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NDA: Sto eseguendo una "ristrutturazione" dei capitoli più vecchi, cercando di non stravolgerli troppo. Per cui magari non storcete troppo il naso per alcune imprecisioni o piccole illogicità: sono passati molti anni e il mio stile non corrisponde più a quello di allora, quindi sono ben consapevole di qualche piccola manchevolezza. A cui, tuttavia, sto ponendo rimendio. Grazie dell'attenzione, buona lettura!
pro
Prima che il piede tocchi terra ritiro la gamba e
mi richiudo nell’abitacolo. Stringo le mani sul volante, mentre gli occhi si
perdono lungo il viale alberato.
Tutto è rimasto come all’ora, all’ultimo giorno di scuola, in quella mattina di
giugno.
Il cruscotto custodisce il biglietto arrivatomi la settimana scorsa; mi mordo
il labbro e recupero quella lettera.
“Ritrovo Classe ’98”
Palestra
Liceo Scientifico Statale A. Toriyama.
27 luglio 2010, ore 20:00
Dice il balloon in
rilievo, da uno sfondo colorato.
Rileggo più volte le tre righe. Smetto quando mi sale un groppo in gola. Avrà
ricevuto anche lui l’invito?
Sì, e i suoi occhi si sono poggiati sulle stesse identiche lettere.
Ripongo il cartoncino nella pochette e cerco di regolare il respiro. Preso
coraggio, attraverso il prato del mio vecchio liceo e mi fermo all’ingresso. La
vetrata riflette una donna in abito da sera. Sono io. Resto immobile, per dare
al vetro il tempo di riconoscermi, di sovrapporre l’immagine della vecchia me
(una ragazzina in divisa) con la nuova.
Quanto tempo è passato? Sedici anni… e ancora mi sembra di vederlo scendere le
scale. Se solo mi fossi accorta subito di lui avrei risparmiato molto tempo,
evitando alla mia mente di inciampare nel suo ricordo ogni santo giorno da
allora.
Chissà, cosa avrà fatto in questi anni?
Un gruppo d'invitati ride al mio fianco. Non li conosco… o forse non li
riconosco, ad ogni modo m'ignorano e le loro risa si perdono tra le mura
dell’atrio.
Afferro la porta prima che si richiuda, lo stesso gesto fatto in molte mattine
di ritardo. Zittisco una strana sensazione passando la soglia.
Mi sento di nuovo insicura, come non lo sono mai stata tra queste mura.
Andiamo, che mi prende? E’ solo una stupida festa, e avrà una fine come ogni
cosa. Scrollo la corta zazzera azzurra.
Con pesanti passi raggiungo la palestra, attraversando gli spogliatoi. Il
ticchettio dei miei tacchi a spillo si arresta prima di varcare la soglia.
Possibile che l’idea di rivederlo mi condizioni tanto?
«Ciao Bulma!»
Il saluto allegro di un uomo contento di rivedermi. Non ho bisogno di guardarlo
in faccia per capire chi sia. «Ciao Yamcha! Sei
venuto anche tu?»
Mi sorride ed è sincero.
«Ovvio, non me lo sarai perso per nulla al mondo!»
Certamente non abbiamo lo stesso mal d’animo. Se gli spiegassi il motivo della
mai titubanza non capirebbe. In fondo non mi ha mai capito.
Continua…
Ps: scusate se come primo capitolo è molto corto, ma
trattandosi solo di un prologo non ho voluto aggiungere altro. Comunque i
prossimi capitoli saranno più lunghi.
«Ormai
non posso e poi con chi lo farei altrimenti?» Parlo al telefono col mio ragazzo
mentre scarabocchio su un foglio.
«Con
me per esempio.»
«Sì,
certo, e poi il tuo compagno con chi lo farebbe?» La penna ha smesso di
scrivere, ne prendo un’altra, colorata.
«A
Goku non importerebbe.»
«Yamcha, abbiamo già consegnato i nominativi alla prof., non
possiamo più cambiare; non capisco perché la cosa ti preoccupi tanto.»
«Perché
è un sociopatico, ecco perché!»
«Bulma, tesoro, sono quasi le quattro!» Trilla mia
madre, da dietro la porta.
«Sì,
mamma, dieci minuti e sono pronta!Tisaluto, Yamcha, devo
prepararmi.»
«Vuoi
che venga con te?»
«Smettila!
Non ne ho bisogno.» Lo rassicuro.
«Ok,
ok, a dopo.»
Abbasso
la cornetta; mordicchio il cappuccio della biro. Ad essere sincera la
situazione inquieta anche me. Andare a casa di Vegeta Arensay*. Il tipo più strano di tutto ilToriyama. Quando ha annunciato alla professoressa di
voler fare il progetto di scienze con me, sono rimasta a bocca aperta per un
tempo indefinito. Onestamente, ho sempre pensato ignorasse i nomi di noi della
classe, invece, ha chiaramente detto “Brief”.
Mi
sposto verso l’armadio, indosso ancora la divisa scolastica. Che cosa potrei
mettere? Una tuta, magari quella grigia, però con la felparossa…non vorrei mi vedesse sciatta: ci
tengo ad apparire sempre al meglio. Anche se figuriamoci se quello lì sta a
notare il mio abbigliamento! Infine opto per un paio di jeans, e l’ingolfante
felpa rossa. Così capirà di avere a che fare con una di un certo calibro, ma
allo stesso tempo lafelponasarà
un monito:“non ti avvicinare,
le mie curve non sono per te!”.
Stringo
la sciarpa al collo, prendo le chiavi del motorino e sfreccio via.
“Via
Dei Principi”. È questa. Devo solo trovare il numero sette.Scendo dal mio mezzo e, mentre slaccio il
caschetto, alzo la testa verso il palazzo.
“Drago”.
“Raibon”.
“Arensay”, spingo il tasto del citofono. «Chi è?»
«Ahm, Bulma Brief.» Imbecille, come se dovesse aspettare
altre visite!
«Sesto piano.» Una sonora vibrazione seguita da uno scatto mi da il via libera.
Varco
la soglia del portone, l’atrio umettato sa di muffa; si tratta di un palazzo
antico, dubito ci sia l’ascensore. Inizio, così, a salire la pesante scalinata
di marmo.
Non ce
la faccio più!
Ho il
fiatone, ho tolto la sciarpa e slacciato il cappotto, un barlume di orgoglio mi
impedisce di arrampicarmi ai gradoni con le mani, mentre rimpiango di aver
indossato una maglia così pesante.
Sono
quasi arrivata. La sommità delle scale è un’oasi nel deserto, il nirvana da
raggiungere nell’eden.
«Non
ti facevo così rammollita!» Una voce mi rigetta all’inferno, da sopra un paio di
scarpe verdi con la punta bianca.
Sarebbe
questo il benvenuto di Vegeta? Il pomeriggio si prospetta angosciante.
«Ciao,
scusa il ritardo.» Non mi perdo d’animo e sfodero piuttosto il miosavoirfair. Ho il fiatone, ma stringo lo
stesso il respiro nel petto. Sollevo gli occhi, un battito di ciglia mi dà il
coraggio di prepararmi all’agghiacciante personaggio, l’Alfa Alfadella classe.
Il
quale veste un maglione nero, sotto il quale si intravede una maglietta
bianca, sopra deinormalissimijeans.
Lo
vedo senza divisa per la prima volta; ho sempre pensato portasse giacca e
cravatta anche nel tempo libero, non so perché lo immaginavo. Scommetto però
cha indossa almeno i boxer di Superman!
«Hai
intenzione di restare sul pianerottolo o ti decidi ad entrare?» Stiletta,
scocciato, braccia conserte.
Ciò
che dice, e come lo dice, mi lascia basita, si vede che non è abituato a
trattare con il genere umano, né con le ragazze. Questo mi basta per pensare
che non ne ha mai avuta una. Figuriamo
trovarsi con una come la sottoscritta. Tutto sommato ho fatto bene a indossare
il maglione ingolfante, magari avrei dovuto lasciare a casa i jeans stretch.
Non vorrei questo qui si facesse strani disegni in testa!
«Hey!» Mi
affretto a bloccare il portone che lo scimmione non si cura affatto di
richiudermi in faccia.
Casa
sua è un minuscolo appartamento senza ingresso.
Così
diverso dalla mia villa a cupola!
Varcata
la soglia ci si ritrova subito nel salotto e una libreria traforata e dozzinale
separa questo ambiente dalla cucina.Sembra di essere in un albergo, tanto è ordinato,
asettico e poco vissuto.
«Prendo
i libri, aspetta qui.» Annuncia tutto serio. Ma che gli prende? Che mi dia
almeno il tempo di ambientarmi. Potrebbe offrirmi un caffè, ad esempio.
Nemmeno
ascolta una risposta che già sparisce in una stanza in fondo a destra.In sua assenza, mi sento ancora più a disagio. Ho
l’impressione che queste mura mi stiano ispezionando, incuriosite dalla mia
presenza. Non devono essere molte le ragazze che hanno calpestato questi
tappeti.Ancora mi chiedo il motivo della sua scelta. Yamcha ha detto che Vegeta mi ha squadrata per tutta l’ora
di scienze, prima di annunciare di voler fare il progetto con me. Tale
rivelazione mi mette i brividi. C’è da giurare l’abbia fatto altre volte.
OhDende,
chissà quante mi sono lasciata indagare, ignara, dai suoi occhieccitati!
Anche
io la penso esattamente come il mio ragazzo:Arensayha suggerito il mio nome per avere la
possibilità di uscire con la ragazza più carina della scuola. Sicuramente vorrà
che lo inserisca nelgiro.O peggio! Magari provare a baciarmi.
Sistemo il cappuccio della felpa a coprirmi meglio la nuca, decisa a non
lasciare nemmeno un lembo della mia candida pelle alle sue perversioni.
Voglio
dire, è il sogno di tutti gli studenti essere popolari, quindi, per un
emarginato come Vegeta, significherebbe molto poter passare del tempo con il
capitano dellecheerliders. Ed egli è esattamente il cliché del secchione,
con tanto di apparecchio, occhiali così pesanti che farebbero impallidire un
fondo di bottiglia.
Poggio lo zaino a terra con delicatezza, come se gettarlo con
noncuranza significasse mescolare la sua stoffa al pavimento. E prendo a
girovagare per la sala. Noto un Super Nintendo vicino al televisore e molti
videogiochi perfettamente impilati. Epiteto perfetto di unnerdsolitario.
Persino il divano, dalla seduta affossata, lamenta prove di una gioventù
bruciata. Oh Signore! Ma con chi sono capitata? Quando invece dovrei essere con
le mie amiche a girare per negozi.
Dei passi martellano tra le mie congetture, calamitando il mio sguardo, ormai
consapevole del guaio in cui mi sono imbattuta, sul ragazzo appena tornato. «Lì
c’è il frigo, se vuoi qualcosa da mangiare prendila e non mi seccare!»
«Grazie tante!» Rimbrotto,
sarcastica.
Decisamente non sa
rapportarsi a una ragazza.
Però! Un progetto
interessante potrebbe essere trasformarlo in un figaccione come
Yamcha. Ridacchio tra me e me, per la coccarda rossa
che ho mentalmente appeso al suo petto magro, mentre i prof. applaudono al mio
successo dalla platea sbigottita.
Smetto di fantasticare appena noto che l’energumeno mi fissa. Accidenti, e
rilassati, tesoro!
«Allora, qualche idea?»
Chiedo per spezzare la tensione creatasi, rimpiangendo i mie sogni di gloria.
«Niente di concreto.» Si sistema sullo sgabello metallico. «Ovviamente, non
faremo il solito vulcano.»
Non faremo il solito
vulcano,lo scimmiotto mentalmente, chiedendomi se è scemo o cosa:
non crederà sul serio che ci metteremo a montare aggeggi strani?Tuttiporteranno un vulcano, spruzzante lava
fatta di cola e mentine. Inoltre, la cartapesta non ha rovinato le unghie di
nessuna, constato osservando le mie lunghe e laccate di rosa confetto.
«E che cosa vorresti fare allora?» Vorrei non aver usato un tono così acido, ma
la prospettiva di rovinarmi le mani per via di oleosi attrezzi non mi alletta
affatto.
«Questo.» Una fotocopia in bianco e nero mostra delle lastre, o almeno credo
siano lastre, circondate da una rete di schizzi, formule e scarabocchi vari.
«Ma che roba è?» La domanda sorge spontanea e quasi sguaiata.
«Dei pannelli solari.» Risponde, con la stessa naturalezza con la quale avrebbe
esclamato "oggi c'è il sole".
«Vorresti costruire dei pannelli solari?» Gli servirà più di un raggio di sole
per trasformarsi da sfigato qual è in aitante supereroe.
In quel momento suona il telefono, Vegeta si alza per rispondere mentre io,
grattandomi la testa, provo a capire la sua scrittura. Tanto per noia e per non
sembrare stupida. Mi mancherebbe altro.
Non capisco proprio il senso di tutto questo, insomma, io sono
Bulma Brief, il mio nome su una forchetta sarebbe più che sufficiente per
guadagnarsi un votonee i plausi del presideSatan. Che
senso ha affannarsi tanto? Magari faccio prima a chiedere a papà di costruire
qualcosa per noi, in modo da essere libera di andare dalla parrucchiera e
liberarmi, finalmente, di questo strazio.
«Yeahit's me, obviously. Fine.Yeah, I'mnow»
La mia espressione cambia repentinamente in un’accartocciata sorpresa. Perché
maiArensaysta parlando in inglese?
«ThisFriday.» Strizza
leggermente gli occhi come se stesse sperando in qualcosa.
«Ok. It'sall right.
No, I don't care atall.» Fa infine indifferente, quasi indolente, prima di salutare
e riabbassare la cornetta.
Friggo di curiosità. «Parli inglese?»
Soppesa la mia domanda. «Solo con mio padre, non vuole che lo dimentichi. Sono
di origine inglese.»
«E adesso dov’è tuo padre?»
Rimugina sulle mie parole, evidentemente non gli piace parlare di sé.Mmh, ci sarà
qualcosa gli piaccia fare oltre ad imbrogliarsi la testa con formule
matematiche?!
«Lavora all’estero. Per rispondere alla prossima, prevedibile domanda, sì, vivo
da solo. Adesso pensiamo al progetto.» Taglia corto. Decisamente detesta
parlare di sé.
Distolgo lo sguardo afflitta per la mia sorte, avevo almeno sperato in un po’di
conversazione in questa landa desolata che è la sua casa.
Certo che, a questo punto, è
chiaro come l’acqua che ignori la parola “divertimento”. Se vivessi da sola ne
farei di feste!
Torno a guardarlo mentre disegna non so cosa, chiedendo al creato se mai
potesse esserci speranza in uno come lui.
Così alza la testa, poggia i
pensati occhiali sul tavolo. I suoi occhi, senza lo schermo di vetro, sono
neri. Incredibilmente, neri. «E smettila di fissarmi!»
Mai visti due occhi così.
Perché
tutte le forze dell’universo sono state inclini a versarlo. (William SomersetMaugham)
Yamcha è invecchiato. Dimostra più degli anni che ha. Yamcha è cambiato, ma dentro è sempre lo stesso; lo capisco
da come mi guarda e da quel suo sorriso sbilenco, quasi stantio, poiché, come
sempre, è soltanto un mostrar di denti.
Niente di più.
«Sei uno splendore!» Enfatizza un po’ troppoil…fantasiosocomplimento rivoltomi. «Grazie.»
Il suo complimento m’illumina poco, non dice nulla che io non sappia da me;
vorrei altre parole a gratificarmi, parole già dette, non ascoltate, che non
saranno ripetute. Non sono solo una bella donna. Purtroppo, egli non vede (e ha
visto) che questo.
Per anni!
Abbiamo condiviso quasi una vita, tra alti e bassi. Poi la rottura,
quella definitiva.
Superficialmente, potrei dire che non avevamo più nulla da dirci, inariditi
dalla quotidianità. Non è stato per questo: quando due persone si amano, non
hanno paura dei giorni da vivere insieme.
La realtà: non siamo riusciti a crescere, in panne subito fin dalla partenza.
Né io l’ho amato sul serio. E ho creduto, cercato, di amarlo il mio ragazzo, il
mio uomo, il mio compagno. Abbiamo provato e riprovato, molte volte e molte
altre ancora, perdonando gli scivoloni di entrambi. È servito a far soffrire
lui, a far star male me, inaridendo, passo dopo passo, il nostro cammino
insieme.
Perché ho perseverato, in seguito all’aver capito di essere sbagliati, l’uno
per l’altra, non saprei dirlo con precisione. O forse non voglio dirmelo, per
vergogna. È dura ammettere di stare con qualcuno per paura di ritrovarsi da
sole. Ho sempre avuto scarsa fortuna in fatto di uomini, nonostante sia sempre
stata bellissima. Eh sì, sono ben consapevole dei miei mezzi! Altrettanto
facile non è, però, essere consapevoli di aver sbagliato e ammetterlo a se
stessa.
Cercare in un uomo le
carezze che avremmo voluto, invece, da un altro.
Non è vero che “al buio
tutti i gatti sono neri”.
A diciannove anni avevo già capito: Vegeta sarebbe stato
l’unico che avrei amato per tutta la vita; non avrebbe potuto essere altrimenti
e mi spaventai. Ciò che tardai a capire fu che, alla fine dei giochi, possiamo
amare una persona soltanto. Una mela ha solo un’altra metà. Una soltanto, e non
può averne altre.
Volli comunque provare altre metà. Senza successo, inutilmente, e mentre,
sconfitta da me stessa, ritornavo in un porto sicuro, Yamcha,
avrei voluto Vegeta ad aspettarmi.
In tutti questi anni, non ho mai smesso di pensare al ragazzino con le scarpe
verdi; di immaginarlo di spalle mentre mi aspettava sulla panchina; di sognare
di abbracciarlo e baciarlo e stare insieme, finalmente e
per sempre… tutto questo non è mai accaduto, non l’ho mai raggiunto,
nessun abbraccio, né baci: vivo nell’amarezza di quell’incontro mai
avvenuto.
Ricordo che preferii (illudendomi) vivere un po’ di più la mia vita e avere
altre esperienze.
Non è vero, mi spaventai
della forza di sentimenti, così ardenti da avere quasi i contorni di una
sciocchezza. Il principe azzurro non poteva essere arrivato già all’inizio
della favola! E non era lì per salvare me, ma io avrei dovuto salvare lui.
Decisamente troppo a quell’età.
Mi sentii troppo giovane. Le scelte prese da me quel giorno mi convinsero al
punto da essere pronta a crederle inoppugnabili per sempre.
Come mi sbagliavo!
E non è stato per gli errori
da me commessi in fatto di uomini, per gli abbracci di Yamcha
che avevano il sentore della sconfitta personale. Non è per quello che rivorrei
Vegeta. Semplicemente perché non avrei potuto avere altri al mio fianco più
giusti di lui. Persino il volto più bello impallidisce di fronte al fantasma
della mia adolescenza.
Non ci siamo più rivisti,
purtroppo. Né ho mai avuto occasione di chiedergli scusa.
Ancora una volta per timore. Stavolta, per ragioni diverse: temo il tempo abbia
disegnato nella mia mente un Vegeta inesistente. Se dovessi scoprirlo un altro,
infatti, perderei il capro espiatorio dei miei errori sentimentali. A trentatré
anni ho poca voglia di dirmi: hai vissuto credendo di aver fatto una scelta
sbagliata; la scelta invece era giusta, semplicemente è andata male lo stesso.
Ho giocato, ho rischiato, partita persa.
«Bulma, mi stai ascoltando?»
«Eh? Sì, sì, continua…-
Presa dai miei pensieri confusi e caliginosi, ho dimenticato di avere Yamcha al mio fianco. Come al solito, parla di sé senza
nemmeno preoccuparsi se l’argomento possa minimamente interessarmi. D’accordo,
magari sono troppo cattiva con lui. In fondo, non se lo merita, dopo aver
sopportato i miei innumerevoli tira e molla, essere ascoltato gli è quasi
dovuto. Purtroppo per lui non è sera. Sono in ansia: Vegeta potrebbe arrivare
da un momento all’altro ed io ancora non so cosa dirgli, come comportarmi. E se
non venisse da solo? Probabile che abbia incontrato una donna, o magari l’abbia
sposata, o abbia avuto figli.
Tanto per cominciare potrei
chiedergli “scusa” una volta per tutte. Qualcosa tipo “ti ricordi di
me”? Certo, con un bel “ti chiedo scusa per averti dato buca ben tredici
anni fa” non mi sentirei per niente una sciocca! Oppure, ti sbavo dietro da
anni come una ragazzina psicopatica troppo cresciuta. Provo davvero pena per
me. Chi lo avrebbe mai detto, a diciotto anni che oggi, proprio io, l’integerrimaBulmaBrief, avrebbe seriamente rimpianto
quel sociopatico dagli occhi di vetro e il sorriso di metallo?
Conoscendolo verrà,
m’ignorerà, andrà via. Punto. Che dico, questa è già una prospettiva fin
troppo ottimistica.
Conoscendolonon verrà affatto! Eppure, c’è una parte di me che spera in
un suo colpo di testa, in uno di quei suoi imprevedibili moti dell’animo, così
sorprendenti da dubitare del suo carattere.
Se apparisse, adesso, in
quest’istante; se le sue scarpe verdi calpestassero davvero questo suolo,
rimbombando non soltanto nella mia immaginazione, lo guarderei negli occhi nero
pece e semplicemente le mie labbra si schiuderebbero per un: «Allora come va?»
«Co…come?» Un confuso Yamcha
mi riprende dalla mia immaginazione alla realtà e capisco di aver parlato ad
alta voce.
Accidenti a te, Vegeta, è
ancora questo l’effetto che mi fai? Ho perso completamente la bussola.
Yamcha non smette di guardarmi con disappunto. Come dargli torto
del resto? Dopo avermi parlato per mezz’ora, non è il massimo sentirsi
rivolgere una domanda del genere.
«Ahm,come stai,hai sete, andresti per caso a
prendermi qualcosa da bere?»
Là, con un colpo non solo ho
salvato la faccia, ma mi sono anche liberata di lui.
«Ahm, certo… con piacere!»
Nel frattempo mi avvicino al buffet dei dolci, le mie dita laccate si
posano su unbignéal cioccolato che mi si scioglie in
bocca. Assaporo la crema e cerco di rilassarmi.
La mia vecchia palestra. Stasera profuma di diverso, ma se mi concentrassi,
riuscirei a distinguere l’odore gommoso dei tappetoni, della polvere umida
e dell’igienizzante. Non posso non notare come anche tra queste mura ho
lasciato qualcosa di me.
«Ecco a te, unclassico:punch alla frutta!» Questa volta
sorrido anch’io, a Yamcha, l’eterno ragazzo di tutte.
Tracanno il bicchiere in un sorso, sperando sia almeno qualcosa dialcoolico.
«Ehi vacci piano!»
«Avevo molta sete.»
In realtà vorrei bere per
dimenticare, per avere sonno e avere una scusa per tornare a casa. «Me ne
prenderesti un altro?»
Al diavolo Vegeta, non ho intenzione di rendermi ridicola stasera, in fin dei
conti nemmeno lui si è preoccupato di venirmi a cercare, no?
Continua…
Per GIULZ87: Ciao! Grazie,
mi ha fatto piacere che il capitolo scorso ti sia piaciuto, spero tu abbia
gradito anche il terzo. Per quanto riguarda i telefilm che hai nominato, mi
sono ispirata proprio a quelli, però vorrei cercare di non fare la solita AU
scolastica. Nel sito ce ne sono tante, alcune anche belle, quindi non vorrei
ripetere argomenti e storie già raccontate (anche se sarà difficile). Immagino
avrai notato i puntini che ho messo! Non picchiarmi, li ho usati solo una volta!T.T Ciao e alla
prossima.
Per MauMau:
Ciao! Già è ancora molto presto! Ho pensato di descrivere un Vegeta diverso, ma
non per questo meno affascinante: si tratta pur sempre del nostro principe, e
cercherò di renderlo al meglio :) Per quanto riguarda Yamcha
spero tu abbia apprezzato questo capitolo, magari leggermente contorto. Eh sì,
purtroppo per lui, Yamcha non lo sopporto neanche io,
e penso sarà sempre bistrattato!;)
Per i famosi pannelli solari farò un capitolo interessante, o almeno mi
sforzerò di farlo! Ciao e alla prossima!
Per Lovelie:
Ciao! Già, mi piace aggiornare subito, anche è piuttosto facile quando si ha
l’ispirazione e un po’ di tempo a disposizione. Mi fa piacere consideri il mio
Vegeta affascinante nonostante tutto, era proprio mia intenzione renderlo tale!
Come puoi aver letto (o leggerai, visto che hai detto di essere in vacanza)
Bulma ha “saltato” un appuntamento col nostro bel principe, spero di aver fatto
capire bene le motivazioni di tale scelta, e questo ha avuto delle
ripercussione sulla sua vita sentimentale. Non resta che vedere come avrà
reagito Vegeta… Un salutone e buone vacanze! Alla prossima!
Per Yori:
Ciao! Sì, è vero un po’ lo è visto che sta sempre tra le sue, ma ci piace anche
per questo! Sono contenta che la prima parte ti sia piaciuta, infatti, ho
ritenuto non necessarie le descrizioni, ne ho messa giusto una ogni tanto per
dare un suggerimento della scena, e più importanti i dialoghi. Altre volte,
invece, mi perdo in descrizioni dettagliate, ma comunque preferisco lasciare
che sia il lettore a immaginarsi la scena come meglio crede! Spero che anche
questo capitolo ti sia piaciuto, mi auguro vivamente di non averlo reso troppo
confuso! Ah, ti confesso una cosa, nemmeno io credo nel binomio secchione-sfigato!;) Ciao e alla prossima!
Infine ringranzioflyvy, GIULZ87,
lady melody, Prince Vegeta, uranian7 e yori per averla aggiunta alle seguite; un grazie anche
a tutti i lettori silenziosi, se non recensite mi arrabbio! Non è vero sto
scherzando, fate come volete, vi ringrazio lo stesso!:)
Sono le sei. Ricopro l’orologio con la manica, mentre tiro
le labbra cercando di nascondere uno sbadiglio figlio della noia perpetua con
cui sono stata catturata dalla voce atona diArensay. «Un cristallo di un parabrezza o portellone di una
macchina; quattro assi inlegno…»
Le finestre riflettono le luci dorate di una città ormai altramonto. A
quanto pare ho sprecato il pomeriggio qui e la lista dei materiali di Vegeta
non accenna a finire.
Resto fino alle sei e mezzo, poi dico che devo andare, con una scusa o con
un’altra. Sbirciando l’orologio che ho al polso, ho notato di essere ancora in
tempo per una passeggiata serale con Yamcha.«…Altocirca dodici centimetri e dello
spessore di due virgola cinquecentimetri…»
In realtà ho perso ben più di qualchecentimetrodella lista che sta decantando Vegeta.
Lo avvertirei se non fossi sicura ricomincerebbe da capo. «…Unalamiera di acciaio alcarbonio…»
Mi stropiccio un occhio e, contemporaneamente, butto l’altro
nella stanza.
La sua voce burrascosa squarcia la serenità dei mie pensieri. «Dello spessore
di due virgola cinque. Tremillimetri…ma
mi stai ascoltando?»
«Eh? Sì, sì»
Mi guarda di sbieco, quasi sospettoso.
«Dicevi di tre millimetri, giusto?» Sorrido.
«Dicevo, un tubo di rame flessibile…» S’immerge di nuovo nel foglio che
ha tra le mani. Scuoto la testa, in cerca di un appiglio per uscire da questo
labirinto fatto li numeri, virgole e millimetri. Non c’è nulla in questo
salotto, molto piccolo, che possa far divagare la mia mente annoiata. Persino
il l’azzurro delle tende si perde nella monotonia del restante mobilio. Si vede
subito che manca il tocco di una donna qui!
Ora che ci penso, se il padre lavora all’estero e lui vive da solo, la madre
dov’è?
«Una quantità sufficiente di lana di vetro o lana di roccia; una chiusura di
fondo del pannello in lamiera dello spessore di un millimetro o compensato
marino.»
«Senti, ma tua madre?» Chiedo con naturalezza.
Silenzio. Sta per dirmelo, si gira verso di me. «Una matassa di filo di rame
nudo o di ferro dolce, di diametro non inferiore ad un millimetro.»
Niente. Ha ripreso la lettura.Ecchecavolo.
Avrebbe anche potuto rispondere. In fin dei conti la mia era normalissima
domanda, rivolta certo, non nel momento opportuno, ma sarebbe anche giusto
smorzare i toni di questo incontro con qualche chiacchiera futile! Avrei dovuto
aspettarmelo davvero un atteggiamento simile, da un emarginato sociale come
Vegeta.
Cosa ne dovrebbe sapere lui, di pubbliche relazioni?
Inoltre, la mia curiosità è più che lecita, nonché supportata da forti
argomentazioni. Lui non ha mai parlato di sé a nessuno della classe. Nemmeno i
professori stessi saprebbero qualcosa sul suo conto, se non fosse per i
documenti che ognuno di noi è obbligato a depositare nella segreteria della
scuola, al momento dell’iscrizione.
La litania che sta leggendo senza sosta spegne ogni speranza di sapere qualcosa
sul suo conto. Mi sfilo la felpa, tanto per far muovere un po’ le braccia. La
famosa felpa rossa vortica nell’aria che mi separa dal divano, aprendosi in una
macchia di brio tra toni tenui della stanza. Finisce scomposta sulla poltrona e
scivola poi a terra, sulla moquette grigia.
Chiazza di non troppo silenziosa insubordinazione. Vegeta, infatti, stiletta su
di me l’ennesima occhiataccia. Io, del canto mio rispondo con indifferenza,
allungando le braccia in avanti e riprendendo la posizione di finta
concentrazione di prima.
Fermamente convinta sia colpa sua se mi sto annoiano così! Avrebbe almeno
potuto mettere un po’ di musica di sottofondo, tanto per dirne una.
Ma chissà che musicaccia ascolta, uno come lui! A questo punto, non mi
stupirebbe se fosse qualche pesantissima aria classica o peggio ancora, lirica!
Giuro, mai successo di trovarmi in una simile situazione di tedio. Sbatterei
ripetutamente la testa contro il muro, esclamando “Uccidimi, Dio”. Accanto
al mio braccio noto un porta coltelli di legno. Potrei sempre tagliarmi le vene
e correre subito al pronto soccorso.
Sarebbe già qualcosa.
Sfilo un coltello da salmone affilatissimo, la cui lama si colora del mio
sorriso imbellettato.
C’è, in realtà, qualcosa di ancora più sconvolgente!
Possibile che Vegeta non abbia ancora provato a fare il cascamorto con me?
Solitamente è questo che accade quando mi ritrovo tra ragazzi.
Evidentemente queste mura sono testimoni della sua timidezza. Forse è scontroso
proprio perché timido! Ma certo, non si sarà mai trovato nella circostanza di
dover rompere l’impaccio della sua vergogna. Non che la cosa mi interessi
punto,però…è strano! Uhm…ho anche un po’ di rossetto sui denti.
Friziono l’incisivo con la punta della lingua. Trovare conforto nella lama di
un coltello, a cosa non mi sono ridotta! E sto sul serio perdendo il miopreziosotempo.
Ci avesse provato! Mi sarei almeno divertita a sfoggiare con lui tutto il mio
prorompente fascino, e poi dargli il due di picche che si merita per avermi
annoiato a morte.
Ѐ così immerso in quel sul dannato foglio che, scommetto, se me andassi
nemmeno lo noterebbe.
«Un barattolo di vernice nera opaca con temperatura massima di esercizio non
inferiore a centoventi gradi; una serie di tubettidi…»
Mi annoio, mi annoio, mi annoio. Quando diamine la finisce? Camuffo uno
sbadiglio tra le chiome che sciolgo all’occorrenza. Il profumo di shampoo alla
fragola arriva subito a rincuorarmi che, no, la mia vita non è questa. Così
m’inebrio per un attimo della dolce consapevolezza di avere un’esistenza ben
più satinata di quella vissuta da Vegeta, in questoaremdella noia mortale.
Altra sbirciatina all’orologio: sei e quindici minuti. I secondi sono scanditi
delle parole pronunciate daArensay. «Pasta conduttiva, o pasta per termometri; alcune
confezioni di sigillante al silicone per esterni e per temperatura di esercizio
non inferiore a centoventi gradi!»
Mi rifaccio la coda, con una lentezza tale da darmi almeno tre minuti
buoni di fuga.
Ho persino una gamba addormentata. Cambio posizione, lentamente anche per
questo. Un piede ha preso a formicolarmi fastidiosamente. Detesto quando
accade. Do dei piccoli calci contro lo sgabello, per liberarmi del fastidio.
Che imperterrito non passa!
«Ehi!»
Mi blocco all’istante. Che gli prende adesso?
«Scusa?» Chiedo, dolcemente scendendo dalle nuvole.
Mi accusa senza giri di parole e incrocia le braccia al petto. «Lo sapevo che
non mi stavi ascoltando!»
«Certo invece, continua!»
«Ho finito da un po’.»
Resto interdetta, con la bocca semiaperta. «E perché non me l’hai detto?»
Arranco.
«Avrei dovuto dirtelo?» Ribatte con ovvietà.
Ok, ho fatto una domanda ridicola, lo ammetto. Ciò, comunque, cambia poco. «Beh, non è colpa mia se mi stavi annoiando. Avrei prestato
sicuramente più attenzione se tu, mio caro, ti fossi sforzato di rendere la
cosa più divertente!»
«Divertente? Ma che cosa credevi, che avremmo fatto le trecce alle
bambole?»
«No, di certo. Non sono mica stupida! Però avresti potuto evitare di
perdere tre ore con quell’elenco dellaspesa,per costruire un’inutile pannello.»
«Guarda che ti ho solo reso partecipe. Ho addirittura letto ad alta voce!»
«Per favore, ero davvero rapita dalla tua litania!»
«Se invece di specchiarti avresti prestato la dovuta attenzione, magari
seguendo sul foglio ciò che stavo leggendo, sarebbe stato meglio per tutti.»
«Vicino ate, ma certo!
Quindi è qui che volevi arrivare, così avresti allungato una mano o tutte due
su di me, non è vero!»
«Che vai blaterando?»
«Hai capito benissimo a cosa mi riferisco! Non vedi l’ora di poggiare le tue
manacce su dime.»
«Come no, che tipa rozza che sei.»
A quel punto monto su tutte le furie. Come si permette, questo rifiuto della
società di dare della rozza a me,BulmaBrief.
«Io sono BulmaBrief, hai capito? E dovresti ritenerti onorato della mia
presenza, giacché sarà l’unica cosa a valerti il primo premio alla mostra di
scienza! Possibile che tu non capisca?» Nella foga strappo un pezzo di carta
dal suo block notes, e calcando la matita con rabbia
scrivo sopra il mio nome. «Ecco, tieni, questo è più che sufficiente!» Sbotto lanciandoglielo
in faccia. «Credi forse che abbia una bella media perché sono intelligente?» Raccolgo
il mio zaino, imprecando su dove avrebbe potuto ficcarsi quel suo stramaledetto
pannello, farfugliando su come sarebbe addirittura più divertente leggere ilRosso e il nero.Esco sbattendo la porta e mi precipito
a discendere la scalinata di marmo.
Una volta a casa mi
lascio cadere sul letto, esausta. Se avessi letto Stendhal sarebbe stato meno
noioso. «Bulma, tesoro, c’è Yamcha
al telefono.»
«Digli che lo richiamo più tardi.» Urlo a squarciagola, con la testa affondata
nel cuscino. Mai, mai, in tutta la mia vita sono stata trattata con così non
curanza!
«Yamcha, ha detto Bulma che ti richiamerà
lei più tardi.»
Stringo la tazza calda tra le dita affusolate. Sulla
strada, oltre la vetrata, si riflettono le stesse luci che poco prima mi
avevano rapito a casa di Vegeta.
«Ecco lo zucchero, dicevi?» Yamcha riprende il suo posto.
«Grazie; solo che mi sono annoiata a morte!» Espressione affatto
calzante. Diciamo che ho desiderato una morte veloce, per farla finita subito
in quell’abissodi
noia in cui stavo affogando senza ossigeno.
«Ma perché che avete fatto?»
«Mi ha letto una sorta di lista dellaspesa…i
materiale occorrenti al nostro progetto.»
Sorseggio la bevanda, un the che avrebbe dovuto essere al lampone e invece è
alla pesca: come al solito Yamcha ha dimenticato i
miei gusti.
«E basta? Voglio dire, ti aveva al suo fianco e ha pensato solo a leggerti la
lista?»
«Già, come vedi, non hai nulla di cui essere geloso.» Sorrido, dietro
una tazza fumante che mi sta distendendo i nervi.
«Che stupido, io al posto suo ti sarei saltato addosso, bella come sei!»
Mi elogia, come d’abitudine.
«Solo che, forse, non avrei dovuto alzare la voce. Secondo te perché ho
reagito così? Non è da me perdere il controllo in quel modo!»
Ricevo dal mio ragazzo un’occhiata che non so bene interpretare. «Beh…Perché…non
vedevi l’ora di rivedermi, e poi perché erano cose davvero troppo noioseperte.» Afferma sensuale, a pochi centimetri dalle mie labbra.
Mi bacia di nuovo, accarezzandomi la guancia.
Prima ora: letteratura.
Ciao da
Bulma!!! Bulma Brief ciaociaociaociao!!!
«Brief!»
Alzo la testa all’improvviso, scopro il testone canuto del professore, che si
rivolge a me con aria bonaria. «Non scarabocchi!» Sorride benevolo, come un
padre richiamerebbe un figlio viziato.
«Sì, mi scusi.» Metto via la matita e appoggio la testa
sulla mano. Così, gironzolando per la classe con lo sguardo, mi soffermo
su Vegeta. Il quale, stamattina, non ha nemmeno risposto al mio saluto. E dire
che avrei fatto bene a non salutarlo! Quando l’ho visto entrare, però, non ho
riflettuto sul nostro recente trascorso e gli ho rivolto un cordiale
“buongiorno” come nulla fosse accaduto nelle passate ventiquattro ore.
Ovviamente, non ha risposto altro che non fosse un grugnito pastoso e
scostante. Non mi meraviglia che ci sia rimasto male per la mia sparata di
ieri.
Questa mattina, intrecciandomi i capelli, sono persino giunta a considerare di
aver un tantino esagerato. Avrei dovuto capire il suo non essere avvezzo alla
compagnia del gentil sesso.
Se soltanto, però, mi avesse trattato con più riguardo, invece di comportarsi
come uno zotico, magari sarei stata più ben disposta nei suoi confronti. Ora,
mi chiedo come andrà avanti questa storia, giacché non possiamo dire alla prof.
che, per un litigio, non possiamo portare a termine il nostro progetto di
scienze.
Giuro, mai la testa mi ha ribollito di rabbia come ieri sera! Ero stanca e
volevo solo passeggiare col mio ragazzo.Poi
il tono che ha usato con me e il tono che io ho usato con lui. Beh, se l’è
meritato, ripeto. Se crede che sia il tipo da stare zitta a incassare sbaglia
di grosso. Non avrebbe dovuto scegliermi fin dall’inizio. La sua scelta avrebbe
dovuto ricadere su una compagna di scienze diversa. Più duttile, magari come
Lunch.
Chissà poi perché proprioio…ancora
non riesco a spiegarmelo. Perché, timido o non timido, se davvero avesse voluto
fare colpo su di me, non avrebbe dovuto percorrere la strada sbagliata di ieri
sera.
Dovrei dirgli di lasciarmi in pace. Spero mi dica di voler continuare il lavoro
senza di me. Tanto non ho voglia, né ci capisco niente di pannelli e arnesi
vari!
Bulma Brief B.B ciao!
Seconda ora: scienze.
I passi della professoressa si bloccano davanti alla porta,
stagliandosi contro il blocco di luce dei finestroni nel corridoio.
«Buongiorno!» Affetta, senza una particolare intonazione nella voce.
Metto via i libri di letteratura e prendo i suoi, lasciati sotto il banco da
giorni.
«Allora, ditemi, come va con i progetti di scienze?» Interroga
la classe, seguita dal ticchettio delle sue scarpe in camoscio beige.
«Benissimo! Io eBriefl’abbiamo
finito e siamo pronti a presentarlo, inedito, alla classe.» Per poco non mi
viene un colpo! Le sue parole hanno sormontato ogni rumore nella classe, e io
mi sono così meravigliata che per porco non ho sbattuto la testa contro il muro
alle mie spalle.
«ComeArensay?»
Anche la prof. è incredula, si sistema gli occhiali sul naso arricciato.
Lozoticosi alza in piedi, non senza aver prima
recuperato una scatoletta di cartone dal suo zaino blu scuro. Il silenzio è
cadenzato dai suoi passi sicuri. Non mi ero mai accorta, né soffermata a
considerare, quanto il suo incedere fosse così superbo. Solito atteggiamento da
secchione spocchioso.
Tutti in classe sono stata rapiti dalla sua rivelazione e attendono curiosi di
conoscere il contenuto della scatola. Così, io!
Le mani scarne dell’insegnante
si riempiono allora di quel vaso di Pandora.
Siamotuttiin trepidante attesa, quando con
trasporto la professoressa invita anche a me, a raggiungerli in cattedra.
Sono titubante, nonostante tutto mi alzo con ostentata fermezza d’animo, ma il
mio sguardo confuso mi tradisce.
«Magnifico, sapevo avreste fatto una bella coppia. E leiBriefè una sempre una notevole scoperta!»
Mi lusinga.
«Oh non sa quanto!» Le fa eco Vegeta, mellifluo quanto
basta per insospettirmi ulteriormente.
Le dita lunghe dell’insegnante accarezzano dunque i lembi del coperchio di
plastica, che solleva insieme ad un suo sopracciglio. Uno sbattere di palpebre
è la virgola finale ad una domanda che le ha già increspato la fronte.
«Brief…, cosa significa?» Chiede
dubbiosa. Mi squadra in cerca di una giustificazione, la sua voce assume un
cipiglio nervoso mentre sventola un foglietto di carta davanti alla mia
costernazione. «BulmaBrief!»
Ripete a pieni polmoni, leggendo la sciagurata scritta che proprio io ho lasciato
sul quel pezzo d blocknotes!
Mi porge il foglietto, e non posso fare a meno di ripetere il mio nome,
mentre il pavimento si sgretola ai miei piedi, perdendo consistenza, insieme al
silenzio nel fragoroso boato delle risa degli altri compagni.
«Ma come, si meraviglia professoressa?» Domanda allora il maledetto,
prendendosi in pieno volto la schioppettata di due occhiettifuriosi. «Briefha
detto che sarebbe bastato il suo nome sopra su foglio di carta, a farci vincere
il primo premio!» «Ѐvero?» Si rivolge a me stridula la
prof. «Perché se è così, adesso, entrambi all’interrogazione!»
Per cola sua mi sono becco la prima insufficienza della mia vita! Passo il
restante del tempo, fino alla ricreazione, a meditare su quanto accaduto a
causa di Vegeta. Quando finalmente la campanella suona, decido di seguirlo
fuori dalla classe, con un cipiglio che non ammette affatto nulla di buono.
Si appoggia al termosifone e apre un libro come al solito disinteressato alla
realtà che lo circonda.
Appena gli sono davanti assumo una posa bisbetica; egli non si scompone, alza
solo gli occhi.
«Non ti chiederò scusa, Brief»M’informa, calmo e allo stesso tempo
strafottente, nemmeno si prende la briga di sollevare lo sguardo dal libro.
«Nemmeno io, per la sparata di ieri.» Rispondo allora decisa, guadagnandomi
solo allora i suoi occhi neri su di me. Restiamo a fissarci, mentre il mondo studentesco
ci passa attorno.
Una ragazza mi urta il gomito, nuotando nella folla di gente alle mie spalle. Arensaydistoglie
lo sguardo, richiude il libro, torna però a guardarmi. «Sai, Verga scrisse che
Rosso Malpelo era un ragazzo cattivo perché aveva i capelli rossi.»
Rilancio con un’espressione interrogativa. «E quindi?»
Si sistema gli occhiali sul naso. «E quindi tu sei stupida perché sei
bella.» Termina enigmatico, nello sciamare della folla al suono della
campanella. «Ci vediamo oggi pomeriggio, vengo io date.» Annuncia
tornando in classe.
E io resto, perplessa rivolta al vuoto da lui lascato.
Non sono poi così sicura di essere stata insultata. E il flebile dubbio posa un
sorriso sulle mie labbra.
Continua...
Per prima cosa vorrei
ringraziare tutti coloro che leggono;Pinklinkper aver aggiunto la storia alle
preferite e alle seguite;Yoko_kunper averla aggiunta alle seguite.
Per GIULZ87: Ciao! Sono davvero
contenta ti sia piaciuto il capitolo precedente!:) Come
hai potuto leggere, sono tornata a descrivere eventi passati, ma per la famosa
"buca" ci vorrà ancora del tempo!;) Anche
questa volta spero di aver messo bene la punteggiatura, in caso contrario, non
aver paura di farmelo notare! Mi auguro ti sia piaciuto ciò che ho scritto!
Alla prossima, un bacione.
Peryori:
Ciao cara! Sono felicissima ti siano piaciute quelle frasi,poichèci tengo in maniera particolare,
essendo fermamente convinta di ciò che ho scritto! E come al solito, noto che
continuiamo a stare sulla stessa frequenza d'onda e mi fa davvero piacere:
almeno non sono una mosca bianca!;) Spero questa volta
la lunghezza del capitolo ti soddisfi, come il suo contenuto: non vorrei aver
fatto pasticci! Alla prossima, un bacio!
PerMauMau:
Ciao! Sì, fare un capitolo sul passato e uno sul presente è proprio la mia
idea, anche se non sarà uno schema fisso. Allora, come vedi siamo solo
all'inizio, e in Bulma, pianopiano, cambierà qualcosa (forse per colpa di Vegeta? Chissà!:P); quindi temo dovrai aspettare un po' per avere un
quadro di insieme di quanto accaduto nel passato!:) Vegeta, stai tranquilla,
cercherò di farlo restare sempre fedele asèstesso, ma non posso dirti come andrà
a finire: non sarebbe divertente! Mi auguro di non averti delusa con questo
capitolo, come ho già detto mi lasciapiuttostaperplessa,perchènon sono molto sicura degli eventi
descritti, anche se mi sono impegnata per renderlo al meglio. Alla prossima, un
bacio.
PerYoko_kun:
Ciao! Grazie infinite per la bella recensione, non mi hai annoiata affatto,
anzi, mi ha fatto davveropaicere: sono contenta di essere
riuscita a rendere bene i pensieri di Bulma, temevo di averli fatti troppo
complicati. Infatti, quando scrivo, ho bene in mente ciò che devo descrivere,
ma spesso mi capita di mettere su carta molto meno e ho paura che il lettore
non riesca a seguirmi. Venendo a noi, sono contenta la storia ti sia piaciuta
tanto, e ti confesso, che non vorrei rovinare le tue aspettative con il
seguito: non lo dico per farmi dire ilcontrorio, ma sono insicura già
di mio (soprattutto quando inizio una nuova storia) quindi dopo ciò che mi
hai detto, non vorrei fare brutta figura!:) Unsalutonee alla prossima!
Un uomo, da solo, nel suo
studio. La città brilla ai suoi piedi, in questa calda notte estiva. Né una
stella nel cielo torbido.
Nessun rumore giunge dalla strada al suo attico di vetro, che non sia quello
del proprio respiro.
Entra qualcuno: una donna con un pacco di documenti. Lui la ignora, aspetterà
che poggi i fogli sulla scrivania, poi tornerà a pensare, nel silenzio della
propria fortezza.
«SignorArensay, mi scusi, io avrei finito; se non serve altro le
auguro una buona serata.» Si congeda la donna, indugiando, forse troppo, sulla
schiena di quell’uomo schivo e affascinante.
«Aspetti!»
La richiama, autoritario, mentre getta nel cestino un invito colorato.
***
Domani soffrirò di stomaco:
sono passata dal dolce al salato, inzuppando il tutto col punch al
mandarino.
Ricordo che da ragazza tre bicchieri di questa brodaglia sarebbero stati
sufficienti a farmi girar la testa, ora, invece, ho solo un gran sonno. Meno
male che volevo bere per dimenticare.
Se l’avessi saputo, avrei evitato di berlo. Tuttavia, pare sia altro da fare
per passare il tempo a questa sciagurata festa. Sono qui da un’ora e dei miei
vecchi amici non ho rivisto nessuno, a parte Yamcha
ovvio. Il quale, suppongo, sia in giro a correre dietro a qualche vecchia
e ritrovata fiamma!
«Sogno o son desto, BulmaBrieftra noi
comuni mortali!»
Mi volto a quella voce familiare. «Crilin, non ci posso
credere. Sei proprio tu?»
«Vivo e vegeto.» Si passa una mano tra i capelli. «Notato che chioma?»
«L’hanno notata anche i muri!» Una donna bionda si frappone tra me e il
mio amico, la riconosco all’istante: la ragazza che chiamavamo C18; un altro
dei fantasmi della mia adolescenza.
Ricordo la volta in cui le chiesi il suo vero nome; lei sorrise beffarda e
rispose: C18.
«Sorpresa di vedermi?» Mi fa, con un sorrisino di scherno.
«Ahm…a dire il vero sì, cosa ci fai qui: non eri della nostra
scuola.»
«Infatti, sono in veste di accompagnatrice.»
«Già, è il mio più uno.» M’informa il bassetto, cingendole i fianchi. «Sai, dopo
la scuola ci siamo messi insieme, poi ci siamo sposati e ora eccoci qua!Ops,
scusate, ho visto qualcuno che conosco, vado a salutarlo.»
Restiamo da sole, io e lei. «Togliti quell’espressione scettica dal
viso, dopotutto, qualcuno doveva pur raccogliere i cocci.» Mi fa, “cordiale”
come sempre.
«Tranquilla, non mi va discutere.» Riprende, avendo notato la mia
smorfia. «Ho imparato a trattare il rancore e poi adesso le cose sono
cambiate.» Spunta il mento in direzione del marito, mentre sorseggia la propria
bevanda.
C’è sempre stata poca simpatia tra noi; non che lei fosse antipatica, più che
altro, il nostro era un sentimento di circostanza: amare lo stesso ragazzo non
ha mai fatto da collante a nessuna amicizia.
Né ci siamo preoccupate di trovare altre “affinità” oltre a questa, e magari le
avremmo anche trovate: per esempio ricordo avevamo gli stessi gusti musicali.
Tuttavia, questo particolare mi torna in mente solo adesso: all’epoca ero
troppo gelosaperchéavesse un peso.
«Vuoi sapere se verrà?» Dice di punto in bianco, interrompendo
i miei pensieri.
«Verrà “chi”?» Domando, più allo scopo di prendere tempo, non può
infatti che riferirsi a Vegeta.
«Sai bene a chi mi riferisco, l’ho sentito.»
Cerco di nascondere una punta d’invidia per il fatto si sentano ancora; per il
fatto lei faccia parte della sua vita; per averlo visto crescere mentre a me è
rimasta una foto e qualche ricordo sbiadito.
«Allora?»
Voglio davvero saperlo, sostituire le miei illusioni con certezze? Preferisco
credere che verrà. «Sono qui solo per divertirmi, Vegeta non m'interessa.» Mento,
spudoratamente, per un semplice motivo: non mi va di passare per la fallita che
pensa ancora al ragazzo del liceo. Certo, è la verità, ma preferisco tenerla per
me!
«Eccomi ragazze, mi sono perso qualcosa?»
«Parlavamo dei vecchi tempi.»
«A proposito dei vecchi tempi: avete visto Goku e Chichi?»
«Non sono ancora arrivati, ma verranno sicuramente.»
«Lo spero, non li vedo da una vita! Comunque, tu cosa ci racconti? Ho letto di
te suoi giornali, proprio l’altro giorno, la nuova promessa della scienza.»
«Già, l’idea delle “capsule” è piaciuta molto»
«Piaciuta? E’ stata una trovata formidabile.» Caccia dalla tasca una
cosetta ovale. «Anzi, geniale!» Continuiamo a parlare di lavoro e convenevoli
vari. Come sempre, quando si rivede qualcuno dopo tempo. Esauriti i “come te la
passi”, i “ti trovo in forma”ecc…decido di averne abbastanza e di
andare a prendere una boccata d’aria. Almeno zittisco, una volta per tutte, la
voglia di chiedere di Vegeta.
In cortile c’è ancora un’altalena, dubito sia la stessa di tanti anni fa.
Faccio un giro tra gli alberi ai margini del piastrellato. Ci sono quattro
alberi di noce: uno per ogni angolo.
Ai miei tempi, rappresentavano il modo di passare la ricreazione: la noce dei
fumatori; degli innamorati; dei depressi, dopo un compito in classe andato
male. Del quarto non ricordo.
Mi siedo sull’altalena, il vestito arriva a terra; dondolo, nella speranza di
lasciarmi qualche pensiero dietro le spalle; mi sento ridicola ad essere
triste.
Sono le nove e venti: chissà se arriverà.
«CiaoBulma.»
Continua…
Inoltre, credo abbiate capito
la funzione dei capitoli ambientati nel presente: danno delle “anticipazioni”
agli eventi che verranno trattati nel passato ( ne
approfitto per annunciare che i prossimi saranno ambientati in quel periodo, il
presente lo riprenderò in seguito, giusto per farvi stare sulle spine).Quindi,
come al solito, spero abbiate gradito ciò che ho scritto. Ora, vi informo che
mi ritirerò per qualche giorno, fino a data da destinarsi!XD Saluto tutti e alla prossima! Allora,
ringrazio tutti coloro che hanno aggiunto la storia alle seguite e alle
preferite, mi ha fatto davvero piacere, quindi grazie!:)Un
grazie e un saluto anche a coloro che leggono.
Per GIULZ87:Ciao
cara! Spero ti sia piaciuto anche questo capitolo, anche se un po’ corto spero
di aver trasmesso comunque qualcosa. Ho lasciato alcune “porteaperte” per rendere più interessante il
seguito, infatti penso, il prossimo ambientato nel presente sarà l’ultimo
(anche se è ancora tutto da vedere:P);
tuttavia, civoràancora
un po’: ora mi concentrerò sul passato. Inoltre, sono contenta ti sia piaciuto
il mio Vegeta: ho sempre paura di renderlo o troppo IC o troppoOOC.Grazieper aver detto che scrivo bene, mi fa
piacere sentirlo dire perché vuol dire che sto migliorando! Unsalutonee alla prossima! Per uranian7: ciao!
Grazie mille, sto cercando di migliorare e ciò che hai detto non può che farmi piacere!:) Alla prossima. PerMauMau:ciao! Già, la Bulma del passato non è
il massimo, ma qualcosa di bello dovrà pur averlo ;) Spero no
ti abbia annoiata nemmeno questo capitolo e che ti sia piaciuto.B.Be Vegeta del passato torneranno
presto, e mi auguro che gli sviluppi siano di tuo gradimento! Ti saluto, al
prossimo capitolo!;)
«Papà, credi, che io sia stupida?» Chiedo mettendomi la
cintura di sicurezza.
Oggi è venuto a prendermi lui. «Ma cara, che domande fai, certo che non lo sei;
perché qualcuno ti ha insultato?» Ovviamente, essendo mio padre non potrebbe
altrimenti.
«No, al contrario.»
Termino, lasciando cadere il discorso. Dal momento che sento ancora i suoi
occhi su di me in cerca di maggiori informazioni, scelgo di mostrarmi indaffarata
a disegnare una faccina sul vetro appannato, lamentando di essere talmente
stanca da non veder l'ora di tornarmene a casa.
E mentre mi pento di
essermi lasciata scappare quel sentore di complimento, rivoltomi da chissà chi,
scorgo Vegeta tra le righe dello sgorbio da me stessa disegnato.
Fuori sta piovendo, ma
nonostante tutto, invece di correre come farebbe chiunque senza ombrello,
procede tranquillo come niente fosse fino alla fermato dell'autobus.
«Ferma la macchina!»
Grido a mio padre, e prima che possa aggiungere altro, sento la cintura
proteggermi dall'urto della frenata.
«Che succede, hai dimenticato qualcosa?»
Lo ignoro completamente e abbasso il finestrino, -Ehi, Vegeta!- Ripeto il suo
nome più volte, giacché non si volta subito come avrei sperato. Evidentemente è
disabituato a sentirsi chiamare da qualcuno che non sia suo padre o gli
insegnati. Non mi passa nemmeno per l'anticamera del cervello che potrebbe
starmi ad ignorare di proposito.
Finalmente, braccia conserte, gira la testa nella mia direzione.
«Perché non vieni con
noi?»
Alza un sopracciglio come unica risposta, ma io non demordo. «Verresti lo
stesso nel pomeriggio, quindi tanto vale pranzare insieme, no?» Continuo, per
spiegargli che il mio non è un invito senza motivo.
Allora scioglie le braccia. Prima di attraversare la strada volge lo sguardo a
destra, poi a sinistra, e un attimo dopo mi ritrovo le sue mani appoggiate al
finestrino semiaperto e bagnato. «Mi stai invitando a pranzo?» Chiede quasi
incredulo.
«Certo! Ma solo se prometti di tenere le tue manacce lontano da me.» Sfodero un
sorriso degno di me.
Anche lui sorride, ma in modo diverso, quasi beffardo.
«Allora?» Incalzo in attesa che decida; non capisco, dovrebbe essersi già
fiondato dentro. «Guarda che non sto scherzando, dico sul serio!»
«Non posso.» Sentenzia infine.
«Come sarebbe non puoi? Che devi fare» Scendo dalla macchina, incurante di mio
padre che aspetta. Non ci posso credere:Arensaysta facendo il prezioso con me. «Ma
che cavolo hai?» Domando; mi guarda come fossi una pazza.
«Nulla, ho solo detto che declino il tuo invito, è così difficile da
accettare?» Sale sull’autobus appena arrivato. «Ci vediamo
oggi pomeriggio come stabilito.»
Le porte mi si chiudono
in faccia e resto come una scema, sotto la pioggia, ad osservare il mezzo che
riparte lasciandomi inerme. Dai finestrini intravedo Vegeta che prende posto
buttando lo zaino su un sedile.
Il clacson di papà cattura la mia attenzione, e non posso che risalire in
macchina, se non altro per preservare quel che resta della mia acconciatura.
Accendo il riscaldamento al massimo, per asciugarmi durante il tragitto: ci
manca solo che mi becchi un raffreddore!
Che accidenti gli passerà per la testa, a quello zotico?
Tanto oltre allo studiare, dubito che il mio invito avrebbe compromesso la
sua già di per sé pallida vita sociale.
«Tesoro chi era quel ragazzo?»
«Un compagno di classe; verrà da noi oggi pomeriggio.»
Che poi ha usato il verbo “accettare”, non capire; non comprendere. Accettare,
come se davvero non riuscissi a farmi una ragione del suo rifiuto, proprio io,
Bulma Brief! Già, e ha pensato bene, come ha potuto rifiutare un mio
invito dopo lo scherzo
combinatomi in classe? Non avrei dovuto lasciarmi impietosire dal vederlo tutto
solo sotto la pioggia, sapendo che non avrebbe trovato nessuno ad accoglierlo a
casa.
Scendo in cucina ad aspettarlo
sorseggiando una bibita fresca, mi attacco direttamente alla lattina. «Che
finezza!»
Vegeta appare alle mie spalle nel momento esatto in cui mi
scappa un piccolorutto…accidenti! Proprio adesso doveva
arrivare?
«Chi ti ha fatto entrare?» Sono tutta rossa in viso, vorrei sotterrami.
«Tua madre, ovviamente. E io che credevo fossi la principessa sul pisello; cosa
penserebbero i tuoi spasimanti se ti sapessero così rozza?-.
Sono ancora rossa, ma di rabbia! Sta ingigantendo la cosa per farmi
imbarazzare, come se non lo fossi abbastanza.
«Guarda che è una cosa normale, lo fanno a tutti; si chiama digestione!»
Rispondo saccente. La soddisfazione di mettermi in difficoltà non gliela
lascio.
«Anche le altre cheerleader si dedicano quindi al rutto libero?»
Gli rivolgo una linguaccia indisponente, ma la mia condotta bellicosa si
affloscia in un lampo: quand’è che siamo entrati così in confidenza?
L’arrivo provvidenziale di mia madre mi salva dal pormi una risposta.
«Allora ragazzi, che dite di una bella merenda prima di iniziare a studiare?»
«Grazie tante, ma a me non va.»
«Oh, non fare i complimenti caro!»
La mamma deve per forza propinare a tutti il suo the.
«Infatti, non li sto facendo; semplicemente preferirei iniziare il progetto
quanto prima: abbiamo poco tempo.»
«Poco tempo?» M’intrometto. «Ma se abbiamo ancora una settimana!»
«Sì, ma adesso, abbiamo poco tempo: devo andare via alle sei e mezzo, e non
vorrei essere venuto qui inutilmente.»
«Venti minuti non faranno mica la differenza!» Mi ostino a rimbeccarlo. Mica
stiamo lavorando per la Nasa, è solo uno stupido progetto di scuola.
«Per te che non hai nulla da fare no, per
me venti minuti sono tanti.» Sentenzia, invece lui lapidario.
«E quali sarebbero i tuoi impegni improrogabili, fare la fila per una nuova
console?» Ma chi si crede di essere! Soprattutto, come si permette di insinuare
che sono una sfaccendata? Sta per controbattere, ma mia mamma lo precede:
«Coraggio ragazzi, non litigate! Bulma, tesoro,magari vi porto io qualcosa di sotto mentre
lavorate!» Ci guarda amorevolmente, compiaciuta che pace sia stata fatta,
infine si congeda dicendo di dover annaffiare il prato.
«Per la cronaca, i miei impegni improrogabili, cioè studiare, sarebbero anche i
tuoi, se non fossi raccomandata.» Riprende, appena mia madre mette piede in
giardino.
La mia belligeranza, da floscia qual era, si rinvigorisce all'istante, pronta
ad esplodere e...lascio sfumare.
Non gli darò la soddisfazione di vedermi nervosa. Anche se la tentazione di
rispondergli per le rime è alta, molto alta!
«Se non hai nulla da obiettare, possiamo andare.»
«Dove?» Chiedo a denti stretti.
«Nel laboratorio di tuo padre, ovviamente; sono sicuro che lì troveremo ciò che
ci serve. A proposito.» cerca qualcosa nello zaino. «Tieni.»
Mi rivolgo titubante alla mano che mi porge un foglio ripiegato: dopo lo
scherzo di questa mattina non sono sicura di accettare.
«Prendilo!» Mi ordina spazientito.
«Una lista?»
«Sì, ho pensato di darti una copia: così non ti annoi come la
volta scorsa; non vorrei iniziassi a dare di matto anche oggi.»
Gli rivolgo un flebile
grazie, sorpresa dal gesto: Mr.Ho-mille-impegni-e-tu-noha addirittura perso del tempo per me!
Spingo il pulsante meno uno
sulla tastiera dell'ascensore e mi volto poi a guardare Vegeta. Sta a schiena
dritta il che mi fa considerare la larghezza delle sue spalle. Noto che i
capelli sono bagnati.
«Fissi sempre tutte le persone che ti stanno intorno?»
«Solo chi mi incuriosisce.» mi scappa detto, sovrappensiero per il particolare
dei capelli. Accidenti. Devo riprendermi: non vorrei pensasse che mi piaccia.
«Mi chiedevo come mai avessi i capelli bagnati! Non sai che potresti prendere
un raffreddore così?»
«Sono appena tornato dalla piscina.»
La
porta si apre gettandoci in faccia l’odore metallico dell’officina di
papà.
«Nuoti?» Riprendo a mostrare interesse mentre gli faccio strada. Un
"Sì" è la sua risposta annoiata.
Dunque è per questo che
ha le spalle così larghe. E io che credevo nascondesse un fisichetto rinsecchito sotto la divisa scolastica! Camminiamo in
silenzio, continuo le congetture sullo stato della sua chioma. Che sia davvero
così indaffarato da non potersi nemmeno asciugare per bene?
«Sei così indaffarato da non poterti nemmeno asciugare per bene?»
«Mi alleno tutti i giorni: la mattina prima di andare a scuola e se necessario
il pomeriggio dopo pranzo; e siccome devo anche studiare, non ho molto tempo da
perdere!»
«Nemmeno il tempo per la merenda?» Lo provoco.
Mi guadagno un’occhiataccia. Vuol dire che sto andando bene, certamente non
smetterò adesso che ho trovato il modo per farlo spazientire: se lo merita.
«Bhè, smetti di nuotare!»
«Non posso.»
«Perché?»
«Ho raggiunto un livello molto alto.»
«Allora smetti di studiare!»
«Per diventare come quei beoti dei tuoi amici?»
Si ferma. Mi fermo anch’io «Cosa c’entrano i miei amici?»
Ci osserviamo in cagnesco. Poi, lui distoglie lo sguardo. «Smettila di farmi
perdere tempo!» Riprende a camminare, con lo stesso atteggiamento che avrebbe
avuto se questa fosse stata casa sua.
Lo sorpasso e lo blocco; incredibile come, con un niente, riesca a farmi
cambiare umore così velocemente: sono furiosa.
«Senti, io sono fatta così: mi piace socializzare.» Scandisco l’ultima parola.
«Se tu sei così orso da non volerlo fare allora il tuo progetto potevi
benissimo fartelo da solo!»
«Impossibile.»
«E perché di grazia?»
«Perché non ho un laboratorio!»
Strabuzzo gli occhi.
«Quindi mi hai scelto solo per questo?»
«No, perché sei la più popolare della scuola!»
«Ti stai approfittando di me!» Lo accuso, quasi scandalizzata.
«Solo del tuo
laboratorio, non sono mica il tuo ragazzo!»
Slam!
Gli stampo uno schiaffone
in faccia. Un gesto che mi sorprende più di lui: non l’avevo mai fatto prima
d’ora. Nemmeno a Yamcha.
Ho ancora la mano sulla
sua guancia, l’abbasso. Siamo occhi negli occhi, non ci chiediamo scusa, ma
abbiamo capito. Soprattutto, lui mi auguro abbia capito che non deve insultarmi
così alla leggera. Torna la calma, dopo un climax di emozioni burrascose.
«Andiamo.» Riprendo il cammino, dopo un lungo sospiro. Siamo soli, io e lui
nella scatola metallica che è il laboratorio di mio padre, fuori per un
convegno.
Vegeta non perde tempo, come già annunciato, e m'illustra quali arnesi useremo
per lavorare.
Impieghiamo mezz’ora per
riunire tutto l’occorrente, un tempo che avrebbe potuto essere stato più breve,
se avessi conosciuto almeno la metà di quegli oggetti. La sorpresa maggiore
è però stata di avere usato io stessa quegli arnesi sotto le sue istruzioni: mi
ha spiegato che non potrà esserci sempre, e quindi sarà importante che in
quelle occasioni sia in grado di mandare il progetto avanti da sola. Non
credevo mi avrebbe dato tanto credito. Non credevo sarebbe stato così
divertente!
Slaccio il casco, ravvivo
i capelli e raggiungo i miei amici al Namecc, il nostro bar di ritrovo.
Annuncio agli altri che Yamcha ci avrebbe raggiunto dopo cena, e inizio a
sciorinare i dettagli del mio pomeriggio trascorso con Arensay. Riferisco
esattamente quello che si sarebbero aspettati di sentire sul suo conto. Ma è
quando dico loro di essermi tagliata le unghie cortissime, per meglio
maneggiare gli strumenti, che li sorprendo tutti! Voglio dire, è ovvio che con
le unghia lunghe sarebbe stato piuttosto scomodo lavorare, persino i guanti non
mi avrebbero calzato come di dovere.
Mi scocciano un po’ i loro commenti del tipo “non ce lo
saremmo mai aspettati”, neanche fossi un’oca giuliva capace solo di beccare
concime.
Il RedRibbon,
un capannone enorme appena fuori città, è pienissimo di gente: l’idea della
gara musicale deve essere piaciuta a molti. E' più di un'ora che sostiamo
davanti all'ingresso in attesa di Yamcha. Quando inizio davvero a spazientirmi,
eccolo che arriva, tutto trafelato.
«Finalmente, era ora che arrivassi!» Lo rimbecco, acida più che mai.
Tra spintoni e minacce riusciamo a farci largo fino al bancone.
«Non mi chiedi com’è andato il pomeriggio?» Inizio, civettuola, mentre siamo in
fila per ordinare da bere.
«Mi hai messo le corna conArensay?»
Siamo costretti a urlare, dato il volume altissimo.
«Ma smettila, ho fatto una cosapiù…eccitante!» Cerco di suscitare la sua
curiosità. «Ho usato moltissimi attrezzi di mio padre! Persino un trapano.»
«Un che?» Non riesce a sentire bene di cosa sto parlando.
Lo ripeto per l’ennesima volta, mimando lo strumento in questione.
«Tu? Ah ah, mi prendi in giro?»
«No, è stato divertente; Vegeta ha detto che venerdì dovrò lavorare da sola,
per questo mi ha insegnato!»
«Lavorare da sola?»
Un tizio gli dà uno spintone mentre mi parla. «Ma è matto? Vuole che mandi a
fuoco la casa?»
«Ha detto che sono brava!»
«Certo, perché non ti conosce; altrimenti saprebbe che, una come te non è
adatta a simili lavori.»
«Come?» Domando esterrefatta, non capendo cosa intenda per “una come te”.
Ancora, ma per chi accidenti mi prendono tutti quanti?
«Ho detto,» alza il volume della voce, ma poi ci ripensa. «Niente, lasciamo
stare! Che cosa prendi?» chiede alla fine.
«Il solito.»
«Cioè?»
«Hoegaarden.»
Dopo aver preso tutti da bere, ci sistemiamo in modo da non perderci di vista.
È frustante quando tutti, intorno a te, sono ubriachi e tu no. E il tassoalcoolemicoè inversamente proporzionale alla
sfacciataggine di certa gente: io e Chichi abbiamo fatto a mala pena due metri
che siamo state importunate da ben tre ragazzi. Chichi, evidentemente non
soddisfatta del poco spazio respirabile, mi chiede se per caso avrei voglia di
accompagnarla in bagno, tanto per nuotare un po' in questa massa di gente
puzzolente e sudaticcia.
Appena intravedo un piccolo spazio calpestabile davanti a me, lo raggiungo per
riprendere fiato. Solo in un secondo momento mi rendo conto di essere rimasta
da sola: ho perso la mia amica durante il tragitto.Provo a chiamarla inutilmente.
Se solo tutti la smettessero di saltare, riuscirei a scovarla. Decido di
saltare anch’io, dimenticando di avere un bicchiere pieno in mano. Lo stesso
bicchiere che, inesorabilmente, rovescio addosso a una ragazza.
«Ehi!»
«Scusami, scusami tanto! Ero con una mia amica che...»
«Scusa un corno! Guarda cos’hai fatto alla mia maglia, razza di imbecille.»
«Hey, non l’ho fatto a posta, è stato un incidente!»
«Già, ha ragione sorellina, non è il caso di farla tanto lunga.» Il fratello
della malcapitata prende le mie difese.
«Ah no? Secondo te come ci salgo sul palco, adesso?»
«Vorresti dire che non hai una maglia di riserva?»
«Certo, un intero negozio!»
Approfitto della situazione per defilarmi, ma qualcuno mi afferra per un
braccio: ancora la biondina cui ho rovinato la maglia. «Dove pensi di andare?»
Il fratello interviene per la seconda volta. Al che lei stizzita decide di
piantarci in asso. Che cafona!
«Devi scusarla, di solito non è così nervosa! Comunque puoi chiamarmi C17.» La
giustifica in vano il fratello.
«Bulma!»
«Come?»
«Mi chiamo Bulma.» Ripeto, stanca di dover urlare per ogni benedetto respiro,
domani mattina la mia splendida voce sarà un soffio roco! «Ho perso i miei
amici.» Lo informo. «Potresti aiutarmi a ritrovarli? Erano vicino al bancone,
ma ho perso la bussola.»
«Mi dispiace, ma devo salire sul palco tra poco... Però se raggiungi il mio
tavolo,» indica un punto imprecisato del soppalco, «Sono sicuro che da lì
riuscirai a individuarli. C'è un mio amico al tavolo! Guarda è quello laggiù!»
A quel punto credo di trovare in un universo parallelo.
«Il tuo amico?» Ripeto puntando niente di meno che «Vegeta
Arensay?» Rimarco, incredula. Tra tutti i posti della terra, mai mi sarei
aspettata di trovarlo a sentire concerti rock. Mentre l'amicosi congeda, meravigliandosi delle
dimensioni modeste del mondo, mi faccio largo tra la folla e raggiungo il
famigerato oggetto della mia sorpresa.
«Brief?»
«Sono sorpresa quanto te,
credimi. Come mai questa botta di vita? Credevo che la vita mondana fosse
per te una perdita di tempo.»
«Io invece crede ti
amassero tutti alla follia.»
«Cosa?« Le sue parole si
perdono nel volume troppo alto nel locale. Lo speaker annuncia il prossimo
gruppo: I Cyborg. Sul palco salgono il ragazzo e la ragazza di prima, quella a
cui ho sporcato la maglietta.
I'mgonnafight 'emoff
A seven nation army couldn't hold me back
They'regonnarip it off
«Che cos'hai detto prima?» Cerco di riprendere il discorso.
«Prendi qualcosa da bere?»
Mi domanda invece lui. A quel punto mi arrendo, e non posso che annuire,
sollevandomi in punta di piedi alla ricerca dei miei amici, dispersi chissà
dove. Non sono più nemmeno vicino al bacone.
«Prendo una Hoegarden.»
Annuncio al vento, giacché Vegeta è già sparito.
Taking their time right behind my
back *
And I'm talking to myself at night
Because I can't forget
Back and forth through my mind
Behind a cigarette
Torna al tavolo con in
mano due birre, una delle quali è la mia birra preferita.
«Come sapevi che mi piaceva questa qui?» Mi stupisco, afferrando la mia
Hoegarden.
«Ho tirato a indovinare.»
Si giustifica, bevendo la sua.
“Every
single one's got a story to tell”
“All
the words aregonnableed from me
And the stains coming from my blood
Tell me go back home”
Continua…
*la canzone è Seven nation army
dei White Stripes. L'ho scelta perché il pair mi pareva appropriato per C17 e
C18, inoltre le parole mi ricordano Vegeta. :P
«Ragazzi, è stato
fantastico!» C17, pieno di adrenalina da palcoscenico, arriva tutto
sovraeccitato a scompigliare i capelli di uno stizzito Vegeta. Mentre la
sorella, dietro le sue spalle, gli fa da ombra in tutti i sensi. E mentre il
fratello dispensa sorrisi a destra e a manca, lei indifferente ci sorpassa,
annunciando a mezza voce di aver bisogno del bagno. Ovviamente, non perde
occasione di darmi una spallata.
«Non farci caso.»
Rassicura il fratello. «É sempre la solita permalosa.» «Vuoi dire che è ancora
arrabbiata con me? Neanche l’avessi fatto di proposito.» «Con te, con il mondo
intero. Chissà!» Chissà. Decreto
ma per me fa soltanto il personaggio, la diva con smanie da protagonismo che si
atteggia nemmeno ce l’avesse d’oro. «Meno male che secondo te ero io la
principessa sul pisello!» Ricordo a Vegeta, il quale anziché rispondere mi
fissa, le luci a neon del locale riflesse sulle sue lenti spesse; sorseggia la
sua birra, senza cedere al mio rimprovero. «Mi devi scusare, ma
prima non ho capito il tuo nome.» Riprende allora l’altro, nel tentativo di
conoscermi meglio. «Mi chiamo Bulma.» «Ah, quella Bulma?» «Sì, quella del
progetto.» S’intromette veloce Vegeta con fare spiccio, come a rimproverare
all’altro la confidenza accordatami. «Ecco perché ha
un’aria da scema!» Esclama quindi la biondina tornata dal bagno; a quanto pare
non ha espulso anche la sua antipatia. «Oh, perdonami, forse
dovrei ripagarti quella maglietta da due soldi per starti più simpatica?» «No, risparmia pure
per comprarti un cervello nuovo!» «Non credo ne abbia
bisogno, magari se lo costruisce.» Conclude il suo degno compare, Arensay.
E se quell’altra zotica non stesse sorridendo, aumentando così la mia voglia di
spaccarle i denti, potrei anche crederlo un complimento. La simpaticona, a
quel punto ammansita, prende posto accanto al mio compagno appropriandosi della
sua birra, mentre mi lancia un’occhiata di sottecchi. Se non fossi una
signorina garbata, gliela farei ingoiare, la bottiglia.
I nostri bisticci
sfumano via, via insieme al chiasso nel locale. Le luci, infine, si accendono a
ricordare che la serata è finita insieme alla ricerca dei miei amici, che a
dire il vero, non è mai iniziata veramente: presa com’ero a rispondere per le
rime alla strega dai circuiti dell’ego sballati, ho completamente dimenticato
di cercarli! Mi consola che nemmeno loro si siano prodigati più di tanto a
vedere che fine avessi fatto. «Credo proprio di
aver bisogno di un passaggio.» Ovviamente, mi rivolgo all’unico che nella
combriccola è degno della mia simpatia: C17. «Scordatelo!» Risponde
per lui la sorella, scompigliandosi i capelli biondi. «Non posso restare da
sola in un postaccio del genere! Siamo in periferia, e la mia casa è troppo lontana
da raggiungere a piedi.» «Non sia mai dovessi
romperti un tacco della scarpa durante il tragitto.» Rimbrotta Vegeta, il quale
per tutta la serata si è ingegnato a dare man forte all’acida biondina. «Ma perché non vieni
con noi, invece di tornare a casa? La serata non è ancora finita.» M’invita C17
a discapito degli altri. «Perché io non la
voglio, semplice.» Chiarisce Diciotto. «Come se stessimo
andando a casa tua, sorellina.» «Allora, forse
dovresti chiedere a me se la voglio oppure no!» Precisa Arensay,
meritandosi un’occhiataccia da parte mia. «Perché, avresti il
coraggio di rifiutarmi, dopo aver passato il pomeriggio a giocare nel
laboratorio di mio padre?» In realtà, non ho
molta voglia di concludere la serata in loro compagnia, ma fosse anche per
indispettire i due cafoni, mi autoinvito con tutta la determinazione
di questo mondo e dell’altro!
Ed ecco, che per la
seconda volta in tutta la mia vita, mi ritrovo in Via dei principi, numero
sette. Il pesante portone è lì, pronto a rinfacciarmi tutti pregiudizi che,
fino ad allora, avevo serbato nei confronti del mio compagno di classe.
Dall’inizio del progetto, infatti, non solo ho scoperto che non è un emarginato
sociale, ma ha addirittura degli amici, certo di dubbio gusto considerato il
loro gusto nel vestire, ma pur sempre amici. Varco ancora la
soglia del suo appartamento spoglio, senza restare immune a ripensamenti di
sorta; cosa dovrei fare, qui, adesso? Osservando la
scombinata comitiva, mi chiedo quali potrebbero essere i loro progetti. Tutti
si comportano con confidenza e gettano i cappotti sul divano. Vegeta, invece,
sparisce nel corridoio, lasciandomi da sola con gli altri due. Ripeto, cosa dovrei
fare io, qui, adesso? Mi fingo in sintonia con l’ambiente, e prendo posto
accanto alla scorbutica. Almeno, infastidirla mi diverte. Tento allora di
mostrare un approccio diverso, e le chiedo il suo vero nome. «Ci-diciotto.» risponde con un ghigno più lungo del suo nome.
«Ma non hai un nome
vero?»
«È questo il mio nome
vero.» Capisco l’antifona. Almeno
non mi ha risposto mandandomi a quel paese. Quando Vegeta torna è
con un scatola di Risiko tra le braccia. Viene accolto dagli altri con come se fosse
riemerso dalla sua stanza con il Sacro Graal.
«Un gioco da tavolo?»
Domando un po’ sorpresa, leggendo l’etichetta sulla scatola cartonata. «Se preferisci
truccarti, Brief, il bagno è di là.» Continua a prendermi in giro Arensay,
suscitando un risolino in C18.Non saprei dire chi tra
i due sto detestando di più questa serata. «Solitamente non è così che passo le
mie serata, ma se mi spiegate le regole giocherò volentieri!» In realtà, vorrei
solo mi riportassero a casa, e l’avrei già chiesto se non significasse passare
per la guasta feste di turno. E’ C17 a spiegarmi,
seppur con una punta di noia nella voce, quelle che sono le regole. Vegeta ne
aggiunge una extra: «Scordati di usare i carro armati neri.»
