I still don't know, what my destiny is...

di Biszderdrix
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Genesi ***
Capitolo 2: *** Il Torneo ***
Capitolo 3: *** Scelte ***
Capitolo 4: *** Incubi ***
Capitolo 5: *** Allenamento ***
Capitolo 6: *** Un nuovo inizio ***
Capitolo 7: *** Kamehameha ***
Capitolo 8: *** Saiyan ***
Capitolo 9: *** Nuovo maestro, stessi dubbi ***
Capitolo 10: *** Ombre e ricordi ***
Capitolo 11: *** Un cuore grande ***
Capitolo 12: *** Escluso ***
Capitolo 13: *** Rabbia ***
Capitolo 14: *** Nuove tecniche, vecchi amici ***
Capitolo 15: *** Capogiri ***
Capitolo 16: *** Il nostro futuro? ***
Capitolo 17: *** Nuova potenza ***
Capitolo 18: *** Androidi ***
Capitolo 19: *** Disperazione ***
Capitolo 20: *** Chi sono io? ***
Capitolo 21: *** Isolamento ***
Capitolo 22: *** Cacciatori ***
Capitolo 23: *** Ribellione ***
Capitolo 24: *** Vero potere ***
Capitolo 25: *** Amore ***
Capitolo 26: *** Nuova vita ***
Capitolo 27: *** Un grande ritorno ***
Capitolo 28: *** Ancora più forte ***
Capitolo 29: *** Oltre il limite ***
Capitolo 30: *** Sacrificio ***
Capitolo 31: *** Prezioso più di un gioiello ***
Capitolo 32: *** Divinità ***
Capitolo 33: *** Le leggende non muoiono mai ***
Capitolo 34: *** Scontro fra titani ***
Capitolo 35: *** Ritorno a casa ***
Capitolo 36: *** Famiglia ***
Capitolo 37: *** Di padre in figlio ***
Capitolo 38: *** Andata e ritorno ***
Capitolo 39: *** Promesse non mantenute ***
Capitolo 40: *** La minaccia più grande ***
Capitolo 41: *** Giochi mortali ***
Capitolo 42: *** Il fuoco dell'orgoglio ***
Capitolo 43: *** Il legame più forte ***



Capitolo 1
*** Genesi ***



CAPITOLO PRIMO- GENESI

Vi fu un tempo, in cui il tempo ancora non esisteva. Prima dei grandi Kaiohshin, prima di Bills, Bibidy e Majin Bu e di ogni essere vivente che anche solo con un respiro ha scritto la storia dell’universo che ospita la sua esistenza. Una storia che, in un futuro ancora tutto da scrivere, racconterà di battaglie epiche, eroi leggendari e creature mostruose, e che emise i suoi primi vagiti quando i Creatori sorsero dalla scissione dell’Antica Energia, per poter plasmare con il loro potere il palcoscenico per lo spettacolo della vita.
Con loro vennero le galassie, i pianeti e le prime antiche civiltà. Essi ammiravano il proprio creato. Ma poterono subito intuire la loro creazione avrebbe avuto un’esistenza travagliata e purtroppo fu, indirettamente, per causa loro. L’Antica Energia, ciò dal quale tutto deriva, colei che c’era ma non c’era, era ciò che teneva insieme l’incompatibile. I Creatori erano portatori dell’Aura Bianca, quella parte dell’Antica Energia volta alla creazione, allo sviluppo, alla pace, valori dei quali ora erano portatori e protettori.
Protettori, poiché ora non c’era più confinamento per ciò che all’Aura Bianca si opponeva: la Nera Energia ora era libera di scatenarsi attraverso ciò che l’universo ricorderà come i Grandi Demoni, esseri dalla potenza immensa, capaci di disintegrare un intero pianeta con la forza del puro pensiero. Ma sarebbe stato troppo noioso per loro, sadici e malvagi nella forma più pura.

Ognuno di essi differiva dall’altro per come portava per tutto il neonato universo la distruzione, la desolazione, la morte che la Nera Energia brama: Ungrushy era in grado di desertificare un intero pianeta rendendolo arido e sterile; Lap poteva causare glaciazioni permanenti, Nekro portava intere razze alla follia. Ma tra essi uno era forse il più malvagio, il più sadico, il più potente: Doomshiku, il cui nome è rimasto impresso nella memoria di molte razze, al contrario di quello di molti altri Demoni.

Doomshiku era come l’incarnazione della Nera Energia: spietato, crudele con un’irrefrenabile sete di sangue. La sua potenza gli permetteva di distruggere intere galassie in un battito di ciglio, ma preferiva godere dell’angoscia che generava negli animi delle prime, primitive civiltà che avevano la sfortuna di popolare i pianeti sui quali posava lo sguardo. Per Doomshiku ogni uccisione era un momento di gioia: si divertiva nell’uccidere ogni singolo essere vivente, trovando nelle grida e nelle lacrime di disperazione cibo per il suo animo affamato di distruzione. La forza di Doomshiku stava nella sua capacità di manipolare l’energia vitale, propria ed altrui, e nell’affinare questa sua abilità, così da trovare modi sempre più vari per soddisfare la propria brama di devastazione. Quando fu in grado di concentrare l’energia vitale di un intero pianeta in un’onda da scagliare contro il pianeta stesso, in grado di eliminare ogni essere vivente, e perfino le loro stesse anime, il suo dominio poté considerarsi incontrastato. Il rispetto e il timore che gli altri Demoni avevano per lui, nonostante anch’essi fossero portatori di poteri immensi, e il suo estremo sadismo lo portarono ad essere definito come “Il Demone dell’apocalisse”.

I Creatori non potevano rimanere impassibili di fronte a questa situazione: molti Demoni furono uccisi in diversi scontri che avvennero tra essi e i singoli Creatori, che si prodigavano nel fare adeguata guardia sul loro operato. Ma il numero di Demoni restava elevatissimo, così come continua era la loro opera di distruzione: lo scontro era inevitabile. Si arrivò, così alla Grande Guerra delle Entità. Le due fazioni si diedero ferocemente battaglia per mille anni, senza sosta, per tutto l’universo, portandolo sull’orlo del collasso, trascinando involontariamente con loro grande caos e devastazione.

Per quanto inferiori di numero, i Creatori riuscirono faticosamente a sconfiggere i Demoni e con essi la Nera Energia, che priva di emissari si disperse nel vuoto dello spazio, iniziando la sua continua missione di ricerca di nuovi agenti. Solo uno di loro riuscì a perdurare: Doomshiku, con il suo potere immenso, riuscì da solo a tenere testa ai Creatori, che tentarono di ucciderlo in ogni modo, invano.

Una decisione drastica dovette esser presa: intrappolato il demone in un angolo remoto e vuoto dello spazio, i Creatori si unirono e sfruttarono tutto il loro potere per isolare Doomshiku, costruendo attorno a lui un intero pianeta, il quale avrebbe sfruttato l’immenso potere sviluppato dal demone per svilupparsi, convertendolo in energia vitale portatrice di Aura Bianca: pianeta che verrà ricordato con il nome di Hamon. Il Demone dell’Apocalisse era furibondo, ma non vi era modo di liberarsi da quella prigione. Per i Creatori il prezzo da pagare per questo successo fu comunque elevatissimo: lo sforzo compiuto per isolare Doomshiku li portò a consumare tutta la loro energia, e ciò pose fine alla loro esistenza fisica. Come la Nera Energia, anche l’Aura Bianca che fuoriuscì dai loro corpi si diffuse in tutto l’universo.

Intrappolato in Hamon, Doomshiku all’inizio fece di tutto per impedire al pianeta di sfruttare la sua energia. Ma i suoi sforzi erano vani, il legame con cui i Creatori li avevano uniti era un imprescindibile mutualismo: Hamon traeva l’energia necessaria a renderlo un pianeta fertile e ospitale dal demone, che permettendogli di farlo evitava che il pianeta finisse per morire, trascinandolo di conseguenza assieme a lui nell’oblio. Alla fine il demone si rassegnò, e Hamon cominciò a prosperare: la vita poté finalmente iniziare il suo corso.

Sorsero le prime montagne, e con esse i ghiacciai che generarono lunghi fiumi e grandi laghi, finché non giunsero i primi esseri viventi: l’acqua permise alle prime piante di crescere e alle prime minuscole forme di vita animale di svilupparsi. Le piante crebbero e si trasformarono in rigogliose foreste, e quelle microscopiche forme di vita si svilupparono generando una ricchissima varietà di specie animali, tra le quali una sola riuscì ad elevarsi al dì sopra delle altre, sviluppando un intelletto e una capacità di adattamento superiore: gli Hatwa, umanoidi dotati di grandi doti fisiche e intellettuali, che li portò presto alla formazione di una società avanzata e complessa.

Gli Hatwa erano molto legati alla natura e alla terra: ogni loro tecnologia era sviluppata in armonia con l’ecosistema che li ospitava e in funzione di esso. Non erano un popolo guerriero, in pochi potevano definirsi guerrieri, ma la loro grande armonia con il pianeta li aveva resi maestri nelle arti meditative: erano in grado di connettersi all’ambiente circostante in un battito di ciglio e da esso trarne l’energia necessaria ad affrontare qualunque tipo di scontro. Gli Hatwa divennero in poco tempo una delle razze più avanzate dell’universo. E nonostante fossero un popolo pacifico, al centro del pianeta, lo spirito di Doomshiku, il cui animo era comunque rimasto corrotto e malvagio, era compiaciuto di ciò che si era sviluppato su Hamon, del quale ora non si sentiva più prigioniero, ma ingranaggio fondamentale per il suo perdurare.

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ANNO 575- Pianeta Hamon

Un piccolo convoglio di navi si avvicina speditamente ad Hamon.

«Signore, le navi della delegazione da Plant sono appena entrate nella nostra atmosfera» si apprestò a riferire al suo superiore uno dei tecnici relegati all’interno della torre di controllo, non appena il radar gli inviò la nuova segnalazione.

«Trasmetti l’ordine di illuminare la piattaforma di atterraggio, dopodiché allerta il comitato di benvenuto.»

Nel buio quasi totale della notte di Hamon, quattro veicoli militari si misero in moto, e si avviarono lungo un’interminabile strada asfaltata, ai cui lati si estendeva una folta vegetazione. Tra essi un veicolo più imponente, e dall’aspetto decisamente meno bellicoso, con un’elegante verniciatura nera. Dopo qualche minuto raggiunsero la salita che li avrebbe condotti nella vasta area illuminata, sopraelevata rispetto alla foresta, dove le navi stavano completando la procedura di atterraggio.

 Le macchine si arrestarono, e i soldati si schierarono in fretta attorno al veicolo nero. Da esso scese un uomo dall’aspetto autorevole, una folta barba nera che compensava l’assenza di capelli, vestito con un abito completamente nero che gli arrivava fino agli stinchi, con spalline molto pronunciate, e cucito sul petto lo stemma reale di Hamon.

Un soldato gli si accostò: «Mio sire, se vuole seguirci, le navi stanno per spegnere i motori, possiamo avvicinarci» Il sovrano fece un cenno con la testa e con passo spedito il comitato si avvicinò alla nave. Con il re era scesa anche un’altra figura, che ora camminava al suo fianco: un uomo dai folti capelli rossi, che pareva ancora nel fiore degli anni, vestito con un abito simile a quello del sovrano, ma di colore bianco e che a malapena gli raggiungeva le ginocchia.

Il gruppo si avvicinò alla nave più grande delle tre che, quella sera, erano atterrate su Hamon nel momento esatto in cui il portellone si aprì, e da esso, accompagnato da alcuni soldati, uscì un'altra figura, piccola di statura ma dall’aspetto autorevole, la cui espressione faceva comunque intendere una grande astuzia, il cui vestito dall’aria comune era accompagnato da un imponente mantello che avrebbe potuto ricoprirlo completamente.

«Salute a voi Uhn, re di tutti gli Hatwa, signore di Hamon. Siete venuto ad accogliermi di persona, è per me un onore» disse, inchinandosi al sovrano.

«È la vostra visita che ci onora, Lord Bleeko.» rispose re Uhn «Mi permetta di presentarle il prof. Rayhun, il responsabile per lo sviluppo tecnologico del regno.»

«Sono onorato di poter fare la sua conoscenza, Lord Bleeko»

«Il piacere è tutto mio, professore. Ora, credo sia il caso di trovare un luogo più consono per continuare la nostra conversazione, non credete anche voi, vostra maestà?» disse Lord Bleeko, rivolgendosi nuovamente al sovrano. «Concordo. Mi segua, là c’è la macchina che ci porterà a palazzo, dove finalmente potremo approfondire i motivi di questa sua visita», e gli fece cenno di seguirlo.

Accompagnati dalle rispettive scorte, il convoglio che trasportava le tre importanti personalità percorse a ritroso la strada che li aveva condotti alla pista, proseguendo dopo la lunga strada asfaltata fino a raggiungere una larga strada che si ergeva sopra la foresta, dalla quale si poteva perfettamente ammirare lo spettacolo della capitale di Hamon.

Grattacieli altissimi illuminati a giorno che sembravano in armonia perfetta con gli altissimi alberi che crescevano anche all’interno della città stessa. Entrato nel centro urbano, il convoglio si districò tra strade asfaltate e lunghe gallerie, scavate all’interno della corteccia degli alberi più robusti che permettevano l’accesso a più livelli della città, fino a raggiungere un enorme albero secolare, circondato da una recinzione, nel quale era stato costruito il palazzo reale.

Nella corteccia era stato intagliata una labirintica serie di stanze, che avrebbe creato diversi problemi di orientamento a molti, ma non al re, che in poco tempo riuscì ad accompagnare il suo ospite ed il prof Rayhun nella sala adibita alle riunioni, dove era già stato tutto predisposto: su un enorme tappeto rosso si trovava un piccolo tavolo sul quale erano posati alcune cartelle, e attorno ad esso tre poltrone ben imbottite.

«Prenda posto Lord Bleeko» lo invitò il sovrano, invitò che fu immediatamente accettato. Dopo essersi messo comodo, Bleeko cominciò: «Vostra maestà re Uhn, signore di Hamon, come già sa vengo per conto del nostro re e dell’intera razza degli Tsufuru. Entrambe le nostre razze hanno raggiunto un grande livello di sviluppo tecnologico, senza mai attuare azioni bellicose nei confronti di nessun’altro popolo. Sono qui, quest’oggi, perché dalla nostra parte riteniamo controproducente che tra i nostri popoli non si sviluppi una reciproca collaborazione.»

Il sovrano rimase in silenzio per un attimo, poi chiese, semplicemente: «Perché?»

«Le ragioni sono quelle che le ho appena illustrato, mio signore.»

«Non mi prenda per stupido, Lord Bleeko. Non credo che il sovrano di Plant si sarebbe mai mosso di persona, ma nemmeno che si sarebbe giocato il suo diplomatico migliore per una mera trattazione commerciale» disse con fermezza re Uhn.

Bleeko era rimasto impietrito.

«Allora credo sia il caso di uscire dalle nuvole della retorica: le risorse di Plant vanno verso l’esaurimento, e il timore del nostro sovrano e di tutta la nostra comunità scientifica non è solo di quella di un’interruzione del progresso tecnologico, ma di una regressione inevitabile. I Saiyan, poi, sono un peso che non pensiamo di poter sostenere a lungo. Per questo sono qua, mio signore Uhn: dovete concederci di accedere alle vostre risorse naturali. Il vostro pianeta ne è ricchissimo, credo che entrambe le nostre razze possano trarne giovamento».

«Questo non è possibile», rispose seccamente il re, lasciando impietrito lo tsufuru. «Lascerò che questa volta sia il professor Rayhun a spiegarle il perché.»

Come risvegliato improvvisamente da un sonno profondo, il giovane scienziato scattò sulla sua poltrona, allungandosi verso il tavolo e afferrando le cartelle che vi erano state posate sopra, e cominciò, un po’ titubante: «Certamente, mio signore. Vede, Lord Bleeko, dalle cartelle che lei ci ha richiesto di mostrarle, relative all’utilizzo delle risorse del nostro pianeta per lo sviluppo della nostra tecnologia, quelle relative alla loro quantità e i dati relativi al nostro grande ecosistema le possono chiaramente mostrare, senza alcuna ombra di dubbio, che ciò che noi Hatwa abbiamo sviluppato su Hamon si fonda sul mantenimento di un determinato equilibrio.»

«Anche solo un vostro minimo intervento», continuò lo scienziato con maggiore sicurezza, «potrebbe portare l’intero sistema al collasso. Non c’è molto altro da dire» concluse con un tono quasi scherzoso, per rimarcare quella che per lui era un’ovvietà.

«Questa è solo mera filosofia!» sbraitò lo tsufuru «Interrompere il progresso per qualche albero o pezzo di terra è pura follia!»

«Non è nella posizione per giudicare, Lord Bleeko», lo interruppe molto freddamente il sovrano, «è lei quello che, secondo la sua logica, sta chiedendo aiuto a dei folli. Aiuto che non possiamo darvi. La nostra razza è nata e si è sviluppata su Hamon e siamo sempre stati in grado di garantirci un continuo sviluppo senza compromettere il nostro pianeta. E di certo non lo faremo adesso, nonostante ci dispiaccia per la vostra situazione: non vogliamo rischiare di comprometterci anche noi», concluse il re, che si mostrò comunque maggiormente ben disposto nei confronti del suo ospite.

Comprendeva perfettamente la richiesta dello tsufuru, e non per egoismo si vide costretto a deluderlo profondamente, come si poté evincere dall’espressione che il diplomatico aveva assunto.

«Vedo che siamo riusciti a fare in fretta», esordì Bleeko dopo qualche istante di silenzio, «se riparto adesso potrò essere su Plant per domani mattina».

«È sicuro di non volersi fermare per la notte? Abbiamo predisposto una stanza per il suo arrivo», propose il sovrano di Hamon.

«No, è il caso che io riparta immediatamente, mio signore, non si preoccupi. Le faccio ancora i miei più sentiti omaggi, mio signore, e le auguro una serena notte. Anche a lei, professore, buonanotte», e si congedò con molta fretta, tradendo un’evidente frustrazione.

Ripercorrendo gli intricati corridoi del palazzo tornò all’ingresso, e assieme alla sua scorta ripartì alla volta della pista di atterraggio. Una volta sulla nave, mentre cominciavano le procedure di decollo, Lord Bleeko si sedette nella sua cabina, fece un profondo respiro, dopodiché premette un pulsante e ordinò: «Mettetemi immediatamente in comunicazione con il palazzo reale».

Quasi simultaneamente sul muro della cabina si formò un monitor, e dopo qualche secondo, su di esso apparve la torva figura del re degli tsufuru.

«Mio signore» esordì Bleeko «la via della diplomazia non è percorribile.»

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UNA SETTIMANA DOPO

Un giovane soldato Hatwa, delegato alla lettura del radar, sedeva di fronte ad un monitor, cercando di eliminare quel terribile senso di noia, al quale il suo lavoro lo sottoponeva ogni istante nella sua continua monotonia e la quasi totale assenza di azione. Al che saltò letteralmente sulla poltrona quando il radar cominciò ad emettere, con forza e in continuazione, fortissimi segnali acustici, che poco avevano di rassicurante.

Ripresosi dallo shock iniziale, dovette confrontarsi con un’inquietante realizzazione: una flotta immensa era schierata alla soglie dell’atmosfera di Hamon. Si affrettò a correre nell’ufficio del suo capitano, entrando improvvisamente e cogliendolo visibilmente di sorpresa: «Signore! SIGNORE!» Il capitano lo afferrò per le spalle: «Calmati, soldato! Cosa è successo?»

«Una… una…» disse ora il soldato balbettando, nel quale ora la paura aveva preso il sopravvento.

«Cosa? “Una” cosa? PARLA SOLDATO!>>

“Una… Una flotta d’invasione è schierata ai margini della nostra atmosfera” disse, scosso, il  giovane soldato. Il capitano si rabbuiò improvvisamente. «Sei riuscito a capire che bandiera battono?»

«Le trasmissioni sono inequivocabili, signore.» disse il soldato, ora più spaventato che mai: «Sono navi Tsufuru.»

Il risveglio fu quasi traumatico. Non era più abituato a nessun tipo di sensazione fisica, si era quasi dimenticato di avere un corpo. Ora una scossa proveniente dal pianeta lo aveva risvegliato dall’apatia. Doomshiku si accorse che qualcosa non andava: per anni aveva potuto osservare come gli Hatwa avevano sviluppato una società avanzata, senza mai compiere alcuna azione bellicosa. Ora, dalla superficie arrivavano sensazioni che non provava da moltissimo tempo, ma che non poteva dimenticare: tristezza, angoscia, disperazione.

Per quanto fossero per lui ancora fonte di piacere fisico, non appena si accorse che provenivano dagli Hatwa poté percepire una nuova sensazione: qualcosa che poté identificare come rabbia.

Vide come gli Hatwa stessero perendo per mano di questa razza, a lui ancora sconosciuta. Poté leggere nella memoria del pianeta che si chiamavano “tsufuru”. Vide come stavano saccheggiando senza pietà tutto ciò che era nato dalla sua energia e che lentamente si era sviluppato: ora a crescere era la rabbia nel suo animo.

Ma non poteva fare nulla: percepiva la sofferenza del pianeta, devastato dalla brama di risorse degli tsufuru, e la sua rabbia cresceva sempre di più. Era il momento di compiere una decisione drastica, come lo fu quella di chi lo aveva unito a questo pianeta, al quale lui ora era legato da qualcosa di più forte del loro legame simbiotico.

Raccogliendo le sue energie residue, interruppe il flusso verso il pianeta. L’interruzione fu così netta che i suoi effetti si poterono vedere immediatamente: la terra si inaridì, diversi alberi seccarono, i fiumi si asciugarono, i minerali si deperirono. Sapeva che ciò avrebbe portato alla distruzione del pianeta stesso, ma preferiva fosse così, piuttosto che vedersi sfruttato da un parassita invasore.

Non appena resosi conto di essere vicino alla fine, percepì una piccola nave con alcuni sopravvissuti Hatwa che lasciava il pianeta, verso destinazione ignota.

Decise allora di fare una promessa: in nome del legame che li univa, il suo spirito sarebbe ritornato nel corpo di un meritevole discendente di quei sopravvissuti, in grado di poter controllare il suo immenso potere, il cui destino sarebbe stato quello di vendicare la razza Hatwa e di riportarla alla sua gloria.

Il Demone dell’apocalisse sarebbe tornato, per poter guidare la razza che dal suo potere era nata, riportando la distruzione a chiunque si sarebbe messo sulla sua strada. Quando la prima fuoriuscita di energia, accolse la sua fine con piacere. Sapeva che la sua storia non sarebbe terminata così.

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ANNO 750- PIANETA TERRA

«Grazie mille Sara! Sarei potuto morire congelato là fuori! E grazie mille anche a lei signora!» disse un ragazzino dall’aria vispa, con folti capelli neri che si dividevano in tante ciocche appuntite, mentre si liberava di un pesante plaid che lo avvolgeva.

«Ma figurati, caro… Goku, giusto? Comunque, per me e mia figlia è un piacere darti una mano, ma non posso farti partire subito… perché non fai un bel bagno caldo? Intanto mia figlia ti procurerà degli indumenti adatti per affrontare il freddo!» Goku non obbiettò.

Intanto, la piccola Sara, con l’aiuto della madre, riuscì a radunare qualche indumento che sicuramente avrebbe aiutato il piccolo guerriero a raggiungere la Muscle Tower senza congelare dopo pochi passi. Ma non fece in tempo a raggiungere il bagno dove il loro ospite si stava rilassando nell’acqua bollente, che qualcuno bussò violentemente alla porta della loro casa. Poi si sentì urlare: «Esercito del Fiocco Rosso! Aprite immediatamente o buttiamo giù la porta!»

Sara era come paralizzata. Si girò verso la madre che le disse di rimanere in silenzio, poi si rivolse verso la porta: «Posso sapere cosa vi porta qui?»

«Siamo sulle tracce di…» THUD! Un colpo che si poté sentire anche all’interno della piccola abitazione, evidentemente giunto sulla testa di chi stava parlando.

 «Zitto idiota! Rischi di compromettere la missione!» disse una nuova voce con un tono più moderato, che poi urlò a sua volta: «Signora, o ci apre adesso o sfondiamo la porta!»

A quel punto la madre fece segno a Sara di trovarsi immediatamente un nascondiglio, che la piccola trovò all’istante in una baule.

«Ok signora, lo ha voluto lei!»

E con un colpo secco, quelli che si confermarono essere due soldati del Fiocco Rosso abbatterono la porta ed entrarono in casa.

«Le tracce conducevano qua, dobbiamo ispezionare questo posto per bene. Io tengo d’occhio la signora,» disse uno, puntando il suo fucile verso la madre di Sara «tu ispeziona a fondo questa topaia”. Il secondo soldato annuì, ma non fece in tempo ad uscire dalla stanza che davanti a lui si palesò una visone assai bizzarra.

«Hey bruttoni, state cercando me?» davanti al soldato c’era un bambino nudo e completamente bagnato, in una posa da combattimento.

La cosa avrebbe potuto farlo divertire molto se non si fosse reso conto che quello era il ragazzino che gli era stato ordinato di cercare. «Ti consiglio di venire con noi senza opporre resistenza» disse il primo soldato, avvicinando il mitra al corpo del suo ostaggio «o la vecchia muore.»

Goku rimase impietrito, per un attimo non seppe cosa fare. Sara, nascosta nel baule, osservava con grande angoscia la scena da un piccolo buco nel legno, sperando in qualche miracolo.

«Lo sapevo che non eri poi così inarrestabile! Ah! Lo dicevo che quelle voci erano esag-AHG!» il soldato sì interruppe improvvisamente, rimanendo completamente immobile, come paralizzato. Sulla sua spalla comparve una mano che, esercitando una leggera pressione, lo fece cadere in preda a spasmi.

«Nessuno vi ha mai insegnato l’educazione? Mai entrare in casa d’altri senza permesso» disse sarcasticamente la figura che si trovava alle spalle del soldato, che si rivelò essere un uomo sulla trentina, con dei lunghi capelli neri raccolti in una coda e sul volto un folto pizzetto, vestito con una pesante tuta bianca con piccoli dettagli in blu scuro, e con addosso una giubbotto imbottito di colore viola.

Il suo compagno non fece in tempo ad imbracciare il fucile che si vide scaraventato contro un muro da un calcio rotante ben indirizzato al mento. «Sarà un caso, ma più ne affronto e più mi sembrano stupidi.»

«Sig. Ryder!» urlò Sara uscendo dal suo nascondiglio.

«Ehilà piccola! Tutto bene?» disse allegramente l’uomo chinandosi per accogliere in un abbraccio la bambina.

«Per fortuna che sei arrivato tu Damon, non credevo ne saremmo usciti facilemente!» disse con un profondo sospiro la madre di Sara, ancora visibilmente scossa. «Dovere, Mary. Ma dimmi, chi è questo ragazzino per cui questi due scimmioni, con tutto il Fiocco Rosso, si stanno dando così tanta pena?» disse l’uomo, volgendo lo sguardo verso Goku, che ne approfittò per presentarsi: «Io sono Goku, sono arrivato qui alla ricerca della seconda sfera del drago, ma mi sono schiantato sulla montagna, eh eh…» disse con un po’ di imbarazzo, grattandosi il retro della testa.

«Loro mi hanno dato una mano a rimettermi in sesto per poter riprendere il mio viaggio, devo raggiungere la Muscle Tower.» concluse Goku.

«La Muscle Tower?! E pensavi di affrontare questa impresa da solo?!»

«Si, suona così strano?» rispose Goku. Damon Ryder era allibito. Aveva conosciuto molti uomini coraggiosi, e per ciascuno di essi ciò che Goku voleva fare sarebbe parso impossibile. Eppure, non riuscì a sopprimere la percezione di qualcosa di particolare, di speciale in lui e che quel “qualcosa” gli avrebbe permesso di farcela. Forse avrebbe potuto dare una mano anche a lui. «Senti, Goku, perché adesso non ti asciughi e ti vesti? Poi continueremo la nostra conversazione.»

Dopo qualche minuto Goku tornò, indossando la sua tipica tuta arancione, e non poté non stupirsi quando Damon reagì con grande sorpresa di fronte al simbolo della Tartaruga: anche lui, tempo fa, si era allenato con il maestro Muten.

«Poi decisi di rinunciare ai combattimenti per un po’, per iniziare una carriera nel mondo scientifico. Iniziai a lavorare per un brillante scienziato, un grande esperto di robotica e biologia: il suo nome non è importante, non mi aspetto che tu lo conosca. Sta di fatto che, scavando tra i suoi appunti, ne trovai alcuni riguardanti la modificazione in cyborg di soggetti viventi: in pratica, voleva applicare la potenza di un androide ad un corpo umano, creando la macchina da guerra perfetta. E non fu l’unica cosa orribile che trovai nel suo laboratorio: una sera, avendo dimenticato delle cose sulla mia scrivania, lo vidi liberarsi di un cadavere orrendamente mutilato, così che potei realizzare che quegli appunti non erano solo semplici ipotesi di una mente deviata.»

«Riuscì a screditare quel folle davanti a tutta la comunità scientifica,» continuò «e decisi di chiuderla con la scienza, mi sono trovato un lavoro onesto nel mio piccolo paese e mi sono fatto una famiglia: ho una moglie e una splendida bambina, e stiamo aspettando la nascita del mio secondogenito.»

«Mi trovo qui, comunque, perché ho scoperto che quel folle, per qualche oscuro motivo, è stato assoldato dal Fiocco Rosso e che il suo laboratorio si trova all’interno della Muscle Tower. Giunto qui, ho fatto mie anche le ragioni di questa gente, che ora vede il suo villaggio normalmente tranquillo occupato da militari violenti e rozzi, e il cui sindaco si trova ora alla mercé di quel verme del generale White. È da ormai sei mesi che sono qua, e nonostante le mia grande abilità nelle arti marziali, non sono ancora riuscito ad avvicinarmi a quella maledetta torre. Quel luogo è supersorvegliato.» concluse, mestamente, Damon.

«Possiamo andarci insieme! Alle guardie ci penserò io, non credo sarà un grande problema!» rispose Goku con un largo sorriso «Sarà divertente!» e ancora una volta gli occhi di Damon uscirono dalle loro orbite.

«A-Allora quando vuoi m-metterti in cammino?» chiese il guerriero più anziano, la voce tremolante dallo shock causato dalla sicurezza con cui quel ragazzino fronteggiava la prospettiva di un pericolo estremo. «Domattina!» rispose eccitato Goku.

Damon avrebbe avuto da ridire sull’avventatezza ostentata dal giovane, ma di fronte a questo suo entusiasmo non poté che acconsentire: «Vada per domattina.» rispose, alla fine contagiato dall’entusiasmo di Goku, soffocando quel pensiero martellante che gli intimava di agire con molta prudenza.

La mattina seguente, liberatisi dei due soldati ancora privi di sensi, si diressero nella direzione della Muscle Tower. Damon raccomandò discrezione, almeno finchè la torre non fosse stata visibile.

Entrambi riuscirono a passare completamente inosservati per il villaggio Jingle, eliminando ogni tipo di sorveglianza. Arrivati nei pressi della torre notarono la massiccia sorveglianza attorno alla torre: c’era perfino un carro armato.

«E ora? Come pensi di eliminarle tutte?» disse, volgendo lo sguardo al piccolo guerriero.

«Così!» disse Goku, e si lanciò in una corsa sfrenata verso la torre. Damon lo vide sfidare spudoratamente le guardie, lo vide dimostrare una forza fuori dal comune, lo vide sconfiggerle tutte nel giro di un minuto. Dopo un momento di giustificato shock, resosi conto che la via era libera, corse in fretta e furia verso la torre.

«Ragazzino, sei fenomenale! Ma credo che ora le nostre strade si separino: dalle mie informazioni il laboratorio che sto cercando si trova nei sotterranei della torre, mentre per arrivare da White devi salire ai piani superiori. Buona fortuna.»

«Anche a te Damon, se alla fine di tutto questo non dovessimo ritrovarci, spero comunque di rivederti, un giorno.» Si scambiarono una stretta d’intesa, poi il bastone di Goku si allungò, e il piccolo guerriero si portò subito al primo piano.

«Porta i miei saluti al tuo maestro!» urlò Damon, sperando lo avesse sentito. Lo osservò ancora per qualche secondo: dentro di sé sentiva che, in qualche modo, quel ragazzino avrebbe completamente cambiato la sua vita. Poi gli tornò in mente dove si trovava, e che non c’era tempo da perdere. Non appena vide il portone principale constatò che per sfondarlo sarebbe servita una forza sovrumana, e non riuscì ad elaborare una soluzione.

“Iniziamo bene, Damon” si disse. Poi, come un flash, anche a causa del recente incontro con Goku, gli tornarono alla mente gli insegnamenti di Muten, e da quanto tempo non li mettesse in pratica. Sperando di non essere troppo fuori allenamento, fece un paio di salti all’indietro, assunse una posa di combattimento, unì i polsi e li portò dietro a sé, cercando di concentrare nei palmi delle mani più energia possibile.

«Ka-me…»

Sentì l’energia concentrarsi in un piccolo globo tra le sue mani.

«Ha-me…»

L’energia del globo era pronta per essere liberata. Damon si sentì soddisfatto: nonostante fossero passati anni dall’ultima volta, la sua padronanza della tecnica più nota dell’eremita della tartaruga era ancora ottima.

«HA!»

Distese allora le braccia, aprendo i palmi delle mani, scatenando l’energia del piccolo globo in un’onda violentissima che sfondò il portone in un batter di ciglio. Damon Ryder sogghignò: in quel momento si sentì potentissimo.

Entrando nella torre, si accorse che la sua onda aveva tramortito anche quei soldati che si trovavano dietro ad essa, colpiti dall’onda d’urto o dalla stessa onda di energia. Non se ne curò particolarmente. Vide le indicazioni per i livelli inferiori, quelli sotterranei, della Muscle Tower.

Le scale che discese lo condussero in una labirintica serie di corridoi dove le indicazioni erano rare. Perse quasi la pazienza tra tutte quelle porte, delle quali nessuna era quella che stava cercando. Dovette stendere qualche guardia e qualche scienziato dall’aria spaventata e disorientata, rischiando più volte di essere trovato dalle squadre di sorveglianza allertate dal loro arrivo. Alla fine, dopo quella che parve un’eternità, trovò la porta che cercava. La targhetta portava, in lettere finemente incise, la scritta che fece crescere in lui una furia inaudita:

LABORATORIO DEL DR. GELO- ROBOTICA

“Folle, bastardo, criminale. Solo dei vermi come il Fiocco Rosso ti avrebbero potuto assumere. Cane.” pensò Damon in preda all’ira. Non si curò di niente, neppure di quella voce nella sua mente che gli suggeriva di agire sempre con prudenza, né di ciò che avrebbe trovato al di là della soglia. Spalancò con violenza la porta.

Del buon dottore non c’era traccia: evidentemente era stato fatto evacuare insieme alla maggioranza del personale.

Ma Damon trovò comunque ragioni per infuriarsi. E per sentirsi male. Lungo le pareti della stanza erano appesi svariati cadaveri, mutilati nei modi più diversi, il cui sangue aveva formato svariate pozze sul pavimento. Al centro della stanza, due ampi tavoli muniti di tutto il materiale necessario per le operazioni chirurgiche; in una piccola frazione di parete, dove non era appeso alcun corpo sfigurato, una scrivania sommersa dai fogli di carta: gli appunti dello scienziato.

Damon gli diede una rapida occhiata, che gli bastò per capire che il folle stava facendo progressi, ma molto lentamente. Poi il suo sguardo cadde sul fondo della stanza, dove dietro due grossi contenitori, che ricordavano delle incubatrici, erano ammassate diverse carcasse robotiche, più o meno incomplete, a dimostrazione che non aveva abbandonato la progettazione di androidi veri e propri.

Evidentemente lo scienziato aveva abbandonato tutto all’interno del laboratorio, forse per la fretta o per la convinzione che nessuno avrebbe potuto conquistare la Muscle Tower. “Povero illuso” pensò Damon. 

Tornato verso la soglia del laboratorio, alimentato dalla furia e dalla rinata consapevolezza delle sue potenzialità , concentrò la propria energia nella mano destra e con pochi, mirati ki-blasts distrusse quello scenario orripilante che era il laboratorio del dottor Gelo. Sentì una potente scossa, che fece tremare tutto attorno a lui: pensò, un po’ ingenuamente, che derivasse dalla distruzione che aveva appena causato. Per evitare di essere scoperto decise di tornare indietro: aveva raggiunto il suo obbiettivo, e non voleva  correre il rischio di essere catturato.

“Dovrai cavartela da solo, ragazzo, sempre che tu possa aver avuto bisogno di me” pensò, ricordandosi di Goku che probabilmente se la stava vedendo con il peggio del peggio del Fiocco Rosso.

Con la stessa discrezione di prima, ripercorse il tortuoso labirinto che erano i sotterranei della torre, e ritornò all’ingresso, per ritrovarsi in mezzo ad un cumulo di macerie. La torre era stata abbattuta e, a parte l’enorme numero di macerie alla sua sinistra, attornò a sé vedeva solo un’immensa distesa di neve, ed in lontananza  si potevano distinguere i tetti di qualche casupola: il villaggio Jingle. Attorno a lui non c’era anima viva.

“Ben fatto, ragazzino. Però sarebbe stato gentile aspettarmi”.

Lasciò che quest’ultimo, acido pensiero svanisse all’istante. Ora si sentiva in pace: non solo l’opera indegna di Gelo era stata fermata, forse per sempre, ma con lui tutto il Fiocco rosso aveva abbandonato quelle terre, e la gente di Jingle poteva, finalmente, tornare a vivere in pace. Con questi pensieri gli parve di volare mentre correva sulla neve, felice di poter tornare ai climi decisamente più temperati dell’ovest, pronto a riabbracciare sua moglie e sua figlia, e di potersi preparare con loro ad accogliere nel mondo il suo secondogenito.


NOTE DELL'AUTORE

Salve a tutti popolo di Efp! Ne approfitto per presentarmi senza fronzoli: sono uno studente universitario, aspirante giornalista, che ha finalemente deciso di scrivere i suoi deliri. Scherzi a parte, quello che avete letto è solo il primo capitolo di una storia che ho deciso di scrivere solamente ora, ma che mi ha accompagnato tanto tempo, da quando, anni fa, ho visto Dragon Ball per la prima volta.

A molti sarà capitato di immaginarsi a fianco dei nostri eroi a combattere i malvagi: ecco come ho deciso di scrivere una storia proprio con un protagonista che rifletta quelli che erano i miei sogni di ragazzino, mettendoli su un piano più maturo. In questo capitolo avete assistito alla genesi dell'universo: guardando diverse timeline in giro per la rete ho notato che la datazione di manga e anime si ferma a "qualche milione di anni fa". Mi sono chiesto cosa ci fosse stato prima. Il titolo è comunque anche una metafora, che vi invito a cogliere senza darvi ulteriori info (sono portatore sano di spoiler!). Ribadisco che ogni recensione è ben gradita, soprattutto se vedete qualcosa che non va, sono alle prime armi e ogni consiglio/critica è ben accetto/a, purchè siate educati (è pur sempre la mia prima storia!).

Dragon Ball e tutto ciò che è ad esso legato è proprietà di Akira Toriyama.

P.S. si, gli Tsufuru mi stanno altamente sul cazzo. E si, proprio per colpa di Baby.




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Capitolo 2
*** Il Torneo ***


CAPITOLO SECONDO- IL TORNEO

ANNO 756

«Ed è così che ho conosciuto Goku.» concluse mio padre. Nonostante avessi perso il conto di quante volte gli avevo chiesto di raccontarmi la storia della Muscle Tower, lui non si stancava mai di raccontarmela.

Quella fu l’ultima delle avventure di mio padre prima che nascessi, e per me aveva un significato speciale: per me, aveva scelto di interrompere il suo peregrinare, ma non l’avrebbe mai fatto se prima non avesse portato a termine il suo obbiettivo, quello di liberarsi dei malvagi che facevano del male a persone innocenti.

Una volta tornato a casa, la sua nuova avventura fui io: Daniel. Io e la mia famiglia viviamo in una piccola cittadina poco lontano dalla Città dell’Ovest, Pepper Town.

 Mio padre Damon lavora per la Capsule Corporation, dove mi pare si occupi di robot o altri marchingegni... credo di non sapere bene di cosa si occupi!

Mia madre Lynda, invece, si occupa della casa, ed è una cuoca provetta: è una donna bellissima, molto dolce ma comunque autorevole, cosa che sa trasmettere attraverso sguardi che possono far rabbrividire anche il peggiore dei malvagi, secondo me.

Mia sorella Kira, di tre anni più grande di me, è una ragazza allegra e solare, ma molto competitiva ed orgogliosa, e nonostante sia ancora piccola è una grande sportiva e un’atleta diligente.

Anche i miei genitori non sono male da questo punto di vista: da quello che mi ha detto papà, sia lui che mamma sono stati allenati fin da piccoli nelle arti marziali. Papà si è allenato perfino con un grande maestro, un eremita se non mi ricordo male, che gli ha insegnato come formare dei potentissimi raggi di energia!

Ecco, io non ho mai ricevuto alcun allenamento di questo tipo: papà non mi ha mai voluto spiegare il perché. In questi pochi anni mi ha comunque insegnato molte cose: ho imparato a leggere in poco tempo, e già studio libri complessi su tutti i tipi di argomenti.

Papà dice che devo coltivare la mia intelligenza, che è un dono da non sprecare. Ma questo non mi ha impedito di appassionarmi alle arti marziali: ho già letto qualche libro, ho assistito ad incontri sporadici nelle strade di Pepper Town, e mi piace osservare papà quelle poche volte, ormai, in cui trova del tempo per allenarsi; quando mi ritrovo a girovagare nei boschi alla base delle montagne creo nemici invisibili con rocce ed alberi, e mi diverto tantissimo, nonostante mamma poi si ritrovi sempre costretta a riempirmi di cerotti e fasciature, il che non è molto divertente, e su questo sono d’accordo con lei.

Per il mio quinto compleanno, ho chiesto di poter assistere all’imminente 23° torneo mondiale di arti marziali. Sorprendentemente, mio padre ha accettato, anche con un certo entusiasmo: «Sarà un’occasione per poter rivedere qualche vecchia conoscenza.» ha detto.

Ora, mentre sta terminando il suo racconto, ci troviamo, tutti e quattro i membri della nostra famiglia, su un traghetto diretto all’isola Papaya, dove ogni tre anni ha sede il torneo.

Avremmo prendere un aereo, ma mamma ha paura di volare. Ci saremmo risparmiati diversi giorni di viaggio per arrivare fino alla Città del Sud, dove abbiamo potuto prendere il traghetto.
«Guardate! Ci sono i delfini!» urla Kira entusiasta, appiccicando la propria faccia al finestrino per poter veder meglio. Cerco di farmi spazio, voglio vederli anche io.

«Daniel, non spingere! C’ero prima io!»

«Ma voglio vedere anch’io i delfini!»

«Se non la smettete subito l’unica cosa che vi scorderete di vedere saranno i dessert a fine pasto!» sbottò mia madre. Io e Kira ci risedemmo immediatamente, composti e zitti: non solo andavamo matti per i dolci, ma quelli della mamma… erano il nostro punto debole. Girai comunque la testa verso il finestrino: feci così in tempo per assistere ad un meraviglioso salto di un delfino, seguito a ruota da altri due, come in una sorta di danza.

Proseguirono nelle loro acrobazie, incrociando le loro traiettorie senza mai toccarsi. Nella cabina si poté sentire qualche “Ohh!” di meraviglia. Io ero, se possibile, ancora più entusiasta: quella serie di salti così coordinati tra loro, come se seguissero una coreografia, mi faceva venire in mente uno scontro tra esperti guerrieri dalle tecniche raffinate, facendomi sognare di fronte alla prospettiva che quelle visioni sarebbero tra un po’ divenute realtà di fronte ai miei occhi.

Quando attraccammo, fu tutto molto caotico: erano venuti in molti per assistere al torneo. Oltretutto faceva molto caldo: nonostante le nostre proteste alla partenza per il troppo freddo, l’indicazione di papà si rivelò utilissima. Eravamo tutti vestiti in modo simile: io e mio padre, entrambi con dei pantaloncini corti fino al ginocchio e una maglietta a maniche corte, la mia di un rosso acceso, a sua bianca, con il logo della Capsule Corp. che ritornava anche sul cappellino che aveva (saggiamente) deciso di portarsi dietro. Teneva, come sempre, i capelli legati in una lunga coda. Io, al contrario avevo i capelli corti e rigorosamente spettinati.

Mamma, invece, teneva i suoi lunghi capelli castani sciolti ad incorniciarle il viso, che gli ricadevano sulle spalline della sua canotta.

Anche Kira portava una canotta, su cui era disegnato in grande evidenza il logo della sua squadra di basket, e come mamma aveva lunghi capelli castani che però teneva raccolti in una treccia. Entrambe avevano optato per lunghi pantaloni da tuta, di un tessuto comunque leggero.
Una volta scesi dalla nave, raggiungemmo senza non troppe difficoltà l’albergo: non avevamo troppi bagagli e neanche troppo grossi, fu il taxi che ci accompagnò che sembrava più un uovo su quattro ruote.

Nonostante la situazione di incredibile scomodità, io e Kira evitammo di stuzzicarci, ricordandoci della minaccia che la mamma ci aveva fatto poco fa. Una volta arrivati nell’albergo, ci sistemammo nelle rispettive stanze: i miei genitori nella camera matrimoniale, io e Kira nell’unica con due letti separati, per il dispiacere di entrambi.

In realtà io voglio molto bene a mia sorella, però in certi momenti sa essere davvero insopportabile, con la sua grande abilità negli sport che l’ha resa fin troppo competitiva, anche quando non serve: quando vince una partita a carte, ad esempio, esulta come se avesse vinto chissà quale competizione prestigiosa.

Quando finimmo di sistemarci era già ora di cena. Vista l’ora tarda papà pensò bene di andare a prendere delle pizze da un ristorante che aveva notato a pochi passi dall’albergo.

Dopo mangiato, andammo tutti a letto, stremati dal lunghissimo viaggio e bisognosi di recuperare le energie per il giorno dopo, data ufficiale di inizio del torneo, e che sarebbe stato molto lungo. Ma l’eccitazione era tale che feci fatica a chiudere gli occhi, quella notte.
La mattina dopo mi svegliai per primo. Mi resi conto che era molto presto dal fatto che stava iniziando ad albeggiare. Di tornare a dormire, comunque, non se ne parlava.

Mi sedetti al tavolo in attesa della colazione, cercando i modi più svariati per ingannare il tempo: contavo i petali dei fiori ricamati sulle tende, o il numero di piastrelle sul pavimento, cercando di soffocare la fame che in qual momento mi tormentava. Finché la porta della camera dei miei genitori non si aprì: «Daniel…» disse mia madre con uno sbadiglio «sveglio già a quest’ora, tesoro?»

«Scusa mamma, proprio non riuscivo a dormire, eh-eh…»

«Devi essere parecchio eccitato, eh?» mi disse con un sorriso, mentre ordinava sul bancone quelle poche cose da mangiare che ci eravamo portati dietro, ma che per lei erano abbastanza per preparare una colazione con i fiocchi.

«Sai mi vengono in menti tanti ricordi, quando io e tuo padre eravamo poco più grandi di te.» disse sorseggiando il suo caffè, mentre io mi ero già buttato sui pancakes che avevo ricoperto di ogni glassa possibile e immaginabile, con una montagna di zucchero a velo.

«Quando sognavamo di diventare i più forti del mondo, mentre ci allenavamo agli ordini di tuo nonno.» Qui si interruppe: parlare del nonno la faceva sempre intristire. Mio nonno Jack era morto per difendere la mamma e nonna Amy da un rapinatore: per quanto fosse un esperto combattente, non poté nulla contro i proiettili della sua pistola.

Quel giorno mia madre decise di smetterla con gli allenamenti, mentre mio padre decise di andare a completare il suo addestramento con Muten, prima di interromperlo anche lui per iniziare una carriera nel mondo scientifico e per iniziare una vita con la mamma. I genitori di papà non li ho mai conosciuti: morirono quando lui era piccolo. L’unica cosa che so, è che il nonno gli lasciò in eredità un braccialetto, un “segno tangibile della nostra eredità”. Papà non è mai voluto andare oltre nella storia, e io non ho mai voluto costringerlo a rivelarmi altro.

«Mamma, tutto a posto?» notai che aveva perso la sua solita aria decisa, i suoi occhi si erano spenti: sembrava molto triste.

«Cosa? No, non è niente tesoro, mi sono solo venuti in mente dei ricordi poco piacevoli. Ora finisci di mangiare e vai a preparati, ma attento a non svegliare tua sorella!» Non me lo feci ripetere due volte: andai in camera e sistemai sul letto i vestiti che indossai in un attimo.

Non dovetti nemmeno fare attenzione nel non svegliare Kira, che nel momento in cui entrai stava scendendo dal letto. Una volta che anche papà si svegliò e terminò la sua colazione, non aspettavo altro che il momento in cui saremmo saliti sul taxi che ci avrebbe accompagnato all’arena.

«Non essere troppo precipitoso, Daniel.» disse mio padre «prima dobbiamo meditare.» Ancora non capivo perché per mio padre la meditazione fosse così importante. Lo faceva sempre prima di ogni allenamento, ed ogni giorno ci costringeva a radunarci tutti insieme in giardino per farlo: diceva che lo aveva imparato dal nonno, ed che lo aiutava a mantenersi in forma.

«Lo so che non ti piace particolarmente farlo, Daniel, ma la meditazione è importantissima: ti aiuta a conoscere il tuo corpo e a porti in armonia con l’energia del mondo. Molti grandi guerrieri meditano!»

«Si, ma io non sono un guerriero! E se non mi permetti di allenarmi non lo sarò mai!» sbottai.

«Questo è un discorso a parte: ho scelto di non allenarti anche perché vorrei che tu coltivassi la tua intelligenza. Sei un  ragazzo sveglio e non voglio che sprechi questo tuo dono.» concluse, con molta calma, nonostante potessi intuire che la mia reazione lo avesse un po’ indispettito. Ma dal tono che usò potei capire che non mi stava dicendo la verità, o almeno non tutta quanta. Non opposi più resistenza.

Dopo esserci seduti per terra, in cerchio, chiudemmo tutti gli occhi ed iniziammo la nostra mezz’ora di meditazione quotidiana. Sincronizzammo i nostri respiri e, come papà ci diceva, e ci concentrammo su ogni singolo suono, odore e movimento intorno a noi.

Ben presto quell’intorno passò dal semplice movimento del torace degli altri tre componenti del cerchio all’intera stanza, fino a che non riuscì a percepire il battito delle ali dei gabbiani che si agitavano sul lungomare che fiancheggiava l’hotel, e tutti quei rumori che indicavano quanto attorno a noi, in quel momento, in quel piccolo spazio di pianeta, la vita fremeva e si esprimeva in svariate forme, finché quelle percezioni finirono per farmi perdere quella del tempo, lasciandomi in armonia con questa melodia di vitalità, che in un contesto normale sarebbe sembrato solo un gran baccano.

Quando la mezz’ora terminò, il ritorno alla realtà fu quasi traumatico. Dopo qualche esercizio di respirazione e un po’ di stretching, fu il momento di prepararsi per andare al torneo.

Alla fine, meditare mi piaceva: provare quelle sensazioni era qualcosa di meraviglioso, non era solamente l’attività con cui preferivo occupare il mio tempo.

Quando fummo tutti pronti, scendemmo all’ingresso, dove un taxi, questa volta decisamente più spazioso, ci stava aspettando. Il traffico era tremendo: erano venute centinai, forse migliaia di persone per assistere al torneo.

«Ma così perderemo le eliminatorie!» dissi, leggermente irritato.

«Mi spiace ragazzo, ma in questo momento siamo letteralmente bloccati!» mi disse cortesemente il tassista, un uomo anziano con due folti baffi bianchi e molto cordiale.

Mi risedetti pesantemente, incrociando le braccia. L’espressione che assunsi, poi, marcò ancora di più quel senso di irritazione e frustrazione che ora mi pervadeva. Dopo quella che parve un’eternità, riuscimmo ad arrivare a destinazione: c’era una ressa incredibile.

«Rimaniamo vicini, cerchiamo di non perderci!» disse frettolosamente papà, una volta raggiunta un’area del complesso decisamente più libera.

«Damon? Damon Ryder?» a sentire il nome di mio padre ci voltammo tutti di scatto: a parlare era una giovane ragazza dai capelli azzurri che si stava avvicinando.

«Signorina Brief! È un piacere incontrarla qua!» disse allegramente mi padre «Come mai si trova qui, se posso chiederlo?»

«Dammi pure del tu, Damon, sarò anche il tuo “capo” ma ho ventitré anni, accidenti! Mi fai sentire vecchia!» disse l’azzurra con una risatina. «Comunque, ho dei carissimi amici che partecipano, quindi sono venuta a fare il tifo! E tu?»

«È il regalo di compleanno per mio figlio, e l’ho voluta sfruttare come occasione per fare una bella esperienza con tutta la famiglia, e rivedere qualche faccia conosciuta. A proposito, ti presento i miei figli, Daniel e Kira.» con una velocità che sorprese entrambi, mio padre spinse leggermente me e mia sorella davanti a lui, in modo che non ci fossero più “ostacoli”, tra noi e l’azzurra.

«Era ora che me li facessi conoscere! Siete così carini!» disse con un’allegria che mi metteva un po’ a disagio «È un piacere conoscervi ragazzi! Io sono Bulma Brief, ma potete chiamarmi solamente Bulma.»

«È u-un p-piacere anche per noi…» rispondemmo entrambi con evidente imbarazzo, abbozzando un inchino. Poi Bulma si rivolse nuovamente a mio padre: «Le eliminatorie sono terminate poco fa, i guerrieri sono in pausa. Io stavo andando a trovare i miei amici, probabilmente anche voi siete diretti lì!»

Mio padre annuì e seguimmo l’azzurra verso un edificio, composto da un solo grande salone: nel salone, i partecipanti che avevano superato le eliminatorie si stavano rilassando. Ero emozionatissimo: era la prima volta che vedevo da vicino dei guerrieri professionisti!

Vidi mio padre mandare qualche cenno qua e là, e mi sentì orgogliosissimo. Intanto l’azzurra si era fermata vicino ad un gruppo che non dimenticherò mai: un guerriero pelato con le parvenze di un monaco, poco più alto di me, vestito con una tuta arancione; con la stessa tuta, un altro guerriero dai lunghi capelli neri con delle cicatrici sul viso; al suo fianco, un guerriero anche lui pelato, con una canottiera gialla e dei pantaloni verdi, ed un terzo occhio sulla fronte; vicino a lui una donna dai capelli biondi e dall’espressione decisa; un piccoletto che dall’aspetto ricordava un po’ un pagliaccio; infine un maiale parlante su due zampe che si intratteneva con u vecchio dalla lunga barba bianca, con dei baffi molto pronunciati ed un bastone di legno.

Fu proprio a loro che si avvicino mio padre: «Ne è passato di tempo, maestro.»

Il vecchio interruppe la discussione con il maialino e si girò, visibilmente sorpreso: «D-Damon?! Damon Ryder?! Sei proprio tu?»

Mio padre annuì. «Ah-ha! Ragazzo mio, che piacere rivederti! Vedo che ti sei sistemato, hai proprio una bella moglie, eh-eh…» disse il vecchio scostando leggermente mia madre, che arrossì vistosamente.

Al che mio padre gli rifilò un’occhiataccia, poi però sorrise: «Maestro, voi invece non siete cambiato per niente!» In quel momento Bulma li interruppe, questa volta quella sorpresa era lei: «Voi due… vi conoscete?!»

Al che il vecchio rispose: «Certamente, circa una quindicina di anni fa Damon divenne mio discepolo, e tuttora rimane uno dei migliori allievi che io abbia mai avuto.» E lì capì, che quel vecchietto altri non era che il Maestro Muten, l’Eremita della Tartaruga. Anche il resto del gruppo rimase un po’ sconcertato da questa scoperta.

Fu allora che ci presentammo: conobbi così Crilin e Yamcha, i due nuovi allievi di Muten; Tensing e Reef, due ex-allievi dell’eremita della Gru, nome che mi era ancora sconosciuto; Launch, che non si presentò personalmente perché, secondo Crilin era «di non ottimo umore in quel momento…»; e infine Oscar, il maialino parlante che scoprì essere in grado di cambiare forma.

Strinsi la mano a tutti e mi inchinai diverse volte, ma fu particolare quella con il vecchio maestro di mio padre: al momento di stringermi la mano, rimase un attimo in silenzio, con un espressione seria, scrutandomi in silenzio attraverso i suoi occhiali da sole. Rimase così per qualche secondo, salvo poi riprendere la sua solita aria allegra e gentile: «E così tu sei il piccolo Daniel, eh? Piacere di conoscerti!» Ma le presentazioni non erano ancora terminate.

«Ne manca uno…» disse Muten fra sé e sé «dove si sarà cacciato quel ragazzo?»

«Maestro, l’ultima volta che l’ho visto si stava avvicinando al buffet… credo che sarà una lunga attesa.» disse Crilin con un velo di sarcasmo.

«Non cambierà mai quel ragazzo! Sa solo pensare al cibo e ai combattimenti!» disse Bulma irritata.

«Ah, eccolo là!» esclamò Muten. Mi girai, e poi notare un ragazzo dai folti capelli neri, stranamente appuntiti, dall’aria vispa e con un enorme sorriso di soddisfazione stampato sulla faccia: mentre camminava si massaggiava lo stomaco con soddisfazione.

«Ahhhh… che mangiata! Hey, ragazzi! Avete fatto nuove conoscenze?» disse volgendo lo sguardo verso di noi.

«Non mi sorprende che non ti ricordi più di me, ora… ti eri dimenticato già dopo una giornata!» disse mio padre, sogghignando. Goku assunse un’espressione perplessa, poi spalancò gli occhi: «Tu sei quel combattente del villaggio Jingle! De- Dan-»

«Damon.»

«Ah, di lui quindi ti ricordi! IDIOTA!» urlò da lontano una potente voce femminile che non riuscii ad identificare.

«Proprio lui! Allora ce l’hai fatta ad uscire da quella torre! Sai, mi venne in mente dopo che nella torre c’era qualcun altro, sai ero un po’ stordito e non ho avvisato Ottavio eh-eh…» disse grattandosi il retro della testa.

«E chi è Ottavio? Nah, non fa niente. Mi fa piacere rivederti, ragazzo, non ho notizie di te dal disastro con quel Piccolo.»

Per un momento ebbi un brivido. Ero ancora un bambino, ma a quel nome associo uno dei miei primi ricordi, e purtroppo non positivi: mi ricordò il bunker in cui mio padre ci nascose, sotto la nostra casa. Ricordai grigio delle pareti, le lacrime di paura di Kira, la rabbia di papà. Avevo solo due anni e, fortunatamente, non ricordo molto altro.

«Spero tu sia diventato più forte dell’ultima volta che ti ho incontrato, e già mi avevi sorpreso ai tempi. Sono curioso di vederti all’opera.» concluse mio padre, mettendo una mano sulla spalla di Goku.

«E quindi era il nostro Damon il guerriero di cui mi parlasti? Ah ah, che curiosissimo intreccio.» commentò il maestro Muten.

Poi Goku volse lo sguardo verso di noi: «Loro sono la tua famiglia?» disse indicandoci.

«Si. È su richiesta di mio figlio che siamo venuti qua oggi, aveva grande voglia di assistere al torneo.» disse mio padre posando la sua mano sulla mia spalla.

«Allora perché non vi sedete con noi? Abbiamo degli ottimi posti in prima fila!» disse Bulma con entusiasmo.

«Penso che Daniel non abbia da obbiettare, io nemmeno. Voi due che dite?» mia madre e mia sorella annuirono in approvazione.

«Perfetto allora. Perché non iniziamo a dirigerci verso lo stadio, allora?»

Così ci muovemmo verso lo stadio. Crilin mi si affiancò facendomi qualche domanda sulla mia passione per le arti marziali. Provavo già simpatia per lui, così come per gli altri guerrieri.

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Damon rimase in fondo al gruppo. Vide suo figlio intrattenersi con gli altri guerrieri. Era felice del suo entusiasmo. Ma non voleva che ciò lo spingesse ad intraprendere quella strada.

Lui non lo faceva per snobismo: suo figlio era intelligente, e anche molto, ma se non lo aveva ancora allenato non era certo per togliere tempo allo studio.

Non lo aveva nemmeno iscritto a nessuna scuola, studiava a casa con sua madre. E così aveva un sacco di tempo libero per andare nei boschi a combattere nemici invisibili: e lui si rendeva conto che non avrebbe potuto tenerlo per sempre lontano da quel mondo, nonostante ciò che suo figlio si portava dentro.

«Damon, ragazzo mio…» disse Muten approcciandosi all’ormai ritirato guerriero «Non vorrei turbare questa bella giornata, e comunque non voglio essere troppo indiscreto: ma ho percepito qualcosa di strano in tuo figlio. Come una sorta di aura repressa…»

«La sua percezione è affinata come sempre, maestro, mi fa piacere.» Damon percepì che il suo vecchio maestro voleva dargli una mano.

«Ma non è questo il momento di parlarne. Aspettiamo la fine del torneo.»

Muten annuì, percependo il disagio nell’ex allievo. Proseguirono entrambi verso l’arena, unendosi nuovamente al gruppo. Gruppo, che già dall’interno del salone era stato seguito da due occhi curiosi, carichi di odio e malvagità: gli occhi di un guerriero dalla pelle verde, vestito con un turbante ed un lungo capello bianco, che aveva anch’egli percepito qualcosa di strano nel bambino. Ma per ora non era importante: era qui con un altro obbiettivo…

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Quando ci dividemmo dai guerrieri, mi dispiacque un po’: sapevo che li avrei potuti rivedere alla fine del torneo, ma quella passeggiata era stata così piacevole che avrei voluto non finisse mai.

Goku si era rivelato essere molto gentile e giocoso: se non fosse stato per il suo aspetto fisico, avrebbe potuto essere tranquillamente un mio compagno di giochi.

Crilin invece era un po’ più serio, ma anche lui non si risparmiava quando si trattava di fare una battuta, così come Yamcha.

Tensing e Reef erano un po’ più distanti: forse un atteggiamento dovuto al loro addestramento e dalla loro educazione, nel caso di Reef, che scoprii essere un imperatore.

Mi raccontarono le loro avventure, dalla ricerca delle sfere del drago al Fiocco Rosso, dalla morte di Crilin, Muten e Reef fino alla disfatta del Grande Mago Piccolo. Mi avevano preso all’amo: pendevo letteralmente dalle loro labbra.

Ero così preso, che quando mia madre mi afferrò per la mano, il ritorno alla realtà fu traumatico quasi come quelli post- meditazione.

«Tesoro mi dispiace, ma tu non puoi andare a combattere!» disse con un sorriso. «Grazie per averlo tenuto buono, ragazzi!»

«Non si preoccupi signora, siamo noi a ringraziare lei per averlo portato qua! Il suo entusiasmo ci ha dato una bella carica!» disse Crilin. Poi, salutando con un cenno della mano, i guerrieri si diressero verso l’arena.

«Buona fortuna!» gridai, sperando che mi sentissero. Poi seguì mia madre sugli spalti. Presi posto vicino a mio padre e mia sorella.

«Torna sulla terra fratellino, tu non sarai mai come loro. Quelli sono più che professionisti, quelli sono degli eroi!» mi disse Kira, con fare serio «Perfino papà non si avvicina al loro livello, secondo me.» concluse, dando una succhiata alla cannuccia con cui sorseggiava la bibita ghiacciata che si era appena comprata.

«Kira!» la fulminò mio padre. Si zittì immediatamente, anche se avrei preferito lo avesse fatto prima: e se avesse avuto ragione? Mi assillai con quell’interrogativo finché l’annunciatore non gridò nel microfono i nomi dei primi contendenti:
«Per il primo incontro di questa fase finale del 23esimo torneo mondiale di arti marziali: Tensing contro Tao Bai Bai!»
Chi fosse l’avversario di Tensing me lo spiegò il maestro Muten: era un mercenario spietato che dopo essere stato ucciso da Goku era stato riportato in vita come cyborg dal fratello, l’eremita della Gru, l’ex insegnante proprio di Tensing e Reef.

E le sue intenzioni di vendetta dei fratelli, nei confronti dei due ex allievi, furono subito chiare: quello che parve un combattimento tra due grandissimi guerrieri rischiò di finire in tragedia quando Tao trasformò la sua mano sx in una lama, e squarciò il petto di Tensing non riuscendo, tuttavia, ad ucciderlo, come sperava.

 «Ma così non è valido! È contro il regolamento!» mi alzai indignato.

Ovviamente stavo facendo il tifo per Tensing: notai che anche Launch stava facendo un tifo scatenato, era agitatissima.

Quando anche l’annunciatore proclamò la squalifica di Tao pensai che fosse tutto finito. Poi successe qualcosa che mi colpì profondamente: la mano destra di Tao si trasformò in un cannone, e con esso lanciò quella che mi dissero essere la “Super Dodonpa”, la tecnica della scuola della Gru, POTENZIATA.

Rimasi uno attimo scioccato dalla potenza di Tao. Ma lo fui ancora di più quando vidi Tensing resistervi ed uscirne praticamente illeso: lo scontro tra l’aura del guerriero e la potenza del raggio generò uno scoppio ed un’onda d’urto tali che non potemmo tenere gli occhi aperti.

Quando potei finalmente tornare a guardare il ring, vidi Tensing mettere Tao facilmente al tappeto, per la nostra gioia. Mio padre si girò e mi disse: «Sorpreso?» Io annuii, e lui non parve sorpreso.
«Negli scontri tra grandi guerrieri questa è quasi normalità» Quella frase mi lasciò un vuoto dentro: aveva forse ragione Kira? Erano veramente guerrieri così irraggiungibili? Se anche avessi iniziato ad allenarmi, sarei mai arrivato a lanciare attacchi così potenti e brutali? Avrei potuto mettere a repentaglio la mia vita, contro nemici della stessa potenza? A malapena sapevo tirare un calcio.

Tutti quegli scomodi interrogativi, quantomeno, avevano ancora una volta occupato il tempo che mancava all’incontro successivo, e questa volta uno dei contendenti era Goku! Il suo avversario era una ragazza con dei lunghi capelli neri, raccolti con un piccolo elastico rosso: da quella distanza sembrava comunque molto bella.

Più che uno scontro fu quasi una discussione tra i due, in cui la ragazza sembrava irritata dal fatto che Goku non ricordasse il suo nome: potei realizzare a chi apparteneva la voce femminile di poco fa.

Quando poi rivelò il suo nome, parte dei nostri nuovi amici rimase molto sorpresa: la ragazza si chiamava Chichi, ed era la figlia dello Stregone del Toro, e a quanto pare Goku aveva inconsciamente promesso di sposarla. Non sentì il resto della loro discussione, ma subito dopo Goku creò con un semplice movimento di mano una piccola onda che spedì Chichi fuori dal ring.

Dopo di che buona parte del pubblico ebbe modo di commuoversi (notai mia madre piangere come una fontana, appoggiandosi alla spalla di papà): i due si erano fidanzati ufficialmente. Il secondo incontro si chiuse tra gli applausi di tutto il pubblico.

Il terzo incontro vide Crilin contro un tale Majunior: un uomo verde con un turbante ed un mantello bianchi: la sua forza fu tale che Crilin si dovette ritirare.

L’ultimo incontro vedeva Yamcha contro un certo Divo: un uomo gracilino con dei baffetti ed una capigliatura inquietanti. «Yamcha ha l’incontro in pugno!» dissi con sicurezza «Vai Yamcha!»

«Non esserne così sicuro ragazzo, il suo avversario può sembrare debole, ma ha comunque superato le eliminatorie, e in lui c’è qualcosa di particolare.» disse Muten, spegnendo un po’ il mio entusiasmo.

«Ricorda ragazzo, regola che vale per le arti marziali come per ogni cosa: mai sottovalutare il proprio avversario.»

Kira annuì: «Vero! Lo dice sempre anche il nostro allenatore!» cinguettò Kira. Mio padre le accarezzò la testa affettuosamente. Io, comunque, non avrei mai dato una chanche a quel tipo.

La scena a cui dovetti assistere mi lasciò più scioccato della Super Dodonpa di Tao: per quanto Yamcha provasse ad attaccare il tipo, i suoi goffi tentativi di difesa, uniti a qualche colpo ben assestato finirono per mandarlo k.o. Ero allibito, così come tutta l’arena. Iniziai a sospettare che quel “Divo” nascondesse qualcosa.

Era il momento delle semifinali: la prima avrebbe visto Goku contro Tensing. Non mi curai del fatto che non ebbi nessuno per cui tifare, in quanto avrei voluto entrambi in finale, ma fu uno scontro epico: due grandi guerrieri si scontrarono con incredibile velocità e potenza (oltretutto la maggior parte dei vestiti di Goku erano dei pesi!) sfoderando le loro migliori tecniche.

Tensing arrivò perfino a formare 4 copie di sé stesso, ma anche nei momenti in cui pareva in grande difficoltà, Goku sbalordiva tutti rimanendo sempre in controllo della situazione, dimostrando una forza ed un’abilità fuori dal comune, sbalordendo tutto il pubblico presente, noi compresi.

Alla fine riuscì a mettere k.o. Tensing, spedendoli tutti e 4 fuori dal ring.

Guardai gli altri combattenti: Crilin e Yamcha erano stupefatti come noi. Chichi invece aveva un’espressione sognante ad adornarle il volto. Eravamo comunque tutti felici per Goku. Nonostante Majunior si fosse dimostrato potentissimo, Goku avrebbe potuto benissimo sconfiggerlo. Ne ero convinto.
La seconda semifinale era tra Majunior e quello strano ometto, Divo.

Qualunque cosa nascondesse quell’ometto, non avrebbe comunque potuto portarlo oltre Majunior.

Quando l’incontrò iniziò, mi aspettavo di tutto tranne che Divo riuscisse a scagliare Majunior in aria con una potente esplosione, a cui il guerriero verde rispose prontamente con un raggio che causò un esplosione altrettanto potente nel mare dell’isola.

Divo sicuramente non era umano: teneva testa a Majunior, e in certi momenti gli sembrava anche superiore. Finché non si fermarono entrambi in mezzo al ring, e iniziarono a conversare in una lingua sconosciuta. 

Nessuno stava capendo una parola, ma si poteva intuire che non doveva essere una conversazione tra amici. Finchè Divo non estrasse dal taschino della camicia una bottiglietta, la posò in mezzo al ring, e dopo aver fatto un paio di salti all’indietrò esclamò: “Onda sigillante!”

Un vortice verde si creò attorno a Majunior, che però rispose con una tecnica di risposta e nel vortice ci finì Divo, che venne trascinato verso la bottiglietta. All’ultimo momento, però, Divo usci dalla presa del vortice e uno strano alone, venne risucchiato nel vortice: si poteva intravedere, in quello strano alone, una figura. Ma non ci feci caso.
Quello scontro fu la goccia che fece traboccare il vaso: avevo assistito solamente a sei incontri, eppure in quel momento la mia concezione delle arti marziali era totalmente cambiata.

Mi avvicinai a mio padre e mi strinsi al suo braccio. Per la prima volta mi trovai ad avere paura di fronte all’eventualità di un combattimento. E ce n’era ancora uno da guardare, quello più importante: la finale tra Goku e Majunior.


NOTE DELL'AUTORE

Ecco! Spero che l'esperimento di alternanza dei punti di vista sia riuscito, credo dovrò farne uso spesso, anche se il punto di vista del nostro Daniel resterà predominante.

Mi dispiace se magari le descrizioni dei combattimenti non sono proprio esaltanti, ma proprio perchè gli eventi sono fedeli a quelli della saga, mi sembrava solamente un riempimento forzato andare a descrivere per filo e per segno ogni combattimento (che personalmente trovo molto più godibile quando visto, e non letto!). In ogni caso, nel giovane Daniel, così pieno di entusiasmo, si insinuano i primi dubbi, e il torneo non è ancora finito...

Come sempre, ogni recensione, positiva e anche negativa (purché educata e costruttiva) è ben accetta!

Dragon Ball e tutto ciò che è ad esso legato è proprietà di Akira Toriyama.




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Capitolo 3
*** Scelte ***


CAPITOLO TERZO- SCELTE

La finale stava per cominciare. Per come ci si era arrivati, sarebbe stato di sicuro un incontro interessante: Goku, che aveva praticamente surclassato il campione uscente Tensing, e quel Majunior, guerriero anch’egli dalla straordinaria potenza e dagli evidenti grandi poteri, visto l’incontro appena conclusosi contro Divo.
Ovviamente facevo il tifo per Goku: non che avessi qualcosa contro quel Majunior, non lo avevo mai visto prima e non avevo idea di chi fosse, ma di sicuro non mi trasmetteva nessun senso di fiducia, anzi, mi faceva anche un po’ paura.

“Un vero guerriero deve saper dominare la propria paura! Non lasciarti intimorire, Daniel!” pensai in quel momento. Lasciai  che l’entusiasmo riprendesse per un attimo il controllo su di me. Mi accorsi, però, che non era più lo stesso entusiasmo che mi aveva accompagnato da quando mio padre aveva acconsentito a farmi assistere al torneo come regalo di compleanno.

«Cosa c’è, Daniel?» Parli del diavolo… mio padre si era appena rivolto a me.

«Cosa? Oh, non è niente papà. Sono soltanto un po’ nervoso…»

«E perché dovresti esserlo? Stai per assistere a quella che potrebbe essere una delle più belle e divertenti finali della storia del Torneo Tenkaichi, dovresti essere in piedi sulla sedia!» disse con un velo di sarcasmo.

Non so che espressione avessi assunto quel momento, ma sono sicuro di quella che assunse lui: nei suoi occhi potevo leggere che aveva capito quello che mi stava succedendo. In questa giornata di combattimenti, qualcosa in me si era rotto.

Fu un instante che non durò molto: «Stai tranquillo e goditi la finale.» Mi disse con un caldo sorriso, dandomi una pacca sulla testa.

Nel momento in cui Goku e Majunior salirono sul ring, cominciai a sentirmi più rilassato: non c’era alcun motivo per essere nervosi! Sul ring non ci dovevo salire io: ero lì per assistere ad un torneo, non ero di certo io quello che metteva in gioco il proprio corpo, la propria vita in una battaglia.

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Ho appena compiuto 5 anni, sono ancora praticamente un bambino, e nonostante sia un bambino molto intelligente a detta dei miei genitori, commetto ancora errori di valutazione sulle situazioni. Ma quello che successe dopo non fu un semplice errore di valutazione, fu uno shock per tutti che rischiò di costarci la vita, e quel mio nervosismo iniziale, era ora più che giustificato.

Fu un vortice di colpi di scena: alla fine si era scoperto che quel Majunior era in realtà nientepopodimeno che il figlio del Grande Mago Piccolo, Piccolo Jr., cosa che fece scappare gran parte del pubblico, e che Divo in realtà era un uomo posseduto dal Supremo, la parte buona di Piccolo e guardiano della Terra, iscrittasi al torneo per fermarlo e che era stato sigillato in una bottiglietta a causa di Piccolo stesso, che gli aveva rivolto contro la tecnica dell’Onda Sigillante.

Lo scontro tra lui e Goku fu qualcosa di tremendo: Piccolo ricorse a tutto il suo arsenale, diventò perfino gigantesco, eppure Goku gli resistette con ogni mezzo, riuscendo anche a liberare il Supremo dal suo sigillo, e anche quando tutto sembrava perduto, riusciva sempre a ribaltare la situazione a suo favore, sorprendendo tutti ogni volta, riuscendo poi definitivamente a metterlo al tappeto e a vincere, ufficialmente, il suo primo torneo mondiale.

Per me fu un’esperienza devastante, dal momento stesso in cui Piccolo ridusse l’area circostante in una landa desolata ricorrendo ad un’enorme esplosione energetica, dalla quale ci siamo salvati solo grazie all’intervento di Tensing, che scavò una buca abbastanza profonda da proteggerci dall’esplosione.

In quello che ormai era un deserto, lo scontro si concluse tra un continuo susseguirsi di colpi di scena, che videro Goku prevalere sul potente avversario. Rimasi ancora più sbalordito quando lo vidi rimettersi in piedi, completamente ristabilito, ed esultare saltellando ovunque per la vittoria del torneo solamente dopo aver mangiato un fagiolo che un grosso guerriero armato di katana, del quale ora non ricordo il nome che comunque mi risultò impronunciabile, comparso da chissà dove (aveva forse partecipato alle eliminatorie che ci eravamo persi) gli aveva portato.
 
Rimanemmo tutti di sasso quando, dopo aver convinto il Supremo a non sacrificare la propria vita per eliminare Piccolo (durante lo scontro avevo sentito il Maestro Muten accennare qualcosa riguardo l’imprescindibile legame tra i due), Goku offrì uno di questi fagioli a Piccolo, che se ne andò promettendo vendetta.

Constatato che era tutto finito, raggiunsi mia madre e mia sorella che si stavano dirigendo verso il piccolo areoplano che Bulma aveva appena estratto da una capsula, poiché ci aveva offerto un passaggio, visto che Piccolo aveva praticamente distrutto tutto, anche il nostro hotel, quindi non aveva più senso rimanere lì.

Mia madre era talmente scossa dagli eventi recenti che non fece nemmeno caso al fatto che stesse salendo su un aereo: io e Kira ci premurammo comunque di metterle una doppia cintura, in caso fosse andata in escandescenze, approfittando del suo momentaneo stato di smarrimento. Mentre mia sorella, anche lei piuttosto scossa, rimase di fianco a mia madre tenendole la mano, io cercai mio padre con lo sguardo: non ci aveva seguito.

«Scusa, Bulma… hai visto il mio papà?» gli chiesi.

«Se non sbaglio era ancora fuori a parlare con Muten e con…» si sporse dal portellone, accorgendosi di essersi dimenticata quale fosse l’altro interlocutore di mio padre «EH? Con il Supremo?!»

Non appena ebbe pronunciato quella frase mi sporsi immediatamente anche io: mio padre stava effettivamente conversando con il Supremo. «Ma come fa tuo padre a conoscere il Supremo? Voglio dire, deve essere sicuramente un guerriero valido, ma pochi hanno avuto questo privilegio… eppure sembra si conoscano da parecchio!»

In quel momento avrei tanto voluto poterle rispondere in qualche modo, anche solo sbiascicando delle parole a caso, ma mi mancava anche la forza per parlare.

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«Io l’ho portato qua oggi solamente perché era il suo compleanno! Come potevo sapere come si sarebbero evoluti gli eventi?! Oltretutto credo che si sia fatto un’idea più vera di quello che è il mondo dei combattenti, che è ciò che volevo io: cercare di dissuaderlo naturalmente…» disse Damon con fare irritato.

«Sta di fatto che hai comunque commesso un errore! Cinque anni fa ti avvertì sul fatto che dentro di lui c’è una forza incontrollabile, evidentemente isolata da sigilli potentissimi, e che io ti ho raccomandato di non stimolare! Portarlo qua, metterlo di fronte ad un così grande sforzo emotivo è stato un rischio enorme! Piccolo è una minaccia sufficiente, non credi?» controbatté con rabbia il Supremo.

«Io sto facendo di tutto per rendere la sua vita tranquilla, per tenerlo lontano da qualsiasi forma di combattimento! Ma ce l’ha nel sangue, è comunque mio figlio. In più la sua aura cresce: ha 5 anni, eppure ogni volta che medita riesce a raggiungere uno stato di armonia con l’energia del mondo che i nostri antichi maestri raggiungevano dopo anni passati a meditare, basta vedere in che stato si risveglia ogni volta che ci riuniamo a meditare in famiglia. Non posso tenerlo lontano da questo mondo per sempre.» disse, questa volta con molta decisione Damon Ryder.

Tra i due cadde il silenzio. Il Maestro Muten li osservava attraverso i suoi occhiali scuri: percepiva la tensione che la conversazione faceva nascere in entrambi. Poco più in là, il gruppetto dei guerrieri aveva comunque potuto sentire gran parte della conversazione.

«Di chi stanno parlando il Supremo e Damon?» domandò sottovoce Goku.

«Di Daniel, il figlio di Damon.» rispose Yamcha.

«Evidentemente in quel ragazzino ci deve essere qualcosa di più grande del suo entusiasmo, che, oltretutto, non è poco…» constatò Crilin, sospettoso.

Intanto, Il Supremo rifletteva, mantenendo comunque lo sguardo fisso su Damon. La situazione non doveva essere presa alla leggera, e si rendeva conto che anche Damon se ne rendeva perfettamente conto.

Fu allora che, con un sospiro, disse: «Quella notte di 5 anni fa, quando decisi di apparire alla tua porta non appena potei percepire la neonata aura di tuo figlio, la prima cosa che tu facesti fu attaccarmi non appena dissi che ero lì per tuo figlio, nonostante eravamo entrambi consapevoli che non avresti avuto alcuna possibilità: lì ho potuto constatare la grandezza del tuo ardore e del tuo coraggio. Se tu mi dici che queste qualità le rivedi in tuo figlio, non diresti assolutamente niente di negativo: queste sono le caratteristiche che contraddistinguono gli eroi. Ma tuo figlio porta dentro di sé anche un male sopito, qualcosa di troppo grande perfino per me, sigillato negli abissi della sua anima. La forza di questo spirito è però così forte che se gli verrà concessa la minima possibilità di uscire, l’unica forza in grado di controllarlo sarebbe quella del tuo stesso figlio, nella cui anima ha trovato casa. Ti sconsigliai di allenarlo proprio per questo: non credo che sarebbe mai in grado di raggiungere una forza tale per poterlo contenere.»

Damon era avvilito: il Supremo aveva appena detto ciò che lui si ripeteva da anni, ossia che non poteva contare su suo figlio. La cosa lo faceva morire dentro ogni volta: come può un padre non avere fiducia nel proprio figlio?

«Ma» Damon sgranò gli occhi: credeva che il Supremo avesse terminato «oggi abbiamo avuto l’ennesima dimostrazione che questo mondo non è un luogo dove si può vivere un’esistenza tranquilla per molto tempo. Come i nostri guerrieri crescono e migliorano diventando sempre più forti, così fanno i nostri nemici: Piccolo potrebbe non essere l’ultima grande sfida per questo mondo. E proprio perché le sfide si fanno sempre più ardue, sarebbe stupido che chi può schierarsi a difesa degli innocenti contro questi sempre più grandi poteri rimanga in disparte.»

Il Supremo si volse verso l’aeroplano, dove vide i capelli disordinati del ragazzo spuntare dal portellone, vano tentativo di nascondere il suo origliare: sorrise teneramente. Poi si girò nuovamente verso Damon: «Puoi allenarlo.» Il viso di Damon si illuminò.

«Ma ad una condizione: quando lo riterrò opportuno, lui verrà ad allenarsi con me finché lo riterrò opportuno, e non parteciperà ad alcuna battaglia fino a quando non lo riterrò pronto.»

Damon rimase per un attimo fermo. Il Supremo lo aveva messo di fronte ad un bivio: si trattava di compromettere le potenzialità di suo figlio, oppure allontanarlo dalla famiglia per diversi anni, molto probabilmente.

Ma come aveva detto il Supremo, sprecare delle possibilità così grandi era come guardare in faccia ogni persona che il malvagio di turno avrebbe ucciso e che, forse, sarebbe stato sconfitto con un aiuto in più, e sputargli in faccia.

«Sarà fatto come dice.» e fece un profondo inchino. «Ora devo raggiungere la mia famiglia. Arrivederci, Supremo.» si congedò anche da Muten e poi si rivolse ai guerrieri «Cercate di migliorare ragazzi! Questo mondo ha bisogno di gente come voi! La prossima volta che ci incontreremo vi voglio ancora più forti, specialmente tu Goku, mi raccomando!» gridò, alzando ampiamente il braccio a gesto di saluto.

Tutti salutarono Damon, tranne il fresco campione mondiale, che non poté rispondere adeguatamente, il braccio stretto nella morsa di quelle della sua futura sposa, ma fece un sorriso che valse più di mille parole.

«Damon, aspetta!» Aveva appena raggiunto il portellone dell’aereo, quando Muten lo fermò nuovamente. «Ragazzo mio, volevo solo dirti, che sarei molto interessato ad allenare anche io tuo figlio. Se lo ritieni opportuno, potrai mandarlo da me per qualche anno.»

Damon fu ancora una volta spiazzato, era di nuovo di fronte ad una scelta: rinunciare ad addestrare personalmente suo figlio per più anni e separarlo ulteriormente dalla sua famiglia, comunque per affidarlo ad uno dei migliori maestri del settore, che oltretutto non aveva mai cercato discepoli, ma aveva sempre accettato proposte di aspiranti guerrieri che si volevano allenare con il grande eremita. Si trattava di un’occasione unica, e lui ancora una volta doveva decidere del destino di suo figlio.

Rifletté per qualche secondo, finché la risposta non gli fu chiara in mente: «Un anno, maestro. Mi dia un anno per insegnargli le basi, per poterglielo portare già preparato al suo addestramento.» Muten annuì, e maestro e discepolo si scambiarono un’ultima stretta di mano, poi Damon salì sull’aereo. Con un cennò fece segno a Bulma che poteva partire. Diede un ultimo sguardo al piccolo gruppo ancora a terra, poi volse lo sguardo verso suo figlio, che lo guardava raggiante: era l’inizio di una nuova straordinaria esistenza, Damon Ryder ne era certo.

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Il viaggio fu silenzioso: mamma era talmente stanca che la doppia cintura non fu necessaria, si addormentò dopo poco.

Eppure io volevo gridare di gioia: finalmente avrei ricevuto un addestramento, e non un addestramento normale: quell’unica parte che ho sentito del discorso tra papà e il Supremo fu quella in cui  il Guardiano dichiarò che un giorno sarei dovuto andare con lui per allenarmi, e la cosa mi faceva elettrizzare! Chissà che guerriero sarei diventato, che tecniche avrei appreso, quali invece avrei sviluppato io, quanti nemici avrei battuto…

Quest’ultimo pensiero mi colpì come un treno in corsa: i nemici. “E se in futuro arrivassero nemici ancora più forti di quel Piccolo? Sarei in grado di sconfiggerli? O potrei anche non essere adatto alle arti marziali, potrei anche non riuscire a completare il mio addestramento…”

I dubbi che sulle tribune dell’arena si erano sviluppati erano ora tornati, fastidiosi come zanzare d’estate. Ma il loro pungere era molto più continuo e, soprattutto, doloroso. Fu in quel momento che mi accorsi che stavamo sorvolando la Città dell’Ovest.

«Ci siamo quasi!» annunciò Bulma «Allacciate le cinture!» e con quel tono iniziò una spericolatissima manovra di atterraggio. Quando finalmente toccammo terra, dopo essere uscito e aver baciato più volte il terreno con grande irritazione da parte dell’azzurra, mi accorsi che eravamo proprio alla periferia di Pepper Town, vicino ai boschi, a pochi minuti da casa.

«Prenditi pure qualche giorno libero Damon! Parlerò io con papà!» disse amichevolmente l’azzurra.

«Ti ringrazio Bulma, ma credo che i recenti sviluppi mi porteranno via più di qualche giorno, eh-eh…» disse scherzosamente, per poi farsi nuovamente serio «Passerò poi io in sede a spiegare.»

Bulma annuì, ci salutò con la mano e decollò nuovamente, in direzione Città dell’Ovest. In quel momento fui certo che, un giorno, l’avrei rivista.

«Sarà il caso di incamminarsi, eh?» disse mia madre, ancora non completamente sveglia. Il sole stava ormai tramontando, tra un po’ saremmo dovuti tutti andare a dormire. Allora ci incamminammo per una stradina lì vicino che procedeva lentamente in salita, e che tutti conoscevamo bene: in un attimo saremmo arrivati a casa. Finché una voce non ruppe il silenzio che si era creato tra noi.

«DAAAAAAAAAAAANIEL!» gridò la voce di una bambina, che io riconobbi subito. In quel momento un uragano dai capelli rossi corse giù per la strada a grande velocità, fermandosi proprio di fronte a noi: «Ciao Daniel! Ciao Kira! Buonasera signori Ryder!» disse la bambina con fare allegro «Sono felice che stiate bene! Ho visto alla Tv cosa è successo e ho avuto tanta paura per voi!»

«Ciao anche a te, Pamela.» disse mio padre «E si, è stata un’esperienza piuttosto stancante…» disse, sogghignando, mio padre «Tu, piuttosto, come mai non sei a casa? Tuo padre si arrabbierà!»
«No, abbiamo già cenato, è stato lui a mandarmi incontro a voi, appena ha visto quell’aereo scendere, perché voleva darti il suo assenso a cominciare l’addestramento!» disse saltellando sul posto.

«Ah, perfetto. Sei anche fortunata: Daniel tra un paio di giorni inizierà il suo. Puoi unirti a lui! Faremo un lavoro a tempo pieno!» E li sgranai gli occhi: “No, papà, non farmi questo” pensai, ancora prima di rendermi conto che se non fosse stato per gli eventi di oggi, avrebbe addestrato solamente Pamela, mentre io sarei rimasto a “combattere” rocce e tronchi e d’albero.

«SIIIIIIIIIIIIIIIIIIII!» esultò la bambina, felicissima. Io lo ero un po’ meno. «Ci alleneremo insieme Daniel! Sei felice? Io si!» disse la bambina abbracciandomi.

Pamela non mi sta antipatica, anzi, la potrei considerare la mia unica vera amica. I nostri genitori sono grandi amici, pare si conoscano da quando avevano la nostra stessa età. Tiene i corti capelli rossi raccolti in due treccine, e non l’ho mai vista indossare dei vestiti che non fossero sportivi. Anche lei come me non frequenta a scuola, ma studia a casa: però lei ci si dedica molto meno, purtroppo.

Come Kira, è molto attiva, non si ferma letteralmente mai: come ho detto prima, un vero uragano. Ed è la mia unica compagnia al di fuori della famiglia: è lei che mi fa compagnia nei boschi, e ci divertiamo a combattere insieme eserciti invisibili con la nostra forza incredibile.

È la mia unica coetanea nella periferia di Pepper Town. Il centro non è lontano, ma non mi sono mai posto il problema di farmi degli altri amici, così come non se lo è mai posta lei: ad ognuno basta l’altro.

L’unico problema è che, per il suo carattere, la sua compagnia può diventare alla lunga estremamente fastidiosa: oltretutto nei miei confronti è sempre PARTICOLARMENTE appiccicosa. Per questo l’idea di dover compiere uno dei più importanti passi della mia vita assieme a lei, passando gran parte della giornata insieme, fa sembrare il tutto decisamente meno eccitante.

«S-si, Pamela, sono felicissimo… se ora smettessi di stringere eviteresti di uccidermi ancora prima di iniziare.»

«Scusa» disse con una risatina «Il fatto è che sono eccitatissima! Finalmente potremo coronare i nostri sogni! Combatteremo per davvero!»

Lì compresi il suo entusiasmo: condividevamo lo stesso sogno, in un certo senso. Non potei trattenere un sorriso: alla fine penso che allenarsi con lei non sarebbe stata una cosi brutta esperienza.

«Inizieremo tra un paio di giorni. Torna pure dai tuoi ora: si sta facendo tardi!» la fermò mio padre, rivolgendosi a lei con un sorriso pieno di tenerezza. Sarà anche un uragano, sarà anche fastidiosa certe volte, ma è in grado di far sciogliere chiunque con quel suo modo di fare, sempre allegro e gioioso.

«Ok! Grazie mille signor Ryder! Arrivederci signora Ryder! Ciao Kira!» quando poi fu il mio turno di essere salutato, mi abbracciò anche più forte di prima: «Ciao Daniel! Sono felicissima! Ci vediamo tra due giorni!» e con uno scatto ripercorse il sentiero: mi ricordai che le nostre famiglie abitavano anche relativamente vicino.

Noi prendemmo la strada più lentamente: la nostra casa non era lontana e non era necessario correre, come non lo era per Pamela, ma lei, come ho già detto, è proprio un caso a parte. Superammo la stradina perpendicolare lungo la quale si trovava la casa della famiglia di Pamela.

Poco dopo, finalmente, raggiungemmo casa nostra, e fu una visione meravigliosa: costruita seguendo l’inclinazione della collina su cui era posta, quella piccola villetta dal tetto piatto dopo una giornata del genere sembra veramente un hotel di lusso. Dietro ad uno steccato c’era il nostro giardino, la cui veranda era formata dai piani superiori della casa stessa, sostenuti da due grosse colonne. «A me il primo turno doccia!» gridai. Presi le scale, costruite lungo il primo tratto veramente ripido della collina, come un razzo: da quelle si accedeva alla casa vera e propria.

Aperta la porta, si accedeva direttamente al salotto, dotato porte finestre per accedere al balcone. Io mi diressi sul fondo dello stesso, prendendo a destra il corridoio che portava alle stanze, le camere da letto e un bagno, ottenute scavando nella collina stessa. Un altro bagno e la cucina erano stati costruiti sul lato opposto, affiancavano le scale.

Mi precipitai in camera mia a recuperare dei vestiti puliti, poi mi diressi nell’unico bagno in casa in cui c’era la doccia. Fu una sensazione meravigliosa: rispetto a molti miei coetanei, io adoro lavarmi, lo trovo molto rilassante. Una volta che ci fummo lavati tutti, nessuno decise di cenare: eravamo tutti troppo stanchi.

Ognuno prese la via di camera propria, e andò a dormire. Mi addormentai in un baleno, e nemmeno l’eccitazione per l’imminente inizio del mio addestramento riuscì a tenermi sveglio.

“È questione di due giorni…” pensai, subito prima di chiudere gli occhi.

“Ma sarò in grado?”


