Feel It All.

di manhattansheaven
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Pandemonium. ***
Capitolo 2: *** City of Lost Souls. ***
Capitolo 3: *** Beyond The Wall. ***
Capitolo 4: *** The Monster ***
Capitolo 5: *** Nothing To Lose. ***



Capitolo 1
*** Pandemonium. ***



 

For the love that I make, I'm going to hell.
Per l'amore che farò, andrò all'inferno.
 


Un’insegna al neon, quasi completamente spenta, indicava l’entrata per l’underground. Gruppi di ragazzi già strafatti si dondolavano in fila o restavano addossati al muro, con gli occhi socchiusi.
Il tempo sembrava scorrere lentamente e fuori dal Pandemonium la gente continuava ad aumentare, affinchè le porte si aprissero e potessero entrare a cominciare la propria serata.  Scrutò i volti dei nuovi arrivati.  Conosceva bene quel posto e la gente che lo frequentava e quei ragazzi sembravano nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Si sfilò il giubbotto di pelle che indossava e tolse dalla tasca di esso un pacchetto di sigarette, che ripose invece nei pantaloni. Portò una di esse alle labbra e mentre si rigirava l’accendino tra le dita lo fece scattare più volte.
“Merda, si è scaricato!” imprecò a bassa voce buttandolo a sui piedi per poi spingerlo via.
“Permetti?” Una ragazza dai capelli ramati e un’ abbondante quantità di make-up sul viso si rivolse a lui, mostrandogli la fiamma di un’appariscente accendino rosso fluo.
Un’improvviso boato di voci lo distolse dal prestare attenzione alla giovane ragazza e noncurante si lasciò trascinare dallo stormo di persone che si fiondavano all’interno del locale sotterraneo.
 
Si precipitò al bancone del bar e ordinò il primo drink che gli fosse passato in mente. Le vibrazioni acustiche della musica rimbalzavano da una parete all'altra e tutti erano intenti a ballare, benchè la maggioranza non ne fosse proprio capace e si limitasse a qualche movimento base, giusto per non rimanere fermo. Con la vista già appannata dall’alcol, che aveva già provveduto ad assaggiare prima, cercò i suoi “amici” tra la folla.
Nonostante non fosse in programma di incontrarsi, era certo che tutti loro fossero lì.
“Amico, eccoti! Sapevo che saresti venuto” Shaun, il ragazzo dai lineamenti asiatici e lo sguardo vacuo lo introdusse nel gruppo. Un paio di loro era già collassato e mentre gli altri, forse ancora nel pieno delle loro facoltà mentali, erano intenti a fumare dell’erba, probabilmente, e una polvere bianca che giaceva sul piano di plexiglass che fungeva da tavolo.
“Aspettavamo te per il pezzo forte della serata” disse Shaun, facendogli posto.
Grazie ad una piccola cannulla, tirò su con il naso inspirando tutto il contenuto  - cocaina pura – e ripetè l’azione per varie volte. Gli effetti non tardarono ad arrivare e si sentì subito euforico e di buon umore cosa che gli permise di trascorrere la notte felice e senza pensieri.
 
Intorno alle 2.00 il locale si era svuotato definitivamente e  nell'aria primaverile ma piacevolmente calda, come era d'abitudine lì in California, si respirava una calma assoluta,interrotta solo da loro che si trascinavano stanchi verso casa.
“Bill, sicuro di star bene?” gli chiese il suo compagno, sostenendolo per le braccia notando che non riusciva neanche a reggersi in piedi.
“Benissimo. Lasciami stare” e così fece, conoscendo il carattere testardo dell'amico che odiava essere compatito e non era abituato a qualcuno che si preoccupasse per lui.
Shaun lo osservò passarsi una mano tra i capelli biondi platino, quasi bianchi, e calarsi il cappuccio della giacca sul capo. Aveva conosciuto Bill quando avevano entrambi 18 anni ed erano scappati di casa. Entrambi avevano preferito sorvolare sul loro passato ed erano andati in cerca di un alloggio.  All’epoca, ingenui e distrutti da mesi di stenti, si erano stabiliti in una vecchia casa abbandonata piena di rifiuti mobiliari in compagnia di altri 10 ragazzi e ragazze all’incirca della loro età. Nel giro di cinque anni erano finiti a considerare quella come loro casa e aveva adottato le abitudini dei loro coinquilini, tra cui la droga.
Bill era alto ma la sua figura esile ed aggraziata non lo rendevano minaccioso. Il suo viso pallido e dagli zigomi spigolosi lo rendeva quasi etereo. I suoi occhi erano quasi color caramello e la sua bocca, come il sopracciglio destro e il naso, era adornata da percings; altra abitudine adottata dai compagni. 
La strada ricoperta di giaia e cosparsa di rifiuti li conduceva direttamente all’ingresso. Senza proferire parola si ritirò in quella che considerava la sua camera. In realtà consisteva in un materasso buttato malamente in un angolo della stanza, una sedia sgangherata a funzione di comodino e un vecchio borsone in cui teneva i suoi abiti.

03:27
Mancavano esattamente 3 minuti all’appuntamento. Dopo essersi assicurato che tutti dormissero, chi per stanchezza chi per effetto anche di sonniferi, sgattaiolò fuori silenziosamente. Le sue emicranie diventavano sempre più frequenti e l’unico modo per liberare la testa era la droga. E di certo non aveva voglia di condividerla con gli altri.
Individuò l’uomo nel buio e il suo cuore galoppò in ogni angolo del corpo. Una lunga e consolidata esperienza in transazioni di quel tipo gli permisero di non far trasparire alcuna emozione o fretta di ricevere il tanto agoniato premio.
Come ogni pusher che si rispetti Mr Howe era un tipo furbo. Era in grado di vendere pochi grammi per cifre esorbitanti, giocando sulla dolorosa astinenza dei suoi clienti.
“Hai la roba?” Howe poteva essere un tipo pericoloso e bisognava essere certi di non fare passi falsi.
“Hai i soldi?” Il pusher non era alto quanto lui ma in compenso era corpulento e di grossa stazza, e ciò bastava per renderlo spaventoso, oltre all’enorme cicatrice che gli percorreva il volto deformando l’occhio sinistro.
Fatto lo scambio, ognuno prese la sua strada.
 
“Bill, sei tu?” Roxane sussurrò alzandosi e raggiungendolo. I suoi capelli, unti dalla sporcizia, era tenuti su in una crocchia disordinata e come al solito, indossava una lunga maglia che le faceva da vestito. I suoi occhi stanchi non smettevano di fissarlo, come se gli leggesse dentro  e questo a volte lo infastidiva. Malgrado tutto, lei era la più giovane del gruppo e sentiva il bisogno di proteggerla.
 “Vieni” la prese per mano e una volta giunti al materasso si abbandonarono alla passione che li rendeva partecipi da mesi. Entrambi erano consapevoli del fatto che non c’era sentimento in quel rapporto ma soltanto un bisogno di affetto.
Quando furono sfiniti, come fosse un rituale, cominciarono a parlare dei più svariati argomenti. Un modo per sfogarsi liberamenti consci che il giorno seguente non avrebbero ricordato nulla.
Al quasi sorgere del sole Bill cadde addormentato nell’attesa di vivere un altro giorno d’inferno.


 



'Con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di questa persona, nè offenderla in alcun modo.'

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Capitolo 2
*** City of Lost Souls. ***



 

This is the city of lost souls, not of angels.
Questa è la città delle anime perdute, non degli angeli.

