Katheryne

di kate98
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


Capitolo I


«Katheryne, mi raccomando!» imitai la voce di mio padre, con annessa espressione cupa che si portava sempre dietro il mio vecchio, e scoppiai a ridere seguita a ruota da Ed.
«Dovresti andare in teatro, Kate. Secondo me hai un futuro sicuro. A volte quando mi parli non capisco se stai recitando o no.»
«Potrei anche pensarci, sai? Mi piacerebbe molto.» e così è, la mamma, prima di morire, mi ha trasmesso molte cose, nonostante il breve periodo di tempo nel quale siamo state assieme. Una di quelle cose è stata proprio la passione per la recitazione. 
Guardai Edward, era il mio migliore amico e lo adoravo con tutta me stessa. Quando ci eravamo conosciuti ci odiavamo terribilmente.  Mio padre era un vecchio amico del padre di lui e, un giorno, quando era stato invitato alla sua reggia per parlare di "questioni molto importanti", come le chiamava lui, aveva portato anche me. 
«Katheryne, mi raccomando!» aveva iniziato a dirmi lui, come suo solito. Ormai usava quella frase quasi come un motto. «Comportati bene con il signor Augustus e con suo figlio Edward, ci tengo molto. Mi farebbe davvero tanto piacere che voi diventaste amici.» finì lui, guardandomi intensamente. 
Odiavo quando mi guardava così, sembrava che il suo sguardo penetrasse fin dentro l'anima. Odiavo venire meno a ciò che mi chiedeva mio padre, mi rattristava davvero vedere il suo sguardo deluso e dispiaciuto quando facevo qualcosa che non avrebbe voluto, ma non potevo comandare al cuore, e non potevo essere amica di una persona solo perché mio padre me lo chiedeva. 
Quando fummo arrivati davanti alla dimora del signor Augustus, mio padre si era raccomandato tante volte affinché lo chiamassi sempre così, il mio umore era nero come la pece. Scesi scompostamente dalla carrozza, senza neanche attendere che mi venisse aperta la porta, come una vera signorina dovrebbe fare, e mi diressi verso la reggia, seguendo mio padre. 
Ci venne ad aprire un maggiordomo che si inchinò e si offrì di prendere il mio copri spalle e la giacca di mio padre. Glielo porsi e, come una bambina piccola quale ero, cominciai a guardarmi intorno incuriosita. 
Solo l'entrata era enorme, e l'arredo era esageratamente favoloso. Aveva tutto un'aria così reale, ma senza esagerazioni. Il signor Augustus era una specie di capo del nostro popolo. Non capivo molto di politica, e neanche mi interessava capirne, sapevo solo il minimo indispensabile e, per ora, mi bastava. 
«Benvenuti, è un piacere vedervi!» una donna dall'aspetto molto curato ed elegante ci stava sorridendo gentilmente, non potei fare a meno se non ricambiare il sorriso. 
La donna si avvicinò e abbracció calorosamente mio padre che ricambió stringendola. In seguito si voltò verso di me e si mise in ginocchio per trovarsi alla mia stessa altezza. «E così tu saresti la piccola Katheryne, eh? Non ti vedo da secoli, sei diventata una signorina tanto graziosa. Io sono Evelyn.» aprì le braccia, come per chiedermi se poteva abbracciarmi, ma non si avvicinò. Io non ero molto abituata alle manifestazioni di affetto, perciò mi limitai ad allungare la mano per stringere la sua. Non sembró restare delusa dal mio rifiuto, anzi sorrise ancora più dolcemente e mi strinse la mano. 
«Seguitemi, Augustus ed Edward sono in giardino. Il pranzo verrà servito a breve.»
La seguimmo silenziosi, io continuavo a guardarmi intorno. Non che la nostra casa non fosse bella, anzi, eravamo una famiglia abbastanza benestante, ma quella casa era davvero affascinante. 
Il giardino, poi, era qualcosa di incredibile. Era pieno di rose di tutti i colori. Adoravo le rose, erano i miei fiori preferiti. Sarei stata per ad odorarne il soave profumo. 
Un uomo dall'aria allegra si avvicinò a noi sorridendo a trentadue denti. 
Si rivolse prima a me, «É un enorme piacere rivederla, signorina. Posso permettermi di dirle che è un raggio di sole.» detto ciò mi prese la mano e vi posó un bacio leggero sul dorso. 
Io lo guardai, per un attimo sconcertata da quell'accoglienza, poi rivolsi lo sguardo a mio padre, in cerca di aiuto. 
«Oh, non farti intimidire da questo vecchio bacucco. Gli piace mettere le persone alla prova, vedere come reagiscono.» mi fece l'occhiolino e abbracció l'amico. 
Dietro al signor Augustus, si era avvicinato anche un ragazzino. Supposi fosse Edward. Non mi guardava per più di due secondi consecutivi e, ogni volta che i nostri occhi si incontravano, lui volgeva velocemente lo sguardo altrove. Decisi che avrei potuto divertirmi così. Iniziai a fissarlo intensamente e lui, accortosi di ciò che stavo facendo, inizió ad arrossire. Un sorrisetto mi era spuntato sul viso e, la signora Evelyn, notando che ci stavamo guardando, si rivolse a noi. «Non siate timidi. Katheryne, lui è Edward.» disse posando una mano sulle spalle del figlio, «Edward, caro, non essere maleducato e presentati come si deve alla signorina qui presente.» diede una spinta leggera al figlio, come per incoraggiarlo e lui, tenendo lo sguardo sempre basso, si avvicinò e mi porse la mano. Io la guardai  quasi con disgusto e la strinsi. 
«Perché non andate a giocare un po'? Vi farò chiamare quando il pranzo sarà pronto.» disse sua madre con il solito sorriso sulle labbra, dirigendosi verso la casa. 
Io guardai male il ragazzo e mi avvicinai alle rose per sentirne meglio il profumo. 
Portai la mano in alto, volevo toccare un petalo. Erano così soffici e belli che non riuscii a resistere. La sensazione di morbidezza tra le dita mi dava una calma assurda. Mi ero quasi dimenticata che non ero sola. Il ragazzo si schiarì la gola e io trasalii spostando la mano. 
Una spina mi graffió il dito, dal quale cominció a sgorgare sangue. Mi girai di scatto, fulminandolo con lo sguardo. 
«Complimenti! Davvero bella mossa, grazie tante.» sbottai infuriata. 
Lui mi guardò, finalmente negli occhi, per più di un secondo. Aveva degli occhi molto profondi, intensi. Erano neri, nerissimi. Eppure ci si poteva leggere di tutto in quegli occhi. 
Sbattei le palpebre, rendendomi conto che lo stavo fissando, e mi voltai con la schiena rivolta a lui. Volevo che mi lasciasse in pace. 
«Dai, fammi vedere.» mi toccò la spalla. 
Ma io mi ritrassi, non volevo che mi toccasse. 
«Lasciami in pace! Nessuno ti ha dato il diritto di toccarmi! Mio padre lo verrà a sapere!» gli gridai addosso piena di rabbia. 
Non sapevo proprio perché, ma non riuscivo a sopportare quel ragazzino.
«E va bene, arrangiati!» gridò lui di rimando. 
«Certo che mi arrangio. Io mi sono sempre arrangiata.» lo guardai di sbieco. 
«Bene! Che cosa vuoi, un applauso?». 
«Te lo faccio io l'applauso. Con la tua faccia in mezzo. Che ne dici?» mi preparai a sferrare il colpo, quando fui fermata da una voce alle mie spalle. 
«Signorina Katheryne, signorino Edward! È ora di pranzo.» era il maggiordomo. 
«Sappi che non finisce qui.» cercai di sembrare minacciosa mentre mi dirigevo verso la casa. 
 