NOTE DELL'AUTORE

Ok, questo è stato un po' più breve dei primi due (decisamente)... Vi avviso che comunque cercherò di mantenermi sullo standard delle 10 pagine word in modo da darvi dei capitoli che siano anche godibili.

Comunque, uno sviluppo inatteso (come no...) nella vita del nostro Daniel! Ma proprio in questo momento il suo animo inizia ad essere veramente turbato. Ma soprattutto, cosa c'è dentro di lui che fa così insospettire il supremo?

Per chi se lo fosse chiesto, si, mi ispiro anche al narratore di Dragon Ball: e qui il delirio diventa chiaro, potete anche chiamare la neuro. In ogni caso, ora abbiamo introdotto anche il personaggio di Pamela, e la storia di Daniel può "effettivamente" incominciare: fatemi sapere cosa ne pensate, di questo capitolo e dell'andamento della storia!

Come sempre, Dragon Ball e tutto ciò che è ad esso legato è proprietà di Akira Toriyama. Ogni recensione è ben accetta,  positiva e negativa.

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Capitolo 4
*** Incubi ***


CAPITOLO QUARTO- INCUBI

Il cielo era completamento colorato di rosso. Dove mi trovavo? Intorno a me vidi solo rovine. Mi accorsi di essere sdraiato per terra. Non appena mi alzai, potei riconoscere lo scenario: ero sulle tribune del torneo mondiale, però completamente distrutte insieme a tutto il vecchio tempio, e a quanto pare con tutta la città dell’isola Papaya. Attorno a me non c’era nessuno. Sentii dei colpi, mi girai verso il ring.

«Non puoi sconfiggermi Goku, il controllo del pianeta sarà mio!» Riconobbi immediatamente quella voce: Piccolo.
«Non te lo permetterò mai!» ora la voce era quella di Goku.

Eppure non si vedeva nulla sul ring, che era anch’esso ridotto ad un cumulo di macerie. Ad un certo punto li potei vedere, quasi sfocati nel rosso intenso che permeava il paesaggio: Goku colpì rapidamente Piccolo con un calcio, parato dal potente guerriero verde. Poi sparirono nuovamente.

Ero spaesato. Li potevo sentire, mentre si lanciavano minacce e si scambiavano colpi potentissimi. Provai a muovermi verso il ring. Dovetti aggirare la tribuna, e ciò mi costrinse a compiere qualche acrobazia tra le macerie. Non appena giunsi a quello che doveva essere stato l’accesso al ring per i guerrieri, cercai di vedere se potevo ancora vedere i contendenti.

Nel frattempo il cielo si era fatto ancora più rosso.

Ed ecco che riapparvero, questa volta in mezzo al ring, sfocati come prima, mentre si scambiavano una serie di pugni velocissima. E rapidi come erano riapparsi, sparirono ancora.

Mosso da non so quale curiosità, mi avvicinai al ring. E li apparvero, questa volta molto chiaramente, uno di fronte all’altro. Entrambi parevano essere molto stanchi.
«Cederai, Goku, ne sono più che certo… Non riuscirai a fermarmi!» disse Piccolo ansimando, comunque con un tono sicuro.

«Stai pur certo che se non sarò io, ci sarà sempre qualcuno che lotterà per fermarti, e stai pur certo che qualcuno ci riuscirà!»

«E chi lo farà? Quel ragazzino?»

Ero paralizzato: alla fine mi avevano visto. Probabilmente si erano accorti fin da subito della mia presenza
.
«E perché no? Io mi allenerò duramente, e un giorno sarò in grado di batterti!» è ciò che provo a rispondere a Piccolo. Ma mi accorsi che non un suono esce dalla mia bocca, che non è nemmeno in grado di muoversi.

«Avanti Daniel, diglielo! Diglielo che saresti in grado!» mi esortò Goku.

Eppure non riuscivo a fare nulla. Avrei voluto urlare, scagliarmi addosso a Piccolo pur andando contro ad una vera umiliazione. Eppure restai lì, immobile. Mi accorsi che avevano interrotto il loro combattimento: ora mi stavano fissando. Notai lo sguardo spavaldo di Piccolo fisso su di me, ma soprattutto notai l’espressione di Goku, e potei chiaramente leggere la delusione nei suoi occhi. A quel punto provai una grande tristezza, ed una grande paura. Il cielo si fece ancora più rosso: ora ricordava il colore del sangue.

NON PUOI…

Una voce: ma non come quella di Goku e Piccolo. La sentivo come dentro la mia stessa testa. Una voce possente, profonda, misteriosa. E poi apparve: dietro ai due guerrieri si materializzò un’ombra gigantesca, dai tratti indistinti. Si potevano comunque distinguere una lunga coda sinuosa, che mi ricordò quella di una lucertola, e due grossi, scintillanti e penetranti occhi rossi.

DISTRUGGERE…

I due guerrieri non fecero in tempo a reagire. L’ombra li afferrò entrambi per il petto con le sue enormi mani, e li schiacciò come fossero stati tubetti di dentifricio. Ma invece che assistere ad un orribile spargimento di sangue, i due ormai deceduti guerrieri si dissolsero nel nulla come cenere.

UCCIDERE…

Che cos’era questo mostro, che aveva appena ucciso in un batter d’occhio i due guerrieri più forti del mondo? Smisi di farmi domande, smisi di pensare quando mi accorsi che ora aveva il suo orribile sguardo fisso su di me.

NON PUOI FERMARMI…

Mi accorsi di essere ancora paralizzato. Non solo, non riuscivo a distogliere il mio sguardo dal suo: continuavo a guardare l’ombra in quelle due grandi orbite rosse vuote.

TU SOFFRIRAI…

In quel momento di fianco all’ombra si materializzarono gli altri quattro guerrieri che avevo conosciuto: Crilin, Yamcha, Tensing e Reef. Si lanciarono automaticamente verso l’ombra. Con un’agilità incredibile, l’ombra con un solo movimento rotatorio riuscì con la mano destra a tagliare nettamente in due il corpo di Yamcha e a decapitare Crilin, mentre con la gamba sinistra perforò il petto di Tensing e la coda schiacciò a terra il povero Reef, polverizzandolo. Fu una scena orribile. Ma la pozza di sangue che mi aspettavo in realtà non apparì. Come Goku e Piccolo, anch’essi si volatilizzarono.

SEI DEBOLE…

Apparvero nuove figure: erano il maestro Muten, Bulma, Oscar e Launch. L’ombra mosse le mani verso l’alto e li fece implodere, tutti. Io avevo sempre più paura, le lacrime mi scendevano ora sulle guance pietrificate.

NON SEI IN GRADO…

Apparve il Supremo, che provò ad attaccare l’ombra, che lo afferrò con entrambe le mani e lo spezzò in due.

DI FERMARMI…

Dietro l’ombra si materializzò la mia famiglia. Al contrario delle altre figure, sembravano sereni. Mio padre aveva le sue mani sulle spalle di mia madre e mia sorella. Ognuno di loro sorrideva tranquillamente, ignaro di tutto. L’Ombra distese la sua mano e li disintegrò con un ki blast.

IL GIORNO DEL GIUDIZIO È VICINO.

Fu allora che volse il palmo verso di me, caricando un altro ki blast. E fu allora che riuscii finalmente ad urlare.

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«AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAH!»

«Daniel, tesoro, calmati!»

È la voce di mamma. Mi sta abbracciando. È ancora viva. Io sono ancora vivo. Mi accorgo di essere nel mio letto e di essere piuttosto sudato.
«È stato solo un brutto sogno, tesoro, calmati…» mi disse accarezzandomi i capelli.

Io però non ressi le lacrime: iniziai a piangere copiosamente. La strinsi anche io in un forte abbraccio. «È stato orribile mamma, c’erano Goku, Piccolo, Crilin, c’erano tutti, c’eri anche tu, con papà, Kira e lui, lui… lui vi ha uccisi tutti davanti ai miei occhi!» dissi, riprendendo fortemente a piangere.

Lei mi strinse ancora di più nell’ abbraccio, e mi disse: «É stato solo un incubo: non devi avere paura, non è reale. Vedi? Io sono ancora qui! Anche papà è ancora qui!»
Non mi ero accorto che in camera mia era entrato anche mio padre: sulla sua faccia potevo leggere grande apprensione. Poi mi sorrise teneramente: «Non devi preoccuparti figliolo, se c’è qualcuno di fare fuori il tuo vecchio quello è il campione mondiale di arti marziali, e fortunatamente lui sta dalla nostra parte!» mi disse, sedendosi sul mio letto, vicino a noi, posando una mano sulla mia spalla.

«Ma p-papà… lui ha ucciso anche Goku, con una mano sola…»

Per un attimo la sua espressione cambiò, o così mi sembrò.

«Stai tranquillo figliolo, non esiste nessuno in grado di fare cose del genere, e ti assicuro che uno come Goku non si lascerebbe mai uccidere con una mano sola, fidati…» mi sembrò un po’ meno sicuro questa volta.

«Sarà il caso che torni a dormire tesoro, è ancora notte fonda: vuoi che ti porti un bicchiere d’acqua?» mi chiese mia madre. Io annuii. Mentre mia madre lasciava la stanza, anche mio padre si alzò, stiracchiandosi.

«Beh, buonanotte figliolo. Ricordati che gli incubi sono una cosa normale, basta solo che ti ricordi che nulla di tutto ciò che ci vedi è reale. Stai tranquillo!» concluse, massaggiandomi la testa.

Uscendo incrociò mia madre che aveva in mano un bicchiere colmo d’acqua: lo bevvi tutto d’un fiato, ringraziai mia madre e l’abbracciai ancora una volta, poi spensi nuovamente la luce. Per un attimo, ebbi paura a chiudere nuovamente gli occhi. Poi ripensai a quello che era appena successo, e a quanto bene mi resi conto di volere per i miei genitori: a quel punto riuscii, finalmente, a riaddormentarmi. L’ultimo pensiero fu quello per ricordarmi, domattina, di abbracciare forte anche Kira.

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Mi svegliai molto tranquillamente: il sole era già alto. Mi girai verso il mio comodino, cercando con gli occhi l’orologio: vidi che erano già le 10.

“Ho saltato la colazione! Mamma sarà arrabbiatissima…” pensai immediatamente. Scesi immediatamente dal letto, mi avvicinai all’armadio che stava sull’altro lato della mia stanza, presi qualche vestito pulito e uscii dalla stanza, dirigendomi in bagno. Mi sciacquai rapidamente la faccia, poi mi lavai un po’ più minuziosamente e mi vestii. Poi mi diressi in cucina: una stanza relativamente piccola, dove consumavamo solamente la colazione. Pranzo e cena venivano serviti nell’ampio salotto, dove oltre al divano e a due comode poltrone trovava spazio anche un grosso tavolo.

«Ma buongiorno! Credevo che avresti preteso pure la colazione a letto!» mi accolse mia madre: più che un velo, la sua voce era satura di sarcasmo.
«Scusa mamma…» dissi mogio, sedendomi al tavolo. Mi madre stava lavorando ai fornelli, probabilmente stava già preparando il pranzo. Non appena notai che stava preparando degli involtini mi salì l’acquolina in bocca.

«Ah-ha! Lo so che li hai visti! Ma per te a pranzo ci sarà al massimo solamente un toast, visto l’orario in cui stai facendo colazione, signorino!» mi disse, porgendomi una tazza ricolma di latte.

«Te l’ho appena scaldato, i biscotti sono nella credenza.» Non appena li recuperai, mangiai con gusto la mia colazione.

«Vov’è babà?»

«Non parlare con la bocca piena! Tuo padre è alla Capsule Corporation, ha detto che doveva parlare con il suo capo e che tornerà stasera. Tua sorella ha una partita stamattina, sono passati a prenderla mezz’ora fa. Ah, la nonna ha detto che oggi pomeriggio sarebbe passata a farci visita.»

Nonna Amy in visita?  In quel momento il mio viso si illuminò: per ogni nipote la nonna è sempre sinonimo di gioia. È stata lei ad insegnare a cucinare alla mamma, e secondo me resta mille volte più brava: la sua specialità sono le torte, alcuni suoi dolci sono veramente straordinari.

Mentre immaginavo con aria sognante, il mio sguardo cadde sulle ante che sovrastavano il lavandino, e da lì su due pomelli. Rossi.

Un rosso intenso.

Rosso sangue.

Rossi come i suoi occhi…

“No!” mi dissi “non voglio pensarci! Non è reale!”

«Tutto bene, tesoro?» mi chiese mia madre. Io mi girai, un po’ straniato.

«Non è niente mamma, stai tranquilla.» risposi «Ora, v-vado a studiare…» Non mi accorsi di aver scelto la combinazione di parole più sbagliata possibile: è vero che mi piaceva imparare, ma mai mi sarei messo volontariamente sui libri al mattino, specialmente se sveglio da poco. Forse mamma si insospettì leggermente. Comunque abbandonai la cucina e tornai in camera mia. Mi diressi alla mia scrivania, che si trovava di fianco all’armadio, contornata da poster di guerrieri nell’atto di sferrare un calcio o un pugno, e sopra di essa c’era l’unica finestra della mia stanza, dalla quale godo di una splendida vista del sottobosco. Mi sedetti e presi un libro dalla pila che si trovava sulla scrivania: era un semplice libro di grammatica. Cominciai a leggerlo, con attenzione.

Mi immersi completamente nel libro. Non che fosse così interessante, erano solo una serie di nozioni e indicazioni, eppure mi aiutò a far uscire dalla mia testa il pensiero di quell’incubo, e l’immagine di quei due occhi rossi penetranti. Ero così concentrato, che non mi accorsi che erano passate quattro ore.

TOC-TOC!

C’era qualcuno alla mia porta. «Avanti!» Entrò mia madre, con un piatto sul quale era posato un toast ben farcito.

«Non volevo disturbarti, però saltare comunque il pranzo non ti fa bene. Oltretutto la nonna sta per arrivare, quindi renditi un po’ più presentabile!» mi disse con un sorriso.
Io le sorrisi a mia volta: quanto amavo mia madre. Potei comunque notare che non aveva tutti i torti: il dolore allo stomaco che in quattro ore avevo soffocato si era, ora, tornato più forte che mai. Divorai il toast in un batter di ciglio, posai il libro nuovamente sulla pila e raccolsi dei vestiti un po’ più consoni ad una visita. Misi un paio di jeans ed una maglietta. Neanche il tempo di raggiungere il salotto che il campanello suonò.

Mi avvicinai alle grandi porte finestre, e potei vedere che al cancello, fuori, c’era la nonna. La salutai con entusiasmo e corsi a premere il bottone per aprirle il cancello.
«È arrivata la nonna?» Era la voce di Kira. Nella fretta non l’avevo proprio notata: era affondata nella poltrona, ancora vestita con la tuta della sua squadra di basket, immersa nella lettura di una rivista coloratissima, della quale però non sono proprio riuscito a vedere il contenuto. Io le annuii, poi la porta si aprì.

«Buongiorno…» disse una voce dal tono molto dolce.

«Ciao nonna Amy!» urlammo in coro io e Kira, e corremmo ad abbracciarla.
Nonna Amy non è una nonna come le altre: a mia madre, oltre che le grandi doti culinarie, ha passato anche l’indole decisa e sportiva che sembra caratterizzare le donne della nostra famiglia. Portava, come sempre, i pantaloni, questa volta un elegante paio di pantaloni bianchi, e una camicetta a tinte floreali, che la facevano sembrare molto più giovane dei suoi ormai sessant’anni. MA anche il suo aspetto traeva molti in inganno poiché continuava, come poteva, a tenersi in allenamento. Vive nel centro di Pepper Town, che non è proprio vicinissimo, eppure viene sempre a trovarci a piedi.

«Ah, eccoli i miei nipotini! In questa borsa ho proprio una sorpresa per voi…» La chiamava sorpresa, lei: il profumo non lasciava dubbi, la nonna aveva preparato la torta al cioccolato, la SUA torta al cioccolato, farcita con crema e ricoperta di zucchero a velo. La sua semplicità era la sua arma più devastante: ero certo che l’avrei divorata in un istante se non avessi dovuto dividerla con altri.
«Ciao mamma!» la salutò mia madre. «Allora, hai delle novità?»
«Veramente era quello che volevo chiedere io a voi! Ho visto alla televisione cosa è successo a quel torneo, con quel terribile Piccolo… poi le trasmissioni si sono interrotte e mi sono veramente preoccupata! Per questo vi ho telefonato così presto stamattina, spero di non aver svegliato nessuno…» disse, lasciando intendere nel tono di voce un lieve senso di colpa.
«Tranquilla, mamma, eravamo tutti svegli, tranne uno, che stamattina se l’è presa comoda e fortunatamente dormiva nella grossa.» gli rispose mia madre, dandomi poi un’occhiata divertita. Io misi un attimo il broncio, sentendomi offeso, ma sono abituato a mia madre e al suo “sense of humor” più irritante che comico, quindi non durò molto. La nonna scoppiò a ridere poi gli fece un’altra domanda: «Come ne siete usciti?»
«Beh, Piccolo ha praticamente raso al suolo tutta l’isola. Noi cisiamo salvati grazie ad uno dei guerrieri lì presenti, che con una tecnica è riuscito a scavare un buco nel terreno abbastanza grande e profondo per tenerci al sicuro. Al resto ci ha pensato quello che avrai sentito essere il nuovo campione del mondo. Siamo tornati grazie alla figlia del capo di Damon, che era lì con noi e ci ha poi accompagnato a casa. Ed è qui che è successa la cosa più incredibile di ogni esplosione o combattimento: i tuoi nipoti sono riusciti a farmi salire su un aereo!»
«Ma che bravi i miei ragazzi! Dovete essere proprio speciali per aver fatto in un attimo quello che non sono riuscita a fare in vent’anni!» le due donne scoppiarono simultaneamente in una risata.
«Dai nonna! Adesso vogliamo vedere la sorpresa!» irruppe in quel momento Kira. A quel punto ci sedemmo al tavolo, e la nonna aprii la sua “sorpresa”. Io e Kira ci scambiammo uno sguardo d’intesa: avevamo indovinato entrambi. La mamma prese un coltello dalla cucina e tagliò quattro fette. Divorai letteralmente la mia porzione: fu letteralmente una gioia per il mio palato.

«Fai, momma, che…»

«DANIEL!» Giusto. Avevo ancora la bocca piena. Mandai giù quel capolavoro dolciario, subii per un attimo l’occhiataccia di mia madre, poi ripresi:
«Sai nonna, che papà ha finalmente deciso di allenarmi?» dissi con un tono di grande soddisfazione. A quel punto la nonna si girò, sorpresa «Ah si?»

«Si! Mi dovrò allenare assieme a Pamela, la mia amica, ma finalmente mi allenerò!»

L’espressione della nonna non sembrava comunque di gioia. Anzi, sembrava più commossa.
«Ah, piccolo mio, io più ti guardo in faccia e più rivedo tuo nonno Jack. Sai, le arti marziali erano per lui una vera ragione di vita, e continuo a vedere in te la sua stessa passione. Non posso che essere felice per te.» fece un sorriso carico di affetto e mi abbracciò. Poi la conversazione proseguì: raccontammo alla nonna del torneo, di come avevamo potuto incontrare il Supremo, della vittoria di Goku.

Il tempo passò velocemente, nessuno si accorse che erano ormai quasi le cinque del pomeriggio, finché non suono il campanello.
«Chi sarà? Non può essere papà!» disse Kira. Io però, qualche sospetto lo avevo sull’identità del visitatore.

«Vado a vedere.» disse mia madre, avvicinandosi alle porte finestre. Non appena si avvicinò, si poté sentir gridare:

«SAAAAAALVE SIGNOOOORA RYDER! DANIEEEEL PUÒÒÒÒ UUUSCIIIREEE A GIOCAAAREEE?»

Non era necessario che scandisse ogni parola, la sua voce era già sufficiente: avevamo tutti, nonna compresa, riconosciuto la voce di Pamela.
«Ciao Pamela, adesso vedo se vuole, sai, oggi è venuta la nonna a trovarci.»

«AH, SAAAAAALVEEEE NONNA AMYYYYYYYYYY!» gridò ancora Pamela, raggiungendo il destinatario del suo messaggio.
«Ciao anche a te, cara!» gridò la nonna, in modo molto più pacato. Poi mi guardò e mi disse: «Vai pure a giocare, non mi offendo mica. Anzi, se l’accontenti penso faresti un favore ai timpani di tutti.» mi disse, facendomi l’occhiolino. Sorrisi. La baciai sulla guancia poi corsi in camera, mi cambiai nei miei vestiti sportivi, e corsi alla porta.

«Torno per cena, mamma! Ciao nonna!» dissi, aprendo la porta d’ingresso e premendo il tasto per aprire il cancello.
«Vedi di non farti male, i cerotti sono finiti!» mi disse mia madre.
Conscio dell’avvertimento, mi precipitai comunque a gran velocità verso il cancello. Non vedevo l’ora di una nuova sessione di combattimento nel bosco.

«Sei pronto? Andiamo!» mi spronò Pamela. Corremmo fianco a fianco nel bosco che cresceva dietro casa nostra, finché non raggiungemmo la piccola radura che usavamo come sfondo alle nostre imprese epiche. Pamela volle iniziare subito: «Guarda Daniel, è l’esercito di Kulz, signore del male assoluto! Sei pronto?»
«Sono nato pronto.» le dissi, ed ecco che ci lanciammo in una serie di movimenti parecchio scoordinati, ma che ai nostri occhi apparivano come colpi ben assestati ai soldati nemici, che cadevano come mosche di fronte alla nostra forza. Andammo avanti così per diversi minuti, lanciando grida sconclusionate verso il nulla.
«Sono troppi! Che cosa possiamo fare?» urlai a Pamela.
«Usiamo la nostra energia! Come fa tuo papà!» e allora muovemmo le mani come per lanciare potenti ki blasts, che immaginammo disintegrare i nostri nemici.
«Ce l’abbiamo fatta! Abbiamo sconfitto l’esercito di Kulz!» saltellò Pamela felicissima.
«Credo che ora ci meritiamo una pausa, mi sento un po’ stanco.» dissi. Lo ero davvero: più che altro, la torta della nonna inizia a pesare sul mio stomaco. Mi sedetti contro un grosso ceppo lì vicino. Pamela mi raggiunse immediatamente. Entrambi volgemmo il nostro sguardo verso le nuvole. Fu un piacevole contrasto: passare dalla frenesia di un combattimento, per quanto immaginario, alla calma del guardare il cielo. Nell’aria soffiava anche una leggera brezza, e i rumori del bosco rendevano l’atmosfera veramente piacevole.

Dopo qualche minuto di silenzio passato a scrutare il cielo, si girò e mi disse: «Ancora non ci credo ci alleneremo davvero. Potremo finalmente vivere per davvero quello che ci immaginiamo qua. Poter vivere grandi avventure, combattere potentissimi nemici... la cosa mi eccita all’estremo.» Le sorrisi, quella sua allegria sapeva essere veramente contagiosa. Eppure, mentre la guardavo negli occhi sognanti, non riuscii ad evitare che mi ricordassero i miei, prima di assistere al torneo. Prima dei dubbi. Prima dell’incubo…

«Si, lo sono… Però, non dovremmo farci troppe illusioni, non credi? Potremmo anche non diventare forti come il campione del mondo.» mi tornarono in mente le parole dell’ombra: per un secondo ebbi un brivido.

Lei mi guardò con disappunto: «E allora? Ciò non toglie che sia possibile. Papà mi dice sempre che l’unica cosa impossibile è quella che non si tenta mai. Io non mi sto illudendo Daniel: ho avuto i tuoi stessi dubbi. Io voglio iniziare a percorrere una strada, e voglio seguirla finché le gambe mi reggeranno, sarà allora che mi rialzerò e proseguirò finché non cadrò ancora. E se ci sarà un ostacolo più duro degli altri, io continuerò ad alzarmi finché non lo avrò superato. Non è importante diventare più forti di altri, ma lottare sempre per dimostrare di esserlo. Così mi ha detto papà, quando mi ha concesso di allenarmi con il tuo, e questo monito l’ho subito fatto mio.»

La fissai intensamente per qualche secondo. Quelle parole erano meravigliose. Ed era più che plausibile che fossero uscite dalla bocca di Mark.

Mark (il padre di Pamela) è un amico d’infanzia di mio padre, pare abbiano iniziato ad allenarsi insieme, ma lui dovette rinunciare ai combattimenti per colpa di un infortunio che oggi lo costringe ancora su una stampella. Eppure, mi aveva detto papà, non si è mai dato per vinto: nonostante non potesse più lottare, ha aiutato mio nonno quando dovette addestrare mamma e papà, e tutt’oggi è uno dei più grandi esperti di arti marziali che io conosca, nonostante non le possa praticare ne insegnare, per colpa di una cartilagine traditrice.

Ma nonostante tutto, quei dubbi non si erano dipanati. Restammo in silenzio per qualche attimo.

«Ricominciamo?» propose all’improvviso la mia amica. Fu come aver premuto il reset: il mio entusiasmo si riaccese ed esplose come un petardo a Capodanno. Le feci un cenno d’assenso e saltammo entrambi in piedi.
«Guarda, Daniel… è Kulz, è venuto per scontrarsi con noi…»
«Noi ti fermeremo Kulz! Non ci sconfiggerai!» gridai verso l’aria, che nelle mie pupille aveva comunque la forma di un alieno signore della guerra. Sia io che Pamela ci scambiammo uno sguardo d’intesa, poi ci scagliammo insieme contro lo stesso punto, lanciando un grido di battaglia.

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Eravamo entrambi stremati. Quando arrivammo a casa mia, il sole stava già tramontando.

«Ciao… Daniel…» mi salutò, stancamente, Pamela, abbozzando un sorriso
«Ciao…» le risposi, avvicinandomi al cancello. Notai che la macchina era parcheggiata in giardino: papà era tornato.
Entrai in casa e notai che lui e Kira erano già seduti a tavola. «Alla buonora! Eri fuori a giocare con Pamela?» mi chiese, abbozzando un sogghigno.
«Si… ora però vorrei prima farmi una doccia…» nemmeno il tempo di imboccare il corridoio che una voce mi paralizzò sul posto. «ALT! Spero tu non ti sia procurati graffi, lividi e quant’altro come mi ero raccomandata, mister.» mi disse mia madre con tono deciso. Fortunatamente per me, la scampai: avevo solamente i vestiti un po’ sporchi di erba e terra. Dopo aver recuperato un pigiama pulito dall’armadio (quello della notte prima era parecchio sudato) mi feci una doccia veloce e raggiunsi la mia famiglia a tavola.
Dopo cena, mia sorella si ritirò in camera sua, mia madre sbrigò le ultime faccende, poi anche lei andò a letto per leggersi un libro. Io e papà rimanemmo per un attimo a guardare la Tv. Stavano trasmettendo un bel film d’azione, pieno di sparatorie, esplosioni e spettacolari scontri corpo a corpo: insomma, il massimo dell’intrattenimento.

«Daniel, quel sogno che hai avuto la notte scorsa…»

Mi voltai, sorpreso: perché tirare in ballo proprio quell’argomento?

«Chi era quello che “ha ucciso tutti”?» mi chiese, senza troppi giri di parole. Non mi resi conto che l’audio del film era stato abbassato.

«N-Non lo so bene…» risposi, senza nascondere il timore che quel ricordo mi generava «E-Era un’ombra, alta almeno due volte Goku, con una lunga coda, e due.. d-due…»

«Avanti, continua. Sono qua vicino a te, non aver paura.» mi disse, stringendomi la mano.

«D-Due occhi rossi come il sangue, privi di pupille ma penetranti come coltelli.» conclusi frettolosamente, mentre un brivido mi percorreva la schiena al pensiero.

«Uhm…» disse, assumendo un’espressione corrucciata, come se si stesse concentrando. Poi si rilassò «Beh, piuttosto spaventoso!» disse, dando l’impressione di comprendere la mia paura.

A quel punto riprendemmo a vedere il film. Quando finì, non feci in tempo a scendere dalla poltrona che mi fermò di nuovo: «Inizieremo domani. Ho già avvisato Mark, ci sarà anche Pamela. Domattina ti voglio in piedi presto: oggi non hai meditato, domani faremo una doppia sessione mattutina, solo io e te. Poi potremo cominciare con l’allenamento. Cerca di essere puntuale.»

Lo guardai negli occhi: l’autorevolezza del suo sguardo non lasciava spazio a repliche. Assunsi un’espressione seria ed annuii. Poi mi diressi verso camera mia: avrei voluto, ma non potevo soffocare l’eccitazione che ora mi pervadeva. Avrei voluto saltare qua e là per la stanza, ma poi il mio fisico si ricordò dell’intero pomeriggio passato a giocare con Pamela, e dopo aver preparato i vestiti e aver puntato la sveglia per il giorno dopo mi stesi sul letto. Nonostante fossi eccitatissimo all’idea del risveglio, la stanchezza che sentivo mi fece, non appena chiusi gli occhi, sprofondare in un sonno profondissimo, questa volta senza incubi.


NOTE DELL'AUTORE
Eccomi con il quarto capitolo! So che lo avevao promesso per metà di questa settimana, ma quella cosa chiamata VITA purtroppo ha delle priorità che vanno rispettate... quindi a chi già mi segue o a chi lo farà, attendete aggiornamenti il venerdì, cercherò di essere celere.
Capitolo un po' noisosetto eh? Però, cosa vorrà dire quel sogno? Che cos'è quell'ombra? I dubbi del nostro Daniel aumentano, e l'inizio dell'allenamento è alle porte... sarà all'altezza? Intanto Pamela oltre che grande grinta dimostra anche un grande cuore, no? Spero che nonostante sia stato un po' lento, questo capitolo vi sia piaciuto. E vi garantisco che il meglio deve ancora venire...
Come sempre ogni recensione è gradita, positiva e non, purchè siate educati! E come sempre, il mondo di Dragon Ball è proprietà di Akira Toriyama. Magari fosse mia...

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Capitolo 5
*** Allenamento ***


CAPITOLO QUINTO- ALLENAMENTO

BEEP- BEEP- BEEP- BE *click*
Per poco non ruppi la sveglia quando schiacciai il pulsante per fermarla, nel momento in cui iniziò a lanciare il suo fastidioso suono. L’avevo impostata per le sei: io, però, ero sveglio già da mezz’ora prima. Mi ero già lavato e vestito. L’unica pecca era che non sapevo che calzature indossare: per non sbagliare mi misi le mie solite scarpe da ginnastica. Uscii dalla mia stanza, e mi diressi verso la cucina: afferrai una mela dal cesto che si trovava sul tavolo, e, proseguendo verso l’ingresso, la mangiai.

Sapevo che mio padre era già fuori ad aspettarmi: lo vidi seduto sul nostro prato, gli occhi chiusi e la faccia concentrata. Cercai di scendere le scale in silenzio, muovendomi piano per non disturbarlo.

«Sei arrivato prima di quel che pensassi. È un buon inizio.»

Dannazione! Devo essere proprio incapace a muovermi con discrezione. Mio padre aprì gli occhi e si girò: «Avanti, vieni. Prima iniziamo e meglio sarà.» Andai a sedermi al suo fianco.

«Ricorda, non avere fretta di sincronizzarti al mio respiro. La fretta è sempre una cattiva consigliera.» Apprezzavo che me lo ricordasse, ma non ce n’era bisogno: mi ci volle un attimo per sincronizzarmi con lui. E allora iniziò la fase di concentrazione.

Poiché vivevamo in prossimità di un bosco, le percezioni erano tra le più svariate: potei percepire il movimento delle zampe di una talpa che si muoveva sotto di noi; lo zampettare di uno scoiattolo sulla corteccia, il debolissimo schiocco di una foglia che si staccava da un ramo, il vento tra le piume di un airone che planava sopra le nostre teste. Arrivai a percepire la paura di un piccolo ermellino che viveva sulla montagna, e la fame della volpe che lo stava inseguendo. Potei avvertire la forza vitale di una pianta, mentre compiva quello che doveva essere un gesto normale per lei, ma che in quel momento era per me meraviglioso.

In uno spazio che poteva essere definito banalmente in qualche chilometro, le percezioni erano tali che potevano essere scambiate per quelle di un intero mondo. E in quel momento, io ero perfettamente in armonia con esse: sentivo l’energia che si sprigionava da esse scorrere attorno a me. Era tanta, tantissima energia che comunque rimaneva stabile, seguendo gli schemi dettati dal potere più grande: quello della natura stessa.

«Daniel!» la voce di mio padre mi risveglio dall’idillio: nel momento in cui mi separai da quel flusso di energia, per tornare alla realtà, ebbi un mancamento.

«Tutto bene?» mi chiese mio padre, vedendo in che stato mi ero risvegliato. Io gli feci un cenno con la testa per rassicurarlo, ma sapevo che non  mi credeva: lui sapeva che il ritorno alla realtà era stato quasi traumatico, come spesso mi capitava.

«Col tempo imparerai a mantenere il controllo sulla tua coscienza» disse «in modo da poter entrare in armonia con l’energia del mondo senza perdere la percezione di te stesso. Ma non ti addestrerò io a farlo, ci vorrebbero anni che non abbiamo. Ora andiamo, forse non te ne sei accorto ma siamo qui da più di un’ora.»

Uscimmo insieme dal giardino, e ci avviammo verso il bosco. «Pamela ci raggiungerà, tra poco» disse, mentre proseguivamo lungo un sentiero evidentemente poco battuto. Camminammo per un buon quarto d’ora, finché non raggiungemmo una piccola radura che non avevo mai visitato nei miei momenti di divertimento con Pamela: un’area perfettamente circolare, circondata dagli alberi, l’erba non troppo alta. Una perfezione che tutto sembrava tranne che naturale: eppure non c’era traccia di intervento umano.
«ECCOMI! Scusi il ritardo, signor Ryder.» Mi voltai: era arrivata anche Pamela. Indossava una tuta rosa (cosa che trovai incredibile per lei) e aveva optato anche lei per le scarpe da ginnastica. Da come ansimava, sembrava avesse corso una maratona: evidentemente credeva di essere veramente in ritardo.

«Non ti preoccupare Pamela, non abbiamo ancora iniziato. Ora, mettetevi uno a fianco dell’altro.» Eseguimmo l’ordine, mentre mio padre si posizionava di fronte a noi, dandoci le spalle. «Per prima cosa, vi insegnerò alcune kata: dei movimenti di base per il combattimento. Li eseguiremo dapprima molto lentamente, per poi aumentare di intesità. Nell’eseguirle, dovete imparare a canalizzare la vostra energia nel gesto: quindi, mantenete una respirazione lenta e regolare e concentratevi. Quando poi vi cimenterete in un vero combattimento, dovranno essere per voi gesti normali,  proprio come respirare.»

«Ora fate ciò che faccio io.» concluse. Chiuse gli occhi, prendendo un profondo respiro: poi porto il braccio destro in avanti, con la mano aperta. Io e Pamela lo imitammo. Molto lentamente mosse in avanti il braccio sinistro allo stesso modo, ritraendo contemporaneamente l’altro. Noi lo seguimmo, imitando perfettamente i suoi movimenti. Li ripetemmo una decina di volte, poi mio padre passò a quello che doveva essere un calcio: alzò la gamba destra, tenendola piegata, poi la volse verso l’alto, la ritrasse, poi l’allungò nuovamente, questa volta tenendola più bassa, perpendicolare al corpo. Ripetemmo anche questo esercizio una decina di volte.

«Ora li proveremo tutti insieme, uno dietro l’altro.» ordinò «ricordate di mantenere regolare la respirazione.»

Mi concentrai, mentre mi ripetevo in testa la sequenza: braccia in avanti, due calci con la gamba destra. Presi un profondo respiro, e lì accade qualcosa di molto particolare: mentre eseguivo i gesti, riuscivo a percepire l’energia che scaturiva da ognuno di essi. Come quando meditavo, potevo percepire il flusso regolare dell’energia tutto intorno a me, al quale i miei gesti si armonizzavano, rendendolo ancora più impetuoso. Non contai quante volte ripetei la sequenza: ero completamente concentrato sul mantenimento del flusso di energia tutto intorno a me, e a mantenere intatta l’armonia con esso.

Tutto questo durò finché non sentii un tonfo al mio fianco.

«OUCH!» Pamela era caduta all’indietro mentre eseguiva i calci. Mi ero quasi dimenticato dove mi trovavo e cosa stessi facendo, così che quando cadde mi sembrò come risvegliarmi da un sogno. Lei mi guardò con un sorriso imbarazzato.

«Non devi aver fretta, Pamela.» le disse papà, mentre le porgeva una mano per aiutarla a rialzarsi «Concentrati sull’esecuzione di ogni singolo gesto. Elimina l’idea di un risultato finale: questa combinazione è solo una di tante possibili. In un combattimento dovrai sempre agire in base all’avversario che ti troverai davanti, quindi non devi fissarti su uno schema da seguire. Ora riprova, questa volta concentrati, come nella meditazione, ed esegui la sequenza senza fretta.»

Pamela annuì. Si voltò un attimo a guardarmi. Io ricambiai, cercando di infonderle coraggio: a quanto pare ci riuscì, vista l’espressione decisa che assunse. Poi chiuse gli occhi, emise un profondo respiro e riprese. Mi parve fosse decisamente migliorata.

«Daniel, perché ti sei fermato?» mi ammonì mio padre. Immediatamente mi rimisi all’opera. Non ci misi molto a recuperare la concentrazione di prima.

Dopo qualche minuto sentii nuovamente la sua voce: «Per oggi basta così.»

Fu un taglio netto. Mi separai così bruscamente dal flusso energetico che per un attimo mi girò la testa. Dopo qualche secondo ero nuovamente in piedi, comunque un po’ scosso. Mi voltai verso Pamela: sembrava avesse passato la stessa, non certo piacevole, esperienza.

«Ora e per il resto della giornata faremo del lavoro sul fisico. Iniziamo con una corsa da qui alla cima della montagna.»

Io e Pamela ci guardammo atterriti: entrambi avevamo pensato la stessa cosa, ossia che molto probabilmente lassù non ci saremmo mai arrivati. Almeno, non da vivi, probabilmente.

«Togliete immediatamente quegli sguardi dalle vostre facce. In fondo non è poi così dura. State dietro di me.» Lo seguimmo fino al limitare della radura circolare, dove ci accorgemmo che iniziava un sentiero, che evidentemente papà conosceva già.

«Pronti?»

Fisicamente? Dubito. Mentalmente? Assolutamente no. Lo sguardo sulla faccia di Pamela mi faceva capire quanto fossimo uniti in quel momento.

«VIA!»

E scattò lungo il sentiero, con me e Pamela immediatamente dietro di lui. Ci accorgemmo immediatamente che non sarebbe stata una corsa semplice: tra radici, rocce, tronchi caduti e piccoli fossi gli ostacoli si ripetevano a non finire. Mio padre proseguiva a gran velocità, dimostrando grandi doti atletiche: la cosa che però mi faceva più rabbia era la sua quasi noncuranza al fatto che ogni due per tre sia io che la mia compagna d’allenamento avremmo potuto seriamente farci male. Quando poi, dopo quasi quaranta minuti, notammo le prime nevi, e quindi la consapevolezza di essere praticamente arrivati sulla cima, entrambi riacquisimmo nuovo vigore: ormai gli ostacoli più grossi erano le rocce, la foresta era ormai terminata da un pezzo. Il sentiero proseguiva comunque, sempre più tortuoso, e l’aria iniziava ad essere rarefatta, ma nonostante ciò proseguimmo con lo stesso ritmo.

Ogni tanto lo perdevamo di vista, ma riuscivamo comunque a mantenerci sulla sua scia: alla fine riuscimmo a raggiungere mio padre, per poi accorgerci che in realtà si era fermato. La corsa era finita: eravamo arrivati in una piccola area piana sulla montagna, risparmiata dalla neve, posta su un altissimo strapiombo. Io e Pamela ci appoggiammo sulle ginocchia, cercando disperatamente di recuperare fiato.

«Ma come? Siete già così stanchi? Questo era solo il riscaldamento!»

Lo guardammo con occhi pieni di maledizioni. Lui sogghignò: «Rispetto agli allenamenti ai quali mi sono sottoposto io, questo è una bazzecola! Pensate di percorrere la stessa strada, ma con una cassa piena di bottiglie di latte e venti chili di guscio di tartaruga sulle spalle!»

L’ultimo riferimento mi fece capire con quale maestro doveva essere stato sottoposto ad una tortura simile.

«Le arti marziali sono uno stile di vita, dal quale non ci si può mai veramente separare: il corpo e la mente devono essere in armonia, e per questo serve che entrambi siano ben allenati e mantenuti sempre in allenamento. Se sulla seconda vado sul sicuro, riguardo il primo credo ci sia ancora molto da lavorare. Ora riprendete pure fiato.» concluse, girandosi e dandoci le spalle. Poi si sedette, a gambe incrociate, a meditare.

Mi voltai a guardare Pamela: ero rimasto profondamente colpito dalle ultime parole di papà. Forse avevamo preso troppo sottogamba questa cosa. Forse non eravamo veramente in grado… Notai la delusione nei suoi occhi: per l’ennesima volta in quella giornata ci vedevamo legati dallo stesso sentimento. Ci sedemmo entrambi per terra: la roccia era fredda e umida, la cosa mi infastidì parecchio sul momento, ma mi sentivo comunque molto stanco.

Rimanemmo così seduti per qualche minuto. Poi volsi lo sguardo verso mio padre: stava ancora meditando, seduto a gambe incrociate sul bordo dello spiazzo, le spalle alte, in rigoroso silenzio. Mi avvicinai a lui: era da stamattina che mi sembrava parecchio distante, volevo quantomeno provare a parlare un po’ con lui, cercare di capire se fosse veramente così deluso come mi era parso. Mi sorprese vedere che in realtà non stava meditando, anzi, aveva gli occhi aperti, intenti ad osservare il vuoto che si stendeva davanti a lui.

«Siediti qua, figliolo.» Sussultai: per quanto mi aspettassi una sua reazione, il silenzio che si era venuto a creare rese quelle parole quasi estranee e inattese. «Vieni anche tu Pamela.»

Ci sedemmo al suo fianco, uno per lato. Ci chiedevamo cosa stesse per dirci.

«Osservate.»

Volsi lo sguardo al vuoto che si estendeva davanti a noi: dapprima vidi solo qualche nuvola bassa. Poi la visione fu più chiara: sotto di noi la montagna scendeva elegantemente verso la pianura, passando per il grande bosco che si estendeva tutto intorno ad essa. In lontananza notai un lago: era il lago Shoen, quel lago, dove avevo passato momenti memorabili della mia infanzia. Se potevo vedere il lago Shoen, poteva significare che se avessi volto il mio sguardo un po’ più a destra, l’avrei vista, e cosi fu: riuscii a vedere Pepper Town in tutta la sua, modesta, estensione. E fui costretto a rivalutare la mia definizione: Pepper Town non era di certo considerabile come una grande città, ma di certo non era un paesino.

Come si mi avesse letto nel pensiero, mio padre disse: «A volte un cambio di prospettiva è necessario, per rivalutare noi stessi e gli altri. Scommetto che è la prima volta che venite qua, vero?» Annuimmo entrambi. «Lo immaginavo. Beh, sappiate che passeremo molto tempo qua, molto più di quello che passeremo nel bosco. E non solo perché qui le condizioni sono migliori per un allenamento più intenso, ma anche perché possiate essere sempre messi a confronto con questa visione.» disse, indicando il paesaggio sottostante.

«Soprattutto alla vostra età tutto sembra gigantesco e irraggiungibile. Ma fidatevi, se vi dico che anche il più grande tra gli uomini si troverà sempre ad avere a che fare con qualcosa di più grande di lui, in un modo o nell’altro. E spesso finiamo per sentirci inferiori, inadeguati: perché siamo troppo legati alla nostra prospettiva sulle cose. Dobbiamo invece comprendere che tutto ciò che ci circonda ha da sentirsi piccolo se visto da un’altra prospettiva. Avessi potuto portarvi in cielo, avreste visto che anche la montagna, che tutto guarda dall’alto, è minuscola al confronto.»

«Vi starete chiedendo perché vi sto raccontando questa cosa.» continuò «Il concetto è semplice: quando avrete a che fare con cose come il pensiero di essere inadeguati, o il senso di colpa per aver deluso qualcuno, o qualunque altra cosa vi faccia sentire minuscoli di fronte ad ostacoli insormontabili, ricordatevi sempre che è inutile arrendersi di fronte ad essi, poiché non sono insuperabili, non lo sono e non lo saranno mai. Ci saranno sfide sempre più grandi ma comunque non invincibili. Come nemmeno voi sarete mai invincibili. Praticare le arti marziali è anche questo: costanza nell’allenarsi ed impegno nel farlo, sempre pronti ad imparare e migliorarsi. L’allenamento dura per tutta la vita del guerriero, ricordatevelo sempre.»

«È proprio quello che mi ha detto anche il mio papà!» disse Pamela, evidentemente eccitata «Beh, non proprio la stessa cosa, ma non era così diverso eh-eh…»

«E la filosofia che ci fu insegnata quando abbiamo iniziato ad allenarci.» gli rispose mio padre «E che ora voglio insegnare a voi.»

In quel momento mi sentivo orgoglioso: di mio padre, della sua dedizione e della sua passione. Ci diede uno sguardo pieno d’affetto.

«Bene, dopo questa parentesi, sarà il caso di rimettersi all’opera!» disse all’improvviso, con un tono più deciso: «Ora fate un po’ di stretching, vi servirà…»

Mentre ci scioglievamo un po’ la muscolatura, io e Pamela ci scambiammo uno sguardo turbato. Poi mi tornò in mente ogni parola del discorso di mio padre, e all’improvviso mi sentii più carico. Pamela aveva notato questo mio cambio di atteggiamento, e vidi che anche lei sembrava più decisa mentre svolgeva lo stretching.

«Direi che può bastare.» ci interruppe la voce di papà «Questo, che stiamo per fare, sarà solo il primo di tanti altri esercizi, quindi spero vi siate scaldati a dovere.» disse, aggiungendo un tono che, spero, suonasse sadico solo per gioco.

«Vedete questa parete di roccia? Bene, poco più in alto c’è uno spiazzo simile a questo, solo un po’ più piccolo.»

La sentenza giunse tagliente: «5 volte avanti e indietro, e ad un ritmo accettabile.»

Guardai lungo la parete: se avevo visto bene dove era lo spiazzo, erano più o meno una ventina di metri. Non pareva troppo complicato.

«VIA!» sia io che Pamela scattammo verso la parete, e subito dovemmo riscontrare il primo problema: quella parete di roccia era praticamente liscia, i possibili appigli erano quasi introvabili.

Poco prima di raggiungerla individuai con la coda dell’occhio una piccola sporgenza alla quale mi sarei potuto aggrappare: mi lancia verso essa, grazie allo slancio dello scatto che avevo fatto. Riuscii ad aggrapparmici, ma non ressi per molto e scivolai, facendomi un male tremendo al fondoschiena.

«Avanti Daniel! Non hai fatto neanche un metro! FORZA!» incitò da dietro mio padre.

Volsi lo sguardo verso Pamela: al contrario di me, sembrava cavarsela piuttosto bene.

Mi lanciai nuovamente verso la sporgenza: questa volta riuscii a rimanere appeso. Ci misi comunque qualche secondo a trovare un altro appiglio.

«Pamela, stai andando benissimo! Daniel, tu invece sei troppo lento! Dai, forza! Questo esercizio è fatto apposta per migliorare la coordinazione tra la mente e il vostro corpo: più velocemente riuscirete a scalare una parete come questa, trovando l’appiglio più adatto il più velocemente possibile, più rapidi diventerete in ogni situazione!»
La faceva facile, lui. In quel momento sentivo già i palmi farmi male. Fu allora che le parole di mio padre tornarono nuovamente in mio aiuto. Ripresi a scalare con ardore, ma mi ero comunque reso conto, che sarebbe stata una lunga giornata.

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«Ciao Daniel… buona serata signor Ryder… a domani…» ci salutò, stremata Pamela.

Io riuscii a malapena a farle un gesto di saluto: ero anche io allo stremo.

«Ciao Pamela, buona serata anche a te. Salutami tuo padre!» la salutò papà. La guardammo prendere un altro sentiero, una scorciatoia che l’avrebbe portata più vicino a casa. Camminava piano, si vedeva che stava facendo fatica: dopo la scalata, la giornata era proseguita tra flessioni, addominali e altre corse, con una pausa breve per la meditazione. Per il pranzo, qualche frutto che mio padre aveva recuperato nel bosco.

«Stanco, eh?» mi girai, ricambiando il suo sguardo. Io annuii, lentamente.

«Beh, questo era solo il primo di tanti piccoli passi.» mi disse, con un sorriso.

Proseguimmo per qualche metro, poi mio padre si bloccò: «Fermiamoci qua per un secondo, Daniel.» Io obbedii, incuriosito.

«Figlio mio, tu per me sei tutto, non c’è niente che non farei per te. Come tua madre e tua sorella, sei la cosa più importante che ho. Sei un bambino molto intelligente e questo mi rende orgoglioso: e per questo credo tu sia perfettamente in grado di conoscere la verità, sul perché rifiutassi l’idea di addestrarti nelle arti marziali, almeno fino ad oggi. Quando nascesti, il Supremo notò che dentro di te c’era… un enorme potenziale. Ma il suo timore è quello che tu non sia in grado, ecco, di sfruttarlo… per questo mi ha consigliato di non addestrarti. Ora però mi ha dato questo permesso e un giorno, quando lo riterrà opportuno, ti prenderà come allievo. Ma c’è dell’altro.» Lo guardai, sempre più incuriosito.

«Anche il maestro Muten, prima che Bulma ci riportasse a casa, mi ha chiesto se potevi diventare un suo allievo, il che è un grande privilegio. Non mi sono sentito di rifiutare: quindi tra un anno andrai a vivere con lui e fidati, imparerai con lui molto di più in qualche anno di quello che posso insegnarti io in una vita.»

Provai sensazioni miste: da un lato mi sentii eccitato all’idea di andare ad allenarmi con uno dei più grandi maestri di arti marziali al mondo, dall’altro rimasi scioccato all’idea di dovermi trasferire, e quindi di separarmi dalla mia famiglia.

«Posso benissimo immaginare come tu ti senta in questo momento, non stai facendo nulla per nascondere che hai paura.»

Ecco, così si poteva descrivere il miscuglio di quelle differenti sensazioni.

«Temi di fallire con il maestro, di fallire nell’addestramento, di non reggere la lontananza dalla tua famiglia. Non te ne rendi conto, ma mi rendi solamente più orgoglioso: hai appena compiuto cinque anni, eppure hai già queste preoccupazioni. Sappi che il solo fatto di provarle, ti deve dimostrare che tu sei in grado di superarle. Voglio poi che tu ti renda conto che io crederò sempre in te: ho in te una fiducia incondizionata. Anche oggi mi hai dimostrato di essere speciale: sono sicuro che diventerai un combattente fortissimo. E se non ti basta questo a farti sentire la mia fiducia, voglio che tu prenda questo.»

A quel punto, si slacciò dal polso un piccolo braccialetto d’argento, che conoscevo molto bene, e, per mia grande sorpresa, me lo porse.

«Questo è il braccialetto che mi fu dato da tuo nonno Suhn. È la nostra eredità famigliare. Il simbolo della nostra storia. Tuo nonno lo diede a me il giorno che iniziò ad addestrarmi, perché portassi avanti la nostra tradizione. Ed oggi è il giorno in cui questo compito passa a te.»

Mi vennero le lacrime agli occhi.

«E io sono convinto che sarai quello che lo svolgerà meglio di tutti.»

A quel punto non riuscii a trattenere le lacrime e lo abbracciai forte. Mi accorsi che stavamo piangendo entrambi. Rimanemmo così per qualche minuto, gli ultimi raggi del sole filtrati dalle fronde degli alberi ad illuminare questo momento. Fu lì che mi resi ancora più conto, di avere una famiglia meravigliosa, dalla quale, per il bene del mio addestramento, ero ora costretto a separarmi.

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Quella sera la famiglia Ryder cenò silenziosamente. Daniel seppe che nemmeno sua madre Lynda era all’oscuro della cosa, ma che faceva ancora fatica ad accettarlo: nel momento in cui Damon le confermò che ora anche Daniel sapeva, scoppiò a piangere abbracciando forte il figlio, tenendolo stretto per qualche secondo. Kira invece, che non sapeva, sembrò quasi invidiosa, ma fece comunque i complimenti al fratello. Dopo aver consumato velocemente la cena, i Ryder andarono tutti a dormire. Tutti, tranne uno.
Damon Ryder era in giardino: fumava un sigaro seduto in veranda, fissando il vuoto davanti a lui. Stava rimuginando sugli eventi della giornata.

«Non dovresti fumare, Damon.» sentenziò una voce, in tono quasi sarcastico.

«E tu sai benissimo quanto me, che non mi fa alcun male. L’organismo della nostra razza si è evoluto in perfetta armonia con la natura. Quindi anche il fumo, poiché bruciatura di una pianta, non ci danneggia.» disse Damon, volgendo lo sguardo alla sua destra.

«Ma questo a tuo figlio non lo hai detto. Come non gli hai detto che le sfere del drago non possono riportare in vita quelli della vostra razza, che moriate per cause naturali o per mano altrui.» Dalle ombre emerse la figura del Supremo.

“Touchè” pensò Damon.

«Non scendi spesso dal tuo palazzo, eh? Questa volta deve essere importante.» gli disse, prima di fare uscire una nuvoletta di fumo dalle labbra.

«Lo è Damon. Vi ho visto, oggi. Non puoi permetterti di raccontare a tuo figlio mezze verità: non puoi nascondere l’eredità di una razza dietro ad un semplice passagio di consegne tra famigliari. Non puoi parlare di “potenziale”, per riferirti a ciò che si porta dentro. È anche vero, che se è potenzialmente molto forte è anche grazie a quello, ma sfruttare un potere insito non è avere potenziale.»

«Credevo che tu potessi percepire ogni aura e comprenderne tutto il potenziale.» disse Damon, alzandosi dalla panchina della veranda e posizionandosi di fronte al Supremo: «Ora sono convinto di essermi sbagliato.»

«Come osi?!»

«Hai sempre parlato di quello che lui ha dentro, ma mai dell’aura di mio figlio, come se lui non esistesse. Ti posso garantire che non è vero: lui è molto forte, determinato, curioso ed intelligente, e queste non credo siano qualità di un’entità malvagia.»

Il Supremo lo fissò con uno sguardo raggelante. «Ancora una volta mi sorprende la tua sfrontatezza: si, l’aura di tuo figlio è forte, ma, come ti ho già detto, non credo sia abbastanza forte da reggere ciò che si porta dentro. Come non lo è ancora per sapere la verità sulla sua vera natura di Hatwa.»

«Un giorno dovrà comunque sapere, è un suo diritto! Quel braccialetto è tutto ciò che resta alla nostra famiglia per ricordarci delle nostre origini, per ricordarci di Hamon.» ribatté Damon, con decisione.

«Non è comunque ancora abbastanza grande per fare i conti con una cosa simile. Se lo turbi eccessivamente, corriamo il rischio che la malvagità dentro di lui possa prendere il sopravvento: e da guardiano di questo pianeta, è un rischio che non voglio correre. E che nemmeno tu, da padre, dovresti correre.»

Damon Ryder rimase in silenzio. Il Supremo aveva ragione ancora una volta.

«Avresti fatto meglio a non dirgli nulla: ora, quando arriverà il momento per lui di sapere la verità, dovrai guardarlo negli occhi e dirgli che gli hai mentito.»

«Non mentivo mentre gli dicevo che credo in lui, e questo, lui lo sa.» disse. Ma dietro di lui non c’era già più nessuno. Come fosse sparito così velocemente, Damon non se lo chiese. Si sedette nuovamente, tornando al suo sigaro: dai suoi occhi scese una piccola lacrima, mentre il fumo si disperdeva nell’aria della notte, che a Damon ora sembrava più buia che mai.


NOTE DELL'AUTORE

Sorpresa! Nuovo capitolo di martedì sera! Se vi state chiedendo il perchè, semplicemente perchè sto scrivendo a tutto spiano in questo periodo quindi ho pensato di fare questo unico, piccolo strappo alla regola! Noto solo ora che questo capitolo, per quanto lentuccio, possa essere decisivo per l'intera comprensione della storia: il mio consiglio è di tenervi a mente le rivelazioni di questo capitolo (tranne quella sul fumo, a meno che non siate dei tabagisti rosiconi: diciamocelo insieme, se tra voi c'è qualche fumatore come me, sarebbe proprio il caso di smettere...) perché torneranno! Ed alcune di esse saranno anche decisive per lo sviluppo della storia di Daniel! Spero che vi sia anche piaciuto (che credo sia più importante, lol), ribadisco che se avete delle critiche siete più che benvenuti, (come chi intende lasciare anche una recensione positiva) non fatevi alcun problema, purchè siano utili anche a me per capire dove devo migliorare!

Serve anche ribadire che Dragon Ball è proprietà di Akira Toriyama, io sono solo un povero fan con un computer e una fervida immaginazione.

Alla prossima!

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Capitolo 6
*** Un nuovo inizio ***


CAPITOLO SESTO- UN NUOVO INIZIO

«Prendi questo! Ah!»

Riesco all’ultimo ad evitare la suola di gomma della sua scarpa da ginnastica. Muovo la testa a sinistra ed il suo colpo va a vuoto. Le afferrai la gamba e la spinsi verso destra, costringendola a girare sul suo baricentro. Ora che ha finalmente scoperto il torso,  sono pronto a colpirla con la mano sinistra.

“È fatta.” Pensai. Solo che il mio colpo andò a vuoto. Pamela si allungò all’indietro poggiandosi sui palmi, e stava ora per colpirmi con un calcio diretto proprio al mento.

Mi spostai immediatamente a destra e riuscii a schivarlo. Una volta che si fu rimessa in piedi, ci fissammo negli occhi per qualche istante.

«Lo ripeto, sei brava… Ma non pensare… che ti farò vincere solo perché sei una ragazza.» le dissi, un po’ sprezzante.

«E chi… ci sperava… comunque quello forte qui sei tu… ma non credere… che sia finita qua» rispose lei, ansimando vistosamente.

Eravamo entrambi molto provati: la nostra sfida durava ormai da un’ora buona, e ancora nessuno riusciva a prevalere. Mio padre osservava la sfida appoggiato ad un albero lì vicino: era ormai passato un anno da quel primo giorno nella radura. Sia io che Pamela avevamo imparato molte combinazioni di kata, e avevamo fortemente temprato il nostro giovane fisico: ora era giunto il momento di mettere gli insegnamenti papà in pratica. Ed ecco che ci siamo ritrovati qui, nella radura circolare, a combattere.

Non appena ebbe terminato la sua frase, si lanciò con foga contro di me.

“ Troppo avventata. Grazie Pamela. ”pensai, mentre schivavo il suo attacco con un rapido spostamento a sinistra. A quel punto la colpii con un calcio, facendola ruzzolare per qualche metro. Non fece in tempo a rialzarsi, che le fui subito addosso. Parò un mio pugno alto, ma io ne stavo già caricando un altro diretto alla pancia, che giunse a destinazione. Evidentemente la colpii molto bene, visto che si cinse lo stomaco con un’evidente espressione di sofferenza in volto. Ma non durò molto.

Spiccò un balzo, caricando un calcio verso la mia testa che mi avrebbe sicuramente mandato KO. Glielo parai: come resistettero le mie mani non lo so. Sentii comunque un dolore fortissimo, e mi parve di udire anche il suono di qualcosa che si spezzava.

La mia reazione fu veemente: non appena fu atterrata, tentò di colpirmi con un pugno. Velocemente mi scansai, facendole perdere l’equilibrio: a quel punto la colpii con un calcio che la scagliò qualche metro alla mia destra. E questa volta rimase a terra.

«Dieci… nove… otto…»

Perché papà stava contando? Mi girai a guardarlo, e non pensai che stavo commettendo un errore fatale.

«sette… se-»

Non feci in tempo a chiedermi perché si fosse interrotto, che un forte dolore mi investii sulla schiena, spingendomi con forza a terra. Il sapore del terriccio mi impregnava ora le labbra, insieme al sapore del sangue che colava dalle ferite che ora adornavano il mio volto, causate proprio dallo sfregamento sul terreno. Oltretutto sentivo una forte pressione sulla mia schiena.

«Dare le spalle al proprio avversario… errore… stupido… neanche quando… giocavamo… facevi un errore simile…» era la voce, ansimante, di Pamela.

«Okay, basta così ragazzi. Per quello che ho visto, direi che definirlo un pareggio accontenta tutti no?»

«Ma come signor Ryder! L’ho atterrato e non si è ancora rialzato!»

«Forse perché ho ancora il tuo piede sopra di me… Se adesso, lo togli, posso smettere di degustare la terra.» mugugnai. Pamela obbedì, e io mi rialzai, scrollando (e sputando) quelli che parevano quintali di terra.

«Ah-ah! Sei messo maluccio, figliolo! Spero che ti serva a ricordare di non dare mai le spalle ad un avversario se non sei assolutamente certo di averlo messo fuori combattimento.» disse, guardandomi le ferite. «Non è niente di grave, qualche cerotto basterà.» Gli chiesi anche di guardarmi ila mano con la quale avevo parato il calcio di Pamela: con mio grande sollievo non pareva esserci nulla di rotto, ma c’era comunque un enorme livido.

«Con il tempo e l’allenamento il vostro fisico imparerà a sopportare meglio i colpi, ma quello che ho visto oggi mi rende comunque ottimista sul vostro futuro come combattenti.»

Guardai per un attimo Pamela e vidi la felicità nei suoi occhi. Anche io mi sentivo soddisfatto: dopo un anno di fatica, dove non ci eravamo fermati nemmeno per i nostri compleanni, oggi avevamo ottenuto i primi risultati. Ed era una sensazione meravigliosa.

Poi però, l’espressione della mia compagna d’addestramento cambiò: la sua espressione divenne improvvisamente molto triste, e potei subito intuire il perché. Eravamo arrivati alla fine del nostro primo anno di addestramento: se Pamela avrebbe proseguito con mio padre, anche se ad un ritmo più leggero, poiché il permesso straordinario di un anno concessogli dalla Capsule Co. era ormai scaduto, io avrei proseguito il mio addestramento con il maestro Muten. Lei lo era venuta a sapere il giorno seguente a quando me lo riferì mio padre, visto che ormai era stupido mantenere il segreto. Era parsa molto felice per me, ma ora si confrontava con il lato triste della cosa: non mi avrebbe più rivisto per molto tempo.

Anch’io, in quel momento, provavo grande tristezza: in quell’anno il mio legame con Pamela si era rafforzato parecchio, avevamo imparato ad affidarci costantemente all’altro e la fiducia che nutrivamo l’uno nell’altra era solida come una roccia. E adesso, questo rapporto era giunto alla sua prova più grande.

«Okay ragazzi, andiamo a casa.» disse mio padre, improvvisamente più serio.

Lo seguimmo per il bosco fino ad arrivare alla scorciatoia di Pamela.

«Allora… buona fortuna…» mi disse mestamente.

«G-Grazie…» risposi, cercando di contenere tutta la tristezza che ora mi riempiva il cuore.

Fu allora che mi abbracciò, stringendo forte le sue braccia attorno a me, ed iniziò a piangere. «MI mancherai… come farò senza di te? E i nostri pomeriggi? Che ne sarà di tutto?» disse tra i lacrimoni.

«Guarda che non vado via per sempre… ci rivedremo, te lo giuro!» dissi, senza accorgermi che stavo piangendo anche io.

«Lo giuri?»

«Certo! Ti garantisco che appena tornerò, torneremo nel nostro prato a giocare ogni pomeriggio… Adesso, se smetti di stringere, io posso restare vivo per mantenere questa promessa» le dissi, iniziando a sentire la pressione sui polmoni.

Lei si staccò con una risatina: ero riuscito a rimetterla di buonumore. Anche il mio animo si sentii più leggero in quel momento.

Mi guardò con un caldo sorriso. «Allora ciao, Daniel.» poi si rivolse a mio padre: «Buona serata, signor Ryder. Ci vediamo tra un paio di giorni» Mio padre le annuì in segno di assenso. Poi Pamela si voltò e prese a correre lungo il sentiero, non prima di avermi ancora lanciato un gesto di saluto, accompagnato da un altro sorriso carico d’affetto.

Io la guardai svanire tra gli alberi. «Non ti preoccupare: vi rivedrete, questo è poco ma sicuro.» Mi voltai verso mio padre: la sicurezza delle sue affermazioni mi confortava. «Anche perché se non ti fai vedere più, rischi di lasciarci tutti in balia di un uragano.» disse, sogghignando. A quel punto proseguimmo entrambi verso casa.

Non sarebbe stata una serata come le altre: era la mia ultima sera con la mia famiglia.

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Il mattino seguente…

Ero, lì davanti al cancello di casa mia: due grosse valigie, pronte ormai da qualche giorno, ai miei fianchi. In spalla, portavo il mio zaino, ricolmo dei miei libri e una sacca con qualche paio di scarpe.

Mi ero vestito con una felpa leggera e dei pantaloncini corti: mi avevano detto che Muten viveva su un’isola ai tropici, quindi avrebbe fatto piuttosto caldo. Ma visto come ci sarei arrivato, optai comunque indossare anche la mia felpa preferita, nera con i dettagli in blu elettrico. Infatti eravamo tutti lì ad attendere Bulma: papà mi disse che si era offerta lei di accompagnarmi, visto che andava spesso lì e, soprattutto, sapeva pilotare un aereo.

Sperai fino all’ultimo che mio padre mi accompagnasse almeno fino all’isola, ma a pensarci bene era meglio così: il viaggio era il mio, e prima imparavo a percorrere la mia strada da solo, meglio sarebbe stato. Ma la tristezza che provavo in quel momento non voleva saperne di sparire.

Ad un certo punto, il rumore di un motore ci colse tutti di sorpresa. Ci fu un grande spostamento d’aria, e un aereo si avvicinò alle cime degli alberi, coprendo i pochi raggi del sole non filtrati dagli alberi, e, con molta delicatezza, atterrò. Ripensando all’atterraggio di giusto un anno fa, dedussi che Bulma doveva essere decisamente migliorata.

Scese dal mezzo con aria allegra: «Buongiorno a tutti!» salutò con il suo solito entusiasmo.

«Allora, siamo pronti?» disse, rivolgendosi a me con un sorriso.

Io annuii: ora non si torna più indietro. Però mi voltai comunque, per dare un ultimo saluto alla mia famiglia. Kira sembrava quasi indifferente, mentre si vedeva che mamma faticava a trattenere le lacrime. Non poté trattenersi dall’abbracciarmi per l’ennesima volta. Mi sussurrò all’orecchio: «Mi mancherai, bambino mio. Ricordati che io ci sono sempre per te se hai bisogno…»

Lo diceva come se me ne stessi andando per sempre. E poi, credo Muten lo abbia un telefono… credo…

Mio padre mi si avvicinò, e ci stringemmo con decisione la mano: «Fatti onore figliolo. Ricordati che io credo in te.» A quel punto mi abbracciò rapidamente anche lui.

Li guardai nuovamente, tutti e tre. Abbozzai un sorriso, e una lacrima mi scese lungo la guancia. Poi mi voltai, e raggiunsi Bulma sull’aereo. Mio padre mi aiutò a portare i bagagli, che erano piuttosto pesanti.

Una volta che il portellone si chiuse e decollammo, mi appoggiai con entrambe le mani al finestrino. Notai i gesti di saluto della mia famiglia, ma soprattutto, qualche metro più in là, una piccola macchia rosa sul ramo di un albero, che salutava. Sorrisi al pensiero che fosse comunque riuscita ad alzarsi così presto per salutarmi.

“Buona fortuna, Pamela” le augurai nei miei pensieri. Poi affondai nel sedile, mentre stavamo già sorvolando il centro di Pepper Town.

Dopo qualche ora eravamo già sul mare. Bulma se la sapeva cavare con questi mezzi, non vi era ombra di dubbio. Fino a quel momento, comunque, nessuno dei due aveva proferito parola. Almeno fino a quel momento.

«E così ti mandano dal vecchio Muten, eh?»

«A quanto pare…» dissi, velatamente sarcastico.

«Ehi, non vederla come una cosa ovvia. Sarà anche un vecchietto un po’… beh, un vecchietto un po’ particolare,» disse con una risatina «ma è comunque il maestro di Goku e Crilin, nonché di molti altri combattenti! Essere presi come apprendisti da lui è una grandissima opportunità!»

«Veramente, papà mi ha detto che è stato lui a volermi come allievo. Gli ha detto che mi avrebbe addestrato per un anno, e che poi sarei passato sotto la sua supervisione.»

Bulma sgranò gli occhi: «VERAMENTE?! Allora sei veramente fortunato! Se ti raccontassi cosa ha fatto Crilin per farsi addestrare da Muten… Beh, pensandoci bene, è meglio che tu glielo chieda di persona!» disse, leggermente imbarazzata.

Mi disse che Crilin viveva con Muten a quella che scoprì chiamarsi Kame House, la sede della Scuola della Tartaruga. La notizia mi rallegrò parecchio: l’idea di dover diventare compagno di allenamento di Crilin mi esaltava. Tra quelli conosciuti al torneo non mi era parso sicuramente come il più forte, ma certamente come il più simpatico. E comunque, due guerrieri esperti da cui imparare erano certamente meglio di uno!

«Comunque, sono convinta che ti troverai bene: oltretutto, se è stato proprio Muten a volerti, devi avere un gran potenziale!» mi sentii leggermente imbarazzato «Non è stato facile convincere papà a concedere al tuo quel permesso straordinario di un anno, ma a quanto pare deve esserne proprio valsa la pena!» concluse Bulma.

Come risposta, le sorrisi, accondiscendente. In quel momento non mi sentivo più a disagio come prima, anche se quel suo carattere esuberante mi dava sempre una sensazione di oppressione.

«Ah! Eccoci! Siamo arrivati!» annunciò, cogliendomi per un attimo di sorpresa. Mi accorsi che ci stavamo avvicinando ad una piccolissima isola, su cui stava una casetta dalle pareti rosa, un bianco tetto spiovente, e con un’enorme scritta sul davanti che recitava: “KAME HOUSE”.

Quando atterrammo, non venne nessuno ad accoglierci. Notai subito comunque il gran caldo, che mi costrinse a togliere la mia felpa, che mi cinsi alla vita.

Bulma mi aiutò a portare i bagagli a terra, poi disse, irritata: «Grrr… chissà che cosa quegli scansafatiche hanno di meglio da fare di accogliere una carissima amica ed un nuovo ospite»

Guardai incuriosito la sua reazione: si diresse con passo di marcia verso la porta, aprendola ferocemente. Poi iniziò a gridare: «Hey fenomeni!»

«AHHHH! B-BULMA!» gridò un coro di voci dall’aria spaventata.

«Sapevate benissimo che sarei dovuta arrivare, eppure preferite oziare sul divano piuttosto che accogliere una così bella ragazza ed un nuovo ospite, costringendoli a fare anche il lavoro pesante? VERGOGNATEVI!»

Io intanto, portandomi almeno la sacca e lo zaino, mi avvicinai piano alla porta, per assistere ad una scena alquanto bizzarra: un grande maestro di arti marziali, uno dei più forti guerrieri del mondo e un maiale, tutti e tre in piedi, le guance rosse dall’imbarazzo, spaventati da una ragazza che li squadrava dalla porta d’ingresso.

«Dai Bulma, non ti arrabbiare, una così bella ragazza non dovrebbe arrabbiarsi così…» disse il maestro Muten, avvicinandosi in modo “strano” a Bulma, che lo colpì duramente sulla testa.

«C’È QUI UN BAMBINO! NON HAI UN MINIMO DI SENSO DELLA VERGOGNA? PERVERTITO!»

Per un attimo non capii bene dove fossi finito: se nella casa di un vecchio eremita, maestro delle arti marziali o in qualche squallido show di quelli che a casa guardava la mamma mentre cucinava. Poi il Maestro Muten si avvicinò a me.

«Oh-oh, ma guarda se questo non è il piccolo Daniel! Come sta tuo padre?»

«B-bene, grazie.» risposi balbettando per un attimo, ancora non completamente a mio agio.

«Crilin, ragazzo mio, vieni ad accogliere il nostro nuovo ospite!» dopo che Muten ebbe pronunciato queste parole, dietro di lui spuntò la testa pelata del piccolo guerriero.

«Ehilà, piccoletto! Come vanno le cose? Pronto ad iniziare l’allenamento?» mi disse, mostrando ancora una volta quella sua caratteristica giovialità che tanto mi piaceva di lui.

«Prima di parlare di queste cose, renditi utile e porta dentro il resto dei suoi bagagli!» gli ordinò Bulma. Crilin assunse ancora una comica espressione impaurita, ed obbedì.

«Vieni figliolo, ti mostro la tua stanza.» mi disse Muten, facendomi gesto di seguirlo su per le scale. Raggiunto il piano superiore, mi indicò una porta sulla destra: «Quella è la tua stanza, la mia e quella di Crilin sono in fondo al corridoio: il bagno si trova al piano di sotto. So che non è una casa lussuosa, ma spero tu possa trovarti bene.»

«Per me non c’è alcun problema… maestro.»

«Bene, ora se vuoi puoi sistemarti. La cena… beh, ti chiamiamo noi quando sarà pronta.» mi disse sorridendo.

«Cosa c’è in queste valigie?! L’intera Città dell’Ovest?!» Si lamentò Crilin dal fondo delle scale.

«Zitto e cammina!» gli urlò dietro Bulma.

Con molta fatica riuscii a portare le valigie al piano, e mi aiutò a portarle in camera.

La stanza era arredata in modo molto semplice: un letto, un armadio, una piccola scrivania e una finestra che dava sul mare. L’assenza dei poster, del comodino, della mia sveglia già mi stava straniando. Ma poi guardai fuori dalla finestra: se dicevo che la vista dalla finestra della mia stanza a Pepper Town era splendida, questa era meravigliosa: foglie di palma e una piccola parte della spiaggia dell’isola, con, come sfondo, l’oceano coperto dalle increspature delle onde.

Rimasi per qualche minuto ad osservarlo, incantato, poi mi ricordai del grosso ammontare di bagagli dietro di me: sospirai ed iniziai ad aprire le valigie. Con mia sorpresa, riuscii a far stare tutto il vestiario nell’armadio. Lasciai i miei libri sulla scrivania, e sotto di essa misi le scarpe. Non mi ero portato dietro niente per lo svago: fu una scelta mia, per mantenermi sempre concentrato. Però ora come ora il mio Game Poy l’avrei volentieri acceso…

Poi mi venne in mente che oggi non avevo meditato. In un anno di addestramento con papà la meditazione era diventata il momento preferito della giornata: non solo perché era meno stancante degli altri esercizi, ma perché potevo percepire quel flusso di energia che mi faceva sentire un tutt’uno con il mondo che mi circondava.

Decisi di scendere a meditare in spiaggia: scesi le scale e notai che gli altri stavano chiacchierando sul divano.

«Allora Bulma, come va tra te e Yamcha?»

«Lascia stare, a volte mi fa veramente impazzire…»

Cercai di non interrompere niente e di uscire con discrezione.

«Già te ne vai, ragazzo?» mi disse Muten, sorridendo.

«Volevo solo andare per un po’ in spiaggia… sa, sono solito meditare io…» dissi, un po’ imbarazzato.

«Ah, fai pure, oggi è anche una bella giornata. Cercheremo di non disturbarti, allora.» disse, mostrandosi molto affabile.

«No, aspetta, questo vuol dire che adesso dovremo anche tenere la voce bassa?!» disse Oscar, un po’ indispettito, dopo essere rimasto in disparte da quando ero arrivato.

«È il minimo per non esserti nemmeno presentato, stupido!» gli disse Bulma rifilandogli un ceffone.

Non volendo essere già causa di problemi, provai ad intervenire: «N-Non ci metterò m-molto… e c-comunque le voci non mi danno f-fastidio…» Non riuscii a non balbettare: in quel momento mi sentivo veramente fuori luogo.

«Tranquillo ragazzo! Non ti preoccupare per Oscar, è sempre un po’ rude ma è comunque un’ottima pers… ehm, maiale. Andrete d’accordo, vedrai.» mi disse il maestro, appoggiandomi una mano sulla spalla.

Il maiale mugugnò qualcosa riguardo a “lezioni da un vecchio maniaco” ma non riuscii a capire bene. Comunque uscii, e mi recai sul retro della casa.

Mi sedetti a gambe incrociate sulla sabbia dorata. Avrei dovuto ripulirmi da tutti i granelli che sarebbero finiti nelle scarpe o nelle tasche dei pantaloni, ma non mi importava più di tanto: in quel momento, la brezza marina, il calore della sabbia e i rumori dell’oceano mi fecero provare un nuovo livello di serenità.

“Questo posto è perfetto” pensai.

Chiusi gli occhi e abbassai il ritmo dei miei respiri. In un attimo fui catapultato in un mondo di percezioni nuove: il granchio che zampettava sullo scoglio cercando riparo; le alghe sul fondo del mare alla disperata ricerca di luce; il gabbiano che planava sul mare, le ali spiegate a raccogliere le correnti ascensionali; la fame di uno squalo che perlustrava tra i coralli in ricerca di cibo; una tartaruga che nuotava nelle vicinanze.

E poi apparve: potei finalmente percepire il flusso. Era così diverso, eppure così uguale a quello che percepivo a casa: l’energia giungeva da differenti entità, eppure la sua natura era la stessa. Era la stessa struttura, lo stesso equilibrio, ed io lo percepivo, ero ora parte di esso…

«Salve!»

Quella voce mi fece tornare bruscamente alla realtà. Fu straniante.

«Mi dispiace? Ho interrotto qualcosa?» continuò la voce, che sembrava molto amichevole e bonaria.

Mi girai per individuare chi mi avesse interrotto: al mio fianco vidi che c’era solo una tartaruga marina, molto grossa. Per quanto fosse una visione affascinante, volevo capire chi stesse parlando con me. Mi alzai, guardandomi intorno: putroppo continuavo a non vedere nessuno.

«Hey, io sono quaggiù.» mi voltai nuovamente. Non credetti a ciò che vidi e sentì.

«Mi dispiace se ti ho interrotto, mi sembravi molto preso, però volevo capire chi sei. Se per caso il nuovo allievo di Muten?»

Mi stava parlando. Una tartaruga. Mi stava parlando. UNA TARTARUGA.

«Oh, scusa, immagino possa essere un po’ sopreso. Sai, non ero abituato a facce nuove su questa isola.» mi disse, facendo quello che mi parve un sorriso. «Comunque piacere, io sono Umigame, vivo anch’io qua.»

«P-Piacere… I-Io sono Daniel Ryder…»

«Ah! Avevo visto giusto! Sei il nuovo allievo di Muten! Il figlio di Damon! Ma dalla tua reazione immagino che tuo padre non ti abbia detto nulla di me…»

La fissai per qualche istante.

«E t-tu… c-come mai v-vivi qua?» gli domandai, mentre stavo ancora pensando di essere improvvisamente impazzito.

«Ah, mi sono quasi dimenticato ormai come ho conosciuto Muten, ormai sono passati letteralmente dei secoli…»

«SECOLI?!»

«Si, il maestro Muten ha più di trecento anni! Io tra qualche anno farò i mille» disse, come se fosse la cosa più comune del mondo.

Lo guardai basito. Eppure quella tartaruga mi faceva sentire a mio agio: era la prima volta da quando ero arrivato sull’isola che mi sentivo così bene a conversare con qualcuno.

«Beh, se vuoi ti lascio tornare a quello che stavi facendo… spero avremo altre occasioni per parlare…» disse, mestamente.

«ASPETTA!» gli urlai, fermandolo. Lo guardai per un attimo negli occhi: «Raccontami.»

Il suo volto parve illuminarsi. Mi raccontò tutto: su dove avesse studiato il maestro, sulle origini di Crilin, come aveva conosciuto Goku e Bulma e tutte le altre storie che aveva vissuto, direttamente o meno, legate a Muten, ai suoi allievi e alla Kame House.

Lo ascoltai per ore, incantato. Oltretutto, la dolcezza dei suoi modi mi faceva stare bene: era veramente una compagnia piacevole. Mi dimenticai dello scorrere del tempo; almeno finché la voce di Crilin non chiamò per avvisare che era pronta la cena. E fu allora che il mio stomaco iniziò a brontolare.

«Mi accompagneresti dentro?» mi chiese Umigame.

«Ci posso provare…» gli dissi, sogghignando: sapevo benissimo che era molto pesante. Ma decisi lo stesso di caricarmela sulle spalle: era anche più pesante di quanto immaginassi.

«Sappi che l’allenamento sarà anche più duro di questo, eh-eh…»

“Non credere che non lo sappia, rettile” pensai. Ed ero sincero. Mentre lo accompagnavo in cucina, pensavo alla nostra chiacchierata, e a come la Kame House potesse sembrare una gabbia di matti, mentre in realtà era una casa di eroi. E al tavolo erano tutti sorridenti ed in armonia fra loro. Li guardai uno ad uno, quelli che erano ora la mia vita: ora avevo trovato un’altra famiglia. Certo, mi mancavano i parenti, su a Pepper Town. Ma ora, non vedevo più questi eventi come un allontanamento dal mio vecchio percorso, ma come l’inizio di qualcosa di nuovo e di meraviglioso, ne ero sicuro.


NOTE DELL'AUTORE

Ehilà, popolo di Efp! Rieccoci con il nostro appuntamento del venerdì: la vicenda inizia ad evolversi, passo dopo passo va avanti anche l'avventura di Daniel. Tranquilli: l'azione arriverà presto. Nel frattempo spero vi sia piaciuto questo primo impatto con tutti gli altri personaggi, e se è anche riuscito a strapparvi qualche sorriso in certe situazioni, tanto meglio!

Avviso: se riesco a mantenere questo alto livello di prestazioni al computer, può darsi che anche il martedì diventi un appuntamento fisso: posso solo dirvi, che se la mia storia vi sta appassionando, potete aspettarvi aggiornamenti anche martedì prossimo.

In ogni caso, ogni recensione, sia positiva che negativa, è ben accetta!

Dragon Ball è proprietà di quel fottuto genio di Akira Toriyama.

Alla prossima!

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Capitolo 7
*** Kamehameha ***


CAPITOLO SETTIMO- KAMEHAMEHA

«Ragazzo, fai dei progressi veramente incredibili! Per oggi credo possa bastare…» disse Muten, soddisfatto.

«Va bene, maestro…» gli risposi mestamente, mentre poggiavo sulla veranda il pesantissimo guscio che mi portavo sulle spalle da tutto il giorno. Era appena passata la prima settimana, eppure mi sembrava già di vivere lì da una vita.

«Credo tu sia già pronto per apprendere come controllare il tuo Ki.» disse nuovamente il vecchio maestro.

«Il mio che?!» Lo guardai con aria perplessa: sinceramente non avevo proprio idea di cosa stesse parlando.

«Il tuo Ki! Davvero tuo padre non te ne ha mai parlato?» disse, evidentemente sorpreso, il vecchio. Il mio silenzio imbarazzato bastò come risposta.

«Se doveva sapere già tutto non te lo avrebbe affidato come allievo, vecchio rimbambi-OUCH!» commento Oscar, prima di beccarsi una sonora bastonata sulla testa.

In quella settimana il rapporto con il maialino, che scoprì essere un mutaforma, era decisamente migliorato, come aveva predetto il maestro: non che ci parlassimo spesso, ma comunque sapeva essere una piacevole compagnia. Tranne quei momenti la mattina presto, in cui uscendo per la meditazione beccavo lui e il maestro a fare esercizi di aerobica femminile: perché li facessero, evitai di chiederlo una seconda volta, vista la brusca reazione imbarazzata di entrambi. Credo ci sia una relazione a tutti quei giornaletti un po’ sconci che trovai in bagno due giorni fa: quel giorno Crilin mi ha detto che «sei ancora troppo piccolo per capire certe cose, non farti troppe domande, eh-eh» e così ho fatto.

«È chiaro, Daniel?»

Mi accorsi che mi ero perso nei miei pensieri, e non avevo sentito ciò che Muten mi stava dicendo.

«Ehm… s-scusi maestro, non potrebbe ripetere?» dissi, imbarazzato.

Rimase di sasso per qualche secondo, poi sospirò rumorosamente.

«Ti stavo parlando di cosa sia il Ki: esso è la tua forza vitale, l’energia che scaturisce dalla tua anima, la tua aura. Più il tuo Ki è forte più lo sei tu: esso può essere utilizzato per diverse tecniche, tra cui molte di quelle che hai visto all’ultimo torneo di arti marziali. Senza un forte Ki non c’è un guerriero: per questo da domani tu apprenderai come utilizzare il tuo e a come percepire quello altrui.» concluse il maestro.

«Sono cose che ha insegnato anche a mio padre?» gli domandai, incuriosito.

«Ovviamente.» mi rispose «E mi ricorderò sempre di tuo padre come uno dei miei allievi più dotati. Imparò tutto molto rapidamente.»

Scese per un attimo il silenzio. Almeno finché il maestro non chiese, con fare allegro: «Che c’è per cena?»

«Crilin è andato in città a fare la spesa. Tornerà tra qualche ora,» gli rispose Oscar mentre faceva zapping seduto sul divano «non credo sarà di ritorno prima di un’oretta.»

Lo stato d’animo del maestro in quel momento si poté riassumere con il forte gorgoglio proveniente dal suo stomaco: in effetti erano ormai quasi le sette, e anche io mi sentivo piuttosto affamato.

Ma dopo una giornata come quella di oggi, prevalse la voglia di una bella doccia rinfrescante: con un guscio pesante in spalla, il maestro mi ha fatto consegnare del latte alle isole vicine, A NUOTO. Umigame, che ci accompagnava portando il maestro sul guscio, mi aveva raccontato che prima riusciva a portare la casa sulla terraferma, ma poiché ora non viveva più da solo non gli sembrava giusto sottoporre gli altri inquilini a continui spostamenti:  e così mi ero ritrovato con un guscio di venti chili e una cassa di latte legati alla schiena, mentre arrancavo in acqua cercando di mantenermi a galla. Quando poi uno squalo mi inquadrò, riuscii incredibilmente ad accelerare e a raggiungere l’isola su cui eravamo diretti. Da dove il maestro avesse recuperato il latte, non lo seppi mai: sta di fatto che quella mattina la popolazione della piccola isola ricevette il latte che attendeva la mattina a pomeriggio inoltrato, costringendomi a diverse corse, sempre con quel ridicolo guscio in spalla, per sfuggire alla rabbia di diversi abitanti. Dopo di che, dopo un'altra traversata miracolosa, eravamo riusciti a tornare alla Kame House.

Quantomeno, non avevo bagnato alcun vestito: togliendo solamente il costume da bagno, mi gettai sotto il flusso della doccia, sentendomi immediatamente più rilassato. Una volta uscito, asciugato e rivestito, nel constatare che Crilin non era ancora tornato, decisi di andare fuori a meditare.

In quei pochi giorni passati alla Kame House, la meditazione era diventata qualcosa di emozionante, un’esperienza diversa da tutte le altre: penso che l’immediata vicinanza al mare dovesse essere decisiva, altrimenti non sarebbe stato così diverso anche da ciò che provai sull’isola Papaya.

Non calcolai quanto tempo rimasi lì: ero ancora una volta immerso nell’armonia dell’energia che scorreva intorno a me. Al di sotto di quella che pareva una piatta, deserta superficie, si apriva letteralmente un altro mondo, pieno di vitalità: un flusso continuo di energia che sentivo scorrere intorno e dentro me. Quando, poi, decisi di interrompere la magia, notai che il sole era già quasi tramontato.

«Devi spiegarmi come fai a raggiungere una tale armonia.» disse una voce alle mie spalle.

«Sai, la meditazione la praticano in molti: aiuta a concentrarsi e rilassarsi in vista di una battaglia. Ma non ho mai percepito un’aura così in armonia mentre la praticava.»

Appoggiato alla parete della casa stava Crilin, le braccia incrociate e sul volto uno sguardo di ammirazione.

«Da quanto sei lì?» gli chiesi.

«Da un’oretta. Ti ho osservato con interesse, sai? Nonostante tu sia ancora un bambino, la tua aura è inusualmente forte. Ero venuto qui proprio per proporti, visto che il maestro domani inizierà già ad insegnarti come utilizzare il Ki, qualche lezione per imparare ad utilizzarlo per volare.»

«Tu puoi insegnarmi a volare?!» dissi, un misto tra il sorpreso e l’entusiasta.

«Certo! Però prima dovrai apprendere i fondamenti su come sfruttare il tuo Ki: in quel caso domani verrò anche io a dare una mano al maestro. Vedrai che una volta imparate le basi, volare sarà un gioco da ragazzi.» mi disse, poggiandomi una mano sulla spalla «Ora però rientriamo. Stasera ho preso del sushi.» Il mio stomaco protestò solo a sentirne la parola, ma non mi sentivo di fare lo schizzinoso, specialmente dopo che Crilin aveva volato per chilometri con delle buste in mano. Anche se avrei fatto volentieri a cambio con le nuotate che mi ero fatto oggi.

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«Concentrati, ragazzo… ci sei quasi…» disse, a voce bassa, il maestro Muten.

Ero fermo, davanti ad una piccolo scoglio, il braccio teso verso di esso. Era da qualche ora ormai che eravamo arrivati su quest’isoletta vicino la Kame House, per allenarmi con il Ki. Per la sorpresa del mio maestro, ero già stato capace di canalizzare il mio Ki in piccole sfere di luce, che però si spegnevano quasi subito. Era come quando eseguivo una kata, solo molto più faticoso. Ora il maestro mi stava chiedendo di eseguire il mio primo ki-blast. Dovevo semplicemente colpire quella roccia.

Cercai in ogni modo di canalizzare abbastanza energia nel palmo della mia mano. Lo sforzo era immane, anche perché cercare di mantenere il mantenimento del flusso di energia che percepivo intorno a me era diventato più difficile.

Poi ebbi un illuminazione: qui non si trattava di mettere energia in un movimento, come quando eseguivo le sequenze di movimenti con papà, ma di farla uscire. Ciò voleva dire svincolarsi dall’armonia del flusso. Cercai allora di soffocarne la percezione, concentrandomi solamente sulla mia energia.

Il risultato fu immediato: percepì un forte calore sul palmo della mano, finchè un piccolo globo non vi si formò sopra. Mi concentrai e lo scagliai verso lo scoglio, che andò in frantumi in una nuvola di polvere.

Ero esterrefatto: pensavo che lo avrei scheggiato, crepato, non che lo avrei disintegrato. Mi girai verso Muten e Crilin: la loro espressione mi disse che anche loro erano decisamente sorpresi dall’accaduto. O almeno quella di Crilin, visto che il maestro, come sempre, aveva indosso i suoi soliti occhiali da sole.

Decisi di tentare un’altra volta, con la stessa metodologia: soffocai ogni tipo di percezione, concentrandomi solamente sulla mia aura, e in un attimo sul mio palmo si formò un altro piccolo globo che scagliai contro un'altra roccia, più grossa dello scoglio precedente, che finì distrutta solamente per metà.

«B-Ben fatto, ragazzo, fai dei progressi veramente incredibili…» disse Muten avvicinandosi «Ma ci vorrà ancora un po’ di tempo prima che ti possa insegnare la tecnica della Kamehameha.»

«E che tecnica sarebbe?» chiesi, incuriosito.

«Ah, è solo la tecnica più potente che conosca, ragazzo. Ci ho messo cinquant’anni per svilupparla, ed apprenderla richiede grande costanza e resistenza, ed eseguirla comporta un grande dispendio di energie, che può essere diminuito solo con l’allenamento costante. È una tecnica che insegno a tutti i miei studenti.»

«La prego maestro, mi mostri!»

«Non credo tu sia ancora sufficientemente pronto, ragazzo mio. Tuo padre ci ha messo un anno per apprenderla, un anno in cui ha faticato tantissimo. Solo uno studente è stato in grado di eseguirla immediatamente: lo fece istintivamente, senza la mia autorizzazione, dopo che mi vide eseguirla. Questo mio allievo era Goku, ed oltretutto, all’epoca, aveva anche qualche annetto più di te.»

A sentire quel nome provai un po’ di vergogna per come mi ero posto. “Metterti sullo stesso livello del campione del mondo?! Dai, Daniel, non scherzare, è già tanto tu sia arrivato a lanciare un ki-blast…” pensai. Però sentivo dentro di me una grande voglia, come una vocina che mi diceva: provaci!

«La prego maestro…» ci misi tutta la dolcezza che poteva mettere un bimbo di sei anni.

«Ah, e va bene. Non c’è molto da spiegare: la Kamehameha consiste nel concentrare tutta la propria energia in un onda dalla grande potenza distruttiva. Per il resto, osserva quello che faccio io.»

Si posizionò di fronte al mare: piegò le ginocchia, portando le braccia all’indietro, quasi unendo i polsi, e intanto sillabava il nome della tecnica. Quando nelle sue mani si formò un intenso globo di energia, portò rapidamente le braccia in avanti, aprendo i palmi, rilasciando così un enorme raggio energetico.

«Ecco, questa è la Kamehameha, oltretutto non alla massima potenza. Sembra che me la cavi ancora abbastanza bene!» disse, con una risatina spavalda. Crilin si mise una mano in fronte, un sorriso di resa che la diceva lunga su come la vedeva su certe uscite del suo vecchio maestro. Osservai divertito, ma poi decisi di tentare anch’io.

«Ah, ci vuoi provare quindi. Vediamo, ma non rimanerci troppo deluso quando non ci riuscirai, ragazzo.» disse Muten.

