Ina Bauer (S.P. - Seconda parte)

di menestrella 07
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sconfitta ***
Capitolo 2: *** Orgoglio ***
Capitolo 3: *** Rivincita ***



Capitolo 1
*** Sconfitta ***


Menestrella’s corner:

Rieccomi, dunque, con la seconda parte di questa mia prima fic ambientata nel mondo del pattinaggio. Ribadisco, a scanso di equivoci (ma tanto ve ne sarete accorti ^ ^) che non sono una specialista, ma solo un'appassionata di questo sport meraviglioso! Perciò spero vorrete perdonare i miei errori!

 

Se vi va, lasciatemi un commentino! Altrimenti, permettetemi di ringraziare sin da ora tutti coloro che avranno la bontà di continuare a seguire le avventure di Emma!

M.

 

 

 

Ina Bauer



  

Seconda parte

 

A Rachele, Manuela, Chiara e Nightfox

 

 

Capitolo uno

Sconfitta

 

 

 

Si era svegliata presto quella mattina; a dirla tutta, praticamente non si era mai addormentata: l’ultima volta che aveva gettato uno sguardo alla sveglia, questa impietosamente segnava le 4.07 e quando aveva iniziato a suonare erano appena le 6.10. Mentre allungava il braccio per far tacere quel piccolo mostro scocciatore, Emma si ritrovò a chiedersi quale fosse, in fin dei conti, l’utilità di una levataccia.

 

 

Non che fosse contraria all’idea di alzarsi presto in sé: era solo che lei, prima delle undici, davvero non era in grado di carburare. Peccato che fosse inutile spiegarlo a Tobias: ci aveva provato e riprovato per anni, ma lui fingeva di non capire, ostinandosi a ripeterle che si trattava di una mera questione d’abitudine.

 

 

Il bello era che non aveva cambiato opinione neppure dopo averla vista crollare addormentata sul ghiaccio mentre eseguiva un doppio axel qualche minuto dopo il sorgere del sole.

 

 

Emma si avviò controvoglia al lavandino, colmando con grandi sbadigli l’attesa della sensazione rigenerante che l’acqua fresca avrebbe provocato sul suo volto; un’occhiata fugace allo specchio le procurò un grave turbamento: quando le erano spuntate quelle occhiaie nere e profonde che la facevano assomigliare ad un panda? Era sicura di non averle viste l’ultima volta che si era avvicinata a quell’oggetto traditore.

 

 

No, non si era svegliata bene e qualcosa le diceva che la giornata avrebbe continuato a peggiorare. Si affacciò alla finestra e osservò con antipatia il cielo, che era pressoché interamente coperto da minacciosi nuvoloni scuri. A giudicare dalla quantità di piumoni e giacche a vento, che si vedevano avventurarsi a passi spediti per la strada, doveva essere anche piuttosto freddo.

 

 

Si ritrovò a domandarsi se anche a casa sua fosse una giornata così tetra: lì, però, avrebbe trovato un’ottima colazione pronta a fare di tutto per migliorarle almeno un po’ l’umore; qui in hotel non ci sarebbe stato nulla di comparabilmente premuroso.

 

 

Un improvviso toc-toc alla porta la fece sobbalzare: chi mai poteva farle visita a quell’ora? Si infilò rapidamente i pantaloni della tuta e una felpa ed andò ad accogliere l’ospite indiscreto: un cerimonioso inchino, prima ancora di due luccicanti occhi a mandorla, le fecero capire di trovarsi di fronte una delle atlete della squadra di casa.

 

 

 La più scarsa, se Emma aveva letto con attenzione il dossier che il suo allenatore le aveva preparato per ciascun partecipante.

 

 

«Guarda che gli uomini non mi servono» aveva spiegato a Tobias, ma quello aveva insistito.

«Leggilo! E’ a titolo puramente informativo. Non si sa mai che tu trovi l’uomo-della-tua-vita...»

 

 

Già, Tobias adorava sopra ogni cosa prendersi gioco di lei. Se non avesse avuto così bisogno di lui, avrebbe fatto in modo di eliminarlo fisicamente. Mentre rispondeva goffamente al saluto della giapponesina, si rese conto che, considerata la sua ormai veneranda età come pattinatrice, non avrebbe dovuto attendere poi ancora troppo tempo.

 

 

La ragazza si introdusse rapidamente nella sua stanza e cominciò subito a parlarle frettolosamente, con un tono a metà tra lo spaventato e il cospiratorio. Le disse che, se non aveva impegni per quella mattinata, sarebbe stata felice di accompagnarla in un giro esplorativo del palazzetto del ghiaccio in cui, di lì a qualche giorno, si sarebbero tenute le gare.

 

 

Emma, a cui l’idea di disertare l’allenamento piacque subito un sacco, si ricordò però di quanto Tobias era solito ripeterle sempre: diffida dei tuoi avversari. Che volesse approfittare dell’occasione per metterla fuori combattimento? Considerò con maggiore attenzione la ragazzina, che però sembrava più mansueta di un agnellino; tuttavia facendo proprio il motto del suo allenatore – almeno di questo avrebbe potuto essere orgoglioso – decise di rivolgerle qualche domanda chiarificatoria.

 

 

«Do you want to kill me?»

 

 

La minuta pattinatrice sembrò sinceramente dispiaciuta per quella sua supposizione e scosse vigorosamente le testa. Si inchinò nuovamente e disse solo che nel suo paese l’ospite era sacro e che quindi era stato ordinato a ciascuna delle ragazze della squadra di accompagnare in visita guidata le atlete straniere.

 

 

Ancora titubante Emma accettò l’invito, dichiarandosi pronta a raggiungerla nella hall dopo pochi minuti. Rapidamente indossò qualcosa di più serio e cercò i post-it rosa, che le aveva regalato una sua amica appassionata di materiale da cancelleria, con cui lasciare un messaggio a Tobias.

 

 

Torno subito.

 

 

Questo sì lo avrebbe fatto andare su tutte le furie: erano arrivati da due giorni ed Emma non aveva ancora iniziato ad allenarsi. Il fatto era che il jet leg l’aveva messa al tappeto: se le gare si fossero tenute l’indomani, certamente gli atleti di casa non avrebbero avuto rivali.

 

 

Le interminabili ora di volo, allietate da disagevoli scali nel mezzo della notte, avevano decisamente compiuto il loro effetto e la ragazza si sentiva come se fosse stata ripetutamente investita da un tir. Tobias invece sembrava nato per viaggiare: inutile dire che aveva passato quasi la totalità del viaggio a corteggiare le hostess che però con sufficiente gentilezza ma risoluta fermezza avevano lasciato cadere le sue avances.