 

UCLA - Criminal’s Psichology’s section

“Miranda! “ La voce di Zoe riempì tutto il corridoio facendo voltare alcuni studenti intenti a guardare la bacheca degli esami. La mora dagli occhi castani corse verso l’amica, quasi travolgendola.
“Zoe, smettila di urlare! “ la rimproverò la bionda aggiustandosi la giacca.
“Scusa, ma sono troppo contenta! Sapevi che aveva dato l’esame di psicologia sociale e comportamentale in anticipo, vero? Beh, ho passato l’esame con il massimo dei voti e ho vinto la borsa di studio in palio per Washington! “ La mora dalla carnagione scura sorrise a trentadue denti stringendo la compagna tra le braccia.
“Mio dio, sono felice per te!” rispose ricambiando l’abbraccio, anche se con meno enfasi  “E quando dovresti partire?”
“Tra due mesi all’incirca.” Disse Zoe guardando Miranda. I suoi capelli dorati, ora tagliati all’altezza delle spalle, era perfettamente piastrati. Gli occhi azzurri erano contornati da uno smoky eyes nero molto evidente mentre le labbra, al contrario, erano molto naturali.
“Se riuscissi in tempo a dare l’esame potrei sperare anch’io il tirocinio a Washington.. ma non so da dove cominciare.”
“ Ho un’idea!” Zoe frugò nella sua borsa e ne tirò fuori una specie di biglietto da visita, “ Qui c’è l’indirizzo di un amico di mio padre che lavora come volontario in un centro di recupero per tossicodipendenti. Potresti parlare con lui e con i ragazzi che aiuta, sarebbe un’ottimo argomento d’esame!”
Miranda lesse le prime righe sul foglio ma la sua attenzione fu catturata da una parola in particolare.
“ Compton?” chiese leggermente allarmata “ Dovrei andare del quartiere più pericoloso della città da sola?  Vuoi mandarmi in missione suicida?”
“ Non ti succederà niente.” la rassicurò la ragazza dalla pelle mulatta “ E poi sei sempre stata una tipa coraggiosa, no?”
“ Okay, va bene. Ci sto. Ma se non dovessi tornare mi avrai sulla coscienza.” sdrammatizzò la bionda non riuscendo a trattenere una risata.
“ Me ne farò una ragione.” fece Zoe scoppiando a ridere a sua volta.
 
 

Beverly Hills, 3.35 pm, Campbell-Fitzegarld’s house

La casa era vuota, come al solito. Uno spiraglio di vento filtrava dall’enorme finestra ,che dava sul mare, lasciata socchiusa. Miranda si avvicinò per chiuderla e nella fretta colpì il tavolino di cristallo in mezzo alla sala. Le cornici poste al di sopra di esso si frantumarono nella collisione con il pavimento.
“Dannazione” imprecò Miranda chinandosi a raccogliere ciò che restava degli oggetti in questione e conservando le fotografie.
“Mamma” sussurrò prendendo una foto che ritraeva una giovane donna, bionda che stringeva una bambina che le assomigliava. I ricordi dell’incidente si ripresentarono più dolori che mai.
Guardandosi allo specchio sfiorò con i polpastrelli la sottile cicatrice sopra la palpebra, accuratamente nascosta dal trucco. Infatti nessuno se n’era mai accorto, neanche Zoe.
Qualche minuto dopo era intenta a prepararsi il tè davanti alla finestra. Nel silenzio udiva ancora i rumori nella sua testa. Come se i suoi pensieri prendessero forma e le parlassero continuamente. Tutti i psichiatri conoscono questa sensazione. La chiamano “la musica dei pazzi”.
In seguito ompose il numero indicato da Zoe sul suo cellulare.  
Dopo un paio di squilli, una voce all’altro capo del telefono parlò “Pronto?”
“Buonasera, parlo con Cesar Clifford?” domandò.
“Si. Con chi ho il piacere di parlare?” rispose l’uomo in modo educato ma vagamente freddo.
“ Sono Miranda Campbell.” Odiava avere un secondo cognome perciò preferiva farsi chiamare così “ Ho avuto il suo numero da Zoe Mendes, la figlia di Paul Mendes. Mi ha detto che lei sarebbe disponibile a permettermi di svolgere delle ricerche tra i suoi pazienti per un’esame di psicologia.”
“ Si. Se vuole, può venire qui anche oggi. Abbiamo un gruppo di giovanissimi e ambientarsi meglio“ disse in maniera più calorosa.
“ Sarebbe perfetto.  A più tardi, signor Clifford.” concluse riattaccando.
 



La struttura era fatiscente – evidentemente non avevano molti soldi per mantenere un posto del genere -  e quando spinse il cancello arrugginito credette che avrebbe ceduto e sarebbe diventato solo cenere al suolo. Nonostante l’apparenza, una volta all’interno sembrava un posto caloroso.
Una donna sulla trentina le si avvicinò e senza chiederle nulla la condusse davanti ad una porta.
“Ti stanno aspettando” la avvisò.
Stringendo tra le dita la sua borsa spinse la maniglia e ciò che vide furono una decina di ragazzi seduti in cerchio. Un uomo, che dedusse fosse il signor Clifford, la fece accomodare all’unico posto libero. Osservandolo si resi conto che era molto diverso di quanto si aspettassi. Doveva avere più o meno 40 anni, aveva la pelle scura ma un sorriso che avrebbe illuminato una stanza.
“ Ragazzi, lei è Miranda. Studia psicologia ed è qui per conoscervi e parlare con voi” Alcuni rimasero impassibili mentre altri cominciarono a parlottare tra loro.
“ Non siamo fenomeni da baraccone da analizzare per il suo stupido progetto. Può anche tornarsene da dove è venuta” disse un ragazzo, seccato.
“ Hei, qui tutti sono trattati con rispetto quindi se questo è il tuo comportamento, puoi andare fuori!” L’espressione del giovane cambiò in un attimo e ora teneva la testa china sussurrando parole incomprensibili.
Il colloquio inizio in maniera amichevole, ognuno raccontava la sua storia e una parte di loro si mostrava addirittura orgoglioso che Miranda si interessasse alla loro storia. Alla fine delle giornata il suo taccuino era pieno di scritti, disegni e persino firme dei ragazzi, cosa che avrebbe reso molto produttivo il suo progetto.
Al calare della sera il cielo era già scuro e le strade erano illuminate solo dalle poche luci fioche dei lampioncini ancora funzionanti. Anche se le avevano offerto un passaggio, aveva costantemente rifiutato dicendo che avrebbe fatto due passi a piedi e poi avrebbe chiamato un taxi o preso la metropolitana.
“Forse non è stata una delle mie idee migliori” pensò.
Passando affianco ad un vecchio capannone percepì delle voci che urlavano e ridevano. Si voltò e strinse gli occhi aguzzando la vista ma preferì tirare dritto, anche se era un po’ confusa sulla direzione da imboccare. In quello stesso istante la luce di una torcia si bloccò su di lei.
“Maledetta curiosità”
“Ti serve qualcosa?” Sussultò al suono di quella voce. Ma ciò che vide dopo le fece perdere un battito.
Un ragazzo alto e snello le si stava avvicinando. Indossava una maglietta con un logo tedesco – probabilmente – degli skinny jeans che gli fasciavano le gambe perfettamente. Si sfilò il capuccio delle felpa rivelando una chioma albina. Il suo viso presentava alcuni percings.
Ma la cosa che la colpì maggiormente furono gli occhi. Color cioccolato, caldi e profondi, - quasi oscurati in quel momento - , che facevano a pugni di fronte agli occhi marini della ragazza.
“No, niente. Stavo andando via” disse sicura  facendo per andarsene.
“ Ti sei persa?” domandò il ragazzo in un misto tra domanda ed affermazione.
“Hem.. si, in realtà.”
Le spiegò brevemente il percorso tra seguire ma notando l’incertezza della bionda le propose di accompagnarla fino al traguardo. Un po’ restia, alla fine accettò.
“Allora… “ il biondo camminava fissando il selciato e strisciando i piedi “Eri al centro di recupero?”
“Si. Studio psicologia e sto lavorando ad un progetto con alcuni ragazzi lì. Sai...” smise di parlare di colpo “Non so neanche perché ti sto raccontando queste cose.”
“ Sembra interessante. Quindi sarai da queste parti per un po’?”
“A quanto pare”
Passeggiarono per un’altra decina di metri e si fermarono quando videro il grande cartello indicava le scale che conducevano nella metropolitana sotterranea.
“Bene, allora io vado” Miranda scese i primi due scalini senza prestargli attenzione.
“Aspetta” disse l’altro ad alta voce “ Non so nemmeno il tuo nome”
“ Miranda. Mi chiamo Miranda” si presentò lei.
“ Io Bill”
“Allora ciao Bill” rispose infine calcando la pronuncia del suo nome per poi scomparire nel buio di quel corridoio.