La tavola era addobbata con tutto il cibo del mondo. Non avevo mai visto qualcosa di così grandioso, ed era solo un semplice pranzo. 
«Woh, non oso immaginare a Natale!» mi lasciai sfuggire le parole di bocca. 
Notai lo sguardo di rimprovero di mio padre, ma non mi pentii di ciò che avevo detto. Non sopportavo tutte quelle convenzioni sociali in cui le donne dovevano stare sempre zitte e buone. Io non sarei mai stata così. 
 
Mangiai di gusto, assaggiando un po' tutto. 
Seduto di fronte a me c'era Edward, perciò evitavo il più possibile di alzare lo sguardo.
Lui non aveva mangiato quasi nulla. Probabilmente stava cercando di attirare l'attenzione, che atteggiamento infantile. 
«Edward, caro.» richiamò l'attenzione sua madre «cosa succede? Perché non mangi? Non stai bene?» lo guardò preoccupata. 
Io finii ciò che c'era nel mio piatto e riniziai a guardarmi in giro.
Dopo aver mangiato ci spostammo tutti in salotto. 
Mio padre e il signor Augustus si ritirarono nello studio, per poter parlare tranquilli. 
Evelyn aveva notato che suo figlio era diventato cupo, continuava a guardarlo con un cipiglio di preoccupazione sul volto. 
Si avvicinò a lui e lo strinse a sè, poggiandogli poi un bacio sulla fronte. 
Quella scena mi fece male, molto male. Perché la vita era ingiusta, e a me mancava la mia mamma. 
Avrei tanto voluto averla con me, poter stare tra le sue braccia ancora. Ma il destino me l'aveva portata via troppo presto, lasciando mio padre distrutto. 
Nonostante tutto, però, lui si stava comportando in modo eccezionale con me e mi cresceva come meglio poteva. La mancanza di mia madre però era ancora un sentimento forte, e io dovevo andarmene via di lì. Non potevo più stare a vedere quella scena. 
Senza dire nulla mi diressi verso il giardino. Camminai per un po' tra le rose, cercando di liberare la mente, di non pensare a nulla. 
Dopo essermi calmata un po', mi sedetti a terra, sull'erba soffice. 
Chiusi gli occhi e mi addormentai così, nella tristezza di quel momento. 
 