 

 

Con circospezione Emma si avventurò per i corridoi dell’hotel che, vista l’ora, non erano molto frequentati. Giunta di fronte alla reception si unì ad un gruppo di ragazzine dagli abiti multicolori e dalle messe in piega impeccabili che palesarono con scarsa discrezione il loro scandalizzato disprezzo per il suo aspetto trasandato.

 

 

«Don’t look at them... they’re here for the soap-opera casting» le disse piano la sua guida, miracolosamente materializzatasi dal nulla. «They’re scary, aren’t they?»

 

 

Emma, sinceramente ammirata per l’uso spontaneo della question tag, che la riportò in un lampo alle lezioni d’inglese sui banchi delle medie, decise di concedere alla ragazzina il beneficio del dubbio: c’era la possibilità che fosse in grado di rivelare delle qualità inaspettate.

 

 

Dopo aver riconsegnato le chiavi della propria stanza – che chiavi non erano, ma piuttosto delle schede luminose di ultima generazione, ancora assenti in qualsiasi hotel europeo – le due pattinatrici si diressero al bar, ove le attendevano altre tre ragazze. Queste accolsero le nuove arrivate con dei vigorosi sbadigli a stento trattenuti.

 

 

 Good morning to you.

 

 

La padrona di casa non perse tempo in superflue presentazioni: ciascuna delle sue ospiti poteva non aver mai scambiato una sola parola, in vita sua, con le altre, poteva anche non conoscerne minimamente i gusti o le opinioni, ma tutte erano perfettamente al corrente della mutua condizione fisica e dei reciproci punti deboli.

 

 

E tanto bastava per quel rapporto che, con massima probabilità, sarebbe rimasto strettamente professionale.

 

 

Chiunque avesse progettato quel piano di visita, doveva averlo fatto a mente lucida: le atlete erano state abbinate in base alla loro supposta abilità e, considerando le proprie compagne, Emma si rese conto di essere tenuta davvero in scarsa considerazione.

 

 

Mentre si avviava per la strada al fianco di Miss Guarda-come-dondolo, come la chiamava Tobias, la ragazza capì di non avere la benché minima possibilità di essere riconosciuta, in allenamento o in gara, da alcun membro del di certo numerosissimo e giustamente celebre pubblico nipponico.

 

 

La passeggiata fino al Palaghiaccio non fu delle più liete: il tempo era davvero polare ed il freddo riusciva ad infiltrarsi fin sotto ai pesanti giubbotti di cui le ragazze si erano opportunamente equipaggiate. Un po’ per quello, un po’ per timidezza, un po’ per studiata accortezza, il gruppo procedeva in religioso silenzio: non una parola fu spesa fino a quando le atlete si ritrovarono all’interno del palazzetto.

 

 

Si trattava di una struttura avveniristica, dalle forme audaci ed originali che ad Emma ricordarono subito quelle delle montagne russe. Se sopravvivo a questo campionato, penso che riuscirò finalmente a trovare il coraggio di salirci, pensò subito. Il salone principale si apriva verso l’esterno con una immensa vetrata capace di risplendere nonostante la totale assenza di sole.

 

 

All’interno il clima era decisamente più temperato: non faceva troppo caldo, fortunatamente, ma le ragazze preferirono togliersi immediatamente i cappotti, che furono prontamente raccolti da uno degli indefiniti volontari che si sarebbero affannati nei giorni successivi, ed in parte già lo facevano, per rendere piacevole ad atleti e spettatori stranieri il loro soggiorno nella terra dei samurai. Emma ringraziò con un incerto Arigato, che fu calorosamente ricambiato da un inchino più profondo del solito.

 

 

La pista era stupenda. Dalla tribuna est in cui si trovavano si poteva godere di una vista mozzafiato: quell’immenso teatro del ghiaccio era in grado di ospitare fino a venti mila spettatori, ma anche provando ad immaginarselo pieno, sarebbe ugualmente apparso assolutamente ordinato. Era stato merito degli ingegneri l’aver creato uno spazio gigantesco, che riusciva però a sembrare raccolto e confortevole. Emma ci si sentì immediatamente a proprio agio: pensò alla pista di casa, ristretta e malandata, che perdeva dieci mila a zero il confronto, ma che in qualche modo le veniva ricordata da questo gioiellino architettonico.

 

 

Forse erano i sedili rossi, oppure i corrimano blu. Sta di fatto che dentro a quella pista, in cui non aveva mai messo piede o scarponcino sino a quel momento, si sentiva stranamente a casa. Se avesse provato a chiudere gli occhi, era quasi sicura che sarebbe stata in grado di vedere Giovanni dilettarsi in qualche passaggio coi suoi compagni. La voce di una delle ragazze la riportò bruscamente alla realtà.

 

 

«Look!» gridò Miss Spread-Anchel quasi senza fiato. «It’s him

 

 

Le altre pattinatrici si scambiarono accesi sguardi colmi di entusiasmo. Persino Emma si sentì colta da un brivido di eccitazione quando lo riconobbe. Nonostante fossero da poco passate le sette e mezza della mattina.

 

 

La cosa era tanto più strana dal momento che, se avesse assistito alla scena una persona completamente estranea al mondo del pattinaggio, certo non avrebbe potuto comprendere per quale ragione cinque ragazze così carine dovessero improvvisamente cadere in quello stato di confusione e subbuglio alla vista di un vecchietto in scarpe da tennis e baschetto di lana.

 

 

«He must see me!» disse con foga una di loro, iniziando a scendere di corsa le gradinate.

Un’altra, tuttavia, la raggiunse rapidamente e, afferratala per il braccio, la costrinse a fermarsi.

 

 

«Are you out of your mind?!» Emma la sentì esclamare. «Don’t you know he hates people disturbing him?»

 

 

La prima ragazza rifletté per un istante e poi con aria sconfitta si risolse ad abbandonare il progetto di raggiungere la pista ed iniziare ad eseguire tripli flip senza nemmeno l’ausilio delle lame.

 

 

Emma fu costretta ad ammettere con se stessa che una simile ispirazione aveva fugacemente attraversato anche la sua mente. Ma non c’era bisogno di sentirsi in colpa. In fondo quello era Ivan Viktorovic Rostov.

 

 

L’allenatore più famoso del mondo. Non c’era pattinatore che non fosse disposto a vendere l’anima al diavolo pur di poter ricevere anche solo qualche semplice suggerimento da lui.