 


'Con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di questa persona, nè offenderla in alcun modo.'

 


 

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Capitolo 3
*** Beyond The Wall. ***



 

To buy the truth and sell a lie.
Per comprare la verità vendi una bugia.

 

 

“La realtà è frutto della tua immaginazione. Chi di voi non si è mai svegliato senza fiato dopo un incubo e ha pensato ‘Grazie a Dio era solo un sogno?’  Questo perché gli impulsi neurochimici che emettiamo quando sogniamo, fantastichiamo o in stati allucinatori sono indistinguibili da quelli che guizzano nel nostro cranio quando realmente sperimentiamo certi eventi, Quindi se quello che percepiamo è spesso spagliato, come distinguiamo il reale da ciò che non lo è?”
Il professor Pierce aveva la rara capacità di coinvolgere tutti nella sua lezione. La sua eccentricità e il suo modo non comune di insegnare l’avevano reso, inaspettatamente, uno dei più stimati esperti in materia.
“Lo scoprirete nella prossima lezione. Intanto cominciate a fare qualche ipotesi. Buona giornata ragazzi!” Il silenzio cessò e accompagnati da un brusio generale, gli studenti si alzarono e dopo aver salutato amichevolmente il professore, riempiendolo di complimenti, uscirono tutti dall’aula.
“Miranda, andiamo!” la sollecitò Zoe, vedendo che l’amica esitava ad alzarsi.
“Oh, si.. comincia ad andare. Devo chiedere una cosa al  professor Pierce” la congedò la bionda.
Lo stimato neuropsichiatra stava raccogliendo i suoi fascicoli quando Miranda gli si avvicinò. Aveva 47 anni all’incirca, anche se si mostrava più giovane e quel fascino da professore intellettuale che attirava tutte le studentesse. E non solo.
“Dr. Pierce, mi scusi. Avrei bisogno di parlare con lei per qualche minuto. E’ libero?”
“Certo Miranda. E chiamami Daniel, te l’ho detto migliaia di volte” Pierce le sorrise e insieme lasciarono l’aula.
“Allora, raccontami. Qualche problema?”
“Niente di preoccupante. Sto preparando il progetto per l’esame di psicologia comportamentale e sto lavorando con alcuni ragazzi di un centro di recupero per tossicodipendenti. Si è rivelato utile e produttivo..”
“Ma se sei qui a parlare con me c’è qualcosa che ti turba”
“Sono stati tutti gentili e stanno smettendo per davvero e si vede. Solo uno di loro non mi convince. E’ schivo, silenzioso, e quando sono arrivato mi ha subito attaccato come se avessi usurpato il suo territorio. “ Miranda tirò fuori dalla pila di appunti il taccuino con il raccolto della giornata mostrandolo al Dr. Pierce  e continuò  “Ma allo stesso tempo mi intriga. Credo sia il miglior soggetto, psicologicamente parlando, da comprendere. Ma non so come comportarmi, come relazionarmi con lui?”
“Come prima cosa, devi guadagnarti la sua fiducia. E ciò non significa che dovete raccontarvi i vostri segreti o cose del genere ma devi fargli capire che non stai cercando di invadere il suo territorio facendolo diventare una specie di cavia umana ma lo vuoi solo aiutare. Il resto verrà da sé. Ci riuscirai, ne sono sicuro” le disse dandole una leggera pacca sulla spalla.
“Grazie Dr. Pierce” rispose Miranda camminando più avanti quando vide Zoe al bar. Poi si voltò di nuovo “Grazie.. Daniel” si corresse salutandolo.
 

“Di cosa parlavate tu e il caro professor Pierce?” chiese Zoe con un’espressione da ‘so cosa hai fatto, conosco il tuo segreto’.
“Del progetto per l’esame ” rispose Miranda, sorseggiando una un cappuccino, scocciata dall’atteggiamento dell’amica.
“Sicura? Sareste davvero una bella coppia” La bionda per poco un sputò tutta la sua bevanda e guardò l’amico con gli occhi fuori dalle orbite.
“Chi sarebbe una bella coppia?”
Entrambe le ragazze sussultarono e si girarono contemporaneamente.
“ Merda” pensò Miranda.
Affianco a loro c’era Damon Tyler. Un metro e ottanta, fisico palestrato, giocatore di basket , in pratica il sogno di tutte le ragazze. Anche il suo viso rispettava i canoni del ‘ragazzo californiano’. Biondo, occhi azzurri, carnagione dorata.                                                                                                       
La famiglia Tyler e Campbell-Fitzerald si conoscevano da tempo, così Miranda e Damon si frequentavano fin dall’infanzia e questo aveva portato il biondo a pensare di avere qualche tipo di ascendente sulla ragazza.
“Nessuno” risposero all’unisono.
Damon afferrò una sedia e si sedette con loro, stampando un bacio sulla guancia della bionda.
“Novità?” domandò.
“ Stavamo parlando dei prossimi esami” rispose la mora.
“Stasera giochiamo contro i Chester Mall e saranno presenti alcuni talent scout dell’ NBA. Verrai?”
“Avrei un impegno veramente ” disse “Sarò un po’ in ritardo, ma ci sarò”
“ Ci conto allora” raccolse il suo borsone “ Ciao Zoe, ciao baby”
Assicurandosi che si fosse allontanato a sufficienza, la mora  parlò sottovoce “ Parlando di a chi piaci..”
“Zoe!” urlò l’altra spazientita.
 
 
“Ma l’avete vista? Anche solo un suo capello varrà centinaia di dollari”  Un ragazzo con una bottiglia di birra in mano raccontò ciò che aveva visto il giorno precedente al centro di recupero lì vicino.
“ E’ dei quartieri alti?” chiese un altro.
“Una così è per forza dei quartieri alti.”
“ E cosa cazzo ci fa una figlia di papà qui?” Questa volta fu Roxanne a parlare affiancandosi ad uno dei ragazzi stravaccati sul pavimento.
“Sei gelosa?” la canzonò il primo.
“Stronzo”
“Dov’è il tuo fidanzatino?” La domanda suscito risate generali mentre Roxanne si stringeva in un angolo. Era sempre oggetto di scherno da parte dei ragazzi.
“Non è il mio fidanzato. Scopiamo” disse semplicemente per poi chiudersi in uno di quei silenzi che le erano caratteristici.
In quello stesso instante Bill e Shaun fecero il loro ingresso nella sala e gli schiamazzi cessarono. Bill non era un tipo violento ma sapevano tutti che poteva diventare molto irrequieto quando Roxanne finiva per essere ciò che divertiva gli altri.
“Che succede qui?” chiese notando la strana atmosfera calata sui presenti.
“ Nulla”
La ragazza alzò il capo e andò a nascondersi dietro Bill, il quale non la degnò di un sguardo e si diresse verso la sua “camera”. Lei, quasi in automatico, lo seguì senza proferire parola.
“Non dargli corda” le ordinò il biondo “ E d’ora in poi verrai con me quando sono fuori, non ti lascio più con quelli”
“Grazie” disse lei stringendosi tra le sue braccia.
Dalla finestra sgangherata dell’edificio Bill scorgeva il centro di recupero e in quel momento un gruppo nutrito di persone che si precipitava fuori e accoglieva qualcuno appena arrivato.
Ciò che vide fu una chioma bionda.
 

