Immortali

di Espero
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il Magnifico ***
Capitolo 2: *** Se una notte d'inverno un viaggiatore ***



Capitolo 1
*** Il Magnifico ***


Canzone di mezza notte… Con questo nome mi piace chiamare quella nox animae in cui Lorenzo, prima di morire, si aprì a me per la prima ed ultima volta. Da allora è passato tanto tempo e vivo di un ricordo che nemmeno mi appartiene. Quando chiudo gli occhi sul presente e ripenso alla notte tra il sette e l’otto Aprile del 1492 non riesco a ricordarmi protagonista e mi sento come uno spettatore che assiste attonito ad una rappresentazione teatrale. Dunque chiudo gli occhi, buio in sala, abbiate pazienza, immortali uditori, di ascoltar la mia “Canzone di mezzanotte”. Il sipario si apre lentamente su un palco scarno, illuminato da una debole e soffusa luce blu. Il vago bagliore si fa più intenso ed ecco delinearsi un misero trono di legno, posato al centro della scena, che dà tutta l’aria di essere molto scomodo. Il palco tace e l’ombra di un vecchio claudicante entra in scena. Cammina lento, tossisce rumorosamente avvolto nel suo pesante manto e, giunto al trono, vi si rannicchia come un bimbo nel ventre materno. Tossisce ancora e con voce piana e rauca inizia: “Sono stanco, sono vecchio, sono malato. Per quarantatrè anni sono stato “il De ‘Medici”, “il Magnifico”, “il Principe”, “il Nemico”. In un’ epoca in cui l’uomo si riscopre uomo, in cui capisce che Dio lo predilige e lo ha messo al centro del creato, in cui nasce l’individuo con la sua identità, io, per quarantatré anni, non sono stato per nessuno… Lorenzo…” Il palco nero e blu trattiene il respiro ed ecco che dalle quinte sentiamo la voce sicura del secondo ed ultimo personaggio di questo canto. “Non vi capisco, sire, l’Italia mai in tutta la sua storia, dalla caduta della grande Roma, è stata in pace e voi in soli quarantatrè anni avete realizzato l’Utopia!”. L’ombra delle quinte da forma alla voce generando un nuovo fantasma, alto, snello e di giovane voce. Il vecchio sul trono riprende: “Mi sento così stanco, Ismaele… Chiamami colui che, come Narciso, ha cercato di afferrare se stesso e l’astratto fantasma della propria esistenza in uno stagnante e fetido specchio d’acqua.” La giovane ombra risponde: “Sire, voi delirate! Guardate ciò che avete costruito con la vostra sapienza! Un epos di pace che canteranno nei secoli! Avete insegnato all’uomo la pace!” Il vecchio ha la testa tra le mani e la scuote quasi in lacrime. “Basta… Basta… Basta!! Tu sei così pieno di speranze, Ismaele, ma con questa tua ingenuità mi mostri come io non abbia potuto nulla! Non di un passo l’uomo si è mosso! L’uomo, creatura di Dio, macchiato di un peccato insanabile e maledetto da Dio con una libertà troppo grande per questo bipede.” “Ma sire…” “Smettila con questo “sire” e con queste stolte idee di speranza verso l’uomo”. Il giovane, che fino ad ora era rimasto immobile al limitare della scena, cammina verso il trono e si inchina al veglio. “Perdonami… Lorenzo…” “Hai ancora molto da imparare, Ismaele, quando Atropo taglierà il filo di lana su cui arranco, l’uomo smetterà di ballare e festeggiare, cesserà l’edonismo e impugnare le armi. Nulla ho insegnato all’uomo ed egli, mentre io muoio, mi sussurra di aver fallito e non posso che sperare che tu, mio Ismaele, faccia tesoro del tempo che ti è stato dato e che ti è ridato ogni volta…” Il giovane uomo chinato si alza di scatto. “Non capisco Lorenzo!” Lo sguardo del vecchio è ricolto al vuoto, non si muove EL TEMPO FUGGE E VOLA MIA GIOVINEZZA PASSA E L’ETA’ LIETA, E LA LUNGA SPERANZA OGNOR PIU’ MI MANCA; NE’ PERO’ ANCOR S’ACQUETA IN ME QUEL FER DISIO, CHE MORTE SOLA PUO’ SPEGNER NELLA AFFLITTA MIA ANIMA STANCA Va, Ismaele, indaga l’uomo e fà che egli possa in te trovar scintilla di vera speranza e non germe di illusione.” Il giovane si incammina fuori dalla sala poi si ferma e si gira verso il trono. “Un’ultima cosa, Lorenzo… perché voi in pubblico vi siete sempre mostrato spensierato e felice della vostra vita?” “C’è sempre una parte da recitare nel mondo, Ismaele, e poi chi seguirebbe un principe triste e sconsolato?” In questo ultimo sussulto intercorre tra i due uno sguardo complice. Ritorna sui suoi passi, poggia una mano sulla spalla del maestro “Buona notte, Lorenzo” “Buona notte, Ismale, e buon viaggio” Ismaele esce di scena, Lorenzo chiude gli occhi e la luce si fa sempre più fievole. Lentamente, con solennità, il sipario si chiude. Questa è la mia “Canzone di mezzanotte”, quella che che canta di Ismaele, il suo primo maestro e il suo primo grande fallimento.