«Figurati, il nero è
un colore così deprimente che te lo lascio volentieri. Scelgo i rossi, perché
sono una tipa passionale.»E sorrido dell’innocente,
e forse non tanto brillante battuta, ma accidenti a loro potrebbero anche
provare a farsi una risata! Gli ignoro, con ancora il riflesso del mio sorriso
stampato in volto, e leggo la missione assegnatami dal destino.
Distruggi le armate
nere;
se sei tu stesso o
sono
state già distrutte,
conquista 24
territori
Fantastico, non avrei
potuto essere più fortunata di così! La mia prima partita sarà la mia prima
sconfitta, se Vegeta gioca tanto bene quanto è odioso.
Quindi, non mi resta
che provare a impegnarmi, potrà anche essere un veterano del gioco, ma non
intendo rendergli la vittoria facile.
La partita inizia con
uno scontro tra me e C17, in cui gli rubo l’Oceania. Mi spiegano che si è
trattato di un puro colpa di fortuna, e che da adesso in poi avrò diritto non
solo ad armate extra, ma a quanto pare è anche uno dei migliori punti
strategici del gioco. Fortuna del
principiante. Fortuna che, per mano
delle truppe di Vegeta, mi libera dall’odiosa presenza di C18. La quale,
contrariata, abbandona il tappeto su cui stiamo giocando e si butta sul divano.
In contemplazione, forse, di qualche piano di vendetta nei miei confronti. C17 è il prossimo a
cadere, questa volta per la mia incredula mano. Non avrei mai creduto di poter
essere così brava! I bagliori della mia
vittoria, però, durano giusto il tempo di realizzare che, da adesso in poi,
dovrò vedermela con Arensay, il quale sentendo i pareri degli altri due, è
bravissimo a mischiare le sue carte in tavola senza mostrare i suoi veri piani
in partita. Tira i dadi, ma non
dimentica di scambiare prima i sui tris
per ottenere dei rinforzi. Cambio anche io i miei. E a suon di rollate di dadi
scateniamo una vera e propria guerra. Ora siamo dieci
armate contro dieci, come ha voluto il destino. Vegeta ghigna alla mia
possibile e quasi palese sconfitta, e con sfida lancia a terra la sua carta
obiettivo:
Distruggi le armate
rosse;
se sei tu stesso o
sono
state già distrutte,
conquista 24
territori
Gli rivolgo un gran
sorriso e tiro i dadi, riuscendo a togliergli tre armate. Altrettante ne perde
al suo turno, ma al mio lo sconfiggo del tutto distruggendo i suoi rifornimenti
e sbrindellando il suo orgoglio da campione, fino ad ora, imbattuto di Risiko. Un urlo di gioia
scoppia da C17, il quale ha tifato per me fino alla vittoria, se non altro per
sperare di vedere l’amico sconfitto, una volta per tutte. Così, si sveglia
anche C18, nel frattempo appisolata sul divano. Viene subito informata. «Sai che me ne
importa!» Decreta, con la sua solita sfavillante simpatia, eppure ha evitato di
guardarmi, punta da un ago di gelosia. «A me importa,
invece!» Ammette però Vegeta, che a malincuore è costretto a complimentarsi con
me, senza però dimenticare di appellarsi, ancora, alla mia sfacciata fortuna da
principiante.
La sconfitta di Vegeta
è stata la degna ricompensa per essere stata maltrattata tutto il tempo, da lui
e dalla sua degna compare. Prima di chiedere un passaggio per casa, però,
chiedo se per caso sua altezza mi concede l’uso del suo bagno.
Il bagno è
esattamente come me lo sarei aspettato, ordinato come il resto della casa.
Tutto nell’appartamento mostra il temperamento di Vegeta, duro e offensivo come
un nazista orgoglioso. Persino lo specchio mi insulta, riflettendo l’immagine
di una ragazza stanca e stressata. Sistemo i capelli fuori posto e mi accingo a
tornare di là, quando noto davanti a me la porta semichiusa della camera da
letto di Vegeta! La voglia di
concedermi una sbirciatina è tanta. Talmente tanta da non pensarci nemmeno due
volte, così che sto già varcando quella soglia, appropriandomi anche di quel
pezzetto sconosciuto di Arensay. La camera smentisce
da subito le mie aspettative: la divisa della scuola è gettata con noncuranza su
un letto non rifatto; i libri, impilati sulla scrivania, sulla quale sono
accatastati quaderni di ogni sorta. Solo le mensole sui muri sono in ordine,
dalle quali brillano le sue vittorie nel nuoto. Mi giro intorno, tra
vecchi dischi e romanzi offesi dalla polvere, noto un volumetto incastrato alla
meno peggio nella libreria stracolma. Non è rilegato, tanto basta per
calamitare la mia attenzione. Lo sfilo, e con cura
apro la prima pagina. A penna, c’è una dedica a Vegeta da parte di sua madre.
Mi stupisco, forse anche a torto giacché suo padre non può averlo trovato sotto
un cavolo nell’orto, perché non riesco proprio ad immaginarlo a ricevere le
cure amorevoli di una mamma innamorata. Una mamma che non gli
ha nemmeno insegnato come comportarsi con le ragazze, rozzo com’è. Continuo l’ispezione,
ma riesco a leggere soltanto le prime righe “Nell’oriente lontano,
dall’unione di Pietra e Sole nacque un giorno uno scimmiotto. Egli crebbe
scaltro ed assai forte; percorse il mondo su una nuvola dorata e di nemici fece
una mangiata. Un bastone magico brandiva come arma e… “, interrotta
dalla voce di C17 che mi richiama in salotto.
Il viaggio di ritorno
non si prospetta allettante. Invece, per mia gioia, C18 casca addormentata in
macchina, come se all’improvviso le avessero staccato la spina. Mi ritrovo a
condividere l’abitacolo con il fratello, con il quale mi vedo costretta ad intavolare
un discorso per evitare un silenzio imbarazzante. «Come vi siete
conosciuti voi due con Vegeta?» «Siamo andati in
classe insieme per un po’, poi ci siamo separati alle superiori, ma abbiamo
continuato ad andare in piscina insieme.» «Capisco. Mi chiedo
come tu faccia a sopportarlo. O a sopportarli, nemmeno tua sorella è
simpaticissima.» Azzardo. «Lo è invece, ma
credo sia gelosa del tempo che Vegeta sta passando con te. Prima il suo tempo
libero lo spendeva con lei, ma con questa storia del progetto di scienze lui è
sempre con te.» Chiarisce affatto offeso dal mio giudizio sulla sorella
bisbetica. Per quanto riguarda me, invece, non posso nascondere una certa
sorpresa nell’apprendere che quei due hanno una relazione!Chi
mai potrebbe aver piacere di stare con una smorfiosa di quel calibro o con
quell’orco di Vegeta?
«Eh sì, Brown,
l’inverno non è affatto finito, arriverà una tormenta come non se ne vedevano
da anni!» «E finalmente potremmo fare i nostri pupazzi di ne…»
Spengo la tv: detesto
sentire troppe parole appena sveglia. L’unica a non averlo ancora capito è,
purtroppo, mia mamma nel suo instancabile cicaleccio. «Tesoro, ti andrebbe di
accompagnarmi in quella nuova pasticceria in centro? Dicono i loro bon-bons
siano deliziosi.»
«Mi spiace, mamma, ma
oggi ho da fare!» In realtà non sarei andata nemmeno potendo, i dolci non sono
esattamente il mio forte.
«Esci di nuovo con
Yamcha?» «No, devo finire il
progetto di scienze.» «Oh, deve piacerti
davvero molto quel Vegeta.» «Non dire
sciocchezze, per piacere! Siamo costretti a passare del tempo insieme, se solo
potessi andrei a comprare scarpe.» Affermo con risolutezza; la serata a casa
sua mi è bastata per ridimensionare la poca simpatica che avevo nutrito nei
suoi confronti! Affogata nella marea di improperi rigurgitata dalla quella
simpaticona della sua ragazza svitata. «A me pare un ragazzo
così affascinante!» La ignoro, come
meritano le sue supposizioni sciocche; a quanto pare Arensay non è
l’unico ad aver bisogno degli occhiali, qui, se mia madre ha addirittura
l’ardire di considerarlo affascinante. Vegeta ha lo charme di uno scimmia
ubriaca.Se ancora non accampo scuse per
evitare di trovarmi con lui il pomeriggio, è solo per evitare altre brutte
figure con la professoressa di scienze. Certo, ho scoperto di trovare
abbastanza spassoso costruire oggetti con le mie mani (cosa di cui non mi ero
mai creduta capace), ma con un laboratorio a disposizione, potrei ugualmente
fabbricare tutto ciò che voglio senza avere Vegeta tra i piedi! Ho o non ho il
più grande scienziato di tutti i tempi come genitore? «E quelli cosa sono?»
Domando, dopo aver notato un arcobaleno di post-it colorati sul frigo. Mia
madre chiude la valvola delle sue chiacchiere, giusto il tempo per informarmi
dei tentativi dei miei amici di contattarmi, da Chichi a Goku. Manca solo
Yamcha. «Hanno chiamato senza
sosta, dovresti proprio richiamarli!»
Già, dovrei.
Decido che di
domenica mattina possono anche aspettare, i miei amici. Dal momento
che si sono ricordati presto di me! Avrebbero anche potuto cercarmi ieri sera,
invece la mia assenza non è pesato affatto fino a questa mattina.
Cerco di rilassarmi
tra le bolle che riempiono la mia vasca da bagno. E continuo a pensare a
Vegeta; a casa sua, alla serata trascorsa. Al suo rapporto con l’odiosa
biondina. Per colpa di quella mi
sono dimenticata di chiedergli a che ora ci saremmo visti; oppure me l’ha detto
e l’ho dimenticato? Mi ripropongo di
chiamarlo appena possibile.
Trovo il suo numero
in elenco che, pensate mi finisce sul piede nel tentativo di digitare i tasti,
bere un caffè che mi rovescio addosso e reggere la cornetta tra mento e spalla.
Dopo innumerevoli squilli, finalmente quel cafone risponde, e lo accuso un po’
di tutto.
Lui incassa in
silenzio, e poi sbotta. «Mi hai forse scambiato per il beota del tuo ragazzo?
Se non hai nulla di intelligente da dirmi, faresti meglio a stare zitta, almeno
avresti il pregio di sembrarlo.»
«Mio caro Arensay, non
sembrerei un bel niente, visto che è una conversione telefonica la nostra. Se
resto zitta, sembreresti un cretino a
stare al telefono senza parlare.»
La mia risposta lo
zittisce per alcuni istanti. «Mi chiami addirittura per cognome? Devo dedurre
che hai finalmente riconosciuto la mia autorità.»
Sorrido maligna,
perché, ancora una volta, mi stata servita la risposta su un piatto d’argento. «Veramente
anche tu mi chiami sempre per cognome.» Un nuovo mortificante
silenzio da parte sua.
«Ad ogni modo oggi
non ci vediamo, se mi hai chiamato per quello.» Chiarisce nella successiva
frazione di secondo.
«Perché, devi uscire
con C18?» Domando maliziosa, giusto per tormentarlo ancora un po’. «Non sono affari
tuoi.» E quindi sì, dalle
sue risposte in differita non posso che arguire i suoi impegni con la ragazza
smorfiosa. «Coraggio, ti vedi con lei o no?»
Continuo tanto perché, per qualche sconosciuto motivo, si innervosisce a
parlare di sé: devo pur vendicarmi del trattamento riservatomi durante la partita
a Risiko, che secondo lui ho vinto per pura fortuna, troppo stupida per
comprendere le tattiche di gioco. «No.» Risponde
esasperato, ma non gli credo. «Allora esci con lei,
è sicuro.» «Comunque oggi io e
te non ci vediamo.» Ripete e mi richiude il telefono il faccia. Scimmione che non è
altro, lo richiamerei solo per dirgliene quattro. E infatti sono già lì che
digito il suo numero, ma all’ultimo minuto un tuono, così forte da sembrare
caduto in casa, interrompe la linea e il filo delle mie imprecazioni. Abbasso la cornetta e
prova ancora a comporre il numero, ma la linea è intermittente e cade ogni tre
per due. Le mie mani ricompongono, per l’ennesima volta il contatto ormai
imparato a memoria, digitando la tastiera con una pesantezza degna di un
lottatore di sumo. Continua a cadere la
maledetta! Nel frattempo mi
squilla il telefono in un orecchio e rispondo furibonda. «Che cosa c’è adesso?» «Bu… Bulma, sono
io Chichi! Ѐ un’ora che tento di richiamarti ma hai telefono
sempre occupato.» Vorrei farle presente
che se il telefono era occupato, era evidente la cosa non fosse accidentale. Mi
limito però a rispondere con creanza, nella ritrovata calma delle mie facoltà
mentali, in fondo lei cosa c’entra se è un tuono ha interrotto la linea mentre
ero intenzionata ad insultare Vegeta? «Allora cosa c’è?»
Proprio adesso doveva chiamare! Magari, Vegeta esce e io non posso più
insultarlo. La mia acidità la
blocca per un istante prima di spiegarsi. «Ecco, eravamo tutti preoccupati
per te, ieri sera sei sparita e nella bolgia non siamo riusciti a trovarti!» «Nemmeno io se per
questo.» Nascondo il fatto di non averci affato provato: ero troppo impegnata a
tener testa alla smorfiosa da un lato e allo scimmione dall’altra. «Fortuna ho
trovato Arensay.» Almeno questo devo riconoscerlo, non fosse stato per
quel colpo fortuito, sarei rimasta tutta sola e magari anche costretta a
tornare a piede.
«Che cosa c’entra Arensay?» «Cosa vuoi che ne
sappia!» «Chiediglielo.»
«Chichi, ma chi c’è
lì con te?» Ho distintamente sentito delle voci in sottofondo. Mente. «Oh, nessuno,
nessuno, piuttosto, hai sentito Yamcha per caso?» «No, perché? Goku ha
bisogno di qualcosa per il progetto?» Mi fingo tranquilla, tuttavia mi offende
che mi credano così imbecille da prendermi in giro facilmente. «Oh no è che… ridammi il
telefono, razza di cafone!» «Ciao Bulma, è
Crilin! Ci risentimo, ok?»
«Restituiscimi
immediatamente il telefono!»
La voce di Chichi in
sottofondo è l’ultima sentita prima che mi venga, di nuovo, sbattuto il
telefono in faccia nell’arco di trenta minuti. Ora sì, che ho un
diavolo per capello! Come un toro impazzito ricompongo i numeri, ma nella foga
compongo quello di Arensay; allora sono costretta a digitarlo di nuovo.
Manco un numero. Riprovo. Salta la linea di nuovo. Riprovo. Occupato. Provo con Goku. Occupato pure lui. Scaravento il
telefono a terra, lasciando sfogare tutta la mia ira funesta. Il mio umore non
migliora per tutto il resto della giornata. Non sono riuscita a contattare
nessuno. Non sono nemmeno riuscita ad insultare Vegeta come avrei dovuto. L’unica consolazione
è stato il progetto di scienze! Alterata per il
risvolto negativo dei miei tentativi telefonici, ho pensato bene di calmarmi
cambiando completamente scenario. Così, sapendo che proprio Vegeta avrebbe
voluto continuassi da sola, ho provato a lavorare da sola al nostro progetto. Gli unici risultati
soddisfacenti sul mio umore nero. E quell’idiota di
Yamcha è disperso come gli altri. Ѐ con lo stesso
cattivo umore che arrivo in classe il giorno seguente, decisa a far luce su
tutta la questione delle intercettazioni telefoniche. Quando arrivo, noto
subito che Yamcha non è al suo posto, fortuna per lui non è ancora qui,
altrimenti sarebbe stato il primo a beccarsi uno schiaffo. Purtroppo, essendo in
ritardo come al solito, sono costretta a prendere posto e a rimandare la
ramanzina ai miei amici. Mentre mi siedo mi
accorgo che Chichi freme dal dirmi qualcosa; mi fa segno lo scriverà su un
pezzo di carta. Missiva finita, tenta di lanciarmela con scarsi risultati, così
finisce accanto alle scarpe bianche di Arensay. «Passala a Bulma!» lasento sussurrare
inutilmente, perché Vegeta, raccolta la pallina, si sta già impicciando dei
nostri affari. Vedo i suoi occhi seguire riga per riga ciò che la mia amica mi
ha scritto. Nel frattempo, ecco
Yamcha fare capolino in classe, e tra un “buongiorno professore” e un “scusi per
il ritardo”, si appresta a raggiungere il proprio banco. Quindi, Vegeta
solleva lo sguardo, appallottola il pezzo di carta e lo lancia, niente meno che
in faccia Yamcha! «Era per me!» Gli
sussurro contro, in urlo strozzato e irritato. Le mie parole vengono
però sopraffatte da un «Ma che cavolo fai, Vegeta!» «Ti paleso la tua
idiozia.» «Che cosa?» Si altera
a quel punto il mio ragazzo, a ragione. «Ripetilo se hai il coraggio.» «Ragazzi, sedetevi!»
Li richiama il prof. Vegeta si alza in
piedi, Yamcha è una spanna più alto di lui. «Ragazzi, sedetevi ho detto!» «Idiota.» Ripete con
più convinzione, meritandosi uno spintone che lo manda dritto a rovinare contro
il proprio banco. A quel punto, colpito nell’orgoglio, torna in piedi e come un
orso infuriato lancia un pugno al naso dell’avversario. Ѐ un attimo e scoppia
una baruffa senza eguali, scandita dai richiami ignorati del professore. Mezz’ora dopo, ecco Arensay che
torna dalla presidenza, da solo, annunciando alla classe che «L’altro è in
infermeria.» Raggiunge il banco
fulminato dalle mie occhiatacce, seguito dagli sguardi sorpresi degli altri
compagni. Che razza di animale
prenderebbe a pugni a quel modo un'altra persona? Gratuitamente, per giunta. La sua strafottenza e
tracotanza mi disgustano. Mi accorgo che Chichi
sta scrivendo un altro bigliettino, e mi appresto a riceverlo credendolo
indirizzato a me, dopo quello che è appena accaduto, merito una spiegazione. Invece, resto delusa,
perché la nuova missiva è lanciata dritta, dritta in direzione di Vegeta. Il
quale nemmeno la apre, la posa in un angolo del banco e si mette a seguire la
lezione. Eh no! Sbatto i pugni sul
banco. «Signorina Brief!» Ignoro il professore,
e mi lancio alla volta sbigottito Arensay, il quale si vede rubare la
missiva da una bisbetica infuriata. La apro. «Brief, se non torna
al suo posto, spedisco anche lei in presidenza!»
“Non capisco
perché ti sei immischiato, ma stai pur certo che le racconterò tutto quanto!”
«Brief, non ci si metta anche lei: torni al suo
posto!»
La voce turbolenta del professore mi riporta in classe. Ficco il foglio in
tasca e con estrema lucidità annuncio: «Mi scusi, devo correre in infermeria;
dopo, se vorrà, andrò anche in presidenza.»
L’uomo mi guarda interdetto per una frazione di secondi, ed io ne approfitto
per defilarmi.
La suola delle scarpe scivola sulle piastrelle di granito grigio, non vi bado e
corro a più non posso per arrivare a destinazione: se c’è qualcuno che mi deve
una spiegazione, quello è solamente Yamcha.
Non sono una stupida, e onestamente sono stufa di passar per tale.
Ignoro quale sia la verità, ma di sicuro mi stanno nascondendo qualcosa… poi
l’insulto che Arensay ha proferito dopo aver letto il primo messaggio
la dice lunga. Spalanco la porta dell’infermeria, riprendo fiato, e
mi butto dentro come una furia. «Buongiorno!» Mi riprende l’infermiera confusa,
squadrandomi da capo a piedi per controllare se il mio irrompere può essere
giustificato da un’emergenza. Rimane delusa, una volta decretato a se stessa che non
ho nulla di rotto. «Ha bisogno di qualcosa?» chiede irritata.
«Devo parlare con lui.» Le indico Yamcha. L’unica scusa che ha per non
guardarmi è il premersi un tampone nel naso. «Beh, non ho ancora finito qui, può aspettare in
classe quindi.» «No, non posso aspettare. E’ sorda forse?» «Ma come si permette?» Iniziamo così un bisticcio verbale, che ovviamente, si
conclude con me fuori dall’infermeria. Ѐ a braccia incrociate, imprecando a
mente, che mi metto ad attendere in corridoio il mio ragazzo.
La porta è semichiusa, quindi lo sento distintamente rispondere. «Sì, era bello
grosso quello mi ha colpito.» Bugiardo, Vegeta è sì e no poco più alto di me! Non appena esce, però, dovrà vedersela con qualcosa di grosso davvero:
la mia collera. Nemmeno vedere la neve che scende fuori dalla finestra serve a
mettermi di buon umore. «Allora?» Lo attacco subito, senza perdere altro del
mio prezioso tempo. «Allora cosa?» «Allora, perché Arensay ti ha dato
dell’idiota dopo aver letto quel foglietto?» «Perché è un sociopatico!» Stringo in tasca il foglietto che ho rubato ad Arensay.
Lo accartoccio nel pugno, ma poi decido di non tirarlo fuori. Sono curiosa di
sapere dove l’idiota qui presente ha intenzione di arrivare. «Non credo, lo conosco.» Sentenzio
saccente. «Non fa mai nulla per nulla, poi figuriamoci fare quella figura in
classe, se non fosse stato per nulla.» «Evidentemente è geloso che io sto con te.» «Né dubito.» «E perché? Sei così carina!» Ci prova il provolone, a
spegnere il mio nervoso. «Smettila di cambiare discorso. Che cosa voleva Vegeta
da te e Chichi?» Il silenzio che scende tra noi è tale che quasi potrei
sentire i fiocchi di neve attaccarsi agli alberi. Allora tiro fuori la prova
del misfatto. «E questo cos’è?» Yamcha sbianca più del muro alle sue spalle. «L’hai
letto?» Chiede, confermandomi che dietro c’è effettivamente
qualcosa che non dovrei sapere. «Certo che no!» Dal momento che non sa nulla del
secondo messaggio, penso bene di fingere sia il primo, quello che gli sto
sbandierando davanti. Inoltre, sono stufa di tutte queste bugie, vorrei sapere
la verità senza dover mettere nessuno alle strette. «Perché no?» «Perché vorrei me la dicessi tu la verità!» Mi
esaspero. Possibile non abbia un minimo di intuizione? Aspetto un istante prima di piantarlo in asso. «Aspetta!» «Sto aspettando.» Il mio tono di voce non ammette un
altro silenzio. Eppure è questo ciò che ottengo. Stringo quel dannato
messaggio tra le mani, poi lo strappo e lo getto all’aria, sparendo tra
coriandoli di bugie. Yamcha cerca di rincorrermi ma scappo nell’unico posto
in cui non può raggiungermi: il bagno delle ragazze. Mi chiudo dentro e ci
resto, fino alla ricreazione. E al diavolo l’ora di lettere! Un rubinetto che si apre è l’interludio alle
chiacchiere tra due ragazze starnazzanti.
«Ehi, hai sentito cos’è successo? Pare che Wolf e Arensay se
le siano date di santa ragione, per colpa della Brief!» «Arensay?» «Ma sì, lo sfigato del quinto D, quello che legge
sempre, tutto solo. Pare sia andato a letto con lei…» «Cosa?!» «Sì, così questa mattina Wolf l’ha preso a
pugni mandandolo in infermeria. Me l’ha appena raccontato Marion che glielo ha
detto Wolf in persona.»
«Ahah, non ci credo miss “Ce-l’ho-solo-io” e quello sfigato di Arensay!»
Al secondo sfigato mi altero, perché non è affatto
vero quello che si dice sul suo conto, lo so che non è così! E poi è stato lui
a rompere il naso a Yamcha non il contrario, inoltre io sono una che la dà. Odio che si mettano in giro voci
fasulle anche sul mio conto. «Brutte oche, come vi permettete» Ma lo domando al
vento, poiché sono tornata ad essere sola, mentre la campanella suona la
ricreazione e la fine del round. A questo punto non mi resta che uscire da qui, tanto
sono sicura che Yamcha sia sparito in classe. Non torno dai miei amici, ma vado direttamente in
presidenza. Non che abbia una voglia matta di costituirmi, ma voglio scappare
da tutti i miei amici e mi sembra l’unica scusa plausibile. Poi conosco il signor Popo, il professore di lettere,
mi adora al punto che il tutto sfumerebbe in un’alzata di spalle e in un
sorriso sbilenco. Di fare di nuovo la figura della raccomandata davanti a
Vegeta e dargli la spinta per prendermi in giro non mi va punto.
“Preside Professor Satan”, c’è scritto sulla targhetta d’ottone,
talmente lucida da potersi specchiare, talmente altisonante da palesare la
tracotanza di Satan. Un professore sarebbe stato più che sufficiente. «Allora signorina.» riordina delle scartoffie
tossicchiando. «Chi la manda?» «Nessuno, tecnicamente mi sono mandata da sola.» «Allora suppongo sia qui per il giornalino della
scuola!» «Ma no, sono qui perché sono uscita di classe senza
permesso.» «Come mai è uscita?» Chiede confuso. «Perché il mio ragazzo era in infermeria.» «Quindi lei, ha deciso di raggiungerlo per sincerarsi
delle sue condizioni.» Arguisce, tutto soddisfatto della proprio arguzia. Si
alza per sistemare le veneziane alle finestre. «No, affatto.» «Come sarebbe no?» «Perché il pugno se lo meritava.» «Uhm… strano, è la stessa cosa che ha detto
quell’altro…» Si schiaccia contro il muro, diventando un tutt’uno con la carta
da parati color chachi. «Ih, sarete mica parenti?» «Ma che le viene in mente! Io mi chiamo Brief,
non sono imparentata con quel cafone di Arensay!» «Ah ah, sì lo so, stavo solo scherzando.» Chiarisce in
una risata sguaiata e fuori luogo. «Allora per quale motivo è qui?» Finge di
sistemare alcune cartelle. «Perché merito di essere punita! Non ho intenzione di
tornare in classe senza una punizione.» M’impunto quasi a strapazzarlo
verbalmente. «A… allora, che ne pensa di restare qui, dopo la
scuola, insieme a quell’altro?» «Quale altro?» «Arensay…» Mi fermo a rifletterci sopra, prima di accettare
quella che ha più le vesti di un accordo che di un richiamo disciplinare. Se
restassi con lui, magari potrei anche sapere cosa diavolo c’era scritto
sopra quel benedetto foglio di carta! Quando torno in classe trovo proprio lui, Vegeta,
rosso dalla vergogna, mentre decanta una poesia alla classe su richiesta del
professore. Non sembra lui quando arrossisce! Chi lo avrebbe mai immaginato? Tornata al mio banco, non posso fare a meno di
ascoltarlo rapita dal tono della sua voce. Riesce quasi a essere bello, se non
sprecato a proferire insulti. Il tono, mica Vegeta.
Alla fine delle lezioni vengono raggiunta da una serie
sconclusionata di spiegazioni. Solo in quel momento, vedendo tutti i miei amici
lì, mortificati davanti a me, mi accorgo dell’assenza di Yamcha. E vengo subito
informata che l’esagerato ha preferito tornarsene a casa per via del naso
dolorante. Mentre i miei amici tolgono, per l’ennesima volta, la
parola a Chichi con il loro vociare sconnesso, Vegeta passa loro dietro e mi
ricordo di avere una spiegazione in sospeso con lui. «Vegeta!» Lo chiamo correndogli dietro, chiamata a mia volta
dagli altri, sono però decisa a conoscere il motivo della sua intromissione.
Ansiosa di annunciargli che passeremo un altro pomeriggio insieme, tanto per
indispettirlo.
La mensa brulica di ragazzi rimasti a scuola per il
rientro. Mi faccio largo tra di loro, finché non lo scorgo seduto tutto
solo a un tavolo in fondo alla sala. «Ciao! Sono stata punita come te e quindi resto qui
anch’io. Contento?» «Moltissimo.» Bofonchia sarcastico addentando un
tramezzino. «Beh, allora lascio lo zaino qui mentre faccio la
fila!» Un grugnito è tutta ciò che riesco ad ottenere in
risposta. Al mio ritorno non trovo né il mio zaino, né Vegeta,
che maledico con tutta me stessa. «Ѐ sotto il tavolo, il tuo zaino!» Mi arriva in
aiuto proprio lui, cui erano rivolti tutti i miei improperi. «Ma sei scemo? Meno male che ti avevo chiesto di
controllarlo! E se qualcuno ci avesse rovistato dentro, eh? E poi dove eri
finito?» Chiedo lecitamente, giacché il suo vassoio sporco è ancora abbandonato
al suo destino, anziché essere stato riportato al deposito. «A fare una telefonata.» «A C18?» «Affari miei.» «Allora, di grazia perché mi hai detto di aver
chiamato qualcuno, se avevi già intenzione di farti gli affari tuoi?» «Perché ho scoperto che infastidirti mi diverte.» Alzo un sopracciglio.
«Figurati, sai che m’import.» Mi rode in realtà non saperlo, ha
indovinato.Per semplice curiosità, non per
altro. Decido di lasciar cadere il discorso, almeno smetto di dargli
soddisfazioni.
«La mangi quella?» Indica la mia crostata, che è già finita nella sua bocca
prima di finire la frase. Un pugno sul torace per mandare giù il boccone, e via,
mi lascia da sola come una scema. «Vegeta, aspettami! Devi fare sempre così?» Lo
rincorro, zaino in spalla. «Ѐ tardi.» «Oh non ricomincerai con la tiritera del tempo, vero?
Ma C18 non ti dice mai nulla?» Ed è questo il punto in cui ottengo tutta la sua
irriverente attenzione. «Vuoi smetterla di nominarla sempre? Inizi ad
irritarmi davvero.» «Perché t’infastidisce parlare di lei? Avete litigato
forse?» Risistema gli occhiali sul naso, aggrotta le
sopracciglia. «E tu perché ne hai tanta voglia, sei gelosa forse?» «Certo che no! Come ti viene in mente un sciocchezza
simile?» «Allora lasciami in pace.»
Sono le tre e mezzo e di Vegeta neanche l’ombra e mi
sto annoiando da morire, tutta sola. Ha fatto di tutto per fuggire la mia
compagnia. Mi chiedo dove si sia cacciato… è più di un’ora che lo
cerco, non vorrà mica lasciarmi fare tutto il lavora da sola? Quel cafone ne
sarebbe capacissimo. Mi fermo davanti alla piantina della scuola, con sopra
indicati i percorsi da fare secondo le varie catastrofi. Facendo un rapido
calcolo, il primo e il secondo piano sono da escludere: il biennio starà
sicuramente facendo lezione. Quindi, mancano i piani dal triennio in su.
Rivolgo un’occhiata veloce al corridoio sul quale mi trovo adesso, reso
cangiante dal riverbero della neve, oltre le finestre.
Queste aule le ho visitate tutte e lui non c’è. Mentre mi chiedo in che classe possa essere, un’idea
non tanto bizzarra mi piomba in testa. Così attraverso il porticato circondato dalle grandi
vetrate intarsiate. E mi ritrovo davanti alla porta lunga, altra e stretta
della biblioteca. Il cigolio dei suoi chiavistelli mi annuncia nella sala
quando varco la soglia. Un odore di muffa e carta vecchia mi prude nel naso,
camminando tra scaffali stracolmi di volumi polverosi e vecchi che mai nessuno
aprirà. Parole silenziose perse nel tempo.
Trovo Vegeta nella sala di lettura, chino sullo scrittoio di mogano, proprio
nel mezzo.
Ad una rapida occhiata mi accorgo di essere soli. Silenziosa mi avvicino a lui
e gli spengo la lampada.
«Ancora tu!» É la sua esasperata meraviglia.
«Ma non dovevamo vederci più?» Gli sorrido ma non capisce. «Come diceva la
canzone!»
Per tutta risposta riaccende la lampada; torna alla lettura di… «Chimica?»
«Se invece di perderti oltre lo
specchio, come diceva il libro, ti sforzassi di prestare
attenzione a ciò che accade in classe, sapresti che dopodomani abbiamo il
compito.» M’informa sputandomi addosso quella frase come fosse un’unica parola.
«Il compito?! Quando è stato detto?» Cado dalle nuvole, altro che specchio.
«Solo una settimana fa.»
Una settimana fa nemmeno ci conoscevamo così, io e lui.
«Visto che non mi ascolti…»
«Aspetta! Posso studiare con te?» Lo preferisco, piuttosto che restare da sola.
«Non puoi.»
«Ti ricordo, Arensay, che per colpa del tuo scherzo quell’arpia
dell’insegnante di scienze mi ha preso di mira e adesso ho tutti voti bassi.»
«Non mi sembra che ti stia impedendo di studiare, in uno spazio così ampio per
giunta.» Allarga un braccio per la sala circolare. Ci troviamo al suo centro,
e, tra le grandi scalinate di marmo che abbracciano i muri, ci sono ben tre
file di lunghi scrittoi con un lampada per posto.
«Ma perché devo stare da sola, quando posso stare con te?» Oggi ce la sta
mettendo tutta per evitarmi.
«Perché non voglio la tua compagnia!» Raccoglie le proprie cose, mentre io
incasso il colpo. Si dirige verso il soppalco, occupa un posto lì per
chiudersi nella sua ostinata indifferenza.
A questo punto, per dispetto, decido di infastidirlo al fine di riottenere la
sua attenzione. Mi siedo. Le gambe della sedia sbattono contro il pavimento ad
ogni mio dondolio.
Stlak.
Stalk.
Stlak.
«Ti stancherai prima tu.» Mi fa presente il mio
compagno, dalla sua rocca della solitudine
«Allora come mai hai sentito il bisogno di farmelo
notare?» All’improvviso sento uno scatto diverso: quello di un libro che si
chiude; seguito da una sedia strusciata sul pavimento.
Arensay si affaccia alla balaustra.
«Perché non mi lasci stare?»
«E tu, perché mi lasci stare?»
Stiamo quasi urlando, fortuna che nessuno, a parte lui, ha sentito il bisogno
di rintanarsi qua dentro.
«Perché, dovrebbe essere altrimenti contrario? Tu ed io non siamo nemmeno
amici.»
Un insulto sarebbe stato meglio di questa frase, chi l’ha detto che non siamo
amici? Tutti voglio essere amici miei.
«Allora per quale motivo mi hai invitato a casa tua, sabato?»
«Ti ha invitato C17, non io, e non l’ho fatto per ovvie ragioni.»
«Allora perché hai preso Yamcha a pugni, se non siamo amici?» Ed ecco che arrivo al nocciolo della questione, se gli
fossi stata del tutto indifferente, non avrebbe reagito così. Il problema è
capire perché. Il mio udito si tende in attesa delle sue parole, la mia fronte
corrucciata è pronta a distendersi alla verità, che non arriva se non dietro la
risata di Vegeta.
«Credi davvero che l’abbia fatto per prendere le tue difese? A quanto pare non
sono ancora riuscito a farti abbassare la cresta, Brief!»
Faccio un passo indietro, lasciando cadere la sedia alle mie spalle. Vegeta non
è mai stato il massimo della simpatia nei miei confronti. «Allora il vero motivo quale sarebbe? Un po’ di moto
mattutino?» Vorrei che la mia voce risultasse ferma, invece trema per la
stizza. «L’hai anche chiamato idiota!» Rinforzo la mia
inquisizione. Entrambi veniamo sopraffatti dal silenzio. Vegeta mi
osserva da dietro le spesse lenti dei suoi occhiali da vista, il riflesso della
luce rende difficile scorgere suoi occhi nascosti da esse, ma sento comunque il
suo sguardo su di me. «L’idiota, per l’appunto, cosa ti ha raccontato?» Domanda,
cambiando le carte in tavola.
«Nulla.»
«Come sarebbe? Non romperesti così tanto se fosse per nulla.»
«Rispondi alla mia domanda ed io risponderò alla tua!»
Ruota la testa, annoiato. «Dimmi prima cosa ti ha detto.»
«Uffa, nulla! Sto aspettando che mi dica la verità; gli ho mostrato il
biglietto che ti ho rubato, e gli ho fatto credere che fosse il primo messaggio
di Chichi. Gli ho detto di non averlo letto, e che se mi avesse
confessato tutto, prima che io potessi farlo, l’avrei perdonato.»
Vegeta rimugina, assente, sul senso delle mie parole, finché le sue labbra non
si tirano in un sorriso di metallo. «Sei proprio una stupida a credere che la
verità basti.»
Non apprendo a pieno il senso delle sue parole, ma io sono sicura delle mie
ragioni: se Yamcha mi raccontasse cos’è accaduto veramente, riuscirei a fidarmi
di lui. «Non è vero che non basta.»
«Basterà a perdonarlo questa volta. Quindi lo rifarà di nuovo, confesserà, e
via daccapo, così all’infinito. Che stupida che sei!» Se non mi avesse offeso,
non sarebbe stato da lui, suppongo. Le sue argomentazioni sono uno schiaffo alle mie
certezze, ma prima che riesca a formulare un nuovo punto di vista, ecco che mi
stupisce.«Sei impressionante, da far quasi
pena.» «Mi prendi in giro?» «No.» Penso non sia mai sembrato più serio in vita sua.
Questa conversazione mi sta esasperando. «E allora tu come ti comporteresti al mio posto?»
Fa spallucce. «Non sarei proprio arrivato al tuo posto. Inoltre, non mi sarei
mai messo con un simile idiota.»Non
stento a crederlo. Solo allora lo vedo abbandonare la sua roccaforte, e
discendere le scale per venirmi vicino. «Non credi sia ironico, dopotutto?» Sice
mentre mi sorpassa per rimettere a posto un libro.
«Cos’è ironico?»
«È da quando sei arrivata, che mi trituri per sapere il perché del mio
comportamento, mentre per l’altro aspetti che sia lui a dirtelo.»
«Non crederti importante, mio caro, è solo perché
trovo divertente infastidirti!»
Si gratta il collo, piegando il capo leggermente di lato. Si volta verso di me.
«In realtà non credo ti interessi poi molto il suo punto di vista. Ammetilo.» «Questo non è affatto vero!» «Scommetto ti ha infastidito di più il fatto sia
rimasto zitto, senza prendersi le proprie responsabilità ha lasciato che gli
eventi si susseguissero» Continua impertinente, come se stesse pensando ad alta
voce. La verità è che non sta sbagliando. Affatto. Per una
volta, avrei preferito non mettere Yamcha alle strette, come mi ritrovo a dover
fare tutte le volte. Invece si è eclissato per giorni, fino al suo arrivo in
classe. Quando avrebbe potuto chiamarmi domenica mattina, come tutti i miei
amici. «Comunque, ti aiuto in chimica e poi tu la smetti di
infastidirmi.» Così mi concede la sua benevolenza, con il suo
particolare modo di stringere accordi. Rimaniamo a studiare, e resto
affascinata dalle sue spiegazioni così semplici. Ѐ rimasto mio, scappando solo alle sei e mezza, quando
poi si è alzato senza concedermi di ribattere, lasciandomi da sola con qualche
formula in testa.
Quando esco dall’edificio, è con sgomento che noto il
mio scooter sommerso dalla neve. Da un metro di neve. Cerco di liberarlo, scavando con le mani che si
arrossano proporzionalmente al mio sconforto, finché non vengo illuminata dai
fari di una macchina. «Allora? Ti decidi a entrare o vuoi passare la notte
lì?» Non me lo faccio ripetere due volte e, contenta come
non mai di vederlo, mi precipito a dargli retta. «Grazie! Non sai quanto tu mi sia stato d’aiuto!» «Non fraintendere, non volevo averti sulla coscienza.» Questa volta la sua discutibile ironia non mi tocca, e
gli rivolgo un sorriso smagliante come la neve. Il nostro tragitto viene interrotto da un coagulo di
traffico per colpa del maltempo. La prospettiva di tornare a casa in tempo per
la cena resta ferma con me, davanti all’imbocco di un ponte. Mi volto per chiedergli secondo lui tra quanto tempo
potremmo riprendere il cammino, ma poi non gli dico nulla. Mi sorprendo a
studiare i lineamenti del suo volto corrucciato libero dagli occhiali che sta
pulendo con un lembo di maglia. Non è poi così brutto. «Smettila di fissarmi!» Mi ordina, bisbetico, e
accende la radio per evitare di conversare. “…sso; Virgin Radio”Annuncia una voce
contraffatta. «Questa è la stessa stazione che ascolto sempre io!» Vegeta alza il volume sulla prossima canzone, “Riders on
the storm”, mettendomi a tacere. «Questa canzone è perfetta per la situazione!» Esclamo
imperterrita nel mio romanticismo, ma lui alza ulteriormente l’audio.
Girl ya gotta love your man,
Take him by the hand
Make him understand
«Ma la smetti di zittirmi, perché ti ostini a non
parlarmi?»
Our life will never end,
Gotta
love your man, yeah
«Non mi va di perdere tempo a conoscerti.»
Riders on the storm
Continua…
*la canzone è “Riders on the storm”
dei Doors, mi è sembrata appropriata!
La sua
risposta mi coglie alla sprovvista: che cavolo vuol dire? Per quale
motivo, approfondire la conoscenza di qualcuno deve essere una perdita di tempo?
«Ti ricordo che sei stato tu a darmi un passaggio fino a casa, se non volevi
perdere tempo, avresti potuto evitare!»
«Tsk, con tutta quella neve non avresti resistito
nemmeno mezz’ora. Mi manca solo di avertisulla coscienza.»
«Beh grazie mille, allora!» Sbotto, incollerita.
Mi sorride. «Più che altro non credo sarebbe valsa la pena… avere guai a causa
tua.»
«Se non passi per un duro, non sei contento.» Puntualizzo. «Se fosse davvero
come dici non avresti bisogno di rimarcare il concetto, dico bene?»
Rialza il volume, come a dire che la conversazione è finita in un trionfo, il
mio! Sarebbe tuttavia un errore considerare il battibecco concluso qui. Perché,
infatti, Vegeta ci tiene davvero molto puntualizzare la sua antipatia nei miei
confronti. Così, dopo averlo ringraziato per aver abbassato il condizionatore
non manca ovviamente di dire non fraintendere, sentivo caldo anch’io.
«Ma certo, non preoccuparti, mio caro, non c’è alcun rischio ch’io ti
consideri un gentleman!» Lo canzono, e scoppio a ridere.
La
neve continua a scendere copiosa, bloccando la città e noi in mezzo al
traffico.
Poggio la testa sul vetro, la superficie fredda è talmente liscia che quando
ruoto la fronte su di essa mi sembra spigolosa.
Sulla carreggiata si vedono i solchi lasciati dalle auto, e le luci dei
lampioni non riescono a illuminare la via, costellata da leggeri bagliori rossi
e gialli provenienti dalle automobili.
E’ un piacere godersi lo spettacolo di questo tempo all’interno di un
confortevole abitacolo, ma la piacevole atmosfera è rovinata dal silenzio di
Vegeta. E non gliene importa un accidenti! Chiunque si sarebbe sentito in
imbarazzo a stare così zitto in compagnia di qualcuno, lui, invece, pare quasi
pregarmi di restar zitta.
Un rumore secco contro il finestrino mi distoglie dalle mie riflessioni: un
poliziotto molto attraente vorrebbe abbassassimo il vetro.
Vegeta rivolge all’uomo un’espressione dubbiosa e scocciata, come a dire “che
cavolo vuoi?”
«Scusate ragazzi, stiamo cercando di accertarci che state tutti bene e vorrei
anche approfittare per ragguagliarvi sulla situazione.»
Le folate di vento gli formano una gobba d’aria sulla schiena, coperta da un
impermeabile di plastica blu, e il bavero gli sbatte sulla bocca mentre parla.
«Stiamo bene.» Esclama Vegeta spiccio, e avrebbe richiuso subito il finestrino,
se il poliziotto non glielo avesse impedito sporgendosi ancora di più dentro
l’abitacolo. A quanto pare non ritiene ancora di aver detto abbastanza.
«Stiamo facendo del nostro meglio per gestire il traffico, ma la situazione,
purtroppo, è ancora in stallo.» Annuncia, aggrappando le dita inguantate allo
sportello e resta in attesa di domande ma Arensay si limita a
fissarlo annoiato, quasi con disgusto.
Così, schiocco la lingua sul palato e decido di prendere in mano la situazione.
«Cosa sta succedendo, agente?» Esorto, scostandomi una ciocca di capelli dal
viso. «È più di un’ora che siamo in fila!» Mentre parlo poggio,
inavvertitamente, una mano sulla coscia di Vegeta, che arrossisce; lo sento
irrigidirsi, sia per il mio tocco, sia per il poliziotto, il quale gli sta
alitando in faccia il caffè appena bevuto.
Tolgo la mano alla svelta, non vorrei provocargli un’erezione!
«C’è stato un tamponamento all’imbocco del ponte.» Racconta l’agente,
distogliendomi dai miei vanitosi farneticamenti. «Di solito sarebbe cosa da
niente, ma oggi dato il clima sta diventando un’impresa, anche perché il carro
attrezzi fatica a raggiungerci.»
«Ehm…Capisco e quanto crede ci vorrà, più o meno?»
L’agente dell’ordine si prende il mento tra due dita, come a raccogliere i suoi
pensieri da quel punto e, in una nube di vapore dice:
«Tra un paio d’ore dovrebbe essere tutto risolto, credo.»
«Tra un paio d’ore?» S’intromette allora Vegeta, «Sta scherzando?»
«Affatto giovanotto, purtroppo non dipende da noi: la situazione è quella che
è; vorrà dire che, con la sua ragazza, passerà una serata romantica in
strada.» Ironizza, convinto di essere simpatico. Come se non fosse abbastanza
evidente che, io, non potrei mai stare con Vegeta! Insomma, dopo aver
conosciuto la sua ragazza, è ovvia una totale mancanza di gusti da parte sua.
«Lei non è la mia ragazza!» protesta Arensay, addirittura sdegnato.
«Ah ah, allora se fossi in te inizierei a farci un
pensierino, perché passerete molto tempo insieme!» strizza l’occhio e va via,
lasciandoci esterrefatti per una simile uscita.
«Beh? Si può sapere perché hai fatto quella faccia quando ha assunto che
stessimo insieme?» Attacco, battagliera.
«Perché mi pare evidente che non potrei mai stare con una tipa rozza
come te!»
«Davvero, rozza? Semmai troppo poco rozza, se pensiamo alla finezza della tua
ragazza.»
«Quanto meno lei avrebbe avuto la decenza di non flirtare con quel poliziotto!»
«Io non ho flirtato affatto!»
«Se ti ha guardato le tette per tutto il tempo, sbottonata come sei!» Mi indica
la camicetta della divisa scolastica, che effettivamente avevo sbottonato per
il caldo nell’abitacolo.
«Beh non è colpa mia se sono una bella ragazza!» Puntualizzo, offesa per queste
sue terribili illazioni. «Per chi accidenti mi hai preso? Ora non si può
nemmeno più parlare.»
«Sono state chiacchiere inutili, le vostre. La conversazione era già finita al
“tutto apposto”»
Ancora un volta mi ritrovo a sorridergli maligna, pregustando l’ennesima
vittoria. «Sai, se non fossi così sicura del tuo paventato disgusto nei miei
confronti, si direbbe quasi che tu sia geloso, Vegeta!»
Toglie gli occhiali e li posa sul cruscotto; si stropiccia gli occhi, stanco di
questi nostri diverbi, poi, una volta rimessi gli occhiali, domanda: «Che
t’importa di cosa penso di te?»
«Nulla, ti stavo solo prendendo in giro!» Biascico. «Il ragazzo ce l’ho già, ed
è più bello di te!»
«Adesso che lo so, mi sento meglio.» Continua con sarcasmo. «Ma è giusto
rimarcare le ovvie qualità di quell’idiota, altrimenti si potrebbe pensare sia
un’idiota e basta.»
«Ehi, come ti permetti!» M’infiammo. «Dovresti smetterla di chiamarlo così, se
poi non ti prendi la briga di spiegarmi perché ti interessa tanto considerarlo
tale! Poi capirai, non mi pare la tua spicchi per altre qualità, oltre
al suo dubbio charme.» Affetto e mi schiaccio contro il finestrino, in
attesa della reazione di Arensay; reazione che, stranamente, non arriva.
Piuttosto, resta zitto nel suo angolo e , dal suo silenzio, mi guarda come se
avesse capito che questo suo atteggiamento potesse infastidirmi più di una
risposta.
Ad ogni modo non mi va di passare in questo modo tutto il tempo che siamo
costretti a condividere. Così spezzo una lancia in favore di una tregua, e
cambio argomento. «Ahm… sai che ieri ho quasi finito il nostro progetto?»
Mugugna qualcosa, poco interessato alle mie parole.
«Hai capito cos’ho detto? Ho lavorato da sola!» Rimarco imperterrita.
«Buon per noi.» Mi concede, fisso sulla strada innevata.
«Come sarebbe, buon per noi?»
«Che accidenti vuoi, un biglietto per Stoccolma? Credevo ci fossimo già
accordati che avresti lavorato da sola per buona parte del tempo.»
«Ma non ti stupisce che abbia fatto tutto da sola, senza l’aiuto di nessuno?»
«Non vedo perché dovrei stupirmi per così poco.» Finalmente, sposta lo sguardo
su di me, e con molta ironia aggiunge: «O stai forse ammettendo di essere una
stupida?»
E adesso sono io a stupirmi. «Ovviamente no. Volevo solo avvertirti che il
progetto sta andando a gonfie vele.» Riaggiusto il tiro, adesso contenta: a
quanto pare, crede davvero che io sia una ragazza intelligente! O mi sta ancora
prendendo in giro?
Cerco di studiare i suoi lineamenti, per scorgere una qualche risposta. Ho
capito che, a parole, non otterrei alcuna ammissione diretta da parte sua. Per
mia sfortuna però, procediamo in avanti con la macchina perdendo la luce del
lampione sotto cui ci trovavamo. Al buio, non vedo che il suo profilo
silenzioso.
“Welcome to the…”
«Che succede!?»
Scatto con il cuore in gola, a momenti non mi veniva un infarto; abbasso il
volume altissimo.
Arensay è affianco a me che sghignazza.
«Ma sei scemo? Che cavolo t’è preso?» Domando, devo essermi addormentata
durante il tragitto e lui non può che aver trovato estremamente divertente
svegliarmi in questo modo barbaro.
«Siamo arrivati.» E con il mento indica il vialetto di casa mia.
«Ah, ma che ore sono?» Chiedo ancora frastornata.
«Nove e mezzo»
Butto un occhio sulla facciata di casa, le luci sono tutte spente. «Non c’è
nessuno.» Deduco.
«Beh ci vediamo, Brief.» Mi saluta Vegeta, sporgendosi verso il mio sportello
che apre. Una sferzata di aria fredda mi irrigidisce al mio posto.
«Ehi, ma hai capito cos’ho detto? Sono da sola!»
«E quindi?»
«E quindi, vieni a stare con me finché i miei non tornano. Non ci sto da
sola in casa con questo tempaccio, potrebbe essere pericoloso! Qualche
malvivente potrebbe approfittarne.»
Solleva un sopracciglio titubante. «Immagino ogni ladro vorrebbe approfittare
di una tormenta di neve.»
«Certo! La polizia potrebbe avere problemi ad arrivare.»
«Credo che anche loro avrebbero lo stesso problema. Ci vediamo.» Rimarca il
concetto che è ora di smammare.
«Se prima hai detto di avermi dato un passaggio per mettere la coscienza a
tacere, non ti pare di venire meno al tuo buon proposito se adesso lasciassi
una ragazzina indifesa come me, tutta sola in una casa tanto grande?»
«Chiama il tuo ragazzo.»
«Non posso, primo perché, mi pare abbiamo entrambi decretato che nessuno verrebbe
in strada con questo tempo, e secondo perché, abbiamo litigato.» Argomento,
senza rendermi conto di essermi data la zappa sui piedi da sola.
«Allora, se abbiamo decretato che nessuno verrebbe per strada con questo
tempo, non dovresti aver paura a restare da sola in casa.» Ragiona di rimando.
«E va bene, fai come accidenti ti pare, Vegeta! Resterò da sola, e se dovesse
accadermi qualcosa sarai l’unico responsabile!» Risolvo infine, e dopo averlo
mandato a quel paese, gli sbatto la portiera in faccia.
A gran passi arrivo al portone della mia abitazione; sono talmente furiosa che
nemmeno mi accorgo del freddo pungente.
Impreco: non riesco a trovare la chiave, né i lampioni sono forti abbastanza da
illuminare la mia ricerca. Butto tutto a terra e inizio a cercarla nello zaino,
con le lacrime che prepotenti mi bussano sugli occhi. Restare da sola! Cosa gli
costa farmi un po’ di compagnia? Possibile gli faccia così ribrezzo? Ma mentre
sono in preda ai singhiozzi, Vegeta ritorna sui suoi passi, meglio, sulle mie
impronte lasciate per il vialetto di casa.
«Cerchi queste?»
«Le mie chiavi!» Mi rallegro tirando su col naso. «Grazie, Vegeta!»
Mi sporgo per prenderle ma le lascia cadere nella neve, da autentico bastardo.
Stringo i pugni e gli do uno spintone, che non si aspettava di ricevere finendo
nella neve insieme alle mie chiavi.
«Beh, adesso colpisci anche me, stronzo!» Lo incito, riferendomi alla stessa
dinamica di questa mattina, quando ha dato un pugno a Yamcha
per punirlo dello stesso gesto. Tuttavia, accoglie la mia ribellione con una
risata. «Ti piace davvero tanto, farti mettere le mani addosso!» Bercia,
supponendo una mia facilità di costumi, secondo quanto stabilito dalle voci di
corridoio della mia scuola.
Senza raccogliere il suo insulto (non vale proprio la pena), prendo la chiave visibile
in un buco sulla neve ed entro in casa.
Vegeta però non pare voler terminare qui il nostro incontro, giacché arrivare
ad avere il coraggio di suonare al campanello. Credendo, a torto, sia almeno
per chiedermi scusa, decido di aprirgli.
«Spero le tue scuse siano convincenti, stavolta!»
«Non ho intenzione di chiederti scusa.» Specifica, e senza essere invitato, mi
scosta dalla soglia e la varca ritrovandosi nel mio ingresso. «Allora, il
tuo strabiliante progetto?» Domanda, tutto tranquillo, come se
non mi avesse appena dato della troia.
«Di’ un po’, non è che per caso soffri di bipolarismo?»
«Vuoi che me ne vada lasciandoti da sola?» E dal suo sguardo capisco che più
che una questione, sta ponendo un avvertimento.
«Di qua!» Scelgo di fargli strada, davvero non mi alletta l’idea di dover
restare da sola in casa con questo tempo finché i miei non tornano.
Accendo le luci per farci strada, ma mentre ci dirigiamo al laboratorio, si
spengono da sole ad intermittenza e poi decisamente ci lasciano al buio.
«Oh!» Esclamo sorpresa e grata che sia rimasta con qualcuno, Vegeta, a cui mi
attacco, sento il suo respiro sfiorarmi i capelli e un brivido mi sale lungo il
corpo, scuotendomi la schiena.
Egli se ne accorge, e naturalmente non si lascia scappare l’occasione per
deridermi mentre si allontana. «Fai tanto la spavalda e poi hai paura del buio!»
«Non ho paura, solo mi ha colto di sorpresa!» Mi giustifico, con ancora l’alone
caldo del suo respiro addosso.
«Non dirmi che non avete le luci di emergenza!»
«Solo in laboratorio, ma non possiamo scendere perché gli ascensori sono fuori
uso.»
«Fuori uso?»
«Ehm… mio padre ha dimenticato di collegarli all’impianto di emergenza. Ma in
cucina devono esserci delle candele.»
E con questo scherzo del destino, le probabilità di essere lasciata da sola
aumentano esponenzialmente. «Vorrà dire che vedrò il progetto domani.» Esclama,
infatti, Arensay.
«Cosa? Adesso non puoi proprio lasciarmi sola! Cosa faccio al buio?»
«Intanto ti accendi le candele!» Lo sento già camminare verso l’uscita. Così mi
gioco l’ultima carta.
«Aspetta, ti invito a cena! Scommetto che sei affamato, ho delle lasagne in
frigo!»
«Brief, per quale motivo dovrei trovare allettante mangiare delle lasagne
fredde al buio?»
«Staremo a lume di candela!»
«Oh beh, questo cambia tutto!»
Inizio a stufarmi di doverlo pregare tutte le volte, per tutte le cose! «Non
dirmi che tutte queste reticenze sono perché temi una reazione gelosa da parte
del mio ragazzo!»
«Non dire stupidaggini! Hai forse dimenticato come l’ho ridotto?»
«Magari è stata solo fortuna!»
«Andiamo.» Decide infine, e ci dirigiamo in cucina.
«Farai anche finta che le lasagne fredde ti piacciono?»
«Me le riscaldi in padella, visto che il gas funziona.»
Cosa
mi sono ridotta a fare, pur di non restare da sola! Rigiro in padella le
lasagne, ormai ridotte ad un ammasso informe; la luce delle candele mi trema
addosso, come lo sguardo di Vegeta che reclama la sua porzione perché sta
morendo di fame.
«Ho fame anch’io, se proprio vuoi saperlo, e mettermi fretta non mi farà
sbrigare: ci vuole il tempo che ci vuole!»
«A rovinare la cena?»
«Guarda che sono un’ottima cuoca, non è colpa mia se adesso devo arrangiarmi
alla bell’e meglio, per servire qualcosa di caldo a vostra grazia.»
«Se non ti sta bene, posso anche andarmene!»
Gli spiattello la sua porzione in un piatto che gli metto davanti. «Ecco.»
Pendo posto anch’io, di fronte a lui e iniziamo a mangiare, al lume romantico
di una cena che di romantico non ha niente.
Solo il trillo del telefono spezza la mancanza di conversazione. Si tratta di
mia madre. «Oh, tesoro, sono la
mamma!»
«Era ora che vi faceste sentire.» La rimprovero, stizzita: non si “abbandona”
una figlia così.
«Hai ragione cara, ma siamo riusciti a telefonare solo in questo momento, sai
il convegno è durato più del previsto.»
Mi ero dimenticata dal convegno a cui mio padre era stato invitato. «Beh non
importa, a che ora tornate?»
«Ma cara, con questo tempo e con il traffico che c’è, sarebbe davvero da
irresponsabili prendere la macchina. Pensavamo di passare una serata romantica
in Hotel!»
«E io che faccio, resto sola? Lo sai che è andata via la luce?»
Biascica qualcosa di sconnesso, prima che cada ancora la linea a causa della
neve; ma in quel momento torna la luce, con un mitico tempismo.
«Erano i miei, faranno tardi.» Mento. «Emh… Ti va di
vedere un film?» Approfitto lestamente, strizzando gli occhi alla luminosità
ormai tornata.
«Mi va di andarmene, veramente.»
«Perché? Hai forse paura che ti salti addosso?»
«Perché dovrei?» Stiletta, con aria di sfida.
«Beh… magari perché… dovrai spiegare a Diciotto di aver passato la serata con
una ragazza attraente come me.»
«Non ti trovo affatto attraente.» Bercia di rimando, e si sta già alzando in
piedi.
«Oh, accidenti a te! Ti pago, d’accordo?» Propongo.
«Mi hai preso per una prostituta?»
«Ti ho detto che non voglio restare da sola!»
«Sei proprio una cagasotto!»
«Non è così! È solo che da sola, mi annoio. Quando vuoi? Duelima, tremila? Ti darò
darò cinquemila zenizeni all’ora!» Inizio a dare i numeri.
Scuote le testa, ma infine accetta.
«Diventeranno seimila, se mi costringi a vedere una cavolata.»
«Affare fatto!» E ci stringiamo la mano, senza lasciargliela, lo induco a
seguirmi al piano di sopra. Solo una volta davanti alla mia collezione di
videocassette, lo lascio.
«Avrei giurato che la tua stanza fosse più femminile.» Esordisce, guardandosi
intorno, forse deluso per non trovare alcun appiglio alla presa in giro su cui
stava già rimuginando. La cameratta da principessa.
Poco male.
«Solo perché sono la reginetta della scuola, non vuol dire che impazzisca per
trine e trinette dipinte di rosa.»
«Allora questo film?» Taglia corto, iniziando a scorrere lo sguardo sulla mia
collezione di videocassette.
Naturalmente, iniziamo un litigo estenuante sulla scelta della videocassetta.
Alla fine propendiamo per qualcosa che possa andare bene ad entrambi e, una
volta sistemati sul letto, Vegeta decide di mettersi comodo sfilandosi cravatta
e giacca.
A quel punto, inizio a riconsiderare la scelta di averlo costretto a passare la
serata con me, culminata con entrambi su letto. «Sei sicuro che non ti
interesso, neanche un pochino?» «Sicuro. Perché, ci stai facendo
un pensiero, Brief?»
«Affatto.»
«Bene.»
«Beh, promettilo.» Ripeto non del tutto soddisfatta.
«Non ti toccherei nemmeno con un bastone allungabile.» Promette.
«Davvero?!» Mi scandalizzo, senza ragione. «Il non piacere è diverso dal fare
schifo!» Faccio presente, sentendomi quasi offesa.
«Sei sicuro di non essere tu, quella bipolare? E poi sei stata tu ad invitarmi
in camera.»
«Perché i mie film sono qui.»
«Potevi portarne uno di sotto.»
«Il lettore è rotto, da giorni ormai, e mio padre non decide a sistemarlo.»
«Ma non mi dire.»
«Vuoi forse insinuare che mi piaci? Ti spagli, per la cronaca, nemmeno io ti
toccherei.»
Mi rivolge un ghigno metallico. «Allora, non c’è alcun rischio!»
«Infatti.» Continua a sogghignare.
Torno al film. Solo per alcuni istanti. «Sono la più bella della scuola, è
impossibile che non ti piaccia!»
«Invece fattene una ragione. Per me potresti metterti nuda, non mi farebbe né
caldo né freddo.»
Sono evidentemente troppo sciocca, o troppo piena di me per credere che sia
sincero. Sono sicura che tutti, a scuola, mi guardano desiderando di avermi
come ragazza. Ora, sono per certo più bella di Diciotto. È impossibile che non gli
faccia né caldo né freddo.
Deve notare la mia indecisione, così mi viene vicino e, guardandomi negli
occhi, a un palmo dal mio viso mi assicura che: «Non mi si rizzerebbe nemmeno
se me lo toccassi!»
«E perché mai? Ce l’hai rotto?» Lo provoco, senza sapere bene il perché, ma è
un insulto che mi ha servito su un piatto.
«No, è solo che mi fai quest’effetto.» Taglia corto, in un mugugno, tornando
dal proprio lato; ma aggiunge: «E comunque se continui ad insistere, potrei
pensare che sia tu a volermi portare a letto.»
«Hai ragione. Spogliami.» Lo sfido nuovamente, senza riconoscermi nella mia
stessa proposta. Voglio proprio vedere se è capace di restarmi indifferente.
Si sistema gli occhiali sul naso, riflettendo su questa assurda competizione a
chi dei due ha più ragione.
Infine, mi sorride malizioso e, avvicinatosi, inizia a spogliarmi. Toltami la
divisa, con gesti caldi quanto un termosifone in estate, mi lascia in
biancheria intima. Sta per allontanarsi, convinto di aver ottenuto
soddisfazione; gli prendo le mani e, in un sussurro gli dico:
«Il reggiseno, toglilo.»
La richiesta lo lascia basito, ormai immagino non capisca fino a che punto questo
sia ancora uno gioco scemo tra me e lui o, se veramente, vorrei concedermi alle
sue attenzioni.
Accoglie quest’ultima richiesta, però, stavolta, mi accarezza la schiena nuda
dai fianchi alle spalle, sfiorandola con le dita.
Si sporge verso il mio collo, mentre slaccia gli agganci; sento il suo respiro
sulla pelle. E, nolente, inizio a sciogliermi, sentendo il suo corpo così
vicino al mio. Lui non lo immagina, ma è la prima volta che un ragazzo mi vede
così. E devo essermi bevuta il cervello, per averglielo lasciato fare! Eppure,
sento che… se volesse continuare… le sue labbra sono a pochi centimetri dalle
mie. Forse vorrebbe baciarmi. Il suo odore. Socchiudo gli occhi, schiudo
le labbra in un respiro, quando sento il petto nudo, senza reggiseno.
Si allontana leggermente e… vengo ricoperta dalla camicia da notte che tenevo
sotto al cuscino.
Continua….
Questa
volta l'aggiornamento è arrivato prima! Purtroppo oggi vado un po' di fretta
per via dello studio, quindi non posso rispondere alle vostre bellissime
recensione! Vi prego di scusarmi, la prossima volta risponderò volentieri a
tutti quanti! Grazie ancora per le belle parole lasciate!
Infine,
ringrazio tutti coloro che leggono e che seguono la storia; che l'hanno
inserita tra le ricordate e e chi tra le
preferite! Grazie!
Mi
scuso ancora, per non poter rispondere! Ciao a tutti, alla prossima!
Sento freddo, cerco
di coprirmi ma la coperta non riesce a riscaldarmi, per qualche strano motivo è
troppo corta.
Allora, la tiro verso di me ma c’è qualcosa che la blocca. Tiro con più forza,
nel frattempo, apro gli occhi e...
«Vegeta!»
«Mh?»
Non ci posso credere: ha dormito qui!
«Vegeta!» Urlo con più convinzione, dandogli uno scossone.
«Ma si può sapere perché non mi lasci dormire?» Mugugna, stropicciandosi gli
occhi; in quel momento si accorge di aver dormito con tutti gli occhiali. «Ma
che? Cazzo!»
Si desta di colpo mettendosi a sedere, più spaesato di me, resosi conto che la
vera dimenticanza non riguarda gli occhiali. Guarda a destra, a sinistra.
Prima di aprir bocca inizia a tastarsi i vestiti, forse per verificare che
siano al proprio posto.
«Che diamine ci faccio ancora qui?»
«Vorrei saperlo anch’io! Non mi pare di averti invitato a passare l’intera
notte nel mio letto.» Bercio, senza alcuna ragione, giacché ancora meno ne
avevo nell’invitarlo a… spogliarmi!
Gli rifilo un altro spintone, per riprendere possesso completo del mio piumone,
mentre mi sovvengonoaltri particolari
della notte appena trascorsa in compagnia dell’ultima persona al mondo con mi
sarei aspettata di dormire.
Il quale nel frattempo sta recuperando gli indumenti smessi: la giacca e la
cravatta. Alcuni raggi polverosi filtrano dalle tapparelle, spezzandosi sul suo
corpo.
Sembra in crisi peggio di me.
«I miei non ci sono!» Lo informo. «Puoi anche fare con calma.»
«E invece, io sono qui e non dovrei esserci! Dov’è la cravatta?» Solleva
lenzuola e cuscini alla ricerca dell’oggetto perduto.
Decido, allora, di aiutarlo, almeno per evitare che metta a soqquadro l’intera
stanza. Poi, una strana sensazione mi assale. Come se avessi dimenticato
qualcosa.
«Sai, Vegeta, mi pare
di aver dimenticato qualcosa.» Ripeto a voce alta.
«Il pudore, forse?»
Scherza, guardandomi il seno prosperoso che, a stento, riesco a tenere nella
scollatura della camicia da notte.
Mi copro con le
braccia, arrossendo. Spalanco gli occhi. E ricordo. Anzi, ricordiamo.
«La scuola!»
Esclamiamo all’unisono, e continuando ad avere un unico pensiero, ci buttiamo
verso la sveglia, ticchettante da sopra il comodino. La capocciata è
inevitabile.
«Mi hai fatto un male cane, accidenti a te!» ci rimproveriamo ad una voce,
premendo la mano sul punto dolorante della fronte.
«Non potevi stare più attento, eh? Vuoi che vada in giro con un bernoccolo?»
«Sono le nove e mezza.
Maledizione, per colpa tua farò tardi!»
E corre dritto al
piano di sotto, seguito da me che gli chiarisco lo sbaglio di credere che lui
non c’entri nulla con questa svista. Apre il portone, e io chiudo la bocca.
È tutto coperto da un
pesante manto bianco. «Azzarderei che la scuola è chiusa stamattina.»
Proferisco, quasi non fosse abbastanza chiaro; mi stringo nella camicia da
notte, torno dentro.
«Ebbene, vuoi farci
gelare? Chiudi quella porta!» Lo invito. Alle sue spalle, un cumolo bianco cade
da un albero, prima di ritrovarci entrambi nell’ingresso a porta chiusa.
Restiamo in silenzio,
che rompo io per prima. «Comunque non credere di raccontare quello che è
successo ieri.»
«E cosa sarebbe
successo ieri?»
«Beh… lo sai.» Tipo
che mi ha visto le tette.
«So cosa?» Vuole
scherzare forse? Dal ghigno si direbbe di sì.
«Sul fatto che mi hai
visto le tette.» Dico bieca, scandendo bene ogni parola.
«Ah! Certo, non
preoccuparti, sarebbe più clamoroso se raccontassi che non te le ho viste!»
Sfila al piano di
sopra prima che riesca a prenderlo a sberle, torna in un lampo con in mano le
chiavi della sua macchina. Deve averle tolte dalle tasche ieri sera. Apre
ancora il portone e senza salutare va via. Mi lascia sola, con in mente la sue
mani sul mio corpo. Non avevo mai permesso a nessuno di arrivare a tanto, non
capisco cosa mi sia preso, ero come impazzita.
Salto in piedi per
fiondarmi in bagno, confusa dalle miei sensazioni: mi sento sporca e con la
spugna gratto via l’impressione del suo tocco; oppure, vorrei lavare via la
certezza che, per la prima volta, sarei stata capace di lasciarmi andare, con
lui? Impossibile.
Organizzo il
pomeriggio insieme ai miei amici. Avrei evitato, perché sono ancora arrabbiata
con loro, ma hanno insistito così tanto che infine ho ceduto. Se, però, avessi
saputo quale tiro intendevano prepararmi, gli avrei mandati tutti a quel paese!
La proposta era
infatti stata una battaglia di neve nel parco centrale, la realtà, era un
appuntamento con Yamcha per indurmi a far pace con lui.
Si forma una nube di vapore a ogni mio respiro, da piccola cercavo di formare
delle spire nell’aria, per emulare il mio papà con il fumo delle sigarette, ma
non ci sono riuscita che quando ho iniziato a fumare anch’io.
Yamcha è seduto accanto a me, su una panchina che quale abbiamo dovuto liberare
dalla neve. Indossa la sciarpa rossa che gli ho regalato al nostro primo San
Valentino, un colpo davvero basso. Il naso è invece ancora gonfio, un colpo
meritato. Davanti a noi il laghetto ghiacciato. Spero abbia architettato questa
buffonata per spiegarmi il suo comportamento.
Tuttavia, continua a
restare in un silenzio impacciato. «Non è difficile, prova col raccontarmi
cos’è accaduto sabato.» Gli suggerisco.
«Io… c’è stato solo
un bacio, con una. Cioè, lei ha provato a baciarmi e io…»
«Ti è piaciuto,
suppongo. Le labbra ce le abbiamo tutti e funzionano a tutti allo stesso modo.»
Getto fuori il fumo, stupita da quanto cruda sia stata la mia deduzione.
«Ma non ho risposto!»
«La conoscevi già?»
«Ecco… no, tesoro.
Mai vista.»
«E una che non ti ha
mai visto, appare così dal nulla e ti bacia?»
«Era ubriaca, ed era
della nostra scuola; forse chissà, ha sempre avuto una cotta per me.»
«Hai appena detto di
non averla mai vista!»
«Beh… ero confuso
quanto te, prima che mi dicessero che beh… era una ragazza della nostra scuola
che non ho mai visto!»
La mia decisione di
non parlare o forse la mia espressione annoiata deve averlo indotto a
sbrogliare le sue menzogne, perché ritorna sulle sue stesse parole e ammette di
conoscerla già. «Ma se ti dico chi è, prometti di non dare di matto?»
«Perché dovrei dare
di matto? Tanto c’è stato solo un bacio, per giunta non corrisposto, o
sbaglio.»
Sono terribilmente a
disagio, evito di guardarlo negli occhi e non per quanto lui stesso stia
ammettendo, quanto per ciò che io stessa non riesco ad ammettere: continuo a
pensare a Vegeta.
Inspiro il freddo
pungente di questo mese innevato, per raffreddare le sensazioni che, da ieri
notte, mi sono rimaste addosso. E abbiamo passato la nottata insieme, abbiamo
dormito insieme, insieme ci siamo svegliati.
Certo, Vegeta è stato
scontroso, odioso, bigotto… con che coraggio accuso Yamcha, quando ieri notte
mi è venuta la brillante idea di farmi spogliare da qualcuno che non ha aperto
bocca se non per darmi della puttana?
A me che sono ancora vergine!
«Yamcha, ascolta, non
mi va di parlarne adesso.»
«Perché, no? Lasciami
spiegare!»
«Non mi sento molto
bene, credo che tornerò a casa. Sarà stato il freddo. Davvero, ne riparliamo.»
Cerco di mettere fine a questa penosa conversazione, ammansita dal ricordo
delle mie azioni. Già mi alzo in piedi, e ripercorro la via verso casa. Vegeta Arensay! Spero non racconti
a nessuno l’accaduto.
La vacanza da scuola
è durata solo un giorno. Non appena la neve ha smesso di scendere, è stata
spazzata via dalle strade e accantonata ai margini della carreggiata.
Ho cercato di arrivare
prima degli altri, prendendo un autobus cittadino piuttosto che il bus di
scuola, nella speranza di incontrare (o scontrarmi) con Vegeta. Vorrei
parlargli riguardo la mia sciagurata idea di due sere fa; non arriverei mai a
pregarlo di mantenere il silenzio, ma forse riesco a inculcargli che sono una
ragazza per bene e non una poco di buono, come è convinto che sia.
I corridoi della
scuola sono quasi deserti, così come la mia classe ed Arensay non è ancora
arrivato. Decido di fare una capatina al bar, nella fretta di raggiungere la
scuola il prima possibile, ho dimenticato la colazione. E proprio qui, trovo il
mio compagno di disavventure immerso nella lettura di un libro, muffin alla
mano e un espresso pronto per essere bevuto.
«Buongiorno!» Lo saluto,
prendendo posto sullo sgabello al suo fianco.
«Brief.» Gli occhi
gli scorrono sulle pagine di un mattone di romanzo scritto in inglese.
«Credo di doverti
delle spiegazioni riguardo l’altra sera.» Esordisco, cercando di sembrare il
più sicura e consapevole possibile.
Neanche mi guarda.
«Non importa.»
«Invece, sì, prima di
tutto non ti permetto di considerarmi come credi che io sia!»
Sposta lo sguardo dal
libro su di me. «Non ti considero proprio.»
«Non sono una che va
con tutti!» Chiarisco, senza lasciar spazio ad un nuovo battibecco. «È solo
che, non so cosa mi sia preso; ero probabilmente arrabbiata con Yamcha e,
dentro di me, volevo fargliela pagare in qualche modo.» Butto giù, e non è
neanche tanto vero. Sono semplicemente impazzita.
«Capisco, sarà stato
il mio accattivante magnetismo.» Mi sorride mellifluo; vuole prendermi in giro.
«Ma che dici, di
magnetico hai solo l’apparecchio!» Rispondo, scostandomi una ciocca ribelle dal
volto.
«Ci hai pensato tutta
la notte?» Domanda, masticando il proprio muffin.
Arrossisco
imbarazzata. «Ecco, no… io…»
La mia reazione lo
diverte, manda giù il boccone. «Intendevo alla battuta pessima.» «Ho
pensato di adeguarmi al tuo humour inglese.» Stiletto mentre raggiungo il
bancone per comprare un cornetto alla crema.
È ancora presto per
entrare in classe e, dopo colazione, mi fermo vicino al cortile per fumare una
sigaretta prima delle lezioni. Fa freddo, e mi copro per bene con il mio
cappottino rosso.
«Tsk, non lo sai che
il fumo invecchia?»
«Mi stai seguendo,
forse?»
«Sarà per il tuo
magnetismo!» Ridacchia, ma rende chiare le sue vere intenzioni quando, appoggiandosi
all’uscio dice: «Credo di aver dimenticato la cravatta da te, riportamela
domani.»
«Non credo proprio,
perché non l’ho trovata!»
«Ti conviene cercare
meglio, allora, non vorrei la trovasse il tuo ragazzo!» Ammicca lasciando
intendere la sconvenienza di una simile prospettiva, di cui certamente non gli
importa un accidenti. Tanto la brutta figura la farei io.
«Non ti preoccupare,
al momento dubito che mi venga a casa!»
Apre il libro che
stava leggendo poco fa al bar e, riprendendo la lettura, dice: «Hai ragione,
preferisce venire altrove.»
«Non fa ridere!»
Rimbrotto, offesa. «E poi senti chi parla, come se tu fossi un esempio di
virtù! Cosa direbbe la tua ragazza se sapesse cosa hai fatto a casa mia?» Detesto
questo suo atteggiamento di superiorità, quando ognuno di noi è colpevole.
«Se proprio ti
interessa saperlo, non ha detto niente.» M’informa tutto serio. Sistema gli
occhiali sul naso, solleva lo sguardo da Bleak
House, come leggo dalla copertina. «Anzi mi ha detto di ricordarti, che mi devi
quarantacinquemila zeni per aver passato la notte con te.»
Continua...
Ringrazio tutto
coloro che seguono e leggo questa fic!:D
Per GIUlZ87: Ciao
carissima! Ormai non so più come ringraziarti, visto che, da brava piattola, ti
bombardo sempre in chat!!xD Comunque ci tenevo che alla fine Vegeta, dopo
averle detto di no, decidesse di restare; l'ho fatto per evidenziare il suo
stato d'animo combattuto!:) Ah, sì, mi sono ispirata proprio a quella scena del
manga, avrei voluto aggiungere "sei anche bruttina" ma non ho saputo
inserirlo nel contesto :(, magari più in là!:D Spero ti sia piaciuto anche
questo capitolo!;) Alla prossima!
Per MauMau:
GRAZIE!! Sono contenta che ti sia piaciuto lo scorso capitolo e spero che
questo non sia da meno!;) Comunque, mi dispiace ma al momento
non rho intenzione ti tornare al presente: con quei due, Bulma e
Vegeta, non ho ancora finito! Ciao e alla prossima!:)
Per Vegeta4e:Ciao!
Grazie del compliemento! Anche se ho ancora molto da imparare!:) Mi
auguro che anche questo capitolo ti sia piaciuto! Alla prossima!^^
Per Yori:
Ciao Marty! Mi fa davvero piacere che tu ti riveda nei miei personaggi,
anche se, alla fine, per forza di cose, dovrò stravogere(leggermente) la
normalità delle loro vite!:) Visto?! Alla fine non si è spogliato,
piuttosto l'ha sconvolto il fatto di essere rimasto a dormire da lei senza
accorgersene!;) Spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto! Alla
prossima!^^
Per Maia74: Ciao
cara! Allora, per quanto riguarda il comportamente di Vegeta direi un
po' tutte e due le ipotesi da te avanzate!xD Spero tu abbia gradito anche
questo capitolo!:D
Per Lovelie:
Ciao cara, vabbè anche se non hai lasciato una recensione hai
comunque detto che il capitolo scorso ti era piaciuto, spero spero di
non averti deluso nemmeno questa volta! Grazie di seguirmi, un bacione e alla
prossima!^^
La campanella suona
nell’istante esatto in cui metto piede sull’ultimo gradino. Sciami di ragazzi,
accompagnati da un incessante vociare, ingombrano subito il corridoio. E perdo
di vista Vegeta.
Quel maledetto non ha voluto aspettarmi; non capisco cosa gli prenda, certe
volte. Oltretutto, come può credere di svignarsela dopo aver buttato lì
un’informazione così preziosa: il nome della ragazza che è stata con Yamcha. Ha
aspettato che la prima ora suonasse e poi mi vomitato addosso un nome che non
sono riuscita a capire. Quando raggiungo la
classe, Arensay è già vicino al suo banco.
E’ l’unico a sedersi, mentre gli altri schiamazzano ancora euforici: c’è chi
parla di una passeggiata nel parco innevato, chi di pupazzi di neve e altre
amenità. Lui, invece, è tranquillo, in silenzio, con già i libri pronti e
matita alla mano.
«Bulma, muoviti: dobbiamo andare!» Prima che riesca a chiamarlo, vengo colpita
in piena faccia dalla luce biancastra oltre le finestre: Chichi mi ha afferrato
per un braccio, trascinandomi fuori dall’aula con una giravolta.
«Ehi, ma che fai?» Protesto, liberandomi dalla presa.
«Come sarebbe che faccio: ti sto portando in aula magna!» Spiega, come se fosse
la cosa più ovvia del mondo.
«Ma perché? Non ci siamo andate la scorsa settimana?»
Sbuffa, prima di ricordarmi della riunione dei rappresentanti. Siccome io
sono una di loro la mia presenza è necessaria. La sua mano si stringe di nuovo
intorno al braccio e mi costringe a riprendere il passo, neanche fossi un
delinquente che ha bisogno di una scorta.
