesima volta la mano sul volto, imprecando disgustato e pieno di rabbia. Poi si voltò verso la propria squadra.

-Coprite questa povera donna, per l’amor del cielo!-

Quando giunse il pomeriggio inoltrato, la sua squadra aveva raccolto un buon numero di informazioni, le quali però non erano particolarmente significative per l’identificazione dell’assassino. Il coroner aveva confermato la causa della morte –dissanguamento- e l’ora della morte. Ma non era riuscito a trovare niente sotto le unghie della vittima. Erano, però, riusciti a identificarla e, grazie alla sorella della giovane, avevano scoperto dove aveva passato la sera della morte: il Fox’s; una tavola calda nella periferia di Berlino, non lontano dalla stazione di polizia e dalla Grünewald. Il detective Kaulitz decise di recarsi subito sul posto, accompagnato dal suo compagno Georg. Prese la sua fidata Beretta dal cassetto della scrivania e la infilò nella fondina; non sarebbe mai uscito senza. In meno di venti minuti si trovarono davanti all’entrata della tavola calda. Coprì la pistola abbassando la giacca blu e entrò nel locale. Accogliente… Si diresse al bancone color crema, dietro al quale un uomo sulla trentina con corti capelli biondi e occhi scuri stava arrostendo dei würstel sulla piastra. Alzò il viso verso i nuovi arrivati e sorrise educatamente.

-Buongiorno, desidera?- Tom estrasse il distintivo e lo mostrò al cameriere, che lo guardò accigliato. Era sempre stato molto impaziente e i suoi modi di fare spesso apparivano sgarbati a chi non lo conosceva. Lo stesso Georg, il quale lavora con lui dal suo primo giorno, ogni tanto doveva trattenersi dal prenderlo a pugni. Ma ormai aveva imparato a conoscerlo e apprezzarlo.

-Detective Kaulitz. Lui è il mio compagno Listing. Dovremmo farle alcune domande-

- È successo qualcosa?- domandò, visibilmente preoccupato.

-Stiamo indagando sulla morte di una ragazza. Ci hanno riferito che è stata qui ieri sera-

-Io non ero di turno ieri sera, ma lei sì- indicò una cameriera, voltata di spalle, che consegnava alcuni piatti a un tavolino di quattro persone. Aveva dei bellissimi e lunghissimi capelli, neri e lisci come petrolio. –Provate a chiedere a lei- gli agenti ringraziarono l’uomo e si incamminarono verso la ragazza, tornata dietro al bancone. Tom si fermò di fronte a lei e si schiarì la voce per attirare la sua attenzione.

-Mi scusi, signorina- la cameriera alzò il viso, puntando gli occhi in quelli del detective e un docile sorriso increspò il suo volto.

-Posso aiutarvi?- Tom si sentiva come non si era mai sentito in vita sua. La sua mente sembrava annebbiata mentre il suo sguardo non riusciva a staccarsi da quei meravigliosi occhi. Boccheggiò un paio di volte, senza che dalla sua bocca fuoriuscisse il minimo suono. Non ricordava di aver mai visto un volto più bello. La pelle aveva una tendenza leggermente olivastra, i lunghi capelli corvini facevano da cornice al viso, ma erano gli occhi la parte più bella. Sembravano dipinti. Due gemme rare. Due smeraldi. Avevano una forma quasi esotica, leggermente a mandorla. Ed erano verdi. Un verde che sembrava fondersi con il grigio. Due occhi grigi, profondi come pozzi, in cui Tom avrebbe voluto volentieri affogare. Avrebbe potuto fissare quello sguardo sensuale per ore intere. Georg gli diede uno scossone, tentando di farlo rinsavire.

-Tom- sussurrò il suo compagno. La ragazza abbassò lo sguardo e le sue guance si colorarono vistosamente, ma il suo sorriso non si spense e diventò sempre più timido, come se avesse sentito i pensieri del ragazzo.

-Ehm, si…- come lei scostò lo sguardo, lui sembrò riprendersi da quella specie di incantesimo che lo legavano a quegli occhi. –Salve. Sono il detective Kaulitz. Dovremmo farle alcune domande- si sforzò di tornare serio e professionale, ma gli risultava decisamente difficile. La voce gli tremolava e sentiva che stava cominciando a sudare.

-A che proposito?- domandò preoccupata. Il suo sorriso svanì.

-Stanotte è stata uccisa una ragazza. Ci hanno detto che è stata qui ieri sera. La riconosce?- estrasse la foto della ragazza. L’immagine faceva una certa impressione, con il volto tumefatto dalle percosse. Infatti la giovane cameriera distolse lo sguardo.