 

 

Bronzo ed argento olimpico in coppia con la sua bellissima Ira, quando in gioventù era stato lui a solcare il ghiaccio aveva fatto meraviglie: il suo free skate all’Europeo in Svezia era entrato nella leggenda. Da allora tutti lo avevano sempre indicato come il programma perfetto. La sua gloria non si era esaurita dopo il ritiro: aveva girato mezzo pianeta con i suoi spettacoli, a cui gli stessi atleti si facevano in quattro per ottenere il permesso di partecipare.

 

 

E poi aveva scelto di fare l’allenatore: con i guadagni delle fortunate tournèe aveva costruito un palazzetto del ghiaccio in un paesino non meglio noto alle porte di S. Pietroburgo e da allora si era dedicato alla ricerca e allo sviluppo di nuovi campioni da consacrare alla fama della Grande Madre Russia.

 

 

All’inizio non era stato facile: dopo aver partorito un simile talento, la terra della vodka e del violino sembrava aver sentito la necessità di riprendersi da un simile sforzo. Per un po’ non c’era stato nessuno che potesse far nuovamente sventolare la bandiera di casa. Americani e Giapponesi si erano disputati le medaglie mondiali ed olimpiche, facendo gara a sé.

 

 

 E poi finalmente era arrivato. Il campione che doveva rendere di nuovo grande la Russia.

 

 

Le ragazze si fissarono per un istante, incerte. A quanto pareva, tentare l’approccio con Ivan Rostov in persona sarebbe stato considerato maleducato, nonché infantile: ciascuna di quelle pattinatrici sapeva, in fondo al proprio cuore, di non possedere le doti necessarie per eccellere e temeva, con un certo grado di fondatezza, che il celebre allenatore non si sarebbe fatto troppi scrupoli nel dichiararlo apertamente.

 

 

Tuttavia l’esaltazione che un simile incontro aveva generato doveva essere in qualche modo soddisfatta: le ragazze parlottarono tra loro, stabilendo che se avevano dovuto rinunciare alla possibilità di scalare rapidamente la vetta del successo, avevano ancora l’opportunità di rifarsi gli occhi.

 

 

Emma scosse la testa, intuendo il loro piano. Si strinse nelle spalle e si fermò a considerare quali vertici potesse toccare l’insulsaggine umana quando si univa alla tempesta ormonale tipica dei diciotto anni.

 

 

Quelle ragazze andavano incontro al suicidio, senza neppure rendersene conto. Se disturbare il grande Rostov avrebbe potuto arrecare loro gravi conseguenze, altrettanto mortificante sarebbe risultato il tentativo di avvicinare il suo atleta.

 

 

Sei-punto-zero.

No, questa volta non si trattava di un’altro dei soprannomi ideati da Tobias, ma di un epiteto universalmente riconosciuto. Tanto più incredibile visto che il ragazzo in questione aveva iniziato a gareggiare quando era già uscito di scena il calcolo del punteggio di gara che riconosceva in quella cifra la votazione massima che un pattinatore potesse ricevere.

 

 

«He has to be in the locker room!» ipotizzò una delle ragazze.

«He surely wants to start his training» le fece eco un’altra.

«We have to find him» concluse la terza. «Now»

 

 

La piccola pattinatrice giapponese quasi svenne quando riuscì a comprendere il proposito di quelle esagitate. Cercò immediatamente l’aiuto di Emma, ma quella distolse lo sguardo chiamandosi fuori sia dalla cospirazione che dal tentativo di salvataggio che, lo sapeva già, sarebbe miseramente fallito.

 

 

Le tre ragazzine, infatti, si gettarono subito alla ricerca degli spogliatoi, inseguite dalla giapponesina che, con le lacrime agli occhi, le pregava di riconsiderare la convenienza dei loro gesti.

 

 

Per favore, è un collega, avrebbe voluto dire Emma. Ma si rendeva conto che le sue parole non avrebbero sortito alcun effetto. Chissà, se fosse stata un po’ più giovane o un po’ più pazza, probabilmente le avrebbe seguite. Invece era una ragazza di ventidue anni con la testa sulle spalle. Ed un briciolo di senso di dignità.

 

 

Non che non le sarebbe piaciuto farsi una foto con lui, da mostrare alle amiche una volta tornata a casa e di cui andare fiera per tutta la vita; da far vedere ai nipotini una volta che la vecchiaia le avrebbe impedito di indossare ancora i pattini.

 

 

Ma non aveva la faccia tosta per andare a cercarlo. Che cosa avrebbe potuto dirgli, una volta trovatoselo di fronte? Quale complimento avrebbe potuto rivolgergli che non avesse già ricevuto da migliaia di fans?

 

 

Poi qualcosa catturò la sua attenzione. Quella meravigliosa superficie bianca, splendente come uno specchio, la stava chiamando. Improvvisamente si dimenticò di Ivan Rostov che pure si era accomodato in tribuna; si dimenticò persino di Sei-punto-zero. Tutto ciò che desiderava era procurarsi un paio di pattini e provare la consistenza di quel ghiaccio così invitante.

 

 

Con quest’unico proposito e desiderio in mente tornò sui suoi passi, raggiungendo l’ingresso alla ricerca di qualcuno che potesse aiutarla, ma non incontrò anima viva. Tutti i volontari sembravano essersi volatilizzati. Decise di tentare la fortuna: forse al piano di sotto, dove si trovava la pista, avrebbe potuto individuare un responsabile, oppure il gestore stesso dell’impianto.

 

 

Scese rapidamente i gradini oltre una porta che recava sul battente l’avviso di morte per chiunque provasse ad oltrepassarla senza far parte del personale operativo del palazzetto. Il fine giustifica i mezzi, si disse.

 

 

Emma si chiese se sarebbe riuscita a trovare qualcuno che potesse esaudire il suo desiderio. Sentì nelle orecchie la voce di Tobias, che la rimproverava per aver lasciato i pattini in hotel e per una volta fu costretta a riconoscere che aveva ragione. Li aveva custoditi con cura durante tutto il viaggio, facendoli volare nel suo bagaglio a mano, ma li aveva lasciati indietro al momento della verità.

 

 

In fin dei conti aveva però una scusante: come avrebbe potuto pensare di non riuscire a trovare un paio di pattini in prestito all’interno di un palaghiaccio? Considerò l’opportunità della propria ricerca: poteva risultare pericoloso indossare dei pattini non personalizzati qualche giorno prima della gara, ma la voglia di salire sul ghiaccio era troppa.