«O Bulma, dovresti iniziare a prendere il tuo ruolo può seriamente!»
«Sì, ma non così… spesso!»
«Sei proprio indolente, certe volte! Questo è quello che succede se ci si candida
senza cognizione di causa.»
Già, ha tremendamente ragione: mi candidai spinta solo dalla promessa della
libera uscita durante le lezioni. Credevo sarebbe stato divertente, facile
soprattutto; ovviamente mi sbagliavo: adesso so che non posso semplicemente
contare le mosche, ma giacché rappresentante devo curare gli interessi della
classe, discutere con i professori e proporre soluzioni di
riconciliazione.
Una vera seccatura che certamente non fa per me: detesto le
responsabilità.
Chichi, al contrario è molto presa dal ruolo che riveste all’interno
dell’istituto.
Prima di lei, non ricordo di aver avuto rappresenti altrettanto valenti: è una
tosta, sa il fatto suo ed è l’unica che riesce a mettere tutti d’accordo; non
per niente questo è il suo secondo anno di nomina. Il rumore dei
nostri tacchi si blocca davanti alla porta dell’aula magna. Una lunga porta a
scomparsa di legno scuro e lucido, sulla quale si riflettono le plafoniere
della parete di fronte. La ragazza infila le dita sottili nell’intercapedine
tra un’anta e l’atra, e, con tutta la forza che ha in corpo, tira verso di sé
liberando l’ingresso.
L’aula è vuota: come sempre siamo le prime ad arrivare.
Rivolgo a Chichi un’occhiataccia, per avermi fatto scapicollare senza motivo.
Tuttavia, il rimprovero non è raccolto: la mora sta già spostando le pesanti
tende di velluto rosso dalle finestre, per far entrare un po’ di luce tra
queste quattro mura.
«Quasi dimenticavo,» il fruscio delle stoffe copre leggermente le sue
parole, «papà ha detto che ieri sera mi hai chiamato.»
«Sì, volevo parlarti della vostra trovata geniale.»
La informo, mettendomi a sedere sul ciglio del palcoscenico in fondo alla
stanza; lascio i piedi penzoloni, facendo sbattere le ballerine tra di loro.
«Hai ragione, scusaci. Sappi, però, che l’abbiamo fatto solo per voi: il gruppo
non sarebbe lo stesso con te e Yamcha divisi.»
Si volta verso di me, cingendo le mani in grembo.
«Beh, mi dispiace per il gruppo.» faccio sarcastica, se le fosse dispiaciuto
così tanto avrebbero potuto impedire a Yamcha di sbaciucchiare la prima venuta.
«Sai bene cosa intendo!»
In realtà non molto, ma evito di aggiungere altri commenti: io stessa non ho
voluto parlare con il mio ragazzo, un po’ per senso di colpa e un po’ perché,
appunto, non saprei proprio cosa dirgli. Mi chiedo se Chichi sappia il nome
della ragazza con cui è stato. Avvicino lo zaino e caccio una sigaretta dal
pacchetto.
«Bulma, non si fuma
qui dentro. Non sai leggere i cartelli, o sei scema?» Mi viene cortesemente
ricordato, da Ginger, una ragazzona con una nuvola fulva in testa; trova sempre
mille modi per rimarcare la sua antipatia nei miei confronti.
Lascio che sia Chichi a salutarla anche per me.
«Gli altri stanno arrivando.» Comunica, spogliandosi di sciarpa e cappotto.
«Bene, intanto aiutami con queste sedie.»
Quando finiscono la
disposizione (un cerchio con la sedia di Chichi nel mezzo), sono già arrivati
tutti quanti gli altri.
«Bene, rappresentati, oggi abbiamo molto di cui discutere.» Esordisce Chichi,
mentre inizia a distribuire il programma della seduta:
1) Gita
scolastica (proporre mete);
2) Festa
di San Valentino (stabilire anche budget);
3) Chiedere
o no giorno di vacanza per il 19 (causa sciopero mezzi pubblici).
«Allora, che cosa
proponete?»
Chichi cattura la nostra attenzione, dispensando un sorriso diplomatico in
perfetta sintonia con la situazione; io, invece, mi sento il solito pesce fuor
d’acqua.
«Che ne dite di Praga?»
Ginger è la prima a farsi avanti, si alza in piedi e aggiunge:
«Non è una metropoli, quindi potremmo visitarla facilmente.»
«Scusate, ma perché non Amsterdam, allora?» Un ragazzo osa proporre, guadagnandosi
un’espressione feroce da parte della leonessa che detesta essere messa in
discussione.
Comunque, ho l’impressione che andremo per le lunghe: inizio persino a
rimpiangere l’ora di fisica che sto saltando.
Inoltre, come posso concentrarmi su ciò che dicono con tutto quello che mi sta
accadendo in questi giorni? Il tradimento di Yamcha, la mia botta di testa con
Vegeta… a proposito, spero di potermi fidare di lui sul serio, devo anche
pagarlo!
«E tu Bulma, cosa proponi?»
Mi chiamano in causa, cogliendomi alla sprovvista «Ahm, che ne dite di Barcellona?
E’ una bellissima città piena di attrattive.»
«Stavamo già parlando della festa!» mi schernisce Ginger, battendo a terra un
piedino grassoccio. «E comunque a Barcellona ci vanno quelli del secondo.»
«Non mi ero accorta
che avevate già cambiato argomento!»
«Se ascoltassi invece
di pensare ai tuoi bei capelli.»
«Sentite ragazze, non
perdiamo tempo con inutili battibecchi.» S’intromette Chichi per sedare la
discussione sul nascere; allarga le braccia con i palmi stesi.
«E per il ballo che proponi?»
Proporrei che non
sono in vena di decidere su cosa fare o non fare per una festa degli
innamorati, penso al mio ragazzo che tanto innamorato non mi è parso, a Vegeta
che mi ha spogliato, alla sua ragazza scontrosa che gli ha ricordato di farsi
pagare. Decisamente non mi sento in vena di romanticherie. «Non ne ho idea.»
«Naturalmente, prendi
sempre il tuo ruolo con molta serietà, Brief!» Mi attacca la rossa, e non posso
davvero darle torto. «Perché non lo ammetti una buona volta, che sei qui solo
per saltare le lezioni? Ti hanno votata solo per le tue moine.»
«Tanto lo sappiamo
tutti che finiremo a mettere cuori ovunque! Cosa ne discutiamo a fare?» Mi
difendo, che sciocchezza! Come se loro stessero qui per salvare il mondo,
anziché saltare le lezioni.
L’assemblea va avanti
a singhiozzi di battibecchi, fino al suono della ricreazione. Mentre
gli altri escono, io
resto ad aiutare Chichi con le sedie: abbiamo un discorso da finire.
«Allora tu e Yamcha cosa vi siete detti?»
«Non molto. A suo
modo mi ha confessato qualcosa, ma non avevo molta voglia di starlo a sentire.»
Ammetto.
«Sei ancora molto
arrabbiata?» Ma va? Lei come la
prenderebbe se Goku si sbaciucchiasse con un’altra? Il vero problema è che la
mia coscienza mi impone di perdonarlo, allo stesso tempo non vorrei mettermi
nella posizione di dovergli raccontare della mia serata con Vegeta. Se lo
perdonassi subito, non sembrerebbe strano, vedermi così remissiva?
«Sì, e molto anche.»
Blatero, raccolgo la mia roba.
«Ma non avevi detto
che, se lui avesse confessato, lo avresti perdonato?» Mi ricorda.
«Beh… in realtà ho
dovuto cavargli le parole di bocca.» Non è che abbia davvero confessato, eh! E
poi, dovrei confessare anche io? Per le sensazioni provate a casa di Vegeta, le
sue mani sulla mia pelle… il suo odore tra le mie lenzuola.
«Non è così
semplice!» La butto lì e, raccolta la mia roba, dico a Chichi che non ho
intenzione di passare la ricreazione in un posto polveroso come il palco!
«Ma il nome della
ragazza, lo sai?» Continua imperterrita, una volta fuori.
«Più o meno… so che
la conosce, Vegeta mi ha detto qualcosa ma non ho ben capito.»
«Vegeta?» Chiede, e dopo essersi ricordata della scenetta avvenuta
in classe, azzarda: «Ma dimmi, per quale motivo siete diventato tanto amici?»
Arrossisco
imbarazzata. «Amici? Ti sbagli Chichi, stiamo solo lavorando insieme a quel
progetto di scienze. Per il resto, ti assicuro che è un vero buzzurro!»
«Ma dici che ti viene
dietro?» Ammicca, forse sperando di accaparrarsi qualche informazione in più;
mi viene il sospetto che, tutte questa chiacchiere, siano state richieste da
Yamcha. Che sospetti qualcosa? E cosa potrebbe sospettare? Saprà che abbiamo
passato un’intera giornata insieme? Saremmo stati visti alla mensa, ma non c’è
alcun male a condividere un pasto.
«Ne dubito. E spero
di no, ma l’hai visto?»
Se continuo a non
apprezzarlo pubblicamente, magari nessuno arriverà a capire quanto inizi a
piacermi passare del tempo con Vegeta. È molto intelligente e… senso
dell’umorismo a parte, è stimolante parlare con lui.
«Comunque, io l’ho so
chi è la ragazza!»
«Conosci il nome
vero?» Mi agito, nessuno potrebbe mai chiamarsi C18!
«Beh… sì, è Marion…»
Balbetta Chichi, e la guardo da ebete per un tratto finché non collego le sue
parole alle mie sinapsi: si riferiva alla ragazza che ha baciato Yamcha, non
alla ragazza di Vegeta. Che testa, avrei dovuto afferrare al volo! Marion. La ragazza più
cretina per cui si possa prendere una sbandata. A dirla tutta mi assomiglia
molto, fisicamente intendo. Che non
si sia scansato perché credeva fossi io?
E poi perché proprio
lei? È una cheerleader del mio gruppo, adesso avrà sicuramente raccontato a
tutte di avermi soffiato il ragazzo! Quella stupida. Devo trovare un modo per
fargliela pagare.
E Vegeta, come
accidenti l’ha vista? È evidente che la notizia sia, grazie a Marion, sulla
bocca di tutti. Ecco come l’ha saputo anche lui.
Questo, davvero, non
posso perdonarglielo, a Yamcha, di avermi resa ridicola nella mia stessa
scuola, quando ci sono già abbastanza dicerie sul mio conto!
Adesso sì, che è
tutto rovinato. Almeno ora ho un motivo per farmi vedere arrabbiata nei suoi
confronti, perché io, al contrario, non lo avrei mai tradito con qualcuno di
levatura tanto bassa! Arensay, almeno, sa il fatto suo.
A ricreazione finita
torniamo in classe. La professoressa Green sta già consegnando i test per il
compito.
Vegeta e Chichi sono
gli unici due tranquilli, mentre noi tutti stiamo tribolando davanti ai quesiti
incomprensibili.
Ho studiato insieme
al primo, quindi non dovrei trovare molta difficoltà! Eppure, arrivo
tentennante fino alla quarta domanda, su cui mi blocco. Ricordo l’argomento,
trattato in classe appena una settimana fa, ma ricordo anche di non aver
seguito affatto la lezione e con Vegeta non ne abbiamo parlato!
Se l’insegnante non
se la fosse presa così tanto per lo scherzo della forchetta, sarei potuta
andare da lei a chiederle qualche chiarimento strategico. Mi avrebbe aiutato di
buon grado, ma suppongo che ai professori non faccia piacere rendere note le
proprie beghe, in questo caso, un atteggiamento di favore nei miei confronti.
Come potrei risolvere
questa perniciosa situazione? La formula non torna neanche se ricevessi
un’ispirazione divina. Tutta colpa di quello stronzo di Vegeta!
I minuti iniziano a
passare inesorabili. La biro mi scivola dalle dita mentre calco sul foglio per
scrivere risposte che non trovo. Mi asciugo una mano sulla coscia velata dalla
calzamaglia bianca.
Il silenzio è esplosivo, nel ticchettio della lancetta dell’orologio alla
parate.
Basta, ci riprovo.
Afferro la gomma per cancellare e ci scrivo sopra “il quarto?” poi, la tiro
ad Arensay. La piccola missiva di lattice sbatte contro la finestra, prima
di ricadere sul suo banco. La professoressa allunga su di noi uno sguardo
inquisitorio e, non trovando soddisfazione, torna a leggere il giornale.
Vegeta, invece, raccoglie la gomma e sbuffando, lo vedo scriverci sopra
qualcosa! Chi l’avrebbe mai detto? Che abbia deciso di aiutarmi? Si alza dal
posto per fingere di dover aguzzare
la matita. Non nonchalance mi lascia la gomma sul banco. Rigiro subito tra le
dita quel triangolino biancastro, lo libero della carta protettiva per leggere
il suggerimento nascosto. E... “Scordatelo”, scritto
maiuscolo, lapidario. Che razza di
comportamento è, non c’era bisogno di scrivermi una risposta simile.
Maledetto Vegeta, riesce sempre a trovare il modo per infastidirmi più del
dovuto.
La campanella
dell’ultima ora è accolta dalla solita euforia.
Ripongo, velocemente, le mie cose nello zaino e mi avvicino a lui, Vegeta,
prima di smarrirlo tra la folla.
«Oh mi spiace tanto
di non averti aiutato!» Mi prende in giro, non appena si accorge di me, che gli
cammino affianco.
«Figurati, come
minimo oggi dovrai venire ad aiutarmi in laboratorio!» Sto in pratica mandando
il progetto avanti da sola. Va bene che mi diverte, ma se continua così lo
presenterò soltanto a mio nome.
«Non posso, devo
recuperare l’allenamento di nuoto che ho perso a causa della punizione. E
questo venerdì ho una gara.»
«Sono sempre da sola
a costruirlo, dovrei considerare di presentarlo solo a nome mio!» Ripeto ad
alta voce.
Blocca il passo, e impone
anche a me di fermarmi. «Non ci provare, Brief! L’idea è stata mia e anche
tutti i calcoli sono stati miei!» E con questa minaccia, senza aspettare una
risposta, né salutare, mi lascia.
«Invece è proprio
così che andrà a finire! Mi hai sentito?»
Sei e un quarto.
Tre ore di studio: un vero record personale; non ricordo di aver mai studiato
con tanto zelo, ad eccezione di quella volta in biblioteca con quello zotico di
Vegeta.
Chiudo il libro di latino e spengo la lampada del comodino, vorrei stendermi a
riposare un po’ e ho già il walkman addosso, per addormentarmi ascoltando
musica, quando il ciuffo biondo di mia madre fa capolino da dietro la porta.
«Tesoro, ma perché
non rispondi?»
Mi libero dalle cuffie. «Come hai detto?»
Sorride,
imperturbabile. «Di sotto c’è qualcuno per te!» Ammicca.
«Chi Vegeta?»
Domando, contenta, ci avrei scommesso! Sicuramente non vuole che presenti il
progetto da sola (perché ne sarai capacissima), e si sarà sentito in colpa per
aver scaricato tutta la responsabilità su di me.
«Oh no, tesoro, è
Yamcha!»
Il quale è giunto per invitarmi fuori a cena. Sono costretta ad accettare,
prendendola come un’occasione di mostrarmi arrabbiata. Perché non riesco ad
esserlo per il tradimento, sarebbe da ipocriti. Lo sono però per la sua
leggerezza! Baciare Marion, che mi avrà sicuramente coperta di ridicolo.
«Così, lei
è Marion.» Asserisco a bruciapelo, causando un repentino cambio di
espressione al mio ragazzo, intento a tagliare la sua pizza a spicchi.
«Come lo sai?»
Balbetta.
«Come ho fatto a non
saperlo per tutto questo tempo, vorrai dire! Lo sanno tutti a scuola. Mi chiedo
solo cosa ti sia saltato in mente. Non hai visto che non ero io?»
Voglio concedergli
uno spiraglio di speranza, non ho affatto voglia di stare a discutere su queste
sciocchezze. Anche io ho perso la testa, quella sera con Vegeta. Se Yamcha non
è del tutto stupido, coglierà il mio suggerimento.
«Ecco… ehm…. al buio,
è stato difficile capire bene, poi si è gettata sulle mie braccia con tanto
ardore che ho davvero creduto fossi tu.»
«Immagino.» Affondo
il coltello nella pizza, su cui inizio a scaricare la mia rabbia senza riuscire
a formare uno spicchio come si deve.
«Quella stupida, se
ne sarà approfittata. Ma poi non è neanche vero che mi somiglia, no?»
«Assolutamente,
tesoro, siete così diverse… cioè… a parte i capelli… per il resto… non ha la
tua classe!»
«Lo credo anch’io!»
Rispondo, a bocca aperta, masticando un boccone che mando giù con abbondante
cola.
«Ma vedrai, ho
preparato una sorpresa che ti farà dimenticare l’accaduto!» Promette,
trasognato, accarezzandomi una mano.
Mando giù la pizza. E
guardo gli occhi dolci di Yamcha, il mio ragazzo di sempre. Stiamo insieme da
così tanto di quel tempo che tutti si aspettano che sia così per sempre. E
perché non dovrebbe? Anche io non posso dirmi senza colpe. In fondo non è con
lui che sono arrabbiata, ma con l’altra a cui, giuro, preparò uno scherzetto
che non dimenticherà tanto facilmente.
Continua…
Ringrazio tutti per
le splendide recensioni, in particolare Giulz87, MauMau, yori,
vegeta4e, maia74, lovelie e Bolla Blu*; inoltre tutti coloro che
seguono e leggono la storia anche solo per caso! Giuro che la prossima volta
lascerò due righe di risposta a tutti voi, stasera davvero non ho tempo
ma volevo ugualmente postare il capiotolo!T.T Perdonatemi, anche se
sono imperdonabile!T.T
Spero che anche
questo capitolo, di passaggio in verità, sia stato di vostro gradimento. Alla
prossima! Un salutone a tutti voi!
Ps: ieri avevo
dimenticato di nominarti! Scusami tanto!:)
«Ahi, mi stai tirando i
capelli, Yamcha!»
«Scusa, tesoro, ma è molto corto.»
Sbuffo, mentre aspetto che quest’idiota finisca di coprirmi gli occhi
con uno stupido foulard che odora di antitarme. Ci sta impiegando una vita
e qui nell’atrio fa un freddo cane. Mi chiedo a cosa servano i termosifoni
nella tromba delle scale, se poi nessuno li accende.
«Fatto!» Annuncia, finalmente. «Vedi qualcosa?»
«No, però puzza!» Il fazzoletto sta scivolando verso il mento; allora lo blocco
con una mano, e, sbuffando di nuovo, alzo la testa in alto per evitare di
perdermelo.
«Se vuoi lo stringo ancora.» Si offre Yamcha.
«No, grazie: mi hai già strappato abbastanza capelli!»
Arriva l’ascensore e vengo spinta dentro con una leggera pressione sulle
schiena.
Le porte si chiudono; ho la sensazione di innalzarmi nel vuoto. Presa dalle mie
sensazioni non mi accorgo che la fascia si snoda ancora.
«Yamcha, guarda!» Lo avverto e, repentino, cerca di
sistemarmi.
Un trillo avverte che siamo arrivati al nostro piano, così vengo scortata
all’esterno dal moro, che continua ad armeggiare dietro la mia testa.
«Vai avanti piano, a sinistra.» Suggerisce.
«Lo so: conosco bene la strada.» Capirai, sarò venuta qua almeno un centinaio
di volte da quando stiamo insieme; tuttavia tanta sicurezza viene sfatata
quando il mio ragazzo mi afferra per il cappotto: evidentemente stavo superando
il suo portone.
«Scusa, ma non sarebbe stato meglio indossare il foulard adesso, invece che
prima?» Domando, arguendo di aver compiuto uno sforzo inutile.
«No, è stato meglio così.» Biascica l’altro di rimando, con tono insicuro,
resosi conto della stupidità che ha impregnato la sua idea.
«E perché mai?» Sono proprio curiosa di sapere cosa inventa per giustificare la
sua mancanza di organizzazione, ma resta in silenzio, mortificato dall’ovvietà
dell’osservazione. Sono sicura che Vegeta avrebbe trovato di che rispondere per
le rime. Anche se, non sono sicura si sarebbe preso tanta briga per la sua
ragazza. Ho visto come la tratta con indifferenza! Scommetto, le avrà
raccontato della nostra serata al puro scopo di prendermi in giro con lei. Yamcha, invece, è tanto caro! Nonostante sia troppo
spesso dietro ad altre… davvero troppe volte si perde in un bicchier d’acqua.
«Ehi, fa’ attenzione!» Esclamo, sentendomi tirare.
«Scusa: devo prendere le chiavi in tasca.»
«Te le prendo io, basta che smetti di tirarmi i capelli!» E inizio così a
cercarle nelle tasche del suo giubbotto; spero solo non arrivi qualcuno:
sarebbe abbastanza imbarazzante.
Dopo un’eternità (non so se per colpa dell’incompetenza di Yamcha,
o per il foulard troppo corto), riusciamo varcare la soglia di casa e il
profumo di vaniglia del salotto m'invade le narici.
Poi mi sfila il cappotto e, prendendomi sottobraccio, mi accompagna per il
corridoio.
Anche da bendata riesco a figurarmi la struttura del suo appartamento; per
esempio, presumo di aver appena oltrepassato la cucina.
Scommetto che è anche in disordine, forse la benda serve a nasconderlo. «I tuoi
genitori dove sono?»
«Dalla nonna; tornano lunedì: te lo avevo anche detto.»
Già, me lo aveva detto: è un’informazione che risale a prima del “fattaccio”;
quando eravamo una coppia perfetta.
Ricordo che, per l’occasione, avevamo intenzione di organizzare una serata qui,
con gli tutti gli altri. Siamo stati due stupidi.
Inizio a pensarci troppo, non ha senso continuare con le accuse. Altrimenti,
non avrebbe avuto senso seguirlo fino a qui.
Entrambi, riprenderemo il controllo della situazione e tutto tornerà perfetto,
in barba a Marion!
«Puoi toglierla adesso!» Mi invita, quando credo di trovarci davanti alla sua
camera da letto.
Libero gli occhi dalla pezza puzzolente e strabuzzo: non siamo nella sua
stanza ma nel bagno.
«Ti piace?» Vuole sapere, accanto una vasca colma d’acqua e bollicine.
Deglutisco, sforzandomi di restare calma mentre il sangue mi sale alla testa,
insieme all’odore di muschio bianco.
Come cavolo gli è saltato in mente?
Abbiamo appena fatto pace per colpa di un suo tradimento, e lui vorrebbe che lo
facessimo così, in una vasca da bagno? Inoltre, chi ha preparato la vasca
mentre noi eravamo via a cena? Forse suo fratello Puar.
E come sapeva che l’avrei già perdonato, sono così scontata? Una pizza e una
vasca da bagno, è tutto quello che valgo per lui?
«Allora? Sei rimasta senza parole, vero?»
«Decisamente.»
Ammetto che, in altre circostanze, avrei apprezzato una romanticheria simile,
sciogliendomi come un ghiacciolo (o almeno la reazione è sempre stata quella,
quando vedevo certe cose nei film) ma adesso mi sembra solo una costrizione,
bella e buona.
«Yamcha, riconosco lo sforzo, ma vuoi dirmi cosa
significa?»
«Ma… non ti piace?»
«Sì mi piace, ma… come sapevi che ti avrei già perdonato?»
Mi guarda mortificato. «Non lo sapevo, ho solo preventivato nel caso avessi
accettato di uscire con me.»
Avanzo fino alla vasca, immergo la mano tra le profumata bollicine bianche. «E
cosa ti aspetti, adesso?»
«È solo un bagno insieme… ecco… per essere un po’ intimi… io e te!» Mi
raggiunge, rosso di vergogna. «Bulma, io ti amo. Ho commesso un errore,
lasciami la possibilità di chiederti scusa.» Mi sfiora la nuca, e poi mi bacia
in fronte.
È davvero bello il mio ragazzo e perché non dovrei accettare le sue scuse?
«Sicuro che non sia un modo per mettermi fretta? Sai bene che… non sono ancora
pronta!» Cerco di sincerami e arrossisco anch’io adesso, al pensiero del
respiro di Vegeta sulla mia pelle, del suo sguardo sul mio seno scoperto ed io
che, adesso, mi vergogno a spogliarmi davanti a Yamcha,
il mio ragazzo di sempre. Forse lo sento come una costrizione, mi pare di
essere su una nave di cui non controllo il timone.
Perché sono stata pronta a spogliarmi davanti a quello sfigato di
Arensay? Ci siamo provocati a vicenda in un gioco piccante. Il film, la neve fuori
e noi al caldo sul mio letto… ho perso la bussola. Potrei ritrovare la strada
soltanto se, adesso, tornassi tra le braccia del mio ragazzo e fingere che non
sia mai accaduto nulla.
«Yamcha.»
«Sì?»
«Riportami a casa, ti va?» Dico infine. Non mi sento pronta, questo bagno non
laverà lo sporco che ha impregnato la mia coscienza. Come potrei essere
obiettrice, proprio io, che non appena qualche sera fa ho concesso ad un altro
di vedermi mezza nuda?
Ho gli occhi fissi
sulla strada, ripensando all’espressione di Yamcha
dopo la mia richiesta di essere accompagnata a casa: senza dubbio c’è rimasto
molto male.
«Mi spiace per prima, l’idea era buona, ma… non me la sono sentita!»
«Ma certo, capisco. Hai i tuoi tempi, colpa mia che ho tirato troppo la corda.»
Cerca di comprendere, ma non sa come mi sento. Sono terribilmente confusa, e
non riesco a riconoscermi nelle mie stesse azioni. Non ho mai permesso a
nessuno, eccetto Yamcha, di toccarmi, e poi passo le
serate a costringere Vegeta a spogliarmi.
«Per quanto riguarda Marrion, ti perdono, ma non
parliamone più, d’accordo?» Naturalmente, a lei ci penso io, a modo mio.
E prima che scenda dalla macchina, ferma davanti al vialetto di casa, lui mi
afferra e mi bacia.
La mattina
seguente trovo in cucina un pacchetto lasciatomi da Vegeta, che mia madre
credeva un regalo di San Velentino.
Quando apro la scatola blu e vi trovo un biglietto e una macchinina
radiotelecomandata che, come stabilito da entrambi, verrà collegata al pannello
solare.
Leggo anche il biglietto, su cui sono state scritte, in modo frettoloso, due
righe in una calligrafia molto piccola.
Questa è la macchina
che dovrai collegare al pannello, segui le indicazioni per modificarla (v.
retro) e non sbagliare.
Dovrai fare da sola perché non ci sarò, né oggi, né domani.
Tutto qui, non ha scritto nemmeno un
“ciao Bulma, a presto”? Il post scriptum è colpo di classe:
Ps: non rompere niente.
Questo messaggio è
proprio degno di lui.
Che fastidio! Non solo si sta prodigando al massimo nell’arte dello scaricare
barili, ma sta via tutto il tempo che vuole senza fornire spiegazioni né
ringraziarmi per quello che faccio.
E mi ha pure visto le tette!
Quando arrivo a scuola è chiaro che, suonata la campana
dell’inizio delle lezioni, Vegeta non ha intenzione di farsi vivo, lasciandomi
tribolare sul fuoco della curiosità.
Cerco di ricordare se è solito concedersi assenze, ma proprio non riesco a
rammentare l’ultima volta che ho prestato attenzione alle sua presenza a cui
non ho mai dato peso fino ad ora.
Mentre osservo il suo posto vuoto, mi accorgo di un libro lasciato nel
sottobanco. Quello zotico deve sicuramente averlo dimenticato.
A ricreazione vado a raccogliere quel pezzo di lui dimenticato da chissà quanti
giorni: il manuale di arte. Lo raccolgo.
«Ciao Bulma, come mai resti dentro?» Chiede Crilin, rientrato a per prendere le
sigarette.
Scatto sull’attenti, non vorrei notasse che sto gironzolando proprio intorno al
banco di Vegeta, come una di quelle ragazzine che, invaghite di Yamcha, lasciano bigliettini strappalacrime ovunque.
«Ecco… stavo ripassando.»
«Wow, ne prendi di appunti tu!» Nota, una volta venutomi vicino, scorrendo lo
sguardo su un dipinto di Picasso, costellato dalla scrittura di Vegeta. «Ma
questa non è la tua scrittura!» Nota anche questo. «Di chi è il libro?»
«Uffa, è di Vegeta. Ho visto che l’ha dimenticato e lo stavo sfogliando.» Sono
costretta ad ammettere. Poi per cosa dovrei nascondermi? È soltanto un
dannatissimo libro. Certo che, solo lui, poteva prendere tutti queste note
anche per arte!
«Davvero? Che fortuna! Io non prendo mai appunti ad arte, perché non mi lasci
copiare?»
«Eh? No, non sarebbe corretto!»
«Ma se tu stessa lo stai facendo?» Domanda, gli occhi sospettosi ridotti ad una
fessura.
«Beh, lo sto solo sfogliando. È mia intenzione restituirglielo perché immagino
l’abbia dimenticato.»
«Andiamo non lo
saprò mai, oggi abbiamo arte e credo m’interroghi. Farei un figurone se potessi
dare almeno una sbirciatina.» E poggia le sue manacce sopra il desiderato
manuale, che gli strattono via.
Iniziamo a litigarcelo. Non mi va proprio che ci si approfitti di Vegeta a sua
insaputa, non lo trovo corretto. Soprattutto da parte di qualcuno che non nutre
alcun rispetto nei suoi confronti.
Tiro dalla mia parte, Crilin dalla sua e viceversa, e alla fine una pagina si
strappa!
«Guarda cos’hai combinato!» Lo accuso, chinandomi a raccogliere un pezzo di Guernica.
«Se me lo avessi lasciato prendere, a quest’ora te l’avrei già restituito
intonso!» Si difende il mio compagno.
Continuiamo il battibecco, e più continuiamo più il libro, bistrattato, perde
fogli, finché , dopo l’ennesimo strattone, mi prendo il libro una volta per
tutte.
Voltandomi per tornare al mio posto, scorgo Marion che osa ancora parlottare
con Yamcha, dopo tutte le dicerie che ci sono state.
Devo assolutamente trovare il modo di fargliela pagare a quella stupida
impudente!
«Quindi tra te e Yamcha è tornato tutto come prima?»
Inizia Chichi, dalla sua cabina doccia, in cui ci siamo dirette dopo la
sessione di allenamenti da cheerleader.
«Insomma, non direi proprio tutto. Detesto abbia baciato proprio quella
smorfiosa di Marion.» Rispondo, insaponandomi la schiena.
«Non preoccuparti, scommetto che lei si sia già stufata. Gira voce sia
interessata a Crilin adesso.»
«Da come l’ho vista fare gli occhi dolci a Yamcha, a
ricreazione, dubito sia così interessata a Crilin.» Chiudo il getto dell’acqua
ed esco fuori avvolta da un asciugamano bianco di spugna con il simbolo del
nostro liceo. Chichi ed io siamo le uniche due ritardatarie e solo dalla sua
doccia sbuffano ancora nuvolette di vapore.
Inizio a rivestirmi. «Di’ un po’, esiste ancora quel vecchio costume da
mascotte?» Le chiedo non appena la vedo uscire dal getto dell’acqua, in mille
contorsioni per la vergogna di mostrarsi quasi nuda.
«Intendi, quel costume puzzolente, che per anni nessuno ha voluto indossare?»
«Proprio quello! Credo mi sia venuta un’idea fantastica!»
Continua…
Salve a tutti, mi scuso
per l'immane ritardo ma ho avuto poco tempo a disposizione; premetto che il
capitolo doveva essere più lungo, ma alla fine ho preferito dividerlo in
due parti, data la diversità degli argomenti tra la prima e la seconda^^,
quindi tra non molto potrete leggere anche il resto.^^
Ringrazio tutti coloro
che leggono e seguono la storia; chi l'ha aggiunta alle preferite e che
alle ricordate. Un grazie anche a chi ha recensito (ho risposto
personalmente ad ognuno di voi tramite la nuova funzione del sito).
E per ultimo, ma non
per importanza, vorrei dedicare la storia a Yori che
ha mi ha fatto anche il bellissimo disegno! Spero che di non deludertinè con questo, nè con
i prossimi capitoli!
«Ciao
Bulma!»
Riconoscerei questa voce tra mille.
«Ciao Goku.» Rispondo, mentre mi sforzo di sorridere. Un istante dopo mi rendo
conto che sono ancora girata di spalle. Vorrei… potrei restare come sono e
lasciare che sia lui ad avvicinarsi, magari, nel frattempo, smetterei di
sorridere. E direi “Mi fa piacere vederti
Goku, ma non sono in vena di chiacchiere e preferirei restare sola”. In
fondo mi sono allontanata dagli altri amici per questo.
Goku capirebbe.
«Mi fa piacere vederti Goku, quanto tempo è passato!» Esclamo invece. Mi alzo
in piedi ed esibisco il più fasullo e smagliante dei sorrisi. Mi comporto come
ci aspetterebbe da me. L’incrollabile Bulma Brief.
In realtà, non sono più in grado di dire cosa gli altri si aspetterebbero da
me: non ci vediamo da troppi anni, a parte Yamcha che mi sono trascinata dietro
dall’infanzia alla maturità. Sono cresciuta e sono cambiata insieme ai miei
gusti musicali. Ciò che è rimasto, sono i ricordi, Vegeta, e il frastuono dei
miei sensi di colpa.
Di Goku non ho saputo più nulla da quando lui e Chichi si sono separati. Credo
che adesso siano divorziati, vallo a sapere! Con lei ho mantenuto ottimi
rapporti fino al mio primo anno di università, quando poi lei è rimasta incinta
ed io ho cambiato città per continuare gli studi. Lei non riusciva a capire i
miei impegni universitari ed io, evidentemente, non comprendevo a pieno cosa
volesse significare trovarsi con un marmocchio all’età di diciotto anni, senza
arte né parte e con un marito che spende più tempo fuori casa alla ricerca di
un lavoro che a casa stessa.
Da allora, solo poche telefonate, fino all’ultima, quella in cui mi chiamò in
lacrime per lamentarsi di Goku e del fallimento del suo matrimonio.
«Urca!
Sei un po’ invecchiata Bulma o sbaglio?»
A questo punto vorrei spaccargli la faccia, stringo i pugni fino a farmi male
con le unghie e, maledizione, lascio correre. Anche se avere una scusa per
lanciare un urlo mi farebbe proprio bene in questo momento, ma sono una
signora, cazzo!
«Sono ancora giovanissima!» Ribatto a denti stretti, in un urlo strozzato, le
braccia rigide lungo i fianchi. E ci mancherebbe altro, con tutto quello che
spendo in cosmetica. «Ti informo che mi danno tutti vent’anni!»
«Eddai, non te la prendere!» Sdrammatizza, grattandosi la zazzera. Un gesto
istintivo che gli ho visto fare milioni e milioni di volte. Certe cose non
cambiano mai. Così come l’aver esordito con quella sciocchezza, perché era una
sciocchezza: uno non sono invecchiata; due è troppo buio per notare altro che
non sia il colore dei miei capelli. Ergo
non sapeva come rompere il ghiaccio e ha preferito rischiare che gli rompessi
la testa.
«Come mai sei qui tutta sola?»
«Perché… volevo prendere un po’ d’aria. Lì dentro si soffoca. Tutto qui.»
In realtà si soffoca anche fuori, o meglio, sono io che soffoco ovunque. Non
avrei dovuto accettare di tornare qui. Ripensandoci adesso, nel momento stesso
in cui ho deciso di varcare la soglia della mia vecchia scuola, ho mandato a quel
paese tutto ciò che, fino a stasera, mi ero imposta di essere: una persona
normale. Anzi, una donna fantastica con una meravigliosa carriera ancora in
salita… ma come vorrei che gli unici scheletri del mio armadio fossero solo
quelli delle feste di Halloween!
Sono ridicola. Alla mia età, chiedersi ancora quale sia adesso il colore delle
scarpe di Vegeta. L’unica persona che sarà felice del magro bottino di questa
serata è il mio analista il quale ignora dove i miei rancori sono riusciti a
condurmi.
Mentre mi perdo nei miei pensieri, non mi rendo conto del silenzio caduto tra
me e Goku.
Lo vedo trascinarsi fino all’altalena e occupare lo stesso posto su cui ero
seduta io un attimo fa.
«E tu perché sei qui?» Mi appoggio a una delle aste arrugginite dell’altalena.
Goku fa spallucce. «Volevo prendere un po’ d’aria, come te.» Si allarga il nodo
della cravatta. «Chichi non c’è. Speravo portasse Gohan e Goten.»
Le sue ultime parole sono coperte dalla musica proveniente dalla palestra, “Once
upon a time you dressed so fine”, un uomo esce dalla porta a
vetri accendendosi una sigaretta. Ѐ subito raggiunto da una donna. “Threw
the bums a dime in your prime, didn’t you?”.
Non sono in grado di riconoscere i loro volti, alla luce modesta della luna.
Forse li conosco, forse li conoscevo, forse no. Ha importanza?
«Cosa hai detto?»
People’d call, say, “Beware doll, you’re bound to fall,”
You Thought they were all a’kiddin’you.
You used to laugh about
Everybody that was hangin’out.
«Che Chichi non
c’è .» Si dondola leggermente, guardando dritto davanti a sé.
Now you don’t talk so loud,
Now don’t seem so proud.
Nemmeno Vegeta.
How does it feel?
How does it feel?
«Sei a casa
tua?»
«No. Sono in Hotel.»
To be without a home?
Like a complete unknown?
Like a rolling stone?
«Sei qui con Yamcha,
vero?»
«No. Sono qui da sola.»
How does it feel?
How does it feel?
To be on your own?
With no direction home?
A complete unknown? Like a rolling stone?
Restiamo
a pensare a noi stessi, in silenzio. Vorrei chiedergli come sta, ma so già che
sta come me. La differenza è che Goku aspetta sua moglie; io, invece, sto
aspetto un fantasma. Lui è un adulto che vorrebbe rivedere i suoi figli. Io una
sfigata che a trent’anni suonati fantastica sul ragazzo di cui era innamorata
al liceo. E non so nemmeno se quello che provo è senso di colpa, pena per lui o
per me, o se davvero provo qualcosa di profondo.
Guardo la strada davanti a me, il viale dei ricordi in tutti i sensi. Non
prenderò la strada che mi porterà a casa mia: non possiedo più una casa
qui. Mi chiedo chi stia dormendo in quella che una volta era la mia
camera da letto: come sarà la sua carta da parati; che tipo di musica
ascolterà?
E penso a mio padre, alle sue notti insonni. Al laboratorio che gli è
sopravvissuto. Non mangerò più i biscotti di mia madre.
Mi sento sola, in un posto che mi era appartenuto. Sorrido.
Se leggessi questi pensieri in un libro li accuserei di banalità; ma in fondo
la verità è una sola, per questo è banale. Mentre le mie bugie sono sempre
diverse.
Vorrei parlarne con Goku, raccontargli come mi sento, perché questa non sono
io: non mi riconosco. Cercare un consiglio? Allora volto di scatto la testa
verso di lui. Schiudo le labbra ma non dico nulla: non ho il coraggio.
Un tempo gli avrei spiattellato tutti i miei sentimenti in cerca di aiuto.
Ora? Non sono sicura di avere davanti uno dei miei migliori amici. Ed è buffo,
perché lo conosco… lo conoscevo. Lo conosco ancora?
Da ragazzi avevamo come una specie di codice. Pronunciare il soprannome di
qualcuno, dire una parola, bastava a descrivere un’intera situazione. Bastava
quello o quell'altro aneddoto a farci ridere tutti quanti.
È strano rivedere un amico dopo tanti anni. Ti chiedi se sia ancora la stessa
persona e in cuor tuo lo speri. Ad esempio, potrei semplicemente riprendere da
dove c'eravamo lasciati al liceo e parlargli di me; mi starebbe ancora ad
ascoltare?
Non sono sicura gli importerebbe.
Così ti ritrovi a trattare con uno sconosciuto che in realtà non lo è.
Perché ci siamo persi di vista? Non gli interessava sapere della mia vita? E se
a me interessava, perché l’ho lasciato andare?
In realtà non ho voluto. Ci tenevo sì, ma non ho avuto tempo, però non ricordo
in cosa di preciso fossi impegnata.
Non ho cercato nemmeno Vegeta, soprattutto per orgoglio.
«Ricordi la recita scolastica?» Mi chiede Goku.
Come potrei dimenticarla.
«Sì, come potrei dimenticarla? Sono stata la Wendy migliore della storia!» Mi
vanto, e ripenso al mio “non bacio” con Vegeta. «Yamcha è stato il peggior Peter
Pan della storia, invece.»
«Ci siamo divertiti.»
«Oh sì! Tranne Vegeta!»
Scoppio a ridere, di fronte a tanta verità. «Sicuramente il peggiore addetto
luci di sempre!»
«E
l’idea della mascotte? Sorprendesti tutti. Come mai decidesti di farlo?»
Faccio spallucce. Fu per sorprendere Vegeta e per dimostragli che non ero una
completa idiota.
You shouldn’t let other people get your kicks for you.
You used to ride on a chrome horse with your diplomat
Who carried on his shoulder s Siamese cat.
Ain’t it hard when you discover that
He really wasn’t where it’s at
After took from you everything he could steal?
Sorrido, non più di
me, ma per me. Non è vero che sono cambiata: sono cresciuta, e ho imparato ad
essere me stessa.
Ho fatto le scelte che ho sentito mie in quell’istante. Come quando ho deciso
di non raggiungere Vegeta.
La mia ossessione.
Non ero pronta. Dovrei smetterla di biasimarmi. Non potevo sapere come sarebbe
andata a finire. Avrei dovuto essere lungimirante, ma a diciotto anni la mia lungimiranza
arrivava al week end.
Poi a un tratto realizzo: se Arensay fosse stato davvero l’uomo della mia,
anch'io avrei dovuto essere la donna della sua vita, no? Solo io ho continuato
a pensarlo, a sperare in un suo ritorno.
Se fosse stato davvero l’uomo della mia vita, a quest’ora sarebbe qui. Invece
sono passati decenni e non è mai venuto a cercarmi.
Non è mai accaduto nulla.
Se fosse stato davvero l’uomo della mia vita, anche lui, come me, avrebbe avuto
bisogno di me, tanto quanto io ne ho avuto di lui. Invece non è accaduta
nessuna empatia.
You’re invisible now,
you’ve got no secret sto conceal.
How does it feel?
Aw, how does it feel? Like a rolling stone.
L’uomo e la
donna usciti a fumare rientrano in palestra. E, con loro, svanisce anche le musica,
“Like a rolling stone”.
Tutti i miei ricordi sono durati una sigaretta in cortile.
“Like a rolling stone”.
Continua…
:)
Ed eccomi qui, dopo
un tempo infinito a pubblicare un nuovo capitolo di questa storia che mi
dispiaceva abbandonare senza un finale. Purtroppo è lungi dall’essere finita, e
di acqua sotto i ponti ne deve ancora passare. Come ne è passata nella mia
vita, da quando ho iniziato a scrivere 1998 ad oggi. L’unica cosa che resta è
la mia dislessia ;)
Mi scuso per avervi lasciato in sospeso, a fantasticare su Bulma Brief e Vegeta
Arensay. Prometto che cercherò di essere più regolare negli aggiornamenti.
Ringrazio tutti coloro che hanno inserito la storia nelle seguite, nelle
preferite, coloro che hanno recensito e coloro che hanno letto soltanto.
Da ultimo, vorrei riservare un ringraziamento speciale a tutti coloro che mi
hanno spedito disegni, richieste e quant’altro. Avete fatto bene al mio ego u.u
Scherzi a parte, mi avete dato la voglia di continuare a scrivere, nonostante
tutto.
Vi ringrazio.
Inoltre, colgo l’occasione per dedicare questa storia a una scrittrice e
lettrice di questo fandom Yori, se non la conoscete, andate e leggere le sue
storie ;)
Ah, dimenticavo, la canzone è di Bob Dylan, “Like rolling stone”, mi è sembrata
appropriata al momento, e nonostante il capitolo sia piuttosto corto (ma con
alcune anticipazioni e in perfetto stile 1998 ;P ) spero che comunque vi sia
piaciuto e soprattutto di non averi deluso per via della sua
"cortezza". Insomma, fatemi sapere cosa ne pensate! :)
Così come il disegno, opera di LoveKath, che spero mi perdoni per aver
rimpicciolito l'immagine!
PS: nel frattempo,
qualcuno di voi mi ha fatto notare alcune sviste ed errori che andrebbero
corretti, provvederò a correggere i capitoli precedenti, ma continuate a farmi
notare i nuovi ;)
E adesso il libro si è incastrato; non posso né tirarlo via, né spingerlo
dentro. Come se non bastasse ha ripreso a piovere e mi sto inzuppando mentre tento
di cacciar via quel maledetto libro dalla cassetta delle lettere di Vegeta,
un’inutile fessura nel portone.
Le dita nude scivolano dalla superficie liscia e bagnata della copertina di
“Arte”, e non riescono a far presa. A spingerlo sembra quasi un’impresa più
ardua, visto che non è incastrato nemmeno per metà.
Sono arcistufa!
Punto un piede contro il portone, stringo il libro con due mani, tiro e…
scivolo all’indietro sbattendo contro un’inaspettatamente morbido “qualcosa”.
«Mi scusi!», esclamo mortificata alla persona che ho urtato. Si protegge dalla
pioggia con un giornale ormai illeggibile che getta a terra senza troppe
cerimonie. Il suo volto è quello di un Vegeta adulto, più alto e con il
pizzetto. Suppongo, si tratti del famigerato Sig. Arensay.
«Non hai visto che per le cartacce c’è la cassetta apposita?»
Bella predica, penso, da parte di qualcuno che ha appena buttato in strada un
giornale intero! Ma seguendo il suo sguardo mi accorgo che per “cartacce”
intende dei volantini, i cui lembi umidi spuntano da una cassetta bianca
accanto al citofono su cui in blu è scritto “Pubblicità”.
Beh, non è comunque una scusa per buttare un giornale in quel modo cafone. Mi
mordo l’interno della guancia, per evitare di essere sfrontata. Con la calma
più calma del mondo «Non consegno volantini, devo restituire un libro a Vegeta
Arensay che non è in casa», spiego, «così ho pensato di lasciarglielo nella
posta».
«Quella cassetta non è usata da anni», m’informa e gira la chiave nella
serratura, varca la soglia e con un cenno del capo indica una serie di piccole
gabbiette attaccate al muro grigio dell’ingresso, su ognuna c’è una targhetta
metallica con scritto il nome del proprietario.
«Il portone è aperto tutte le mattine per permettere al postino di lasciare la
posta.»
Una specificazione retorica, che recepisco quasi come un insulto intriso di
sarcasmo.
«Io la mattina vado a scuola!», ribatto piccata; penso di essere di fronte ad
un uomo estremamente metodico, per il quale il più piccolo errore sarebbe
imperdonabile.
Che esagerato!
E invece solleva un’estremità di un labbro a mo’ di ghigno tra il serio e il
faceto, come ho spesso visto fare da suo figlio.
Dura poco tanto che il suo volto torna ad essere una maschera impenetrabile,
torva come quella di un attore drammatico.
Non aggiunge altro alle nostre battute, inizia ad armeggiare dietro il portone
e dopo alcuni minuti il manuale di arte cade sulla strada con un tonfo.
«Vegeta è mio figlio», mi avvisa, quasi come se dal suo aspetto non fosse già
abbastanza ovvio. «Dammi quel libro», ordina infastidendomi con quel suo tono
autoritario. Vivere con lui dovrà essere tremendo.
Gli porgo il manuale, piena di vergogna per le condizioni in cui l’ho ridotto.
La copertina e alcune pagine si sono strappate nel tentativo di salvarlo dalle
grinfie dei miei compagni, e la pioggia ha pensato al resto, rendendo il
risultato imbarazzante.
Questo è anche uno di motivi per cui avevo preferito lasciare il libro nella
posta, alla sordina, piuttosto che consegnarlo direttamente a Vegeta e ai suoi
improperi.
Persino il padre lo guarda esterrefatto, chiedendosi chi tra suo figlio e me
possa aver ridotto quel piccolo pozzo di cultura in un relitto.
Il Sig. Arensay osserva l’orologio, nell’altra mano stringe una ventiquattrore,
poi solleva lo sguardo su di me. Sembra svegliarsi, accorgersi solo in quel
momento di avere davanti una ragazzina zuppa di pioggia, che aveva fatto tutta
quella strada solo per riconsegnare un libro a quello sciagurato del figlio.
«Vegeta sta per tornare, puoi aspettarlo in casa», alcuni istanti dopo aggiunge
«Se vuoi».
E nel tono di voce, nello sguardo puntato sul mio, leggo quasi un’esortazione a
non restare; non vi leggo nulla di gentile. Quell’uomo non vuole seccature e mi
sta invitando soltanto perché quell’invito gli è sembrata la cosa più giusta da
dire, secondo le regole della società in cui viviamo.
Pare molto stanco, sicuramente deve essere tornato da un viaggio d’affari, e
Vegeta mi aveva detto che suo padre lavora molto all’estero, che sta poco a
casa.
Vorrà stare in pace, ad aspettare suo figlio che rientri dalla gara di nuoto,
piuttosto che accudire una ragazzina nell’attesa.
Rifiuto l’invito. Saluto. Torno al mio motorino.
Più tardi avrei ripensato a quella scena come svolta al rallentatore.
«Rifiuto l’invito, saluto e torno al motorino», le mani mi tremano e quasi non
rovescio la tazza di tè bollente che ho in mano, «Non ho visto nulla, agente».
Ho la voce rotta, mentre ripeto quella storia per l’ennesima volta all’agente
Duck, che adesso mi stringe la spalla come a farmi forza.
Ma non ho paura, sono confusa.
No, ho paura e sono confusa. Sto ancora tremando nonostante il tepore della
coperta di lana. Il corpo del signor Arensay è stato coperto con un panno
bianco, su cui spunta una macchia rossa di sangue. Tutto intorno post-it gialli
con scritto un numero a indicare gli oggetti ritrovati sulla scena del delitto.
Il libro di arte è il numero tre.
«Non ha visto nessuno uscire dal palazzo? Qualcuno entrare, mentre parlava con
il signor Arensay?»
«No, nessuno. Ho sentito uno sparo e basta. Gente che usciva sui pianerottoli e
una donna che gridava.»
L’agente Duck appunta tutto ciò che dico, annuisce. Morde il cappuccio della
penna, rileggendo le note prese.
«Sarebbe meglio se lei restasse qui ancora per un po’, il tempo di finire
l’interrogatorio ai vicini. Nel frattempo, cerchi di ricordare qualche altro
particolare». La visiera nera del suo berretto è illuminata dalle luci blu e
rosse delle sirene.
Dietro le sue spalle, vedo arrivare Vegeta, scendere da una macchina nera in
compagnia di un uomo molto alto e nerboruto; un altro agente avverte Duck del
suo arrivo. Nessuno dei quattro ha un ombrello e lasciano che la pioggia gli
cada addosso.
Come un automa, seguo, a debita distanza, i due uomini avvicinarsi ad Arensay,
tra le macchine della polizia, paramedici, scientifica e giornalisti lì per
carpire le ultime news sulla morte di uno degli affaristi, a quanto pare, più
in voga del nostro tempo.
«Lei è Vegeta J. Arensay?», chiede Duck.
Vegeta annuisce.
«Mi spiace doverla informare che suo padre, Vegeta Arensay è morto».
«Lo so, mi hanno appena informato», risponde secco, lo sguardo posato oltre i
due agenti, a seguire due paramedici spingere su una barella il corpo del
padre, ora coperto da un sacco di plastica grigio.
«Gli hanno sparato», precisa Duck.
«C’è altro?»
I due agenti, presi alla sprovvista, si scambiano un’occhiata, e sempre
Duck informa che non sanno chi sia il colpevole.
«Non so chi possa essere stato», dice subito Vegeta precedendo la domanda dell’agente.
«Mio padre non viveva qui, ma a… veniva qui solo di rado»
L’altro agente esita, poi afferma «Mi hanno detto che non eravate in buoni
rapporti».
«Se ero in buoni rapporti con mio padre è affar mio.» Taglia corto Vegeta, con
un’insolenza fredda. Ho come l’impressione che la pioggia, scivolandogli
addosso, gli stia sciacquando via tutta la sua adolescenza.
È un uomo in quel momento, non il ragazzino secchione e taciturno con cui ho
lavorato al progetto di scienze.
L’agente Duck fa un cenno di assenso.
«Bulma, tesoro, siamo arrivati appena abbiamo potuto, sai non potevamo lasciare
il forno acceso con dentro i biscotti!», arriva mia madre in compagnia di mio
padre. Mi abbracciano felici di trovarmi sana e salva, nonostante abbia detto
loro che non ho corso alcun pericolo.
Almeno, per non aver accettato l’invito del sig. Arensay. Un brivido mi
percorre la schiena, al pensiero che avrei potuto rimetterci la pelle anch’io,
se solo fossi salita insieme al padre di Vegeta.
Ripeto ai miei che sto bene, che non ho nulla, liberandomi dalle loro carezze
invadenti; ma quando mi giro per scorgere Vegeta mi accorgo che non è più lì.
La mattina dopo, in classe, è tutto un gran parlare dell’accaduto. Sulle prime,
avevo pensato di restarmene a casa, non sentendomela di andare a scuola. Ma di
notte, la mia spavalderia si era esaurita ben presto lasciandomi in balia di
bruttissimi incubi.
E pensare che Yamcha si era persino offerto di farmi compagnia! Ho rifiutato
come una sciocca, salvo poi essermene pentita al secondo o terzo incubo. Sogni
tutti uguali, in cui seguivo il signor Arensay per le scale e sparavano a me,
invece che a lui.
All’alba ho poi deciso che non ne potevo più di starmene a letto e che oggi
sarai venuta a scuola, per riappropriami di un po’ di normalità che giornalisti
invadenti mi avevano tolto chiamandomi per tutto il giorno prima, in cerca di
notizie.
Notizie che, tuttavia, erano riusciti a trovare lo stesso. E anzi, adesso,
tutta la storia della famiglia disastrata di Vegeta era in prima pagina, sulla
bocca di tutti, grazie alle “ultimissime” dall’Orange News.
A
quanto pare, infatti, il Signor Arensay non era stato proprio il più candido
degli affaristi, si era fatto un certo nome in società grazie ad alcuni affari
loschi “ai limiti della legalità” (citando il giornale) condotti nei primi anni
’80, grazie ai quali era diventato uno degli uomini più ricchi e influenti del
pianeta; indagato più volte per frode al fisco, era stato costretto a
dichiarare fallimento dal quale era riuscito ad uscire grazie ad una fusione
con la Freezer Corporation. Il suo lavoro l’ha sempre portato fuori casa,
lasciando il figlio a vivere la sua vita come meglio credeva: allo sbando.
Tuttavia, adesso, morto suo padre Vegeta è diventato erede di un cospicuo
patrimonio, di cui Freezer Cooler sarà fiduciario fino a quando non compirà
ventitrè anni.
«Hai capito Arensay!», esclama Crilin, tutto concitato.
«Non ci trovo nulla di entusiasmante, dal momento che è morto suo padre!», gli
ricordo stizzita; tutto questo ciarlare mi sta facendo innervosire, rimpiango
di non essermene rimasta a casa.
Eppure, se fossi restata a casa, non avrei fatto altro che ripensare
all’accaduto… cosa che comunque sto facendo da quando sono arrivata, ma almeno
sono in compagnia.
Di certo non potevo chiedere ai miei amici di marinare la scuola e passare la
mattinata in mia compagnia.
O forse avrai dovuto?
E se io sto reagendo in questo modo, non oso immaginare come si senta Vegeta.
Ieri ha avuto un gran da fare a fingersi un duro, a mostrarsi quasi indifferente.
So per certo che ne soffre.
Sarebbe inumano non provare nulla, come ha dimostrato ieri ai due agenti.
Mi disgusta che nessuno dei qui presenti abbia speso una parola, una domanda
sul suo conto. Tutti interessati ai maneggi di suo padre; tutti a chiedersi il
motivo della sua morte.
Nessuno. Nessuno che mi abbia chiesto “Come pensi che stia Vegeta?”.
Ha ragione lui, a considerarli un branco di bifolchi.
«Bulma, come pensi che stia Vegeta?»
«Eh?», è Goku che me lo chiede, come se mi avesse letto nel pensiero. «E come
vuoi che stia? Male, no?» Rispondo acida, «giurerei che non lo rivedremo più da
queste parti, almeno per i prossimi tre mesi!» Preannuncio con l’aria di chi la
sa lunga.
Sono l’unica tra tutti che lo conosce, a loro non importa come importa a me,
forse sarebbe stato meglio se Goku non mi avesse chiesto nulla.
Oh, tutta questa faccenda! Sono talmente agitata che non riesco nemmeno a
essere coerente con me stessa.
«Scusatemi, ho bisogno di una boccata d’aria. Se nel frattempo arriva la prof ditele
che non mi sono sentita bene…»
«Vuoi che venga con te?» Domanda Yamcha, declino il suo invito.
Voglio solo restare sola.
«No, grazie!» Risoluta esco dall’aula, quando per poco non mi viene un colpo!
Vegeta che, zaino in spalla, cammina verso di me.
«Ma che ci fai qui?», chiedo quasi con malagrazia, piena di stupore, con un
tono acido affatto adatto alla situazione. Mi maledico, per non aver saputo
trovare una migliore accoglienza.
Lui mi guarda, come se la pazza fossi io. «Vengo a lezione!» Dice come fosse la
cosa più ovvia di questo mondo. Riprende a camminare, mi sorpassa, e si arresta
di nuovo.
«A proposito di ieri,» mi fa, «mi devi un libro di arte.»
Continua…
Nda: Scusatemi tutti per la lunga, lunghissima assenza ç______ç lo so, lo
so, che dovrei aggiornare più spesso, ma ho davvero pochissimo tempo per
dedicarmi a questa storia come si deve! Non ho ancora finito di correggere i
capitoli vecchi =//= ma ci sto lavorando =u=/ Spero che la storia continui a piacervi, soprattutto dopo questo cambio di
scena! Giuro che non era previsto, ma poi, come si suol dire, i personaggi
hanno preso la tangente e oramai vanno avanti da soli! Ringrazio tutti coloro che seguono la storia, chi l’ha aggiunta tra le
preferite e chi l’ha recensita. Se poi volete lasciare una recensione per farmi
sapere cosa ne pensate, sarà bene accetta :D Alla prossima! :*
La chiacchierata con
Goku mi aveva fatto bene, come sempre.
Mi ero schiarita le idee, anche fin troppo. Tanto da essere di un tale buon umore
da accettare di ballare un lento con Yamcha. Non fosse altro per far vedere a
C18 che di Vegeta non me ne importava niente, di certo non volevo gli
raccontasse di quanto patetica ero stata da averlo aspettato tutta la notte
come una scolaretta in piena crisi ormonale.
Il dopobarba di Yamcha puzza da morire, ma porta con sé il sentore della nostra
storia travagliata. Forse sono stata io l’unica sbagliata, innamorata di
un’idea di perfezione che probabilmente non avrei trovato nemmeno con l’altro.
Mi ha sempre tradita, ma del resto anch’io ho sempre tradito lui, immaginando
di stringere Vegeta persino la notte della nostra prima volta. Con Yamcha è
sempre stato tutto semplice: l’ho ripreso tutte le volte che ho voluto. Non è
mai stato un fantasma. C’è sempre stato, senza però avergli mai dato una
possibilità di riscatto.
L’ho sempre accusato di non avermi mai compreso, idealizzando le capacità di
comprensione dell’altro.
Forse nemmeno Vegeta mi ha mai capita. Ciò che mi lega a lui sono ricordi che
quasi mi sfuggono. Sensazioni ricreate nella mia immaginazione,
colpevolizzandomi per qualcosa che persino Vegeta non aveva fatto: trovarmi,
trovarci.
Magari mi sono presa in giro e ho voluto vedere nel nostro rapporto
adolescenziale qualcosa che in realtà non c’era. Trascinata da quell’amore mai
consumato, ho trascurato le mie relazioni da adulta confrontandole con qualcosa
che, di fatto, ha perso vigore anche nella mia mente.
Yamcha il superficiale; Vegeta l’irraggiungibile. Io, la povera sciocca.
Dentro di me ho sempre incolpato Yamcha di non essere Vegeta, quando era ovvio
che non potesse esserlo. L’immatura sono sempre stata io, che invece di
aggiustare ciò che avevo, sono stata solo capace di fare paragoni con ciò che
non avevo e mai avevo avuto!
Mi stringo più forte al mio compagno, mentre una delle mie lacrime gli
inumidisce la camicia. Se ne accorge.
«Stai bene?» Sussurra.
«Sì, sto solo… pensavo a noi.»
«Vedo che il punch ti ha reso malinconica.» Mi costringe a un
piroetta per farmi ridere. Sorrido.
Vegeta non mi ha mai fatto ridere, soltanto piangere e tribolare.
Non è solo Yamcha che dovevo decidermi a lasciare; ma era il ricordo di Vegeta
che dovevo decidermi a lasciar andare.
Mi ristringo a Yamcha, «Sei sempre stato un buon amico.» Gli concedo.
«Solo un buon amico?»
Non mi va di concedergli altro. «Sei venuto in taxi?»
«No, ho la mia macchina.»
«Mi riaccompagni in hotel? Non mi va di guidare.»
Ovviamente accetta. Voglio andarmene da questo posto, e dagli sguardi di C18.
Che gli racconti che sì, sono stata con Yamcha, o che non gli racconti nulla, a
Vegeta. Ormai sono stanca, anche le mie stesse congetture mi annoiano.
Entriamo in macchina. E lì, nel buio del cruscotto, succede ciò che, a inizio
serata, non mi sarei mai augurata: bacio Yamcha!
Un bacio che si prolunga nel desiderio di voler andare oltre. Per questa volta,
voglio pensare a lui soltanto, lasciandomi la scuola, i miei ricordi e,
soprattutto, Arensay alle spalle.
Sì, finirò a letto con Yamcha stasera, per non pensare a nessun altro se non a
me stessa.
Un colpo di spugna, un addio inaspettato.
Un addio a Vegeta e ai rimorsi che non merito. Libera!
«Metti in moto, andiamo in Hotel!» Dico infine trafelata, risistemandomi al mio
posto.
E siamo già lontani, verso il centro cittadino. Sto sbagliando di nuovo, non me
ne importa niente.
La macchina sfreccia via, svolta l’angolo, gira, e…
BOOM
Un boato. Una bomba esplosa. Polvere, ci investe in
un’onda.
«Fermati!» Grido, ma Yamcha ha già premuto il piede sul freno, inchiodando con
una sgommata sull’asfalto. La cintura mi strattona indietro, e c’era mancato
poco. Pochissimo, a che investissimo un uomo ferito buttato sulla strada. Dei
ciottoli ricadono sul tettuccio della nostra macchina.
Dopo un instante di stordimento, scendiamo dalla macchina; resti di un palazzo
in fiamme. Urla. Gente che scappa. Raggiungo l’uomo ferito.
Succede tutto velocemente, come in un sogno. Un incubo.
Ancora urla, questa volta le mie, e l’uomo che ho raccolto tra le braccia,
Vegeta.
Ricordo che presi una decisione solo alle sette e mezza di sera. Per tutto il
pomeriggio non feci altro altro che chiedermi se fosse meglio andare o restare
a casa, a pensare ai fatti i miei, come mi era stato vivamente chiesto da
Vegeta.
Purtroppo non sono mai stata in grado di farmi gli affari miei.
Così, forte di una risolutezza che sarebbe venuta a mancare nell’instante in
cui l’avrei rivisto sulla porta, decisi di andare da lui.
In fondo, gli dovevo un libro di arte. Gli portai il mio, che
tenni stretto tra le braccia a farmi coraggio, mentre salivo le scale del
palazzo a occhi chiusi per paura di trovare qualche traccia di sangue. Fu
sorprendente la prontezza con cui Vegeta rispose al citofono, salvo poi restare
immobile sotto l’uscio, con quel suo solito cipiglio di malcontento. Braccia conserte,
mi disse di aver aperto subito credendo fosse qualcun altro, aggiungendo che,
se fossi andata sin là per parlare, era stato tempo perso giacché non ne aveva
intenzione alcuna…
«Nemmeno io ho questa
intenzione, sono solo venuta a riportarti il libro di arte.» Glielo sventolo
davanti. È il mio libro, sul quale ho ricopiato alcuni appunti di Chichi.
«Potevi portarlo domani!» Palesa la sua voglia di non volermi lì; mi prende il
libro.
«Beh, considerato che è
una delle poche cose che hai detto stamattina, ho pensato non vedessi l’ora di
riaverlo!» Ribatto, rendendogli pan per focaccia; lo sorpasso e mi autoinvito
dentro. «Ma che accidenti fai, così al buio?» Accendo la luce con finta
disinvoltura. Fingo anche di non vedere i giornali buttati per terra. Sono
sicura stia soffrendo.
«Non ti ho invitato ad entrare.»
«Ormai sono entrata, cosa vorresti fare, cacciarmi?» Spingo via col piede i
giornali sotto al divano, e mi siedo. «Poi abbiamo molte cose di cui
discutere.» Aggiungo.
«Ti ho detto che proprio non è aria. Non costringermi a trascinarti fuori.»
«Dicevo, che dobbiamo ancora discutere del nostro progetto, non crederai che
sbrighi tutto il lavoro da sola! Non ti pare di star approfittando un po’
troppo del mio tempo?» M’importa poco di cosa parleremo, voglio solo stargli
accanto. «Allora la chiudi quell’accidenti di porta, Vegeta? Fa freddo.»
Chiusa la porta, non
viene a sedersi con me, va dritto al frigo a prendersi qualcosa senza offrimi
nulla. Siede allo sgabello della penisola. Nell’istante in cui mi alzo per
andare da lui, squilla il citofono. Quel qualcuno che Vegeta aspettava sembra
essere appena arrivato.
Tuttavia, lui non si muove, si limita a volgere uno sguardo bieco verso
l’apparecchio, che suona ora insistentemente.
«Non apri?»
Vegeta mette fine alla questione con una scrollata di spalle.
Dovrei ritenermi contenta per essere l’unica con cui ha deciso di dividere la
sua alcova di dolore. Invece, non riesco nemmeno a mostrarmi triste per la sua
sorte. Vorrei dirgli che mi dispiace, ma non suonerei convincente. La portata
del suo dolore mi è così estranea da non riuscire nemmeno a percepirlo, mi
accorgo solo di volergli un gran bene.
Gli vado vicino e gli guardo le spalle per alcuni istanti, vorrei abbracciarlo
ma immagino che lui non vorrebbe. Mi limito allora a sedergli di fronte, ci
guardiamo negli occhi.
I suoi sono arrossati. Lo avevo notato anche prima. E la lattina presa dal
frigo non è stata aperta, la superficie metallica sgocciola intatta sulla
superficie del tavolo.
Il telecomando dello stereo è a portata di mano. Accendo la musica, una canzone
che stona con il nostro stato d’animo.
Hey babe, take a walk on the wild side,
Hey honey, take a walk on the wild side
And the coloured girl says
Doo, doo doo, doo doo, doo doo doo
Alla terza strofa, il mio
millantato equilibrio vacilla e il dolore di quella distanza incolmabile, tra
me e lui, mi scoppia dentro. Sono io che piango adesso, in silenzio, per
entrambi. Perché non so cosa dire, né come aiutarlo, perché soffro per lui.
Lacrime calde mi scorrono sulle guance, denudando la mia insicurezza. Lui le
guarda scorrere inesorabili senza dir nulla.
Hey honey, take a
walk on the wild side*.
Nda: Scusate tutti
l’estremo e, ormai solito, ritardo con cui aggiorno. Purtroppo non riesco davvero
a stare al passo D’:
Spero questo capitolo vi piaccia, e che non mi tiriate dei pomodori virtuali!
Mi auguro di ritrovare i vecchi lettori e trovarne di nuovi. Grazie per tutte
le recensioni, i disegni e il supporto in questi anni! Un abbraccio a tutti! :*
Musica consigliata
durante la lettura: Pixies, Where is my mind
Allora che ne
dici?
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Sono scalza, ho
lasciato i tacchi in un angolo. La fronte schiacciata contro il vetro, il mio
respiro forma aloni di condensa che sanno di punch al mandarino. Non saprei
dire da quanto tempo sono qui; ho il braccio indolenzito a forza di tenerlo
sollevato contro il vetro, le dita della mia mano accarezzano la superficie
liscia e trasparente che mi separa da Vegeta.
È in terapia intensiva. Non si è ancora svegliato.
Arriva Yamcha, poggiandomi una mano sulla spalla. “Hanno detto che ti avrei
trovata qui. Stai bene?”
Non lo so se sto bene, Ricorderai di avermi atteso tanto.
«Abbastanza.» Mento; voltandomi incrocio le braccia al petto. Indosso ancora il
vestito del ballo, sporco del sangue di Vegeta. Non dico altro e Yamcha
rispetta il mio silenzio per alcuni istanti prima di sedersi sulla poltroncina
dirimpetto. Anche lui indossa ancora i vestiti del ballo, ma il colletto della
camicia è sbottonato e la cravatta è stata tolta.
«Dicono che,» esita per sincerarsi di poter continuare; sollevo gli occhi su di
lui, Qualsiasi cosa ti abbiano detto non corrisponde alla verità, vorrei
dirglielo ma riesco solo a pensarlo, tanto la mia gola è secca di sconforto.
«Bulma.» adesso è lui a guardami negli occhi,
«Arensay, ce l’hai fatta ad arrivare.»
Sono contro il muro del corridoio della scuola, tra le mani sudaticce
stringo il tessuto della mia gonna a pieghe, mentre mi sforzo di reggere lo
sguardo di Vegeta. Nell’ordine, ho già bevuto un paio di camomille, lavato il
viso diverse volte e pensato tutto il tempo al nostro ultimo
colloquio.
Da quando gli sono scoppiata a piangere in faccia, oggi è la prima volta che ci
vediamo, ho marinato la scuola, fingendo di essere stata malata. E il progetto,
alla fine, l’ho terminato da sola nei pomeriggi passati a casa a pensare a
tutto questo.
Non faccio che ripetermi che suo padre è stato ucciso e che io non so come
aiutarlo; che cosa ha provato vedendomi piangere; perché non ha detto nulla,
senza menzionare alcunché nemmeno al telefono.
Avrà pensato che provo qualcosa per lui? Avrà pensato di non essere più solo?
Ma solo non lo è mai stato. La sua ragazza avrà consolato le sue lacrime, e ne
sono gelosa.
Stringo ancora i pugni sulla stoffa, sono una stupida: essere gelosa di C18, in
simile circostanze! Non faccio che pensare a me stessa, che egoista!
Poi proprio lui, Arensay, rompe il silenzio. «Sai, volevo…»
«Bulma, tesoro, stiamo tutti prendendo posto!» Interrompe mia madre, sbucando
fuori da un prisma di luce proveniente dalla porta socchiusa della palestra,
dove sono stati allestiti tutti i progetti di classe; dove tutti i genitori (tranne
uno) sono in trepida attesa.
«Oh, ciao caro, come stai?» Gli domanda dolcemente.
«Bene.» Bercia Vegeta, sorpassandoci entrambe e sparendo nel chiasso della
palestra che un istante dopo si sarebbe acquietata, per il sacrosanto diritto
di fare dei pettegolezzi sul giovane Arensay.
«Mamma, accidenti a te! Devi rovinare sempre tutto.»
«Tesoro scusami, vi stavate forse baciando?» Chioccia inopportuna come sempre.
«Mamma!» La riprendo esasperata, e raggiungo anche io la mia postazione,
accanto a Vegeta, dietro il nostro progetto di scienze: una macchina
radiocomandata ad energia solare, grazie alla quale, più tardi, avremmo vinto
il primo premio.
Vedo tutti bisbigliare indicando ora me ora Vegeta; se lui sembra non darsene
cura, io mi sento estremamente in imbarazzo. Forse perché io, al contrario di
lui, non ho un lutto a cui pensare, non mi sono ritrovata orfana a diciotto
anni, non sono odiata da tutti. Non mi sento così sola come lui.
Mi volto a guardarlo, provo a sfiorargli una mano nell’atto di stringergliela,
la ritira immediatamente. Volevo che avesse un contatto con la realtà, invece
credo preferisca il suo mondo.
Un’occasione sprecata, non saprò mai cosa voleva dirmi. Magari ringraziarmi, ma
ringraziarmi di che, di essere scoppiata a piangergli in faccia?
Quella serata passata a giocare a Risiko, non mi è mai sembrata così lontana…
«C’è un’indagine in corso e ci sono buone probabilità che sia stato
proprio Vegeta ad innescare la bomba! Non credo che dovremmo restare qui. Ma mi
stai ascoltando?»
«Lo farei se mi dicessi qualcosa di interessante!»
«Ma non capisci che sei al capezzale di un probabile psicopatico?»
«Oh, per piacere, non esagerare… cosa ne sai tu?»
«Beh, perché tu ne sai moltissimo, invece. Ti ricordo che fino a poche ore fa
avresti aperto le gambe per me!»
E si becca un schiaffo in piena faccia. Ho le lacrime agli occhi, i nervi a
fior di pelle. Quel che peggio è che ha ragione: non conosco nulla di Vegeta e
probabilmente è stato lui ad uccidere tutta quella povera gente.
Il mio respiro è così pesante che mi gonfia il petto, in cui il cuore mi batte
all’impazzata.
Yamcha stringe un insulto tra le labbra, digrigna i denti umiliato. «Comunque
sono venuto a chiamarti perché la polizia vuole vederti.»
«La polizia?» Chiedo scioccamente.
«Te l’ho detto, hanno aperto un’indagine. Quel pazzo ha fatto esplodere la sede
principale della Freezer Corp. Credi davvero che la cosa si sgonfi in un nulla?
Vogliono interrogarti.»
«Interrogarmi?» Sta andando tutto troppo veloce. Continuo a ripetere domande
stupide, come se la realtà non volesse entrarmi in testa.
«Certo, vogliono sapere come, dove e quando abbiamo trovato il corpo di Vegeta
Arensay.»
«E tu cosa gli hai detto?»
«La verità!» Suta sprezzante, come stesse schiacciando un insetto schifoso.
Quasi riesco a sentirne il viscido scrocchio.
«E quale sarebbe la verità per te?» Domando trafelata, rendendomi conto che la
vita di Vegeta non è retta dagli apparecchi che lo stanno tenendo in vita, ma
soltanto da una testimonianza lasciata con rancore.
«Credevi forse che non mi fossi accorto del tuo patetico attaccamento
al tuo amore del liceo?» Riprende Yamcha. «Hai davvero toccato il fondo, Bulma.
Non ti importa delle persone che sono morte stanotte? L’ospedale è in piena
emergenza, e tutto per colpa sua! Sussurravi il suo nome, quando ti stringevo
tra le braccia; ma io ti ho sempre amata, e sarei stato disposto ad
accontentarmi delle briciole pur di stare con te!»
«Adesso basta!» Batto un piede a terra e un’infermiera mi fa segno di abbassare
la voce, «Risparmiami i tuoi piagnistei da soap opera, Yamcha!» Riprendo con un
tono più fermo e basso, «Non osare incolpare me per la tua incapacità a farmi
dimenticare il mio patetico amore del liceo!» Gli punto il dito
contro. «Questa sera non si è trattata di una semplice casualità: se non
avessimo preso quella strada, domani avrei comunque appreso tutto dai giornali.
Saresti uno sciocco a credere che non avrei fatto il possibile pur di essere qui.
E adesso lasciami in pace.»
Raccolgo i tacchi da terra e, scalza, mi dirigo dalla polizia per rilasciare la
mia testimonianza.
«Allora che dite,
accettate l’invito?» Chiedo piena di gioia.
Abbiamo vinto il primo premio! Il primo premio. Non mi era mai capitato di
vincere nulla tutto da sola con le mie proprie forze, in scienze tra l’altro!
Certo, ho avuto un grande supporto da Vegeta, ma il progetto è stato completato
da me. Se questa coccarda non fosse così di pessimo gusto, la porterei come
spilla tutti i giorni.
L’idea è di organizzare una festicciola a casa mia, una cosa semplice solo con
i miei compagni di scuola più intimi. Credo che passare un po’ di tempo
allegramente faccia bene a tutti, anche a Vegeta.
«E tu bel fusto non vieni?» Lo esorto, avvicinandomi a lui. «O credi che
sarebbe di pessimo gusto passare la serata in festeggiamenti?» Ritraggo.
«Perché mai, il mondo non si è mica fermato.» Risponde schietto, raccogliendo
il proprio zaino da terra.
«Quindi verrai?» So che una festa potrebbe non essere la cosa più appropriata,
dall’altro lato, però, continuo a volere che, soprattutto, lui si
svagasse.
Mi mordo le labbra, pizzicata dalla coscienza che ripudia il mio modo subdolo e
affatto ortodosso di voler creare un’occasione per passare del tempo con
Vegeta, quasi a costringerlo a divertirsi in una situazione simile.
Oh, i miei neuroni sembrano ubriachi: mi sento una pessima persona a volerlo
con me e a voler festeggiare, mi sentirei anche peggio a saperlo da solo mentre
io mi diverto con gli amici.
La mia solita boccaccia! Avrei fatto meglio a starmene zitta, e a festeggiare la
vittoria in modo più discreto.
«No, Diciotto e Diciassette sono venuti con me.»
«Beh, allora porta anche loro, no?» Mi crolla il mondo addosso. Se avessi
saputo che si era portato dietro quella zavorra di sarcasmo, mi sarei stata
zitta.
Accidenti, sicuramente gli avrà raccontato dei miei piagnistei! Chissà quante
risate si sarà fatta alle mie spalle.
O forse era proprio lei al citofono, quel giorno da lui. Un motivo in più per
odiarmi: restare in strada mentre il suo ragazzo si sorbiva una crisi di pianto
da una… dall’ultima persona che aveva visto suo padre in vita.
Mi stringo tra le braccia, imbarazzatissima. «Scusami, è stato lo slancio della
vittoria. Non avrei dovuto invitare gente a casa!»
Vegeta ed io saremmo legati per sempre da questo brutto ricordo: fino alla fine
dei giorni, penserà a me come all’ultima persona che avrà visto suo padre. Il
padre assassinato.
«Tsk invita pure chi pare, cosa vuoi che me importi!»
Sospiro, pensando fino a che punto avrà intenzione di reggere la parte del
duro, “Ma tanto è solo una pizza a casa mia, verranno Goku, Chichi, Crilin e…
Yamcha…» Continuo insicura, a convincermi di aver avuto una buona idea
dopotutto, in realtà mi sento in colpa, per essere stata testimone involontaria
di un evento così terribile e privato.
Vorrei Vegeta mi associasse a qualcosa di diverso, di divertente, di piacevole.
Vorrei in futuro pensasse a me come la ragazza carina con cui ha vinto il
premio di scienze; vorrei non essere mai andata a casa sua a riportargli quel
maledetto libro. Vorrei non aver mai conosciuto suo padre.
«Se accettassi,» risistema gli occhiali sul naso, «Sarebbe solo perché non mi
va di sembrare patetico, non perché tu e i tuoi amici mi state
simpatici.»
«Vuoi dire che accetti?»
Continua…
Nda:
Aggiornamento a tempo record! xD In realtà, il precedente e questo erano stati
pensati per far parte di un unico capitolo, poi però ho preferito dividerli e
postare questo subito dopo!^^ Spero vi piaccia! Ringrazio i nuovi lettori che
hanno inziato a seguire la storia!
Mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate della storia fino ad ora, quindi, se
capitate tra questi lidi...
recensite!:D
In quel momento
non avrei mai creduto che l’odore della palestra avrebbe tormentato le mie
fantasie di donna ben dieci anni dopo. Che quella stessa luce al neon, chiara
come la nolente verità, avrebbe raffreddato la confidenza che serbavo in me
stessa, in una notte di aspettative disattese.
E forse era chiaro anche allora che non sarei stata in grado di salvare Vegeta,
nella presunzione di poter cambiare quella sua sofferenza con una pizza tra
amici. Imieiamici.