-Sì. È Julia Kamm. Mio Dio, che le è successo?- Tom rimise a posto l’immagine.

-Può confermarci che era qui ieri sera?- la sua voce si addolcì insolitamente e il suo tono, nel porgere le domande, sembrava quasi cauto.

-Sì. Aveva bevuto qualche bicchiere. È rimasta qui fino alle… -chiuse gli occhi, riflettendo –circa mezzanotte e mezza. Poi è uscita e ha cominciato a camminare da sola- i suoi occhi diventarono lucidi. Tom era sicuro che se non ci fosse stato il bancone, si sarebbe avvicinato a lei, accarezzandole il meraviglioso viso.

-Come mai sei così sicura dell’ora?- lei si asciugo l’angolo esterno dell’occhio destro, fermando una lacrima solitaria che stava per solcarle la guancia.

-Perché era appena finito il servizio su canale 2 di quell’assassino… Oh mio Dio, non sarà stato lui…-

-Crediamo che sia lo stesso uomo…- lei si portò una mano alla bocca, sconvolta, mentre lui continuava a fissarla con sguardo pieno di ammirazione. La sua professionalità stava andando all’aria.

-Se le vengono in mente altre informazioni, non esiti a chiamarmi- le porse il suo biglietto da visita. Lei guardò lui, poi il bigliettino. Lo prese e lo infilò nella tasca del grembiule bianco. Fai che le venga in mente qualcosa…

Georg dovette trascinare il suo compagno fuori dal bar, non lo aveva mai visto così. Tom avrebbe voluto legarsi al bancone ed essere lasciato lì. Non stacco lo sguardò dalla esile figura finché non fu fuori dal locale e finché non raggiunse la macchina, dentro alla quale non riusciva più a vederla. Ad ogni modo, era riuscito a leggere il suo nome sulla targhetta del grembiule ed era sicuro che quel nome non se lo sarebbe mai più scordato. «Amaya…»

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Capitolo 2
*** Capitolo 2: Souvenirs ***


Ciao ragazze. Mi dispiace per il ritardo mostruoso, vi chiedo umilmente perdono. Questo capitolo è più di passaggio, che di azione vera e propria. È più che altro un piccolo spezzone di quotidianità dei nostri due personaggi. Spero vi piaccia J Spero anche in un commentino. Un bacio, Sara.

Capitolo Due: Souvenirs

 

I flebili raggi del sole colpivano la piccola, chiara, camera da letto, attraversando le svolazzanti tende arancioni. Una fastidiosa musichetta proveniva dalla radio sveglia posta sul comodino, mentre sullo schermo lampeggiava l’orario: le 6:45. Amaya, sdraiata sul suo letto, grugnì, infastidita dall’odioso rumore. Schiacciò il viso nel cuscino e colpì l’oggetto con la mano, che smise di suonare cadendo a terra. Un’altra giornata di lavoro l’attendeva. Si sistemò svogliatamente a sedere sul letto, sbadigliò e si strofinò stancamente gli occhi. Lavoro, università e ancora lavoro. Quella routine la stava distruggendo. Si alzò, uscì dalla sua camera e si diresse in cucina. L’unica cosa di cui aveva bisogno in quel momento era una grossa tazza di caffè bollente.

Belle le corse incontro, scodinzolando, e le saltò sulle gambe. Amaya sorrise, felice di vedere il suo bellissimo cane, e le donò qualche carezza e una pacca amichevole. Belle era un cane di bellezza degna dei migliori concorsi. La ragazza non poteva passeggiare tranquillamente con il suo cane senza che qualcuno la fermasse. Belle era una splendida Husky dal manto grigio scuro e bianco, con gli occhi azzurri come il ghiaccio. Ma soprattutto, era un cane dal carattere fantastico: legata ad Amaya con tutto l’amore che un cane può avere per un padrone. Per la ragazza, Belle non era solo il suo cane: era un’amica fedele e leale.

Continuò a dirigersi verso la cucina, mentre la cagnolina le girava intorno scodinzolando.

- Sì, lo so che anche te vuoi fare colazione. Ma lasciami almeno arrivare in cucina! - la ragazza rise, dando un’altra carezza al pelo morbido e fitto dell’animale. Belle abbaiò di risposta, con allegria.

Mise sul fuoco la caffettiera e, mentre aspettava che il caffè venisse su, prese dal cassetto sopra la sua testa dei croccantini e li rovesciò nella ciotola del cane. Belle si abbassò ad annusarli ed emise un verso contrariato, alzando il muso verso la padrona.