«Katheryne cara, è ora di andare, alzati su!»
Senza proferire parola mi alzai e seguii mio padre. 
Salutai Evelyn e suo marito con due baci sulla guancia e biascicai un "ciao" rivolto a Edward. 
 
Quella sera non riuscii ad addormentarmi serenamente come al solito, troppi pensieri mi inondavano la mente. 



Angolo autrice:
Ciao a tutti, mi sono ricordata di questa storia che ho sognato un paio di anni fa e, dato che mi affascinava, ho deciso di scriverla. Spero di riuscire a descrivere il meglio possibile ciò che accade e spero che piaccia anche a voi come piace a me.
La mia beta è lei 
http://www.efpfanfic.net/viewuser.php?uid=650515, Elecktra35.

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Capitolo 2
*** Capitolo II ***


«Signorina Katheryne, è ora di alzarsi.»
Era la domestica di casa, cercava di prendersi cura di me come una mamma. Ma io non volevo, perciò spesso la respingevo.
Non pensavo di certo che fosse cattiva o altro, ma nessuno avrebbe potuto mai prendere il posto della mia mamma. Lei non si spazientiva nei momenti in cui la allontanavo, era sempre umile e si toglieva di mezzo quando le si faceva capire che non era ben accetta. Ma dopotutto era pagata per fare tutto quello che le chiedevo, ed era brava in ciò, quindi a me stava bene.
Io probabilmente non sarei mai riuscita a fare un lavoro del genere. Abbassare la testa e ascoltare ogni capriccio di una persona. Non era nel mio modo di essere. E non credo fosse a causa della famiglia nella quale ero nata. Sostenevo che, anche se fossi cresciuta in una famiglia di domestici e maggiordomi, sarei stata sempre così, testarda e cocciuta.
Mi piaceva avere ragione e, quando avevo ragione, discutevo finché era necessario. Discutevo con tutti, non mi importava se era mio padre, le mie maestre o l'imperatore in persona.
E comunque ero già sveglia, ultimamente dormivo sempre male e mi svegliavo prestissimo.
Scesi al piano di sotto e mi diressi nella sala da pranzo. C'era solo Edith, la domestica.
«Signorina, suo padre mi ha pregato di informarla che lui è dovuto andare a svolgere importanti mansioni. Si scusa per non aver avuto occasione di consumare la colazione insieme a lei.» esordì la donna guardandomi con aria dispiaciuta.
Ma io non volevo la pietà di nessuno. Era vero, mio padre lavorava molto e mi mancava tanto, ma di certo c'era gente che stava peggio.
«Non è una novità, Edith. È inutile che mi guardi così, non è la prima e di certo non sarà neanche l'ultima volta che capita.» mi sedetti al grosso tavolo, nel posto centrale che occupavo sempre. «Ho fame e fretta, non voglio arrivare tardi a scuola, portami la colazione.» mi sentii un po' in colpa per come la stavo trattando «Per...favore.» di sicuro non bastava un per favore per rimediare, ma era tutto quello che riuscivo a fare, nervosa come ero in quel momento.
Mangiai velocemente tutto ciò che c'era nel piatto e mi preparai di fretta.
Non molte ragazze avevano il privilegio di poter ricevere un'istruzione, ma la mia famiglia se lo poteva permettere.
Io ero contenta di avere questa opportunità, non sarei stata una di quelle donne che davano per buono tutto ciò che veniva loro raccontato. Io volevo sapere come stavano le cose. Non volevo dare a nessuno la possibilità di prendersi gioco di me, la possibilità di prendermi in giro.
Forse era per questo che apprendere non mi risultava per nulla complicato, mentre alcuni miei coetanei facevano fatica. Io ci tenevo davvero a farlo mentre, alcuni, cercavano di imparare solo per obbligo, per non dare dispiacere ai genitori.
Quel giorno c'era qualcosa di diverso nell'edificio scolastico. Tutti avevano un'aria un po' scossa e agitata, come se ci fosse qualcosa di elettrizzante tutt'attorno.
Tutti erano ansiosi di condividere la novità, e non mi ci volle molto per venire a sapere che c'era un nuovo ragazzo che, da quel giorno, avrebbe studiato nella nostra scuola. Non un ragazzo qualunque, il figlio dei Whitlock.
I Whitlock erano la famiglia più importante del villaggio, erano loro che comandavano l'esercito e si occupavano dei commerci.
I Whitlock erano miss Evelyn e mister Augustus, e loro figlio era Edward.