 

 

Emma si ritrovò in un atrio, anch’esso deserto. Ma era possibile che l’unica persona viva lì dentro fosse Ivan Rostov? Quello spazio era veramente enorme, ma completamente disabitato. La pista del suo paese pullulava di addetti ed atleti sin dalle cinque del mattino.

 

 

Si avvicinò contrariata ad una porta a vetri, che delimitava l’accesso all’area della pista vera e propria. A quanto pareva si sarebbe dovuta accontentare di sfiorare il ghiaccio con una mano.

 

 

E poi la vide. Una persona, finalmente!

 

 

Non era una delle ragazzine che la avevano accompagnata e che in quel momento stavano probabilmente setacciando i piani superiori. Non era neanche un volontario indigeno, visti i capelli biondi.

 

 

Il ragazzo dall’altra parte della porta si fermò, vedendola arrivare. Lei fece lo stesso, indecisa sul da farsi: com’è che era sempre così impacciata in queste situazioni? Il galateo non le era mai venuto in aiuto in simili occasioni, visto che ogni volta era sembrata l’unica a possederne qualche rudimento.

 

 

Rassegnata si scansò di lato, permettendo al ragazzo dai capelli chiari di uscire senza travolgerla. Ma lui la sorprese. Si spostò a sua volta e le tenne aperta la porta, invitandola a passare per prima. Quel gesto galante la colse impreparata. Comprese come fosse il caso di alzare gli occhi su quel gentiluomo di vecchie maniere per ringraziarlo con un sorriso.

 

 

Prima ancora di posare lo sguardo sul suo volto, però, la sua attenzione fu catturata dal luccicare dell’oggetto che teneva in mano. Lame. Lame da ghiaccio.

 

 

Gli rivolse allora uno sguardo curioso ed interessato, che fu ricambiato per un istante con una timida occhiata.

 

 

...

 

 

Porca miseria.

 

 

Sei-punto-zero.

 

 

In persona. Davanti a lei, ancora intento a reggere la porta.

 

 

Emma rimase paralizzata. Per qualche secondo il suo cervello entrò in stand-by. Poi, quando riprese a funzionare, le fece comprendere appieno la situazione: aveva incontrato il suo idolo, la sua principale fonte di ispirazione. E non si sentiva in grado di spiccicare parola.

 

 

Il ragazzo non sembrò far troppo caso al suo turbamento; forse non se ne accorse proprio, visto che teneva gli occhi fissi sul muro alle spalle di Emma, evitando di guardarla direttamente. Fu quel contegno distaccato che fece tornare la ragazza in sé: si riscosse e azzardò un passo attraverso la porta, sforzandosi di non riportare lo sguardo sul campione.

 

 

Sei-punto-zero le aveva aperto la porta. Era sciocco ma non poteva fare a meno di pensarci. Era talmente persa nelle sue fantasie che quasi non udì la frase che il ragazzo le rivolse subito dopo, un sussurro appena percettibile.

 

 

«You went the wrong way, I’m afraid; this entrance is for athletes only».

 

 

Questa volta Emma non potè farne a meno. Si voltò di 180 gradi, trovandosi di fronte il campione che, abbozzato un sorriso, se ne andò.

 

 

La ragazza rimase sola con la propria umiliazione. Aveva incontrato il suo mito e quello l’aveva scambiata per la donna delle pulizie.

 

 

Ha proprio ragione Silvio Muccino: certe giornate... andrebbero dormite.

 

 

 

 T T T 

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Capitolo 2
*** Orgoglio ***


 

Ina Bauer 

 

Capitolo due
 

 

 Orgoglio

 

 

 

Sei titoli nazionali consecutivi, cinque europei, tre mondiali.

 

 

Era più che comprensibile che non la conoscesse. Uno come Sei-punto-zero non doveva mai aver gettato uno sguardo in fondo alla classifica. Forse non sapeva neppure che esistevano altri piazzamenti oltre al primo gradino del podio. Emma nutriva il fondato sospetto che Ivan Rostov non lo avesse mai messo al corrente.

 

 

 Come avrebbe mai potuto indovinare che la ragazza con cui si era scontrato praticasse il suo stesso mestiere? Ormai quasi tutte le ragazze erano magre. E pur praticando questo sport da quando era alle elementari, Emma non era mai diventata troppo sottile: la sua costituzione era solida ed aveva dovuto lottare molto per conferire ai suoi movimenti quella grazia che è l’elemento più caratteristico del pattinaggio.

 

 

Paradossalmente le era sempre stato più facile eseguire un triplo toeloop, piuttosto che imitare le movenze del cigno.

 

 

«Carino lo scherzetto di stamattina!»

 

 

La voce irritata di Tobias la distolse dai suoi pensieri. Il suo allenatore era furioso. E ne aveva ben donde. Non aveva preso bene il suo telegramma via post-it. Dopo essere tornata in hotel, Emma era andata subito a cercarlo, per iniziare al più presto i suoi allenamenti.

 

 

Non che qualche sforzo dell’ultima ora potesse migliorare di colpo le sue prestazioni e compiere il miracolo, ma quanto era successo con lo Zar le aveva messo una gran voglia di tentare l’impossibile. Con la precisa intenzione di recarsi immediatamente in pista insieme a Tobias, era andata a cercarlo in camera sua, ma invece dell’uomo aveva trovato un messaggio scritto sulla carta igienica e appiccicato alla porta con una gomma da masticare.

 

 

Avvisami quando ti “torna” la voglia di lavorare.

 

 

Il suo allenatore era rimasto irreperibile per tutto il resto della mattinata, facendole pagare caro l’affronto aurorale.

 

 

Quando, poco prima dell’ora di pranzo,  Emma e Tobias raggiunsero la pista all’interno del Palaghiaccio, la trovarono già occupata dalle altre atlete che, per quel pomeriggio, avrebbero condiviso con l’italiana l’ora di allenamento. Tobias, si guardò in giro sospettoso, mentre la ragazza infilava i pattini.

 

 

«Stai attenta alle spalle...» le sussurrò subito, fingendo di chinarsi a raccogliere qualcosa, così da esserle vicino.

«Cosa hai detto?» domandò Emma, sollevandosi immediatamente. I modi da perseguitato che talora assumeva il suo allenatore l’avevano sempre infastidita.

 

 

«Non lasciarti toccare da nessuna di quelle piccole arpie» le ripeté, muovendo appena le labbra. «Non bere nulla di quello che ti offriranno!»