-Ehi, non fare così eh. So bene che preferisci la carne, ma sai che al mattino devi mangiare anche i croccantini- Belle ripeté il suo verso contrariato ma si mise a mangiare la sua colazione, rassegnata. Amaya scosse la testa divertita e spense il fuoco del fornello: la caffettiera borbottava. Versò il contenuto in una tazza e si sedette al tavolo, sorseggiando il liquido caldo che le scivolava per la gola, scaldandole tutto il corpo. Mangiò qualche biscotto distrattamente, mentre osservava il paesaggio oltre la porta finestra della cucina, la quale dava sul piccolo giardino. Quella domenica di marzo, il sole era basso all’orizzonte. I timidi raggi solari coloravano il cielo azzurro di una leggera sfumatura arancione, eppure la giornata non era affatto calda. Continuò a osservare la verde distesa di prato, con l’erba ancora ricoperta di rugiada.

Aveva faticato così tanto per avere una casa che fosse immersa nel verde ed era stata entusiasta quando l’agente immobiliare le aveva comunicato che finalmente era sua.

-Non lo avrai mica finito tutto?!- i suoi pensieri furono interrotti dalla voce squillante di una ragazza dai capelli rossi che era entrata nella cucina.

-Te ne ho lasciato un po’, acida- la rossa si stiracchiò i muscoli delle braccia, sbadigliando rumorosamente. Si rovesciò il caffè rimasto in una tazza e si sedette accanto all’amica.

-La tua bestia mi ha svegliata. Deve per forza abbaiare?- sentenziò questa, rivolgendo un’occhiata truce alla cagnolina. Amaya la guardò esterrefatta, inarcando le sopracciglia.

-Becky! Non parlare così di Belle, caspita! Non è una bestia, è un cane; è ovvio che abbai!- l’Husky, come se avesse compreso quello che Becky le aveva detto, ringhiò infastidita verso di lei. La rossa borbottò qualcosa e poi continuò a sorseggiare il suo caffè.

Amaya si alzò da tavola e andò nel bagno per continuare a prepararsi.

-Non dilungarti troppo, arriveremo in ritardo- avvertì. La rossa annuì e Amaya sparì nel bagno.

 

Passata mezz’ora, Amaya era sulla porta che batteva impazientemente il piede sul pavimento. Aveva legato i lunghi capelli corvini in una liscissima coda di cavallo. Il viso era rimasto pulito, solo del mascara nero le infoltiva le già lunghe ciglia. Indossava già la divisa da lavoro, bianca e rossa, così da limitare il ritardo. Osservò l’ora sul suo orologio da polso.

-Becky, muoviti, santo cielo! Arriveremo ancora in ritardo!- l’amica le urlò di essere quasi pronta. Quindi, Amaya si sistemò nel lungo cappotto bianco, prese la sua borsa e salutò Belle, seduta accanto alla porta. La ragazza le allungò un grosso osso di gomma che la cagnolina prese volentieri.

-Non distruggermi il giardino, mi raccomando- Belle continuava a rosicchiare il suo osso, quando finalmente Becky uscì in giardino, infilandosi il cappotto.

-Pronta?- domandò la mora. La rossa alzò il pollice facendole l’occhiolino. Anche Becky aveva legato i lunghi capelli ricci in una coda di cavallo. Ma, a differenza dell’amica, lei amava truccarsi pesantemente: gli occhi truccati con l’ombretto nero, il fard color mattone sulle guance e il rossetto del medesimo colore. Ma questo era normale per una ragazza al terzo anno della Facoltà di Moda e Design di Berlino. Salirono sulla loro piccola utilitaria e sfrecciarono sulle strade della città.

 

***

 

Un mucchio di documenti erano sparsi sul lungo tavolo in legno della sala conferenze. Tom percorreva avanti e indietro la stanza a grandi falcate, con aria affranta. Dopo tre giorni dal ritrovamento della ragazza, Julia, il caso non sembrava fare passi avanti. Le foto delle tre giovani e belle ragazze erano appese alla lavagna trasparente, sembravano guardarlo con sguardo accusatorio. L’ispettore si passò una mano tra i capelli, sbuffando sonoramente.

A peggiorare la situazione, quella mattina era arrivata una lettera con il suo nome scritto chiaramente anteriormente. Georg aveva ancora in mente il volto del compagno, quando aprì la lettera: lo vide impallidire improvvisamente e i suoi occhi si spalancarono. Scosse la testa, quel caso stava lentamente distruggendo il suo amico. Sapeva quanto gli stesse a cuore e, soprattutto, quanto si tormentasse per la fine di quelle povere ragazze. Eppure quel caso, e quella lettera, avevano sconvolto tutti.