Miranda era seduta su una panchina nel cortile del centro. Alcuni ragazzi stavano giocando a calcio, altri chiacchieravano tra di loro, correvano e i più spericolati si arrampicavano sugli alberi secolari.
L’unico che se ne stava in disparte era il ragazzo dell’altra volta. Che aveva scoperto si chiamava Dikon. 
Secondo ciò che diceva la sua cartella dopo due overdose si era deciso a farsi aiutare. Sapeva che non avrebbe dovuto farlo, ma non aveva resistito.
“Finiscila” disse il ragazzo spaventandola.
“Cosa?”
“Non fissarmi e smettila di far finta che ti importi” Il ragazzo le diede le spalle guardando i suoi compagni.
“Mia madre è morta quando avevo 10 anni. Incidente d’auto. E ogni giorno mi chiedo se non sia stata colpa mia”  Dikon girò il viso per un attimo ma restò in silenzo  “Stavamo andando a Venice Beach. Avevo tanto insistito per andare a mare quel giorno, a vedere i ragazzi che facevano skate, le bancarelle colorate. Ed ero impaziente, le chiedevo ogni minuto quando saremmo arrivate. Lei mi diceva di non distrarla, ma io non l’ascoltavo. Nessuna di noi vide la macchina che arrivava. Ci spinse giù oltre il guard rail. E’ l’ultima cosa che ricordo”  Miranda asciugò velocemente una lacrima che minacciava di uscire  “Mi risvegliai in ospedale. Varie contusione, ma niente di rotto. Ed una cicatrice sulla palpebra. Permanente. Da quel giorno niente è stato più lo stesso. La mia famiglia è decaduta lentamente. Ed eccomi qui”  la bionda chiuse gli occhi e si lasciò cullare dal vento.
Il ragazzo si sedette affianco a lei, le strinse la mano e andò via senza parlare.
 

“Hey” il ragazzo biondo che aveva conosciuto il giorno prima aveva scavalcato la recinsione e ora era seduto sull’erba, ai suoi piedi.
“Ciao Bill”
“Perché piangevi?” le chiese guardando gli occhi leggermente arrossati della ragazza.
“Non piangevo. Solo un po’ di malinconia.. e raffreddore” rispose la bionda facendolo ridere “Tu invece?”
“Io cosa?” Il biondo andò sulla difensiva venendo spesso giudicato. Male.
“ I tuoi occhi sono arrossati. E sono sicura che di certo non piangevi e tantomeno sei raffreddato. Cos’era?” Miranda mantenne lo sguardo fisso sul ragazzo che aveva di fronte. Non era certo una tipa che si faceva intimidire.
“Non capiresti”
“Mettimi alla prova” la bionda lo raggiunse, sedendosi per terra “ Studio psicologia quindi sono abituata ad andare oltre l’apparenza “
“Ci sono dentro da quando avevo 18 anni, come tutti i ragazzi lì dentro” tirò su col naso e aggiunse “Non tutti hanno la forza di chiedere aiuto. Almeno non io”
“L’hai appena fatto” rispose Miranda stringendo il ginocchio di Bill, come per rassicurarlo.
 “ Raccontami di te”  Era quasi mezzanotte e nessuno dei due aveva fatto caso al tempo che passava.
“ Non c’è niente di interessante da sapere” ripose lei non essendo abituata ad aprirsi con le persone.
“Non ci credo, dai”
“Dimmi di te piuttosto” “Facciamo così. Io ti dico una cosa di me e tu una cosa di te. Senza barare e senza mentire” la avvisò il biondo con finto fare minaccioso.
“Croce sul cuore” rispose la ragazza portandosi una mano sul petto in modo teatrale.
“Ho paura del buio” confessò Bill.
La bionda non riuscì a trattenere un esclamazione di stupore e rise sommessamente.
“Non volevo ridere” Si scusò “Okay. Io.. ho perso mia madre quando avevo 10 anni”
Miranda si sorprese di sé stessa. Era la seconda persona a cui lo raccontava in un giorno quando aveva evitato l’argomento per quasi 10 anni.
“Oh.. “ Bill era rimasto senza parola davanti alla confessione così intima della ragazza.
“Non devi dire niente, davvero” Miranda indietreggiò “Non preoccuparti. Volevo solo sfogarmi”
Era notte fonda ormai ed era troppo tardi per lasciare che prendesse la metropolitana da sola. Anche se dovette insistere Bill le impose che l’avrebbe accompagnata
“Non vuoi avere la mia morte sulla coscienza?” Miranda barcollava a causa del sonno e delle scarpe con i tacchi, non proprio comode.
“Per quanto ne sai potrei essere un assassino”
“Ma non lo sei” rispose “Davvero, non era necessario che mi accompagnassi”
“ Sei proprio testarda, eh. Cammina su”
Riuscirono ad entrare in uno dei vagoni giusto in tempo prima che partisse. Miranda si lasciò cadere su uno dei sedili completamente esausta. Se fosse stata sveglia, non avrebbe toccato un solo centimetro di quel lurido treno. Bill stava per dire qualcosa ma la ragazza era già tra le braccia di Morfeo.

 


 


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Capitolo 4
*** The Monster ***



 

There's a room where the light won't find you. 
C'è una stanza dove la luce non ti troverà. 

 

“ Miranda, siamo arrivati ” Il biondo la scosse leggermente nell’intento di svegliare la sua compagna.
La ragazza si alzò di colpo raccogliendo i suoi averi e seguendo Bill al di fuori della metropolitana. Una pioggia scrosciante li colpì in pieno una volta che furono all’aria aperta nel buio della notte  e li costrinse a correre,  non essendoci altri luoghi dove ripararsi.
Miranda prontamente si sfilò i sandali, completamente bagnati correndo a piedi nudi sull’asfalto, seguita da Bill. Nonostante la situazione non poterono evitare di ridere a crepapelle.
Dopo un lungo tratto di strada, Miranda si fermò davanti ad una villa che affacciava sulla spiaggia. Bill intuì che fosse casa sua e rimase spiazzato. Aveva intuito che stesse bene economicamente ma non si aspettava una villa di lusso come quella.
Restò fermo sulla soglia quando Miranda afferrò le chiavi dalla sua borsa e aprì la porta invitandolo ad entrare, almeno per asciugarsi un po’. Anche se pensava fosse rischioso far entrare in casa sua uno sconosciuto, - infondo si erano visti solo due giorni – c’era qualcosa che le diceva che era onesto.
Quando lo invitò a farsi una doccia Bill ne fu molto contento, probabilmente non aveva l’opportunità di lavarsi tanto spesso. Miranda, intanto, ne approfittò per osservarlo. I suoi gesti, il modo in cui parlava tradivano la sua natura precedente. Era fin troppo educato e raffinato se lo si guardava bene nell’atteggiamento, per poter appartenere, fin dall’infanzia, a quella cerchia di ragazzi abbandonati a sé stessi. Ci doveva essere qualche ragione più oscura dietro e lei si era ripromessa di scoprirlo.
Mentre il biondo era nel bagno ne approfittò per mettere nell’asciugatrice i vestiti bagnati. L’abbigliamento di Bill consisteva in un paio di jeans consumati, una maglietta, una felpa e un paio di converse. La sua coscienza le diceva di farsi gli affari propri ma ciò non la fermò dal rovistare nelle tasche dei jeans. In fondo ad una di esse c’era un foglietto appallottolato. Uno scontrino che riportava la data di alcuni anni prima. Ma la cosa che la colpì fu ciò che c’era scritto. Non capiva nessuna parola perché non era in inglese ma in tedesco.
Non conosceva niente di lui e della sua vita precedente e quello poteva essere un punto di partenza per le sue ricerche. Il suo nome era Bill – sperando fosse quello vero – ed era tedesco.
Quando il ragazzo se ne fu andato, dopo che le pioggia era cessata, Miranda si concesse qualche ora di meritato riposo.
 