Anche se mettere a confronto la sua conoscenza con la mia era impensabile, ma non volli dargli troppo credito in questa occasione. Eseguii i gesti che aveva fatto il maestro. Nel momento di iniziare a sillabare la tecnica, cercai di concentrare tutta l’energia possibile tra le mie mani. Con mia sorpresa, qualcosa avvenne: sentì un forte tepore e tra le mie mani si formò un piccolo globo blu. Ma non feci in tempo ha pronunciare l’ultimo “HA!” che lo sforzo che non mi ero accorto di compiere prese il sopravvento, e all’improvviso tutto fu nero.

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«Daniel!» il vecchio eremita corse verso il suo allievo, che era ora per terra, svenuto.

«Crilin, vieni!» il giovane ex-monaco si avvicinò l suo vecchio maestro.

«Non ha retto lo sforzo,» constatò il giovane guerriero «eppure era così vicino a farcela! Ed ha solo sei anni!» concluse, questa volta con sorpresa.

«Non l’ho voluto con me per caso, ragazzo mio. La sua aura è grande, e deve essere allenata.»

«Ma in pochi sono stati così potenti a questa età!»

«È vero. Ma il suo Ki è particolare, non lo hai percepito? Cresce sempre di più ad ogni allenamento, come se fosse nato per diventare subito forte. Credo dipenda da quello che ha detto il Supremo.»

«Intende quella volta al torneo?»

«Proprio quella: in questo ragazzo è sigillato qualcosa di incredibilmente potente, che purtroppo solo lui è in grado di controllare. Per questo il suo Ki cresce così in fretta, ed ecco perché a soli sei anni stava per eseguire al primo tentativo una tecnica che io ho imparato in cinquant’anni. Non è certo ai livelli di Goku, ma questo ragazzo ha il potenziale per diventare veramente un grande guerriero. Ora forza, torniamo a casa.» concluse il maestro Muten, con grande serietà.

Crilin raccolse Daniel e se lo caricò in spalla, e si mise in volo verso la loro isoletta, seguiti da Muten sopra Umigame. Il loro viaggio fu silenzioso.

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Dove mi trovavo? Intorno a me vidi solo oscurità.

NON PUOI SCAPPARE…

Quella voce! Non è vero, no…

FALLIRAI…

Rieccoli. Due giganteschi globi rossi che mi fissavano in mezzo al buio.

«Chi sei? Cosa sei? LASCIAMI STARE!» urlai verso il buio.

Lo scenario cambiò intorno a me. Sotto di me, distante diverse centinaia di metri, l’oceano. Il mare punteggiato dalle isole. Poco distante si poteva intravedere il continente. Il tutto era illuminato da un meraviglioso sole. Sto volando, nonostante non sappia come.

DISTRUGGI…

Lo scenario cambiò. Il sole si colorò di rosso, e le nuvole si mosserò a formare una massa indistinta di fronte a me, che assunse una forma dalla coda sinuosa che speravo di non vedere mai più…

SOFFRIRAI…

L’ombra sorrise sadicamente, mostrando una lunga fila di denti affilati, di un bianco lucente. Un sorriso inquietante, l’unico dettaglio chiaro di quella terribile figura.

L’ombra alzò la mano destra, e sotto di me lo scenario cambiò: dall’acqua salì vapore, le terre si spaccarono rivelando il magma sottostante. Poi l’ombra alzò ulteriormente la mano, chiudendo il pugno: la terra esplose in diverse colonne di magma, che saltavano fuori sempre più frequenti, devastando la terra.

NON PUOI FERMARMI…

«MA CHI SEI?! COSA VUOI DA ME?!» gli gridai a pieni polmoni. Non ricevetti risposta. La luce che si sviluppava dalle grandi colonne di magma divenne sempre più forte, finché non vi fu un’enorme esplosione, e non vidi più altro.

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Non urlai. Mi svegliai di soprassalto, ancora vestito come all’allenamento di stamane, madido di sudore. Ma non ero più sull’isola: ero nella mia stanza, alla Kame House. Ci misi qualche secondo ad uscire dalla frenesia di questo nuovo incubo, ed iniziai a chiedermi cosa fosse successo per essermi risvegliato lì, all’improvviso.

Poi la memoria mi tornò immediata: ero svenuto provando la Kamehameha. Mi ricordai di esserci andato molto vicino, ma di non essere riuscito a reggere lo sforzo. In ogni caso, era già qualcosa, ci ero andato molto vicino. Però non ero stato comunque in grado: e se non ce l’avessi mai fatta? Se fossi stato troppo debole per eseguire una tecnica simile?

TOC-TOC

«A-Avanti…» dissi, la voce ancora scossa dalla paura.

«Ah! Allora ti sei svegliato! Come ti senti?» da dietro la porta spuntò il testone pelato di Crilin.

«B-Bene, direi…»

«Te la senti di scendere? C’è una telefonata per te.»

«Chi mi cerca?»

«Tuo padre.» A quel punto, scesi in fretta dal letto, e ancora un po’ barcollante raggiunsi la soglia.

«Ehi,  fai piano, non c’è fretta. Sta parlando con il maestro in questo momento, sono stato mandato a vedere se fossi in grado di rispondere.» mi disse con tenerezza, dandomi una pacca sulla testa. Mi accompagnò fino al piano di sotto, dove potei vedere il maestro in una conversazione concitata. MI avvicinai per sentire solo le ultime parole della conversazione.

«… non si discute. Guarda, è appena arrivato, qui, te lo passo, sembra ancora un po’ scosso.» disse, passandomi la cornetta.

«Pronto? Papà?»

«Daniel! Allora, come ti senti, figliolo?»

«Ancora un po’ scosso…»

«Il maestro mi ha raccontato di questa tua settimana e di cosa sia successo oggi: sappi che mi stai rendendo veramente orgoglioso, stati diventando più forte del tuo vecchio, eh?»

«No, papà, non è vero, dai…»

«E invece sì! Ci stai rendendo tutti orgogliosi! Anche tua sorella.»

«Ecco, come state voi?»

«Tua sorella è riuscita a rompersi una gamba, ma non è niente di grave, non ti preoccupare… Tua madre adesso è fuori, ma ti assicuro che non staremmo parlando così a lungo se fosse in casa… Gli manchi tanto.»

«E… E Pamela?»

«Pamela sta facendo grandi progressi. Ho pensato che avesse anche lei diritto ad allenarsi con un maestro valido: così ho chiesto a Bulma di dirmi dove vivesse Goku. Ora, per due giorni a settimana, la tua amica si allenerà con il campione del mondo. L’ho già riferito anche al tuo nuovo maestro. Dirti che era entusiasta è dire poco: era incontenibile.»

Si prese una pausa.

«E anche a lei manchi tantissimo.»

Rimasi un attimo in silenzio. Anche a me iniziavano a mancare loro. Poi mi venne in mente: glielo dovevo dire.

«Papà…»

«Che c’è figliolo?»

«Ehm… Io… Ecco, ho avuto un altro incubo.»

Questa volta fu lui a rimanere in silenzio.

«Come quell’altro?»

«Si.. Più o meno…»

«Figliolo, l’unica cosa che ti posso dire è che NON È REALE. Non devi dargli troppo peso, non spaventarti.»

«Ok…»

«Fatti forza. Ora però ti devo salutare, chiamare fino a laggiù costa un po’! Impegnati, io credo in te: ti voglio bene.»

«Ciao papà.»

«Ciao figliolo.» e riagganciò.

Feci un profondo respiro: era stata una telefonata breve, ma piuttosto intensa.

«Che incubo hai avuto, Daniel?» mi domandò Umigame. Non sapevo cosa rispondergli, non ne avevo mai parlato con nessuno tranne che con i miei famigliari. Ora però, ne avevo parlato al telefono con mio padre, alla portata dell’orecchio di tutti.

«Beh… Mi sembra giusto mettervi al corrente… Non credo sia nulla di importante ma almeno se mi sentirete urlare nel cuore della notte, saprete…» E così iniziai a raccontargli tutta la storia: dal primo incubo dopo il torneo, fino a quello appena vissuto, e di quell’inquietante dettaglio ricorrente: quell’ombra dotata di coda, con quegli inquietanti occhi e il suo sorriso sadico.

Mi ascoltarono tutti in silenzio. Ala fine, rimasero tutti in silenzio, espressioni serie sul volto.

«Beh, meno male che non sono io a farli, questi sogni.» disse Oscar, tornando a fare zapping. Intanto Crilin gli rifilò un occhiataccia, poi disse: «Beh, la cena sarà pronta tra poco, andiamo a tavola?»

«Non ho fame, grazie.» dissi.

«Sei sicuro? Dovresti mettere qualcosa sotto i denti, soprattutto dopo quello che è successo oggi.» mi disse Muten.

«Grazie maestro, ma sono sicuro. Se mi cercate, sono sul retro.» e in quel momento uscii.

Mi misi seduto sulla spiaggia: volevo meditare, volevo sentirmi nuovamente in armonia. Gli eventi della giornata mi avevano molto scombussolato. Ci misi un attimo a perdere la concezione del tempo: mi immersi nello scorrere delle percezioni che si muovevano attorno a me, eppure non riuscivo a sentirmi perfettamente in armonia, come se sentissi un vuoto dentro di me.

Sussultai. Fu un risveglio meno traumatico del solito: quella sensazione mi stava tormentando anche in quel momento. Compresi che ciò che sentivo riguardava la giornata di oggi: il mio tentativo di kamehameha fallito all’ultimo. Ma valeva davvero la pena di provarci ancora? Adesso? Avrei comunque dato qualunque cosa, pur di togliermi quel peso dal cuore.

Alzai la testa: notai che era calata la notte, il cielo si era riempito di stelle. Non sapevo che ora fosse, o se in casa dormisse già qualcuno: io, in ogni caso, non avevo sonno. Mi appoggiai sulle mani, volgendo la testa al cielo: il peso di quel piccolo fallimento mi stava tormentando. Mi rendevo conto che ci sarebbero state sicuramente altre occasioni, eppure io volevo pormi rimedio subito.

In quel momento mi tornò in mente lui: l’immagine di quel mostro si insinuò nuovamente tra i miei pensieri, insieme a tutte quelle sue frasi avvilenti, ma soprattutto una mi rimase impressa: “Fallirai…”

Aveva forse ragione? Mi coprii il volto con le mani: per un attimo non seppi cosa fare. Poi qualcosa mi strusciò la guancia. Guardai al mio polso e lo vidi: il braccialetto di famiglia, che papà mi aveva dato il giorno in cui iniziò ad addestrarmi. Nonostante una settimana tra nuotate, umidità e salsedine, manteneva ancora una grande brillantezza. E mi tornarono in mente le parole che papà mi aveva detto giusto prima di partire: “Voglio che tu ti renda conto, che io crederò sempre in te”

A chi dovevo dare retta? Avevo già la risposta. MI alzai in piedi, determinato più che mai: ce la dovevo fare.

Mi posizione di fronte al mare, piegando leggermente le ginocchia. Portai le mie braccia all’indietro, e iniziai a concentrarmi. Esclusi ogni tipo di percezione esterna, mi concentrai solo sul mio Ki: sentivo già una grande fatica.

Iniziai la formula:

«Ka-me…»

Avvertì un primo tepore tra i palmi, insieme ad una grande fatica. Guardai per un attimo al mio polso, al braccialetto: sentii in me del nuovo vigore.

«Ha-me…»

Ora avvertivo l’energia che si era accumulata tra le mie mani. Ma la più grande soddisfazione, fu che non sentivo più la fatica: pensai a papà, a mamma, a Kira, a Pamela.

“Io non fallirò”

«HA!»

Fu un grido liberatorio, anche se l’onda che generai non fu imponente come quella che mi aveva mostrato il maestro. Ma ora, finalmente, mi sentivo realizzato. Avvertii nuovamente una grande fatica, ma riuscii a gestirla: stavo già recuperando le forze.

«Ben fatto, ragazzo mio.» Dalle ombre sbucò il maestro: nonostante le tenebre riuscivo ad intravedere un grande sorriso sulle sue labbra. «Hai realizzato qualcosa di incredibile: dopo nemmeno una settimana, potrei già non avere nulla da insegnarti, dovresti solo migliorare certi aspetti, ma credo che con un buon allenamento domerai la Kamehameha in poco tempo.»

«Quindi dovrò già abbandonarla?»

«No.» Rimasi di sasso. «Io e tuo padre ci siamo accordati, oggi.» proseguì Muten «Proseguirai il tuo allenamento qui, finché il Supremo non ti convocherà.»

Rimasi un attimo in silenzio. Non avrei più visto la mia famiglia, eppure sentivo, che era una scelta che dovesse essere fatta. Ma non potei non pensare ai loro volti, ai loro sorrisi, a quanto mi mancassero; non potei non pensare a Pamela, la sua risata contagiosa, e alla promessa che, ora, non sapevo più se ero in grado di mantenere…

«So cosa stai provando, Daniel: stai tranquillo, li rivedrai, un giorno. MA l’impegno che ci siamo presi comporta dei sacrifici. Tuo padre mi ha detto che, nonostante la tua età, tu possa reggere questo tipo di notizie: ma tu sei ancora un bambino, e posso perfettamente comprendere il dolore che stai ingiustamente soffocando.»

A quel punto, i miei occhi si inumidirono. Lo abbracciai e iniziai a piangere forte.

«Sfogati, ragazzo…» mi disse, mentre continuavo a bagnargli il vestiario. Stavo sfogando tutta la rabbia che stavo provando per essere stato costretto ad abbandonare la mia famiglia. Ma c’era ancora quella parte di me, che accettava questo fatto. Avevo solo bisogno di sfogare tutta quella rabbia.

«G-Grazie, m-maestro…» dissi fra le lacrime.

«Quando reprimiamo i nostri sentimenti, essi influiscono su di noi, generando dubbi, sugli altri e su noi stessi. Per poter diventare un grande guerriero, non devi permetterti di sottovalutare la forza delle tue emozioni: non devi soffocarle, anzi devi imparare a comprenderle e farle diventare un tuo punto di forza.»

A quel punto ci separammo dall’abbraccio. Allora mi batté una mano sulla spalla.

«Andiamo a dormire.» mi disse con un sorriso, camminando verso la porta. Volsi ancora una volta uno sguardo verso il cielo, e pensai a cosa avevo ottenuto stasera: non solo avevo eseguito una perfetta Kamehameha, ma avevo compreso qualcosa di fondamentale per me stesso. Mi asciugai una piccola lacrima, e tornai in casa.


NOTE DELL'AUTORE

Ehilà bella gente! Eccoci con il settimo capitolo e con l'avanzamento dell'addestramento, mentre quello che poteva esser un episodio isolato, ora potrebbe diventare veramente un'oppressione per il nostro Daniel: cosa vorranno dire quegli incubi?

Spero che vi sia piaciuto, se vi fa piacere sappiate che molti altri sono già pronti, e se mantengo questi ritmi può darsi che gli aggiornamenti settimanali passino da due a tre a settimana...  Scrivere questa storia mi sta veramente prendendo tanto! E spero che stia piacendo anche a voi. Ma anche se non vi stesse piacendo, ogni tipo di recensione è ben accetta!

Dragon Ball è proprietà di Akira Toriyama.

Al prossimo capitolo! Statemi bene!

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Capitolo 8
*** Saiyan ***


CAPITOLO OTTAVO- SAIYAN

ANNO 761

Erano stati quattro anni intensi. Da quella notte, in cui eseguii la mia prima kamehameha, la mia aura era cresciuta enormemente: avevo allenato bene il mio Ki, e ora riuscivo ad eseguire la tecnica regina della scuola della tartaruga, senza alcuna difficoltà.

Avevo imparato come percepire le aure altrui: in questo caso, al contrario di kamehameha e ki-blast, scoprì che il processo non era per nulla diverso da quello che attuavo quando meditavo. Ma, invece concentrarmi su un insieme di percezioni, dovevo concentrarmi sulla singola, in modo da poterne leggere il Ki.

Ho fatto diversi progressi anche in meditazione: smisi di abbandonarmi a priori al flusso di energia intorno a me, preferendo una “immersione” graduale, anche nel momento di uscirne. Da quel giorno in avanti, non ebbi più mancamenti nel momento in cui terminavo la meditazione. O almeno, non li ebbi più, a meno che Oscar non venisse ad interrompermi improvvisamente per chiedermi se sapessi dove fosse il telecomando.

Ma nonostante tutti i miei miglioramenti, non ero ancora non al livello di uno come Crilin: da ottimo insegnante di volo (tecnica che, mi disse, aver appreso anche lui solo da qualche anno) era ora diventato un ottimo compagno di duelli, anche se mi ero un po’ stufato di non vincerne mai nemmeno uno, nonostante molte volte riuscissi a metterlo in seria difficoltà.

In compenso diventammo grandi amici: soprattutto, ci divertivamo parecchio ad organizzare qualche scherzetto al maestro o a Oscar.

Ogni tanto telefonavano da casa: mamma riusciva a tenermi al telefono anche per delle ore, almeno finché papà non faceva valere le ragioni del portafoglio. Mi raccontavano tutto. Io ero curioso soprattutto su come se la stesse cavando Pamela: papà mi disse che era stata più lenta ad apprendere come sfruttare il proprio Ki, ma alla fine ce l’aveva fatta anche lei.

Questo lo seppi giusto qualche settimana fa.    

Ora ci stavamo rilassando in casa, era una giornata piuttosto calda.

«Crilin, per favore, vai a recuperare qualcosa di fresco.» domandò il maestro Muten.

«Dovrebbe esserci ancora del thè freddo, vado a controllare.» disse il giovane guerriero, alzandosi.

Mentre stava sistemando i bicchieri su un vassoio, ecco all’improvviso il rumore di un motore, poi un piccolo tonfo.

“Che sarà stato? Non mi sembra comunque nulla di pericoloso” pensai, pigramente, anche per il fatto che quel giorno faceva veramente molto caldo.

A confermare i miei pensieri si udì una voce familiare gridare: «Ehilà! Ci siete?» Dopo di che alla porta si presento una familiare figura femminile, dagli inconfondibili capelli azzurri.

«Ciao Bulma!» gridammo in coro. Eravamo tutti piuttosto sorpresi: era passato molto tempo dalla sua ultima visita.

«Allora? Come ve la state cavando? Scusate se non mi sono fatta vedere per un po’, ma il lavoro mi ha stritolato in questi anni.» disse, con tono dispiaciuto.

«Ma figurati! Vieni, ragazza mia, prendi pure posto…» la invitò il Maestro Muten, con aria maliziosa.

Avrò anche fatto dieci anni giusto qualche mese fa, sarò ancora troppo piccolo, eppure non ci è voluto molto a capire quali fossero le “passioni” del maestro, sulle quali non mi sono mai voluto esprimere. Anzi, risi di gusto quando si beccò l’ennesimo ceffone da Bulma, mentre tentava, ancora una volta, di palparle il seno.

«Vuoi qualcosa da bere?» le chiese Crilin. La ragazza accettò, annuendo.

«E tu Daniel? Come sta andando l’addestramento?» mi chiese l’azzurra.

«Bene, direi bene…» dissi.

«Ah, il nostro Daniel è troppo modesto! Pensa che ha imparato la Kamehameha in una settimana, ed ora mette già in difficoltà il nostro Crilin! Se l’intera isola papaya ora non fosse in fase di completa ricostruzione, avrei portato anche lui al torneo mondiale, e sono convinto avrebbe fatto una bellissima figura!» disse il mio maestro, con orgoglio.

«Davvero? Bravo! Lo sapevo che saresti stato un ottimo allievo! Tuo padre sarà molto orgoglioso di te! E devo dire che la divisa ti sta anche molto bene!» disse, con una risatina.

Quel complimento mi colpì particolarmente. Mi tornò in mente quella notte, quando mi sfogai con il maestro dopo aver eseguito la mia prima Kamehameha: il giorno dopo il maestro mi consegnò la divisa della sua scuola. «Ti serviranno anche delle calzature adatte, vedo se magari ne ho ancora qualcuna con me» disse prima di consegnarmi un paio di stivali da combattimento, uguali a quelli di Crilin. Da allora quello era diventato il mio vestiario quotidiano: lo lavavo regolarmente e lo indossavo più di qualunque altro vestito, anche perché mi allenavo per gran parte della giornata. Ma oggi avevo dovuto cambiare i miei programmi: faceva effettivamente troppo caldo. Ed ecco che mi ritrovai a guardarla nuovamente con attenzione: quella divisa, ormai un seconda pelle, era qualcosa di più di una semplice tuta da combattimento. Era un simbolo di appartenenza, rappresentava la storia di una prestigiosa scuola, ed io ora ne facevo parte.

«Beh… grazie.» dissi, con un sorriso imbarazzato. Nonostante Bulma fosse ormai parte della mia vita, non riuscivo a non sentirmi sempre un po’ a disagio quando mi confrontavo col suo carattere esuberante.

«Vedo che ti sei anche tagliato i capelli… Tanto meglio! Almeno non sono più disordinati come prima! Erano comunque sicuramente meglio della pelati di Crilin!» disse con una risatina.

L’ex monaco rispose spavaldo: «Beh, giudica quanto vuoi il mio modo di tenere i capelli, intanto a Daniel li ho tagliati io, e glieli sistemo tutt’ora eh- eh…»

Mi tornò in mente quando, due settimane dopo essere arrivato, notai che avevo i capelli decisamente troppo lunghi e, come al solito, decisamente troppo disordinati. Nel cercare una soluzione, avevo scoperto che Crilin era piuttosto pratico con i capelli, proprio perché riusciva a non farli crescere più: gli avevo chiesto di tagliarmeli, senza lasciarmi pelato come lui. Alla fine avevo i lati della testa completamente rasati, e in cima una piccola zazzera i cui capelli dovevano formare una cresta rivolta a sinistra, ma che preferivo tenere schiacciata.

In ogni caso, tutta quell’attenzione iniziava ad essere un po’ pesante.

«Io uscirei un attimo… qualche minuto, per meditare. Oggi non l’ho ancora fatto...»

«Ma come? Sono appena arrivata, dopo un sacco di tempo e tu già te ne vai?» disse Bulma, con un tono quasi offeso.

«Sono sul retro! Non mi prenderà tanto tempo… Riuscirai a godere anche della mia compagnia oggi.» le risposi, abbozzando un sorriso.

Dopo di che uscii di casa, recandomi nel mio solito posticino dietro la casa: ormai era diventata un’abitudine, come ormai abituali erano divenute le percezioni intorno a  me. Osservavo l’energia guizzare attorno a me, quando mi accorsi che si stavano aggiungendo due nuove percezioni, simili a quelle che avevo per Crilin e per il maestro e a quella, anch’essa una novità della giornata, che potei attribuire a Bulma.

Erano in movimento, ormai a pochi chilometri dall’isola: avvertivo nel flusso energetico svariati picchi, provenienti da gabbiani spaventati dal passaggio di qualcosa.

Iniziai a preoccuparmi: però non mi sentii di abbandonare immediatamente la meditazione.

In casa c’erano comunque due guerrieri più esperti di me, anche se uno era ormai un vecchietto di più di trecento anni, e se quelle due entità fossero state un pericolo, sicuramente le avrebbero avvertite anche loro utilizzando il Ki, il che era decisamente più efficace: percepire il Ki non comportava la discesa in uno stato di quasi estraneità dal mondo circostante, come il mio, e non aveva limiti territoriali, bastava che l’aura percepita fosse sufficientemente potente e poteva essere percepita anche ad enorme distanza. Al contrario, meditando potevo entrare in armonia con l’energia vitale che si concentrava in una determinata area, riuscendo anche ad intuire la natura di queste percezioni: in questo caso, quelle due parevano essere due umani, anche se c’era qualcosa di strano…

Interruppi questo divagare quando mi accorsi che erano sull’isola, e all’improvviso una di esse sparì. L’energia che arrivava dalle tre fonti a me note ebbe un piccolo turbamento: un turbamento di sorpresa.

«Ehilà!»

«AHHHHHHH!»

L’urlo che mi uscì non fu semplicemente per l’improvviso risveglio, am anche perché ero stato spaventato a morte. Caddi all’indietro, sdraiato sulla sabbia, i raggi del sole che colpivano i miei occhi, impedendomi di identificare il burlone.

«Urca! Devo averti proprio spaventato! Hai una faccia!»

Quella voce. La sentii la prima e ultima volta cinque anni fa, ma non potevo assolutamente scordarmela.

«GOKU!» mi alzai, entusiasta della scoperta.

«Come stai piccolo? Mi hanno detto che bastava abbassare la propria aura per non farsi vedere da te in quello stato, a quanto vedo era proprio vero!» disse con una risata.

Crilin. Dovevano essersi già parlati.

«Beh, comunque un risveglio improvviso non è mai piacevole. Ma visto che sei tu, lascerò correre, per questa volta!» dissi, ridendo a mia volta.

«Dai, torniamo di là, c’è una persona che voglio presentarti.»

Ecco chi erano quelle due percezioni di prima. Ora stavo per conoscere l’altra. Ma un altro dubbio mi attanagliava: come mai erano diverse, anche se non di molto, da quelle del maestro e di Crilin. Mentre ci pensavo ci riaggregammo al gruppo: la prima cosa che notai fu che Umigame portava sul guscio un bambino.

Ma la cosa più assurda, era che questo bambino aveva una coda: nonostante sapessi che l’avesse avuta anche Goku quando incontrò mio padre, vederla di persona fa comunque tutto un altro effetto.

«Gohan, vieni qua, devi ancora conoscere una persona!»

Il bambino corse verso Goku, poi volse lo sguardo verso di me: si poteva leggere quanto si sentisse in imbarazzo doveva essere molto timido.

«Daniel, questo è mio figlio Gohan. Gohan, questo è Daniel, l’amico di cui ti parla sempre Pamela, ricordi?»

«Il figlio del signor Ryder?» domandò il piccolo al padre, il volto stranamente illuminato: Goku gli annuì in risposta.

«Felice di conoscerti!» disse, con un profondo inchino, che ricambiai. Poi tornò a giocare con Umigame.

«Tu devi essere veramente speciale! Con noi faticava a dire il suo nome, mentre con te si è subito aperto come se ti conoscesse da una vita!» disse Bulma, un misto tra l’irritato e il geloso.

«No… Beh… Io…» balbettai, cercando di trovare una frase per “scusarmi”.

«Ahah! Non preoccuparti, Daniel» disse Goku, interrompendo il mio patetico tentativo di formulare una frase «semplicemente devi ringraziare la tua amica, che ti ha dipinto ai suoi occhi come una specie di prodigio. E anche tuo padre, che quando si ferma ad assistere agli allenamenti di Pamela lo fa sempre divertire.»

«A proposito, come se la sta cavando Pamela?» gli chiesi, incuriosito.

«Beh, non è male. Io dovrei darle qualche dritta su cose in cui tuo padre non si sente più tanto preparato, come il Ki e come usarlo. Devo dirlo, non ha un potenziale così grande, ma sicuramente ha una grande determinazione che la porterà ad ottenere ottimi risultati se prosegue su questa strada.»

«Beh, se non fosse determinata non sarebbe Pamela.» dissi, sogghignando.

«Già, in certi momenti pare veramente instancabile!» mi rispose Goku, confermando che parlavamo proprio dello stesso uragano dai capelli rossi.

«Parli già come un insegnante consumato, e mi sembra ieri che ti allenavi qua con Crilin.» disse orgogliosamente Muten al suo vecchio allievo.

«Ma dimmi Goku, quella sul cappello di tuo figlio è una delle sfere del drago?» domandò Bulma.

«Si, è la quarta, il mio portafortuna!»

Lì iniziò una discussione sui vecchi tempi, dalla quale mi vidi automaticamente escluso. Ma mi fece piacere ascoltare qualche aneddoto sulle loro avventure, soprattutto quelli legati al grande drago Shenron: conoscevo bene la storia delle sette sfere, ma quella che potevo ammirare sul cappello di Gohan era la prima che potevo vedere con i miei occhi.

Viaggiai per un attimo con il pensiero, finché non notai che si erano interrotti.

«Che cos’è? Qualcosa si sta avvicinando, ma non riesco a capire cosa…» disse Goku, il volto contratto in un’espressione preoccupata.

Riuscii anche io a percepire una forte presenza, che si avvicinava sempre di più verso l’isola. Mi voltai verso il maestro: anch’egli sembrava piuttosto nervoso.

Finché all’orizzonte non comparve una figura, che divenne sempre più grande e definita fino a diventare quella di un essere umano, anch’egli in grado di volare. Quando atterrò poi sull’isola, mi resi conto che il saper volare non era l’unica cosa strana di quel tipo: indossava un’armatura nera che definiva una sviluppata muscolatura, due grandi spallini appuntite. Sotto quella che pareva una cintura di pelliccia, una serie di placche che probabilmente avevano qualche funzione di protezione, o forse erano solo una brutta decorazione.

Aveva dei lunghissimi capelli neri, che gli arrivavano al ginocchio. Aveva l’occhio sinistro coperto da uno strano monocolo, attaccato all’orecchio, dal quale per un attimo uscirono degli strani suoni elettronici.

«Hmpf. Deve essersi rotto. Dannati questi aggeggi» sbuffò, quasi sottovoce. Poi si rivolse a Goku: «Ce n’è voluto di tempo, ma alla fine ti ho trovato, Kakaroth.»

«Scusa, con chi stai parlando?» Goku espresse in quel momento la domanda che ci ponemmo tutti.

«Ma come? Non mi riconosci? Non ricordi veramente più niente?» disse il guerriero, un tono irritato nella sua voce. «NON TI RICORDI DELLA MISSIONE?»

«Sentimi bene, non so chi tu sia o chi tu stia cercando, ma qui non c’è nessun Kaka-coso o quello che è, io mi chiamo Goku e non ho nessuna missione da svolgere.»

Il guerriero sbottò: «Hai per caso subito qualche incidente? Ha forse battuto forte la testa, qualche volta? RISPONDI!»

«Beh, si...  ho subito una brutta botta alla testa quando ero bambino, ne porto ancora il segno, se ti interessa.»

«Ecco come è successo… avrei dovuto tenerne conto… Beh, già che sono qui ci penso io a rinfrescarti la memoria, Kakaroth: si, questo è il tuo vero nome.» disse il guerriero, sogghignando «Tu non sei di questo pianeta: tu appartieni alla gloriosa razza saiyan, i guerrieri più potenti dell’universo, come me, Radish» il suo sguardo si fece più tagliente, prima di concludere: «tuo fratello maggiore.»

In quel momento non seppi che dire: mossi lo sguardo da Goku a Radish, da Radish a Goku, l’incredulità che mi pervadeva. Io rimasi immobile, Crilin no: tentò di cacciarlo via con le buone maniere, credendolo semplicemente un povero pazzo. Ma non appena fu vicino a Radish, quella che sembrava una cintura di pelliccia si rivelò essere una coda, con la quale il presunto fratello di Goku spedì Crilin nella parete della Kame House. Ora, la credibilità di Radish era sicuramente aumentata, almeno ai miei occhi.

«Ti era stata affidata una semplice missione: epurare questo pianeta di deboli vermiciattoli! Eppure ci hai messo più del previsto... La distruzione del nostro pianeta d’origine ti ha fatto per un attimo uscire dalle nostre priorità, ma ora vedo che non solo hai fallito, ma ti sei pure sottomesso a questi deboli!»

Poi vidi che il suo sguardo cadde su Gohan. «Vedo che comunque hai saputo darti da fare in altro modo… Deduco che quello sia mio nipote, quella coda non lascia dubbio. Complimenti Kakaroth, se dovevi trovare un modo per deludermi ancora maggiore, ci sei riuscito. Sei la fotocopia di nostro padre, purtroppo solo fisicamente…»

«Senti, potrai anche essere quello che vuoi, ma io sono Goku, sono nato e cresciuto qui, e se devi mettere in pericolo questo pianeta sappi che dovrai vedertela con me.» gli sbraitò contro Goku.

«Aspetta Goku.» questa volta fu il maestro Muten a parlare «c’è una storia che forse devi sapere…»

Fu allora che il maestro raccontò la storia di come Goku fu ritrovato da suo nonno Gohan in una specie di navicella caduta dal cielo, e di come, prima di cadere e battere forte la testa fosse un ragazzino ribelle e indomabile, che cambiò radicalmente dopo l’incidente. Ora era palese come Radish stesse dicendo la verità. Dalla risata che gli sentii fare, aveva compreso come ci fossimo arrivati, finalmente, anche noi.

«Visto?» Poi la sua espressione si corrucciò improvvisamente: «Kakaroth! La tua coda! DOV’È?»

«La persi diversi anni fa… Non vedo come questo possa importare!»

«SI CHE IMPORTA, STUPIDO!» gli urlò contro Radish «La coda è la fonte per la tua vera potenza di saiyan! Ora capisco come in questi anni tu non sia riuscito a torcere un capello a nessuno… Ma credo sia il caso di tornare a noi, non sono tornato qui per una riunione di famiglia, fratellino…»

Radish spiegò poi a Goku perché fosse stato inviato qui, e di come dalla distruzione del loro pianeta, Vegeta, erano rimasti solo quattro superstiti, tra cui proprio Goku. Era venuto qui per fare in modo che Goku completasse il suo compito di distruzione della razza umana e che, finalmente si unisse a loro, per proseguire la loro opera di invasori inarrestabili.

“Non credere che Goku si arrenderà così facilmente, capellone arrogante” pensai tra me e me, digrignando i denti.

«Che è quella faccia, ragazzino? Mi stai forse minacciando? AH!» il sangue mi si congelò nelle vene. Mi stava guardando, con uno sguardo che mi tagliava letteralmente in due.

Accennai una posa di attacco. «Lo sai cos’è questo?» mi chiese, indicando il marchingegno che portava all’orecchio «Questo è uno scouter, moccioso: serve a misurare il livello combattivo dei miei avversari. Stranamente, tuo valore era dato come “non quantificabile”. Io credo perché si sia rotto, e che tua sia solamente un debole codardo come ogni abitante di questo pianeta, ma se vuoi mostrarmi il contrario…» a quel punto ero paralizzato dal terrore «accomodati pure.»

«Stanne fuori, Daniel.» mi disse Crilin, ripresosi dal colpo precedente, che ora mi cingeva le spalle, trattenendomi, anche se non mi sarei mai mosso. «Non fare stupidaggini inutili.»

«Come sospettavo.» disse Radish «Debole e codardo: un normale terrestre, insomma.»

«Senti tu! Non mi interessa chi tu sia o cosa tu voglia, ma non mi puoi convincere a fare nulla! Io mi chiamo Goku e sono un terrestre. Un terrestre che ti fermerà.»

Radish sogghignò, ancora. «La tua ingenuità non ha veramente limiti, eh? Ancora non ti sei reso conto di con chi hai a che fare, fratellino!» e in un attimo, fu immediatamente davanti a Goku, colpendolo con una forte ginocchiata, che lo spedì dolorante a terra. A quel punto Radish afferrò Gohan, che fino a quel momento era rimasto vicino a Bulma e che stava correndo verso il padre ferito. Il piccolo iniziò a piangere, disperato, invocando l’aiuto del papà. Avrei voluto aiutarlo, ma quel guerriero aveva messo k.o. il campione del mondo, colui che aveva sconfitto Piccolo, con un solo colpo. Mi tornò in mente una strana immagine, ma smisi di pensarci all’istante.

«Ascolta, ti do un giorno per radunare qui cento corpi terrestri. Non sono molti ma mi basteranno per capire che sei disposto a rimetterti in riga. Altrimenti sarà il mio nipotino qui, a prendere il tuo posto.»

Ero terrorizzato: quel Radish era veramente un mostro.

«In fondo anche lui è un saiyan no? Che ne dici, piccolo? Ti va di fare un giro con zio Radish?» disse, sorridendo diabolicamente.

Poi continuò: «Tu soddisfa la mia richiesta ed unisciti a noi, altrimenti puoi anche scordarti di rivedere tuo figlio. E non ti preoccupare per i tuoi amici: una volta risolta questa faccenda, la Terra è il nostro prossimo obbiettivo, quindi ti conviene rassegnarti all’idea che, in un modo o nell’altro, siete tutti già morti.» a quel punto si allontanò in volo, sulla faccia un sorriso malefico, tra le braccia un bambino in lacrime.

Accorremmo tutti in soccorso di Goku, che si rialzò, dolorante.

«Come pensi di poter batter quel mostro, Goku?» gli domandò il maestro Muten.

«Non lo so» ammise Goku, dolorante «ma non posso permettergli di fare del male a Gohan!»

«Ma da solo non ce la farai mai! Radish è troppo potente perché tu possa affrontarlo da solo! Dobbiamo venire con te…» disse un agitato Crilin.

«Non se ne parla, ragazzi, è troppo potente, rischiereste la vostra vita inutilmente, e poi siete già stati resuscitati una volta dalle sfere del drago, non posso farvi correre questo rischio.» disse al suo vecchio maestro e compagno di avventure.

«In ogni caso, ti occorre un alleato, e si dia il caso che io sia disposto a diventarlo, per questa volta.» disse una nuova voce. Una voce, anch’essa, che non sentivo ormai da parecchio tempo.

Guardammo tutti verso l’alto e lo vedemmo: sospeso in aria, nella sua solita divisa viola,  con un bianco turbante e un mantello dello stesso colore mosso dalla brezza, stava Piccolo.

«Salve.» disse scendendo a terra, sul volto un ghigno.

«E tu cosa vuoi, adesso?» gli domandò Goku. Noi altri in quel momento eravamo paralizzati dal terrore. Bulma si fece scudo con il povero Umigame.

«Sono qui perché quell’essere è troppo potente perché tu possa sconfiggerlo da solo: ho avuto l’onore di incontrarlo prima che arrivasse qua, e seguendolo vi ho trovato. Ora, non credere che la mia proposta cambi le cose tra noi, sé solo che non voglio intralci per quello che resta il mio piano.»

Ero impreganto di sudore dal caldo e dalla tensione, tanto che una goccia mi finì nell’occhio, causandomi grande fastidio.

«La mia idea è quella di una tregua temporanea: per sconfiggere quel Radish occorre che collaboriamo.» disse Piccolo, per la sorpresa di tutti «Cosa rispondi?»

E ancora più sorprendentemente, Goku accettò.

«Bulma, hai con te il Dragon radar?»

«Certo che si,  e credo anche di aver capito cosa tu voglia fare.» gli rispose l’azzurra, lanciandogli un piccolo oggetto circolare. Da quel che mi ricordo dagli aneddoti che mi ha raccontato Crilin, quello è un radar per trovare le sfere del drago, e il motivo per cui Goku glielo avesse chiesto fu chiaro anche a me: la sfera sul cappello di Gohan.

«Credi di potermi stare dietro Junior?» disse Goku, montando sulla nuvola d’oro: di quella mia aveva parlato Muten, era la prima volta che la vedevo, visto che mi ero perso l’arrivo di Goku sull’isola.

«Sarai tu a dover reggere il mio passo, vedrai!» disse, sicuro, il demone. Poi presero entrambi il volo, per quella che sarebbe stata sicuramente una battaglia epica.

Dopo un attimo di silenzio, mi girai verso i miei amici: «Non dovremmo andare anche noi? Potremmo comunque essere d’aiuto, no?»

«Infatti, Daniel! Ora che ci penso, anche sull’aereo c’è installato un radar! Possiamo seguire la traccia della sfera di Gohan anche noi!» disse Bulma, la determinazione nella voce.

«Che stiamo aspettando?» disse Crilin. A quel punto montammo tutti e quattro sul piccolo aereo e decollammo.

Ero curioso di vedere come se la sarebbero cavata quei due, protagonisti di una battaglia infernale qualche anno fa, ora compagni contro un nemico potentissimo che minacciava l’integrità dell’intero pianeta. Il che credo giustificasse quel brutto presentimento che sentivo.

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Il viaggio fu silenzioso, almeno per me. Evitai di ascoltare le previsioni apocalittiche di Crilin e del maestro, su un eventuale tradimento di Piccolo o di un’eventuale vittoria di Radish.

Per me poteva, DOVEVA finire in una sola maniera: con la sconfitta del saiyan.

«Eccoli! Sono laggiù!» gridò Bulma.

Mi appiccicai al finestrino per vedere bene: Piccolo era in piedi, e potei notare che aveva perso un braccio. Vicino a lui, due corpi esanimi. Due corpi.

Non ero l’unico ad averlo notato. Non appena scendemmo dall’aereo, corremo tutti verso Goku, che però stava ormai esalando gli ultimi respiri: sul suo torace c’era un grosso foro, segno di qualcosa che lo aveva trapassato.

Non potei ascoltare le sue ultime, flebili parole: mi allontanai di qualche passo, lasciandolo alle cure dei suoi amici più cari. Sentivo le lacrime riempirmi gli occhi.

«Si è nobilmente sacrificato perché potessi uccidere quel bastardo.» disse Piccolo, improvvisamente «Non sarà un problema resuscitarlo con le sfere del drago: il vero problema, è che ora anche gli altri due saiyan sono a conoscenza della loro esistenza. Radish ne ha annunciato l’arrivo tra un anno esatto. A quanto pare quell’aggeggino che si metteva all’orecchio è anche un comunicatore.» spiegò Piccolo. In quel momento il braccio gli ricrebbe improvvisamente, cosa che non migliorò l’idea che avevo di lui.

Trasalì: come potevamo reggere contro altri due saiyan, che perfino Radish aveva descritto come più forti di lui?

In quel momento il corpo di Goku svanì. Ci guardammo tutti stupiti.

«Dov’è finito?» disse Crilin, esterrefatto.

«Qui c’è lo zampino del Supremo: nessun corpo deceduto si smaterializza così. Evidentemente avrà architettato qualcosa per il nostro Goku, e sono sicuro c’entri con questa nuova minaccia.»

Aveva molto probabilmente ragione: in fondo la reincarnazione della controprate malvagia del Supremo, era lui.

«Beh in ogni caso credo sia meglio mettersi subito alla ricerca delle sfere del drago.» constatò nuovamente Crilin.

Intanto Bulma aveva preso Gohan, svenuto, in braccio.

«Ferma lì. Il ragazzino viene con me.» disse Piccolo, freddamente.

«Come ti permetti? Cosa intendi fargli? Non te lo permetteremo!» gli rispose l’azzurra, stranamente meno impaurita del solito.

«Non avete potuto assistere alla sfida. Questo moccioso ha mostrato una potenza incredibile: una potenza che deve essere sfruttata per difendere la terra dalla minaccia di quelle belve, e che solo io qui posso allenare adeguatamente. Per questo lui viene con me.» e con un gesto della mano, fece levitare il corpo privo di sensi del piccolo tra le sue braccia.

«Ci vediamo fra un anno.» disse, con un sogghigno indecifrabile sulle labbra, prima di mettersi in volo verso destinazione ignota.

Dopo qualche istante di silenzio, il maestro Muten propose di tornare a casa. Io non potevo che essere d’accordo con lui.Salì immediatamente ed affondai nel sedile dell’aereo, sconvolto dalla giornata appena trascorsa, in attesa degli altri. Ci misero qualche secondo: a quanto pare Bulma aveva voluto recuperare quell’aggeggio che Radish aveva chiamato “scouter”. Non mi chiesi perché: avevo già troppe domande per la testa. In un anno due guerrieri potentissimi sarebbero giunti sulla terra: sarei stato in grado di dare una mano? E se quelle cose che Radish aveva detto erano vere, e non avevo nemmeno un “livello combattivo” che mi permettesse anche solo di essere considerato un fastidio?

I miei pensieri erano un mare in burrasca, mentre sorvolavamo quello calmo, nel quale si trovava l’isolotto che ormai era casa mia.


NOTE DELL’AUTORE

Ehilà bella gente! Finalmente le cose iniziano a farsi interessanti… come si preparerà il nostro Daniel alla minaccia dei saiyan? Darà così credito alle parole di Radish? Comunque, spero di aver riportato bene Radish, personaggio che sicuramente non sarà ricordato tra i più forti, ma che per le sue implicazioni ha veramente un grande fascino, e che secondo me poteva essere ripreso dal buon Toriyama (che ne approfitto per ricordare che è l’unico vero proprietario dell’universo di Dragon Ball).

Spero anche, come sempre, che il capitolo vi sia piaciuto: ne approfitto per dirvi che, molto probabilmente, la prossima settimana farò parecchi aggiornamenti, visto quanti capitoli ho già pronti per voi.

Come sempre, ogni recensione, anche critica, è ben accetta!

Alla prossima e stay tuned, la prossima settimana può darsi che potrete leggere parecchio, se la storia vi sta piacendo!

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Capitolo 9
*** Nuovo maestro, stessi dubbi ***


CAPITOLO NONO- NUOVO MAESTRO, STESSI DUBBI

«Ce l’ho fatta!» esclamò all’improvviso Bulma, entusiasta «sono riuscita a sistemare questo aggeggio, finalmente!»

Era su quell’apparecchio ormai da qualche ora, che quasi ci eravamo dimenticati cosa stesse facendo.

«Vediamo se riesco a farlo funzionare…» disse mentre lo indossava, la lente che ora le copriva interamente l’occhio sinistro. Premette un pulsante e dallo scouter, o in qualunque modo si chiamasse, risuonarono quegli stessi beep che avevo sentito quando Radish arrivò sull’isola.

«Ah! Se vi inquadro escono dei valori sulla lente!» disse una Bulma sempre più entusiasta.

«Deve essere il nostro livello di combattimento, come aveva spiegato Radish.» disse il maestro Muten.

Rabbrividii ancora ripensando al momento in cui mi aveva rivolto direttamente la parola: era stato inquietante.

«Crilin! Il tuo livello è superiore a quello del maestro Muten!» disse Bulma, facendo per un attimo esultare l’ex monaco. Poi si voltò verso di me.

«Daniel…» notai il netto cambio tonalità nella sua voce, che si era fatto più calmo e cupo «il tuo valore è effettivamente “non quantificabile”. Che strano…»

«Me lo chiedo anch’io…» disse Crilin. Il maestro Muten invece, rimase un attimo in silenzio. Tutti gli occhi erano ora fissi su di me. E la cosa non mi fece sentire assolutamente a mio agio.

«Che c’è?» sbottai improvvisamente «Credete che io sappia il perché? È da quando quella merda è arrivata qua che mi sto facendo le stesse domande!»

«Datti una calmata! Non sono io tua madre, ma risparmiati quelle parole, chiaro?» mi sgridò Bulma.

Arrossii un attimo: non avevo sicuramente fatto una bella figura.

«Sc-Scusate, è che… è che non riesco a trovare una risposta…»

«E non devi preoccuparti di trovarla.» disse una quinta voce, dalla soglia della Kame House.

Ci guardammo tutti con sorpresa, non appena volgemmo il nostro sguardo alla porta e potemmo identificammo la fonte di quella voce, che era suonata così potente ed autoritaria. Il maestro Muten si mise in ginocchio di fronte al nuovo arrivato: «Supremo… Quale onore… cosa la porta qua, se posso permettermi?»

«Alzati pure, la mia non è una visita di cortesia. Lo sappiamo entrambi, no?»

Si scambiarono uno sguardo d’intesa, poi si girarono verso di me.

«È giunto il momento, ragazzo.»

Per un attimo, non seppi cosa fare: rimasi seduto, paralizzato al mio posto.

Il Supremo continuò a guardarmi con il suo sguardo freddo, che non lasciava trasparire alcuna emozione: sapevo che dovevo ubbidire.

«Cosa significa tutto questo?» chiese Crilin, sorpreso.

«Significa che il suo addestramento qui con noi è terminato.» spiegò Muten «E che ora lo proseguirà con il Supremo.»

«Davvero? Ma questo è fantastico! Daniel, diventerai fortissimo! Solo Goku finora ha avuto questo onore, tra quelli che conosco!» disse Crilin, mostrando entusiasmo.

Io non riuscivo comunque a provare la stessa cosa: sapevo che sarebbe successo qui, ma non riuscivo a non rimpiangere l’assenza della mia famiglia in questo momento. Da quel che sapevo, seguire il Supremo avrebbe significato allontanarsi completamente da tutto e da tutti: il suo palazzo si trovava sospeso in aria, molto lontano da terra. Ed in quel momento la nostalgia si fece largo nel mio cuore.

«Posso percepire cosa stai provando in questo momento, ragazzo. Ma devi cercare di andare avanti: questi erano gli accordi presi con tuo padre, e anche lui ha dovuto combattere quella parte di sé che non avrebbe mai voluto vederti andar via. E lo ha fatto solamente per il tuo bene. Ora, seguimi.»

Assunse una posizione che chiaramente mi invitava a seguirlo fuori dalla casa. Controvoglia, lo seguii.

«Aspetti… Per quanto riguarda tutte le mie cose?» gli domandai.

«Di quelle non ti preoccupare, manderò il mio servitore a recuperarle. Ma ora è necessario che andiamo.»

Mi voltai verso quella che per quattro anni era stata casa mia: sulla soglia Bulma, Crilin, Umigame, Oscar e il maestro Muten a comporre quella che era stata una bizzarra seconda famiglia.

«Buona fortuna!» gridarono in coro. In quel momento il Supremo mise una mano sulla mia spalla, e lo scenario cambiò immediatamente.

Mi trovavo ora in quella che pareva una grande piazza, il pavimento bianco, e delle aiuole in cui crescevano rigogliose delle palme. Ma ciò su cui cadde maggiormente il mio occhio fu la piccola costruzione al centro di questo piazzale.

«Benvenuto.» disse una voce che mi ricordava Umigame, ma molto più seriosa e inespressiva. Mi voltai, e vidi un piccolo ometto nero, piuttosto grasso, dalle prominenti labbra rosse e le orecchie a punta. Indossava un giubbottino smanicato, che aveva l’aria di andargli stretto, un turbante bianco e dei pantaloni dello stesso colore.

«Popo, accompagna il nostro nuovo ospite nella sua stanza.»

«Con piacere, Supremo.» disse, inchinandosi. Poi si rivolse a me: «Seguimi, per cortesia.»

Seguii Popo all’interno del palazzo: notai che in realtà quella mi pareva una piazza era in realtà il tetto di una costruzione più grande, che si estendeva verso il basso in una labirintica serie di porte e corridoi.

Dopo quella che parve un’eternità ci fermammo davanti ad una piccola porta circolare. Popo la aprii.

«La tua stanza sarà questa finché risiederai qui: il bagno è due porte più avanti. I pasti ti verrano serviti qui. Per quanto riguarda i tuoi effetti personali, sarà mio compito recuperarli e sistemarli qui per te. Per tornare indietro, segui le indicazioni: potrebbe risultare un po’ problematico, i primi tempi. Il Supremo ti aspetta su tra un’ora: nel frattempo sei libero di rilassarti.» detto quello chiuse la porta, lasciandomi solo nella mia nuova stanza. Freddo e di poche parole, eppure non mi dava quell’idea, nonostante il suo atteggiamento: forse era troppo immerso nel suo compito di maggiordomo.

“C’e comunque tanto tempo per scoprirlo” pensai, poi esaminai la stanza che mi era stata assegnata.

Più che una stanza, pareva un grosso loculo: ci stavano a malapena il letto, che pareva più una brandina, e l’armadio. Di fianco al letto, un buco nel muro fungeva da finestra. Curioso, salii sul letto e provai a guardare fuori: ma tutto ciò che vidi fu il vuoto del cielo, e mi tornò in mente che il palazzo dove mi trovavo ora galleggiava nel cielo. Come nessuno lo abbia mai notato, non lo so.

Decisi di fare un piccolo giro esplorativo del palazzo, piuttosto che attendere un’ora sdraiato sul letto. Uscito, non feci fatica a trovare le indicazioni di cui mi aveva parlato Popo. Non erano illeggibili, ma la quantità di luoghi e direzioni segnate mi fece propendere per tornare di sopra, da dove ero arrivato.

Ci misi un buon quarto d’ora a tornarci: probabilmente fu perché da solo camminavo piuttosto in fretta, Popo al contrario aveva camminato con molta, molta calma.

Mi ritrovai nuovamente sul grande piazzale: questa volta decisi di non limitarmi ad osservarlo, anche se molto da vedere non c’era. Camminai fino al bordo, e poi notare per quanto si estendeva il vuoto che avevo notato dalla mia piccola finestra: o almeno, ci provai, visto che non si riusciva nemmeno a vedere il suolo terrestre, nascosto dalle nuvole.

Mi sedetti per un momento sul ciglio: era comunque una situazione piuttosto rilassante. Al che mi tornò in mente che Goku aveva interrotto la mia meditazione, prima di andare a morire contro Radish, e che queste cose erano successe solo questa mattina! A ripensarci il mio fisico ebbe una sorta di ricaduta: mi sentii nuovamente carico di stress, dopo che questa lunga serie di eventi inaspettati aveva smesso per un attimo di farmi pensare a Radish e al suo avvertimento.

Mi accorsi che avevo ancora qualche ora di luce del sole: decisi di sfruttarla per meditare.

Non appena raggiunsi la concentrazione ideale, avvertii qualcosa di inusuale: percezioni viventi, ne avvertivo solo una, all’interno del palazzo, eppure la stuttura era attraversata da un flusso mastodontico di energia. Sembrava che sul palazzo fosse presente l’intero pianeta, eppure non c’era nessuno. In preda agli interrogativi su questo strano fenomeno, non ressi per molto il contatto con questo enorme flusso, e mi ritrovai improvvisamente nel mondo reale.

«So cosa hai percepito, ragazzo.»

Mi girai, sorpreso: il Supremo mi stava osservando, appoggiato al suo bastone, la solita aria torva in viso.

«Come ti ho già detto, non sei qui a cercare delle risposte: ti basti sapere che ciò che hai percepito è veramente l’energia vitale dell’intero pianeta. Questo palazzo è sempre stata la casa di chi ha vegliato sul pianeta, ed è qui che converge tutta la sua energia.»

Rimasi in silenzio per qualche secondo. Finché non gli chiesi: «Ma allora, perché sono qui?»

«Tu sei qui per migliorare ciò che tu sei e sai di essere, non per grucciarti sulle illazioni di qualcun altro. Per questo devi concentrarti solo su te stesso e su cosa devi fare: dubbio genera altro dubbio, e dal dubbio nascono le insicurezze, e dalle insicurezze nasce l’annichilimento della persona.»

«Gli eventi di questa giornata ci mettono tutti di fronte ad un grande pericolo, che richiede lo sforzo unito di tutti: vedrò se anche il tuo sarà necessario, ma nel frattempo resterai qui e ti allenerai sotto la mia supervisione.»

«Mi scusi,» gli domandai «ma cosa intende con “vedrò se anche il tuo sarà necessario”?»

A quel punto la sua espressione si fece più torva.

«Come ti ho già detto, non devi cercare risposte, qui.» disse, con un tono velatamente irritato «Sappi solo che senza la mia autorizzazione, tu non parteciperai ad alcuna battaglia. E questo è tutto.»

«C-COSA?! Mi scusi, quindi mi avrebbe portato qui per tenermi prigioniero? Come si permette?» sbottai per un attimo.

«NON OSARE METTERE IN DISCUSSIONE LA MIA AUTORITÁ, RAGAZZO!» il suo urlo mi fece per un attimo tremare le gambe.

«Nessuna delle mie decisioni va a discapito di anche un solo abitante di questo pianeta, te compreso.» proseguì, più pacatamente «Ciò che mi aspetto da te è che tu obbedisca e segua le miei istruzioni. Se poi ti riterrò pronto, allora potrai scendere anche tu in battaglia contro questi saiyan. Ma nel frattempo, devi allenarti con costanza e determinazione, e la sfrontatezza che hai ereditato da tuo padre ti potrà essere d’aiuto.»

Poi si girò, dirigendosi all’interno del palazzo.

«Il tuo addestramento inizierà domani. Popo è tornato con i tuoi effetti personali, la cena è già stata servita.»

E detto questo, sparì all’interno della costruzione.

Rimasi lì ancora per qualche secondo, ad osservare il grande vuoto che si estendeva sotto di me, mentre riflettevo sulla conversazione appena conclusa: sapevo che il Supremo aveva ragione, ma come potevo evitare di farmi domande? Come potevo evitare di chiedermi cosa mi stesse succedendo, e perché?

Decisi di rientrare. Non appena raggiunsi la mia stanza, mi accorsi che il mio armadio era stato riempito, e che ora al fianco suo c’erano un piccolo tavolo e una sedia, e sopra di esso un vassoio sul quale c’era la cena: una grossa ciotola di ramen, e un piatto con due grosse fette di carne. Notai che avevo a disposizione anche una brocca piena d’acqua, con un bicchiere: bevvi con gusto, era fresca come le acque delle fonti che mi capitava di trovare sulle montagne, vicino casa mia.

Non appena ebbi terminato la mia cena, mi ritrovai nuovamente ad osservare linterno della mia stanza: oltre al tavolo e alla sedia, era comparsa come per magia una mensola, sopra il mio letto, su cui ora erano poggiati tutti i miei libri.

Mi sdraiai sul letto, per la prima volta da quando ero arrivato: notai che era incredibilmente comodo, nonostante le apparenze. Presi il primo libro che mi capitò a tiro, ed iniziai a leggere: era un libro sulla storia del torneo mondiale. Non era evidentemente aggiornato, mancavano le ultime due edizioni. Però mi rilessi con piacere le imprese dei campioni del passato.

Lessi finché la luce me lo permise: fortunatamente, quando calò l’oscurità più totale, anche i miei occhi crollarono, e mi addormentai profondamente.

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Il mattino dopo…

Mi svegliai con un profumo inebriante.

La mia vista era ancora un po’ indolenzita: sbattei gli occhi un attimo, cercando di vincere il fastidio del sole del mattino che filtrava dalla piccola finestra
Mi voltai, cercando la fonte di quel meraviglioso profumo: sul tavolo, ora, c’era un nuovo vassoio, con dei biscotti, una tazza piena di caffè bollente e un bicchiere colmo di spremuta, che dal colore sembrava essere di arancia.

Proprio mentre terminavo la mia colazione, sentii bussare alla porta.

«Sei pronto, ragazzo?» era la voce del Supremo: evidentemente era già ora di iniziare.

Mi resi conto che indossavo ancora la divisa che mi aveva dato il maestro Muten: decisi di non cambiarmi ancora, almeno per il momento. Aprii la porta, e mi ritrovai davanti la sua imponente figura.

«Seguimi.»

Mi portò nei meandri del palazzo. Passammo davanti a diverse porte e corridoi, finché non ci fermammo davanti ad una di queste.

«Questa, ragazzo» esordì il Supremo «è la Stanza delle Mille Ombre. Sarà qui che avrà luogo il tuo allenamento finché starai qui. Ora, entra.»

Io obbedii, nonostante non mi fosse piaciuto il fatto di non sapere a cosa stessi andando incontro: entrai nella stanza.

Non appena la porta si chiuse, mi ritrovai nell’oscurità più totale. Non c’era alcun riferimento: il buio più totale. Provai a cercare la porta, e la trovai: da lì provai a proseguire lungo la parete, ma con mia grande sorpresa, essa era larga solo pochi centimetri. C’era solo la porta, in mezzo al vuoto: come fosse possibile, non lo so.

«Hiss…»

Sgranai gli occhi: cos’era quel sibilo? Mi misi sulla difensiva. Lo sentii nuovamente stavolta da un altro punto della stanza che pareva infinita, nell’oscurità: sembrava come quello minaccioso di un serpente che mi girava intorno, in attesa di attaccare.

Ed effettivamente attaccò: un sibilo potente alla mia destra mi fece voltare di scatto, e anche nell’oscurità più totale riuscii a distinguere chiaramente una figura scura, di forma umana, che con un balzo mi fu addosso, tentando di colpirmi con un calcio.

Glielo parai con difficoltà. Tentò nuovamente di colpirmi, con un pugno, costringendomi a piegarmi verso la mia sinistra per evitarlo, ma dovetti impeganrmi per parare un secondo pugno diretto al costato. A quel punto tentai la reazione: parato il suo secondo tentativo, tenti con l’altro braccio di colpirlo dove doveva esserci il volto.

Mi ritrovai a colpire il vuoto, la figura era svanita in una nuvola di fumo.

Mi ritrovai un attimo disorientato, tanto che non mi potei accorgere del suo arrivo dietro le mie spalle: con un calcio mi colpì alla schiena, scagliandomi lontano di qualche metro.

Mi rimisi nuovamente in piedi e mi voltai per guardarlo: mi soprese come la sua figura fosse così distinguibile nonostante l’oscurità.

Era fermo, in posizione d’attacco: stavo per fare la mia mossa, quando, con uno scatto di riflessi che sorprese anche me, alzai il braccio sinistro in tempo per parare un altro calcio. Erano in due: il secondo attaccante sparì immediatamente, e il primo ne approfittò per caricare nuovamente.

Dovetti fare ricorso a tutte le abilità apprese in quei cinque anni: mi ritrovavo attaccato da ogni parte, i loro sibili che si accompagnavano ai secchi rumori delle parate.

Ad un certo punto decisi che mi ero stancato: parato il colpo da uno dei due misteriosi guerrieri sibilanti, caricai in quella stessa mano un ki blast che lanciai immediatamente verso l’altra figura, che mi stava per colpire dalla parte opposta: si dissolse immediatamente nella luce creata dal colpo. Ero diventato piuttosto abile con il ki. Ma questo piccolo successo non bastò: li avvertii nuovamente attorno a me, pronti ad un nuovo attacco.

Parevano invincibili, ed in quel momento non seppi a che armi ricorrere. Esclusi di ricorrere alla kamehameha, l’avrebbero sicuramente schivata e io mi sarei ritrovato sicuramente molto più debole contro due avversari imprendibili.

Attaccarono nuovamente, e questa volta elaborai una nuova strategia: non appena la prima figura si lanciò contro di me, la afferrai e immediatamente la lanciai nella direzione opposta facendola schiantare contro l’altra. Ma prima che potessi finirle con un ki blast, scomparvero nuovamente entrambe.

Per qualche secondo ci fu il silenzio. Qualche sibilo sommesso indicava che si trovavano ancora attorno a me. Attesi con pazienza il loro attacco, che non ci mise molto ad arrivare. Tentai nuovamente di afferrare la prima figura, ma questa si dissolse prima che potessi stringere la presa. Rimasi scioccato per un momento, abbastanza per permettere all’altra figura di spedirmi lontano son un calcio, per essere fermato con un pugno diretto sullo stomaco dall’altra figura: caddi a terra, in preda ai conati ed al dolore, tutto il sapore della colazione nuovamente in bocca, gli addominali indolenziti dalla forza di quel pugno.

Fu in quel momento che la porta si aprì, inondando di luce la stanza, e le figure sparirono. Una figura mi si avvicinò.

«Stai bene?» mi domandò il Supremo.

«Si… ho preso solo un forte pugno.»

«Non di una forza comune, no?»

«Assolutamente.»
    
«Usciamo da qui, avanti.»

Usciti dalla stanza, mi appoggiai alla parete e scivolai sul pavimento del corridoio, mentre il Supremo richiudeva la pesante porta.

«Questa è la Stanza delle Mille Ombre. Non è un luogo che mi piace visitare, e nemmeno quello in cui preferisco addestrare quei pochi guerrieri che ho allenato.»

Si girò verso di me.

«I guerrieri che hai affrontato lì dentro sono forse l’avversario più grande che ti toccherà mai affrontare: sono la proiezione delle tue paure, dei tuoi dubbi. Il loro numero non ti tragga in inganno: si manifestano non in base alla quantità delle diverse paure, ma alla forza delle paure stesse. Nel tuo caso, ha affrontato due potentissime proiezioni, che ti hanno facilmente battuto: significa che la forza delle tue paure è ancora in grado di sovrastarti, se glielo permetterai. Ed è per questo che ogni giorno verrai qui a metterti alla prova: finché non sarai in grado di dominarle, non potrò permetterti di scendere in battaglia.»

Il dolore che provavo era ancora troppo forte, che preferii non protestare, nonostante non capissi questa sua fissazione. Oltretutto, credevo che quella prova mi avesse dimostrato che dovevo assolutamente allenare il mio fisico: diventare più forte e più veloce, cercare soprattutto di fare mia la capacità di proiettarmi , che sicuramente mi sarebbe stata utile contro due guerrieri agili e veloci come quei due.

«Tieni, mangia questo.» mi disse il Supremo, porgendomi quello che sembrava un fagiolo.

Non appena lo ebbi ingoiato, mi sentii immediatamente come nuovo: il dolore era sparito, mi sentivo nuovamente pronto per combattere.

«Quello è un fagiolo Senzu. Ne abbiamo sempre una piccola scorta, qui al palazzo. Li coltiva il maestro Karin, che vive nella torre proprio sotto il nostro palazzo. Avrai occasione di conoscerlo, un giorno.»

Poi si voltò, allontanandosi.

«Ti consiglio di cominciare ad allenarti bene. Hai solo un anno per dimostrarmi di essere in grado di cavartela contro i saiyan, quindi se ci tieni tanto a partecipare alla battaglia, ti conviene darti da fare fin da ora.»

Non riuscii a non guardarlo con astio: sapevo benissimo che il Supremo non era malvagio e che sicuramente agiva anche nel mio bene, ma questa sua continua austerità diventava sempre più irritante.

In ogni caso, aveva ragione: presi la direzione per uscire sul piazzale, dove avrei trovato tutto lo spazio necessario.

Sentivo che non potevo fallire questo obbiettivo: dovevo diventare più forte, a prescindere da ogni dubbio che avevo sulle mie possibilità. In ballo c’era il destino del pianeta, e io ora volevo dire la mia.

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«Com’è andato il primo approccio alla Stanza delle Mille Ombre, Supremo? Come se l’è cavata il ragazzo?»

Il Supremo assunse un espressione ancora più corrucciata: «La sua aura è potente. Ma purtroppo lo sono anche le sue paure: per quanto lui possa sopprimerle, la stanze gliele fa affrontare nella loro più grande potenza. È comunque abbastanza forte per reggere il confronto, ma non per sconfiggerle: e per questo temo servirà più di un anno.»

«Non credo prenderà bene la cosa.»

«No… specialmente quando dovrà vedere tutti i suoi amici scendere in battaglia contro quei mostri… sarà un momento molto delicato, e se Piccolo dovesse morire… beh, sarà compito tuo gestire il ragazzo, Popo.»

«La assicuro che sarà in buone mani, Supremo.»

«Ne sono certo…» disse, sorridendo, al fedele servitore. Poi sospirò.

«Speriamo solo che Goku riesca a completare presto l’addestramento da Re Kaioh…» disse, volgendo lo sguardo verso il cielo.

«Ci servi ora più che mai, ragazzo… sbrigati.»


NOTE DELL’AUTORE

Chapter nine, here we go! Le cose iniziano a farsi serie per il nostro Daniel, riuscirà a dimostrare al Supremo di poter affrontare I Saiyan? Intanto ora si trova già ad affrontare un nemico fortissimo… le sue stesse paure!

Confesso: quella della stanza delle mille ombre è una mia mera invenzione, però il palazzo del Supremo è così grande che e così pieno di stanze particolari che non vengono mai citate. Allora mi è sembrata un’idea originale!

Spero vi sia piaciuto così come questo capitolo, ricordo, a chi mi segue, che questa settimana gli aggiornamenti saranno frequenti, giusto per darvi tanta roba nuova da leggere durante queste vacanze pasquali ;) Stay tuned!

Dragon Ball è proprietà di Akira Toriyama.

Recensite, anche negativamente! Una critica può essere occasione di miglioramento, no? Quindi se ne avete, non fatevi alcun problema!

Alla prossima!

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Capitolo 10
*** Ombre e ricordi ***


CAPITOLO DECIMO- OMBRE E RICORDI

Era da qualche mese che mi allenavo intensamente, prendendomi pochissime pause, a volte solamente per mangiare e per dormire: ogni sera poi, mi recavo nella Stanza delle Mille Ombre, ed ogni volta quei due esseri riuscivano a mettermi nel sacco. Eravamo già a Gennaio, e all’arrivo dei saiyan mancavano ormai otto mesi.

Mi ero sottoposto ad un allenamento molto intenso: non potendo abbandonare il palazzo, percorrevo il suo perimetro almeno per mille volte, eseguivo lunghe serie di flessioni e di addominali, per poi esercitarmi nel combattimento combattendo contro l’aria.

Supremo mi aveva fornito anche una nuova divisa, simile a quella della scuola della tartaruga tranne che per il colore: era di un grigio opaco, la maglietta sottostante e la cintura erano invece rosse.

Ma l’aspetto più importante era che questi abiti erano più pesanti del normale: nel darmeli, il Supremo mi aveva detto che allenarmi con i pesi poteva essere molto utile per potenziare anche la mia stessa aura. La parte superiore della nuova divisa era quella resa più pesante, e aveva iniziato a far soffrire anche il mio fisico: per reggere i ritmi che mi ero posto dovetti veramente ricorrere a sforzi sempre più alti, sfruttando quindi anche il mio Ki. Sicuramente i nuovi abiti non mi hanno aiutato a progredire nella stanza della Mille Ombre, ma iniziai già dal primo giorno che li indossai a notare dei miglioramenti in me, che furono costanti per i successivi due mesi.

Poi si aggiunsero loro, e le cose, se possibile, andarono ancora meglio.

Quel giorno, stavo eseguendo una kata quando percepì delle presenze incombenti: si stavano avvicinando al palazzo, e non sembravano ostili.

Quando poi potei riconoscere la testa pelata di Crilin, sorrisi: insieme a lui c’erano tutti gli altri guerrieri che avevo conosciuto al torneo, compreso anche quella specie di grasso samurai. Avevano tutti l’aria piuttosto stanca: evidentemente la scalata della torre di Karin li aveva decisamente stremati.

Si, avevo conosciuto quel gatto, quando accompagnai Popo a recuperare qualche fagiolo Senzu: una volta superato lo shock per l’ennesimo incontro con un animale parlante, notai che era rimasto piuttosto indispettito dal fatto che mi trovavo sul palazzo del Supremo senza essere prima passato per la sua torre, ma dovette comunque arrendersi alla volontà del guardiano. Alla fine si era addolcito.

«Ciao a tutti!» li salutai.

«Ah, ma questo è il piccolo Daniel? Crilin mi ha raccontato di te, come stai? È da molto che non ci vediamo, e sento che sei migliorato parecchio!» mi rispose Yamcha, entusiastico.

«E vedo anche che hai cambiato divisa! Non è male!» disse Crilin.

«Si, questi abiti me li ha dati il Supremo, sono più pesanti… dice che mi serve per potenziarmi… ma piuttosto, voi che ci fate qui?»

«Abbiamo deciso di venire qui per sottoporci allo stesso allenamento di Goku, per poter affrontare i saiyan!»

«Beh… almeno ci faremo compagnia!»

«E tu? Come procede il tuo allenamento?» mi chiese Crilin.

Alla fine dedussi che tutto poteva riassumersi in quattro parole: stanza delle Mille Ombre. Nel raccontargli di quel luogo misterioso, li lasciai tutti decisamente incuriositi.
«Ma non è luogo che aprirò a voi.» interruppe la voce del Supremo, comparso improvvisamente dietro alle nostre spalle «Vi do il benvenuto, guerrieri, è un piacere rivedervi dopo tanto tempo. Se siete qui per allenarvi, il palazzo è a vostra disposizione, poiché siete stati considerati meritevoli di raggiungerlo. Spero possiate migliorare parecchio durante la vostra permanenza qui.»

Detto questo, si voltò e tornò nella costruzione.

Notai le loro facce attonite: «Si, è fatto così, ormai sono tre mesi che vivo qua, ve lo posso garantire. È un po’ irritante questo suo continuo apparire burbero, questo ve lo posso concedere. Ah, ecco Popo! Buongiorno!»

«Buongiorno Daniel.» con il tempo mister Popo si era abituato alla mia presenza, e il suo tono da freddo e impersonale era diventato molto più gioviale.

«Tutti voi, seguitemi, per favore. Se dovete allenarvi qui, vi mostrerò le vostre stanze.» disse, rivolgendosi agli altri, che lo seguirono all’interno del palazzo.

Io proseguii nei miei esercizi finché non li vidi tornare. A quel punto, uno stranamente entusiasta Yamcha mi si avvicinò.

«Perché non mi fai vedere di cosa sei capace, ti andrebbe? Giusto per scaldarci un po’! Quello che mi ha detto Crilin sulle tue capacità mi ha incuriosito parecchio!»

Io annuii: dopo anni a misurarmi con il solo Crilin, ora affrontare un altro guerriero poteva essere solo d’aiuto.

Ci mettemmo uno di fronte all’altro, e assumemmo entrambi le posizioni di attacco.

«Tranquillo, non ci andrò troppo pesante con te, Daniel.» mi disse, sogghignando.

«Beh, anch’io, allora!» gli risposi, provocandolo scherzosamente.

 «Facciamo i duri, eh? Allora perché negarti ciò che desideri?» e mi caricò con foga, caricando un potente pugno.

Eppure, senza neanche troppo sforzo, fui più reattivo di lui, e portai il ginocchio abbastanza vicino al mio viso per permettere alla gamba di parare il colpo, e così avvenne, per il suo sguardo stupito.

Distesi velocemente la gamba colpendolo sul torace e scagliandolo lontano: non dovevo comunque avergli arrecato molto danno. Questa volta fui io a caricarlo: in una attimo gli fui addosso, sferrando una velocissima serie di pugni e calci, che non tardarono a ricevere risposta da parte di un sempre più stupito Yamcha.

Ringrazierò sempre mio padre per avermi insegnato lui le basi del combattimento, come le insegnarono i miei nonni a lui: erano movimenti eleganti, in cui la schivata si trasformava molto spesso in un contro-attacco vero e proprio.

Così successe in questo caso: quando Yamcha tentò nuovamente di colpirmi con un pugno, non solo lo mandai a vuoto, ma mi poggiai al suo braccio e facendo perno su di esso, eseguii una rotazione, arrivando nel punto giusto per colpirlo con il gomito sinistro sulla nuca, scaraventandolo a terra.

In quel momento mi accorsi che avevo il fiatone: i pesi iniziavano a farsi sentire, ma non potevo toglierli. Per permettermelo, dovevo abituarmi ad essi, e purtroppo non era ancora il momento.

«Ehi! Quello faceva male!» si lamentò Yamcha, un rivoletto di sangue che gli colava dal labbro «Però devo dire che sei già diventato molto forte. Direi che come riscaldamento è stato anche troppo, eh?»

Sorrisi. Nemmeno io pensavo di essere già arrivato ad un simile livello. Crilin mi guardava con soddisfazione: mi sentii bene ad aver reso fiero un grande amico.
Dopo qualche attimo di silenzio, fu Tensing a parlare: «Ok, ora è il caso di mettersi al lavoro! Pronto Reef?»

Il piccoletto annuì all’amico, e tutti e quattro ci mettemmo immediatamente all’opera: il samurai, che mi venne in mente si chiamasse Jirobei, se ne stette invece seduto sotto un albero a mangiare.

Beh, contento lui.

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Passarono altri due mesi, in cui integrai il mio programma di potenziamento ad un allenamento combinato con gli altri: eppure, con le Ombre non arrivavano risultati, nonostante diventassi più veloce e agile.

Avevo appreso dagli altri guerrieri, finalmente, come proiettarmi in combattimento: si trattava di muoversi così velocemente da dare la percezione di proiettarsi in un altro punto del campo di battaglia. Fu un bello sforzo, ma dopo poco tempo resi mia questa tecnica: il mio Ki si faceva ogni giorno più forte, e il peso della nuova divisa diveniva sempre minore.

Un giorno però, quando il Supremo si fermò con Popo ad assistere agli allenamenti, Yamcha sbottò: era venuto lì per allenarsi con il Supremo come aveva fatto Goku, e in due mesi non avevano ancora ricevuto nessun insegnamento.

Per nostra grande sorpresa, il Supremo ci riferì di non aver insegnato nulla a Goku, e si dileguò, ridendo di gusto. A quel punto Popo ci fece segno di seguirlo: ci condusse in una stanza con un grande pendolo, ed una strana incisione al centro, una composizione di diverse forme circolari.

«In questa stanza il passato, il presente e il futuro si fondono fino a diventare una cosa sola. Per favore, sistematevi all’interno del cerchio.» feci per unirmi a loro, ma Popo mi bloccò con la mano.

«Non tu Daniel. È un’esperienza per la quale non sei ancora pronto.» disse, con fermezza. Non obbiettai: il tono della sua voce era di quelli che non ammettevano repliche.
«Mi scusi, mister Popo, ma cosa stiamo per fare, esattamente?»

«Quello che state per fare è un viaggio indietro nel tempo: andrete ad affrontare i due saiyan.» disse, bonariamente, Popo.

«E perché non ci abbiamo pensato prima? Gli daremo una bella lezione!» disse con determinazione Yamcha.

Popo ordinò al gruppo di chiudere lentamente gli occhi.

Poi non successe più nulla: rimasero lì, fermi, in mezzo al cerchio.

Mi sedetti vicino a Jirobei, che era rimasto fuori dall’esperienza: allungai la mano per chiedergli un assaggio di quello che aveva. Senza dir nulla mi porse uno jiaozi: non andavo matto per quei fagottini, ma lo mangiai con gusto, mentre osservavo il gruppo in mezzo al cerchio. Ogni tanto qualcuno di loro digrignava i denti, e i loro volti dopo un po’ assunsero la stessa espressione corrucciata.

«Non stanno facendo un vero viaggio nel tempo… fortunatamente per loro.» Io e Jirobei sobbalzammò: alle nostre spalle era spuntato il Supremo, arrivato da chissà dove. Mi scambiai con il samurai uno sguardo stupito, mentre il Supremo manteneva il suo fisso sui quattro nel cerchio.

Rimanemmo in silenzio finché il gruppetto non riprese coscienza.

«Ma… Siamo vivi?!» disse Crilin, sorpreso.

«C-Com’è possibile?» proseguì un altrettanto esterrefatto Yamcha.

«Guardate che non siete andati da nessuna parte.» irruppe Jirobei «Siete rimasti tutto il tempo fermi lì. Beh avete visto qualcosa? Come sono questi saiyan?»

All’improvviso i volti dei quattro si fecero immediatamente cupi: nessuno proferì parola.

«Allora?» chiese nuovamente un irritato Jirobei.

«La prossima volta vai anche tu, se sei così curioso.» gli dissi, cercando di fargli notare che le loro espressioni erano una risposta sufficiente.

«Spero che questa esperienza vi sia stata d’aiuto. Il Supremo vi ha permesso di fare un’esperienza profondamente educativa.» disse Popo.

Notai poi lo sguardo del Supremo: era più austero del solito, ed era posato sui quattro guerrieri.

Poi parlò: «Sappiate che i saiyan che avete incontrato non sono niente in confronto ai due che si stanno avvicinando qui. Avete solo sei mesi per prepararvi adeguatamente ad affrontarli. Spero chi vi siate resi conto di quanto voi siate ancora indietro nella vostra preparazione.»

Il gruppo di guerrieri rimase in silenzio per qualche secondo: notai soprattutto che Yamcha sembrava aver perso molta della sua sicurezza.

Non potei rimanere zitto: «In ogni caso siete i guerrieri più forti che questo pianeta ha a disposizione! Se continuerete ad allenarvi a dovere, sono sicuro che ce la potete fare! E quando Goku tornerà in vita… per quei saiyan non ci sarà alcuna speranza!»

«Daniel ha ragione! Non dobbiamo abbatterci!»

Mi risollevò rivedere il sorriso sul volto di Crilin: la determinazione riapparve negli occhi di tutti.

«Giusto! Dobbiamo continuare ad allenarci duramente finché non verrà il giorno in cui quei bastardi arriveranno, e che gli piaccia o no, se la dovranno vedere con noi!» disse un determinato Yamcha.

«Ovviamente avremo anche Daniel al nostro fianco, giusto? Un altro paio di braccia non può che esserci utile!» continuò Crilin sull’onda dell’entusiasmo generale.

Fui io, questa volta, ad incupirmi. Mi girai verso il Supremo, che mi guardò a sua volta: entrambi sapevamo che questa cosa era tutta da vedere.

Concluso tutto tornammo di sopra. Durante il tragitto però, non potei fare a meno di fare una domanda Crilin:

«Eh… Senti Crilin… posso chiederti una cosa?»

«Certamente, dimmi pure amico!»

«So che è da un po’ che sei qua… però… finché sei rimasto alla Kame House… hai saputo qualcosa della mia famiglia?»

Non so perché fu tanto difficile per me chiedergli questa cosa: non smettevo mai di pensarli, papà, mamma, Kira e anche Pamela. Eppure avevo quasi dimenticato cosa fosse la nostalgia, mi ero abituato alla lontananza: ma nonostante questo, indugiai nel chiedere, al mio amico, notizie sulla mia famiglia.

Era forse senso di colpa? Un senso di colpa che nasceva, forse, da come mi ero abituato alla loro assenza? Non potevo esserne sicuro. Intanto Crilin non fece attendere la sua risposta.

«Beh, si, qualcosa da dirti ce l’ho. Ma non credo sia importante… Ovviamente so che sentono tutt’ora la tua mancanza, sembra ovvio anche a me…» disse, agitando la mano per dare forza alla sua affermazione «Pare che la tua amica sia rimasta molto sconvolta dalla morte di Goku… la stava addestrando, giusto?»

Con un cenno del capo, gli dissi di si.

«Beh, pare abbia perso l’entusiasmo, anche lei pare senta parecchio la tua assenza.»

Stava per continuare, ma una voce interruppe la nostra conversazione.

«Adesso basta!» tuonò la voce del Supremo, che fu immediatamente su noi due.

«M-Mi sc-scusi Supremo…» disse un imbarazzato Crilin.

«Non scusarti, non potevi saperlo. Ora però, sappi che Daniel è qui per allenarsi, e per questo voglio che la sua concentrazione resti massima. Questo lo sa lui come lo sanno suo padre e la sua famiglia.»

In quel momento si voltò a guardarmi: «Prendi quel corridoio, poi la strada la conosci.»

Guardai quale corridoio indicasse, e annuii: lo imboccai e mi diressi verso quella stanza che ormai era un appuntamento quotidiano.

Camminai per i corridoi, cercando di soffocare i pensieri legati alla mia famiglia, o quanto mi avesse comunque dato molto fastidio quell’intervento autoritario del Supremo: ora mi dovevo concentrare su quelle due dannate ombre, il mio lasciapassare per non dover restare a guardare i miei amici lottare per il destino del nostro pianeta senza di me, dopo tanti anni di allenamento.

Quando giunsi alla porta, purtroppo, questi pensieri ancora mi offuscavano la mente. Presi un profondo respiro: dovevo assolutamente concentrarmi. Fissai per un attimo la porta, poi, finalmente, la aprii.

Come al solito, mi ritrovai nella più grande oscurità. E, come al solito, ad accogliermi fu un sibilo.

Ma questa volta fu diverso: il sibilo fu lungo, e profondo.

Mi guardai intorno: in cosa si stavano materializzando. Assunsi la mia solita posizione difensiva: non sapevo a cosa stessi andando incontro, quindi decisi di comportarmi come al solito. Continuando a non vedere ancora nulla, decisi di fare luce con il mio Ki: alzai la mia aura in modo da generare attorno a me un piccolo bagliore bianco. Ma non fu abbastanza per poter vedere le Ombre.

Un altro sibilo. Più lungo, più profondo.

Ne avevo abbastanza: caricai un ki blast e lo lanciai in aria.

Fu allora che la vidi.

Non molto lontano dalla mia posizione stava l’Ombra. Una sola. La cosa mi sorprese un po’, ma ciò che più mi sorprese fu la sua forma: era più grande delle altre due, sempre di forma umanoide, ma più alta e massiccia.

Poi notai un particolare: dietro di lei si muoveva, sinuosa, una coda.

No, non poteva essere. Non poteva essere quel mostro. Non lui…

“Questo è il mondo reale… Com’è possibile?” pensai, terrorizzato.

Il ki blast si era spento immediatamente, eppure ora riuscivo a vederla chiaramente: aveva evidentemente deciso che era ora di farsi avanti.

La rabbia e la paura crebbero in me. Urlai: «FATTI SOTTO! AVANTI!»

Non si fece attendere: si lanciò verso di me ad incredibile velocità. Provai a saltare per evitarlo, mi ritrovai afferrato per la caviglia e scagliato con forza in aria.

Recuperai il mi equilibrio e, sospeso in volo, lanciai verso di lui una lunga serie di ki blasts. Lui li evitò tutti, e fu nuovamente davanti a me: questa volta schivai all’ultimo il suo colpo, proiettandomi alle sue spalle, e lo colpii con un calcio. Lui si girò, sorpreso, ma io gli ero già addosso, e lo colpii con una rapida serie di calci e pugni. L’ombra fu rapida a rispondere: mi afferrò per la colletta, e mi trascinò fino a farmi letteralmente sbattere contro il suo pugno. Dopo di che mi scaraventò a terra.

Il dolore era lancinante: il mio fisico ora sembra non reggere più i pesi. Le spalle mi dolevano fortemente, così come il torace, forse c’era anche qualcosa di rotto. Quel pugno aveva dentro di sé una forza veramente devastante, e gli era bastato farmici sbattere contro.

Ma non potevo lasciarlo vincere: mi rialzai, a fatica. Lo guardai: era ancora lì immobile in aria, come ad invitarmi a sfidarlo.

Era il momento. Avrei dimostrato a tutti che ce la potevo fare. Lo avrei dimostrato al Supremo. Lo avrei dimostrato ai Saiyan. Lo avrei dimostrato a quel mostro che tormentava i miei sogni.

Piegai le ginocchia, portando le braccia all’indietro.

“Ora non si torna indietro, Daniel” mi dissi.

«Ka-me… ha-me…»

L’Ombra se ne stava ancora lì, ferma.

«HA!»

Scatenai in quell’onda tutta l’energia che mi era rimasta. Ne uscì un raggio enorme, che illuminò completamente l’Ombra prima di investirla, e di farla sparire.

Avevo vinto. Avevo sconfitto l’Ombra. “Ci ho messo anche poco tempo” pensai, soddisfatto.

Stavo per prendere l’uscita, quando davanti a me iniziò ad accumularsi del fumo nero, che iniziò ad addensarsi: in un attimo l’enorme ombra fu nuovamente davanti a me.

«No… N-Non è possibile…»

Ero incredulo. Non sapevo più cosa fare.

Ma l’Ombra invece, lo sapeva benissimo.

Con un colpo di coda mi fece inciampare: una volta che fui a terra, iniziò a colpirmi con una lunga serie di pugni.

Il dolore tornò, ancora più forte di prima: ma questa volta non riuscii a reagire. Ogni colpo sentivo i miei polmoni contrarsi, alla ricerca di aria che però, sembrava non volerne sapere di riempirli, e permettermi così di tornare a respirare. Lo sentivo martoriare il mio corpo inerme, mentre piano piano cominciavo a sentirmi sempre più debole. Dopo l’ennesimo pugno sentì in bocca il gusto amarognolo del sangue.

Finché tutto non divenne bianco.

Vuoto.

Come se tutto il mondo si fosse spento, non sentivo più nulla.

«Daniel?»

Quella voce, chi mi cerca?

«Daniel? Svegliati!»

Tentai di aprire gli occhi: la vista era ancora indolenzita.

«Forza ragazzo, svegliati.»

Alla fine riuscii ad aprire gli occhi: mi trovavo nella mia stanza, nel palazzo del Supremo. Attorno a me si erano radunati tutti gli altri guerrieri. La notte era calata da qualche ora, visto che l’unica fonte di luce era una lampada sul mio piccolo tavolo.

«Come ti senti, ragazzo?» mi domandò il Supremo.

«C-Come appena uscito da un frullatore… » dissi, la voce ridotta quasi ad un sussurro. «Ha continuato a picchiarmi fino a farmi svenire… era… più forte di tutte le altre Ombre…»

«C’è un motivo se ti dico di rimanere concentrato: più permetti alle tue paure di crescere, più forti saranno le ombre. Stai tranquillo, comunque, non ti avrebbe ucciso: non gli è permesso farlo. Ora pensa a riposarti. Tutti gli altri, fuori.»

Il gruppo seguì i suoi ordini: Tensing e Reef mi sorrisero entrambi con affetto, Yamcha invece uscì facendomi l’occhiolino. Crilin si fermò per un secondo: mi offrì la mano, e ce la stringemmo forte, in segno d’intesa.

«Forza! Crediamo tutti in te, non farti abbattere…» dopo di che uscii, facendomi anche lui l’occhiolino.

In quel momento mi sentii bene: potevo effettivamente contare su dei buoni amici.

Con quel pensiero riuscii ad addormentarmi tranquillo.

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Sei mesi dopo…

«AH! Para questo ora… AH!»

«Dovrai fare di meglio…» detto questo lo colpii in volto, scaraventandolo lontano.

«Ouch! Ok, hai vinto tu stavolta…» disse Crilin, rialzandosi dolorante dopo essere finito con la schiena sul duro pavimento.

«Beh, se ti fa piacere, ti posso dire che sono il primo ad essere sorpreso per essere diventato così forte, eh-eh…» gli dissi, fornendogli una mano d’appoggio.

«E non sei l’unico! Ormai hai undici anni e sei più forte di chiunque di noi a quell’età… e, forse, forte quanto noi in questo momento.» disse Yamcha.

In quel momento però, ci interrompemmo tutti: avvertimmo due strane auree entrare nell’atmosfera terrestre. Fummo sorpresi solo per qualche secondo: in realtà sapevamo perfettamente cosa fosse appena arrivato.

«Ragazzi miei… È giunto il momento.»

Ci voltammo tutti all’ennesima improvvisa apparizione del Supremo: sul suo viso, un’espressione più corrucciata del solito.

«Vi siete allenati duramente, e sono convinto siate in grado di proteggere questo pianeta. Non posso che augurarvi buona fortuna.» concluse freddamente.

«Bene ragazzi, siamo pronti? Andiamo!» incitò Yamcha.

Io rimasi fermo al mio posto: sapevo benissimo cosa stava per succedere.

«Daniel, non vieni?» mi chiese Crilin.

«No, Daniel, non viene.» disse il Supremo con decisione.

«Ma come? Si è allenato duramente per tutto l’anno, riesce a tenerci testa e a volte a anche a batterci in combattimento, perché non può venire?» domandò Yamcha, con un tono anche piuttosto sorpreso.

Io abbassai la testa, rassegnato.

«Daniel non ha completato l’addestramento. Non ha ancora superato la sfida delle Stanza delle Mille Ombre, e resterà qui finché non lo riterrò pronto.» gli rispose il Supremo.

«Ma come può fare questo? Perché impedisce ad uno dei migliori guerrieri qui presenti di difendere il suo pianeta? È sicuro di quello che fa?» disse Crilin, anch’egli piuttosto sorpreso.

«Non osare mettere in dubbio una mia decisione! Credi forse che io non agisca nel bene di questo pianeta? Se Daniel resta qui è una mia scelta, perché non lo reputo pronto, e la sua aura merita un’attenzione particolare. A voi basti solo questo.»

Rimanemmo in silenzio per qualche secondo: guardai ciascuno dei miei amici negli occhi. Mentre sentivo una lacrima scendermi lungo la guancia, gli dissi, molto semplicemente:

«Buona fortuna, ragazzi.»

Ci guardammo ancora per qualche secondo, prima che nei loro occhi si riaccese la fiamma della determinazione.

«Vinceremo anche per te, stanne certo amico mio.» disse Crilin. Gli altri mi confermarono lo stesso proposito, con un cenno del capo.

Io sorrisi. Anche se non avrei fatto parte della battaglia, sentivo che la terra era in buone mani. Ne ero sempre più convinto, mentre li vedevo prendere il volo verso la più grande battaglia del nostro tempo.

Ma mi resi conto di un’altra cosa: per una volta, ero stato sicuro dei miei mezzi. E questo anche grazie a loro, al loro continuo supportarmi: anche per questa loro forza di spirito, ero convinto che avrebbero dato diverso filo da torcere ai due saiyan.


NOTE DELL'AUTORE
Ehilà bella gente! Rieccoci con il decimo capitolo: è stato particolarmente difficile scriverlo, quindi scusate se magari non sarà al livello degli altri, ma spero vi sia comunque piaciuto.

Mettere un intero anno in un capitolo è stato particolarmente difficile: ma ci sarebbe veramente troppo da scrivere se volessimo vedere ogni momento di quest'anno di attesa ben descritto. Ho cercato comunque di farvi intendere con cosa Daniel si è dovuto confrontare durante questo suo intenso periodo di allenamento. E poi, concedetemelo: l'attesa per l'atterraggio di Nappa e Vegeta è secondo me il momento più noioso in assoluto in dragon ball, soprattutto nell'anime...

In ogni caso, sperando di aver fatto comunque un buon lavoro, vi ricordo che se avete critiche o suggerimenti, ogni recensione è ben accetta!

Alla prossima!

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Capitolo 11
*** Un cuore grande ***


CAPITOLO UNDICESIMO- UN CUORE GRANDE

Osservai il vuoto che si estendeva sotto di me, dal palazzo del Supremo. Sentivo che avevano raggiunto il campo di battaglia: con loro c’erano anche Piccolo ed il giovane Gohan, la cui aura sembrava cresciuta enormemente dall’ultima volta che lo vidi, alla Kame House.

Quei due mostri li stavano raggiungendo: eravamo all’inizio di uno scontro epocale.

«Supremo…»

«Dimmi, ragazzo.»

«Per quanto riguarda Goku?» gli chiesi, senza togliere il mio sguardo dal vuoto del cielo.

«Dobbiamo aspettare che venga riportato in vita, il tuo vecchio maestro Muten ha già raccolto le sfere del drago, poi dovremo aspettare che raggiunga un determinato punto dell’aldilà, che ancora non ti è dato di conoscere. Dopo di che spetterà a me riportarlo qui, sulla terra.» mi rispose, anch’egli lo sguardo rivolto verso il punto dove la battaglia stava avendo luogo.

«Credo che gli servirà una mano. Quei due esseri sembrano essere fortissimi, lo si sente perfino da qua.»

Ad un certo punto il Supremo sussultò. Come se avesse ricevuto un’illuminazione. MI girai a guardarlo, mentre Popo si avvicinò per verificare le sue condizioni.