Gli chiesi ancora cosa avesse deciso, quasi offesa per la sua irriconoscenza
nei mei confronti, per quella sua riluttanza a passare del tempo con me, quasi
l’unica al mondo a poterlo capire; perché avrei fatto qualsiasi cosa per
annebbiare il ricordo del padre con un presente di sorrisi, quando lui
preferiva tormentarmi senza rispondere. Nel profondo, non lo avrei mai ammesso,
credevo mi fosse dovuto almeno un abbraccio, soprattutto dopo avermi visto
piangere per lui; mi consideravo, era vero, ormai parte indimenticabile della
sua vita e non capivo perché lui non voleva riconoscerlo. Quasi stufa di
doverlo sempre riconcorrere per tirarlo fuori dalla sua mente, la mia paura,
pensavo, meritava empatia e mi sbagliavo. Sentivo che saremmo stati legati per
sempre, in un cameratismo di dolore di cui, senza accorgermene, mi compiacevo
con me stessa. Sentimenti complicati, troppo per poter essere afferrati nella
loro egoistica essenza da una giovane ragazza ai primi assaggi di vita. Li
scambiavo per amicizia e altruismo disinteressati, ma era soltanto voglia di
passare del tempo con lui. Ora lo riconosco, non era compassione ma
giustificazioni date a me stessa.
Tuttavia, era ancora il 1998, eravamo adolescenti, eravamo prede di emozioni
potenti e me la presi. Quando il suo sguardo scorse oltre le mie spalle, avevo
ancora la convinzione che avesse potuto accettare il mio stupido invito. La
delusione sarebbe arrivata in un istante, fastidiosa come il dito indice che,
da lì a pochi secondi, C18 avrebbe imposto a pistola contro la mia schiena “Ci
provi sempre, vero?”. Poi Vegeta mi avrebbe dato le spalle, io lo avrei
rincorso… lo ricordo come fosse ora… afferrandolo per un braccio, “Dai, ho
anche ilKaraoke!”, dicevo. Ti dicevo.
E ora sei qui, Vegeta, lontano la distanza di un vetro. Mi tremano le mani, mi
trema la voce, mi tremano i pensieri che, veloci, trascinano lacrime. Avrei
voluto abbracciarti con la forza di un’attesa decennale, e invece sono qui con
la paura di romperti anche solo con lo sguardo. Sei forte, tuttavia umano e
dicono che forse morirai.
Nel caso tu non morissi… nel caso tu non morissi… nel caso tu non morissi…
Vegeta…dovrei dirti che non m’importa niente di chi hai ucciso stasera. Di cosa
hai fatto, perché. Ti direi: “Vieni a casa”,come fosse quella sera.
Non cederei alla forza della distanza che, da giovani, le nostre paure ci
imponevano. Non ascolterei la mia testa, andrei dritta per il cuore.
«Ma si può sapere che vuoi?» Strattona il
braccio per liberarlo dalla presa, «Ehi Yamcha,
perché non te la vieni a riprendere? Mi ha stancato!» Ma prima che Yamcha colga l’insolenza, Vegeta decide di continuare il suo
monologo a labbra tirate di rabbia: «Mi hai stancato Brief, mi sei sempre tra i
piedi! Ma che diamine vuoi?»
«Mh…Vacci piano, Vegeta, o si metterà a
piangere di nuovo!», affonda C18.
«Glielo hai detto?», domando furiosa, più colpita dalle parole di C18 che da
quelle di Vegeta, resa partecipe di quell’unico, intimo istante tra me e lui.
«Ehi, Bulma, tutto bene?», sopraggiunge Yamcha,
osservando tutti e due in modo torvo.
«Non lo vedi? La tuaragazzettami pare piuttostoinsoddisfatta!» Bercia Arensay,
strafottente, leccandosi il labbro superiore. «Forse dovresti farti lei,
piuttosto che la copia! Sarebbe ora, o continuerà a chiedere adaltridi spogliarla.»
«Vegeta…», sospiro.
«Come? Che cosa vuol dire, Bulma, Vegeta?»
«Oh non te l’ha detto, forse?» Scoppia a ridere quest’ultimo. «Che
mentre punisce te per esserti scopata un’altra, una sera si sarebbe volentieri
fatta dare una botta da me!» La risata diventa più forte, gutturale, maliziosa.
«Non è vero, Yamcha!», riesco solo a mentire,
impreparata davanti a quello schiaffo morale che mi arriva proprio dal poco
raccomandabile Vegeta.
C’è molta gente intorno a noi; tra ragazzi e genitori impegnati a tessere le
lodi dei loro figli ai professori, nessuno ci bada, venendoci incontro.
Bloccandoci. E Vegeta non sta nemmeno gridando, afferma, con quella sua voce
calma e velata, rendendo ancora più pesanti le parole. E la sue risa potrebbero
essere intese come nate da una battuta spassosa, tanto è distaccato quel suo
tono strafottente.
«Siete solo patetici! Degli inutili mocciosi. E tu, Brief, ora che haiquasiassistito alla morte di mio padre, ti
senti libera di rivolgerti a me come a unqualunquedei tuoi stupidi amici; sappi che non
ho bisogno della tua pietà. Mettiti pure il cuore in pace, di mio padre non me
ne importa niente, tanto meno di te. Anzi, sei talmente fastidiosa che avresti
potuto morire quel giorno come una mosca qualsiasi.»
Quelle sue parole mi arrivano talmente sproporzionate rispetto al mio
invito che resto confusa, ferita e mortifica; per la prima volta incapace di
reagire durante un litigio. Nondimeno, con Vegeta non sono mai sicura di poter vincere.
«Adesso basta, Vegeta!» Sbotta a qual punto Yamcha,
che finalmente crede di avere un motivo valido per mandarlo a quel paese
sembrando l’eroe ma m’infastidisco delle sue interruzioni e glielo dico che non
c’entra nulla lui, tra me e Vegeta. Il quale a un certo punto si avvicina,
scansando Yamcha che gli si era parato davanti allo
scopo diproteggermi, ma
nessuno ha il diritto di proteggermi da Vegeta.
C18 lo richiama risentita mentre lui mi afferra il mento con una mano e, «Lo
vedi», sussurra, sfiorandomi le labbra con il suo respiro. «Quanto sei
ridicola?». «Oh lo dicevo io che siete fidanzati. Ma che bella coppia!»
Irrompe a quel punto mia madre, procedendo al braccio di mio padre.
Vegeta si allontana, infastidito, lancia a mia madre tutto il suo disprezzo
dagli occhi neri. «E la pizza, puoi anche ficcarla nell’orifizio che vorresti
ti prendessi!» Mi dice, e ride ancora, di una battuta che è un insulto. Vedo Yamcha fremere di collera, vorrebbe rincorrerlo e
picchiarlo ma suppongo tema di rompersi di nuovo il naso; C18, invece, gli
corre dietro. Mia madre che come al solito non ha capito un accidenti «Cosa
avrà voluto dire, caro? Però è così carino».
Nemmeno io lo lascio andare. Gli corro dietro, perché tanto lo so che non
è con me che ce l’ha e non gliela perdono. Devo sapere. Gli devo dire che è un
arrogante, un vigliacco che ha paura di dover ammettere di essere triste.
Fuori sta piovendo, sono nel parcheggio, C18 è lì che lo rincorre; dietro di me
sento i passi e la voce di C17 che li richiama. Fa freddo, molto. Grido il nome
di Vegeta, ma C18 lo pronuncia più forte di me, aggiungendo uno schiaffo che
non arriva a destinazione.
Vegeta dice qualcosa, lo richiamo, ma è a C18 che parla. C17 li raggiunge. Li
raggiungo.
È troppo tardi, C18, con tutta la sua forza, dà una spinta a Vegeta, il quale
non aspettandoselo, perde l’equilibrio e cade a terra. Si rialza, è furente.
«Ma cosa credi che solo perché sei unafemminanon sia capace di colpirti?» e la
spinge a sua volta, con più forza, contro una macchina.
«Vegeta, adesso basta, o te la vedrai con me!» Interviene C17 in soccorso alla gemella.
«Fatti sotto, allora!» Lo provoca Vegeta.
«Vegeta!» Lo richiamo anch’io.
«Tu sta’ zitta, stupida!» Mi dice la ragazza.
«Stupida a chi, maldetta strega?» Ribatto, lanciandomi contro di lei; le
afferro i capelli e tiro forte.
L’altra risponde con un calcio negli stinchi. A quel punto sto per fare la
contromossa, schiamazzando insulti come una povera gallina a cui stanno
torcendo il collo, ma Vegeta mi afferra per le spalle allontanandomi da C18.
C17 regge già la sorella.
«Lasciami, lasciami!» Mi dimeno.
Anche gli altri, a questo punto ci raggiungono allarmati, tranne mio padre che
mi chiede come mai non ho portato l’ombrello. Mi distraggo da quella domanda
fuori luogo e mi calmo.
Sento le braccia di Vegeta scivolarmi addosso mentre allenta la presa. I nostri
vestiti sono bagnati; noi quattro: Vegeta, C18, C17 ed io siamo,
effettivamente, senza ombrello. Passata l’adrenalina, mi accorgo adesso del
freddo e mi stringo nel maglione bagnato, quasi un riflesso incondizionato.
«Stavamo solo parlando.» Mi difendo, appuntando i gomiti.
«Non credere sia finita qui!», mi avverte C18, mentre si allontana. C17
scuote la testa, guarda Vegeta con ostilità per aver osato maltrattare la
sorella tanto amata, e segue quest’ultima fino alla macchina che li avrebbe
riportati a casa. Vegeta resta solo, diviso anche da me da un muro invisibile.
Ci guarda tutti con disprezzo, gira le spalle a se ne va. Fa alcuni passi,
sotto la pioggia; si ferma; torna indietro.
«Ehi tu!» Si rivolge a me. «Le mie chiavi di casa erano in quella
macchina. Vengo da te.» Asserisce, quasi in un ordine.
«Ma come ti permetti?» Lo riprende Yamcha.
«Con che coraggio ti inviti da lei, dopo quello che è successo?»
«Fammi il favore, impicciati degli affari tuoi!» Ribatte Arensay,
incrociando le braccia al petto. «E tu, vecchio, perché non vai a prendere la
macchina?» Domanda (ordina?) a mio padre il quale, vittima del suo
solito temperamento indolente, ridacchia: «Ecco, mi pare un’ottima idea,
figliolo!».
Una volta all'asciuto nell’abitacolo, a
coronare l’assurdità della situazione, Yamcha siede
tra me e Vegeta.
So you
think you can tell*,
Heaven from hell,
Blue Skies from pain
Vorrei fosse la mano di Vegeta quella che
sto stringendo.
Do
you think you can tell?
«Vegeta, mi
piace molto come porti i capelli. Mi sono sempre piaciuti i ragazzi alla moda!»
Cinghetta mia mamma imbarazzandolo.
Un risvolto di serata decisamente inaspettato.
We’re just twolost Soulsswimming in a fishbowl… yearafteryear...Canta, invece, la radio.
Continua…
Finalmente
l’aggiornamento è arrivato! Scusata tutti il mio solito, lunghissimo ritardo.
Spero questo capitolo vi sia piaciuto e, se potete, lasciatemi una recensione:
le vostre opinioni sono molto importanti per me! :)
*Questa
canzone è dei Pink Floyd, “I wishyouwerehere”.Tuttavia,
ho scritto questo capitolo ascoltando anche “Heyyou”, sempre dei Pink Floyd, nel caso vi vada di sentire
anche questa mentre leggete! ;)
Chiudo l’acqua; afferro l’asciugamano e mi avvolgo
nel languore del dopo doccia. Esco dal bagno in una bolla di vapore; l’aria
fresca della stanza è piacevole alla pelle. Penso a Vegeta, a come si è
comportato durante tutta la serata, e non posso che chiedermi se la sua
arroganza consegua la sua tristezza. Tuttavia, non sono i suoi insulti ad
occuparmi la mente e credo di essermi bevuta il cervello se considero che
l’unica cosa che davvero vorrei sapere da lui è ciò che stava per dirmi ad
inizio serata nel corridoio della scuola, prima che mia madre ci interrompesse.
Allungo lo sguardo verso la coccarda del primo
premio; è ancora attaccata al maglione della scuola finito nei panni sporchi
insieme all’entusiasmo della vittoria. Ero contentissima di aver vinto, ma
questo era ancora prima di conoscere gli intriganti risvolti della serata.
Mi siedo, sconfortata, allo sgabello del mio beauty. Strofino i capelli con
l’asciugamano, mi fermo allungando una gamba al cui piede calzo una pantofola
rosa. Lascio l’asciugamano sulle spalle, mi guardo allo specchio; scosto una
ciocca umida di capelli dal volto. Non mi vergogno nemmeno del broncio che mi
tiene Yamcha. Gli ho detto che Vegeta mentiva per farci innervosire, quasi mi
ha creduto ma dubito gli piaccia sapere Arensay qui a casa mia per tutta la
notte. Illuso, non ha proprio capito di chi si sta parlando!
«Bulma, coraggio, muoviti! O Goku mangerà tutta la
pizza!», sento chiamarmi dal salotto; gli starnazzi dei miei amici risuonano al
di sopra dello stero acceso.
Stringo i pugni infastidita. Ma come accidenti gli
viene di essere così chiassosi sapendo quello che è successo a Vegeta?
Precipitandomi al comò affermo delle mutandine, una felpa;
indosso velocemente un jeans e, a
passo pesante, irritato, esco dalla stanza per andarne a dirne quattro a quei
maleducati dei miei ospiti.
«Vegeta! Che fai lì impalato, perché non sei ancora
vestito?», gli domando confusa, fermandomi davanti alla sua stanza. «Non hai
trovato i vestiti asciutti, forse?», la luce è accesa e lui è ancora con
l’asciugamano intorno alla vita, immobile in mezzo alla camera. Avrei giurato
fosse sceso a cena da un pezzo, considerando che sono stata mezz’ora sotto la
doccia!
Vedendomi sussulta leggermente. Sono certa stesse
pensando al padre; mi guarda come se avesse passato l’ultima mezzora in un
altro mondo; la mascella è serrata, le braccia strette ai fianchi.
«Cos’è, ti vergogni?», lo schernisco, allo scopo di
tirarlo fuori dalla sua mente. Il suo corpo bagnato è traslucido, illuminato
dal lampadario al soffitto. Non è alto come Yamcha, ma la sua figura è ugualmente
perfetta, da atleta.
Fa un passo verso il comodino per riprendere gli
occhiali, li inforca sul naso dritto: «Smettila di fissarmi! Figurati se mi
vergogno di una mocciosa».
Ancora con questa “mocciosa”, «Capirai, ha parlato
l’uomo maturo!», ribatte la mia boccaccia.
«Vuoi vedere?», domanda lui, con quel suo
caratteristico ghigno, prima di denudarsi completamente; l’asciugamano, retto
dal braccio teso, viene poi lasciato mollemente per terra.
«Allora? Ce l’hai esattamente come ce l’hanno tutti!
Quale sarebbe il punto?», lo rimbecco, senza lasciare pause tra una parola e
l’altra per riempiere la mia bocca stupita dall’assurdità del gesto; spunto poi
il mento in un’espressione saputa, gli occhi socchiusi allo lo scopo di
mascherare il mio imbarazzo. Completamente nudo! «Magari tra un po’
ti cresce anche il cervello!», aggiungo agitata, prima di lasciare la stanza e
quella conversazione assurda. Lo sento ridere da dietro la porta che mi sbatto
alle spalle. Perché diamine deve comportarsi sempre così?
Ci gode, e parecchio, a provocarmi per qualsiasi
cosa! «Sei un cafone!», lo rimbecco con puntiglio, dal corridoio, fomentando
ancora di più la sua risata. Scendo in fretta un piano di scale, poi mi accascio
contro il muro, sedendomi a terra, al buio, nell’eco delle voci dei miei
compagni in salotto. L’ho visto nudo!
Un secondo per rendermi conto.
Due, e non faccio in tempo a bloccarmi la bocca con
la mano che scoppio in una fragorosa risata incontrollata, ammaliata dal lato
comico di tutta quella faccenda, dalle botte a C18 al pene di Vegeta! A suo padre assassinato.
Torno seria. Raggiungo gli altri con gli occhi
ancora umidi dalla risata, segno della mia scarsa compassione.
«Allora come sta Vegeta?», si fa avanti Goku,
masticando una fetta di pizza a bocca aperta.
«Come vuoi che stia!», rispondo bisbetica, come mio
solito quando mi vengono fatte domande stupide.
Mi infastidisce aver visto Vegeta nudo, soprattutto
per il significato di quel gesto: una prepotenza verso i suoi sentimenti;
perché dubito avesse voluto mostrarmi la sua prestanza fisica. Lo avrei pensato se si fosse trattato di qualcun
altro, ad esempio di Yamcha, ma Vegeta è diverso, non è qualcun altro e pare
voler sbattere in faccia la sua indifferenza per la sua condizione di orfano.
«Beh, dov’è la famosa pizza che ci tenevi a farmi
mangiare?» entra il diretto interessato, assolutamente tranquillo, come se non
si fosse mostrato in tutta la sua indecenza nemmeno un attimo fa. È senza
scarpe, i suoi passi sono attutiti dai calzini bianchi che indossa. Lo osservo
con attenzione, quasi a sincerarmi che i suoi vestiti ci siano tutti. Goku
ridacchia imbarazzato, «Eh… eh… mi sa ch’è
finita!»
«Ma erano trenta pezzi!» Esclamo trafelata.
«Eh… eh… che vuoi farci, avevo una fame…» è
l’affatto poco convincente difesa di quello che un giorno avrebbe dovuto
difendere Vegeta dalla sedia elettrica.
«E quindi adesso cosa pensi di darmi?», rimbrotta
quest’ultimo.
«Ti ricordo, maestà,
che sono digiuna anch’io.»
«Non mi riguarda, ho fame!»
«Sei proprio uno scimmione, lì c’è il frigo, se vuoi qualcosa da mangiare prendila e non mi seccare!»
Ripeto, trionfante, la stessa frase “accogliente”
dettami proprio da lui il primo pomeriggio passato insieme a casa sua. L’ho
ancora ben presente, la sua proverbiale ospitalità!
«Coraggio, ragazzi, non vedo il motivo di litigare
per così poco!», azzarda Goku con le braccia in avanti, notando sulla fronte di
Vegeta una vena di nervoso in procinto di scoppiare.
«Tu sta zitto!», gli intimiamo all’unisono.
«Lo dicevo io che sei solo una mocciosa; mi hai scassato tutta la notte per la tua fantomatica
pizza e poi se l’è mangiata quest’ebete qui!»
Goku ed io ci guardiamo, e scoppio di nuovo a
ridere; di quel riso irrefrenabile che solo una con i nervi a pezzi potrebbe
avere. Il comportamento di Vegeta, quello che dice, quello che fa, mi coglie
del tutto impreparata, tanto quanto l’amarezza dei suoi pensieri che mi
considero del tutto inadeguata ad addolcire.
Deve aver pensato ancora che sono una mocciosa,
giacché dopo uno sbuffo si è diretto in cucina scuotendo la testa; non fa in
tempo ad aprire il frigo che mia madre lo soccorre, «Caro, va’ pure a divertirti con i tuoi amici, alla cena ci penso io!»;
«Non sono miei amici.» borbotta lui in risposta.
No, in effetti, ha ragione: non sono i suoi amici.
Smetto di ridere quando il rimorso per essermi concessa una risata in faccia a
lui mi riporta alla dura realtà dei fatti: Vegeta è solo, stasera, tra persone
che disprezza; e non parlerà mai più con suo padre. Non l’ho invitato per
bisticciare, ma per tirarlo su di morale. A quanto pare ci sto riuscendo
davvero alla grande!
«Goku, sei proprio un idiota! Tutta colpa tua!», lo
rimbrotto mollandogli un colpo alla schiena, lasciandolo confuso mentre mi
avvicino a Vegeta.
Facciamo cerchio seduti sul tappeto, tranne Vegeta
che preferisce star fuori dal nostro atollo, da solo contro il camino acceso.
Le luci sono spente e i nostri volti paiono perdersi nella semioscurità della
stanza, tranne, ancora una volta, Vegeta, la cui figura lambita dalle fiamme
impone la sua presenza molto più delle nostre parole. E chissà in che ricordo,
a me inaccessibile, sta vivendo adesso! Lontano ma vicino la distanza di un
passo. A guardalo mi sento come un marinaio in un mare in tempesta, rivolto al
faro che sa non riungerà mai.
«E allora credo proprio sarebbe una bella idea
guadagnare dei crediti extra con una
recita scolastica!», sta proponendo Chichi, continuando la conversazione a cui
non ho ancora preso parte.
«Non lo so, non mi pare una grande idea…» bofonchia
Crilin.
«Cosa vuoi saperne tu? È un’ottima idea, invece! Avere
crediti extra ci aiuterebbe ad avere voti più alti!»
«Coraggio Chichi, non c’è motivo di essere sempre
così nervosa…», tenta di calmarla Goku.
«Dico solo che ci vorrà del tempo, e poi recitare
non è così facile!», è la labile difesa di Crilin.
«Beh, non dobbiamo mica vincere il premio Oscar!», obietta Chichi incrociando le
braccia al petto, ormai decisa riguardo i suoi propositi, come fossero di
insindacabile importanza. «E comunque non è detto che tu reciterai, potresti
occuparti di altro, tipo… delle luci. Io invece farei la regista.»
«A me piacerebbe molto recitare, invece!», dico a
quel punto, sforzandomi di partecipare al discorso, non vorrei che Vegeta si
accorgesse dei miei sguardi.
«Già, ti ci vedrei nei panni della Bella addormenta, Brief!», commenta però a sorpresa quest’ultimo,
rimasto fino a quel momento impassibile ai nostri chiacchiericci.
«Cosa intendi dire con “addormentata”, Vegeta?»,
ribatto, incrociando le braccia.
«Niente più di quello che ho detto, ma trovo curioso
il fatto tu dia per scontato mi riferissi all’epiteto negativo.» È soddisfatto
di avermi innervosito ancora una volta.
Lo guardo di sottecchi, «Mi stupirebbe di più
ricevere un complimento da te!», asserisco, sotto gli occhi vigili di Yamcha,
mentre Vegeta ha già lasciato perdere il discorso, tornando ad ignorarci.
Nemmeno gli altri, del resto, hanno tanta voglia di
renderlo partecipe, credo per evitare di dover compatire qualcuno destato fino
a quel momento. Né Vegeta pare fare alcuno sforzo per rendere la sua amicizia
più appetibile. Né vedo perché dovrebbe preoccuparsi di simile stupidaggini,
considerate le circostanze. C’è una tensione, in questa stanza, che credo di
sentire solo io, opposta alla spensieratezza dei miei amici. Sono sicura, però,
sia solo apparenza: sono a disagio tanto quanto me, stasera.
«Vi va di giocare a qualcosa?», butto lì.
«Oh sì, che ne dite di Obbligo o verità?», domanda
allora Chichi, la cui proposta viene però declinata da Vegeta con un’argomentazione
inattaccabile: «E che gusto ci sarebbe, visto che oramai le vostre “scottanti”
verità sono state scoperte da un pezzo!» a quelle parole fa seguito un
imbarazzante silenzio. Sappiamo tutti a cosa si sta riferendo: alla serata nel
locale, quando tutti erano consapevoli del tradimento di Yamcha tranne me.
«Allora che facciamo?», chiede Crilin, per
distogliere l’attenzione dalle parole di Vegeta.
«Potremmo giocare a Risiko!», propongo, «Scommetto
che non vedi l’ora di riavere la rivincita!», interpello Vegeta, sicura non
abbia nulla da ridire su questa proposta.
«Non mi va!», sentenzia invece, senza ammettere
repliche. Si alza dalla poltrona, «Vado a dormire.» Annuncia, guardando Yamcha,
provando a rimarcare il fatto di passare la notte qui da me.
«Sei proprio noioso, Vegeta,» mi lamento
stiracchiandomi, «Perché non resti ancora un altro po’?», lo esorto alzandomi
da terra, accendo al luce e mi avvicino allo stereo in cerca di qualcosa da
ascoltare tutti insieme. Vorrei Vegeta capisse che tre me e lui le cose possono
ancora essere normali.
«A far che?», bercia, però, lui.
Afferro l’album I
wish you were here, la stessa canzone ascoltata in macchina durante il
tragitto per casa, «Se resti, ballo questa con te!», esclamo facendo scoppiare
tutti gli altri a ridere, non consci delle mie vere intenzioni. Tanto meglio, a
quel punto scoppio a ridere anche io, non conscia delle mie vere intenzioni. Ed
è lì che perdo Vegeta per il resto della serata. Lo vedo lasciare
inesorabilmente il salotto, tutto seccato. Vorrei seguirlo, ma «Se vuoi ballo
io con te!», dice Yamcha, predendo l’album dalle mie mani con un’espressione
talmente dolce da farmi venire il voltastomaco. Dovrei proprio decidermi a
farla finita con lui.
«Sì, potremmo ballare tutti!», accolgono la sua idea
gli altri.
«No, che non balliamo!», ribatto infine io, «È già
tardi e i miei potrebbero svegliarsi!», preciso, contrariata che Vegeta sia
andato via; quasi infastidita, adesso, dalla presenza scomoda di Yamcha e dei
miei amici. «E anche voi dovreste andarvene a casa!», sbologno allora tutti,
mostrando loro la porta. Sono arrabbiata con me stessa, con Yamcha, con tutti
gli altri. L’idea di questa serata è stata uno sbaglio.
Quando finalmente se ne vanno tutti quanti, salgo di
sopra diretta in camera di Vegeta. Sento che dovrei chiedergli scusa.
Busso.
«Vegeta?», chiedo con un filo di voce, per non
svegliare i miei che si trovano adesso sullo stesso piano.
Nulla.
Busso ancora, sempre cercando di non far troppo
rumore. «Vegeta? Lo so che non stai dormendo, posso entrare?», chiedo per la
seconda volta, cercando di frenare i miei istinti omicidi, le mani già mi
prudono per il nervoso: sono sicura stia fingendo di non sentirmi; non può
dormire già, non sono passati nemmeno dieci minuti da quando è salito in
camera.
Mi salta in mente l’idea di entrare lo stesso. La
mia mano è sulla maniglia ormai calda, metà viso contro la porta fredda per
cercare di captare qualche movimento interno.
Nulla. Dovrei entrare lo stesso?
Al massimo lo trovo che dorme davvero ed esco.
«Bulma! Che fai ancora sveglia, tesoro?»
«Mamma! Che ci fai tu, ancora sveglia!», ribatto, fuori da ogni logica.
«Oh tuo padre vorrebbe un bicchier d’acqua e andavo
a prenderglielo», mi risponde con il suo solito candore, «Ma è la porta di
Vegeta quella?»
«Uhm… stavo solo vedendo se era sveglio!», sbotto
sperando che mia madre non faccia allusioni imbarazzanti.
«Tesoro, è normale alla tua età che tu voglia
passare del tempo con il tuo fidanzato. Poi lui è un tipo così affascinante! Ma
forse è un po’ tardi adesso, non credi?»
«Mamma, che vai pensando», concludo esasperata;
entrando in camera.
«Ce l’hai fatta finalmente!», sento dal buio della
stanza. Nella penombra, prima che accenda la luce, vedo qualcuno steso sul mio letto.
Accendo la luce, «Che ci fai qui, Vegeta?», domando stupita.
«Mi annoiavo in camera mia.» Dice semplicemente, mettendosi
a sedere e allungandomi la custodia di un VHS, 2001 Space Odissey.
Resto interdetta, ancora sulla soglia, senza
riuscire a capire la situazione tranne che non sono più arrabbiata con lui.
Riesco soltanto sentire un barlume di colpa verso Yamcha non appena mi rendo
conto che restare da sola con Vegeta era esattamente quello che avrei voluto
fare per tutta la serata.
Mi trovo nella stessa situazione di qualche sera fa,
solo che all’epoca temevo che Vegeta allungasse le mani su di me; ora,
piuttosto, quasi temo il contrario e mi vergogno da morire con me stessa
nell’ammetterlo. Non ho ancora definito la situazione con Yamcha, né credo
riuscirei mai a definire cosa sia questo sentimento che mi attrae verso Vegeta,
se pena o se, davvero… o se davvero… o se davvero… «Sai mi piace molto questo
film, certo non ne sono innamorata, ma
trovo che sia intrigante», esclamo, avvicinandomi al letto, non proprio sicura
di riferirmi al film; né credo sia lecito concedermi simili congetture,
considerate le circostanze del mio rapporto con Vegeta.
«Non mi pare di averti chiesto un’opinione!», mi
risponde lui, mentre gli prendo il VHS dalle mani per infilarlo nel lettore.
«Mi pareva t’interessasse, visto che stiamo per
vedere un film che hai scelto tu stesso!», ribatto.
«Era l’unico decente!», mente. Ne sono sicura,
ricordo bene quanto avesse apprezzato i miei film l’ultima volta che è stato
qui. «Bugiardo, ti piacciono i miei film; perché accidenti devi sempre dire il
contrario di quello che pensi?»
«Vuoi mettere quel diamine di film, invece di blaterare?»,
sbotta a quel punto.
Mi chiedo quale sia il vero motivo della sua visita
notturna, «Sei proprio un tipo rozzo, lo sai?»
«Vuoi che me ne vada, allora?», domanda, alzandosi
dal letto, con una serietà che quasi mi destabilizza. Sono quasi sicura sia un’altra
delle sue provocazioni. Scelgo di mettere da parte il mio orgoglio, cercando di
essere comprensiva. Lascio partire il film e mi stendo sul letto. Vegeta, però,
non mi raggiunge preferendo sedersi alla poltroncina della mia scrivania.
È la stessa situazione di qualche tempo fa, ma siamo
diventati diversi.
Tutta la mia concentrazione è rivolta verso di lui;
la pellicola scorre mostrando lo spazio e la distanza incolmabile tra me e
Vegeta.
Non riesco proprio a concentrarmi sul film, ho
troppe domande. Ho desiderato così a lungo di restare da sola con lui che ora
non so da dove iniziare.
Un uomo, da solo, nel suo studio. La città brilla ai
suoi piedi, in questa calda notte estiva. Né una stella nel cielo torbido. Nessun
rumore giunge dalla strada al suo attico di vetro che non sia quello del
proprio respiro.
Entra qualcuno: una donna con un pacco di documenti.
Lui la ignora, aspetterà che poggi i fogli sulla scrivania, poi tornerà a pensare,
nel silenzio della propria fortezza. «Signor Arensay, mi scusi, io avrei
finito; se non serve altro le auguro una buona serata.» Si congeda la donna,
indugiando, forse troppo, sulla schiena di quell’uomo schivo e affascinante.
«Aspetti!» La richiama, autoritario, mentre getta
nel cestino un invito colorato.
La segretaria, capelli biondi corti, avanza indecisa
di un passo nella sua camicetta bianca da cui spuntano aloni di sudore da sotto
le braccia. Pensa sia la prima volta che lui le rivolge la parola; di solito
entra, lascia i documenti e va via. Non resta mai.
Vegeta sta sfogliando le carte che lei gli ha steso
sul tavolo, pratiche da sbrigare,
piani azionari da controllare. È svagato, pare non gli interessino affatto.
Dietro le sue spalle, sul vetro, è ancora impressa la condensa del suo respiro
come una piccola luna contro il cielo senza stelle di Città dell’Ovest.
«C’è… c’è qualche errore?», domanda la donna; è lì
solo da quale settimana; ricorda l’affitto da pagare e spera di non aver sbagliato
alcun passaggio. Le è noto il cattivo carattere del suo principale.
Il sudore ormai le imperla la fronte, quando lui
scaraventa quelle carte a terra, «Maledizione!»
La donna nasconde la testa tra spalle mortificata.
Crede sia spacciata, non ha un soldo e se l’è andata male anche questa volta non le resterà che dormire
sotto i ponti. E d’estate i ponti sono pieni di topi. E che ne sarà di tutte quelle scarpe che ho comprato? Si domanda la
stupida.
«Mi chiami subito Dodoria, ha sentito?» le ordina
invece Vegeta, sbattendo i pugni contro la scrivania.
I tormenti della donna si sciolgono in un profondo
respiro, sollevata di non essere lei l’oggetto del malumore del suo principale.
«Credo sia un po’ tardi adesso…», balbetta.
«Lo chiami subito, ha capito?», sbraita l’altro,
facendola indietreggiare per lo spavento.
«Sì…sì… subito… su…sulla linea due…», incespica,
uscendo di corsa dalla stanza.
Dopo alcuni istanti, la linea interna inizia a
squillare. «Dodoria!»
«S…signore sono io, Sauce. Mr Dodoria non risponde!»
«Beh continui a chiamarlo!»
«Ho provato diverse volte, la linea è libera ma
credo, signore, credo che Mr Dodoia stia dormendo!»
Azzarda, a quel punto desiderosa di tornare a casa a
dormire anche lei. La camicetta è diventata trasparente sotto le braccia, tanto
la donna si è agitata.
«Maledizione!», impreca ancora una volta Vegeta, «Lo
vedremo se quel pallone gonfiato sta dormendo!», apre il cassetto di sicurezza
della scrivania; tira fuori una pistola lucida quanto nuova, la carica;
aggiunge il silenziatore e la infila nella cintola dei pantaloni uscendo dal
palazzo.
Blocca una macchina mettendosi in mezzo alla strada,
«Ehi, che diamine combini, sei impazzito forse?», sbraita l’autista dal
finestrino, costretto ad una manovra di emergenza, lo stridio dei freni echeggia
ancora nella strada deserta.
«Esci dalla macchina!» ordina Vegeta aprendo la
portiera.
«Ma dico, ti sei bevuto il cervello amico?»
L’amico
gli punta la pistola alla tempia, tenendogli ferma la testa con una mano,
«Esci, ora!», ripete, freddo come la punta dell’arma che non esiterebbe ad
usare in una strada deserta.
«Ce…ce…certo, amico…
non ti agitare, eh?»
«Non sono tuo amico, pezzente!» chiarisce, prima di
dare una botta in testa all’autista; lo tira fuori dall’abitacolo e, lasciatolo
in strada, entra al suo posto.
Una nuova sgommata si aggiunge alla eco della
precedente, la macchina schizza via, come se il conducente stesse fuggendo da
un’orda di zombie famelici.
Venti minuti dopo quella stessa macchina si apparta dietro
un cespuglio, nella zona residenziale di Città dell’Ovest. Vegeta, a luci
spente, osserva le luci di una casa non poco lontano. Lo sapevo,
maledetto ciccione!,
pensa, e come una ghepardo in procinto di attaccare la sua preda, esce dalla
macchina per avvicinarsi in silenzio alla casa di Dodoria. Tutto tace, nessuno
è nei paraggi.
Attende che anche l’ultima luce sia spenta, prima di
scassinare la porta sul retro.
Entrando, sente l’eccitante brivido di intrufolarsi
nella casa di qualcun altro, solo il mobilio, nella sua quiete sinistra, sarà
spettatore dell’atroce delitto che Vegeta si accinge a compiere. Nella sua
testa, la lista di azioni compiute per conto di Freezer il quale, adesso, stava
pensando di sbarazzarsi di lui perché sapeva troppe cose.
Sale le scale silenzioso. Il cammino illuminato
dalla luce della luna che trapela dalle finestre. Non è difficile trovare la
camera da letto di Dodoria, giacché solo un sordo non lo sentirebbe russare!
Ecco la porta, Vegeta si ferma, con la mano sfiora
la maniglia; con la lingua si lecca le labbra sottili, pregustando la resa dei
conti.
Entra, seguito dal cigolio della porta; veloce si
avvicina al letto, afferra le coperte e le solleva con forza, rilevando il
corpo seminudo dell’odiato antagonista svegliandolo.
«Ehilà, Dodoria! È da tanto che non ci si vede, come
va?»,
«Vegeta, che ci fai tu qui?»
«Sono passato per un saluto, sai ero ansioso di
vederti il prima possibile! Non ti dispiacerà se ho portato un’amica!», solleva
la pistola puntandola contro l’uomo, il cui volto deformato dalla paura pare
non essere di questo mondo.
«Che ti salta in mente? Metti subito giù quell’aggeggio,
sei ubriaco forse?», balbetta quest’ultimo con voce stridula, spingendosi
contro la spalliera alta del letto.
Un click alla
sicura della pistola, «Cosa c’è? Non mi sembri felice di vedermi! Eppure
avresti dovuto aspettartelo.» dice Vegeta, mellifluo quanto calmo, guardando
l’altro negli occhi, pregustando il momento in cui quel testone sarebbe finito
spappolato contro il muro. «O forse credevate tutti quanti di prendermi in giro»
«A… aspetta un attimo, Vegeta, non puoi farmi
fuori!», piagnucola la vittima, «io non c’entro nulla!»
«Non mi incanti!»
«No, aspetta! Se mi risparmi la vita, io… io ti
racconterò una cosa di tuo padre che non sai! Non sei curioso? Ascoltami, ne
vale la pena!», è l’ennesimo tentativo di Dodoria, mentre cerca di recuperare
il coltello che tiene sempre sotto il cuscino senza che Vegeta se ne accorga.
«Che cosa? Di che diamine stai parlando? Cosa sai di
mio padre che io non so?»
«Metti giù quell’aggeggio, mettilo subito giù o non
dirò una parola!»
Vegeta esita, una goccia di sudore gli solca la
fronte stempiata; solleva il mento, poi abbassa l’arma.
«Ma bravo, vedo che cominci a ragionare,
finalmente!»
«Ti conviene vuotare subito il sacco, grassone, o ti
uccido all’istante!», minaccia Vegeta risollevando la pistola in aria.
«Immagino che Freezer ti abbia raccontato che tuo
padre era sull’orlo del fallimento, che aveva finito tutti i soldi e che doveva
milioni ai suoi creditori. E che poi si sia ucciso per evitare la vergogna.
Ebbene mi dispiace, ma non è vero!»
«Che dici?»
«È stato Freezer a rubare tutti i soldi di tuo
padre; approfittando della tua buona fede, ti ha fatto firmare un contratto
fasullo per appropriarsi di tutti i tuoi soldi eri solo un ragazzino e non ti
sei accorto di nulla!» puntualizza, con un punta di orgoglio nella voce, «Devi
sapere che in seguito a manovre finanziare fallimentari, le sostanze di Freezer
si erano irrimediabilmente prosciugate e avrebbe dovuto pagare lui stesso i
debiti che poi ha onorato con i soldi della tua famiglia, una delle più
benestanti del pianeta. Considerata la fama non proprio lusinghiera di tuo
padre, ucciderlo facendo finta si trattasse di un suicidio per rimorso, è stato
un gioco da ragazzi!»
«Non dire assurdità, ricordo bene che non c’erano
altre impronte sull’arma del delitto.»
«Non lo sai che esistono i guanti, mio caro? Ed
essendo il delitto avvenuto in un luogo frequentato, sarebbe stato impossibile
trovare altre tracce che conducessero a Zarbon! Quanto a te, Vegeta, devi
ritenerti molto fortunato se Freezer ha sempre avuto un debole per te, accogliendoti
e facendoti lavorare per lui! E adesso muori!», urla infine Dodoria,
scagliandosi contro Vegeta brandendo un coltello affilato. Bam!
Il colpo di pistola tuttavia arriva prima, ferendo
ad una gamba Dodoria che si accascia dolorante all’angolo del letto.
«Spiacente, non avresti dovuto fare il furbo con me,
Dodoria! Sappi che non mi importa un accidente di come sono andate le cose.» Bam! Un ultimo, silenzioso colpo all’altra gamba, «Quello
di cui sono furioso, è sapere che mi avete preso in giro per tutti questi
anni!»
«Aspetta, Vegeta… io non sono mai stato d’accordo
con i piani di Freezer.» Farfuglia Dodoria, digrignando i denti dal dolore.
«Questo lo prendo io,» dice Vegeta in risposta,
ignorando le parole del moribondo, appropriandosi del suo cellulare, «Adesso,
se vuoi, salutami anche quell’idiota di mio padre!», annuncia, leccandosi le
labbra prima di sparare il colpo finale. Tra dieci minuti al
Namecc. Messaggio
inviato.
«Se proprio vuoi saperlo preferisco Arancia
Meccanica.» Risponde Vegeta addentando una delle frittelle fatte da mia madre.
Questa mattina mi sono svegliata da sola, non
ricordo il momento in cui mi sono addormentata né mi sono accorta di quando
Vegeta è tornato nella sua stanza. Alla luce del sole mi è parso tutto più
semplice ed ho capito che Vegeta vorrebbe mi comportassi come sempre, invece di
mostrarmi impietosita. Sono sicura che non vorrebbe. Per questo, semplicemente,
gli ho chiesto cosa pensasse del film di ieri sera.
«Adoro tutta quella violenza gratuita, fa sentire i
personaggi come onnipotenti!», continua a spiegarmi, con uno sguardo che va al
di là del semplice apprezzamento. «Se fossimo in quel film ti violenterei sul
tavolo e poi di ucciderei!», conclude non appena mia madre esce dalla cucina.
«E questo ti farebbe sentire onnipotente? Non mi
pari molto credibile, con della marmellata di fragole sulla guancia!»,
ridacchio, ma Vegeta mi guarda serio.
«Magari è sangue.» dice, raccogliendo la macchia con
la mano, prima di leccarla dalla punta delle dita.
Mi torna in mente di averlo visto nudo proprio la
sera precedente. Mi vergogno anche solo a pensarlo, ma probabilmente è con
Vegeta che lo farei per la prima volta. Credo di essermi innamorata di lui,
nonostante le circostanze mi stiano tutte contro.
Arrossisco, e lui lo nota non capendo però il motivo
del mio imbarazzo. Come potrebbe immaginare, infatti, i miei pensieri?
Che mi
vergogno ad ammettere a me stessa di essere innamorata di un tipo
improbabile come lui: Vegeta Arensay, a cui resterò legata per
sempre da un avvenimento
sconvolgente come un assassinio.
Come potrei spiegargli che questo sentimento che
nutro nei suoi confronti è figlio della compassione che provo per lui e non di
una passione sconvolgente? Mi fa pena. É la crocerossina che è in me che mi spinge
a volerlo salvare.
Colpisco inavvertitamente una forchetta con il
gomito, mi chino a raccoglierla da terra. «Certo che con tutti i soldi che hai,
potresti comprarti delle scarpe nuove, Vegeta!», lo prendo in giro, nella
speranza di riprendere il controllo del mio colorito, riferendomi ad una delle
sue Convers verdi bucata a un lato.
«Non dovresti credere a tutto quello che leggi sui
giornali.»
«Che intendi dire?», domando, tornando composta, scimmiottando
dal giornale: «Non è forse vero che sei il diciottenne
più ricco della città?»
Non ammette né smentisce, mi guarda impassibile e
non posso che maledirmi per aver fatto una simile insinuazione, giacché ha
ereditato tutti quei soldi dal padre assassinato: non avrei dovuto parlare con tanta
leggerezza.
Continua a non parlare, mi fissa con quei suoi occhi
nerissimi dai quali non traspare nulla. Ghigna.
«Mi pare di non averti detto che hanno trovato l’arma
del delitto.» Annuncia poi, con lo stesso tono con cui mi avrebbe offerto del
tè.
«Ma è fantastico, vuol dire che se ci sono le
impronte si potrebbe scoprire chi è l’assassino!» Esclamo, un po’ confusa e un
po’ entusiasta per quel cambio di discorso.
«Sanno già chi ha sparato il colpo e devo ammettere
di non esserne sorpreso.»
«Allora il caso è risolto?», azzardo, decisamente
confusa dal tono tranquillo che sta usando Vegeta.
«A quanto pare. Non ti sei accorta che, quando sei
venuta l’altro giorno, la scena del delitto era stata già smantellata?»
Mi sposto in avanti, sorpresa: era vero, non lo
avevo notato, tanto ero sconvolta quel giorno. Ricordo di aver fatto di tutto
per evitare di guardami intorno. «Allora l’hanno preso? Faranno un processo, si
saprà il movente!» Adesso sono più entusiasta di lui, sperando di vedere presto
questa faccenda finita.
«Sanno già tutto,» continua invece lui calmo,
neanche stesse raccontando una storia qualsiasi a lui del tutto estranea, come
la trama di film. Mi spaventa, adesso e non mi sento più a mio agio,
soprattutto quando scoppia a ridere, «ma in quanto a prenderlo dovranno tirarlo
fuori dalla fossa!»
«Non capisco…»
«E vuoi sapere dove l’hanno trovata l’arma?»
riprende il suo racconto, ignorando la mia confusione, «Era scivolata dietro a
una nicchia. C’erano anche le mie impronte lì sopra, pensa un po’! Fortuna che non mi trovavo nei paraggi,
o mi sarai ritrovato nella lista dei sospettati.»
Resto lì impalata, non riuscendo ad afferrare la
logica di quel discorso; vorrei chiedergli di ripetere perché credo di essermi
persa qualche passaggio. Non ce n’è bisogno, la soluzione all’enigma mi arriva
da Vegeta stesso, che ora non ride più.
«Non hai ancora capito, Brief? Mio padre si è
suicidato. Un colpo in testa e via!», sorride.
«Mi dispiace!» È la necessaria replica che mi pare fuori
luogo, pietrificata nelle mie pantofole rosa con le orecchie di coniglio.
«Perché dovresti? A lui non è dispiaciuto affatto
lasciarmi nei guai. Sono io che ho perso tutto, per colpa di un inetto. Quel
povero idiota era oberato di debiti, era un fallito;
doveva milioni anche al mio padrino. E vuoi sapere qual è la cosa migliore? Mia
madre mi aveva lasciato in eredità alcuni beni, di cui mio padre sarebbe stato l’amministratore
fino a quando non avessi compiuto ventun anni: ha fatto fallire anche quelli! È
stato Freezer a dirmelo, quel giorno. Quel vigliacco di mio padre non era nemmeno
presente, ora capisco anche perché.»
Il suo tono mi spaventa, è asettico come stesse
recitando una lezione di storia in classe.
«Ma ne sei sicuro?» Domando ostinata, quasi incapace
a credere vera quella storia. «I giornali non hanno detto nulla a riguardo!», convinta
anche che, se un fatto non diventa di dominio pubblico, c’è la possibilità che
non sia vero.
«Freezer ha messo la stampa a tacere per non
allarmare i creditori, a quanto pare non tutti verranno soddisfatti.»
«E tu? Cosa farai tu?», domando sgomenta.
«Finirò la scuola, e poi Freezer mi ha detto che potrò
lavorare per lui.» Sputa fuori quelle parole come fossero un grumo di muco.
«Posso anche dire addio all’università!» Conclude con un sorriso forzato.
«E la casa?»
«Non è più mia, ma mi è stato concesso un usufrutto
almeno fino agli esami finali.»
«Vieni a stare qui!», sbotto apprensiva, non sapendo
come ricomporre i pezzi della sua vita. «L’università, l’università te la
pagheranno i miei!» aggiungo, sgomenta, capendo quale fosse il nocciolo della
questione.
«Non farmi ridere! Stavo solo cercando di spiegarti
perché non posso comprarmi le scarpe nuove.»
Continua…
Scommetto
che un aggiornamento così veloce non ve lo aspettavate! Spero
che anche questo capitolo vi sia piaciuto e ringrazio tutti coloro che
hanno aggiunto la storia alla seguite, alle preferite e alle ricordate! :)
“Dammi
un liquore qualsiasi!”, ordina Vegeta sedendosi al banco.
Passare un venerdì sera al Namec sarebbe stata scelta ovvia
negli anni novanta, quando pareva fosse l’unico locale disponibile della città.
Non c’era bisogno nemmeno di darsi appuntamento, tanto era ovvio ci si sarebbe
ritrovati tutti là, perché tutti andavano al Namec e il Namec era
il centro dell’universo.
Oggi è un locale di terz’ordine nascosto in una via poco trafficata persino di
giorno. Gli unici avventori sono irriducibili appassionati di vecchia musica e
coppie ufficiose in libera uscita dalla vita coniugale. Ognuno va lì per un
motivo che non vuol farsi chiedere nemmeno dopo un bicchiere di troppo. Ecco
perché i maggiori accordi finanziari, ai limiti della legalità, sono sempre
stati discussi e siglati proprio là.
Almeno, è sempre stato così per Freezer e per quelli della sua cricca.
“Ehilà!”, saluta Vegeta, centellinando un bicchiere di un liquore
qualsiasi, ha un’insospettabile goccia di sangue sul dorso della mano.
La lecca via, e torna al liquore mentre Zarbon si avvicina. Ha un’aria molto
soddisfatta e rilassata, nessuno lo direbbe artefice di un delitto efferato.
Piuttosto ha l’aria dell’uomo d’affari, venuto lì per rilassarsi e bersi la
fine di una dura giornata di lavoro in compagnia di un collega. Esattamente
come pare anche Zarbon, che fa un cenno al barista per avere da bere
appoggiandosi al bancone. Una coppia improbabile balla abbracciata in pista su Far
away eyes*. La musica si blocca per un istante, qualcuno da un colpo al
vecchio Jukebox. Riparte.
“Sapevo non sarebbe venuto”, dice Vegeta.
Much to my surprise,
There
she was sittin’in the corner A
little bleary, worse for wear and tear
“E
sai anche che è molto impegnato”.
“Anche per incontrare un amico?”
“Amico che, a quanto pare, non è qui!” Osservò Zarbon, riferendosi all’assenza
di Dodoria che aveva richiesto il colloquio.
“Si vede che era molto impegnato anche lui.” Sbeffeggia Vegeta, poggiando il
cellulare di Dodoria sul bancone, “È incredibile cosa non si dimentica in
ufficio quando si va di fretta!”, spiega mentendo.
I had an arrangement to meet a girl, and I was kind of
late
And
I thought by the time I got there she’d be off
Zarbon
mostra una fila di denti bianchissimi, “Hai in mente qualcosa.” Arguisce, “E
credo sia meglio tu non la faccia.”
“Anche voi avreste fatto meglio a non farla.”
And if you’re downright disgusted,
And
life ain’t worth a dime Get
a girl with far away eyes
“Perché
non ascolti il consiglio della canzone, Vegeta? Prenditi una ragazza e
tornatene a casa.”
“È un po’ tardi per dare consigli, ti pare?”, risponde Vegeta, roteando la
testa verso Zarbon con aria strafottente; manda giù l’ultimo sorso. “Ma dato
che non è con te che volevo passare la serata, non mi resta che darti retta!”.
And all my dreams would come true, So I did the next
week I
got a prayer with a girl, well, You
know what kind of eyes she got
Zarbon
non sa ancora della morte di Dodoria e osserva il collega, che
forse ha capito tutto o forse non ha capito niente. Pensa sia meglio dire il
meno possibile, come Freezer si aspetterebbe da lui.
Vegeta scende dallo sgabello barcollando leggermente, “Sono troppo ubriaco per
guidare,” mente, “Dammi un passaggio!” ordina mellifluo all’altro, “In fondo,
la ditta me lo deve!” riversa dei contanti sul bancone, più di
quelli utili a pagare, e, continuando la messinscena si dirige all’uscita. Un
fascio di luce azzurra dal palco gli illumina la schiena.
You know what kind of eyes she got Get
a girl, with far away eyes
Zarbon,
ormai convinto dello stato di ebrezza di Vegeta, decide di seguirlo per
approfittarsi della situazione: magari, rivolgendogli le domande giuste,
riuscirà a capire cosa diamine gli sta passando per la testa.
Raggiunta la macchina, Zarbon si ritrova una pistola puntata alle costole da un
affatto ubriaco Vegeta. Non passa nessuno per quella via, o, come al solito,
nessuno a cui importi capire cosa sta accadendo tra due sconosciuti. Il
solito taccheggio, andiamo via.
“Avrei preferito che questa pallottola fosse per Freezer, ma per il momento
cercherò di accontentarmi!”, ironizza. Zarbon è alto il doppio di lui, ma
Vegeta con quell’affare tra le mani si sente forte, invincibile. Supremo.
E forse un po’ ubriaco lo è, ma di ebrezza! Deve essersi bevuto il cervello,
pensa, ma dopo vent’anni di prese in giro sente che non ha più nulla da
perdere: invischiato com’è negli affari loschi di Freezer, non potrebbe
comunque denunciarlo senza risultarne complice, tuttavia… si merita la sua
vendetta e che vadano tutti all’inferno, compreso se stesso! Ha nel naso
l’odore del dopobarba costoso di Zarbon, un disgustoso aroma di oli orientali,
un odore da donna. Inspira l’aria profondamente per imprimere quel sentore
nella sua mente, frammisto all’estate, profumo della libertà. La sua, che stava
riconquistandosi quella notte stessa.
Freezer aveva deciso di prenderlo in giro, credendolo uno sciocco. Ed era stato
uno sciocco a non accorgersi di nulla per tutti questi anni. Probabilmente se
l’era meritato. Questo lo mandava in bestia: non essere stato all’altezza! Si
era fatto fregare, esattamente come suo padre prima di lui.
Vegeta però aveva finito di a farsi derubare. Per anni aveva lavorato per
Freezer in modo da ripagare i debiti di suo padre, aveva dovuto rinunciare a
tutto quello per cui aveva lavorato sodo da ragazzo. I sacrifici, l’impegno, lo status.
La sua era sempre stata una famiglia potente, e c’era quel minuscolo
appartamento in cui aveva abitato da ragazzo. Un appartamento in affitto. E
Freezer si godeva alle sue spalle i beni che sua madre gli aveva lasciato in
eredità.
Che idiota era stato! Uno stupido raggirato da stupidi.
Digrignò i denti, impastando la lingua in bocca; voleva farli fuori tutti.
Aveva scoperto, controllando e ricontrollando tutte le entrate, tutte le spese
dell’azienda, di aver saldato il debito con Freezer da un bel pezzo! Ovviamente
l’infame non lo aveva avvertito, prendendosi generose fette dei suoi soldi
lasciandolo sempre al verde, nonostante lavorasse venti ore su ventiquattro,
instancabilmente, per mandare avanti un impero economico che non era nemmeno il
suo. Sporcandosi le mani al posto di Freezer e dei suoi tirapiedi, firmando
tutto a suo nome, come uno sciocco. Questo lo fece ridere, tanto. Rise di sé
con disgusto Vegeta, pronto a premere il grilletto.
Lo preme.
Dalla pistola, però, rimbomba solo silenzio. Preme ancora, nulla.
Qualcun altro sta ridendo adesso, ed è Zarbon. Rimasto indenne, scosso perché
per un attimo aveva temuto di poter morire in quel vicolo dimenticato da dio,
tuttavia ancora vivo nella scia del fallimento di Vegeta.
Zarbon riprende pieno possesso della situazione mentre quella risata isterica
gli storpia i lineamenti perfetti. Essendo il doppio di Vegeta, sia per altezza
che per prestanza fisica, non fatica affatto ad assumere un posizione di
vantaggio sull’aggressore afferrandogli il braccio. “Bum!”, esclama divertito,
nell’eco del silenzio, “Ti diverti a prendermi in giro, vero? Ma adesso il
gioco è finito, Vegeta!”, con una torsione gli porta il braccio dietro la
schiena, immobilizzandolo. “Ti conviene spiegarmi cosa diamine avevi in mente!
Se non vuoi che ti spezzi il braccio!”
“Così poi lo racconti al paparino Freezer?”, scherza Vegeta digrignando i
denti, “Ammazzami di botte, piuttosto.” Lo provoca.
È un
appartamento spartano. Non ci sono quadri alle pareti, né soprammobili e, se
non fosse per il laptop accesso sul tavolino, si direbbe completamente
disabitato.
Non accendo la luce perché ho mal di testa; mi aggiro nella penombra della
stanza, dalla cui finestra si vede l’enorme luna e i grandi fabbricati di un
quartiere di periferia.
Non c’è nulla, qui dentro, che mi parli di Vegeta! Eppure è casa sua; almeno da
quanto ho letto dai suoi documenti.
Mi guardo intorno, senza riuscire a figurarmi cosa ci faccia Vegeta in un posto
come questo, proprio lui che indossa completi costosi da uomo da affari.
Qual era la sua vita prima di questa sera?
Cerco la camera da letto aprendo a caso le poche porte.
La camera, come il resto della casa, è in perfetto disabitato ordine. Apro l’armadio
in cerca di qualche vestito, un pigiama, della biancheria da portagli in
ospedale per quando si sarà svegliato. Osservo le camice bianche che spiccano
nel stanza semi buia. Odorano di pulito, di lavanderia. Non di lui. Né paiono
appartenere a questo posto, come Vegeta del resto.
È un mistero come il motivo dei fatti di questa sera alla Freezer Corp.
Non c’è alcun mistero, sono solo io a non conoscere la vita condotta da Vegeta
fino ad oggi. Sono venuta qui semplicemente perché, dopo tutti questi anni,
averlo vicino senza potergli parlare non mi bastava. Voglio sapere chi è
diventato Vegeta Arensay.
Aveva segni di colluttazione per il corpo, ma puzzava di benzene!
Sconfortata, mi stendo sul letto. Annuso anche le lenzuola per ritrovare un po’
dell’odore del Vegeta dei miei ricordi, più mi sforzo, più quel vanesio ricordo
svanisce.
Non indossava dopobarba da ragazzino, né scarpe costose, solo Convers rotte!
Non puzzava di alcool come questa sera.
Mi stringo al cuscino e ripenso a tutti quei feriti in ospedale, ai loro
sguardi accusatori per la donna che vegliava al capezzale di un pazzo.
Del mostro che una notte d’estate aveva appiccato un incendio
mettendo a repentaglio la tranquillità di un intero quartiere.
Sono stanca. Tanto stanca. Vorrei chiudere gli occhi e dormire, qui con
l’assenza di Vegeta in questa casa in cui si percepisce, invadente, la sua
assenza. Vorrei capire cosa sta accadendo.
Sto per chiudere gli occhi, quando avverto qualcuno maneggiare la porta. Mi
alzo di scatto! Chi accidenti può essere? Un parente? C18? Mioddio,
cosa racconto se mi trovano qui?!
“Vegeta è stato proprio uno sciocco! Ripagare Freezer in questo modo, dopo
tutto quello che ha fatto per lui!”
Sento i passi dell’intruso aggirarsi per il salotto. Decido di nascondermi
sotto il letto.
Gli squilla il telefono. “Sì, sono qui. Non è stato difficile, Vegeta non
poteva renderci le cose più facili! Credo lo sia… credo, so…sono sicuro, l’ho
fatto esplodere… no, non ho controllato…”
Un lungo silenzo. “Come desideri, Freezer!”
Sento i passi allontanarsi e il portone richiudersi; aspetto alcuni istanti
prima di essere sicura di poter uscire indisturbata.
Quel tizio parlava di esplosione e di Vegeta! Si riferiva
sicuramente a stasera. E il nome, Freezer, il presidente della Freezer Corp.
Allora non è stato Vegeta!
Un momento.
Manca anche il laptop!
Devo tornare subito all’ospedale, avvertire qualcuno… se scoprissero che Vegeta
è ancora vivo in ospedale, lo ucciderebbero!
“Siamo arrivati!”, dice Zarbon, aprendo il cofano della macchina. Vegeta, quasi
ammazzato di botte, sta per rotolare a terra, ma l’altro lo rimette in
posizione allacciandogli la cintura. Sono nel parcheggio della Freezer Corp.
“Vedi Vegeta,” lo apostrofa, sollevandogli la testa per i capelli, “Stava andando
tutto splendidamente prima che tu iniziassi a ficcanasare in giro.” Avrebbe
potuto lasciarlo tramortito, invece di svegliarlo, ma Zarbon voleva che Vegeta
vivesse gli ultimi istanti di vita nella consapevolezza della sua morte. Non
gli era mai piaciuto. Soprattutto, non gli era mai piaciuto l’interessamento
immotivato di Freezer nei confronti. Adesso, gli era stato dato il permesso di
farlo fuori. Lo avrebbe fatto con tutti i convenevoli del caso.
Vegeta gli sputa in faccia un grumo di sangue, che l’altro raccoglie dal volto
con le dita, impassibile e spaventoso, prima di restituirgli uno schiaffo
sonoro.
“Credo proprio che stasera farai gli straordinari! Gli sforzi di ognuno
sono i risultati di tutti!” Conclude scimmiottando il motto della Freezer
Corp.
“Scusami per un istante, ti spiace? Giusto il tempo di prendere l’occorrente
per un bel falò!”, continua a scherzare mellifluo. “Mi spiace debba finire
così, ma converrai con me non ci sono altre soluzioni. Sai troppe cose e non
possiamo permetterti di andare in giro a fare il pazzo! Proprio no. Non più
almeno. Il nostro caro Freezer ha una reputazione da difendere. Eri solo un
inutile sassolino nella scarpa, stasera sei diventato la classica goccia che
potrebbe far traboccare il vaso! Hai fatto una carriera, esplosiva, complimenti!”
Zarbon è sicuro che Vegeta non abbia le forze per svignarsela, gonfio di botte
com’è. E lo lascia in macchina mentre disegna per terra una scia di benzina,
abbastanza lunga da permettergli di allontanarsi indenne una volta appiccato il
fuoco. Freezer gli ha ordinato di far esplodere tutto così da liberarsi di
Vegeta e di tutte le prove contro di lui una volta per tutte. “Bruciare l’erba
cattiva è l’unico modo per liberarsene, Vegeta. L’assicurazione penserà al
resto. Non è un piano fantastico?”
A una trentina di metri, si ferma a guardare Vegeta, non sorride più. Getta un
fiammifero acceso e corre via, senza più curarsi dell’altro.
Il quale è riuscito a liberarsi e a svignarsela prima dell’esplosione.
Il boato è forte, ma il colpo non lo è abbastanza da far esplodere un palazzo
intero.
“Quell’idiota di Zarbon!”, dice Vegeta, con il fiatone, gettatosi a terra per
proteggersi dallo scoppio. “Finisce sempre per fare le cose a metà!”
“Adesso te la do io l’esplosione, Freezer!”, promette, rinvigorito
dall’adrenalina. Gli antifurti delle macchine gli trillano nelle orecchie, a
mano a mano che l'udito gli ritorna. Ormai non poteva più tirarsi indientro,
avrebbe fatto esplodere tutto e, una volta che Freezer l'avrebbe creduto morto,
avrebbe agito indisturbato. And if you’re downright disgusted, And
life ain’t worth a dime, Get
a girl with far aways eyes. I
had an arrangement to meet a girl, But
I was kind of late
Continua…
*
Far away eyes è una canzone dei Rolling Stones. Come canzone non è un granché,
ma mi è parsa adatta non solo alla scena nel locale che ho immaginato piuttosto
squallido, ma anche perchè, in un cert senso, questa canzone pare riprendere
perfettamente gli avvenimento di questa storia e della storia di Bulma e
Vegeta.
Spero
anche questo capitolo vi sia piaciuto, mi scuso per la lunga assenza! Putroppo
non ho molto tempo libero, ma vi assicuro che cercherò di impegnarmi per non
lasciare questa storia alla deriva!
Stasera andrò a vedere “Le Sette Sfere” al cinema Onion.
Un rappresentazione cinematografica del mio fumetto preferito, dove i
protagonisti sono alla costante ricerca di queste sfere magiche in grado di
esaudire i desideri più disparati. Gli altri ed io ci siamo dati appuntamento al Namec, per un
frullato prima della proiezione. Ho sempre adorato questo locale: tutti i
ragazzi popolari vengono qui per chiacchierare e “farsi vedere”, per
intrecciare le loro esistenze con pettegolezzi che, in un modo o nell’altro
faranno comunque parlare di sé. Il Namec è appunto una livella sociale: se sei qui, sei nel giro,
altrimenti sei tra coloro che, oltre a riempire i corridoi della scuola come
una massa indistinta, sono sconosciuti ai più. Adesso, mi piacerebbe far parte degli sconosciuti; poter pensare
ai fatti miei senza lasciarli analizzare da chi che sia, come sta accadendo in
questo momento. Sento addosso gli sguardi di tutti. Il privilegio di essere una
rappresentante d’istituto in pieno marasma sentimentale ed esistenziale! “E a te, Bulma, cosa piacerebbe desiderare?”, mi chiede Yamcha,
succhiando il suo frullato all’arancia. “Ecco… “, passo in rassegna i miei pensieri, “Che domande! È ovvio
che chiederei la giovinezza eterna, per restare sempre bellissima!”, rispondo
spavalda ma sto mentendo. “Ma sarai sempre bellissima, tesoro!”, è l’immancabile commento
del mio ragazzo. In realtà, preferirei avere un fidanzato come si deve, invece sono
rimasta intrappolata dai miei stessi principi. Avevo promesso a Yamcha che
l’avrei perdonato. E l’ho perdonato, semplicemente per aver perso interesse
alla vicenda. Sono successe tante cose terribili in questi ultimi giorni, e
sarebbe stato sciocco rimuginare su una ragazzata come quella tra di noi. Vorrei tagliar corto, ma sono assolutamente incapace di dare una
spiegazione alla fine del nostro amore. Lasciarlo per via di ciò che ho vissuto
in questi giorni, mi pare una bassezza nei confronti di Vegeta: non è questo il
motivo e fungerebbe soltanto da scusa. Lui è stato scorretto, tuttavia il mio orgoglio mi impedisce di
usare la sua infedeltà come motivo per troncare la nostra relazione,
soprattutto dopo aver concesso il perdono. Passerei per una pusillanime e non
mi va affatto. Dire di non amarlo più, dopo averlo perdonato proprio per amore,
sarebbe un altro colpo basso, oltre che conferma di vigliaccheria! Eppure
ricordo di averlo perdonato proprio in forza di un sentimento che ora non sento
più e non riesco a spiegarmi perché. C’è bisogno di un perché dopotutto? Non basterebbe semplicemente
dire “Non ti amo più?”, ci resterebbe male e mi odierebbe! Non voglio essere
odiata. Soprattutto, non riesco a sentirmi perfettamente a mio agio qui al
Namec, sia per la civetteria degli altri compagni di scuola sia per il mio
stato d’animo, non completamente in linea con quello che potrebbe definirsi
“normale”. “Smettila di chiamarmi tesoro, Yamcha, è da bambocci!”, lo
riprendo, scontrosa, “E comunque è ora di andare! Il film inizia solo tra…”
lancio un’occhiata all’orologio, “appena trenta minuti”, farfuglio
tirandolo via dalla sedia e da questo postaccio. Maledetta me per
esserci voluta venire! “Un momento Bulma, lasciami almeno finire il mio drink! E poi Goku
e gli altri non sono ancora qui!”, protesta. Glielo darei in testa il suo drink,
se non fossi sicura di calamitare maggiore attenzione dagli astanti. O forse
dovrei dire spettatori? “Vorrà dire che non vedendoci ci raggiungeranno
direttamente là!” E dire che una volta sentirmi al centro dell’attenzione generale
mi inorgogliva; adesso mi è solo d’impiccio. Probabilmente perché sono la prima
a non capire un accidenti della matassa sentimentale in cui mi sono impigliata
da sola; l’interesse degli altri mi è inutile, se non riesco a trovare, io stessa,
il capo del filo.
Ci mettiamo in fila per entrare, “Non capisco perché hai
voluto iniziare la fila da adesso, Bulma!” “Senti, Yamcha, sono già di pessimo umore e sai bene perché, una
boccata d’aria non può che farci bene.” “Potevamo farci una passeggiata, se era questo che volevi”,
raramente Yamcha sprizza tanta logica come questa sera. “Così poi saremmo entrati per ultimi!” “Tanto dobbiamo ancora aspettare gli altri.” “Allora, vorrà dire che compreremo i biglietti anche per loro!” “Come se ci fosse una fila disumana, siamo venuti oggi proprio
perché ci sarebbe stata poca gente, visto che la prima c’è stata ieri. Ricordi?
È stata una tua idea!” “So benissimo che è stata una mia idea, grazie! Ma non è un buon
motivo per entrare per ultimi e beccarsi dei posti in ultima fila.” Sarebbe tutto più ragionevole se, semplicemente, gli spiegassi che
uno, restare al Namec mi metteva in imbarazzo, e che due, restare da sola a
passeggiare con lui, come un’irriducibile coppia di innamorati, mi avrebbe
fatto sentire ancora peggio. Ho anche un terribile mal di testa che mi rende insopportabile
tutto quanto! Ce l’ho dal pomeriggio, da quando io e Chichi abbiamo iniziato a
sistemare i festoni per il ballo di San Valentino. Tutti quei cuori mi hanno
disgustata, ricordandomi la mia codardia. “Di’ un po’, hai invitato anche lui, per caso?” “Eh?”, faccio svogliata, “Non stavo ascoltando!” “Me ne sono accorto che non stavi ascoltando!”, mi rimbecca
risentito, “Dicevo, hai invitato anche Arensay stasera?”, domanda infine. “No, perché?”, Yamcha non risponde, spunta il mento in direzione
di Vegeta davanti al botteghino. Giuro, se fossi riuscita a controllarmi meglio, non avrei agito
così. Di fatti, non appena lo scorgo, mi illumino più dell’insegna al neon del
cinema! Inizio a sbracciarmi in un saluto gioioso tanto quanto quello di un
naufrago alla vista di una nave in mezzo al mare. A scuola ho sempre rispettato i suoi spazi, convinta volesse
restare solo per via della morte del padre. Tuttavia, questa sarebbe anche l’occasione migliore per
avvicinarmi a lui e capire come si sente e come sta affrontando la cosa; a
scuola mi sfugge sempre con la scusa di dover studiare. Non gli avrei chiesto nulla direttamente; vorrei solo capisse che,
nonostante tutto, io gli sono amica. Lui ci nota, e io avvampo quando mi rendo conto di essere agitata
tanto in presenza Yamcha; la mente mi si confonde, abbasso le braccia senza dir
nulla. Anche Vegeta resta fermo, non un cenno, indeciso? Infastidito. Ci volta le spalle ed entra in sala. Adesso mi vergogno di averlo saluto in modo tanto plateale! La
gioia di averlo visto mi aveva fatto dimenticare le circostanze. Insicura io
stessa dei miei problemi sentimentali con Yamcha dell’attaccamento che nutro
per Vegeta, da non rendermi conto di essere risultata del tutto fuori luogo.
All’arrivo dei nostri amici entriamo in sala anche noi.
Sono irrequieta per tutta la durata del primo tempo: continuo a pensare alla
figuraccia di poco prima. Yamcha non ha detto nulla, questa volta, ma dubito
gli abbia fatto piacere. Beh se vogliamo, nemmeno a me ha fatto piacere il suo
tradimento! Ecco, che il risentimento torna a galla. E mi torna in mente anche
quella frase sentita in macchina con Vegeta “Si perdona finchè si ama”.
Se è vera, vuol dire che innamorata non lo sono più. Eppure, se continua a
darmi fastidio, vorrà pur dire qualcosa! Che sono gelosa. E se sono gelosa,
forse non è vero che sono del tutto indifferente a Yamcha! Che pasticcio. E Vegeta? Perché mi evita così da quando è morto
suo padre? Posso capire il suicidio del padre, voglio capire anche il suo
dolore; ma perché chiudersi così di fronte all’aiuto che io stessa gli ho
sempre offerto? Ed è da questo momento che smetto del tutto di prestare attenzione
al film. Sono rivolta allo schermo, ma penso a Vegeta e a tutta quella forza
che dimostra nell’affrontare ogni tormento, la sua maturità e chiarezza
mentale. La passione che mette nel raggiungere i suoi obiettivi. Tutte qualità
che ostento ma che rivedo in lui soltanto. Mentre io ho bisogno che la mia
sicurezza arrivi dal riconoscimento degli altri, mettendomi sempre al centro
dell’attenzione, lui non basta che a se stesso, restando fedele alle proprie
convinzioni. Adesso capisco il mio bisogno egoistico di stargli accanto: essere
amata da una persona così, mi renderebbe piena di orgoglio. Riuscire dove
nessun’altra è riuscita, dove persino C18 così simile a lui ha fallito, mi
riempirebbe piena di amor proprio. Lo userei per innalzare me stessa. Come può, inoltre, esserci equilibrio dove il mio attaccamento
nasce dalla pena che provo per lui? Ha ragione. Ha ragione lui a odiare chi osa impietosirsi.
Di per sé, un riconoscimento di superiorità verso chi si reputa svantaggiato.
Ecco perché il suo orgoglio lo tiene lontano da me, perché mi evita. Gli impongo la mia consolazione come fosse un cane bastonato,
quanto è chiaro che la condivisione e l’empatia possano esserci solo laddove ci
sia equilibrio. Si è allontanato dopo l’incidente del padre per via del mio
atteggiamento da crocerossina. Sono io che ho rovinato tutto, con la mia
stupida apprensione da maestrina! E quindi non capisco se ne sono davvero
innamorata, o se solo bisogno, il mio, di essere apprezzata tanto quanto Yamcha
mi ha disprezzata tradendomi. Mi sento una stupida, un cretina. La rabbia mi occlude la gola.
Che senso ha, rimuginare sui i miei sentimenti, quando io stessa sono incapace
di capirli. Come posso continuare a mettere da parte il mio amor proprio per
un cretino come Yamcha? Io non sono così, io sono Bulma Brief! Ed ecco che, nel mezzo di questo mio delirio di convinzioni,
qualcuno viene ad occupare il posto rimasto vuoto accanto al mio. Persino nella
penombra riconoscerei la sua improbabile capigliatura. “Vegeta!” “Ho finito i miei e c’era troppa fila al bancone!”, dice, afferrando
il mio pacco di Popcorn, nel contempo facendomi quasi rovesciare addosso la mia
bibita. “Ehi, sta’ attento!” sbraito. Shhh, Esorta una ragazza dietro di noi, che io ovviamente
ignoro, “Questo è un maglione di mohair, hai idea di come l’avresti
ridotto?” Shhhhhh, fanno dietro di noi con più insistenza. “Io parlo quando mi pare! Nessuno mi fa shh!” Sbraito
furiosa con una gomitata contro lo schienale della mia poltrona, per rendere il
concetto più chiaro contro quella smorfiosa che mi ha interrotto nel mezzo di
una ramanzina. “È la raffinatezza che ti contraddistingue.” Mi prende in giro
Vegeta. Shhhhh, ma insomma la smettete di blaterare! Lasciateci vedere
il film! “E tu la smetti di sibilare come una lucertola, vecchia strega?”,
sbotta Vegeta, girandosi verso la donna che aveva osato indispettirlo. “E ridammi i miei Popcorn!”, aggiungo io non appena torna a
sedersi composto; faccio per riprenderli dalle mani di Vegeta, il quale tiene
salda la presa prima di mollarla. Più di una manciata finisce a terra. “Scusami,” sussurra suadente al mio orecchio, e sto per
sciogliermi in un perdono quando, strafottente, aggiunge, “Credevo fossi ormai
abituata alle briciole!” Spunta il mento in direzione di Yamcha, che non ha
sentito l’ultima frase ma, nella penombra, vedo la sua mascella contrarsi dal
fastidio di avere Vegeta di nuovo tra i piedi. E a ragione, considerato il casino
che abbiamo combinato. Tuttavia, più che sentirmi in colpa verso Yamcha sono
furiosa con Vegeta. Non posso credere che fino ad un attimo fa stavo ammettendo a me
stessa di provare qualcosa per lui. Ma stavo dimenticandomi la sua più grande
caratteristica: è un’irriducibile stronzo! Cerco di calmarmi, perché sono una
signora, altrimenti dovrei fare a pezzi tutto il cinema. Non voglio comunque fargliela
passare liscia. Mi preparo a rispondergli a tono, quando Yamcha,
cavallerescamente propone sussurrandomi: “Se ti sta dando fastidio lo sistemo
io!” credendo sia tutta colpa di Vegeta, quanto in realtà siamo complici. Ricordo ancora com’è finita l’ultima volta che ha pensato a sistemarlo!
Allora desisto, per evitare ulteriori complicazioni.
“Ciao, Vegeta!”, saluta Goku alzandosi quando, a fine
proiezione, accendono le luci della sala, “Cosa ci fai qui?”, domanda, quasi
ricadendo dalle nuvole. “È un cinema, mi pare ovvio cosa ci faccia!”, risponde l’altro,
piuttosto spiccio, la cui scontrosità non riesce ad intaccare la giovialità del
mio amico. “E ti è piaciuto il film?”, continua infatti quest’ultimo già
infilando un braccio nella manica del giubbino. “Non credo ci abbia fatto molto caso!”, si intromette Yamcha,
riferendosi al teatrino tra me e Vegeta. “A me sono piaciuti molto i Sayan,” cerco di smorzare i
toni, “Soprattutto il Principe senza regno, è così affascinante!” Faccio
sognante. “Il Principe? Ma è un psicopatico.” Controbatte Crilin, “Un
assassino senza scrupoli che pensa solo a se stesso!” “Beh non è quello che facciamo tutti?”, ribatte Vegeta, in difesa
del personaggio, “L’unico con un po’ di personalità.” “É poi quel suo passato tormentato! Ho sempre avuto un deboli per
i cattivi!”, concordo congiungendo le mani in adorazione. “Beh, io preferisco il ragazzo lupo.”, dice Yamcha, mentre
ci avviamo all’uscita, sentendosi messo da parte. “Ah sì? E quale sarebbe la sua specialità oltre ad essere il primo
a morire?” lo sbeffeggia Vegeta, ridendo, “É quello con meno spina dorsale.
Sai, mi ricorda proprio qualcuno!” “Cosa vorresti dire?”, domanda Yamcha minaccioso, mostrando il
pugno. Ultimamente è particolarmente suscettibile su tutto, soprattutto quando
Vegeta è nei paraggi. “Coraggio, ragazzi, non litighiamo.” Riporta la pace Goku. “E chi litigava, ho solo evidenziato un dato di fatto.” “È un personaggio leale e che sbaglia e lo ammette! Il tuo,
invece, manda tutto in rovina a causa del proprio orgoglio e della sete di
potere” “Io non la chiamerei sete di potere, quanto voglia di libertà!”,
controbatto con aria saputa, alzando un indice, “È vero che le sue azioni sono
tutt’altro che lodevoli, ma chiunque, con quella storia alle spalle, avrebbe
agito allo stesso modo!” “Vuoi forse dire che è giusto calpestare gli altri per il proprio
egoismo?” “Attento Yamcha, mi pare la tua difesa stia prendendo una brutta
piega.” Stiletta Vegeta, mellifluo e trionfante. Anche Yamcha non ha mostrato
molto altruismo quando ha calpestato i miei. Tuttavia non credo che l’intento
di Vegeta sia stato di difendermi, quanto piuttosto di mettere zizzania: ha
trovato un solido appiglio, e adesso lo sta caricando con tutto il peso. Gode
parecchio a riversare i suoi sentimenti ombrosi sugli altri, vuole che tutti
entrino nelle sue tenebre. Infatti continua, “Anche l’altruismo può essere una
forma di egoismo, se non vado errato. Lo sapresti se avessi studiato
filosofia!”, bercia, riducendo il discorso ad una glorificazione della propria
cultura. Sto quasi per concedermi un sospiro di sollievo pensando,
ingenuamente, sia finita lì. Com’è ovvio, tuttavia, dopo aver colpito non può
che affondare, “Ma sono discorsi troppo complicati perché un idiota come te li
capisca!”. L’idiota in questione sta per ribattere, già lo vedo
stringere i pugni, quando Chichi fa “Beh, se volete saperlo a me è dispiaciuto
che quel ragazzino non abbia potuto finire gli studi!”. “Oh Chichi, possibile che pensi sempre a studiare?” Ride Goku,
cingendola con un braccio. “A proposito di studio, ragazzi, mi avete ricordato che devo
finire la relazione di storia per domani!”, si rattrista Crilin, affatto
allettato dalla prospettiva di dover finire la serata tra i libri. “Inutile che ti sforzi, tanto farà schifo lo stesso!”, si sente,
però, in dovere di puntualizzare Vegeta con cattiveria; evidentemente non
contento di non essere ancora riuscito a rovinare la serata a tutti, di
portarci tutti nel suo baratro. “Scusa tanto se non siamo tutti sapientoni come te, Vegeta.” Si
difende Crilin, squadrandolo con astio. “Guarda, guarda che coraggio!”, ghigna, cinico, Arensay, “L’altra
volta non mi sei parso così spavaldo, quando ho rotto il naso al tuo amico.” “Adesso basta, Vegeta!”, lo riprende Goku, questa volta con un
cipiglio serio, per nulla adatto al suo viso da bambino. “Perché altrimenti l’eroe della favola mi riempie di
botte?”, gli punta un dito contro, chiamandolo per cognome, “Non ho paura di
te, Kakaroth!” “Vuoi fare a pugni, Vegeta?”, Goku si allontana da Chichi e fa un
passo avanti, “Perché mi pare tu non stia cercando altro questa sera! Fatti
avanti allora,” lo provoca, “Ma sappi che non attutirai il rancore che provi
verso tuo padre.” Vedo Vegeta fare un passo avanti, la folla all’uscita del cinema
si è ormai diradata; a scompigliargli i capelli tira un vento piuttosto freddo,
carico degli odori di un ristorante poco più avanti. Stringe i pugni e gli
occhi in uno sguardo che non gli avevo mai visto. Un sentimento la cui note non
riesco a decifrare; probabilmente, un sentimento che non proverò mai in tutta
la mia vita. Poi le labbra sottili si tirano in un ghigno, l’apparecchio si
illumina dei lampioni della strada; sistema gli occhiali sul naso dritto e fa
un passo indietro, piegando la testa da un lato. “Non mi importa niente di mio
padre.” Sentenzia con un dito medio bene alzato rivolto a tutti, pima di girare
i tacchi e andare via. E con quella precisazione, credo di capire perché ha evitato di
battersi: probabilmente non vuole scoprirsi così tanto con noi. Prendere a
pugni Goku, o chi per lui, nonostante sia stato forse il suo intento
dall’inizio, sarebbe come ammettere due cose: che Goku ha ragione e che la sua
sofferenza e rabbia sono tali da non riuscire a contenerle. Non appena ci dà le spalle e si allontana, capisco di essere al
bivio che, in fondo avevo sempre sperato. Una scusa per poter finalmente
scegliere tra Yamcha e Vegeta. L’occasione di sentire in me stessa chi vorrei
davvero seguire. Con mia grande sorpresa, però, mi accorgo che non mi va di
seguire nessuno. Due rette indipendenti nella stessa direzione, ecco
com’è una relazione, senza bisogno di completarsi ma solo incontrarsi. “Yamcha,” Dico, “Torno a casa a piedi!” “Cosa?” E mi separo da tutti, con Vegeta già lontano, “Ci vediamo domani alla
partita, ragazzi!” Saluto sorridendo tutti come niente fosse, girata lancio uno
sguardo sbieco a lui e prendo in mezzo quella parallela d’astio tra i
miei amici e Vegeta. Torno a casa, da sola. Mentre camminavo sentivo che ogni passo lontano dai miei amici era
un passo in più verso Vegeta, con la testa. Vedevo la strada dritta davanti a
me, ma nei pensieri lui soltanto, con quelle spalle larghe abbastanza da
sorreggere la sua vita complicata. Senza abbattersi, sempre a combattere se
stesso per mantenersi forte, inattaccabile. Adesso, arrivata finalmente a casa, posso dire di averlo
raggiunto, così come la chiarezza mentale che mi pervade e riscalda in questa
fredda notte invernale. Scontroso, rude, profondo, oscuro come i sentimenti che gli
ingarbugliano l’animo e rendono fosco lo sguardo. Sono finita nel suo angolo
buio, incapace di vedere altri che lui, consapevole di non poter non percepire
la sua essenza per sempre. Non voglio più che lui cerchi il mio aiuto, come volevo accadesse;
ma che mi cerchi senza condizioni, soltanto perché sono io. Non gli parlerò dei miei sentimenti, perché la pietà che provo
adesso toglierebbe loro lo smalto della particolarità. Infilo la chiave nella serratura, un piccolo intoppo a minare la
fluidità dei miei pensieri. E risento sulla mia pelle l’irrequietezza che ha
contraddistinto Vegeta per tutta la serata, in cerca solo di una miccia per
esplodere e sfogarsi; e rivedo Vegeta vacillare davanti a Goku, fermo come una
roccia che il vento attraversa ma non può scalfire, e penso. Penso che se persino lui per un attimo avrebbe potuto perdere la
lucidità e la concentrazione che lo tiene ancorato all’imperturbabilità con cui
sta affrontando tutto questo, come potrei io non cedere difronte alla sua
tempesta? Come potrei non crollare vedendolo immerso nei suoi sogni infranti,
quando io, al contrario, sono libera di scegliere la strada che voglio? Così il dubbio di non poter essere abbastanza, si impossessa
dell’energia che avevo recuperato solo alcuni istanti prima. Sento che “amore”
è riduttivo ed è un oceano in cui mi perdo, vasto e tempestoso, eppure di
vacillante c’è solo la certezza che lui non capisca. Ho preso la mia decisione.