Il suo risveglio fu abbastanza brusco. Chi stava suonando al citofono non aveva intenzione di staccare il dito dal pulsantino fuori alla porta. Di malavoglia di alzò dal letto con gli occhi socchiusi e aprì. Per poco non le venne un colpo quando Zoe entrò in casa come una furia.
“ Sei impazzita o cosa? Ho provato a chiamarti per tutta la notte. Eravamo preoccupati! “
“Eravate?” la bionda guardò l’ora e si disse che era troppo presto per poter connettere il suo cervello alla vita reale.
“Si, io e Damon. Non ti sei presentata alla partita ed inoltre non hai mai risposto a nessuna chiamata, né mia ne sua”  In effetti il cellulare di Miranda era spento dal pomeriggio precedente e il ricordo del match del suo amico non l’aveva minimamente sfiorata.
“Me ne sono completamente dimenticata. Scusa Zoe e quando vedi Damon digli che mi dispiace. Ma già che sono sveglia devo assolutamente fare una cosa” disse Miranda vestendosi velocemente e dopo aver gettato tutto ciò che le occorreva in una borsa salì in auto diretta nell’unico posto in cui si potevano ottenere informazioni su tutto e su tutti.
L’ufficio di suo padre.  Che, attualmente, era fuori città per alcuni affari, così lei avrebbe potuto mettere mano in tutte le sue scartoffie.
I dipendenti dell’ufficio del suo genitore la accolsero affettuosamente ed in modo informale poiché l’avevano vista crescere lì dentro ed era diventata per tutti come una piccola mascotte.
Con una piccola scusa ed un battito di ciglia fu facile convincere una delle segretarie più anziane a darle la chiave dello studio.
Il computer si accese con un ‘bip’ e richiese subito la password di accesso. Dopo un paio di tentativi provò con ‘Joe’, il nome di suo padre, convinta di aver centrato. ACCESSO NEGATO. Di nuovo.
Quasi rinunciò quando un lampo di genio non la colpì. ‘LA TIGRE’, così veniva soprannominato dai suoi colleghi. Joe Campbell – Fitzerald era un giornalista. Ma non uno qualsiasi che scrive articoletti per giornali locali usando uno pseudonimo ma uno di quelli importanti, uno di quelli che sanno tutto e possono far fuori la carriera e la vita sociale di qualunque individuo.
‘ACCESO CONFERMATO’
Inserì il nome ‘Bill’ e ‘Germania’ ed attese qualche minuto in modo che il computer ad altissima tecnologia facesse un controllo incrociato ricevendo dati da tutto il globo.
Individuò due o tre individui che corrispondevano al suo interessato per età e descrizione generale.

Bill Kaulitz. Nato a Lipsia, il 1° settembre del 1989.

Oltre a questo la cartella snocciolava decine di informazioni che però a lei non erano utili. Non le importavano molto le generalità ma la sua vita, le sue esperienze, i possibili “scheletri nell’armadio”. Ma queste informazione “riservate” avevano un altro livello di sicurezza.
Preferì interrompere momentamente la ricerca, fuori si sarebbero insospettiti vedendola passare tutto quel tempo chiusa in quella stanza e non voleva che avvisassero suo padre.
C’era, però, un’altra persona nata nella stessa città, lo stesso giorno e quella non poteva essere una coincidenza.
Il prossimo impegno della giornata era il centro di recupero a Compton. Malgrado fosse una tipa un po’ scostante e diffidente, si stava affezionando a quei ragazzi.  Uno dei motivi per cui aveva scelto psicologia era proprio per capire i comportamenti, tra cui il suo,  imparare a provare empatia con le persone e cercare di essere meno fredda e razionale.
Si fermò da Starbucks e ordinò un caffè per cominciare la giornata, all’improvviso il suo iPhone 6 squillò e segnalò l’arrivo di alcuni messaggi. Uno di questi diceva:
Da: Mr. Cesar Clifford
Miranda, oggi ho portato i ragazzi al mare. Se vuoi continuare il tuo lavoro ho lasciato le chiavi al guardiano per permetterti di entrare. A presto, Cesar.
Quando ritornò all’auto scoprì di non aver inserito la sicura.
“Eppure mi ricordavo di averla messa” pensò.
La cartellina con le informazioni su Bill giaceva sul sedile del passeggero e la ragazza non riuscì a fare a meno di pensare se non si stesse cacciando in qualche guaio.
 

Una volta arrivata al centro, Miranda ne approfittò per esplorare l’edificio da cima a fondo. Il piano terra lo conosceva benissimo ormai. C’era l’infermeria, le stanze di raccolta e gli uffici. Al piano superiore le camere. Alcuni degli ex tossicodipendenti non avevano un posto dove alloggiare quindi il signor Clifford aveva provveduto anche a questo aspetto.
Dopo essersi accomodata sulla poltrona gentilmente offertagli dal direttore, ne approfittò per rileggere e aggiustare la parte scritta sulla sua tesi. Il campo “traguardi/conclusioni” era ancora vuoto. Infondo non aveva finito nulla alla fine. A suo parere, ciò che doveva raggiungere era la fiducia da parte di tutti. Ma se quel Dikon non si fosse aperto con lei alla fine, i suoi sforzi sarebbero stati vani.
C’era una porta a cui non aveva mai fatto caso. “ARCHIVI” era ciò che riportava la targhetta. Provò a tirare la maniglia con forza ma senza risultati. Staccò una forcina dai suoi capelli e tentò ci forzare la serratura. La portà di aprì facilmente.
Migliaia di cartelle erano ammassate una sull’altra, impolverate e dimenticate. Riportavò persino alcune date del 1995. Le più recenti erano invece posate con cura in un armadietto a muro. Trovò quella che cercava.
Nelle cartelle che aveva visto precedentemente era riportato solo il nome e il tipo di dipendenza che si stava curando nel paziente. I dati erano forniti dal paziente stesso e scommetteva che non veniva fatti controlli su di essi.
 
Caso D3422. Dikon Holland nato il 21 settembre 1989 a Lipsia, Germania.
Dati sulla vita: Orfano di genitori dall’età di 7 anni. Abbandonato in strada all’età di 10 anni dai servizi sociali. Il suo primo approccio con le droghe all’eta di 14 anni. Ha raggiunto gli Stati Uniti con un biglietto economico low cost all’età di 19 anni.
Due overdose per amfetamine ed eroina all’età di 24 anni. Certificato medico rilasciato a Los Angeles il 14 marzo 2014, fornito dal paziente stesso.  Recupero volontario dal 26 novembre 2014.