«Tutto bene, Supremo?» gli chiese.

Non gli rispose subito: sembrava come vittima di una sconcertante rivelazione.

«Va tutto bene Popo, è solo che… uno di quei due ha appena identificato Piccolo come un extraterrestre, un namecciano per essere precisi. E questo significa…»

«Che lo è anche lei.» conclusi io, al suo posto. Era effettivamente una grande rivelazione ma, detto personalmente, non fu una grande sorpresa: sulla Terra non tutti sono esseri umani (basti pensare al nostro re, un cane umanoide blu) eppure l’aspetto e i poteri del Supremo e di Piccolo erano così singolari, che uno non avrebbe non potuto pensare che fossero non essere originari di questo pianeta. Soprattutto in questo momento, mentre un’altra razza aliena ci stava invadendo.

«Evidentemente, la mia capacità di dare vita alle sfere del drago deve essere un’abilità acquisita dalla mia stirpe. E a quanto pare su Namecc ci sono altre sfere del drago.» continuò il Supremo.

«C-COME?! Altre sfere?» esclamai, sorpreso.

«Uno di loro lo ha appena detto: riesco a percepire quello che si stanno dicendo attraverso Piccolo.»

Ci fu un attimo di silenzio, poi all’improvviso potei percepire tante piccole, nuove aure. Cosa fossero, non lo so, sta di fatto che potei percepire l’aura di Yamcha crescere.

«La battaglia sta per avere inizio.»

Lo avevo intuito anch’io. Yamcha si stava caricando per la lotta, che non tardò a cominciare. Notai che si stava battendo con una di quelle piccole aure, ma non riuscii bene ad identificarla.

Poi ebbi un’illuminazione: oggi non avevo ancora meditato, e ora mi sarebbe anche stato utile per seguire la battaglia.

Da quando mi allenavo qui le mie capacità di percezione erano aumentate notevolmente, non solo per quanto riguarda il Ki, ma anche in meditazione: ora riuscivo ad estendere il mio raggio di percezione anche per distanze immense, riuscendo poi ad armonizzarmi con l’enorme flusso che si veniva a creare.

Mi sedetti, mentre il Supremo mi fece un cenno d’assenso, comprendendo chiaramente le mie intenzioni.

Chiusi gli occhi, e in un attimo fui inondato da un fiume di energie diverse: cercai immediatamente quelle a cui ero interessato.

Le trovai in un’area rocciosa, una specie di canyon: potei subito identificare i miei amici, Piccolo e Gohan. Poi c’erano quei due: la loro energia vitale aveva caratteristiche diverse dagli altri, ma era uguale a quella di Goku e Radish, e in parte simile a quella dello stesso Gohan.

Cercai di scavare a fondo nella loro traccia, cercando di capire cosa stessero anche solo provando: entrambi parevano molto sicuri di loro, spavaldi, ma soprattutto, dentro di loro c’era un’enorme crudeltà. Uno di loro, però, nascondeva tante sfaccettature diverse: quell’enorme crudeltà soffocava una forte frustrazione, dovuta ad un orgoglio ferito, e quella che mi parve una grande sete di potere, alla fine la potei identificare come semplice voglia di rivalsa. Ero incuriosito dalla sua traccia: sicuramente non si trattava di un cavernicolo come il suo compagno, ma nemmeno di un guerriero totalmente assetato di sangue, come poteva sembrare.

Ma mentre esaminavo i due invasori, non mi accorsi che entrambe le auree, di Yamcha e di quella “cosa” che non fui in grado di identificare, erano improvvisamente sparite.

Yamcha era morto.

Persi improvvisamente la concentrazione: nell’uscita dal mio stato meditativo, dallo shock rischiai di cadere giù dal palazzo. Non sarebbe stato un problema, sapevo volare, se non fosse stato per i conati di vomito che avevo in quel momento.

Il flusso si era improvvisamente irrigidito, e nel momento della sparizione dell’energia di Yamcha l’equilibrio si era rotto: per questo, dedussi, mi stavo sentendo male.

«Daniel! Cos’hai, ragazzo?» mi chiese un preoccupato Popo, che ora si trovava inginocchiato avanti.

Non gli risposi, ma vi volsi, direttamente al Supremo:

«È morto… Yamcha… È stato ucciso…» dissi, tra i magoni. Dovevo cercare di trattenere le lacrime: quello che era diventato un mio carissimo amico era ora morto.

«Dovevamo aspettarcelo, ragazzo: non ha nemmeno affrontato nessuno dei due guerrieri saiyan, ma una strana creatura, che a quanto pare si sono portati dietro, e che si è fatta esplodere per ucciderlo.»

Piegai la testa: quei due mostri non avevano neanche buttato una goccia di sudore, e già avevano fato fuori uno dei nostri. Ora l’intervento di Goku era necessario più che mai.

Dopo essermi ripreso un momento, mi riavvicinai al Supremo, cercando nuovamente le aure dei combattenti: speravo fossero riusciti a dargli una lezione, lo speravo veramente. Anche se, riflettendoci bene, sarebbe stata durissima.

«Ragazzo… Non farlo…» mi disse il Supremo.

Non capii questa sua ultima richiesta: adesso non mi era più nemmeno permesso seguire il combattimento? Capii però, che lo faceva per non farmi sconvolgere ancora: il suo sguardo era teso, i denti stretti in un misto tra rabbia e tensione.

«Si sono fermati: attendono Goku. E…» si fermò.

«E cosa? COSA?» gli chiesi, impaziente.

Si girò a guardarmi, lo sguardo austero, come sempre.

«Abbiamo perso sia Reef che Tensing.»

Fu uno shock: non solo Yamcha, ora anche Reef e Tensing, morti a causa di quei due mostri.

Urlai fuori tutta la mia rabbia, al cielo e poi al Supremo stesso:

«PERCHÉ SONO ANCORA QUI? PERCHÉ? LEI SA TUTTO, MA NON VUOLE DIRMI NIENTE!»

«Calmati, ragazzo…»

«NO! NON LE CREDO! LEI QUESTO NON LO PUÒ CAPIRE! I MIEI AMICI SONO LAGGIÙ A MORIRE, E IO SONO QUI, A SOFFRIRE INERME DI FRONTE ALLA LORO MORTE, SENZA POTER DIRE O FARE NULLA!» urlai a pieni polmoni, finché non mi caddì in ginocchio sul pavimento del palazzo, in preda alle lacrime

«E invece lo capisco eccome. Ora cerca di calmarti. Popo, preparagli qualcosa.»

Mi fece sedere sui gradini del palazzo: quello sfogo mi aveva effettivamente stancato, potevo percepire la tensione che scivolava via dal mio corpo.

Popo mi servì un thè caldo, delizioso: i miei nervi si calmarono. Poi però, tutto mi tornò alla mente, ed iniziai nuovamente a piangere disperatamente.

«Ragazzo… Permettimi di dirti una cosa.»

Alzai gli occhi ormai completamente bagnati verso di lui, in attesa delle sue parole.

«Non posso ancora dirti il vero motivo per il quale ti trattengo qua: ma posso dirti che hai un grande cuore ed una grande forza. Oggi, saresti stato anche più che un semplice aiuto, te lo posso garantire. Il fatto è che la tua aura è speciale, ma deve essere controllata fin dal principio, e quando sarai pronto, ti sarà rivelato il perché. Ma è fondamentale che tu prima abbia acquisito un totale controllo su te stesso e sulle tue emozioni. Hai solo undici anni, e praticamente metà di questi li hai vissuti lontano dalla tua famiglia: non è facile per un bambino, eppure tu sei qui, e l’unico momento in cui hai perso il controllo è stato di fronte all’impossibilità di difendere le persone che ami, soprattutto dopo tutti questi sacrifici: questo dimostra che hai acquisito il giusto spirito. Devo essere sincero con te: nel momento di accordarmi con tuo padre, ero convinto tu non potessi diventare forte la metà di quanto lo sei adesso. Eppure mi hai fatto ricredere. Si, hai fatto sbagliare il Supremo.»

Per una volta notai un sorriso di complicità su suo volto burbero.

«Non voglio farti pensare che io non ho fiducia in te, ragazzo.» continuò «Prima forse si, ora assolutamente no. Ma come ti ho detto, la tua aura deve essere supervisionata: per questo non ti ho mandato sul campo di battaglia, oggi. Ma se proprio dovessero vincere, allora non avrò altra scelta…»

Questa volta il mio sguardo si fece deciso: «Non ce ne sarà bisogno. Goku arriverà, e ci penserà lui.»

«Lo spero ragazzo… Lo spero…» rispose, sommessamente.

Per qualche minuto rimanemmo in silenzio: chiesi a Popo di versarmi un’altra tazza di thè, che era effettivamente delizioso, nonchè un toccasana per alleviare la tensione di quei momenti.

Passarono così quasi tre ore, in cui potevamo avvertire le aure degli ultimi tre nostri guerrieri, Piccolo, Gohan e Crilin, e quelle dei due saiyan, in uno stato di calma apparente: tutte le aure erano pronte per l’azione.

Ma ce l’avrebbe fatta Goku ad arrivare in tempo?

«Finalmente!» sussultò all’improvviso il Supremo, che poi sparì improvvisamente.

Io e Popo ci scambiammo uno sguardo stupito, finché non ricomparve dopo qualche istante insieme ad un figura, dagli inconfondibili capelli neri appuntiti.

«Goku! Era ora!» gridai.

«Vai Goku, non c’è tempo da perdere!» lo incitò il Supremo.

«Vado subito, grazie Supremo!»

«Si, si, ora vai! SBRIGATI!»

Il saiyan non se lo fece ripetere due volte: corse verso il bordo del palazzo e si lanciò in volo verso il campo di battaglia.

«Ora, finalmente, posso rivedere un barlume di speranza.» disse il Supremo, un sorriso soddisfatto in viso.

Anch’io, ora, mi sentivo più sicuro: Goku si era allenato duramente nell’aldilà, e ora ero convinto che la storia della battaglia potesse svoltare, a nostro favore.

Cercai ancora le aure degli altri combattenti sul campo di battaglia, giusto in tempo per sentirli ricominciare lo scontro.

Crilin e Piccolo stavano provando ad attaccare uno dei due saiyan, quello che avevo identificato come il cavernicolo: attaccò che andò a vuoto. Lo sentii colpire duramente i miei amici.

Ma ecco che avvertii un’enorme crescita nell’aura di Gohan: divenne improvvisamente elevatissima e fortissima, e mi parve, da come reagì quella del saiyan, che lo doveva aver colpito duramente.

La sua reazione non si fece attendere: il picco che raggiunse l’aura del saiyan mi fece capire come stesse caricando un forte attacco energetico.

Ma la cosa che più mi colpì, fu la reazione dell’aura di Piccolo, che ebbe un picco improvviso.

Cercai di valutare tutte le possibili eventualità: ma quando mi voltai verso il Supremo, non potei che disperarmi, quando dovetti rendermi conto che avevo immediatamente intuito che gesto aveva compiuto Piccolo.

Il Supremo era in ginocchio, appoggiato al suo bastone. Ansimava pesantemente.

«Supremo! No!» disse Popo, con tono disperato «Signore, non ci lasci…»

«Non disperare Popo… Sarebbe dovuto succedere prima o poi…» i suoi respiri si facevano sempre più deboli.

«Me ne vado contento… Piccolo mi ha dimostrato di essere cambiato… Ha sacrificato la propria vita per il giovane Gohan… questo mi permette di lasciarvi felice…»

Si girò verso di me, un sorriso che gli increspava le labbra. «Daniel… ora ti prego di obbedire a Popo… resta qui, nel palazzo… almeno finché non troverò un modo… per tornare in vita… ed aiutarti… avrai le tue occasioni ragazzo… non disperare…»

La sua figura iniziò a sparire: nei miei occhi si formarono le prime lacrime.

Popo era al limite della disperazione: quando poi la figura del suo amato padrone sparì, non poté trattenere le lacrime. Io provai a consolarlo, ma in realtà mi sentivo esattamente come lui, se non peggio: ora il pianeta era senza un guardiano, e i due saiyan parevano inarrestabili.

Finché non mi venne un’illuminazione.

«Popo! Poco prima, il Supremo non ci aveva riferito che su quel pianeta, Namek, ci sono delle altre sfere del drago?»

Interruppe per un attimo il suo pianto, e il suo sguardo si illuminò improvvisamente.

«È vero! Possiamo riportare tutti in vita!»

Entrambi fummo immediatamente colti da un grande entusiasmo. Ma ci vedemmo costretti a ritornare alla realtà: i saiyan erano ancora laggiù, e se avessero vinto, avremmo dovuto dire addio ad ogni progetto.

Fu in quel momento che l’aura di Goku arrivò sul campo di battaglia: purtroppo la mia percezione del Ki non era affinata come quella del Supremo, ma mi accorsi immediatamente come avesse sovrastato il primo saiyan, in quello che mi parve un minuto. La sua potenza era enormemente cresciuta ma ancora non bastava: per mia grande sorpresa, l’aura di Goku aumentò nuovamente, e molto rapidamente, probabilmente una tecnica nuova appresa nell’aldilà. Fu allora, che il saiyan che lo stava affrontando fu sconfitto.

In quel momento, sentii nuovamente la speranza divampare nel mio animo. “Forza Goku, puoi farcela.” Pensai in quel momento, notando quanto più forte fosse diventato rispetto all’anno passato.

L’aura del primo saiyan, il cavernicolo, era allo stremo. In pochi secondi, però, sparì. Era stato evidentemente ucciso, lo intuii dalla rapidità con cui scomparve: ma da chi? Non riuscii a capirlo.

Sta di fatto che ora era Goku contro l’ultimo saiyan, quello con l’energia che qualche ora fa mi aveva molto incuriosito.

Capii subito come le particolari caratteristiche della sua energia vitale non fossero l’unica caratteristica peculiare di quel saiyan: notai subito quanto fosse potente la sua aura.

Lo scontro con Goku parve brutale: erano due enormi aure che si scontravano in una battaglia epica. La frustrazione mi stava rodendo l’anima. Ad un certo punto però, dopo che si furono scontrati al massimo della loro potenza, l’aura di Vegeta aumentò improvvisamente. Era diventata spaventosamente grande, e riuscii rapidamente a mettere sotto Goku.

Cosa si poteva fare contro un mostro simile? Mi voltai verso Popo, entrambi palpitavamo dalla tensione, madidi di sudore. Mi facevano male i denti: la frustrazione e la tensione me li tenevano chiusi in un sorriso nervoso da diversi minuti.

All’improvviso però, l’aura spaventosa del saiyan tornò improvvisamente normale, e potevo percepire una nuova presenza sul campo di battaglia: era quello scansaftiche di Jirobei.

In qualche modo la sua presenza c’entrava con il calo dell’aura del saiyan.

Mi sentii nuovamente fiducioso: eppure, quel saiyan si rifiutava di perdere. Doveva essere veramente forte.

Ad un certo punto però, quello stesso spaventoso aumento di potenza che era avvenuto poco prima nel nostro nemico, avvenne in un aura che non mi aspettavo: quella di Gohan.

Sembrava però come impazzito: la sua aura trasmetteva una sensazione strana, come di follia. Sembrò comunque concentrarsi sul nostro nemico, riuscendo infine a renderlo inoffensivo.

Come prima il suo compagno, la sua aura ora era annichilita: eppure, non era morto.

“Cosa aspettate ragazzi? Fatelo fuori!”

Quell’appello, che risuonò potente nella mia testa, non uscii mai dalla mia bocca: percepii poi il saiyan allontanarsi dal pianeta.

Avevano vinto. La Terra aveva vinto. Eppure non riuscii a sorridere della cosa, e Popo lo notò.

«Daniel, cosa c’è? Abbiamo vinto, no?»

«Si, ma quel mostro è ancora vivo…» dissi, quasi sussurrando «Non capisco perché non lo abbiano fatto fuori. Ora potrebbe anche tornare! Insomma, i nostri amici sono morti, e lui se ne può andare così?! Non riesco proprio a concepire questa cosa…»

Popo mi guardò con il suo solito sguardo neutro: «Non sappiamo bene cosa sia successo laggiù, però ricorda che un grande guerriero si distingue anche per le sue capacità morali, e laggiù noi abbiamo grandi guerrieri, non mi sorprenderebbe che lo stesso Goku abbia deciso di essere misericordioso con il saiyan. Decidere di risparmiare una vita non è mai un errore, ricordalo.»

Ci guardammo per un istante negli occhi.

«Beh, adesso ci sarebbe da andare su Namecc, no? Il problema è: come?»

Popo parve riflettere per un secondo: «Un modo forse c’è.»

Mi girai verso di lui, incuriosito.

«Se il Supremo è giunto da lì, probabilmente per arrivare qui si è servito di una navicella, mi domando se...»

«Cosa Popo?» gli chiesi, sempre più intrigato.

«Mi chiedo se quello strano affare che usava come casa fosse la navicella, basterebbe dare un’occhiata: da quel che so è ancora al suo posto, in mezzo alle montagne.»

«Allora sarà il caso di informare la banda, non credi?»

«Infatti è quello che stiamo per fare.» disse, dirigendosi verso il palazzo.

«Aspetta, vuoi dirmi che posso venire con te?»

«Solo finché non avremo sistemato questa faccenda, credo che anche tu abbia diritto a congratularti con i tuoi amici e a salutare i tuoi cari, dopo tutto quello che è successo. Ma poi tornerai qui: ricordati degli ordini del Supremo.» mi rispose Popo, mentre usciva dal palazzo con un tappeto arrotolato. Lo distese davanti a sé: il tappeto iniziò quindi a levitare per aria.

«Avanti, sali.» obbedii, senza troppe proteste. Non mi andava troppo di volare.

«Ma almeno sai dove dobbiamo andare? Io li ho persi qualche minuto fa…»

«Si trovano già nell’ospedale della Città dell’Ovest, siamo diretti li. Il tappeto non è molto veloce, potremmo metterci un po’. Forse ti farà piacere sapere che c’è li anche la tua famiglia.»

Il mio volto si illuminò per un secondo: dopo cinque anni, stavo per rivedere la mia famiglia. Il battito del mio cuore accelerò improvvisamente.


NOTE DELL’AUTORE
Buonasera bella gente! Come promesso, questa settimana vi avrei regalato molti capitoli: oggi ho deciso di anticipare il nostro appuntamento del venerdì perché molto probabilmente domani sera non sarò reperibile…

In ogni caso, piaciuto il capitolo? Se avete provato frustrazione, nel non vedere Daniel confrontarsi con Vegeta e Nappa, beh, allora ho raggiunto il mio obbiettivo! La mia preoccupazione era comunque riuscire a creare un capitolo-telecronaca interessante (sicuramente meglio dei Kaiohshin durante la saga di Majin Bu). Ai fan di Vegeta dico tranquilli, farà presto la sua apparizione nella nostra storia!

Se avete comunque critiche e/o suggerimenti, di qualunque tipo, o semplicemente volete lasciarmi il vostro feedback positivo, ogni recensione è ben accetta! Anche quelle più inespressive di Popo.

Dragon Ball è proprietà di Akira Toriyama, non mia.

Alla prossima!

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Capitolo 12
*** Escluso ***


CAPITOLO DODICESIMO- ESCLUSO

Come aveva avvertito Popo, il viaggio non fu dei più veloci. Quando riuscimmo a vedere l’ospedale, cercai immediatamente di percepire le aure dei nostri amici: ovviamente le prime che cercai furono quelle della mia famiglia. Non appena le trovai, il mio cuore ebbe un balzo. Mi accorsi che con loro c’era anche Pamela.

Ovviamente non feci caso a come Popo decise di fare la sua entrata in scena: oltretutto, seduto sul tappeto la sua tozza figura mi nascondeva alla vista, così che quando vidi che si era avvicinato alla finestra, non potei vedere la comica reazione di Bulma, che emise un gridolino spaventato all’inusuale visione.

«Salve a tutti!» salutò Popo, immediatamente presentato agli altri da Crilin.

«Beh, Popo.» gli dissi, poggiando una mano sulla sua spalla «di sicuro tu sai come fare una perfetta entrata in scena.»

«Ciao Daniel! Alla fine sei riuscito a scendere!» mi salutò un Crilin completamente ricoperto di fasciature.

Rivolsi sorrisi a tutti, finché non mi girai verso il letto di Goku, che pareva più un sarcofago (e le fasciature su tutto il corpo non aiutavano a trovare immagini diverse) e notai che vicino ad esso c’erano loro: papà, mamma e Kira.

«Eh-eh… ciao…»

In una frazione di secondo mi ritrovai con le braccia di mia madre attorno al collo.

«Daniel… tesoro mio… come sei cresciuto…» sentii che stava piangendo, inumidendo la mia tuta. Si staccò e ci scambiammo uno sguardo carico d’affetto. Alle sue spalle ci avevano raggiunto anche mio padre e mia sorella. Mia madre continuava ad abbracciarmi, stringendo sempre più forte.

Notai che il resto della stanza era sull’orlo delle lacrime. Anche Popo aveva un grosso sorriso stampato sui labbroni, ma fu proprio lui ad interrompere il bel momento:

«Ehm… mi dispiace interrompere, ma potremmo avere una soluzione per raggiungere il pianeta Namecc. Si tratta della vecchia casa in cui visse il Supremo, vista la scoperta delle sue origini aliene, credo che possa essere in realtà la navicella con cui è arrivato qui. Ma mi serve un tecnico esperto per poterlo dire con certezza.»

«Che problema c’è? Bulma può venire con te!» gli disse Crilin, prima di ricevere dall’azzurra un’occhiata che minacciava di ridurlo molto peggio di quanto fosse ridotto in quel momento.

Dopo un po’ di battibeccare, alla fine Bulma si arrese e salì sul tappeto con Popo.

«Rimani qui in ospedale fino al mio ritorno, intesi?» mi disse poi il fedele servitore del Supremo.

«Non preoccuparti Popo! A dopo! Ciao Bulma!» dissi, rivolgendomi ad entrambi.

Bulma però era piuttosto spaventata dal tappeto e dalla sua stabilità, e non ricambiò il saluto. Poi i due si allontanarono, svanendo piano piano nel cielo.

Non feci in tempo a girarmi che un nuovo paio di braccia mi si strinse attorno al torace, stringendo fortissimo.

«Mamma, non…»

«Ah, devi esserti proprio dimenticato della mia esistenza se mi confondi con tua madre, scemo!»

Quella voce. Mi voltai, sul volto uno dei più grandi sorrisi che potessi fare.

«Pamela!»

Era cambiata parecchio anche lei: oltre che chiaramente cresciuta (come del resto dovevo apparire io) aveva lasciato crescere un po’ i suoi capelli rossi, che ora formavano un caschetto. Indossava una tuta da combattimento bianca, con una cinta rossa come i suoi capelli.

«Mi sei mancato tantissimo!» disse nuovamente, stringendomi forte. Pensai che dovessi essere diventato piuttosto forte, non appena mi resi conto che finché, prima di iniziare l’addestramento, un abbraccio del genere mi avrebbe soffocato.

«Anche tu a me… sei riuscita a migliorare?»

«Molto! Ho imparato molte cose dal signor Son, e anche da tuo padre! Guarda!»

E generò nelle sue mani una piccola sfera di Ki. Non era comunque potente come quelle che ora ero in grado di generare io, ma forse dipendeva dal fatto che non riusciva ad allenarsi con la mia stessa intensità.

«Ok, ma ora vedi di riassorbirlo: non vedi che c’è gente qui che ha subito fin troppi danni?» Con una pacca amorevole sulla testa di Pamela, mio padre si inserì nella nostra conversazione.

«Vuoi uscire a mangiare qualcosa?» mi chiese.

«Ma Popo ha detto…»

«C’è un piccolo bar che serve degli ottimi panini proprio qua sotto. Faremo una piccola riunione di famiglia, ti va?» mi disse, ammiccando.

A quel punto mi arresi. Lasciammo Pamela con il resto del gruppo, e scendemmo nel piccolo bar. Trovammo rapidamente posto ad un tavolo vicino alla vetrata del bar, ed ordinammo immediatamente.

«Allora fratellino? Com’è il palazzo del Supremo? Sono curiosa!» mi chiese una stranamente eccitata Kira.

«Beh, è decisamente grande, e ci si può perdere facilmente. Il Supremo mi stava facendo allenare in una stanza piuttosto particolare, ma non sto qui a descrivervi il contenuto di questa… però tutto in quel posto ha un che di magico, sovrannaturale. Vi dico solo che quella stanza è come un’altra dimensione: una volta che ci entri, c’è solo la porta, e basta, nemmeno una parete.»

Proseguii con i racconti di quel luogo fantastico, che probabilmente nessuno della mia famiglia aveva avuto l’onore di visitare.

«E voi? È successo qualcosa in questo ultimo anno? Nonna Amy sta bene? La mia stanza è ancora integra?»

«Ehi, calmati! Non c’è comunque molto da raccontare, e penso sia più giusto te lo dica tua sorella» mi interruppe papà.

Kira fece un sorriso più grande così, prima di indicarmi il logo sulla sua nuova tuta, che francamente non avevo notato: era stata presa nelle giovanili del West City Basket, una delle migliori squadre al mondo!

«Hai visto fratellino che non sei l’unico ad avere del potenziale?» mi disse con un ghigno, a metà tra il giocoso e l’irrisorio.

Non so se fosse seria: ma anche se lo fosse stata, non avevo voglia di dare sfoggio di nessuna delle mie nuove abilità. Non era poi il caso di mettersi a litigare il giorno che ti riunisci con la tua famiglia dopo cinque anni.

«In quanto alla nonna, beh…» questa volta fu mia madre a parlare «sia io che lei abbiamo diverse “sorprese” per te quando tornerai.»

Dannato quel suo humor ridicolo: sapeva benissimo che anch’io conoscevo cosa volesse dire il termine “sorpresa” abbinato a loro due. Il pensiero di nuovi deliziosi manicaretti mi fece salire ancora di più l’acquolina, e ancora il panino non era arrivato.

«Vedo che il braccialetto è ancora lì.» disse mio padre, più pacatamente.

«Certo! Lo porto sempre addosso: a volte ha anche saputo rendersi molto utile…»

Mio padre mi rivolse uno sguardo incuriosito, ma alla fine non terminai la mia spiegazione, visto che mi era appena stato posato davanti l’hamburger che avevo ordinato, e lo divorai in un istante.

Il pranzo interruppe definitivamente la nostra conversazione.

Rientrammo quindi in ospedale, parlando del più o del meno. Una volta dentro salutai il mio vecchio maestro Muten, che si trovava lì con Karin e Jirobei.

Salutai il gatto, che ancora sembrava ancora piuttosto prevenuto nei miei confronti, per il fatto che non avessi compiuto il percorso prestabilito per poter raggiungere il palazzo del Supremo, ed il samurai, intento anche in quel momento a mangiare un grosso cosciotto.

«Buongiorno maestro Muten, mi dispiace non averla potuta salutare prima.»

«Ah, Daniel, ragazzo mio, come stai? Non dispiacerti, anch’io ho preferito non interrompere la riunione con la tua famiglia, ma mi interesserebbe sapere come ti sei trovato su dal Supremo.»

«Ottimamente maestro! Ora padroneggio perfettamente la Kamehameha, riesco ad ottenere un’onda fortissima senza comunque stancarmi eccessivamente!»

«Ottimo! Hai già provato ad inventare qualche nuova tecnica?»

«Come? Inventare una nuova tecnica?»

«Perché no? Non tutte le tecniche necessitano di cinquant’anni di sviluppo come la kamehameha… e visto come ti sei potenziato potresti trovare valide all’alternative in combattimento.»

All’improvviso mia madre posò la mano sulla mia tuta.

«Daniel, tesoro, non hai caldo qui dentro? Hai pure sotto una maglietta, togliti questa cosa! Lascia, te la appendo io…»

In effetti faceva un po’ caldo: così mi sfilai la parte superiore della tuta e gliela porsi, senza ricordarmi la particolarità di quell’indumento.

Infatti mia madre non resse il suo peso, e la tutta cadde pesantemente a terra.

«Ma di cosa è fatta questa cosa? Di acciaio?» si lamentò mia madre.

«Ti alleni già con i pesi? Complimenti, Daniel!» disse Goku dal suo sarcofago.

«Te lo avevo detto che era forte, maestro! A proposito Daniel, hai conosciuto la signora Son?»

Mi voltai, notai che Chichi era rimasta in disparte, a prendersi cura di Gohan.

Con molto imbarazzo per non averlo fatto prima, profusi un profondo inchino e mi presentai.

«E così tu sei il figlio di Damon! Ah, sapessi come mi ha parlato di te la tua amica! Mi hanno detto anche che studi parecchio!»

«Beh, si… almeno, leggere e studiare era la mia unica occupazione prima di cominciare l’addestramento…»

Mi accorsi che avevo comunque già perso la sua attenzione, che ora era rivolta al figlio, seduto sul suo letto ricoperto di bende e cerotti, con un libro in mano: «Hai visto? Lui riesce a conciliare le cose! Quindi vedi di impegnarti su quel libro, che sei rimasto troppo indietro!»

Mi voltai verso il resto del gruppo, che mi guardò con sorrisi rassegnati: quello che avevo visto era abbastanza per capire che madre fosse diventata Chichi, dalla guerriera impavida vista al torneo a casalinga amorevole ma piuttosto oppressiva.

Dopo qualche ora, Bulma e Popo tornarono. La vecchia casa del Supremo si era effettivamente rivelata un’astronave, e l’avevano immediatamente portata alla Capsule Corporation per una revisione.

«Ovviamente tu verrai con me Popo!»

«Impossibile. Devo badare al palazzo e a Daniel, questo è stato l’ultimo ordine del Supremo, e non posso assolutamente andare contro le sue ultime volontà.»

«Ma t-tu sei l’unico c-che sa il namecciano, come posso…»

«Vorrà dire che te lo insegnerò. Ma non posso venire con te, e nemmeno il ragazzo può.»

A malincuore dovetti prendere atto dell’ordine di Popo: il Supremo mi aveva specificato di rimanere nel palazzo finché non mi avesse autorizzato lui ad andarmene, e ora era morto. Dovevo quantomeno attendere che fosse riportato in vita.

«Ma quindi, chi verrà con me? Ho bisogno di qualcuno che sia in grado di difendermi!»

«Verrò io Bulma!» gli disse Crilin «Non dovrei metterci molto a guarire…»

«Ok, ma tu da solo potresti non bastare. Gohan, tu te la sentiresti?»

«Non se ne parla neanche! Gohan è rimasto fin troppo indietro con i suoi studi!» sbraitò improvvisamente Chichi.

«Andiamo tesoro… sii comprensiva…» la pregò Goku dal suo letto-sarcofago.

«Comprensiva? COMPRENSIVA?! Son Goku, non chiedermi di essere comprensiva! Sono stata separata per un anno dalla mia famiglia per colpa dei vostri dannati combattimenti, ora se permetti voglio prendermi cura di mio figlio!»

In quel momento, stavo sperimentando un nuovo livello di terrore: cercai conforto nello sguardo degli altri, ma in tutta la stanza aleggiava la paura. Il maestro Muten si era perfino nascosto dietro Jirobei.

A cambiare le carte in tavola fu lo stesso Gohan: fu lui a convincere la madre a permettergli di partire con Bulma. Fu veramente un discorso toccante: stava dimostrando veramente un grande cuore.

Nel suo discorso parlò di un certo Vegeta.

«Aspetta… chi è Vegeta?» chiesi.

«Ah già, tu eri al palazzo con Popo… Beh Vegeta è uno dei due saiyan arrivati qui. È stato l’ultimo a scendere in battaglia: per capire quanto fosse forte, ti basta guardare come si è ridotto Goku. Alla fine, ha scelto di risparmiargli la vita.» mi spiegò Crilin. Mi voltai verso Goku, che ora aveva un evidente sorriso imbarazzato.

«E allora? Un avversario così forte merita di essere affrontato ancora, eh-eh…»

Notai che il volto di Chichi aveva assunto una strana colorazione, tendente al rosso intenso.

Io risi per un attimo sotto i baffi, ma non a causa della reazione della donna.

«Che c’è, Daniel?» mi domandò papà.

«Non è niente… eh-eh… so cosa ha fatto e comprendo quanto sia forte ma… mi dispiace che porti un nome così stupido!» a quel punto non trattenni più le risate.

Ebbi per un attimo gli sguardi un po’ sorpresi di tutta la stanza.

«Beh, a pensarci non hai tutti i torti! Insomma, sei un guerriero o un’insalata? Aha!» disse Bulma, piuttosto divertita. Anche il resto della stanza si lasciò andare a qualche risata.

«Beh mi dispiace interrompere un così bel momento, ma dobbiamo tornare a palazzo.» disse Popo.

«È già ora?» dissi, malinconico.

«Purtroppo si.»

Mi voltai verso la mia famiglia e la mia amica: mia madre stava già ricominciando a piangere, mia sorella aveva un’espressione triste che mi colpii molto. Ma a colpirmi maggiormente fu papà: a differenza degli altri aveva un’espressione d’orgoglio sulla faccia. Questa volta fui io a correre per abbracciarli tutti, uno per uno. Quando tocco a Pamela, ci stringemmo entrambi molto forte. Ci staccammo in tempo per evitare che le nostre lacrime ci bagnassero le tute. Mio padre poi posò la sua mano sulla mia spalla, dicendomi:

«Fatti valere. Arriverà il giorno in cui ci riuniremo nuovamente. Ma nel frattempo, ricordati che io credo in te, e quel braccialetto è lì a dimostrarlo: tu ci hai reso, ci rendi e siamo sicuri che ci renderai molto orgogliosi.» In quel momento mi sforzai molto per trattenere le lacrime.

A quel punto raggiunsi Popo alla finestra, e salii sul tappeto con lui.

«Ciao a tutti, spero di rivedervi presto!» dissi rapidamente al gruppo, cercando di evitare altri momenti di commozione.

Li osservai agitare le loro mani, finché non sparirono dalla visuale.

«Il Supremo sarebbe contento di questa tua reazione.» mi disse Popo, che aveva notato come mi stessi asciugando gli occhi.

«Ma come? Non era lui quello che diceva “devi soffocare ogni tua emozione e rimanere concentrato”?»

«Si, ma in questo caso non ti stavi allenando, e soffocare non è come sopprimere: il primo può aiutare, il secondo ti uccide. Uno è conseguenza dell’altro, ed è proprio per questo che ogni tanto dobbiamo dare sfogo alla nostra emotività, altrimenti ci trasformiamo in esseri privi di animo, dei gusci vuoti capaci solo di mere azioni meccaniche: un guerriero non è una macchina, e le tue emozioni condizionano fortemente la tua forza in battaglia. Per questo oggi ti ho portato con me: dopo tanto tempo, rivedere la tua famiglia può solo essere di giovamento alla tua anima per continuare meglio il tuo addestramento.»

Mi fece poi un gran sorriso dei suoi, carico di affetto e tenerezza: io ricambiai allo stesso modo.

«Grazie Popo.»

«Non c’è di che.»

E fu in quel momento che arrivammo finalmente al palazzo del Supremo.

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Erano ormai passati diversi giorni dalla partenza di Gohan, Bulma e Crilin verso Namecc: io, escluso ancora una volta dall’azione, non potevo non chiedermi ogni momento cosa stesse succedendo lassù. Anche Goku era partito: a quanto pare Karin gli aveva fornito uno dei suoi fagioli miracolosi, e la prima cosa che aveva fatto era stato imbarcarsi verso Namecc. La sua aura era inconfondibile, mentre la percepivo allontanarsi verso lo spazio.

Io avevo proseguito con il mio solito intenso programma di allenamento e meditazione: eppure le Ombre, che erano tornate ad esser due immediatamente dopo quell’orribile esperienza di qualche tempo fa, riuscivano ancora a battermi.

Il problema ora era che non c’era più un Supremo che, nel momento in cui sentiva la mia aura calare a causa del k.o., apriva la porta, fermandole. Avevo provato a chiedere a Popo, ma sembrava avesse sempre da fare: non lo biasimai più di tanto, alla fine non erano le sue mansioni, e non mi era parso comunque di obbiettare, sapendo benissimo quanto fosse potente.

Quindi il più delle volte dovetti arrangiarmi da solo: era piuttosto dura crecare di arrivare verso la porta con quei cosi pronti a saltarti addosso in qualunque momento, il che il più delle volte mi lasciava delle ferite piuttosto evidenti.

Mentre mi stavo curando, in una delle sale del palazzo, ancora piuttosto indolenzito, sentii all’improvviso la caduta di un vassoio, e delle ceramiche che si spezzavano.

«Popo? Va tutto bene?»

Non era normale che avesse fatto cadere un vassoio: non era da mister Popo. Era probabilmente, anzi sicuramente, successo qualcosa.

Giunsi all’ingresso del palazzo, e lo vidi paralizzato, per terra un vassoio con due tazze di the e una teiera in frantumi: fissava un particolare punto nel grande piazzale.

Potei subito comprendere la sua reazione: all’inizio fui scioccato anche io, ma poi il mio cuore si riempii di gioia a quella visione.

«SUPREMO!» gridammo in coro, correndogli incontro entusiasti.

Lui sorrise caldamente alla nostra reazione.

«Signore, non sa quanto sono felice di rivederla… Allora ce l’hanno fatta a trovare le sfere di Namek.»

«Si Popo, ce l’hanno fatta. Ma ora non c’è tempo da perdere, evi assolutamente recuperare tutte le sfere del drago, devi sbrigarti!»

Non se lo fece ripetere due volte: corse nel palazzo, recuperò il tappeto e in un attimo era in volo. Come pensasse di trovarle non lo so, ma forse essere il servo del loro creatore forse garantiva qualche privilegio.

«Mi scusi Supremo, ma cosa sta succedendo?»

«Ragazzo, non ti sei reso conto che anche Goku è andato lassù?»

«Si, qualche giorno fa lo ho potuto percepire, perché?»

«Perché purtroppo non eravamo gli unici ad aver messo gli occhi su quelle sfere: oltre a quel saiyan, Vegeta, che ora sento combattere al nostro fianco, si è aggiunta una nuova minaccia, un essere così malvagio e potente che faccio fatica a pronunciarne il nome… ha appena ucciso Vegeta, ora si sta battendo con Goku…»

«E chi è questo essere, se posso saperlo, Supremo?»

Sospirò.

«È un tiranno, conquistatore di mondi, spietato e assetato di sangue: in questo momento il più potente nell’universo.» Quegli appellativi mi fecero per un attimo sussultare.

«Il suo nome è Freezer.» concluse, con il suo solito tono austero, che comunque faceva trasparire una grandissima preoccupazione.

«Abbiamo bisogno delle sfere del drago il prima possibile. Mi chiedo per quanto tempo Goku possa reggere il confronto con quel mostro.» disse nuovamente il Supremo.

Ma nonostante la sua preoccupazione, io non potevo che essere ancora più arrabbiato: non sentivo più alcun senso di inadeguatezza, ora c’era solo una gran voglia di combattere, e se mi ero perso quella con i saiyan per il destino della terra, ora mi stavo perdendo quella per il destino dell’universo.

L’unica cosa che sentivo in quel momento era la frustrazione per essere stato, ancora una volta, escluso.


NOTE DELL’AUTORE
Buonasera bella gente! Scusate se sarò breve, ma sto scrivendo queste note con un gran mal di testa e ho molta voglia di andare a dormire, ma come promesso vi lascio con un nuovo capitolo!

Ho preferito escludere Daniel dalla saga di Namecc e di Freezer per due motivi: il primo, è una saga decisamente troppo lunga e dettagliata da riportare(pensate che l’arco temporale in cui si svolge non è nemmeno una settimana!) due, la battaglia tra Goku e Freezer è qualcosa di intoccabile, così come tutto il resto.
Tranquilli, comunque, arriverà anche per Daniel il momento di mettersi in gioco!

Se avete critiche, consigli, suggerimenti o anche solo dei commenti, ogni recensione è più che ben accetta!

Dragon Ball è proprietà di Akira Toriyama.

Alla prossima!

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Capitolo 13
*** Rabbia ***


CAPITOLO TREDICESIMO- RABBIA

«Ma quanto ci sta mettendo Popo?» protestai vivamente.

«Non agitarti Daniel, non serve a nulla. Ha già recuperato cinque sfere, non gli manca molto.»

Mi voltai verso di lui, la tensione che faceva vibrare ogni muscolo del mio corpo.

«Come sta andando lassù? Riesce a percepire qualcosa? Ma soprattutto, come riesce a percepire le aure da questa distanza?»

«Piccolo è su Namecc.»

«Oh.»

Imbarazzato per non esserci arrivato prima, rimasi in silenzio. Finché il Supremo non sussultò.

«Forse ci siamo… Goku sta preparando la sfera Genkidama! Sta raccogliendo diversa energia, percepisco Piccolo battersi con Freezer…»

Questo voleva dire che quella sfera dovesse essere di dimensioni mastodontiche: evidentemente il potere di Freezer non poteva essere fermato in altro modo.

Dopo qualche minuto, il Supremo sembrò rilassarsi, al che io divenni molto speranzoso.

«Ce l’ha fatta?»

Lo guardai, speranzoso, in attesa del responso.

«Si, ragazzo. Ce l’ha fatta.»

A quelle parole volevo saltare di gioia: ancora una volta Goku era riuscito a dimostrare all’intero universo di essere più forte. Ma dovetti immediatamente contenere il mio entusiasmo, quando vidi il Supremo improvvisamente accasciarsi a terra, dolorante.

«Supremo!» gridai, correndo al suo fianco.

«Piccolo è stato appena ferito, gravemente… è… è ancora vivo… quel mostro è ancora vivo.»

«Cosa sta succedendo? Mi dica, la prego! Come ha fatto quel Freezer a sopravvivere?»

I suoi occhi si spalancarono, come stupiti. Rimase così per qualche istante.

«Supremo, la prego, mi dica cosa sta succedendo lassù…»

«Crilin… Goku… Goku si è trasformato. Si è trasformato nel Super Saiyan!»

«Il S-Super Saiyan? E cosa sarebbe?»

«Un guerriero saiyan che riesci a trasformarsi in super saiyan raggiunge un livello di potenza inimmaginabile: un guerriero dalla potenza titanica. E il nostro Goku ce l’ha fatta.»

«Aspetti… lei ha parlato anche di Crilin…»

Il suo viso si rabbuiò per un istante, per poi riassumere la sua solita, burbera espressione.

«Non me la sento di dirtelo, ragazzo.»

All’improvviso sentii in me la paura. La paura che al mio amico potesse essere successo qualcosa: ne avevo già persi abbastanza, per il momento.

«Supremo, me lo dica…»

Rimase in silenzio, continuando a darmi le spalle.

«La prego, me lo dica…»

Ancora silenzio.

«ME LO DICA, PER FAVORE!» urlai, con tutta la forza che avevo in corpo.

Allora il Supremo si girò, sospirando.

«Freezer lo ha ucciso.»

Fu uno shock. Non riuscivo a muovermi, nemmeno a pensare, in quel momento. Ma solo un pensiero mi arrivò, ed era legato a quelle sfere posate al centro del piazzale.

«Ma questo v-vuol d-ire… che…»

Il Supremo mi fece un cenno con il capo, ad indicarmi che la mia ipotesi era corretta: Crilin non poteva tornare in vita.

Fu allora che sentii una sensazione strana dentro di me. Era come rabbia, ma più forte, più profonda: una voglia improvvisa di distruggere tutto e tutti, una voglia di menare le mani che mi pervase completamente.

Cercai comunque di non perdere la testa: la mia mente viaggiò finché non trovo il luogo ideale dove sfogare questo mio nuovo sentimento.

«Ragazzo, mantieni la calma.»

Non lo degnai di risposta e continuai a camminare verso il palazzo. All’ingresso incrociai Popo, e per sbaglio lo urtai.

«Daniel, è tutto a posto?» mi chiese, con un tono vagamente preoccupato.

Non mi volati a rispondergli, né mi scusai: proseguii deciso all’interno del palazzo. Camminai tra i corridori lungo una strada che ormai conoscevo a memoria, finché non arrivai davanti ad una porta che conoscevo troppo bene, e la aprii.

Una volta dentro, mi accolsero i loro inquietanti sibili, che mi faceva sempre un po’ rabbrividire: ma oggi no.

«SONO STUFO DI VOI DUE! È PER COLPA VOSTRA SE SONO ANCORA QUI! SE HO DOVUTO VEDERE I MIEI AMICI MORIRE! VI ODIO!»

Gridavo con tutta la mia forza, ma ovviamente non ricevetti risposta.

«AVANTI! FATEVI SOTTO! COSA ASPETTATE? SONO QUI! UMILIATEMI ANCORA, COME AVETE SEMPRE FATTO! SONO QUI! A VOSTRA DISPOSIZIONE, BASTARDI!»

Non mi curavo nemmeno più di curare il mio linguaggio: sentivo solamente una grande voglia di fargli tanto, tanto male.

Non si fecero più attendere: un’ombra si avventò su di me a gran velocità caricando un pugno.

Io lo schivai, e lei si trovò il mio di pugno dritto dove avrebbe dovuto esserci il suo stomaco: non mi curai di dosarlo, e così la allontanai di diversi metri. Le lanciai  contro diversi ki blasts, ma lei svanì.

L’altra comparve alla mia sinistra, cercando di cogliermi di sorpresa, e stava per colpirmi con un calcio in salto.

Glielo parai: sentii una fitta lancinante sul polso, ma non me ne curai, e con l’altra mano caricai una piccola onda di ki e gliela scaricai addosso in tutta la sua potenza, facendola svanire in una nuvoletta di fumo nero.

Sapevo che non era finita. Mi voltai, la concentrazione sempre molto alta: loro erano lì, davanti a me, inaspettatamente ferme. Più le guardavo, più la mia rabbia cresceva.

Il mio respiro era regolare, il mio battito anche: quella rabbia che sentivo nasceva da qualcosa di più profondo.

«Allora? Cosa aspettate?» le provocai.

Non si fecero attendere, entrambe mi caricarono a grande velocità: fui lesto a parare il pugno della prima, ma prima che potessi colpirla in risposta si volatilizzò e comparve la sua amica: con lo slancio del colpo mancato in precedenza riuscii a girare il braccio in tempo per parare il suo pugno.

Al che provo a colpirmi con un calcio rotante, io lo schivai piegandomi all’indietro per quanto fosse umanamente possibile. Poggiai i palmi a terra e questa volta fui io a colpirla. Le svanì nell’istante stesso in cui subì il colpo, per lasciare posto all’altra: sempre mantenendo la verticale, parai con le gambe i suoi colpi, finché non la spinsi lontano abbastanza per rimettermi in piedi.

Andò avanti così per diversi minuti: colpisci, schiva, colpisci. Loro con la loro incredibile agilità colpivano e sparivano a grandissima velocità, e per me risultava difficilissimo colpirle.

Finché non mi caricarono da entrambi i lati, caricando entrambe un calcio: nonostante mi avessero colto di sorpresa, parai il loro colpo con entrambe le braccia, spedendole indietro per l’inerzia.

Ma sparirono all’istante: non feci in tempo a realizzare dove potessero essere sparite che mi ritrovai scaraventato in avanti da un calcio alla schiena. Ad accogliermi, un altro calcio, arrivato dal basso che mi finì dritto sullo stomaco e mi scagliò in aria.

Questa volta caddì a terra in preda ad un dolore lancinante: la schiena mi doleva profondamente, e il colpo subito allo stomaco mi causò qualche conato di vomito, che mi fece portare la mano davanti la bocca: quando la allontanai, mi accorsi con orrore che stavo sputando sangue. Tanto sangue.

Mi voltai verso le due figure, che si erano nuovamente fermate, e digrignai i denti. Ora quella rabbia dentro a me raggiunse un livello incredibile.

Senza pensarci, caricai la mia aura, generando un forte bagliore bianco. Gridai forte, molto più forte di quanto avessi mai fatto. Fu allora che le attaccai: mi lanciai verso di loro a grandissima velocità, caricando un pugno per entrambe.

Nel momento di colpirle, con loro già pronte a scansarsi, mi proiettai dietro di loro e con due potenti gomitate le scaraventai con forza a terra. Non fecero in tempo a sparire questa volta: saltai, e una di loro si ritrovò con entrambi i piedi sul mio collo, mentre l’altra nel rialzarsi si prese di conseguenza un forte calcio sul fianco.

Fu a quel punto che riuscirono a volatilizzarsi: riapparirono nuovamente alle mie spalle, e potei notare che la loro posa era cambiata, sembravo più determinate. Era la prima volta che riuscivo a metterle così in difficoltà.

Ma erano comunque ancora lì, in piedi, pronte nuovamente all’azione, nonostante il mio impeto furibondo. Fu allora che la furia dentro di me esplose.

Sentivo una potenza incredibile dentro me, al che caricai la mia aura sulla sua onda: generai un enorme bagliore bianco, e mi parve che la stanza tremò leggermente. Io continuavo a gridare, facendola crescere, lasciando uscire tutta quella rabbia da dentro me.

Quell’enorme bagliore le aveva colte di sorpresa: non riuscivano ad allontanarsi abbastanza dalla luce.

Le vidi, immobili sul posto, mentre la luce che generavo aumentava sempre di più. Finché non svanirono completamente.

Non appena le vidi scomparire, la rabbia scomparve all’improvviso, e tornò l’oscurità. Ma non si sentiva più alcun sibilo.

Improvvisamente, la porta si aprii.

«Ben fatto.» la voce del Supremo mi colse per un attimo di sorpresa.

«Supremo… io…» dissi, sentendomi quasi in imbarazzo per lo sfogo di prima.

«Non devi scusarti di nulla. Hai saputo gestire le tue emozioni, e nel momento in cui hai raggiunto l’obbiettivo, hai comunque mantenuto il controllo su di esse. Hai superato la prova delle Ombre.»

Lo fissai per un istante.

«Questo vuol dire che…» Il cenno che mi fece fu una risposta più che soddisfacente.

Poi un pensiero mi tornò alla mente.

«Come stanno andando le cose su Namecc?»

«Popo è riuscito a raccogliere tutte le sfere del drago, e Shenron ha resuscitato tutte le vittime di Freezer. Poi il drago di Namecc ha trasferito tutti qua, sulla Terra, poiché Freezer ha messo il pianeta nelle condizioni di esplodere da un momento all’altro.» mi spiegò un po’ frettolosamente.

«Anche Goku?»

Fu lì che chinò per un attimo il capo, sul viso un’aria rassegnata.

«Goku ha deciso di rimanere sul pianeta, per sconfiggere Freezer.»

No. Anche lui no. Era già stato resuscitato una volta, e neanche troppo tempo fa, per giunta.

«È stata una sua scelta. Almeno ci libererà dal male di Freezer.» disse il Supremo, cercando di apparire stoico, anche se potei intuire che anche lui era molto triste.

Fortunatamente, quella rabbia non tornò: sapevo che comunque il nemico sarebbe stato sconfitto, e che ora ero libero di lasciare il palazzo, tornare dai miei amici, dalla mia famiglia.

«Non dovrebbero essere stati teletrasportati molto lontano da qui: forse dovresti andare ad accoglierli, non credi?» mi disse il Supremo, con un piccolo sorriso.

Mi sentii improvvisamente entusiasta.

«Farò in modo che Popo riporti tutte le tue cose a casa tua. In questo anno sei riuscito a superare le tue insicurezze, sei diventato molto forte, hai sopportato molto, e ora posso tranquillamente dire di avere di fronte un futuro grandissimo guerriero.»

A quel punto non resistetti: mi lanciai verso di lui e lo abbracciai, cingendolo alla vita con le braccia. Sentii poi la sua mano accarezzarmi i capelli.

«Il tuo cuore è grande ragazzo. Me lo hai dimostrato ogni giorno. Il tuo futuro è nelle tue mani.» mi disse, separandoci.

«Ora va. Ci sono molte persone laggiù, che ti aspettano.»

Lo guardai ancora una volta con gli occhi pieni di lacrime, facendo il sorriso più grande che potessi fare. Dopo di che iniziai a correre per i corridoi del palazzo, fino ad arrivare nuovamente sul piazzale. Notai Popo che stava innaffiando le aiuole, come accadeva molto spesso.

«Popo!» urlai, mentre lo abbracciavo. Evidentemente lo avevo colto di sorpresa.

«Il Supremo mi ha concesso di tornare a casa.»

«Sono felice per te.» mi disse, facendo un sorrisone dei suoi.

A quel punto rimasi per un attimo in silenzio: mi sarebbe mancato tantissimo stare qua. Sarei potuto tornare quando volevo, visto che sapevo volare, ma sapevo che stava finendo qualcosa che difficilmente si sarebbe potuto ripetere.

«Grazie di tutto, Popo.»

«Figurati, è stato un piacere.» mi rispose, con la sua solita flemma. Lo abbracciai nuovamente.

Dopo di che, scattai verso il bordo del palazzo, prendendo il volo: per qualche secondo volai alla ceca, andando solamente dritto.

Poi iniziai a cercare le loro aure: le trovai in una valle, non lontano dalle montagne ai cui piedi sorgeva Pepper Town, solamente si trovavano dalla parte opposta della catena montuosa.

Cercai di accelerare il mio volo, facendo spostare diverse nuvole. Fortunatamente non mi imbattei in alcun aereo.

Quando li raggiunsi, mi si presentò davanti una visione particolare: c’erano tanti, tanti esseri molto simili a Piccolo: evidentemente gli abitanti di Namecc, e sembravano tutti piuttosto tristi. Notai poi Bulma, Gohan e Piccolo, e un piccolo namecciano in piedi vicino a loro.

In disparte, appoggiato ad un albero, una figura che non avevo mai visto: indossava un’armatura strana, simile a quella che vidi addosso a Radish, ma senza spalline o altri ornamenti ridicoli, con una tuta aderente blu. I suoi capelli mi colpirono: erano lunghi, ma tenuti alti in una forma che ricordava quella di una fiamma. La sua aura poi, non mi lasciò dubbi sulla sua identità: quello doveva essere Vegeta.

Notai che mi avevano percepito, tutti quanti, ovviamente non stavo facendo nulla per nascondermi.

«Ehilà!» gridai, atterrando.

«Daniel!» urlarono in coro Bulma e Gohan «Come mai sei qui?»

«Il Supremo lo ha lasciato andare, ha completato il suo addestramento.» disse Piccolo prima che potessi parlare. Evidentemente lui e il Supremo erano molto più in uniti di quanto dessero a vedere.

«Ah, ciao ragazzino.» mi disse, freddamente. Mi resi conto che era effettivamente la prima volta che conversavo con lui, in tutti questi anni: lo avevo sempre immaginato come un nemico, ora credo mi toccasse vederlo tra gli alleati.

«C-ciao anche a te, Piccolo…»

«Com’è finito l’addestramento quindi?» mi chiese Gohan, curioso.

«Beh… quando ho saputo della morte di Crilin…» in quel momento sussultai: non riuscivo a parlarne così, a cuor leggero.

«Beh, non ci ho visto più e così ho superato la prova del Supremo… ma non è stata una bella sensazione, era come se volessi distruggere qualunque essere o persona mi si fosse parato davanti…»

Notai che Piccolo mi stava guardando, incuriosito.

«Beh, il Supremo mi ha detto che lassù è stato proprio un bel casino…»

Fu allora che Gohan e Bulma mi raccontarono la loro esperienza su Namecc: dal loro arrivo e alla ricerca delle sfere del drago, dall’assurda squadra Ginyu all’arrivo di Goku, fino allo scontro con Freezer.

«E lui è il nostro Dende!» mi disse Gohan, indicandomi il piccolo namecciano vicino a lui. Io gli strinsi la mano con piacere, e il piccolo alieno ricambiò con un caldo sorriso.

«E dove sarebbe l’anziano saggio?» gli chiesi.

«Purtroppo ci ha appena lasciato... Era comunque sul punto di morire prima di tornare in vita, ma almeno abbiamo potuto utilizzare le sfere di Polunga… Ora Moori» disse, indicando un namecciano dall’aspetto piuttosto anziano «è il nuovo custode delle sfere, quindi non le abbiamo perdute…»

Notai che comunque si era parecchio intristito.

«Ah, Daniel!» interruppe Gohan, stranamente entusiasta «Le sfere di Polunga possono resuscitare una persona anche più di una volta!»

«Veramente?!»

In quel momento mi sentii nuovamente felice: sia Crilin che Goku avrebbero potuto tornare in vita.

All’improvviso, Bulma si immobilizzò: era come fosse stata distratta da qualcosa.

«Ragazzi, è Yamcha, dall’aldilà! Ha splendide notizie: Freezer è stato sconfitto!»

Le reazioni di giubilo da parte dei namecciani non fecero che confermarmi come questo Freezer fosse temuto: doveva essere un avversario veramente potente, eppure Goku ce l’aveva fatta.

All’improvviso Bulma si rabbuiò.

«Bulma, va tutto bene?» gli chiese Gohan. In effetti un così drastico cambio di espressione era  decisamente inusuale, anche per una ragazza con la sua personalità prorompente.

«Ragazzi… c-c’è un problema… Namecc è stato distrutto… e le persone vengono resuscitate dove è avvenuta la loro morte… quindi Goku e Crilin anche se fossero riportati in vita… morirebbero ancora immediatamente, visto che resusciterebbero nel vuoto dello spazio…»

A quel punto l’entusiasmo di tutti si spense: Gohan era sull’orlo delle lacrime. Mi avvicinai per consolarlo: sembrava che alla fine, anche il drago Polunga fosse inutile in questo frangente.

«Non riuscite proprio ad arrivarci vero? Patetici…» a parlare fu una voce tagliente dietro di noi: Vegeta aveva improvvisamente preso la parola.

«La cosa è semplice: avete tre desideri, con un desiderio fate portare le anime del pelato e di Kakaroth qua sulla Terra, e con gli altri due li riportate in vita.»

Lo guardai per qualche secondo: la sua espressione e la sua posa altezzosa facevano intendere che ovviamente non si trattava di un persona propriamente gioviale.

«Ehi! Non ci avevo pensato! Grazie Vegeta!» disse un’entusiasta Bulma.

Lui sbuffò, e anche di fronte alla possibilità di stringere la mano a Gohan che lo lo voleva ringraziare, allontanando bruscamente la mano tesa del piccolo.

«Certo che oltre al nome stupido, hai anche un caratteraccio…» dissi, in un momento in cui per un attimo diedi voce a tutti i miei pensieri.

«COSA HAI DETTO?!»

Tutti gli altri mi guardavano terrorizzati, mentre il saiyan si avvicinò a me rapidamente.

«Tu forse non ti rendi conto di chi hai appena insultato, moccioso…»

A pensarci bene quello non era un insulto, ma avevo constatato un dato di fatto: quello del carattere almeno, sul nome forse avremmo potuto discutere…

«Non mi pare di averti visto la prima volta che sono arrivato qui… Bene allora, io sono Vegeta, principe di tutti i saiyan, destinato a diventare il guerriero più forte dell’universo, e potrei spazzarti via dalla faccia del tuo misero pianeta in questo stesso istante…»

Il suo sguardo e quel suo sorriso spavaldo erano paralizzanti: dannato me e la mia lingua lunga!

«N-Non intendevo offenderti… s-solo che p-potevi essere un po’ più cortese, ecco tutto…»

“STAI ZITTO!” gridava una voce nella mia testa. Aveva evidentemente ragione.

«Un po’ più cortese dici, eh? Questo tipo di cortesia ti andrebbe bene?»

In quel momento fece per colpirmi con un pugno. Ma per l’enorme sorpresa di tutti i presenti, me stesso compreso, glielo parai. Mi fissò con occhi ricolmi di rabbia, che fecero crescere in me la paura. Ci separammo, lui continuava a fissarmi con uno sguardo omicida.

«Adesso basta! Vegeta, non credo che ti serva umiliare un ragazzino, anche se insolente, per dimostrare di essere forte, quindi lascialo stare!»

Piccolo si era intromesso tra noi. Si girò e mi fulminò un attimo con lo sguardo: io cercai in tutti i modi di fargli intendere che avrei fatto attenzione alla scelta delle parole da quel momento in avanti.

Vegeta però continuava a guardarmi, stavolta più sospettoso.

«Ora mi è chiaro! Tu sei quel moccioso con il livello di combattimento non quantificabile!» disse all’improvviso. Poi riassunse quella sua espressione spavalda.

«Credo tu abbia scelto il saiyan sbagliato da provocare… magari se avessi affrontato Radish, avresti risparmiato ai tuoi amici la morte di Kakaroth, e quindi la loro per mano di Nappa… Ma vedo che su una cosa Radish aveva ragione, sei evidentemente un codardo, nonostante tu sia stranamente forte per essere un ragazzino terrestre…» concluse, un sorrisetto maligno sul viso.

Mi aveva scaricato la colpa della morte dei miei amici: in quel momento lo odiai più di qualsiasi cosa al mondo. Lo avrei ridotto in fin di vita, se solo non fosse stato così forte: lo sapevo bene, ma la frustrazione non fece che aumentare la rabbia.

«Va bene, adesso calmiamoci tutti! Vi porto tutti a casa mia, potrete stare da me finché tutta questa faccenda non sarà sistemata! Quanto avete detto ci rimetteranno le sfere a riattivarsi?»

«Circa 130 dei vostri giorni terrestri.» le rispose Moori.

«Perfetto!» poi l’azzurra si girò, rivolgendosi a Vegeta, che si era nuovamente appoggiato allo stesso albero di prima: «Ehi! E tu cosa intendi fare? Perché non ti unisci al gruppo?»

“Bulma, sei forse impazzita?” pensai, quando forse in questo caso sarebbe stato meglio dirlo.

«Dai, togliti per un momento quella maschera da cattivone e rilassati, ti farebbe bene! E poi per un bel visino come il tuo, avere sempre il broncio non è salutare!» disse, facendogli anche l’occhiolino.

“Ok Bulma: lo spazio ti ha fatto definitivamente impazzire.” Pensai ancora una volta, ma la reazione che ebbe Vegeta mi fece comunque sorridere per qualche istante: il suo volto era un’espressione di puro imbarazzo dopo aver ricevuto un complimento simile davanti a tutti.

“Come reagirà mai adesso il principe di tutti i saiyan, dopo un complimento da una debole donna terrestre?”

Il saiyan sbuffò, ma incredibilmente acettò la sua proposta.

«Bene! Ora chiamerò mio padre per farci portare tutti a casa!»

In quel momento mi resi conto che dovevo assolutamente andare via anch’io: avevo un altro posto in cui recarmi.

«Beh, ciao a tutti ragazzi! Passerò qualche volta a trovarvi, ora però devo proprio andare!» dissi, poi mi voltai verso Vegeta.

«Ehi, Vegeta!»

Mi rivolse ancora una volta quel suo sguardo raggelante.

«Mi dispiace per prima, spero ti possa trovare bene quaggiù!»

Ecco, ora quello impazzito dovevo essere io, a comportarmi amichevolmente con la stessa persona che fino ad un mese fa voleva distruggere il nostro pianeta, e che fino a qualche minuto fa voleva picchiarmi a sangue: ma non potevo sapere cosa fosse successo esattamente su Namecc, ma sembrava che gli altri lo avessero accettato, Bulma in particolare.

Per tutta risposta, il saiyan sbuffò.

A quel punto presi il volo, dopo aver dato gli ultimi saluti, e presi la direzione delle montagne: le aggirai, finché sotto di me non comparve il sempre familiare scenario di Pepper Town. Percorsi tutta la città, lasciando sbalordito qualcuno, volando verso la periferia, e verso la foresta, finché non la vidi.

In uno spiazzo tra le cime dei primi alberi della foresta, costruita lungo la collina, c’era casa mia: una visione che in questo momento mi parve celestiale, quasi più di sei anni fa, dopo il torneo.

Sei anni. Mi resi conto che da quel giorno erano passati sei anni. E che ne erano passati cinque dall’ultima volta che vidi questa casa: eppure mi sembrava ieri.

Atterrai di fronte al cancello, e notai che era aperto: decisi quindi di fargli una sopresa, a quest’ora staranno cenando. Erano infatti ormai arrivate le sette di sera.

“Spero che Popo non mi abbia anticipato, altrimenti va tutto in malora!”
 
Mentre pensavo a qualche frase ad effetto per sorprenderli tutti, rimasi inebriato dall’odore che proveniva dalla cucina: pollo, ne ero certo. Dopo una migliore annusata, potei constatare che era pollo fritto: che meravigliosa coincidenza tornare a casa la sera in cui tua madre prepara il pollo fritto.

Percorsi la scala che portava alla porta d’ingresso, e poggiai la mano sulla maniglia. Era stata lasciata aperta.

Illuminazione!

«Ehi! Chi è l’imprudente che ha lasciato la porta aperta?» dissi entrando.

Come avevo immaginato, erano tutti e tre seduti a tavola, i loro volti come improvvisamente paralizzati, finché non si distesero in sorrisi di sollievo: addirittura, gli occhi di Kira e della mamma si erano fatti lucidi.

Io cercai di fare il sorriso più grande che avessi potuto fare.

«Mamma, che c’è per cena stasera?»


NOTE DELL’AUTORE
Buonasera bella gente, buona pasqua a tutti! Scusate l’aggiornamento tardivo ma sono tornato piuttosto tardi…

Spero sia piaciuto il parallelismo tra la trasformazione di Goku e la “fine” dell’addestramento del nostro Daniel, per il quale, però, le conseguenze di questo continuo crescere in potenza, non saranno del tutto positive… ma ci arriveremo. Spero anche che la prima apparizione nella nostra storia del principe dei saiyan sia stata di vostro gusto, anche perché un personaggio del suo calibro merita di essere riportato come si deve!

Prossimo aggiornamento domani sera! Recensioni di ogni tipo sono ben accette, purché siate educati.

Dragon Ball è proprietà di Akira Toriyama.

Alla prossima!

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Capitolo 14
*** Nuove tecniche, vecchi amici ***


CAPITOLO QUATTORDICESIMO- NUOVE TECNICHE, VECCHI AMICI

Mi trovavo sospeso sull’acqua, le punte dei miei stivali quasi sfioravano la superficie cristallina del laghetto di montagna.

Concentrai per l’ennesima volta il mio Ki nel palmo della mia mano, per provarla ancora, finché non ebbi un piccolo globo bianco abbastanza grande: alzai queindi il braccio sopra la testa, tenendolo teso, con il palmo della mano nella stessa direzione del mio sguardo.

«Tempesta mortale!» gridai quel nome con tutta la forza mentre rilasciavo il Ki.

Dal piccolo globo nel mio palmo partì una serie di ki blasts che andò ad esplodere in ogni dove, costringendo una ragazzina seduta a riva ad una schivata all’ultimo istante, per evitare di essere fatta esplodere da uno di quei raggi impazziti.

«EHI!» mi gridò un’irritata Pamela «Potevo rimanerci secca, lo sai?!»

«Lo so eccome.» le dissi scherzosamente, facendola irritare ancora di più.

«Togliti quel sorrisetto dalla faccia, perché adesso tocca a me farti vedere i miei progressi.»

«Meno male che non li fai vedere al maestro Muten!»

«Taci! E da tre mesi ininterrotti che mi sto esercitando! E a me l’ha insegnata Goku!»

Dopo di che si piegò sulle ginocchia e assunse una posizione che ormai conoscevo a memoria.

«Ka-me… ha-me… HA!» e dalle sue mani partii un potente raggio energetico, diretto verso di me. Fui comunque abbastanza rapido nello spostarmi a destra per evitare che mi colpisse.

«Niente male!» dissi, mentre levitavo sull’acqua per tornare a riva.

«Hai visto? Ora i nostri giochi saranno più realistici, no?» mi rispose, facendomi l’occhiolino.

Colsi la battuta, e sogghignai: oltre che la nostra abilità, in quegli anni si era affinato anche il nostro umorismo.

Ormai erano passati sei mesi dal mio ritorno a casa, tre mesi dalla sconfitta di Freezer su Namecc e all’arrivo dei namecciani e di Vegeta sulla Terra.

Anche mio padre ha avuto la “fortuna” di conoscere il saiyan, per puro caso: stava lavorando a dei robot simulatori di combattimento, e se lo era improvvisamente ritrovato alle spalle. Superato lo spavento iniziale, lui gli rispose tranquillamente, poiché il saiyan chiese solamente a che cosa stesse lavorando, finché non arrivò Bulma e li presentò. Da allora mio papà è diventato il “padre del moccioso impertinente”. A casa, però, mi diede il cinque.

Erano passati i sei mesi necessari alle sfere di Polunga per riattivarsi: avevamo appuntamento il giorno dopo alla Capsule Corporation per poter riportare in vita Goku e Crilin. Io e Pamela saremmo andati, visto che entrambi sapevamo volare e non sarebbe stato un viaggio troppo lungo, mentre le nostre famiglie (ad eccezione di mio padre, che sarebbe stato già lì) sarebbero rimaste a casa.

«Non vedo l’ora di domani: finalmente potrò mostrare al maestro Goku i progressi che ho fatto con la Kamehameha!» disse Pamela entusiasta, mentre frugavamo nelle saccocce che avevamo portato con noi.

«Io ho voglia semplicemente di rivederli, entrambi.» dissi, molto vagamente, prima di dare un morso alla mela che avevo tirato fuori, gustandola con soddisfazione. Anche se devo ammettere che per quel legame che si era creato in quegli anni alla Kame House, avrei maggiormente voluto rivedere il mio amico Crilin.

«In ogni caso, devo assolutamente migliorare la Tempesta Mortale, ho fatto già tanti progressi, devo solo migliorare nel contenimento dei ki-blasts…»

«E anche in fantasia: secondo me “tempesta mortale” è stupido come nome!»

«Ehi! Piuttosto, preoccupati di quando arriverai tu a provare ad inventare una tecnica tua!»

Mi rispose con una linguaccia, mentre si sedeva su una roccia. Io chiusi la mia saccoccia e me la caricai in spalla.

«Direi che per oggi basta, no? È tutto il giorno che siamo qua! Finiamo di mangiare e poi torniamo a casa, dai…»

Lei increspò le labbra, segno che stava per lamentarsi: quindi, non un buon segno.

«No dai, è bello qui, restiamo ancora un attimo…»

«Pamela, siamo comunque sulle rive di un lago di montagna, tra poco scenderà la notte e farà freddissimo, e non che ora io stia morendo di caldo, visto che indossiamo solo le tute da combattimento!»

«Va bene…» disse, la delusione più che percepibile nella sua voce.

«Non è che ti avanza una mela, per caso? Ho finito la frutta!»

Frugai nuovamente nella sacchetta, e la trovai: gliela lanciai e iniziammo entrambi a mangiare di gusto, seduti sulle rocce che contornavano la riva di quel laghetto sperduto nel bel mezzo delle montagne.

Non appena finimmo, seppellimmo i torsoli sotto uno dei pochi alberi lì presenti, poi prendemmo il volo verso casa.

«Sono contenta di aver trovato quel posto.» commentò improvvisamente Pamela.

«Si, anche io. È perfetto per allenarsi! Isolato e spazioso… non c’è rischio di danneggiare nessuno!»

Volammo fianco a fianco per qualche ora: sorvolammo la foresta e poi l’intera città. Giunti nei pressi della periferia, potemmo subito identificare le nostre case.

«A domani, Daniel!» disse Pamela, iniziando la discesa verso casa sua.

«A domani!» le risposi a mia volta, proseguendo il volo verso casa mia.

Non appena la vidi, iniziai a discendere lentamente, atterrando in giardino. Il mio arrivo non era comunque passato inosservato.

«Ah, eccoti! Dov’eri finito? LA cena sarà pronta tra 5 minuti, sbrigati!»

«Ok, mamma!»

Entrai in casa, inebriato dal profumo che proveniva dalla cucina: questa sera ci sarebbe stato pesce.

Mi diressi in camera mia, per recuperare dei vestiti puliti: poggiai delicatamente la mia tuta vicino alla finestra, facendo attenzione a non lanciarla, vito che il suo peso avrebbe potuto rompere la mensola, dopo di che mi recai in bagno.

Prima di entrare in doccia, mi guardai per un momento allo specchio: non so quanto fosse normale una muscolatura così sviluppata per un dodicenne. Da ragazzino gracilino mi ero trasformato in un atleta vero: notai per la prima volta la larghezza delle mie spalle, cosa che probabilmente avevo ereditato da mio padre, cosa che non faceva che esaltare la mia nuova muscolatura.

Dopo questa constatazione personale, entrai in doccia, abbandonandomi al getto d’acqua calda. Dopo una giornata passata nel freddo della montagna, tra gli schizzi di acqua gelata del lago e il sudore che mi permeava tutto il corpo, quel momento fu come una sorta di benedizione: mi sentivo rigenerato, come avessi mangiato un fagiolo Senzu, la tensione che scivolava via assieme all’acqua.

Una volta uscito ed asciugato, mi recai in camera per vestirmi. Guardai la pila di vestiti che avevo scelto, poi guardai l’orario: vista l’ora tarda, decisi di mettermi il pigiama, che dopo la doccia, non fece che aumentare quella grande sensazione di rilassatezza che provavo in quel momento.

Quando arrivai al tavolo, vidi che c’era solo mio padre. Mia madre era ancora in cucina, il vero dubbio era, dove fosse Kira.

«Dov’è Kira?»

«Come? Non ti ricordi? Tua sorella è stata convocata in prima squadra del West City questa sera! È a Orange City in questo momento, trasmettono la partita in televisione: deve venire anche tua nonna, quindi ti conviene cambiarti.»

“No…” pensai in quel momento, all’apice della pigrizia: non perché arrivasse mia nonna, anzi, non volevo togliermi il pigiama. Ma vista l’occasione, mi vidi costretto a farlo: feci in tempo comunque a cambiarmi prima che la cena fosse servita in tavola.

Una volta rifocillati, ci sedemmo tutti attorno al televisore: mio padre accese su uno dei vari canali secondari, dove veniva trasmessa la lega di basket femminile, ed in quel momento il campanello suonò.

Aprii la porta ed accolsi nonna Amy: in quei sei mesi era forse la terza volta che ci vedevamo, non so perché ma non veniva più a visitarci così spesso.

«È già iniziata?» mi chiese.

«Non ancora, stanno annunciando le formazioni.»

Ci sedemmo tutti attorno alla Tv. Kira non giocò molto, ma riuscii comunque a segnare sedici punti. Il West City perse la partita, ma noi fummo comunque felicissimi per mia sorella.

«La mia nipotina, così talentuosa!» disse la nonna, visibilmente esaltata.    

La guardai sorridente: quell’orgoglio che dimostrava nei confronti di mia sorella mi fece sentire contento per lei, ma mi sentii anche un po’ invidioso.

«Tranquillo, Daniel.» disse improvvisamente mio padre «Solo perché non hai occasione di dimostrarlo al mondo non significa tu non abbia delle qualità che ci rendano orgogliosi.» mi disse, facendomi l’occhiolino.

Io lo guardai sorpreso: non capivo come potesse aver compreso esattamente a cosa stessi pensando.

A distogliermi da quel pensiero ci pensò la nonna: «Ma certo, piccolo mio! Tu stai portando avanti le tradizioni di famiglia, non credere che tu debba per forza andare in diretta televisiva per farci vedere le tue qualità!»

Mentre lo diceva, mi accarezzava affettuosamente sulla spalla. Io sorrisi, non tanto per quell’improvvisa attenzione rivoltami, ma più che altro per quell’improvvisa manifestazione d’affetto: sentii il mio cuore più sollevato in quel momento.

Salutata nonna Amy, ci preparammo per andare a letto.

Ad un certo punto mio padre mi chiese se, per la terza volta in due giorni, se fossi convinto nel rifiutare la sua proposta di accompagnarmi in macchina alla Capsule Corporation.

«Tranquillo papà, arriverò più tardi con Pamela! Saper volare è piuttosto comodo, sai?»

«Immagino… lo imparerei anche io, se avessi il tempo, eh-eh…» mi rispose, sorridendo.

Io gli sorrisi a mia volta.

«Buonanotte papà.»

«Buonanotte Daniel.»

E così ci congedammo, recandoci ciascuno nelle rispettive camere: non appena mi trovai sotto le lenzuola, volsi per un attimo lo sguardo alla finestra, i raggi della luna che filtravano dalle serrande chiuse, e pensai a cosa ci avrebbe aspettato domani.

Sorrisi, poi chiusi gli occhi, e mi addormentai.

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Il mattino seguente…

«Cerca di non fare troppo tardi!» urlò mia madre dalla cucina.

«Tranquilla mamma, non dovrebbe essere una cosa lunga!» dissi, mentre uscivo di casa in fretta e furia: ero in ritardo per l’appuntamento con Pamela.

Feci le scale e il giardino di corsa, tanto che per lo slancio saltai oltre il cancello, e continuai di corsa lungo la strada, verso il luogo, dove mi ero accordato con Pamela per trovarci prima di partire insieme verso la città dell’Ovest. Quando giunsi all’incrocio con la via di casa sua, la vidi appoggiata ad un cartello stradale, sul volto un espressione piuttosto infastidita.

«Era ora! Sono dieci minuti che ti aspetto!» mi gridò.

«Scusa, ho avuto un problemino con la sveglia…»

Problemino: aveva suonato mezz’ora dopo l’orario che avevo settato! Era già tanto essere arrivato con soli 10 minuti di ritardo. Ci mettemmo comunque immediatamente in volo, senza ulteriori discussioni. Dopo qualche minuto di volo silenzioso, Pamela parlò:

«Ora che ci penso, oggi sarà la prima volta che potremo vedere uno dei draghi! Io non ho nemmeno mai visto Shenron…»

«Se è per questo nemmeno io… eppure ho avuto occasione di farlo, se non fossi stato impegnato in qualcos’altro…»

«E quando?»

«Il Supremo lo evocò durante la battaglia tra Freezer e Goku su Namecc, ma io ero impegnato da un’altra parte…»

«E cosa stavi facendo, scusa?»

«Prendevo a pugni le ombre.»

La sua espressione mi disse che non avevo scelto la frase più sensata per spiegarmi. Fu allora che mi venne in mente che, nonostante sia stata fondamentale per il mio addestramento con il Supremo, non le avevo mai parlato della Stanza delle Mille Ombre. Le raccontai per filo e per segno le mie esperienze in quella stanza, mentre sorvolavamo le colline che separavano Pepper Town dalla Città dell’Ovest, tenendoci lontani dalla frequentatissima autostrada, per evitare di causare incidenti: la vista di due ragazzini volanti non era sicuramente roba da tutti i giorni, mantenere un profilo basso avrebbe giovato a tutti.

Conclusi il mio racconto proprio quando iniziammo ad intravedere in lontananza le inconfondibili strutture della Capsule Corporation: non era la prima volta che la visitavo, papà mi ci aveva accompagnato un paio di volte quando ero più piccolo, però l’enormità della struttura faceva sempre un certo effetto.

«EHIIIIIIII! QUAGGIÙ!»

Riconoscemmo entrambi la voce di Bulma: la vedemmo in giardino, mentre si sbracciava per farsi vedere. Discendemmo immediatamente, atterrando esattamente di fronte a lei.

«Ben arrivati ragazzi! Stavamo giusto aspettando voi, di là ci sono già tutti!»

La seguimmo mentre percorrevamo il perimetro della struttura, fino ad arrivare nell’ampio giardino all’esterno della Capsule Corporation. C’erano veramente tutti: Gohan, sua madre, il padre di Chichi, Oscar, il maestro Muten, Puar (che per’altro, mi ricordai di aver incontrato una sola volta, al ventitreesimo torneo mondiale, dove pero era rimasto più che altro in compagnia del suo amico Yamcha), Piccolo e tutti gli altri namecciani. C’era pure Vegeta, appoggiato al muro della struttura.

«Era ora! Ce ne hai messo di tempo, figliolo!» mi salutò il maestro Muten.

«Se il suo allievo fosse bravo nel puntare la sveglia come lo è con il Ki, forse saremmo arrivati puntuali…» si inserì, sarcastica, Pamela.

«Spiritosa!» le risposi, poi mi rivolsi nuovamente al mio vecchio maestro: «Piuttosto maestro, lei come sta?»

«Non ho niente da raccontare, ragazzo… Ma quello che ha detto la tua amica mi ha incuriosito: spero veramente tu ti sia allenato bene per giustificare il fatto che non sei passato nemmeno una volta a trovarci!»

«Beh, maestro, ho pensato di seguire il suggerimento che mi diede quella volta che ci incontrammo all’ospedale, e ho iniziato a lavorare su una mia tecnica… Non è niente di particolarmente potente ed affinato, ma col passare degli anni sono sicuro di poterla rendere devastante.»

Il maestro mi fece un grande sorriso.

«Bene! Devi continuare su questa strada, e sono sicuro diventerai un validissimo combattente! Ne ero certo cinque anni fa e lo sono anche in questo momento…»

In quel momento ci accorgemmo che Bulma, Gohan e Dende si erano sistemati fronte alle enormi sfere del drago namecciane, dopo di che Dende recitò una formula nella stessa lingua che potei identificare come quella usata da Piccolo e dal Supremo al torneo, qualche anno fa.

“Deve essere la lingua di Namecc, per forza” pensai, mentre le sfere si illuminavano.

Dalle sfere poi partii un fortissimo raggio luminoso, che si lanciò verso l’alto, muovendosi sinuosamente, finché da esso non si fermò la gigantesca figura del drago Polunga. Non avendo mai visto Shenron, non avrei saputo fare un paragone: ma la figura di Polunga era qualcosa di immenso. Non aveva proprio le parvenze del drago, sembrava quasi più umano: la lunga coda che partiva dalle sfere treminava in un busto, dotato di enormi braccia e mani, e la sua testa era schiacciata, come il suo muso. I suoi occhi erano di un rosso sfavillante, il che mi lasciò per un attimo scioccato.

«Esprimete i vostri tre desideri, forza.» disse Polunga con voce possente. Ma io rimasi concentrato su quei due giganteschi globuli rossi.

«Daniel… tutto ok?» Mi voltai: Pamela mi stava guardando, sul volto un’espressione preoccupata.

«Si… tutto a posto… tranquilla…» dissi, recuperando il controllo su me stesso.

Sentii allora Bulma richiedere il primo desiderio: riportare le anime di Goku e Crilin qui sulla terra. Dende riportò immediatamente la richiesta al drago, in lingua namecciana.

Gli occhi di Polunga brillarono per un istante, emettendo un forte bagliore rosso.

Poi parlò: «L’anima di colui che voi chiamate Crilin è stata portata qui.»

Tutti esultammo, entusiasti, almeno finché Polunga non riprese: «L’anima di colui che voi chiamate Goku non può essere riportata qui.» Il tono profondo e la lentezza con cui parlava non fecero che aumentare la pesantezza di quelle parole.

«Ma come mai?» gridò Bulma al drago.

Polunga rimase per un secondo silenzio. Poi parlò nuovamente, e questa volta ci sentimmo tutti più sollevati:

«Egli è ancora vivo.»

Ci fu quindi un cambio di programma: si sarebbe resuscitato Crilin e riportato Goku sulla terra.

La prima delle due richieste fu immediatamente riportata a Polunga: in quel momento cercai in tutti i modi di soffocare la tensione, poiché ancora non ero sicuro della possibilità di rivedere in vita il mio amico.

Quando finalmente lo vidi, vestito ancora con l’armatura che evidentemente aveva su Namecc, l’aria sorpresa per essere nuovamente tra i vivi, mi sentii nuovamente all’apice dell’entusiasmo.

Poi, Dende chiese a Polunga il terzo e ultimo desiderio: riportare Goku sulla terra. Gli occhi di Polunga brillarono nuovamente, e tra noi scese il silenzio, in attesa solamente di rivedere il vincitore di Freezer e salvato la galassia: Gohan e Chichi fremevano comprensibilmente più di tutti noi.

Quando Polunga parlò, però, la tensione si trasformò incredibilmente in incredulità: «Colui che chiamate Goku si rifiuta di essere riportato qui in questo momento. Il vostro desiderio non può essere esaudito.»

Eravamo tutti basiti. «Come mai papà non vuole tornare?» chiese mestamente Gohan.

«Ha detto che si è rifiutato di tornare in questo momento: probabilmente si sta allenando da qualche parte nello spazio e preferisce tornare quando avrà terminato.» disse Piccolo, risolvendo il dubbio che avevamo tutti in quel momento.

Qualche istante dopo che il namecciano ebbe parlato, si udì il forte rumore di un motore che si avviava: ci voltammo, e notammo tutti che Vegeta era sparito, e che l’enorme navicella dell’azienda stava ora decollando verso destinazione ignota.

Ci eravamo forse definitivamente liberati dell’arrogante principe dei saiyan?

In quel momento però Polunga parlò nuovamente: «Io sto aspettando: avete ancora un desiderio da esprimere.»

Piccolo, ancora una volta risolvendo i dubbi di tutti, suggerì che si poteva resuscitare uno dei guerrieri che in quel momento si trovavano da Re Kaioh, morti durante l’attacco dei saiyan.

La scelta, per la gioia di Puar, ricadde su Yamcha, che finì per cadere in uno dei laghetti sparsi nel vasto giardino.

Mentre tutti si congratulavano, ne approfittai per avvicinarmi ad un Crilin ancora un po’ scosso.

«Come stai amico?» gli chiesi.

«Beh… sicuramente meglio di qualche ora fa, senza dubbio... Ma com’è possibile che io sia tornato in vita?»

«Beh, a quanto pare le sfere di Namecc possono ridare la vita ogni volta che lo si desidera, però solo ad una persona alla volta.»

«Ah beh, utile, no? Almeno io sono ancora qua, eh-eh…» disse, sogghignando «Piuttosto, Goku dov’è?»

«Goku è ancora vivo e a quanto pare si è rifiutato di farsi riportare indietro per il momento: quel ragazzo ha di sicuro qualcosa in mente…» notai che il maestro Muten si era unito a noi, insieme ad Oscar, Bulma, Puar e Yamcha.

Mi congratulai anche con Yamcha, che mi resi conto di non vedere da quasi un anno ormai.

«Te come stai Yamcha?»

«Beh, non c’è male, l’allenamento con re Kaioh è stato decisamente produttivo. Però noto che anche tu sei diventato più forte, eh?»

«No dai…» dissi imbarazzato «Io non mi sono allenato con una divinità! Ormai sarai su altro livello rispetto a me!»

«Beh ragazzi, potrete discutere di queste cose in altri momenti, ora credo sia il caso di festeggiare, no?» disse entusiasticamente Bulma.

Si stavano avviando tutti all’interno, dove evidentemente Bulma aveva organizzato un party per l’occasione. Mi voltai verso Pamela, e il cenno che ottenni fu chiaro.

«Bulma… Non credo che saremo dei vostri, questa volta…»

«E come mai, scusa?» disse, con un tono abbastanza irritato.

«Beh vedi, siamo venuti da soli, e a casa abbiamo il pranzo pronto, insieme a diverse portate di grida se proviamo a fare tardi, eh-eh…»

La battuta non ottenne molto, se non qualche risata, ma bastò a Bulma per comprendere la situazione.

«Devo avvisare tuo padre che non vi fermate?»

«Già lo sa, tranquilla. Cercheremo però di farci vedere più spesso, giuriamo!» dissi, cercando di apparire convincente: non che non avrei mantenuto quella promessa, ci mancherebbe.

Detto quello, sia io che Pamela ci mettemmo in volo verso casa.

«Ehi Daniel!» urlò Crilin «Ricordati che se ti va di duellare ogni tanto mi trovi come al solito alla Kame House!»

Sorrisi. Tensing, Reef ma soprattutto Goku mancavano ancora all’appello, ma finalmente mi sentivo di dire che tutto era finalmente tornato alla normalità.


NOTE DELL’AUTORE
Buonasera bella gente! Un capitolo leggero per digerire anche la grigliata di pasquetta! Spero, comunque, che piaccia anche a chi come me oggi non ha potuto partecipare ad alcuna abbuffata.

In ogni caso, vi garantisco che ho pronti per voi capitoli carichi di azione: anche io sono impaziente di condividerli con voi. Come ho scritto ad alcuni che mi hanno recensito, questa storia è la realizzazione di tutti quei sogni che facevo da bambino guardando Dragon Ball, quindi sono il primo ad essere trepidante d’attesa per la sua conclusione, e vederla crescere aggiornamento dopo aggiornamento mi rende orgoglioso, come orgoglioso mi rende il vostro feedback positivo!

Proprio per questo, ogni recensione, anche critica, è ben accetta!

Dragon Ball è proprietà di Akira Toriyama.

Prossimo aggiornamento mercoledì, poi venerdì! Da settimana prossima riprenderemo con gli aggiornamenti il martedì e il venerdì. Alla prossima!

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Capitolo 15
*** Capogiri ***


CAPITOLO QUINDICESIMO- CAPOGIRI

“Avanti Daniel… Ci stai provando da quasi un anno… Deve funzionare”

Mi trovavo ancora su quel laghetto in mezzo alle montagne: stavolta ero solo. Cercai la più alta concentrazione possibile, mentre convogliavo il Ki nella mia mano.

“Mantieni il controllo”

Una volta formato un globo abbastanza grande, alzai la mano sopra di me per lanciare la Tempesta Mortale: la piccola sfera di energia si divise immediatamente in diversi velocissimi ki-blasts.

“Mantieni il controllo”

Oramai mantenere questi primi blasts nell’area davanti a me, evitando che andassero in ogni dove, era semplice: il difficile veniva ora.

“ADESSO!”

Chiusi la mano in un pugno, e ognuno dei blasts della prima ondata si divise in due, generando quella che, come volevo fosse, era una vera e propria pioggia mortale. Ma tempesta suonava decisamente meglio.

Raggiunsi il massimo del mio sforzo mentale per mantenere il controllo su quella che era un’ondata devastante per l’avversario, ma comunque difficilissima da gestire, visto l’elevato numero di colpi: io volevo creare per il mio avversario una vera e propria pioggia, quando è impossibile evitare ogni goccia che cade  dal cielo, anche qui volevo fare in modo che non fosse possibile uscirne indenni.

Con mia grande sorpresa, questa volta il colpo riuscì: invece che andare a disperdersi tra alberi, acqua e cime delle montagne questa volta tutti i colpi colpirono solamente il lago in tutta la sua ampiezza, generando un’onda che ad ogni colpo diventava sempre più alta finché, di ki-blasts, non ne arrivarono più.

Mi accorsi di avere il fiatone: non credevo mi sarebbe costato un tale dispendio energetico. Atterai sulla riva del lago, e mi sedetti su uno scoglio: ansimavo pesantemente.

Alzai per un attimo lo sguardo stanco, e lo posai per la prima, vera volta, sul paesaggio che mi circondava: le cime delle montagne facevano solo filtrare la luce del sole in quella conca, almeno finché non fosse stato abbastanza alto da illuminarla quel tanto che basta da permettere a quei pochi alberi ed arbusti di crescere.

La neve perenne copre alcune di quelle cime, mentre da altre nascono le fonti che alimentano il lago di fronte a me, discendendo in diverse cascatelle che adornano i loro fianchi, finché non arrivavano a formare i piccoli ruscelletti che finiscono nel piccolo bacino.

Il rumore di quelle cadute d’acqua, così continuo e disarticolato è comunque ormai talmente inserito nel contesto che ormai è veramente parte del silenzio che ricopre questo luogo magico. Meditare qui è veramente un piacere: qualche volta è venuto anche papà a provare, che mi fece vedere come non sia così difficile da raggiungere a piedi, nonostante siano comunque qualche decina di chilometri da casa nostra.

Sulla strada, poi, abbiamo scoperto un piccolo paesino di montagna del quale ignoravamo completamente l’esistenza. Nemmeno mille abitanti, tanto che riesci a conoscerli tutti nel giro di una giornata, e grandi conoscitori di queste montagne. Takeshi, poi, è diventato per me quasi un appuntamento fisso quando passo di lì: è un piccolo locale, dove l’omonimo proprietario cucina un ramen veramente spettacolare, paradisiaco e, sottolineerei, molto economico: un pasto gustoso e genuino per la miseria di cinquecento zeni.

Takeshi è anche un grandissimo conoscitore della montagna: mi dà spesso indicazioni sul meteo o consigli su posti da visitare assolutamente, per poter godere di una vista spettacolare. E per questi consigli non chiede zeni, né altro in cambio.

Pensavo proprio di passare di lì in quel momento: oggi avevo proprio voglia dell’atmosfera della montagna. Così, decisi di incamminarmi per il sentiero che poi mi avrebbe condotto attraverso i boschi al paesino di Takeshi, e da lì al sentiero che attraversava la montagna per arrivare a Pepper Town.

Nel camminare ripensai a quello che era successo stamattina: mentre mi preparavo per uscire di casa e andare ad allenarmi, mio padre pronto per andare al lavoro, mi aveva chiamato, urlando dal giardino. Mi ero immediatamente allertato, chiedendomi cosa volesse, visto che non era cosa normale. Quando aveva poi aggiunto «Hai visite!» il mio interrogativo era diventato un altro. Quando poi vidi Crilin, in un abito che lì per lì mi parve ridicolo, mi ero tranquillizzato: indossava una specie di smoking bianco, con un ridicolo cappello della stessa tinta, che non sembrava, insomma, da Crilin.

Risi mentre nella mia mente ripassava quell’immagine, ma dovetti immediatamente riconcentrarmi per evitare di inciampare su una radice che spuntava dal terreno.

In ogni caso poi, quella non era stata l’esperienza più traumatica che avevo vissuto quella mattina: dopo aver notato la macchina con cui si era presentato, non potei non chiedermi se non si fosse portato dietro qualcuno, ed era così. Dalla macchina scese quella che avrei potuto scambiato per la perfetta copia di Bulma: almeno finché non ebbe aperto bocca: se con Bulma spesso mi sentivo un po’ a disagio per la sua esuberanza, almeno si dimostrava comprensiva, matura ed intelligente; questa che Crilin mi presentò come Marion, sprizzava superficialità da tutti i pori: si era messa a giudicare i miei capelli o la mia tuta, facendomi qualche complimento di circostanza, per concludere con un bacino sulla guancia contornato da complimentino affettuoso che avrebbe fatto vomitare anche una come mia nonna Amy.