Liceo Toryama, ore 10:30.
“Bulma, sei ancora sicura di volerlo fare?”, mi chiede
Chichi apprensiva, bloccandomi il passo prima dell’entrata in scena allo
stadio. Indossa il completo da cheerleader che io stessa ho ideato per
l’occasione; è così bella che dovrebbe bastare a darle sicurezza, ma il suo
sangue freddo è tradito dalla fronte imperlata di sudore. In realtà, crede la
coreografia dell’apertura della stagione di football sarà uno schifo. In fondo,
non è mai stata d’accordo con la mia idea fin dall’inizio. “Ti renderai ridicola, lo sai?”, chiede, le mani posate sulle mie
spalle imbottite del costume di scena. Sicuramente il miglior vestito abbia mai
indossato! “Cosa penserà Yamcha?”, decisamente nessuna della mie proposte le
era parsa abbastanza ragionevole. “Oh Chichi, a dirla tutta non mi importa nulla di quello che
penserà lui. È una questione di principio capisci? Qualcuno doveva pur far
qualcosa,” mi libero dalla mani di Chichi e sistemo i capelli in una coda di
cavallo che sa di fragola, “Marion ha finalmente l’occasione di combinare
qualcosa di buono, sta a lei coglierla.” Mi tolgo un pelucco dalla
bocca. “Non credi di mandare un messaggio sbagliato?” “Oh santo Dende, Chichi, il mio messaggio arriverà. Forte e chiaro
a chi di dovere.” “Credo ancora sia meglio parlargli direttamente e dirgli come ti
senti, invece di questa messa in scena. Sono sicura Yamcha capirà!” Sbuffo, questa conversazione inizia a starmi stretta più dei
collant che indosso! “Non capisci, Chichi. Ho detto che il messaggio arriverà.”
Dico risoluta, e adesso sono io a poggiarle le mani sulle spalle. “Ora si va in scena!”, con un occhiolino decreto la questione
conclusa; infilo gli ultimi dettagli del costume e corro via, in posizione. Ho la bocca secca. Sono terrorizzata. Mi volto verso Marion, la
quale, questa mattina, non era tanto convita del suo ruolo di oggi; se ne aspettava
un diverso, prima che io cambiassi i piani all’ultimo minuto, e ora teme di
fare una figuraccia. Deglutisco, anche se non ho abbastanza salivazione per farlo. La
mani inguantate e sudate, le stringo a pugno. La canzone parte. La coreografia
inizia. Spettacolare e colorata! Forse troppo per un liceo, ma ho voluto fare
le cose in grande, affinché il mio messaggio arrivi, chiaro e forte come questo
sole freddo di oggi. Sento gli sguardi di Yamcha seguire la coreografia. Avrà
sicuramente gli occhi fissi su di Marion che sgambetta incerta nel suo costume
vistoso e ingombrante, inondata dalla sua capigliatura turchina e particolare,
come la mia. È bellissima. Indossa il costume più bello, scelto da me. Una
maschera ottocentesca le copre il volto, e pare quasi ci sia io lì dietro. Lo
pensano tutti. Lo pensa anche lui. Non riesco a vederlo, ma immagino il
suo ghigno strafottente. Crederà io sia una bamboccia. La coreografia giunge al termine, ci riuniamo in gruppo al centro
del prato; un turbinio di colori carnevaleschi, come da tema. Ed io, al centro,
vengo sollevata in alto dalle mie compagne in quanto mascotte della
squadra: un goffo, voluminoso, puzzolente drago verde dalle “zampe” in
calzamaglia gialle. Lanciano tutte la loro maschere eleganti in aria. Poco prima che la canzone finisca, mi libero anch’io dell’enorme
casco di peluche; un colpo di testa fuori copione. Ed eccomi, struccata,
sudata, con i capelli, non più di fragola, appiccicati al volto accaldato su
cui soffia l’aria fredda di questo Febbraio. Sfoggio il mio sorriso più
brillante; il petto scosso dal fiatone. Mi sento bellissima e forte.
Invincibile. Finalmente Vegeta capirà di che pasta sono fatta! Bella, senza
bisogno di artefici per sembrarlo; risoluta, perché solo lui può capire il mio gesto
fino in fondo. La migliore, e considerata tale anche senza mascara e inondata
di sudore. Guardo lui, dopo averlo scorto, da solo, poggiato alla fine degli
spalti. È troppo lontano per capire la sua espressione, ma immagino un ghigno
su quelle labbra sottili. Io posso scegliere dove stare e non raccolgo le briciole di
nessuno, perché sono Bulma Brief e sono capace di restare sempre me stessa,
Vegeta. Scendo giù a terra. Raccolgo la testa di drago, trofeo della mia
vittoria personale. Gli occhi sono comunque puntati su di me, continuo a
sorridere mentre mi avvicino ad un confusissimo Yamcha. Non ha prestato la
minima attenzione al fagotto verde che saltellava ridicolo dietro alle bellezze
mascherate; guardava Marion, convinto fossi io. Ora guarda me con aria da
ebete. Gli mollo il testone da drago addosso, “È finita, Yamcha!”, dico
raggiante senza ammettere repliche. Nemmeno mi interessano, che faccia pure una
partita di merda, pensando a me. Me ne frego.
Alla fine delle lezioni ne parlano ancora tutti, e ne
avrebbero parlato per settimane. Bulma Brief, la reginetta della squadra delle cheerleader,
intrappolata in un costume mefitico per portare alla ribalta la ragazzetta
che aveva osato andare a letto col suo ragazzo. Un piano così bene
architettato, dicevano, che la poverina non capiva di essere stata fregata,
nonostante sia stata la più bella della coreografia. Vegeta, spero tu capisca che sbagli a considerarmi come gli altri,
che non puoi ridurre a pietà le mie attenzioni verso di te e il mio orgoglio
non sarà mai infranto. Nemmeno dal tuo. Non ci siamo rivolti nessuna parola, né sguardi, per tutta la
durata della giornata scolastica. Eppure io mi sento trionfante, perché la mia
presenza è impertinente anche quando ci ignoriamo, Vegeta. All’uscita di scuola mi aspetta tuttavia una brutta sorpresa: C18,
l’unica virgola fuori posto di questa giornata. Bellissima e glaciale, avanza
verso di me, nella divisa grigio e ocra del Liceo Lemon, prendendosi la scena
che, fino a quel momento, era stata mia soltanto. Resto sorridente, e sorridente l’accolgo mentre lei mi sbatte in
faccia il volantino colorato del Ballo degli Innamorati, “Di’, l’avete
già fatta questa pagliacciata?” “Come ti permetti di definirla così! Sono io stessa
l’organizzatrice, in quanto rappresentante d’istituto, e sarà una festa
fantastica!” “Ma non mi dire…”, sbeffeggia, gli occhi le scorrono sul
volantino, “Avete già trovato la band per la serata?”. “Veramente non ancora!”, esclama Chichi, “Sai con tutto quello
che è accaduto, abbiamo dovuto posticipare i preparativi. La festa non si terrà
che questo week-end.” Rifilo a Chichi una gomitata, “Piuttosto che ci fai qui?”,
domando. “Fai parte del Liceo Scientifico Lemon, non è così?”, le chiede,
però, anche Crilin, mentre si stropiccia le mani sudaticce, toccandosi gli
indici, leggermente arrossato. “Mi pare ovvio!”, stiletta lei, riferendosi alla sua divisa, senza
raccogliere il tentativo di conversazione iniziato dal mio amico, degnato
neache di uno sguardo. “Sei sempre l’ultimo ad uscire.” Dice poi la ragazza,
sorpassandoci tutti alla volta di Vegeta. Il cuore mi batte forte. “Bulma, dobbiamo parlare, è tutta la
giornata che cerco di farlo!”, arriva Yamcha, inopportuno. Accidenti, “Non adesso, Yamcha!”, infatti sono più curiosa di
sapere di Vegeta e C18. Credevo si fossero lasciati. Maledizione, con questa
folla e chiacchiericcio (provocato da me tra l’altro), non riesco a sentire
cosa si dicono quei due. “Bulma, ti prego ascoltami!”, mi riprende per un braccio, “Mi
dispiace non aver guardato te, durante la rappresentazione, non credevo che
quella in maschera fosse Marion.” Ecco come Yamcha non ha capito un accidenti di quello che
intendevo: pensa me la sia presa per questa sciocchezza. “Sul serio, Yamcha,
non importa!”, lo rassicuro un po’ distratta, mentre cammino verso Vegeta e C18
che si stanno allontanando insieme. Yamcha mi si para, tuttavia, davanti, ed arriva anche Marion. Oh
no, il piano mi si sta rivoltando contro, proprio adesso! Ho gli occhi di tutti
puntati addosso, tranne i loro che continuano per i fatti propri. Ho perso la salivazione, l’odore nauseabondo del costume che ho
indossato questa mattina mi torna nei polmoni. Yamcha e Marion mi parlano, ma io non gli ascolto, concentrata su
Vegeta e C18 che stanno litigando? In tutto questo marasma, mi paiono in una bolla inaccessibile.
Irraggiungibile. Che sia stato tutto inutile? Che il significato del ghigno di
Vegeta sia stato di disprezzo, anziché approvazione? C18 gli punta il dito contro. “Bulma ti prego, perdonami!” “Bulma, mi prendono tutti in giro oggi, spiegami perché!” Ma non ascolto questi due, tra le fessure dei loro corpi paratimi
davanti, intravedo Vegeta scuotere la testa. Il cipiglio indispettivo di C18,
che lancia nel vuoto un oggetto dal bagliore metallico. “Fottiti, Vegeta!”, le leggo sulle labbra, prima di vederla
sparire. “Cavolo!” esclamo, sconsolata, intrappolata nella mia stessa
macchina della gloria. Quando finalmente riesco a liberarmi, con gli
occhi di tutti puntati addosso, mi getto verso il cancello dell’uscita alla
ricerca di Vegeta e della bionda. Spariti.
Continua...
Nuovo capitolo, lungo e succoso (lo spero!).
Spero anche che vi sia piaciuto. Non posso promettervi nulla riguardo la
velocità con cui verrà postato il prossimo capitolo (avrete ormai capito che
gli aggiornamenti sono piuttosto random!), dico solo che sono stata travolta da
un'ispirazione inaspettata e che, quindi, potrebbe già essere in cantiere!
:P
Grazie a tutti coloro che, di recente, hanno aggiunto
la storia alle seguite (come Died e Bibi84), alle preferite e alle ricordate!
:)
Capitolo 22 *** It's getting faster, moving faster, now it's getting out of hand ***
23n
Nda: le canzoni usate per questo capitolo sono
Disorder e Love will tear us apart, entrambe dei Joy Division (in particolare,
il titolo è stato preso da un verso di Disorder).
It's
getting faster, moving faster, now it's getting out of hand
Una giornata di sole fantastica! Dopo tutto il freddo, la
neve e la pioggia sento finalmente il sole rinascermi dentro e arrivo a scuola
con un ottimo buon umore. Questo Venerdì ci sarà il tanto desiderato ballo di
San Valentino, nonostante si tenga nei primi di Marzo. Sia io che Chichi
temevano di andare fuori tema (ne abbiamo scelto uno piuttosto primaverile,
niente cuori, molti fiori) ma oggi mi pare che tutto stia andando come
previsto. La serotonina m’illumina illudendomi così tanto da sentirmi invincibile
che entro in classe senza accorgermi della discussione tra i miei compagni. Agito la testa e le codine al ritmo del mio Walkman, mentre mi
sistemo al mio banco. Getting
faster… moving faster… lalala…who gives a damn right now…lalala.
«…Ulma… Bulma!?», Chichi mi sfila via le cuffie, «Diglielo anche tu,
accidenti!» «Ehi, ma che modi sono?», sbraito con il mio umore incrinato. «Non può partecipare!» Continua Chichi sventolando in aria un
foglietto. Pare piuttosto seccata. «Dai Chichi, non facciamone un dramma!» Goku cerca di calmarla,
mentre Vegeta scoppia a ridere di gusto. «Ahahah davvero credi che una mocciosa
possa convincermi del contrario?» Mi indica col mento. «Ancora con questa parola. Chi sarebbe la mocciosa, scusa?» Lo riprendo, got the sprit,
but lose the feeling… feeling, fee…clicco l’off del Walkman, e
saetto furiosa lo sguardo su di lui, le cuffie basse sulle spalle. «Tutti voi, mi pare ovvio.» «Non puoi partecipare, Vegeta!» Ripete Chichi, agguerrita contro
di lui, «Non è giusto non sarebbe corretto!» Puntualizza come fosse un’unica
parola. «Non sono affari che ti riguardano.» È la replica calma
dell’altro, braccia conserte, irremovibile dal suo punto di vista. «Bulma, non stare lì impalata!» Vengo di nuovo chiamata in causa,
senza tuttavia che mi si spieghi quale nocciolo si stia tentando di rompere. «Se vi degnaste di spiegarmi, forse, potrei interessarmi al
problema!» «Ecco!» Sbatte un volantino sul mio banco, noto subito
l’accostamento di colori migliore di quello del nostro ballo nonostante
pubblicizzi qualcosa di diverso: Sul podio del successo grazie allo sport.
Una gara di nuoto, tra le scuole cittadine, indetta dal sindaco. In palio:
5000yen di borsa di studio. Però, ora capisco l’interessamento dei miei
compagni. «Ma da quando t’interessa il nuoto, Chichi?» «Sarà Goku a partecipare, ovviamente divideremo il premio.» «Parli come se quel babbeo possa battermi.» Dice Vegeta. «Non ce ne sarà bisogno, perché tu non parteciperai!» «Io partecipo a quello che mi pare!» «Beh, in fondo, non credo di essere così preparato…» Azzarda a
commentare Goku. «Sciocchezze! Avrai tutto il tempo per allenarti!» E qui Vegeta ride di nuovo e ancora più forte, sicuro delle
proprie capacità. La notte scorsa mi pare lontana anni luce. Come ho potuto
dubitare di non ritrovarlo qui, in classe, questa mattina? «Mi spiace Chichi, ma non vedo perché non possa partecipare anche
lui.» Trovo fuori luogo la testardaggine della mia amica, «E anche Vegeta ha
bisogno di soldi!» «Impicciati degli affari tuoi, mocciosa, non ho bisogno di nulla!»
Tuona il nocciolo sempre più duro della questione. «E allora si può sapere perché t’interessa così tanto
partecipare?» Domando spiccia, puntando i gomiti. Mi sorride con un passo nella mia direzione, «Perché a loro
interessa che non partecipi.» Allunga le braccia a coprirmi le orecchie con le
cuffie. Il nocciolo non si è rotto, torna trionfante al suo banco,
sguardo alla finestra, corpo coperto dall’ombra delle tendine. A ricreazione lo raggiungo al suo angolo buio in cortile. Al
solito resta sempre in disparte. Sta mangiando un cornetto alla crema, ne ha un
altro in un sacchetto di carta bianca poggiato in grembo. Siedo accanto a lui
sul granito degli scalini che pare umido tant’è freddo. Dietro di noi una porta
rimasta sempre chiusa per una stanza mai usata, metafora della nostra amicizia.
Ovviamente ha notato che sono qui, decide comunque di ignorami
continuando a mangiare senza scomporsi. Zucchero a velo su una guancia. «Ti piacciono i Joy Division?» Me ne esco a un tratto, con
la serietà di chi non avesse aspettato che quel momento per parlare di musica
con lui. Penso a mia madre e a suoi pasticcini, che il suo propinarceli sempre
sia un tentativo come un altro per iniziare un dialogo con noi, che la
ignoriamo sempre? Vegeta ribatte lo stesso, secco “no” che avrei dato a mia madre
come risposta alla sua dolce offerta. «Allora i Talking Heads?» Allora che ne dici di questa
torta al limone, tesoro? Non ho altri motivi per stare qui se non la voglia di parlargli.
Ricorderò forse un giorno l’odore di questa giornata, e dell’erba fresca che il
sole è giunto ad asciugare; ritornerò al profilo di questo giovane amico
e alle sua bocca mai avuta mentre assapora, meno ignaro di me, un dolce alla
crema. «Dovresti parlarne con C18, di queste cose, a lei piacciono molto
entrambi.» Schiocca compiaciuto. Mi chiedo se sia vero o se l’abbia detto solo
per innervosirmi. Perché dovrebbe volermi innervosire, però, lui non può
immaginare cosa provo per lui e come vedo lei. «Allora avete fatto pace?» Sono comunque felice l’abbia tirata in
ballo, così posso indagare su di loro. Risponde con un’alzata di spalle, mentre
addenta il secondo cornetto, uno sbuffo di zucchero a velo si alza nell’aria
come pulviscolo. Un profumo zuccheroso mi entra nel naso. «Non è da tutti continuare a sentirsi dopo aver litigato in quel
modo.» Commento, tirandomi indietro poggiata sulle braccia. «Perché se senti qualcuno vuol dire starci insieme?», butta
giù il boccone e un nuovo enigma, «Anche io e te, quanto pare, ci sentiamo. Non
vuol dire nulla.» Nulla. Ha ragione. Non abbiamo nulla io e lui. «Quindi non verrai
a vederla suonare al ballo?» Tentenno. Da un lato ci spero; non potendolo
invitare direttamente, avrei almeno l’opportunità di vederlo alla festa e
mostrargli quanto sono carina, nonostante tutto. Chichi ci sta osservando da sotto il castagno vicino ai gradini
dell’entrata, crede sia qui per convincerlo a non partecipare alla gara come le
ho detto; si sforza di leggere il nostro labiale, mentre Vegeta risponde che potrebbe
venire ma non per lei. Goku invece non ha alcun problema a raggiungerci, a interromperci. «Allora l’hai comprato tu l’ultimo alla crema, Eh Eh!» Vegeta strappa con soddisfazione un enorme morso al secondo
cornetto in mano, «Che accidenti volete tutti quanti?» Il sorriso di Goku continua a brillare luminoso quando propone
«Dal momento che hai tutta l’intenzione di partecipare alla gara, mi chiedevo
se non ti andasse di allenarci insieme!» La nonchalance della proposta
soffoca l’altro di sorpresa, che deve battersi un pugno sul petto per ingoiarla
tutta. «Stai scherzando, vero? Cosa ti fa credere che voglia perdere
tempo con te, Karoth?» «Sarà divertente!» Goku è l’unico a dare credito a chiunque, «Se
sei così bravo, potresti insegnarmi qualcosa.» L’occhiolino che mi strizza sorprende
anche me. L’altro lo scannerizza con occhi sospettosi. Starà ripensando alla
serata al cinema, quando per poco non si sono presi a pugni; non conoscendo
bene Goku, si starà chiedendo il perché di quell’invito. Accartoccia la busta di carta bianca ormai vuota, mentre svetta in
piedi la lancia in un cestino vicino senza fare centro, «Non accetto la pietà
di nessuno.» È pietà il nome che dà ad un’offerta d’amicizia, prima di iniziare
ad allontanarsi; non mi va di lasciarlo andare via così, non dopo aver saputo
che potrebbe venire al ballo. Mi avvicino poggiandogli una mano sulla spalla e lo costringo a
voltarsi. Ci stanno guardando tutti adesso dall’ombra delle pareti del cortile,
noi al centro dove convergono i raggi chiari del sole. «Hai dello zucchero sulla guancia!» Dico, pulendogli il punto con
due dita. Sono io adesso a fare l’occhiolino quando rientro in corridoio
lasciandolo attonito e rosso di vergogna.
Until
the spirit new sensation takes hold, then you know,
Until the spirit new sensation takes hold, then you know,
Until the spirit new sensation takes hold, then you know,
I've got the spirit... feeling, feeling, feeling…
Non mi andava proprio di parlare con loro, ma appena
arrivati ho dovuto salutarli. Qualche chiacchiera di circostanza, lei mi rivolge uno sguardo
fugace ma così freddo da sembrare metallo. Indossa uno strano completo da cow
girl, ma è talmente sicura di sé da non tradire alcun imbarazzo. «E tu chi sei?», domando al terzo del gruppo, il fratello maggiore
mi spiegano, a quanto pare è qui per aiutarli a sistemare gli strumenti. «Come
ti chiami?» Non riesce però a rispondermi ché la sorella, beffarda, lo precede:
«È ovviamente il cyborg numero sedici.» Tira dietro le orecchie una
ciocca bionda, inamovibile da quel loro fare i Cyborg. «Come no, io sono il numero quindici!» Ribatto, astiosa. «Fa parte della scena!» Ci scherza su il diciasette,
chiatarra in spalla, raggiunge il palco dal quale accorderà qualche nota prima
dell’inizio della festa. È passata un’ora e di Vegeta ancora niente e il mio umore è
inversamente proporzionale ad ogni minuto in sua assenza. Ancora non so che
anni dopo mi sarei trovata nella stessa, insopportabile attesa; ignara che lo
avrei aspettato per anni, non soltanto una manciata di minuti. Avrei dovuto
allontanarmi allora, invece, sono rimasta illusa che la sua sola apparizione da
dietro un bicchiere di cocktail alla frutta lo avrebbe reso presente per
sempre. Sorrido, senza capire nulla di ciò che Chichi mi sta chiedendo.
Noto subito che, sotto il giubbino aperto, Vegeta indossa ancora la divisa di
scuola, la camicia bianca è più spiegazzata del solito ma la cravatta è tirata
alla perfezione. Stranamente, non mi chiedo come mai non sia passato per casa a
cambiarsi, la mia concentrazione prende un’altra strada quando mi accorgo che
ha portato delle persone e lo stesso ragazzo del bar a cui, adesso, sta
indicando i Cyborg intenti a suonare l’ennesimo pezzo. Nonostante sia concentrata su di loro i miei occhi non registrano
un altro dettaglio importante, a cui farà caso solo in seguito: nemmeno l’altro
è vestito in modo appropriato. Ma è Vegeta, davanti all’entrata, illuminato a intermittenza da un
faro ora rosso ora blu, tutto ciò che mi entra in testa in quel momento. Ha una
mano poggiata alla schiena di Cell, un istante, lo spinge ad avvicinarsi ai due
musicisti. Resta solo. Luce rossa. Decido di andare a salutarlo. Luce blu. Stringo il bicchiere. Luce
rossa. Posso avvicinarmi, nonostante C18? Aveva detto non sarebbe venuto per
lei. Luce blu. Finalmente mi nota, tra tutti, è me che guarda adesso. «Bevi qualcosa?» Luci rosse e blu su di noi, sfumano in un viola
pallido. La mia mano sul bicchiere ha intorno un alone di sudore, la sua
mano sulla mia. Lascio che prenda il mio cocktail, beve direttamente dal
bicchiere senza curarsi della cannuccia. Restituisce.
Love, love will tear us apart,
Again.
«Allora ci vediamo.» Dice. Luce viola, blu, rossa. Lo seguo
fuori dalla palestra.
Love
will tear us apart,
Again…
«Aspetta un attimo! Dove stai andando?» il corridoio freddo
mi alita sulle braccia nude. Abbandono il cockatail sul davanzale di una
finestra, così distrattamente che scivola via a terra in frantumi. Il rumore mi
sorprende e sorprende anche Vegeta facendolo arrestare. «Guarda cosa hai combinato?» Sbraito, dando a lui la colpa di
quella chiazza arancione tra pezzi di vetro. «Sei stata tu a farlo cadere come un’idiota!» «Solo perché hai deciso di essere uno stronzo! Cosa sei venuto a
fare se già va via, cosa significa?» «Che il ballo fa schifo. Anche la musica, ma fortuna che tra poco
quella cambierà.» Commenta, in uno sbuffo di ironia che non colgo del tutto. «Chi erano le persone con cui sei arrivato?» «Non ti riguarda.» Gira i tacchi, intento a lasciarmi sola di
nuovo. Faccio per rincorrerlo, ma scivolo sul pavimento bagnato di cocktail
fruttato. Ho sbattuto il sedere in un doloroso tonfo, trattengo le lacrime
mentre urlo contro Vegeta che finalmente torna indietro. «Sei davvero un’imbecille.» Sentenzia, non aiuta a mettermi in
piedi, anzi, incrocia le braccia al petto mentre mi guarda riprendere
l’equilibro. «Volevo solo parlarti.» Piagnucolo, ormai conscia di dover
abbandonare ogni difesa. Le lacrime restano impigliate tra le ciglia, non
scorrono. «Ancora di mio padre? Tsk, persino i giornali hanno perso
interesse alla vicenda.» «No.» «Di cosa allora?» Mi rivolge un ghigno. Ho il sedere dolorante, sento una chiazza di bagnato di arancia
sulle natiche. La mia sopportazione sta finendo. «Di noi.» Impiega una frazione di istanti per cogliere le mie parole come
una battuta che non capisce. «Di noi?!» Ripete e scoppia a ridere, afferratone
il senso. «Vorresti dirmi che ti piaccio, per questo mi rompi sempre le
scatole?» «Non dire… non dire idiozie, uno stronzo come te, come credi sia
possibile?!» La sua reazione ha raffreddato ogni mio proposito. Mi sento una
stupida. Persino io stento a crederci. Il cuore, però, batte forte. «Allora,» fa un passo verso di me, «Che intendevi?» Svetto gli occhi su di lui; non c’è nessuna logica al mio diniego;
è troppo tardi. Il mio cervello fa le bizze. Alcuni ragazzi aprono la porta della palestra, e ci sorpassano. Né
io né Vegeta facciamo caso al loro vociare confuso. Anzi, proprio lui accorcia
ulteriormente le distanze; appoggia le mani su di me e scivola quel tanto fino
all’avambraccio. «Non t’interesso quindi.» Yamcha, durante la nostra storia mi ha toccato in punti ben più
erogeni, ma mai mi sono sentita avvampare come in questo momento. «E io, perché
non ti piaccio?» Rigiro la domanda, i suoi occhi neri, fissi sui miei, mi hanno
spogliato di ogni difesa mentre lui si veste di un sorriso che non gli ho mai
visto. «Il mio è un mondo per grandi, Brief.» Lascia un braccio e risale
ad accarezzarmi una guancia con il dorso di due dita, fermandosi sul mento.
«Non c’è spazio per l’ennesimo capriccio di una mocciosa dal sedere bagnato di
succo.» Mi bacia in fronte. Chiudo gli occhi alle sue labbra umide premute
sulla mia pelle. Credo di aver vissuto solo per questo momento; perdo la
cognizione di ogni nostro problema e intoppo. Vorrei spiegargli la mia serietà,
vorrei urlargli che non si tratta del capriccio di una mocciosa; ma
prima, vorrei baciarlo. Tuttavia, il suo sorriso beffardo congela ogni mio proposito
davanti ad uno scherzo crudele. Mi lascia insieme alla sensazione del suo bacio
addosso. Arriva Chichi, mentre degli studenti sguizzano via dietro di lei,
sparpagliandosi in un fuggi fuggi generale. «Bulma, finalmente ti ho trovato! Sta accadendo il finimondo!»
«Cosa?» Strillo. «Una rissa. Hanno preso a pugni C17, mentre C18 è riuscita a
scappare con l’altro nel trambusto.» Ci vomita addosso gli inquietanti risvolti
della serata. Sto per dire qualcosa, «Come sarebbe C18 è scappata?» Mi precede
però Vegeta, «Quella stupida!» Sbraita, prendendo a correre verso l’uscita. «Vegeta! Dove accidenti vai?» Urlo, con tutto il fiato che ho in
gola. Per l’ennesima volta mi ritrovo a corrergli dietro, ringraziando il cielo
per la mia avversione alle scarpe col tacco. Ho il fiatone quando lo raggiungo alla macchina fuori al parcheggio.
Riesco a bloccarlo prima che metta in moto. «Che sta succedendo?» Allargo braccia e gambe a stella davanti
alla macchina già accesa, quasi come fosse sufficiente a impedirgli di prendere
il largo. «Che rompi scatole, togliti di mezzo!», esorta, dal finestrino,
non esattamente con il più caloroso dei toni. «No!» prima che riesca a fare retro marcia, mi attacco alla
maniglia, «Fammi entrare o giuro che resto attaccata fino a che non dovrai
portarmi in ospedale.» «Ti ci mando subito, se non la smetti.» Impunto una gamba contro la portiera e tengo stretta la maniglia
con più determinazione. Se vuole partire, dovrà per forza farmi male. A meno
che non mi faccia entrare. Lo vedo dare un pugno al volante, il clacson tuona nel parcheggio
che via via si riempie di ragazzi. «Sali, Sali!» Grida, rosso dal nervoso. Non faccio in tempo a sistemarmi la cintura che già schizza fuori
in strada, «Ehi!» Lo riprendo, ma non mi ascolta. «Non può essere lontana, è sicuramente nei paraggi!» Arguisce, più
per fare il punto a se stesso che per rendermi partecipe di un piano che non
conosco. Iniziamo a girare a vuoto nei dintorni della scuola alla ricerca
di C18 e di suoi fratello, ben presto le sirene della polizia faranno da eco
alla nostra ricerca, in lontananza. «Adesso basta, Vegeta! Inizio a spaventarmi, portami subito a
casa!» protesto. Ho sulle mutande un’appiccicosissima bevanda all’arancia; ho
freddo; sono confusa ed esausta. «Non ti ho chiesto io di venire!» Replica. «Sono stufa! Portami a casa, ho detto!» Sbraito ancora, tirando una botta al cruscotto in preda ad una crisi isterica. Finisco per accendere lo
stereo. Mi innervosisco ancora di più. Con me stessa per essermi invischiata in
questa situazione, con lui perché non ho la più pallida idea di cosa stia accadendo. Do prova della mia scarsa pazienza cacciando via la cassetta dallo
stereo; la sfilo via, sfilacciandone il nastro marrone in preda a quella che è molto più ad una crisi di panico per essere stata sopraffatta dagli eventi proprio quando avevo finalmente deciso di dichiararmi. Apro il finestrino e la butto via. A questo punto, credo di averlo convinto di avere a che fare con
una pazza che ha oltrepassato l’orlo di una crisi di nervi. Vengo accontentata. «Dammi la giacca!» Comando, una volta fermi davanti al vialetto di
casa. «Non ho intenzione di farmi il vialetto al freddo, a spalle scoperte.» Riluttante, si sfila la giacca; se io non ho voglia di chiedergli
cosa c’entri in tutta questa storia, lui non ne ha di mettersi a discutere con
me. Il calore che ricevo dal suo indumento smesso, tuttavia, mi calma
un po’. Apro la portiera, non scendo ancora. «Mi accompagni al portone?» Gli
concedo, col tono di una bestia ammansita. In cambio ricevo la stessa occhiata incredula che avrebbe avuto
qualcuno davanti ad un animale parlante. Scuote la testa, e alla fine mi dà
retta come alla pazza che sono. «Non hai alcun diritto di guardarmi così, Vegeta!» Li rimbecco,
stringendomi la sua giacca (e il suo odore) addosso. «Ti ricordo che sei stato
tu il primo a dare di matto.» «Ti ricordo, che sei stata tu ad insistere.» Avremmo continuato a discuterne, arrivando fino al punto in cui avrei
avuto la bravura di chiedergli per quale assurdo motivo era corso via
alla ricerca di C18, quella che comunque, a quanto ne sapevo restava qualcosa
di simile alla sua ragazza. Mi avrebbe fatto ammettere di essere gelosa di lei,
se all’improvviso Crilin non fosse sbucato fuori da un cespuglio insieme
all’unica che, quella serata, era riuscita a suscitare tanto l’interesse di
Vegeta. Sussulto nel vederli spuntare dal buoio, «Crilin! Volemi farmi
prendere un colpo? Che ci fate qui?» Lo rimprovero, prima di notare la ragazza.
Si tengono per mano, fino a che lei non molla la presa imbarazzata. Ha delle
foglie tra i capelli scomposti. «Ecco, quei tizi si sono avvicinati a C17 e hanno iniziato a
prenderlo a pugni, e così C16 si è messo in mezzo lei è riuscita scappare. Fortuna
che ero nei paraggi e l’ho aiutata a fuggire in macchina. Ci siamo
nascosti qui per non dare troppo nell’occhio in mezzo alla strada, nella
speranza potessi aiutarla.» Racconta, occhi bassi sugli indici che picchietta
tra di loro. «Stai scherzando, vero? Perché non siete andati a casa tua?» «Eh eh, sai com’è quel genio del mio vecchio, non volevo
che la infastidisse, eh eh» Per una volta non offro la mia famosa ospitalità, non so perché
quei tizi li hanno attaccati, ma se anche fosse non mi va di ospitare proprio
lei. «Sei proprio un bastardo, Vegeta!» prende parola la ragazza dello
scandalo, come se io e Crilin non fossimo mai stati lì, si fa spazio tra di noi
con una bracciata. Fronteggia il nostro compagno con aria assassina. «C18, non turbarti, fa male alla salute.» Non resiste a sfotterla
Vegeta, fomentando la sua ira. «Perché?» «Cell iniziava ad annoiarmi e, alla fine, gliel’ho detto.» Alla luce dei lampioni del giardino gli occhi azzurri di C18
tentennano di pianto. Tuttavia, il resto della sua figura è impassibile come
una statua di cera. «Sei stato tu Vegeta?» Domando, sorpresa. Sapevo che i tre
avevano avuto dei problemi, «Ma non ti sembra di aver esagerato?» Lo accusa
anche Crilin. «Non intrometterti, non hai idea di cosa hai combinato!» Tuona la
vittima dei nostri attacchi, poi rivolto alla ragazza: «Ora hai capito
con chi hai a che fare.» Le dice, in un discorso che solo loro comprendono a
fondo. «Non eri così prima!» È piena di risentimento, confusa da quel
volta faccia che ha portato i suoi fratelli alla rissa. «Credevo stessi dalla
nostra parte, invece ci hanno beccato in flagrante grazie a te!» «L’unica parte da cui sto è la mia.» Il ghigno si spegne, e
afferra la giovane per un braccio. Crilin cerca di difenderla, ma guadagna solo di finire
violentemente a terra con una spinta. «Fammi il piacere, levati di mezzo!» Comanda Vegeta, talmente minaccioso da terrorizzarci
entrambi. «Lasciami stare, bastardo!» Urla C18. E una luce dal piano di sopra
di casa mia si accende, quella della camera dei miei. «Ragazzi, tutto bene lì sotto?» Mio padre, dal balcone, berretto
da notte in testa, esce a chiedere. Una goccia di logica, in questa
rocambolesca serata, che riempie tutti di sorpresa. Ma non Vegeta, che tiene
salda la presa sulla ragazza come ne andasse della sua stessa vita. «Andiamo.» La strattona con sé fino alla macchina. Noi, attoniti,
restiamo impalati a vederli andare via. «E adesso cosa facciamo,
Bulma?»
When routine
bites hard,
And ambitions are low,
And resentment rides high,
But emotions won't grow,
And we're changing our ways, taking different roads.
Continua…
Ringrazio coloro che hanno avuto la voglia di
arrivare fin qui, spero di non avervi deluso. Ogni recensione sarà bene accetta,
bella o brutta che sia! Spero non ci siamo errori, purtroppo finisco sempre per
lasciarne qualcuno, nonostante legga e rilegga il capitolo. Alla prossima! :)
Quella sera stessa io e Chichi torniamo a scuola, con il
permesso del “Magnifico Professor Preside” Satan, per finire di
sistemare la palestra in vista del ballo di San Velentino. Avrei voluto cercare
di contattare Vegeta ma, con quello che sta passando, sarebbe fuori luogo
interrogarlo sulla sua relazione con C18. Oltretutto, sono sicura non mi
avrebbe nemmeno risposto. Tuttavia, muoio di curiosità nonostante mi renda
conto quanto questi miei pensieri siano inopportuni ed egoistici. Stare a scuola nel pomeriggio tardi, quando le classi sono vuote,
fa sempre uno strano effetto; i ragionamenti e la concentrazione della mattina
sono come esplosi in una scia di pace e silenzio. Fa freddo: il riscaldamento
non è stato acceso per l’occorrenza e dovremmo restare in cappotto per tutto il
tempo. Dalle finestre del corridoio il buio della notte già avanza,
mentre camminiamo alla pallida luce al neon che discende dal soffitto. Lunch e
Laura si sono offerte di aiutarci, vediamo già le loro sagome nella palestra i
cui fari si stanno accendendo proprio adesso. Gli altri rappresentanti stanno
già prendendo posto in cerchio, mi pare di dover partecipare alla riunione di
una setta. Dobbiamo scegliere la band della serata, ma non avremmo tempo per la
audizioni. «Allora, mentre voi parlate, noi due sistemiamo i festoni!»,
annuncia Laura, in mano ha già una ghirlanda. «Mi pare ovvio, siamo qui per questo!», la riprende Lunch, la
gemella, togliendole la ghirlanda dalle mani. «A proposito, complimenti per la
messa in scena di questa mattinata!», mi fa, «Bella idea, ma al mio uomo
avrei direttamente spaccato la faccia se avesse provato anche solo a guardare
un’altra!», alza un pugno in aria, elogiando l’efficacia dei modi diretti a cui
è abituata. «È così, con gli uomini ci vogliono le maniere forti!» Conclude
come chi la sa lunga, puntando i gomiti ai fianchi. «Sono sicura che Bulma avrà avuto le sue ragioni, Lunch!», spiega
dolcemente la sorella, sempre con quella perenne mollezza. Nessuno ha capito
che non era stato per Yamcha, tanto meglio! Nessuno, del resto, potrebbe
immaginare la verità. Alzo lo sguardo agli alti finestroni, oltre i quali c’è
il campo da football. «Già, prima fra tutte tornare sulla cresta dell’onda!», s’impiccia
Ginger, i capelli rossi arricciati sul volto paffuto. È sempre stata astiosa
nei miei riguardi, soprattutto per aver preso meno voti di me alle elezioni per
la rappresentanza d’istituto. Non potendo in alcun modo competere in bellezza,
trova terreno fertile nelle pecche della mia personalità. «Cosa vorresti dire?» Ribatto, rossa in volto. Eppure, è questa
l’idea che rendo di me. Stare sempre al centro dell’attenzione. Lo penserà
anche Vegeta? Spiegherebbe il suo allontanamento dopo la morte del padre. «A quanto pare il ritrovarsi nel bel mezzo di un’indagine per
omicidio non era abbastanza per la reginetta Brief, lei doveva
addirittura far scalpore con quella buffonata della mascotte!» «Sei solo gelosa perché non fai parte delle cheerleader!»
Controbatte Chichi che la sopporta ancora meno di quanto non la sopporti io. Mi
chiedo chi l’abbia votata alla co-rappresentanza. «Voi e la vostra cricca di smidollati non riuscite proprio
ad accettare che non si parli sempre di voi! I veri signori passano
inosservati!» «E saresti tu quella che passa inosservata?» La offendo astiosa,
riferendomi alla sua stazza. Riprende fiato, ormai rubiconda, la collana di perle che indossa
le nasconde una vena ulcerosa pronta a scoppiare, «Non dobbiamo mica avere
tutti il fascino di un bastone!», conclude con trionfo, incrociando le braccia
al petto dopo aver dato una ravvivata ai capelli ricci con la sua piccola mano
paffuta. «Infatti, alcune sono dei palloni gonfiati!» «Sempre meglio che essere scambiati per un manico di scopa!» «Adesso basta, abbiamo del lavoro da sbrigare e siamo indietro con
i preparativi», ci interrompe Chichi, sempre ligia al dovere, adesso
patteggiando per la causa piuttosto che per l’una o l’altra. «E chissà perché poi ci siamo ritrovati all’ultimo momento.»
Ginger non molla, lanciando un ultimo dardo di sarcasmo. «Non è colpa mia s’è stato ucciso il padre di un nostro compagno!»
Detesto distruggere l’atmosfera festaiola con ricordi incresciosi, ma tanto
ormai l’atmosfera è stata già bella che rotta. «Appunto, Brief, il padre di un altro. Non il tuo. E
mi pare anche quell’Arensay la stia prendendo meglio di te.» Continua
decisa ad affermare ora più che mai il suo punto. È convinta che me la sia
cercata, che mi intrometta sempre in affari che non riguardano per vivere in
una soap opera. «Dì un po’, la vuoi smettere o vuoi che ti spacchi la faccia?»
Torna in scena Lunch battagliera più che mai, più per avere una scusa per fare
a cazzotti che per difendere i miei principi. «Coraggio, ragazze, mi pare di capire che tutte noi abbiamo
diversi punti di vista. Accettiamolo e torniamo al nostro lavoro.» Esorta
Laura, con la sua proverbiale calma serafica. Certe volte mi ricorda mia madre! Alla fine i toni si chetano, eppure il dado, ormai tratto, ha già
scombinato la mia serenità mentale. Ginger non ha torto. Una ragazzina egoista
e appariscente è esattamente ciò che sono. Temo anche Vegeta continui a
pensarla così. Un dubbio figlio dei tarli di un’insicurezza che scopro di avere
solo al suo fianco. Dalla mattina passata a casa mia non mi ha rivolto la parola,
eccetto che al cinema! Ma in quella occasione sono sicura che, così come Lunch
un attimo fa, si sia avvicinato al mio gruppo unicamente per trovare una
valvola di sfogo, come confermato dal suo comportamento all’uscita del cinema
stesso. Non pensa a me. La superiorità con cui affronta la situazione mi distrugge. Io gli
sono inutile! Non riuscirò a rasserenare i suoi pensieri solo perché nutro
dell’interesse per lui. Ogni giorno questo mio sogno romantico s’infrange. Mi rabbuio, le braccia al petto, gli occhi bassi al pavimento.
Bulma Brief, una ragazza frivola e bella. Ora, dopo averti conosciuto,
so di poter essere anche altro e non accetto che proprio tu, Vegeta, non lo
riconosca. «Bene ragazze, io me ne vado!», annuncia poi Lunch, dopo
raffazzonata sbrigativa a un paio di festoni colorati. «Come sarebbe a dire che te ne vai?», le domando, felice di poter
evadere dalla mia angoscia. «Ho un appuntamento con il mio uomo,» chiarisce guardando l’orologio.
«Ma non avevi detto di dover uscire con Tien Shinhanalle
sei e mezza?» Le domanda la gemella con aria confusa. «Appunto, non vorrei che nel frattempo si metta a chiacchierare
con un’altra! Sono già le cinque e mezza.» Ribatte Lunch, le sopracciglia
aggrottate, parentesi di una gelosia esasperata e possessiva. «Fantastico, si può sapere che siamo venute a fare oggi?» Ritorna
all’attacco Ginger. «Hai forse qualche problema?» Lunch, agguerrita, torna a menare un
pugno in aria, ma infischiandosene della risposta ha già preso la strada per
l’uscita. «È proprio innamorata, che bello!» Commenta Laura, mani giunte,
vendendola andar via. «Ok, adesso basta!» Chichi prende in mano la situazione, «Non ho
rinunciato al ripasso di letteratura per non concludere nulla. Mettiamoci
subito a lavoro! Tu, Laura, continua ad attaccare i festoni e i palloncini,
mentre noi scegliamo la band per la serata.» Decreta finalmente l’inizio della
seduta cacciando dalla borsa l’elenco delle band cittadine più note. Molti nomi
sono stati cancellati a causa del poco preavviso. «Se non troviamo altro, dovremmo davvero chiamare i Cyborg,
gli unici ad essersi offerti! Sbaglio oppure oggi ti ha anche chiamato C17?»,
dice Chichi guardandomi. «Che non ti venga in mente, Chichi, sai bene quanto detesti sua
sorella.» Mi oppongo, raccontando in breve la chiamata ricevuta nel pomeriggio.
Ho anche dovuto chiarire che prima avrei dovuto parlarne con gli altri
rappresentanti. «E allora siccome detesti un componente non vanno bene, vero?
Quindi, verrai tu a suonare il tamburello?» Non perde, Ginger, occasione per
attaccarmi. «Farei comunque bella figura!», e le caccio la
linguaccia.
«A dire il vero nemmeno a me stanno particolarmente simpatici, se
ripenso al trambusto della presentazione dei progetti di scienze… però… non
trovo alternative e ricordiamoci che sono molto bravi!» Arguisce Chichi, matita
alla mano, scorrendo i nomi degli altri candidati. «Quale trambusto?» domanda Ginger, sbattendo gli occhietti scuri
nelle belle ciglia lunghe. «Non ti riguarda affatto!» Affermo. «Invece sì che mi riguarda! Se voi scapestrati avete intenzioni di
rovinarmi la festa, ve la farò pagare molto cara.» «Rovinarti la festa? Puoi anche non venirci visto che non hai
nessuno da portare» «Per tua informazione, andrò con Gordon.» Schioppetta trionfante,
«Tu piuttosto, con ci vai?» «Beh ovvio io… io…» Alzo un sopracciglio, quello di destra per la
precisazione, e per la precisazione continua ad alzarsi mentre mi rendo conto
di non aver alcun “Valentino” dopo la fine della mia storia con Yamcha. «Non mi dire, la reginetta non ha nessuno con cui andare.
Vuoi far piovere, forse?» «Pioverà il giorno in cui riuscirai a fare una battuta divertente,
Ginger.» Assumo una posa bisbetica, il sopracciglio adesso arcuato di
determinazione, anziché, insicurezza. «Figurati se, proprioio,
non trovo qualcuno. Ho la fila davanti alla porta!» Preciso, non tanto sicura
di quest’ultima affermazione. Conscia che, oltre Yamcha, nessuno mi ha mai
chiesto un secondo appuntamento, nonostante sia considerata la più carina della
scuola. Consapevole anche di non poterlo chiedere a Vegeta! Non verrebbe
mai, dubito se la sentirebbe, ma d’altro canto non ricordo di averlo visto
partecipare ad altri eventi scolastici. «E comunque non ho bisogno di qualcuno al mio fianco, io
posso scegliere anche di stare da sola!» Ribatto, mettendola, finalmente
a tacere. Il resto della serata scorre via, tra battibecchi e diplomazia.
Mettiamo i Cyborg ai voti; il mio è un no; per tutti gli altri, un sì.
Una scelta ovvia dato il loro indiscutibile talento, nonché imposta dalla
necessità: sono gli unici ad essersi offerti volontari (anche se dovrei dire,
auto-proclamatosi) con così scarso preavviso. Alla fine, ho dovuto cedere. Quando usciamo il cielo è ormai scuro, la notte invernale punge le
nostre gote lisce di giovinezza. Notte senza luna né stelle. Sopra di noi solo
l’alone plumbeo dello smog cittadino e un’umidità presagio di tempesta. «Allora ci vediamo domani, Bulma!», mi saluta Chichi, alle sue
spalle Laura attraversa il portone, agitando una mano in segno di saluto prima
di aprire un enorme ombrello giallo. «Sei sicura di non voler un passaggio?» Mi
chiede Chichi, mentre scendiamo cortile. Il riflesso delle nostre sagome sulle
vetrata affoga nello scendere le scale. «Non preoccuparti per me, con lo scooter sfreccio via!», la
rassicuro. «Oh, guarda un po’, cos’è questo?» Domanda, quando si accorge di
aver acciaccato qualcosa. Solleva un mazzo di chiavi a cui è appesa una palla
da biliardo con il numero 7. «Deve essermi caduta prima quando sono arrivata!», mento, per
poterlo avere. Credo di riconoscere in quell’oggetto quel bagliore metallico
gettato via oggi all’uscita di scuola. Rigiro la pallina tra le dita infreddolite,
sicuro di averla già vista da qualche parte. Ripongo chiave nella tasca del cappotto per restituirla a Vegeta
il giorno dopo. «Allora, è deciso Bulma, tu stasera chiami i Cyborg mentre
io passo a prenotare i cartelloni con il loro nome scritto sopra. La saluto
mentre inizio ad allacciare il casco su cui batte una prima goccia di pioggia.
Spero di arrivare a casa in tempo. Scavallo il motorino. «Vai ancora in giro con quel catorcio?» «Vegeta!? Che ci fai qui a quest’ora?» Domando. «Non ti riguarda!» Stento a credere che la malia dei miei pensieri sia qui di fronte
a me, grazie a un regalo del destino. Il peso che ho in tasca, però, mi
racconta una ragione più ovvia: è tornato per la chiave. «Sei qui per riprendere quell’oggetto che C18 ti ha buttato via,
non è così?» «Allora l’hai notato, io che credevo fossi tutta presa dalle tue frivolezze!»
Bercia in un ghigno. Frivolezze? «Non capisco a cosa tu ti riferisca!» So
benissimo a cosa alluda, eppure voglio averne conferma mentre il cuore mi ha
saltato un colpo. «Ovviamente alla cretinata da telefilm di questa mattina.» «Non è stata una cretinata, la coreografia è piaciuta a tutti!»
Tranne a lui. Il cuore ora batte forte, puntellandomi nel petto le immagini, la
sicurezza delusa, e la certezza di non aver raggiunto la sua approvazione. «Complimenti, allora. Il verde ti dona.» Stiletta, con l’insolenza
con cui si accontenta una sciocca. «Puoi ben dirlo! Hanno detto tutti che sono stata la migliore.»
Controbatto scendendo, effettivamente, al livello di una sciocca. Non ha capito
il mio gesto. Non gli darò, allora, la soddisfazione di avere avuto importanza. Vegeta mi guarda, con le mani nascoste in un giubbino troppo
leggero per questo mese di Febbraio, negli occhi scuri il bagliore dei
lampioni, e dice: «Tu parli sempre troppo, Brief.» Così si issa sul muretto,
con l’intento di valicare il cancello che poco prima mi ero chiusa,
irrimediabilmente, alle spalle. «Non vorrai mica entrare di soppiatto.» Lo ammonisco, «Ti manca
solo una denuncia per scasso!» «L’ho già detto di lasciarmi in pace?» Chiede, le mani strette
sulle aste della balaustra dalla pittura grigia antiruggine, su cui la pioggia,
leggera e rada, ha iniziato a stampare i propri baci. «E non ti pare sia da idioti scavalcare dal cancello principale? Qualcuno
potrebbe vederti!» Puntualizzo con una nota saccente. Lui si ferma, quel tanto da farmi capire di non averci pensato
affatto, «Beh, allora… avvertimi se vedi qualcuno.» Risponde, roteando un
braccio, con aria da anfitrione, per la strada che solo ora nota deserta.
«Comunque questo è il punto più basso.» Aggiunge, per smontare definitamente
ogni idiozia nel suo piano. La sua schiena è già bagnata, anche dalle luci
della strada. Davanti ai suoi occhi, si distanzia invece il nero di un cortile
buio. «Comunque, è un’idiozia, venire a quest’ora.» Rimbecco, per
restituirgli l’insulto di prima riguardo alla mia coreografia. «Ho una torcia.» «Potevi tornare quando era ancora giorno!» La voglia di controbattere blocca ancora i suoi intenti, «Secondo
te mi mettevo a raccattare robaccia per terra davanti a tutti?» «Sono le sette e mezza, potevi arrivare un po’ prima!» Sento di
poter vincere questo scontro verbale. «Ho dovuto organizzare il funerale di mio padre.» Butta giù
l’asso, e dal suo ghigno capisco l’abbia detto solo per farmi sentire in colpa
e per guastarmi l’umore. «Ah sì? E cosa hai deciso a riguardo?» Non riuscirà a zittirmi.
Lui stesso ha voluto introdurre un argomento di cui, sotto sotto, detesta
parlare. Riceverà la stessa moneta, così impara a fingersi così cinico. Un tuono romba nel cielo, a ricordarci la tempesta imminente. Gli
antifurti delle macchine destabilizzano il silenzio della strada, poco dopo
arriva la pioggia a scrosciare sulle nostre teste. «Dannazione!» Esclama, guardandosi intorno, capendo che le
circostanze sono ormai a suo sfavore. Era stata un’idea stupida, ora era
diventata impossibile. «Non preoccuparti, Vegeta!» Lo tranquillizzo, sentendo a stento le
mie parole coperte dalla pioggia che rimbomba sul mio casco giallo Capsule
Corp. Le chiavi che mi pesano in tasca riscaldano una tiepida speranza. «Là dentro ci sono le mie chiavi di casa!» Sbotta, dopo essere
sceso a terra con un balzo. Il braccio perpendicolare al cortile. Gli vado vicino, «Intendi queste?» Gliele sventolo davanti con
trionfo. Lui ovviamente fa per afferrarle, ma io le tiro via. «Te le
restituisco, solo se lasci che ti offra un tè caldo!» Il mio invito lo confonde un istante e, dopo un istante, incurante
della pioggia, ordina: «Dammele!» Per tutta risposta infilo la chiave in tasca, giro sui tacchi e
inforco il motorino. Scavallo e accendo il motore. «Allora?» Gli strizzo un
occhio. «Sei davvero fastidiosa e petulante!» Decreta, accettando lo
scambio. «Ma spostati, guido io!» Fa prepotente, spingendomi indietro con una
mano poggiata sul mio petto. Arrossisce rendendosene conto. «Sì, è così ch’è fatto il seno di una vera donna, Vegeta!»
Bercio, civettuola, cedendogli il posto. «Sei solo una mocciosa!» E poi sfrecciamo via. «Vegeta, rallenta!» Lo riprendo, ma sono
contenta, di avere la scusa di cingerlo in vita.
Ha scelto lo Scooter, un bar che non conosco. La
poca gente che c’è mi è del tutto estranea. Siamo quindi solo lui ed io, e non
mi sento affatto a disagio. «Dove hai dormito fino ad oggi?» Chiedo, centellinando il mio tè. «Da mio zio.» E chiarisce quel ricordo molto vago che ho di un
uomo pelato, molto alto e col pizzetto. «Non avevi una chiave di scorta?» Continuo curiosa, beccandomi una
fucilata dai suoi occhi scuri che nemmeno gli occhiali riescono a schermare. «Ti piace proprio far domande inutili.» «Mi preoccupo solo per te, Vegeta.» Stiletto, con un’aria svagata
che sembra quasi di presa in giro, mentre giro il mio tè alla vaniglia e
mandarino. Solo io so di esser seria. «Grazie tante. Ma ti preferisco quando resti zitta!» Sogghigna,
versando del latte nel suo tè. Io invece gli sorrido. «Con tutti i gusti che ci stanno, hai
scelto proprio il meno interessante!» Lo canzono. «Un vero inglese il tè lo preferisce così!», Mi spiega con
fierezza, battendo un leggero pugno sul tavolino. Vorrei continuare a riempire lo spazio tra noi di parole inutili
e futili alterchi. E mi cullo nel raccontarmi che, tra noi, sono le parole
non dette a speziare quello che vorrei fosse il nostro rapporto. Appunto,
vorrei. «Sai, i Cyborg verranno a suonare al ballo.» Domando, messa
a disagio dalle mie stesse speranze. «Lo sapevo già!» Mi spiazza, bevendo il proprio tè. «Come sarebbe lo sapevi già? L’abbiamo deciso solo questa
sera!» «C18 l’aveva già dato per certo.» Ripeto quella domanda nella mia mente. C18 l’aveva già dato per
certo. Ma non è l’insolenza della ragazza a infastidirmi, quanto il crollo
del mio castello di carte; C18 l’aveva dato per certo. E faccio uno
sforzo enorme per mantenere un’espressione indifferente al fatto che, dopotutto,
quei due si sentano ancora. Credevo avessero litigato. Avevo quasi sperato, in fondo, avesse finalmente
capito che io sono la migliore! Impasto in bocca una frase che, per la prima
volta, non trovo; ma un ragazzo, più grande di noi, si avvicina al nostro
tavolo. È molto alto e magro, indossa una felpa verde insetto in contrasto con
il suo volto pallido. «Vegeta, mi rincresce disturbare il tuo tête-à-tête, ma
vorrei ricordarti del nostro appuntamento.» La sua voce è pastosa e
autoritaria. Non riesco a decifrare l’espressione di Vegeta, un misto di sfida
e disgusto, «Figurati, non aspettavo altro, Cell.» Dice e, nell’eco di quella
frase, ruota lo sguardo su di me, «Ridammi la chiave, Brief, il tuo giochetto
mi ha stancato.» A quell’ordine secco restituisco il pezzo di metallo che, per una
mezzora, era stato il nostro unico legame. «Ci vediamo domani a scuola?» Vorrebbe essere un’affermazione, ma
suona come un punto di domanda. Parole quasi stonate di fronte all’espressione
adulta che Vegeta mi rivolge.
Continua…
Come sempre, spero questo capitolo sia di vostro
gradimento. Un grazie a tutti coloro che seguono questa storia con interesse.
Alla prossima! :)
What
I'm searching for
To tell it straight, I'm trying to build a wall
Walking by myself
Down avenues that reek of time to kill
(Santogold, L.E.S. Artistes)
«E adesso che cosa facciamo, Bulma?» «Inseguili pure se vuoi; io me ne vado a dormire.» Sbotto,
terribilmente infastidita. «Non avresti dovuto portarla qui. Hai rovinato
tutto.»
«Ecco, sì fare il sindaco comporterà notevoli responsabilità, non dico di no,
tuttavia mi impegnerò al massimo per fare di questa città una città migliore!» «Ehm… ehm…» Tossicchia il commissario della polizia, per riportare
l’Immaginifico Magnifico Candidato Sindaco Preside Satan sulla traccia
della discussione principale. L’intero ufficio è tappezzato da immaginette e da bandierine con
il faccione sorridente del candidato, che questa mattina ha convocato me e
Chichi in qualità di rappresentanti e responsabili dei trascorsi di ieri notte,
che ovviamente non si sono conclusi davanti al mio portone di casa. «Ah già, volevo dire…comprenderete la gravità della situazione.
Una scandalo rovinerebbe l’immagine dell’azienda,» Si sofferma un istante su
quell’azienda, trovandola una metafora azzeccatissima per
“amministrazione scolastica”. «Dobbiamo tutti collaborare affinché la nostra
scuola risplenda nel grande mare delle istituzioni cittadine. Che sarà stata la
rissa di ieri, ragazzate…» Minimizza a palmi rivolti all’insù e
strizzando un occhio al commissario della polizia; gli infila un pacchetto di
immaginette nel taschino della giacca. Pot pot. «Si sa… la festa non si fissa se non c’è una rissa! Wah ah ah»
Nessuno ride alla battuta. Si ricompone. L’idea possa essersi trattato di
qualcosa di più di una semplice rissa non deve scomporre le sue ambizioni. Si
solleva sui tacchi, mani giunte dietro la schiena. Si fionda su di me
nascondendo la bocca con una mano, «Ho già parlato io con il commissario,
dica pure a suo padre di non preoccuparsi» Pare ovvio voglia convinca mio
padre e il resto della comunità scientifica a votare per lui. Farcisce anche la
mia tasca del suo faccione; le tira via dalle sue, infinte, come fosse un mago.
Rimpinzato del suo stesso narcisismo, ne ha avrà addosso centinai da fornire
all’occorrenza. «In fin dei conti,» Riprende, «Nessuno si è fatto male sul serio,
capita ci sia qualche divergenza, uno spinello di troppo… dico bene?»
Abbassa lo sguardo su di Chichi, «Suvvia, cos’è quel muso lungo? Wha wha… su
col morale!» Le dà una pacca sulla schiena, «Suppongo anche lei sia
maggiorenne…Ne prenda qualcuna!» Allunga un braccio sulla scrivania e
prende una manciata di cartine, per consegnarle a Chichi a ventaglio, «Ha visto
come sono uscito bene?» Il commissario annuisce in combutta, mi chiedo cosa mai possa
avergli promesso. Solo Chichi resta seccatissima, con una manata rifiuta
l’offerta e mette il broncio, «Se ha finito, noi avremmo una lezione di
matematica a cui attendere!» Era entrata in questa stanza piuttosto
preoccupata, ora sicuramente ne sarebbe uscita scocciata, una volta chiarito lo
scopo di questo colloquio: un lavaggio di capo con acqua di rose. La questione è tuttavia piuttosto seria: a quanto pare il
fantomatico gruppo di “cyborg” aveva pensato di approfittare del concerto per
piazzare qualche robaccia agli altri studenti. Resta comunque ignoto il loro coinvolgimento con l’altro gruppetto
di scapestrati, di cui si sa solo siano stati accompagnati alla festa da un
altro studente. Né il preside, né la polizia però sembrano realmente
interessati al fondo della vicenda. Se il primo non vuole aggiungere scandali
alla vigilia delle elezioni, la seconda sembra accontentarsi di vederci solo
una ragazzata, lì solo per salvare la faccia alle famose istituzioni
(vedi probabile mazzetta prontamente elargita dal nostro caro preside). Persino
le inchieste si erano svolte, la sera precedente, con la più palese delle
negligenze (stando a quanto raccontatomi dai miei amici): non avendo trovato i
fomentatori della zuffa (scappati al suono della prima sirena nel fuggi, fuggi
generale) si erano risolti ad interrogare i presenti su cui, ad alcuni, erano
state trovate bustine intatte contenenti quelle che a un occhio poco esperto
sarebbero parse comuni caramelle per la gola. «Ne avete mai viste di simili, nel cortile della scuola?» Chiede
il commissario, mostrandoci una bustina; determinato a dare una parvenza di
serietà rispetto alla troppa scioltezza del Preside. «Noi del campo le
chiamiamo Senzu Bean.» Ci spiega con tono da maestro, «Da ingoiare, sono
molto efficaci, pensiamo che i ragazzi coinvolti nella rissa ne abbiamo presa
qualcuna. Ed è per questo che hanno iniziato ad azzuffarsi!» Conclude in un
trionfo di logica d’occasione, felice di bersi quella ricostruzione. Non posso giurare che Cell o i Cyborg non ne abbiamo fatto uso, ma
a giudicare da quanto accaduto davanti a casa mia (lo sguardo di Vegeta e la
paura di C18!), dubito che qualche anfetamina sia stata la sola causa di quella
baraonda. «Mai viste prima, mi spiace.» Risponde, sincera, Chichi. «Beh… pare ovvio i miei studenti non c’entrino nulla con questa storia,
commissario.» Qui il suddetto annuisce di nuovo. «Quei teppisti fanno
parte del liceo Lemon, non mi stupirei siano stati mandati allo scopo
screditare la mia amministrazione alla vigilia delle elezioni. Rilasci pure
questo alla stampa.» Arguisce, mimando un tratto di penna. «Veramente, pare siano i figli del Dr Gero, un noto scienziato
dell’organizzazione Fiocco Rosso.» Spiega il commissario, «Quindi credo di
trovarci tutti d’accordo sul punto sia meglio non agitare le acque.» Propone,
sornione, ammiccando all’immaginifico preside, che repentino cambia tono.
«Ovviamente, voi due, in qualità di rappresentati avreste dovuto sorvegliare
meglio gli invitati.» Aggiunge, e la mano diventa adesso una bacchetta.
«Sarebbe meglio che non accada di nuovo. In una città grande come questa,
comprendete che le forze dell’ordine hanno ben altri problemi di cui
occuparsi.» Resta in attesa dell’approvazione del commissario, il quale non
pare del tutto soddisfatto. «Per caso suo padre conosce questo Ghiro?» Mi sussurra,
probabilmente in cerca di altri voti. Scuoto la testa spazientita. «Ad ogni modo, una punizione ci vuole. Non vorrei altri si mettano
in testa chissà che!» Annuncia, giudice giusto neanche fosse un Salomone.
Faccio la spola da un lato all’altro della corsia. Sono talmente nervosa che, a
momenti, potrei andare in iperventilazione. L’unica cosa che mi tranquillizza
sono i poliziotti a guardia della stanza di Vegeta. Ma non credo affatto siano
sufficienti! Vogliono svegliarlo al più presto, ma occorrerà almeno una
settimana per farlo uscire dal coma farmacologico e in sette giorni possono
accadere molte cose… Persino questa notte, qualcuno potrebbe venire qui da un
momento all’altro, magari proprio qualcuno del personale medico sotto mentite
spoglie. M’insospettisce che i legali di Freezer non si siano ancora fatti
sentire. E quell’uomo che ha rubato il laptop di Vegeta dubito abbia buone
intenzioni. Se solo questi idioti me lo lasciassero portare via! Hanno
risposto che non sono nessuno per poter avere il permesso. Nessuno, ma
io sono Bulma Brief, accidenti a loro e voglio che nessuno entri in
quella stanza. Guardo l’ora dal cellulare che stringo in mano; sono passati ben dieci
minuti da quando ho chiamato la mia segretaria e quell’incompetente ancora
non richiama. Ricompongo alla svelta il suo numero. Occupato. Brutta stupida! Chiamo ancora, «Signorina Brief!» «Finalmente!» «Ehm… stavo proprio per richiamarla. L’avvocato l’ho trovato, sarà
lì a momenti.» «Sei sicura sia il migliore?» «É il più conosciuto della città! Pare non sia nemmeno tanto
esos…» Chiudo la chiamata, e sprofondo in una delle poltroncine rasenti il
muro. Devo avere un aspetto orrendo! Sono tutta sudata, fa un caldo bestiale. Tra poco mi sentiranno tutti quanti, dall’amministrazione dell’ospedale
al commissariato di polizia. Sono passati altri dieci minuti. Quando arriva l’avvocato? Alcuni agenti controllano un’infermiera giunta a controllare il
paziente. Mi lanciano un’occhiata come a dimostrare che stanno facendo un
ottimo lavoro. Ho bisogno di un bicchiere d’acqua, devo calmarmi un po’. C’è un
distributore proprio all’inizio del corridoio ed è lì che mi dirigo. Osservo l’acqua gorgogliare nella giara trasparente mentre mi
riempio un bicchiere, non faccio in tempo a portarlo alla bocca che ne rovescio
il contenuto, sorpresa da una manata dietro la schiena. «Ehilà, Bulma, come va?» «Goku, cosa ci fai qui?» noto la mia gonna zuppa d’acqua, e
divento una strega, «Guarda cos’hai combinato!» Sbraito, a denti stretti per
evitare di indispettire il personale di corsia che già una volta mi ha intimato
al silenzio. «E dai Bulma, non ti agitare, eh? Ti vengono più rughe!» «Come sarebbe più rughe? Guarda che ho solo trentaquattro
anni, sono ancora giovanissima! E ho già i nervi a fior di pelle, non mi
serve che ti ci mette anche tu.» Tracanno un altro bicchiere d’acqua, un
profondo respiro; «Piuttosto, cosa ci fai qui? Ti ha mandato Yamcha vero?» «Veramente è stata la tua segretaria a chiamarmi; ero nei paraggi
e così sono arrivato subito!» «La mia segretaria?» Mi sorprendo. «Beh…ma non volevi un avvocato?» Si gratta la zazzera, confuso,
non capendo l’immensità della mia sorpresa. «Tu saresti un avvocato? Credevo non lavorassi!» «In effetti non mi faccio mai pagare, per questo Chichi è così
arrabbiata! Hehe…non mi piace difendere la gente per soldi!» «Ma…ma…» Non riesco a pensare parola che sia una, mentre mi agito
nella confusione. «Allora che c’è da fare?» Domanda lui, sbattendo e strofinandosi
le mani tra di loro. «Ascolta, Goku… l’ultima volta che ho controllato, Chichi ti
faceva le ripetizioni di tutto. Come puoi essere diventato un avvocato?» Mi spiega che lui e Chichi si sono iscritti a legge insieme, ma
che poi rimasta incinta Chichi non si è mai abilitata alla professione forense
per stare accanto al piccolo Gohan. «Poi sai come si dice, un tozzo di pane, un
bicchiere di vino e una laurea in giurisprudenza non si rifiuta a nessuno!
Hehe.» «Goku, smettila di scherzare! Questo non è un gioco!» Inizio a
preoccuparmi davvero tornando in me, mentre penso che dovrò licenziare
quell’incompetente della mia segretaria. Il più conosciuto della città!
Non mi resta difficile da crederlo, visto che probabilmente sarà l’unico
avvocato al mondo a non farsi pagare. «Bulma, tranquilla. So quel che faccio. Certo, da un punto di
vista accademico non sono molto ferrato, ma ti assicuro che con la giuria vado
sempre molto forte!» «Con… con la giuria!» Balbetto, convinta sia tutto un brutto
scherzo. «Certo, si fidano sempre di quello che dico, forse perché sono
molto carino! Vinco quasi sempre, sai?» «Quasi?» «Beh… Certe volte i miei opponenti sono troppo forti, e mi battono
in primo grado. In appello però vinco sempre! Hehe» Tornando serio, poggia le
mani sulle mie spalle. «Fidati. So quel che faccio.» «Sappi che sarà la prima a spaccarti la faccia, se combini un
pasticcio!» Le sue labbra si distendono in un sorriso caloroso. «Coraggio,
raccontami tutto. Ti va?» Riscalda la mia fiducia con la sua espressione speranzosa e mi
arrendo, infine, alla sua presenza. Ci mettiamo in disparte e gli racconto
tutto, come dei miei timori riguardo l’incolumità di Vegeta. «Ho fatto preparare una stanza apposita alla mia equipe. Capirai,
è la Capsule Corporation, settore ingegneria medica, a creare tutti quegli
arnesi a cui l’hanno attaccato.» Lo informo, peccando di superbia. «Sai, ho
davvero un brutto presentimento.» «Dovresti raccontare alla polizia quello che hai visto, in modo da
mettere le autorità in allerta. Poi, Vegeta è un sospettato ma questo non lo
rende già colpevole. Credo che alla luce delle tue ultime rivelazioni,
potrebbero, in via cautelare, accordargli i domiciliari. E chiederemo al
giudice di eleggere casa tua.» «Tutti i miei progetti e ricerche sono lì, è il luogo più sicuro
del mondo, spiega anche questo!» «Ma dimmi, chi è il giudice che si sta occupando delle indagini,
lo sai?» «É stato qui prima, ora è sul luogo del delitto… si chiama… Ru…
Ka…» Faccio uno sforzo di memoria, devo essere davvero molto stanca per non
ricordare un particolare così importante, «Ecco! Rou Dai Kaiohshin!» Esclamo
soddisfatta. «Davvero? Ma ci va di lusso!» «Dici?» «Lo conosco molto bene, so come prenderlo!» Mi strizza un occhio,
mentre tira fuori il cellulare dalla tasca. Si allontana mentre compone qualche
numero.
«Magnifico! Un bel sei in condotta, proprio quello che mi ci voleva!»
Sbotta Chichi, appena uscita dall’ufficio del preside. «Andiamo Chichi, poteva andare peggio! E comunque non è detto che
ce lo mettano sul serio.» Ad esempio, potevamo finire tutti agli arresti
domiciliari penso. «Ci è andata di lusso che il preside sia quel che sia.» «Peggio? Peggio, dici tu! Se a fine anno mi ritrovo con un
sei in condotta posso anche sognarmela la borsa di studio, vuol dire che agli
esami dovrò fare faville! Fortuna che Goku parteciperà a quella gara di nuoto,
deve assolutamente vincere. Mi occuperò io stessa della sua tabella di marcia.» Buttiamo in un cestino tutte le immaginette e bandierine
regalateci dal preside, «Hai ragione ad essere arrabbiata, ma se ci avessero
arrestati tutti, la borsa di studio non l’avresti avuta di sicuro.» Esagero un
po’, siamo state chiamate in causa in quanto responsabili della festa, ma non
siamo state noi a fomentare la rissa, né a cimentarci in traffici illeciti.
Iniziamo a camminare. «Però ho saputo che in carcere sono in molti a laurearsi!»
Controbatte Chichi imperterrita, decisa sulle proprie convinzioni, farcite di
luoghi comuni. «Avresti davvero preferito andare in carcere?» Domando stupita da
una simile presa di considerazioni tanto fallaci, mentre usciamo dalla
segreteria. «Lì avrei almeno avuto molto tempo libero per studiare come si
deve, invece, tra i lavoretti che faccio, le ripetizioni a Goku e adesso lo
studio extra per recuperare quel sei, non credo riuscirò a mantenere la media
del nove-virgola-nove!» Si lamenta, attraversando la luce riflessa dalle
finestre sul pavimento di marmo. «Il carcere! Ma io dicevo per dire, chi vuoi che ci arresti per un
reato che non abbiamo commesso? Al massimo ci avrebbero fatto pagare una
sanzione!» Ribatto saputa, ma nessuno avrebbe mai pagato nulla. Né chi di
dovere si mostrava interessato a farla pagare a qualcuno. «Una sanzione? Oh cielo! E secondo te dove li avrei trovati
i soldi?» «Rilassati, ormai è tutto risolto, non stiamo a ricamarci troppo
sopra!» Svoltiamo l’angolo. «Secondo te Vegeta ne sa qualcosa?» Chiede, poi, ormai siamo
giunte al corridoio dove c’è la nostra classe, nessuno nei paraggi: gli
studenti sono ovviamente tutti a lezione. «Non ne ho idea…» «Ma davvero non ti ha raccontato nulla? Hai visto no, come è
ridotto questa mattina. Eppure non mi pare di averlo visto azzuffarsi.» Infatti, questa mattina si è presentato con un bell’ematoma sullo
zigomo, un occhio bendato di fresco e occhiali diversi. «Lui non mi racconta mai nulla.» Sono costretta ad ammettere. «Non
so come passi le serate.» Taglio corto, ormai davanti alla nostra classe di cui
varco la soglia. Vegeta è alla lavagna a illustrare un’equazione con la facilità
della competenza e la freddezza dell’indifferenza rispetto alla notte scorsa.
Se ripenso a C18 mi vengono i brividi, non per ciò che possa esserle successo
(fosse stato qualcosa di veramente grave, la notizia sarebbe stata su tutti i
giornali) ma perché, quando l’ho vista andare via, ho avuto l’impressione che
fosse Vegeta ad allontanarsi da me per sempre, irrimediabilmente separati da un
varco tra mondi diversi. Ci scambiamo un’occhiata fugace quando gli passo davanti per
raggiungere il mio banco.
«Non è stata affatto una conversazione semplice, Bulma.» Inizia col dire Goku,
di ritorno dalla telefonata al pubblico ministero. «Pare l’esplosione sia
partita dal parcheggio, almeno stando a quanto risulta dagli ultimi
rilevamenti. Ma per via dell’incendio è difficile trovare prove davvero
concrete. Anche contro Vegeta.» «E quindi?» Incalzo, alzandomi dalla
sedia. «Ecco, è venuto fuori che Rou Kai è tuo grandissimo fan e che
sarebbe disposto a dare l’ordine di trasferimento e domiciliari a scopo
cautelare e a chiudere un occhio su alcuni dettagli, se una sera di queste vai
a cena con lui!» Mi sussurra a un orecchio, coprendosi la bocca con una
mano. Un attimo dopo ride imbarazzato. «E visto che sei tu, verrà lui stesso a
raccogliere la tua testimonianza!» Scoppio di felicità, «Ma è grandioso Goku!».
Quando la ricreazione suona, e tutti si apprestano ad uscire per
nutrirsi degli ultimi pettegolezzi riguardo la notte scorsa, Vegeta mi afferra
per un braccio tirandomi dentro la classe ormai vuota. Chiude la porta e ci
troviamo, quando lascia la presa, uno di fronte all’altro, io spalle alle porta. «Cosa avete detto al preside e alla polizia questa mattina?» Ha
finalmente modo di chiedere, per placare l’allarme della vista della polizia a
scuola. «Se proprio vuoi saperlo, con l’elezione del preside a candidato
sindaco, non vogliono interessarsi alla vicenda. Proprio il preside l’ha
definita una ragazzata.» «E basta?» Vuole sincerarsi, mentre annuisco. Mi rivolge allora l’espressione strafottente di chi l’ha fatta
franca, sta per uscire in corridoio ma questa volta sono io a bloccargli il
passo parandogli un braccio davanti. «Di’ un po’, non credi di dovermi
ringraziare? Avrei potuto raccontare molto altro.» Infatti, se avessi
raccontato l’accaduto sotto casa mia, dubito la polizia sarebbe stata così
propensa a prendere sotto gamba quella che, da ogni angolo la si studiasse,
pareva né più né meno che una rissa tra ragazzi fomentati da qualche pasticca. «Tipo che mi hai visto litigare con la mia ragazza?» Domanda,
rivoltando la frittata nel piatto. «Non credo sarebbero mai interessati ad un
scenata di gelosia.» «Davvero, una scenata di gelosia, eh? Non crederai io sia così
stupida. Non state neppure più insieme. Che cosa le hai fatto?» «Io nulla.» «Dove l’hai portata?» Incalzo, impertinente. «Non ti importa sul serio.» Taglia corto. «Invece sì, che mi importa. Mi avete rovinato la serata!»
La mia uscita lo sorprende e parecchio. «E giuro che, la prossima volta che vi
salta di vendere droga durante una delle mie feste, racconto tutto alla polizia
e farò in modo che mi ascoltino!» «Io non ho venduto un bel niente!» Sbotta. «Ma certo, non sei il tipo.» Lo canzono, «Ti limiti a far
picchiare i tuoi amici.» «Non accetto di essere giudicato da una come te, che ha sempre
avuto tutto pronto.» «Ma io non ti giudico, Vegeta.» Gli punto un dito sul petto. «Ti
compatisco! Povero ragazzo orfano, costretto ad una vita grama per pagarsi da
vivere.» Lo prendo in giro con arroganza, dandogli un colpetto sul naso con lo
stesso dito che gli avevo puntato al petto. Serra la mascella nervoso, ma poi il ghigno che segue è sfrontato.