«Per l’amor del cielo, Tobias!» esplose infine Emma, esasperata. «Ho ventidue anni! Ho imparato tanto tempo fa a non accettare caramelle dagli sconosciuti!»

«Fa’ come ti dico!» tuonò quello di rimando, considerando chiusa la questione.

 

 

Sarebbe superfluo specificare lo stato d’animo con cui la pattinatrice scese in pista. Pur senza volerlo si diede una rapida occhiata attorno, per verificare l’identità delle sue compagne di allenamento. Valery Marabou e Sarah Meistermann avevano già concluso il loro riscaldamento ed erano passate ai salti, con una concentrazione che mai prima di allora Emma aveva scorto sui loro volti. Sylvie Martin, invece, era ancora vicina alla balaustra, colta all’improvviso da un vero e proprio attacco di panico, che la faceva tremare dalla punta delle lame fino a quella dei capelli.

 

 

Tu non hai il diritto di essere spaventata, rimuginò Emma, superandola. Questo non è il tuo primo mondiale! Ciascuna di voi ha almeno un titolo nel suo palmarés... solo io sono una totale nullità...

 

 

Mentre si torceva per riscaldare i muscoli del dorso, la ragazza scorse la sua guida mattutina, accolta dal boato del pubblico: il Palazzetto era tutto per lei. In base al dossier preparatole con cura maniacale da Tobias, la piccola Sadako non era quella che si dice una campionessa: il suo miglior risultato consisteva in un terzo posto, riportato agli ultimi nazionali.

 

 

Dunque aveva fatto appena meglio di lei, eppure era osannata come una fuoriclasse. Ma si sa che, per gli atleti di casa, il pubblico mostra sempre un occhio di riguardo. Quello stesso occhio che di tanto in tanto si posava incerto su di lei, atleta che evidentemente ciascuno spettatore stentava a riconoscere.

 

 

Per la gara vedrò di scrivermi il nome sulla schiena, brontolò Emma a mezza voce, come i calciatori.

 

 

Sorrise ad una bimba in prima fila che aveva rivolto lo sguardo verso di lei ma quella, sorpresa da tanta confidenza, si rifugiò subito tra le braccia della madre.

Adesso faccio più paura dell’Uomo nero.

 

 

Quella sessione di prove non le stava piacendo per niente. I muscoli, pur appartenendole anatomicamente parlando, si rifiutavano di obbedirle ed il suo stomaco continuava a contrarsi ogni qual volta prendeva la decisione di tentare un salto.

 

 

Così non va.

 

 

Si soffermò ad osservare la trottola della Marabou, come sempre perfetta.

 

 

Così proprio non va.

 

 

Si fece coraggio ed arrischiò un triplo flip, che però non andò a buon fine e le procurò invece una dolorosa pacca al fondoschiena.

Emma si rialzò rapidamente, rivolgendo un imbarazzato ringraziamento al pubblico che, correttamente, aveva ritenuto opportuno sostenerla in quel momento difficile con un lungo applauso.

 

 

Non fa niente Emma, si disse, incrociando rapidamente le lame per riguadagnare velocità. Anche Midori di tanto in tanto cadeva...pensa alle Olimpiadi del ’92...

 

 

La ragazza era ben conscia che, neanche dopo secoli di allenamento, avrebbe mai potuto eguagliare colei che era stata, negli anni in cui si era avvicinata al pattinaggio, il suo primo grande idolo.

 

 

La classe non è acqua, si è soliti affermare.

 

 

Tuttavia vi era qualcosa nelle sue movenze che le sembrava di replicare quando scendeva sul ghiaccio. Vi era una piccola parte dell’immenso stile della campionessa che lei sentiva di far rivivere, ogni qual volta gareggiava. Non sapeva che cosa fosse di preciso, ma sin da quando aveva iniziato, aveva sentito una particolare sintonia con l’incredibile Midori Ito.

 

 

Inutile dire che quando aveva provato a comunicare le sue impressioni a Tobias, questo aveva ricambiato le sue timide confessioni con una fragorosa risata di scherno, replicando che anche dopo dieci anni di lavoro la balaustra sarebbe ancora stata in grado di assomigliare alla giapponese molto più di lei.

 

 

Eppure Emma sapeva di essere nel giusto. E di colpo realizzò la situazione: era in Giappone, a casa del suo idolo. Non poteva permettere che le cose andassero male. Per una volta se ne sarebbe infischiata di tutto il resto e avrebbe pensato solo a fare bene.

 

 

Fu con la grinta dei suoi momenti migliori che prese la rincorsa per il flip. Ci voleva riprovare, sì, ma questa volta l’esecuzione sarebbe stata leggermente diversa.

 

 

Concentrandosi, Emma si posizionò in linea retta per il tre.

 

 

Scivolò all’indietro sul filo interno del piede sinistro.

 

 

Lasciò scorrere la lama finché le sembrò di aver trovato il giusto equilibrio.

 

 

Puntò sul ghiaccio con il piede destro.

 

 

Contò una, due, tre rotazioni, avendo cura di attorcigliare attentamente una gamba sull’altra.

 

 

Quindi atterrò di nuovo sul filo esterno indietro del piede destro, mentre il pubblico attonito si lasciava sfuggire un ammirato «Ohhhh...».

Sì, quello era decisamente lo stile di Midori.

 

 

Mentre sempre più spettatori si decidevano a seguire le sue mosse, Emma sorrise tra sé e sé pensando che, qualora fosse riuscita a divertirli con qualche omaggio alla loro grande campionessa, forse si sarebbero finalmente ricordati di lei.

 

 

E così, presa dall’entusiasmo che quel pubblico pieno di aspettative ora sembrava desideroso di trasmetterle, si lanciò nell’esecuzione di lutz, toeloop e salchow, facendo sempre attenzione, quando era in aria, a piegare le gambe in quella originale posizione che era divenuta il tratto distintivo della Ito, nonostante i giudici non lo avessero mai visto di buon occhio.

 

 

 Mentre gli spettatori continuavano ad applaudire e ad indicarla con le braccia ai vicini, perché nessuno si perdesse lo show che quella modesta atleta italiana aveva deciso di mettere in scena, Emma decise di stupirli tutti con il suo pezzo forte, ma prima di poter mettere in atto il suo proposito fu aspramente richiamata da Tobias.

 

 

«Vuoi smetterla di fare il pagliaccio?!» le gridò dietro l’uomo, mentre la pattinatrice francese nascondeva una risatina.