“Non mi fermerai, Kaulitz. Ho appena cominciato.”

Si era aperta una guerra, e loro la stavano perdendo in partenza.

Decise di uscire per una sigaretta, magari si sarebbe schiarito le idee. Indossò il cappotto scuro e uscì nel cortile, sfregandosi le mani per il freddo. Si appoggiò con la schiena al tronco di un albero e si accese la sigaretta. Socchiuse gli occhi, beandosi del fumo che gli avvolgeva i polmoni.

Il suo cellulare trillò. Osservò sullo schermo il nome del mittente e aprì il messaggio, alzando gli occhi al cielo. Ancora non capiva perché suo fratello si ostinasse a comunicare con lui per messaggio quando si trovava a un paio di stanze dopo la sua.

“Finisco al solito orario. Mi hanno parlato di un posto, dicono sia fico. A dopo!”

Tom sorrise. Suo fratello lavorava spesso con lui. La cosa lo spaventava all’inizio, ma, per fortuna, raramente Bill era chiamato a lavorare sul campo. Lui e il suo compagno, Gustav, erano due Profiler. La loro era una figura fondamentale nel processo di cattura di un assassino. Tom adorava i casi in cui era implicato suo fratello. Questo non era uno di quelli ma Tom era così disperato che sapeva di dover chiedere il suo aiuto.

Immerso nei suoi pensieri, quasi non si accorse della sigaretta che si consumava tra le sue dita. Doveva rientrare.

 

***

 

Parcheggiarono l’auto in fretta e furia e si catapultarono all’interno della tavola calda, passando dal retro. Aprirono i loro armadietti e si affrettarono a indossare il grembiule bianco. Si guardarono intorno, ma del loro capo nessuna traccia. Sospirarono, sollevate, e varcarono la porta che portava al salone da pranzo.

-Signorine! - una voce tonante le raggiunse. Strizzarono gli occhi. Beccate…-Siete in ritardo! Di nuovo! – le ragazze guardarono l’orologio posto dietro al bancone.

-Ma, signor Schmitz, sono solo le 8:02! – replicò Becky con aria affranta.

-Sono due minuti di ritardo. La prossima volta vi faccio un reclamo. Qui, i ritardi non sono tollerati – rispose severamente. Era un uomo rude, alto e robusto. Aveva i capelli cortissimi e neri che facevano contrasto con i suoi occhi glaciali. Aveva quarant’anni e un bell’aspetto, ma il suo carattere duro lo rendeva antipatico sia ai clienti sia ai dipendenti.

Le ragazze annuirono e si misero al lavoro, a capo chino. Quel giorno, a Becky toccava stare dietro il bancone a preparare i piatti, mentre Amaya doveva stare in sala per servire i tavoli. La mattina fu frenetica ma niente in confronto all’ora di pranzo. Erano al completo. I tavoli erano pieni di persone che aspettavano di essere serviti da lei. L’altra cameriera, Samantha, si era data malata all’ultimo. Dunque, si era trovata ad affrontare tutto quel lavoro da sola, correndo da un tavolo all’altro.

A uno di essi, stavano seduti quattro ragazzi intenti a parlare.

 

***

 

-Ah, ma io e Tom conosciamo molto bene questo posto, vero compare?- esordì, ironico, Georg.

-Prendi per il culo, Listing?- rispose con ironia, il che fece ridere ancora di più l’amico. Poi si rivolse al fratello: -Ho bisogno del tuo parere, Bill. È la terza vittima, vorrei prenderlo prima che ne faccia una quarta!- l’ispettore si strinse la testa fra le mani, tenendo lo sguardo supplicante sul fratello. Bill sospirò affranto. Aveva già molto lavoro e, in un’altra occasione, avrebbe rifiutato. Ma riusciva a sentire la disperazione del fratello, proprio come se fosse sua.

-Okay, aggiornami- rispose. Tom chiuse gli occhi con un sospiro, rilassandosi. Dalla valigetta di lavoro estrasse gli ultimi documenti, porgendoli al fratello. Bill leggeva gli aggiornamenti, corrugando la fronte di tanto in tanto. Tom aspettava che lui parlasse, picchiettando nervosamente le dita sul tavolino. Mentre nella mente aveva ancora l’immagine dell’ultima vittima, Julia, i suoi pensieri vennero interrotti da una voce soave.