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Capitolo 2
*** Se una notte d'inverno un viaggiatore ***


Forse Lorenzo era un immortale, forse era uno di noi, ma non credo che lo saprò mai. Prima che egli morisse lo guardai negli occhi interrogandoli su chi fosse l’essere che li animava, ma erano troppo stanchi per raccontare la storia di un’anima così grande. Attorno a questo tavolo volti mortali narrano storie che hanno vissuto centinaia di anni fa: sembra assurdo ma è così. Niente in voi mi racconta le vostre passate esperienze se non il vostro sguardo. In voi vedo lo sguardo fiero del combattente o quello stanco del viaggiatore. Solo una volta vidi negli occhi di un immortale il riflesso di ogni vita vissuta intrappolato in una gabbia di follia. Quella notte lo avevo incontrato lungo un sentiero sulle Alpi e insieme avevamo trovato riparo in un anfratto, una piccola e fredda grotta naturale. Vi riporterò qui l’ultimo discorso che egli mi fece prima di partire. “Mi spiego Cyrano: quando in giovane età mi resi conto de vivere e aver vissuto nell’opulenza e nel lusso più sfrenato, non potei che ringraziare la mia buona stella, ma Dio solo sa quanto avrei preferito essere povero in certi momenti. No Cyrano! Non sono pazzo. Il fatto è che, quando il mio “fedele” padre prese la sifilide da una meretrice e, “gentilmente”, la trasmise alla mia giovane madre io mi ritrovai solo, a vent’anni e con un patrimonio immenso sulle spalle. Ero cresciuto leggendo e pensando in maniera astratta, lontano dalla realtà meschina e corrotta che i miei genitori andavano alimentando ma nascondendo ai miei occhi. Avevo Letto il “Dialogo sui massimi sistemi” di Galileo, opere di illuministi, scettici, atei, libertini, eretici… Una mente erudita, complessa, piena di informazioni, ma che ignorava la razionalità. A vent’anni ero troppo grande per aggrapparmi a Gesù bambino, il bue e l’asinello per trovare una via e troppo ricco per sapere cosa fosse la legge e avere il senso della legalità… bei tempi quelli… Ora sembra che i servi che prendevo a calci vogliano fare la rivoluzione. Tornando a me, non ci misi molto a rendermi conto di non avere più nessun limite. Compresi il vero valore della libertà. Essere se stessi all’ennesima potenza. Estendere la propria anima in cerca di libertà e cercarla senza limiti morali o divini impostici da questa società sordida e febbricitante. Soddisfarsi. Soddisfarsi sempre di più in ogni gesto ed in ogni atto. Fuggire le sbarre dietro a cui chi avversa la tua realizzazione ti chiude. Sono stato me stesso in ogni istante, Cyrano, e se un Dio è esistito io l’ho guardato negli occhi mentre realizzandomi ed elevandomi lo superavo. Lui, buon vecchio limitato nella sua misera bontà, io, apoteosi dell’essere umano, padrone e sacerdote di me stesso al di là e al di sopra del bene e del male. Fallire. Fallire di vita in vita, morire povero e qualunque ma altruista fino all’ultimo ed estremo afflato, ti insegna la verità. Comprendi che il tuo compito è inutile e che proteggi una conoscenza che l’uomo non fa altro che gettare alle fiamme dell’inesorabile tempo. Comprendi che l’uomo, nel proferir parola, mente e tradisce il suo pensiero travisandolo. L’uomo, imperfetto, nulla ha di certo se non se stesso ed il perfetto pensiero introspettivo ed indagatore del proprio essere. E’ dunque questo il soggetto, la verità sta in noi: il vero soggiace nell’inoppugnabile essenza delll’individuo, vivace fonte del creare umano. Niente al di fuori di me, io come metro del mondo, io folle viandante, io sadico amante della vita.” E’ caduto addormentato e quando mi sono svegliato lui già era partito, solo, nella tormenta. Ha vissuto tante vite ma sempre solo, era altruista in ogni epoca ma sempre a mascherare il suo egoismo. La verità sta in noi, è vero, ma credo sia nell’essere individui ed essere umani, non nella sua deviata libertà autodistruttiva. Io eludo i limiti che la società mi pone viaggiando e traendo lezione da ogni volto che incontro, saluto e piango sulla strada. Queste sono le mie vite, non starà a me giudicare se le ho capite o no. A voi la parola

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