Al di là della ragazza in sé, ero comunque felice per il mio amico: avevo capito che questa dovesse essere la sua nuova fidanzata, e sapendo bene quanto ci tenesse e a quante volte mi avesse raccontato per quale motivo aveva voluto imparare la arti marziali, fui comunque molto contento per lui. Mi aveva proposto un party quel pomeriggio alla Kame House, dove si sarebbe trovata tutta la loro vecchia banda, in cui io ero ormai un membro ad honorem, visti gli ultimi anni. Ma declinai il suo invito, anche se mi dispiacque molto evitare l’occasione di poter stare insieme a tutti gli altri per una volta: in questi ultimi mesi, da quando avevamo resuscitato anche Reef e Tensing, avevo comunque fatto spesso visita un po’ a tutti, ma una rimpatriata era proprio un’altra cosa. A quel punto si Crilin che la sua nuova ragazza se ne erano andati: Crilin voleva portare l’invito anche a Gohan, e il viaggio non sarebbe stato breve da qui al Monte Paoz: mi aveva fatto comunque promettere che la prossima volta non mi sarebbe stato concesso un rifiuto: accettai, molto arrendevolmente.

Fu in quel momento, immerso nei miei pensieri, che mi accorsi che intorno a me si era creata una strana atmosfera, come una nebbia scura che aveva pervaso l’intera zona.

Non appena la inalai, mi venne un gran mal di testa, seguito da una fortissima sensazione di nausea. Mi appoggiai ad un tronco, lo stomaco in fiamme: facevo fatica a trattenere il vomito.

Finché non sentii il mio stomaco contorcersi come se fosse stato stritolato, e rigettai con forza: rimasi per un attimo scioccato da ciò che mi trovai davanti.

Per terra si era formata una pozza di bile e residui di cibo. Ma non era la parte inquietante: quel liquido aveva un innaturale colore nero, ed era stranamente denso. Guardai per un attimo quella massa scura con orrore: cosa mi stava succedendo.

Il mal di testa intanto crebbe: mugugnai dal dolore, mentre improvvisamente sentii come una voce nel retro della mia mente.

Fammi uscire…

Cercai di proseguire lungo il sentiero, dovevo raggiungere almeno il piccolo villaggio.

Uccidi…

Riuscii miracolosamente a rimettermi in piedi: il mal di testa era ancora fortissimo, così come quella forte sensazione di nausea. Anche se la vista era ancora leggermente annebbiata, riuscii comunque a ritrovare il sentiero.

Arrancai a fatica finché non vidi le casupole del villaggio: in quel momento mi sentii sollevato, sapendo che avrei sicuramente trovato qualcuno disposto ad aiutarmi. Ma appena entrai nel villaggio, non vidi nessuno.

Arrancai in preda ai dolori fino alla piazzetta, anch’essa deserta. Mi guardai in giro, finché non vidi il piccolo locale di Takeshi: sapevo che lì avrei trovato sicuramente qualcuno.

«T-Takeshi… Ci sei?» chiesi, biascicando «S-sono Daniel… Ci sei?»

Per mia grande sorpresa, non trovai ancora nessuno: uscii dal locale, e mi ritrovai a vomitare ancora una volta, lo stesso strano liquame nero.

Fortunatamente, dopo quell’ennesimo sfogo, i dolori iniziarono a diminuire.

Mentre riprendevo poco a poco lucidità, sentii vicino a me un suono rauco, come un ringhio rauco. Immediatamente mi guardai in giro, allarmato. Quando poi lo sentii nuovamente, notai che veniva dall’alto: alzai immediatamente la testa, e ciò che vidi mi lasciò a dir poco sorpreso.

Appoggiato sul tetto, in una posa quasi animalesca, c’era Takeshi: la sua grossa corporatura stonava con quella posa aggraziata da gargoyle. All’inizio pensai che il mal di testa mi stesse causando delle allucinazioni, poi però mi accorsi che era tutto vero.

«Ehi Takeshi, che ci fai lassù?» gli dissi, sorridendo.

Un sorriso che sparì immediatamente, non appena vidi i suoi occhi, pervasi da un rosso opaco. Aprii la bocca ed emise quello stesso, rauco verso: nel farlo, aprì la bocca, mostrando che i suoi canini si erano innaturalmente sviluppati.

Mi misi immediatamente sulla difensiva: «Amico, che ti succede?»

Takeshi, o almeno quell’essere che gli assomigliava, con un balzo innaturale saltò giù dal tetto, e si mise in piedi: stava gobbo, in una posa decisamente aggressiva, mentre mi fissava con quegli occhi rossi e vuoti.

«Hisssssss….»

Altri rauchi sibili, tutti intorno a me: da vari angoli della piazzetta spuntarono tutti gli altri abitanti del villaggio. E la cosa inquietante, erano tutti nelle stesse condizioni di Takeshi.

«Gente?»

Continuavano ad avvicinarsi, a piccoli passi, con aria minacciosa.

«Gente, che vi sta succedendo?»

Continuavano ad emettere strani versi gutturali, che tutto sembravano fuorché confortanti.

«Dai, su gente, non fate scherzi…»

Non appena furono a pochi metri potei realizzare che facevano sul serio: avrei dovuto combattere.

Takeshi mi si avventò addosso con un verso animalesco: mi fu facile schivarlo con una salto.

Dovevo cercare di non fare del male a nessuno: probabilmente non si sentivano bene, non erano in loro stessi in quel momento, e non potevo danneggiarli. Loro, però, non la vedevano allo stesso modo: in un attimo mi ritrovai quattro persone addosso, che fui costretto a saltare in alto per evitarli, facendoli sbattere l’uno sull’altro.

Se gli avessi permesso di accerchiarmi, non avrei avuto scampo: sfruttando il salto che avevo appena fatto, notai un angolo della piazza, dove avrei potuto sfruttare il muro per evitare attacchi alle spalle.

Saltai sulle teste di quei zombie che prima erano tranquilli abitanti di un paesino di montagna, e riuscii a raggiungere quel piccolo spazio di piazza.

Mi girai immediatamente non appena raggiunsi il muro: loro mi furono immediatamente intorno, i loro sguardi affamati accompagnati da quei continui sibili orripilanti.

Capii che non c’era soluzione.

«Se proprio volete…» dissi, ostentando sicurezza «Fatevi sotto.»

Non avevano bisogno di altro: mi furono immediatamente addosso.

Non erano avversari impegnativi: attaccavano freneticamente, proprio come animali, e per farli cadere bastava un colpo. Con grande agilità riuscivo a colpirli tutti mentre mi attaccavano da tutte le direzioni.

Fu allora però, che successe ciò che avrei dovuto prevedere: mi attaccarono tutti insieme, avvinghiandosi al mio corpo: per quanto mi divincolassi, non riuscivo a liberarmi di loro.

Ad un certo punto, uno di loro mi morse: e lì smisero di attaccare.

Mi accasciai al suolo: in quel momento le creature si erano improvvisamente fermate, come in attesa di qualcosa, mentre la nausea e il mal di testa erano improvvisamente tornati più forti che mai.

La testa mi iniziò a girare: finì a gattoni sul terreno, ormai dei miei assalitori vedevo solamente i piedi, o almeno quelli che dovevano essere i loro piedi, visto che in quel momento vedevo tutto muoversi come in una giostra.

E poi vomitai nuovamente, più forte che mai: con un colossale rigurgito, uno spropositato quantitativo di vomito venne catapultato fuori dalla mia bocca dopo un dolorosissimo spasmo del mio stomaco.

Davanti a me c’era, nuovamente, una massa di bile completamente nera: di residui di cibo, nel mio stomaco, nonne era rimasto alcuno.

Poi improvvisamente, volli ammazzarli tutti.

Uccidi.

Mi sentii come improvvisamente rinvigorito, in corpo quella stessa rabbia che provai nel momento in cui sconfissi le Ombre, al palazzo del Supremo.

Massacra.

Iniziai a colpirli tutti, uno per uno, il più forte che potevo: in un attimo, tra calci e pugni, finirono tutti per terra, svenuti. Quando poi notai il corpo di Takeshi, mi avventai su di esso, poggiando il mio piede sul suo collo, facendo lentamente pressione, mentre tentava invano di respirare. Volevo solo farli fuori tutti, farli soffrire.

Falli soffrire.

In quel momento un enorme fascio di luce squarciò il cielo, ma io continuavo a fissare Takeshi.

Uccidi.

Stava ormai rantolando.

Uccidi.

Aumentai la pressione sul suo collo, mentre la sua pelle iniziava ad assumere una nuova colorazione.

Uccidi.

Nei suoi occhi rossi le pupille erano ormai solo una mera sfumatura.

Uccidi.

Erano ancora però visibili, le pupille del mio vecchio amico.

Uccidi.

Quel vecchio venditore di ramen così gioviale, che tante cose mi aveva raccontato…

UCCIDI!

«NO!» gridai, come se quelle voci provenissero da una fonte esterna, ed esse si silenziarono all’istante.

Tolsi immediatamente il piede dal collo di Takeshi, che era ormai prossimo alla morte: con un rantolo riaccolse l’aria nei polmoni e riprese a respirare, ma rimase comunque svenuto, a terra.

“Stavo per uccidere una persona innocente… e ci stavo provando gusto…”

Era tutto quello che in quel momento fui in grado di pensare: ero quasi riuscito ad uccidere una persona a me cara, per quanto in quel momento posseduta, provando piacere mentre lo facevo?

Dovetti sedermi per qualche secondo: cosa mi era successo?

L’unica soluzione che mi venne in mente, fu quella di rivolgersi ad una ed una sola persona: il Supremo. Forse sarebbe stato in grado di spiegare i miei malesseri e lo strano comportamento di quella gente.

Con il mal di testa e la nausea nuovamente sotto controllo, mi alzai in volo, cercando di ricordarmi dove dovessi andare: in quel caso, le mie condizioni di salute ancora non favorivano la concentrazione.

In ogni caso, riuscii ad identificare l’aura del mio vecchio maestro e di Popo, ed insieme a loro notai quella di Piccolo, Gohan, Crilin e della sua ragazza: mi fu chiaro come il sole che se una così si trovava lassù era evidente che fosse successo qualcosa.

Feci per prendere un profondo respiro, ed improvvisamente mi sentii rinvigorito, ma questa volta sotto ogni punto di vista: era come se l’aria avesse assunto un sapore diverso.

Con ritrovato vigore presi il volo verso il palazzo.

La visione che mi si presentò davanti fu spiazzante: il palazzo e tutto il giardino erano ridotti ad un cumulo di macerie, con gli evidenti segni di uno scontro sparsi in ogni dove.

Notai il gruppo che avevo percepito radunato al centro del grande piazzale, o almeno di ciò che ne rimaneva.

«Salve, gente! Qualcuno che si sente di spiegare a questo ragazzo piuttosto confuso cosa diavolo sia successo?»

«Daniel! Ti abbiamo sentito arrivare! Quindi tu stai bene?»

«Beh, diciamo che bene proprio no, è stato uno strano pomeriggio… ma qui piuttosto cosa è successo?»

E fu così, che Crilin mi raccontò di Garlic Jr. e della sua strana polvere che aveva fatto impazzire tutti, trasformando la gente in demoni o qualcosa di simile, e di come Gohan lo aveva sconfitto.

«Bravo Gohan!» gli dissi, poggiandogli una mano sulla spalla «Ma aspetta un attimo… hai parlato di una polvere magica?»

«Si, è riuscito a diffonderla su tutto il pianeta: fortunatamente siamo riusciti a liberare il Supremo e Popo e a fargli spargere nell’aria l’Acqua Miracolosa… Ma perché me lo chiedi? Anche tu sei riuscito a non respirare quella schifezza?»

«In realtà, l’ho respirata eccome… però non sono impazzito, ma mi sono sentito molto, molto male.»

In quel momento il Supremo, rimasto in silenzio fino a quel momento, prese improvvisamente la parola: «Come ti sei sentito esattamente?»

«Ho provato un forte mal di testa, che è anche diventato un vero e proprio capogiro ad un certo punto, e soprattutto un forte senso di nausea: ho vomitato per ben tre volte solo oggi pomeriggio, oltretutto un vomito strano, visto che era completamente nero e particolarmente denso…»

La risposta parve soddisfarlo, visto che rimase in silenzio. A parlare fu Gohan, questa volta: «Veramente? Beh, considerati fortunato! Alla Kame House sono come impazziti tutti, anche la mia mamma… Era come se volessero ucciderci…»

«Immagino. Anche io me la sono vista piuttosto brutta…»

E gli raccontai della gente del villaggio. Ovviamente intuii che dovevano essere anche loro sotto gli effetti della polvere di Garlic Jr.

«Beh, noi stavamo per andare via… Questa volta ti unisci a noi?» mi disse Crilin, sorridente.

«Mi dispiace amico, ma sono venuto qui per parlare con il Supremo degli eventi di questo pomeriggio, e devo effettivamente ancora farlo…» mi dissi, girandomi verso il mio vecchio maestro, cercando di fargli intuire che doveva essere qualcosa di privato.

«Ah… ok. Vabbè, se poi hai tempo, noi siamo alla Kame House, sai dove trovarci, campione!» mi disse, facendomi l’occhiolino.

Io gli alzai il pollice in risposta, mentre lui, Gohan e Marion prendevano il decollo. Piccolo, invece, prese una direzione differente.

Non appena furono abbastanza lontani, fu proprio il mio vecchio maestro ad iniziare la conversazione: «Ti è successo qualcosa di più del semplice stare male, non è vero, ragazzo?»

Sapevo che si trattava del guardiano della Terra, in grado di percepire ogni dettaglio di tutte le aure, eppure questa sua perspicacia mi lasciava sempre un po’ sorpreso.

«Si… ma ho preferito che gli altri non ci fossero, mentre lo raccontavo.»

«E come mai?»

«Perché sono io il primo ad avere paura di me stesso, visto quello che è successo, e non mi sorprenderei se si spaventassero pure loro a sentire quello che ho provato.»

«E cosa hai provato, di preciso?»

«Quella stessa rabbia, che provai quando superai l’addestramento qua: una rabbia che si fondava sul semplice desiderio di fare del male, ma molto male, al mio avversario. Ma allora si trattava di Ombre, in grado di difendersi e contrattaccare, e mi sentivo comunque in controllo di me stesso; oggi, invece, era solo puro e semplice desiderio di fare del male, far soffrire tutta quella gente: nel momento in cui uno di loro mi ha morso questi sentimenti sono cresciuti esponenzialmente.»

«Aspetta… Hai detto che uno di loro ha provato a morderti?»

«E ci è riuscito!» gli dissi, mostrando il segno ancora fresco sull’avambraccio.

Rimanemmo un attimo in silenzio. Poi il Supremo riprese nuovamente la parola: «Descrivimi esattamente cosa hai provato, per filo e per segno.»

«Beh… una grande voglia di farli soffrire, tutti. Cosa che si è esaltata nel momento in cui mi sono ritrovato a premere con il piede sul collo di uno poveretto, che oltretutto è anche un caro amico, ma in quel momento era solo uno dei miei aggressori da far morire lentamente, tra sofferenze atroci… in testa sentivo come delle vocine, a cui mi sono ritrovato a reagire nel momento in cui ho realizzato cosa stavo per fare. E fortunatamente mi sono fermato in tempo…»

Cadde improvvisamente il silenzio. Continuavo a guardare il Supremo, sperando potesse darmi una risposta. Quando invece si girò, per rientrare in quello che rimaneva del palazzo, rimasi basito.

«Ma… Supremo…»

Continuò a non rispondermi. Mi scambiai uno sgaurdo con Popo, anche lui impassibile in quel momento.

«Supremo… La prego mi risponda… SIGNORE!» urlai.

In quel momento si girò, il suo sguardo più severo del solito.

«Daniel… quando arrivasti qua, ti dissi che non eri qui per cercare delle risposte. Ora, il tuo addestramento è finito, e hai tutto il diritto di chiederle: bene, sappi allora che, in questo momento, l’unica risposta che posso darti sarebbe quella di controllarti.»

«Ma… Supremo… e tutti quegli strani dolori? Come li posso spiegare.»

Rimase nuovamente in silenzio, poi sospirò profondamente.

«Ragazzo, certe domande è meglio che in questo momento rimangano senza risposta. Non posso dirti altro.»

Dire che mi sentivo deluso era abbastanza. Tradito? Forse un pochino.

Ma deluso era certamente la parola migliore per descrivere il mio stato d’animo in quel momento.

«La ringrazio…» dissi, senza nascondere la delusione «Arrivederci, Supremo. Ciao, Popo.»

«Ciao Daniel.» mi ripose Popo, anche lui rimasto impassibile durante tutta la conversazione.

Presi velocemente il volo verso casa, con la sola voglia di smettere di pensare a ciò che era successo oggi: visti gli ultimi sviluppi, era forse la cosa migliore da fare.

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Popo osservò Daniel allontanarsi in volo a grande velocità.

«Signore…» disse, senza distogliere lo sguardo «Lei ha delle risposte per quel ragazzo, non è vero?»

Il Supremo sospirò nuovamente, appoggiandosi al suo bastone.

«Si Popo, le ho… Ho finalmente capito cosa è sigillato in quel ragazzo: un demone, senza dubbio, e, vedendole cose che porta a far fare al giovane Daniel, direi anche uno veramente crudele, oltre che immensamente potente.»

«E perché si rifiuta di dirglielo?» gli chiese Popo, voltandosi.

«Non vorrei che ciò lo portasse a perdere il controllo, e quindi a liberare definitivamente quel mostro: non ne conosciamo il nome né l’effettiva forza, sarebbe un salto nel buoi che non mi sento di fare, specialmente con Goku ancora lontano dalla Terra.»

Popo tornò a fissare il punto dove aveva visto per l’ultima volta la figura di Daniel, prima che sparisse definitivamente:

«Povero Daniel.» disse poi mogio, piegando la testa verso il basso.

Il Supremo rimase impassibile: ma in cuor suo, non poteva non provare gli stessi sentimenti che il suo fedele servitore aveva appena espresso a parole.


NOTE DELL’AUTORE
Buonasera bella gente! So che molti attendevano la saga dei cyborg… ma ecco che si intromette Garlic Jr.! Quantomeno, spero di aver soddisfatto il desiderio di azione di molti di voi!

News: ora gli aggiornamenti torneranno ad essere più lenti visto che ho notato che parecchi fanno fatica a star dietro a tutti i miei aggiornamenti. Aspettatevi di sicuro capitoli nuovi il venerdì, FORSE il martedì. Molti capitoli sono già pronti, ma se voglio avere il tempo per scriverli bene dovrò rallentare…

Ogni recensione DI OGNI TIPO è ben accetta! Se avete critiche e/o suggerimenti sono il primo a chiederveli/e!

Dragon Ball è proprietà di Akira Toriyama.

Alla prossima!

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Capitolo 16
*** Il nostro futuro? ***


CAPITOLO SEDICESIMO- IL NOSTRO FUTURO?

«Daniel, tutto ok?» mi chiese Pamela.

«Oh si, scusa, ero con la testa fra le nuvole, perdonami…» gli risposi, imbarazzato.

Era una calda domenica d’inizio maggio, e dopo una sessione di allenamento insieme, avevamo deciso di prenderci un gelato in un bar di Pepper Town, prima di ritornare  a casa.

«A che pensavi? Ancora alle parole del Supremo?»

«Beh, si…»

«Dai Daniel, ma veramente? Ancora con questa cosa? Spiegami come mai, per favore. Ormai è passato quasi un anno e non è più successo nulla… anche tuo padre ti ha detto di lasciar perdere!»

«Lo so, eppure non riesco a togliermele dalla testa, nonostante cerchi di fare di tutto per dimenticarle… visto che a quanto pare una risposta non c’è.»

«Appunto! E tu sei ancora a farti problemi? È stato solo un episodio… starno, si, ma comunque solo un episodio!»

Guardai un attimo il cielo limpido dalla vetrate del locale: mentre Pamela aveva già divorato il suo gelato, io avevo lasciato quasi metà coppetta intatta. Decisi allora, di seguire il consiglio della mia amica, e mi misi in bocca un ricco cucchiaio di gelato alla panna: mi parve stranamente più dolce che mai.

Non appena terminammo il nostro gelato, decidemmo di tornare a piedi, cercando di goderci il tardo pomeriggio: una piacevole brezza estiva iniziò a soffiare, rendendo il tutto ancora più piacevole. In quel momento mi sentii rilassato: molto, ma molto rilassato. Camminavamo lungo la grande via pedonale nel centro della città, il sole del tramonto che esaltava il colore bruno delle piastrelle che formavano la strada.

Fu allora che ci pensai, forse completamente assorbito dall’atmosfera di quel momento, e senza indugio glielo dissi:

«Ehi, Pamela, credo che domani mi prenderò una pausa…»

«Come?!» mi chiese lei, stupita.

«Si, pensavo di prendermi la mattina libera domani. Sai, “non allenarmi”…»

«L’avevo capito, non sono stupida…»

«Un po’ si, dai…» dissi ironicamente.

«Idiota! E per quale motivo devi prenderti una pausa?»

«Pensaci bene: abbiamo tredici anni, e siamo già più forti dei nostri genitori, io mi sono anche allenato con il Supremo e sono considerato già al livello di alcuni dei nostri amici, che combattono e si allenano molto più tempo di noi. Siamo anche stati educati bene, leggiamo e studiamo per conto nostro fin da piccoli.»

«Dove vuoi arrivare?»

«Non credi sia il caso che ci rilassiamo un pochino? Voglio dire, ci alleniamo tutti i giorni da mattina a sera, non credi che ci stiamo perdendo tutto il resto?»

«Hmpf, fai come vuoi,» disse, sbuffando «ma ricordati cosa ci disse tuo padre tanto tempo fa: l’allenamento di un guerriero dura per tutta la vita.»

«Ehi, mica ho detto che dobbiamo smettere!» ribattei, smorzando una risata «Ho detto solo che magari dovremmo prenderla con più calma… insomma, sono già due anni che viviamo in pace! O meglio, qualche mese, se consideri quei giorni, in cui è comparso quel Garlic…»

Pamela rimase in silenzio per qualche istante.

«Beh, forse hai ragione,» disse ad un certo punto « ma solo per quanto riguarda te: insomma, sei stato sottoposto per cinque anni a rigidi allenamenti con i maestro migliori del mondo, forse tu una pausa te la meriti… Io invece devo continuare: se voglio anche solo sperare di raggiungere il livello dei nostri amici non posso fermarmi, almeno per ora.»

La sua determinazione non era più una sorpresa per me: quella ragazza era letteralmente un vulcano, una continua esplosione di energia. La cosa più incredibile, era anche il suo essere SEMPRE allegra: era veramente difficile toglierle il sorriso dalle labbra. Anche in questa occasione era riuscita comunque a sorridere, nonostante la serietà della conversazione.

«Ti capisco. Ma adesso non credere che mi batterai mai un giorno! Ti ricordo che rallentare non vuol dire fermarsi!» le dissi, facendole l’occhiolino.

«E tu tentando di darmi della stupida ripetendo le cose due volte non fai che sembrare ancora più scemo.» mi rispose, fredda.

Colpito e affondato: «Touchè.»

Mi guardò con un sorriso soddisfatto, un’aria trionfante in viso: nelle lotte verbali vinceva sempre e solo lei, non c’era nulla da fare.

Proseguimmo fino ad arrivare in periferia, dove ci separammo per raggiungere le nostre case.

Stavo per arrivare a destinazione quando sentii una vibrazione in tasca: avevo appena ricevuto un messaggio.

Il cellulare mi è stato molto utile fino a questo momento: dato che eravamo sempre lontano (e nonostante il fatto che, dove andiamo io e Pamela, non c’è comunque campo) mio padre ha INSISTITO per regalarmi l’ultimo prototipo della Capsule, anche per fare da cavia. Mi accorsi dopo pochi giorni che era diventato utilissimo per rimanere in contatto con gli latri senza il bisogno di farsi ore di volo, ed era già diventato indispensabile per me.

In quel momento avevo ricevuto un messaggio da Crilin:

-Ehilà amico! Domani mattina, Capsule, 10.30. Ci stai? :)

Si! Sarebbe stato un bel modo per riempire la giornata: ritrovarsi con Crilin, Bulma e molto probabilmente anche Yamcha. Digitai subito la risposta:

-Perfetto! Lo smile senza il naso è fatto apposta? :-D

Non vedevo già l’ora: una bella volata fino alla Città dell’Ovest, due chiacchere e magari qualche duello con i miei amici…

Anche se forse sarebbe finita lì: per quanto gli anni trascorsi alla Kame House mi avessero abituato a compagnie molto più “anziane” di me, mi accorsi che forse oltre ai combattimenti non c’era molto altro di cui parlare.

“Smettila! Non li vedi da un bel pezzo, e ti hanno praticamente chiesto loro di venire! Smettila di farti questi problemi!”

Proprio in quel momento il cellulare vibrò nuovamente: Crilin aveva risposto. Aprii il messaggio, e lessi quella lapidaria, unica parola:

-Spiritoso.

Sorrisi. Saranno stati anche molto più grandi di me, ma di sicuro erano tra i migliori amici che potessi avere.

In quel momento mi accorsi di essere arrivato a casa.

«Ah, eccoti fratellino!» mi accorsi che Kira era seduta in veranda, intenta a leggere una rivista. La guardai per un istante: più il tempo passava, più iniziava ad assomigliare alla mamma, se non fosse che lei, causa sport, teneva ancora i capelli abbastanza corti per poterli raccogliere in due treccine.

 «Ha chiamato quel tuo amico pelato, ti doveva chiedere una cosa…»

«Ho già risolto, grazie. Piuttosto, mamma e papà dove sono?»

«Sono fuori a cena, stupido. Stasera siamo solo io e te.»

Raggelai nel momento in cui mi ricordai che giorno fosse oggi: era l’anniversario di matrimonio dei miei genitori. Ma non ero impaurito da quel fatto: il vero problema è che stasera sarei stato affidato a Kira. Mia sorella aveva un solo, grande problema, perché per il resto rimanere da soli non sarebbe stato un gran problema: non sapeva cucinare niente.

«Tranquillo, lo so cosa stai pensando.» mi disse improvvisamente.

La guardai per un secondo: ma sono io l’unico senza questo assurdo sesto senso? L’unico incapace a capire i sentimenti della gente?

«Stasera ordiniamo una pizza, va bene?» mi disse, scuotendo un attimo la mano in cui teneva il cellulare.

«Allora è vero che mi vuoi bene!» le dissi, provocandola leggermente. Ma giusto leggermente.

«Sempre il solito spiritoso… Occhi che nella tua potresti trovarci le olive…» mi disse con un ghigno malefico.

«Non oseresti.»

«Oh, eccome se oserei…»

In quel momento corse in casa, digitando il numero sul cellulare, e io le fui immediatamente dietro.

Un vero eroe deve essere in grado di proteggere sempre gli innocenti: in questo caso, le mie povere papille gustative dal sapore delle olive sulla pizza.

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Il mattino seguente…

«Allora hai deciso finalmente di prenderti una pausa da tutti questi allenamenti, eh?»

«Si… Ho pensato che magari rilassarmi un attimo mi avrebbe aiutato a rilassare la mente… l’ultima cosa divertente che ho fatto è stato partecipare alla festa per il compleanno di Umigame qualche mese fa…»

E non era peraltro un ricordo piacevolissimo: fu lì che Crilin annunciò che avrebbe sposato Marion. In seguito seppi da Yamcha che l’aveva scaricata, per quale motivo non lo so. Però non mi era mai parso troppo giù di morale: e poi diciamocelo, quella ragazza era stupida, non mi era piaciuta per niente.

Mi trovai a ripensare a quel momento mentre ero in macchina con mio padre, diretti alla Città dell’Ovest: eravamo diretti nello stesso posto, tanto valeva proseguire sulla linea del relax e farsi accompagnare.

Parcheggiammo nel posteggio privato di papà, nell’enorme parcheggio sotterraneo dell’azienda. Poi prendemmo l’ascensore.

«A che ora ti eri accordato con Crilin?»

«10.30, ma lui sarà sicuramente già qua.»

«E come fai a dirlo?»

«Non lo so nemmeno io, papà.» dissi, sogghignando. Intuii che quella che era appena avvenuta era la classica conversazione giusto per occupare i tempi morti, come quello che ci separò dal clic dei due diversi pulsanti alla vocina elettronica che annunciò: «Secondo livello: robotica»

Allora io e mio padre ci separammo, e io arrivai da solo ai piani superiori, dove si trovava la zona residenziale dei Brief. Non appena uscii dall’ascensore, ad accogliermi trovai immediatamente la signora Brief, intenta come suo solito a curare le sue piante.

«Buongiorno signora Brief…»

«Oh! Il figlio di Damon! Sei qui per Bulma e i suoi amici, giusto? Di là caro, sono sulla terrazza, Bulma in questo momento sta lavando i vestiti di quel fusto appena tornato dallo spazio!»

Rimasi per un istante sopreso: non mi fu difficile capire di chi stesse parlando.

«Vegeta è tornato?!»

«Si, stamattina presto! Si è praticamente schiantato in giardino, spero non si sia fatto troppo male…»

«Beh, la ringrazio signora Brief…»

«Figurati, caro! Sei sempre così carino ed educato!»

Bulma la conobbi dopo i suoi genitori: qualche volta mio padre mi accompagnava con lui quando ero più piccolo, e la sua amicizia con il dottor Brief lo aveva portato a presentarmi al suo datore di lavoro e alla sua onnipresente dolce metà.

Bulma aveva molto di sua madre: ma come non avessi potuto mettere in relazione il sentirmi a disagio con entrambe le donne Brief ad un fatto genetico beh, non lo capirò mai. Questi pensieri comunque non mi impedirono di raggiungere la terrazza, dove si trovavano Yamcha, Crilin e Puar.

«Salve gente!»

«Ciao Daniel!» mi salutò Yamcha «È da tanto che non ci si vede, piccolo! Come vanno i tuoi allenamenti?»

«Direi piuttosto bene, tanto che oggi mi sono voluto prendere una piccola pausa… e poi, va bene che ho tredici anni, ma chiamarmi piccolo, proprio no!» gli dissi, smorzando un sorriso.

«Beh, sfottermi attraverso le emoticon non ti rende certamente più maturo, eh-eh…» disse Crilin, sogghignando anche lui.

«Non era sfottere, era solo esporre un dato di fatto!» gli dissi sorridendo, mettendogli un braccio attorno al collo.

In quel momento arrivò Bulma: «Ciao Daniel! Scusa se non c’ero quando sei arrivato, sono stata impegnata con il Principe di tutti i c.. OPS!»

«Vai tranquilla, tanto ho capito comunque cosa stavi per dire.»

«Vabbè, sei comunque un ragazzino, mi dispiacerebbe farti sentire quest…»

«DANNAZIONE DONNA? MI SONO ESPRESSO COSÌ MALE? HO CHIESTO DEI VESTITI PULITI!»

Bulma digrignò i denti: «MI CREDI FORSE STUPIDA, RAZZA DI IDIOTA?! SONO LÌ SULL’ASCIUGATRICE!»

«E CHE CAZZO È UN’ASCIUGATRICE?!»

«E meno male che non ne dovevi sentire certi linguaggi, aha!» disse Crlin, facendo ci sorridere tutti, o almeno tutti quelli non impegnati in un litigio tra due camere differenti.

«NON TI INTERESSA, SONO QUELLI PIEGATI, IMBECILLE!»

Ammirai comunque il coraggio di Bulma nel tenere testa ad uno come Vegeta: non potevo però non preoccuparmi della reazione del principe dei saiyan.

«MA… MA… È ROSA!»

A quel punto ridemmo tutti sommessamente, e anche Bulma si ammorbidì: «È solo questo il problema? Tranquillo, molti uomini qua sulla Terra si vestono così!»

Noi non eravamo proprio dello stesso parere: in quel momento eravamo solo in attesa del saiyan.

«Io… Io sono un guerriero, non una varietà floreale, donna!» si lamentò, mentre si palesava sul terrazzo, un paio di pantaloni gialli abbinati al corpo del reato, una camicia rosa con la scritta “Badman” sul retro.

«Beh, almeno non puzzi più!» lo punzecchiò Bulma.

A quel punto non trattenemmo più le risate di fronte all’umiliazione pubblica di Vegeta: fu una delle più gustose risate in tutta la mia vita.

«CHIUDETE IL BECCO O VI FARÒ COSE CHE NESSUN  FOTTUTISSIMO DRAGO SARÁ IN GRADO DI SISTEMARE PER QUANTI SIANO I DESIDERI  CHE POSSA ESAUDIRE!»

Obbedimmo come cagnolini ben addestrati: ma la goduria che provammo in quel momento non ce la saremmo mai scordata.

«Ragazzino, due volte ti vedo in tutta la mia esistenza e sei stato solo fonte di irritazione: ringrazia che non ti abbia ancora fatto fuori.»

«Grazie!» non mi trattenni.

Mi guardò in cagnesco, ma ero più che convinto che non mi avrebbe fatto nulla: era come la sensazione che ormai fosse, a suo modo, uno di noi.

«Mocciosetto, un giorno questa tua sfrontatezza ti port-» si interruppe improvvisamente, sul volto un’espressione scioccata.

«Vegeta, che c’è?» gli chiese Bulma, avvicinandosi.

«Non lo avvertite anche voi?» chiese improvvisamente il saiyan.

Incuriosito, mi concentrai, ed immediatamente percepii due potentissime aure avvicinarsi al pianeta.

«Non è possibile…» disse ancora il principe dei saiyan «Kakaroth ha fallito!»

Mi voltai verso Crilin e Yamcha, cercando di capire cosa stesse succedendo: sul volto di Crilin, un’espressione di orrore.

«Scusate, ma… A chi appartiene quell’enorme aura?» chiesi, sentendomi alquanto disorientato.

Vegeta mi guardò, ancora scioccato da quella presenza.

«Freezer.»

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Ci eravamo mobilitati immediatamente: sia io che Crilin decidemmo di cambiarci, anche perché gli abiti che indossavamo in quel momento erano completamente inadatti ad un combattimento.

Volammo in volo fino a casa mia, dove gli prestai la mia vecchia divisa della scuola della tartaruga, e senza dare troppe spiegazioni ad un alquanto scioccata Lynda Ryder, volammo immediatamente in direzione di quell’aura.

Crilin aveva chiamato Gohan, nel mentre, ed eravamo riusciti ad intercettarlo in volo.

«Ragazzi, ma siete sicuri sia proprio Freezer?» domandai, ad un certo punto.

«Non c’è dubbio: quella malvagità è inconfondibile, Daniel.»

“Ora avrò occasione di vedere questo Freezer… ma aspetta, dov’è Goku?” pensai in quel momento.

Dagli sguardi sui volti dei miei due compagni, capii che non ero l’unico ad essere preoccupato. Infine arrivammo in una zona desertica, dove si erano già radunati Yamcha, Vegeta, Piccolo, Tensing e Reef. Salutai gli ultimi due con un cenno della mano: era dal giorno che resuscitarono che non li vedevo, e ciò valeva non solo per me. Ma in quel momento c’era altro a cui pensare.

Quando poi Piccolo, dalle sue alte capacità di percezione, annunciò con un grido l’arrivo dell’astronave del tiranno spaziale, facemmo tutti in tempo a ruotare il capo per vedere questo enorme disco volante, discendere al di sotto delle nuvole, e atterrare qualche miglio più in là: immediatamente potemmo percepire due enormi aure, una delle quali apparteneva a Freezer.

Ma all’improvviso ne comparve una terza, a noi tutti sconosciuta: il suo arrivò provocò l’immediato iniziò di una battaglia.

«Scusate ragazzi, ma io vado!» si lanciò Crillin, immediatamente fermato da Vegeta.

«Calmati, pelato! Non sappiamo ancora bene cosa stia succedendo laggiù, è meglio che ci muoviamo a piedi, altrimenti rischiamo di essere rilevati!»

Demmo tutti ragione all’orgoglioso saiyan. Finché ad un certo punto quella terza aura non raggiunse un livello di potenza veramente allucinante.

«Ragazzi… c-che significa??» chiesi nell’improvviso orrore.

«È la stessa potenza di Goku! Come la percepivamo da Re Kaioh!» disse Yamcha, seguito da cenni di assenso da parte di Tensing e di Reef.

Seguì un'altra grande esplosione, e all’improvviso, tre figure comparvero in aria: uno sembrava una specie di enorme diavolo, con un lungo mantello sulle spalle e una lunga coda. Anche un’altra di quelle figure aveva la coda, ma per il resto era molto più piccolo e la sua corporatura molto meno dettagliata, nonostante quelli che mi parvero diversi inserti metallici…

Infine c’era lui: quello che pareva un essere umano, ma con dei luminescenti capelli biondi e una spada che stava ora discendendo su una di quelle due figure, quella più piccola.

«Ragazzi, ma qual è Freezer?»

In quell’istante il misterioso guerriero biondo fece letteralmente a pezzi la piccola figura con la sua spada, disintegrandone poi i resti.

«Quello che è stato appena maciullato in una frazione di secondo.» rispose Piccolo, per lo shock generale.

«Ma come fate a vedere così bene da qui? A me sembrano solo dei puntini neri!» disse una ignara Bulma.

«Ma chi è quel tipo? Che sia Goku? In fondo ha la sua stessa potenza!» disse Tensing.

«Non è Kakaroth… eppure… è anche lui un super saiyan!» gli rispose un evidentemente irritato Vegeta  che, notato come il misterioso guerriero e il compagno di Freezer erano scesi a terra, prese immediatamente il volo in quella direzione, seguito a ruota da tutti noi.

Arrivammo in tempo per vedere il misterioso guerriero eliminare la seconda, malevola presenza. Ora quale fosse la natura della sua, di presenza, era tutto da scoprire: noi ci preparammo comunque per combattere una battaglia che sapevamo essere persa in partenza.

All’improvviso, però, i suoi capelli si abbassarono, passando dal biondo al viola chiaro, formando un caschetto. Si voltò verso di noi, e in modo molto cordiale, gridò: «Ehi gente! Io sono qui per accogliere Goku! Volete venire? Atterrerà tra un paio d’ore, giusto a qualche chilometro da qui!»

Ci guardammo tutti esterrefatti: come poteva sapere di Goku?

«Io propongo di seguirlo, in fondo ha ucciso Freezer!» disse Tensing.

«Non lo so, ragazzi, io non mi fido particolarmente…» dissi io. Ed era vero: quello era comunque un super saiyan, uno che avrebbe potuto spazzarci via in un istante se avesse voluto.

Ad un certo punto Gohan si impuntò: «Ha detto dove atterrerà il mio papà: per me è sufficiente!» E si mise in volo verso lo sconosciuto.

«Gohan, aspetta!» gli gridò Crilin, che gli fu subito alle costole. Alla fine decidemmo tutti di seguire lo sconosciuto.

Arrivammo in una landa desolata, dove non c’era più che qualche formazione rocciosa. Lo sconosciuto afferrò dalla tasca una capsula e la lanciò, liberando un piccolo frigo.

«Secondo le mie coordinate, Goku dovrebbe atterrare qui. Manca ancora un po’ di tempo, se volete qualcosa, servitevi pure!»

Io e Gohan afferrammo una lattina di birra ciascuno, solo per farcela togliere immediatamente di mano da Bulma.

«Eh no ragazzi, siete ancora troppo piccoli! Specialmente tu Gohan! Che direbbe, o meglio, FAREBBE tua madre se scoprisse che hai iniziato a bere?»

Un brivido gelido mi percorse la schiena al pensiero di Chichi infuriata, ed io non sarei nemmeno stato il destinatario della sua ira.

«Scusa se te lo chiedo…» chiese Gohan, che nel frattempo si stava godendo una soda, al misterioso guerriero «ma come fai a conoscere mio padre?»

«Ah… beh, non l’ho mai conosciuto in realtà, ho solo sentito molto parlare di lui.»

«E scusa, come fai a sapere dove arriverà?» gli chiese Bulma.

«Ehm… questo non posso dirlo, mi spiace…»

«Almeno possiamo sapere chi sei?» gli chiese nuovamente Bulma. Il ragazzo parve piuttosto imbarazzato, ma non parlò.

«Oh, andiamo! Anche il tuo numero di scarpe è un segreto?» chiese uno spazientito Yamcha.

«Non vuole parlare perché ha in mente qualcosa, non è vero?» alle parole di Vegeta, il ragazzo ebbe un leggero sussulto «Innanzitutto, come puoi essere un saiyan, se i tuoi capelli sono viola, ma soprattutto se gli unici saiyan rimasti sono due, io e Kakaroth, tre se contiamo Gohan? Spiegati!»

Il ragazzo volse lo sguardo verso il basso: «M-Mi spiace, ma non posso dire nulla…»

Ad un certo punto notai un logo familiare sulla sua giacca.

«Ehi almeno posso chiederti se quello è il logo che penso io? Bulma, hai visto?» il ragazzo si voltò verso di me, mentre gli occhi di Bulma si illuminarono.

«Ehi, è vero! Sarai mica uno dei nostri dipendenti?»

«No, no… solamente un fan…»

Notai che comunque si sentiva a disagio.

«Beh, in ogni caso nessuno qui ti ha ringraziato ancora per averci liberati della minaccia di Freezer!» gli dissi, porgendogli la mano. Cercai di essere il più amichevole possibile. Lui mi guardò per un istante con uno sguardo vuoto, poi comunque mi fece un mezzo sorriso.

Da quel momento iniziò una snervante attesa di ore, dove i tentativi di ingannare il tempo si sprecarono.

Finché, finalmente, non potemmo percepire un’aura familiare avvicinarsi al pianeta.

«Papà! È tornato!» disse un eccitato Gohan.

La navicella si schiantò qualche metro più avanti, formando un piccolo cratere: da quella navicella, vestito in modo assai particolare, uscii il volto che tutti aspettavamo da anni, portandoci tutti a gioire come matti.

«Ehi ragazzi, che vi prende? Freezer è già stato qui?»

Gli spiegammo cosa fosse appena successo, e subito il misterioso guerriero chiese a Goku di poter parlare privatamente.

Li osservammo da lontano: all’inizio si trasformarono entrambi in super saiyan, cosa che mi fece un certo effetto. Dopo aver dimostrato in modo palese il suo potere, Goku riuscii a quanto pare ad ottenere la fiducia del ragazzo, che iniziò a parlare con lui: ad un certo punto, il ragazzo alzò un dito e Goku cadde a terra con un urlo sorpreso.
«Strano… giurerei che abbia appena detto il mio nome…»

«Donna egocentrica! Di assurdo qui c’è solo come quel ragazzo abbia appena fatto cadere Kakaroth per terra solamente alzando un dito!»

Poi, a quanto pare, la conversazione terminò. Il ragazzo tirò fuori da una capsula una strana navicella, con la quale prese il volo, per poi sparire misteriosamente a mezz’aria.

«C-Come è successo?» chiesi, presumo a nome di tutti.

«Quella è una macchina del tempo! Geniale, no?» irruppe la voce di Goku.

«Papà finalmente!» disse Gohan, abbracciandolo.

Spronato da Crilin, Goku ci raccontò di come si fosse salvato dall’esplosione di Namecc: una navicella della squadra Ginyu lo aveva portato su Yardrat, e da lì era tornato qui.

«Di tutto quanto, Kakaroth!» ci girammo verso Vegeta, che aveva un aria piuttosto irritata «Non sei stato via così a lungo per semplice piacere, è ovvio che tu ti sia allenato? Che cosa hai appreso?»

«Dai, Vegeta, calma… in effetti una cosa l’ho imparata: mi piace chiamarla Trasmissione Istantanea. Osservate.»

Poggiò due dita sulla fronte e sparì: ricomparve immediatamente dopo.

«E cosa c’è di nuovo? È una proiezione in supervelocità!» ribattè Vegeta.

«Non esattamente…» disse un sorridente Goku, che ora portava un familiare paio di occhiali da sole.

Fin troppo familiare.

«Ma sono gli occhiali del Maestro Muten! COME È POSSIBILE?» gridai.

«Già, la Kame House è dall’altra parte del mondo!» disse Yamcha.

«Eh eh… questa tecnica consiste nel teletrasportarsi ovunque lo si desideri. Mi basta pensare ad un luogo o una persona e il gioco è fatto!» disse un sorridente Goku, passando gli occhiali di Muten a Crilin.

«Bulma attenta, può darsi siano gli occhiali quelli che trasformano in pervertiti! Aha!» dissi, guardando Crilin atteggiarsi mentre li indossava.

Dopo qualche sana risata, ci penso Piccolo a far tornare l’ordine: «Goku, non devi dirci nient’altro? Tipo quello che vi siete detti tu e il ragazzo DEL FUTURO?»

«DEL FUTURO?!» gridammo sorpresi.

«Ah si, eh-eh… eh… uhmm…vi ho già detto che quella era una macchina del tempo, vero?» Goku si era evidentemente già scordato la cosa.

Piccolo sospirò, come arreso di fronte all’ingenuità del vecchio nemico, dopo di che iniziò a spiegare: «Esattamente tra tre anni, il 12 Maggio, in un isola vicino alla Città del Sud, compariranno due cyborg, creature che hanno rovinato il futuro da cui proviene quel ragazzo e ucciso tutti quanti noi, create dal Dr. Gelo per vendicarsi di Goku.»

In quel momento ebbi un fremito: dove avevo già sentito quel nome? Ma certo!

«Dobbiamo preparaci b… Daniel, tutto ok?» mi chiese Goku.

«In un certo senso… Stavo pensando al nome di quello scienziato: ti ricordi di quando conoscesti mio padre?»

«Al villaggio Jingle?»

«Si! Mio padre mi racconta sempre che lui non ti raccontò mai il nome di quello scienziato per cui lavorò e che era andato a rovinare, ma a noi si, e mi pare fosse proprio questo Dottor Gelo! Forse mio padre potrebbe avere utili informazioni in questo senso!»

«Non credo che comunque sia il caso di trascurare l’allenamento, non credete?» disse Tensing.

«Hai indubbiamente ragione Tensing,!» gli rispose Bulma «Ma il padre di Daniel lavora per me, e visto che siamo due grandi esperti di robotica potremmo esservi d’aiuto in questa battaglia, anche se non possiamo combattere!»

Mi fece l’occhiolino, a sostegno che quanto avevo appena fatto era risultato utile, e mi accarezzò i capelli: «Sei stato bravo.»

«Beh ragazzi, credo sia comunque il caso di mettersi immediatamente all’opera, così che questi cyborg neanche si renderanno conto di cosa li ha colpiti!» disse Yamcha, con la sua solita sicurezza.

«Allora ci si vede tra tre anni! Andiamo, Reef…» disse Tensing, congedandosi.

Poco a poco ce ne andammo tutti, decidendo i turni di allenamento.

Alla fine, mi ritrovai comunque solo.

«Ragazzi,» dissi, rivolgendomi agli ultimi rimasti, ossia Goku, Gohan Crilin e Piccolo «Non vi crea problemi se qualche volta mi aggregassi a voi? Giusto per fare qualche test su me stesso, visto che, senza bistrattarla troppo, avrei solamente Pamela…»

«Nessun problema Daniel! Anzi, se vuoi portala pure con te! Mi farebbe piacere rivederla.»

«Anche a lei rivedere te, Goku.»

«Allora alla prossima!» e con quello sparì assieme a Gohan.

Per qualche istante rimasi solo con Crilin e Piccolo, finché il namecciano non si congedò gelidamente, prima di volare via con una rapidità impressionante: «Ci vediamo, buona fortuna.»

Mi guardai per un momento con Crilin.

«Beh amico…» esordì l’ex monaco «Noi per sentirci abbiamo sempre il cellulare, no? Passa anche da me, qualche volta.»

Ci stringemmo le mani, tenendole all’altezza della faccia, nel massimo gesto d’intesa.

«Contaci.»


NOTE DELL’AUTORE
Eccoci finalmente con l’arrivo di Trunks! Ovviamente la sua identità è ancora sconosciuto ai più… Come si prepararenno Daniel e gli altri guerrieri? Questo ve lo dirò venerdì prossimo!

In questo capitolo ho evidenziato alcune delle mie preferenze alimentari: non che mantenersi in forma non sia importante, badate bene, eh… In ogni caso, questo capitolo sarà la punta di un grande iceberg. Sarà un crescendo di azione, ve lo garantisco, per il fatto che scrivere i capitoli successivi a questo è stato quasi emozionante in certi momenti!

Ogni recensione, anche critica, è ben accetta!

Dragon Ball è proprietà di Akira Toriyama.

Alla prossima!

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Capitolo 17
*** Nuova potenza ***


CAPITOLO DICIASSETTESIMO- NUOVA POTENZA

Non appena io e Crilin ci separammo, ebbi tempo per riflettere su quello che era appena successo: un ragazzo, proveniente dal futuro, in grado di diventare super saiyan, era venuto ad avvisarci di una minaccia incombente che nemmeno lui era stato in grado di sconfiggere e che sarebbe giunta tra tre anni esatti.

Ci saremmo dovuti allenare tutti duramente: ma forse per Goku, Gohan, Piccolo e Vegeta forse non sarebbe stato così impossibile raggiungere almeno il livello di quel saiyan, anzi, Goku avrebbe anche potuto superarlo.

Ma gli altri? Yamcha, Tensing Crilin… Io.

Mi fermai per qualche secondo, a mezz’aria: mi resi conto, solo in quel momento, ch quella sarebbe stata la mia prima vera discesa in campo, dopo anni di addestramento.

E se non fossi stato in grado? Se non potessi essere un aiuto valido?

Di una sola cosa ero certo: che fallire sarebbe stato buttare via anni di addestramento. Anni passati solamente a potenziarmi, lontano da casa.

Lontano dalla mia famiglia.

Arrivai a casa che ancora i pensieri mi stavano attanagliando la mente, il sole stava già tramontando in quel momento.

“Sarà mamma ad uccidermi adesso, altro che cyborg!”

Atterrai di fronte alla porta d’ingresso, ed entrai: di giorno non la tenevamo mai chiusa.

«Ah, eccolo qua!»

Riconobbi immediatamente la voce di Pamela: che ci faceva lì? Ma soprattutto, non vi fu nessuna furiosa sgridata.

«Cos’era quella presenza che è arrivata sulla Terra?» mi chiese Pamela, frettolosamente.

Ah, già… Anche lei deve averla percepita, e si sarà precipitata a cercarmi: ma questo succedeva ormai quasi cinque ore fa. Cosa ci faceva ancora a casa mia?

In quel momento notai che si erano fatti tutti attorno a me.

Allora gli raccontai di Freezer, del saiyan che lo aveva ucciso, e del ritorno di Goku.

«Il maestro è tornato?! EVVIVA!» urlò una decisamente eccitata Pamela, che poi si voltò, guardandomi severamente: «Potevi chiamarmi!»

«Ehi, non prendertela! Ho lasciato qua il cellulare quando sono venuto a cambiarmi con Crilin! A proposito, devo ricordarmi di avvisarlo che ha lasciato qua le sue cose e ha ancora la mia tuta… Tu piuttosto, perché sei qui?»

«All’inizio ero venuta a cercarti per parlarti di quelle strane e potenti aure, poi i miei sono dovuti uscire per delle questioni di lavoro, e di conseguenza stasera cenerò con voi.»

Sul volto aveva ora un sorrisetto compiaciuto, come per dirmi: “soddisfatto? Io si, e molto”.

«Daniel scusa ma… hai detto di un altro saiyan? In grado di trasformarsi come Goku?» mi chiese ad un certo punto mio papà.

«Si… beh, è una storia lunga…»

«Allora mettetevi a tavola e parliamone lì, la cena è praticamente pronta!» disse improvvisamente mamma.

Ci sedemmo tutti ai nostri consueti posti, solo che ora Pamela occupava il posto vuoto alla destra di mia madre su uno dei lati del tavolo. Papà stava a capotavola, io e Kira sul lato alla sua sinistra.

Quando mamma ebbe servito la cena iniziai il resto del racconto: non appena terminai, papà sbatté improvvisamente entrambi i pugni sul tavolo.

«Tesoro…?»

Mia madre fece per poggiò la sua mano sulla sua, ma questo non sembrò ammorbidire papà: continuava a tenere la testa bassa, i muscoli del viso tesi in un’espressione più che infuriata.

«Papà… cosa c’è?» gli chiese Kira, preoccupata.

«Quel… Quel figlio di puttana… ce l’ha fatta… bastardo… eppure io… io avevo distrutto tutto… quel pezzo di merda è riuscito nel suo intento…»

Era come se stesse parlando da solo: eppure capimmo tutti a chi si stava riferendo, senza risparmiarsi in epiteti offensivi.

Il dottor Gelo era stato per molto tempo una sorta di arci-nemico per mio padre: da quando mio padre scoprì i suoi primi esperimenti, Gelo fece di tutto per farlo stare zitto. Prima di poterlo screditare definitivamente, prima di farlo sparire dai radar della comunità scientifica e non, erano arrivati allo scontro in tribunale: pare che Gelo avesse anche assunto un sicario, per “zittire” mio padre definitivamente, ma di questo papà non ce ne hai mai voluto parlare approfonditamente.

Sta di fatto, che lo scienziato pazzo aveva giurato vendetta contro mio padre, nel momento in cui fu mostrato al mondo la realtà dei suoi esperimenti: ed ora, era tornato, minacciando il mondo con dei cyborg altamente avanzati, dotati di un immenso potenziale distruttivo.

«Signor Ryder, si sente bene?» Anche Pamela provò a far uscire mio padre da quel suo improvviso isolamento emotivo.

Papà poggiò quindi i gomiti sul tavolo e mise la testa tra le mani: dopo di che si spinse indietro sulla sedia, sospirando rumorosamente.

«Non è nulla Pamela, tranquilla…» disse, massaggiandosi le tempie «Sono solo un po’ sconcertato, ecco tutto.»

“Un po’” era decisamente riduttivo, secondo me.

Il resto della serata proseguì in silenzio. Ogni tanto io e Pamela ci scambiavamo degli sguardi, quantomeno per sostenerci vicendevolmente nel nostro disagio.

Arrivò poi il momento in cui dovette tornare a casa.

Stava per uscire, quando si voltò nuovamente verso di me: «Con chi ti allenerai?»

«Uhm… beh… con te, come al solito…»

«Sii sincero. Lo so capisco quando menti, anzi, credo lo capirebbe anche un sasso.»

«EHI!»

«Se scherzi tu, posso scherzare anch’io, no?» mi rivolse uno dei suoi sorrisetti beffardi.

«Comunque, si, mi allenerò sia con Crilin che con Goku, Gohan e Piccolo. A questo punto hai ben due motivi per telefonare a casa Son domattina.»

«E quale sarebbe il secondo?»

«Avvisare il tuo maestro che ora dovrà ricominciare a sopportarti.»

«Stupido.»

Ci guardammo per un istante: potei vedere la determinazione nel suo sguardo ardere come mai prima di quel momento. La accompagnai fino al cancello, dove mio padre stava parlando con Mark, il padre di Pamela: notai che papà stava fumando un sigaro, cosa piuttosto inusuale.

«Allora, a domani.» mi disse, prima di attraversare il cancello.

«A domani.»

Guardai la macchina allontanarsi nella notte: qualche centinaio di metri e avrebbe svoltato, per poi arrivare a destinazione.

Fu allora che il fumo mi penetrò letteralmente le narici, e mi ricordai che c’era anche papà lì.

«La vostra è veramente una bella amicizia. Sai, lo era anche quella tra me e tua madre…»

«PAPÁ!» mi voltai, imponendogli di smetterla immediatamente.

Non che Pamela non fosse una ragazza carina, per carità: i suoi capelli rossi mi piacevano da morire, così come i suoi profondi occhi neri; il suo fisico, che anni di allenamento avevano reso perfetto già a questa età; il suo sorriso e le sue risate che mi rasserenavano le giornate; le battute e gli scherzi che ci facevamo; i nostri modi di essere così perfettamente compatibili…

Ma era un’amica. Anzi, era la mia più cara amica: non riuscivo proprio a concepirla come la mia ragazza.

La cosa mi prese al punto che per poco mi dimenticai cosa volessi chiedergli: per fortuna non accadde.

«Come mai stai fumando?»

«Perché me lo domandi?» mi rispose, quasi irritato.

«Beh, non ti fa bene…»

«Ti ringrazio, ma non serve che ti preoccupi…»

Non tenne conto del fatto che non avessi ancora completato la mia domanda:

«… ma soprattutto, cosa ti preoccupa?»

Sapevo che papà fumava solo sotto grande stress: normalmente succedeva quando si bloccava su un progetto che avrebbe dovuto completare in fretta, e quando si avvicinava la data di consegna iniziava a fumare, per rilassare i nervi.

Ma stasera era diverso: non aveva alcun progetto in ballo, e veniva da un periodo assolutamente tranquillo e rilassato.

Sospirò, e per un istante rimase in silenzio. Poi mi rispose.

«Lo sai benissimo anche tu cosa mi preoccupa, figliolo.»

«È per la storia del dr. Gelo, vero?»

Lui annuì, tristemente.

«La mia più grande preoccupazione è la vostra incolumità: quel pazzo ce l’ha evidentemente con Goku, ed è per questo che si è evidentemente prodigato per creare certi mostri. Ma il giuramento di vendetta lo ha fatto a me, per quello che gli ho fatto ancora prima che si desse alla macchia: e credo che neanche tu, in questo momento, possa essere in grado di difenderti da questi mostri, per quanto tu sia attualmente quello più adatto a difenderci. Ma la cosa che mi fa ancora più male, è l’idea di dover affrontare quelle che sono, senza dubbio, delle vittime esse stesse.»

A quel punto mi incuriosii: «Che intendi per “vittime”, papà?»

«Sai che differenza c’è tra un cyborg e un androide, Daniel?»

Io gli feci cenno di no con la testa: nonostante avessi un padre esperto nel settore, non mi ero mai posto il problema di approfondire. Ora stavo rimpiangendo la cosa.

«Avrei dovuto regalarti anche qualche libro di robotica da piccolo, ma tua madre diceva che poteva risultare troppo complesso anche per un ragazzo intelligente come te, ma vabbè…» fece un altro tiro dal suo sigaro, poi riprese «Dire “androide” è come dire robot: si tratta di una simulazione di umanità, ma è solo un insieme di componenti e circuiti volti a simulare un essere vivente, come può esserlo un animale o un essere umano. Ma resta una macchina, un computer che deve seguire un programma, costruita da zero e priva di qualsivoglia umanità: ci sono casi di androidi che simulano le emozioni umane, come il numero 8 del Dr. Gelo che ora vive al villaggio Jingle sotto il nome di Ottavio, caso che ho analizzato con piacere tempo fa. Ma si tratta di casi isolati: almeno, sempre che non siano creazioni di quel pazzo…»

Si prese un attimo di pausa: parlare di quello scienziato gli pesava evidentemente molto.

«Il Dr. Gelo è sempre stato un maestro nel campo della robotica, bisogna concederglielo: i suoi robot sono così ben realizzati da poter arrivare anche a percepire una simulazione di emozione, come Ottavio. Ma la sua megalomania lo ha evidentemente spinto oltre…» fece ancora un tiro, più deciso «E qui giungiamo ai cyborg: un cyborg è un essere vivente, al quale vengono applicate componenti robotiche, potenziandolo enormemente. Sull’uomo, potrebbe essere una procedura benefica, se si tratta di recuperare invalidi o malati. Ma quel bastardo, perdonami il termine, ha intuito un altro grande potenziale: quello bellico. Ora, per potenziare abbastanza un essere umano, per renderlo la perfetta macchina da guerra, serve una procedura delicata che mette a rischio la vita del soggetto stesso: lui di questa cosa non si è mai curato, ha subito sperimentato su molte persone che ha ucciso nei suoi continui fallimenti. Ma la cosa che più mi faceva schifo, non erano i suoi esperimenti: era l’idea che ci riuscisse.»

«E perché?»

«Perché avrebbe costretto il nuovo cyborg a rinunciare completamente alla sua umanità: lo avrebbe trasformato in un mostro dall’immenso potere, privandolo della sua precedente esistenza. Lo avrebbe lasciato cosciente di essere stato un umano, ma lo avrebbe costretto a vivere una vita da macchina. Per questo soffro all’idea di doverli affrontare in battaglia: mi sembrerebbe di eliminare una vita innocente. Capisci, ora?»

A quel punto rimasi di sasso: il suo ragionamento non faceva una piega. Era difficile dubitare, poi, del suo stesso fondamento: le sue conoscenze nel campo della robotica erano indiscutibili.

In quel momento mi ritrovai a pensare a cosa avrei potuto fare contro quegli esseri.

«Sarò sincero con te, figliolo…» disse improvvisamente mio padre «Un cyborg bellico è già una bella gatta da pelare: immagina ora che questo sia costruito appositamente per uccidere Goku e tutti voi guerrieri.»

Lo guardai negli occhi e capii al volo cosa mi voleva dire: non sarebbe bastato neanche l’allenamento più duro, almeno nel mio caso.

«Posso ancora percepire le aure, non ho dimenticato ciò che imparai, e la tua è diventata molto più potente di quanto potessi immaginare: ma non credo ti basterà. Per questo ti serve imparare delle tecniche per accrescere la tua aura immediatamente ed enormemente.»

Continuai a guardarlo negli occhi, la curiosità che ora aveva preso il sopravvento.

«Qualche anno fa ti parlai di anni per apprendere certe tecniche meditative: bene, ora ne abbiamo tre, saranno più che sufficienti.»

A questo punto mi rivolse un sorriso. Poi si voltò e rientrò in casa.

«Domattina in piedi alle sei.» disse, prima di varcare la soglia.

Io rimasi per un attimo fermo, ancora vicino al cancello: alzai lo sguardo al cielo, guardando la volta stellata sopra di me.

In quel momento mi sentii piccolissimo: un mondo enorme di estendeva sopra, a fianco, dietro e sotto di me, ed in quel momento non ero altro che un piccolo frammento dello stesso, mentre un gigantesco ostacolo si avvicinava sempre di più.

Fu in quel momento, che parole vecchie ormai di cinque anni mi risuonarono nella mente:

“Quando vi capiterà di sentirvi minuscoli di fronte ad ostacoli insormontabili, ricordatevi sempre che è inutile arrendersi di fronte ad essi, poiché non sono insuperabili, non lo sono e non lo saranno mai.”

Sentii una lacrima scendermi lungo la guancia: papà aveva, ha, e avrà sempre ragione.

Strinsi i pugni, lo sguardo fisso verso l’enorme distesa scura sopra di me, decorata da tutti quei puntini luminosi: anche loro erano piccoli, visti da questa prospettiva.

In quel momento mi sentii invincibile: non avrei permesso a niente di abbattermi, a prescindere da quante volte mi sarei dovuto rialzare o a quanta fatica avrei dovuto fare.

Non sarei più caduto vittima delle mie insicurezze.

Mai più.

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Il mattino seguente…

Mi recai con mio padre nel bosco, finché non raggiungemmo una radura ormai a me fin troppo familiare: quella piccola radura circolare, che in cinque anni era rimasta praticamente immutata, tranne forse per qualche muschio o rampicante in più sulla corteccia degli alberi.

«Forse ti sarai chiesto perché stamattina non abbiamo immediatamente meditato…» mi chiese mio padre.

«In realtà credevo avremmo meditato qui.»

«Beh, non ti sbagliavi, ma questa volta sarà un’esperienza diversa…»

A quel punto si sedette sull’erba e mi fece segno di fare altrettanto: mi sedetti di fronte a lui.

«Ora, esegui la stessa procedura di sempre: ricordati di non aver fretta a sincronizzarti con il mio respiro…»

Feci come aveva detto.Ma non appena anche lui poté percepire che eravamo sincronizzati, ed eravamo pronti ad armonizzarci con l’energia attorno a noi, improvvisamente parlò, con molta calma e pacatezza, per non rovinare il momento:

«Ciò che stiamo per fare è un procedimento semplice, ma molto dispendioso, quindi non spingerti oltre se senti di non farcela più. Ora, fa attenzione: non appena avrai la percezione dell’energia attorno a te, dovrai fonderti con essa, cercando di aggiungere alle percezioni che hai, quella della tua stessa energia vitale. Sarà come un’esperienza fuori dal corpo, ma una volta compiuto, questo processo potenzierà all’istante la tua energia, aggiungendo una parte di tutte le altre che hai percepito nel flusso, rendendo la tua aura automaticamente più potente. Questo processo dura almeno per 24 ore e, una volta che sarai pratico, brevissimo da eseguire. Ora, prova.»

Memorizzai quelle parole all’istante, e recuperata la sincronizzazione con il suo respiro, mi immersi completamente nella meditazione, percependo immediatamente il flusso di energia proveniente dalle montagne, anch’esso rimasto praticamente invariato nel corso degli anni: i miracoli di madre natura.

Non appena fui completamente in armonia con il flusso, mi accorsi che cercare me stesso diventava ora complicato: sapevo di esserci, mi sentivo lì, eppure non riuscivo a sentire niente di me.

Mi accorsi che nel tentare l’equilibrio con il flusso si stava già perdendo: mi prodigai immediatamente per riarmonizzarmi ad esso.

Ma ora c’era parecchia tensione.

Papà aveva detto che non sarebbe stato facile: in compenso, ho smesso di preoccuparmi del tempo che passa, il che è decisamente un fattore di stress in meno.

Ma ora l’armonia che c’era tra me e il flusso non è più la stessa: non sto più mettendo tutto il mio impegno nel mantenerla, e questo inizia a sentirsi.

Inizio a sentire le spalle appesantite, e mi accorgo che non è la tuta: non la sto nemmeno indossando in quel momento, ho su una normale tuta sportiva.

Sentii che la mia connessione con il grande flusso di energia stava andando deteriorandosi.

La testa iniziò a farmi male, percepì i miei muscoli iniziare a vibrare, come in preda a piccoli spasmi.

Forse avrei dovuto interrompere il processo prima di farmi male, ma qualcosa dentro me mi spinse a continuare.

Cercai di sopprimere il dolore, per quanto forte si stesse facendo, e cercai di riarmonizzarmi al flusso: con fatica riuscii a farlo, nonostante la situazione non fosse migliorata.

Ad un certo punto i miei muscoli ebbero uno spasmo più forte: ora la stanchezza iniziava a farsi sentire più prepotentemente, ma feci di tutto per mantenermi in armonia con il flusso.

Non credevo che, meditando, avrei mai provato un simile dolore: era incomparabile ad ogni dolore fisico che avessi mai subito. Era quasi un dolore fittizio, quasi un’illusione della mia mente, ma decisamente realistica.

Alla fine, provai ancora. Nel momento in cui provai a percepire la mia stessa energia, il dolore si acutizzò improvvisamente, come se un trapano mi stesse bucando il cervello. Fui sul punto di crollare.

Ma insistetti, nonostante mi sentissi letteralmente bucare il cranio.

Finché, ad un certo punto, come un lampo nel buio, avvertii una nuova presenza: era come un piccola particella di pulviscolo in un grande oceano.

Mi concentrai su di essa, per capire cosa effettivamente fosse: non appena la raggiunsi, e mi resi conto da dove proveniva, essa si espanse improvvisamente, pervadendomi completamente e aggregandosi al flusso.

I dolori e gli spasmi sparirono all’istante: in quel momento, mi sentii legato come non mai al flusso energetico, e capii che ce l’avevo fatta.

La mia energia era sgorgata fuori da me come l’acqua dalla sorgente, e dopo qualche gocciolina era straripata fuori, fondendosi con il resto del flusso.

In quel momento aprii gli occhi, e lo feci come fosse la cosa più normale del mondo: niente shock, niente ritorno alla realtà. Potevo ancora sentire il flusso intorno a me, come se stessi ancora meditando. Ma soprattutto, la mia aura si era enormemente accresciuta: sentivo dentro di me un potere straripante, che sembrava poter non finire mai.

Fu allora che la lasciai uscire, generando un alone di un bianco intenso, carico d’energia, e l’onda d’urto che si creò arrivò perfino a piegare gli alberi che ci circondavano, come durante una giornata di vento forte.

Notai mio padre, che era ora scivolato all’indietro, poggiandosi sui palmi: mi guardava con gli occhi sgranati dallo stupore.

«Non è possibile…» disse, tenendo la voce bassa. Ma lo sentii comunque, e il mio orgoglio ne fu più che felice.

In quel momento lo sfogo d’aura terminò, e l’alone attorno a me scomparve: ma rimase quell’incredibile potenza che sentivo dentro me.

«Beh… Non è stato così difficile…» gli dissi, mentre si rialzava, giusto per sdrammatizzare. In realtà fu uno degli sforzi più grandi che avessi mai compiuto, e la soddisfazione per esserci riuscito al primo tentativo era veramente tanta.

Lui mi guardò, ancora con gli occhi piuttosto aperti dallo shock. Poi la sua espressione si addolcì, e fece un mezzo sorriso che mi fece immediatamente capire come si sentiva in quel momento: profondamente orgoglioso.

Non fu necessario il luccichio che si formò nei suoi occhi a farmelo capire, ma servì solo a far piangere anche me.

Ci guardammo per qualche istante, entrambi sorridenti e sull’orlo delle lacrime.

Finché papà fece un gesto che non mi aspettavo assolutamente: tenendole all’altezza dei pettorali, avvolse la mano sinistra, chiusa in un pugno, nella mano destra, e si inchinò.

Io ricambiai immediatamente, ma rimasi comunque scioccato: quello era un inchino formale che papà insegnò a me e Pamela i primi giorni, lo stesso che lui eseguiva davanti ai nonni o al maestro Muten stesso, e che ora stava rivolgendo a me.

In quel momento capii che traguardo avessi raggiunto: ero diventato più forte del mio vecchio, tanto da meritarmi il suo inchino. A quel punto però, non ressi le lacrime, e lo abbracciai.

Non dimenticherò mai quel momento: mi sentivo legato a lui più che mai. Quando ci separammo, mi diede una pacca sulla spalla, sempre con quel mezzo sorriso in volto che mi dava grande soddisfazione.

«Andiamo dai, almeno non salteremo il pranzo…» mi disse, facendomi l’occhiolino.

Lo guardai ancora con gli occhi intrisi di lacrime: anche se non avessi raggiunto certi traguardi, avrei comunque avuto un padre per il quale essere orgoglioso.

Ci avviammo poi verso casa, in silenzio: tutto quello che ci potevamo dire, lo avevamo già detto.

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2 ANNI DOPO…

«Però! Niente male davvero!» disse entusiasticamente Goku.

«Beh… neanche tu sei così male…» biascicai scherzosamente al saiyan. La fatica iniziava a farsi sentire: lui invece pareva ancora fresco come una rosa.

«Migliori ogni volta che ci vediamo! E quella cosa che riesci a fare con la meditazione è decisamente fenomenale!»

«Beh, se ti piace tanto posso darti un’altra dimostrazione…»

Mi concentrai per qualche istante e in un attimo mi sentii nuovamente pieno di energia.

Come al solito, la mia aura crebbe a tal punto che l’onda d’urto che generò la sua fuoriuscita fu veramente molto forte. Tanto che gli spettatori a terra ebbero, giustamente, da ridire:

«Ehi, fenomeno! Noi staremmo semplicemente guardando, non partecipando!» gridò un’esasperata Pamela.  Al suo fianco Gohan, che ora sorrideva alla sua reazione, e un sempre stoico Piccolo.

Le feci una linguaccia in risposta: sarà che dopo due anni passati solo ad allenarsi, tempo per crescere ce ne era rimasto poco. A volte sembravamo ancora i bambini che giocavano nel bosco.

Mi girai nuovamente verso Goku, che ora aveva assunto una posa di difesa.

Non mi servì altro.

Mi lanciai su di lui con tutta la forza che avevo, provando a colpirlo alla più alta velocità possibile: lui riusciva a schivare o a parare tutto.

Finché ad un certo punto non mi fece andare a vuoto: per l’inerzia del pugno che avevo provato a dargli, a causa della sua schivata improvvisa ora mi trovavo esattamente sopra il suo ginocchio.

Ma non era ancora il momento di perdere: quello non sarebbe dovuto arrivare mai, per come la vedevo io.

Mi proiettai immediatamente dietro di lui, cercando di colpirlo con una gomitata dall’alto: fu comunque più svelto e me la parò, e da lì ripresi a TENTARE di colpirlo.

Vedevo che stava veramente facendo fatica a contenere il mio assalto: rimaneva molto più forte di me, eppure ero comunque riuscito a metterlo in difficoltà.

«Ok, ora però voglio divertirmi anche io!»

Rimasi sorpreso dalla calma con cui lo disse: abbastanza dal non vedere il suo pugno che, una volta fermato il mio calcio, mi colpì dritto allo stomaco.

Era un duello d’allenamento, niente di pericoloso: ma fece comunque malissimo.

Provai a rispondere, ma lui si proiettò dietro di me caricando un calcio con la gamba sinistra che puntava  dritto alla mia testa. Riuscii a pararlo, facendomi scudo con il polso ma mi accorsi che si trattava solo di una distrazione: ad una velocità esorbitante, me lo ritrovai dall’altro lato.

Con un pugno mi ritrovai faccia a terra.

«Va bene Goku, hai vinto tu. Ancora.»

«Eh-eh, sei diventato molto forte, ma ne hai ancora di strada da fare! Tu che dici Piccolo?»

Il namecciano mi guardò con la sua solita austera espressione: lì mi fu chiaro come lui e il Supremo potessero essere due parti della stessa entità.

«Non è un caso se il Supremo lo ha voluto addestrare: già quando atterrarono Vegeta e Nappa ci sarebbe potuto essere di grande aiuto. Per essere un terrestre, ha un grandissimo potenziale.»

Le parole di Piccolo mi inorgoglirono: un complimento da parte sua era cosa più unica che rara. In effetti, quei due anni passati da quando appresi come accrescere la mia aura attraverso la meditazione, non avevo fatto altro che allenarmi: o con Pamela al lago, o con Crilin (che ho ormai quasi superato in quanto a forza) alla Kame House, o qui al Monte Paoz con Goku, Gohan e Piccolo.

Sia io che Pamela eravamo decisamente cambiati: per quanto riguarda me, non solo notai i primi peli sulla mia faccia, ma anche che le spalle larghe tipiche della mia famiglia stavano iniziando a farsi vedere.

“Almeno non sarò mai grosso come Tensing: quello sarebbe esagerato!” avevo pensato una sera.

Per quanto riguarda Pamela era lei quella su cui la pubertà stava portando gli effetti maggiori: nonostante ostentasse sempre abbigliamenti da maschiaccio, ora era una copia spudorata di mia sorella, solo con i capelli corti e rossi. Senza contare il suo caratterino, che ora mi era chiaro come regolarmente diventasse più acido e rabbioso almeno una volta ogni mese: non mi sono mai posto il problema di chiederle il perché, e non penso glielo chiederò mai se rischio di essere strangolato ogni volta.

Fu proprio lei a parlare, subito dopo Piccolo:

«Inizio a sentirmi decisamente l’ultima ruota del carro…»

«Ehi, su col morale!» le disse Goku, avvicinandosi a lei «Dov’è finita la Pamela che mi implorava di insegnarle a volare? Alla fine ricordati che sei molto più forte di tante persone che vivono sulla terra!»

Lei sorrise alla dimostrazione d’affetto del suo vecchio maestro: capivo perfettamente la sua frustrazione, viste le differenze che iniziavano a farsi marcate perfino tra noi due, e all’arrivo dei cyborg mancava solamente un anno.

«Ha ragione maestro… ehi, Gohan, ti va di lottare?»

Il giovane figlio di Goku le fece un cenno con la testa per dirle si, e andarono a posizionarsi uno di fronte all’altro in mezzo alla radura in cui ci trovavamo.

Li guardai per qualche istante, poi crollai: nonostante mi fossi potenziato, e l’effetto fosse ancora decisamente in atto, lo scontro con Goku mi aveva stremato.

Mi sdraiai per terra: mi dispiacque smettere di assistere allo scontro, mi sembrava che Pamela fosse riuscita ada andare in vantaggio sul giovane saiyan, il che sarebbe stato un gran risultato, ma non ce la facevo proprio più. Rimasi poi in silenzio per diversi minuti, fissando il cielo.

«Ancora non riesco a credere che quello scienziato che mi ha fatto incontrare tuo padre fosse proprio lo stesso Dr. Gelo che ora ce l’ha con me.» mi disse improvvisamente Goku.

Sobbalzai al suo improvviso commento: notai che si era seduto vicino a me.

«Guarda Goku, entrambi  gli avete in qualche modo rovinato l’esistenza: papà gli rovinò la carriera di scienziato, tu invece distrussi  l’unica organizzazione che gli aveva permesso di andare avanti con il suo “lavoro”.» enfatizzai fortemente quell’ultima parola.

«Uno direbbe che i cattivi siete stati voi, se la si racconta così, ma poi quando scopri cosa è in realtà quell’uomo… beh, lo odierebbe chiunque, anche chi come me non lo ha mai visto dal vivo. » conclusi, dando decisione a quell’ultima affermazione.

«E come dargli torto!» aggiunse il saiyan.

Gli feci un mezzo sorriso: a parlare di quelle cose non riuscivo a mantenermi allegro come lui. Avrei potuto imparare molte altre cose da lui, non solo le arti marziali.

A quel punto sentii vibrare qualcosa: capii immediatamente di cosa si trattava. Corsi verso lo zaino che ci eravamo portati dietro e presi il cellulare: era arrivato un messaggio da mia sorella.

-A casa, velocemente! Cena in tavola, mamma arrabbiata >:-(

Non avevo neanche fatto caso che era già ora di andare!

«Pamela! Dobbiamo andare!» le gridai.

«Com-OUCH!» gridò prima di finire a terra, colpita da un calcio di Gohan.

«Oh, scusami tanto, avrei dovuto fermarmi…» provò a scusarsi il piccolo.

«Non preoccuparti Gohan, non è colpa tua…» disse, rialzandosi «piuttosto QUALCUNO poteva evitare di distrarmi no?!»

Cercai di divincolarmi dalla stretta in cui il suo sguardo omicida mi stava stringendo: «S-Scusa… Ma c-ci rivogliono a c-casa…»

«State tranquilli, vi accompagno io!» disse Goku.

«Grazie, maestro! Almeno qui qualcuno sa essere sempre utile!» mi rinfacciò Pamela.

«EHI!» gridai, indignato.

«Presentatevi così ai cyborg, magari riuscite ad essere così fastidiosi da costringerli ad arrendersi all’istante.» disse Piccolo, dopo aver passato un’eternità in silenzio, lasciandoci entrambi nel più profondo imbarazzo.

«Vabbè, ciao Gohan! Ciao Piccolo! Alla prossima!»

Non appena li avemmo salutati, ci aggrappammo alla tuta di Goku e in una frazione di secondo ci ritrovammo davanti casa mia.

«Siete stati ottimi oggi ragazzi! Fateci sapere quando ripassate!»

«Senz’altro, Goku!» gli risposi, prima di vederlo scomparire nuovamente.

Io e Pamela ci guardammo per un istante.

«Domani da Takeshi alla solita ora? Anche se non credo ci faccia bene portarci come pranzo al sacco il ramen d’asporto…»

«A quel prezzo mi porterei dietro qualunque cosa!» le risposi, scherzosamente indignato. Lei sorrise.

«Allora ci vediamo domani!» disse, prima di iniziare a correre verso casa.

«Certo, ciao!» le urlai, prima che si dileguasse.

A quel punto varcai il cancelletto di casa, e arrivato alla porta, entrai. La sfuriata che mi attendevo arrivò puntualissima: mamma si lamentò che aveva passato tutta la giornata a preparare l’anatra e che ora per la mia sfrenata mania di combattere avrei mangiato la cena fredda.

“Poco male…” pensai: mi aspettavo decisamente qualcosa di più veemente.

La serata proseguii tranquillamente. Dopo essermi lavato, scaldai l’anatra e le patate al forno nel microonde per il disappunto di mamma e mangiai, dopodichè mi misi con papà a vedere la Tv. Mentre ero sul divano, ricevetti un altro messaggio:

-Ehi amico! Domani ti va di passare alla Kame House?

Era Crilin: da quando avevo iniziato a batterlo spesso era più lui a cercare me. Non che la cosa mi dispiacesse: ormai lo potevo considerare alla stregua di un migliore amico. Credo gli venisse naturale, visto che valeva non solo per me, ma anche per Bulma, Goku e Yamcha, e forse anche per Tensing e Reef.

Digitai:

-Stavo per scriverti! Facciamo tra un paio di giorni? Per domani sono già d’accordo con Pamela!

La sua risposta non tardò ad arrivare:

-Ok! E stavolta fidati che non ne vincerai neanche una! ;)

-Lo vedremo! E ti prego, dimmi che lo fai apposta a mettere gli smile senza il naso! :-D

-Sei sempre il solito spiritosone. Ci vediamo tra due giorni!

A quel punto decisi di andarmi a riposare: quella conversazione mi aveva solamente ricordato quanto fossi impegnato in quel periodo.

Finché papà non sobbalzò sulla poltrona: «Daniel! Devo dirti una cosa!»

Mi voltai, incuriosito.

«Bulma ha avuto un figlio!»

«COSA?!»

«Si! Sono dovuto salire nei quartieri residenziali per parlare con suo padre, e ho origliato tutta la conversazione finché non mi hanno beccato… Ovviamente ero giustificato, ma mi è permesso di dirlo solamente alla mia famiglia, ed è una promessa che onorerò.» disse, facendo l’occhiolino.

«E come si chiama?»

«Trunks, è un maschio.»

«PFFFFFFFF! Ma che nome è?»

Poi mi ricordai di chi fosse la madre.

«Ma ancora non sai chi è il padre… e qui arriva il bello, ragazzo…»

Non appena ebbe pronunciato quel nome, mi si ribaltò il mondo: chi lo avrebbe mai detto? Questo voleva dire che si univa ai buoni? Che aveva abbandonato ogni forma di malvagità?

Con queste domande riuscii quantomeno a togliermi dalla testa la prospettiva degli allenamenti che mi aspettavano. Sprofondai letteralmente nel letto, e caddì immediatamente in un sonno profondo.

ͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻ

Mi svegliai in una landa desolata: era come una foresta in fiamme.

Mi guardai intorno e riconobbi lo scenario: ero nella radura circolare, ma era completamente bruciata, così come la foresta intorno ad essa.

La montagna rifletteva i bagliori delle fiamme, il fumo oscurava il cielo.

Mi voltai davanti a quella terribile vista, solo per incontrarne una peggiore: la foresta bruciata ora mi premetteva di vedere Pepper Town e tutta la valle che si distendeva davanti ad essa. Tutto ricoperto dalle fiamme.

È SEMPRE PIÙ VICINO…

Quella voce: mi voltai, ed era al mio fianco. Si voltò poi verso di me, guardandomi negli occhi con quei due terrificanti globi rossi: sarà stata alta almeno tre metri, escludendo la coda che si muoveva sinuosa dietro di essa.

IL TUO FALLIMENTO…

La sua voce risuonava nella mia testa, mentre la sua bocca si aprì, mostrando i lunghi denti aguzzi in un sadico sorriso: per una volta potei vedere piuttosto bene la sua testa, che mi ricordava vagamente quella di una lucertola.

SARÁ IL MIO SUCCESSO…

Allungò improvvisamente la mano: le fiamme attorno a noi aumentarono improvvisamente di intensità, e dal cielo iniziarono a piovere meteore. Feci fatica  a tenere gli occhi aperti, tra il calore generato dalle fiamme e le splosioni causate dalla caduta delle meteore, le cui cadute mi portavano spesso a perdere l’equilibrio.

L’ombra rimase immobile, al suo posto, fissandomi con quel suo sorriso maligno. Ricambiai coraggiosamente il suo sguardo finché da cielo non si udì un forte fischio, e una meteora gigantesca squarciò le nuvole e colpì Pepper Town in pieno, distruggendola completamente, generando un’enorme esplosione che mi avvolse completamente nella sua luce, senza nemmeno darmi la possibilità di gridare.

IO TORNERÒ.


NOTE DELL’AUTORE
Sbadabam! Buonasera a tutti! Eccoci con il diciassettesimo capitolo! La preparazione per l’arrivo dei cyborg è cominciata! Daniel sarà aiutato da questo nuova tecnica? Giusto per mantenere un atmosfera alla Dargon Ball, lo scopriremo solo nella prossima puntata!

Come sempre, spero che questo capitolo vi sia piaciuto. Una sola info: a capitoli pronti, sono praticamente arrivato alla saga di Majin Bu, e pensavo di tornare a fare aggiornamenti più frequenti… Nel caso, fatemi sapere, o in una recensione oppure con un semplice messaggio privato.

Come detto sopra, ogni recensione è ben accetta! Soprattutto se avete suggerimenti e/o critiche che possano aiutarmi a migliorare.

Dragon Ball è proprietà di Akira Toriyama, non mia.

Alla prossima!

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Capitolo 18
*** Androidi ***


CAPITOLO DICIOTTESIMO- ANDROIDI

Al suonar della sveglia fui immediatamente scattante: scesi dal letto, andai in bagno, mi lavai, indossai i miei vestiti con i pesi e uscii da camera mia. Nel frattempo notai che si erano già mobilitati tutti: mamma e papà e Kira erano già in piedi per organizzare il bunker, come d’accordo.

Per papà la prudenza non è mai stata troppa, anche se vederlo preparare il rifugio in caso di una nostra sconfitta, non fu assolutamente confortante.

“Dovrebbe essere qui a minuti” pensai, e proprio in quel momento il campanello suonò: aprii la porta e trovai Pamela, anche lei con uno sguardo di elevata concentrazione in volto.

La feci entrare.

In quel momento notai che era già tutto pronto. Era giunto il momento.

«Mi raccomando, cercate di stare bene, anche se vi lascio con Pamela…» dissi, sdrammatizzando.

Lei nemmeno rispose acidamente come al solito: forse non se la sentii di andare oltre ad un accenno di sorriso.

«Oh, bambino mio!» disse mia madre, molto teneramente, stringendomi tra le sue braccia. Per una volta potei comprendere perfettamente la sua apprensione, mentre le sue lacrime mi bagnavano la canotta.

Poi si aggregò anche mia sorella all’abbraccio. Una volta che ci fummo staccati, nonostante le lacrime che le riempivano gli occhi, il suo sguardo era pieno di orgoglio e determinazione.

«Fagli il culo, fratellino.» disse, senza mezzi termini.

Ricambiai il suo sguardo, cercando di farle intendere che avrei fatto il possibile per esaudire la sua richiesta.

A quel punto, feci per uscire, ma mi fermai sulla soglia: volsi lo sguardo verso Pamela, e verso mio padre. I loro occhi erano carichi di speranza, ma anche di rammarico per non poter prendere parte a questa battaglia: una sensazione che comprendevo fin troppo bene.

«Fatti valere, Daniel.»  fu l’ultima cosa che sentii, prima di uscire e prendere definitivamente il volo. Fu Pamela a dirla: mio padre non mi disse nulla, ma bastarono i suoi sguardi a trasmettermi comunque grande fiducia.

Ora che quel giorno era arrivato, la mia mente era vuota: nemmeno il vago ricordo di quell’incubo che ebbi un anno fa, che prevedeva il mio fallimento, riuscii a distogliere completamente la mia attenzione dall’obbiettivo primario: eliminare i cyborg. Mi accorsi, sorridendo, che stavo ragionando come una macchina.

“Forse pensando come loro li posso battere più facilmente, no?” pensai, semi seriamente, mentre la mia velocità in volo era aumentata ancora.

Mi era dispiaciuto lasciare a casa Pamela, ma era una decisione che aveva preso con il consenso di Goku, che avrebbe anche lui voluto portarla sul campo per mettere in pratica l’addestramento. Pamela, molto saggiamente, si era invece proposta di aggregarsi alla mia famiglia, in caso il buon dottore avesse organizzato qualcosa anche per noi Ryder, a fare da supporto a mio padre.

Mentre ero ancora immerso nei miei pensieri, percepii alcune aure familiari: mi aggregai al gruppetto in volo, formato da Goku, Crilin, Piccolo e Gohan.

«Buongiorno gente!»

«Definisci “buongiorno”.» disse sarcasticamente Crilin.

«E dai, non essere ostile con me! Ricordati che sono un tuo alleato!»

«Daniel,» intervenne improvvisamente Piccolo «ricordati che c’è un confine tra sdrammatizzare e non prendere sul serio una cosa: stai attento a non superarlo.»

A quel punto mi zittii: compresi che non c’era proprio voglia di far battute.

«Dai, stai tranquillo.» mi disse Gohan, avvicinandosi «Non è un problema prendere le cose sempre con il sorriso! A me poi le tue battute piacciono!»

E con quello mi regalò un sorrisone tipico del bambino che ancora era, pieno di innocenza e buoni sentimenti.

«Grazie Gohan. Oh, mi sa che siamo arrivati!»

Infatti lo eravamo: potei immediatamente percepire l’aura di Yamcha. Con lui c’erano altre due aure decisamente fuori contesto: una era quella di Bulma, una invece troppo piccola per essere di un guerriero. Dedussi che potesse essere del piccolo Trunks. Ma sapevo di essere l’unico a sapere della cosa.

Ovviamente, quando atterrammo, fu la prima cosa che cadde sotto gli occhi di tutti: Bulma che teneva in braccio un piccolo bambino, che timidamente si nascondeva ai nuovi arrivati.

Ovviamente gli altri furono tutti sorpresi, tranne Piccolo, cosa che attribuii al suo solito fare stoico, e sorprendentemente anche Goku, che addirittura lo chiamo per nome!

«Scusa come facevi a saperlo?!» gli chiese una straniata Bulma «gli unici qui potevamo essere io, Yamcha e…»

«Io.» dissi dalla roccia su cui mi ero seduto, alzando il braccio.

«Tu?» mi chiese l’azzurra, attonita.

«Già.»

«Ma come…»

«Papà.»

«Ah già. Me lo ero scordata…»

Per fortuna di Goku, si dimenticò anche di chiedergli come facesse ad avere quelle informazioni, poiché l’arrivo di Tensing ci distrae tutti. Con lui non c’era Reef: ci disse che non era pronto, e che per precauzione lo aveva lasciato alla Kame House.

Da quel momento iniziò la nostra attesa. Io, Gohan e Crilin ne approfittammo per far divertire il piccolo Trunks: il piccolo rideva di gusto alle nostre smorfie.

«Di sicuro non ha preso il caratteraccio del papà!» dissi, poi, a Bulma.

«Guarda che alla fine è solo un gran brontolone… Tuo padre, da quando ha iniziato a costruirgli i robot per l’allenamento ha iniziato a stargli anche simpatico. Almeno, ha un modo tutto suo di dimostrarlo…»

Già, quei robot: dopo aver fallito nel tentativo di recuperare qualunque vecchio appunto del suo periodo di lavoro con il dottor Gelo, papà si era prodigato nel progettare androidi sempre più potenti, usando come cavia Vegeta.

E vista la mole di lavoro a cui lo costringevano, non dovevano essere stati un gran successo.

«A proposito, dov’è Vegeta?» le chiesi.

Bulma sospirò, quasi affranta.

«Un giorno ha preso ed è volato nello spazio per proseguire il suo allenamento… Da allora non si è più fatto vivo.»

«Ottimo direi!» dissi, sarcasticamente.

«Silenzio! Arriva qualcuno!» disse Piccolo.

«Che siano i cyborg? Sono ormai quasi le due e non si è ancora visto niente!» disse Gohan.

In realtà era Jirobei, venuto a per portarci qualche fagiolo Senzu per la battaglia. Non mi stupì più di tanto quando ci disse che non avrebbe preso parte alla battaglia: sapeva essere coraggioso, ma era cosa piuttosto rara. Se ci fosse stato Vegeta credo avrebbe avuto qualcosa da dire sulla questione.

Non appena riprese il volo, però, la sua navicella esplose, lasciandoci tutti sotto shock, e finì nel mare sottostante.

«Guardate! Sono loro!» gridò Piccolo.

Due figure erano discese velocemente a terra dal punto dell’esplosione.

«M-ma… non riesco a percepire niente!» gridò Goku.

«B-beh, sono cyborg, non dovrebbero avere un aura, no?» disse un balbettante Gohan, per la sorpresa di tutti.

«Allora non credo che abbiamo altre soluzioni se non dividerci, e cercarli alla vecchia maniera. Gohan, vai a controllare le condizioni di Jirobei!»

Annuimmo tutti, e ci dividemmo immediatamente, lasciando a Bulma i fagioli Senzu.

Atterrai in una via affollata, ma riuscii a passare quasi inosservato, visto che la gente aveva ancora con gli occhi rivolti al cielo per l’appena avvenuta esplosione, eccezion fatta per qualche passante piuttosto scioccato alla vista di un ragazzo volante. Mi misi immediatamente in movimento: cercando comunque di mantenere un basso profilo, camminai come se stessi passeggiando normalmente, mantenendo alta la concentrazione, pronto per qualunque cosa d’insolito.

Eppure, era come cercare un ago in un pagliaio: finché non mi ricordai, che potevo sfruttare un altro mezzo oltre quello della percezione dell’aura.

Se erano cyborg, erano comunque degli esseri umani, in parte, quindi dotati di una qualche sorta di energia vitale: mi sarebbe bastato un attimo per trovarli.

Saltai sul tetto di un palazzo, e non ci misi molto a cadere in trance: grazie alle mie nuove capacità di potenziamento, raggiungere l’armonia con il flusso era veramente un gioco da ragazzi.

Fui investito da un’ondata di percezioni, la maggior parte erano di passanti, tutti ancora piuttosto tesi. Riuscii a trovare immediatamente le aure dei ragazzi, Jirobei compreso, e fui sollevato dal fatto che fosse ancora vivo.