-Buongiorno, volete ordinare?- la voce era frettolosa e tremolante. I ragazzi alzarono lo sguardo verso la ragazza mora, poi spostarono lo sguardo sul menu rimasto chiuso sul tavolo: non avevano pensato a cosa ordinare. Tom, involontariamente, continuò a fissarla. Solo quando lei abbassò lo sguardo, sorridendo imbarazzata, lui si accorse di essere imbambolato. Scosse il capo e le chiese un hamburger e una Coca-Cola. Il resto del gruppo fece un ordinazione veloce, così Amaya poté tornare agli altri tavoli.

-Terra chiama Tom- Bill sventolava la mano davanti agli occhi di suo fratello, il quale sembrava non accorgersene e continuava a fissare la cameriera. Quando finalmente si destò, rimase a boccheggiare qualche secondo, avvertendo lo sguardo dei tre amici su di sé.

-Hai finito di consumare con gli occhi la cameriera?- continuò il gemello, sogghignando. Tom sorrise imbarazzato, con le gote improvvisamente rosse. Infine diede una pacca al braccio del ragazzo, intimandogli di piantarla.

Ricominciarono a discutere del caso, ma presto vennero interrotti da un secco rumore di vetri infranti. Tutti si voltarono nella direzione del frastuono. La cameriera era piegata verso il pavimento, mentre cercava di raccogliere i pezzi di un bicchiere caduto. Sembrava molto agitata e a Tom fece molta tenerezza.

-Lewis! Quello te lo detraggo dallo stipendio!- urlò un uomo con la voce profonda. Il signor Schmitz si dirigeva con passo pesante verso la ragazza, che sembrava diventare sempre più piccola sotto quelle urla.

-Sei un’incompetente! Dovrei licenziarti!- Amaya tirò su con il naso, continuando a raccogliere pezzi di vetro dal pavimento.

-Mi scusi, signor Schmitz, sono inciampata- sussurrò lei, mortificata. L’uomo l’afferrò per la manica, strattonandola per farla alzare, e le puntò un dito davanti il viso, continuando ad urlare.

-Ehi! Le sembra il modo di trattare una signora?- esordì Tom, parandosi accanto all’uomo.

-E tu chi saresti? Il suo avvocato?- sputò l’uomo, con acidità. Tom lo osservò per un istante: era un uomo robusto, sui quarant’anni, con i capelli corti e scuri e gli occhi glaciali. Aveva un bell’aspetto, se non fosse stato per la camicia gialla a quadroni e soprattutto un’orrenda cravatta a quadri rossi e gialli. Tom pensava di non aver mai visto una cravatta più orrenda di quella.

-No, non sono il suo avvocato. Sono un poliziotto- il signor Schmitz cambiò velocemente espressione e allentò la presa al braccio della ragazza, così lei se ne liberò, massaggiandosi.

-Ehi amico, non è successo niente. Era solo un diverbio- diede una pacca sulla spalla del ragazzo, che lo guardò sprezzante.

-Bene, facciamo in modo che non ce ne siano altri. Amico- Tom ricambiò la pacca con un sorriso ironico e si avvicinò alla ragazza.

-Stai bene?- le domandò, con premura. Amaya sorrise dolcemente e annuì.

-La ringrazio agente- Tom stava per ribattere, non voleva gli desse del “lei”. La voce vicina di Bill, però, gli ricordò di essere in ritardo. Così, si congedò rapidamente e seguì di corsa gli amici fuori dal locale. Amaya rimase ad osservarlo allontanarsi per alcuni secondi, poi sorrise e tornò al lavoro.

 

***

 

Nel pomeriggio, Tom faticava a concentrarsi. Seduto al tavolo insieme ai tre amici, cercava di capire la prossima mossa del killer. Tuttavia, la sua mente continuava a vagare al sorriso di Amaya quando lui le aveva chiesto se stesse bene.

-Tom, dannazione, vuoi prestare un po’ di attenzione!- sbottò il gemello con stizza. L’ispettore scosse il capo come a volersi togliere quell’immagine dalla mente.

-Scusa Bill, hai ragione. Cosa stavi dicendo?- Bill sbuffò, lanciando un’occhiataccia al fratello, e poi riprese il discorso.

-Stavo dicendo, gli omicidi sono molto violenti. Sono guidati dalla rabbia. Ciò significa che le vittime e l’assassino si conoscevano o, per lo meno, devono essersi incontrati prima di…-

-Ho capito,- continuò il fratello –quindi si conoscevano…- sospirò, pensoso.

-Signor Kaulitz- i gemelli si voltarono contemporaneamente verso l’entrata, incontrando lo sguardo velato di una ragazza mora.