«Allora? Avevo bisogno di soldi. Cell voleva sapere chi vendesse a sua
insaputa. Ha offerto una ricompensa. E io, gliel’ho detto.» «E la ricompensa era farti riempire di botte?» Nella classe dilaga
la mia risata cristallina. «Beh non è stato di parola! E i soldi non me li ha dati.» Si
altera, al ricordo del suo fiasco. «Per colpa dell’idiota del tuo amico, ha
addirittura pensato fossi scappato con C18. Non ha creduto alla mia versione
dei fatti.» Stringe la propria rabbia nei pugni. Resto ad osservarlo in silenzio, ragionando sul suo racconto. «Sei
stato uno sciocco!» Schioccò infine. «Quanti soldi ti aveva offerto?
Evidentemente troppi da poterne fare a meno. E ora ti ritrovi da solo.» Gli sfioro una mano con la mia, «Potevi chiederli a me i soldi.» «Non voglio avere niente a che fare con te all’infuori della
scuola.» Chiarisce, allontanandosi di un passo. «Per quello che mi hai detto ieri? È un mondo troppo da fighi,
e una mocciosa come me potrebbe farsi male?» Chioso la sua stessa frase,
vedendone adesso il senso. Sbagliato, perché Vegeta solleva gli occhi bruni su
di me. «Ho fatto picchiare i miei amici per soldi, davvero mi credi così
altruista da voler proteggere qualcuno che nemmeno conosco?» Bercia. «Stai mentendo!» Ribatto, ferita dalle sue parole. «Il bacio di
ieri. Sì, il bacio di ieri era vero. Volevi baciarmi. Di me t’importa.» La mia arguzia lo diverte. «È vero; mi è piaciuto baciarti.»
Ammette. «Ma questo non significa niente. Ho degli obiettivi. Non voglio
passare la vita a ripagare i debiti di mio padre. Voglio studiare nella
migliore università d’Europa, perché me lo merito. E tu, sei solo una
distrazione che non mi piace abbastanza.» Conclude il discorso così,
lasciandomi irrimediabilmente sola nella classe vuota e piena di sole. Avrei dovuto aspettarmelo. Raggiungo la finestra e guardo il
cortile gremito di studenti. Vegeta ha il potere di rendermi impotente. Come
ieri notte quando in macchina ho dato in escandescenza perché impotente davanti
agli eventi su cui era scivolata via la mia dichiarazione. Spaventata, perché
le sirene battevano sull’ineluttabilità della mia sconfitta. Irrimediabilmente
muta davanti a sentimenti di cui non saprei spiegarne il senso.
Abbandono la finestra e raggiungo i miei amici al solito angolo del cortile, da
cui osserverò Vegeta dire sempre troppo in silenzio.
Continua…
Ringrazio chi ha letto fin qui. Spero, come al solito, che
questo nuovo capitolo vi sia piaciuto e che i personaggi siano ancora
plausibili e realistici. Grazie! Spero abbiate passato una buona Pasqua! :)
Hello
darkness, my old friend
I've come to talk with you again
Because a vision softly creeping
Left its seeds while I was sleeping
And the vision that was planted in my brain
Still remains
Within the sound of silence
(Simon and Garfunkel, The sound of silence-come il resto
delle parole in italico nel testo)
Vegeta è sveglio e ci siamo già detti troppo poco. Era
confuso di trovarsi qui, avrebbe voluto trovarsi altrove; gliel’ho letto negli
occhi. Chissà dove, poi. Fuori piove. Il rumore della pioggia mattutina attutisce i miei
passi, lenti nel corridoio illuminato di grigio temporale. Sta parlando con Goku, adesso. Racconta il suo caso, ma credo sia
ancora poco convinto del suo avvocato. Tra non molto, dovrà ripetere la propria
ricostruzione alla polizia. La mia testimonianza ha fatto luce a diversi aspetti, senza
tuttavia renderli chiari. Ora la polizia sa che lui potrebbe non essere il
colpevole. Almeno non il solo. Dai risultati delle analisi era chiaro che Vegeta
non era in sé, quella notte; il sangue, ribollendogli nelle vene in un misto di
alcool e blutz wave, deve avergli dato alla testa portandolo a
commettere l’omicidio di Mr Dodoria, il cui corpo è stato trovato questa
mattina presto dalla sua donna delle pulizie. Sarà dura scagionarlo da questa
accusa: le sue impronte erano ovunque, nonostante l’arma del delitto non sia
stata trovata. Goku dice che, finché l’arma manca, c’è ancora speranza. Credo però di averla persa da tempo; sono colpevole anch’io, di non
essergli stata accanto e aver lasciato che la sua vita andasse alla deriva
così. Se allora avessi avuto il coraggio di partire con lui…che sciocca! Cosa
avremmo potuto fare, in fondo eravamo solo due ragazzini. Eppure… Non posso assistere alla sua chiacchierata con Goku, né mi è
concesso conoscerne i particolari per via della privacy. Lui comunque saprà la
versione che ho rilasciato al pubblico ministero, utile fino al tempo che
trova: non so chi era quell’uomo introdottosi nell’appartamento di Vegeta, né
il contenuto dei documenti salvati nel laptop o la loro importanza. Mi domando cosa sia accaduto dopo, come sia arrivato alla Freezer
Corp. ridotto in fin di vita… la faccenda è già mediatica. È su tutti i
giornali, in TV. Un attentato a uno degli uomini più ricchi e influenti del
pianeta non è roba da due spiccioli. Vegeta è stato terribilmente avventato, era sotto l’effetto di
quella droga potente, ma comunque avventato. Sono passati ben diciassette anni
dal nostro ultimo anno di scuola. Tanti anni quanti ne avevo io allora. Quasi
una vita. Molto deve essere successo e poco ne saprò.
Diciotto Gero, che io avrei sempre e solo conosciuto sotto lo pseudonimo
di C18 (e, mamma, come una mia amica), è qui in camera mia insieme al
limpido astio dei suoi occhi azzurri. I capelli, tagliati a zero, paiono ancora
più biondi, ancora più sottili, come minuscole lamelle dorate, alla bianca luce
di Marzo che vi si riflette dalla finestra. Un sua visita avrei proprio dovuto aspettarmela. «Allora ti è chiaro?» Ripete, a braccia incrociate. È incredibile
quanto certi suoi atteggiamenti siano così simili a quelli di Vegeta. «Certo, non c’era affatto bisogno di ripeterlo.» «Volevo solo essere sicura che capissi, perché mi pare tu non
abbia capito proprio niente.» Si sofferma ad osservare i miei libri sulla
scrivania; raccoglie il mio diario e lo sfoglia mentre continua a parlare.
«Vegeta mi appartiene. Avevamo dei piani insieme, e tu stai rovinando tutto.» «Beh, dagli ultimi risvolti mi pare che sia stato lui a rovinare tutto,
non io.» Ribatto, seccata, togliendole il diario dalla mani per metterlo in
libreria. «Un gesto estremo per allontanarmi da lui. Tutto qui, ora l’ho
capito.» Controbatte però lei con aria saputa. «Credi forse che, siccome mi ha
fatto tagliare i capelli da qualcuno, dovrei odiarlo a morte? So meglio
di te cosa sta attraversando.» «Allora, se è così, perché hai sentito il bisogno di venirmelo a
raccontare?» Mi sta nascondendo qualcosa. Vero, si sono limitati a tagliarle i
suoi adorati capelli come ammonimento, ma dubito che tra lei e Vegeta la
situazione si sia risolta così splendidamente come vuole indurmi a pensare. «Perché ho bisogno di lui. E giuro che, se per colpa tua dovesse
dimenticarlo, ti renderò la vita insopportabile.» Sento che non c’è nulla di
romantico in quel suo bisogno di stare con Vegeta, ma c’è un sentimento tra
loro che proprio non comprendo. «Dovresti, piuttosto, lasciarlo stare tu.» Suggerisco, ma la mia
provocazione non è raccolta. «Ci vediamo.» Conclude, infatti, in un sorriso lascivo, lasciando
nella camera la scia fresca del suo profumo. La osservo scendere le scale dalla balaustra. «La prossima volta,
chiamami, invece di appestare la mia camera con il tuo profumo da due soldi.» La faccio sorridere, mentre risponde «Consideralo un reminder.» Perché a Vegeta è piaciuta lei? Persino Crilin si è preso una
cotta. Sono simili, C18 e Vegeta. Terribilmente. Forse è per questo che non
riuscirò mai a comprenderlo? Mentre lei pare sicura di sé, nonostante la notte
scorsa, io non sono all’altezza. Potrei sopportare una relazione del genere?
Torno nella mia stanza, e mi lascio cadere sul letto, gettandomi sui miei
dubbi. Cosa mi piace di lui? Non di certo l’aspetto fisico. Altrimenti mi
sarebbe piaciuto dal primo anno. Ha un brutto carattere. È molto intelligente. Troppo avventato. Combina dei pasticci
enormi. È fragile. A suo modo sa essere molto leale. Raccontò subito a C18
della notte passata a casa mia. Ha davvero avuto questo coraggio. Come il
coraggio di architettare la ressa con Cell. Allo scopo estremo di allontanarla
da lui, come vuole allontanare me? Non ci credo. Cos’ha in testa? Vorrei tanto capirlo. Posso davvero essere
innamorata di una persona così, per la quale non sono abbastanza? Detesto C18 e l’odore che ha lasciato qui dentro, lo stesso odore
a cui sarà abituato Vegeta.
Con l’acqua tintinnante ghiaccio che ho in mano, entro in camera da
letto. Sono solo le undici del mattino, un po’ presto per bere alcolici, un po’
presto però anche per pensare. Butto giù una pasticca di sonnifero. Sono giorni
che passo notti insonni! Dopo un ultimo sorso, mi stendo sul letto, rivolta alla pioggia
dietro i vetri. La mia casa è completamente anonima, piena solo di ricordi che
gravitano nella mia testa. Persino la mia pagina Facebook è tra le più
noiose del web. Un giornale l’aveva definita una pagina bunker, in realtà anche
se riuscissero ad aprila, non troverebbero un bel niente. Forse ho preteso troppo da me stessa, attribuendo alla mia
depressione una scelta presa da ragazzina. Il mio analista dice che devo
slegarmi, perché, probabilmente, salire su quel treno potrebbe non essere stata
la scelta giusta comunque. Seguire Vegeta, solo per non sentirmi in colpa, non
mi avrebbe portato ad amarlo. Ho fatto dunque bene a rispettare i miei dubbi e
a non seguirlo. Mi sono sempre aggrappata a questa considerazione ogni volta che
pensavo a lui. Poi il ritrovo della classe ’98, gli avvenimenti di una
settimana fa. Adesso non posso non aiutarlo. Ora che, finalmente ho la
possibilità di mettere a tacere la mia coscienza; aiutarlo adesso per non
averlo aiutato in passato, rimetterà a posto ogni cosa. Tornerò a sorridere e,
come sempre, il mio laboratorio sgombrerà la mia mente. Non oggi, però. Socchiudo la veranda telecomandata, la pioggia veglierà sul mio
sonno, spero ristoratore. Non sono ancora riuscita a scambiare una vera
conversazione con Vegeta da quando, ieri, si è finalmente svegliato. Così stanca!
La pioggia ha smesso. Dalla finestra semiaperta una flebile
brezza porta con sé l’odore della terra bagnata e dell’odore dolciastro di
Bulma, distesa sul letto. È lì da una manciata di minuti e non vuole andarsene. Detesta la
sedia a rotelle sulla quale gli hanno consigliato di stare. L’ha lasciata in
corridoio, ed è entrato con i suoi piedi, per sedere su una poltroncina bianca
all’angolo. È da lì che osserva Bulma dormire, l’ombra di un ricordo lontano.
La aveva lasciata ragazzina, adesso trovava una donna dalle gambe lunghe ancora
belle, dal volto baciato dal tempo ma più affascinante. Com’era diventata non lo sapeva ancora del tutto, di certo
persistente, tempestiva. Se c’era una persona, in tutto il mondo, che avrebbe
potuto incontrarlo per strada, quella non poteva che essere Bulma Brief! Che
ironia. Non era riuscito a sfuggirle, ma, in fondo, nella sua vita era sempre
mancata. Persino adesso. Distante. Fragile. Così aveva raccontato a Goku. Un uomo fragile. Non
glielo aveva mai detto nessuno. Avrebbe potuto agire diversamente, certo; è molto impulsivo. Ma
è anche molto fragile. La giustificazione del suo omicidio efferato, era
stata, secondo l’ingenuità di Bulma, la fragilità di un uomo distrutto. Distrutto. Goku, invece, aveva usato parole diverse. Animo logorato. E
lui avrebbe dovuto descriversi così in tribunale. Non avrebbe mai detto nulla di simile davanti a nessuno. Perché giustificarsi per qualcosa che aveva avuto il piacere di
fare? Uccidere Dodoria. Avrebbe voluto uccidere anche Zarbon, poi Freezer e,
infine, uccidere se stesso. Perché sapeva benissimo che, se il suo piano fosse
andato in porto, lo avrebbe aspettato la sedia elettrica. Tanto valeva
togliersi da sé questa soddisfazione. Bulma lo aveva salvato anche da se stesso. Avrebbe voluto sparire,
passare per morto finché non avrebbe avuto occasione di uccidere chi l’aveva
reso un uomo distrutto. Tuttavia, la spossatezza lo aveva tratto in
fallo ed era svenuto invece per strada. Continuava osservare quel corpo nuovo ma conosciuto; le aveva
rivolto pochissime parole, nemmeno quelle che avrebbe voluto dirle. L’ultima
immagine che aveva di lei, nel passato, apparteneva a un ricordo mai accaduto
veramente. Era Bulma con le trecce dal profumo di fragola, un vestito rosa
estivo, ad aspettarlo alla stazione nel giorno sbagliato. Vegeta era partito il
giorno prima senza dirle nulla; l’unico modo per sfuggire alla dialettica di
una ragazzina impertinente! Non aveva mai più parlato con altri come parlava con lei. Era
facile parlare con lei. Era difficile non parlarle. Era facile sentirsi meglio
e più leggeri. Era amore o solo bisogno? Che ragazzina! Non si era mai sentito attratto da Bulma fisicamente, gli era
sempre parsa troppo infantile, troppo fragile. Lei sì, lo era. Starci insieme gli piaceva, immaginare di portarla a letto proprio
non c’era mai riuscito. Appunto, non gli era mai piaciuta abbastanza. Ricordava il bacio che le aveva dato sulla fronte. Aveva atteso
che nel suo corpo si risvegliasse qualche istinto. Era però rimasto
indifferente. Una ragazzina ridicola, goffa e imbarazzante. Erano stati quelli i
limiti alla sua libidine adolescenziale. Ricordava le sue gote rosse all’altro bacio, ma anche
quella Wendy aveva atteso invano un bacio vero, che sarebbe
rimasto posato all’angolo destro delle sue labbra e mai raccolto. Adesso, era a quel bacio mai raccolto cui pensava Vegeta. A
fatica, si alzò dalla poltrona e raggiunse il ciglio del letto su cui, ignara,
riposava la donna. Non erano labbra di ragazzina quelle, incorniciate da due
leggere rughette verticali. Il bacio, però, era sempre lì. Cosa provava? Si sentiva perso davanti ad una Bulma così sicura di
sé. Perso perché sentiva di esserle sempre appartenuto, in una goffaggine di
sentimenti che, in fondo, aveva avuto anche lui. Tutte le persone incontrate, le donne avute, altre pagate in notti
febbrili di qualche Hotel dell’Havana, le armi che aveva venduto all’est, le torture, gli
uccisi… aveva percorso un cerchio che l’aveva riportato a lei. Era servito solo
a questo, ritrovare proprio colei dalla quale era scappato? Dopo la morte apparente del coma, i suoi occhi azzurri erano stati
la prima cosa a specchiarsi nei suoi. Perché voleva ancora aiutarlo? Sollevò la mano e, con il tocco leggero della punta delle dita, le
sfiorò le belle labbra rosate, come a prendersi un bacio. A rubarle il
bacio che, a lungo, aveva pesato su quella bocca. Uscì dalla stanza,
indisturbato come i migliori ladri. Bulma Brief, dal sonno pesante, non si accorse di nulla. Eppure,
al suo risveglio, si sentì più leggera. Confusa dal sonno di metà giornata senza sogni, ma leggera.
Trovo sia inutile sforzarsi di studiare in una totale
assenza di voglia. La visita di C18 poi mi ha completamente deconcentrata. Non
penso che a lei e a Vegeta. Non è gelosia, è solo una grande confusione su un
tipo di relazione che mi è impossibile capire. Ha allontanato me perché non sono abbastanza; mentre ha
allontanato lei perché la ama? Da come l’ha trattata mi pare difficile crederlo
così innamorato. Più penso a tutto questo, più mi sento una sciocca! La ragazzina
che Vegeta disprezza tanto. Cosa potrei fare per dimostrargli che sono più
matura di quanto pensi? Non ne ho la più pallida idea. Ho solo una gran voglia di vederlo
e potrei dirgli che ha ragione lui, probabilmente non è vero che sono
innamorata. La mia è solo voglia di fargli da crocerossina. Magari, a quel punto sarebbe più libero di trattarmi da amica. Le
amiche sono diverse. Alle amiche si dice tutto. Avrei allora la possibilità di
stragli vicino come vorrei.
«Un gin and tonic; molto gin e poco ghiaccio.» Because a
vision softly creeping, Left its seeds while I was sleeping… Abbasso ulteriormente il
volume dello stereo, lasciando la musica nel sottofondo; poso il telecomando e
verso un bicchiere d’acqua a Vegeta, oltre il bancone dell’angolo bar del mio
salotto. «Solo acqua, niente ghiaccio.» Bercio, mentre lui prende posto su
uno sgabello. Ha lo sguardo stanco cerchiato dalle occhiaie, ma il ghigno, che
mi rivolge prima di un sorso, è sempre il suo. «Devi essere molto stanco, spero
di non averti svegliato.» «Ero stufo di stare a letto.» Mi rassicura, ma so che per lui sono
stati giorni difficili. I dottori l’hanno svegliato dal coma farmacologico solo
da due giorni ed è ancora in terapia. Metto una manciata di ghiaccio in un bicchiere in cui verso della
vodka alla fragola. Sono spiritualmente esausta: avere Vegeta in casa è più
arduo del previsto, con i giornalisti che chiamano ad ogni ora del giorno e la
paura che Freezer possa mandare qualcuno a sbarazzarsi di lui. Sento i suoi occhi neri addosso. Lo guardo anch’io di rimando, da
dietro il bicchiere dal contenuto rosato. No one dared disturb the sound of
silence… Non indossa più gli occhiali, e immagino l’uso dell’apparecchio
gli abbia lasciato un sorriso perfetto che non ha ancora mostrato. È un uomo di
trentacinque anni adesso. Mi chiedo cosa stia pensando di me. Mi spaventa non
avere nulla da dirgli, nonostante abbia molto da chiedergli. Chi siamo? «Ti ricordavo più invadente.» Sentenzia, alla fine del suo
giudizio silenzioso. «Perché non ti ho ancora chiesto cosa nasconde il tuo laptop?»
Domando mentre roteo in mano il bicchiere, facendo tintinnare tra loro i
cubetti di ghiaccio. «Già, non me l’hai chiesto.» Già, non gliel’ho chiesto; alla polizia però l’ha detto e so anche
che non ha voluto cimentarsi in accuse affrettate riguardo l’identità di
quell’uomo. Probabilmente su consiglio di Goku. Un altro sorso. É chiaro che l’imbarazzo di questi anni passati
senza esserci mi blocca e cerco di nasconderlo bevendo con nonchalance. Per la
prima volta che siamo davvero soli, lui ed io, dopo anni di separazione. Ed è
vero, che oltre a vecchi ricordi non abbiamo nulla in comune. La realtà è
sempre diversa da quella immaginata. Non era così che avrebbe dovuto essere la nostra riunione, con
Vegeta dalle braccia incerottate per le flebo dei giorni scorsi e la totale
assenza di argomenti oltre agli orribili avvenimenti che lo vedono coinvolto. «Me lo diresti?» Scuote la testa, rassegnato a se stesso e alla mancanza di parole.
«Allora, cosa te lo chiedo a fare?» Rimbecco, quasi scocciata. Poso il bicchiere, sospiro, e passo una mano sulla fronte. But my words
like silent raindrops fell
And echoed in the wells of silence… Mi segue accompagnando lo sguardo con un movimento della
testa mentre lascio il bancone per sedermi allo sgabello accanto al suo. Bevo
ancora. Avevo pensato a lungo a noi due, e adesso tutto ciò che avrei voluto
dire mi pare stupido ed inadeguato. «Non ti disturba quello che ho fatto?» Interrompe il silenzio,
ancora lui per primo. Poggio il bicchiere. «Non importa.» Persino la polizia ignora la
realtà, molti indizi, nessuna certezza. «Come può non importarti?» Continua, non racconta, però, cos’ha
fatto in modo esplicito. «Quando mi hai trovato non sapevi cosa fosse successo;
adesso lo sai.» «So solo che stanno cercando di incastrarti.» «Quindi credi non sia stato io a far scoppiare l’edificio.»
Arguisce. «E del resto cosa pensi?» Non dice di avere ucciso Dodoria. Non si
fida al punto da farsi giudicare così direttamente. «Penso che non ti fidi di me abbastanza da dirmi cosa hai fatto.» «Non ti conosco.» E l’ineluttabile verità. «Chi mi dice che posso
fidarmi?» «Ti avrei portato qui, se avessi voluto imbrogliarti?» «Mi avresti già chiesto cosa nascondo.» «E ti avrei già ucciso, o denunciato alla polizia; se è questo che
pensi. Ne hai abbastanza da finire sulla sedia elettrica.» «E non mi hai ancora chiesto cosa nascondo.» «Esatto. Come vedi puoi fidarti.» «Magari aspetti che sia io a dirtelo.» «A che pro?» Prende un sorso d’acqua dal suo bicchiere. Il silenzio che torna
fa credere che Vegeta stia davvero pensando ad una risposta. «Non ne ho idea, mi fa male la testa.» Dice, però, infine,
massaggiandosi una tempia. «Perché pensi troppo. È sempre stato il tuo problema, Vegeta.» Non
so bene perché, ma a questa frase sorride. Pizzica via quel mezzo sorriso
sfiorandosi le labbra tra il pollice e l’indice. Continua a guardarmi, come non
mi ha mai guardata prima. And the sign
flashed out its warning
In the words that it was forming. Fa la canzone in background. «Tu dici…» Commenta, prima di alzarsi per tornare in
camera. Evidentemente non riesce a fidarsi di me. «Sai, mi confondi. Non sei il
tipo di donna a cui sono abituato.» Aggiunge, però, una volta in piedi. «A che donne saresti abituato?» Domando strafottente, con un mezzo
risolino, colta alla sprovvista per quella confessione. «A quelle che si pagano.» Chiarisce, prima di uscire di scena.
Alla fine sono andata a studiare al parco centrale. Nelle
giornate di sole è pieno di ragazzi e ragazze che studiano sull’erba; forse
riesco a motivarmi. Sfoglio qualche pagina; con svogliatezza leggo alcune righe. Altre
non le capisco. È letteratura inglese, e ho dimenticato il vocabolario a casa. Segno con una matita le parole che non ricordo, ripromettendomi di
cercarle in seguito. Dopo il primo quarto d’ora, gli altri studenti buttati sull’erba
non mi sono di alcun aiuto e già sono supina sull’erba con il libro sul volto a
mo’ di parasole. Dormo da una mezz’ora, quando qualcuno arriva a disturbarmi nel
sonno. «Si studia è?» Scosto il libro dal volto, il sole negli occhi, «Yamcha, che ci
fai qui?» «Faccio jogging.» Infatti indossa una tuta da corsa. Dalle
spalle scoperte guizzano i muscoli leggermente sudati. «È proprio un bel
pomeriggio, non trovi? Era un peccato starsene a casa con questo bel tempo.
Pensa, c’era anche Arensay fino ad un attimo fa!» «Cosa, e dov’è?» Mi risveglio del tutto, mettendomi a sedere; poso
il libro accanto a me. «Andava da quella parte…» Tentenna confuso, inconsapevole del mio
interesse. «E perché? Correva anche lui?» M’interesso molto della questione,
forse anche troppo da risultare, persino a me stessa, del tutto sconveniente. «N…no… cioè, era vestito normale; l’ho visto solo di sfuggita…
parlava con il fratello di Goku.» Conclude sprezzante. Radish, il fratellodi Goku, non era mai piaciuto a nessuno. Più grande di noi, era sempre
sfuggente; nemmeno Goku non piaceva del tutto. «Oh, strano.» Concludo, affatto imbarazzata dalla mia
sfrontatezza. «Beh perché strano? Credo invece che quei due se la intendano
bene.» «Non sapevo si conoscessero.» Sono un po’ delusa per essermi fatta
sfuggire Vegeta. «Nemmeno io a dire il vero; ma perché t’importa tanto?» Chiede,
circospetto, mettendosi a sedere con me sull’erba. Si asciuga la fronte con
l’avambraccio. «È solo che Radish è un brutto soggetto, non vorrei avere altri
problemi dopo quello che è successo al ballo…» Butto giù, trovandola una scusa
accettabile. «Ah, capisco. Piuttosto, cosa studiavi?» Prende in mano il mio
libro di letteratura inglese, e lo sfoglia anche lui con svogliatezza. «Inglese. Ho l’interrogazione, lunedì.» Una nuvola passeggera ci passa sopra, oscurandoci per alcuni
istanti. Yamcha ed io continuiamo a parlare con facilità, come abbiamo sempre
fatto, per il resto del pomeriggio. Le parole, a noi, non sono mai mancate. È
facile stare con Yamcha, non ci sono enigmi. Il suo tradimento con Marion non
poteva certo dirsi un enigma, a pensarci, è un avvenimento comune a molti
adolescenti. Con Vegeta è diverso, è tutto così complicato, oscuro e le nostre
conversazioni sono frammezzate da pesanti silenzi. Le parole sono poi sempre di
troppo tra noi. Non esiste stabilità tra me e Vegeta. Lui probabilmente l’ha
capito, per questo non mi vuole. Non gli piaccio abbastanza. Nessuno me
l’aveva detto prima d’ora. Piaccio sempre a tutti! Dopo aver salutato Yamcha, mi dirigo pensierosa alla fermata del
tram; ormai si è fatto sera, e l’aria è più fresca. Come nelle migliori (o peggiori) commedie romantiche, nel momento
esatto in cui smetto di pensare a Vegeta, ecco che me lo ritrovo davanti, anche
lui alla fermata. È appoggiato alla pensilina, e sta contando dei soldi. Non si è ancora accorto di me, divisi come siamo da qualche metro
di distanza. Faccio per chiamarlo, ma poi ci ripenso. Approfitto della sua
distrazione e giro sui tacchi con l’intenzione di tornare a casa con un altro
tram. Contava dei soldi. Dove li avrà presi? Al parco dagli altri
ragazzi, da Radish magari. Che si sia messo a vendere roba? Ancora sospetti e
misteri che non sarò mai degna di conoscere. Una volta a casa, continuo a pensare al pomeriggio trascorso. A
C18 piombata in camera mia, a Yamcha sempre sorridente e facile da conquistare,
e a Vegeta, inarrivabile nonostante i miei sforzi. Non sono abituata ai rifiuti. Dopo cena lo chiamo. Chiamo Vegeta. Il quale però non risponde.
Nella mia stanza aleggia ancora, incancellabile, il profumo di C18. Alzo il viso al soffitto per non piangere, attribuisco la mia
fragilità al ciclo imminente. Chiamo Yamcha.
Una volta sola capisco di esserlo stata per troppo tempo.
Lascio sul bancone la mia vodka e lo raggiungo, come ho sempre fatto. Come
avrebbe sempre dovuto essere. «Vegeta!» Rallenta, si ferma. Si volta. È scalzo. Non dovrebbe nemmeno
essere sveglio a quest’ora nelle sue condizioni, né affaticarsi a camminare.
Sorrido delle sue piccole, usuali, ribellioni. Lo raggiungo afferrandogli una mano, nel corridoio buio,
salvandomi da me stessa. Gli sono davanti. Ha le spalle al muro, i nostri volti
sono vicini ma prima ch’io riesca a baciarlo, lui scosta il viso tirandosi
indietro. Si libera anche dalla presa. Il mio sorriso, allora, si spegne, in uno sbuffo che sa di vodka
alla fragola. Il suo, invece, si accende; raccoglie il mio volto tra le mani e,
finalmente, mi bacia. Mi mordicchia il labbro inferiore come fosse fragola, e
beve poi dalla mia bocca come fosse vodka. Ed io mi aggrappo al suo corpo come se stessi annegando, nel
tempestoso mare dei miei ricordi.
Continua…
Ciao a tutti! Spero anche questo capitolo sia stato di
vostro gradimento. Qualcosa inizia davvero a smuoversi tra i due (ed era anche
ora, direte voi!). Fatemi sapere cosa ne pensate, le vostre opinioni, belle o
brutte, sono sempre gradite. Spero non aver fatto troppi errori dovuti alla
stanchezza che, oggi, è davvero tanta.
And
you'll sit beside me,
and we'll look, not at visions, but at realities. (Edith Wharton, The Age of Innocence)
Sullo schermo nero i titoli di coda scorrono via con i miei
pensieri, sulle note di Bernstein. Raccolgo dal tappeto la custodia del VHS de
“L’età dell’innocenza”. Sulla copertina Newland Archer scambia un bacio
appassionato con la contessa Olenska, entrambi al centro. In un angolo, la
dolce May, felice, non vede il marito baciare un’altra. Per l’interrogazione avrei dovuto leggere il libro, in inglese
ovviamente. Un po’ troppo lungo forse. Così, alla fine, in questo sabato sera,
ho invitato Yamcha a vedere con me la trasposizione cinematografica. «Allora ti è piaciuto?» Domanda, stiracchiandosi sul divano. «Non molto.» In realtà è una storia che mi ha coinvolto e ho rivisto la mia in essa. «Beh la solita solfa.» Spengo la televisione. Non credo che il tradimento sia il tema
principale. Dovrei appuntarmelo questo e ricordarlo. «Perché hai voluto che lo vedessi?» Si preoccupa Yamcha in un
secondo momento, giacché noi stessi abbiamo sperimentato lo steso triangolo.
Non voglio essere May! «Tranquillo. È solo che non ho letto il libro, e non mi andava di
vederlo da sola. Tu l’hai fatta l’interrogazione?» Chiedo a bruciapelo, per
cambiare discorso. Non vorrei si facesse strane idee. Mentre io un’idea me la
sono fatta, soprattutto su di lui. In fondo, non era nemmeno con lui che volevo
passare la serata. Restare da sola a casa di sabato sera mi era parso troppo
triste. Tuttavia, ho pensato comunque a Vegeta per tutto il tempo. «Sì, la settima scorsa, quando eri via con Chichi. Ma non è andata un granché bene.» «Cosa ti ha chiesto?» «Non ho scelto quel libro. Ho portato La casa del mirto, dopo aver
letto qualche riassunto da Chichi.» «Capisco. Una bibita ti va?» Aggiungo alla svelta, quando lo vedo
alzarsi e prendere il giubbino. Non voglio vada via; ho ancora voglia di
parlare. Se parlo, non penso a Vegeta. «D’accordo.» Accetta e, contento, si ributta sul divano, mentre io
vado a prendere le bibite e dei biscotti.
Dopo la scuola non ho fatto che leggere libri; ne compravo
a decine e, quando non studiavo, leggevo, per essere come Vegeta. Mi immergevo in altre vite, ne ho conosciute tante, tranne quella
che avrei voluto vivere io, tranne quella che non sono mai riuscita a leggere. The
age of innocence, comprato in inglese, perché volevo posare gli occhi sulle
stesse frasi lette da lui e cercare di capire i suoi pensieri. Non ho mai avuto
il coraggio di leggerlo, ed è ancora intonso, in bella vista nella libreria. Che parte ho avuto nella storia? Quella sbagliata, fino a ieri. Mi sfioro le labbra con la punta delle dita e non nascondo un
sorriso al nostro bacio. Il sapore della sua lingua. Il mio corpo
finalmente stretto in un abbraccio corrisposto. Abbiamo dormito insieme, sono andata via prima che il terapista
arrivasse. Abbiamo solo dormito, non è successo niente, ma forse è successo
tutto. Prendo il libro.
La sveglia segna mezzanotte e quaranta, ma non sono ancora
tanto stanca da dormire; infilo le cuffie del walkman e mi metto ad ascoltare
musica alla finestra. Quando Yamcha è andato via, la malinconia è tornata. Come
può mancarmi qualcosa che non è mai esistito? Una storia tra e me Vegeta esiste
solo nella mia testa, e mi sento come il protagonista del film appena visto.
Avrei dovuto scegliere l’altro libro. «Bulma, tesoro, devi ascoltare la musica a tutto volume?» Mia
madre, in vestaglia, mi pizzica via una cuffia dall’orecchio. Quando mi volto a
guardarla, e per scacciarla dalla mia stanza, mi accorgo che non è sola. Vegeta
è con lei e pare piuttosto scocciato. «Tesoro, non crederai mai a cos’è successo!» Inizia a spiegare mia
mamma, in un tripudio di gioia che infastidisce ancora di più il mio compagno.
«Avevate un appuntamento romantico non è vero? Ma Vegeta ha tirato dei
sassolini alla finestra sbagliata. Quella della nostra stanza, ci crederesti?
Che cosa romantica!» Gongola ancora. «Quando l’ho visto non ho potuto non farlo
entrare in casa!» Ridacchia divertita. «Non è affatto un appuntamento romantico.» Protesta lui, in un
imbarazzo che non riesce a nascondere. «Spero di non aver rovinato l’atmosfera per la serenata che
avrebbe voluto farti.» L’imbarazzo di Vegeta si espande in una chiazza rossa sul viso.
«Non c’era nessuna serenata in programma!» Biascica in una protesta non viene
raccolta. «Bene, vi lascio soli. Ricordati di chiudere il portone quando va
via, tesoro.» Sotto l’uscio si ferma, la bella mano poggiata alla porta, mi fa
l’occhiolino prima di andare. «È incredibile quanto tu più fugga il ridicolo, e più questi ti
piombi addosso!» Lo schernisco, non appena rimasti soli. «Non ho intenzione di dichiararti nulla.» «Allora perché se qui, o mio bel cavaliere, nel cuore della
notte?» Lo sfotto ancora, ridacchiando, mentre tolgo le cuffie e lancio il
walkman sulla scrivania. «Voglio dormire qui.» «Cosa?» «Hai sentito benissimo.» Penso sia un altro dei suoi scherzi crudeli. Dalla balaustra,
scendo a terra, e inizio a circumnavigarlo. Non ha portato nemmeno un cambio.
Ovviamente i miei non dovranno saperlo. «La smetti?» Mi riprende lui, incrociando le braccia e fuggendo lo
sguardo alla direzione opposta alla mia. «E qui che cos’hai?» E gli punto un dito sul collo, da quale sbuca
una chiazza rossa, pare quasi un morso. Un livido in piena regola. Copre il punto con una mano, e si allontana da me. «Allora?» «Allora che?» «Resto?» «Mi pare tu abbia già deciso, Vegeta.» Puntualizzo, mentre lo vedo
sedersi sul ciglio del letto. «C18 è stata qui, oggi pomeriggio, lo sai?» Lo
informo, mi chiedo se il suo profumo si senta ancora. «Sì lo so.» Risponde come fosse un’unica parola. Decido di sedermi con lui; salgo in piedi sul letto e mi risiedo a
gambe incrociate. Vegeta segue i miei movimenti infantili con un certo sdegno. «L’hai vista anche tu, non è così?» Rattristata, torno a puntargli
il dito sul livido che ha sul collo, non pare nemmeno un succhiotto. «Non è come pensi.» Puntualizza, continuando a guardarmi. «Infatti, non so cosa pensare. Mi sei parso piuttosto chiaro
quando mi hai detto di non piacerti; poi fai pace con C18 e poi ancora eccoti
qui, desideroso di voler passare la notte con me.» «Voglio solo dormire.» «E non potevi farlo a casa tua?» «C’è lei a casa mia, adesso.» È un colpo, che mi confonde ulteriormente. «Ma insomma, che
accidenti vuoi, Vegeta?» «Dormire, quante volte vuoi che lo ripeta?» «Dormire qui, dopo aver fatto l’amore con la tua ragazza?» Quest’ulteriore domanda lo stufa parecchio, sbuffa via il nervoso
che si avrebbe nel parlare con un bambino che si ostina a non capire. In
realtà, so bene che non è perché non capisco, ma perché non vuole parlarne. «Se per restare devo dirti che non abbiamo fatto nulla, allora non
abbiamo fatto nulla.» «Non mi pare.» Ritorno sul livido che ha al collo. «Cos’è ha
cercato di strozzarti, forse? Se vuoi che ti ospiti, ti conviene parlare. O
preferisci passare la notte su una panchina del parco?» «Pensavo di piacerti, cos’è, ora non mi vuoi?» «Non con l’odore di un’altra addosso.» Lo faccio ridere, «Sembri una moglie tradita.» «E tu uno stupido. È una scappatoia quella che cerchi. Se vuoi che
ti aiuti a scappare, devi collaborare!» «Vuoi che me ne vada?» Scatta in piedi, decisamente annoiato dalla
mia dialettica. «Se ti dicessi di sì?» «Dimmelo.» Cedo. «Domani mattina dovrai andartene prima che se ne accorgano i
miei. E comunque dormi sul tappeto.» Afferrò un cuscino e glielo tiro addosso. «Sul serio? Hai la possibilità di avermi tutto per te nel tuo
letto, e mi fai dormire per terra!» Controbatte, gettando il cuscino contro la spalliera.
«Dormo a sinistra.» «Come ti pare!» Mi stendo sul letto per prendere il mio pigiama.
«Vorrà dire che dormirò io in un’altra stanza.» Scendo dal letto; con il
pigiama in mano, sulla porta mi fermo e guardando Vegeta gli auguro la buona
notte. «Buonanotte.» Augura lui di rimando, e torna a sedersi sul letto. «Buonanotte.» Ripeto. «Se vuoi andartene vattene, ho sonno.» Me ne vado, affondata dal mio stupido orgoglio. Per tutta la notte non ho chiuso occhi, nella speranza mi
raggiungesse nella stanza accanto. Non l’ha fatto. E la mattina seguente,
quando, finalmente all’alba ho avuto il coraggio di raggiungerlo, lui era già
andato via.
L’insegnate di inglese entra sbuffando. Le hanno appena
detto che l’inglese sarà una materia dell’esame, ci spiega, «E il programma è
lungi dall’essere finito.» Ovviamente, è come se la colpa fosse di noi
studenti. Prende posto dietro la cattedra e inizia a sfogliare il registro, con
l’immancabile matita blu e rossa. Il suo sguardo scorre sui nomi della classe,
sta cercando chi chiamare. «Brief, sei pronta, vero?» «Certo, professoressa.» A dire il vero non ne sono sicura. Non mi
sono mai uccisa di studio, in questo periodo ancora meno. Ieri pomeriggio poi
non ci sono proprio riuscita. Lancio uno sguardo a Vegeta dall’altra parte.
Stamattina mi ha saluto come niente fosse. «Arensay, anche a te manca il voto. Te la senti di venire?»
Azzarda a chiedere la professoressa, mentre io, sbiancata, porto la mia sedia
alla cattedra. Da quando è morto suo padre, non tutti i professori se la
sentono di interrogarlo. «Credo purtroppo sia necessario… ma se per caso non te
la senti…» «Sono pronto.» Asserisce e già sta avvicinandosi alla cattedra, ai
cui estremi ci ritroviamo uno seduto di fronte all’altra, dopo alcuni istanti
di trambusto. «Allora, che libro avete scelto?» «The age of innocence.» Rispondiamo all’unisono. Mi sorprende che
uno come Vegeta abbia scelto proprio questo titolo. «Bene, vi è piaciuto?» È la classica domanda per rompere il
ghiaccio. «Non molto.» «Sì.» Risponde, invece, Vegeta, e lo guardo quasi a bocca aperta.
«L’ho trovato illuminante.» E taglia il mio stupore con uno dei suoi ghigni
affilati. «Ma nessuno dei personaggi mi è piaciuto.» Chiarisce. «E questo che vorrebbe dire?» Lo interrogo io; la prof mi
zittisce sollevando una mano. «Cosa hai capito dei personaggi?» Arensay ci riflette su un attimo, guardando l’insegnante,
risponde: «Secondo la mia opinione, l'Olenska rappresenta tutto ciò che Newland
vorrebbe per uscire da una condizione che non gli piace. Ma allo stesso tempo
si tratta solo si un'idea, ne è consapevole e per questo non vuole lasciarsi
andare. Altrimenti non si darebbe tutti quei segnali per non stare con lei.» «Già è un codardo.» Mi intrometto. Vegeta sta per rinfacciarmelo, ma questa volta è lui che viene
zittito e la professoressa dà a me la parola. «Perché pensi sia un codardo?» «Dicevo... Credo che lui sia un codardo. Sa che è innamorato
dell'Olenska; ma è cosí diversa! Cosí ogni volta mette il loro rapporto... Anzi
no, la loro corrispondenza di amorosi sensi, sì, la loro corrispondenza
spirituale alla prova con stupidi giochetti. Ma la realtà è che perde solo
delle occasioni. Come nell'ultima scena.» «Un’analisi eccezionale!» Sghignazza Arensay, «Sul serio, mi fa
interrompere per sentire questo?» «Arensay, siete in due e devo interrogare entrambi. Quindi,
secondo te, Brief, cosa rappresentano quei segni per la Wharton, sono una
metafora di cosa?» «L’arrendevolezza dell’uomo davanti al destino.» A questa mia uscita, Vegeta borbotta qualcosa che non mi arriva,
ma io continuo. «Tutto questo lo spevanta e ha bisogno di segni che gli
mostrino che sta facendo la cosa giusta. Newland è cresciuto in un mondo in cui
la cosa giusta è molto importante; cosí si affida al caso e lascia a lei,
all’Olenska, la responsabilità di cogliere segnali e giochetti di cui però
ignora l'esistenza. Anche lei ha un'idea di lui. Quindi credo che Newland, già
sposato con un'altra, abbia paura che lei abbia visto ciò che in realtà non
c'è. Alla fine Newland è più ordinario di quel che crede.» La professoressa sta per aprir bocca, ma è preceduta da Vegeta. «E
questo che vorrebbe dire? Non è cosí! Stai sbagliando, Brief!» L’insegnante, esasperata, concede a lui la parola, «Quindi tu cosa
ne pensi, Arensay?» «Ci sono due donne, May e la contessa Olenska. Entrambe hanno
qualcosa che all'altra manca. A lui piacciono entrambi, ma May è troppo simile
e insieme non riusciranno ad evolvere; l'Olenska, invece, rapprensenta ciò che
lui stesso vorrebbe essere e ciò a cui vorrebbe May assomigliasse. La vita che
conduce l'Olenska lo meraviglia, allo stesso tempo però lui sente che, in
fondo, non riuscirebbe mai a farne parte del tutto. Per questo i segnali: i
segnali se li dà per rafforzare la sua idea che è meglio starle alla larga. Non
perché spera lei si avvicini. Chi vuole sul serio, agisce e lui non agisce.» «Quasi quello che ho detto io!» Rimbrotto, saccente. «Ma io l’ho detto meglio.» «May rappresenta ciò che si conosce.» Riprendo la parola, «Non c'è
nulla che soprenda Newland in quella vita e sa come affrontarla, perché ne
conosce i valori. Al contrario l’Olenska non lascia mai trasparire nulla. Forse
sono entrambi due codardi, l’Olenska e Newland; mentre May è l’unica che riesce
ad accettare se stessa e i propri limiti.» Riesco anche ad argomentare meglio
il punto di vista, questa volta. «E quindi tu chi vorresti essere, l’Olenska o May?» Sbeffeggia
Vegeta. «Tu invece?» Una leggera manata sulla cattedra, tintinnante di braccialetti e
anelli, precede la voce della professoressa che ci riporta alla calma. «E della
vita della Wharton che sai dirmi, Arensay?» Inizia a sciorinare tutto il suo sapere, fino a quando la palla
non passa nuovamente a me a cui, però viene chiesto di tradurre delle frasi
alla lavagna, mentre Vegeta è rimandato a posto. L’insegnante prende in mano il libro, lo sfoglia, ed è evidente
voglia farmi tradurre qualcosa da lì. «Questa frase mi pare appropriata al programma di grammatica. Se
hai fatto gli esercizi non avrai problemi a tradurla.» Mi lancia un’occhiatina
sbilenca da dietro gli occhialini argentati; mentre io, in piedi, stringo in
mano il gesso. Sono una sciocca, avrei dovuto studiare di più per oggi. «Allora scrivi, “Non avrebbe potuto scegliere momento più
significante di quello in cui l’attrice cantava: Mi ama, non mi ama, mi ama”»
Con il libro in mano, entro nella stanza di Vegeta che è in
compagnia del suo terapista, il quale sta per andarsene. «Ecco, mi pare non ci siano più grossi rischi. In fondo non è
stato un lungo coma, è la terapia sta dando ottimi frutti.» Rassicura il dottor
Dende, mentre raccoglie le sue cose. È un ottimo dottore, ma non mi piace come
sfugga sempre lo sguardo di Vegeta. Fa il lavoro che deve fare e va via, poco
propenso a passare più tempo del dovuto con un sospettato di omicidio doloso. Scarabocchia qualche fascicolo, prima di apprestarsi ad uscire con
la promessa di restare nei paraggi. «Ma dove l’hai trovato quel moccioso?» Chiede infine Vegeta, una
volta rimasti soli. «È giovane, ma mi fido molto di lui. È il mio medico personale, lo
conosco da tempo ed è una persona fidata. Soprattutto, incorruttibile.» Spiego,
mentre Vegeta si spinge con la sedia a rotelle fino al balcone. Non apre la
finestra, resta seduto in contemplazione del mare. «Quanto dista la città dell’Ovest da qui?» Chiede. Stringo il libro tra le mani, e rispondo: «Tre ore in elicottero.
Siamo al sicuro qui.» «Non verrebbero mai qui, è troppo rischioso.» Arguisce. Aspetto aggiunga altro, ma resto delusa. Resto in piedi dietro di
lui, mentre racconto di aver venduto la vecchia casa a cupola dopo la morte dei
miei. «Troppi ricordi. Però, pensavo sarebbe bello riprenderla…» «Non te l’ho chiesto.» Interrompe lui tranquillo, fa compiere un
giro alla sedia, e adesso è rivolto verso di me. «Che hai lì?» Chiede, piuttosto,
notando il libro che stringo in mano; glielo consegno. «Ricordi?» Lo sfoglia, come a ripescare delle immagini che, mentre nella mia
testa sono limpide e vive, per lui sono sbiadite come quelle pagine
giallognole. «Non l’hai mai letto.» È evidente che non capisce. Gli sfilo via il libro dalle mani e lo
poso sul letto chiudendo in esso il mio ricordo. È lui Newland. Riesco a sorprenderlo quando mi siedo sulle sue ginocchia. «Pensi
reggerà entrambi?» Scherzo. «Non saprei, se magari alleggerissimo il peso…» Mi solleva il
lembo della gonna, sfiorandomi una coscia, ma poi torna a posare la propria
mano al bracciolo. «Come sapevi qual era la mia birra preferita? Al liceo.» «Non lo sapevo.» «Ma una volta mi hai ordinato una birra senza che ti dicessi la
marca!» «Non ricordo, magari ti avevo già visto ordinarla al bancone… che
importanza ha?» Abbasso lo sguardo, le mani in grembo. «Io ricordo tutto di noi.»
Ammetto. «E tu?» Sento la sua mano posarsi sulla mia coscia. «Non mi piace
ricordare quel periodo. Per alcune scelte prese.» Noto che non apostrofa le sue
scelte come “sbagliate”, semplicemente le rimpiange, quasi quanto io rimpiango
le mie. «A te, invece, perché piace ricordalo?» Sorrido. «Non eri così propenso al dialogo, una volta.» «Sono cresciuto anch’io, Bulma.» «E come sei cresciuto, Vegeta?» «Piuttosto male, direi. Allora, perché ti piace ricordare quel
periodo?» «In realtà, non mi è mai piaciuto. Per alcune scelte prese.» Resta in silenzio, mentre la sua mano mi accarezza fino a sotto la
gonna. Non arrossisco quando arriva ad accarezzarmi l’inguine. «Ho bisogno di te.» Dice, prima di ritirare la mano. «Devi farmi
un favore.» Continua secco. «Devi tornare alla Città dell’Ovest per prendere
qualcosa di molto importante.»
Continua…
Ciao a tutti! Spero quest’ultimo aggiornamento vi sia
piaciuto. Cercherò di scrivere gli altri capitoli al più presto, ma tempo che
non ci riuscirò per un po’.
Io muoio, se tu mi tocchi. (Vladimir Nabokov, da Lolita)
«Ho detto “loods”, non “lorz” ma sei cretina?» «Sei tu che non si capisce cosa dici.» Protesto, dopo l’ennesima
fallimentare pronuncia della parola “lords”.
«Perché non presti attenzione. Ripetilo.»
«Lorz.»
«Loods!»
«Lorz.»
«La “erre” non si pronuncia!»
«Ma non la sto pronunciando!» Faccio presente.
«Ci rinuncio, andiamo avanti. A pronuncia fai schifo, ma tanto faranno schifo
pure quelli della commissione d’esame. E queste frasi sono sbagliate. Dobbiamo
iniziare da zero. Ma come hai fatto a passare tutti gli anni?»
Siamo all’ombra di un boschetto nel parco centrale cittadino, seduti sul prato
fresco e in fiore di una primavera alle porte. «Ti pago per insegnarmi, non per
maltrattarmi!»
«E per te qualcuno che ti dice dove sbagli è maltrattamento?»
«Spiegami come correggermi, piuttosto!» Controbatto piccata, strappando dei
fili d’erba e buttandoglieli addosso.
«Non stiamo facendo altro che litigare. Lo sapevo che sarebbe stata una perdita
di tempo.» Risponde Vegeta togliendosi di dosso i ciuffi d’erba, seduto di
fronte a me a gambe incrociate, libro di inglese in grembo.
Mi abbandono con la schiena contro il tronco muschioso della quercia alle mie
spalle, e allungo le gambe. «La perdita è solo mia, visto che ti sto pagando
profumatamente. E faresti meglio a farmi raggiungere dei risultati
soddisfacenti prima degli esami.»
In realtà ho dovuto insistere parecchio affinché mi concedesse un po’ del suo
preziosissimo tempo per aiutarmi con l’inglese, dopo l’ennesima insufficienza
in grammatica di ieri mattina. L’idea è anche quella di aiutarlo
economicamente: meglio guadagni questi soldi, che i proventi dei suoi oscuri
traffici.
«Sei stata tu a volermi pagare.» Controbatte, mellifluo. «Sai, se mi avessi
chiaramente chiesto di uscire, magari ti avrei detto di sì…gratis.»
Insorgo, arrossendo leggermente. «Chissà, magari volevo solo mandarti un
“segno”, invece; magari ti voglio solo come prostituto.» «Quanto sei
rozza!»
Devo vergognarmi se ricorro a tutto pur di passare del tempo con lui? Devo
vergognarmi se mi sono innamorata di lui nel momento più complicato della sua
vita?
Figuriamoci! Se gli avessi semplicemente chiesto di uscire mi avrebbe risposto
di no, dopo avermi preso in giro.
«Comunque ti sei ridotta proprio in basso, scommetto che all’inizio dell’anno
non l’avresti mai creduto possibile: pensarle tutte pur di uscire con me.»
«Perché mi fai pena.» Sorrido con una smorfia, ma la mia risposta sfacciata,
invece di offenderlo, gli piace al punto da dirmi di considerarlo un onore.
«Finalmente lo ammetti. Non è bello essere sulla stessa pagina?»
«Oh anche tu sei a pagina trentasei?» Chiedo aprendo libro di grammatica
inglese, lasciato alla deriva sul prato fino ad un attimo prima. Riprendiamo
gli esercizi.
Convincerlo a venire qui, nella eco dei ragazzi e ragazze che giocano a pallone
o chiacchierano, non è stata affatto una sfida come avrei potuto immaginare:
proprio lui l’ha proposto e mi chiedo come mai.
L’attesa che qualche strano individuo si avvicini per avere qualcosa da Vegeta
mi innervosisce e deconcentra irreparabilmente.
Allo stesso tempo, mi pare di essere stata invitata qui proprio per arrecarmi
questo genere di sensazioni sgradevoli. Ancora una volta sono portata a pensare
che stia facendo di tutto per mostrarmi in che mondo è costretto a vivere,
adesso che manca persino dei soldi per pagare le bollette.
«Finalmente ti ho trovato!» La ruota della sua bicicletta frena a pochi
centimetri dalla mano di Vegeta poggiata sul prato. «É più di mezz’ora che giro
in tondo, perché non sei stato più chiaro?»
Qualcosa di molto importante. Poso le dita sulle
braccia nude di Vegeta, puntellate da piccole ferite di flebo. Seguo quelle
tracce fino al collo, su cui una, violacea, spicca tra tutte. Vorrei passare lì
la mia lingua, e leccare via tutto il marcio della sua vita.
Allontana la mia mano da quel contatto non richiesto, continuando però a
stringerla. «Sei fuori strada se pensi che io sia così debole da drogarmi.»
«Non pensavo a questo.» Nonostante i risultati delle analisi siano stati
piuttosto chiari, sono sicura ci sia una spiegazione razionale. Erano dosi
troppo massicce, somministrate per uccidere, non da somministrarsi per avere la
carica ad uccidere.
«Allora perché mi fissi?»
Coperta dalla grata di sole e ombra delle veneziane alla finestra, mi decido a
rendere note le mie preoccupazioni. «Mi chiedevo cosa possa esserci di così
importante da uccidere un uomo.»
«La libertà, ad esempio.»
Non resisto, calamitata sul suo collo da un’attesa decennale, invogliata dalle
carezze inappagate di ieri notte, lo bacio leccandolo proprio lì dove avrei
voluto, nonostante lui non risponda che affondando il viso tra i miei capelli.
«Lolita, fuoco dei miei lombi!» L’accoglie Vegeta con malcelata ironia, mentre
io m’infiammo di gelosia al pensiero delle immagine rappresentate da quella
semplice frase e dal livido sul collo, opera di lei, non ancora svanito.
C18, bicicletta tra le gambe, lo guarda alzarsi in piedi da dietro un paio di
occhialoni scuri. La mascella serrata le si scioglie in una risposta acida. «La
maglietta che indossi ti si addice proprio, Vegeta, lo sai?» Lo schernisce
riferendosi alla maglia “Unknown Plesure” e a qualcos’altro tra loro di cui
sono all’oscuro.
«Se vuoi te la presto.»
«Smettila di prendermi in giro. Posso sempre andarmene.»
«Sicura che puoi?»
«Allora, avete finito i compiti?» Domanda cambiando discorso dopo averlo
guardato in cagnesco; ha posto un accento particolare sulla parola compiti come
se fosse una bambinata da vergognarsene. «Sono stufa di questo posto.»
«E tu hai finito?»
«Mille questa volta, cinquecento per te. E sappi che mi è costato parecchio
nonostante la sicurezza del parco; spero sia finita. Ma tanto allo schifo mi
sono abituata, altrimenti non verrei con te adesso.» Schiocca infine, con un
immancabile insulto a Vegeta. Detesto come si rivolge a lui e come, insieme, si
parlano senza io capisca nulla.
«Ti piacerebbe se ci verresti sul serio.»
«Sono tutta tua, devi solo prendermi.»
«In realtà non abbiamo ancora finito!» Protesto a quel punto, innervosita dai
loro alterchi maliziosi. Mi metto in piedi anch’io e mi frappongo tra loro in
quel labile raggio di sole che li illumina entrambi. «Non abbiamo ancora finito
noi due, Vegeta.» Ripeto, come se bastasse a convincerlo a restare un po’ di
più.
«Se paghi la differenza, ti faccio un’altra ora.» Dice tutto serio. Ma la
ragazza interrompe per prima la stasi del breve silenzio tra la proposta di
Vegeta e la mia. «Stai diventando peggio del tuo strozzino.»
«Sta zitta. Allora Brief?»
Senza remore per il modo brusco con cui me l’ha chiesto, «Accetto!» E
mercanteggio la mia parte: «Ti pago anche quelli che prenderesti da lei se li
lasci perdere.»
«Che stronzata, non hai tutti questi soldi.» Asserisce C18, lasciandosi
scappare qualche corda di rabbia nella voce tremolante, prima di smorzarla in
una risata nervosa. Con una punta di orgoglio, però, dichiaro di averne
abbastanza nel mio bancomat.
Vegeta non ci riflette che per un attimo e subito ribatte: «Perché non vuoi che
prenda quei soldi?»
«Perché non sono una stupida. E ho capito come li guadagnate qui al parco.»
«Di’ un po’ ma sei qui per studiare o per impicciarti dei nostri affari?»
Domanda ancora C18.
«Entrambe le cose.» Chiarisco finalmente e guardo Vegeta divertirsi alle mie
parole, poi infastidirsi quando viene afferrato dalla ragazza per la maglia.
«Non farlo! Abbiamo un patto noi due.»
«Non intromettermi.» Le dice, stringendole il polso con la mano affinché lasci
la presa; e, con tutto l’astio che riesce a raccogliere, si rivolge a me per
chiarire il mistero: «Nessuno di noi due ha venduto droga al parco. I soldi li
ha appena chiesti al padre.»
«Allora Radish? Vi ho visto insieme l’altra volta.»
«Non devo spiegarti tutto quello che faccio.»
«E lasciami il polso!» Protesta a quel punto lei liberandosi. «Se proprio vuoi
saperlo…»
«Non sei tenuta a dirle nulla.» La blocca Vegeta, per estromettermi nuovamente dai
loro discorsi; ma lei non gli dà retta e con l’intento di mettermi a tacere una
volta per tutte risponde: «Andiamo a vivere insieme. Lui ha bisogno di qualcuno
che l’aiuti con le tasse e io a casa mia non voglio più starci.»
«Se vuoi, però, puoi venirci tu al suo posto!» Mi propone Vegeta, tornando ad
assumere il tono strafottente di sempre.
«Allora, li finiamo questi esercizi?» Metto fine alla discussione, tornando a
sedere contro il tronco. Sono terribilmente invidiosa perché vorrei davvero ma
Vegeta non me l’ha mai proposto sul serio. Allo stesso tempo, mi sento una
stupida egoista, perché non me ne importa di quello che lui sta passando (lo
ammetto!) non tanto quanto la mia voglia di stare con lui. È forse questo che
mi rende una bambina viziata?
«Fate come accidenti vi pare, io voglio andare a casa. Dammi le chiavi.» Ordina
C18 a Vegeta. «C17 sarà già lì che aspetta.»
«Vengo con te.»
«E la nostra lezione?»
«Non sono più dell’umore.» Annuncia Vegeta mentre raccoglie le proprie cose da
terra; non saluta quando va via, né corre per stare al passo della ragazza.
Semplicemente, procedono nella stessa direzione, verso la stessa casa, tuttavia
distanti. Lei in bici, lui a piedi, contro il sole del tramonto frammezzato dai
grattacieli.
Sono troppo orgogliosa per chiedergli di restare. «Bene, andate entrambi a quel
paese!» Gli grido contro.
«E dove te la trovo la libertà?» Le nostre labbra sono
divise da un filo di voce. Sento la sua mano insinuarsi tra i miei capelli; mi
tira leggermente indietro la testa, ma non mi bacia.
«Nella fodera del divano del mio appartamento.» Interrompe in modo brusco il
romanticismo del momento.
«Che?!»
«Nel laptop non c’era nulla di importante; ciò che cercavano è altrove.»
«Goku lo sa?»
«Non dovrai dirgli nulla.» Mi ordina in tono burbero, tanto quanto le sue dita
restano invece morbide tra i miei capelli.
«Allora ti fidi di me ora?»
«E tu invece?» Stringe solo adesso la presa, in una leggera imposizione che mi
costringe a guardarlo negli occhi.
Ci rifletto un attimo e capisco di essere stufa delle mezze parole e dei non
detti. «Cosa ha significato ieri notte per te?» Chiedo infine, ripensando alle
sue mani percorrere il mio corpo, con la stessa estasi febbrile di quelle di un
cieco su un volto conosciuto.
«Invece per te? Sei stata piuttosto veloce a infilarti nel mio letto.»
«Perché tu lo sei stato ad accogliermi.»
«Ti avrei accolta anche meglio se ci fossi riuscito.» È costretto ad ammettere
con una punta di malizia nella voce. Se non fosse stato nelle sue attuali
condizioni, probabilmente, avrebbe scambiato molto più di baci e carezze.
Tuttavia, se così fosse stato, questa mattina non mi sarebbe comunque bastato.
Non mi basta neanche adesso.
«Era qualcosa di molto più di fisico; ammettilo!»
«Altrimenti non andrai a prendere quello che ho chiesto?»
Gli sorrido prima di tornare a sfioragli le labbra con le mie. «Di' che ti sono
mancata, Vegeta, che hai pensato a me in tutti questi anni e, per te, andrò
anche in capo al mondo.»
Accoglie la mia supplica con l’espressione maligna e sicura di chi è consapevole
dei propri mezzi. «Se ci vai, magari lo scopri.»
«Non è che devo avvicinarmi a te solo quando ti pago.»
Rimbecco quasi offesa dal suo atteggiamento scostante. Gli porgo la cuffia blu
di gomma.
L’odore di cloro della piscina è piuttosto denso sotto il tendone surriscaldato
dal sole di mezzogiorno. Un odore che da oggi assocerò per sempre a questa
giornata e a Vegeta, in costume accanto a me mentre sistema la cuffia in testa.
«Attenta a come parli, qualcuno potrebbe fraintendere.»
Siamo divisi da appena un passo, come sempre da quando abbiamo iniziato a
vederci ogni pomeriggio per le ripetizioni di inglese, continuate fino ad oggi
dopo la prima, disastrosa, avuta al parco.
«Io no di certo. So bene cosa vuoi.» Rassicura C18, avvicinandosi a noi. Si sfila
l’accappatoio lasciandolo a terra e, prima di raggiungere la sua corsia di
riscaldamento, si volta verso Vegeta e dice: «Ma non sei in grado, Vegeta.
Spero almeno tu riesca a vincere questa gara.» Le piace torturarlo in quel modo
e lo fa spesso. Ciò che mi sfugge, però, è il significato del suo sguardo
mentre gli parla così. È come se non fossero provocazioni le sue, ma accuse che
suscitano in lui un sentimento di rivalsa. Lo capisco da come le risponde,
dalla rabbia che gli ronza nella voce e nei pugni serrati, per un’ennesima
prova di inadeguatezza.
Scendo a terra dalla finestra appena scassata, stando
attenta a non calpestare i pezzi di vetro sul pavimento. Ho dovuto usare la
scala anti-incendio per raggiungere l’appartamento di Vegeta.
Dalla camera da letto, arrivo al piccolo soggiorno semibuio. Non ho potuto
accendere subito le luci e ho dovuto attendere che lo sguardo si abituasse al
chiaroscuro della luna. È rimasto tutto come la sera del ballo, in ordine
all’apparenza, ma violato da presenze indiscrete. La polvere ha steso il suo
manto sottile e argenteo sopra i pochi mobili e sul divano, ciò per cui sono
qui.
Sfilo il coltello dalla borsetta e con precisione quasi chirurgica, come se
stessi maneggiando uno dei miei prototipi, taglio la fodera del cuscino a
destra. Sotto l’imbottitura, tra le molle, trovo quello che cerco. Questa prima
parte è andata.
«Ehi, Bulma, è vero che quei due stanno ancora insieme?»
Chiede Crilin quando ritorno a sedermi con i miei amici sugli spalti.
«Perché t’interessa?» Rispondo con aria svogliata; continuo a seguirli con lo
sguardo mentre entrano in acqua. Vedo C18 avvicinarsi a Vegeta, appoggiato sul
divisore di plastica. Il cuore mi batte forte, nonostante sappia che nessuno
dei due avrebbe il coraggio di baciarsi in pubblico, ma lei gli sta sussurrando
qualcosa all’orecchio.
«Beh, insomma, C18 è molto carina.»
«Carina, è una gran gnocca!» Controbatte Oscar Olong, con quel suo faccione
porcino. «Insomma, le ha un po’ piccole ma le hai visto il didietro?»
«Oh volete stare un po’ zitti?» Sospiro di sollievo quando Vegeta infila gli
occhialini prima di immergersi in acqua. L’ha ignorata. E spero davvero sia
così.
«Scusa, ho fatto solo una domanda!» Si giustifica Crilin, la fronte imperlata
di sudore per il caldo asfissiante in cui siamo costretti.
«Già, che acida.»
Non ci sono stelle stanotte e il parco centrale è molto più sinistro nei miei
ricordi che oggi a mezzanotte. La luce fioca dei lampioni forma sul selciato
dei coni pieni di moscerini e fa piuttosto fresco nonostante sia Luglio
inoltrato.
Stringo la borsetta quasi timorosa che possa scappare con il suo importante
contenuto; lancio un’occhiata al mio orologio da polso e poi mi guardo intorno
convinta, soprattutto dalla mia paura, di essere stata seguita. Sobbalzo,
quando sento chiamare il mio nome. «Bulma Brief. Non ci vediamo per anni e poi
per ben due volte nello stesso mese!»
«Sei arrivata finalmente!»
«È appena mezzanotte.»
Sempre bellissima, pur senza la freschezza dei diciott’anni, avvolta in un
trench elegante, C18 siede accanto a me. «Allora l’hai portato?»
«Tu l’hai portato?»
Mi mostra una busta bianca ancora sigillata. «L’ho custodita dal giorno in cui
me l’ha data, esattamente come me l’ha data. Era il giorno prima del ritrovo,
sai?» Si concede una pausa, volgendo lo sguardo al viale alberato, in questa
notte scura velata di misteri e di brina. «È strano come, con tutta questa
tecnologia, la carta resti sempre il mezzo più sicuro per custodire dei
segreti. Non trovi?»
«Non ne ho idea.» Sono piuttosto incollerita per questo incontro
con la faccia più odiata della mia adolescenza che, nolente, ho dovuto
accettare di vedere in così fuligginose circostanze.
«Non ti ha detto niente? Tipico!» La sua risata cristallina rischiara il
pessimo ricordo che già serbavo di lei. Mai avrei creduto possibile avrebbe
avuto un ruolo importante anche oggi. Smette di ridere e si scosta una ciocca
bionda dal volto. «Tieni.» Ci scambiamo le due buste. «Spero questa sia
l’ultima copia.» Commenta in un sospiro di vittoria. Si alza in piedi,
avvicinandosi ad un cestino. Dalla tasca, tira fuori un accendino. «Adesso è
davvero finita!» Brucia la busta e la lascia cadere nei rifiuti. La fiamma, tra
le carezze di un fumo azzurrognolo dall’odore plastico, le illumina i
lineamenti del volto in un contorto gioco di luci. Una ciocca ribelle le cade
ancora sul viso, la scosta di nuovo e, dandomi le spalle, va via salutandomi
«Ci si vede!»
Continua...
Ringrazio tutti i lettori, silenziosi e non, di questa
storia per essere giunti fin qui. Spero anche questo aggiornamento vi sia
piaciuto e che i contenuti di questa storia siano abbastanza maturi e originali
da non annoiarvi. Soprattutto, spero si sia capito il senso di questo
capitolo: è sempre difficile descrivere altri personaggi, quando la narrazione
è in prima persona.
Leggerò con piacere ogni recensione che vorrete lasciarmi,
anche le brutte! ;)
Capitolo 28 *** The life I had can make a good man bad ***
turn bad
The life I had can make a good man bad
«Vegeta!»
Non riesco a credere che
l’abbia fatto sul serio. Che razza di stronza si comporterebbe così? È stata
indubbiamente colpa sua se Vegeta ha subito la peggiore delle sconfitte: quella
che sfiora la vittoria per pochi centesimi di secondo. L’ha distratto,
chiamando il suo nome, un istante prima che si tuffasse in acqua ed è andato
tutto perduto: Vegeta ha dovuto recuperare quei pochi secondi, riuscendo a guadagnare
il podio di bronzo ma non la borsa di studio messa in palio dall’organizzazione.
Adesso è furente, lo vedo dalla rigidità dei suoi movimenti mentre esce
dall’acqua che fluidamente gli scorre di dosso.
«Vegeta!», ha urlato. Lui non si è girato, ma si è distratto per
quell’essenziale manciata di tempo da dover recuperare la distanza che è stata
fatale. Distanza che, invece, ha portato Cell alla vittoria.
«Accidenti, non ci voleva proprio!» Lamenta Chichi. «Cinquemila yen avrebbero
fatto davvero comodo…» Lascia la scia delle sue parole ricadere nel
chiacchiericcio circostante, mentre scende i gradoni degli spalti per andare da
un imbarazzatissimo Goku arrivato secondo.
Del canto mio, continuo a seguire con lo sguardo Vegeta dirigersi agli
spogliatoi. Non posso capire come si senta, tuttavia la rabbia che mi monta
dentro ha note diverse dall’empatia, più simile, invece, ad una morsa al cuore,
che dico? È il cancro della gelosia! Perché mi accorgo, adesso, in un lampo di
lucida comprensione, di quanto Vegeta sia succube di C18. Un istante e ha perso
la concentrazione al sentire il suo nome gridato da lei. Da lei che gli ha
morso il collo, da lei che lo tormenta senza motivo, da lei che lui stesso
disprezza!
Che razza di rapporto hanno, cos’è che li unisce in un legame così
totalizzante, così fuori dalle linee che disegnano il carattere di Vegeta? Gli
piace davvero così tanto?
Ed io? Tutto ciò su cui punta la mia di concentrazione è il contorno, piuttosto
del suo stato d’animo a proposito del quale ho poche parole di conforto da
scambiare.
Poi immagino bene lui non vorrebbe vedere nessuno adesso. Eccetto C18, forse?
Dov’è andata?
«Crilin, dov’è C18?» Chiedo al mio amico intento a raccogliere da terra le
cartacce delle brioche mangiate durante la gara.
«Credo negli spogliatoi, indossava ancora il costume, dovrà cambiarsi prima o
poi. L’ho vista parecchio scocciata dall’esito delle gare femminili.»
«Sapessi cosa me ne importa, ben le sta!»
«Allora perché accidenti mi hai chiesto di lei?» Ovviamente perché, immaginando l’avesse seguita come un lupetto in
calore, mi premeva sapere che non fosse sparita insieme a Vegeta. A Crilin
questo non posso dirlo. Ancora, però, se così fosse stato, avrei avuto ben
miseri motivi per andare da lui e scacciare lei.
«Ma fatti gli affaracci tuoi qualche volta, no?» Sbotto, incollerita con la mia
inutilità, piuttosto che con il mio compagno. «Andiamo dagli altri coraggio!»
«Certo che hai proprio uno strano carattere tu…»
«Che cosa?»
«Nulla, nulla.» Biascica sulla difensiva, raggiungendo Chichi che litiga con
Goku.
A seguito delle dovute
lamentele sul chi avrebbe potuto e su chi non avrebbe dovuto vincere, siamo già
fuori verso la macchina, lasciata in parcheggio, per tornarcene tutti a casa.
Chichi è talmente giù di morale che ha anche smesso di accusare (ingiustamente)
Goku del poco impegno secondo lei dimostrato.
Il cielo volge all’imbrunire e c’è un’arietta calda e profumata di fiori che mi
rincuora, per quel poco in cui non noto C18 che ascolta musica a tutto volume
dalla sua vettura. Le gambe, fasciate da collant bianchi, le sbucano dalla
portiera aperta, un piede si agita a ritmo, roteando una ballerina nera sulla
punta delle dita. La odio da morire, starà sicuramente aspettando Vegeta.
Ho tutta intenzione di ignorarla e ficcarmi in macchina, purtroppo per me,
però, Crilin manca cotanta indifferenza e, con un coraggio di cui mai l’avrei
creduto capace, si avvicina a salutarla. Si avvicinano dunque tutti a
salutarla, perché condividono tutti gli stessi placidi sentimenti nei confronti
della povera ragazza maltrattate durante il ballo.
«È andata male anche a te, eh?» Domanda Crilin.
«Sai che me ne importa!» Mi arriva solo la sua voce, giacché mi trattengo in
disparte e la vedo poco bene.
«Non dirmi che non ti interessava il premio?» Chiede Chichi, molto sorpresa.
«Sono venuta perché non avevo nient’altro di meglio da fare.»
È difficile non credere quanto possa essere indisponente. Tuttavia sarà lei a
tornarsene con Vegeta, lo sta addirittura aspettando! Ne capisco sempre meno.
«Perché non andiamo tutti a prenderci un frappè?» Propone Crilin, ma C18
sbiadisce il suo entusiasmo con un colpo. «Sto aspettando… il mio ragazzo.»
L’ha detto, alla fine, l’ha detto: per la prima volta accenna a Vegeta con un
simile appellativo e sono sicura sia stato solo per indispettirmi. Ora,
essendomi avvicinata, riesco anche a vederla meglio seduta sempre sul sedile,
rivolta ai miei amici.
Lui ha sempre negato la loro relazione. Di nuovo, che razza di relazione
sarebbe poi? Soprattutto, perché non è arrabbiato con lei?
Rivolge a tutti un sorriso maligno. «Eccolo, sta arrivando.» Ci dividiamo, nel
tempo in cui l’oggetto del malanimo di Crilin cammina altezzoso fino a C18.
«Togliti quel cazzo sorriso dalla faccia.» Le bercia con tono asciutto,
aprendo la portiera posteriore per ficcarci dentro il borsone. «Insoddisfatto
per l’esito della gara?»
La osserva un attimo, prima di sbatterle in faccia la portiera del suo lato,
talmente forte che avrebbe potuto romperla. Lei allora riapre subito e scende fuori.
«Che ti salta in mente? Potevi prendermi le gambe, deficiente!»
«Falla finita e risali in macchina. Ce ne andiamo.»
«Per niente, stavamo parlando. Il piccoletto qui mi invitava a bere un frappè.»
«Ecco, io veramente dicevo che potevamo andare tutti non solo lei in
particolare!» Si appresta a specificare Crilin, timoroso che Vegeta, già
nervoso, possa avere una reazione di gelosia e spaccargli la faccia. Invece,
non accade nulla di tutto ciò. Arensay, infatti, gli sorride con sarcasmo,
tenendo a fargli i complimenti per l’ottima scelta.
«Comunque, potremmo andare davvero a prenderci un frappè; per calmarci tutti
quanti.» Ripropongo. L’idea di passare ancora del tempo con C18, o anche peggio
con C18 insieme a Vegeta, mi ripugna, però sentivo di dover palesare la mia
presenza, visto e considerato che qualcuno pare non averla affatto notata.
Inoltre non è escluso che a vederli insieme magari ci capisca qualcosa del loro
rapporto.
«Perché ti pare abbia bisogno di calmarmi, Brief?» Stiletta Vegeta verso di me,
restando al centro come un accusato il giorno della sua esecuzione.
«Direi di sì.» Azzardo.
«In fondo, perché dovrei? Ho perso contro questo…» Guarda Goku con disprezzo,
«Demente per colpa di questa cretina qua.»
«L’ho fatto per amore!» Gracchia C18, scoppiando a ridere.
«A chi avresti dato del demente, scusa?» S’intromette invece Chichi.
«All’imbecille che ti porti dietro.»
«Ehi Vegeta, ora non esagerare per favore!» Si difende Goku. «Non è colpa mia
se sei arrivato terzo.»
«Infatti.» E l’ha detto in un modo così brusco da dimostrare il contrario.
«Di certo avresti potuto non distrarti. Chi l’avrebbe mai detto mi avresti dato
tanto credito!» Continua a prenderlo in giro C18.
«Te l’ho già detto che devi stare zitta?» Tuona Vegeta di rimando. «Ringrazia solo
che non hai vinto il primo premio, Kakaroth, o te li avrei fatti ingoiare quei
soldi, uno dopo l’altro.»
Chichi ritorna all’attacco. «Dì un po’, con chi credi di avere a che fare, eh?
Noi ce li saremmo meritati molto più di te.»
In un attimo la discussione si accende, aizzata da toni sempre più bruschi, in
un teatrino che coinvolge anche gli altri presenti nel parcheggio. Continuano
fino a che la risata roca di Cell li interrompe. «Ah ah, state davvero
litigando per i quattro spiccioli del premio? Vegeta, mi deludi. In fondo,
sapevi benissimo che avresti perso. Avresti dovuto immaginarlo.»
All’apparizione funesta C18 smette finalmente di fare l’imbecille per
richiudersi in macchina. Vegeta dal canto suo si irrigidisce, senza tuttavia
perdere la consueta arroganza. «Sappiamo tutti e due che non avresti vinto se
fossi rimasto concentrato!»
«Ma certo, lo so; lungi da me un parere contrario.» Lo schernisce ancora Cell.
«Di fatto, però, ti sei distratto per una bella biondina.» Poi apostrofa Goku.
«Tu invece mi hai sorpreso, sei stato molto veloce.»
«Solo perché io sono stato troppo lento, per cause di forza maggiore.» Risponde
allora Vegeta.
«Ti piace stare sempre al centro dell’attenzione, non è così Vegeta?» Rimbrotta
Chichi, in difesa dei complimenti rivolti al proprio ragazzo.
«Su coraggio, ho avuto solo fortuna!»
«Fortuna, un cazzo. Perché non me l’hai detto che nuotavi?»
«Perché non è vero, ho vinto perché sei partito in ritardo e poi perché, beh,
insomma, sono più alto di te e quindi arrivo prima!»
«Che cosa, che c’entra?»
A questo punto non posso che ridacchiare dell’osservazione, quanto mai giusta,
di Goku, guadagnandomi una tenebrosa occhiataccia da parte di Vegeta.
«Brief, si può sapere che hai da ridere?» Decisamente non è affatto in vena. E
come potrebbe esserlo dopo aver perso cinquemila yen per una sciocchezza?
Maledico il mio solito essere inopportuna.
«Calma, calma ragazzi.» Ci riporta alla pace Cell. «Essere alle cinghia ti
rende proprio nervoso, bello mio. Credimi, non c’è motivo.»
Vegeta borbotta di essersi rotto, deciso a rientrare in macchina e a sfrecciare
via. Cell pare però risoluto a non lasciarlo andare così, non ancora. «Non vuoi
ascoltare la mia idea?»
«Me ne frego.»
«Guarda che è una buona idea.»
«So bene come finiscono le tue idee del cazzo.» È costretto rivangare la rissa
dei giorni scorsi, a seguito della quale si è guadagnato gli spergiuri dei
gemelli Gero e una scarica di mazzate da chi adesso gli parla in maniera tanto
melliflua, da grande amico che non è.
«Questa è una buona, mi è appena venuta.»
«E rificcatela da dove ti è venuta, allora.» Lo minaccia, stringendo un pugno.
«Pensi sempre a menar le mani! Presta attenzione alla mia proposta, invece.
Pensavo che, se siete ancora interessati al premio di oggi, potrei metterlo nuovamente
in palio.»
«Hai una piscina per caso?» Chiede Goku.
«Affatto.»
La risposta soddisfa poco Goku, lasciandolo confuso. «Non capisco.»
«Se siete tutti d’accordo, vorrei invitarvi a un torneo di poker. Questa sera
da me.»
C18 abbassa il finestrino della macchina e si sporge fuori con metà busto. «Io
direi che non siamo d’accordo.»
«Invece sì che lo siamo.»
«Vegeta, l’ultima volta non ti sei fatto molto onore o hai dimenticato com’è
finita? Torniamo a casa.»
«Questa volta sarà diverso.»
Cell scoppia a ridere. «Hai qualche asso nella manica forse?»
A tutto questo assisto basita; stiamo davvero mercanteggiando una partita di
poker con un ragazzo pieno di boria che nel tempo libero vende droga?
«Non mi pare male come idea, è sempre piacevole passare una serata a carte.»
Commenta Goku.
Porto avanti le mie preoccupazioni. «Goku, ma che stai dicendo? Siete tutti
impazziti? Non dovremmo avere niente a fare con questo qui!»
«Questo qui come, bellezza?»
Spunto i gomiti ai fianchi e lo guardo dritto negli occhi. «Mi ricordo bene di
te. Hai rovinato la mia festa di San Valentino con i tuoi traffici. E tu
Chichi, l’hai forse dimenticato?»
«Non l’ho dimenticato; infatti, Goku non andrà da nessuna parte questa sera.»
«Chi se ne frega di lui. Io vengo, invece.»
«Bene, sarà divertente. In quanto a voi, che posso dirvi? Ho molti interessi. E
se cambiate idea siete invitati a far baldoria; ovviamente, più siamo più ci
divertiamo.»
«Dimentica quello che ha detto Vegeta. Noi non veniamo!» Sentenzia C18; non ha
però il coraggio di guardare Cell in faccia, spaventata a morte da quello
presumo sia stato il loro ultimo incontro.