Poi, una piccola, strana percezione: aveva come una natura meccanica, precisa, metodica, e soprattutto malvagia. Ma non potevo applicarla a nessun essere vivente. Erano loro, o almeno, uno di loro: ma come era possibile, se erano due cyborg? A meno che…

Non fossero dei cyborg.

Feci in tempo a percepire anche Yamcha vicino a loro, che in quel momento una forte esplosione mi fece tornare alla realtà.

Capii immediatamente cosa stesse succedendo, e mi lanciai immediatamente sul luogo.

Quando arrivai sul luogo, lo scenario che mi si presentò davanti fu orribile, Yamcha, disteso a terra, con un enorme buco nel petto, ai piedi di due figure inquietanti:  un ometto basso e grasso, vestito con abiti pomposi e dalla pelle bianca, ma soprattutto, un vecchio dai lunghi capelli e baffi bianchi che riconobbi al volo. Ancora prima dell’insegna che portavano entrambi sui loro copricapi: “Red Ribbon” l’emblema dell’esercito del fiocco rosso.

Notai che anche gli altri erano lì. Crilin si caricò immediatamente Yamcha sulle spalle e volò via, verso Bulma e i fagioli Senzu.

«Daniel, che ci fai ancora qui? Vai con loro!» mi incitò Goku.

«Oh, allora non mi sbagliavo.» disse improvvisamente il vecchio «Non credevo ti avrei incontrato qui, ragazzo.»

Lo guardai, digrignando i denti: «Nemmeno io, ma almeno il contesto è quello che speravo, ossia quello in cui posso sperare di prenderla a pugni in faccia: è comunque un piacere anche per me, dr. Gelo.»

«DR. GELO?!» esclamarono gli altri.

«Ne sei sicuro, Daniel?» mi domandò Piccolo.

«Certo, sarà anche invecchiato rispetto alle foto d’archivio di mio padre, ma è lui: come sono convinto che, questi due, non sono neanche dei cyborg.»

Gli altri rimasero di sasso.

«C-Come?» chiese Tensing «E allora cosa sono?»

«Avete notato tutti che non hanno aura, no? Sarebbe normale: fortunatamente, le mie capacità di meditazione mi permettono di percepire l’energia vitale di ogni essere, e un cyborg ne sarebbe dotato, visto che si tratta di un essere umano potenziato o comunque alterato. Questi due non ne hanno: sono semplicemente due macchine.»

Il dottor Gelo sogghignò: «Buon sangue non mente, tuo padre è sempre stato brillante: se non fosse stato anche un rompiscatole figlio dei fiori, molto probabilmente oggi non saremmo qui, ed è un peccato vedere che ti ha passato anche questi suoi lati peggiori. Hai una visione veramente così negativa di me, ragazzo?»

«Di certo uno che sperimenta su esseri umani, consapevole che un fallimento significherebbe uccidere un innocente, solo per creare altri strumenti di morte, beh, personalmente, non lo considero come un eroe. Mi spieghi solo come ha fatto a trasferirsi dentro un robot, mi sembra un processo interessante.»

Cercai di apparire sicuro di me, nonostante in quel momento avessi i nervi a fior di pelle: ero ben consapevole che in ogni caso si trattava di esseri fortissimi, probabilmente ancora fuori dalla mia portata.

«Oh, è molto semplice.» disse, levandosi il cappello, e mostrando che parte del suo cranio era ora una teca, contenente un cervello umano.

“Ha trapiantato il suo cervello in un robot? Questo non è pazzo, è completamente folle!” pensai.

«Vedi ragazzo, già che sei qui e la conversazione mi sembra gradevole, mi sembra giusto spiegarti che questo non doveva succedere: purtroppo al posto mio e di C-19 ci sarebbero dovuti essere altri due miei progetti, che purtroppo sono risultati lievemente difettosi, quando si tratta di obbedire. Hanno anche rischiato di rovinare il mio altro piano per distruggere tuo padre e tutti voi Ryder: ma non ti preoccupare, tu e la tua famiglia vi ritroverete, comunque, all’aldilà.»

«Di che piano parli?! PARLA PAZZO!» gli urlai.

Finché non sentii una mano sulla mia spalla: mi voltai, e vidi Goku.

«Mantieni la calma…» mi disse, sottovoce.

«Non ha più importanza in questo momento: basteremo io e C-19 per eliminarvi tutti quanti.» proseguì Gelo «Vi osserviamo da anni, e conosciamo tutte le vostre tecniche, che sono memorizzate nei nostri database.»

«Senti, vecchio pazzo.» lo interruppe Goku, con decisione «Non mi interessa chi tu fossi o cosa sei diventato, se è un combattimento ciò che vuoi, allontaniamoci da qui: non voglio siano coinvolti innocenti.»

«Come desideri.»

A quel punto i suoi occhi si illuminarono di rosso, e da essi partirono diversi piccoli raggi. Muovendo la testa riuscì ad indirizzarli tutto intorno a noi, distruggendo praticamente metà città.

«Vogliamo andare?» disse, con un tono quasi canzonatorio.

Stavo facendo un’enorme fatica a trattenermi: avrei voluto saltargli addosso, prenderlo a pugni fino a ridurlo in polvere, lui e quel suo cervello da megalomane.

Silenziosamente, ci mettemmo in volo. Rimasi a fianco di Tensing, mentre i due androidi seguivano Goku. Alla fine giungemmo in una zona desertica, in una vasta pianura sabbiosa: qualche centinaio di metri più avanti, iniziava una sorta di canyon.

Gelo e C-19 atterrarono poco lontano da noi, e Goku si mise subito di fronte a loro, con la chiara intenzione di affrontarli. Io, Tensing e Piccolo rimanemmo per un attimo in disparte. In quel momento, ci raggiunsero Yamcha, Crilin e Gohan, e gli spiegammo brevemente cosa fosse successo in loro assenza.

«Q-Quindi questi non sono nemmeno i due cyborg?» disse un terrorizzato Yamcha.
 
«Può darsi anche che il ragazzo dal futuro si sia sbagliato, ma quelli di sicuro non possono essere definiti cyborg, per quel che so di robotica.» gli risposi.

«Beh, Goku dovrà stare molto attento: quei due sono in grado di assorbire l’energia.»

«Cosa?!» esclamammo in coro io, Piccolo e Tensing.

«Si… Attraverso le mani: quando quel vecchio mi ha afferrato, coprendomi la bocca, mi sono sentito come svuotato, finché non ha provato a farmi fuori definitivamente…»

«Papà! Attento a non farti toccare! Quelli assorbiranno la tua energia!» urlò improvvisamente Gohan. Il padre si voltò verso di lui, annuendo.

Il mio sguardo, poi, tornò sulla figura del dottor Gelo: quell’aria austera non trasmetteva assolutamente saggezza o qualsivoglia qualità positiva tipica di una persona anziana, anzi, il suo sguardo glaciale privo di qualsivoglia emozione mi faceva venire solo una voglia più grande di prenderlo a pugni.

“Fallo a pezzi Goku.”

A farsi avanti contro Goku non fu però il dr. Gelo, bensì quello che aveva chiamato C-19: non furono le sue apparenze a farmi sentire sicuro di una vittoria di Goku, quanto il fatto che si trasformò immediatamente in super saiyan, lasciando i due androidi di sasso.
Goku sembrò immediatamente andare in vantaggio contro C-19: come super saiyan era veramente incontenibile.

Ma c’era qualcosa di strano: continuava a massaggiarsi il petto, più del solito.

«Oh no… è la malattia!» disse Piccolo.

«La che?!» chiesi, stupefatto.

«Il ragazzo del futuro ha detto che papà si sarebbe ammalato di un virus cardiaco, che non si può ancora curare nel nostro tempo, e gli ha dato delle medicine… ma sono rimaste a casa!»

Ok, questa parte me la ero persa: rischiavamo di perdere il nostro miglior combattente a causa di una malattia! Sembrava girarci tutto storto: in quel momento mi ritrovai nuovamente a guardare i due occhi vuoti del dr. Gelo, e questa volta ebbi solamente paura.

Goku provò a lanciare una kamehameha contro C-19, che però aprii i palmi, e per nostro stupore assorbì l’intera onda: esattamente come aveva detto Yamcha.

Crilin provò a dare a Goku un fagiolo senzu, ma l’unica cosa che si rigenerò fu la tensione nei nostri animi: il saiyan pareva proprio non farcela più.

Fu in quel momento, proprio mentre pensavamo a come ce la saremmo dovuti sbrigare con quei due, che una gigantesca aura apparve, avvicinandosi sempre di più al campo di battaglia.

Un’aura decisamente familiare, ma anche molto più potente di come la ricordavamo.

Le nostre supposizioni furono confermate quando C-19 venne scaraventato lontano da un colpo improvviso, arrivato dal neo entrato in campo.

«Sono io quello che sconfiggerà Kakaroth, fareste bene a ricordarvelo, almeno finché non vi avrò eliminato dalla faccia di questo pianeta.» disse la voce graffiante del principe dei saiyan.

«M-Ma quello è Vegeta! È diventato fortissimo!» disse Crilin, attonito.

Dopo aver detto qualcosa a Goku, Vegeta si rivolse verso il suo avversario: «Prima che vi distrugga entrambi, rispondi ad una mia domanda: un cyborg può provare paura?»

«No. E poiché ho tutto ciò che mi serve su di te nel mio database, non ho ragione di provarla.» risponde la fredda, elettronica voce di C-19.

«Forse è il caso di correggere questa cosa, no?» disse Vegeta, prima di iniziare a caricare con forza il suo Ki.

«C-cosa ha intenzione di fare?!» domandai, coprendomi gli occhi per la luce accecante che si era generata.

«Non lo so, ma è comunque diventato veramente fortissimo.» disse Piccolo, proprio mentre il bagliore diminuiva di intensità. E la visione che ci si palesò davanti, fu incredibile.

L’aura di Vegeta era potentissima, e si manifestava attraverso un bagliore dorato che lo avvolgeva: biondo come i suoi capelli, mentre le sue iridi erano diventate di un azzurro chiarissimo.

Vegeta era riuscito a diventare un super saiyan.

«AH! Anche Goku ha eseguito questo trucchetto, eppure C-19 lo ha sconfitto.» disse sarcasticamente, il dottor Gelo.

«Beh, io non sono Kakaroth… avanti, mostrami che sai fare, lattina.» disse, provocando C-19, che senza farselo ripetere due volte provò ad attaccarlo. Come prevedibile, Vegeta nemmeno lo sentii, e cominciò ad attaccare C-19, umiliandolo.

“Tra un po’ sarà il tuo turno bastardo.” Pensai, distogliendo lo sguardo dal combattimento per guardare il dottor Gelo, che sembrava, ora, decisamente spaventato, oltre che molto sorpreso, dalla netta superiorità di Vegeta.

Poi ripensai a ciò che mi aveva detto, del suo piano alternativo: ora era la sua occasione per darsela definitivamente a gambe.

Non glielo avrei lasciato fare.

Silenziosamente, lasciai il gruppo, concentrato ad osservare Vegeta, che lanciò il suo attacco Big Bang contro C-19, eliminandolo definitivamente.

In quel momento riuscii ad arrivare alle spalle del dottor Gelo, pronto a coglierlo di sorpresa: ma fu lui a sorprendere me, muovendosi con una rapidità impressionante verso il canyon.

Lo seguii: non mi fu comunque difficile raggiungerlo, e con un balzo gli fui di fronte, tagliandogli la strada.

«Andiamo da qualche parte, dottore?»

Mi guardò, piuttosto frustrato, i denti stretti in un sorriso nervoso.

«Perché, tu cosa pensi di fare per fermarmi?»

«Tutto ciò che posso.» Appena terminai, con uno sforzo mentale ormai per me abituale, fusi la mia energia con l’ambiente circostante, generando un’onda d’urto abbastanza forte da distruggere le prime formazioni rocciose, che comunque ci nascondevano alla vista degli altri.

«C-com’è possibile?!» disse il dottore, evidentemente sorpreso.

Lo guardai, questa volta sicuro dei miei mezzi.

«Allora, dottore… balliamo?»

Dopo di che mi lanciai a tutta forza su di lui: parò il mio pugno, ma non fu pronto per quello con cui lo colpì sullo stomaco, o dove avrebbe dovuto esserci lo stomaco.

Provò ad afferrarmi con le sue mani: dovevo fare attenzione a non farmi afferrare, o mi sarei trovato privato della mia energia. Lo schivai, e facendo perno sul suo braccio, mi portai dietro di lui, colpendolo con una gomitata sul collo, poi con un calcio che lo scaraventò lontano di qualche metro.

Fui sorpreso della mia forza.

«Devo dirglielo, con il massimo rispetto, mi aspettavo decisamente di più dagli invincibili androidi del dottor Gelo.»

Lui si rialzò, e per la prima volta rividi dei sentimenti in quei freddi occhi: rabbia e frustrazione.

«Fidati ragazzo, se ti dico che ancora non hai visto niente…»

Lo guardai, sogghignate: in quel momento, vederlo soffrire mi stava dando un enorme appagamento.

«Che aspetti? FALLO FUORI!»

Mi voltai, per vedere Vegeta, ancora nella sua forma di super saiyan, volteggiare sopra di noi, e con lui tutti gli altri. In lontananza poi, scorsi una navicella che si avvicinava: dentro ad essa potei percepire Bulma, Trunks e Jirobei.

Fu una distrazione di troppo.

Non riuscii a reagire agli “attento!” del gruppo, quando il dottore scagliò un raggio d’energia verso di loro, che furono costretti a scansarlo, facendolo finire dritto sulla navicella, e si avventò su di me, facendoci cadere in un burrone: i suoi palmi sulla mia pelle parvero come bruciare, mentre mi sentivo sempre più stanco.

In quel momento atterrammo: o meglio, lui atterrò, tenendomi stretto per il collo.

«Non ti ucciderò ora… non ci sarebbe gusto, oltretutto non avete visto ancora niente.»

Mi lasciò cadere a terra, in quel momento mi sentii incapace di rialzarmi.

«Ah, ricordati di salutare papà da parte mia, moccioso.» disse, poco prima del momento in cui definitivamente persi i sensi.

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«Ehi sveglia!»

Era la familiare voce di Crilin.

«Ugh… cos’è successo?»

«Il dottor Gelo ti ha succhiato parecchia energia, mangia questo.» mi disse, porgendomi un Senzu. Mi voltai, e notai che con noi c’era anche il ragazzo del futuro.

«E tu che fai qui?!» chiesi, sorpreso.

«Beh, innanzitutto per ridarti questa.» mi disse sorridendo, porgendomi la mia sacchetta «Era nella navicella di mia madre.»

«Ah graz… TUA MADRE?!»

In quel momento mi sentii nuovamente svenire.

«Calma, calma… In effetti, avresti potuto aspettare un attimo per le presentazioni, Trunks.» gli disse Crilin.

«Ora che ci penso, lui non c’era quando sono arrivato, eh-eh…» disse, mostrandosi leggermente imbarazzato.

«Va bene ragazzi, tutto molto bello, ma cosa è successo da quando quel bastardo mi ha fatto perdere i sensi.»

«Ha provato ad assorbire anche la mia energia, ma si è ritrovato senza una mano.» disse la voce di Piccolo, che insieme a Vegeta, Gohan e Tensing stava discendendo verso di noi.

«Dov’è Yamcha?» chiesi.

«Mentre tu sgattaiolavi dietro quell’altro mostro, si è preso il compito di riportare a casa papà, perché possa curarsi.» mi spiegò Gohan.

«Avresti potuto farlo fuori! E già che lo facessi al mio posto, mi dava piuttosto fastidio, ma tu hai dovuto pure farti fregare come un principiante, nonostante lo avessi in pugno!» mi urlò contro improvvisamente Vegeta.

«Ehi calmati, capisco il mio errore, ma non è che adesso ti tingi un po’ i capelli e ti guadagni il diritto esclusivo sui nemici…»

«Ti rendi conto che già prima di questa trasformazione avrei potuto spazzarti via in un istante, vero? E tu fai ancora il gradasso?!» disse, irritato.

«Nessuno me lo impedisce.»

«Piccolo, schifoso insol….» si interruppe sul momento, sul volto un’espressione di grande irritazione. Finché Trunks non si alzò, frapponendosi tra noi due.

«Ora calmati, papà, abbiamo altro a cui pensare.»

Il suo intervento mi fece venire in mente una domanda che dovevo assolutamente fargli: «Trunks, in ogni caso, non erano questi i due mostri del tuo futuro… vero? Questi due erano due androidi…»

«Esatto, complimenti per la deduzione.» mi disse, con un mezzo sorriso. Poi si girò, rivolgendosi a tutti: «Ora, i due cyborg saranno ancora nel suo laboratorio, inattivi. Dobbiamo impedirgli di attivarli, per questo dobbiamo inseguirlo. Stando alle informazioni di mia madre, il suo laboratorio dovrebbe essere nella zona della Città del Nord.»

«Bene, allora andremo noi quattro. Gohan, tu riaccompagna a casa Bulma e Jirobei, poi porta con te Daniel.» disse Piccolo.

«Perché non posso venire con voi?»

«Sei ancora debole, e se veramente quello scienziato pazzo ha un piano per eliminare tutta la tua famiglia, beh, meglio che non ti trovi dove sarebbe più ovvio, ovvero casa tua. Darai una mano a curare Goku, nel frattempo.»

Non ebbi da obbiettare: nonostante la mia prima reazione, in fono ero felice di allontanarmi per un po’ dal campo di battaglia.

Mentre gli altri si allontanarono verso il nord a grande velocità, io e Gohan ci caricammo gli altri tre rimasti a terra e ci dirigemmo verso il monte Paoz:  fu dura convincerlo a prendere Jirobei, ma alla fine la giustificazione “l’ha detto anche il tuo maestro che sono ancora troppo debole” fece breccia.

Giunti a casa Son, trovammo immediatamente Chichi alla porta.

«Oh Gohan, ero così in pensiero! Dopo aver visto tuo padre tornare in quelle condizioni ho temuto il peggio…» gli disse, abbracciandolo forte.

«Buongiorno Chichi…» la salutai.

«E tu che fai qui?» poi si voltò verso Bulma «E TU CHE HAI IN BRACCIO?!»

«Forse è il caso che entriamo, è una lunga storia…» la rassicurò Gohan.

La raccontammo il più velocemente possibile, mentre Chichi ci servì del thè caldo: esattamente quello che mi ci voleva per calmare i  nervi. Avevo imparato ad apprezzare il thè grazie a Popo, e in quel momento sentii improvvisamente la sua mancanza. Fortunatamente, smisi di pensarci proprio in quel momento, quando sentii una suoneria.

«Scusate, è il mio cellulare…» dissi, imbarazzato.

Era una chiamata di mio papà.

«Pronto?»

«Daniel, sono papà. Come vanno le cose?»

«È lunga da spiegare, ora però sono a casa Son, fai in fretta altrimenti la compagnia telefonica ti asciugherà il portafogli!»

«Ma non preoccuparti di questo adesso! Poi, mi racconterai… Comunque, tua nonna è rimasta da sola ad Orange City, poiché era là per qualche giorno: dato che la prudenza non è mai troppa, ho mandato Pamela, così che anche tua nonna possa essere protetta. Non si sa mai chi potrebbe colpire quel pazzo nella nostra famiglia.»

«Ma quindi, come farete voi?»

«Quello che abbiamo sempre fatto. E poi, anche se mi hai ormai superato, il tuo vecchio se la cava ancora più che discretamente!»

In quel momento mi sentii pervaso da una strana sensazione di paura.

«Ne sei sicuro, papà?»

«Assolutamente, figliolo.»

Esitai ancora qualche secondo: quella sensazione si faceva sempre più forte. Ma sapevo anche che dovevo fidarmi di lui.

«Va bene papà. Cercate di stare bene.» dissi, prima di riagganciare.

Rimasi per qualche istante in silenzio.

«Cosa c’è, Daniel?» mi domandò Bulma.

«Niente Bulma, mere questioni famigliari. Piuttosto, più ti vedo con quel bimbo in braccio più mi fa strano pensarti mamma!»

«Ah! Non credere che un figlio cambierà la vita di Bulma Briefs! E poi, a me fa strano vedere quel bimbo così innocente e simpatico che ho conosciuto non cambiare assolutamente, nonostante siano passati dieci anni!»

«Mi stai forse dando del bambino?»

«Da cosa lo hai capito?» disse, ridacchiando, e io mi unii a lei: ci serviva farci una bella risata in quel momento, le urla di dolore di Goku che si sentivano fin troppo spesso vennero soffocate per qualche istante.

«Pamela come sta? Anche lei è da un po’ che non si fa sentire!» mi chiese Chichi.

«Oh, parlavo proprio di lei con papà: ora è ad Orange City, con mia nonna. Papà crede che anche a lei serva un minimo di protezione, visto il ritorno lampante del dottor Gelo: meno male che non gli ho detto che quel pazzo ha EFFETTIVAMENTE dei piani contro la nostra famiglia…» dissi, sospirando rumorosamente quando terminai.

«Che situazione assurda…» disse Chichi, pensierosa. Era anche lei evidentemente preoccupata per la piega che stavano prendendo gli eventi.

Bulma poi se ne andò quasi immediatamente, come Jirobei: rimasi con Yamcha ospite a casa Son. Ci mettemmo entrambi al capezzale di Goku, pronti ad assisterlo. Gohan, invece, si era messo sui libri, forzato dalla madre che per distrarsi aveva ripreso le sue faccende.

«Come se la staranno cavando gli altri?» chiesi all’ex bandito, giusto per fare conversazione.

«Credo bene! In fondo, ora abbiamo comunque due super saiyan! E appena Goku si sarà ripreso, non ci sarà cyborg o androide che potrà fermarli!»
«Si… Hai ragione.» In realtà, quelle parole rimasero una maschera per i dubbi che in quel momento continuavano ad attanagliare il mio animo.

Fu in quel momento che arrivarono: una navicella atterrò davanti alla casa dei Son.

Io e Yamcha uscimmo immediatamente, seguiti da Gohan e Chichi, per ritrovarci un Crilin piuttosto affrettato che si limitò a dire:

«Caricate Goku. Dobbiamo assolutamente portarlo via.»


NOTE DELL’AUTORE
Ed eccoci con la saga dei cyborg! Cosa avrà escogitato il dottor Gelo per la famiglia Ryder? Intanto, Daniel si è già dimostrato piuttosto forte… Non vi resta che attendere venerdì, per il prossimo aggiornamento.

Innanzitutto, voglio ringraziare TUTTI voi, anche chi non leggerà mai queste note, perché “I still don’t know, what my destiny is…” ha superato i 200 click! E nonostante non tutti abbiano continuato, mi fa piacere pensare di aver solo attratto più di 200 persone con la mia storia.

Passiamo a fatti: io sono sempre stato un accanito sostenitore della distinzione tra cyborg ed androidi nella saga di Dragon Ball, cosa che non è mai stata realmente fatta, e un sacco di doppiaggi in lingue diverse finiscono per divergere: esempio, in italiano “cyborg” in inglese “androids” applicato a tutti, solo perché fare distinzioni era troppo difficile. Scusate lo sfogo da fan boy accanito.

Il prossimo aggiornamento sarà venerdì: stay tuned! Ogni recensione poi, anche contenenti critiche e/o suggerimenti, è ben accetta!

Dragon Ball è proprietà di Akira Toriyama.

Alla prossima!

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Capitolo 19
*** Disperazione ***


CAPITOLO DICIANNOVESIMO- DISPERAZIONE

«Aspetta… tu quindi mi stai dicendo che quei due cyborg vi hanno UMILIATO?»

«Si…»

«E adesso sono in cerca di Goku?»

«Esatto…»

«Direi che la situazione va di bene in meglio…» dissi, guardando lo sguardo sconfortato di Crilin, che mi aveva appena raccontato tutto.

«Almeno hanno ammazzato il dottor Gelo, e per questo potrei essergli grato… ma se sono veramente così forti, come faremo ad essere in grado di affrontarli in così poco tempo?»

«Non lo so, davvero… questi esseri sono nettamente più potenti delle loro controparti dal futuro…» disse improvvisamente Trunks.

«E come credi sia possibile questo?» gli chiese Crilin.

«La presenza del dr. Gelo, C-19… credo che a causa del mio arrivo alcune cose siano cambiate rispetto al mio tempo.»

«Beh, in ogni caso se le risolviamo anche tu potrai vivere in pace!» gli dissi.

«Non è proprio esatto…» rispose lui, mestamente.

«Che intendi?»

«Che si è creata una nuova linea temporale: non starò a spiegarvi come si regola lo spazio tempo, ma il mondo dal quale provengo è destinato a rimanere inalterato…»

Io, Crilin, Gohan e Chichi ci scambiammo degli sguardi in un misto tra stupore e dispiacere.

In quel momento, non potei non fargli la domanda che mi frullava in testa da un po’: «Scusa Trunks, ma i cyborg del tuo tempo… sono davvero così malvagi? Voglio dire, anche più malvagi di questi?»

«Si, te lo posso garantire… ma perché me lo chiedi?»

«Beh… il giorno che tu arrivasti per la prima volta, e parlai con mio padre lui mi disse una cosa fondamentale sui cyborg: prima erano esseri umani.»

«E allora? Questo cosa implicherebbe?» chiese Yamcha.

«Beh, personalmente, è una cosa che mi mette a disagio, se penso che dovrei eventualmente affrontarli.»

«E come mai, scusa? Loro non si farebbero uno scrupolo a farti fuori!» disse Trunks, con decisione.

«Lo so, ed è anche questo che mi fa stare male: insomma, nessuno di voi ha mai pensato che anche loro sono delle vittime in tutta questa storia?»

Rimasero tutti in silenzio per qualche istante.

«Daniel, ma ti ha dato di volta il cer-»

«Zitto!» disse Crilin, interrompendo Yamcha.

«Mi dispiace mi crediate matto, ma io la vedo così: quelli sono due esseri umani privati della loro esistenza, e anche se ora non ubbidiscono ad ordini e direttive, sono stati privati della loro stessa umanità… francamente, non lo trovo giusto.»

Trunks mi fissò per qualche istante: il suo sguardo parve perso in chissà quale vuoto. Poi parlò: «Sai, non l’avevo mai vista in questo modo, lo dico davvero: forse perché quei due hanno distrutto tutto ciò che avevo di più caro nel mio tempo…»

«Aspetta Trunks.» dissi, interrompendolo «Non sto dicendo che devi giustificarli, anzi: che forse quei due cyborg del tuo tempo hanno fatto la scelta di essere dei mostri, o lo sono sempre stati. Questo dimostra che, sotto sotto, sono ancora degli esseri umani, due malvagi, certo, ma due esseri umani. Su questi del nostro tempo, beh, staremo a vedere… sempre che si riesca a metterli in riga.»

Per un attimo notai lo sguardo di Crilin illuminarsi. Ricevetti molti sorrisi dal resto del gruppo, anche da Gohan, che in quel momento era ancora chino sui libri che sua madre aveva insistito si portasse appresso.

«Sai Daniel, devo proprio dirtelo, mi spiace non averti potuto conoscere meglio, così come tutti voi.» disse Trunks.

«Oh, dai, adesso non farmi commuovere, eh-eh…» gli dissi.

«Gente, mi spiace interrompere» disse Yamcha, che si trovava alla guida «ma non credete sia il caso di avvisare anche Bulma di cosa stiamo facendo? Almeno che sappia dove trovarci!»

Non potei non constatare che avesse ragione: per quanto la Kame House non fosse il luogo meno scontato in cui andare a sistemare Goku, la situazione richiedeva comunque la massima reperibilità da parte di tutti.

«Giusto Yamcha, ci penso io.» disse Crilin «Spero solo non si agiti troppo: sai Trunks, tua madre sa essere un tipo piuttosto ingestibile a volte.»

Il giovane saiyan rise per qualche istante: «Tranquillo, so perfettamente di cosa parli!»

Crilin si sedette al fianco di Yamcha, e digitò sulla tastiera del modernissimo aereo (ovviamente targato Capsule) il numero dell’azienda: dopo aver parlato con la segreteria per qualche istante, la voce di Bulma squillò al ricevitore.

«CRILIN! COSA DIAVOLO STA SUCCEDENDO?! Ho chiamato a casa Son tante di quelle volte che ho perso il conto, ma nemmeno lì si trova nessuno! Cosa è successo?»

Si scambiò con Trunks uno sguardo rassegnato, che mi fece sorridere, poi le rispose: «Calmati Bulma, sono qui con tutti gli altri, ci stiamo dirigendo con Goku alla Kame House.»

«E per quanto riguarda i cyborg?»

«È una lunga storia…»

«Uhm, ok… senti, hai detto che c’è lì mio figlio? Quello dal futuro?»

«Si, è qui con noi, ti può sentire dal ricevitore.»

«Ok, perché mi è stata inviata questa foto, ora ve la trasmetto, mi serve il suo specifico parere…»

In un attimo dall’altamente tecnologica console dell’aeroplano fuoriuscì una foto, che ritraeva un modello di macchina del tempo identico a quella di Trunks, ma molto più usurato e consumato dal tempo.

«C-com’è possibile… la mia macchina del tempo è qui, tra tutte le mie capsule!» disse in un misto tra stupore e spavento.

«Non so cosa dirti, Trunks…» gli rispose mestamente Bulma.

Il giovane riassunse improvvisamente un’espressione risoluta.

«Vado a dare un’occhiata.» disse.

«Ehi, Trunks, non è che posso venire con te?» chiese, eccitato, Gohan.

«SON GOHAN! Devi prima finire i tuoi compiti!»

«Oh, dai mamma, come se non saranno ancora lì quando tornerò! Fammi andare, per favore!»

Dopo qualche istante di riluttanza, alla fine Chichi cedette, incredibilmente.

«Voi altri?» ci domandò Trunks.

«Io passo, per questa volta, mi sentò ancora decisamente male dopo quell’esperienza con il buon dottore, eh-eh…» gli risposi.

Era vero: mi sentivo ancora veramente a pezzi, nonostante il fagiolo Senzu. Doveva avermi svuotato completamente in quel momento. Anche gli altri, poi, declinarono l’offerta di Trunks.

«Mamma, ci trasmetti le coordinate?» chiese poi il giovane saiyan, rivolgendosi al ricevitore.

«Subito! Ah, ci vediamo lì, eh?»

«Sei sicura, mamma?»

«Fidati, tesoro, una mamma sa cosa è meglio fare quando c’è di mezzo il proprio figlio!»

In quel momento non riuscii a trattenere le risate.

«Ribadisco, vederti fare la mamma suona veramente troppo strano!» urlai, facendo che il ricevitore captasse la mia voce.

«E io ti dico, che tu e la tua bocca larga mi state facendo comprendere il punto di vista di Vegeta, e sappi che è una cosa grave!» disse scherzosamente.

A quel punto, li lasciammo andare, e li guardammo volare via.

Mi voltai per un istante, guardando il lettino di fortuna che avevamo allestito sull’aeroplano: Goku, rimasto in silenzio quasi tutto il viaggio, manteneva comunque un’espressione di profondo dolore. Era una visione che continuavo a rifiutarmi di vedere come reale: non tanto lui sofferente fisicamente, quanto corrucciato in volto, lui, quello abituato a sorridere sempre e comunque a tutto e a tutti.

«Crilin, per quanto riguarda Vegeta e Piccolo? Che fine hanno fatto?» gli chiesi, giusto per distrarmi e proseguire la conversazione.

«Beh, sai com’è fatto Vegeta: dopo l’umiliazione subita se n’è andato via subito, evidentemente incazzato.»

Questa volta non potevo dargli torto: sarà anche uno stronzo, ma per quanto si impegni non riesce mai ad ottenere un vero risultato, e mi sentii un attimo in dispiacere per lui.

«Per quanto riguarda Piccolo, se n’è andato anche lui piuttosto arrabbiato, quando gli ho ricordato che avrebbe potuto ricongiungersi con il Supremo.»

«TU C-COSA?!» urlai, guardandolo sorpreso. Quello che Crilin aveva proposto non era di certo una cosa da poco: in quel periodo passato sul palazzo del Supremo avevo compreso quanto quei due non si potessero più vedere, nonostante gli ultimi eventi avessero cambiato profondamente l’animo di Piccolo.

«Beh, tu avevi idee migliori? Se Piccolo si riunisse al Supremo, diventerebbe il più forte tra tutti noi in questo momento!» provò a giustificarsi.

«Tranquillo, amico, non ce l’ho con te… Solo che comprendo perfettamente la reazione che ha avuto Piccolo, tutto qui.»

Da quel momento calò il silenzio: a parte qualche mugugno da parte di Goku, nessuno emise fiato.

«Eccoci, siamo arrivati!» disse improvvisamente Yamcha. Mi avvicinai alla poltrona del pilota e, al di là del parabrezza, in mezzo al calmo oceano azzurro potei vedere la Kame House. L’idea che per qualche giorno avrei rivissuto lì mi stuzzicava decisamente.

Una volta atterrati, ci fu il problema su come trasportare a terra Goku.

«Dammi una mano, Daniel…» disse Yamcha, mentre prendeva il materassino da un lato.

«Ok. Crilin, tu vai ad aprirci le porte, guidaci fino a sopra…» dissi a mia volta.

Il tutto fu eseguito con grande rapidità: lasciammo Goku in quella che per un periodo fu anche la mia stanza, e che fu la sua nel suo periodo di permanenza qua.

«Maestro, e noi per dormire come ci sistemiamo?» chiese Yamcha a Muten.

«Uhmmm… dovrebbero esserci dei materassini in giro, potreste sistemarvi in camera di Crilin.»

Non obbiettammo ed eseguimmo.

Lasciammo Chichi a prendersi cura del marito, mentre noi ci riunimmo nel salotto al piano di sotto. Mi aggregai al gruppo, che stava giocando a carte.

«Come stai Oscar? È da un po’ che non ci si vede, eh?»

Iniziai così a conversare con gli altri, cercando di distrarmi un attimo: in quel momento le pressioni erano veramente tante, qualche giorno di riposo mi avrebbe giovato. Anche perché la lotta con il dottor Gelo aveva dimostrato che forse non ero ancora completamente pronto per avversari di un simile calibro: che avessi fatto il passo più lungo della gamba.

In preda alle riflessioni non mi accorsi che il telefono squillò. Crilin rispose immediatamente.

«Pronto? Oh ciao Bulma! Che? Lo faccio subito!»

Noi altri ci scambiammo sguardi sorpresi: che stava succedendo.

«Ragazzi, Bulma ci ha chiesto di accendere la televisione, pare stia succedendo un casino a Ginger Town.»

In quel momento ebbi un brivido: Ginger Town è esattamente sull’altro lato della catena montuosa sotto la quale c’è Pepper Town.

«Accendi subito!» dissi.

Ma la tv già stava andando. In onda c’era un collegamento da Ginger Town: il giornalista parlò di misteriose sparizioni, e mostrò una landa desolata di capi di vestiario abbandonati sul terreno. All’improvviso, si udirono spari e grida, che cessarono poi, per qualche istante, finché il giornalista non si voltò improvvisamente, terrorizzato, e il collegamento si interruppe bruscamente.

«Ma cosa diavolo sta succedendo laggiù?» disse Gohan. Nella foga non mi ero accorto che sia lui che Trunks erano appena tornati.

«Non lo so, ma non è lontano da Pepper Town… I miei genitori sono ancora laggiù… sono preoccupato…»

«Aspettate, c’è Piccolo laggiù!» disse nuovamente Gohan.

Mi sentii sollevato: quantomeno qualcuno era già intervenuto, e non uno qualsiasi. Piccolo sarebbe stato in grado di risolvere il mistero e sistemare le cose, ne ero certo. Cercai di percepirlo anch’io: ma avvertii immediatamente qualcosa di strano.

«R-Ragazzi… c’è qualcosa di strano laggiù… percepisco due Piccolo!» dissi, balbettando per qualche istante.

«È v-vero… sembra che siamo t-tutti laggiù…» disse Crilin.

«N-non è possibile… ci sono Vegeta, Nappa…» disse Yamcha, quasi terrorizzato «e questi sono…»

«Freezer e suo padre! Ma come è possibile?!» completò Trunks.

Ma in quel momento un’altra aura mi colpii particolarmente, lasciandomi basito.

«G-Gente, l-laggiù ci s-sarebbe anche…»

«PAPÁ!» gridò Gohan, anche lui piuttosto scioccato.

Ci guardammo stupiti per qualche istante, ancora incapaci di realizzare cosa stesse accadendo.

«Io vado a dare un’occhiata.»

«Vengo anch’io. Non si sa mai. Voi ragazzi?»

Io Gohan e Yamcha optammo per rimanere alla Kame House, a guardia di Goku.

Gli altri due partirono immediatamente per capire cosa stesse succedendo. Io e Yamcha ci scambiammo uno sguardo preoccupato: cosa diavolo poteva essere quella cosa?

Rimanemmo in silenzio per un po’, lasciando Gohan ai suoi “studi” anche se mentre la madre non guardava si esercitava nel combattimento.

Io optai per meditare: quantomeno mi avrebbe aiutato a recuperare le forze, visto che l’effetto della “fusione” (così mi piaceva chiamarla) si stava esaurendo.

Meditai finché non li avvertii tornare.

«Ehi ragazzi! Allora, cos’era quella cosa?» gli chiesi, andandogli incontro.

Notai che con Trunks e Crilin, questa volta, c’erano anche Piccolo e Tensing. Tutti avevamo sul volto un’aria seria e preoccupata.

«Entriamo in casa, parliamone lì.»    

Solo in quel momento notai quanto forte fosse diventato Piccolo, e in lui riconobbi l’aura del Supremo: immediatamente capii cosa fosse successo, ed evitai di chiederlo.

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Non credetti a ciò che mi raccontarono. Almeno, non ci volevo credere, ma era tutto vero.

«Da quando mio padre mi raccontò del dottor Gelo, ho sempre pensato che fosse completamente folle: ma qui credo abbia raggiunto un nuovo livello di mostruosità.»

Gli altri rimasero in silenzio, mostrandosi d’accordo con la mia preoccupante affermazione.

«Un mostro dotato di tutte le vostre cellule, che conosce tutte le vostre tecniche, il cui unico scopo è diventare più forte: ci mancava solo questo.» dissi, battendo il pugno sul tavolo.

«C’è un’altra cosa, Daniel.» disse Piccolo.

Lo guardai curioso: notai che sul volto di chi era arrivato con lui, l’espressione si era fatta ancora più cupa.

«Cosa?»

Mi guardò negli occhi, freddo come al solito: ma stranamente, in quello sguardo pareva esserci un briciolo di preoccupazione.

«È lui, il piano di vendetta del dottor Gelo nei confronti della tua famiglia.»

Sentii improvvisamente un vuoto allo stomaco, come se ancora avessi la mano del dottor Gelo sulla mia bocca. Per poco non caddi disteso all’indietro, se non ci fosse stato Yamcha a tenermi.

«C-cosa? Ti prego, dimmi che stai scherzando…»

«Mi dispiace, ma è così: fortunatamente, il suo creatore ha perso tuo padre dai suoi radar molto tempo fa, e non sa dove la tua famiglia viva. Vaga  per le città sperando di trovarli: la cosa che non possiamo impedirgli, è che assorba la tua energia. Quindi ti chiedo, mentre noi gli diamo la caccia, di rimanere qui, e di mantenere la tua aura bassa, perché non ti possa trovare.»

«M-Ma, la mia famiglia…»

«Terremo d’occhio Pepper Town, per quel che riusciremo, ma il fatto che non sappia dove viviate è già un punto a nostro favore. Ti prego, però, di fare ciò che ti ho appena detto ragazzo.»

A quel punto, non potei impedire ai miei occhi di bagnarsi, e alla mia rabbia di crescere: sbattei il pugno sul pavimento, formando qualche crepa.

«V-va bene Piccolo, farò come dici…» dissi. Poi alzai gli occhi e li guardai tutti, uno per uno.

«Vedete di ridurlo a brandelli, fino alle cellule che lui tanto brama.»

Non so perché mi espressi con così tanta brutalità: ma in quel momento me la sentivo dentro, come una voce, che mi spingeva ad immaginare i trattamenti più brutali da riservare a quel mostro, se solo avesse toccato la mia famiglia.

Decisi di uscire, a distendermi sulla spiaggia, mentre gli altri si organizzavano su come stanare il mostro.

Mi sedetti sulla calda sabbia, osservando il mare: era una visione decisamente rilassante, se non fosse che all’orizzonte, tutti quei piccoli lembi di terra non facevano che ricordarmi il continente, e ciò che in quel momento vi stava tranquillamente portando dolore e disperazione tra la gente.

Sentii una vibrazione nella mia tasca: afferrai il cellulare, e sul piccolo schermo vidì la foto di Pamela. Accettai la chiamata:

«Pamela?»

«Daniel! Hai sentito di Ginger Town?»

«Si…»

Le raccontai in breve tutta la storia.

«Vuoi che vada a dare un’occhiata laggiù? Sai, non si riesce più a comunicare con quella zona! Sembra siano stati tagliati tutti i collegamenti!»

“Sei più furbo di quanto pensassi, per essere l’ennesima aberrazione di un pazzo furioso” pensai in quel momento.

Riflettei per qualche secondo: poi giunsi ad una decisione.

«No, senti, preferisco tu rimanga lì con mia nonna: mi fido di mio padre, nel caso dovesse succedere qualcosa.»

«Ok… se lo dici tu. Allora ci sentiamo, vedi di non cacciarti nei guai!»

Riagganciai con un rinnovato sorriso: mi faceva piacere si preoccupasse per me, anche se in quel momento mi sentivo più preoccupato io per loro. In quel momento tutti stavano praticamente improvvisando i loro piani, ed io mi ero ritrovato invischiato come una mosca nel miele, senza poter aiutare chi magari era ina una situazione ben diversa.

Goku, ancora ammalato; Vegeta, nuovamente ad allenarsi, per superare ulteriormente il limite del super saiyan; Bulma, a progettare dei metodi per fermare i cyborg prima che Cell li potesse trovare, grazie alle carte blu trovate da Trunks e Crilin nel suo vecchio laboratorio, che sono valse più di qualunque supposizione di mio padre in tre anni; tutti gli altri, a caccia di un mostro.

E io qui, seduto a prendere il sole: perché il mondo non mi permetteva di dire la mia, ogni volta? Anni di sacrifici per cosa? Essere messo in disparte ogni volta!

Strinsi le ginocchia tra le braccia, e chinai arrendevolmente la testa: in quel momento volevo solo sparire. Iniziai a sentire ancora una volta una forte rabbia dentro, come quella volta al palazzo del Supremo, come una spinta interna che cresceva di intensità.

«Daniel, ragazzo mio.»

Sussultai. Silenziosamente, il maestro Muten si era portato alle mie spalle.

«Cos’hai, figliolo?»

Sospirai. «Niente, maestro, è solo che…»

Deglutii: feci molta fatica ad andare avanti.

«Solo che non ce la faccio più ad essere escluso: ora comprendo le ragioni di Piccolo, ma l’idea di dover stare qui, senza poter fare nulla mi opprime.»

«Ti comprendo perfettamente, figliolo: non deve essere facile. Però spesso incontriamo ostacoli che non possiamo superare da soli.»

«Mio padre mi insegnò che non esiste un ostacolo insuperabile, se uno mette costanze e impegno per andare oltre. Ed è quello che ho sempre fatto, in tutti questi undici anni di addestramento, in cui mi sono sentito lodare da tutti, perfino da Vegeta, a suo modo. Eppure, sono ancora qui, senza aver concluso nulla, nonostante giri con i guerrieri più potenti del pianeta. Ed ora un mostro minaccia me e la mia famiglia, nonché l’universo intero: ed eccomi, seduto sulla spiaggia, costretto a stare a guardare. Fa male, maestro.»

Lo guardai ancora nelle lenti brillanti dei suoi occhiali da sole: tra noi cadde un silenzio profondo, nel quale i rumori dell’oceano si erano perfettamente armonizzati.

«La grandezza del tuo cuore è enorme, Daniel, non so se qualcuno te lo ha già detto.»

“Si, una persona qualunque” pensai, ricordando il saluto con il Supremo.

«Insomma» proseguì «Chi altri avrebbe potuto vedere nei cyborg due vittime in questa storia, prima che arrivasse Cell? Questo giusto per fare un esempio, ma tu resti un ragazzo generoso, intelligente e comprensivo, oltre che un validissimo guerriero: per questo ti chiedo di non abbatterti. Le persone meritevoli avranno il momento per dimostrare il loro valore: ricorda che è anche dalla pazienza e dalla capacità di comprendere i propri limiti che si riconosce un grande guerriero, non scordarlo mai.»

Fece poi per andarsene, salvo poi girarsi nuovamente.

«Ah, e poi ricordati che se per caso Cell dovessi trovare la tua famiglia, c’è sempre tuo padre: e lui non è uno che molla facilmente.» concluse, sorridendo.

Io gli sorrisi a mia volta: alla fine aveva ragione su tutto. In quel momento mi sentii nuovamente sereno, come il sole che in quel momento illuminava l’oceano.

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Tre giorni dopo, più che qualche scontro sporadico con Cell, gli altri non avevano ottenuto niente dalla loro caccia.

Perfino Yamcha si era unito a loro: ora ero solo con Chichi, Oscar, il maestro Muten e un Goku malato.

Almeno malato fino a quel giorno: quando Chichi gridò il suo nome con una forza incredibile, il libro che stavo leggendo mi cadde in faccia dallo spavento.

Scesi le scale, per trovarli tutti fuori: Goku era uscito di nascosto e aveva già ripreso ad allenarsi!

Mentre lo guardavo sorridere, con la moglie in braccio, sentii la speranza divampare nuovamente nel mio animo: ora il guerriero più forte tra noi era tornato, e forse le cose potevano prendere una piega positiva.

«Ciao a tutti!» disse, rivolgendosi a noi altri sulla veranda della Kame House.

«Bello rivederti in piedi, figliolo!» disse il suo vecchio maestro.

«Già, sapessi che strazio sentirti gridare: non riuscivo a concentrarmi per leggere!» gli dissi, facendo l’occhiolino.

In quel momento si fece improvvisamente più serioso: «Gli altri sono a caccia di Cell, giusto?»

«E come fai a sapere queste cose, tesoro?» chiese Chichi, basita.

«Riuscivo a sentire tutto mentre ero in quello stato, anche se non potevo fare altro: ho sentito dei cyborg, il discorso di Daniel, la storia di Cell e tutto il resto. E la soluzione è una sola.»

Lo guardammo tutti, curiosi.

«Devo superare il limite del super saiyan. Non c’è altro modo. Mi ci vorrà un anno almeno, ma è l’unico modo per battere Cell…»

«Un anno?! E come pensi che faremo a sopravvivere un anno ancora con questi mostri in giro, genio?» gli disse Chichi, frustrata.

Evidentemente non era a conoscenza come me, Muten e Goku, della stanza dello spirito e del tempo: quella stanza in cui un giorno dura come un anno. Popo me ne aveva parlato quando vivevo lì: mi disse che il Supremo non mi avrebbe permesso di entrarvi, poiché avrei comunque perso un anno della mia vita al di fuori della stanza, guadagnandolo solamente nel fisico, e questo significava una vita più breve sulla terra con i miei cari.

«Goku, non ti pare un po’ estremo? Entrare in quella stanza?» gli chiesi.

«È la nostra unica risorsa, in questo momento, per poter diventare sufficientemente forti in breve tempo, Daniel.»

«Quale stanza?» chiese Chichi.

Goku le spiegò brevemente il suo piano: intendeva allenarsi lì anche con Gohan, per potenziarlo al massimo. Stranamente, per la seconda volta in quel pazzesco periodo, Chichi cedette. Goku si teletrasportò poi dagli altri, per farsi vedere sano e in salute e per mettere immediatamente in atto il suo piano.

Quando poi, quella sera, gli altri tronarono, oltre a Goku e Gohan, mancava anche Trunks all’appello: lui e Vegeta erano stati i primi ad entrare nella stanza.

«Spero solo che ce la facciano: Cell in questo momento, oltre che invincibile, sembra anche introvabile.» disse Tensing.

A quel punto non potei non domandare al gruppo: «Ragazzi, avete controllato Pepper Town?»

«Si, due giorni fa.» mi rispose Crilin «È stato l’unico momento in cui abbiamo potuto dare un’occhiata: comunque Cell pare si stia aggirando su altre zone in questo momento.»

Sospirai di sollievo: Pamela non era più una fonte di informazioni utile, e sapere che comunque fino a due giorni fa andava tutto bene mi faceva sentire a posto: ora le cose stavano per sistemarsi.

E poi, pensai, ci sono sempre le sfere del drago…

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È GIUNTO IL MOMENTO…

No…

DI DISPERARSI…

Va via…

LA MORTE SARÁ LA MIA RINASCITA…

«VAI VIA!!!!!!!» gridai con tutta la forza che avevo in corpo.

In quel momento cessarono: non so se fosse stato un sogno, ma erano così reali…

E preoccupanti.

Era la sua voce, quella dell’Ombra che mi tormentava: ma a chi si riferiva?

In quel momento un dubbio atroce mi pervase la mente, e cercai immediatamente di sopprimerlo.

«Stai tranquillo, ragazzo.»

Alzai lo sguardo e vidi Piccolo, alla porta, il volto illuminato dalla fioca luce del mattino: se non fosse stato lui, mi sarei parecchio spaventato. Anche se l’idea che mi stesse guardando dormire era comunque inquietante.

«Non lasciarti dominare dai sogni: non sono reali.»

Sbuffai, quasi irritato.

«Esco fuori a meditare, gli altri dormono ancora?»

Il namecciano annuì. Silenziosamente indossai la mia tuta da combattimento e sgattaiolai fuori, mettendomi sotto una palma su uno dei lati della casa.

Mi sedetti sulla sabbia, e iniziai la mia meditazione.

Ma dei dubbi si insinuavano nella mia testa: e se fossero morti?

Lo sono.

Non possono esserlo, Cell sta dando la caccia anche ai due cyborg, se fino a due giorni fa stavano tutti bene a Pepper Town…

Può essere successo di tutto.

Quei dubbi sembravano vere e proprie voci nella mia testa, che dovevo assolutamente zittire.

Cell è un mostro.

Lo so, merita la morte più atroce…

Lasciami il compito di portargliela…

Una morte lenta, dolorosa, se solo ha provato a toccarli, gli farò assaggiare il suo stesso sangue a quel verme…

LASCIA CHE SIA IO A DARGLIELA!

«AHHHHHHHHH!» in quel momento, compì l’atto di fondermi con il flusso senza nemmeno rendermene conto.

«DANIEL!»

Sussultai: era la voce di Crilin. Mi sentii come uscito improvvisamente da un sogno, mi voltai e vidi l’ex monaco che mi teneva per le spalle.

«Wow, quello era piuttosto figo: perché non c’eri anche tu a combattere sull’autostrada?» disse una voce che non riconobbi. Una voce maschile, fredda, monotona.

Mi voltai, con Crilin che mi teneva sempre per le spalle.

Sull’isola erano arrivate tre figure: due ragazzi, un maschio e una femmina, minuti nell’aspetto ma dall’aria piuttosto spavalda e molto simili tra loro; e poi un omone, alto forse come Piccolo e vestito in modo abbastanza strano.

Capii immediatamente chi fossero: i due cyborg. Quel gigantesco omone deve essere il terzo androide di cui mi parlò Crilin: C-16. Gli altri due erano 17 e 18, se non sbaglio.

«Lascialo stare, preoccupati di me.» disse improvvisamente Piccolo a C-17.

«Ehi, gli ho solo fatto una domanda, intanto che aspetto una risposta a quella che ho fatto a te.»

Lo guardai negli occhi: azzurri e gelidi come il ghiaccio. Ma in quel momento, il mio pensiero fisso in testa era un altro.

«Ho altro per la testa in questo momento per risponderti. Ti basti sapere che: uno, mi dispiace per voi, ragazzi, e se mai vi verrà voglia di giocare per la squadra giusta vi spiegherò volentieri perché; secondo, perché farmi umiliare da un uomo con quel taglio di capelli, beh… ti avrei chiesto di uccidermi subito.» conclusi, sogghignando.

«Potrei farlo anche adesso, sai? Basta chiedere!» disse, sembrando piuttosto irritato.

«Allora puoi darmi qualche ora? Così concludo quest’ultimo impegno e potrai farmi fuori tutte le volte che vuoi!»

«Sei simpatico!» disse, dietro di lui, C-18, ridacchiando.

Notai, invece, dall’espressione di C-17, che ero riuscito nell’impresa di far incazzare anche un cyborg, oltre che un principe dei saiyan. Ma non mi importò: loro non mi volevano. Piuttosto, mi voltai verso Piccolo.

«Devo andare laggiù.»

«Non se ne parla, non posso permetterti di…»

«Piccolo. Ti prego di lasciarmi andare. So che corro un rischio, ma finché sono in giro anche questi due qua» dissi, riferendomi ai due cyborg «stiamo continuamente correndo un rischio. Ti prego di concedermi questo permesso.»

Piccolo, sospirò, mantenendo lo sguardo fisso su C-17.

«Va bene. Ma cerca di tornare presto. Io intanto mi occupo di questa cosa.»

«In bocca al lupo» lo guardai negli occhi ancora una volta «amico.»

Gli feci un mezzo sorriso, poi mi avvicinai alla spiaggia e decollai, e volai il più veloce possibile, finché non vidi il continente davanti a me, e dopo qualche minuto, la Città dell’Ovest.

Presi immediatamente la direzione di Pepper Town, mentre potevo percepire che Piccolo stava già combattendo, presumibilmente contro C-17. Ma notai anche che quel minestrone di aure che era Cell si stava avvicinando alla loro posizione.

“Almeno non ha scelto me…” pensai, provando un’amara soddisfazione.

Quando poi intravidi Pepper Town, il mio cuore ebbe un balzo nel petto: finalmente
casa.

Ma poi, il mio entusiasmo si tramutò presto in orrore, quando notai l’enorme quantitativo di vestiti abbandonati per strada: Cell era stato qui.

Non volevo prendermela con gli altri, per non aver controllato più spesso, non volevo dare la colpa a loro: in quel momento c’era solo una cosa che dovevo controllare.

Volai il più velocemente possibile verso la periferia, e non appena li vidi atterrai. Il mio cuore iniziò a battere sempre più forte non appena notai il cancello divelto.

“No”

Proseguii lungo il giardino, una serie di grandi impronte a tre dita adornavano ora l’erba. Mi avvicinai alla scala d’ingresso, e vidi anche la porta di casa, divelta.

“No.”

Non appena entrai in casa, vidi il disordine più totale: non c’era niente che no fosse stato rotto, buttato a terra o comunque fuori posto. Il tavolo era stato spezzato in due, i graffi sui muri e i buchi sul soffitto erano il segno lasciato da dei ki blasts o da colpi andati a vuoto.

“No”

Non potevo vedere oltre certe macerie: il tavolo ostruiva la visuale sul punto che mi interessava: l’ingresso al bunker. Non appena vidi la botola, mi fermai.

“Ti prego, no.”

L’aria si faceva sempre più pesante, mentre presi un gran respiro e scesi nella botola: ogni piolo pareva ricoperto di spine da come mi faceva male percorrerlo.

Decisi di fermarmi a metà scala: rimasi appoggiato al muro. Non volevo voltarmi: quel silenzio doveva essere già una prova sufficiente.

Gli occhi iniziarono a bagnarsi, quando, finalmente, mi voltai.

Rimasi paralizzato nel vedere una pila di vestiti vuoti, i LORO vestiti.

“Non è vero, ti prego…”

Oh si, che lo è…

Strinsi tra le mie braccia tutti i vestiti, poi non ebbi più il controllo sulle mie azioni.

«Non è vero!» urlavo, le lacrime che mi pervadevano gli occhi.

«Non è vero!» Imboccai un sentiero che ben conoscevo, dietro casa mia.

Giunsi in una piccola radura, che ricordavo molto bene, e che ora mi investì con tutta la sua mole di ricordi. Caddi in ginocchio e piansi tutte le lacrime che avevo in corpo.

Non è così che ci vogliamo sfogare…

Adesso però era chiara: la voce nella mia testa. Smisi per un secondo di piangere, e come un pazzo, presi a gridare contro l’aria.

«CHI SEI?»

Come, non mi riconosci? Eppure ci conosciamo bene…

«COSA VUOI DA ME?» gridai nuovamente, gli occhi ancora pervasi dalle lacrime.

Lo sai benissimo cosa voglio da te…

«NO, NON LO SO!»

DEVI LASCIARTI ANDARE.

«LASCIAMI STARE!»

LASCIATI ANDARE.

«TU NON SEI REALE!»

LASCIATI ANDARE!

«TU. NON SEI. REALEEEEEEEEEEE!»

LIBERAMI!

«AAAAAHHHHHHHHH!!!!!»

In quel grido non misi solo tutta la mia rabbia: c’era una forza devastante che mi pervase completamente. Vidi la foresta piegarsi mentre l’energia che scaturiva attorno a me continuava a fuoriuscire, finché non iniziai a levitare, da solo, volsi improvvisamente lo sguardo verso l’alto e l’energia si lanciò verso il cielo, riversandosi su di esso in tanti dischi bianchi concentrici.

E poi, fu solo il vuoto.

ͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻ

«Ma guarda te se questo non è il giovane Ryder! Me lo avete nascosto bene, ve lo concedo!» disse Cell, con la sua voce graffiante.

Il loro combattimento fu improvvisamente interrotto da un’enorme esplosione di energia proveniente dal continente, che ogni essere in grado di percepire le aure aveva sentito, e si era spaventato. Ma quelli veramente in pensiero erano quelli come Piccolo, che conoscevano la natura di quell’aura.

«Daniel…» disse, guardando il cielo diventato improvvisamente scuro, adornato da una miriade di cerchi bianchi che si allontanavano dal punto di origine dell’energia.

«E questo sarebbe il ragazzino di prima?» chiese C-17 a Piccolo, che annuì.

«Oh si, che è lui: in questo momento, sarebbe anche più forte di me. Ma non ha importanza, una volta che sarò completo nemmeno lui sarà in grado di fermarmi! Però le sue cellule mi sarebbero piaciute, sua madre e sua sorella sono state fondamentalmente inutili, così come l’altra famiglia Hatwa… quantomeno, averli trovati ora mi garantisce delle cellule immuni praticamente a qualunque cosa. E con le conoscenze di Damon Ryder, potrò finalmente realizzare il progetto massimo del mio creatore, ossia creare da solo un esercito di androidi guidati dall’essere perfetto, che domineranno l’intero universo!»

«Tu, sei solo un pazzo…» gli disse Piccolo «Se credi che la cosa ti sarà così facile, hai decisamente fatto male i tuoi conti, Cell.»

«Oh, tu credi? Allora, fatti sotto. Per l’ennesima volta.»


NOTE DELL’AUTORE
Puf! Capitolo a sorpresa. Giusto perché rispetto a quelli già scritti sono indietrissimo, quindi voglio condividere con voi tutto, il prima possibile. Capitolo comunque molto intenso, ricco di avvenimenti, eh? Non vi lascio altre anticipazioni…

Spero vi sia piaciuta l’idea di rendere Cell non solo l’essere perfetto, ma anche la possibile guida di un nuovo ordine mondiale degli androidi: il suo piano sarà spiegato meglio in seguito, così come la verità su Daniel e sulla sua famiglia… stay tuned! Prossimo aggiornamento… stasera? Scusate, ma voglio cercare di condividere tutto con voi il prima possibile.

Come sempre, ogni tipo di recensione, purché educata, è più che gradita.

Dragon Ball è proprietà di Akira Toriyama.

Alla prossima!

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Capitolo 20
*** Chi sono io? ***


CAPITOLO VENTESIMO- CHI SONO IO?

Attorno a me, il vuoto. Solo bianco, che si estende a perdita d’occhio.

«D-Dove mi trovo?»

NELLA TUA TESTA, RAGAZZO.

Chi ha parlato? Mi sembra di conoscere quella voce…

«Dove sei? FATTI VEDERE!»

IO SONO DOVE SONO SEMPRE STATO, RAGAZZO: PROPRIO QUI, INSIEME A TE.

Mi voltai, e proprio al mio fianco stava, ritta, un’ombra scura dalla forma indefinita, che inizio a muoversi, sinuosamente intorno al mio corpo, guardandomi con due occhi di un rosso intensissimo.

SAI, STARE QUI È SEMPRE STATO UNO STRAZIO. VEDERE TUTTA QUELLA GENTE DA UCCIDERE, SENZA POTER FAR NIENTE…

«Ma tu, cosa sei?»

IO? IO SONO SOLAMENTE LA PROIEZIONE DI UNA PERSONALITÁ MALVAGIA. VEDI, NON SO NEMMENO IO PERCHÉ MI TROVO DENTRO DI TE, NON È STATA UNA MIA SCELTA.

Lo guardai mentre si muoveva sinuoso come un serpente tra le mie gambe, finché non si sistemò davanti a me.

HO ASPETTATO DA UNA VITA QUESTO MOMENTO, RAGAZZO. E ORA, PUOI FINALEMENTE LIBERARMI, E INSIEME DISTRUGGEREMO TUTTO QUELLO CHE CI TROVEREMO DAVANTI: SARÁ UNO SPASSO!

Mi fece un sorriso maligno, che riconobbi all’istante: era lo stesso dell’ombra dei miei sogni.

«Sei tu che tormenti i miei sogni?»

POTREI ESSERE IO COME POTREI NON ESSERE IO, IO SONO SOLO UNA SFACCETTATURA DI PERSONALITÁ, OVVIAMENTE LA PIÙ POTENTE, AHA!

«E cosa c’è dentro di me?»

OH, DICIAMO SOLO CHE È QUALCOSA CHE NESSUN SAIYAN, NAMECCIANO, ANDROIDE O CHIUNQUE IN QUESTO O IN QUALUNQUE ALTRO UNIVERSO POTRÁ MAI EGUAGLIARE, MA CHE È MORTO TANTO TEMPO FA… DI LUI RESTO SOLO IO, LA FONTE DEL SUO POTERE!

«E… E perché sei qui?»

MA TE L’HO GIÁ DETTO RAGAZZO, NON LO SO. STA DI FATTO, CHE GRAZIE A TE STIAMO PER TORNARE, E L’UNIVERSO SI RICORDERÁ NUOVAMENTE CHI SONO, ANZI, COSA SIAMO.

Mi fece nuovamente un altro dei suoi inquietanti sorrisi, i denti aguzzi che brillavano nel vuoto di quello scenario. Aveva continuato, fino a quel momento, a muoversi intorno a me, simulando quella che doveva essere un’amichevole conversazione. Ma sapevo benissimo che non lo era.

«C-Credi che io non possa fermarti?» gli chiesi, fremente.

NON LO CREDO: NE SONO CERTO. ME LO HAI APPENA DIMOSTRATO.

«Co-Come fai ad esserne così sicuro?»

ALLORA: SE TU FOSSI STATO IN GRADO DI FERMARMI, QUESTA CONVERSAZIONE NON SAREBBE MAI AVVENUTA.

Ancora quel sorriso diabolico, che già detestavo con tutto me stesso.

«I-Io non ho mai saputo che dentro di me ci fossi tu…»    

AVREBBE CAMBIATO QUALCOSA?

Rimasi in silenzio, mentre si muoveva elegantemente alle mie spalle, poggiando poi il mento sulla destra.

SILENZIO. COME MI ASPETTAVO.

«NO! Io sarei stato in grado…»

NE SEI COSÌ SICURO? SARESTI STATO IN GRADO DI FERMARE QUESTO?

Si portò davanti a me, prendendo le distanze. Il fumo nero di cui era composta iniziò ad espandersi e a cambiare forma, fino a schiarirsi definitivamente, mostrando davanti a me tre figure umane: tre figure umane non casuali.

Davanti a me c’erano i miei famigliari: mia madre, mio padre, mia sorella. Tutti con uno sorriso orgoglioso sulla loro faccia.

Volli correre ad abbracciarli, ma mi sentii bloccato sul posto. E la gioia si trasformò nuovamente in paura, quando una figura, che ricordava un insetto, comparve alle loro spalle.

Non feci in tempo ad avvisarli, che Cell li uccise tutti e tre, assorbendoli, in quattro e quattro otto.

«Bene bene. Sembra che manchi proprio tu per completare la mia collezione.» disse, poi, avvicinandosi.

«Non potevi, non puoi e non potrai-» FARE NULLA PER FERMARMI.

La metamorfosi era stata così improvvisa che per un attimo sussultai: al posto di Cell era tornata lei, quell’ombra orripilante.

TI È CHIARO ORA RAGAZZO? TU SEI UN DEBOLE.

Chinai la testa, rifiutandomi di guardarla negli occhi. Che avesse ragione?

SEI DESTINATO SOLAMENTE A SOFFRIRE, PER LA TUA INCAPACITÁ. SEMPRE CHE TU NON DECIDA DI COLLABORARE CON ME.

No, mai.

«Io… Io… IO NON TI AIUTERÒ MAI!»

SCIOCCO, OLTRE CHE DEBOLE.

«Non mi avrai mai così facilmente! Tu non farai soffrire nessuno finché sarai qui dentro!»

OH, INVECE SOFFRIRANNO IN MOLTI: RICORDATI CHE IL DOLORE E LA SOFFERENZA NON SI LIMITANO SOLAMENTE ALLA CARNE…

«SMETTILA!»

POTRAI ANCHE FAR FINTA DI NON SENTIRMI, IO SARÒ SEMPRE QUI, E QUANDO AVRÒ UN’ALTRA OCCASIONE, USCIRÒ. NON È FINITA QUI, RAGAZZO MIO…

Non volevo più avere niente a che fare con lei. Volevo sparisse, ad ogni costo.

«Stai… ZITTAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA!»

ͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻ

«HMPF!»

Mi svegliai di soprassalto, sentendomi impossibilitato a gridare.

Mi accorsi che ero in un lettino da ospedale, attaccato a diverse flebo e ad un respiratore, quella cosa che aveva contenuto il mio grido.

«Calmati piccolo mio, calmati!»

Sentii una voce familiare e rassicurante al mio fianco, due mani affettuose mi tenevano giù il braccio destro: mi voltai e la vidi, per una mia grande ed immedista gioia.

Nonna Amy era lì al mio fianco, e mi guardava con aria preoccupata, che poi divenne sollevata non appena mi calmai.

«Riposa, piccolo mio, sei stato in coma per quasi una settimana.»

Come? In coma? Com’è possibile?

«Pamela!»

Sussultai a sentire quel nome: ed il mio cuore sobbalzò, non appena la vidi entrare in fretta e furia nella stanza. Si voltò a guardarmi, gli occhi che immediatamente si riempirono di lacrime.

«Ciao Daniel…»

Provai ad alzare la mano sinistra, per quanto potessi, per rispondere al saluto. Alla fine fu lei a lanciarsi su di me, senza curarsi dei tubi e dei cavi, stringendomi in un abbraccio.

«Ho temuto che avessimo perso anche te…» disse, mentre sentivo le sue lacrime bagnarmi il collo.

«Vai ad avvisare gli altri, svelta!»

«Subito, nonna Amy!»

E corse nuovamente fuori dalla stanza, in fretta e furia.

Mi voltai verso nonna Amy, che mi guardò con fare rassicurante, poi disse: «Siamo alla Capsule Corporation, piccolo mio. I gentilissimi signori Briefs e tutti i tuoi amici hanno voluto tenerti sott’occhio regolarmente. Sono stati giorni difficili, e ci sono diverse cose da raccontarti… ma ora riposati, finché non arrivano tutti.»

Continuai a guardarla negli occhi: in quel momento fu più dell’angelo che era sempre stata con me e con Kira. Strinsi, con le poche forze che avevo, la sua mano.

Mi guardai intorno: ero in una larga stanza ospedaliera, evidentemente nella grande infermeria della Capsule Corporation. Al mio fianco c’erano diversi monitor che monitoravano i miei segni vitali. C’era anche una finestra, dalla quale si poteva ammirare l’immenso giardino della struttura, decorato dai fiori coltivati dalla signora Briefs, e da cui entrava il canto di svariati uccellini.

Passarono diversi minuti, in cui la sola compagnia era il sorriso della nonna e i beep del monitor che mostrava il mio battito cardiaco.

Tutta l’atmosfera andò in frantumi nel momento in cui Pamela fece ritorno: «Si, ci stiamo tutti, e anche comodamente! Entrate pure!»

Dietro di lei entrarono veramente tutti: vidi poi, improvvisamente, anche l’enorme figura di C-16.

«HNGHHH- HNGHHHH!» provai a gridare, agitandomi alla vista di un nemico.

«Ehi calmati, fenomeno, è dalla nostra parte adesso! Oltretutto, credo sia anche il caso di toglierti questo…» disse Bulma, mentre iniziò ad armeggiare con i vari cavi che si collegavano a me.

«Ecco! Come nuovo!» disse, levandomi il respiratore.

Per un attimo, tornare a respirare normalmente mi venne difficoltoso, poi ripresi, normalmente.

«Evidentemente… mi sono perso… parecchie cose…» dissi, ansimando.

Poi mi voltai verso Goku e Gohan: vidi che ENTRAMBI erano trasformati in super saiyan. Capii immediatamente cosa fosse successo.

«Ehi Gohan… dovrei provarla anch’io quella tinta lì… credo mi starebbe bene, eh-eh…» gli dissi, facendogli l’occhiolino, ricevendo un sorriso carico d’affetto in risposta.

«Ehi, su con la vita! Anch’io ho fatto qualche giorno a letto e poi ero subito in piedi!» mi disse Goku, scherzosamente.

«Ok… a parte… che ci hai incasinati tutti… tu non avevi un respiratore… sentivi tutti… e sei un cazzo di alieno.» gli risposi, sogghignando.

«Vedo che nemmeno in queste condizioni ti dai un limite, eh amico?» mi disse Crilin, che poi si rivolse a Karin «Maestro Karin, li avete dei senzu?»

«Si, dovrei averne dietro qualcuno… Jirobei?»

Il samurai porse a Crilin un sacchetto dal quale l’ex monaco estrasse un fagiolo, che poi mi mise in bocca.

«Ora che sei sveglio puoi mangiarlo tranquillamente.» mi disse.

Fu come una scossa: il fagiolo mi restituì immediatamente le energia, e i miei muscoli furono tutti un fremito, finché le flebo non uscirono da sole quando li flettei.

«Molto meglio…» dissi.

«Quindi forse questo è il momento di affrontare le questioni serie.» disse Piccolo.

In quel momento, mi sentii nuovamente privo di qualunque energia: mi tornò tutto alla mente, dall’arrivo dei cyborg al viaggio verso Pepper Town, fino a…

Non volli andare oltre: sentivo già le lacrime che mi pervadevano gli occhi. Nonna Amy mi poggiò la mano sulla spalla, accarezzandola piano, comprendendo il mio dolore.

«Daniel, non riusciamo a sentirci anche un po’ in colpa, avevamo controllato qualche giorno prima e Cell non si era fatto vivo da quelle parti, eppure…»

«Non è colpa vostra. Non è colpa di nessuno. Se non di un pazzo scatenato e le sue aberranti creazioni.»

Mi ricordai poi che c’era anche C-16 nella stanza: «Scusa, ma…»

«Nessuna offesa. Io non nutro astio verso il mio creatore o qualunque altra cosa, non posso comprendere le tue reazioni. Ma io rispetto la natura e tutto ciò che è innocente: e tu sei un innocente.»

Lo guardai, quasi sbalordito, cercando poi conferma al mio stupore negli sguardi degli altri.

«Beh… grazie, C-16.»

In tutta risposta, l’androide sorrise.

Tornai a guardare Piccolo, che non aveva ancora effettivamente detto nulla, ma sembrava in procinto di dire parecchie cose.

«Daniel, come sai, io mi sono ricongiunto al Supremo, e con lui anche le sue memorie e le sue conoscenze. Ma prima di farti rivelazioni che possono essere devastanti, è giusto che tu sappia come sei finito qui…»

«Beh, mi ricordo di avere ritrovato la catasta di vestiti della mia famiglia nel bunker, di essere corso nella radura, e che ad un tratto le voci si sono intensificate  e mi sono sentito travolto dall’energia…»

«Ti ho trovato io, fortunatamente.» mi voltai verso Pamela «Anch’io ho avuto i tuoi stessi dubbi, e mi sono fiondata giusto qualche attimo dopo di te, prima che… scusa Piccolo, continua tu…»

Il namecciano riprese: «Da dove eravamo noi, quella che tu definisci una semplice esplosione di energia, ci è sembrata più un’ondata, che ha ricoperto l’intero pianeta, e ti ha portato in un istante a diventare l’essere più potente mai visto… anche più potente di Broly e Cell…»

«Aspetta un attimo, scusa se ti interrompo ancora, ma chi è Broly?»

«Beh» disse Goku, mentre si massaggiava il retro della testa, come imbarazzato «In questi giorni sono successe parecchie cose!»

Mi raccontarono brevemente della “piccola” vicissitudine avuta con il super saiyan leggendario: cosa che mi fece lievemente accapponare la pelle.

«Comunque, ancora non siamo arrivati al punto, Daniel.» disse nuovamente Piccolo, più deciso, questa volta.

«Il Supremo e tuo padre lo sapevano, in parte anche il tuo maestro Muten. Dentro di te…» si fermò per qualche istante, come se non sapesse come andare avanti: in quel momento prese un profondo respiro.

«Dentro di te» proseguì «è sigillato un demone dalla forza incontrollabile: non conosciamo chi sia, cosa sia, o da dove venga, ma è una forza senza paragoni, e che il Supremo temeva tu non fossi in grado di controllare. Ora, la sua forza è stata liberata, anche solo per qualche istante, e ti ha portato vicino alla morte: per questo non voglio che tu partecipi al Cell Game.»

«Al che?»    

Mi raccontarono quindi di tutto quello che era successo dopo che lasciai l’isola: da Cell, di come avesse raggiunto la sua forma perfetta e di come, solo per dimostrare di essere il più forte, avesse deciso di indire una specie di torneo. A Vegeta e a Trunks che erano stati vicini a fermarlo, avendo superato il limite del super saiyan. Ora tutti sti stavano allenando per il torneo, anche Goku e Gohan, a modo loro, cercando di allenare la loro trasformazione mantenendola anche nella vita quotidiana.

«Una cosa però, Piccolo… perché Cell voleva assorbire la mia famiglia?»

Il namecciano sospirò, poi riprese: «Una parte del suo piano era assorbire tuo padre per acquisire conoscenze di robotica complete ed avanzate, che assieme a quelle del dottor Gelo gli avrebbero permesso di crearsi da solo e senza troppo sforzo un esercito personale di androidi, con i quali avrebbe dominato l’universo…»

«E l’altra parte del piano?»

Piccolo sospirò nuovamente, e proseguì: «Gli servivano cellule Hatwa per rafforzare le proprie e diventare immune praticamente ad ogni fattore naturale che potesse indebolirlo, permettendogli quindi di potersi spostare tra i pianeti senza problemi di adattamento.»

Lo guardai, sospettoso.

«E… cosa sarebbe un hatwa?»

«Noi, piccolo mio.»

Mi voltai verso mia nonna, improvvisamente scioccato. «COSA?!»

«Calmati… io, te, Pamela, i tuoi genitori, i suoi, i miei… siamo tutti degli hatwa.»

Mi guardai in giro, sbigottito.

«E COSA DIAVOLO SAREBBE UN HATWA?»

«Un “cazzo di alieno”, per un terrestre, almeno.» disse Vegeta, sogghignando, dal suo angolino. Tutta la stanza lo fulminò con lo sguardo.

«Andate tutti al diavolo! La prossima volta impara a non fare l’insolente con il principe dei saiyan!» sbottò.

«Di questo tuo atteggiamento ne riparleremo, da soli, bambinone!» lo sgridò Bulma, facendolo sbuffare, oltre che vistosamente arrossire.

Ma di Vegeta, in quel momento, me ne fregava ben poco.

«Q-Quindi…»

«Si.» disse Piccolo «La tua famiglia discende da un gruppo di extraterrestri superstiti, atterrati sulla Terra con un atterraggio di fortuna, provenienti da una società tecnologicamente e culturalmente avanzata. Questo lo so grazie al Supremo, che li accolse, quasi duecento anni fa, su questo pianeta. La cosa però, più dolorosa, è che nessuno della tua razza può essere riportato in vita: un Hatwa già dalla nascita instaura un legame così profondo con la natura che lo circonda, che al momento della sua morte il suo spirito si lega ad essa in maniera indissolubile.»

Sprofondai nel cuscino, guardando Piccolo, sconcertato.

«A-Anche tu?» chiesi a Pamela.

Il suo cenno di assenso non fece che farmi sprofondare ancora di più nello sconforto.

Poi, guardai la mio polso destro: il braccialetto era ancora lì, dove era sempre stato: lo staccai, ed iniziai ad esaminarlo, pieno di dubbi e domande in testa.

Una, però, mi uscì quasi spontaneamente dalla bocca: «Scusa Piccolo, ma perché non posso partecipare alla lotta contro Cell?»

«Questo posso spiegarlo io…» disse, improvvisamente, Trunks.

Mi voltai a guardarlo, mentre prendeva un profondo respiro.

«Ti ho raccontato che i cyborg hanno praticamente ucciso tutti nel mio tempo, giusto? Beh…» si prese una piccola pausa «Non è del tutto esatto.»

Mi chiesi cos’altro bollisse in pentola, questa volta. «Vai avanti.» gli dissi.

«Vedi, quando i cyborg del mio tempo hanno ucciso tuo padre tu… tu ti sei, ecco, trasformato. In una specie di mostro dalla potenza incontrollabile: tanto che non sapevi più distinguere gli amici dai nemici. Eri sul punto di distruggerli entrambi, quando hai iniziato ad attaccare anche noi: con uno sforzo sovrumano siamo stati costretti ad ucciderti, prima che i cyborg iniziassero la loro opera di sterminio.»

Deglutii fortemente: ucciso, dai miei stessi amici. Dopo che avevo tentato di ucciderli a mia volta.

Una potenza incontrollabile: esattamente come aveva detto quell’ombra.

Chinai la testa e ripresi a smanettare con il braccialetto.

«Per favore, potreste uscire tutti? Tutti quanti.»

«Daniel…» provò a dissuadermi una preoccupata Pamela.

«TUTTI QUANTI.» dissi con fermezza, senza alzare gli occhi verso nessuno.

Non appena la stanza fu vuota, guardai per qualche istante fuori dalla finestra, i pensieri che si intrecciavano a velocità incredibile. Poi, guardai nuovamente il braccialetto: cosa simboleggiava per me ora? Anche quello che aveva detto papà, era tutto fondato su delle bugie. Il grande potenziale? Balle, solo un demone da contenere. Un futuro grande guerriero? Stronzate, solo un mostro da tenere in gabbia.

“Mi hanno mentito. Le persone per le quali ho dato tutto ciò che potevo. Mi hanno mentito.”

Posai poi lentamente la testa sul cuscino, fissando il soffitto.

ͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻ

Mi sedetti lentamente sul prato del cimitero di Pepper Town: si trovava alla periferia dall’alta parte della città.

Ero stato dimesso da un paio di giorni, ero andato a stare nell’appartamento di mia nonna. Ma soprattutto, oggi era il giorno in cui il sadico gioco di Cell sarebbe iniziato: non era nemmeno troppo distante da qui arrivare alla periferia di Central City, solo qualche minuto di volo veloce.

Mi sedetti di fronte alla tomba che riportava quei tre nomi, mai così difficili da leggere, e delle didascalie:

“Kira Ryder (15/3/749- 15/5/767), una fiamma splendente, spentasi troppo presto”

Mia sorella, che per me era più delle canotte e dei palloni da basket lasciati sulla tomba: era la compagna di tanti battibecchi, litigi, ma anche di tanti momenti di gioia, complicità. Mi ricordo quando per poco non spezzai il collo di uno dei quei maledetti giornalisti, che alla notizia della morte di una sportiva si erano mobilitati in massa. Erano venuti fino alla porta dell’appartamento di nonna Amy.

Mi ricordo anche chi fu il pirla che mi provocò: un cazzo di disadattato con i baffetti, piccolo e magro, evidentemente anche un represso, che mi chiese come fosse vivere all’ombra di una sorella così talentuosa.

«Provate a chiedere a Cell, se ora è abbastanza forte da poter giocare lui al posto di mia sorella.» dissi, prima di scaraventarlo giù dalle scale con un semplice buffetto. Quella dimostrazione di potenza fu più che necessaria, allora.

Guardai poi, il nome immediatamente successivo:

“Lynda Nagasaki Ryder (4/12/723- 15/5/767),  moglie e madre devota.”

Mamma, tu eri più di questo: eri molto di più. Mi manca il tuo sorriso, le tue parole dolci, le tue sgridate, il tuo canticchiare mentre cucinavi, i tuoi abbracci, i tuoi incoraggiamenti…

Sentii ancora una volta le lacrime formarsi nei miei occhi.

Nel mentre, li sentivo combattere: Gohan era diventato improvvisamente fortissimo. Ma in quel momento, non mi importava: fatelo fuori, non mi interessa come, anzi, non mi interessa più niente.

Il mio sguardo cadde poi sull’ultimo nome inciso sull’enorme lapide:

“Damon Ryder (3/8/721- 15/5/767), brillante scienziato e padre devoto, una luce che ci illuminerà sempre”

A quella didascalia mancava la dicitura “valido guerriero e saggio maestro”, ma era già fin troppo vera. Anche se avrei aggiunto volentieri la dicitura “bugiardo”.

“Perché mi hai mentito papà?”

In quel momento notai come l’aura di Cell si fosse indebolita per poi aumentare nuovamente all’improvviso, per poi sparire assieme a quella di Goku.

Poi il mio pensiero ritornò sulla tomba, e su quel nome.

“Perché non mi hai mai voluto dire la verità papà? Non ti fidavi di me? Era tutto falso?”

CERTO CHE LO ERA, RAGAZZO.

“No, lasciami stare…”

COME POSSO LASCIARTI STARE? IO SONO SEMPRE QUI. E GUARDA, CELL È TORNATO.

“Come?”

POVERO DANIEL, COSÌ IMPEGNATO A DISPERARSI CHE NEMMENO TI ACCORGI DI COSA STA SUCCEDENDO LAGGIÙ: HA PROVATO A FARSI ESPLODERE, MA È TORNATO! GOKU, PURTROPPO, NO…

“No… non Goku… non ancora!”

OH SI! E SENTI BENE, ANCHE TRUNKS ORA! OH, VEGETA È PIUTTOSTO ARRABBIATO… DICI CHE CELL LA DOVREBBE PAGARE?

“No… non da te…”

MA COME? PREFERISCI SOFFRIRE? IO TI POSSO DARE IL POTERE, NELLA TUA DISPERAZIONE… PER VENDICARTI.

In quel momento sentii in me nuove emozioni: sentimenti malvagi, violenti, sadici. E mi piacevano.

CELL LA DEVE PAGARE…

“Si…” pensai, mentre mi mettevo inconsapevolmente in volo.

NOI LO FAREMO SOFFRIRE…

“Si… deve morire…” pensai, mentre sentivo l’energia iniziare a ricoprire il mio corpo.

SAI COSA DEVI FARE…

Lasciai che ogni pensiero malvagio mi pervadesse la mente.

LIBERAMI!

Fu in quel momento, che con un grido, persi completamente coscienza delle mie azioni: ma mi accorsi che stavo comunque volando ad una grandissima velocità, mentre il mio corpo pareva mutare.

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Cell si ergeva su Gohan e su Vegeta, sofferenti.

«Ora, per voi è veramente giunta la fin- cos’è?!» disse, voltandosi all’improvviso.

Tutti i guerrieri Z si voltarono verso la direzione da cui proveniva un’aura gigantesca, che si avvicinava a grande velocità.

«Oh no…» disse Piccolo.

«Ragazzi, m-ma è… m-ma è…» disse Crilin, che teneva tra le braccia un’esanime  C-18, balbettando.

«IL GIOVANE RYDER! Finalmente, due piccioni con una fava!» disse Cell, ostentando soddisfazione.

All’improvviso, l’aura di Daniel raggiunse il campo di battaglia, e al suo atterraggio generò una gigantesca onda d’urto. Cell diede le spalle a Gohan e Vegeta, al che il giovane mezzo saiyan, ancora nella sua forma di super saiyan di secondo livello, tentò di caricare un ki-blast per prendere alle spalle Cell, ma Vegeta lo fermò, trattenendolo.

«Fermati Gohan… sarebbe inutile… approfittiamone per recuperare le forze.»

Cell intanto, fissava il polverone che si era creato all’atterraggio di quello che doveva essere Daniel Ryder.

«Ce ne hai messo di tempo, ragazzino. Sai, mi dispiace non averti assorbito prima, guardando come sei diventato potente. Ma ucciderti sarà comunque un piacere immenso.» disse, tenendo incrociate le braccia.
In quel momento la polvere si abbassò, e tutti poterono finalmente vedere il neo entrato in campo: a prima vista tutti riconobbero Daniel Ryder, dalla tuta e dal taglio di capelli, me c’erano cose completamente differenti.

La sua muscolatura era nettamente più sviluppata del normale, cosa innaturale; ma soprattutto, sul suo viso al posto del naso c’erano due fessure strette e allungate. La sua pelle era grigiastra.

Quando poi aprì gli occhi, fu evidente che qualcosa non andava in Daniel: gli occhi erano di un giallo intenso, con due fessure al posto delle pupille. Era gli occhi di un rettile.

Cell fu per qualche istante sconcertato: «E-E tu cosa diavolo sei?»

In tutta risposta, la creatura si esibì in un sorriso inquietante, che mostrò una lunga fila di denti aguzzi in una smorfia terrificante.

«P-Piccolo, ma… cos’è quella cosa?» chiese uno sconcertato Yamcha.

«Quello è Daniel…» rispose freddamente il namecciano.

«Ma non è possibile, guardalo in faccia!» disse Tensing.

Piccolo si girò, il viso corrugato dalla tensione: «Fidatevi se vi dico che quello è Daniel: e fidatevi anche quando vi dico che, in questo momento, la minaccia principale è lui.»

Gli sguardi sconcertati del gruppo si spostarono verso il campo di battaglia, dove Cell continuava a fissare il nuovo arrivato.

«Non dici nulla, eh? Eppure dovresti essere una gran lingua lunga.» disse, provocatorio.

La creatura lo guardò. Poi piegò la testa all’indietro e ruggì: un ruggito profondo, gutturale, che nulla aveva di umano.

«Allora fai sul serio… avanti allora!» disse Cell, prima di lanciarsi a tutta velocità sulla creatura, che rimase immobile.

Almeno, rimase immobile finché Cell non fu lì per colpirla: in quel momento sparì, per riapparire sopra la testa dell’androide, e con un calcio sbattè la testa di Cell a terra, con una forza e una rapidità impressionante, tanto che la terra tremò.

Cell non fece in tempo a reagire che si vide nuovamente afferrato per la testa e scaraventato lontano con forza.

La creatura si proiettò immediatamente dall’altra parte per colpirlo, ma Cell fu rapido nel rimettersi, arrestò il suo volo e con una rapida capriola aerea fu davanti al mostro. Lo colpì con una potente ondata di ki.

Quando poi anche l’onda sparì, della creatura non c’era traccia.

Per un attimo, l’androide fu convinto di avercela fatta. Finché non avvertì un forte calore al suo fianco: realizzò troppo tardi che si trovava dietro di lui, e che lo stava per scagliare via, caricando un ki blast direttamente sulla sua pelle.

«Non è poss- ahhhhhhhhhh!»

Cell fu ancora scaraventato lontano, e la creatura, emettendo continuamente strani versi animaleschi, gli fu nuovamente addosso caricando un pugno. Cell glielo parò, ed inizio a colpire a sua volta.

Con grande sorpresa di tutti, la creatura li schivò tutti, tenendo le braccia conserte. Finché non decise di fermare un pugno dell’androide nel suo palmo.

Cell guardò per qualche istante il suo avversario.

«N-Non è possibile… I-Io s-sono l’essere p-perfetto…»

Sul viso che una volta doveva essere quello di Daniel Ryder, comparve nuovamente un sorriso carico di malvagia soddisfazione, ogni dente affilato brillava alla luce delle aure dei due combattenti.

Fu allora che Cell fu nuovamente colpito, per la seconda volta in quella giornata, da un forte pugno allo stomaco. Ma questa volta, non finì li. L’androide fu colpito da una ginocchiata che lo rimise in piedi, dopo diche iniziò una serie di colpi ben assestati lungo tutto il suo corpo: dopo una serie di schiaffi, la creatura eseguì una verticale, colpendolo con ripetuti calci al visto e al torace.

Una volta compiuta una rotazione completa, si proiettò dietro di lui e con entrambe le mani afferrò le due protuberanze sulla testa dell’androide, e le strappò con violenza, passando poi alle ali; infine, prima che Cell potesse reagire, lo afferrò per i polsi, e spingendo con i piedi sulla schiena dell’androide, gli strappò via entrambe le braccia, causando la fuoriuscita di parecchio sangue bluastro.

Cell ansimava, pur consapevole che gli sarebbero ricresciute quasi immediatamente. La creatura, allora, lo scaglio ancora via con un calcio rotante, lanciando un ki blast che colpì Cell alla schiena, causando una gigantesca esplosione nel momento in cui l’androide toccò terra. Poi, la creatura gettò da una parte le braccia mozzate dell’androide, e iniziò a camminare lentamente verso il punto in cui era atterrato.

«N-Non è possibile…» disse uno stupefatto Vegeta «Lo ha umiliato!»

Anche Gohan, così come tutti gli altri erano stupefatti: il giovane saiyan non aveva comunque recuperato molta energia in quel breve lasso di tempo, il braccio gli doleva ancora per il colpo parato a Cell, per difendere Vegeta. Ma forse, non c’era più bisogno di preoccuparsi.

L’androide, dal canto suo, era sconcertato: doveva assolutamente cercare di prendere tempo, per poter elaborare una strategia. Quella creatura era decisamente troppo forte se affrontata a viso aperto, e probabilmente non aveva ancora mostrato il suo lato peggiore.

In preda ai pensieri, si sentii afferrato per il collo, e sollevato.

Vide il volto della creatura, piegato ancora nel suo sorriso sadico. La sua mano stringeva attorno al collo, e purtroppo, a dispetto degli altri androidi, la sua composizione organica rendeva fondamentale la respirazione.

La mano sinistra della creatura stretta attorno al suo collo, la mano destra invece inizio a brillare: il ki assunse la forma di un globo scuro, carico di potenza.

Cell non poteva concepire come potesse essere arrivata la fine: il processo di rigenerazione era ormai completo, ma anche se aveva di nuovo le braccia e le sue forze, si rese conto di non poter far nulla contro quel mostro.

Fu in quel momento però, che cambiarono le carte in tavola.

«RAAAAAAAAAURGHHHHHHHHH!» ruggì con forza la creatura che una volta era Daniel Ryder.

La presa sul collo di Cell si allentò, finché non lo lasciò definitivamente andare. L’aura della creatura crebbe improvvisamente: la sfera scura sparì dalla sua mano, che andò con l’altra a coprire i suoi occhi, mentre il suo ruggito si faceva sempre più intenso, e l’aura cresceva in potenza ed intensità.

«Cosa sta succedendo adesso?» disse Crilin, coprendosi gli occhi.

Piccolo fissava la creatura, quasi stupefatto.

«Piccolo, riesci a capire cosa sta accadendo laggiù?» chiese Yamcha.

Il namecciano si prese una pausa, prima di rispondere, con un tono quasi speranzoso: «Si sta ribellando. Daniel si sta ribellando.»

Fu in quel momento che ci fu una vera e propria esplosione di energia, per cui tutti dovettero chiudere i loro occhi. Quando poi tutto terminò, dove c’era la creatura ora c’era quel ragazzo che tutti conoscevano come Daniel Ryder, che cadde a terra, svenuto.

«Oh, finalmente ti riconosco, moccioso!» disse Cell, rialzandosi «Debole e inerme come dovevi rimanere…»

La rabbia dell’androide era evidente: allungò la sua mano, iniziando a caricare un potente ki blast che lo avrebbe disintegrato.

«Sai, questo tuo giochetto mi ha decisamente fatto arrabbiare… magari vi faccio fuori tutti… così, per farvi vedere che con me non si scherza… e voglio proprio iniziare da te, mostriciattolo mutaforma…»

In quel momento il colpo partì, creando un gigantesco cratere davanti all’androide. Ma poco prima che il colpo potesse partire, il corpo di Daniel era sparito improvvisamente, e si trovava ora tra le braccia di Piccolo.

Cell si girò di scatto, evidentemente arrabbiato: «Ancora non vi è chiaro, eh? Ostentate coraggio ed eroismo, ma siete tutti già morti!»

Fu allora che Gohan non poté più trattenersi: «CELL! Non è ancora finita tra noi!»

L’androide lo guardò, la sua scocciatura era evidente.

«E SIA! Con questa però, potete anche dire addio al vostro schifoso pianeta!» disse, iniziando a caricare una kamehameha potentissima.

Gohan fece lo stesso, sforzandosi di farlo con una mano sola. La cosa, sorprendentemente, gli riuscii.

«Questa è per mio padre, bastardo…» disse, prima che lui e l’androide lanciassero i rispettivi attacchi.

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Mi risvegliai di soprassalto, guardando il cielo azzurro.

Mi ricordavo di Cell, di come lo stessi per fare fuori, finché non ho più voluto farmi dominare da quel mostro, e poi fu nuovamente il vuoto.

«Ti sei ripreso, finalmente!»

Quella voce, non la sentivo da parecchi anni ormai: mi voltai, per vedere Dende in ginocchio al mio fianco.

«Ti ricordi di me?»

«Si Dende, ma… che ci fai qui?»

«Dende è il nostro nuovo Supremo: bentornato a palazzo, Daniel.» mi voltai, nel riascoltare quella voce amica.

«Ciao Popo!»

Lui continuo a sorridermi, amichevolmente.

«Ehi ragazzi, si è svegliato!» riconobbi immediatamente la voce di Crilin.