-Signorina Kamm- rispose Tom, alzandosi per dirigersi verso di lei. Le strinse la mano e la invitò ad avvicinarsi; -mi dica…-

La ragazza si strofinava le braccia con fare nervoso, era pallida e aveva gli occhi rossi.

-Ragazzi, lei è la sorella della signorina Julia Kamm-

-Ci dispiace molto per la sua perdita, signorina. Stiamo facendo il possibile per trovare quel mostro- Gustav le rivolse un sorriso, ma la ragazza rimase impassibile, annuendo debolmente.

-Signor Kaulitz, vorrei chiederle una cortesia. Vorrei riavere la collana di mia sorella. Sa, apparteneva a nostra madre… Io ci terrei a riaverla…- Tom corrugò la fronte, perplesso. Non ricordava nessuna collana sul corpo della ragazza.

-Signorina, sua sorella non aveva gioielli quando l’abbiamo trovata- la ragazza strinse gli occhi con forza, sull’orlo del pianto e scosse la testa.

-Non è possibile. Julia non si toglieva mai la collana di mamma. Non l’avrebbe mai tolta. Mai- sottolineò. Tom si voltò verso i compagni, accigliato, ma loro scossero il capo. La ragazza, allora, estrasse il cellulare dalla tasca e ci armeggiò per qualche secondo, poi lo porse al ragazzo.

-Ecco vede, questa è la collana che non si toglieva mai;- continuò indicando la foto e mostrando la stessa collana che lei aveva al collo; -se la trovate, vi prego di riportarmela- si asciugò velocemente gli angoli degli occhi e si riprese il cellulare. Ringraziò gli agenti e si congedò velocemente.

I ragazzi, confusi, cominciarono a riguardare i documenti. Finché Gustav non sbattè il pugno sul tavolo, facendo sussultare i compagni. Poi indicò sei foto, delle tre ragazze sia da vive sia da morte.

-Guardate qua!- urlò; -Cosa notate?- gli amici lo raggiunsero, osservando ciò che lui indicava.

-Io non vedo nulla di strano- rispose Georg.

-L’anello- indicò Tom. –Non ha l’anello-

-Esatto!- continuò Gustav.

-Il figlio di puttana prende dei ricordi-

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3: Hero ***


Capitolo 3:  Hero

 

Le lezioni erano terminate, era finalmente il momento della pausa pranzo. Amaya prese al guinzaglio la sua cagnolina e si diresse in centro, decisa a saltare le ore pomeridiane. Capitava spesso che portasse Belle in università, lasciandola alla compagna esperta cinofila che si esercitava con la cagnolina.

La giornata era piuttosto fresca, nonostante fosse mezzogiorno. La mora si chiuse nel lungo cappotto scuro e si avvolse la sciarpa blu attorno al collo, camminando sul marciapiede per raggiungere il parco amato da Belle. Aveva deciso di uscire prima e di fare una passeggiata con la sua cara cagnolina per sfogare il suo nervosismo. In mattinata, si era vista con Bart per un caffè prima che le lezioni ricominciassero. Da un paio di settimane aveva dubbi sulla loro relazione, ma cercava di andare avanti fingendo che tutto fosse a posto. Eppure, quella mattina, aveva capito che qualcosa si era spezzato tra loro. Le cose non funzionavano più così bene come un tempo e, per la prima volta in tre anni, aveva seriamente riflettuto sul chiudere definitivamente quella storia. Ricordava perfettamente come si era sentita dopo le parole che lui le aveva rivolto qualche ora prima: “se non vieni ci andrò con qualcun'altra”. Amaya grugnì al solo pensiero di quella esclamazione. Le sembrava assurdo aver litigato solo perché lei non voleva andare ad una stupida festa di universitari. Più ci pensava, più capiva quanto la loro relazione fosse agli sgoccioli. Belle abbaiò, scuotendola dai suoi pensieri. L’husky puntò con il tartufo il parco a qualche metro da loro e cominciò a tirare per raggiungerlo più velocemente, scodinzolando felice. Tentando di trattenere il cane, Amaya inciampò nel marciapiede, cadendo, e il guinzaglio le sfuggì di mano. Un verso di dolore le uscì dalle labbra. Ma non aveva tempo di preoccuparsi della botta. Spaventata all’idea che Belle potesse finire sotto una macchina, si rialzò di corsa ma di lei non c’era traccia.