«Parla per te. Ho già detto che vado.»
«Vai?»
«Sì.»
«E vai allora. Vattene proprio a fanculo Vegeta!» Rientra in macchina, passa al
posto di guida e mette in moto. Con una manovra veloce si trova adesso davanti
a noi e dal finestrino domanda a Crilin: «Me lo offri questo frappè o no?» Di
certo non è un’offerta, quanto piuttosto una sfida al proprio ragazzo.
Crilin, invece, resta stordito a metà nello spazio tra i due. Credo di capire
come si senta; vorrebbe andare ma teme la reazione di Vegeta, la quale tuttavia
non si fa attendere; con una manata dà una spinta a Crilin, che incede barcollando verso la macchina
di C18. «Non vorrai mica farla aspettare?»
«Ecco io…»
«Allora ti decidi o no?» Incalza la biondina con aria da rimprovero, la musica
di nuovo a tutto volume, le mani sullo sterzo, la figura confusa di Crilin
specchiata sugli occhiali da sole (che stranamente ha voluto indossare a quest'ora) e, nello sfondo, tutti noi
attoniti.
Il mio amico si passa una mano sulla fronte, lancia un’occhiata a Goku e allora
si decide finalmente a salire in macchina. Sgommano via, presumibilmente
verso il Namecc.
«Tu sì che sai come tenere a bada le donne, Vegeta!» Commenta Cell, ma il suo
sarcasmo viene ignorato.
«Allora per stasera è deciso.»
«Non vedo l’ora! Rinnovo l’invito anche a voi altri, per le nove e mezza. Abito
nei pressi di Ginger Town, numero uno. Una casa grande sul ciglio del bosco.
Portate anche gli amici dei vostri amici.» Detto ciò, nemmeno ci saluta e
prende il tragitto per la sua macchina.
«Sul serio hai intenzione di andare Vegeta?» Chiedo, con una voce che suona
molto più dolce di quanto non avrei voluto.
La sua invece non ammette repliche. «Perché non dovrei?»
Goku gli offre un passaggio fino a casa, che viene rifiutato con molta
arroganza. Alcuni istanti dopo, quando siamo già in macchina per strada,
notiamo Vegeta che chiama un taxi dal marciapiede.
Dal finestrino sul retro, continuo ad osservarlo fino a che non svoltiamo
l’angolo. «Non pensate che dovremmo andare anche noi, stasera?» Propongo,
tornando composta sul sedile posteriore.
«Non lo pensiamo affatto, vero Goku?» È la perentoria risposta di Chichi,
ancora più infastidita adesso che sa che il premio è stato vinto da un
ragazzino viziato, per giunta bocciato, per giunta un teppista, che si gioca i
soldi ad azzardo!
Quando io e Goku restiamo soli però, dopo averla lasciata a casa, ritorno sulla
mia proposta. «Hai mai giocato a poker?»
«Bulma, ma perché insisti così tanto? Credevo non ti piacesse quel Cell!»
«Infatti è così. Però, non vorrei Vegeta si mettesse in qualche guaio! È molto
nervoso in questo periodo, e se dovesse scoppiare un’altra rissa non avrebbe
nessuno dalla sua parte. Ti prego, accompagnami tu questa sera!»
«Ma Bulma non posso, cosa direbbe Chichi se lo scoprisse?»
«E tu non dirglielo, no? Poi scusa, se dovessi vincere tutti quei soldi, non
credi che la faresti davvero contenta? A quel punto, se lo scoprisse, scommetto
che non le importerebbe!»
Villa Gero. Un rigurgito
moderno sulla strada per Ginger Town, numero uno, al ciglio del bosco.
Non sapevo nemmeno che lui e i gemelli fossero in relazione.
Il cancello è già aperto per gli eventuali ospiti. Motorini e macchine
costellano il viale di ciottoli fino all’ingresso. La musica arriva all’esterno
dai finestroni aperti. Una volta dentro, nell’arredamento stile anni settanta
predomina un bianco assoluto con sprazzi di colore delle lampade moderne. Mi
pare di essere finita in un set di Kubrick! Dall’ingresso non è difficile
orientarsi; la casa, dalla forma ovale, non ha porte al piano inferiore e
possiamo facilmente scorgere il grande salone in cui sono stati predisposti dei
tavoli da gioco. I mobili consueti sono stati ammucchiati agli angoli della stanza.
Ci sono davvero molti ragazzi, alcuni de quali ballano o chiacchierano. C’è
persino un cartellone con i nomi dei partecipanti. Cell ha fatto proprio le
cose in grande!
Noto subito che siamo solo giovani, al massimo di diciotto o diciannove anni.
Nessun genitore; una loro vacanza ha probabilmente reso possibile tutto ciò.
Goku fa la mia stessa osservazione. «Ha fatto proprio le cose in grande questo
Cell!»
«Già, lo stavo pensando anch’io!»
«Credi che Vegeta sia già arrivato?»
Mi guardo intorno, senza scorgerlo da nessuna parte. «Non saprei.»
Cammino stando attaccata a Goku. All’apparenza sembra una serata come tante
altre, con ragazzi e ragazze del tutto anonimi. Tuttavia, lo stare a contatto
con Vegeta mi ha mostrato come la società sia invece frastagliata da mille
sfumature. Ho sempre scioccamente creduto che tipi come Cell o, certo, come
Vegeta stesso, fossero facilmente classificabili. Invece, non è così. Il primo,
a vederlo per strada, è una ragazzo di buona famiglia come tanti, annoiato come
tanti, ma la cui personalità va ben oltre la semplice apparenza. Anche Vegeta è
impossibile da decifrare! Ed è forse questo che lo rende tanto affascinante.
«Ehi, io vado a dare un occhiata per vedere se trovo qualcosa da mangiare, ti
va?»
«Non ho molta fame, adesso. Vado a prendere una boccata d’aria, mi trovi in
veranda.» E gli indico il punto della casa verso cui sto per andare con una
spuntata di mento.
Prendo una sigaretta dalla borsa e l’accendo prima di uscire. La veranda è di
legno grigio, e si apre con una fila di gradini verso il bosco. Sbuffo mentre
mi siedo, appoggiandomi alla ringhiera. L’odore dei pini si confonde nella
nicotina e sento il fresco della sera sulle gambe nude.
«Così ci sei anche tu, avrei dovuto immaginarlo. E a chi faresti da balia stasera?»
Domanda Vegeta venendo dal salotto. Dalla mia prospettiva è una figura scura
stagliata contro le luci del patio; si siede accanto a me.
«A te ovviamente. Goku è qui per fare rissa al tuo fianco, nel caso si mettesse
male.»
Ride della mia risposta. «Grazie tante ma non ce ne sarà bisogno.»
Coyness is nice, and
Coyness can stop you
From saying all the things in
Life you'd like to
Faccio un lungo tiro, e
finalmente mi decido a iniziare il discorso che mi preme più di tutti. «Di’ un
po’, ma non ti scoccia che Diciotto sia uscita con Crilin?»
«L’ha fatto solo per indispettirmi. Comunque, per quel che mi riguarda poteva
portarsela pure a quel paese.» Ammette alla fine, massaggiandosi il collo
ancora livido dal suo passaggio sul suo corpo. Non vedo l’ora che quell’odioso
livido si ritiri del tutto. «Scommetto che lo pensi solo perché oggi ti ha
fatto perdere.»
«Uh, quella è stata l’unica cosa con cui ha dimostrato di tenere a me in
qualche modo!»
Resto meravigliata dalle sue parole. «Ma in che senso, scusa?»
«Se te lo spiegassi, non ti piacerei più e non avrei più nessuno a difendermi
stasera.» Ci scherza su, nascondendo le sue vere ragioni.
Ask me, ask me, ask me
Because if it's not Love
Then it's the Bomb, the Bomb, the Bomb,
That will bring us together
«Sul serio, come accidenti
stanno le cose tra di voi?»
Vegeta torna in piedi e con molta insolenza dice: «Stanno iniziando. Mi
raccomando resta nei paraggi, non vorrei qualcuno mi picchiasse quando tu non
sei pronta a difendermi. Poi chissà, in un certo senso potrei preferire te a
lei.»
Nature is a language, can’t
you read?
Nature is a language, can’t you read?
«Allora
Zarbon, ti piace come idea?»
Dalla cornetta si sentì il ronzio di una risata nel silenzio della stanza semi buia. «Ah
ah, amico, la tua ingenuità mi commuove. Secondo te sono così babbeo da darti
retta? Avanti, spara, qual è il tuo vero piano?»
«Scommetto che nemmeno voi volete che la polizia inizi a ficcanasare tra i
vostri affari, o sbaglio? Sarebbe quindi meglio per tutti se, ad esempio, ti venisse
voglia di passeggiare fin qui a prendere l’ultimo contratto. Ve lo cedo, in
cambio di un milione.» Ma sì, che venisse pure a prenderlo, pensò Vegeta.
Poteva anche dire la verità, di certo non avrebbero rischiato di andare fin là
per costringerlo a parlare: la casa di Bulma era piena di telecamere, e
sarebbe stato piuttosto difficile, per Freezer e i suoi scagnozzi, cercare di
spiegare alla giuria il motivo di tanto disturbo. Tuttavia, avrebbero
volentieri messo le loro manacce su quei documenti su invito.
«E chi mi assicura che tu ce l’abbia sul serio e che non sia per uccidermi?» «Nessuno in verità, ma varrebbe la pena correre il rischio, no?» Zarbon
iniziò a pensarci sul serio, scontento com’era della piega che stava prendendo
la situazione: la polizia aveva già iniziato ad indagare sulla Freezer
Corporation, alla luce delle ultime notizie ricevute. L’impero economico, che
lui stesso aveva contribuito a costruire in anni di abnegazione, rischiava ora
di sciogliersi come neve al sole e la sabbia, con cui avrebbero voluto
ricoprire i loro loschi affari, sfuggiva loro di mano nella tempesta sollevata
da Vegeta. «In fondo, non siete meno colpevoli di me. Dico bene…amico?»
Con la mano libera aggiunse altri cubetti di ghiaccio al liquore che stava
bevendo per calmare i nervi. «Occorrerebbe la firma di Bulma Brief per renderlo
legale.» Arguì, senza sapere di aver appena abboccato all’amo. Con quella
frase, infatti, Zarbon aveva implicato l’illegalità della manovra e per giunta
in una conversazione telefonica che, Vegeta ne era sicuro, Freezer avrebbe
potuto usare contro di lui in tribunale.
Adesso, questa possibilità si era esaurita nell’inettitudine del suo
sottoposto: la Ginew avrebbe potuto richiedere i tabulati alla questura, ma
quale idiota avrebbe contato su una conversazione telefonica in cui entrambe le
parti si professavano colpevoli? Di certo non chi avrebbe voluto uscirne pulito
come un lenzuolo fresco di bucato!
Vegeta sorrise malignamente alla prospettiva di poter farla franca, ancora una
volta. «Vedrai, Zarbon, lo troverai già firmato, non c’è nulla che quella
sciocca non farebbe per me.»
Zarbon però non era stupido fino a quel punto, e per un attimo, sì, per un
attimo, lo attraversò l’idea che Vegeta lo stesse fregando. Prima di parlare,
mandò giù un sorso amaro di liquore che sapeva di dubbio. «Quindi tradiresti
così la donna che ti ha salvato la vita?» Trovava sospettoso che Bulma Brief
avesse deciso di accogliere in casa un delinquente come Vegeta, raccattandolo
per strada, e che Vegeta stesso si fosse ribellato proprio quando la Freezer
Corp. puntava di attaccare le finanze della Capsule Corp. La Ginew aveva quindi
investigato sulla relazione che legava i due scoprendo che si conoscevano già
da moltissimi anni. Che poi i due non fossero mai stati visti ufficialmente
insieme non tratteggiava che la discrezione di lui: Vegeta aveva sempre svolto
incarichi molto delicati per Freezer e mantenere un profilo basso era
essenziale; una relazione con una donna ricca e famosa come la Brief avrebbe reso
impossibile agire indisturbato, era dunque stato bravo a nasconderla.
Odiosamente bravo in tutto quello che faceva. «Quindi tradiresti la donna che ti ha salvato la vita?» «Non è colpa mia se ha una cotta per me dai tempi del liceo!» Rise
di gusto alle proprie parole e continuò, dando il colpo di grazia. «La Ginew ha
avuto un po’ troppa fantasia nel ricostruire la mia relazione con la Brief che,
davvero, non ho visto per anni. Inoltre, dimentichi che, se mi trovo qui in
casa sua, è per ordine delle autorità, non perché lo voglia.»
«Un milione hai detto?»
Money,
it's a crime
Share it fairly but don't take a slice of my pie
Money, so they say
Is the root of all evil today
Sospiro di sollievo quando sento la musica provenire dal salotto, in cui c'è
un'unica, piccola lampada accesa sul tavolino da tè. Nel vedere tutte le luci
spente mi ero spaventata. La missione di stasera mi ha resa suscettibile a
tutto. Accendo le luci e porto con me la borsa fino al salotto, in modo da
consegnare subito i documenti a Vegeta. Mi chiedo cosa possa essere di così
importante, cosa possano dimostrare e, ancora una volta, quale sia il ruolo di
Diciotto in questa storia.
Trovo Vegeta in salotto, appoggiato all’impianto stereo dandomi le spalle;
sicuramente si è accorto del mio ritorno, ma ugualmente non fa una piega,
nonostante io sia uscita proprio per una sua importante commissione.
«L’hai preso?» Si degna di chiedere, sempre senza voltarsi, solo una volta che
gli sono accanto. Continua a sbirciare tra i miei vecchi vinili, neanche fosse
in un negozio di musica, mentre le note scemano nel sottofondo. Yeah,
absolutely in the right
I certainly was in the right
«Sì» Rispondo proprio quando la canzone finisce nel
silenzio. È tutto quanto riesco a dire, confusa dalla sua accoglienza. Non che
mi aspettassi chissà quali feste, però, di certo non è l’atteggiamento di chi
ha finalmente ricevuto “qualcosa di molto importante.” Che avesse avuto solo
intenzione di aiutare C18, facendo in modo che fosse lei ad avere quel qualcosa
di importante? A dispetto di ciò, è impossibile che ci sia ancora del tenero
tra i due, sarebbe assurdo ora che lei è felice con Crilin. Lo è davvero,
felice con Crilin?
Si volta verso di me, con in mano un vinile degli Smiths. «Cosa ne ha
fatto della busta?»
Si sta di certo riferendosi a lei. «L’ha bruciata.»
Noto che alla mia risposta le sue labbra si increspano leggermente in un ghigno
che preferisce trattenere. Sistema il vinile nel lettore. Parte un altro pezzo.
«È qui l’altra?» Lascio che mi sfili la borsetta dalla spalla, ma invece di
prenderla la fa cadere in terra, in un tonfo al primo accordo della canzone
scelta. Good
times for a change
see, the luck I've had
can make a good man
turn bad
Le sue intenzioni diventano esplicite appena mi sbottona la gonna che scivola
giù fino alle caviglie. Dimentico i miei interrogativi ad ogni battito
accelerato del mio cuore, quando mi libera anche del top e resto in reggiseno e
slip. «Sarebbe divertente, se adesso me ne andassi via.» Dice con dispetto.
«Sarebbe divertente, se adesso me ne andassi via io, Vegeta.» Rispondo con
orgoglio e, invece di andare via, lo tiro a me dalla maglia, e inizio a
spogliarlo a mia volta.
So please please please
let me, let me, let me
let me get what I want
this time
Mi bacia mentre mi slaccia il reggiseno, mi sciolgo al contatto del mio petto
con la sua pelle. Un bacio tra il collo e la spalla e mi solleva da terra per
portarmi al divano. Una volta nudi, diventiamo un corpo solo entrando in noi
stessi ad ogni colpo di reni. Haven't
had a dream in a long time
see, the life I've had
can make a good man bad
Continua…
Salve a tutti! Ecco l’ultimo
aggiornamento, come sempre, a costo di ripetermi, spero sia stato di vostro
gradimento e grazie per aver seguito sin qui!
Ho letto e riletto ciò che ho scritto, e mi pare (per una volta!) di non aver
lasciato errori di battitura o sviste grammaticali o ripetizioni. Nel caso, ben
vengano eventuali segnalazioni, non mi offenderò di certo; purtroppo non ho più
una beta e quindi mi sfugge sempre qualcosa.
Mi farebbe piacere un vostro commento, bello o brutto che sia, quindi non siate
timidi! ;)
Il prossimo aggiornamento ci sarà (sempre che non cambi idea, il che è
possibile) dopo il 12 giugno, perché mi sto preparando per un concorso e
insomma mi tocca studiare! :D
Ciao ciao!
PS: le canzoni usate in
questo capitolo sono, in ordine: "Ask" degli Smiths;
"Money" dei Pink Floyd; "Please, please, please" degli
Smiths.
Credere è molto monotono, Il dubbio è profondamente appassionante. Oscar Wilde
Reclino la schiena all’orgasmo che trascina il mio ultimo
spasmo, al petto brucia una suzione di fuoco proprio su questo mio cuore
rinvigorito dalla passione di Vegeta. Anche lui arriva al piacere con una
spinta più profonda delle altre e le labbra gli tremano sfiorando la mia pelle
sudata in un ringhio roco e sommesso. Tuttavia, decide di cambiare posizione ed
appaga tutta la sua erezione muovendosi lentamente sopra di me. Mi guarda negli
occhi ed io, incapace di lasciarlo andare, vorrei restare così in eterno, piena
del suo corpo. Gli lecco un orecchio,
succhiandogli il lobo, mentre sento che già mi abbandona. «Tutto qui?» Sussurro umidamente. «Sono ancora così eccitata che…»
Interrompo la frase e lambisco al collo per impedirgli di allontanarsi. «Che…?» Lo cingo in vita con una coscia, su cui lui stringe le dita a
seguito di una carezza. «Che potrei essere costretta a toccarmi da sola.» Segno
una linea sul suo petto scolpito e percorro la via della mia intimità. Capisco
di averlo sorpreso dal sorriso malizioso che mi rivolge. No, Vegeta, non sono
la ragazzina di fragola della tua adolescenza! Trascinato dalla mia
provocazione mi bacia, tracciando le mie labbra con la punta della sua lingua,
per poi mordermi la bocca e ogni mio palpito fino al ventre.
Lo osservo mentre chiacchiera con Goku riguardo la gara di
oggi: non riesce ancora a convincersi della sconfitta e crede ci sia stato
qualche trucco sotto. Tutta la mia concentrazione è sulle sue labbra, che hanno
eroso il tormento dei baci di C18. E chissà se non l’avrà morso quando, preda
delle sue focose spinte, non ha trovato altro che quel punto per soffocare la
sua frenesia. Come potrebbe essere con Vegeta? L’immaginazione, senza alcuna
viva esperienza, non riesce a soddisfarmi, non avendolo comunque mai fatto. «Che guardi?» Arrossisco, quasi timorosa lui possa aver colto i miei pensieri
sconci. «Ehm, hai una macchia sulla maglia.» Biascico da vera cretina. «Di che parli, dove?» Inizia inutilmente a ispezionarsi la
maglietta in realtà intonsa. «Oh beh, magari era solo un pelucco.» Gli spolvero una
spalla, ridacchiando, stizzendolo e mi scaccia la mano per levarsela di dosso.
Accendo un’altra sigaretta, appoggiandomi alla spalliera di una poltrona rossa.
«Uhm, la prossima volta ti faccio andare in giro tutto sporco.» Proferisco,
quasi offesa. «Pensi sempre alle cretinate.» Commenta lui con un cipiglio urtato
e il disgusto per l’odore di fumo che fuoriesce dalla mia bocca. «Ehm, a proposito di cretinate… ecco, credo di aver dimenticato i
soldi a casa!» Annuncia Goku, addentando un panino. Pare il più rilassato di
tutti quanti, completamente dimentico di essere a casa di colui che si sarebbe
rivelato un vero folle. «Bulma, non è che potresti prestarmeli tu?» Felice che l’attenzione si sia spostata altrove, infilo la mano in
borsa alla ricerca del portafogli. «Sei sempre il solito, Goku! Fortuna che ho
portato venti yen. Che dici Vegeta, saranno sufficienti per il primo giro?»
Glieli mostro tra pollice e indice. Li sfila via. «Tranquilli, non servono soldi.» Ammicca un ghigno,
e m’infila la banconota nel bordo del top, per darmi noia con un atteggiamento
da magnaccia. Stringe il petto asciutto nelle braccia incrociate e, crucciato,
si volta verso l’ospite appena entrato. «Allora, amici ed amiche!» Inizia Cell dal centro del salotto a
braccia aperte ad accogliere lo spazio circostante di gente. «Le regole le
conoscete già, ma le ripeterò ugualmente per i nuovi arrivati.» Accarezza i
presenti con lo sguardo, fino a fermarsi su di me e Goku. «Sono molto semplici.
Si puntano gettoni, ogni gettone vale un pugno, per un massimo di venti
ciascuno, che il migliore del tavolo elargirà al perdente, nella misura del
piatto. A tutti gli altri, non resterà che la noia del secondo posto e la
speranza di alleviare il proprio tedio giovanile alla prossima… mano. E mi
raccomando, i gettoni, una volta spesi, non vengono ristorati per cui, cercate
di bluffare con creanza!» «Si puntano pugni?» Domando allora esterrefatta da
quell’iniziativa da scapestrati, a metà da una bambinata e una bravata. «Mi spiace, tesoro, lo strip poker è la prossima settimana.» Scherza
qualcuno tra gli astanti, propizio a coinvolgerli tutti in una risata sguaiata
e sanguinea, fomentata subito da Cell, il “capo banda”. «E in quel caso,
saresti ovviamente invitata!» «E quale accidenti sarebbe il motivo?» Continuo imperterrita, ora
preoccupata per aver coinvolto Goku in questa scemenza, anche perché, se
qualcosa andasse storto, come li spiegheremo, a Chichi, eventuali lividi sul
volto? «Quale sarebbe il motivo, chiedi?» Ripete Cell di rimando, mentre
percorre la distanza che ci separa. «A dire il vero non lo so nemmeno io. Forse
la noia. O, semplicemente, mi piace sentirmi vivo, sentire l’adrenalina
dell’ansia di poter essere colpiti, restare indenne mentre a qualcun altro,
preso dal terrore, viene spaccata la faccia per una semplice casualità. Oh, mi
viene duro solo a pensarci!» Il volto magro gli si apre in un indecente sorriso
da maniaco e mi sfiora una guancia con una delle sua dita lunghe e candide.
«Sarà uno spettacolo questa tua pelle di pesca coperta di sangue!» Scaccio la
carezza sgradita e ricolma di fierezza annuncio che non ho intenzione alcuna di
partecipare. Ma non è con uno dei miei amici che sto parlando! Dall’alto del
suo metro e novanta, Cell carica un imprevedibile schiaffo che, come un’onda
contro uno scoglio, s’infrange repentino sul mio volto e mi appassisco come una
rosa colpita dal temporale. «Ehi!» Lo riprende Goku, parandomi un braccio davanti, gli occhi
di brace promettono una resa repentina dei conti. Ciò che mi brucia più dello
schiaffo è però l’indifferenza di Vegeta, imbronciato per fatti suoi in un
angolo. Cell scoppia a ridere. «Uno spettacolo!» Esclama lascivo, puntando
il mio viso arrosato. «Non vedo l’ora di ricevere i tuoi pugni, campione!» Dice
infine al mio protettore con una pacca sulla spalla. «E adesso, amici cari,
che il divertimento abbia inizio!» Strepita in un gorgheggio di tronfio. «Gli
spettatori sono pregati di divertirsi, ubriacarsi, farsi e, perché no,
scommettere su chi arriverà intonso alla fine, guadagnandosi il premio di 5000
yen!» Un latrato di euforia esplode dalle bocche di tutti, che
applaudono estasiati al padrone di casa. Il quale pieno di sé raggiunge il suo
trono: una poltrona al capo della tavola al centro della sala. Penso ad Irvine
Welsh,e ai suoi personaggi devoti ad overdose di droga e di gente;
ripenso a C18 e al suo orgoglio frustrato dal terrore di questo psicopatico di
nome Cell.
Ripercorro a ritroso il tragitto, salato di sudore, dal suo
ventre alla sua bocca, che torno a baciare come distillasse piacere eterno. Gli
stringo le cosce alla vita, mentre mi rizzo seduta in ginocchio su di lui,
disteso sul tappeto. «Lo desideravo da una vita!» Ammetto. Lui fraintende le mie parole
e mi guarda con un sopracciglio alzato dalla confusione. Gli do un colpetto
sulla pancia. «Scemo, intendevo fare l’amore con te.» Si solleva a mezzo busto, le sue braccia restano però puntate a
terra, invece di abbracciarmi. «Immaginavo.» Lancia un’occhiata al mio orologio
da polso. «È da un bel po’ che lo dimostri.» Il suo sguardo resta sospeso, pensieroso, su quel contatore del tempo
per un breve istante. «E il rodaggio con chi l’hai fatto, con quell’idiota di
Yamcha?» Presumo la sua volgarità venga a mascherare ricordi spiacevoli di
un tempo, focalizzandoli sull’unico appiglio che potrebbe farmi cedere in
questo momento. «Tu non hai mai voluto.» Stiletto in risposta, e mi chino a
baciarlo di nuovo, ma questa volta le sua labbra mi vengono negate per
provocazione. «Perché volevo un’altra.» Ribatte sogghignando maligno al colpo
inferto, ma lenisce, a suo modo, la ferita premendo le labbra sul mio seno. Intreccio le dita ai suoi capelli e dolcemente lo allontano. «Che
comunque non hai mai avuto.» Pronuncio, senza punto di domanda, colpita
da questo suo voler invitare amori passati ad assistere alla nostra prima volta
insieme. «O sbaglio?» Aggiungo, guardandolo negli occhi, nella speranza riveli
qualcosa di più su di lei, soprattutto riguardo l’incontro di questa sera. Prende il tempo di una manciata di secondi. Poi scoppia a ridere.
«Vuoi forse sedurmi allo scopo di farmi parlare? E com’era stasera, sempre
bella come allora?» «Ed io, come sono stasera, sempre bella come allora?» Non gli do
la soddisfazione di ingelosirmi con un’osservazione sciocca. Ho capito non ha
intenzione di spiegarmi nulla, magari non ancora, degli ultimi eventi (altrimenti,
non avrebbe usato tante parafrasi inutili solo per agitarmi). Gli dimostro così
di stare ai suoi tempi. «Non mi fai più pensare a fragole e zucchero.» «E a cosa ti faccio pensare adesso, Vegeta?» La risposta è ritrovarmelo di nuovo sopra, mentre mi costringe a
sdraiarmi sul tappeto.
«Sei un folle, Vegeta! Cosa ti fa pensare di arrivare
intonso alla fine?» Si è già beccato un paio di pugni da un certo Bojack, alla
fine del primo giro. Solleva la testa e sputa nel lavandino un grumo di sangue misto ad
acqua. «La voglia di spaccargli la faccia.» Beve un altro sorso. «Beh, per quello potevi andare in un parcheggio, o in un vicolo;
non c’era bisogno di questa farsa se volevi regolare i conti con lui.» Torna ad appoggiarsi al lavandino e, guardandosi allo specchio, si
ispeziona l’interno della guancia perché i colpi presi gli hanno cozzato contro
l’apparecchio, ferendolo in bocca. «Come l’ultima volta? Poi così è più
divertente.» «Allora, cosa state combinando lì dentro?» «Vi decidete ad uscire?» «E un attimo!» Sbraito a chi
aspetta il proprio turno per il bagno, in cui mi sono rinchiusa seguendo
Vegeta. Vorrei tanto riuscire a dissuaderlo, ma un muro sarebbe più facilmente
removibile. «Chiamiamo Goku e andiamocene via, dai. Magari prendi a pugni Cell
un’altra volta. Lo segui finché non siete soli e…» «Dimentichi i soldi in palio. Ma credi che si porti cinquemila yen
sempre dietro? A proposito, reggimi questi!» Mi molla i suoi occhiali e dopo
sblocca la porta per uscire. «Finalmente!»
Siamo nella penombra lasciata dall’unica lampada accesa sul
tavolino poco distante, la luce fioca quasi non arriva ad abbracciare i nostri
corpi nudi e accaldati, sferzati dalla brezza proveniente dalla finestra
aperta. Sono grata di avere questo genere di privacy da quando, considerato il
miglioramento delle condizioni di Vegeta, ho deciso di far stare l’equipe
medica nelle dependance: vicina quanto basta in caso di emergenza; remote
abbastanza da lasciarci soli così. È un momento perfetto che il sale del
passato non può più inaridire. Ad una spinta si blocca, mi pesa sopra reggendosi con le braccia
ai lati della mia testa. Svetta il viso tagliente alla finestra. «É un delitto
perfetto.» «Oh sì, un delitto.» Mormoro, credendo di capire, persa nel suo
ritmo lento che ha ripreso un movimento deciso. «Andrà su tutte le furie quando capirà che non c’è alcun
contratto, colto il senso del suo invito, diventerà nervoso e, probabilmente,
cercherà di attaccarmi.» «Di che stai parlando?» Gli impongo, confusa, le braccia al petto. «Di che sto parlando.» Ripete, piegandosi in un sussurro contro il
mio orecchio; la sua voce, suadente, è interrotta dal respiro che insegue il
suo turgido ardore. «Sto parlando di come tra poco Zarbon si pentirà di aver
creduto alle mie parole e furioso cercherà di attaccarmi. Allora io lo ucciderò
e sembrerà per legittima difesa, perché le telecamere non riprenderanno che un
tale, intrufolatosi qui di soppiatto, mentre ti sto dando un orgasmo!»
Quattro carte sono sul tavolo; una regina di cuori, un dieci di picche,
un re di quadri, un asso. Ne manca una per fare scala, chi l’avrà tra i due?
Cell forse, o magari l’altro ragazzo? Il primo conta i gettoni sul piatto, ne
sono nove. «Nove gettoni, nove pugni. Hai puntato forte, Gravy.» Li lascia
ricadere sul tessuto verde senza rumore, solo Gravy li sente rimbombare nella
sua testa. Una goccia di sudore gli scivola dalla fronte, si ferma sul
sopracciglio, increspa un occhio. Deglutisce. Non la migliore delle poker
face. «Chissà cosa nascondi sotto quella bella carta, ragazzo.» Commenta
Cell, pizzicando la sua ancora nascosta. «Un bluff o magari un bel
jack?» Gli sorride con una fila di denti bianchissimi, gli occhi rosso Tiziano
brillano di follia. Gli altri del tavolo assistono impassibili, chi ha rinunciato a
questa mano è contento di averlo fatto. Non Gravy. Il quale, sicuro di poter
spaventare i giocatori con una strategia da quattro soldi, ha preferito giocare
fino alla fine senza fare i conti con la pazzia di Cell. A lui non importa chi vinca o chi perda e l’ho visto incassare
pugni come un fantoccio di gomma, inebriato dal dolore e dal sapore del suo
stesso sangue. No, lui è qui per l’espressione terrorizzata e attonita di chi
attende, e spera, che i pugni non facciano poi tanto male. È quell’espressione
terrorizzata la vittoria di Cell. «Sai, potrei non avere nulla anch’io e
risolverci entrambi in un sospiro di sollievo.» Guarda ancora i gettoni, ne prende uno dei suoi in mano e inizia a
giocherellarci. «Io ne ho ancora tre, tu quanti ne hai lì?» Si spalma sul
tavolo e inizia a contarli ad alta voce. «Uno, due, tre, quattro… quattro! Che
ne dici, ne buttiamo giù tutto ciò che ci resta? Pensaci un po’, ben sedici
pugni, e me li daresti tutti qui!» Si indica il naso. «Ci stai?» Lo schernisce,
e questi farfuglia qualcosa vicino ad un assenso, più per non rischiare di
incattivire Cell che per vera voglia di prenderlo sul serio a pugni. Sedici gettoni di paura al centro del tavolo. «Bene, mostraci pure le tua carta, caro Gravy.» Il ragazzo, foglia al vento, volta la sua carta con mani umidicce.
«Un otto di fiori.» Biascica a gola secca. «Che peccato. Sembra tu abbia perso irrimediabilmente.» Cell si
ritira al suo posto, come un insetto che scappa nella sua tana terrosa. «Ma non
è ancora detto, potrei aver fatto cilecca anch’io.» Immagino sia tutta scena, sono sicura abbia un bel punto: sta solo
tirando la corda. Pizzica ancora la propria carta coperta. «Sedici pugni, però!
Credo di averne dati così tanti solo a Vegeta.» Si levano alcune timide risa nella
tensione della stanza. «Se vincessi, ti spaccherei proprio il naso come si
deve.» Allunga un braccio in aria, a mimare un colpo deciso che resta sospeso
in aria. «Tuttavia… se non avessi almeno un jack, con le carte che mi restano
non farei alcun punto. Proprio come te.» Gravy deglutisce, strizzando le mani
sui bordi del tavolo verde. Non avrebbe dovuto bluffare. «Tuttavia… con questo sette non penso di farci nulla! Ho perso.»
Annuncia e se l’altro esala la propria speranza esaudita quasi in uno svenimento,
lui libera i polmoni con una grassa risata. In fondo, ha già vinto. «Maledizione, adesso Cell è fuori dal gioco!» Commenta sottovoce
Vegeta con rammarico. «E allora? Non sei contento?» Gli rispondo, essendo riuscita a
sentirlo perché gli sono vicina. Al pari di Gravy sono felice Cell sia
finalmente fuori tiro, possiamo rilassarci tutti; anche i giocatori, scommetto
che da adesso in poi si daranno solo qualche pacca simbolica, concentrandosi
più sul premio finale, ora che il folle ha finito con i suoi giochetti pazzoidi. «In effetti non è molto corretto!» Esclama Goku a sorpresa. «Che?!» «Beh, voglio dire, è il padrone di casa e ci ha invitati tutti qui
a giocare; non credi sarebbe poco giusto se adesso restasse a guardare mentre
noi ci divertiamo?» «Divertirci?» Quasi mi cedono le ginocchia dallo sgomento. «Ti
stavi divertendo un attimo fa?» «Andiamo Bulma, non esageriamo. Cell sapeva di avere brutte carte,
era solo scena. Poi nessuno di noi si sta facendo male sul serio, a parte
qualche livido. Cell stesso si è sempre controllato nel dare pugni.» «E lo schiaffo che mi ha tirato prima?» «In quell’occasione ti ho difeso; è stato piuttosto maleducato da
parte sua, ma immagino sia un po’ toccato!» Sussurra l’ultimo pezzo.
«Durante il gioco però ha rispettato tutte le regole.» «Infatti, dagli qualcuno dei tuoi gettoni allora, Kakaroth, mi
pare tu ne abbia abbastanza da dividere.» Ne approfitta Vegeta, voglioso di
veder Cell ancora in partita. Pare sia più interessato a prendere a pugni
quest’ultimo, piuttosto che al premio in denaro. «Ehi, Vegeta, hai proprio ragione, farò così!» «Siete impazziti, forse?» Sibilo, inascoltata. «Cell!» Goku gli va vicino, pronto a dividere i suoi dieci gettoni
per l’ultima partita. «Visto che sei il padrone di casa, noi si pensava che non
sarebbe giusto se adesso non giocassi più. Che ne dici di accettare questi
cinque gettoni e tornare in partita?» Allunghiamo tutti la mascella sorpresi. Anche l’interessato resta
sbalordito dalla proposta; così gli altri, calamitati da questa nuova pazzia,
staranno sicuramente chiedendosi se, per caso, Goku non abbia preso troppi
colpi. «Vuoi che continui a giocare, Goku? La tua è un’offerta molto generosa,
ne sei sicuro? Resteresti con pochi gettoni.» «Io dico che cinque ciascuno bastano per entrambi. Dopotutto, è
l’ultima partita.» «Avanti Cell, accetta e riprendiamo a giocare!» Lo esorta Vegeta,
cavalcando l’onda dell’ingenua generosità di Goku.
Sono nuda, vulnerabile, e tremo di paura quando cerco di
recuperare il cellulare dalla borsa. Quando ci riesco, le dita sudate scivolano
sullo schermo liscio, vetroso, che brilla nel buio dandomi un aspetto da
fantasma. Non mi accorgo che Vegeta ha già ucciso Zarbon, conficcandogli in
gola un coccio appuntito della lampada rotta. «Stai chiamando la polizia?» La sua domanda mi sorprende e il
cellulare mi scivola a terra. Vegeta mi viene vicino, ha il fiatone ed è
provato dallo scontro, puzza di sangue. Mi passa un braccio in gola, per
immobilizzarmi. Sento la sua pelle sudata contro la mia, mentre mi costringe a
sedergli in grembo, in ginocchio. «Hai paura di me, adesso?» Chiede. Il cuore batte forte ad
entrambi. Ho la gola troppo secca per parlare. Rispondo di no con la testa, ma
sono terrorizzata e scossa. «Mi spiace, ma avevo una voglia matta di vederlo soffrire e, non
potendo andare da lui, ho fatto in modo che fosse lui a venire da me. Gli ho
detto che avresti firmato un contratto di collaborazione a cui la Freezer Corp
aspirava da tempo. È bastato poco per convincerlo; scommetto che non vedeva l’ora
di tornare nelle grazie di Freezer, dopo aver fallito a rubare il mio computer,
vuoto. Se te l’avessi spiegato prima, non me l’avresti lasciare fare.» «Mi hai usata.» Suona fiacca persino come esclamazione; più di
tutto mi brucia che le strade percorribili, abbia scelto proprio di usarmi. «Diciamo piuttosto che ho approfittato della situazione. Il guaio
è che ci si fida sempre troppo delle persone sbagliate.» Si stringe a me
annusandomi tra il collo e la spalla. «Sei stata proprio una bella scopata.
Peccato non essermela goduta fino in fondo.» «Avrei dovuto tirartelo a morsi!». Ne ride. Con l’altra mano
raccoglie il telefono e compone lui stesso il 911. Uno squillo nel buio e il
centralino risponde; dopo aver ricevuto le coordinate e una richiesta d’aiuto,
torna il silenzio. Lascia cadere il cellulare; mi accarezza dalla coscia al
seno, scioglie l’abbraccio. Recupera i pantaloni cercandoli tra vestiti sparsi e banconote.
L’elicottero di Zarbon è in giardino, pronto per la fuga; ma Vegeta non scappa,
né raccoglie i soldi. Prende piuttosto la mia borsa; torna a sedersi sul
tappeto. Cava dalla borsa la busta che io stessa gli ho procurato, finalmente
la apre senza che al buio si capisca lo strano contenuto. Mi ritrovo in mano
una tesserina molto sottile, mentre lui si stende sul tappeto. «Cos’è?» «Un codice crittografato. Mi pare di averlo detto, che sono
abituato alle donne che si pagano.» Le sirene della polizia arrivano in quel momento a circondare la
casa. «Sai, le tue tette mi mancheranno davvero tanto in prigione!»
Non piango quando la polizia lo porta via, ma dentro mi
urla la confusione. Ho davvero creduto di vedere il dolore dissiparsi dal suo
sguardo, quand’era immerso nel mio corpo innamorato? Ha davvero tremato di piacere senza paura di guardarmi negli
occhi, mostrandomi se stesso nell’agonia del nostro fare l’amore? Si sarà accorto del mio ventre sciogliersi per la prima volta
nella metafisica dei nostri spasmi, come non esistesse altro che noi due? Ho
pensato di non essere stati creati che per accoglierci. Era tutto finto? Obbligato a stare a casa mia ha tratto vantaggio dalla situazione,
perché credo abbia infine capito che sono l’unica che lotterebbe per salvarlo;
mi ha dunque indotto ad amarlo solo per essere tratto in salvo? «A cosa pensi?» Chiede Goku; il corpo martoriato di Zarbon ci
passa davanti su una barella coperto da un lenzuolo bianco. «Che è stato Vegeta ha chiamare la polizia. Avrebbe potuto
scappare e non l’ha fatto.» «Non credo sia stato quello il suo intento fin dall’inizio.» Forse ha voluto proteggermi, penso. «Non credo gli sia mai
piaciuto stare qui da me.» «Magari ha voluto proteggerti.» «No. Ha voluto proteggere se stesso.»
Continua…
Non so cosa mi sia venuto in mente! xD Ho seguito la scia
dell’ispirazione e spero di non essere uscita fuori rating. Mi auguro anche
quest’aggiornamento (che non avrebbe dovuto esserci, ma mi sono presa una pausa
dallo studio) vi sia piaciuto. So bene che molte cose restano ancora nebulose,
ma verranno chiarite in seguito, anche durante il processo.
Potete
svolazzare avanti e indietro tra queste percezioni e provare una specie di
vertigine mentale. E se è così, siete nel territorio della pazzia: un luogo dove
le false impressioni hanno tutte le caratteristiche della realtà.
(Susanna Kaysen, da "Girl, interrupted")
«Adesso!?» Vegeta aspetta la
risposta cercando di ignorare il rumore dall’altra stanza, in cui sono tutti in
attesa del suo ritorno. Ha infatti abbandonato il tavolo da gioco per prendere
una chiamata “che pare importante”, come gli ha riferito il ragazzo che
gliel’ha passata, da parte di Diciotto.
Sbuffa sommessamente e poi richiude senza salutare. «Cos’è successo?» Chiedo,
preoccupata, restando sotto l’uscio, indecisa se andargli vicino o lasciare
almeno questa distanza tra noi senza essere ulteriormente invadente.
Ha ancora la mano sulla cornetta e solleva solo lo sguardo, incupito, su di me.
Dice: «Nulla che debba interessarti.» Poi Si allontana da quell’angolo della
stanza e, prima di uscire, aggiunge che devo continuare la partita per
lui.
Scorro gli occhi dal suo labbro rotto alla macchina di sangue sul colletto
della maglia. «Sei impazzito forse? Non ho intenzione di distruggermi la faccia!»
«Non accadrà, ho una buona mano e sicuramente vinco.»
«Sicuramente in base a cosa, scusa?»
«È l’unico modo che hai per aiutarmi, altrimenti vai pure al diavolo, non ho
tempo di preoccuparmi anche delle tue paturnie.» Sbotta e mi scansa per
passare. Ignora i richiami di Cell e, senza salutare nessuno esce in giardino
dove ha lasciato la macchina. Faccio appena in tempo ad andargli dietro per
vederlo partire.
Eravamo
lì a mangiare la nostra pizza, quando è arrivata una chiamata e, naturalmente,
Diciotto si è alzata per rispondere. Avreste dovuto vedere come cambiava la sua
espressione mentre le parlavano; alla fine era terrorizzata, poverina!
Irriconoscibile. Ha subito chiamato Vegeta, giuro che le tremava la voce, e beh…
insomma, io non ne sapevo nulla ma a quanto pare Vegeta ha un fratello più
piccolo che non sta molto bene. È ricoverato alla Saint Orange, capite che vuol
dire? Ieri notte gli infermieri si sono confusi e non gli hanno somministrato
la solita dose di calmanti, così a un certo punto ha iniziato a dare di matto!
Sì, scusate il termine, ma è proprio così che è andata. Si è barricato in
camera, bloccando la porta con il letto, e urlava come un ossesso, non
riconosceva nemmeno il posto; minacciava di uccidersi se non fosse arrivato il
fratello, il quale non si è degnato di arrivare nonostante lo avessimo
avvertito. Lo so perché ero lì con Diciotto, e per fortuna aggiungerei!
Altrimenti quel poverino non avrebbe avuto nessuno a vegliare su di lui. Alla fine hanno dovuto scassinare la finestra, arrampicandosi fino
al terzo piano, per impedire a Turble (è così che si
chiama) di rompersi la testa contro il muro. Ha riportato diverse contusioni. Sono rimasto davvero impressionato: mentre lo tenevano per sedarlo
scalciava e urlava come un indemoniato. Mi hanno spiegato che cos’ha e da
quello che ho capito è paranoico: è convito che qualcuno gli stia sempre
intorno per fargli del male. Per lo stesso motivo, Diciotto non ha voluto che
mi avvicinassi troppo, per non turbarlo. È proprio una ragazza dolce! Vegeta
dovrebbe trattarla con più riguardo, non capisco proprio come faccia ad esserne
ancora innamorata e…
«Risparmiaci le
critiche sulla loro relazione, Crilin, sarebbe davvero fuori luogo.» Lo
rimprovero, interrompendo il suo racconto. Siamo seduti sul ciglio di un
muretto all’esterno della palestra; gli altri compagni, non eliminati,
continuano a giocare a Dodgeball. «Scusa
tanto se ho qualche remora nei confronti di Vegeta, che non si è nemmeno
degnato di andare dal fratello malato!» Si giustifica il mio amico, guardandomi
con gli occhi stretti a una fessura. È da quando, questa mattina, ha messo
piede in classe che fremeva di raccontarci la sua serata con C18 e della
cattiva fede del nostro compagno.
«Non hai idea di come stanno veramente le cose, Crilin, quindi faresti
bene a tacere! Poi chi ti dice che Vegeta non sia arrivato in ritardo?» Nessuno
sa che proprio ieri sera, noi tre (Vegeta, Goku ed io) eravamo insieme a casa
di Cell, dalla quale Vegeta è partito per raggiungere la clinica psichiatrica
in cui è ricoverato il fratello minore. Si tratta, infatti, di una clinica
vicina al centro della città, non esattamente a un tiro di schioppo dalle
campagne di Ginger Town.
Quindi ciò di cui accuso Vegeta non è la sua presunta noncuranza verso il fratello,
ma la totale mancanza di fiducia nei miei confronti: ci frequentiamo, da amici,
da mesi ormai e mi pare impossibile non abbia avuto occasione di parlarmi anche
di questa sua faccenda famigliare; un’altra conferma di quanto poco mi
consideri. Non riesco nemmeno ad arrabbiarmi con lui, il quale, questa mattina,
è assente.
«Inoltre, non dovresti permetterti di parlare male di lui quando neanche
Diciotto, che di motivi ne avrebbe, si azzarda a farlo.» Continuo, con la
sicurezza di un mercante di grande verità.
Sono passati tre giorni da
quando Vegeta è stato portato in carcere. E per tre giorni ho lavorato senza
sosta sui codici racchiusi nella scheda che mi ha consegnato: lo scrigno del
bilancio reale della Freezer Corporation, dei contatti e delle transazioni di
una compagnia che ha fatto della minaccia la propria merce di scambio. La
Freezer Corporation è riuscita ad inglobare le sei più grandi società del
pianeta nel tentativo di creare un unico monopolio dell’industria bellica,
tenendo sotto la propria ala i migliori scienziati del nostro tempo, tra cui
spiccava il famigerato Dottor Gero e la società che, per anni, aveva rifornito
le milizie delle nazioni più ricche: la Sayan, un tempo presieduta da Vegeta Aransay senior.
L’ultima e settima compagnia di ricerca avrebbe dovuto essere la mia, la
Capsule Corporation. Il piano, stando ai dati forniti e raccolti da Vegeta era
piuttosto semplice: Freezer avrebbe costretto i miei investitori, di cui lui
controlla già le finanze, a ritirarsi dal mercato, se non avessi deciso di
collaborare nel grande progetto di essere l’unico produttore di androidi e armi
specializzate nella distruzione di massa da vendere ai Paesi in guerra.
Nei fuligginosi combattimenti, nelle costellazioni di vinti e vincitori, la
Freezer Corp. è passata da una parte all’altra della barricata, patteggiando
tuttavia solo per se stessa. E mi chiedo che ruolo abbia avuto Vegeta in tutto
questo. Perché ha deciso di redimersi proprio adesso, portando allo scoperto i
piani affaristici di quella che ha più le coordinate di un’organizzazione a
delinquere, piuttosto di una società legale?
La mia sarebbe stata il tassello mancante di un piano diabolico al punto da
sembrare legale sotto molti aspetti. Che Vegeta si sia deciso a scoprire le
carte proprio perché, continuare, avrebbe significato mettermi in mezzo?
Tuttavia, c’è qualcosa che non torna: dai dati che lui stesso mi ha fornito,
risulta che ha lavorato per Freezer dal duemilauno al duemilacinque, e di nuovo
dal duemilaotto al duemiladieci;
per quale motivo c’è un intervallo di due anni? Nello stesso periodo, la
Freezer Corporation ha incassato ben tre milioni di dollari da fonte
sconosciuta (altro introito che, dubito, sia stato lecitamente dichiarato) e ha
assunto Zarbon e Dodoria.
Mentre continuo a rimuginare sui motivi che mi hanno spinta fin qui, al Carcere
di Ovest City, una porta si apre, dall’altro lato della stanza separata da un
vetro, e Vegeta, ammanettato e scortato da due guardie, fa il suo ingresso
nella sala d’accoglienza. Seguo ogni suo movimento finché non siede al posto
parallelo al mio. Non prende subito in mano la cornetta che avrebbe veicolato
la nostra conversazione, sorride ancora per un attimo prima di decidersi.
«Come stai, Vegeta?»
«Non saprei, ma trovo che l’arancio mi doni.»
«Perché non metti da parte il tuo humour da due soldi, per una volta?»
Sbuffa divertito. «Sono inglese; se mi togli il mio humour non mi resta che
parlare del tempo. Di’ un po’, scommetto che hai trovato molte informazioni
interessanti nella scheda che ti ho dato.»
«Molte, sì. Ma come tuo solito, lasci sempre le cose a metà, proprio sul
più bello.» Non mi lascio sfuggire l’occasione di
bacchettarlo per avermi usata, fingendo di fare l’amore con me.
«Se ti avessi detto tutto, adesso non saresti qui. Come avrei resistito
senza vederti per tutto questo tempo?» Continua a scherzare, sorridendo
sornione sul volto da schiaffi.
«Preferisci, forse, parlare del tempo, Vegeta?»
«Per carità!» Esclama. «Dimmi piuttosto che accidenti vuoi, credevo di aver
detto tutto a quell’avvocato da due soldi che mi hai rifilato.»
«Goku è stato qui?»
«Certo che è stato qui, non te l'ha detto? Se ti ho dato quella
scheda, è stato solo perché lui sarebbe stato troppo stupido da decifrarla.»
Nota come, nolente, mi rabbui alla sua ultima confessione e decide di
rincarare. «Non avrai pensato l’avessi fatto per te?»
Stringo la cornetta tra le dita fredde. «No. Ho solo pensato che sono
stata una stupida a correrti dietro per tutti questi anni.» Continuo a
guardarlo, nonostante il riflesso delle luci del soffitto sul vetro copra la
sua immagine rendendola quasi impercepibile. «Ma oggi sono qui, decisa ad
aiutarti, perché sono stufa di vivere nel rimorso di scelte sbagliate e ti sto
dando l’opportunità di chiarire, una volta per tutte, la situazione in cui ti
sei cacciato, sempre che, piuttosto, non ti diverta sguazzarci dentro.»
«Senti, Bulma, non ti permetto di rinfacciarmi le scelte che nessuno ti
ha obbligato a prendere.» Si altera, alzandosi in piedi, stringendo ancora la
cornetta.
Svetto anch’io, cercando però di mantenere un tono più calmo. «A dirla davvero
tutta, mio caro, ho saputo di come, proprio tu te la sia filata, il giorno
prima del nostro appuntamento alla stazione. Quindi, ragionandoci un po’, sei
stato tu a obbligarmi a sentirmi in colpa.» Gli sbobino quanto rivelatomi
proprio da Goku la sera in cui hanno arrestato Vegeta. Il quale intrappola un
guizzo di nervoso in una vena che gli pulsa in fronte, probabilmente pentito di
aver rilavato troppo a quell’imbecille del suo avvocato. «Che razza di
ragionamento sarebbe? Avevi deciso comunque che non saresti venuta.»
«Per il meglio a quanto pare! Alla fine ci stai riuscendo a tenermi alla
larga, tutti questi inutili sotterfugi quando un semplice “non ti voglio”
sarebbe più che sufficiente. Ammettilo, una buona volta, che non ti è mai
importato nulla.»
Sbatte una mano sulla superficie che gli sta difronte. Una delle guardie
presenti gli va vicino a stringergli unaìa spalla, e costringendolo a comportarsi bene. Gli dice qualcosa, che non sento per via del vetro di sicurezza, poi
Vegeta torna a parlarmi attraverso la cornetta. «Quante volte te l’ho spiegato
che non ti volevo?»
Torno composta sulla sedia. Non avremmo nemmeno dovuto parlare di
questo, e il tempo sta scadendo; prendo un fazzolettino dalla borsa e mi
asciugo la fronte imperlata di sudore. Riabbasso i toni. «E tu quante volte non
mi hai detto perché non mi volevi?» «Perché è un segreto.» Ghigna
imperterrito; poi d’istinto, con ancora la cornetta poggiata all’orecchio, si
avvicina al vetro divisore, abbassa la voce per impedire alla guardia di
sentire bene. «Mi piaci, Bulma, ma per quanto mi sforzi non sono innamorato di
te e suppongo tu sia grande abbastanza da capire la differenza. Tuttavia,
rispetto ciò che tu continui a provare per me ed è per questo che mi trovo qui
dentro: fosse dipeso da me, avrei fatto fuori anche Freezer, ma non voglio tu
rimpianga un assassino senza capire il motivo delle mie azioni.» Dopo una pausa
in cui si riappoggia allo schienale aggiunge: «Se quella notte non mi avessi
incontrato, avrei fatto di testa mia.» Fa segno alla guarda che la nostra
conversazione è finita.
Sono qui, ad aspettare
seduta sui gradini del portone, da almeno mezzora ormai; mi chiedo chi sarà il
primo a tornare, se Vegeta o C18.
Mentre riavvolgo il nastro dell’album che sto ascoltando, finalmente, scorgo la
macchina di Vegeta svoltare l’angolo. Parcheggia e, dopo essere sceso, si
carica addosso il passeggero addormentato sui sedili posteriori. Un ragazzino
molto magro dai capelli lunghi e neri; suppongo sia il fratello di cui parlava Crilin.
«Per qualche ragione non sono affatto stupito di vederti, Brief.» Mi
saluta, una volta raggiunto il portone.
«Sono venuta a portarti i soldi di ieri sera.»
«Quindi ho vinto.» Afferma con un mezzo sorriso, mentre, senza chiedere il
minimo aiuto, tenta a fatica di infilare la chiave nella toppa per aprire il
portone e allo stesso tempo a tenere il fratello in braccio.
Gli prendo le chiavi con un gesto scocciato; mai una volta che si abbassi
a chiedere aiuto. «Lascia, faccio io!» Sono quasi contenta di avere una scusa
per salire con lui fino a sopra, quindi non gli restituisco il mazzo di chiavi,
ma gli reggo il passaggio mentre lo attraversa e poi, insieme, saliamo le scale
fino al sua porta di casa. «Hai bisogno di aiuto?» Chiedo, riferendomi al peso che
ha tra le braccia.
«Ovvio che no.» Nonostante si sia stato scorbutico, non mi sfugge come
abbia abbassato il tono per non disturbare il ragazzino.
Una volta in casa, noto quanto l’arredamento sia cambiato e non solo per la
batteria, quasi smontata, che Diciotto ha lasciato in un angolo; mancano alcuni
mobili: la libreria è sparita e i libri sono impilati direttamente sul
pavimento; i divani non ci sono più e la televisione poggia a terra, senza Nintendo
e senza videogiochi. Anche lo stereo è stato portato via, ma alcune
cassette e giradischi sono rimasti poggiati al muro.
«Lo porto in camera.» Avverte Vegeta, evitando di raccogliere il mio
sguardo indagatore. Vado con lui e sono sollevata nel constatare come la sua
camera sia rimasta come allora. Lascia il fratello direttamente sul letto, con
tutte le scarpe e con tutti i vestiti.
«Almeno sfilagli le scarpe.» Sussurro.
«Lascialo in pace.» Stiletta afferrandomi per un braccio prima ch’io
possa chinarmi a togliere le calzature al fratello. Mi riaccompagna in salotto
e percepisco il suo disagio dalla distanza che tiene e da come mi scorta
all’uscita, neanche fossi una criminale da richiudere in prigione. «Va bene,
dammi i soldi e vattene.» Asserisce, affatto propenso al dialogo.
«Eh no, scordatelo che me ne vada!» Esclamo forse un po’ troppo ad alta
voce, do le spalle alla porta che richiudo con il mio peso, salvo pentirmi del
rumore creato. Sia io che Vegeta affiliamo l’udito e ci voltiamo verso la
stanza in cui dorme il ragazzino, per sincerarci non si sia svegliato.
Siamo uno di fronte all’altro, rivolti alla stessa direzione, e azzardo a
poggiargli le mani sui fianchi, stringo tra le dita la sua maglietta, la stessa
che portava ieri notte ma rigirata. Vegeta non può non accorgersi del mio
contatto, ugualmente però non dice nulla, nemmeno quando i suoi occhi sono su
di me. Poggio la testa sul suo petto. Ha un leggero odore di sudore e di
sangue. Devo essermi spinta un po’ troppo, perché si allontana, però non
mi invita più ad andarmene. «Allora i soldi?»
«Non pensi ad altro, tu.» Lo pungolo, cercando di essere acida come al
solito: non vorrei pensasse sia rimasta turbata dal suo gesto e dagli ultimi
avvenimenti. «Sono duemila e cinquecento.» Gli spiego, passandogli la busta che
tenevo in borsa.
«Come sarebbe duemila e cinquecento, e il resto?»
«Il resto non c’è; ha vinto Goku ieri sera, mentre tu sei arrivato solo
secondo. Tuttavia, siccome è molto gentile, questa mattina ha detto che potevi
avere metà della sua vincita.»
«E per quale motivo?» Inquisisce, braccia lungo i fianchi, lo sguardo
ardente.
Gli tendo ancora la mano con i soldi. «Per aiutarti.»
«Grazie tante, ma se le cose stanno così non li voglio.» Si volta e aggiunge. «In
quanti sanno di mio fratello?»
«Più o meno tutti… però non devi preoccuparti, a nessuno importa.»
«A me importa! Non bastava che tu e tutti gli altri mi guardaste già con
quell’aria penosa. Giuro che domani a quell’idiota del tuo amico gli spacco la
faccia. Nessuno gli ha chiesto nulla.» Minaccia, riferendosi all’unico che
avrebbe potuto raccontare tutto: Crilin.
Faccio un passo verso di lui, gli poggio la mano libera sulla spalla. «Puoi
stare tranquillo, non è esattamente pena quella che i miei amici provano per
te. Sono troppo impegnati a chiedersi come mai tu ti sia rifiutato di andare da
tuo fratello ieri notte.»
«Si vede che sanno come impegnare bene il cervello.» Attacca sarcastico.
«E tu cosa pensi?»
Mi faccio coraggio. «Di non aver mai conosciuto nessuno complicato
quanto te.»
Continua a darmi le spalle. «Complicato? Non c’è nulla di complicato.
Ieri notte ho sperato che finalmente la facesse finita, per una buona volta.»
«Perché non lo ripeti guardandomi in faccia.»
Non esista un istante. «Volevo morisse.» Risponde, asciutto..
Gli sorrido con aria serena. «Penso, invece, tu abbia tentennato perché non
volevi che tuo fratello, già in paranoia, si spaventasse ancora di più a
vederti pieno di lividi e insanguinato. Non è forse questo il motivo per cui ti sei rivoltato
la maglietta?»
Riesco a sorprenderlo.
«Complimenti per la deduzione Watson, devo ammettere che anche tu hai i tuoi
momenti.»
«L’unico mistero, mio caro Sherlock, è capire perché ti nascondi così.» Ribatto
saccente.
«Prova a indovinare.» Mi prende in giro; finge di avere il controllo
della discussione quando cammina fino al balcone, lo apre, e si appoggia con
aria strafottente contro la ringhiera.
Vado da lui con grande sicurezza, poggio entrambe le mani sull'asta di ferro e lo
blocco tra le mie braccia. Lo fisso in silenzio prima di iniziare a parlare,
illuminati dal sole, circondati dai rumori cittadini che salgono dalla strada
sotto di noi. Le mie prime parole vengono portate vie da un clacson, e lui
mi chiede di ripetere. «Dire ciò che provi ti costa così tanto che
preferisci allontanare tutti mostrando quanto tu sia stronzo.»
«Ma davvero? E cosa pensi che provi?» Inizia a cedere, nascondendosi,
ancora una volta, dietro una smorfia incredula.
Lascio la ringhiera e mi appoggio ad essa con la schiena. «Purtroppo la mia
perspicacia non arriva a tanto, Vegeta. Ma se vuoi puoi parlarmi dei tuoi
problemi. Ad esempio, che fine hanno fatto i mobili?»
«Pignorati.»
«Immaginavo. E dimmi, credi davvero sia una buona idea tenere tuo fratello in
casa? Quanti giorni di scuola hai intenzione di saltare per controllarlo, ti
ricordo che quest’anno abbiamo gli esami.»
«Lo so bene che abbiamo gli esami!» Si innervosisce. «Lo porto in
un’altra clinica domani mattina. Non ho bisogno che tu mi dica come comportarmi.»
Non cedo ad alcun malumore e gli ricordo dei soldi. «Li
ho in tasca. Prendili pure se vuoi.» Lo stuzzico indicandogli i
miei pantaloncini, per smorazare i toni nervosi. Almeno in questo posso
aiutarlo.
Non se lo fa ripetere e mi torna davanti, sfiorandomi
l’addome scoperto da una maglietta troppo corta. «Sai, è proprio per queste tue
uscite rozze che non mi piaci. C’ero quasi cascato, Brief, ma come al solito,
sei solo una mocciosa.» I soldi, invece, non li prende , obbligato dal suo orgoglio a rifiutarli.
È riuscito a mettermi a
disagio, quasi una ripicca per aver tentato di scoprire i suoi intenti. Sento l’impulso
di abbassarmi la maglietta, che ora considero davvero troppo corta, ma scelgo
invece di continuare a comportarmi con naturalezza ché non gli venga in mente
mi abbia messo in difficoltà!
«I soldi ti servono per pagare le tasse, vuoi forse pignorino anche tutto il resto?» Arguisco rientrando,
come lui, in salotto.
«Li troverò altrove. E comunque mi servivano per pagare un investigatore privato.» Spiega, sorprendendomi.
«Un investigatore privato?»
«Sì perché? Guarda che esistono sul serio.
O ritenevi mi bevessi la storia del suicidio? Mio padre non può
essersi ucciso. Succedono cose che non mi spiego
ultimamente, come ieri notte. È strano che, proprio mentre ho
iniziato ad
indagare, alla clinica dimenticano di somministrare le medicine
a mio fratello.»
«Succede, non è poi così inusuale. Anzi direi che è quasi all’ordine del
giorno.» Tento di tranquillizzarlo, andandogli in contro.
Soppesa la mia osservazione, affatto convinto. «Si tratta di una delle migliori
cliniche ed è il motivo per cui ci siamo trasferiti in questo schifo di
nazione; inoltre, mio fratello è ricoverato lì da anni e non è mai successo
nulla di simile, né a lui né a nessun altro.»
«E questo dovrebbe provare che tuo padre è stato ucciso e che adesso ti
trovi nel mezzo di un complotto?»
«Assolutamente.»
«E non consideri i risultati delle indagini?» Mi torna in mente il suo
racconto, quella mattina a casa mia, il giorno dopo aver vinto il primo premio
con il nostro progetto di scienze. Cerco di trovare una logica tra i fatti di
allora e quelli di oggi e, nonostante possa esserci del vero, mi pare assurdo
trovare una coincidenza con quanto accaduto ieri notte a suo fratello.
Si altera. «Certo che li considero, mi prendi per uno stupido? Ma non è detto
che sia andata come sembra. Mio padre non si sarebbe mai tolto la vita, hai capito?»
In realtà, essendo direttamente coinvolta in quanto accaduto, ho
rimuginato molto sulla morte del padre di Vegeta e di motivi per uccidersi ne
aveva. Tuttavia, il mio giudizio potrebbe essere fuorviato dal timore che
qualcuno, l’assassino, sia ancora in giro e possa decidere di farmi del male
nel caso sospetti sul serio che Vegeta sia sulle sue tracce. Lo penso perché
sono stata l’ultima persona, presumibilmente, a vedere il signor Arensay da
vivo e potrei essere presa per un testimone scomodo.
Così, un’altra volta, le assunzioni mie e di Vegeta tornano a frapporsi tra il
mio amor proprio e i sentimenti che nutro per lui, mettendomi alla prova: dovrei assecondarlo o
proteggere me stessa, tentando di distoglierlo dai suoi intenti? E se penso
questo, non equivale forse a dargli ragione? Inoltre, non vorrei pensasse che non sia dalla sua parte.
«Domani porto mio fratello in un’altra clinica,
non dirò a nessuno
quale.» Riprende fortunatamente il discorso, evitandomi di
indagare sulle mie
paure. «Spero solo che anche lui faccio lo stesso. Devo trovare
un modo per
metterlo in guardia senza assecondare la sua paranoia.» Parla
rivolgendosi al muro di fronte. Se non fossi qui, presente, lo giurerei
impegnato in un monologo.
«Ma che tipo di paranoie ha tuo fratello?» Domando a mia volta, per prendere
tempo e pensare meglio ad una risposta a tutte le questioni, sia mie che di Vegeta.
«Soffre di disturbi paranoidi di personalità.» Schiocca, quasi fiero di
ricordarsi il termine clinico. «In parole povere, ha manie di persecuzione:
crede di essere perseguitato da qualcuno che lo segue ovunque per ucciderlo o,
semplicemente, per fargli del male. Capisci, adesso non posso dirgli che questo
qualcuno potrebbe esistere davvero.»
A sentirlo ragionare così vengo pervasa da un certo imbarazzo: non so se
credere pazzo anche lui, assecondarlo, o proteggere me stessa. «E… pensi sia la stessa persona che ha ucciso tuo padre?» Infine, propendo per la seconda, attribuendo i suoi scatti nervosi anche all'assenza di sonno.
«Evidentemente qualcuno non vuole che indaghi sulla sua morte. Ieri ne ho
avuto conferma: sarà anche una delle migliori cliniche, ma ci lavorano delle
semplici persone e, in quanto tali, corruttibili. »
Il mio silenzio, inusuale per me, lo turba così mi afferra con rabbia per un
braccio. «Io non ho manie di persecuzione!» Si difende, fuori dalle orbite della razionalità.
«Non lo pensavo affatto, Vegeta.» Lo rassicuro, ma a giudicare da come
mi guarda, mi è difficile convincermene del tutto. «Sono dalla tua parte,
dovresti averlo capito ormai.»
Le mia risposta lo riporta alla calma. «Bene. Perché sei l’unica a
saperlo.» Ed è proprio in questo istante che entra in scena (o forse sarebbe
più appropriato dire, “rientra”) l’ultimo personaggio della nostra commedia:
C18, la quale varca la soglia con indosso la divisa di scuola, dove suppongo
abbia passato parte del pomeriggio in rientro. I suoi occhi azzurri si
increspano di sorpresa, prima di svettare, indagatori, su Vegeta e, infine,
atterrare nell’inferno d'odio che prova per me. A ulteriore conferma della sua
disapprovazione, ci sfila davanti senza aggiungere parola per richiudersi in camera
sua.
Nel silenzio glaciale del salotto, non sentiamo sbattere alcuna porta, segno
che desidera tenerci almeno sotto orecchio.
Vegeta infine mi molla in cucina. «Vado a fare una doccia. Ci vediamo domani a scuola,
Brief. Chiudi bene la porta quando esci.»
«Aspetta un attimo, come sarebbe vai a fare la doccia?» Gli cammino dietro, non soddisfatta dal suo proposito.
«Hai altro da aggiungere?»
«Beh, no.» Tecnicamente, è lui a dovermi ancora molte spiegazioni.
«Quindi…»
Non si prende la briga di accompagnarmi all’uscita, mi lascia da sola in
salotto. Accidenti a lui! Mi rifiuto di abbandonare così la nostra
conversazione, se davvero ha dei sospetti riguardo qualcuno, esigo di sapere
ogni cosa, perché anche io potrei essere presa di mira. Ho il diritto di
prendere le mie misure, come lui. Così lo seguo fino a trovarmi davanti al bagno chiuso.
«Vegeta! Ho cambiato idea, vorrei ancora parlarti.» Lo chiamo inutilmente, l’acqua inizia già scrosciare.
«Guarda che, se vuoi, puoi entrare: non ha chiuso a chiave.» M’informa
Diciotto, con aria strafottente per vedere fino a che punto sarei capace di
spingermi, in attesa di un confronto.
Poggio la mano sulla maniglia. «Hai ragione, Diciotto, grazie del consiglio.» E
come lei stessa avrebbe detto in seguito, ho l’ardire di entrare in bagno.
«Brief! Che diamine combini?!» Si scandalizza
Vegeta, non appena mi
richiudo dentro.
È ancora mezzo vestito, ha tolto solo la maglia che,
appallottolata, giace a terra tra i panni sporchi.
«Beh, che c’è? Come se non ti avessi già visto in tutte le tue grazie.»
Gli ricordo.
«Esci. Subito.» Esorta, categorico, spingendomi contro l'uscita. A
quest’ora starei già fuori in corridoio, se non mi fossi impuntata; così,
ancora una volta, ci ritroviamo vicini, uno davanti all’altro.
«No. A meno che tu non preferisca che ti creda paranoico, adesso mi racconti
tutto.» Lesta blocco la serratura e nascondo la chiave in
tasca, con i soldi su cui lui non ha voluto nemmeno posare lo sguardo.
«Perché invece non provi ad essere onesta e dici subito che temi per la tua
incolumità, invece di girarci intorno.»
«Perché è scontato sia così, ti pare?» Lo sorpasso e mi siedo sul bordo della
vasca. Testo la temperatura dell’acqua. «È calda, non entri?»
«Non appena sarai uscita da qui.»
«Dobbiamo ancora finire la nostra chiacchierata, e questo è l’unico posto in
cui non verremmo disturbati. Quindi, mi pare che resterò a farti compagnia per
un po’, bello mio. O se preferisci, non ti resta che prendermi la chiava dalla tasca.»
«Fai come accidenti ti pare.» Cede infine spogliandosi del tutto, mi
sposta con un gesto brusco e si getta sotto l’acqua. Lo osservo mentre si
insapona e mi rendo conto di non provare alcun istinto libidinoso, tutto ciò
di cui ho piena la mente è la situazione in cui siamo finiti e la voglia di
aiutarlo a risolvere i suoi problemi. Per questo è impossibile che la mia sia
una semplice cotta, ormai c’è molto più di una semplice attrazione fisica.
Perché non lascia che glielo dimostri?
«Comunque ti consiglio di tornare di là, qui stai solo perdendo
tempo: ti ho già detto tutto quello che so.»
«Non capisci che voglio essere rassicurata? Tutta questa storia mi
spaventa.»
«Perché piuttosto non ammetti che volevi vedermi nudo?» Bercia di
rimando. «Mi rincresce, ma i tuoi sotterfugi diventano sempre più scadenti, Brief, devi ammetterlo.»
«Non è affatto come immagini!» Mi difendo. «Sono davvero preoccupata!»
«Beh ad ogni modo non mi riguarda, tu sei l’ultimo dei miei pensieri.»
«Allora perché me l’hai raccontato? Non volevi forse mettermi al corrente,
affinché anch’io stessi in guardia?»
Resta in silenzio a rimuginare sulla mia supposizione, ancora una volta
rivelatasi esatta, considerando la sua reazione. Chiude l’acqua. «Vorrei non
averti sulla coscienza, tutto qui.»
Gli passo l’asciugamano di spugna, che si avvolge in vita. «Ammettilo
che sei preoccupato anche per me.»
«Costringermi a ridirti ciò che non provo per te, non mi aiuterà a
cambiare idea. Ti ho spiegato che credo ci sia qualcosa di strano in tutta
questa storia, quello che potrebbe accaderti è affar
tuo. Se avessi dei sospetti più concreti, non mi affiderei di certo a un
investigatore. Adesso, a meno che tu non voglia approfittare della situazione, ti consiglio di riaprire la porta.»
Quando usciamo dal bagno, Diciotto ci viene incontro dalla cucina per
informarci che ha ordinato una pizza. «Ho preso qualche porzione in più per te,
Brief. Ho immaginato che, dopo aver avuto l’ardire di chiuderti in bagno con
Vegeta, tu voglia restare anche a cena.» Mi sfida ancora, usando una psicologia
che dovrebbe farmi sentire in colpa, senza riuscirci.
«Hai fatto molto bene, ti ringrazio del pensiero.» Accetto imperterrita.
La cena si è però svolta
nella peggiore delle aspettative: il giovanissimo Turble
(come scopro chiamarsi), ubriaco di calmanti, è rimasto a dormire per tutto il
tempo; mentre noi tre abbiamo finito la pizza in un silenzio intervallato da
poche e spicciole chiacchiere imbarazzate.
Avrei voluto continuare a parlare con Vegeta, chiedergli se per caso, anche lui
come me, non avesse capito che il momento non ci è affatto propizio e, date le
circostanze, non potremmo mai essere insieme. Avrei voluto che proprio lui mi
dicesse “Mi piaci, ma ho troppi problemi e non riuscirei a reggere una
relazione.”
Invece, adesso, mi ritrovo davanti l’odiosa C18! Abbandonata per
l’ennesima volta dal mio motorino bizzoso (dovrei davvero decidermi ad
aggiustarlo di persona, invece di attendere i comodi di mio padre!), ho poi
gioito, invano, della possibilità di poter chiedere un passaggio a Vegeta, il
quale ha preferito mandare la biondina.
«Ti è andata male, eh?» Mi sfotte la ragazza, chiudendosi il portone
alla spalle. «Vegeta non poteva lasciare Turble da
solo.»
«Guarda che l’ho capito!» Rimbecco, terribilmente delusa, ma forte della
consapevolezza di aver compreso l’allontanamento di Vegeta: non è il momento di
stare insieme, lui ed io.
«Sappi che rompe più a me di doverti accompagnare. Te l’avrei fatta fare
a piedi.»
«Mi spiace che i tram non passino più a quest’ora, forse non avresti
dovuto invitarmi a cena, Diciotto.» Bercio, salendo in macchina. La biondina,
però, è decisa a non lasciarmi godere della piccola vittoria verbale, così imperterrita
rimarca la sua proprietà sul ragazzo.
Mette in moto, non solo la macchina, ma il discorso che immagino, le sia pesato
sul petto per tutta la serata. «Scommetto che, se sapessi sul serio di chi ti
sei invaghita, torneresti a correre dietro ai giocatori di rugby della
tua scuola.» Svolta l’angolo con una manovra brusca costringendomi a reggere
alla maniglia. Continua a guidare come una pazza. «Io invece scommetto che non
vorresti ti vomitassi qui dentro. E comunque, non so a cosa tu ti riferisca.»
«Sveglia, so benissimo di tutti i discorsi da scolaretta in calore che
gli fai.» Racconta, ma non riesce a convincermi del tutto: non ce lo vedo
Vegeta a ripeterle tutte le mie parole. Piuttosto, il suo è un tentativo subdolo per costringermi a confessare.
Continua subito il discorso, senza darmi occasione di esternare i miei dubbi.
«Immagino tu abbia visto il morso che gli ho lasciato sul collo. Cosa
penseresti se ti svelassi che l’ho fatto per impedirgli di violentarmi?»
Domanda, senza mezzi termini.
«Non ci credo.»
«Sarebbe un male. Ma se hai il coraggio, potresti chiederglielo tu stessa. Digli:
per quale motivo Diciotto ti ha morso, mentre tu cercavi di aprirle le gambe?»
La sua voce cede in un tremore, rendendo vera quanto dolorosa la sua
confessione, che non compro. «Allora perché continui a starci, se davvero ha
tentato di farti una cosa del genere?»
«Perché ho iniziato io.» Sbotta, innervosendosi nel tentativo di capire lei
stessa la sua reazione. «Se tu lo conoscessi bene, tanto quanto lo conosco io,
sapresti che non potrebbe mai essere il tuo principe azzurro.» Frena davanti a
un semaforo rosso, e distoglie lo sguardo dalla strada per posarlo alla sua
sinistra e, nelle luci soffuse dell’abitacolo, scorgo una piccola lacrima sul
ciglio del suo mento.
«Non è nemmeno il tuo.» Le dico, in un sussurro scomposto e imbarazzato.
Continua
Eccomi tornata! :) Spero
questo capitolo sia stato di vostro gradimento, da parte mia posso dirvi che
non è stato affatto semplice scriverlo. Avrei voluto aggiungere un pistolotto
introspettivo riguardo i pensieri di Bulma, ma alla fine ho deciso di
risparmiavi: ve lo propinerò al prossimo capitolo, così intatno,
questa sera posso pubblicare qualcosa. Alla prossima! E grazie ancora a chi
segue, a chi legge e a chi commenta! :)
Capitolo 31 *** Hai mai visto la pioggia in un giorno di sole? ***
31
Nda: Turble è OOC.
Hai mai visto la pioggia in un giorno di sole?
______________________________________________
Il vero amore è
devozione cieca, è umiliarsi senza fare domande, è sottomettersi completamente,
è avere fiducia e confidare a dispetto di te stesso e a dispetto del mondo
intero, concedendo tutto il tuo cuore e tutta la tua anima al tuo tormentatore.
(Charles
Dickens, da “Great Expectations”.)
«Sono convinto questo sia un periodo difficile per
entrambi, signorina Brief.» Arguisce Mr. Freezer, nel suo completo bianco di
lino, dalla sedia dietro la mia stessa scrivania in ufficio; alle sue spalle i
castelli del consumismo: grattacieli frastagliati contro un cielo terso e
limpido. «Tutta questa rete di sospetti che Vegeta sta creando, non è altro che
il farneticamento di un pazzo. Mio nipote è sempre stato molto
instabile. Sono sicuro lei lo sappia meglio di me. Ed è per questo che mi
permetto di suggerirle di stargli lontano.» Freezer è arrivato questa mattina allo scopo di parlarmi di
Vegeta; vuole convincermi a passare dalla parte che lui stesso reputa giusta,
ma non ho ben capito su quali perni dovrei svoltare il mio punto di vista. So
già che ha ucciso due persone. Sono in piedi a braccia conserte. «Non credo di seguirla.» Lui ha invece le sue rilassate sui braccioli, in una posizione di
piena consapevolezza del proprio ruolo di potere. «Immagino le abbia raccontato
una cosa o due sulla mia attività! Ma lei è una donna intelligente, nel
business da molto tempo, mi dica, perché una fusione, tra società di successo,
dovrebbe essere illegale? E perché vendere armi, alla luce del giorno, dovrebbe
essere illecito? Non è la più morale delle merci di scambio, è vero, ma le
guerre non si vincono con i fiori, dico bene?» «Dice bene, sì, è così che, purtroppo, ruota il mondo.»
Concordo, avvicinandomi alle bottiglie di liquore su un tavolino vicino al
muro. «Prende qualcosa da bere?» Domando, rivolta al dipinto astratto appeso
alla parete. «Liscio.» Annuisco, e riempio due bicchieri per entrambi. «Tuttavia, credo
lei abbia frainteso la mia relazione con suo nipote. Prima di quella sera non
l’ho mai visto, è dunque normale io non capisca molte delle sue azioni, perché
vede, io, Vegeta, ho smesso di conoscerlo molto tempo fa.» Tento di chiarire la
mia estraneità ai fatti, voglio sembrare lucida e cosciente, solo così potrei
vincere questo fuligginosa battaglia verbale, iniziata a suo tempo con un
inutile “Lei sa che il suo protetto ha ucciso due uomini!”. «Non avrei mai rischiato di venire qui, oggi, se
non fossi convinto di essere nel giusto. Non mi induca a credere che voi non vi
siete mai visti in segreto, perché potrei fornirle la lista di tutti gli eventi
mondani a cui avete partecipato entrambi.» Compio uno sforzo enorme per non lasciar trapelare la mia
sorpresa, mentre mi chiedo se è sua intenzione depistarmi o se, davvero, seppur
inconsapevole, io sia stata agli stessi eventi mondani di Vegeta. Freezer, da
parte sua, si concede un breve sorso, e continua a parlare. «Potrebbe essere
stato soltanto un caso, è vero; eppure, converrà sia strano che un tipo
asociale come mio nipote, decida di presenziare soltanto agli eventi in cui era
certo l’avrebbe incontrata, magari in segreto.» «Dove vuole arrivare?» Tento di prendere tempo, per
raccogliere una giustificazione per l’ennesimo comportamento oscuro del nostro
oggetto di conversazione. «Che potrei arrivare a pensare vi siete messi d’accordo
allo scopo di eliminare me dal mercato, infangando la mia buona reputazione, ad
esempio. Non la sto minacciando, ma bisogna ammettere sarà difficile per lei
giustificare alla giuria questa sua affezione e interessamento incondizionato
per qualcuno che, stando alla sua ammissione, non ha visto per anni.» Agita il
liquore nel bicchiere massiccio, osserva i rivoli d’alcool discendere
lentamente dalla superficie vetrosa. «O magari è davvero tutto un macchinoso
scherzo del destino, oh!» Beve ancora, spegnendo il sorriso con un sorso.