Il gruppo si aggregò vicino a me, i volti sorridenti.

«Ragazzi, ma… dov’è Cell?» chiesi.

«Gohan lo ha sconfitto definitivamente! Tutto è successo dopo che…»

Crilin esitò: notai che anche i volti degli altri si erano fatti più cupi.

«“Dopo che” cosa, Crilin?»

Fu allora che intervenne Piccolo: mi raccontò tutto, per filo e per segno. Il mio arrivo, il mio aspetto, la mia potenza: ma, soprattutto, la mia brutalità.

In quel momento mi alzai di scatto in piedi: mi sentii pervaso dalla paura.

Quel mostro dentro me aveva ragione, non potevo fermarlo. Ora si era come assopito, ma chissà quando avrebbe deciso di fare il suo ritorno. Dovevo sparire, allontanarmi da tutto e da tutti…

«Daniel, cosa stai…» disse Yamcha, cercando di mettere una mano sulla mia spalla, preoccupato dalla mia improvvisa agitazione.

«Stammi lontano!» gridai scansandomi.

«Ehi, rilassati, siamo al sicuro…» disse Crilin.

«No! Vicino a me non lo siete!»

«Ma sei impazzito?» disse nuovamente Crilin.

In quel momento il panico aveva ormai preso possesso del mio intero essere. Nel prendere le distanze da loro, notai anche la presenza della bionda C-18, nascosta tra le colonne, anch’ella con uno sguardo incredulo in volto. Ma non ci badai più di qualche istante, tanto mi bastò per raggiungere il bordo del palazzo.

«STATEMI LONTANO!» dissi, prima di spiccare il volo a tutta velocità, verso dove non lo so: in quel momento non ero nemmeno sicuro di chi o cosa fossi diventato.

Ma non avrei permesso a niente di fare del male ai miei amici, anche se questo significava uscire dalle loro vite.

Le lacrime scendevano sulle mie guance e si disperdevano nell’aria, mentre volavo tra le nuvole, in un cielo che improvvisamente si era fatto più scuro.


NOTE DELL’AUTORE
Capitolo decisamente forte, eh? Il mondo di Daniel è stato completamente ribaltato… e ora si ritrova a gestire un altro, enorme problema.

Scrivere questo capitolo è stato per me un momento di grande emozione: la storia da qui prenderà una svolta decisiva.

D’ora in avanti ci saranno molti aggiornamenti “a sorpresa”. Non lo faccio per dispetto, mi sono posto una piccola scadenza e la storia è quasi finita, ma in quanto a capitoli pubblicati sono molto indietro rispetto a quelli già scritti.

Ogni tipo di recensione è gradita, anche se la storia non vi è piace e avete dei suggerimenti o critiche da esporre.

Dragon Ball è proprietà di Akira Toriyama.

Alla prossima!

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Capitolo 21
*** Isolamento ***


CAPITOLO VENTUNESIMO- ISOLAMENTO

Anno 769- Due anni dalla sconfitta di Cell

Sfogliò il suo vecchio album di foto, finché non si soffermò su una foto in particolare: in una grande tavolata, ben assortita, sedeva la sua famiglia mescolata alla famiglia Ryder. C’erano solo sorrisi e tanta allegria in quella foto: guardò suo padre Mark, un braccio attorno al collo di Damon Ryder, una grande risata sul volto di entrambi.

Kira Ryder era in primo piano, su un lato, a far intendere che stava scattando lei quella foto: dietro di lei, le mamme, anch’esse con un sorriso di serenità sul volto.

E poi, uno a fianco dell’altra, lei e Daniel: lui un po’ dimesso, con un sorriso imbarazzato, mentre lei teneva il gomito appoggiato sui suoi capelli disordinati, un sorriso che mostrava tutta la dentatura stampato in volto, l’altro braccio disteso, rivolto verso la macchina fotografica, con due dita alzate a formare una V.

Pamela Ikeda continuò a fissare la foto, le lacrime che cominciavano piano a formarsi nei suoi occhi: non tanto perché ora entrambe le famiglie erano sparite, per sempre, per colpa di uno scienziato pazzo e del suo mostro.

Il suo sguardo si era soffermato sulle figure degli unici due superstiti: quei due bambini, oggi due ragazzi costretti a crescere in fretta. Pensò soprattutto a quel bambino, a come a nemmeno vent’anni si ritrovasse a confrontarsi con forze più grandi di lui stesso.

Quel bambino, poi quel ragazzo, che una cosa aveva sempre avuto: il sorriso sulle labbra.

Ora, si erano entrambi trasferiti nella villetta di nonna Amy, completamente dalla parte opposta rispetto a dove vivevano prima: la casa dell’anziana signora era semplice, e per dare una stanza anche a Pamela aveva dovuto rinunciare al suo piccolo studio.

Proprio in quel momento, mentre era seduta sul divano del piccolo salotto, con il vecchio album di foto che era riuscita a recuperare nella distruzione che si era creata anche in casa sua per l’arrivo di Cell, il campanello suonò.

«Cara, per cortesia, puoi andare alla porta?» disse una voce da una delle camere da letto.

«Certo, nonna Amy.»

Pamela si avvicinò allo spioncino, e non appena vide chi c’era dall’altra parte, si affrettò ad aprire la porta.

«Ciao ragazzi! Cosa vi porta qui?»

Davanti a lei, sulla soglia, stava Bulma, e ditero di lei Crilin e C-18, che si frequentavano ormai da qualche mese ed erano ormai prossimi a sposarsi. Pamela non poté non notare come i capelli crescessero ora copiosi sulla testa dell’ex monaco, ma non era già più una sorpresa per lei.

«Una ragazza non può visitare una vecchia amica?» disse l’azzurra, ridacchiando.

«Oh, ma certo! Entrate pure, mettetevi comodi!» disse, indicandogli il divano e la poltrona.

«Nonna, abbiamo ospiti!» urlò. Dopo di che si recò nella piccola cucina, dove mise su un vassoio qualche bicchiere d’acqua e una piccola ciotola con delle patatine.

Ritornò in salotto per vedere che anche l’anziana padrona di casa era entrata in salotto, a salutare i nuovi arrivati. Poi si rivolse a Pamela «Cara, io vado a fare la spesa, ricordati di sistemare anche la sua camera, nel caso si faccia vivo…»

Pamela annuì, e nonna Amy uscì dall’appartamento. Poi posò il vassoio sul tavolino del soggiorno.

«Certo che per avere settant’anni, li porta veramente benissimo!» disse Bulma, mentre prese uno dei bicchieri dal vassoio.

«Oh si, le piace mantenersi in forma… Spero vi vada bene quello che ho portato, non c’è molto altro in casa.»

«Oh figurati, non c’è problema Pamela.» disse Crilin, sgranocchiando una manciata di patatine «Più che altro, puoi immaginare perché siamo qui.»

Pamela affondò nella poltrona, lo sguardo basso mentre si massaggiava le tempie con la mano destra.

«Lo posso eccome, ragazzi... il fatto è che… io non so più cosa fare…»

«Lo sappiamo. Per questo vogliamo provare a farlo ragionare.» disse nuovamente Crilin «In più, lui ancora non sa di me e C-18. Oltretutto eri desiderosa anche tu di conoscerlo, vero tesoro?»

Il cyborg gli fece un mezzo sorriso.

«Si… Mi era parso un tipo simpatico.» rispose la cyborg con il suo consueto tono freddo.

«Si… lo era.» disse Pamela «Ma Cell e il dottor Gelo ce lo hanno portato via. Quello che da due anni sta facendo la vita dell’eremita, non è il Daniel che mi ricordo io… e che rivoglio.»

«Lo rivogliamo tutti, Pamela. Noi non lo vediamo da ben due anni: ha perso quel gran casino con quel Bojack, ma soprattutto non si è presentato al MIO MATRIMONIO!» gridò improvvisamente Bulma.

Pamela sorrise: il Daniel che si ricordava avrebbe riso di gusto quella giornata a veder Vegeta profondamente in imbarazzo, in uno smoking bianco del quale si era lamentato tutto il tempo, e di vederlo togliersi con irritazione ogni singolo chicco di riso dai capelli.

«Guarda, perfino Vegeta è preoccupato… a modo suo. Ad ogni modo, devi dirci dov’è, vogliamo assolutamente parlargli.»

Pamela la guardò, leggermente indecisa. «Non lo so ragazzi, potrebbe essere una grande delusione…»

«Senti, noi sappiamo che non lo sta facendo perché, all’improvviso, ha deciso che ci odia tutti, anzi...» disse Crilin «Sappiamo di cosa si porta dentro, e della sua paura di non poterlo gestire. Ma siamo qui oggi, noi che lo abbiamo visto crescere come guerriero e come uomo, per dirgli che non può insistere su questa via. Non può vivere in questo modo, pensando che il mondo debba temerlo, nella paura di fare del male ai propri cari.»

Pamela lo guardò dritto negli occhi: era, evidentemente, una decisione che non poteva essere cambiata. Ma sapeva in cuor suo che sarebbe stato difficile ottenere dei risultati…

«Ok, vi accompagnerò da lui… ma non è il caso che ci arriviamo in volo. Credo sia meglio mantenere le nostre aure basse, in modo che lo si prenda di sorpresa.» disse la rossa, facendo l’occhiolino «Sempre che non stia meditando.»

Li accompagnò fuori dal condomino: poiché ora vivevano dall’altra parte della città, il sentiero che portava al piccolo villaggio di montagna non era distante.

«Faremo un salto da Takeshi: vedrete, vi starà simpatico. È un nostro caro amico, e fa del ramen veramente squisito ad un prezzo stracciato, in più potrà darci qualche informazione su come si sta comportando in quest’ultimo periodo.»

«Si, ma… è ancora lunga?» chiese Bulma, ansimando leggermente.

«Beh, ringrazia che hai messo le scarpe da ginnastica e non i tacchi, ragazza!» le disse Pamela, scherzosa «Manca ancora un po’, ma non è ripido: è una passeggiata piacevole.»

Dopo un po’ giunsero nel piccolo villaggio sulla montagna. Pamela scambiò qualche saluto, poi il gruppetto si diresse ad una locanda che la rossa conosceva piuttosto bene.

«Pamela! Che bello rivederti!» disse la voce calda e amichevole di Takeshi, sul quale l’età iniziava a farsi sentire, visti gli ormai inequivocabili capelli bianchi.

«Anche per me, Takeshi! Questi sono degli amici!»

«Buongiorno anche a voi! Posso prepararvi qualcosa?» chiese il venditore.

«No…» Pamela cambiò radicalmente espressione, per dare enfasi alla serietà del momento «In realtà, siamo qui per lui.»

«Oh…» l’allegria sparì immediatamente dagli occhi del venditore.

«Appunto… ha combinato qualcosa in questi giorni?»

«Si… scende spesso per andare alla taverna qua di fronte, a bere. Saké, vino, birra… basta che sia alcolico.» disse il ristoratore, sospirando. Poi riprese: «Io non ce la faccio più Pamela: possa accettare che beva, che abbia iniziato a fumare, ma non a non vederlo più sorridere, scherzare e divertirsi come un tempo. Mi fa stare male.»

«Ti capisco, amico mio… Adesso abbiamo intenzione di andare lassù, vediamo se con i rinforzi riusciamo ad ottenere qualche risultato...»

«Buona fortuna, allora.» disse, senza aggiungere altro.

Il gruppetto uscì, e prese la direzione del sentiero, che li avrebbe portati al laghetto.

«Bere… Ci mancava solo l’alcol, dannazione!» gridò improvvisamente Pamela, irritata.

«Non ci avevi detto nemmeno che aveva iniziato a fumare…» disse Bulma.

«Per un hatwa, fumare non è nocivo, da quel che ho scoperto grazie a Piccolo: i prodotti della bruciatura, anche della carta che avvolge il tabacco, non intaccano le nostre cellule. La carta è creata dalla cellulosa, e il tabacco è una pianta: così per un Hatwa diventa un modo come un altro di rilassare i nervi. Anche suo padre fumava, non ti ricordi?» gli rispose.

«E per quanto riguarda l’alcol?»

«Quello è il vero problema.»

Le due donne si scambiarono degli sguardi preoccupati. C-18, invece, si rivolse al compagno: «E questo sarebbe la stessa persona che passava le giornate ad allenarsi, quello che prendeva in giro Vegeta, lo stesso disposto a perdonare me e mio fratello fin dal principio?»

«Si tesoro…» gli rispose Crilin, in un tono che pareva quasi irritato.

«Sei preoccupato?»

«Eccome: sono stato tra i primi ad insegnargli qualcosa nelle arti marziali, anche se non sono mai stato effettivamente il suo maestro, nonostante gli abbia anche insegnato a volare. È diventato uno dei miei migliori amici, e francamente non permetterò che Cell me lo porti via come ha fatto con un altro mio caro amico…» disse, facendo un chiaro riferimento a Goku.

Le tre donne si fermarono per un istante, sorprese dalla fermezza e dalla decisione di Crilin, che non era solito essere così duro.

Quando furono passati almeno tre quarti d’ora da quando avevano lasciato Pepper Town, Pamela alzò lo sguardo e sorrise.

«Siamo arrivati.» disse, mostrando al gruppo lo scenario che si apriva dopo una strettoia nella roccia.

“WOW…” fu tutto ciò che uscì dalle bocche degli altri tre membri.

Pamela ormai conosceva bene quel luogo: la piccola foresta, il laghetto, le montagne intorno.

«Vi piace?»

«È bellissimo…» disse Bulma.

«Questo è sempre stato il nostro luogo di allenamento da quando il Supremo lo lasciò andare.» sospirò all’idea che erano già passati sette anni da quel giorno.

«Lui dov’è?» chiese C-18, rovinando l’atmosfera agli altri due.

Pamela sapeva benissimo dove andare. Ma prima ancora che potessero fare un passo, nel centro del lago comparve una piccola luce, che immediatamente si separò in tante altre, che si separarono ulteriormente nel giro di un istante, generando quello che pareva un grande stormo di lucciole, che poi si trasformò in una serie di esplosioni potentissime.

«Fantastico. Si sta allenando.» disse Pamela.

«C-Cos’era quella?» chiese Crilin.

«Quella era la Tempesta Mortale. Per me resta un nome stupido, ma come tecnica non è niente male, ora che l’ha perfezionata.» commentò la giovane hatwa, come fosse la cosa più normale del mondo.

Scesero verso il lago, fortunatamente senza udire altre esplosioni, finché non raggiunsero la riva.  E lì lo videro.

In volo sopra la superficie, in una tuta sportiva scura, c’era Daniel Ryder: aveva in bocca una sigaretta, che a quanto pare aveva terminato, visto che la gettò via in quell’istante. Non aveva un’aria trasandata, ne pareva non si curasse, ciò nonostante pare che passasse in quel luogo più tempo che in casa.

«Ehi, fenomeno!» gli gridò Pamela «Hai visite!»

Lui si voltò, per un istante: la sua espressione pareva priva di ogni sentimento. Si girò nuovamente e iniziò a combattere contro l’aria.

«SENTIMI UN PO’, GIOVANOTTO!» gridò improvvisamente Bulma «ABBI UN PO’ DI RISPETTO ALMENO PER CHI SI PREOCCUPA PER TE! NON TI SEI NEMMENO CURATO DI PRESENTARTI AL MIO MATRIMONIO! VEDI DI SCENDERE IMMEDIATAMENTE!»

A quel punto il guerriero interruppe i suoi esercizi.

«Calmati, Bulma…» gli disse Pamela, stringendole i polsi.

In quel momento, Daniel discese lentamente, atterrando a riva. Guardò i nuovi arrivati, uno per uno.

«Ciao, ragazzi.» disse, freddo.

«Daniel, perdona lo sfogo di Bulma…» gli disse Crilin «Ma non ti fai vedere da due anni! Siamo tutti preoccupati per te!»

Il giovane hatwa lo guardò indifferente.

«Non puoi rinunciare alla tua vita!» riprese Crilin.

Frugò nella tasca della tuta, estrasse un pacchetto di sigarette e se ne accese una. Fece un tiro deciso, guardando negli occhi il suo vecchio amico.

«Tu non puoi capire Crilin.»

«Non è vero! Sei tu che non VUOI capire, che questa non è la strada giusta. Anche io credevo tempo fa che non avrei mai raggiunto certi traguardi, ed ora sono qui a presentarti la mia ragazza. Che peraltro, credo tu conosca già… Tra qualche mese ci sposeremo, e mi piacerebbe tu venissi.»

C-18 e Daniel si scambiarono uno sguardo: per una volta la cyborg rivide gli occhi vuoti e privi di emozioni di C-16. C’era però un’unica differenza fondamentale: C-16 era una macchina.

«Molto piacere. Crilin mi ha parlato molto bene di te.» gli disse la cyborg, tendendo poi la mano.

Daniel tirò nuovamente dalla sigaretta, fissando la cyborg negli occhi. Poi gliela strinse, in un gesto che non faceva trasparire alcuna emozione.

«Sono felice per voi.» disse freddo.

Crilin a quel punto non ci vide più: «Perché fai così eh? PERCHÉ TI SEI ARRESO, ECCO PERCHÉ!»

Lo sguardo di Daniel si fece più cattivo: «Andate via…»

«Dov’è finito il mio amico? Quello che aveva sempre la battuta pronta! Quello che non si arrendeva mai? Quello che ha voluto provare la kamehameha a 6 anni, svenendo, e che ci ha provato finché non è riuscito! Quello che non si abbattuto di fronte all’idea di non poter aiutare i propri amici, ma ha saputo trarne forza! Quello che ha spudoratamente sfidato il dottor Gelo, e insultato C-17 pur sapendo di rischiare la vita! Quello, le cui parole mi hanno ispirato e mi hanno aiutato a trovare l’amore!»

Il piccolo terrestre era madido di sudore dallo sfogo.

Negli occhi di Daniel c’era ora quella che pareva una furia incontenibile. Ma C-18, fredda come al solito, vide qualcos’altro, prima che il ragazzo urlasse: «Andate… VIA!»

In quel momento la terra tremò, e il vento iniziò a soffiare più intensamente per qualche istante. L’aura di Daniel, in quel breve attimo, crebbe a dismisura.

Quando poi si placò, anche la terra e il vento si fermarono.

«Va bene, fenomeno, abbiamo capito.» disse Pamela «Andiamo via ragazzi.»

Daniel si alzò nuovamente in volo, tornando nel centro del laghetto, continuando a fumare la sua sigaretta.

Il gruppetto si allontanò, ripercorrendo la stessa strada di prima. Crilin però, si fermò un istante, guardando ancora verso la figura al centro del laghetto.

«VA BENE, PROSEGUI PURE SU QUESTA STRADA! MA SE UN GIORNO, PER CASO, DOVESSI RIACCENDERE IL CERVELLO, NOI CI SAREMO COMUNQUE! PERCHÉ NOI ABBIAMO SEMPRE CREDUTO IN TE! SEI TU QUELLO INCAPACE DI CREDERE IN SÉ STESSO!» gli gridò.

Come prevedibile, non ottenne reazione alcuna dall’amico. Scosse la testa, e si riunì al gruppo.

«Mi dispiace ragazzi, ci avete provato, ma avete visto… non è più lui.» disse Pamela.

«Lui vuole solamente evitare di rivivere il Cell Game, senza un Cell. È chiaro ed evidente.» disse Crilin «Ma finché continuerà su questa strada, rischia di perdere solo sé stesso, e la cosa mi fa star male.»

Nel gruppo calò il silenzio, mentre proseguivano a ritroso lungo il sentiero percorso non troppo tempo fa.

C-18 prese per un istante il fidanzato in disparte, e gli sussurrò all’orecchio: «Sei stato bravo, laggiù. Mi sei piaciuto.»

«Dici?» gli rispose, sul volto un mezzo sorriso di compiacimento.

«Eccome: lo hai commosso.»

«E come fai a dirlo?»

«Glielo ho visto negli occhi.» gli rispose la bionda.

«Se lo dici tu…» fu allora che la prese per mano, sorridendo, e proseguirono insieme.

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Non potevo negare che mi avesse fatto piacere la loro visita: era veramente da troppo tempo che non li vedevo.

Avrei voluto dire a Crilin che quei capelli gli stavano bene; avrei voluto essere entusiasta per lui e C-18; avrei voluto esserci al matrimonio di Bulma…

Soprattutto, non avrei voluto lasciare gli altri soli contro quel Bojack: ma la ferita era ancora troppo fresca, e poi, Gohan se l’era cavata, ancora una volta, egregiamente. Pamela provò, uno dei pochi giorni che passavo da casa, che sia Gohan che Chichi erano passati, chiedendo di me: volevano anche loro farmi conoscere il nuovo arrivato in casa Son, Goten. Pamela li aveva dissuasi, cosa che non gli era riuscita, oggi, con quei tre…

Io vorrei poter tornare alla vita di prima, ma non posso: corrono un pericolo troppo grande vicino a me.

Era da un po’ che la voce di quel mostro nella mia testa si era placata: ogni tanto si faceva sentire, come un pensiero che compariva improvvisamente nella mia testa, portando sempre solo malvagità.

Li guardai mentre imboccavano la strettoia tra le montagne che li avrebbe condotti fuori dalla conca, e pensai a come si fossero prodigati solo per venirmi a trovare.

Le parole di Crilin poi, mi avevano quasi commosso: erano state comunque le parole più forti che avessi mai potuto ricevere, cariche di affetto e preoccupazione. Era un vero amico.

Ma non dovevo dare a vedere che mi aveva commosso: non dovevo cedere.

Aveva ragione, comunque: si, mi sono arreso. Mi sono arreso al fatto di essere un debole, di non poter controllare il mostro dentro di me. Perché viene facile a loro, parlare: non devono conviverci tutti i giorni. Non devono convivere con il dramma di poter essere la causa della loro morte.

Fumare e bere, mi aiutano a distendermi, a rilassarmi: anche se devo iniziare a dosarmi con l’alcol, purtroppo a quello sono sensibile come un essere umano…

Anche se non lo sono: la mia famiglia, quella di Pamela, e a quanto pare molti altri nel mondo, siamo dei fottuti extraterrestri, e a quanto sembra extraterrestri molto intelligenti. Una delle tante cose che mi sono state tenute nascoste, e per la quale io oggi pago questo prezzo salatissimo.

MORIRANNO TUTTI…

Eccola, ancora una volta: ormai non si sentiva più così spesso, e non riusciva neanche più a mandare messaggi logici. Sembrava più l’eco di qualcosa di molto lontano: la dimostrazione che quantomeno riuscivo a reprimerla. Ma a che prezzo?

Ancora una volta, compresi che aveva ancora ragione Crilin: stavo perdendo me stesso. Ma era l’unico modo per tenere a bada quella cosa.

Non andavo quasi più a casa: queste mie paure mi stavano facendo dimenticare il calore e l’affetto di mia nonna e dalla mia migliore amica, tutto ciò che mi rimaneva da chiamare famiglia.

Tutto questo, per colpa di quel figlio di puttana del dottor Gelo e di quel bastardo di Cell…

UCCIDI, DISTRUGGI…

“NO!”

Dovetti immediatamente soffocare quei pensieri: la rabbia e la brama di vendetta erano le sue principali valvole di sfogo.

Mi guardai intorno, stralunato: non mi accorsi che erano passate delle ore, ed era già calata la notte. Ero rimasto immobile, sul lago, a pensare, per delle ore.

Decisi di andare al villaggio, a bere qualcosa: ero ben consapevole di come sarebbe finita. Fortunatamente, avevo fatto una bella scorta di zeni l’ultima volta che ero passato da casa: come sperperare un’eredità.

Atterai di fronte alla locanda, sorprendendo qualche avventore: alcuni fecero dei cenni di saluti, ai quali risposi freddamente. Mi sedetti al bancone, notando comunque come la gente che vi aveva già preso posto si stesse lentamente spostando, una volta capito che mi stavo dirigendo lì: non gli diedi troppo peso.

«Buonasera, Daniel.»

«Buonasera, Yuto. Sai che ore sono?»

«Non avevi un cellulare?»

«Lasciato a casa…»

«Beh ti converrebbe tornarci… comunque sono le dieci e un quarto. Cosa ti servo stasera?»

«Sakè. E lascia la bottiglia, per favore.»

«Ai suoi ordini!» disse, con uno smorzato entusiasmo, prima di posare davanti a me una bottiglia aperta e un bicchierino, che mi affrettai a riempire.

Sentii immediatamente l’alcol scaldarmi l’esofago mentre lo bevevo, provando immediatamente una sensazione di maggiore leggerezza: mi annebbiava la mente, e quindi ogni brutto pensiero.

Non attesi molto prima di versarmi un altro bicchiere, e poi un altro, un altro e un altro…

Al decimo bicchiere, mi interruppi per un istante: ormai avevo perso completamente la concezione del tempo, e la visione era già mezza offuscata.

Mi sentii poi, toccare diverse volte sul braccio, come se qualcuno volesse attirare la mia attenzione.

«Ghe sciè?» biascicai, sorpreso. Feci fatica a riconoscere la figura di Yuto, il locandiere.

«Ragazzo, c’è qui uno che ti cerca: ha l’aria piuttosto arrabbiata…»

«Digli, ghe deve *hic* prendere appuntamento dalla mia sciegretaria…»

A quel punto mi sentii sollevato di peso e caricato sulle spalle da qualcuno…

«Ehi am-ico, aspeeeetta… devo *hic* p-pagare… Yuto! YUUUUUUTOOOO! Aha, che bello d-dondolare…»

«T-Tranquillo ragazzo, offre la casa stasera…» disse quella che riconobbi essere la voce di Yuto.

Tutto successe così in fretta, vidi la porta della taverna e poi la piazza, con quelli che mi parvero dieci, o forse venti, quindici persone che diventavano sempre più piccole.

«Wooooooooow… guarda come diventa tut-to più piccolo *hic* SCIAOOOOOO!!!»

«Guarda cosa mi sono ridotto a fare…» disse la voce di quello che mi aveva caricato in spalla.

«Ehi ammico… dov-ve mi p-porti? *hic*»

Lui non rispose, mentre le montagne si facevano sempre più vicine. In quel momento, le palpebre mi crollarono definitivamente, e mi addormentai.

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«Ugh…»

Il sole dell’alba mi svegliò, colpendomi direttamente negli occhi. Avevo un gran mal di testa: quello che mi meritavo dopo aver voluto esagerare, per l’ennesima volta.

Poi mi tornarono immediatamente in testa, molto confusi, i ricordi della sera precedente: chi era il tipo che mi aveva portato via dalla locanda? E soprattutto, dove mi aveva portato?

Mi fu facile rispondere alla seconda domanda: una rapida occhiata al paesaggio, e capì che mi trovavo nei pressi dell’ormai familiare laghetto di montagna in cui ero solito allenarmi.

«C-come diavolo ci sono arrivato qui?»

«Ah, ti sei deciso a svegliarti, finalmente.» disse una voce potente e autoritaria.

Una voce che non sentivo da parecchio tempo.

«Cosa ci fai qui, Vegeta?» dissi, mentre già sentivo il mal di testa diminuire d’intensità: quello era uno dei vantaggi di avere cellule come le mie, nonostante gli effetti dell’alcol si facessero comunque sentire.

Lui mi dava le spalle, e fissava il laghetto.

«Bulma ieri sera mi ha detto quello che è successo. Sai, moccioso, non me n’è mai importato un fico secco di te e di tutti gli altri.» disse, graffiante.

«Ma oltre che parecchia insolenza, in te comunque ho visto abbastanza potenziale perché tu possa diventare qualcosa degno di essere definito un guerriero. Eppure, tu preferisci umiliare te stesso e la tua vita per paura di sfruttarlo: questa cosa non è accettabile.»

“Ecco, un altro che non capisce” pensai, una volta che ebbe finito il suo discorso.

Almeno, io credevo fosse finito. «Allora ho pensato che forse un metodo più rigido sarebbe stato più efficace.» disse, girandosi verso di me.

Mi rialzai in piedi, ancora, piuttosto scosso: «Senti, non so cosa tu abbia in mente ma-»

Non feci in tempo a completare la frase che un pugno mi spedì lontano, spezzando il tronco di qualche albero.

«Se credi di essere veramente un pericolo per noi, allora combatti con me, dimostramelo. Oppure smettila con questa pagliacciata.»

Lo guardai, mentre la sua espressione seriosa si tramutava in un ghigno: «Anche se fare il pagliaccio è la cosa che ti riesce meglio.»

A quel punto allora colsi la sfida: in un attimo, mi potenziai, sfruttando la fusione con il flusso di energia vitale, e gli fui addosso.

Lui parò facilmente il mio primo colpo.

«Niente male, ma non credo sia sufficiente, pivello…» disse, pronto a colpirmi con un calcio.

Ma per sua sorpresa, mi proiettai dietro di lui, e con un colpo a mani unite lo scaraventai a terra.

“Mantieni il controllo…” mi dissi “Cerca di rimanere in te.”

«Ah, è così, eh? Vediamo allora come ti confronti con questo!»

E con un piccolo grido, aumentò la sua aura e si trasformò in super saiyan.

“No, Vegeta, ti prego…” pensai, consapevole che se mi avesse spinto al limite avrei veramente potuto farlo uscire.

Ma proprio mentre ero fermo a riflettere, lui fu immediatamente davanti a me, e con un pugno mi scagliò via, facendomi sfiorare la superficie del lago. Fui comunque rapido a rimettermi in sesto, e con una capriola fui nuovamente in piedi, levitando sull’acqua.

Non feci comunque in tempo a guardare dove fosse, che fu subito sopra di me, pronto a colpirmi con un calcio al volto.

Glielo parai con l’avambraccio, mentre col pugno sinistro provai a colpirlo a mia volta, centrando in pieno la sua bianca armatura, costringendolo ad arretrare.

«Veramente niente male, pivello… ma ti servirà ben altro, anche solo per sperare di raggiungere il mio livello.» lo guardai negli occhi, ora di un intenso azzurro, poi notai l’ennesimo ghigno di arroganza stampato sul suo volto.

Uccidilo…

Sentii la mia aura aumentare di molto, e lo attaccai: questa volta riuscii a colpirlo bene sul mento, scagliandolo lontano. Lui riprese equilibrio quasi subito, solo che, invertendo la situazione precedente, fu lui a dover parare un mio calcio proveniente dall’alto.

Allora iniziammo a scontrarci fisicamente, con una continua serie di pugni e di calci che ci spinse sempre più in altro, finché non fummo quasi all’altezza delle cime delle montagne. Finché ad un certo punto non ci ritrovammo a scontrarci, viso a viso, spingendoci a vicenda caricando le nostre aure.

L’onda d’urto che si venne a creare distrusse alcune delle cime delle montagne, che franarono a valle.

A quel punto ci separammo, e il principe dei saiyan caricò un altro pugno, molto potente.

Distuggilo…

Afferrai il suo pugno nel mio palmo, non accorgendomi di quanto stesse pericolosamente aumentando la mia aura. Allora lo colpì a mia volta, con l’altro pugno, e sfruttando il movimento mi piegai in avanti e con un calcio lo lanciai in basso, verso il lago.

UCCIDILO!

A quel punto stavo per perdere completamente il controllo delle mie azioni, quando caricai la sfera di ki nella mia mano, con la chiara intenzione di testarla su di lui.

«TEMPESTA MORTALE!» gridai a pieni polmoni.

Vidi che aveva appena recuperato l’equilibrio quando il gigantesco stormo di piccole sfere lo raggiunse. Ci fu un’esplosione enorme.

A quel punto però, mi resi conto che ero andato troppo oltre. Cercai immediatamente di calmarmi, ero andato troppo vicino al limite consentito.

«Bella mossa, pivello.»

Mi voltai, e vidi che dalla coltre di fumo che si era creata, con solo qualche graffio sulle placche dell’armatura, stava un illeso Vegeta.

«Ma non ti basterà.»

«Senti Vegeta, io non-» dissi, tentando di scusarmi, prima di ritrovarmelo nuovamente addosso.

Mi rifilò una serie di calci e di pugni che mi parve infinita: io non feci niente per fermarlo, mentre mi parve di sentire dolore in ogni parte del mio corpo.

Finché non mi scagliò a terra con un colpo a mani unite, ed iniziai a cadere verso il basso ad incredibile velocità.

Lo guardai mentre diventava sempre più piccolo alla mia vista, finché non scomparve nuovamente.

Credevo che avrei toccato terra da un momento all’altro, finché non avvertii un dolore atroce sulla schiena: che fortuna che ci fosse il suo ginocchio ad impedirmi di andare a sbattere a terra.

Caddi, rantolando. Mi poggiai sui palmi, sputando un po’ di sangue, e mi voltai a guardarlo.

«Intendi metterci molto a rimetterti in piedi?» mi disse, non guardandomi più con la sua solita espressione spavalda, ma quella seria e fiera del principe dei saiyan, mentre teneva le braccia conserte come suo solito.

Io mi misi seduto sulle ginocchia, e mi voltai dall’altro lato per sputare ancora qualche goccia di sangue. Poi, lo guardai negli occhi per qualche istante, e chinai la testa: no, non volevo continuare quella lotta.

«Come immaginavo: hai deciso per l’umiliazione suprema.»

Mi aspettavo che proseguisse la sua tortura, e invece rimase fermo dov’era, ritornando normale, ma senza smettere di guardarmi con un’espressione che, ora, faceva trasparire del disgusto.

«Avevano ragione quando dicevano che non eri più lo stesso: fosse solo per il tuo stare zitto, mi andrebbe bene. Ma non riesco a sopportare la gente che si arrende. Per un guerriero con un minimo di dignità la sconfitta non è contemplabile, se non si è fatto tutto il possibile per evitarla: non so come ti abbiano insegnato le cose qui, ma sul mio pianeta uno che si arrende è considerato peggio di un saiyan nato inadatto al combattimento! E tu, in questo momento, ti sei arreso al tuo avversario, e sai benissimo che non sto parlando di me!»

Lo guardai fisso nei suoi profondi occhi neri, ricolmi di rabbia: non credevo che proprio Vegeta potesse avere tanto a cuore il mio problema.

«Ti rifiuti di affrontarlo a prescindere, perché ancora contempli la PAURA: tu hai paura a pensare di potercela fare. E se fosse così, sappi che ti disprezzerei più di quanto non facessi già.»

A quel puntosi girò, dandomi nuovamente le spalle.

«È stato comunque un riscaldamento soddisfacente, sei migliorato. E vedi di riflettere su ciò che ti ho detto.»

A quel punto, prese il volo, e si allontanò a grandissima velocità: io rimasi per terra, fissando il cielo.

Guardai in che stato ero ridotto: non avevo ferite, ma tanti lividi e dolori in ogni dove. Ma la cosa più dolorosa, quella mattina, furono le sue parole: si era preoccupato, nella sua maniera, della mia situazione, e quando aveva parlato del disprezzo, capivo che, in realtà, prima doveva provare una sorta di rispetto per me. Anche perché, per sue parole, lui disprezzava praticamente tutti: il suo modo per dire che si trovava bene.

In quel momento però, mi ritrovai con ancora più pensieri di prima.


NOTE DELL’AUTORE
Buonasera gente! Dopo questo breve ponte del 25 Aprile, rieccoci con la nostra storia: in questo capitolo avete visto Daniel fare cose decisamente deplorevoli: eppure, lo fa a fin di bene. Però, potrebbe non bastare… che abbia ragione Vegeta?

Venendo a noi, gli aggiornamenti saranno molto frequenti d’ora in avanti: questo perché il dovere chiama, e mi dispiacerebbe lasciarvi per mesi con dei buchi…

Ogni recensione è gradita, anche critica, purché educata. Se avete dei suggerimenti, fatevi pure avanti!

Dragon Ball è proprietà di Akira Toriyama.

Alla prossima!

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Capitolo 22
*** Cacciatori ***


CAPITOLO VENTIDUESIMO- CACCIATORI

Era una calda notte estiva quella che stavano vivendo gli abitanti della Città dell’Ovest, e quelli di tutti i paesi e villaggi che in quel momento godevano della luce della luna.

Luna che in quel momento fu superata a gran velocità da una piccola navicella, dalla forma triangolare, che a gran velocità entrò nell’atmosfera terrestre, finché non atterrò, molto silenziosamente, in uno spiazzo isolato, nel bel mezzo di un deserto.

«Atterraggio eseguito con successo, signore.»

«Perfetto, Vork. Clud, Juis! Preparate le attrezzature!»

«Subito, signore.»

«Capitano Rezor.» disse l’alieno chiamato Vork, dalla pelle rossa e la figura sottile, un lungo muso appuntito piegato in una smorfia soddisfatta «Obbiettivi confermati: abbiamo tre terrestri, e un cyborg, il bersaglio più problematico dei quattro.»

«Ottimo: e per quanto riguarda le possibili minacce?»

«Confermate: un altro cyborg, un namecciano, quattro terrestri e…»si prese una pausa prima di concludere «due saiyan allo stadio “super”»

«E per quanto riguarda quell’altra strana creatura, quella che rilevammo due anni fa?»

«Sparita insieme a Cell, capitano Rezor. Da allora non abbiamo più ricevuto segnali.»

«Meglio così. Una sua improvvisa presenza ci avrebbe costretto a rimandare nuovamente… E lui si sarebbe adirato ancora di più.»

L’alieno di nome Rezor strinse i braccioli della sua poltrona, pensando all’ira del loro mandante. La mancanza di capelli faceva arrivare tutto il sudore nei suoi grandi occhi, fino alla sua bocca dalle grandi labbra, senza passare da un assente naso, riflettendosi sulla sua pelle verde. Poi si calmo, rilassando i suoi muscoli, pensando che comunque la missione sarebbe andata a buon fine.

«Clud! Juis! Siamo pronti?» urlò, rivolgendosi agli altri due membri dell’equipaggio.

Uno di loro, Clud, era un gigantesco umanoide dalla pelle arancione, due occhi completamente bianchi e due canini che spuntavano dal labbro inferiore: teneva il collo piegato e le braccia penzolanti, facendolo sembrare un gigantesco gorilla.

L’altro, Juis, lavorara con le sue quattro braccia su dei marchingegni.

«Quasi fatto, capo! CLUD!» urlò poi al gorilla «Porta qui le armature!»

La pelle blu scuro di Juis lo nascondeva nella notte terrestre, ma i suoi scintillanti occhi gialli lo rendevano ben visibile, lui e la sua rotonda e liscia testa.

In quel momento Clud ritornò, con una valigia dalla quale estrasse quattro armature di diversa dimensione, ma tutte simili tra loro, e non diverse da quelle dell’esercito di Freezer: tutte bianche, con i dettagli in verde acqua.

Il gruppo le indossò.

«Molto bene ragazzi, sapete tutti qual è l’obbiettivo di questa missione, quindi non ve lo ripeterò.» disse, deciso, Rezor «Così come non vi ripeterò quello che vi dico adesso: dovremo essere rapidi e metterci in azione senza fronzoli. Secondo gli ultimi chip spia, domani gli obbiettivi saranno tutti radunati nella vicina Città dell’Ovest: non è detto quante delle possibili minacce saranno presenti, di sicuro saranno presenti i due saiyan, e dovremo essere rapidi ad attuare il piano che abbiamo in serbo per loro, così come per il namecciano, se sarà presente. Per quanto riguarda i terrestri, non dovrebbero essere un problema nemmeno per il nostro Vork.» disse sogghignando, per le risate di Juis e Clud.

«Piantatela voi due, che la prossima volta regolo le vasche di rianimazione perché fi facciano soffocare…» disse il piccolo alieno, irritato.

«Dai Vork, si scherza.» disse Rezor «Comunque, nessuno dei terrestri dovrebbe meritarsi nessuno dei nostri trattamenti speciali. C’è però una cosa importante che dovete ricordare: questi guerrieri non usano scouter, così come non li dovremo usare nemmeno noi. Questi sono pratici nello sfruttare la loro aura: è quindi fondamentale sforzarsi di tenerla bassa, almeno finché non sarà il momento di entrare in azione: chiaro?»

Dal gruppo arrivarono cenni d’assenso.

«Bene: non appena il sole sarà alto, ci metteremo in azione.» concluse Rezor.

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Pamela guidava rilassata lungo le strade della Città dell’Ovest: ormai era praticamente abituata, da quando aveva iniziato a lavorare per la Capsule.

Bulma fu così gentile due anni fa, da trovarle un posto nell’assistenza clienti: non che Pamela se ne intendesse molto, ma riusciva comunque a cavarsela bene.

Ora, però, non si stava dirigendo lì per lavoro: c’era la festa di compleanno del piccolo Trunks, e l’azzurra aveva colto l’occasione anche per organizzare una rimpatriata.

Pensò poi che tra tre giorni ci sarebbe stato anche il matrimonio di Crilin e C-18: insomma, non era un periodo in cui ci si risparmiava in quanto a feste.

Mentre rimuginava su questi piacevoli pensieri, arrivò all’ingresso del parcheggio dell’azienda.

«Buongiorno, Mike!» disse allegramente, salutando la guardia.

«Oh, ciao Pamela! Oggi non si lavora, eh?»

«Dai Mike, lo sai che ritmi faccio! E poi ho ancora solo 18 anni, ho appena fatto la patente! Fammi divertire un po’!» disse, fingendosi offesa.

«Ah-ah! Passa pure, e divertiti!» le disse Mike, facendole un caldo sorriso, che la rossa ricambiò.

Una volta trovato posto, scese immediatamente dalla macchina, dirigendosi  in giardino con in mano il regalo per Trunks.

Ovviamente non aveva potuto vestirsi come piaceva a lei: aveva dovuto riporre la tuta ed ogni altro indumento sportivo, scegliendo una più sobria camicetta azzurra e dei pantaloni bianchi. I suoi corti capelli rossi erano, come sempre ormai, pettinati a formare un caschetto.

«Pamela! Ben arrivata!»

Si girò per vedere una sorridente Bulma Briefs venirle incontro.

«Vedo che sei ancora da sola…»

«Non parliamone, per favore…» le rispose, mestamente, la rossa.

«Hai ragione, affari suoi. Vieni, ti accompagno dagli altri!»

E la accompagnò in un largo giardino, dove si erano radunate parecchie persone, tra cui anche gli amici della banda.

«Manca qualcuno?» chiese Pamela.

«Si, Reef e Tensing: è da un po’, in effetti, che non si fanno vivi. Ma sono sempre stati un po’ così, lo sapevamo. E poi, ovviamente, il nostro novello eremita…»

«Chi non viene, mamma?» chiese in quel momento, tirandola per un lembo del rosso vestito, un piccolo bambino dai capelli viola, che guardava, incuriosito, verso la madre.

«Ah, ecco il nostro festeggiato! Tranquillo, la mamma stava parlando di un amico della zia Pamela, che purtroppo non è potuto venire!»

«Me lo farai conoscere, zia?» chiese poi il piccolo a Pamela, che si chinò a massaggiargli la testa.

«Certo, tesorino, un giorno lo conoscerai! Ora però prendi questo e vai a divertirti!» disse, porgendogli il regalo.

Trunks lo prese e con entusiasmo andò a metterlo insieme agli altri, per poi tornare a giocare sul prato, dove un ancora piccolo Goten lo aspettava: tra i due pare ci fosse già una grande amicizia.

«Glielo farò mai conoscere?» domandò Pamela, quasi affranta.

«Non ti preoccupare, tesoro. Alla fine se nemmeno Vegeta è riuscito a smuoverlo, non ci resta che aspettare. Ma non significa che dobbiamo rinunciare anche noi ai piaceri della vita! Oggi pensiamo solamente a divertirci, ok?» gli rispose l’azzurra, sorridente.

La giovane hatwa gli sorrise a sua volta: aveva ragione, oggi non era il caso di rimuginare su quella situazione, la quale non poteva più trovare una soluzione che venisse da loro.

Si unì sorridente agli altri, seduti in una grande tavolata, e brindò al piccolo Briefs che gongolava in mezzo ai tanti regali ricevuti.

Si ritrovo a chiacchierare con i due futuri sposi, Yamcha e il vecchio maestro Muten, che non gli risparmiò qualche “complimento” al quale evitò di “rispondere” troppo violentemente: non era mai diventata forte come gli altri guerrieri, ma di sicuro ancora se la cavava, nonostante avesse dovuto rallentare con gli allenamenti.

Finché ad un certo punto, ci fu un enorme spostamento d’aria, che fece ribaltare l’intera tavolata, e una velocissima nave di forma triangolare volò velocissima sopra le loro teste, fermandosi improvvisamente sopra le strade poco fuori la Capsule Corporation, ed atterrò.

Vegeta, fino a quel momento seduto in disparte vicino ad un albero, si alzò immediatamente, i denti stretti in una smorfia di tensione.

 «Q-Quella navicella…» sussurrò.

«C-Caro, cosa c’è?» gli domandò Bulma, leggermente scossa, mentre teneva Trunks in braccio.

«Piccolo, riesci a percepire qualcosa?» domandò Gohan al suo maestro.

«No.» rispose il namecciano, anch’egli reso piuttosto teso da questo fatto.

A quel punto, un enorme coltre di fumo si era alzata da dove era atterrata l’astronave, e ora aveva raggiunto anche il giardino: ma più veloci di essa, quattro figure comparvero nel giardino della Capsule Corporation.

«Capitano Rezor, confermo assenza di terrestre e androide: tutte le altre possibili minacce sono presenti» disse la più piccola delle figure.

Tutte e quattro indossavano un’armatura bianca, a dettaglia verde acqua, simile a quella degli uomini di Freezer, e un casco dotato di lenti, che ricordavano quelle degli scouter. Ma particolari erano i giganteschi bracciali sul braccio destro di ognuna della quattro strane figure: uno di loro ne aveva due, più piccoli, come il numero di bracci destri che aveva.

«Vegeta, che piacere rivederti!» disse quello che pareva il loro leader, che di particolare aveva solo la pelle verde scuro e l’assenza del naso.

Tutti gli invitati si voltarono verso il principe dei saiyan, incuriositi. Principe, che teneva lo sguardo fisso sui nuovi arrivati.

«Che ci fate qui?» domandò, freddo, Vegeta.

«Dai Vegeta, sai benissimo di cosa ci occupiamo… sai perché abbiamo abbandonato l’esercito di quel megalomane di Freezer: quindi sai già la risposta.» gli rispose.

«Mi dispiace interrompere la rimpatriata,» interruppe bruscamente Piccolo «ma se non vi dispiace gradiremmo anche noi sapere chi siete.»

«Oh, ma che scortesi che siamo stati! Di solito non siamo così sgarbati, vero ragazzi?» disse nuovamente la figura dalla pelle verde, rivolgendosi agli altri tre, che ridacchiarono «Il gorilla qui dietro è Clud; lui invece e Juis, che neanche con quattro braccia si ricorda mai di salutare; e questo è Vork, il nostro fidato tecnico; io sono il capitano Rezor. Ma potete chiamarci “I Cacciatori”.»

A quel punto fece un inchino di scherno agli invitati.

«E cosa siete esattamente?» gli chiese Yamcha.

«Sono dei reietti, quattro disertori dell’esercito di Freezer, che viaggiano per vari pianeti, e poiché non sono mai stati degli abili combattenti si servono delle più avanzate tecnologie per rapirne alcuni abitanti, per lo più femmine, eseguendo gli ordini del loro capo, un essere ancora più viscido di loro, Kreed.»

«LORD Kreed, Vegeta, ricordati che è buona educazione parlare dei propri superiori usando il loro grado.» lo corresse Rezor con un sogghigno, che fece irritare parecchio il saiyan «Ma ti ringrazio per avermi risparmiato il resto della tiritera. Si, siamo qui per le vostre donne: le compagne dei saiyan e questi altri due elementi hanno attirato le attenzioni del padrone, vista la loro inusale forza.»

«In ogni caso, non vedo come possiate andare oltre questa "tiritera".» disse Vegeta, sogghignando «Sfortunatamente per voi, non c’è tecnologia che vi possa salvare dalla forza di un super saiyan: e si dà il caso che qui ce ne siano ben due.»

E in quel momento sia lui che Gohan si trasformarono: il giovane dovette liberarsi di alcuni degli abiti che la madre lo aveva costretto ad indossare, rimanendo solo in canottiera.

«Vi suggerirei di tornare strisciando da quel verme del vostro padrone, ora.» disse, con sicurezza Vegeta.

Rezor, però, iniziò a ridere.

«Vedo che non sei cambiato affatto, Vegeta, sempre convinto di essere sempre un passo avanti agli altri, mentre continui a camminare nella direzione opposta.»

La metafora provocò diverse risatine tra gli altri cacciatori, mentre Rezor alzava il braccio destro, cliccando uno dei pulsanti sul bracciale: da un foro iniziò ad uscire un forte getto di gas, che rapidamente si diffuse tra tutti gli invitati.

«Mamma, non mi sento bene…» disse Trunks, mentre sia lui che Goten si aggrappavano ai vestiti delle madri, finché non caddero a terra, svenuti, per la paura delle due donne.

Vegeta e Gohan osservarono con orrore, ma anche loro iniziarono a sentirsi male: iniziarono entrambi a tossire molto forte, quasi simultaneamente, mentre si accasciavano al suolo, doloranti. In un istante tornarono al loro stadio normale.

«C-Che cos’è questa roba?» chiese Gohan, tra i rantoli.

Vegeta alzò lo sguardò ormai debole verso i quattro alieni: «Non è poss*coff* C’è solo una cosa *coff* che ha questi effetti su noi saiyan…»

«Vedo che siamo perspicaci.» disse Rezor, con un ghigno malefico «Si, questo è estratto di creslidia, pianta difficilissima ormai da trovare, grazie a voi saiyan, e ancora più difficile da lavorare: ma come puoi vedere, può dare grandi soddisfazioni. Sapevamo benissimo che effetti ha su voi saiyan: questa dose non vi ucciderà, ma prova a porre resistenza, e sappi che mi basterà premere un pulsante.»

A quel punto, Piccolo, Yamcha, Crilin e C-18 si frapposero tra il gruppo e i due saiyan.

«Se credete che ci sarebbero stati solo loro due a darvi filo da torcere, beh, avete fatto male i vostri conti.» disse Yamcha.

«IO NON SBAGLIO MAI I CONTI!» disse, improvvisamente, Vork, improvvisamente irritato. Premette quindi anche lui un pulsante, che apparentemente non parve avere effetto alcuno, finché Piccolo non iniziò ad urlare, cadendo a terra, le mani strette attorno alla testa.

«Questi sono ultrasuoni, namecciano: è inutile anche che ti stacchi le orecchie.» disse Rezor, contemplando la scena.

«Bene, meno uno. Clud Juis, lacci elettrici. Vork, annichilisci il cyborg.»

Nel giro di un istante, il gigantesco guerriero rosso e la piovra umanoide premettero anch’essi dei pulsanti sui loro ampi bracciali, direzionandoli, verso Chichi, Pamela e Bulma: da dei piccoli fori uscirono dei lunghi fili di un giallo intenso, che si avvolsero attorno alle tre donne, stordendole.

Pamela fece in tempo a lanciare un grido, che nonostante tutto non rimase inascoltato.

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“Pamela!”

Se quelle strane aure mi avevano insospettito, in un primo tempo, ora stava veramente succedendo qualcosa: le stavano facendo del male!

Ma perché non interveniva nessuno? Sembravano tutti così deboli. C’erano ancora Crilin e Yamcha, ma erano soli contro quattro.

Sentii poi le aure di Pamela, Bulma e Chichi diminuire progressivamente: avevano perso conoscenza.

Devono pagare…

No, non posso lasciarti dominare in questo momento…

MA LE STANNO FACENDO DEL MALE… SAI CHE DEVONO PAGARE.

“NO! Tu andresti solo a portare distruzione e morte!”

TU NON PUOI IMPEDIRMI DI FARLO… LO VUOI ANCHE TU.

“Si, le stanno facendo del male, ma non voglio che la situazione peggiori…”

SAI CHE NON C’È ALTRO MODO… AVANTI, LIBERAMI…

“No, non voglio…”

INVECE SI, GLIELA FARAI PAGARE PER AVERLE FATTO DEL MALE…


“È quello che vuoi tu… o io?”

SAI BENISSIMO DI VOLERLO ANCHE TU…

“Hai ragione…”

Sentii la sua energia pervadermi il corpo, i suoi pensieri di malvagia distruzione pervadermi la mente, mentre mi parlava ancora.

LI TRUCIDEREMO, TORTUREMO, BERREMO IL LORO SANGUE…

“Si…”

ORA AVANTI…

In quel momento mi sentii pervaso da una forza devastante, desiderosa solo di essere sfogata.

LIBERAMI!

Ed in quel momento, la lasciai uscire, per la prima volta in due anni: e in quel momento la voglia di uccidere fu la sensazione più piacevole che potessi mai provare.

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All’improvviso, la terra tremò.

«Cosa è stato?» disse un sorpreso Vork.

«Che ti interessa, stupido! Pensa al cyborg!»

In quel momento C-18 si era proprio lanciata contro il gruppo, ma Vork premette un pulsante, e la cyborg si fermò in volo, come paralizzata. Juis la avvolse immediatamente in un altro laccio dal colore brillante.

«Bastardi!» gridò Crilin «Che le avete fatto?!»

«Una semplice onda di disturbo, abbastanza potente da interrompere il funzionamento di alcuni dei suoi impianti meccanici: ora è debole come le altre tre.»

Con una serie di balzi rapidissimi, Juis si caricò le quattro donne sulle braccia.

A quel punto, in preda all’ira, Crilin e Yamcha si lanciarono contro i Cacciatori.

Rezor si voltò verso il suo gorilla: «Clud, sono tutti tuoi.»

Il gorilla si mosse ad una velocità inusuale, e fu immediatamente davanti a due terrestri, interrompendo il loro volo: li afferrò con le sue enormi mani, e li sbatté violentemente sul terreno, lasciandoli inermi.

«Bene, ragazzi, è stato facile: torniamo alla nave.» disse, soddisfatto, Rezor.

I cacciatori presero quindi il volo verso il punto di atterraggio.

I guerrieri invece, furono tutti immediatamente in piedi, seppur devastati dall’esperienza.

«Non possiamo lasciarli andare così!» disse Crilin, sputando un rivoletto di sangue.

«Per una volta dici qualcosa di sensato.» disse un barcollante Vegeta.

Piccolo invece pareva ancora piuttosto stordito, ma anch’egli aveva in volto un’espressione di pura rabbia e determinazione.

«Voi andate, ci prendiamo noi cura dei bambini.» disse il vecchio Muten, mentre la signora Brief e lo Stregone del Toro prendevano in braccio i nipotini.

Allora i guerrieri si misero immediatamente in volo dietro ai cacciatori.

In quel momento, Piccolo sussultò.

«Cos’hai Piccolo?»

«Q-Qualcosa si sta avvicinando… e credo proprio di sapere cosa… ci conviene stare pronti.»

Tutti si scambiarono sguardi incuriositi, finché non arrivarono in vista della nave dei cacciatori, che a quanto pare dovevano aver volato molto più lentamente di loro, visto che anch’essi stavano atterrando.

«Bene, bene… sembra che qui qualcuno non capisca quando è ora di farla finita.» disse la voce gracchiante di Vork.

«Tipico degli scimmioni, ma evidentemente è contagioso…» disse Juis, schernendo il gruppo.

«Clud, va ad aprire l’astronave. In quanto a voi,» disse Rezor, voltandosi verso i difensori della Terra «ricordatevi che ci basta premere un pulsante.»

Si osservarono in silenzio per qualche istante, finché Rezor non si girò, irritato, insieme agli altri due Cacciatori.

«Clud? Si può sapere quanto ci vuole?!»

Clud era fermo, in piedi davanti all’astronave, in silenzio.

Ad un certo punto il gigante ebbe come delle convulsioni, e si poté chiaramente udire il suono delle placche della sua armatura rompersi. Il gigante continuò ad agitarsi, finché non si afflosciò improvvisamente.

«Clud… che hai?!»

In quel momento, una piccola onda di energia partì da davanti Clud, e lo scaraventò ai piedi dei suoi compagni, mostrandosi per quello che era diventato: un cadavere, con un enorme squarcio sul petto, dal quale uscivano fiotti di sangue. I suoi occhi erano vitrei, e anche dalla bocca usciva ora un copioso rivolo del vitale liquido.

Tutti guardarono dove stava, in precedenza, il gorilla arancione. Ciò che la sua gigantesca figura aveva coperto, si rivelava ora in tutto il suo orrore: una figura umanoide, dai grandi muscoli e la pelle grigiastra, sul volto due fessure come naso, e due occhi da serpente di un giallo intenso. Nella mano sinistra, il cuore ancora pulsante del gigante.

Juis lasciò andare i corpi delle ragazze, che stavano piano piano riprendendo conoscenza, e approfittando della distrazione dei Cacciatori, Gohan e Crilin le aveva recuperate e liberate dalle loro costrizioni: sorrisero mentre recuperavano le forse, ma anch’esse dovettero immediatamente fare i conti con quella terrificante visione.

Daniel Ryder si era finalmente fatto vedere, sicuramente non nell’aspetto più gradito.

Pamela guardò quel mostro, e si sentii male: tutto dentro di lei le diceva che quello era Daniel, eppure negli occhi di quel mostro vide tutto, ma non vi riconobbe il suo amico.

«V-Vork… c-che cos’è?» chiese uno spaventato Rezor.

«Q-Quella c-cretura s-signore… q-quella che e-era sparita…» disse Vork, balbettando.

Intanto, il mostro-Daniel strinse il cuore di Clud nella sua mano, facendolo al contempo esplodere con il ki.

Poi volse lo sguardo verso gli altri tre: a quel puntò, mostrò il suo sorriso sadico, i denti aguzzi che brillavano alla luce del sole. Iniziò quindi a camminare verso i Cacciatori.

«J-Juis, Vork… occupatevene voi, è un o-ordine…» disse Rezor, balbettando.

I due cacciatori si guardarono, indecisi sul da farsi. A quel punto decisero di caricare i cannoni nei loro braccialetti, tempestando il mostro di proiettili: ma fu tutto inutile.

Il mostro si lasciò colpire, senza mostrare alcun tipo di fastidio, e dopo essere uscito illeso da quella salva, si ritrovò davanti a Juis, che rimase impietrito dall’orrore. Almeno finché non fu colpito da una fortissima ginocchiata allo stomaco, che lo fece piegare in avanti. A quel punto, un’altra ginocchiata lo spedì in aria, di parecchi metri, e Daniel si proiettò sopra di lui, afferrandolo per tutte e quattro le braccia.

Allora spinse con i piedi sulla schiena di Juis, facendoli discendere velocemente verso terra. All’impatto, tutte e quattro le braccia del cacciatore si staccarono simultaneamente dal suo corpo, facendolo gridare di dolore. Allora la creatura gli afferrò la testa, tenendola ferma a terra, e in un batter di ciglio essa esplose, colpita da un potentissimo colpo di ki ravvicinato.

Poi, lo sguardo del mostro ruotò verso Vork, che in quel momento era pietrificato dalla paura.

Il mostro lo guardò per qualche istante, con un’espressione neutra. Vork provò a puntargli contro la sua arma, cercando di apparire minaccioso: fu allora che la creatura riprese a sorridere.

Allungò la mano verso Vork, che all’improvviso si paralizzò. Mantenne comunque lo sguardo pieno di paura sulla cretura, cercando di capire cosa stesse per fare: la vide chiudere il pugno, e quella fu proprio l’ultima cosa che vide.

I suoi occhi e la sua bocca iniziarono a brillare, finché non esplose, lanciando un lungo grido disperato: il bagliore generato fu gigantesco, tanto che gli inusuali spettatori dovettero coprirsi gli occhi.

Quando poi poterono nuovamente aprire gli occhi, la creatura stava ancora rivolta verso il punto in cui prima stava Vork, la mano ancora chiusa a pugno.

Poi, voltò lentamente la testa verso Rezor, sorridendo nuovamente, stavolta senza mostrare i denti: il capitano dei cacciatori iniziò ad arretrare, spaventato.

«S-Senti, n-non ne possiamo parlarne? I-In fondo non ti a-abbiamo fatto n-niente, d-dai…» disse, mentre la creatura iniziava lentamente a camminare verso di lui. Rezor allora, iniziò ad armeggiare con il suo bracciale, tenendo le braccia dietro la schiena, mostrando evidente agitazione.

«F-Facciamo che i-io adesso me ne vado, e n-non se ne parla più, ok?»

In quel momento, dal suo bracciale giunse un piccolo “beep”, che gli fece improvvisamente riacquistare sicurezza, mentre la creatura continua a camminare verso di lui.

«Ma se proprio insisti…» continuò Rezor, improvvisamente più sicuro «BECCATI QUESTO!»

E in quel momento portò il braccio destro in avanti, facendo partire dal suo bracciale un raggio di enorme potenza, che investì in pieno la creatura, sfiorò l’astronave, e generò un lungo cratere, e privò tutta la strada dell’asfaltatura.

Si generò una grande nuvola di polvere: Rezor ansimava, improvvisamente più rilassato, il braccio ancora teso in avanti.

Il resto del gruppo guardò verso la grande nube di polvere, gli sguardi ancora più carichi di tensione.

Rezor si girò, con un sorriso compiaciuto, verso di loro, e notando le loro espressioni si insospettì: si girò nuovamente verso il polverone, e la soluzione gli fu immediatamente chiara.

Era ancora viva e vegeta.

La figura della creatura riemerse dalla nube di polvere, un’espressione che pareva irritata, cosa che fece impallidire Rezor.

La creatura guardò la tuta che indossava, l’unica cosa che pareva essere stata danneggiata dall’attacco dell’alieno: della tuta sportiva scura ora rimaneva solo qualche brandello. L’espressione del mostro allora, si fece ancora più irritata.

Rezor provò ad arretrare, ma non ebbe tempo per reagire: in un attimo la creatura fu davanti a lui, e con uno schiaffo lo lanciò alla sua destra, facendogli attraversare un palazzo, finché il capitano dei Cacciatori non atterrò molto dolorosamente su un’altra strada, distruggendo qualche macchina.

Un paio di macchine esplosero, e costrinsero il capitano dei Cacciatori a coprirsi gli occhi: così che non appena li aprì, vide che il mostro era nuovamente sopra di lui.

Lo colpì con un calcio alla testa, scavando il terreno di parecchi centimetri: Rezor sentì il casco piegarsi e rompersi sul suo cranio, per poi sentirne i frammenti cadere, una volta che si vide nuovamente in piedi. O così gli parve.

Il mostro lo aveva sollevato, tenendolo per il bracciale sul suo braccio destro: nei suoi occhi Rezor poté veder solo una grande malvagità, e una grande sete di sangue.

Fu in quel momento che l'alieno iniziò a piangere: era la prima volta che provava una paura simile.

Il mostro, allora, tornò a sorridere, mostrando nuovamente i denti nella sua smorfia folle.

Iniziò quindi a stringere, senza, a quanto sembrava, compiere uno sforzo eccessivo: la sua forza fu nuovamente chiara a Rezor, mentre sentiva il suo bracciale stringersi sempre di più attorno al suo polso, e i sempre più frequenti, forti suoni del metallo che si spaccava.

Finché quei suoni non furono quelli delle sue ossa: Rezor iniziò a gridare dal dolore, mentre le sentiva sbriciolarsi sotto la stretta della creatura, che ad un certo punto forzò la stretta e tirò, portandosi dietro la mano di Rezor.

L’alieno cadde a terra, urlando dal dolore. Un lungo rivolo di sangue bluastro si stava ora riversando in strada.

Gli altri guerrieri avevano in quel momento raggiunto il punto in cui si trovavano i due contendenti: prestarono soccorso a qualche passante rimasto nella zona, ma fecero in tempo ad assistere alla terrificante scena.

Rezor, tenendosi il moncherino, guardò verso la creatura, con le lacrime agli occhi: «T-Ti prego… P-Pietà…»

In tutta risposta la creatura allargò il suo sorriso, e piegò il collo all’indietro, emettendo degli strani versi gutturali che parevano un’inquietante risata.

Afferrò poi, con i soli pollice e indice, il ginocchio di un ormai inerme Rezor: lo sollevò, e con un una piccola stretta, lo spezzò.

Il rumore delle ossa che si spezzavano non fu inquietante quanto le grida di dolore del loro proprietario, che si vide poi preso per il collo, la creatura pronta a tormentarlo nuovamente.

Gohan osservò la scena con orrore, e con lui tutti gli altri: ma fu lui l’unico in cui qualcosa scattò.

«FERMATI!» gridò.

Piccolo lo guardò, sorpreso. «Gohan, controllati… Non fare sciocchezze» gli disse.

Ma il giovane saiyan non gli diede ascolto: in un istante si trasformò, e con un balzò si fiondò vicino alla creatura, che ora lo guardava con sospetto, la mano ancora stretta sul collo di Rezor.

«So che sei lì dentro, Daniel, ferma questa follia… ormai non può fare più niente.» gli disse, serio.

In tutta risposta, la creatura gli sorrise, strinse la presa attorno al collo di Rezor e lo lanciò via, facendolo atterrare inerme sull’asfalto: il capitano era ormai deceduto.

Gohan allora, guardò il mostro negli occhi, ed assunse un’espressione determinata.

«Restituisci il nostro amico, mostro.»

E fu allora che lo attaccò, caricando un pugno.

La creatura lo parò facilmente, stringendolo nel suo palmo: quando poi la sua strinse ancora di più, Gohan si ritrovò in ginocchio a suoi piedi, prima che il mostrò lo colpisse con forza allo stomaco, e con una ginocchiata in pieno mento spedì lontano.

Il giovane saiyan fece in tempo a toccare terra, che fu piede lo sbatté nuovamente a terra, facendolo affondare nell’asfalto di parecchi centimetri.

«GOHAN!» gridò Chichi, scioccata, trattenuta da Crilin. Pamela, invece, osservava la scena con orrore: era ben consapevole che quella cosa non era il suo amico, ma faceva fatica a non vedere Daniel nelle fattezze di quella bestia, mentre malmenava Gohan.

Il mostro, allora, afferrò Gohan per il collo, esattamente come aveva fatto con Rezor. Guardò il saiyan, ormai tornato alla sua forma normale, e nella sua mano destra iniziò a formare una sfera scura.

Esattamente come al Cell Game.

Il resto del gruppo osservava terrorizzato, inermi di fronte alla potenza e alla crudeltà mostrata dal mostro.

Gohan provò a guardare la creatura negli occhi, mentre la sua stretta sul suo collo si faceva più forte, e l’aria iniziava a mancare: guardò gli occhi del mostro, e nulla ci rivide del suo vecchio amico.

In quel momento, una lacrima si formò sul suo viso. Lacrima che discese fino a toccare la pelle grigiastra della bestia.

Fu allora che i giganteschi occhi serpenteschi si spalancarono come sopresi.

La presa sul collo di Gohan si allentò, e il giovane saiyan ricadde a terra, mentre la creatura iniziò a barcollare all’indietro, le mani strette sulla sua testa, mentre emetteva dei gemiti di dolore.

Esattamente come al Cell Game.

«P-Piccolo…» chiese Yamcha al namecciano «Ma… si sta…?»

«Sì, Yamcha. Proprio come due anni fa.»

Allora la creatura ruggì, e una gigantesca esplosione di aura avvolse tutta la zona, abbagliando i presenti: per qualche istante, intorno a loro nulla fu più visibile. Quando però, quei versi gutturali parvero mutare in versi più umani, allora la luce iniziò a diminuire di intensità.

E poi, ci fu solo lui: in piedi, con i vestiti a brandelli, scosso ma perfettamente cosciente, Daniel Ryder.

Il giovane hatwa si guardò intorno: vide i suoi vecchi amici, e poi vide Gohan, a terra, vicino a lui, che lo guardava sorridente.

In quel momento, lacrime si formarono negli occhi del ragazzo, che prese velocemente il volo e si allontanò a grandissima velocità.

I guerrieri si scambiarono diversi sguardi, in un misto tra shock e perplessità.

«Almeno si è fatto rivedere.» disse, sarcasticamente, Yamcha.

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Dopo essersi risistemati, e liberatisi dei tre cadaveri rimasti, il gruppetto tornò alla Capsule Corporation, dove nel grande salone dell’azienda tutti si stavano facendo medicare: Trunks e Goten avevano ripreso conoscenza, ed erano ora stretti tra le braccia delle madri.

L’atmosfera era silenziosa: in quel breve lasso di tempo erano successe parecchie cose.

La prima, che un alieno voleva rapire Chichi, Bulma, Pamela e C-18; la seconda, che il mostro dentro Daniel era effettivamente una bestia incontrollabile.

Ma nessuno volle proferire parola sull’argomento: ora tutti avevano potuto vedere la crudeltà di quella bestia, e nelle menti di molti, si stavano rivalutando le scelte di quel povero ragazzo.

Ma, come in molti in quella sala sapevano, non era l’unico problema. Fu proprio Bulma, rivolgendosi la marito, a tirare fuori la questione:

«Vegeta, hai detto che questi lavoravano per un certo Kreed… chi è?»

Il saiyan sospirò, prima di risponedere alla moglie: «Kreed è uno degli esseri più crudeli e viscidi che abbia mai conosciuto: non a caso, assieme a Zarbon e Dodoria, era uno degli uomini di cui Freezer si fidava di più. Era ossessionato dai marchingegni: in uno dei pianeti che Freezer gli assegnò, fece costruire fabbriche su fabbriche che per anni ci hanno rifornito di ogni materiale necessario, dalle tue agli scouter. Lui però, era anche un abile combattente, più forte di qualunque altro servo di Freezer. Ma c’è dell’altro…»

«Non  che fino a questo momento tu abbia descritto un angelo…» commentò Crilin.

«Kreed è sempre stato un depravato» proseguì Vegeta «Non che non ce ne fossero, nell’esercito di Freezer. Ma lui… Lui godeva nel sottomettere i popoli, per lui erano trofei da collezionare, e da sfruttare: per questo rapiva solo esemplari donne di ogni popolazione che sottomettevamo, potete immaginare per fare cosa.»

Nel gruppo scese il silenzio.

«Che ci crediate o no, la cosa Freezer non piaceva:» proseguì, nuovamente, Vegeta «ma più che altro era per la reputazione del suo esercito. È sempre stato un gran bastardo, ma quantomeno era raffinato. Minacciò Kreed, dicendogli di smettere con quella sua strana collezione, e che se voleva sfogarsi, poteva andare in un bordello. Kreed non obbedì, e prima che la condanna per insubordinazione potesse essere eseguita, fuggì con i Cacciatori, che ai tempi erano la squadra assegnata ai suoi comandi. Da allora si diedero alla macchia, proseguendo la sua opera perversa nell’ombra. Evidentemente, hanno trovato una base solida dove poter migliorare le loro tecnologie, nonché trovare la creslidia.»

«A proposito, cos’è?» gli chiese Gohan.

«La creslidia è una pianta che CREDEVO crescesse solo sul pianeta Vegeta, il cui polline è letale per noi saiyan: credevo che fossero state tutte estirpate… evidentemente mi sbagliavo. E ora Kreed arriverà, sicuramente con altre dosi…»

«Come fai ad esserne certo?» gli domandò Crilin.    

Vegeta rimase per qualche istante in silenzio.

«Uno che ha rinunciato a servire Freezer pur di dare sfogo alle sue perversioni, credi che possa rinunciare così facilmente?» domandò sarcasticamente il principe dei saiyan.

E nel gruppo scese nuovamente il silenzio.

«Ora però, non disperiamo! Tra tre giorni abbiamo un matrimonio, no?» disse, improvvisamente entusiasta, Bulma, per l’imbarazzo di Crilin e C-18.

«SEI FORSE IMPAZZITA DONNA?! COME FAI A PENSARE AD UNA COSA DEL GENERE IN QUESTO MOMENTO?!» gli sbraitò contro Vegeta.

«Dai brontolone, non credo che sarà qui nel giro di tre giorni! Possiamo ancora divertirci, non abbandoniamoci ai cattivi pensieri!» disse al marito.

Gohan allora , dopo qualche istante di silenzio, decise di intervenire nuovamente per salvare la situazione, sperando, questa volta, di avere successo.

«Hai ragione, Bulma.» disse «Non è il caso adesso di lasciarsi andare ai cattivi pensieri. E poi c’è già una festa da ricominciare, giusto Trunks?»

Il piccolo Briefs fece allora un sorrisone che intenerì praticamente tutti, tranne ovviamente il padre e il sempre stoico Piccolo.

Fu allora che la tensione nel gruppo si alleviò, e tutti iniziarono a discutere normalmente sugli avvenimenti della giornata e su quelli futuri.

Anche Pamela sorrise, finché poi il suo sguardo non cadde sulla finestra, e sulle montagne all’orizzonte. In quel momento il suo cuore si appesantì nuovamente.

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Una grossa nave dalla forma triangolare si era ancorata all’orbita di Giove.

«Signore, questa è stata l’ultima registrazione dal casco del capitano Rezor.» disse un giovane soldato alieno, dalla pelle di un intenso arancione e il profilo umanoide. Portava i lunghi capelli bianchi raccolti in una coda.

«Il video è sullo schermo, signore.» disse poi un altro giovane soldato, completamente identico al suo compagno, mentre su uno schermo olografico compariva un mostro dalla pelle grigia e dai tratti umanoidi, ma con dei dettagli in viso che ricordavano quelli di un rettile, mentre colpiva con forza Rezor scagliandolo lontano, e lì la trasmissione si interruppe.

«N-Non c’è altro, signore…» disse il primo dei due soldati gemelli.

A quel punto, su una poltrona posta nella penombra, una gigantesca mano robotica sbatté con forza su uno dei braccioli.

«A quando risalgono queste immagini?» domandò una roca voce.

«Poche ore fa, comandante.» rispose il secondo gemello.

La grande mano robotica si strinse attorno al bracciolo della poltrona.

«Allora Rezor ha fallito… Sembra che quell’essere sia oltre ogni nostra possibile strategia.» disse, nuovamente, la roca voce nella penombra «La cosa è piuttosto interessante…»

«Cosa facciamo, signore? Della sua squadra siamo rimasti solo noi due!»

«Basterete. Fate rotta per la Terra: quanto ci metteremo?»

«Poco meno di tre giorni, signore.»

«Perfetto…» disse, lentamente, ostentando la sua soddisfazione «Mettete in moto, ragazzi.»

I gemelli iniziarono a premere qualche pulsante, poi, nel momento di mettere effettivamente la nave in modo, dissero in coro:

«Ai suoi ordini, lord Kreed.»



NOTE DELL’AUTORE
Hola gente! Eccoci con il ventiduesimo capitolo, e il mioprimo vero tocco totale e completo sull’universo di Toriyama! Fatemi sapere cosa ne pensate, mi farebbe felice! Ma soprattutto, ora sono tutti consapevoli della vera natura del nostro Daniel: riuscirà a sistemare le cose, o dovrà continuare ad isolarsi?

Per i cacciatori, ammetto di essermi ispirato un po’ alla squadra Ginyu, ma volevo dargli un tono più serioso. Anche se non sono durati molto, eh-eh…

Come sempre, ogni recensione è gradita, sia positiva che non, soprattutto se portatrice di suggerimenti che mi possono essere utili per migliorare!

Dragon Ball è proprietà di Akira Toriyama.

Alla prossima!

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Capitolo 23
*** Ribellione ***


CAPITOLO VENTREESIMO- RIBELLIONE

Fissai ancora una volta il mio riflesso nelle acque del lago: continuai a vedere un volto che non riconoscevo.

I capelli in disordine, un filo di barba incolta, ma soprattutto gli occhi vitrei, contornati da profonde occhiaie: il volto di un derelitto.

Perché ti ostini a fare l’eroe… a pensare di potermi tenere sigillato qua dentro per sempre…

Ormai non la ascoltavo più: cercavo di ignorarla per quanto mi fosse possibile, cercando di dargli sempre meno attenzione.

In quel momento, pensai ai miei amici, a come ora tutti avessero potuto vedere con che essere avevo a che fare tutti i giorni, da cosa li stessi proteggendo.

Domani Crilin si sarebbe sposato, e io non sarei stato lì, per il bene di tutti: anche se mi sarebbe piaciuto essere lì, sorridente e spensierato, seduto di fianco a Pamela e a tutti i miei amici, guardando il mio amico compiere il grande passo insieme ad un cyborg, dando una svolta positiva alla vita di entrambi. Anche papà ne sarebbe stato felice.

Papà: cosa direbbe lui ora? Cosa direbbe la mia famiglia, vedendomi in questo stato?

Mentirebbero, come hanno sempre fatto con te… ti darebbero l’illusione di stare bene, e tu affonderesti sempre di più nella tua debolezza e mediocrità…

“Taci…”

Ma era vero? Papà sapeva della mia condizione, perché non mi ha mai voluto rivelare niente, nonostante avesse avuto il permesso di addestrarmi?

Anche il Supremo lo sapeva: per forza, deve essere stato uno dei primi a percepirlo, così come il maestro Muten. Come mai due grandi maestri che mi hanno preso sotto la loro ala, non mi hanno voluto rivelare mai niente su ciò che mi portavo dentro?

Perché sei debole…

Mi hanno voluto addestrare loro: ma perché lasciarmi iniziare, allora?

Feci come per sedermi, nonostante stessi ancora levitando sull’acqua, e incrociai le gambe. Poggiai poi il mento nel palmo della mia mano: in quel momento gli interrogativi che erano sorti avevano completamente soverchiato ogni cattivo pensiero.

Finché non mi arrivò l’illuminazione: era lui ad essere molto potente.

Finalmente ci sei arrivato…

Ma non è detto che non fossi io quello debole: era tutto vero…

Adesso non metterti in testa strane idee…

Era vera ogni singola parola: loro sapevano, e credevano comunque in me!

NON CREDERE DI POTER FARE NULLA RAGAZZO! RESTO COMUNQUE TROPPO FORTE PERCHÉ TU MI POSSA DOMARE…

Non la ascoltavo. In quel momento, potei rivivere ogni momento della mia vita: rividi il Supremo che mi accarezzava la testa nel momento in cui lo lasciai, e quando mi disse che lo avevo fatto ricredere… quando mi disse che avevo un cuore grande.

Rividi il volto sorridente del maestro Muten, e il suo abbraccio quella sera, in cui riuscii ad eseguire la mia prima kamehameha… quando mi permise di piangere, rafforzando il mio spirito.

Poi, il mio sguardo cadde sul braccialetto d’argento, l’eredità di papà: quel braccialetto ora, valeva molto di più.

Compresi solo in quel momento che non si trattava di una semplice eredità di famiglia: era l’eredità di un’intera razza. E lui l’aveva affidata a me.

NON OSARE, RAGAZZO…

In tutti quegli anni non era stato toccato dalla ruggine e dallo scorrere del tempo, forse proprio perché fu realizzato dalla mia razza, molti secoli fa: il che lo rendeva ancora più speciale. E tutto ciò, mi riempì improvvisamente di orgoglio, per come mi era stato affidato.

Loro hanno sempre creduto nelle mie potenzialità: e in quel momento, li stavo deludendo profondamente.

Tutti quanti.

Fu allora che mi fu chiaro cosa dovetti fare…

SE È VERAMENTE QUELLO CHE VUOI RAGAZZO…

Lascia che la sua energia mi pervadesse, cercando però di mantenere il controllo su me stesso. Potei immediatamente percepire la fatica, nonostante la vera sfida dovesse ancora iniziare: la mia concentrazione rimase però ferrea.

ACCOMODATI PURE.

Ed in quel momento, lo scenario davanti a me fu bianco: una vasta distesa bianca tutto intorno a me. Capii immediatamente dove mi trovassi: come quella volta mentre ero in coma, mi trovavo nella mia testa. Potevo percepire il mio corpo che aumentava la sua aura, rilasciando grandi quantità di energia, mentre si trasformava: ma questa volta sarebbe stato diverso.

RISOLVIAMOLA VELOCEMENTE, RAGAZZO.

In un istante, riapparve davanti a me, la sua forma sinuosa che elegantemente iniziò a levitarmi intorno.

FATTI SOTTO AVANTI.

Nonostante potessi percepire il mio corpo, in quel momento statico, il rilascio di energia interrotto, il mio corpo “spiritico” assunse una posizione d’attacco, pronto a sfidare il mostro.

AH! SCIOCCO COME SEMPRE… LE TUE MOSSE, QUI, NON TI SARANNO UTILI A NIENTE!

In quel momento mi sentii come paralizzato: guardai, per la prima volta verso il basso, e vidi che ero nudo, nella mia proiezione mentale. Ma non era il dettaglio peggiore: lungo le mie caviglie salivano, eleganti, lunghe linee nere, che ricoprirono entrambi i miei piedi e proseguirono la loro salita sulla mia gamba. L’oscurità iniziò a prevalere sul bianco dello scenario intorno a me. Iniziai a spaventarmi, quando vidi che le stesse strisce di oscurità partivano ora dalle dita delle mie mani, e in un attimo erano già sull’avambraccio.

È INUTILE OPPORRE RESISTENZA… SAPPIAMO ENTRAMBI CHE NON CE LA PUOI FARE…

In quel momento, il nero aveva pervaso completamente i miei arti, e si apprestava a raggiungere il mio busto.

NON CAPISCO COME MAI TU ABBIA SCELTO DI SOFFRIRE COSÌ BEN CONSAPEVOLE CHE NON CE L’AVRESTI FATTA… COMUNQUE, PRESTO SARAI MIO, E NIENTE PIÙ MI FERMERÁ!

Fu allora che la rabbia tornò in me: ma questa volta, non ebbi paura a tirarla fuori.

Una luce fortissima partì dalla mia figura, che spinse via per qualche istante l’oscurità.

BRAVO… MA NON CREDO CHE TI BASTERÁ!

A quel punto, fu di nuovo di fronte a me, la sua sottile figura ora terminava in un ampio mezzobusto, da cui partivano due enormi braccia, indefinite e fumose come il suo corpo, che si allungarono verso di me.

In quel momento, come dei rampicanti, quelle strane strisce nere ripresero a ricoprire il mio corpo, questa volta con maggiore forza e velocità.

Mi sentii impossibilitato a reagire: la rabbia di prima non mi bastava più.

RASSEGNATI, ORMAI È FINITA. TUTTO CIÒ CHE TI È PIÙ CARO, ORA, SPARIRÁ COME TE.

Fu in quel momento che ripensai a tutti i miei amici, e a come gli avrebbe potuti trattare. Mi sentii infuriato…

MA DI UNA DEBOLE NULLITÁ COME TE, È GIÁ TANTO SE RESTA UN RICORDO…

«Io…»

Feci fatica a pronunciare quelle parole, mentre l’oscurità aveva quasi raggiunto il mio collo.

«Non sono…»

La guardai mentre il suo sguardo si faceva sospettoso: ma davanti a me, vidi solo i volti di tutti i miei amici, e quando arrivò il volto sorridente di Pamela, allora la furia uscì, in tutta la sua potenza.

«DEBOLEEEEEEEEEEEE!!»

Gridai con tutta la mia forza: sentii anche il mio corpo, che levitata ancora sul lago, rilasciare parecchia energia, nel momento in cui dal mio corpo “spirituale” nasceva una luce ancora più forte che respinse l’ombra del demone e ricacciò la sua oscurità, che si ritrovò isolata nel vasto spazio bianco in cui ci trovavamo, quella sorta di arena mentale in cui ci stavamo affrontando.

Tornò eretta immediatamente, mentre la sua oscurità riprendeva immediatamente possesso dell’area.

ORA MI HAI STUFATO RAGAZZINO…

A quel punto la sua figura si ridusse, ad un piccolo ammasso di fumo, che immediatamente si espanse…

SE NON VUOI ARRENDERTI…

A quel punto, la massa cominciò ad assumere una nuova, gigantesca forma, dotata di gambe e braccia, ed una lunga coda elegante. Una forma che ormai conoscevo fin troppo bene.

ALLORA PERMETTIMI DI DARTI UN MOTIVO PER FARLO.

Rimasi per qualche istante scioccato.

Fu un istante di troppo, perché in quel momento la sua oscurità mi investì come un’ondata, dalla quale mi ritrovai protetto, da una barriera di luce, creatasi spontaneamente.

NON PUOI RESISTERE ANCHE A QUESTO. SEI DESTINATO A FALLIRE…

La barriera di fronte a me si faceva sempre più debole, mentre la furia di prima scendeva.

Mi sentii veramente vicino al fallimento: mentre la barriera si faceva sempre più sottile, rividi davanti a me tutti i miei amici, Pamela e la nonna, e questa volta ebbi la consapevolezza di averli condannati tutti.

Avevo fallito.

Avevo tradito la fiducia di chi non c’era più: Kira, mamma, papà…

«Papà!» dissi all’improvviso, come colto da un’illuminazione.

Rividi mio padre, nel bosco, mentre mi consegnava il braccialetto, e mi ribadiva che credeva in me: che sarei stato l’orgoglio della famiglia, che sarei stato quello che avrebbe adempiuto meglio il compito legato al portare quell’ornamento.

Che ora era quello di un’intera razza, il cui destino ora poggiava sulle mie spalle, e sue quelle di Pamela.

Non avrei fallito: lo avrei fatto per loro, e per tutti coloro che credono in me.

In quel momento mi rialzai, osservando l’ombra che mi guardava con aria di scherno.

NON PUOI PIÙ FARE NIENTE. ADDIO…

La guardai, attraverso quella barriera bianca, che diventata sempre più sottile, mentre dentro di me si formava una forza nuova: sentivo il mio corpo, all’esterno, fermo, che levitata immobile sulla superficie del lago.

«Tu non mi avrai ora, e non mi avrai mai.»

Dette quelle parole, dalla mia figura partì una scarica luminosa di un’intensità gigantesca, che andò a scontrarsi violentemente con la scarica di oscurità ingaggiando un duello che presto fu vinto dalla luce.

N-NON È POSSIBILE…

La vidi cercare di resistere alla luce, che in quel momento la stava per accerchiare: ma capì immediata mente come sarebbe andata a finire.

NO, NO, NOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOooooooo…

Nell’istante in cui la luce l’avvolse essa sparì: ma nell’istante in cui successe, io mi ritrovai nuovamente catapultato nella realtà, e come se fosse stato un gesto voluto, rilasciai immediatamente una spropositato quantitativo di energia, mentre la mia aura cresceva.

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A casa Son, sotto il monte Paoz, la famiglia Son, i due futuri sposi, nonna Ryder e Pamela Ikeda stavano sistemando gli ultimi tavoli, da sistemare poi domani in giardino per il ricevimento, nonché le decorazioni e gli ultimi manicaretti che l’ormai vedova Son aveva preparato, cucinando praticamente per tutti gli invitati.

Quando all’improvviso la terra tremò.

Chichi cadde dalla sedia su cui si trovava. «Cosa diavolo è stato?» gridò sorpresa.

Uscirono immediatamente di casa, per assistere ad una sorta di show: oltre alla terra che tremava, in lontanza si poteva intravedere un grande colonna di luce che arrivava fino alle nuvole, generando onde di energia che ricoprivano il cielo.

«Quelle luci…» disse Crilin, straniato. Si scambiò con Gohan uno sguardo d’intesa: entrambi avevano capito cosa stesse succedendo. Ma il loro cuore gli disse di rimanere dov’erano: qualcosa era cambiato.

Anche alla Capsule Corporation, una sorpresa Bulma fu recuperata fortunatamente dal marito mentre il terremoto proseguiva.

«Grazie Vegeta…» disse, dandogli un bacino sulla guancia «Ma che hai?»

Vegeta, corse alla finestra, con la moglie al seguito, e lo spettacolo che si presentò ai loro occhi fu incredibile: un gigantesca colonna di luce partiva dalle montagne, fino a raggiungere le nuvole, e come un sasso che colpisce l’acqua, essa generava cerchi concentrici di energia che si espandevano in tutto il cielo.

Bulma guardò il marito, consapevole di cosa potesse essere: «Devi intervenire?»

«No: è una battaglia già vinta.» gli rispose, stoico, il marito. Anche lui sentiva che c’era qualcosa di diverso, questa volta.

L’unico a cui il cambiamento fu chiaro, fu Piccolo, che dal palazzo del Supremo, percepì finalmente pace nell’aura di Daniel, che ora sfogava tutto il nuovo potere acquisito.

Poté sentirsi felice: probabilmente, era quel poco che restava del vecchio Supremo, esultante per il ragazzo che aveva definitivamente sconfitto il demone dentro di lui.

«Ben fatto, ragazzo.» disse, fra sé e sé.

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L’onda d’urto che avevo generato era stata potentissima, lo potei vedere: i pochi alberi lì intorno erano volati via come piume al vento, e le cime delle montagne lì intorno erano state letteralmente disintegrate, e parecchi dei loro fianchi erosi.

Sotto di me, il fondale del laghetto era ora visibile, mentre l’acqua si era sollevata tutt’intorno a me.

Notai subito la grande colonna bianca che partiva da me: sicuramente si sarebbe fatta notare.

Fu allora che sentii il mio corpo mutare: i muscoli si spomparono, tornando normali; i denti si riformarono, tornando anch’essi normali; il mio naso tornò ad essere quello di sempre.

Fu allora che lo sfogò terminò.

L’acqua cadde con un tonfo attorno a me, bagnandomi un po’: fu un sollievo, mi sentivo sfinito.

Quando poi feci per guardarmi intorno, constatai che quel meraviglioso scenario era uscito devastato da questa mia “battaglia”.

Ma poi guardai verso il lago, e rimasi scioccato: a guardarmi ero io, si, ma c’era qualcosa di nettamente differente.

I miei occhi erano ancora i suoi: gialli, e con le pupille strette di un rettile. La mia pelle, ancora grigiastra. I miei canini erano ancora piuttosto pronunciati.

Dentro di me, sentivo tutta la sua potenza.

Provai a fermare il flusso di quel potere: e, come se al solito, la mia forma cambiò, ma non fu traumatico come le altre volte. Tornai immediatamente umano, senza dolori di alcun tipo: sembrò la cosa più normale del mondo.

Provai nuovamente a liberare la sua potenza e, come prima, i cambiamenti avvennero in un batter di ciglio, tranne che per un piccolo rilascio di energia.

Mi guardai, in quella forma nuova: sentivo tutto il suo potere, ma ero completamente in controllo di me stesso. Non sentivo alcuna voglia di uccidere, distruggere, o altro. Tornai normale, e lì notai un dettaglio fondamentale.

“Non sento più la sua voce.”

Quel pensiero mi causò un piccolo shock.

“Non sento più la sua voce… non c’è più…”

In quel momento, mi sentii pervaso dall’entusiasmo, i muscoli che fremevano.

«Non c’è più…» dissi, ad alta voce, solo in mezzo a quella piccola valle.

In quel momento non ressi, e presi il volo gridando per l’entusiasmo.

«CE L’HO FATTA!» gridavo, assieme ad altre grida e risate convulse, mentre compivo evoluzioni in aria.

Non ragionavo più, avevo completamente perso ogni freno: tanto che atterrai in un piccolo villaggio lì vicino, dove molte persone si erano radunate in piazza nella loro vestaglia da notte, intimorite da qualcosa. Ma io corsi diretto in un piccolo locale che conoscevo molto bene.

«TAKESHI! Cosa diavolo è successo qui? CE L’HO FATTA! NON C’è PIÙ!» dissi, senza interrompermi, correndo ad abbracciare il venditore di ramen, che era a gattoni sul pavimento a raccogliere diversi prodotti caduti per terra, insieme ad alcune mensole.

«D-Daniel, c-ciao, ma cos…»

«NIENTEORADEVOSCAPPARECIAO! NON C’È PIÙ!» dissi, urlando, mentre mi fiondavo fuori dalla porta. Prima di riprendere il volo, vidi un caldo sorriso formarsi sul volto del mio vecchio amico.

A quel punto mi lasciai nuovamente andare a diverse evoluzioni nel cielo nuvoloso, finché non le superai, ed iniziai a volteggiare sotto la volta stellata: fu una sensazione meravigliosa.

In quel momento, mi accorsi che faceva un freddo bestiale: non mi ero reso conto di indossare ancora i brandelli della tuta che indossavo il giorno del tentato rapimento delle ragazze.

Allora, il ritorno immediato a casa non fu più un’opzione: discesi immediatamente su Pepper Town, puntando ad un piccolo condominio nella periferia opposta a quella dove vivevo prima.

Atterrai sul davanzale di una finestra, le cui vecchie giunture ormai non reggevano più: la aprii senza sforzo dall’esterno, e mi ritrovai in quella che doveva essere la mia camera, lasciata praticamente intonsa se non per qualche notte che passai lì, a causa solo di temporali veramente forti.

L’avevo scoperto tempo fa, e mi fu molto utile in quei giorni da eremita, quando mi serviva un metodo per entrare in casa senza esser visto, per recuperare vestiti puliti o darmi una rinfrescata.

Ora l’avevo aperta, ma non vi sarei ripassato attraverso così presto: ora, ero lì per restare. Ero lì per ciò che mi era caro, per il quale avevo lottato fino a quel momento.

«Ehilà, gente! Che c’è per cena?»

Notai che nonostante due anni di solitudine, la mia personalità era rimasta sempre la stessa: e proprio per il gran cazzone che sono sempre stato, non ci feci caso più di tanto. Ma nonostante ciò, la mia voglia di entrata ad effetto dovette scontrarsi con l’oscurità della casa.

Mi ritrovai immobile sulla soglia della mia camera, piegato a sinistra, su una gamba sola, a fissare il vuoto del soggiorno.

Come mai non erano in casa?

A quel punto andai in soggiorno, e mi sedetti sul divano, cercando una ragione del perché non fossero in casa.

Il mio sguardo cadde poi su una busta rimasta sul tavolino da caffè: era una busta raffinata, bianca, dall’aria elegante. Ma soprattutto, su di essa c’era scritto il mio nome, in un elegante corsivo.