-Belle!- urlò, cercando di richiamarla a sé. Mentre la preoccupazione le attanagliava lo stomaco, pensò di dirigersi al parco. La chiamò un’altra volta ma lei non arrivava. Proprio mentre cominciava a pensare al peggio, avvertì un abbaiare a lei molto famigliare. Si voltò e corse in quella direzione. La vide in lontananza e, a quel punto, tirò un sospiro di sollievo vedendo la sua cagnolina accucciata sull’erba. Poi, si accorse del ragazzo seduto accanto a lei che teneva stretto il guinzaglio. Corrugò la fronte, era sicura di conoscerlo.

-Credo che ti sia scappata- esclamò, tirandosi in piedi e porgendole il guinzaglio che teneva tra le mani. Aveva un dolce sorriso e le gote leggermente arrossate.

-Grazie. Lei è il poliziotto del caso di Julia…- lui sorrise, felice che si ricordasse.

-Chiamami Tom. E non darmi del lei- Amaya abbassò il viso timidamente, apparendo estremamente tenera agli occhi del ragazzo. Allungò la mano verso di lui, rendendo ufficiale la presentazione.

-Io sono…-

-Amaya- continuò lui, dopo averla interrotta. Le strinse la mano e il suo viso assunse un velo di imbarazzo, vedendo l’espressione sorpresa di lei; -Il cartellino sul grembiule da lavoro- continuò, ritirando la mano con un mezzo sorriso e grattandosi la nuca. Lei sorrise, gentile, trovandolo molto dolce.

-Ti presento Belle- esordì, dopo un breve silenzio, dando una pacca leggera sul muso della cagnolina intenta a rosicchiare la palla che la padrone le aveva lasciato.

-Ѐ davvero bellissima- si chinò all’altezza della cagnolina porgendole la mano, affinché l’annusasse. Belle allungò il naso verso la mano, l’annusò con noncuranza, dunque tornò a rosicchiare il suo giocattolo senza degnarlo di altre attenzioni.

-Già, bella quanto vanitosa- Tom ridacchiò e si rimise in piedi, senza forzare nuovamente il cane.

-Oggi, giornata libera, ispettore?- lui le lanciò un’occhiata ammonitrice e lei si corresse velocemente con un sorriso; -Volevo dire, Tom-

-In teoria, avrei la giornata libera… In pratica, sono andato in centrale per prendere dei documenti da studiare a casa- Amaya rise e Tom fu incantato dal suono di quella risata. Lei prese il guinzaglio di Belle e si diresse verso una panchina, facendo cenno a Tom di seguirla.

-Hai un nome particolare- sentenziò, con curiosità. Lei annuì ed entrambi si sedettero sulla panchina.

-Mia madre è antropologa. Ha studiato molte culture. Il mio è un nome giapponese, significa “Pioggia nella notte”- tolse il guinzaglio a Belle, lasciandola con la pettorina, e le lanciò la palla.

-In effetti, è un bellissimo nome con un bellissimo significato. Amaya…- Belle corse verso di loro masticando la pallina colorata. La ragazza la prese dalla bocca del cane e la lanciò di nuovo.

-No. Chiamami Amy-

-Va bene… Amy- sorrise. Belle tornò verso di loro. La mora le prese nuovamente la palla e, questa volta, la passò a Tom, intimandogli di provare. Lanciò la palla all’animale, che abbaiò contenta mentre la prendeva al volo.

-Fai qualcos’altro, oltre a lavorare alla tavola calda?- le domandò, curioso.

-Sì, studio Medicina Veterinaria. Sono al terzo anno. Ho ancora molto davanti a me- ridacchiò. Tom annuì, interessato.

-Sei una brava persona. Chi ama a tal punto gli animali, deve esserlo per forza- Amaya sorrise, abbassando lo sguardo, con una punta di imbarazzo. Aprì la bocca per rispondere, ma un urlo attirò la sua attenzione. I due ragazzi si voltarono verso l’altro lato della strada, nella direzione del suono. Altre urla si levarono. Amaya aggrottò la fronte, mentre Tom era già scattato in piedi. Una scura nube di fumo si allargò da un palazzo. Amaya affiancò Tom e, di fretta, rimise il guinzaglio a Belle.

-Devo vedere che succede- disse, poco prima di correre al di là della strada. Alcune persone erano radunate davanti all’entrata e parlavano animatamente tra loro. Altre uscirono di corsa dal palazzo. Due signori anziani corsero fuori, tossendo. Poi uscì un uomo con una donna in braccio che tossiva con forza. Tom gli si avvicinò, chiedendo se stavano bene. Sembravano scossi ma non feriti. La donna continuava a tossire, tentando di parlare.