«Scelga bene la sua parte, perché sarà ugualmente difficile dimostrare la buona
fede e la sanità mentale di qualcuno che ha passato quasi tre anni nella
prigione di ShadowBay.»
Finisce il liquore, prima di congedarsi. «Ne parli pure con il suo legale, sono
certo che, con un po’ di collaborazione, riusciremo a raggiungere un buon
compromesso per tutti.»
ShadowBayè la prigione incubo di chiunque sia stato
abbastanza sfortunato da capitarci. Vi sono storie, a riguardo, di ex detenuti
torturati e seviziati per confessare i propri crimini agli inquisitori. Un
luogo in cui il concetto di giustizia e legalità si perde nella risacca di un
impietoso bagno penale. «Mi stai dicendo che Vegeta è stato a ShadowBay, negli anni in cui non ha lavorato per Freezer?»
Domando ancora incredula a Goku da cui sono corsa dopo il mio incontro. «Beh, teoricamente non dovrei dirtelo, Eh eh!» Si gratta la zazzera, e cambia di posto,
dall’estremità destra a quella sinistra della scrivania, a una cornice
d’argento con una foto di Chichi e i suoi figli. Sospira. «Vegeta è un tipo
molto riservato, non credo voglia tu sappia cos’ha passato. Io lo so perché,
beh, essendo il suo avvocato, ha dovuto spiegarmi alcune cose e ho dovuto
investigare su altre; ma ti assicuro che avrebbe evitato volentieri.» Aggiunge
lesto, quasi nel timore di aver avvilito la mia convinzione di essere la
confidente prediletta di Vegeta. «Poi anche a saperlo, non avresti cambiato idea
sul suo conto, o no?» Si accerta, infine, con un occhiolino. Il solito Goku. «Non me ne importa un accidenti di dov’è stato o cos’ha
fatto!» Chiarisco. Sono solo arrabbiata con me stessa perché non riesco a
fargli capire che può fidarsi di me. Una volta per tutte. «Secondo te sapeva
che Freezer sarebbe venuto da me?» «Non saprei, Vegeta ha una mente complessa. Sinceramente,
non riesco a stargli dietro.» Sparpaglia i documenti del processo sul piano da
lavoro. «Mi ha detto che avresti qualcosa per me!» «Raccontami prima cosa gli è successo. Voglio capire fino a che
punto devo odiare i suoi nemici.»
Il
suonatore raggiunge il solito albero nella strada assolata. Attacca
l’amplificatore alla chitarra, dello stesso colore della sua barba ingrigita
dall’età, e la sistema bene alla spalla. Ogni giorno è più pesante, e quella
spalla sempre più dolorante, ma canterà lo stesso, per racimolare i soldi
necessari per una zuppa calda a cena. Schiarisce la voce, strimpellaalcune note, e attacca: Someone told me long ago there's a calm before the storm
I know, it's been comin' for some time
When it's over, so they say, it'll rain a sunny day
I know, shinin' down like water…
Quando salto la scuola vado per negozi, di solito. Oggi, invece, resto con lui,
Vegeta, e mi pare che il mondo ci ruoti intorno senza importanza, distesi sul
tappeto a studiare, rivolti al soffitto, libri sul petto… Ma non riesco a
pensare a Kant: mi sento bruciare nella parte del mio corpo a lui più vicina,
un moto d’amore nel ventre illibato e, nonostante io stia leggendo di ragione,
la perdo, senza avere il coraggio di chiedere ciò che più mi preme: hai davvero
provato a violentare Diciotto, Vegeta? Lo osservo, neanche fosse un animale
raro; il suo odore mi scioglie le ossa e mi riduco ad una poltiglia di
emozioni. È questo il risultato per non averlo visto da due settimane? Vorrei
piacergli tanto da entrargli in testa e, finalmente, capire cosa pensa, di me,
di se stesso, di tutti. Misollevo
sui gomiti. «Vegeta?» I wanna know, have you
ever seen the rain? Comin’down on a sunny day? «La finestra resta aperta, se hai freddo metti la giacca.» Non distoglie
l’attenzione da filosofia, «Se è per la musica, tirargli qualcosa così la
smette. Ma nulla che comprenda i miei libri.» «Non ho freddo e non m’interessa del suonatore di strada.»
Yesterday
and days before, sun is cold and rain is hard
I know, been that way for all my time
«É per qualcosa che non hai capito?» Assume, quindi, arrogante. Non vede
mai l’ora di dimostrare quanto sia intelligente e veloce a capire testi
difficili. Invece, vorrei solo mi dimostrasse che posso fidarmi, che non devo
avere paura di stargli accanto e che non si sta perdendo. Graffio il tappeto soffice e polveroso; rilascio anche quanto
vorrei dirgli, raccogliendo il suo sguardo su di me. «In parte, ma non riguarda Kant.»
«Allora?»
'Til forever, on it goes through the
circle, fast and slow
I know, it can't stop, I wonder
«Sai,
mi è giunta voce che non hai la più pallida idea di come si stia con una
donna!» Dico, dopo averci pensato per giorni, la prima, irrimediabile
sciocchezza venutami a braccio. «Eh?! Ma ti sembra il caso di dire certe cose?» «Beh, non è per questo che hai quel segno sul collo?» Gli
indico il famigerato morso con un cenno. Credo di averlo confuso ma ci pensa su un attimo. «È chiaro che
qualcuno non ha idea di come si stai con un uomo.» Decreta infine con un
ghigno, riferendosi a Diciotto. «Tsk, non sapevo
foste diventate tanto amiche.» «Certo, siamo ragazze; mai sentito parlare di solidarietà
femminile?» È, ovviamente, una menzogna ma ho intenzione di girare intorno
all’argomento così da indurlo a parlare il più possibile. «Mi ha raccontato
tutto.» Rincaro la dose, erroneamente, perché dalla sua espressione arguisco di
averlo reso sospettoso. «Ah sì?»
Penso che per convincerlo della mia sincerità sia meglio
aggiungere un particolare piccante e plausibile. «So di come l’hai spogliata, lentamente.»
Ed arrossisce. Ed arrossisco anch’io guardandolo, perché lo vedo in imbarazzo
per la prima volta. Gli sorrido, avendo raggiunto, con un po’ di fortuna,
almeno una certezza: chi reagisce così per frasi simili non potrebbe mai
violentare nessuno. Eppure… non ha avuto rispetto per lei davanti a Crilin e me
e l’ha fatta maltrattare da Cell e, lei, non ha forse pianto lacrime nascoste? O è solo la miagelosia a volerloinnocente? 'Til forever, on
it goes through the circle, fast and slow
I know, it can't stop, I wonder
I wanna know, have you ever seen the
rain?
«Vegeta?» «Vegeta!» Ripete, tempestiva, un’altra voce, dal fantasma
di un ragazzino assonnato, appena sveglio, che avanza verso di noi. Vedendomi,
si blocca. Raccolgo le gambe. «Ciao! Tu devi essere Turble!» Indossa una
maglietta troppo larga per il suo fisico gracile e macilento; mi guarda
stralunato e sospettoso. «Whoisshe?»
Biascica in inglese rivolgendosi al fratello. «Una compagna di classe.» Spiega Vegeta, senza smettere di
leggere il suo libro. «Doesn’tshehaveclasses in the morning?» Parlano in fretta e mi è difficile capirli, così non colgo del
tutto la battuta di Vegeta. «Notwhenwe are planning to killyou!» Gli scorgo un ghigno da dietro la pagine; chiude il
manuale e si alza in piedi. Avvicinatosi alla finestra, la chiude. «Non ti
hanno insegnato che è da maleducati parlare in una lingua che non tutti
conoscono bene?» Turble esita, raccoglie un braccio nell’altra mano e,
sempre ignorandomi, aggiunge: «I heard voices…» «Nonsense. Erano le nostre.»
«You’re supposed to protect me, not to invite strangers home!» «And you’resupposed
to behave!» Tuona il maggiore, ora nella stessa
lingua. «So, behave.» Il ragazzino, tuttavia, non demorde né cambia modo di
esprimersi e, con quegli occhi tanto simili all’altro, bercia un rimprovero. «I highly doubt our father would appreciate your way of life, Vegeta!» «Vorrà dire che gli chiederò scusa non appena lo vedo.» Se la ride in
risposta quest’utlimo, mentre il fratello decide di
sedersi direttamente per terra, schiena al muro, a debita distanza da me di cui
non credo si fidi. «Devi perdonarlo, Brief, Turble non è esattamente normale.»
Un’aggiunta innecessaria la sua, che infatti gli procura una librata, schivata,
da parte del fratello, dopo aver preso la prima cosa capitatagli tra le mani. «Though having to sit on the floor
is absolutely normal for you, isn’t it?» «Te l’ho spiegato il motivo.» «Beingstubborn?» «Non ho intenzione di chiedere altri soldi allo zio, poi
smettila di parlare in inglese! Ora fammi studiare.» È l’ultima parola di Vegeta,
che torna a stendersi sul tappeto, pancia in sotto stavolta, tuffandosi nei
teoremi filosofici argomento della prossima interrogazione. Tuttavia, i testardi nella stanza sono due, e se uno ha propeso
per un ostinato silenzio, il secondo, Turble, è risoluto a sostenere le proprie
convinzioni a discapito della pazienza di Vegeta e della mia che vorrei
continuare il mio discorso. «You don’t have to do this! It’s been two weeks since the last time you went to school.
How can you face the final exam if you keep missing classes!» Turble non può scorgere come Vegeta, che lo fronteggia di spalle, stia
reclamando tutto il suo autocontrollo stringendo i pugni sulle pagine su cui
tenta, invano, di puntare la propria concentrazione. Non risponde subito, fa un
lungo respiro. «Hey, I’mtalking to you!» Esorta
nuovamente il più piccolo, imperterrito nel suo linguaggio d’oltre manica; non
gli importa di essere maleducato, e cambiare argomento è per lui una latente
alternativa. Si comporta come se io non esistessi, come se, dare conto della
mia presenza, potesse in qualche modo scombinare il suo flebile equilibrio
psichico, subordinando ciò che più gli preme chiarire alla paura di trovarsi in
pericolo. Ha qualcosa da dire, e vuole dirla adesso. «Youcannothave me here!» «Mi pare abbastanza chiaro che non dipende da me! Comunque
ne parliamo dopo, non è il momento adesso.» Conclude Vegeta in un’ennesima
manciata di autocontrollo, ed immagino si riferisca alla mia presenza. Tanto
difficile è però avere a che fare con un giovane adolescente, voglioso di
proteggere i propri diritti a discapito dei presenti. «And when is the right moment for you, Vegeta, uh? Not when there’s Lazzulinor when we’re alone ‘cause
you cannot be bothered, and now? If you trust this girl to be here, I believe
she can listen too!»Sbotta, tutto d’un fiato,
adesso indicandomi con il dito; mi sento chiamata in causa senza nemmeno
comprendere a pieno il motivo. Fossi stata un’altra persona a quest’ora me ne
sarei andata via, essendo invece me stessa, sarebbe un torto alla mia curiosità
se andassi via proprio adesso che potrei finalmente conoscere qualche
particolare della misteriosa vita del mio amore non tanto nascosto. Il quale,
perduto irreparabilmente il proprio “self-control”, si alza in piedi come un
vulcano in eruzione, e tuona: «Wouldyou, please, shut up? Or do yourealllywant to piss me off?» È già abbastanza nervoso per aver perso molti
giorni di scuola per la difficoltà di trovare una sistemazione adeguata al
fratello, il quale continua a tirare la corda. «Whydon’tyouunderstandI’mtruly in danger,
Vegeta?» Urla quindi di rimando, issandosi in piedi. «I cannot stay here, I don’t want to stay in
those awful clinics either, I could only stay with mum!»E, nella stretta pronuncia inglese, nel vomito di parole straniere di
entrambi, mi giunge chiara quest’ultima parola: mum,
mamma! «Turble, how many
times do I need to repeat myself?»
«And how many times do I? You promised, Vegeta! You
promised!»Batte un colpo a terra.
«I have never made such a promise!»
«Yes, you did! Youdid
promise you’d be looking
for her» Si scontrano a distanza, colpendosi a
vicenda con le proprie assunzioni urlate. «You’re just a lazy bastard! You only want me to die!»Lo accusa alla fine, grondante copiose lacrime su per le guance scarne. «Maybe I do, so I’d be finally able
to live my fucking life!» Si dicono molte cose litigando, poche pensate veramente e credo anche
per Vegeta sia così, tuttavia riesce lo stesso a mortificare Turble, scosso dai
singhiozzi. «It wouldn’t even
be difficult! There’s not so many people sharing her name!»Riprende piangendo, trafitto al cuore da ciò che resta della sua
famiglia. «Please, if I stay
here, you’ll hate me. Please, don’t… don’t hate me!» «Non credo che tuo fratello ti odi, Turble!» Penso bene di intromettermi
per prendere le parti del mio amico, nella speranza di mettere un freno a
questa straziante conversazione e riprendere la nostra. L’intervento riesce
però soltanto a raggelare il mio interlocutore, che sgrana gli occhi su di me e
urla con tutto se stesso ripetendo al fratello di non odiarlo, di aiutarlo,
senza tuttavia impietosirlo: Vegeta lo osserva in silenzio, probabilmente
abituato a questo genere di crisi isteriche; ma negli occhi neri gli brilla già
una certa sodomia, quando decide di svelare: «Shecannot be found, she’s dead, Turble.» «Lies, our father
told me she had to run away!» Oh se un dio dell’odio potesse esistere, personificato da qualcuno,
questi non sarebbe che Vegeta! Il cui rancore gli corre indomito nello sguardo,
prima ancora che nei suoi passi, portandolo vicino al fratello distrutto a cui,
calmo e sprezzante, dice: «I knowthat
for sure, because I wasthere the dayshedied, asithappened
to be the sameday of yourbirth.» Come non provare dolore, davanti a due occhioni grandi e neri come
la profonda tristezza di Turble, incapace se credere o meno alla rivelazione?
Ma nessuna corda si smuove nell’animo di Vegeta, inflessibile nella sua
sviolinata; s’inginocchia vicino e, messagli una mano sulla testa, come se non
avesse affatto parlato fino a quel momento, aggiunge: «So didourmotherpromise me thatshewould be back soon, butsheneverdidbecause of you. E adesso prendi
le tue medicine e sta’ zitto, perché devo studiare.» E Turble, fattosi docile
come un agnellino spaventato, annuisce; ora sì, ora è certo che suo fratello lo
odia davvero e ne conosce il motivo. Persino io dovrei capire che, l’unica persona da cui stare in
guardia, è l’unica di cui mi sia mai innamorata veramente? Non capisco che è
solo ossessione. Vegeta ha però ancora voglia di esagerare e, lisciando la chioma
al minore, infligge (ma sorridendo!) il colpo di grazia. «Sai, credo proprio
che al tuo compleanno ti regalerò una corda, così ti ci impicchi!» Così Turble,
in un'indecisa confusione, sceglie di ridere anche lui, di gusto, sperando sia
stato tutto uno scherzo.
Continua…
Ciao a tutti e tutte! Spero che questo aggiornamento vi sia
piaciuto. Grazie di aver letto fin qui e a coloro che hanno aggiunto la storia
alle preferite.
Vorrei solo aggiungere un paio di cosette: la canzone usata
per questo capitolo è “Haveyoueverseen the rain” di Creedence Clearwater
Revival (il nome del gruppo forse non vi dirà nulla, ma giuro che si tratta di
una canzone famose che avrete sentito centinaia di volte xD).
Il luogo “ShadowBay” è sì inventato, ma ho preso il nome in prestito dal
videogioco Metal Gear Solid.
Questo è tutto, continuate a fare buone vacanze! :)
Shirt, tagliata in due dall’equatore, poggiava le sue
chiappe sfiancate sull’arida terra di Kanassa, in cui l’unica brezza era
probabilmente quella prodotta dallo sbattere di ali di una mosca, grassa e unta
come lo strato di sudore sul palmo della mano di chi l’aveva appena
schiacciata, Dodoria. E il caldo gli si era appicciato addosso, grondante dalla pelata
che, quel fazzoletto liso tra le dita, non avrebbe asciugato del tutto. «Sono
stufo, ti dico, davvero stufo!» Attaccò con voce lamentosa, «Ogni volta quel
Freezer e il suo cazzetto di mediatore riescono a soffiarci i clienti da
sotto il naso, ed ecco che siamo costretti a sudare come maiali per nulla in
cambio.» Si tamponò ancora la fronte e ordinò l’ennesimo rum al barista,
intento ad asciugare bicchieri dietro ad un bancone polveroso. And the moon
is the only light we’ll see
No I won’t be afraid… Il socio, dotato dei più bei lineamenti che ogni donna avrebbe voluto
baciare, rispose solo dopo un’attenta analisi dei suoi capelli lunghi e una
volta sicuro di non avere doppie punte. «È perché gioca sporco. Ma so io come
giocare ancora più sporco!» «Che intendi dire?» «Intendo che…» Lasciò la sua spiegazione sospesa nell’aria stantia
del bar, considerò che il tavolino non fosse troppo sporco da poggiarci i
gomiti, fasciati da una costosa giacca di lino, e continuò: «C’è un certo Jaco,
credo sia un infiltrato non troppo segreto del governo e che…» «Non troppo segreto?» Lo interruppe Dodoria sudato come un maiale.
Zarbon sospirò paziente, e dopo aver chiesto al barista di alzare il volume
della radio per coprire meglio le loro chiacchiere, riprese da dove aveva
interrotto. «Uno di quelli mandati per fingere che i governi facciano qualcosa
per controllare il traffico d’armi, lui ovviamente non lo sa ma il suo lavoro è
di rispedire a casa almeno un paio di noi per far tutti contenti, mi spiego?» Just
as long as you stand, stand by me… «Non molto, cosa vorresti fare, denunciare Freezer per caso?» «Freezer è troppo potente!» Sbottò l’atro, stringendo i pugni.
«Anche se lo denunciassimo, non è detto che lo manderebbero al fresco…
tuttavia, potremmo lasciarci sfuggire qualche informazione non proprio
riservata riguardo il suo mediatore, quel Vegeta.» «E mentre saranno tutti impegnati a dissipare il polverone…»
Continuò adesso Dodoria, con gli occhi porcini che brillavano di cattiveria,
sulla stessa pagina del compagno. Stan by me, ooooh stand, by me…«Noi avremmo abbastanza
tempo per concludere l’affare con Tai Pai al posto suo.» Concluse il più bello
dei due sfoggiando un sorriso mellifluo. Nel frattempo una cameriera pettoruta
e dai capelli viola aveva portato loro da bere e ricevette, come mancia, una
volgare pacca sul sedere dal più brutto. «Ma come facciamo ad esser sicuri sia un infiltrato?» Domandò
quest’ultimo e poggiò al bicchiere le labbra carnose. «Ho sentito gli scagnozzi di Crasher che ne parlavano, stanno
giusto cercando qualcuno da sacrificare e ho intenzione di dire a Kakao di aver
trovato quello giusto.» I due si scambiarono uno sguardo di complice malevolenza, prima di
gioire della geniale risoluzione che li avrebbe aiutati a concludere un
vantaggioso contratto e a sbarazzarsi di quelcazzetto moscio di
Vegeta.
If the
sky that we look upon
Should
tumble and fall
All the mountains should crumble to the sea, «Cosa vuoi che me ne importi?» Rispose
Vegeta all’autista che gli aveva chiesto di poter alzare il volume. Tra il
caldo, le mosche e le zanzare che non lasciavano tregua, ascoltare musica alla
radio era davvero l’ultimo dei suoi pensieri. Così la jeep andava, incespicando tra le dune del deserto,
guidata da un poco di buono chiamato Yellow e più andava avanti più Vegeta
sentiva che l’affare stava andando troppo tranquillamente. Molto più del
solito. Non c’erano state le solite traversie al suo arrivo a Kanassa,
l’elicottero era atterrato come di consueto e una vettura era già pronta ad
attenderlo. Solitamente, c’era sempre stata una manciata di minuti di scarto
nello scambio tra i due vettori, per sincerarsi che nessuno del Governo stesse
seguendo la trattativa: o era incappato in una ben nota “botta di fortuna”
oppure qualcosa nell’aria puzzava di sospetto. Eppure, per una volta, sapendosi
nemico fidato di un destino sempre avverso, aveva voluto credere al sorriso
benevolo della fortuna, cantando, forse troppo presto, al proprio trionfo. Non
si diede dunque molto da pensare riguardo le circostanze fortuite a cui era andato,
e stava andando, incontro, persuadendosi che per una volta poteva semplicemente
essere stato fortunato. Era sudato, accaldato e stanco e in cuor suo sperava stesse
andando come previsto da Freezer perché, al momento, non avrebbe voluto
fronteggiare altri problemi che quello di trovare un bar per bere una birra
fresca! Né gli era mai importato veramente della buona riuscita dei loschi
affari del parente: si vedeva come un mediatore e nient’altro, pieno d’odio per
il proprio principale piuttosto che per l’immoralità delle proprie azioni.
Stava imparando e, forse, un giorno avrebbe preso il posto di Freezer, mandando
qualcun altro a compiere il lavoro sporco piuttosto che dirigersi,
personalmente, su luoghi di guerra o limbi dalla fangosa giustizia. E senz’altro la jeep, arrugginita ferraglia rossiccia,
carica di nuovi prototipi di armi, fermò al centro di un campo circondato da
tendaggi bianchi. Vegeta scese e avvertì la sensazione sgradevole di affondare
nella sabbia con le scarpe da ginnastica. I won't cry, I won't cry
No, I won't shed a tear
Just as long as you stand, stand by
me
«Insomma lo vuoi fare o no?» Si sollevò in ginocchio, e il
letto sobbalzò come il suo umore. Ed era già nudo, e così era lei, ad eccezione
degli slip che le biancheggiavano ancora sul ventre, del tutto asciutto. Avevano iniziato come tante altre volte, prima degli ultimi,
sconquassanti eventi della loro brevi, già complicate vite. Diciotto distolse
lo sguardo. «Certo.» Scacciò dalla spalla una mosca immaginaria, voleva solo
coprirsi il piccolo seno svestito, affatto turgido come l’eccitazione
dell’altro. «Ma sbrigati!» Si lamentò, «Toglimi questi.» Gli indicò
quell’ultimo lembo di stoffa, non osava toccarsi, non osava toccarlo. Chiudendo
gli occhi, accolse, con una smorfia, l’esaudirsi della sua preghiera, mentre le
sua mani sudate le sfioravano i fianchi stretti. Spalancò gli occhi, per essere
sicura di avere proprio lui, Vegeta, e non l’altro, a tornarle sopra
pesante col suo corpo in fiamme. Si raccolsero a vicenda lo sguardo, dell’uno
confuso, dell’altra terrorizzato, nonostante nudi si conoscessero già. Questa volta era però diversa: Diciotto sapeva che avrebbe dovuto
concedersi fino in fondo per sferzare l’amore infiacchito che Vegeta provava
(aveva provato?) per lei, persuaso di essere usato invece che amato di rimando. Vegeta, infatti, aveva concimato la convinzione che la sua algida
ragazza non lo vedesse che come un simile, piuttosto che come un compagno.
Macchinosa, fulgida bellezza, Diciotto calcolava solo interessi materiali;
incapace di svelare i suoi problemi familiari, preferiva essere accolta in casa
di Vegeta, perché alla sua non poteva e non voleva assolutamente tornarci: era
in fuga. Concedersi sarebbe quindi stato il modo, ormai l’unico, per suggellare
il sacro patto, grazie al quale le veniva permesso di continuare una relazione
in cui nessuno dei due ormai credeva più, se non per convenienza, di lei, se
non per ossessione, di lui. Temeva di baciarla, quasi temesse di restare attaccato a quelle
labbra di ghiaccio. Continuava a fissarla, a studiarla, chiedendosi se anche
lei fosse in grado di sentire il lambiccare del suo cuore nel petto muscoloso.
Il ricordo della già disastrosa volta scorsa gli pulsava nell’inguine, e non si
vergognava affatto di aver insistito tanto allora: proprio grazie a quel
ricordo, invigoriva la nuova voglia, pensando all’eccitante energia che lei
aveva impiegato per allontanarlo e che se non fosse stato per il doloroso morso
avrebbe di certo continuato. Tuttavia, adesso, non riceveva invece che
sospettosa arrendevolezza. Qualcosa era davvero cambiato. Le sfregò la guancia, che sfrigolò ad un soffio dalle sue labbra.
Sorrise, maligno. «Non sei stata mai così arrendevole.» «Adesso sono pronta.» Mentì, era pronta soltanto a non voler tornare
a casa. Lo sforzo che stava compiendo le stava riuscendo particolarmente
gravoso: mai sarebbe stata pronta, pensava, a farlo così. Eppure, oggi avrebbe
dovuto fingere di esserlo, perché se Vegeta avesse capito la vera ragione
(tenerselo stretto per proteggere se stessa) l’avrebbe cacciata per orgoglio,
né lei avrebbe mai trovato il coraggio, scevro da qualsivoglia imbarazzo, di
confessare di essere tutt’altro che illibata. Fu lei a prendergli le labbra; gliele graffiò con un bacio veloce,
come se avesse baciato un disgustoso rospo, nel sospetto che non si sarebbe mai
tramutato in principe. «È il casino che viene da fuori, mi distrae, non mi
piace. Chiudi la finestra!» Tornò a lagnarsi, serrando le braccia, dalle
ascelle umide, ai fianchi. Vegeta si sollevò per l’ennesima volta, sbuffando; a piedi scalzi,
raggiunse la finestra e lasciò fuori i fastidiosi festeggiamenti per l’elezione
del nuovo sindaco Satan. «Scegli qualcosa alla radio.» Suggerì Diciotto, nel tentativo di
prendere tempo; si ficcò intanto sotto le coperte. «Non posso, c’è Turble che dorme di là.» Si affievolì, a nominare
il fratello nel frangente della sua prima volta. «Avrà preso i suoi sonniferi.» «Ho detto che non mi va.» «Allora spegni almeno la luce.» L’intimità con Vegeta non le era
mai parsa tanto penosa! Era tuttavia necessario accordarsi al suo bisogno
fisico di averla, altrimenti, lo sentiva, avrebbe perso l’opportunità di godere
dell’agio di stare lontana dal malfidato genitore. Né di soldi ne aveva in abbondanza: la somma promessale,
all’inizio da suo padre, era andata via via diminuendosi (l’ennesimo, meschino
tentativo di farla tornare) tanto da non permetterle di pagarsi altro alloggio
che non fosse questo con Vegeta. Un albergo di terz’ordine rappresentava per
lei un incubo, e tutti suoi vestiti e tutte le sue scarpe che fine avrebbero
fatto? Sobbalzò, quando Vegeta scostò le coperte per riprendere posto; il
suo corpo minuto, niveo, tremò tutto e lui lo notò. Le fu ancora sopra, non più
eccitato; iniziò a baciarla, a toccarla senza che lei si degnasse del minimo
movimento. Sembrava una bambola di gomma, in balia di una lampante repulsione.
Vegeta l’aveva capito, ma non riusciva a figurarsi il motivo, non il vero.
Continuava a metterla alla prova, per scoprire fino a che punto avrebbe retto.
Aveva poca fiducia, e in parte a ragione, per l’amore che Diciotto assumeva nei
suoi confronti: era convinto volesse solo approfittare di lui per poter
restare, quasi a gratis, presso di sé. Ed andarsene era esattamente ciò che la
ragazza desiderava evitare. Tuttavia, pensava Vegeta, Diciotto non stava affatto facendo un
buon lavoro: trovava, infatti, che una maggiore partecipazione gli fosse
dovuta. E di certo quella non era ragazza da aver scrupoli, nell’andare a letto
con qualcuno che non gradiva del tutto. Scommetteva che, se l’avesse pagata,
Diciotto si sarebbe esibita in peripezie degne della prima attrice porno!
Magari avrebbe proprio dovuto pagarla. Sembrava la disgustasse, e più la baciava, più questa impressione
diventava forte. Eppure, non era sudato, aveva fatto una doccia, i denti li
aveva lavati… Probabile fosse ancora arrabbiata con lui, quando ad essere
sinceri, se non fosse stato morso, sarebbe arrivato a violentarla; ma se fosse
stato questo il motivo, lei, sì, proprio lei, non lo avrebbe mai invitato a
letto quel giorno! Il motivo di quel distacco doveva essere un altro, lo ignorava.
Accese la luce. «Preferisco così.» Le disse, «Voglio vederti.» Avrebbe cercato
di leggerle nello sguardo ciò a cui non arrivava. Ma lei rimaneva immobile,
come una lucertola frastornata in attesa del colpo di grazia del gatto. «Sento freddo.» E si coprì di nuovo con le lenzuola, e annodò le
esili gambe dai piedi ghiacciati a quelle robuste di Vegeta. Si agitò e trovò
un’altra scusa per spegnere la luce; venne accontentata ma lanciò un gridolino,
quando lui le prese una mano per farle rianimare una passione ormai smorta;
quella stessa mano, sgusciò subito via ad riaccendere la luce, come un pesce
disturbato nella sua tana sabbiosa. «Ho cambiato idea, preferisco vederti.» «Lascia perdere, ho capito.» Decretò, rabbioso, Vegeta. Un
disastro! Lo sgomento cadde sul viso di Diciotto, insieme alla luce che lo
illuminava. «Continuiamo!» «Mi sembra evidente che tu non voglia.» «Non è vero.» «Magari preferisci il pelato.» Oh no, non lo preferiva affatto; era dolce Crilin, ma solo perché
non sapeva, non la conosceva, Vegeta invece era come lei: cattivo. Non avrebbe
mai voluto essere guardata da Crilin come la guardava Vegeta, e sarebbe finita
così, pensava, se gli avesse dato la possibilità di conoscerla meglio. Crilin era un balsamo per la sua autostima e non voleva smettesse
di considerarla perfetta! Vegeta, invece, aveva smesso da un pezzo; non avrebbe
avuto nulla da perdere, nemmeno lo amava più, a raccontargli la verità sul suo
conto, tranne che la propria dignità. L’orgoglio le impediva di compiere quel
passo e la paura di essere oggetto di un biasimo ancora maggiore. «Preferisco te!» «Allora dimostralo.» Era struggente non riuscirci, non ingoiare quel groppo di
tristezza che le occludeva la gola, il terrore e il disprezzo di se stessa le
aveva inaridito il ventre. Forse, per sempre. Decise di compiere l’ennesimo sforzo, timorosa di perdere Vegeta
oltre all’onore. Senza mai guardarlo negli occhi, restituì, toccandolo appena,
con grande sacrificio, tutte le attenzioni ricevute fino a quel punto, quasi
fosse un automa o una puttana in balia di un vecchio (il suo vecchio,
suo padre) molto poco attraente. Il disgusto che lei provava per se stessa
tornò ad assalirla e Vegeta lo interpretò rivolto a lui e quella rabbia divenne
sua, per la presa in giro ormai penosa. Involontariamente, Diciotto gli passò
la propria inadeguatezza, che corrose la sua sicurezza. Convinto di non essere voluto, che lei, disinnamorata, continuasse
solo per avere una casa in cui vivere, Vegeta iniziò ad indispettirsi; scansò
la ragazza, e dopo aver giocato lui stesso contro la propria eccitazione
svogliata, decise che era giunto il momento di averla finita una volta per
tutte. «Mettimi il preservativo.» Ordinò, per calarla nel ruolo in cui voleva
prendesse parte, quella dell’amante! E alla luce dell’invadente lampadina, le
scrutava il viso, imbruttito e vinto dall’ennesima battaglia psicologica di cui
Vegeta ignorava l’esistenza. Decisa a vincere almeno la guerra, l’algida C18 scartò con i denti
bianchissimi la protezione di lattice, gli occhi sfuggenti per l’imbarazzo e
per la paura dell’imminente fallimento: ogni tanto lanciava a Vegeta occhiate
furtive, il quale si dimostrava capace solo di fraintendere, una ad una, quelle
scorse fugaci. Non capiva, infatti, che Diciotto si era resa conto che i
piagnistei avrebbero dovuto finire quel giorno, non c’era in ballo solo la loro
prima volta, ma tutta la loro relazione, minata dall’ingombrante reato di cui
lei era stata macchiata. Se avesse continuato a non concedersi, se avesse
continuato a morderlo, avrebbe dovuto spiegare il motivo del suo rifiuto
psicologico e non voleva che lui la considerasse sporca. Allo stesso tempo,
però, desiderava arrivare con lui fino in fondo, per vincere il ripudio
maturato per se stessa. Eppure, sarebbe stato così semplice se gli avesse
spiegato tutto! O forse avrebbe complicato di più la situazione, non riusciva
proprio ad essere spensierata come quella Bulma. Non riusciva a decidersi e
dunque, restia, galleggiava nella sua farsa. Esaudito l’ordine, insolitamente
docile da sembrar colpevole, si stese di schiena, in attesa di accogliere
Vegeta nel suo ventre riarso e non illibato. Vegeta, indeciso, la guardò ancora per un istante. Per come gli
appariva la questione, C18 sarebbe stata pronta a concedersi riluttante pur di
avere un posto in cui dormire. Ed era questo il genere di giochetti che lo
infastidiva; per l’ennesima volta, Diciotto aveva un problema e aveva preferito
tacere: non era pronta, non era più innamorata, voleva solo vivere lì? Ebbene,
perché non dirlo apertamente invece di prenderlo per i fondelli? Non era forse
questo il rispetto? Infine, affondò con forza le proprie disillusioni, con spinte inesperte,
nell’inguine arido della ragazza, che lo accolse con dolore senza dirgli nulla.
Ed erano in due, ma Vegeta lo stava facendo da solo; iniziava già a spomparsi
per la passività di lei, finché riprese slancio non appena Diciotto spirò un
flebile, frastornante “basta”. Vegeta non si fermò, piuttosto proseguì fino a soddisfarsi in
quella bambola di gomma, poi lascivo, ad un orecchio, poco prima di scivolare
via le sussurrò: «Mi fai davvero schifo!» Restandole addosso, le strinse il
mento tra pollice e indice. «A me non importa un accidenti dove dormi, ma le
prese in giro mi fanno davvero arrabbiare.» Si levò dal letto, scese a terra.
Perché, tra tutti i modi possibili, aveva deciso di trattarlo così? Allora,
davvero, avrebbe dovuto violentarla quella volta per tutte? E adesso, era forse
accaduto di averla violentata? «Che cosa c’entra, cosa c’entra dove vivo io?» Balbettò lei,
cercando al contempo di pescare delle giustificazioni plausibili per quanto
appena successo. Talmente terrorizzata da dover spiegare tutto, non pensava ad
attribuire anche a Vegeta una fetta di torto. «Fosse stato per soldi avrei capito, chissà ti venga meglio.»
Racimolò qualche spicciolo dalle tasche dei pantaloni, e insieme a qualche
vecchio scontrino accartocciato, gettò tutto sul letto. «Tieni, magari ti viene
più voglia.» Aggiunse con ironia. Diciotto scansò le monetine, drappeggiandosi la coperta addosso,
si sollevò a mezzo busto. «Sei il solito poveraccio, prova a pagarmi di più, se
ci riesci!» Rispose all’insulto, tornando per un attimo la ragazza scontrosa di
sempre, contenta che la discussione avesse preso una piega diversa, nonostante
il bruciore tra le gambe. «Vuoi scherzare? È esattamente quello che meriti. Non sei stata
nemmeno in grado di fingere, non vali nulla nemmeno come puttana!» «E perché, allora, non l’hai fatto con la Brief? Sai già che ti
muore dietro ed è molto più puttana di me!» Non era affatto quello il momento di tirare in discussione la
mocciosa di casa Brief, «Coraggio, non c’è motivo di essere invidiosi delle sue
qualità, Diciotto.» Un ghigno seguì il suo insulto. «Ti basterebbe tanto così
per raggiungere il suo livello!» Il ghigno venne a sua volta seguito da una
strana espressione uggiosa, indecifrabile, rivolta a chissà quali pensieri. «Sai, è difficile riscaldarsi quando si finisce in tre minuti.» Lo
beccò Diciotto, riferendosi alla breve performance di Vegeta, che
sfilatosi e gettato il contraccettivo, iniziava già a raccogliere i propri
vestiti. «Eri talmente asciutta che mi si stava screpolando!» Avrebbero continuato a battibeccare per un bel pezzo, se Tarble
non avesse spalancato la porta sorprendendoli. Sentendoli discutere, non era
riuscito a resistere a quell’habit, proprio anche del fratello, di
origliare conversazioni di nascosto dietro una porta chiusa. Era rosso in viso,
quanto imbarazzati divennero anche Vegeta e Diciotto, seminudi, scoperti nella
loro intimità. «Turble, ma che accidenti ti salta in mente!» Esclamò Vegeta, con
un filo strozzato di voce, indossando velocemente un paio di jeans. Il ragazzino chiuse gli occhi, li riaprì, e chiuse di nuovo. «Cosa
le stavi facendo?» Strizzava uscio e porta tra le mani, grosse lacrime,
incastonate in quegli occhi neri, fissi sul fratello. «Cosa non mi stava facendo, magari.» Mugolò Diciotto, per
colpire l’orgoglio di Vegeta, e c’era un nota dolorante nella sua voce. «Né più né meno di quello che avrei fatto da solo.» «Ti accontenti di poco.» «Mi sono accontentato di te, infatti.» Sprezzante, agguantò poi il
fratello per una spalla e lo scaraventò sul letto. «Ma tranquilla, è arrivato
il tuo eroe, a faccenda finita, davvero tempestivo.» Non sapeva neanche più
cosa stesse dicendo, stizzito per l’intromissione del fratello, arrabbiato con
Diciotto, vomitava parole e insulti per distrarsi da quello che stava provando
in quel momento: schifo, di sé e di tutto il resto; aveva proprio colpito il
fondo, ed era stata una bella botta, perché si era lasciato prendere in giro.
«Coraggio, l’ho già pagata!» Lo esortò ancora, sferzando via le coperte con cui
Diciotto si stava coprendo. Le monetine tintinnarono a terra. «Che fai?!» Gracchiò la ragazza, tirandogli un calcio, mentre
cercava di non perdere la presa sull’ultimo lembo di stoffa che riusciva a
malapena a coprirla. «Smettila!» Riprese Tarble, «smettila, smettila!» E si gettò
contro Vegeta a pugni tesi, in lacrime: non ce la faceva proprio più a combattere,
era stanco ed era stanco di vedere il fratello così nervoso e di vedere Lazzuli maltrattata e maltrattarsi,
sempre più scontrosa ma, soprattutto, era stanco di essere un peso. Non aveva
avuto modo di conoscere Vegeta per bene, oltre le fugaci visite alla clinica e
gli riusciva difficile decifrare i suoi modi, ma era colpa sua se stava
perdendo giorni di scuola, se aveva smesso di nuotare, se dormiva poco per
reggere il passo con lo studio e, allo stesso tempo, era anche colpa di Vegeta
stesso che non riusciva a vincere le proprie noie per trovare equilibrio e
serenità. Tuttavia, la sopportazione di Vegeta si era completamente
lacerata. Era stufo di quello stupido impertinente e dei suoi piagnistei. E
aveva in bocca il sapore del sangue, perché Turble l’aveva colpito alla
guancia, ferendogliela internamente con l’apparecchio. «Ma che cazzo!»
Si liberò della sua rabbia, e scaraventò il bambino fuori dalla stanza,
sbattendo la porta. Si rivolse a Diciotto, «Rivestiti, altrimenti te la
spacco.» Il breve silenzio tra l’avvertimento di Vegeta e la risposta di
Diciotto, venne sconquassato dallo sbattere di un’altra porta, un tramestio, e
poi un’altra porta ancora: il portone di casa; Turble era fuggito.
E Vegeta corse via, trasportato dal vento di una decisione
fugace, inutile, sciocca. E l’idiota vestito da cowboy gli era già alle
calcagna, più abituato di lui a correre tre le dune del deserto, nonostante gli
speroni, che scintillavano al sole. Lui, invece, affondava nella sabbia come se
fosse mobile, arrancava, sotto i raggi cocenti di una giornata che avrebbe
segnato l’ennesima svolta nella sua vita e l’avrebbe ricordata per sempre, in
ogni suo piccolo particolare onirico. Come le caviglie all’improvviso bloccate
insieme, annodate da una fune con pesi alle estremità, delle bolas che
lo costrinsero a rotolare sulla sabbia bollente. Sputacchiando granelli,
strizzando gli occhi accecati dal riverbero, tentava di liberarsi quando due
ben noti stivaloni a punta riempirono il suo ridotto campo visivo, e dovette
arrendersi ad una pistola puntagli contro. «Sono Jaco Teirimentenpibosshi,
membro della P.G.S.CADASS.ILL, nientemeno che la Pattuglia governativa speciale
contro le armi d’assalto illegali. Non ti sorprende di avere avuto questo
privilegio?» Si presentò l’ometto dal volto coperto da un cappellaccio a falde
larghe. «Di che diamine parli?» Chiese Vegeta, molto più preoccupato del
mirino a laser che ora punteggiava contro il suo petto, piuttosto che della
misera pistoletta in mano a quel gringo bislacco. Avrebbe dovuto
capirlo subito che il suo abbigliamento era troppo sospetto! Peccato che il
senno del poi arrivi sempre in ritardo. Sollevò col pollice il bordo sudaticcio del cappello, unico segno
del caldo che stava sopportando con incredibile stoicità. «No dico, non ti
sorprende e allo stesso tempo inorgoglisce che proprio io, il migliore agente
che la Pattuglia governativa speciale contro le armi d’assalto illegali abbia
mai avuto, sia stato scomodato per scovare la tua intricata tratta mercantile?
Per la prima volta, grazie a me, siamo riusciti a coglierti sul fatto!» «Quelle armi non sono nella lista del protocollo internazionale,
posso venderle a chi mi pare.» Rispose Vegeta, colpito dall’ometto di età
indefinita che lo fronteggiava. Cercava di mantenere la calma, conscio che
qualsiasi movimento falso gli sarebbe valso la vita. «Allora perché sei scappato via, se credevi di essere nel giusto?»
Fu l’ovvia risposta di Jaco, che con un controllo sovrumano della situazione,
pareva nel bel mezzo di una normale conversazione. «Perché hai iniziato a fare troppe domande.» «Oh…» Jaco si grattò la testa. «Quindi credi che non saresti
scappato se non ci fossero state tante domande ad insospettirti? Insomma, avrei
potuto essere soltanto un compratore molto esigente. Ma in fin dei conti non mi
è dispiaciuto questo inseguimento, con questo sole che taglia l’orizzonte, è
stata una scena da film americano, anche se rivedrei il modo in cui sei caduto
a terra, di lato. Magari frontalmente, faccia alla sabbia, avrebbe aggiunto
quel tocco di comicità occidentale che non guasta mai.» Le parole di Jaco, unico fiume nel deserto, si susseguivano
rapidamente, montando a Vegeta un gran mal di testa. E perché diavolo quel
tizio si era vestito da cowboy? Mentre, incapace di accattare la sconfitta per mano di un
imbecille, iniziava a chiedersi se quanto stesse accadendo fosse vero o frutto
di una severa insolazione, quattro membri del Fiocco Rosso arrivarono a far da
ombra al folle del far-west e sollevarono Vegeta per le braccia. «Aspettate, ragazzi, aspettate un attimo!» Li richiamò il
pattugliatore speciale, prendendo il cellulare dalla tasca del marsupio a
frange. Vegeta già si dimenava e tirava calci per scappare, perché sapeva che,
accerchiato da così tante persone, il cecchino che lo teneva sotto tiro non
avrebbe rischiato a colpirlo in quel momento. Avventato nelle sue decisioni,
con il raziocinio accecato dallo smacco subito, non pensava che, se anche fosse
riuscito a liberarsi dalla presa, il tiratore lo avrebbe comunque colpito in
seguito. Tuttavia, serbava la speranza di servire a loro vivo e non morto. «Dite che c’è il tempo per una foto ricordo?» Blaterò Jaco, e fu
l’ultima cosa che Vegeta riuscì a sentire, prima di essere tramortito da un
colpo in testa.
Broth Street quella sera era tinteggiata dalle luci
della città in festa. Striscioni colorati serpeggiavano sulle pareti dei
palazzi e palloncini rossi, con su disegnata la facciona del nuovo sindaco,
volteggiavano qua e là dalle mani dei bimbini. Una calma piena di giubilo,
destinata a infrangersi in un tuffo nel canale dall’acqua nero pece. «Aiuto, qualcuno si è buttato nel canale!» Gridarono alcune voci,
e la folla già ondeggiava curiosa verso il punto indicato, in cui quel qualcuno
nuotava come un forsennato nella melma gelida. Un pezzetto di stoffa, una camicia bianca, galleggiava rigonfio
sulla superficie scura e frastagliata dalle bracciate di Vegeta. Il quale a
tratti risaliva, a tratti si immergeva per cercare il corpo di chi sperava di
trovare. Un tentativo davvero molto vano; tuttavia, risaliva e si immergeva e
risaliva ancora, maledicendo le esortazioni della gente, prendendo sempre meno
fiato di quanto ne avesse bisogno, finché non gli fu finalmente chiaro che
Tarble non sarebbe stato trovato. Stringendo la camicia, nuotò fino al bordo; scansò l’aiuto di
quanti glielo offrivano, e si sollevò sulla strada, riemergendo dalle emozioni
contrastanti che gli smuovevano il cuore. Non c’era tristezza sul suo volto
bagnato, ma l’amarezza di aver infranto la promessa di proteggere il fratello,
e il sollievo di averlo perso per sempre? «Cosa t’è saltato in mente? Volevi ammazzarti, forse?» Irruppe
Diciotto col fiatone, spintonando i presenti; indossava un vestito leggero
senza biancheria, per la fretta di dover correre fuori casa. Le gote erano
arrossate. Vegeta le gettò addosso la camicia zuppa. «Quell’imbecille si è
buttato in acqua!» La informò, e scorse dei poliziotti venirgli incontro. «Allora perché questa bravata? Proprio oggi, duranti i
festeggiamenti del nuovo sindaco.» Lo interrogarono. «Turble, credo sia caduto in acqua. Non sono riuscito a trovarlo.» «Accidenti! Non voglio saperne nulla, di questa storia!» Sbottò
Diciotto, accalorandosi, non tanto perché le importasse di Turble, quanto
perché non voleva essere coinvolta in altri problemi. «È tutta colpa tua,
Vegeta, non avresti dovuto parlargli in quel modo!» «E sta’ zitta
allora, chi ti ha chiesto niente?» Ruggì Vegeta, ma non chiedeva alla polizia
di salvare il fratello né di cercarlo. Le labbra, intanto, erano diventate
violacee per il freddo che grazie all’adrenalina non sentiva. Riprese ad
accusare Diciotto, con frasi sconnesse, e quella si difendeva, arrabbiandosi di
più e la polizia cercava di capire cosa fosse accaduto, chi dovessero cercare e
perché. «È scappato per colpa tua!» L’accusò infine. «Se invece di fare
l’indisponente come tuo solito, ti fossi limitata a stare zitta, non avrei
alzato la voce e lui non si sarebbe spaventato!» «Beh ovviamente è colpa mia! Chi l’ha scacciato, eh? Non io!» Sopraggiunsero i paramedici, scortati dalle sirene dell’ambulanza,
diedero una coperta a Vegeta, e invitarono lui e Diciotto a calmarsi, che
avrebbero cercato presto il loro cane. «È mio fratello!» Esclamò,
esasperato, Vegeta. «Ho perso mio fratello.» Ripeté subito dopo, stavolta,
atono. Credendolo sotto shock, i paramedici gli controllarono le pupille, gli
sistemarono addosso la coperta che continuava a togliersi “assicurava di
sentirsi assolutamente bene”, a discapito del viso pallido e delle labbra
viola. Lo accerchiavano, come sarti intenti a cucire un abito ad un cliente
irrequieto. E lui ribadiva di stare bene, e Diciotto gli sputava addosso mille
improperi e lui le rispondeva, accusandola ora senza rabbia, ora con solerzia. La confusione durò fino al momento in cui qualcun altro non fece
la propria apparizione. Il signor Freezer, vestito di bianco, incedette
rabbioso verso il proprio protetto, «Vegeta.»
Continua…
Ringrazio tutti di essere arrivati a leggere
fin qui, spero questo piccolo spin-off sia stato di vostro gradimento. E mi
scuso anche per il ritardo, ma in questo periodo sono davvero impegnatissima,
cercherò comunque di postare il prossimo capitolo appena possibile! :)
PS: una menzione speciale per Died, che mi ha suggerito il cowboy per
Jaco!
I hope it doesn’t show It’ll go’way It’s just a passing phase It’ll go’way
(Sparks, Angst in My Pants)
Gli pizzico via una delle cuffie del
walkman e la rilascio contro il suo orecchio. «Non credo
intendessero questo per socializzare!» Ha dipinta addosso
l’ombra ondeggiante della grande quercia sotto cui è
seduto.
«Quell’imbecille si è sparato addosso, non ho motivo
di continuare quest’idiozia» Risistema le cuffie e alza il
volume della musica metal che sta ascoltando. Riesco a sentirla fin
qui. Non è esattamente così che deve andare; non ho
organizzato tutto questo per farlo stare tutto solo sdraiato
sull’erba! Gli punto il fucile contro. «Torna
immediatamente dagli altri o giuro che ti sparo.» Mi ero anche
premunita che lui e Goku capitassero in squadre differenti, pur di
coinvolgerlo. E invece il cretino preferisce starsene per conto suo,
senza nemmeno aver capito quanto mi stia impegnando per impedirgli un
esaurimento nervoso. Vai a fare bene, Bulma, vai a fare bene.
Allarga la braccia, schiacciando la schiena contro il tronco
dell’albero. «Accomodati, mi faresti solo un
piacere!»
«E vorresti che tutti sapessero che ti ha fatto fuori una donna?»
«Io vedo solo una mocciosa!»
«Stai molto attento» Minaccio una fucilata in mezzo alle
sue gambe. «O darò alla tua smorfiosetta un altro motivo
per starti alla larga.» Non che abbia visto Diciotto rivolgergli
la parola, anzi, credo non si siano nemmeno salutati. Dovrò
indagare su questo.
Vegeta afferra la canna del fucile e con forza mi spinge indietro.
«Falla finita, Brief! Perché invece non vai a puntare il
sedere tra le gambe di quel troglodita che ti porti appresso? Almeno
glielo fai annusare un po’!»
«Sei tu il troglodita e diventi ogni giorno più
volgare.» Mi chino su di lui, sorrido mentre gli dico: «Lo
sconforto ha quest’effetto su di te?»
«Guarda che sto benissimo.» Rimbrotta visibilmente
infastidito. Ovviamente sta mentendo! Come potrebbe stare bene? Nel
giro di pochi mesi ha perso tutto, suo fratello è scomparso e
non credo sia contento della sua nuova sistemazione.
«Mah, non direi, hai una faccia da funerale!»
Noto le sue mascelle irrigidirsi come la nostra conversazione. «Notizie di tuo fratello?» Riprendo.
«Allora le hai o no, notizie di tuo fratello?» Domando ancora, scocciata, visto che lui non si decide a rispondere.
«Non le ho.»
«Beh potevi dirlo subito!» Gli si devono sempre cavare le
parole di bocca. «Cosa credi gli sia successo?»
Mi guarda di sbieco un instante, con rimprovero, ma non controbatte.
Ovviamente. «Beh ne è passato di tempo, un’idea
dovresti averla, Vegeta.»
«Sei venuta a farmi il terzo grado?» Sbotta, senza neanche provare a mantenere la calma.
«Ma perché ti agiti, volevo solo sapere come andasse. Una
domanda più che lecita!» Puntualizzo, senza rendermi conto
della mia indelicatezza.
«Ti ho già detto che mi trovo benissimo.» Scandisce tra i denti, come un cane pronto a ringhiare.
«E ti trovi benissimo anche da tuo zio?»
«Meglio di ogni aspettativa.» Afferma con un sorrisetto altezzoso.
«Meglio della notte che ti ha fatto passare al fresco?»
«Ho infranto la legge.» Scandisce ogni parola come se
pesasse un macigno. Certo deve costargli parecchio difendere il parente
piuttosto che darmi ragione. Chi mai avrebbe lasciato il nipote una
notte intera in galera, piuttosto che pagare la cauzione?
«E poi che accidenti ci facevi in Brothel Street a
quell’ora? Ti cercavi una ragazza forse?» Scoppio in una
risata nervosa. Ne hanno parlato per giorni a scuola, di come Vegeta si
sia lasciato coinvolgere in una rissa in una via poco raccomandata
della città; la voce sia stato per una ragazza, probabilmente
una prostituta, ha stuzzicato la fantasia di molti (e la mia), rendendo
la faccenda ancora più misteriosa e piccante. Questo, ed altri
episodi, hanno portato i genitori degli studenti a chiedere che fosse
cacciato da scuola, bollato come influenza troppo negativa per noi
poveri piccoli pargoli. Fortunatamente il preside Satan ha convinto
tutti che, con un adeguato programma di socializzazione, Vegeta avrebbe
affrontato in maniera più sana e civile gli eventi tragici degli
ultimi mesi. Sfortunatamente il preside Satan non ha calcolato che
Vegeta non vuole amici intorno, ci considera tutti una seccatura.
Altrimenti non starebbe in disparte invece di giocare a paitnball nel
torneo tra scuole. Non gli permetterò di considerarmi una
seccatura. Ma che accidenti ci faceva a Brothel Street?
«Non sono affari tuoi, piuttosto perché non torni a socializzare?»
«Vuoi scherzare? Ho sentito Marion lamentarsi per un grosso
livido sul braccio. Non ho intenzione di ridurmi ad uno straccio, poi
ho dimenticato la crema solare.»
«La crema solare?» Ripete incredulo. Bisogna spiegargli sempre tutto, ai ragazzi!
«Certamente, la crema solare! La metto sul viso ogni giorno per
rallentare l’invecchiamento cutaneo, ma stamattina l’ho
dimenticata. Sinceramente credevo ci fosse stata più ombra nel
campo, meno male che qui ce n’è!» Siamo sotto un
albero ai margini di una foresta. «Ci siamo allontanati un bel
po’ dal gruppo.» L’ho seguito fin qui non appena
l’ho visto allontanarsi. Mi spoglio del fucile e mi siedo accanto
a Vegeta, che nel frattempo ha abbassato il volume della musica.
«Dici davvero un mucchio di fesserie.» Borbotta mentre
considera il cielo non esattamente limpido.
Poggio la mano su qualcosa di viscido e molliccio. «Ah! Ma
cos’è questo schifo?» Urlo all’improvviso
mentre, alzandomi, scaravento via una lunga lumaca bianca che finisce
addosso a Vegeta. «Che schifo, che schifo!» Strozza lui con
un filo di voce balzando in piedi. Le mie urla si trasformano in una
fragorosa risata, nel vederlo blu di paura per una cosa che striscia.
«Odio le cose che strisciano perché me l’hai gettato
addosso!» Si lamenta su di me tutto d’un fiato,
infastidito.
«Ah ah ah, ma non l’ho fatto di proposito! Ho agito di istinto! Ah ah ah Non sapevo che…»
«Stupida, non è una lumaca!» Mi interrompe,
indicando con il suo fucile di vernice quell’essere immondo,
fluorescente in contrasto con l’erba verde e scura. Raccoglie con
la punta della canna ciò che avevo scambiato per un animale e me
lo agita davanti.
«Cosa credi che sia?» Domando.
«Un preservativo usato.» Sghignazza, ma allo stesso tempo
arrossendo, e me lo getta addosso per ripicca. Faccio un passo indietro
disgustata.
«Lo sapevo benissimo…» borbotto menzognera, non
vorrei mi prendesse per un’ingenua. «Non credere sia il
primo che veda!»
«Ah sì? Ne hai visti tanti suppongo.»
«Certamente.» Dall’espressione divertita di Vegeta mi
rendo conto di quanto le mie parole siano suonate male, dando spago ad
un seguito di battutine. «Mi chiedevo solo cosa ci facesse un
preservativo usato in un posto sperduto come questo!»
«Davvero non ci arrivi?»
Sto per rispondergli per le rime ma una prima goccia di pioggia mi cade
sulla guancia. «Sta per iniziare a piovere, sarebbe meglio
raggiungere gli altri.» Dico invece. Raccolgo il fucile in spalla
e prendo al strada del ritorno, seguita da Vegeta.
«Ti stai sbagliando, stupida! Non è affatto questa la strada per il campo!»
«Vuoi smetterla di chiamarmi stupida? Sei davvero uno zuccone, se
prima mi avessi dato retta invece di girare al pioppo…» Mi
guardo intorno sperduta; le cime degli alberi sono incappucciate dal
vespro.
«Quello non era un pioppo! E comunque era la direzione giusta.»
«Allora come mai non ti ricordavi del bivio?» Sistemo il
fucile; la cinghia bagnata mi pesa contro la spalla, tirandomi la
pelle, scommetto che mi lascerà un segno orribile.
«Tu invece te ne ricordavi benissimo, visto che, ora, non sappiamo dove ci troviamo.»
Ci fronteggiamo sotto la pioggia divenuta copiosa. Siamo completamente
zuppi e sporchi di fango. Un fulmine mi fa sobbalzare. «È
tutta colpa tua, Vegeta! Se non ti fossi allontanato non sarei stata
costretta a seguirti, e adesso staremmo con gli altri per la via di
casa.» Mi lamento spaventata e infreddolita. Questo stupido!
Doveva per forza addentrarsi nella foresta?
«Nessuna ti ha obbligata a seguirmi.»
Un altro fulmine, più forte di prima scuote la foresta.
Così, spaventata, salto addosso a Vegeta. «Moriremo qui,
colpiti da un fulmine!» Piagnucolo, stringendomi a lui. Sotto le
dita, sento le sue spalle tra i vestiti bagnati.
«Te le inventi tutte per strusciarmi addosso!» Rimbrotta lui, seccato, sotto un manto di pioggia.
«Tra poco sarà buio e non vedremo più
niente.» Continuo a lamentarmi senza speranza. Addio bella chioma
cotonata, addio stivaletti nuovi di pelle ora rovinati dal fango, addio
pelle di pesca! «Sei davvero un cretino; sei il solito testone;
non potevi restare a giocare con noi? Devi sempre fare
l’asociale! Sei un cretino, un testone!» Gli puntello dei
pugni ben serrati sul petto, piango di disperazione sotto la pioggia;
vorrei procurargli del male fisico, ma i suoi bicipiti da nuotatore
smorzano l’effetto di ogni mia molestia. Mi rendo conto di essere
ancora tra le sue braccia quando sento le sue mani scivolarmi sui
fianchi. Allora smetto di dimenarmi e lui mi dice: «Ho detto che
conosco la strada.» È un tono rassicurante; è il
suo modo di promettermi che mi avrebbe riportata a casa. Si scosta
avviandosi verso destra. Ed in quel momento sentiamo un
chiacchiericcio, preceduto da una luce, proveniente da sinistra: sono
tutti i miei amici, più quella smorfiosa di Diciotto.
Goku è in testa. «Urca, finalmente vi abbiamo
trovato.» Agita la torcia contro Vegeta, che pare infastidito dal
risvolto della situazione. «Vegeta, stai andando dalla parte
sbagliata, il campo è di qua.» Specifica inutilmente Goku,
illuminando lo sguardo torvo di Vegeta. Le lenti degli occhiali
riflettono la luce.
«Ah ah è stato grazie alle urla di Bulma!» Precisa
Crilin, da sotto un ombrello, come se ne avesse bisogno per non
bagnarsi i capelli. But when you think you made it disappear
It comes again, “Hello, I’m here”,
And I’ve got angst in my pants
«Eh eh e quindi mi chiedevo, sempre se per te va bene, Vegeta, di chiamare Diciotto sul banco dei testimoni.»
«Il caldo ti ha dato forse alla testa?» Ringhiò
Vegeta, battendo i pugni sul tavolino bianco della sala incontri del
carcere di Orange City, il rumore delle catene che ha i polsi lo fa
sembrare ancora più furioso; l’arancione della tuta da
carcerato, attillata contro i suoi muscoli, lo rende più
spaventoso.
«Oh andiamo, ne è passata di acqua sotto i ponti, ormai ti
avrà perdonato la tua cotta per Bulma!» Affermò con
ingenuità l’avvocato Son Goku, rimestando alcuni documenti
sul tavolo.
«Cosa vai blaterando?» Tuonò di rimando Vegeta, affatto contento degli advice del suo avvocato.
«Coraggio! Lo avevamo capito tutti che sotto sotto...» In
realtà non aveva mai capito un bel niente, era stata Chichi a
farglielo notare, ai tempi della scuola e, anche allora, Goku, non ci
credette del tutto. «Ora avresti più possibilità,
visto ti sei fatto più carino!» Era evidente il
riferimento all’assenza di occhiali e dell’apparecchio
ortodontico. «Piuttosto, quando ti sei tolto gli occhiali?»
Questa volta i colpi di Vegeta sul traballante tavolino furono forti al
punto che una delle guardie si decise a sbirciare, timidamente, dalla
porta e a chiedere «Tutto ok?», prima di socchiudere la
porta ad un cenno di assenso di Goku, che agitava le braccia in aria
per indicare di lasciar correre.
Il detenuto numero 204-5 non era affatto un tipo raccomandabile. La
guardia ne aveva sentite di storie su di lui! Alla TV si diceva che era
stato in una prigione per terroristi, che di crimini efferati ne aveva
compiuti a iosa e se tutto questo era vero, aveva senso che, lì
in prigione, gli altri detenuti avessero paura di lui. Basta guardarlo
per capire quanto sia colpevole! «Insomma Vegeta, basta
guardarti per capire quanto tu sia colpevole!» Continuava,
intanto, la conversazione tra detenuto e avvocato. «Abbiamo
bisogno di qualcuno che dica apertamente il contrario!»
«Ma è proprio questo il punto, imbecille! Credi davvero
che Diciotto dirà quanto io sia irreprensibile? Poi che intendi
che basta guardarmi?» Sfumò di rabbia Vegeta, per nulla
convinto della strategia di Goku. Aveva ancora dei conti in sospeso con
Diciotto, per via del chip che lei stessa aveva consegnato a Bulma, ma
da lì a chiedere una deposizione favorevole, beh come aveva
detto Goku “ne era passata di acqua sotto i ponti”.
«Non soffermiamoci sui dettagli, adesso, ci penserò io,
fidati di me.» Sgomitò Goku, contento e ammiccante.
«Non mi fido della la tua laurea per corrispondenza.»
«Ehi, adesso non essere ingiusto, ho impiegato ben 207 giorni per ottenerla!»
But when you’re all alone
And nothing bites
You’ll wish you stayed home
With someone nice
Chichi punta il dito verso Crilin. «Nana inizia ad
abbaiare». Nulla. «E Nana inizia ad abbaiare!» Nulla,
ancora.
Percorre, scandendo con rabbia ogni
passo, la distanza che la separa da un sognante e sospirante Crilin;
gli dà un colpo in testa con il fascicolo arrotolato che ha in
mano. «Ho detto, che Nana inizia ad abbaiare!»
«Oh! Ah ah scusami Chichi!» e l’abbaiare isterico di
un Chiwawa impazzito si espande dalle casse dello stereo per tutto il
teatro.
«Stoppalo, stoppalo!» Inveisce ancora la ragazza, colpendo
più volte l’amico con il fascicolo. «Ma
cos’è?» Interroga Chichi, tra sghignazzi e risate
degli altri studenti.
«Beh è quello che passa l’archivio della scuola…» Si giustifica Crilin.
«Beh e io ti avevo detto di registrarlo tu il suono! Altrimenti
che tecnico del suono saresti?» Il nervoso che di secondo in
secondo le cresce dentro si attacca alle sue parole formando
un’unica frase. Oggi le prove sono un disastro! Con
l’avvicinarsi degli esami pare che tutti abbiano una scusa per
distrarsi e saltare le prove; ma dubito che Yamcha stia passando il
pomeriggio a studiare.
«Ma… ma… dove lo trovo l’abbaiare di un San
Bernardo?» Balbetta Crilin. «Poi hai visto quanto sono
grossi? Non vorrei mai farne arrabbiare uno!»
«Già, non sia mai ti morde il naso!» Lo rimbecca
Chichi, colpendolo ancora con lo script di Peter Pan, di cui è
regista per la recita di fine anno. Crilin tenta di scamparla
stirandosi sui pulsanti della sua postazione, riparte il Chiwawa
isterico per aver premuto play inavvertitamente.
«Mi dà sui nervi, mi dà sui nervi!» Questa
volta Chichi se la prende con la console, pigiando tutti i tasti fino a
ristabilire il silenzio. Lo stress degli esami le sta dando proprio
alla testa. «Uff…» Sospira, una volta spento lo
stereo. «Vorrà dire che il San Bernardo lo farai tu,
Crilin.»
«Eh?»
«Hai capito benissimo! Va’ a registrarti mentre fai il suo abbaiare.»
«Ma…ma… ma Chichi, non ho idea di come faccia un San Bernardo!»
«Sai già che non è un Chiwawa isterico.» Pone
fine alla discussione, mentre forza Crilin ad alzarsi. «E trovati
un registratore decente!» Letteralmente lo caccia via.
Sbam! Un libro, dal soffitto, le cade vicino schivandola per una
manciata di centimetri. Lo raccoglie e lo scaraventa in platea con la
stessa velocità con cui le si gonfia la vena che ha in fronte.
Il libro, Utopia, colpisce una sedile dividendosi dalla copertina
rigida.
«Ehi ma che cazzo fai?» Impreca Vegeta da sopra il soffitto.
«Tu che cazzo fai, Vegeta!» Chichi, mani ai fianchi in posa
bisbetica, è quasi comica nell’aver pronunciato una
parolaccia. «Non darò nessuna buona opinione su di te, se
credi che stare appollaiato lì sopra senza far nulla sia
abbastanza.» Ma Vegeta è già sceso dal suo
iperuranio di legno per riprendere il libro che gli era caduto di mano.
«È pieno giorno, che luci vuoi che usi, nemmeno si vedono per terra.»
«Sei qui per impratichirti.» Rimarca Chichi, rivolgendosi a lui, meno spavalda di prima.
Vegeta risale sul palco, pare arrampicarsi alla grata di luce e polvere
che i finestroni gli proiettano addosso. È così bello!
Sussurra la nostra Mrs Darling a Campanellino, Già
quell’aria inquieta da bel tenebroso gli si addice proprio.
«Volete stare zitte?» Le riprendo tutte e due. Sono mesi
ormai che Vegeta scombussola gli ormoni agitati delle ragazze a scuola.
Prima nessuno lo considerava tanto attraente.
«Guarda che non siamo a Broadway.» Dice Vegeta a Chichi.
«Scusa tanto se ci tengo ad una bella figura per tutti.»
«E la farai fare anche a me.» Le è minacciosamente vicino Vegeta, mentre riscalda una mano in un pugno.
«Solo se inizi a collaborare come tutti.» In realtà
“tutti” aveva smesso di collaborare da un bel po’.
«Ti ho già spiegato che le luci non si vedono, come faccio a regolarmi?»
«Allora vuol dire che per oggi farai la parte di Yamcha!»
Butta avanti Chichi, facendo però un passo indietro.
«Scordatelo!»
«Neanche per sogno!»
Controbatte Chichi, pronta a tirargli contro lo script, prima che una
voce interiore la bloccasse: l’istinto di sopravvivenza la
trattiene. «Tieni.» Gli porge il fascicolo. «Devi
solo leggere da qui, così Bulma ha modo di ripetere la sua
parte.»
Vegeta mi rivolge un’occhiata fugace e accetta infine il compito
senza dire più nulla. Campanellino e Mrs Darling si sgomitano a
vicenda in un apprezzamento del suo sedere.
You can dress nautical Learn to tie knots
Takes lots of Dramamine
Out on our yacht
But when you’re all alone
And nothing bites
You’ll wish you stayed at home
With someone nice
You’ve got angst in your pants You’ve got angst in our pants
«Convinceremo anche tuo fratello a collaborare.» Affermò Cell guardandola negli occhi.
«Non è poi così difficile da accettare!» Si
innervosì infine, stanco di quella tiritera. Diciotto distolse
lo sguardo, per quanto il suo mento restava tra le dita di Cell. Dietro
di lei il gocciolio dal soffitto della rimessa, in cui l’avevano
condotta. Era un ambiente umido e freddo, come la famiglia da cui lei e
Cell provenivano.
«Dieci milioni. Voglio dieci milioni.»
You can be smart as hell Know how to add
Know how to figure things
On your yellow pads
So no one knows what you just said
But it’s mumbling now
“You’ve got angst in your pants” And “You got angst in your pants”
Sbircio da sotto le coperte polverose
del mio letto di scena. É palese che si sta vergognando da
morire, ha gli occhi fissi sul copione. «Campanellino, dove
sei?» Legge svogliatamente Vegeta, con voce mono-tono.
«Vieni fuori da quel cassetto.»
«Fantastico, davvero, si capisce che ci stai mettendo l’anima, Vegeta!» Lo rimprovera Chichi.
«Se non ti sta bene trovatene un altro.»
«No ma continua, va benissimo.» Lo canzona Chichi, terribilmente scocciata.
«Ma chissà dove l’avranno messa, tra tutte questa
scatole.» Riprede ringhioso Vegeta mangiando le parole tra i
denti. Con una mano regge lo script, con l’altra rimesta degli
oggetti a terra. Sta cercando la sua ombra. La sua coscienza persa?
«Eccola.» Non esclama, è annoiato. «Mica devo
indossarle!» Chiede poi a Chichi in un guizzo d’ansia,
brandendo in aria un paio di collant neri.
«Devi attaccarle ai piedi con quella!»
«Una saponetta?»
«Vuoi attenerti al copione?»
«Smettila di darmi ordini o me ne vado subito!» Lo scorgo
sedersi a terra, borbottando qualcosa di incomprensibile mentre tanta
di attaccarsi addosso la sua ombra. Ma non sarà così
semplice riattaccarla.
È il mio momento. Mi sveglio, scendo dal letto. «Ragazzo,
perché piangi?» Gli chiedo dolcemente, nelle vesti di
Wendy.
Peter svetta in piedi e si volta verso di me. Non ricorda cosa dire,
sbircia il copione non trovando dove era rimasto. «Come ti
chiami?» Chiede infine.
«Wendy Moira Angela Darling. E tu?» Siamo in un cono di sole.
«Peter Pan.» Mi guarda negli occhi.
«È tutto?»
«Sì.»
«Mi dispiace.»
Esita. «Non importa.»
Mi sudano le mani, continuo a guardarlo negli occhi. «E da dove vieni?»
«Seconda stella a destra.» Dice, si perde un attimo, aggiunge: «E poi dritto fino al mattino.»
«Che indirizzo curioso!» Ridacchio, coprendomi il viso con le mani. «Dove le riceverai le lettere?»
«Non ricevo mai lettere.» Risponde lui tutto serio.
«Ah no? E tua madre, non riceve lettere?»
«Non ho una madre.» É la paradossale verità dei fatti.
Mi avvicino di un passo. «Allora non mi stupisce che stessi piangendo.»
«Non stavo piangendo.» Risponde burbero. «Stavo solo
cercando di riattaccare questa cosa… la mia ombra.»
Borbotta, tentando di ricordare il copione.
«Non hai più un’ombra?» Una coscienza?
«No.»
«Che cosa orribile.» Sussurro. «Se vuoi ti aiuto
io…a ritrovarla.» Raggiungo un cassetto e fingo di cercare
ago e filo. «Ecco. Te la cucirò addosso!» Gli torno
vicino. «Potrebbe far male.» Lo avverto.
«Correrò il rischio.» Dice Vegeta.
Ci sediamo a terra. Gli tocco una gamba per fingere di stare ricucendo
la sua ombra. Lo vedo arrossire e poi scatta in piedi.
«L’ho sistemata!»
«Come se io non avessi fatto nulla.»
«Beh non sei del tutto inutile.»
.«No, non lo sono affatto.»
«Il più delle volte.»
Ma che state dicendo? Ci sussura Chichi
Non so più se stiamo recitando o meno, ma devo correre offesa verso il letto.
«Aspetta, non andare via!» Riprende la parte Vegeta,
leggendo. Legge ancora e ma non dice nulla. Rilegge e, senza
distogliere lo sguardo dal copione, è costretto ad ammettere:
«Non posso che fare il galletto quando sono soddisfatto di me
stesso.» Sento Goku ridacchiare nel suo costume da bimbo
sperduto. Offesa mi butto sul letto, coprendomi con le lenzuola. Come
da copione.
«Bulma, cioè Wendy… aspetta!» Sempre
più rosso, mi raggiunge sul letto. «Non sei affatto
inutile.»
Mi scopro il viso. «Lo pensi sul serio?»
«Vado via, vieni con me.» Dice, ma non è esattamente la linea del suo copione. Mi metto seduta.
«E dove?»
«Non lo so.»
«Tra le stelle!» Lo corregge Chichi dagli spalti.
«È tutto sbagliato, mettici un po’ di impegno,
Vegeta!»
Ho nel pugno sudaticcio il ditale che Wendy dovrebbe dare a Peter Pan.
«Sono così felice che vorrei darti un bacio.»
Balbetto, avvicinandomi al suo volto, chinato sul copione.
Vegeta si scosta. «Un bacio?»
«Certamente saprai cos’è un bacio.»
«Lo saprò quando me lo darai.» E al diavolo il
ditale! Afferro Vegeta per le spalle e mi getto sulle sue labbra, che
sento irrigidirsi come i suoi muscoli.
«Ma no, no! Bulma, il ditale!» Chichi schizza in piedi furiosa. «Dovevi prima dargli il ditale.»
Vegeta poggia a sua volta le mani alle mie spalle a mi allontana via. È visibilmente imbarazzato.
Dopo cena, ricevo una visita da
Vegeta, scortato in camera mia da mia madre. Inutile dire dove mi sia
saltato il cuore nel vederlo. «Vegeta? Che ci fai qui?»
Chiedo una volta soli.
«Non trovo più la mia ombra.» Spiega, lasciando lo
zaino a terra, in un tonfo. «Speravo me la riattaccassi, sempre
se riesci a resistere dal saltarmi addosso.» Mi prende in giro.
«Guarda che non avevo nessuna intenzione di baciarti, era nel copione, ho solo confuso le scene.»
Si avvicina allo stereo «Che musica di merda ascolti.» Alza
al massimo il volume, I hope it doesn’t show, it’ll go away,
Give it hundred years, it won’t go away. Si avvicina e mi blocca
alla sedia poggiando le mani sulle mie spalle. Ha addosso uno strano
odore dolciastro. Non mi guarda negli occhi mentre le sua dita
percorrono le mie braccia nude. Mi costringe ad alzarmi in piedi. You
can be as smart as hell, but when you are all alone you and your
head… Mi cinge i fianchi come quella volta nel bosco ma, questa
volta, spinge il bacino contro il mio.
«È davvero eccitante.» Dice e riesco a sentirlo
contro il mio corpo. «Non capisco come abbia fatto a non pensarci
prima.» Non solo del tutto sicura a cosa si riferisca; mi fa
quasi paura: ha lo sguardo piretico di un pazzo. Allo stesso tempo,
però, resto incollata al suo corpo. È così diverso
dal ragazzo che oggi arrossiva per un bacio. «Vegeta.»
Mormoro, mentre lui mi solleva da terra e mi porta sul letto. Mi pesa
addosso, allungandosi su di me, mentre con una mano, da sotto il mio
sedere, mi tiene attaccata a lui; affonda il viso tra i miei capelli.
Perdo il controllo quando inizia a baciarmi sul collo, l’altra
mano sul seno. Forse dovrei dirgli che per me è la prima volta,
non avrei dovuto fare la spavalda nel bosco. Le mie mani, tuttavia,
cercano già la sua cintura, i bottoni dei jeans. Lo voglio
così tanto che ho perso ogni freno inibitore!
«Bulma.» Chiama il mio nome, sfiorandomi un orecchio con le labbra.
Sento un fremito e inarco la schiena. «Oh Vegeta.» Sospiro languidamente.
«Ho bisogno di soldi.» Dice prima di ridermi addosso. Mi
stava prendendo in giro? Sono bloccata dal suo peso, ma riesco a
tirargli una testata. Ha l’effetto di farlo ridere ancora di
più, mentre si rigira sul letto, leccandosi il sangue sul labbro.
And you’ve got angst in your pants, and you’ve got angst in your pants.
«Ben ti sta! Perché lo fai? Eh? Sei proprio uno
stronzo!» Gli urlo contro, riempiendolo di pugni ma lui ride
ancora una risata perfida e gutturale. Poi, le sue labbra si schiudono
in un ghigno. «Allora è vero che ne hai visti già
molti.»
«Il tuo non mi interessa proprio.»
«Ne sei sicura?» Ride ancora, indicandosi i pantaloni che
gli ho sbottonato. Noto che è ancora eccitato, ma cosa diavolo
gli passa per la testa? Gli tiro una gomitata, e pensare che fino a
pochi minuti fa mi sarei concessa a lui per la prima volta!
Si riabbottona e si mette seduto. «Allora?»
«Allora cosa?»
«I soldi.»
«A che ti servono, di grazia?» Sono così furiosa.
«Pensavo di avertelo già detto questo pomeriggio. Sto andando via.»
«Dici sul serio?» Domando sorpresa. «E dove pensi di andare?»
«Tra le stelle.» Scimmiotta la battuta che avrebbe dovuto
dire oggi pomeriggio. Si alza in piedi e raggiunge lo zaino.
Afferratolo, ne svuota l’intero contenuto sul letto, compresa una
bustina quasi finita di Blutz Wave, la droga che aveva tentato di
vendere al concerto di Diciotto. Ci sono anche sette sfere gialle con
delle stelle disegnate nel mezzo. «Cosa sono?» Non menziono
le Blutz Wave, dalle quali, tuttavia, capisco il perché del suo
comportamento accelerato.
«Le ho rubate a Freezer. Sono
reperti archeologici molto importanti, che lui non può
dichiarare di avere perché le ha rubate a sua volta. Vendendole
avrò tutti i soldi che desidero.»
Sono dubbiosa. «E non pensi che
così facendo riuscirà a trovarti? Probabilmente ha
già scoperto che le hai prese.»
«Impossibile! È in viaggio d’affari, adesso,
tornerà tra una settimana; mi ha lasciato solo.
Quell’idiota mi sottovaluta sempre. Ma avrà una bella
sorpresa quando tornerà a casa.»
«E allora i mie soldi a cosa ti servono?» Continuo a
domandare incredula. Vorrei prenderlo a schiaffi fino a renderlo sobrio.
«Perché ovviamente ho bisogno di soldi per il viaggio e
non posso venderle adesso e non tutte insieme. Le venderò
separatamente al mercato nero, in giro per il mondo. Nessuno gli
dirà mai di averle, perché vorranno venderle a loro
volta. A quel punto le mie tracce si saranno perse. E un piano
perfetto!» Conclude, iniziando a raccogliere le sfere.
«Così sei venuto qui per questo.» Affermo. «Non tornerai più?»
«Chissà.»
«E la scuola?»
«Al diavolo!» Impreca in uno scoppio euforico. «Mi aiuti o no? Inizio a spazientirmi.»
«E va bene.» Mi alzo per prendere la borsetta, ho 50,000
zeni nel portafoglio. «Al momento è tutto quello che
ho.» Glieli porgo ma ferro la stretta quando lui prova a
prenderli.
«Chiedimi di venire con te, Vegeta.»
Studia la mia espressione, cerca di capire se si tratta davvero di un ultimatum. «Vieni pure.»
«Chiedimelo.» Insisto.
«Bulma tesoro, volete dei biscotti con del tè?»
Interrompe mia mamma da dietro la porta, costretta ad alzare la voce
per via della musica. Me l’immagino con il vassoio e i pasticcini
al burro.
«No, grazie!» Rispondo,
mia madre è sempre così inopportuna! Allento la presa sui
soldi e Vegeta ne approfitta per sfilarmeli via.
«Prendo il treno delle cinque per Yellow City, dalla Stazione
Ovest.» Dice, per l’ultima volta; apre la porta, afferra un
biscotto e vola via.
But when you’re all alone And nothing bites You’ll wish you stayed at home With someone nice
Continua....
PS: tutte le scritte in Italico sono prese dalla canzone degli Sparks citata nel sottotitolo.
PPS: spero questo capitolo sia stato di vostro gradimento e, se potete,
perdonatemi qualche svarione: non scrivo da quasi due anni! Avrei anche
voluto impreziosire il capitolo con qualche descrizione in più o
sinonimi, ma tant'è, devo riprenderci la mano e più di
questo non so fare! xD