 

 

Tobias aveva ragione. Stava perdendo tempo prezioso. Le sue compagne avevano già ripassato la loro coreografia, mentre lei aveva pensato solo a soddisfare il suo ego. Una vera stupidata.

 

 

Recuperata la calma, cercò di concentrarsi unicamente sul suo programma che iniziò ad eseguire nei suoi punti nodali. Arrivata al triplo axel, sentì un leggero brivido di eccitazione correrle lungo la spina dorsale mentre caricava il salto con tutta la forza di cui disponeva.

 

 

Le tre rotazioni e mezza in aria le apparvero interminabili, ma questa volta agganciò saldamente la mente ai muscoli, impedendole di divagare su gesta che non le appartenevano. Quando atterrò con precisione sul filo esterno destro indietro sorrise con calore in direzione di Tobias.

 

 

Questa volta le sue gambe erano rimaste distese, come i suoi pensieri. Perché lei non era Midori ed il suo mondiale era appena incominciato.

 

 

 

T T T

 

 

Menestrella’s corner:

Eccovi un capitolo nuovonuovo... Spero vi sia piaciuto!

Grazie di cuore a chi continua a leggere e soprattutto a Lady_me (sono contentissima che tu continui a seguire la mia storia!!!) e a Kaoru (felicissima di aver acquistato una nuova lettrice gentile come te!!!).

XX

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Capitolo 3
*** Rivincita ***


Rieccomi, dopo tanto tempo, con un nuovo capitolo della mia fic ambientata nel mondo del pattinaggio!

Lo so, l'aggiornamento procede in maniera lentissima, ma vi assicuro che faccio del mio meglio! Abbiate fiducia, prima o poi arriveremo alla fine! 

Prima di lasciarvi alla storia, permettemi di ringraziare di cuore Lady_me, Kaoru e Akiko che hanno recensito tanto generosamente lil capitoletto precedente! Un grazie particolare va proprio a quest'ultima per le  indicazioni e i suggerimenti, tanto più preziose per chi, come me, il mondo del ghiaccio lo vive da spettatrice! GRAZIE!  

A tutti i lettori rivolgo, ancora una volta, la preghiera di perdonare i miei errori... Che volete farci, non sono Carolina! ;D

E ora basta con le ciance, buona lettura!

Ah, come sempre, se mi lascerete un commentino mi farete un enorme piacere! 

                                                                                  M.

Nove

Rivincita

 

 

 

Una volta che ebbe ritrovato la fiducia in se stessa, quella giornata di prove non le apparve più così disastrosa e con essa anche il suo umore migliorò sensibilmente.

 

 

Emma aveva deciso di provarci e non stava più nella pelle. Con l’adrenalina a due mila si era avviata al Palazzetto, per il secondo turno di practices. Al fianco di un Tobias rinfrancato dal recente lauto pasto, raggiunse la pista pronta a darsi da fare, per dimostrare che, sebbene non detenesse alcun titolo, era stata capace di conseguire elevati progressi nell’ultimo periodo, grazie ai quali meritava di partecipare a quella celebre manifestazione nella stessa misura di tutte le altre pattinatrici più blasonate di lei.

 

 

«Sei pronta a fare sul serio?» le domandò Tobias, estraendo dalla borsa i suoi pattini.

Emma annuì senza parlare, ben sapendo che qualsiasi parola sarebbe stata superflua.

«Cerca di non dare spettacolo» aggiunse serio il suo allenatore. «Per quello c’è il Gala».

Tanto per non mettermi pressione, pensò la ragazza entrando in pista.

 

 

Quell’ovale ghiacciato era una meraviglia: le lame erano libere di scivolare a loro piacimento ed acquistare velocità non le era mai sembrato così facile. La superficie era stata levigata perfettamente ed era talmente trasparente che ci si poteva quasi specchiare.

Emma saggiò la consistenza del ghiaccio con qualche salto di riscaldamento, facendo attenzione a non mostrare troppo. Tobias era stato molto chiaro in proposito: durante le prove era preferibile non esibire i propri esercizi migliori, né mettere in scena l’intera coreografia.

 

 

Naturalmente questi consigli non valevano se eri un campione: uno come Sei-punto-zero poteva permettersi di rimanere seduto a gambe incrociate in mezzo alla pista per tutta la durata dell’allenamento, o altrimenti di sfoggiare un quadruplo axel perfettamente atterrato. Uno come lui non aveva certamente bisogno del fattore sorpresa, che invece era tutto ciò di cui disponeva una come lei.

 

 

Intenta com’era a ripassare mentalmente la coreografia, immaginando di eseguirla entro i confini di quella pista, il cui diametro era nettamente più ampio di quella di casa sua, quasi non si era accorta dell’identità delle sue compagne di allenamento. Ad Emma bastò gettare una rapida occhiata attraverso l’anello ghiacciato per rendersi conto che qualcosa era cambiato rispetto agli allenamenti della mattina: tutte le atlete che stavano provando i loro esercizi in quello stesso momento avevano gli occhi a mandorla.

 

 

Ferma in centro alla pista, Emma potè ammirare l’ottimo triplo toeloop della Kim, coreana di nascita, poi naturalizzata americana per un mix da medaglia d’oro. Accanto alla balaustra a colloquio con la propria allenatrice c’era la Inoue, idolo di casa e podio assicurato. Impegnata nella sequenza di passi circolare si riusciva appena ad intravedere la minuscola Lín, pechinese d.o.c. e campionessa del mondo in carica.

 

 

Emma si sentì tremare le gambe e si avvicinò perplessa a Tobias che stava fissando la piccola campionessa con uno sguardo da far invidia a Madame Curie.

«Eccezionale bilanciamento, espressività drammatica, gambe d’acciaio» disse tra i denti, senza riuscire a staccarle gli occhi di dosso. «Peccato» lo sentì sospirare poco dopo.

Non appena Tobias ebbe riportato la propria attenzione sulla sua atleta, Emma gli rivolse uno sguardo preoccupato.

 

 

«Sì, me ne sono accorto subito» la anticipò, intuendo quanto l’avesse spiazzata essere stata accorpata al gruppo delle migliori.

«Ti hanno messa tra i Giganti» continuò, «ma non credo sia indicativo».

Grazie, cafone!

«Tieni gli occhi sulle tue lame e andrà tutto bene!» le disse, posandole una mano sulla spalla in un gesto amichevole che la colse completamente di sorpresa.

«Che ti succede, Tobias?» domandò subito Emma, con un sorrisetto ironico.