 
Rimise tutto a posto e andò a curiosare altrove. In realtà stava cercando Bill per scoprire cosa faceva durante il giorno, senza sapere che lei lo stava osservando. Voleva capire quale era il suo atteggiamento verso le altre persone.
Si affacciò lentamente dal di fuori di una finestra aperta. L’interno era buio ma riusciva a distinguere alcune sagome. Un materasso e una sedia su cui dovevano esserci poggiati degli indumenti.
“Roxanne, muoviti a venire qui se vuoi la roba” La voce di Bill, roca e angustiata, le giunse alle orecchie. Lo vide stendersi su quel materasso seguito da una ragazza bionda, con i capelli legati, vestita in modo trasandato che sembrava non dormire da giorni.
La ragazza fumava una sigaretta mentre Bill preparava qualcosa. Lo vide raccogliere una specie di cucchiaio e riscaldarlo attentamente con la fiammella di un accendino. Del liquido colò all’interno di una siringa fino a metà. Si sfilò la felpa a maniche lunghe e lo stesso fece la ragazza. Le braccia di entrambi era martoriate dai lividi e Miranda dovette reprimere i conati di vomito alla vista delle croste insanguinate sui polsi della donna.
Il biondo tastò con le dita l’incavo del braccio e una volta individuata la vena spinse lo stantuffo iniettando il contenuto. Un rivolo di sangue cadde al suolo ma sembrava non se ne accorgesse preso dall’euforia del momento.
La bionda si stropicciò gli occhi e abbandonò la visione di quell’orribile spettacolo. Per quel giorno era abbastanza quindi decise di tornare a casa.
Quando arrivò alla sua auto si trovò la ragazza bionda che aveva visto con Bill affianco. Il suo nome era Roxanne a quanto ricordava.
Fece finta di non notarla fino a quando quella non le si parò davanti con aria minacciosa.
“Gradirei che ti spostassi” La ragazza rise come prendendosi gioco di lei.
“Gradirei ti levassi dal cazzo” rispose.
“Come scusa?”
“Te lo dirò una sola volta. Sta lontano da questo posto e sta lontano da Bill. Non stiamo bene e non abbiamo bisogno di una perfettina del cazzo che faccia la finta psicologa.  Vattene e non tornare se non vuoi che prenda a calci il tuo culo da riccona”
“Te lo dirò una sola volta. Spostati dalla mia auto” Miranda non si fece intimidire e con fare distaccato la fissò negli occhi fino a quando Roxanne non cedette.
Prese il controllo del proprio veicolo ma non prima di abbassare il finestrino e dirle “La calma è la virtù dei forti”.
 
 
Two days later.

Bill voleva stare un po’ da solo. Non sopportava più la presenza di Roxanne che gli stava sempre attaccata come una sanguisuga e neanche gli sballi degli altri ragazzi. Aveva fatto un altro tatuaggio nel frattempo. Una piccola rondine sul fianco destro.
Lui si sentiva così. Una rondine in gabbia, uccisa da se stessa e dai suoi demoni con la speranza di poter volare alto un giorno.
Il cielo era grigio, coperto da nubi e le onde del mare in tempesta si infrangevano sulla riva. A piedi scalzi passeggiava sulla spiaggia deserta. Erano due giorni che vagava senza una meta e ora si sentiva meglio. La droga in circolo nel sangue stava facendo effetto.
La spiaggia era delimitata da ville a schiera che affacciavano sul mare e Bill si fermò davanti a quella che ricordava fosse casa di Miranda.
Vide la ragazza uscire fuori sul terrazzo e affacciarsi dalla ringhiera. I suoi occhi azzurri ammirarono il mare per un secondo prima di fermarsi su di lui. I capelli biondi le finivano davanti agli occhi a causa del vento. Indossava una felpa che le stava grande e un paio di leggins neri. In quel momento gli ricordò Roxanne.
“Bill” lo chiamò lei con voce flebile.
“Hey” rispose lui “Tutto bene?”
La ragazza alzò gli occhi al cielo senza rispondere e sparì per poi ricomparire di fronte a lui. La sua espressione era indecifrabile e questo lo confuse.
“Ho incontrato una persona l’altro ieri” disse girandogli intorno “ Credo sia una tua amica”
Bill non proferì parola così Miranda continuò a parlare.
“Senti, tu sei stato gentile con me e io lo sono stata con te ma , in realtà, non ci conosciamo. Ognuno ha la sua vita quindi mi infastidisce che una ragazzina qualunque mi venga a minacciare facendo la spavalda perché probabilmente crede di avere qualche tipo di relazione con te. “
“Roxanne è sola. Probabilmente sono l’unica persona che ha. Ma tu questo non lo puoi capire. ” Bill aveva calato la maschera dell’indifferenza ed ora rispondeva in modo arrogante.
“Non lo posso capire? Io capisco benissimo. Mi dispiace per lei se nessuno le è mai stato vicino veramente. Anche io ho avuto una vita difficile ma non ho cominciato a drogarmi o prendermela con gli altri per sentirmi meglio. Quindi siete le ultime persone al mondo che possono venirmi a dare della ricca viziata con la vita perfetta”
Bill infondo la invidiava perché malgrado la perdita della madre era riuscita a rialzarsi, aveva reagito. Ammirava la sua forza perché lui non ne aveva mai avuta.
La morte di Tom l’aveva portato l’autodistruzione.
Suo fratello era tutto per lui. Fin da piccoli erano stati in simbiosi. Il suo gemello lo proteggeva, si prendeva e dava le botte per lui quando era vittima dei bulli a scuola, era capace di farlo ridere quando aveva solo voglia di suicidarsi, era la luce che lo teneva in vita. Come poteva un ragazzo di 18 anni perdere la vita per un errore?
Sapeva bene di essere in torto  ma infondo anche lui era solo e Roxanne era l’unica persona che gli stava vicino per davvero.
“Quanti anni ha? 18, 19? E’ ancora in tempo per salvarsi. Smettila di illuderla e falla aiutare. Ha un carattere fragile e se lei ci tiene a te..” Miranda non riuscì a finire di parlare che Bill la strattonò leggermente non avendone la forza.
“Smettila di psicanalizzare tutti! Quando abbiamo parlato la prima volta pensavo fossi diversa e che forse ti importava veramente, che volevi aiutarmi veramente. Invece no, mi stai utilizzando come una cavia per i tuoi stupidi test..” Cominciò a ridere senza un motivo borbottando parole insensate.
Assistere all’effetto di quelle sostanze era scioccante e la bionda iniziò ad essere spaventata dal suo comportamento. Lentamente indietreggiò lasciandolo lì a piangere tenendosi il capo tra le mani e dondolandosi seduto sulla sabbia.
 Il Bill che aveva conosciuto era completamente scomparso. Quello che aveva davanti era un mostro.

 

 


 

'Con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di questa persona, nè offenderla in alcun modo.'

 


 

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Capitolo 5
*** Nothing To Lose. ***





Non esiste il tradito, il traditore, il giusto e l'empio.
Esiste l'amore finchè dura e la città finchè non crolla.