-Mia figlia- tossì; -Vi prego, aiutatela, è ancora dentro. Al secondo piano- urlò tra la tosse e le lacrime. Tom si voltò verso Amaya, che nel frattempo l’aveva raggiunto.

-Chiama i pompieri- disse di fretta, subito dopo si lanciò all’ingresso.

L’ispettore si lanciò all’interno dell’edificio, coprendosi la bocca e il naso con un fazzoletto. Lanciò qualche colpo di tosse mentre correva sulle scale, diretto al secondo piano.

-Ehi!- urlò; -C’è qualcuno?- nessuna risposta, solo il crepitare del fuoco che inghiottiva tutto intorno a lui. Tossì di nuovo, con gli occhi offuscati dal fumo.

-Piccola, dove sei? Sono un poliziotto- riprovò. Una voce flebile giunse alle sue orecchie. Fu solo un sussurro. Tom si voltò dove proveniva la voce, ma il corridoio era lunghissimo e le stanze troppo numerose.

-Piccola, fai un rumore. Batti su qualcosa- udì un forte colpo di tosse, si preoccupò. Finalmente avvertì dei colpi. Cominciò a correre con la vista che non poteva più aiutarlo e l’ossigeno che cominciava a mancare. Doveva sbrigarsi.

-Continua a battere piccola, continua- urlò di nuovo. I colpi non smisero e lui cominciò a correre sentendo quel suono. Il rumore dei suoi colpi di tosse, si confondeva con quello del fuoco e dei colpi al muro. Le lacrime bagnavano la vista. Il fumo lo avvolgeva. Temeva di non farcela.

-Aiuto- fu un sussurro, ma bastò a Tom per cominciare a correre. Avvertì i colpi più vicini e finalmente si fermò davanti a una porta chiusa.

-Sono qui piccola, stai lontana dalla porta- prese un respirò e calciò la porta. Bastarono due colpi e questa cadde rovinosamente. La nube nera era sempre più alta. Tom sentiva mancare le forze. Doveva pensare in fretta, doveva salvare quella bambina. Si coprì gli occhi, cercando la piccola tra le macerie. Vide una chioma bionda, accanto al muro, coperta dall’intonaco del soffitto che era caduto. Corse da lei.

-La prego, mi aiuti- pianse.

-Sono qui, piccola. Ora usciamo- sussurrò, togliendole ciò che la copriva.

-La mia gamba- disse con una smorfia. Tom la scoprì e guardò l’arto: era rotto.

-Ok, tesoro come ti chiami?- domandò, cominciando a prenderla tra le braccia.

-Beatrice- mormorò tra le lacrime. Tom si sollevò, stringendola, ma le sue gambe cominciavano a cedere.

-Va bene, Beatrice. Ascoltami. Noi usciamo da qui, devi chiudere gli occhi e coprirti il viso con la mia maglietta. Va bene piccola?- la bimba annuì e fece come le aveva detto. Lui aveva paura. Si guardò in giro e lo sguardo cadde sulla finestra. Era l’unica soluzione. Corse alla finestra e la alzò. La folla sotto li guardava, urlando. I pompieri erano appena arrivati e stavano cercando di spegnere il fuoco.

-Ehi!- urlò; -La bambina! Prendete la bambina!- i pompieri corsero verso di lui con la scala. Caricò la piccola tra le braccia, intimandole di respirare ma lei era debole e faticava.

-Bea, stai sveglia! Resta sveglia, respira tesoro. Respira- le intimò, tenendola fuori. Gli agenti posizionarono la scala e uno di loro cominciò a salire. Finalmente, Tom si sentì più tranquillo e ignorò le lingue di fuoco che si alzavano dietro di lui. Porse la bambina all’uomo che gli domandava se stessero bene. Prima che Tom potesse rispondere, Beatrice si strinse al suo petto.

-Non lasciarmi, non lasciarmi- singhiozzò. Tom sorrise, osservandole il volto coperto di lacrime e fuliggine.

-Bea, devi andare con questo signore che ti porterà dalla tua mamma. Stai tranquilla, piccola. Sei salva- lei annuì, con gli occhi lucidi e il labbro inferiore di fuori.

-Grazie- sussurrò a voce così bassa che Tom non era certo l’avesse detto davvero. Lei sorrise leggermente, mentre l’uomo scendeva gli scalini, salutando con la sua manina da bimba di cinque anni. Quando raggiunsero terra, Tom salì sulla scala, scendendo a sua volta. I pompieri lo raggiunsero subito, posandogli una mascherina sulla bocca. Sorrise, mentre lo accompagnavano sul furgone dell’ambulanza per controllarlo: tutti erano salvi.

 

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