L’allenatore sembrò riscuotersi subito, perché la ricacciò immediatamente in pista, tuonando un poco lusinghiero «Riporta il tuo pachidermico didietro sul ghiaccio!».

 

 

Eseguendo l’ordine strillatole da Tobias, Emma non potè tuttavia trattenersi dall’azzardare uno sguardo alle sue compagne, rimpiangendo all’istante di essere caduta in una simile tentazione. Per un attimo andarsi a sedere sulle gradinate e rinunciare alla gara le sembrò la cosa più sensata da farsi, perché davvero ciò che si stava esibendo sul ghiaccio in quel momento era quanto di meglio si potesse trovare sul pianeta.

 

 

Manca solo la Baruskaya e avremmo fatto l’en plein, si ritrovò a pensare l’italiana, percorrendo rapidamente un giro di pista ed eseguendo un triplo flip nell’angolo lontano dai fotografi.

 

 

Fingendo di non notare l’espressione accigliata di Tobias, che non condivideva tanto impegno durante i turni di practices, Emma spostò lo sguardo sugli spalti e per poco non le prese un colpo: accomodata nel primo anello sedeva la nazionale russa. Al completo.

 

Andreij Urbonas

Tatiana Vasilyeva.

Alekseji Sokolov.

Alekseji Petrov.

Masha Liukina

Elena Baruskaya.

E, naturalmente, Sei-punto-zero.

 

 

Tutti bellissimi nella loro uniforme bianca e rossa nuova fiammante, tutti inavvicinabili con quel cipiglio polare sulla faccia, tutti inguaribilmente annoiati. La Baruskaya ad un certo puntò appoggiò pigramente la testa sulla spalla di Sei-punto-zero e chiuse addirittura gli occhi, perdendosi in questo modo la vista di migliaia di sguardi femminili che si posavano indignati su di lei.

 

 

«She... bitch! How ... dare... ?!» si infuriò subito la cinesina, passando velocemente sotto alla postazione russa. «I’m number one! He is mine!».

 

 

Già, peccato che l’amore non sia un fatto di numeri... si ritrovò a pensare Emma, rinunciando però all’idea di provare a spiegare la propria teoria alla sua compagna di allenamento.

 

 

Quando però la biondina super titolata allungò un braccio per passarlo attorno alle spalle del campione seduto accanto a lei, pur sentendosi immensamente stupida, non poté impedire al proprio volto di contrarsi in una evidente espressione incollerita.

 

 

«Now I’m gonna kick her ass!!!» sentì giurare l’americana, che interruppe la sua trottola per tentare di incenerire con lo sguardo l’atleta russa.

 

 

«Are they going out?» si informò invece la giapponese, più contenuta nella propria reazione di disappunto.

«No idea» replicò Emma, incrociando il suo sguardo. «Perhaps, they’re only friends!».

«She... bitch!».

La piccola campionessa del paese dei dragoni si era unita a loro, solo per rinnovare a voce decisamente troppo alta il proprio inappellabile giudizio.

La giapponese si ritrovò ad annuire, prima ancora di rendersi conto di essere stata imperdonabilmente scortese.

«I didn’t mean...» provò a difendersi, ma poi si allontanò rossa in faccia, senza concludere la frase.

 

 

Rimproverandosi per aver lasciato girovagare i propri pensieri a briglia sciolta, impicciandosi in faccende che non la riguardavano, Emma si sforzò di riprendere pieno possesso della propria concentrazione, ma i suoi tentativi furono annientati da un poderoso abbraccio che le circondò la vita, mentre due labbra impertinenti le scoccavano un bacio ardente alla base della nuca, approfittando della scollatura della sua tenuta da allenamento.

 

 

«Ciaò bellezza!»

 

 

L’inequivocabile accento transalpino da cui furono pronunciate quelle due semplici parole la mandò su tutte le furie.

 

 

«lasciami!» intimò immediatamente, cercando al contempo di sciogliersi dall’abbraccio stritolatore in cui era stata fatta prigioniera.

 

 

Finalmente riuscì a liberarsi tanto da poter affrontare lo sguardo ribelle di Michel Leblanc, pattinatore di punta della nazionale francese, nonché campione europeo in carica.

 

 

«Ricordamelo...» fece il ragazzo, incurante delle grida che arrivavano dal bordo della pista. «Come mai ci siamo lasciati?»

«Perché ti ho beccato con un’altra?!» suggerì Emma, alzando gli occhi al cielo.

«E non ti sei mai pentita?»

«Esci di qui!» lo rimproverò la ragazza, facendo per allontanarsi, ma lui la trattenne.

«Non sei ancora riuscita a dimenticarmi, vero?!»

«Abbassa la cresta, Michel!» sibilò Emma. «E tieni giù le zampe!» completò, visto che il francese aveva riprovato a baciarla.

 

 

«security!!!» gridò la ragazza senza pensare, ma guardandosi intorno notò che tre quarti degli addetti del Palazzetto erano già stati allertati e scalpitavano a bordo pista. Lusingata da tanta attenzione, Emma si vergognò di aver scatenato tutto quel pandemonio. «I can handle it!» disse alzando il pollice nella loro direzione, ma una risata di scherno la costrinse a voltarsi nuovamente verso il francese.

 

 

«Non sono preoccupati per te!» le spiegò il francese con una punta di soddisfazione. «E’ solo che sono entrato con le scarpe». Emma spostò istintivamente il proprio sguardo sui piedi del ragazzo, notando per la prima volta che non indossava i pattini, ma un paio di scarpe da tennis.

«Sei impazzito?!» gridò scandalizzata, senza riuscire a nascondere il rossore che le si era dipinto sulle guance.

«L’ho fatto per te! Volevo salutarti, sono appena arrivato!».

«Per quanto mi riguarda, potevi evitarti il disturbo!».

«Dunque ti piaccio ancora così tanto?» la canzonò il campione.

 

 

Il ragazzo non aveva ancora terminato di ridere che una potente manata sulla schiena lo fece cadere bocconi sul ghiaccio.

«Stalle lontano, lurido verme!».

Tobias aveva indossato i pattini e li aveva raggiunti sulla pista per dare una lezione a quel galletto francese.

 

 

«Ehi, non ti scaldare tanto, gorilla!» esclamò Michel, lottando leggermente per rimettersi in piedi.

«Ti aspetto in camera mia, stasera!» aggiunse rivolto ad Emma, avviandosi finalmente ai cancelletti seguito a ruota da Tobias, ben deciso a controllare le sue mosse.