 

“La nona sinfonia di Beethoveen” La voce dell’uomo la fece sussultare facendole staccare le mani dalla tastiera del pianoforte.
“Papà mi hai spaventata” Miranda si voltò guardandolo “Sei tornato ora?” gli chiese.
L’uomo asserì con capo e dopo averle stretto una spalla in segno di saluto si ritirò nella propria camera, chiudendo la porta alle sue spalle. Il suo rapporto con la figlia era ormai solo per dovere di padre che per amore. Miranda era convinta che, senza mostrarlo, la incolpasse della morte della moglie.
Riprese a suonare lasciando correre i suoi pensieri insieme alle note di quella melodia.
Se non avesse dato l’esame per la fine del corso avrebbe potuto dire addio al tirocinio a Washington per lavorare come profiler. Era passata una settimana da quando era andata a Compton e da quando aveva avuto quello scontro con Bill sulla spiaggia. Infondo, nonostante odiasse ammetterlo, si sentiva un po’ in colpa per come l’aveva trattato. Lui era una persona fragile, si era fidato di lei che invece era finita per mettere al  primo posto il suo orgoglio.
Aveva trascorso gran parte dei pomeriggi nello studio del professor Pierce che oltre ad essere il suo insegnante, era stato anche il suo psicologo. Al tempo dell’incidente, quando l’auto si era ribaltata ed aveva fatto un volo di 10 metri, era stato lui il primo a soccorrere lei e la madre tra la macerie. Era lui la prima persona che aveva visto dopo essersi svegliata. Lui era diventato il “padre” che il suo genitore biologico non era mai più stato. Gli aveva insegnato tutto ciò che si insegna ad una bambina e l’aveva fatta appassionare alle scienze della mente. Se era ciò che era, lo doveva a Daniel Pierce.
Nel frattempo aveva ricavato altre informazioni su Bill sempre tramite il computer di suo padre, collegato alla banca dati mondiale. Secondo la sua cartella, all’età di 18 anni aveva subito un delicato intervento al midollo osseo. Gli ultimi documenti di cui era in possesso li aveva presi il giorno stesso e non li aveva ancora visionati.
L’ultima parte del profilo era collegata ad un’altra persona, come aveva scoperto in precedenza, che ora compariva con il nome Tom Kaulitz. Il gemello di Bill. Deceduto. Seguiva la foto profilo del ragazzo. E Miranda credette di averlo già visto.
Perlomeno sapeva il motivo della dipendenza di Bill e questo le dava un vantaggio nel comprendere la sua psiche e le sue reazioni.
Impaziente, saltò in auto e si recò subito nel loro “quartier generale”, anche se era un po’ spaventata dall’eventuale reazione di Bill dopo l’accaduto. Lo conosceva da soltanto due settimane circa ma aveva preso a cuore la sua situazione.  Nonostante le sue dipendenze e la sua vita, era un tipo gentile, simpatico anche se un po’ introverso come lei, e questo la faceva sentire vicina a lui in qualche modo. Anche se lo nascondeva, era intelligente, e spesso lo aveva colto ad ascoltare con interesse ciò che lei raccontava sull’università e su ciò che studiava. Ed in quel momento provò quasi pena al pensiero che avesse perso una persona così vicina al lui.
Incurante degli sguardi che le si posavano addosso quando si avvicino all’edificio pericolante, fece il suo ingresso. Riconobbe subito Roxanne, sul divano seduta sulle gambe di un ragazzo messicano, mentre si fissava le unghie delle mani come se fossero la cosa più interessante del mondo. Un gruppetto di ragazzi che non avevano più di 25 anni, rideva mentre ognuno si dedicava alle proprie “attività”. Di colpo calò il silenzio nella sala e stranita, la bionda tossicodipendente alzò il viso e il suo sguardo si fece di fuoco.  Miranda non le prestò attenzione e chiese “Dov’è Bill?”
“Non ti devi avvicinare a lui, mi sembrava di essere stata chiara. Ora smamma, troia!”
“Senti, non sono qui per rubarti il fidanzato o cose del genere. Non mi occupo di queste stronzate” poi rivolgendosi ai presenti tuonò “Dov’è?”
Ormai aveva capito la psicologia di questi personaggi. Chi è sempre sotto l’effetto di stupefacenti ha un umore mutevole e non è nel pieno delle proprie facoltà mentali solitamente. La maggior parte di loro è innocua ma se si mostrano aggressivi basta fare lo stesso e loro si ritireranno.
Nello stesso momento Bill, sentendo la presenza di una voce differente, si insinuò fra di loro appoggiando di peso a ciò che rimaneva dello stipite di una porta. La sua espressione cambiò velocemente. Avanti ai suoi occhi aveva Miranda, leggermente stralunata e vestita in modo anonimo, ma con un paio di tacchi vertiginosi a cui non rinunciava mai. E Bill non potè fare a meno di constatare che malgrado non fosse curata come al solito appariva sempre più raffinata ed elegante di chiunque altro avesse incontrato.
Senza permetterle di aprire bocca la spinse con se fuori dalla stanza, sul quel che restava del marciapiedi all’esterno. Si fissarono per secondi interminabili e Bill parlò “ Cosa vuoi?”
Bill sembrava stravolto e stanco. I cerchi neri attorno agli occhi era più marcati, sulla guancia destra aveva un livido abbastanza esteso. Le labbra era screpolate e violacee, probabilmente per il freddo dal quale non poteva ripararsi.
“Per l’altra volta.. quando abbiamo discusso, io..” si fermò stringendo le labbra “ mi dispiace per come ho reagito”
“Avevi ragione comunque. Sono debole ed ero strafatto, non dovresti prestarmi attenzione. Ma avevi ragione anche su altro. Non ci conosciamo infondo e passare il tempo con me ti creerà solo problemi. Sei troppo per me”
“ Bill, io questo non lo credo. Noi possiamo provare ad essere amici”
Il biondo rimase in silenzio e il suo sguardo vagò dalla figura di Miranda fino ai ragazzi all’interno della casa, che non gli prestavano attenzione. Apparte Roxanne.
“Andiamo da qualche parte?” chiese di colpo
“Che?”
“Andiamo da qualche parte” ripetè.
“E cosa vorresti fare?”
“Mostrami la tua Los Angeles. I tuoi posti, luoghi in cui sicuramente non sono stato. Così magari capirò anche io un po’ della tua mente”
“Hem.. okay. Salta su” disse la bionda indicando la Range Rover bianca parcheggiando sul ciglio della strada.
Bill fissò estasiato l’auto brillante e Miranda, un po’ a disagio, lo riprese “Non sali?” disse alludendo alla portiera dal lato del passeggero rimasta aperta.
Miranda guidava in modo sostenuto e faceva molta attenzione alle regole della strada e Bill desiderò di saper guidare. Si sentiva libero nel suo ritrovo ma stava scoprendo un mondo al di fuori del suo quartiere. Anche solo al di fuori del finestrino di un’auto, Los Angeles appariva come un paradiso terrestre.
Seguì la bionda su una spiaggia dorata. L’unico rumore udibile in modo distinto erano le onde che si infrangevano sulla roccia producendo spruzzi schiumosi. Miranda si era sfilata il sandali neri e si era avvicinata alla riva immergendo i piedi nell’acqua mentre il vento le scompigliava i capelli.
“Mio fratello è morto in un’esplosione” confessò Bill d’un tratto.
La ragazza si girò verso di lui che era rimasto in disparte e lo fissò impassibile così aggiunse “Tu mi hai detto di tua madre quindi volevo dirti anch’io qualcosa della mia vita”
“E’ questo il motivo per cui..” si interruppe quando Bill annuì.
“Si chiamava Tom ed era il mio gemello.” Prese fiato e continuò “Lui era intelligente, simpatico anche se a volte faceva battutine stupide che mi davano sui nervi, bello e disponibile, tutte le ragazze lo amavano e volevano stare con lui. I ragazzi lo ammiravano e volevano essere come lui. Io ero il gemello debole ma lui non me lo hai mai fatto pesare, anzi, mi difendeva e spesso si prendeva le botte al posto mio. Quando se ne andato io ho perso tutto, ho perso una parte di me”
“Bill, io ti capisco. So quanto sia dura perdere una persona che ci ama così profondamente.” Sussurrò Miranda senza avere il coraggio di dire a Bill che quelle cose sulla morte del fratello già le sapeva. Lui si stava aprendo con lei.
“Per questo mi sto fidando di te. Sai, da quel momento non si sono più attaccato a nessuno, non ho più nulla da perdere. A volte in te vedo lui, mi dici esattamente quello che lui mi avrebbe detto”
“Lui non vorrebbe che sprecassi la tua vita in questo modo”
“Lo so. Ma io non sono capace di smettere, è più forte di me”
“Allora permettimi di aiutarti. Lasciamelo fare”
Il biondo chiuse gli occhi stendendosi sulla schiena muovendo mani e piedi in direzione diverse.
“Cosa stai facendo?” domandò
“Stenditi sulla sabbia” la incitò il ragazzo tendendole la mano
“Non ci penso neanche” poi data l’insistenza di Bill sbottò  “Okay, lo faccio”
Miranda imitò i movimenti di Bill che intanto si divertiva come un matto.
 “Bene, ora alzati”
Sulla spiaggia erano comparse due figure di dimensioni diverse che assomigliavano a degli angeli con ali e tunica.
“Hai fatto un angelo sulla sabbia” disse contento
“Non si faceva sulla neve?”
“Questa è la versione meno conosciuta” rispose Bill guardandola sorridere alla sua battuta.
“Andiamo” Miranda lo incitò iniziando a tornare verso la strada.
Bill la seguiva a qualche metro di distanza quando il suo cellulare, per quanto funzionante potesse essere, squillò un paio di volte. Non ebbe bisogno di leggere il nome del mittente, l’unica persona che aveva un cellulare per poterlo rintracciare, era Howe.
“Pronto?”
“Stanotte. Alle 3.00. Vedi di esserci” furono le sole parole che l’uomo pronunciò prima di riattaccare.
Miranda si era accorta che Bill non era più dietro di lei ed era andata verso di lui. Il ragazzo ripose il cellulare nella tasca posteriore dei pantaloni e fece finta di niente.
“Hai un cellulare?”
“Per quanto orribile e vecchio, si. Ce l’ho”
“Okay. Io ora ho da fare all’università però possiamo rivederci stasera” 
“Va bene” dichiarò “Ci ritroviamo qui?”
“ Si, così concluderemo il nostro giro. E poi potrai dire di conoscere veramente la mia Los Angeles”
 