«Che cosa viene a farci qui non lo capisco proprio. Fin'ora ha sempre studiato in casa, non può continuare così?» sbottai scocciata.
«Non so come mai i suoi abbiano deciso di mandarlo qui, ma una cosa è certa...a me non dispiace per nulla! Cioè insomma l'hai visto?» rispose tutta euforica Adelaine.
«Si si, l'ho visto anche fin troppo.» continuai sempre più scocciata. Sapevo come sarebbe andata avanti la cosa: lei si sarebbe messa a farmi una descrizione dettagliata di come era fatto il marmocchio. Come se non mi disgustasse già abbastanza l'idea di vedermelo ogni giorno a scuola.
«Cioè ha questi occhioni favolosi e hai visto che capelli lucenti e...» continuava a gesticolare mente parlava e stava iniziando a darmi seriamente sui nervi. Smisi di ascoltarla e iniziai a ripassare mentalmente ciò che ci avevano insegnato negli ultimi giorni. Notai con grande piacere che ricordavo tutto perfettamente.
Era ormai ora di iniziare le lezioni. Mi sedetti al solito posto, vicino ad Adelaine, sperando vivamente che la smettesse di parlare.
Madama Terlay entrò con il suo solito passo calmo, dietro di lei c'era un ragazzino dall'aspetto esile, la testa abbassata. Edward.
La seguì in silenzio e si fermò accanto a lei, per poi alzare gli occhi e iniziare a guardarsi in giro. Il suo sguardo vagò un po' in giro e poi, non appena mi vide, si fermò su di me.
Quegli occhi neri stavano cercando di scavare fin dentro me. Che cosa gli dava il diritto di guardarmi così intensamente? Presi a guardarlo fisso anche io, con espressione di sfida. Lui però non distolse lo sguardo.
Mi stava facendo innervosire più di quanto la sua presenza non aveva già fatto.
Chi si credeva di essere?
Madama Terlay gli disse di sedersi vicino ad Antonia e lui raggiunse il posto a passo calmo e controllato e si sedette vicino alla biondina.
Gli occhi della ragazza si riempirono di entusiasmo, era quasi incredula. Si vedeva che era contenta di stare vicino a lui. Era cotta, come tutte le altre ragazze della classe, d'altronde. Lo guardavano tutte con aria sognante. Avevano bisogno di darsi un po' di ritegno, era solo un ragazzo. Un ragazzo alquanto fastidioso, tra l'altro. Ma loro non sembravano condividere il mio pensiero.
"Sarà una giornata lunga", dissi tra me e me, alzando gli occhi al cielo.
Madama Terlay si schiarì la gola e io cercai di concentrare tutta la mia attenzione su di lei. Ero probabilmente l'unica a prestare veramente attenzione a ciò che diceva. C'era solo un'altra mano che si muoveva, prendendo appunti veloci come la mia. Era Edward. Gli lanciai uno sguardo e vidi che era così concentrato su quello che stava scrivendo che non si rendeva conto di tutti gli occhi che aveva puntati addosso.
La giornata scolastica procedette più monotona delle altre, stavo iniziando a stancarmi di sentire tutta quella gente che non faceva altro che parlare di Edward. E quando non ne parlavano lo fissavano come se lui fosse un dio sceso in terra.
Finite le lezioni, salutai distrattamente Adelaine e mi diressi subito verso casa.
Se avessi voluto, papà avrebbe predisposto una carrozza che mi avrebbe accompagnato da casa a scuola e viceversa. Ma io avevo rifiutato. Mi piaceva camminare, soprattutto quando le giornate non erano troppo calorose.
Osservai il cielo, grossi nuvoloni ricoprivano la città. Era il clima che più mi piaceva.
Non faceva esageratemente freddo, ma neanche troppo caldo.
C'era un po' di vento che mi accarezzava le guance, era una sensazione così rilassante.
Camminavo senza pensare a nulla e pensando a tutto nello stesso momento.
Quando arrivai a casa notai che papà ancora non c'era, me l'aspettavo.
Quando Edith mi venne a chiamare per il pranzo, non avevo tanta fame. Decisi, però, di non fare storie e mangiare, altrimenti lei lo avrebbe detto a mio padre che avrebbe cominciato a fare un sacco di domande.
Si preoccupava che non smettessi di mangiare di nuovo, come era successo dopo la morte di mamma.
Per poco non avevo rischiato di morire pure io. Piano piano mi ero poi ripresa, però. Non avrei mai potuto causare tanta sofferenza a mio padre, ciò che provava per la perdita della mamma era già abbastanza.
Gli sarei sempre stata vicino, ormai non gli era rimasto altro che me.

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