 

 

Emma sperò con tutte le sue forze che quella scena indecorosa fosse passata inosservata, ma una rapida occhiata in giro le chiarì immediatamente come non ci fosse una sola persona in tutto il Palazzetto che non l’avesse seguita attentamente dal principio alla fine.

Le facce delle altre atlete esprimevano sentimenti contrastanti, che variavano dallo stupore al biasimo e certo la pantomima organizzata dal caro Michel non doveva averla aiutata a catturarsi le simpatie di quel pubblico tanto composto.

 

 

Facendo il giro della pista si ritrovò a scommettere che tutti i presenti dovevano ormai aver dimenticato l’audacia della Baruskaya, che li aveva fatti sobbalzare solo qualche minuto prima. Riprendendo il proprio allenamento, Emma ricominciò a muoversi attraverso la pista, notando come le altre atlete evitassero il suo sguardo. Cercando di controllare la propria ira, la ragazza rivolse uno sguardo alla tribuna russa, sperando di riguadagnare la calma grazie alla vista dei loro contegni imperturbabili.

 

 

Invece, qualcosa la fece trasalire. Gli occhi di tutti esprimevano quello stesso tedio che sembrava essersi inesorabilmente impadronito di loro non appena avevano messo piede nel Palazzetto. Eppure uno di quegli sguardi mancava all’appello. Non poteva essere altrimenti, perché gli occhi di Sei-punto-zero erano incredibilmente puntati su di lei.

 

 

Emma abbassò immediatamente i propri, avvertendo all’istante il medesimo senso di vergogna che avrebbe provato inciampando nella sequenza di passi in linea retta.

 

 

Per liberarsi da quel terribile senso di oppressione, causatole da una disapprovazione tanto grave quanto immeritata, decise di eseguire una combinazione.

Si posizionò rapidamente e senza pensarci troppo si lanciò in un 3-3-3, che finì col lasciarla senza fiato, ma soprattutto con la bocca aperta: l’atterraggio era stato da manuale.

 

 

Alzando gli occhi con aria di sfida verso la postazione bianca e rossa, notò che colui di del quale, più che di ogni altro, le interessava guadagnarsi il rispetto, aveva abbandonato i suoi compagni. Fu perciò con una certa delusione che la ragazza eseguì un paio di trottole con cambio di filo, avviandosi poi ai cancelletti per scambiare qualche parola con Tobias.

 

 

«Mi hai vista, poco fa?» chiese all’indirizzo del suo allenatore, sicura che non le avrebbe risparmiato le proprie critiche spietate, nonostante la sua combinazione fosse riuscita perfettamente.

Tobias però non le rispose; apparentemente non sembrava averla neppure udita, intento com’era a concentrare tutta la propria attenzione sul suo interlocutore.

 

 

Ti credo. Tobias stava discutendo con Sei-punto-zero.

 

 

Mentre i suoi pensieri vagliavano rapidamente tutti i possibili motivi che potevano aver spinto lo Zar a lasciare la propria poltroncina, farsi due piani di scale e raggiungere il suo allenatore che, a dirla tutta, non era poi così famoso, le sue mani andarono ai suoi capelli, legati malamente in una rozza coda, ormai semi-distrutta dopo tutti quei salti.

 

 

Fu lui il primo a parlare.

Le sorrise anche, mentre Tobias spostava lo sguardo incredulo dall’uno all’altro.

 

 

«Hi!» la salutò. « Do you remember me? I was the boy that, two days ago, treated you in that horrible way».

Le orecchie di Tobias si fecero visibilmente più tese, cosicché Emma si ritrovò costretta a vincere rapidamente il proprio sconcerto e a mettere insieme qualche parola.

«Don’t worry».

 

 

«What happened?» si intromise infatti l’allenatore, a cui la sua risposta non era evidentemente apparsa sufficiente.

«Oh, nothing...» si affrettò a spiegare la ragazza. «He was very gentleman-like... He opened the door for me».

«And I mistook you for some skater’s girlfriend» confessò Sei-punto-zero, diventando rosso. «I’m so sorry».

«You don’t need to be. No offence».

Emma rivolse uno sguardo ansioso alla pista, mostrando come ogni fibra del suo essere desiderasse scappare da quella conversazione surreale per ritornare nel mondo normale.

 

 

«So you are not angry?» insistette il ragazzo.

«No, I’m not».

 

 

Sei-punto-zero le tese la mano, regalandole un sorriso quasi infantile.

«But I’d like to apologize».

«You don’t need to, I assure you».

Emma strinse la sua mano, cercando di apparire disinvolta ed imponendosi di non pensare a quanto stava accadendo.

 

 

La stretta del campione si rivelò più calorosa del previsto, lasciandola completamente scombussolata.

«So... friends?».

La voce di Sei-punto-zero appariva inspiegabilmente tesa.

 

 

Amici? Lo Zar voleva veramente fare amicizia con lei? Emma non riusciva a credere alle sue orecchie. Tutto questo non aveva senso.

 

 

«If you aren’t offended, then ... why not?»

La ragazza spalancò gli occhi: il campione aveva preso il suo silenzio come un segno di reticenza!

«Ok... friends!» assicurò quindi Emma, desiderando con tutta se stessa che ci fosse una telecamera da qualche parte, intenta a riprendere la scena.

 

 

Sei-punto-zero le strinse ancora la mano e con un ultimo cenno di saluto tornò ad arrampicarsi sulle gradinate, ma non raggiunse la sua squadra: per una qualche ragione preferì accomodarsi più vicino alla pista, come se volesse osservare meglio l’allenamento delle ragazze.

 

 

Ancora frastornata Emma si allontanò dalla balaustra senza osare rivolgere uno sguardo a Tobias, che senza dubbio l’avrebbe sottoposta ad un terzo grado non appena avessero raggiunto gli spogliatoi.

La sua mente faticava a riprendere il controllo, tanto che non si accorse che tutte le pattinatrici presenti al momento sulla pista l’avevano circondata con aria minacciosa.

 

 

«Why was Six-point-zero talking to you?» le domandò l’americana a bruciapelo, riassumendo nella sua espressione sospettosa i dubbi che dovevano affollare i pensieri di tutte le ragazze dello stadio.

Senza sapere cosa dire, Emma pensò di evitare qualunque conversazione, ma la campionessa cinese le impedì di sgattaiolare via. «hei!» la sgridò, afferrandole un braccio.

 

 

«I think he confused me with another person...» si sentì allora pronunciare, complimentandosi all’istante con se stessa per la risposta tempestiva.

 

 

 

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