 
L’università della California, Los Angeles, anche conosciuta come UCLA si trovava nell’aria residenziale di Westwood. In quel momento Miranda stava camminando tra i corridoi della Royce Hall.
Doveva restituire alcuni libri e appunti al dottor Pierce ma dato che era assente, gli era stato permesso di entrare nel suo studio. La camera era abbastanza ampia e illuminata da un grande finestrone che affacciava sul giardino. La scrivania di mogano era colma di libri, scritti e cartelle, così come i grandi scaffali affissi al muro.
Miranda lascio il materiale su di essa con un post-it in cui lo ringraziava. Fece per andarsene quando una cartella aperta catturò la sua attenzione.
“Mio dio, è impossibile” pensò quando lesse il contenuto di quel fascicolo facendoselo scivolare via dalle mani.
 
 
Era calata la sera ma, nonostante il contenuto della cartella le desse da pensare, l’umore di Miranda era ancora alto e dopo che si erano rivisti, stava trascinando Bill su per una collina.
“Dove stiamo andando?” chiese il biondo arrancando su pendio, guardandosi i piedi.
“In un posto bellissimo. Ora muoviti” lo incitò la bionda e Bill pensò che non poteva essere umana se aveva la ancora la forza di camminare sui tacchi.
“Non sono un tipo sportivo”
Miranda non lo ascoltò e continuò a seguire il suo percorso, poi arrivata in cima disse  “Eccoci arrivati”
Bill alzò lo sguardo e si meravigliò alla vista che aveva davanti. Giù dalla collina si vedeva l’intera città, silenziosa da lassù, illuminata da miliardi di luci incorniciata da un cielo nero pieno di stelle. Miranda si compiacque dell’espressione stupita del suo compagno e si mise a sedere su una specie di panchina ricavata dalla roccia.
“I found myself in fire burning hills, in land of billion lights..” cominciò ad intonare Miranda incurante della faccia sorpresa di Bill.
“Dovrebbe essere una canzone o qualcosa del genere?”
“Non conosci i Thirty Seconds To Mars? Non ci credo, non puoi..” disse la bionda con espressione drammatica.
 “Non ascolto musica da un po’.. conosco canzoni vecchie, quelle che mi faceva ascoltare mio padre con le audio cassette.. e le canzoni che canta Roxanne quando ha voglia di sfondarci i timpani!” disse ridendo coinvolgendo anche la ragazza.
“Ti farò ascoltare un po’ di nuova musica”
Un alito di vento freddo investì i due ragazzi e facendo rabbrividire più Miranda che Bill, abituato alle basse temperature.
Il biondo si sfilò la giacca e la posò delicatamente sulle spalle della ragazza che lo ringraziò con un cenno del capo.
“Mio fratello suonava sempre” confesso Bill interrompendo quei secondo di silenzio, senza però distogliere lo sguardo dal panorama notturno per nascondere gli occhi lucidi
Il groppo in gola e la volontà di cacciare indietro le lacrime non gli permisero di terminare la frase.
“Bill” lo chiamò la bionda
 “Io cantavo”
“Dai, non ci credo” rispose cercando di sdrammatizzare la situazione.
“Qualche volta ti farò sentire. E canterò qualcosa di romantico”
“Questa sarebbe una nuova tecnica di abbordaggio?” disse la bionda ridendo “Canterò qualcosa di romantico per te..” ripetè imitando la voce del ragazzo.
“Sei una stronza”
“Nah, già sentito”
Bill si strinse affianco alla bionda che gli fece un po’ di posto sulla roccia. Su quella collina si sentivano i sovrani di tutto, avevano la sensazione che niente potesse fermarli e sentivano di potersi fidare l’uno dell’altra.
E così passarono la notte, a ridere e parlare di ogni cosa gli passasse per la mente, senza sapere che sarebbe stata una delle ultime notti tranquille che avrebbero trascorso insieme.

 



'Con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di questa persona, nè offenderla in alcun modo.'



SPAZIO AUTRICE

Questo è il primo spazio autrice che scrivo. Non sono brava con le parole quando devo rapportarmi con le persone ma fin dal primo capitolo volevo dare uno scopo e una ragione a questa storia.
Devo la mia ispirazione a Bill Kaulitz, ai Tokio Hotel e al video di Feel It All. La mia non è mai stata una storia perché volevo immaginarmi una relazione amorosa con il cantante che mi piace come fanno molti, ma era un modo per impegnarmi come scrittrice e scrivere qualcosa di vero, serio ed importante. Un argomento scomodo di cui non si parla e sono fiera che qualcuno abbia avuto il coraggio o la pazzia, come volete chiamarla, di inserirlo in qualcosa di pubblico come un video musicale.
In ogni personaggio c’è un po’ me, sicuramente di più nella protagonista. Mi impegno molto nel descrivere fatti e situazioni che si possano dire davvero reali. Se avete bisogno d chiarimenti di qualsiasi genere, sarò felice di darveli.
Infine mi sentivo in dovere di chiarire un avvenimento di questa settimana. Sono stata accusata, senza fondamento né prove concrete, di aver copiato una storia. Non voglio stare qui a fare nomi e altro, ma ci tengo a dirvi che rispetto le idee di ognuno e non mi permetterei mai di copiare l’idea di qualcun altro. In nessun modo.
Spero che il capitolo vi soddisfi e scusate il ritardo.

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