La aprii, e trovarmi di fronte l’invito al matrimonio di Crilin e C-18 mi provocò un illuminazione: poiché non sapevo si sarebbero sposati sul Monte Paoz, sfruttando casa Son (e non mi chiesi il motivo), non potevo immaginare che Pamela e la nonna si sarebbero mosse già oggi per poter dare una mano nei preparativi. A quanto pare la nonna e Chichi si occupavano di preparare il buffet per il ricevimento: al pensiero ebbi l’acquolina in bocca…

All’improvviso, però, constatai una cosa: non mi sarei potuto presentare così, tranquillamente, dopo quello che era successo appena due giorni fa.

Non la vedevo come una cosa corretta, anche se ora si era sistemato tutto: non volevo dare nuovi pensieri ai miei amici, soprattutto nel giorno in cui uno di loro si sposava, con quella che pure speravo di poter chiamare, un giorno, amica.

Allora mi spostai in bagno, dove mi liberai dei brandelli di tuta, che gettai nella pattumiera, e misi immediatamente sotto la doccia calda: io, che adoro fare la doccia, in quel momento ebbi un momento di piacere indescrivibile, dopo due anni passati a non potersi godere nessun secondo di esistenza.

Ora che quella voce e quel mostro non c’erano più, mi godei ogni singola goccia che scivolava lungo il mio corpo, e lo scroscio dell’acqua sul pavimento della doccia mi sembrò la musica più bella che avessi mai potuto ascoltare.

Una volta che terminai, indossai il mio pigiama, trovato praticamente intonso nei miei cassetti, e, recuperato un pacchetto di patatine dalla piccola cucina, mi sedetti sul divano e accesi la televisione, trovando un quiz a premi.

Mi godetti ogni singolo istante di quell’oretta passata a guardare il programma: dalla freschezza che la doccia mi aveva lasciato, ad ogni singola manciata di patatine che mi mettevo in bocca, e le risatine che mi causavano certe imbarazzanti risposte dei concorrenti.

Quando mi accorsi che gli occhi stavano cedendo, decisi di andare a letto.

Mi calai sotto le coperte e, per conciliare il sonno, presi uno dei libri dalla mensola sopra di me: erano tutti lì, e l’amore per mia nonna e per Pamela crebbe, quando notai che, nonostante fossero lì da almeno due anni, su di essi non c’era la minima traccia di polvere.

Guardai che titolo avevo recuperato: “I dinosauri e la modernità: perché preservare questi animali e come conciliare le nostre esistenze” un saggio su come conciliare lo sviluppo delle città e il rispetto per l’ecosistema dove vivevano i grandi dinosauri.

Mi ricordò che questo libro me lo regalò nonna per i miei quindici anni, a poco più di un anno dall’arrivo del dr. Gelo e di C-19: era molto interessante, forniva esempi su come, ad esempio, creare rotte aeree che non interferissero con il volo degli pterodattili. Non che avrei mai realizzato nulla di tutto ciò, ma era comunque ricco di informazione sulla vita dei dinosauri e sulle loro abitudini.

Dopo un’altra oretta, sentii le palpebre nuovamente molto pesanti: decisi quindi di spegnere la luce.

Fu allora che potei vedere, come tutti quei gesti semplici, parte della vita quotidiana, erano ora carichi di significato: ero finalmente tornato alla vita.

E con quel dolce pensiero, gli occhi si chiusero definitivamente, facendomi cadere in un sonno piacevole come pochi sperimentati fino a quel momento.


NOTE DELL’AUTORE
Ragazzi, ho l’entusiasmo a mille: non so quanti di voi sanno, ma è stato annunciato oggi DRAGON BALL S! Sarà una serie completamente nuova, che eliminerà GT, e questa volta sarà scritta e seguita da Toriyama stesso! La cosa ha anche a che fare con la nostra storia: “purtroppo” avevo già elaborato il futuro prevedendo delle modifiche a Dragon Ball Gt… ma chissà, una volta visto “S” potrei anche regalarvi una storia nuova, sempre con il nostro Daniel!

A proposito, spero che questo capitolo vi sia piaciuto come mi è piaciuto scriverlo. Un po’ più breve degli altri, ma comunque intenso: si è finalmente liberato di quel mostro! Ora finalmente la vita può ricominciare…

Vi ricordo che ogni tipo di recensione è ben accetta, soprattutto quelle critiche, se le sfruttate anche per darmi suggerimenti che possono essere utili per migliorarmi!

Dragon Ball è proprietà di Akira Toriyama (e oggi come sempre, ringraziamo che sia così!)

Alla prossima!

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Capitolo 24
*** Vero potere ***


CAPITOLO VENTIQUATTRESIMO- VERO POTERE

«Signore, siamo appena entrati nell’atmosfera terrestre.»

«Perfetto… quanto per raggiungere l’obbiettivo?»

«Dieci minuti, signore!» dissero i gemelli, all’unisono.

«Bene… tenete basse le vostre aure, ricordatevi che questi guerrieri non utilizzano gli scouter. Uno di voi inizi a preparare la vostra attrezzatura!»

«Subito, lord Kreed!» e il gemello seduto alla sinistra della poltrona di Kreed si alzò, e corse verso il retro della navicella.

A quel punto, il comandante dei Cacciatori scese dalla sua poltrona, e si avvicinò al grande finestrone della sua nave, dal quale contemplò la Terra: il suo cranio, dalla forma tringolare, e la sua esile figura vestita con una calzamaglia nera e una pomposa giacca rossa con la spalline bombate a cui era attaccato un lungo mantello giallo, stonavano con la sproporzionata mano destra, completamente robotizzata, ed attaccata al suo avambraccio anche tramite cavi e tubature che penetravano la pelle.

«Ora imparerete cosa vuol dire interferire con il volere di Kreed…» disse, mentre il pianeta Terra si avvicinava sempre di più.

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«EVVIVA GLI SPOSI!» gridò un coro di voci, mentre i novelli coniugi si scambiavano un bacio pieno di passione, prima di essere ricoperti da ondate di riso.

La cerimonia era appena terminata: dal piccolo palchetto allestito sul prato, ora gli sposi con i loro invitati non fecero altro che recarsi pochi metri più in là, presso casa Son, dove erano stati allestiti i tavoli per il ricevimento.

«Vorrei iniziare proponendo un brindisi.» disse Yamcha, che aveva fatto da testimone a Crilin «Oltre che a questa nuova coppia, brindiamo anche al mio caro amico Crilin, che dopo anni ha finalmente seguito il mio consiglio di farsi crescere i capelli, e si è sposato dopo neanche un anno! Hai visto?»

Gli invitati brindarono tra le risate generali, e l’evidente imbarazzo dello sposo: un sorriso apparve anche sul volto di C-17, presentatosi apposta per il matrimonio della sorella.

La festa proseguì in allegria, per tutti.

Tranne che per una ragazza, che sorseggiava mesta il suo secondo bicchiere di champagne, seduta sola al suo tavolo: non riusciva a non pensare agli avvenimenti della sera precedente, e a cosa potesse essere successo...

«Come mai così pensierosa?»

Pamela Ikeda sussultò: voltandosi, notò che di fianco a lei si era seduto il fratello della sposa: C-17 la guardava, freddo come al solito.

«Ad una festa presumo che la gente debba festeggiare.» disse, mantenendo sempre un tono quasi distaccato, freddo, ma comunque curioso.

Pamela lo guardò, e fece spallucce. «Ho tanti pensieri per la testa…»

Vide che non si era vestito elegantemente come gli altri invitati: indossava dei jeans e la maglietta con il logo del Fiocco Rosso, e una bandana arancione attorno al collo. Esattamente come lo avevano descritto un paio di anni fa: evidentemente non si curava troppo di allargare il proprio guardaroba.

«Comunque io sono C-17, non credo ci abbiano ancora presentati.»

«So bene chi sei… comunque piacere, Pamela.»

«Ah, quindi tu sei l’amica del ragazzino dalla lingua lunga?»

«Si, ricordami di dirgli che la gente inizia a ricordarsi di lui solamente per quel particolare…»

«Beh, a me è parso coraggioso: è stato l’unico oltre a Cell che ebbi veramente voglia di fare fuori.»

Pamela lo guardò scioccata, gli occhi spalancati.

«Scherzo, tutto risolto. E poi alla fine, era anche simpatico. Avrei voluto affrontarlo, poteva diventare tutto un po’ più divertente.» disse, con una risatina sommessa.

«Ehi, C-17! Che fai, *hic* ci provi con le invitate al matrimonio di tua sorella?» li raggiunse uno Yamcha palesemente già ubriaco.

«Non so cosa tu voglia dire, stavo semplicemente conversando.» disse, freddo, il cyborg.

«Daaaaaai, am-mettilo *hic* che la nostra Pamela si è fatta proprio una bella ragazza… *hic*» disse nuovamente l’ex bandito, biascicando.

A quel punto, però, si vide colpito da dietro da un’evidentemente imbarazzata Pamela, che non proferì parola, le guance rosse quasi quanto i suoi capelli.

«Degno allievo del suo maestro!» disse ridendo Bulma, che aveva notato la scena, per l’ilarità generale.

La festa proseguì, tra nuove portate, risate e complimenti ai novelli sposi.

Quando fu poi il momento di servire la torta, ecco che avvenne un gigantesco spostamento d’aria, e un’altra nave dalla forma triangolare, più grande di quella di tre giorni fa, sorvolò le loro teste, e atterrò poco lontano dalla tavolata.

Immediatamente tutti i guerrieri si misero in azione, mentre il resto degli invitati rimase al loro posto ad osservare la scena, più curiosi che terrorizzati.

Gohan, Tensing, Vegeta, Piccolo e C-17 si erano schierati di fronte all’astronave, lasciando indietro Yamcha, per palese impossibilità a combattere, Crilin e C-18, che optarono per rimanere defilati, almeno finché la situazione non fosse degenerata.

«Vegeta… è lui?» chiese Piccolo, lo sguardo ancora fisso sull’astronave.

Il saiyan, vestito come al solito nella sua armatura, non gli rispose: il portellone si stava aprendo giusto in quel momento, presto i loro avversari si sarebbero palesati.

Gohan e Tensing si liberarono di alcune costrizioni dei loro abiti formali, mentre dall’astronave scesero rapidamente due figure, perfettamente identiche tra loro, vestite esattamente come la squadra che li aveva preceduti.

«Altri cacciatori?!» disse Gohan.

«No…» disse Vegeta «Sono i gemelli… Ricordi Jeeth, della squadra Ginyu? Ecco, sono suoi cugini… e sono i suoi leccapiedi.»

«Oh, andiamo Vegeta, leccapiedi è offensivo: quelli del nostro rango non possono permettersi certi linguaggi!» disse una voce roca dall’interno della nave.

In quel momento, una piccola figura, vestita con degli stivali bianchi, una calzamaglia nera, e una pomposa giacca rossa a cui era attaccato un vistoso mantello giallo, scese dall’astronave. Il particolare che più incuriosì il gruppo, fu la sproporzionata mano robotica che sostituiva la mano destra, che metteva in risalto la minutezza della sua figura: era magro e alto più o meno come Vegeta, più basso dei suoi attendenti.

«Kreed… quanto tempo.» disse, stoico, il principe dei saiyan «Hai deciso di venire tu stesso a ricevere una lezione?»

«Oh, Vegeta, aveva proprio ragione Rezor quando ti disse che non eri cambiato affatto… si, mi avrebbe fatto piacere testare il vostro potere di persona. Ma sai com’è, io non sono come il nostro vecchio capo, io non sottovaluto i miei avversari…»

Fu allora che Vegeta sgranò gli occhi.

«Ragazzi… Mostrategli nuovamente perché deve imparare a temerci.»

A quelle parole, i gemelli sogghignarono, e premettero simultaneamente dei pulsanti sui loro bracciali, e un grande quantitativo di estratto di creslidia si sparse nell’aria.

«Bulma! Porta il moccioso in casa, subito!» urlò a sua moglie, prima che lui e Gohan cadessero a terra in preda a continui colpi di tosse.

«NON COSÌ IN FRETTA!» gridò Kreed, e nello stesso istante uno dei gemelli si proiettò davanti la porta di casa, bloccando la strada al gruppetto.

«Andiamo da qualche parte?» disse, sogghignando, il soldato di Kreed. C-18 fece per reagire, ma il marito la fermò: «Tesoro, non serve a niente… ti può fermare solo premendo un pulsante…»

La bionda cyborg guardò il maritò torva, ma comprese la sua preoccupazione, che si poteva leggere anche nei suoi occhi, insieme a molta rabbia.

«Schifoso bastardo… ricorrere a dei mezzucci per vincere?» disse Tensing, che dopo aver assistito a quella scena, si era voltato nuovamente verso Kreed, infuriato.

«Mezzucci? A me piace chiamarla strategia… Ma cosa mi dovevo aspettare da gente, da gente che si aggrega, che si ACCOPPIA, con gli scimmioni, se non una massa di trogloditi? Giusto, ragazzi?»

Ciò che disse, causò le risatine dei gemelli, mentre per il resto del gruppo fu solo furia: Tensing compreso.

«Tensing, mantieni la calma…»

Ma non lo ascoltò: l’ex allievo dell’eremita della Gru si lanciò con forza contro l’alieno, scagliandolo via. Kreed si rimise in equilibrio, frenando la caduta sfruttando la grande protesi, con la quale scavò un lungo solco nel terreno prima di arrestarsi. Tensing gli fu subito addosso, iniziando a tempestarlo di colpi.

Con grande sorpresa di tutti, Kreed, reagì tempestivamente, parando ogni colpo, sfruttando poi anche la grande mano robotica come appoggio per contrattaccare.

La battaglia proseguì, con i due guerrieri evidentemente alla pari: Kreed principalmente si limitava a parare, finché non schivò un calcio rotante del guerriero, e appoggiandosi sulla sua protesi robotica, colpì a sua volta il guerriero con un potente calcio.

«Io ho studiato da Freezer, sciocco, se credi di impressionarmi con questo, ti sbagli.» disse, rimettendosi in piedi, guardando verso il guerriero che in quel momento si stava già rialzando.

Tensing era madido di sudore: la velocità a cui si muoveva lo stava costringendo a compiere un grande sforzo: gli restava però un’altra opzione.

«DODONPA!» e rapidamente dalle sue dita partì la potente tecnica della scuola della Gru.

Kreed rimase immobile per qualche istante, finché non spalancò gli occhi di fronte alla realizzazione che quel colpo lo avrebbe ucciso: con un balzò lo schivò, rimanendo in aria finché il colpo non si esaurì, dopo che ebbe distrutto un paio di grossi alberi.

«C-Come ha fatto a schivarlo?» disse Piccolo sopreso.

Non sorpreso come Tensing in quel momento: per schivare la Dodonpa senza usare la supervelocità, bisognava possedere una velocità fuori dal comune. E così potè capire come Kreed fosse ancora fresco come una rosa.

«Uhm… niente male, terrestre.» disse poi, sogghignando verso Tensing.

«Volevo preservare questa cosa per quel vostro amico che ha distrutto i miei Cacciatori, ma credo che te lo sia meritato anche tu.» disse, prima di alzare la sua grande protesi robotica e premere qualche pulsante.

«Sai, nonostante conosca come volare o lanciare colpi energetici, ho sempre visto nella tecnologia il mezzo migliore per diventare l’essere più potente dell’universo: per questo ho sviluppato questo siero…»

In quel momento, i tubi che partivano dalla sua mano robotica iniziarono a pompare nel suo avambraccio, e Kreed fu subito preso da spasmi: iniziò a gridare mentre la sua giacca rossa iniziò a strapparsi, e i suoi muscoli si ingrossarono improvvisamente.

Tutti i presenti osservarono curiosi e inorriditi, mentre Kreed aumentava le sue dimensioni: ora era nettamente più alto di Piccolo, e la sua protesi ora era in perfetta armonia con le dimensioni del suo corpo. Dei suoi vestiti ora rimanevano solo un’aderentissima calzamaglia e gli stivaletti bianchi. Il suo volto, dalla forma triangolare, si era inspessito, e le due placche ossee sulla sua fronte si erano ingrossate, dando comunque risalto all’inusuale conformazione del suo cranio.

«Ammira, terrestre, CHE POTERE POSSO RAGGIUNGERE ATTRAVERSO LA TECNOLOGIA! Questo siero, impianto nella mia mano robotica, contiene piccoli nanobot che vanno a potenziare ogni mia singola cellula, e dandomi un’enorme fonte di energia, che accresce il mio potere in un battito di ciglia.»

Tensing non fece in tempo a reagire, che Kreed fu immediatamente davanti a lui, colpendolo con una ginocchiata allo stomaco. Lo sollevò poi per la testa, e lo colpì con una testata che lo scagliò lontano, lasciandolo tramortito a terra.

«C-Come *coff* è possibile…» disse, rantolando, Vegeta.

Kreed si girò verso gli altri due combattenti ancora in piedi: «Volete servirvi anche voi?»

Piccolo e C-17 si scambiarono uno sguardo, che poi cadde nuovamente sull’alieno.

«Credi che possiamo farcela?» chiese il cyborg.

«Sarà molto dura.» rispose il namecciano, mentre si liberava degli abiti pesanti.

«Ma almeno sarà divertente…»

«Come vuoi.»

«Ci pensi che due anni fa lottavamo uno contro l’altro? Ora siamo alleati… Come cambiano velocemente le cose, eh?»

«Già.»

Questa volta, sul viso del namecciano, si era formato un sorriso d’intesa, che rivolse al cyborg: C-17 assunse la sua solita espressione spavalda, ed entrambi si lanciarono contro Kreed.

Iniziò una lotta intensa: Kreed faceva fatica a contenere gli attacchi di entrambi i guerrieri. I suoi polsi si facevano sempre più doloranti a parare i pugni e i calci di entrambi.

«Ora mi avete stufato!»

Con un calcio non si liberò di Piccolo, e colpì C-17 sulla testa, spedendoli entrambi a terra.

Cyborg e namecciano recuperarono in fretta, e gli furono nuovamente addosso: e come prima, riprese uno scambio di colpi ad alta velocità che fu difficile da seguire per tutti.

Quando poi Kreed aumentò la propria aura, allontanandoli da lui, i due guerrieri si scambiarono un cenno d’intesa e caricarono due potenti ondate di Ki blasts con cui colpirono un impreparato Kreed.

Ci fu una grande esplosione: i gemelli per un attimo persero di vista i loro ostaggi, ma anche loro erano distratti dalla grande esplosione.

Piccolo e C-17 rimasero sospesi per aria, osservando la grande nuvola di fumo, per un attimo ebbero il sospetto che tutto fosse finito.

Finché, senza tempo per poter reagire, Piccolo si vide afferrato da un Kreed uscito illeso, non fosse per qualche strappo o bruciatura, che ora lo fece sbattere violentemente contro una piccola parete rocciosa, colpendolo poi ripetutamente alla schiena e alla testa, mettendolo fuori combattimento.

C-17 intervenne immediatamente, ma una gomitata in pieno collo lo fece volare nuovamente indietro, e non appena si fu rimesso in piedi vide un potente pugno robotico arrivargli incontro: lo parò, ma Kreed fu più svelto, e con la mano sinistra ruppe la sua parata, lasciandogli la pancia scoperta per un potente pugno allo stomaco, a cui ne seguirono altri due. Poi un paio di calci al volto, e lo spedì a terra con la sua enorme gamba.

Il cyborg lo vide mentre si piegava su di lui. Lo guardò con quegli occhi carichi di arroganza e gli disse: «Devo ammettere che sei veramente un prodigio: un essere umano perfettamente potenziato e trasformato in una fredda macchina da combattimento… Un vero capolavoro: sarà un piacere sperimentare su tua sorella.»

A quel punto, il cyborg provò a reagire, ottenendo solo le risate del suo aguzzino.

«Ah, è inutile che ci provi: così imparerete a non interferire con i miei piani…»

Vegeta, che con Gohan era rimasto a terra, dolorante, con il gas che ancora si trovava copioso nell’aria e intaccava i suoi polmoni, provò ad alzarsi sui gomiti: «S-Sei… un mostro… viscido… pervertito…»

Kreed lo guardò, ancora più divertito: «Ah! E io sarei il mostro? Perché tu adesso vuoi farmi credere che la brava mogliettina ti ha fatto cambiare? Che non sei più l’animale di un tempo? Fammi un favore Vegeta, stai zitto e risparmia le forze, c’è ancora molta creslidia nell’aria…»

Il principe dei saiyan lo guardò, con una furia che non poteva essere espressa: Kreed intanto, puntò la sua mano meccanica sul cyborg, aprendo il palmo nel quale si era aperto un piccolo foro circolare, che si illuminò sempre più grandemente.

«Mi dispiace doverti uccidere, ma le tue intenzioni mi sono chiare: considera un onore, il fatto di essere un prodigio ai miei occhi, e che ora sarai ucciso con quello che io ritengo il mio capolavoro tecnologico…»

Oramai era pronto a fare fuoco dal cannone sul suo palmo.

«Rassegnatevi, ormai non c’è più nulla che possiat- AH!» gridò improvvisamente dal dolore, perdendo la presa su C-17: il suo manone metallico era stato colpito da un ki blast, ed ora pareva non funzionare più.

Tensing, Piccolo e il resto dei combattenti si guardarono per un istante, senza capire da dove fosse venuto il colpo, mentre Kreed gridò, furibondo: «CHI È STATO?!»

«Guarda quassù, fenomeno.»

Immediatamente, gli sguardi di tutti si voltarono verso una piccola collinetta, che si ergeva nei pressi del bosco: sopra di essa, il braccio dispiegato in avanti per il colpo appena lanciato, stava Daniel Ryder, nella sua tuta da combattimento biancorossa.

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Quella mattina avevo deciso, molto semplicemente, di meditare sul tetto: era da almeno un paio di anni che non meditavo decentemente, ed ora, dopo quell’ondata di entusiasmo, era giusto rilassarsi un po’.

Prima, provai più e più volte la trasformazione: mi accorsi che non ero forte come quando mi possedeva, ma comunque avevo raggiunto i livelli di un super saiyan.

In quel momento non vidi l’ora di mostrarlo agli altri: fu uno dei tanti motivi per cui la mia voglia di rivederli tutti crebbe sempre di più.

Ma oggi no: oggi era il giorno di Crilin e C-18.

Meditai, quindi, per qualche ora: apprendere la fusione dei flussi mi aveva permesso di mantenere la percezione del mio corpo e del tempo, mentre mi armonizzavo con il flusso delle percezioni vitali attorno a me.

Fu tutto meravigliosamente tranquillo: finché non avvertii quelle tre percezioni particolari, che entrarono nell’atmosfera e poi sparirono a tutta velocità, diretti verso est.

Avevo chiaramente capito si trattava di alieni.

Uscii dalla meditazione e mi prodigai a percepire le aure dei miei amici. Dopo qualche istante, in cui capii che gli alieni erano arrivati, potei sentire la lotta in corso: c’erano Tensing e Piccolo, mentre Gohan e Vegeta sembravano già al tappeto.

Presi immediatamente il volo verso il monte Paoz: non era più il caso di nascondersi. Quando arrivai, e mi accorsi di come anche Tensing e Piccolo fossero stati annichiliti, azzerai la mia aura, per capire bene cosa stesse succedendo, e magari elaborare una strategia: ma appena vidi C-17 vicino alla morte, decisi di intervenire, lanciando un ki blasts sulla mano meccanica di quel mostro.

Lo guardai mentre si voltava, irritato, verso di me: «E TU CHI DIAVOLO SEI?!»

«Uno incazzato, perché gli hai interrotto la prima buona meditazione da parecchio tempo: piuttosto, chiedo io a te, chi tu sia…»

«Io sono lord Kreed, terrestre, e anche tu mi hai fatto arrabbiare… guarda cosa hai fatto al mio capolavoro!»

«E cosa fate su questo umile pianetucolo, vostra grazia?» dissi, in un tono canzonatorio.

«D-Daniel… Non sottovalutarlo…»

«PICCOLO!» gridai, balzando verso il namecciano che si trovava poco più in la, immerso nei detriti.

«Non devi sottovalutarlo… è qui per le ragazze… gli uomini dell’altra volta… li ha mandati lui… è un perverso maniaco…»

«È stato lui a ridurti in questo stato?»

«Si… è forte e rapido, ci ha colto di sorpresa… non so se tu ce la possa fare… ma non mettere in pericolo nessuno…» disse, faticando.

«Non avete dei Senzu con voi?»

«Karin e Jirobei non sono potuti venire…»

«Cazzo…» mormorai.

«Non fare casini… ragazzo…»

A quel puntò mi rialzai, guardando nuovamente verso il mostro, poi ancora verso Piccolo.

«Non succederà nulla, tranquillo.»

Questa volta, tornai a fissare Kreed senza distogliere più lo sguardo da lui.

«E così vorresti le nostre ragazze, eh? Come mai?»

«Ragazzo, io sono come un collezionista e, se si può dire, un grande amante del genere femminile: dovrebbero essere onorate a far parte del mio harem.»

A quel punto assunse un ghigno veramente diabolico, ma non mi incantò:

«Uhhhhh, capisco tu voglia farti un harem… non potevi più permetterti di lavorare da solo, hai pure perso la mano destra, mi dispiace…»

«COME OSI, VERME?» vidi che la provocazione era perfettamente riuscita, soprattutto nel momento in cui due soldati gemelli, evidentemente al suo seguito, atterrarono al suo fianco.

«Non insultare il comandante, se non vuoi morire!» dissero in coro.

Li avevo in pugno.

«Ok, basta che mi dite di che morte devo morire: mentre decidete, io mi metto lì, eh, così finisco di meditare.» e mi andai a sedere in un piccolo spazio intonso di prato, da dove potevo vedere anche il resto degli invitati, che mi guardava straniato. Non appena vidi che C-17 si era allontanato da Kreed, chiusi gli occhi e cercai il flusso.

«Ragazzi, quel piccolo stronzo è tutto vostro.» era la voce di Kreed.

Forse loro non si rendevano conto che potevo praticamente vedere ogni loro mossa: vidi i due gemelli camminare verso di me, e fermarsi a pochi passi dal sottoscritto. Alzarono in loro bracciali per colpire e… eseguii la fusione.

La piccola onda d’urto gli fece perdere l’equilibrio: ne approfittai per colpirli entrambi con un pugno allo stomaco, e poi con una gomitata sulla schiena, che li lanciò diversi metri indietro. Allora feci partire dai palmi due potenti ki blasts che li colpirono in pieno: e tanti saluti ai gemelli irritanti.

L’alieno guardò quasi stupefatto: «I-I miei ragazzi… M-Ma come…»

«Sorpreso dal “piccolo stronzo”, ragazzone?» lo interruppi, sogghignando «Ora, se vuoi, possiamo dare il via alle danze.»

Non so con quanta consapevolezza nei miei mezzi mi fossi presentato lì, quel giorno, forse era solo voglia di lottare, sta di fatto che mi lanciai contro lo stesso avversario che aveva messo k.o. tutti gli altri miei amici, alcuni di loro decisamente più forti ed esperti di me.

O forse, ora, erano solo più esperti?

Feci appena in tempo a schivare il suo pugno, mentre pensavo queste cose. Allora mi aggrappai al suo polso robotico, e mi sollevai per colpirlo bene in volto con un calcio. Provai a dargliene qualcun altro, quando mi afferrò per la caviglia e mi scagliò lontano.

Fui rapido a rimettermi in piedi, giusto per parare un suo nuovo assalto: mi piegavo saltavo, spostavo, così che nessun colpo riuscii a prendermi. Tentai quindi di colpirlo con un pugno al mento, che andò a segno.

Ma lui non rimase inerte: in un istante fu ancora su di me, tempestandomi nuovamente di colpi. L’inerzia del combattimento ci spinse a levitare verso l’alto.

Mi resi conto che era nettamente più forte di me: ma decisi comunque di insistere.

Aumentai improvvisamente la mia aura, spingendolo lontano da me: allora lo caricai. Lui era pronto a parare, finché non mi proiettai dietro di lui, e con un colpo a due mani lo lanciai a terra.

Ancora prima che atterrasse, caricai il Ki nella mia mano, e una volta constato che non avrebbe danneggiato nessun’altro, la lanciai.

«Tempesta mortale!» gridai, mente uno sciame di ki blasts investì Kreed. Lui fu rapido a recuperare l’equilibrio, e con un balzo fu nuovamente in aria, evitando la devastante salva, che invece distrusse molto di quel meraviglioso paesaggio.

«Sei morto, ragazzino!» urlò caricandomi con forza.

Parai uno, due, tre colpi, finché un pugno fortissimo mi colpì sulla spalla, che fortunatamente non si ruppe ne si lussò, ma il dolore che mi fece provare fu immenso, come quello dell’enorme scarica di colpi che arrivò subito dopo.

Mi sentii scaraventato a terra, ma questa volta recuperai immediatamente le forze, e mi rimisi in piedi, atterrando tranquillamente sul terreno.

Mi accorsi che ci eravamo avvicinati a casa Son, con tutti gli invitati con gli sguardi stralunati rivolti verso di me.

Feci un piccolo cenno di saluto: «Ciao ragazzi! Parliamo dopo però, ok? Ora sono impegnato!»

Kreed era anche lui disceso a terra, atterrando a qualche metro davanti a me.

«Non ne hai ancora abbastanza, moscerino?»

Potei vedere l’espressione irritata su sul suo viso dalla forma inusuale.

«Beh, devo ammettere che sei forte, Kreed!»

Lui sembrò calmarsi per un istante, tornando arrogante e spavaldo come prima. Non si rendeva minimamente conto di cosa stessi per fare.

«Lascia allora che ti renda la cosa più interessante…»

Fu in quel momento, che, con un grido, lasciai uscire tutta quella mia nuova potenza: sentii i miei muscoli tonificarsi, mentre avveniva un piccolo, ma potente rilascio di aura.

Quando li riaprii, poi, potei notare la grande sorpresa nella sua espressione.

«I-I t-tuoi occhi…»

Da come pronunciò quelle parole, potei intuire come in quel momento fosse spaventato a morte.

«Che c’è, ragazzone? Sono abbastanza forte per te, ora?» gli dissi, allargando le braccia, cercando di mettergli ancora più pressione.

«T-Tu sei quel mostro…» disse, puntandomi contro l’indice, per dare enfasi alla sua affermazione.

«Nessuno ti ha mai detto che è maleducazione indicare? Quasi quasi ti lascio prendere le signore, magari possono insegnarti un po’ di educazione!» dissi, sogghigno.

A quel punto digrignò i suo denti: capii che ce l’avevo in punto.

Mi caricò con forza e io lo caricai a mia volta: ma poco prima di scontarci, poggiai le mie mani sul terreno e con una capriola fui sopra di lui. Con un calcio gli feci raschiare il terreno con la faccia.

Fu lesto a rimettersi in piedi, e provò a colpirmi in ogni modo: mantenni le mie braccia conserte e schivai ogni suo colpo. Finché non decisi che mi ero stufato, e alzando incredibilmente la gamba lo colpii con un calcio al mento.

Fece qualche passo indietro, come stordito. Si riprese, e mi guardò con uno sguardo misto tra il sorpreso e il furibondo.

«È tutto qui?» gli dissi, cercando di rifilargli l’ennesima staffilata all’orgoglio.


Con un urlo, si lanciò su di me, caricando un potente pugno: non appena lo rilasciò, colpì violentemente il terreno.

«Fattelo dire, amico, dovresti cambiare il tuo approccio…» dissi, dal suo fianco destro.

Tentò nuovamente di colpirmi, questa volta fendendo l’aria.

«Insomma, non sarebbe meglio trovare una donna che ti voglia senza che tu la costringa?» dissi, questa volta dall’altra parte.

Il suo ennesimo tentativo di colpirmi andò ancora a vuoto.

«Ecco, hai visto? Se sei così violento non riuscirai mai ad essere corrisposto, eh!» gli dissi, da dietro le spalle.

Questa volta si girò, decisamente irritato, e colpì nuovamente il terreno.

«Sei proprio una testa dura! Io ci sto provando ad aiutarti!» dissi, dopo essermi proiettato nuovamente davanti a lui.

Ed eccolo, nuovamente, provare a colpirmi, con un calcio che colpì, ovviamente, il vuoto, in quanto mi ero già proiettato dietro di lui, levitando per appoggiare il mio gomito sulla sua spalla.

«Ricordati che lo faccio solo per te, amico…»

A quel punto, nella sua massima irritazione, tentò di colpirmi come si fa con un insetto fastidioso. Ridacchiando, levitai qualche metro davanti a lui.

Respirava rapidamente ed affannosamente, gli occhi fissi su di me.

“Cotto a puntino: perfetto” pensai, vedendolo in quello stato.

«Ehi, non scaldarti, troppo!» gli dissi «Io qui sono l’unico che cerca di farti capire che stai sbagliando tutto, in amicizia: ora ti consiglierei di mettere il tuo bel culone, sull’astronave, comprarti qualche bel vestito e iniziare a cercarti una fidanzata. Che ne dici, ragazzone?»

Il suo respiro si faceva sempre più rapido, mentre nella sua mano sinistra iniziava ad accumularsi del Ki.

«Stai... ZITTO!» gridò chiudendo i palmi della mani, generando una grande onda di Ki, che fu rapido a schivare, proiettandomi nuovamente alle sue spalle.

Notai la sua espressione soddisfatta quando non mi vide più di fronte a lui: quasi mi dispiaceva deluderlo, ma era troppo divertente…

«Ecco, credo che ti servano molti consigli amico…» gli dissi, vedendolo girarsi, scioccato.

Feci qualche passo, gesticolando un attimo mentre gli dicevo: «Potresti aprirle le mani, mentre lanci quell’attacco: così l’onda che generi diventa più grande, e difficile da schivare!»

A quel punto, Kreed batté un forte pugno sul terreno.

«SMETTILA DI GIOCARE CON ME E COMBATTI SERIAMENTE!»

A quel punto rimasi per un istante scioccato: voleva veramente che combattessi seriamente.

«Mi vuoi serio?»

«SI!»

Lo guardai, questa volta con la serietà che voleva.

«Si, hai ragione.» gli dissi «Un combattimento è una cosa seria, ma sai, io sono fatto un po’ così. Però oggi lo sono stato più del normale, lo ammetto: forse è perché ho passato due anni nella più totale oscurità, ma se proprio mi vuoi serio… allora mi avrai serio.»

Non feci durare l’espressione soddisfatta sulla sua faccia: in un lasso di tempo troppo breve perché lui potesse reagire, lo stavo già colpendo allo stomaco.

«Questo, per la mia famiglia che non c’è più.»

Poi si beccò un calcio sul fianco sinistro.

«Questo per gli amici, che ho dovuto allontanare dalla mia vita.»

Kreed iniziò a tossire del sangue, ma poiché si ostinava a rimanere in piedi, io non gli diedi tregua: lo colpii con un altro calcio, stavolta sull’altro lato.

«Questo per mia nonna e la mia amica.»

Fece qualche passo indietro, continuando a sputare sangue: in quei colpi avevo messo tutta la forza possibile. Ero chino in avanti, la testa bassa.

«E questi, per due anni di vita passati a “fare il serio”» dissi, alzandogli il mento per guardarlo negli occhi «e per aver rischiato di buttarla via per sempre.»

Allora lo colpii con una ginocchiata, che lo fece volare in alto di qualche metro. Lo attesi all’atterraggio, colpendolo con un forte calcio alla schiena. Non si reggeva già più in piedi, io però lo alzai per quanto potessi, ed iniziai a tempestarlo di pugni e calci, ad una velocità che lo costrinse a rimanere quasi sospeso per aria, finché con un pugno sul mento lo lanciai di diversi metri in aria.

Fu allora che ebbi in mente una tecnica che non credevo mia, ma che eseguii come fosse stata una cosa naturale: allungai la mano e la aprii, fermando un moribondo Kreed a mezz’aria.

«Così era abbastanza serio?» gli gridai.

L’alieno riuscì a malapena a piegare la testa, per rivolgermi l’ennesimo sguardo carico d’odio: era anch’egli consapevole che era ormai finita.

«Ehi Crilin!» urlai, voltandomi leggermente verso gli invitati.

«S-Si, Daniel?»

Potevo sentire lo stupore nella sua voce: in effetti ci sarebbe stato molto da spiegare dopo… ma ora c’era da concludere questa storia.

«Credo dovresti comunque ringraziare questo tipo.» gli urlai nuovamente.

«E c-come mai?»

«Beh, credo che un matrimonio con i fuochi d’artificio sia qualcosa di memorabile, no?»

In quel momento chiusi il mio pugno, e gli occhi e la bocca di Kreed iniziarono a brillare: esplose in un immenso bagliore, che riempì tutta la vallata che sottostava al Monte Paoz.

Mantenni fino all’ultimo lo sguardo fisso sul punto, dove prima stava l’alieno. Quando poi fu tutto finito, chinai la testa, e tornai normale.

Mi voltai verso gli invitati,  poi su tutti gli altri che avevano partecipato alla lotta contro Kreed: tutti mi guardavano esterrefatti. Non potei biasimarli.

Rovistai nei pantaloni della mia tuta: in quella nuova versione, che mi feci dare da Popo proprio prima degli androidi, oltre che maggiore peso c’erano delle piccole tasche, in cui non avevo comunque messo il cellulare per ovvi motivi, ma le sigarette si.

Presi il pacchetto e me ne infilai una in bocca. Poi guardai verso gli altri.

«Gente... qualcuno ha da accendere?» dissi, facendo un gran sorriso.


NOTE DELL’AUTORE
Ciao a tutti! Ecco il ventiquattresimo capitolo. Scusate gli aggiornamenti frequentissimi, ma voglio completare e condividere questa storia il prima possibile, e non mi manca molto, quindi la fretta non potrà essere cattiva consigliera!

Cosa ne pensate di Kreed? L’ho immaginato come un “Freezer” per il mio protagonista, ma comunque di minore impatto: spero di aver fatto un buon lavoro, anche nel descriverlo! Fatemelo sapere con una recensione, che ricordo essere più che ben accette (come ovvio che sia), di ogni tipologia.

Dragon Ball è proprietà di Akira Toriyama.

Alla prossima!

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Capitolo 25
*** Amore ***


CAPITOLO VENTICINQUESIMO- AMORE

«Un altro brindisi per la nostra nuova coppia di sposi…» alzai il mio calice prima che Yamcha potesse finire « e per il nostro amico ritrovato!»

A quel punto, mi sentii profondamente in imbarazzo, con tutti gli occhi che improvvisamente si erano voltati verso di me dai diversi tavoli.

Poi sentii una leggera gomitata, e un flebile sussurro all’orecchio: «Rialza il calice, cretino…»

Pamela parlava quasi con la bocca chiusa, ma riuscii comunque a farsi sentire: risollevai immediatamente il mio calice e tutti brindarono allegramente, soprattutto Yamcha, che al tavolo con gli sposi non faceva niente per diminuire la sua sbornia, anche se ora non era più il solo che si stava lasciando andare, guardando le condizioni del maestro Muten e dello Stregone del Toro.

Tutti, a parte Vegeta e Piccolo, freddi e isolati come loro solito, si stavano divertendo un mondo: Kreed aveva rischiato di mandare tutto a monte, ma fortunatamente me ne ero liberato piuttosto in fretta, e ora stavamo proseguendo il ricevimento. Avevo ancora addosso la mia tuta da combattimento, non proprio l’abito consono all’occasione, ma a chi importava dopo quello che era successo.

«Ehi fenomeno, qui c’è qualcuno che vorrebbe conoscerti!»

Mi voltai verso Pamela: chi è che non potevo conoscere tra i presenti? Mi sopresi quando vidi che sulle sue ginocchia si era seduto Trunks, fresco di terzo compleanno.

«Ciao! Io sono Trunks! Tu sei l’amico della zia?»

A quell’appellativo guardai Pamela scherzosamente, poi tornai a guardare il piccolo.

«Si, io sono Daniel Trunks: noi due ci siamo già conosciuti, quando eri appena nato. Ma non te lo ricordi, eri ancora un neonato…»

Mi guardò con una faccia incuriosita: «E perché non sei venuto al mio compleanno?»

A quella domanda, ebbi un sussulto. “Avessi perso solo il tuo compleanno, cucciolo…” pensai, sul volto di Trunks la stessa grande espressione di curiosità.

«Eh… ero impegnato, Trunks: importantissimi impegni…» gli dissi, esagerando scherzosamente il tono della mia voce. In fondo era ancora un bambino, nonostante si dimostrasse anch’egli molto intelligente.

Cosa che avrà sicuramente ereditato dalla madre.

«Quindi tu combatti come il mio papà? Sei forte come lui?» mi chiese nuovamente, fremendo dall’entusiasmo.

«AH! Meno male che lo hai chiesto a me e non a tuo papà, piccolo… comunque, diciamo che me la cavo. Ma sii orgoglioso del tuo papà, che è uno dei combattenti più forti dell’universo!»

Ero sincero: Vegeta era un grandissimo guerriero, era un dato di fatto. Non avrei di certo detto ad un bambino, i cui occhi erano ora ricolmi di ammirazione, che suo padre sapeva essere anche un grandissimo stronzo: ma anche quello, si poteva sopportare.

«WOW! Un giorno voglio diventare forte come tutti voi!»

«Confido che ce la farai, Trunks…»

Anche questa volta, ci credevo davvero: in fondo si trattava di un saiyan, aveva la lotta nel dna. Poi il piccolo scese dalla gambe di Pamela e fece per andarsene, quando all’improvviso fece qualche passo indietro e mi afferrò il braccio.

«Posso chiamarti zio Daniel?»

Sgranai gli occhi: in quel momento mi sentivo veramente molto, molto in imbarazzo. “Io zio?! Ho 18 anni, per la miseria!” pensai, sul momento. Ma quando poi guardi i suoi occhi vispi, pieni di entusiasmo, mi addolcii: in fondo, non c’era niente di male.

«Ma certo, Trunks!» gli risposi, accarezzandogli affettuosamente la testa, scompigliando un po’ i suoi capelli viola.

Lui allora se ne andò, prendendo la direzione della madre, che era seduta vicino a suoi genitori: notai che tutti gli altri si erano invece radunati vicino al tavolo degli sposi, e pare stessero facendo una bella chiacchierata, tutti insieme: non c’era C-17, che se n’era praticamente andato immediatamente dopo Kreed, dicendo che “si era divertito a sufficienza”.

Io e Pamela eravamo seduti da soli: la nonna si era offerta di sistemare lei i piatti e le stoviglie, lasciando a Chichi qualche istante di riposo. Mi voltai, giocoso, verso di lei: «Zia Pamela, eh? Spero non ti tocchi intrepretare il ruolo della vecchia zia acida e zitella, anche se ti si addice…»

Lei mi colpì con un buffetto sulla spalla: «Cretino! Sei un cretino! E comunque non sarò sola, ZIO Daniel…»

«Touché.»

Una cosa, di sicuro, non sarebbe mai cambiata: il fatto che l’ultima parola capitasse sempre a lei.

«Adesso, seriamente, come mai?» le chiesi.

«Sei uscito per due anni dalle nostre vite, ma pensavo ti rendessi conto che nella vita può succedere di tutto, no?» mi rispose, sorseggiando dal suo calice.

Una risposta che comunque non mi aveva soddisfatto: sapeva che volevo più che una risposta al perché la chiamasse “zia”.

Sbuffò. «E va bene…» disse, sospirando «Quando ti isolasti, io e tu nonna abbiamo dovuto affrontare diverse problematiche, tra cui quelle economiche: Bulma fu comunque molto generosa ad offrirmi un posto di lavoro alla Capsule. La nostra amicizia si è fatta più salda, e quindi abbiamo iniziato a vederci spesso anche fuori dal lavoro, quindi ho potuto vedere spesso anche Trunks. Ti basta?»

«E… il lavoro, com’è?»

«Tosto: l’assistenza clienti della Capsule è un inferno, e a me spettano anche i turni più lunghi, fai te… Bulma su questo non ha potuto fare nulla, è il regolamento aziendale per i neo assunti: ma almeno la paga è buona.»

E in quel momento prese nuovamente un sorso dal suo bicchiere. Io girai lo sguardo, quasi imbarazzato: a cosa l’avevo costretta? Magari, se ci fossi stato anche io, non si sarebbe dovuta ridurre a sgobbare così…

«Ehi, sei tornato nel tuo mondo?»

La sua voce mi fece sobbalzare un istante: effettivamente si, mi ero straniato per un istante.

«No, eh, perché devi anche tu rispondere alle mie doman-»

«EHI RAGAZZI! Che fate lì da soli? So che non sto interrompendo niente, quindi dai, unitevi a noi!» disse un evidentemente sbronzo Yamcha, dal tavolo degli sposi.

Pamela mi guardò, quasi scherzosamente: «Li hai sentiti? Ora avrai anche un pubblico più vasto… andiamo?»

Ricambiai il suo sguardò di superiorità.

«Prima le signore.»

Così la feci alzare prima di me, e la seguii alla tavolata dove si erano radunati praticamente tutti.

«Che vi raccontavate, ragazzi?» chiese Crilin.

«Oh, stavo giusto per chiedere a Daniel dei chiarimenti su questi suoi due anni ne suo magico mondo…» disse Pamela.

Ovviamente sapevo che scherzava, vista come si era risolta la cosa: sapeva benissimo anche lei della pericolosità dell’esperienza che ho vissuto. Ma non era il momento di controbattere: bisognava rispondere con lo stile che loro rivolevano.

«Si, ma prima ci sono da recuperare due anni di vero Daniel Ryder: ora vi darò una dimostrazione di come farlo in pochi istanti.» dissi, alzando l’indice, a darmi un aria da sapientone.

«Mi sembra giusto iniziare dagli sposi.» dissi, camminando dietro le loro sedie, mettendomi in mezzo a loro, e posando una mano sulla spalla di ciascuno.

«Tanti, tanti, auguri ad entrambi, e scusate se feci lo stronzo, tempo fa: mi potete perdonare?» dissi, arricciando le labbra ed esibendo la più pietosa espressione possibile.

«Aha! Ma ti pare!» disse immediatamente Crilin, al che diedi rapidamente ad entrambi un bacino sulle guancia.

«Grazie grazie grazie! Allora, devo comunque dirti che la scelta di farti crescere i capelli l’hai davvero azzeccata, amico.»

«Visto?!» disse Yamcha.

«Beh, tu quelle cicatrici non le nascondi con alcun taglio!» gli dissi, muovendomi improvvisamente al suo fianco, mettendogli il gomito sulla spalla.

«Ehi, guarda che ho *hic!* avuto un sciacco di donne, io… *hic!*» mi rispose, biascicando.

«Ovvio… spera solo che non iniziamo a giocare a baseball anche noi, però! AHA!»

Lui parve avvilito, allora strinsi il suo collo nel mio braccio, e gli dissi: «Dai, lo sai che scherzo!»

«Sei ubriaco?» mi chiese Pamela.

«No, sto solo cercando di recuperare due anni di VERO Daniel Ryder ora che siamo tutti qui. Appunto, alla meravigliosa sposa…» dissi verso C-18, facendole il baciamano «volevo fare un appello: tienitelo stretto, anche perché certe sue vecchie frequentazioni mi spingerebbero ad un altro isolamento.»

Il cyborg parve piuttosto imbarazzata, mentre gli altri risero per il chiaro riferimento a Marion: si girò verso Pamela, che però aveva il palmo della mano sul viso, in chiaro segno di resa.

«Sei ubriaco.» disse, con fermezza.

«Ma cosa dici! Anche se, mi sentò un po’ uno schifo a tirare in ballo le ex dello sposo il giorno del suo matrimonio: credo sia il caso di tornare seri!»

«La vedo dura…» disse Gohan, ridacchiando.

«Ehi, io sono fatto così! Che a proposito, qui c’è un’altra persona che mi dovete presentare! Come va piccolo?» dissi, volgendomi verso il piccolo Goten, tra le braccia di Chichi «Tu devi essere Goten! Giusto? Giusto?» feci qualche smorfia, mentre mi piegavo su di lui.

Il piccolo si mise a ridere, mentre lo stuzzicavo con l’indice, che fu lesto ad afferrare.

«Gli piaci.» mi disse Chichi, Goten che ancora rideva di gusto tra le sue braccia.

«Direi! Non vuole staccarsi più! Mi sembra che somigli a qualcuno… o no, gente? Sono sicuro di vedere una certa somiglianza…» dissi, facendo un chiaro riferimento a Goku, del quale il bambino era una copia spudorata.

«Non sei l’unico, figliolo.» intervenne il maestro Muten «E fidati se ti dico che lui come tutti noi sarebbe felice di rivederti così.»

«Io sinceramente ti preferivo silenzioso e meno pagliaccio.» tuonò improvvisamente la reazione di Vegeta, comparso alle mie spalle «Ma comunque, devo accettare che non tutti siano dello stesso parere, per quanto me ne importi: tu però, ragazzo, ci devi delle spiegazioni.»

A quel punto mi zittii, mentre gli occhi di tutti conversero su di me, accomunati dalla stessa espressione di curiosità.

«No, dai, ragazzi, non è una storia interessante…»

«Invece credo proprio che lo sia.» disse all’improvviso la voce di Piccolo «Come hai fatto a controllare quel mostro?»

A quel punto non c’era più via d’uscita: con anche il namecciano che aveva raggiunto il tavolo, presi una sedia e mi sedetti.

Mi resi conto che ricordare quei momenti mi pesava, e parecchio: mi misi comodo sulla sedia, e presi un profondo respiro.

«Vi dico solo, che è dura ricordare quei momenti, ma visto che siete così interessati…»

Allora iniziai a raccontare, partendo dal sogno che avevo avuto durante il coma, proseguendo descrivendo la sua voce che ogni giorno mi tormentava.

«Minava le mie sicurezze: ho perso fiducia persino nelle affermazioni di mio padre, e lui viveva di questo, ogni giorno mi corrodeva l’animo. Ma poi, ieri sera, ho avuto un’illuminazione, e ho rialzato la testa: in ogni caso, nonostante ora domi completamente il suo potere, non sono potente come lo era quel mostro che mi faceva diventare. Ma la cosa importante è che se ne sia andato, per sempre…»

Ci fu qualche istante di silenzio, i loro sguardi ancora fissi su di me.

«E come lo avresti affrontato?» mi domandò Tensing.

«È stato strano: quando liberai il suo potere, cercando comunque di mantenere il controllo, mi sono ritrovato come fuori dal mio corpo. Da quel che ho capito, eravamo all’interno della mia testa: una grande area bianca, che lui provò a ricoprire di oscurità…» gli risposi, senza però concludere.

Presi un altro profondo respiro e proseguii: «Nel momento in cui mi stava per prendere, pensai a quello che vi avrebbe fatto se lo avessi lasciato vincere, e a come avrei deluso tutti voi: lì ho trovato la forza per reagire… e per vincere.»

Nel gruppo calò nuovamente il silenzio: io mi strinsi le mani e li guardai, a mia volta.

«Vi basta?» gli chiesi.

Rimasero ancora in silenzio, finché non fu proprio il maestro Muten a romperlo: «Come mio ex allievo, io non posso che essere orgoglioso di questa cosa: hai sconfitto i tuoi demoni e ora sei diventato un guerriero potente come un super saiyan…»

«Ah, gli piacerebbe!» sbottò Vegeta.

«Eh dai Vegeta, lo ha appena dimostrato! Hai visto anche tu come ha umiliato Kreed!» gli rispose Crilin.

«Solo perché quell’ammasso di sputo spaziale ha ricorso ai suoi soliti trucchetti! Altrimenti avrebbe assaggiato il vero potere di un super saiyan!» rispose, a sua volta, un irritato principe dei saiyan. «Ma quantomeno mi ha dimostrato di non essere un verme arrendevole.» disse, poi, dandomi quasi la soddisfazione di averlo stupito.

«Beh, se permettete, ora credo sia il caso di continuare a festeggiare, no? A parte lo spettacolino di prima, ho seriamente due anni da recuperare con voi, gente, e non adesso che ne ho la possibilità, non voglio sprecarla ricordando ciò che è ormai il passato…» dissi, cercando di stemperare la tensione.

Anche se era effettivamente quello che volevo.

«Giusto! E visto che ci hai raccontato di un tuo grande successo, questo ci dà un altro motivo per festeggiare!» disse Yamcha, stappando una nuova bottiglia, che chissà da dove avesse recuperato.

Ma non gli detti molta importanza, come tutti in quel momento: proseguimmo nei festeggiamenti, senza più alcun pensiero per la testa, cosa che mi mancava da parecchio tempo.

Ogni sorriso, ogni abbraccio, ogni parola che venne scambiata quel giorno, acquisii per me un significato più forte: era finalmente, tornato tutto alla normalità.

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Pamela guidava concentrata, gli occhi fissi sulla strada: poiché la nonna non sapeva volare, eravamo stati costretti a muoverci con la macchina.

Era un viaggio piuttosto lungo, dal monte Paoz all’Ovest in macchina: fortunatamente, le auto della Capsule erano parecchio veloci, e i collegamenti stradali con Satan City, molti.

Mi venne in mente quanto mi dava fastidio doverla chiamare così, ora: tutto per colpa di quel buffone di Mr. Satan, e la sua capacità di prendersi il merito. Se non fossimo costretti a mantenere un profilo basso, si sarebbe già ritirato dal mondo dei combattimenti…

Mi accorsi che era ormai notte inoltrata, mentre mi colpirono quei pensieri: non ero neanche troppo assonnato, forse perché mi ero abituato a quantità di alcolici molto maggiore di quella che bevvi alla festa.

Alla fine ero anche riuscito a complimentarmi, seriamente, con Crilin e C-18: notai che anche la cyborg sembrava apprezzare la mia compagnia, nonostante la sua attitudine fredda.

«Ahhhh, ho una dote più potente di qualunque tecnica: io piaccio a tutti!» dissi, stranamente, ad alta voce.

«Fai piano! Sveglierai tua nonna!» mi rispose Pamela, irritata.

«Tranquilla, in questo stato non la sveglierebbe neanche un cannone…» dissi, abbassando comunque il tono di voce, nonostante dietro di noi, nonna Amy fosse caduta in un sonno profondissimo.

«E comunque, credo che in realtà ti compatiscano, perché sei un gran pagliaccio…»

«Hai iniziato a frequentare anche Vegeta?»

Lei mi fece la linguaccia, voltandosi per un secondo: «Sai che mi piace prenderti in giro, scemo: alla fine, è stato bello rivederti così scherzoso, oggi…»

«E a me invece è piaciuto vederti in un vestito così elegante: questa volta sembravi perfino una donna…» dissi, ridacchiando, e ricevendo uno schiaffetto sulla spalla.

«Guarda la strada! E poi, seriamente, mi piaci tanto, vestita così elegante…»

«Ah, grazie…»

Calò per un istante il silenzio tra noi, finché non vedemmo il cartello che indicava l’uscita per Pepper Town.

Era ormai notte fonda quando arrivammo in città: in giro non c’era nessuno. Svegliammo nonna Amy, e insieme rientrammo in casa, percorrendo in silenzio le scale del condominio.

Una volta che la nonna fu a letto, Pamela andò in cucina, probabilmente per bersi un bicchiere d’acqua, non lo sapevo.

Io mi sedetti sul divano: mi fermai un attimo a guardare il soffitto, e pensai. Pensai a tutto quello che era successo, e come ieri sera, notai come la vita fosse ripresa senza scossoni particolari, nonostante avessi passato la bellezza di due anni fuori dalle vite delle persone a cui tenevo.

Mi alzai, pronto per andare a letto: decisi comunque di farmi un bicchiere d’acqua. Andai in cucina, e vidi che Pamela stava ordinando le stoviglie lasciate sul bancone dell’ultimo lavaggio, proprio vicino al lavandino.

«Non ti fermi proprio mai, eh?» le dissi.

«Beh, adesso ci sei anche tu, non credere che non toccherà anche a te svolgere qualche lavoretto.» disse, chiudendo un cassetto.

Io sorrisi: sapevo che non avrei potuto obbiettare, se le voleva una cosa, l’avrebbe ottenuta. E questa volta, avrei obbedito con piacere.

Mi avvicinai al bancone, per prendere un bicchiere pulito, quando per sbaglio, le nostre mani si sfiorarono. La allontanai bruscamente, per darle spazio.

Mi voltai, e la sua reazione mi sorprese: anche lei aveva ritratto a sua volta la mano. Ci guardammo, sorridendo, pensando che da un momento all’altro avremmo ripreso a fare quello che stavamo facendo normalmente.

Invece, entrambi non riuscivamo a distogliere lo sguardo l’uno dall’altra.

Mi persi in quegli occhi scuri, il suo sorriso che era ormai una sfumatura.

Finché non lo vidi più.

Fu molto rapido: i nostri volti si avvicinarono improvvisamente, le nostre labbra si incontrarono automaticamente, in un bacio appassionato.

In quel momento, persi completamente la concezione del tempo: mi persi nel movimento delle nostre labbra che si cercavano con foga.

Misi la mano tra i suoi morbidi capelli rossi, le sue mani che stringevano le mie guance.

Finché non ci separammo: io la guardavo, quasi sorpreso. Lei, invece, aveva un’espressione carica d’affetto in viso: il sorriso più bello che avessi mai visto.

Strinse le sue braccia attorno al mio collo, e mi sussurrò all’orecchio: «Ti ho sempre aspettato.»

Fu allora che ci baciammo nuovamente: questa volta fu delicato, affettuoso. E alla fine, le sorrisi a mia volta.

«Vieni.» mi sussurrò nuovamente, prendendomi per mano.

Io mi lasciai guidare, perso completamente nel momento: probabilmente, avevo in faccia il sorriso più ebete che potessi mai assumere.

Ogni cosa di lei, ora, mi sembrava angelica: vedevo una donna, dal fisico perfetto, ben allenato, graziosa ed affettuosa, e non più quel maschiaccio con cui ero cresciuto.

Mi guidò in camera mia, e mi lasciò sedere sul letto, mentre lei chiuse la porta con la schiena, appoggiandovisi.

«Secondo te sto bene con questo vestito, no?» mi chiese, la voce bassa.

«Oh, eccome.»

«Perché sai, io non mi ci sento molto a mio agio…»

E in quel momento se lo tolse, con un movimento rapido, rimanendo in intimo.

Io la contemplai, come davanti ad un’opera d’arte: non avevo mai notato come fosse bella. Gli anni d’allenamento le avevano concesso un fisico invidiabile, ben scolpito, ma allo stesso tempo aggraziato, in una perfetta forma a clessidra che ne esaltava le curve.

«Beh, se ti senti meglio così… io non mi oppongo.»

Lei mi raggiunse, sorridendo amorevolmente, e ci sdraiammo insieme sul letto, avvolti uno nelle braccia dell’altro, nell’ennesimo bacio appassionato.

Che durò finché non decisi anch’io di liberarmi dei miei abiti.

ͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻ

Il mattino seguente…

Mi svegliai quando i raggi del sole colpirono i miei occhi.

Indolenzito, alzai il braccio sinistro, sciogliendo i muscoli indolenziti, e me lo passai sugli occhi ancora non abituati alla forte luce.

“Mi sono dimenticato di chiudere le persiane, cazzo…” pensai, irritato.

Il motivo però, mi fu immediatamente chiaro, quando provai a muovere anche l’altro braccio, trovandolo bloccato: e immediatamente l’irritazione passò.

Addormentata sulla mia spalla destra, in un’espressione di grande serenità, c’era Pamela: i capelli rossi in disordine, i suoi seni che mi sfioravano la pelle, mentre dormiva beatamente accanto a me.

Era una visione meravigliosa, che non volevo rovinare: ma purtroppo, un suo mugugno mi fece capire che si era svegliata anche lei.

Aprì pigramente gli occhi, e mi guardò: sul suo volto comparve un sorriso affettuoso. Si portò un po’ più in alto, e mi diede un piccolo bacino sulla guancia.

«Buongiorno…» mi sussurrò, prima di accoccolarsi nuovamente sulla mia spalla.

«Oggi non vai al lavoro?» le sussurrai, dopo qualche istante di silenzio.

«Bulma mi ha dato il giorno libero…»

«Ah, ok…»

E lì calò nuovamente il silenzio, mentre anch’io posai nuovamente la testa sul cuscino.

«Lo sai che ti amo, fenomeno?» mi sussurrò nuovamente.

«Lo avevo sospettato…»

«Cretino…» disse, prima di risistemarsi sulla mia spalla, chiudendo nuovamente gli occhi.

Faticavo a credere che quella donna, la donna che mi resi conto di amare con tutto me stesso, era stata per anni davanti a me: forse ora, potevo veramente ricominciare alla grande.

Continuai a guardarla mentre sonnecchiava beatamente, girandomi qualche volta verso la finestra, contemplando, da entrambi i lati, il sorgere di un nuovo giorno.


NOTE DELL’AUTORE
Ok, prima vera scena d’amore in questa storia: doveva accadere, me ne rendo conto. Ma per me è stato di una difficoltà enorme scriverla… spero sia uscita bene! Comunque, questa è un’altra svolta nella vita del nostro protagonista! Le cose sembrano aver preso, finalmente, la piega giusta… durerà?

Pamela e Daniel erano destinati a mettersi insieme, quando li ho ideati: anche se la cosa credo si sia dedotto già dai primi capitoli… no? Tanto meglio!

Lasciate una recensione, se volete: le accetto tutte, giuro! Anzi, se avete critiche e suggerimenti costruttivi io sono ancora più contento! Non so se la totale assenza di recensioni critiche sia dovuto al fatto che la storia piace o la gente ha paura a scrivere cose negative… bah.

Dragon Ball è proprietà di Akira Toriyama.

Alla prossima!

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Capitolo 26
*** Nuova vita ***


CAPITOLO VENTISEIESIMO- NUOVA VITA

Anno 774- Marzo

Le cose, negli anni che vennero, non poterono che andare meglio: io presi la patente, ma non mi cercai un lavoro: così volle anche lei, preferiva che mi tenessi in allenamento, in quanto “uno dei guerrieri più forti dell’universo”.

Questa sua determinazione era solo una delle cose che amavo di lei: il nostro rapporto proseguiva allo stesso modo in cui era sempre andato avanti, anche quando non stavamo insieme, e ciò era perfetto.

Lo rendemmo noto a tutti, senza far niente per nasconderlo: mi ricordo ancora la reazione entusiastica di Bulma quando lo seppe, ancora mi tremano i timpani da quanto urlò: lei fu la prima, poi ovviamente vennero tutti gli altri.

Mi rimase impressa la reazione di Yamcha, quando disse “finalmente!” nel momento in cui lo venne a sapere, che mi fece pensare un po’: era davvero così scontata come cosa.

Per il resto, i rapporti con gli altri procedettero alla grande: vado ancora spesso al Palazzo a recuperare nuove tute per allenarmi, sempre più pesanti, trovando spesso il tempo per una chiacchierata con Popo, alle quali spesso si aggrega anche Dende, nonostante non ci sia spesso molto da dirci.

Ah, conservo comunque ancora la divisa della scuola del maestro Muten, ci mancherebbe: il buon vecchio maestro domanda spesso come vadano i miei allenamenti, non perde mai occasione di chiedermelo quelle molte volte che gli facciamo visita.

In effetti, questo nuovo potere mi ha permesso di sviluppare una nuova tecnica, che ho chiamato “Cannone Doomsday”.

«È sicuramente meno stupido di “Tempesta Mortale”, questo è sicuro, però siamo sempre lì, eh…» commentò sarcasticamente Pamela, la prima volta che gliela mostrai: unendo i palmi delle mani, convergevo il ki in essi. Dopo di che, nel momento di separarli, li muovevo per contenere il ki in una sfera, che una volta stabilizzata, colpivo con la mia mano destra, generando un’onda devastante: una valida alternativa alla Kamehameha.

«Allora maestro, che mi dice?» gli chiesi, discendendo nuovamente a terra, mentre l’enorme massa d’acqua alzatasi ricadeva, generando un forte scroscio.
«Assolutamente niente male. L’unica cosa, è che forse dovresti velocizzarla di più: ci metti parecchio tempo ad accumulare il Ki che ti è necessario per eseguirla…»

«Ehi voi due! È pronto in tavola!» gridò Pamela dalla finestra della Kame House.

«Arriviamo subito!» le gridai.

«Dopo tanti anni riesco finalmente a percepire la serenità nel tuo animo, ragazzo mio: una bella donna può sistemare veramente ogni cosa, eh-eh-eh…»

«MAESTRO!» mi voltai, sbottando, mentre rientravamo in casa.

«Zio! Zio!» mi accolse una vocina non appena varcai la porta «Vieni! Siediti vicino a me, zio!»

«Va bene, Marron, va bene…» dissi, arrendevolmente alla piccola figlia di Crilin e C-18.

Quando la cyborg rimase incinta, solo io, Bulma e suo padre non ne fummo sorpresi: dopotutto si trattava ancora di un umana, in parecchie parti. Eppure lo stupore tra gli altri fu evidente.

Mi ricordo ancora lo sforzo per rianimare Crilin il giorno in cui nacque: svenne, letteralmente, dalla gioia, e rischiò di svenire nuovamente quando la vide per la prima volta. Da allora si è dedicato anima e corpo alla famiglia, lasciando da parte i combattimenti: una scelta che compresi perfettamente.

Anche lei poi, si era subito affezionata ai suoi “zii”: lei quantomeno, era più facile da gestire di quelle altre due pesti.

In realtà, Goten e Trunks erano solo due ragazzini vivaci, l’unico problema è che erano due vivaci ragazzini SAIYAN. Ma comunque mi piaceva aiutarli nei loro scherzi, quelle volte che ci si ritrovava tutti insieme.

Ma Marron, era semplicemente una bambina, dolce e curiosa, con una risata veramente contagiosa, e il fatto che la facessi sempre ridere era il motivo per cui si era particolarmente affezionata al sottoscritto, che ora trascinava verso la cucina, tirandolo per i pantaloni.

«Qua zio! Qua!» disse, indicandomi una sedia.

«Marron, smettila di tirare i vestiti a Daniel e vieni a sederti.» disse, freddamente sua madre.

«Oh, tranquilla 18, non è un problema. Adesso però, ubbidisci alla mamma, ok?» dissi poi, teneramente, a Marron. Che andò comunque sorridente a sedersi.

«Daniel, oggi ti ho preparato qualcosa di speciale…» disse Crilin, dai fornelli.

«Sono curioso, spara.»

«Indizio: era il tuo piatto preferito quando vivevi qui…»

Sgranai gli occhi: avevo immediatamente capito.

«Non dirmi che…»

Lui annuì, e mi mostrò il contenuto del pentolone: spaghetti ai frutti di mare, il suo piatto migliore.

«Molluschi freschi recuperati dalla barriera corallina proprio l’altro giorno!» disse, orgoglioso.

«Mi sento onorato.» dissi, simulando un tono commosso.

Dopo di che si poté iniziare a mangiare.

«Ma che bontà!» esclamo Pamela, dopo appena due bocconi «Crilin, devi assolutamente passarmi la ricetta!»

«Amore…» le dissi, poggiando la mia mano sul suo braccio «La nonna ti avrà anche insegnato bene, ma certe cose, proprio non si possono imitare…»

Crilin scoppiò a ridere, assieme al maestro Muten mentre Pamela mi diede l’ennesimo di una serie di schiaffi sulla spalla seguiti dall’immancabile “Sei un cretino!”.

«Seriamente Crilin, però, come ti vengono?» gli chiese Pamela, nuovamente.

«Ah, penso sia per i molluschi freschi: sai era da un bel po’ di tempo che non la preparavo…»

«E ne sentivamo anche noi la mancanza!» interruppe improvvisamente il maestro Muten.

«Beh, comunque penso che avere il mare qua vicino aiuti: i molluschi freschi sono sicuramente decisivi.»

«È la prima volta che cucini dopo mesi, caro: non gasarti troppo.»

Ridemmo tutti nel vedere il mutamento di espressione sul volto di Crilin, di fronte alla stoccata della moglie.

Il pranzo proseguì serenamente: chiacchierammo del più e del meno, almeno finché Pamela e C-18 non iniziarono a discutere sui vestiti, e noi uomini in silenzio, almeno finché non ci furono i presupposti per muovere la conversazione su altri ambiti.

Anche Pamela era diventata negli anni una fanatica dello shopping: molto spesso lei, Bulma e C-18 si trovavano apposta e passavano pomeriggi interi per negozi. Per me e Crilin, però, quei pomeriggi significavano l’inferno: escludendo Vegeta a prescindere (non si sarebbe mai fatto convincere) io e Crilin ci ritrovammo costretti a stabilire i turni per chi avrebbe fatto da facchino alle ragazze.

Affronterei nuovamente Kreed, gli androidi e le ombre, anche tutti insieme, se mi permettesse di risparmiarmi tale tortura.

«Zio, zio, vieni a fare un castello di sabbia?»

Non mi ero accorto del suo improvviso arrivo al mio fianco, finché non mi si arrampicò sulle gambe.

«Per me va bene, piccola, ma cosa dicono la mamma e il papà?» le chiesi, mentre lei si voltò verso i genitori, assumendo un’espressione alla quale, personalmente, non avrei potuto resistere.

A quanto pare, nemmeno i suoi genitori.

«Prendo le sdraio e usciamo tutti, ok?» disse Crilin, per la gioia di sua figlia.

Mi trascinò in spiaggia, e l’aiutai a realizzare un grande castello di sabbia: non era nulla di che, ma la sua gioia era veramente un toccasana.

Passato un po’ di tempo, volle andare a fare il bagno: a quel punto, rinunciai, visto che non mi ero portato il costume da bagno, e la lascia con il padre e la “zia” Pamela.

Io mi sedetti in veranda, assieme al maestro Muten ed Umigame, il sole del tardo pomeriggio che ormai iniziava il suo lento tramontare. C-18 ci raggiunse con delle birre, che non rifiutai.

«È proprio una bambina meravigliosa.» dissi, rivolgendomi alla cyborg, mentre guardavo il gruppetto in acqua che si divertiva un mondo, a giudicare dalle ininterrotte risate che arrivavano dal mare.

«Già.»

«L’energia della madre e il carattere del padre: combinazione perfetta.»

Si limito ad un piccolo suono di approvazione, per poi sorseggiare nuovamente la sua birra.

«Parlare con te è sempre molto stimolante, 18, sai?» le dissi, ironicamente.

«Fattelo andare bene: di sicuro sei tra i pochi con i quali mi sento a mio agio a intrattenere una conversazione.» mi rispose, nel suo solito tono freddo.

«Devo dovrei reputare un onore ciò, o il fatto che non mi hai risposto a monosillabi, per una volta?»

«No, devi ringraziare che non sei più minacciabile di disintegrazione. E che a volte sei simpatico.» disse, smorzando un sorriso.

«Ah, grazie mille, allora!»

«Eh-eh, figliolo…» intervenne improvvisamente il vecchio maestro Muten «Ringrazia che le tue gentilezze vengono ricambiate a parole, e non a schiaffoni, eh-eh!»

La cyborg lo fulminò con lo sguardo, e decisi allora di intervenire: «Maestro, con il massimo rispetto, ma se parliamo delle SUE gentilezze, allora mi tocca dar ragione alla signora!»

A quel punto, dopo qualche risata, tornò per un istante il silenzio, mentre osservavamo gli altri tre in acqua giocare a palla, Marron che rideva di gusto sulle spalle del padre.

«Daniel… posso farti una domanda?» mi chiese improvvisamente Umigame.

«Certo amico, spara.» dissi, prendendo un altro sorso di birra.

«Quand’è che vi sposerete, voi due?»

Sputai tutta la birra che stavo bevendo in quel momento, prendendo tutti allo sbaraglio, e inzuppando la mia amica tartaruga.

«Ehi, tutto a posto laggiù?» chiese, guarda caso, proprio Pamela.

«Tranquilla amore, mi è andata solo un po’ di birra di traverso, tutto qua…» le gridai, e non appena vidi che aveva distolto la sua attenzione, mi piegai verso Umigame, irritato «Coma fai a chiedermi queste cose?!»

Lui ritrasse la testa nel guscio: «Era solo che state insieme quasi da cinque anni ormai, convivete, e mi sembrati perfetti l’uno per l’altra, tutto qua…»

«Ma com…» mi fermai, all’improvvisa realizzazione che la tartaruga aveva ragione, almeno da questa questo punto di vista.

«Ha ragione, sai: a me e Crilin è bastato un anno.»

«Si ragazzo: ricorda che, una volta trovato, il vero amore è difficile da ritrovare…»

«Maestro, ma lei colleziona giornaletti pornografici e vuole darmi consigli sull’amore vero?»

«Secondo te perché mi sono ridotto così, ragazzo mio?»

Io e C-18 rimanemmo allibiti per qualche istante. Non Umigame, che evidente sapeva cose sul passato del Maestro che noi ignoravamo.

«M-Mi dispiace maestro…» dissi, imbarazzato, prima di recuperare la mia fermezza «Però andiamo, ragazzi, devo ancora fare 23 anni, e nonostante tutto, non so se sono in grado di prendermi già un tale impegno! Anche se…»

In quel momento, però, mi vibrò il cellulare in tasca: era una chiamata da Nonna Amy.

“Si sarà dimenticata che non torniamo a casa per cena” pensai, nel momento in cui accettai la chiamata.

«Pronto?»

«Parlo con il signor Daniel Ryder?» disse una profonda voce maschile, che mi sorprese.

«S-Si… Chi parla?»

«Sono il dottor Hidetoshi, dal Wukong Hospital della Città dell’Ovest.»

«B-Buonasera dottore» dissi, preoccupato «È successo qualcosa?»

«Sua nonna questo pomeriggio è stata investita, ora si trova qui ma ci serve la sua autorizzazione per procedere con l’intervento necessario.»

In quel momento ebbi un tuffo al cuore, tanto che rimasi in silenzio per qualche istante.

«Signor Ryder?» disse il dottore, insospettito dall’improvviso silenzio, facendomi sussultare.

«A-Avete la mia autorizzazione, dottore, procedete. Io arrivo subito.» dissi, riagganciando.

«C’è qualche problema, figliolo?» mi chiese improvvisamente il maestro Muten, ma io ero già sulla spiaggia.

«PAMELA! Rivestiti e raggiungimi al Wukong Hospital della Città dell’Ovest!» le gridai, prendendo velocemente il volo.

Volai come non avevo mai volato prima di allora, neanche il giorno in cui volai a Pepper Town per scoprire la morte dei miei genitori: ora, non volevo viverne un’altra.

L’ansia mi bloccava il respiro, o forse era l’altitudine, non lo sapevo, mentre spazzavo via le nuvole volando ad una velocità veramente incredibile.

Quando poi intravidi la Città dell’Ovest, il mio cuore iniziò a battere all’impazzata, e aumentò ancora nel momento in cui atterrai di fronte all’ospedale, lasciando a bocca aperta diverse persone, e mi fiondai all’ingresso.

«Si, mi dica.» disse una giovane infermiera dietro al bancone.

«Sono qui per la signora Amy Nagasaki.» dissi, il respiro sempre più accelerato.

«Eh… ok.» disse, un po’ scioccata dalla nuova visione «Oh, lei deve essere il signor Ryder: deve recarsi in terapia intensiva, la aspetta il dottor Hidetoshi.»

Non la feci nemmeno finire che scattai via dalla scrivania, fiondandomi sulle scale dell’ospedale: in un istante raggiunsi il reparto di terapia intensiva.

Mi trovai di fronte un signore di mezza età, alto, dai capelli brizzolati e gli spessi occhiali. Indossava un lungo camice bianco.

«Il dottor Hidetoshi?» chiesi, senza fronzoli.

«Si, sono io. La stavam-»

«DOV’È MIA NONNA?!» gli gridai improvvisamente.

«Signor Ryder, si calmi, per favore. Sua nonna in questo momento si trova in sala operatoria, fra poco sapremo com’è andato l’intervento.»

«C-Come è successo?» gli chiesi, mentre l’ansia iniziava a trasformarsi in pianto.

«Stava facendo jogging, e purtroppo un furgone ha preso la curva con troppa fretta… L’operazione si è resa necessaria una volta constatato che una delle costole aveva reciso il polmone: ora stiamo tentando di sistemare il tutto. Ma devo essere chiaro con lei, signor Ryder.»

Lo guardai, in attesa della sentenza, gli occhi già pieni di lacrime.

«Sarà molto difficile.»

Fu in quel momento che non riuscii più a trattenerle: le lacrime uscirono da sole, e copiosamente.

«Mi dispiace, i nostri chirurghi stanno facendo il possibile, possiamo solo sperare.» mi disse, poggiandomi una mano sulla spalla, prima di alzare il tono di voce «Infermiera! Accompagni il signor Ryder nella sala d’aspetto del reparto di chirurgia… e gli porti qualcosa da bere, a mie spese.»

A quel punto, due mani più piccole e delicate, che mi accorsi appartenere ad una giovane infermiera, si appoggiarono delicatamente sulle mie spalle, e mi accompagnarono tra i corridoi dell’ospedale, finché non mi ritrovai seduto in un’ampia stanza vuota, piena di poltroncine dall’imbottitura verde.

Sentivo il cellulare vibrarmi in tasca, ma in quel momento non mi importava: fissavo il vuoto davanti a me, sperando che niente stesse realmente accadendo.

Non riuscii nemmeno a guardare verso la porta della sala d’aspetto, una volta che si aprii, finché Bulma non si sedette al mio fianco, poggiandomi una mano sulla spalla.

«Pamela mi ha detto che eri qui, mi hanno spiegato tutto all’ingresso, siamo venuti il prima possibile… come ti senti?»

«Come dovrei stare?» dissi, mettendo la testa fra le mani.

A quel punto calò il silenzio, che durò per qualche istante, almeno finché non sentii due mani più piccole poggiarsi sulle mia ginocchia. Alzai gli occhi e vidi Trunks, anche lui con un espressione preoccupata in volto.

«Ciao, campione.» gli dissi, strofinandogli i capelli.

«Noi, e tutti gli altri, ci siamo sempre, sappilo.» mi sussurrò Bulma all’orecchio «Anche Vegeta, che tu ci creda o no.»

Mi voltai a guardarla, con gli occhi ormai devastati dal pianto, ma questa volta con il sorriso in volto, per quella sua piccola battuta. Per un attimo, il pomeriggio si illuminò, di poco, ma si illuminò.

Notai solo in quell’istante che erano già le otto di sera, e il sole era ormai tramontato, quando entrò un medico.

«C’è il signor Daniel Ryder?» chiese, ricevendo come riposta la mia alzata immediata dalla sedia «Mi segua, da solo, per favore.»

Lasciando Bulma e Trunks in sala d’attesa, seguii il dottore in un lungo corridoio, sul quale si aprivano diverse porte. Ci fermammo poi, davanti ad una di queste davanti al corridoio.

«Innanzitutto, signor Ryder, io sono il dottor Nakamura, ho eseguito io l’operazione su sua nonna.» disse, porgendo la mano che gli strinsi.

«Com’è andata?» gli chiesi, praticamente nello stesso istante.

Il suo silenzio valse più di mille parole.

«No…» dissi, in quel momento, trattenendo un pianto disperato.

«M-Mi dispiace molto, signor Ryder… Abbiamo provato con tutte le nostre forze, ma la ferita non vuole rimarginarsi…»

A quel punto faticavo veramente a trattenere un pianto disperato: con un autocontrollo che mi stupì, mi limitai ad appoggiarmi al muro, evitando uno sfogo che, ne ero certo, avrebbe potuto distruggere l’intero ospedale.

«Si chiederà perché l’ho portata qui… Ecco, sua nonna ora è sveglia, ma non le resta molto e…»

Si prese un attimo di pausa, mentre in quel momento la curiosità si era impossessata del mio corpo: le emozioni si davano ogni volta il cambio, talmente forti erano in quel momento.

«Vuole parlare con lei. Prego.» concluse il dottore, prima di aprirmi la porta davanti alla quale ci eravamo fermati.

Io entrai, e la visione fu terribile:  in una piccola stanza, su un letto di ospedale, ricoperta di tubature e circondata da macchinari, stava mia nonna, che voltò lentamente la testa: «Ciao, piccolo mio.»

«Nonna…»

Mi avvicinai al letto, mettendomi in ginocchio, e le presi la mano.

«Sembra che i ruoli si siano invertiti, eh?» disse, la sua voce molto debole, ormai.

«N-Nonna… M-Mi dispiace…» biascicai, tra le lacrime.

«E di cosa, piccolo mio?»

«C-Che tu te ne debba… N-Non sono s-stato in grado di…»

«Shhh, non disperarti, piccolo mio, non è colpa tua, non lo devi pensare. Certe cose accadono, e noi non possiamo farci niente: possiamo solo adattarci a quello che il mondo ci mette a disposizione. È ciò che gli hatwa sanno fare meglio, ricordalo. E poi,» proseguì, mentre la sua voce si faceva sempre più debole «io me ne vado felice: ho vissuto a lungo, e bene, e ora mi riunirò a tutti quelli con cui sono stata bene in questa vita. E sai qual è la prima cosa che farò?»

La guardai, con le lacrime che mi oscuravano ormai la vista.

«Dirò al tuo papà, a tua mamma, a tua sorella, a tuo nonno e a tutta la nostra famiglia che splendida persona e che potente guerriero rimarrà qui a portare avanti il nostro nome e la nostra razza. Per questo voglio vederti sorridente in questo momento, perché è così che voglio ricordarti, con quello stesso sorriso che hai sempre avuto quando eri il nipotino che tanto amavo, e il nipote che amo e amerò per sempre.»

Strinsi ancora di più la sua mano, e questa volta la guardai sorridente, come mi aveva chiesto: non un sorriso forzato, ma che venne naturale. Esattamente come lo voleva lei.

Lei mi guardò sorridendo a sua volta, gli occhi che piano piano parevano spegnersi, mentre i beep che indicavano il suo battito si facevano sempre più lenti.

«Auguro… a te e Pamela… un futuro roseo…» disse, in un ultimo grande sforzo, quando i beep si trasformarono in un drammatico suono continuo.

Guardai ancora una volta il suo viso: sorrideva, anche adesso.

Sorrideva anche ora che non c’era più.

Rimasi a contemplarla per qualche istante, incurante dei suoni che ormai indicavano la fine della sua vita: non avevo nemmeno più la forza di piangere.

«Le mie condoglianze.» disse il dottor Nakamura, mentre mi avvicinavo alla porta.

«La ringrazio, dottore.» gli risposi, nel momento in cui silenziosamente imboccavo il corridoio, nella direzione opposta.

Non feci neanche caso all’espressione del mio viso, nel momento in cui la riflesse il vetro delle porte che isolavano il reparto: e in ogni caso, non avrei visto nient’altro che un volto inespressivo.

Quando le varcai, trovai tutto il gruppo fuori dalla sala d’aspetto, compresa la famiglia Son dal lontano monte Paoz, con Pamela davanti a tutti.

«E quindi?» mi chiese, ansiosa.

Chinai la testa.

Fu allora che sentii le sue braccia attorno al mio collo strette, mentre piangeva disperata.

La strinsi a mia volta in un abbraccio, rendendomi conto di come non fossi l’unico in quel momento ad aver bisogno di riempire un enorme vuoto che si era appena creato.

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Quando mi alzai, i fogli con il mio discorso in mano, passai di fianco alla bara, che accarezzai dolcemente.

Al funerale erano intervenuti tutti: c’era una folta rappresentanza anche degli amici della nonna.

E ora dovevo parlare davanti a tutti loro.

Guardai verso la prima fila, dove di fianco ad un posto vuoto, il mio, c’era seduta Pamela, che mi fece un cenno d’assenso con la testa.

Posai i fogli sul leggio, e cominciai a leggere.

«L’ultima cosa, che mi hai detto, negli ultimi istanti della tua vita, era che volevi vedermi sorridere. Ma come posso farlo, nel giorno in cui la tua vita finisce, e non ti avrò più accanto a me? Finché ho potuto godere della tua presenza, tu sei sempre stata la figura a cui non ho mai abbinato ne abbinerò mai ricordi o esperienze spiacevoli. Nemmeno in questo giorno: il perché me lo hai spiegato tu, ci sono cose alle quali possiamo solamente piegarci, perché oltre le nostre possibilità. In questi ultimi anni della mia vita, ho potuto imparare perfettamente il significato di queste parole: che non significano abbandonarsi al destino ma provarci fino in fondo, e non buttare alcun istante, come hai fatto tu in tutta la tua vita, che ti è stata ingiustamente tolta, nel momento in cui il destino ha potuto eseguire il suo schifoso compito senza che potessi essere lì per te. Ed è proprio per questo che comprendo le tue parole, nel momento in cui mi dicesti che morivi felice: non ti sei mai arresa di fronte a nulla nella tua vita, e non hai avuto nulla da rimpiangere, ma solo un nipote al tuo capezzale, a cui hai comunque saputo portare un insegnamento, anche nel momento in cui dovevi essere tu quella che doveva aver bisogno di sostegno. Ti voglio bene, nonna.»

Seguii un lungo applauso della platea, alla quale però non volsi lo sguardo.

Scesi dall’altare, ed ecco che mi ritrovai circondato dagli amici, con le loro condoglianze: notai che era venuto perfino Gohan, che in quel periodo stava studiando come un dannato per il liceo.

«Amico, non per sembrare tua madre, ma sapendo come sono tosti quei test, dovresti essere a casa a studiare…» gli dissi, cercando di risollevare il morale anche a me stesso.

«Non dire stronzate, Daniel.» mi disse, con la foga dell’uomo che anche lui era diventato «Un amico che ha bisogno viene prima di qualunque cosa.» Accompagnammo la bara al cimitero, seppellendo la nonna nella stessa tomba di nonno Jack. Mentre la bara veniva calata, Pamela mi strinse per il braccio, appoggiando la testa sulla mia spalla.

Arrivò, poi, il momento di andare via: io però, decisi di rimanere lì. Mi limitai a dire a Pamela che sarei tornato a casa qualche ora più tardi.

Forse la nonna mi avrebbe perdonato qualche giorno senza sorriso: anche se effettivamente sembrava che vedermi in quello stato facesse star male tutti, perfino i bambini, che quel giorno rimasero cupi come non mai.

Restai in piedi, a contemplare la tomba della nonna: ancora non potevo credere che erano passati già due giorni.

Non avevo metabolizzato niente.

In quel momento, mi venne in mente un’altra cosa: mi voltai, e camminai lungo la fila di lapidi, fino ad arrivare davanti alla lunga lapide che conoscevo fin troppo bene.

Mi sedetti di fronte ad essa, e mi accesi una sigaretta, mentre leggevo per l’ennesima volta i nomi di mia sorella, mia madre e mio padre.

Se n’erano tutti andati, e io non avevo mai potuto fare nulla: nemmeno nel caso di Cell, pensando a cosa avvenne poi, e all’idea che avrebbe potuto assorbire anche me…

Gli hatwa non possono essere riportati in vita, in quanto la loro anima va ad unirsi al flusso di energia vitale proveniente dalla natura. Eppure, nella meditazione, non li ho mai trovati.

Mi piacerebbe oggi poter anche solo rivedere il sorriso di mia sorella, farmi riabbracciare da mamma, o un pacca sulla spalla di papà, avere la possibilità di assaggiare una nuova torta di nonna…

E invece, eccomi qua: uno dei guerrieri più forti dell’universo, che nella sua ascesa è rimasto senza nessuno intorno, solo una flebile fiamma di speranza dalla quale ripartire, chiamata Pamela.

Forse era così che doveva sentirsi Vegeta: oltretutto, lui la fiamma l’aveva vista accendersi anni dopo, con Bulma.

“Chissà che schifo.”

Così dovevano sentirsi anche C-17 e C-18, costretti, comunque, a dover ricominciare da zero un’esistenza intera.

In quel momento, con il fumo che uscii con uno sbuffo dalla mia bocca, capii che io non ero diverso da molti: e che sarei potuto ripartire, come avevano fatto molti altri.

Lo avrei fatto per loro. Lo avrei fatto per me.

ͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻ

Nell’aldilà, sul suo gigantesco pianeta, il Gran Maestro Re Kaioh camminava pensieroso su un prato, tenendo sotto osservazione quel ragazzo hatwa sulla Terra.

Il suo camminare non era casuale: era diretto in un preciso punto del prato dove, sotto l’attenta supervisione del Re Kaioh del nord, Goku si allenava.

«Buongiorno, carissimo Re Kaioh…»

«Oh, gran maestro, che piacere sia venuto a farci visita! Come può vedere, l’allenamento di Goku procede a gonfie vele!» disse Re Kaioh, colto di sorpresa «Ragazzo, scendi, che abbiamo visite!»

«Buongiorno, Gran Maestro!» disse allegramente Goku, una volta sceso a terra.

«Buongiorno anche a te figliolo… ma non sono qui per seguire i tuoi progressi, purtroppo, ma perché mi servono dei chiarimenti…»

«Chiarimenti?! Voi, che vegliate su tutte le quattro galassie?» chiese un sempre più sorpreso Re Kaioh.

«Si… Sto osservando questo ragazzo, sulla Terra, dotato di un potere assai particolare…»

«Mi scusi, ma sta forse parlando di Daniel Ryder, il giovane hatwa?» domandò Re Kaioh.

«Si, proprio lui!»

«Oh, io lo conosco!» disse improvvisamente Goku «È parecchio simpatico, oltre che molto abile! Ma perché le interessa, se posso saperlo?»

«Goku, sai che ho promesso sia a te che a Paikuhan che vi avrei allenato… ma questo ragazzo ha dentro di sé qualcosa di molto particolare, e mi piacerebbe portarlo qui, ma a tempo debito…»

«Wow! Chissà che faccia quando lo saprà… intende convocarlo prima o dopo il torneo mondiale? Sa com’è mi piacerebbe poterlo salutare laggiù, e testare la sua nuova forza!»

«Vedremo, ragazzo…» disse il Gran Maestro, accarezzandosi la folta barba.

«Bando alle ciance, Goku! Torna al tuo allenamento!» disse Re Kaioh al saiyan, che si rimise immediatamente al lavoro.

Il Gran Maestro proseguì la sua passeggiata, stavolta seguendo il percorso inverso: in realtà, il suo essere vago era indice di un sospetto ben più grande. Qualcosa stava per accadere, e il potere di quel ragazzo era ancora ben lontano dall’essere pienamente sfruttato. O peggio, liberato. Quindi era il caso di prenderlo ora, per poter capire bene con che cosa si avesse a che fare e soprattutto insegnargli a controllarlo nel suo pieno potenziale…

Una tempesta era in arrivo, e non voleva assolutamente farsi trovare impreparato.


NOTE DELL’AUTORE
Capitolo intenso, eh? Parecchia carne al fuoco! Anche nonna Amy se ne è tragicamente andata… ma a quanto pare Daniel ora è più maturo, anche di fronte alla sua condizione di hatwa, non vi pare? E, a quanto pare, è riuscito ad attirare l’attenzione di una delle più importanti autorità dell’universo… cosa accadrà?

Questo capitolo è stato piuttosto complesso da scrivere, vi dirò la verità: quasi quanto una scena d’amore, raccontare un momento intimo e pieno di emozione come le ultime parole di un proprio caro, cercando di renderlo verosimile, è stato molto, ma molto difficile, anche perché nessuno vorrebbe mai vivere una situazione del genere.

Ogni recensione è gradita, di ogni tipo: graditissime eventuali critiche (costruttive) e suggerimenti!

Dragon Ball è proprietà di Akira Toriyama.

Alla prossima!

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Capitolo 27
*** Un grande ritorno ***


CAPITOLO VENTISETTESIMO- UN GRANDE RITORNO

«Allora, signori Ryder, per concludere…»

«Ehm, non siamo sposati…»

«Ah, chiedo scusa. Comunque, per concludere la transazione, mi serve comunque che firmiate questi documenti.»

Io e Pamela firmammo: ci trovavamo in banca per formalizzare la transazione di denaro dal conto di mia nonna al mio, per suo volere testamentario.

Ci aveva lasciato la casa e tutto ciò che le restava, compresi i suoi soldi: ora stavamo finalmente per concludere quella terribile maratona di documenti da firmare e carte da bollare.

«Perfetto.» disse il direttore da dietro la sua enorme scrivania «Ora consegni questi documenti allo sportello all’ingresso e potremo avviare la transazione.»

«Grazie mille, direttore, arrivederci.» lo salutai, stringendogli la mano. Pamela fece lo stesso.

Uscimmo dal suo sfarzoso ufficio, imboccando le scale per tornare al piano terra.

«Ricordami perché siamo dovuti venire fino a Satan City.» mi chiese un’esausta Pamela.

«Nonna è nata qui, almeno finché si chiamava ancora Orange City… E qui ha lasciato il suo conto. Non chiedermi altro, perché è tutto quello che so…»

«Uff… almeno, una volta che avremo consegnato quei documenti, questa tortura burocratica sarà finita. Mi disgusta pensare a come la legge tratti la morte di una persona… la fanno morire due volte.»

«Purtroppo, devo darti ragione…»

La cosa mi intristii un po’: ormai era passato quasi un mese, e nonostante avessi metabolizzato meglio di quanto sperassi, ancora facevo fatica a sopportare la sua assenza.

Anche mentre mi misi in coda, per consegnare i documenti allo sportello, continuavo a rimuginare su questi pensieri. Sentivo la mano di Pamela massaggiarmi la spalla: mi voltai , accennando un sorriso, che lei mi ricambiò.

La coda andò avanti senza problemi particolari: il tempo sembrava non passare più.

Almeno, finché non sentimmo urlare.

«FERMI TUTTI! QUESTA È UNA RAPINA!»

A quel punto, una decina di uomini armati fino ai denti, il volto coperto da un passamontagna, entrarono in banca, per il panico generale.

Io e Pamela ci guardammo, quasi incuriositi, mentre tutti gli altri clienti corsero a nascondersi o si gettarono a terra, minacciati dai rapinatori.

«Ragazzi, legate gli ostaggi!»

Proseguirono nella loro opera, minacciando il cassiere allo sportello, almeno finché il loro capo non ci notò.

«Voi due! A TERRA! O vi riempio di buchi!»

A quel punto mi voltai verso la mia ragazza, sogghignando.

«Non mi avete sentito?! A TERRA!»

«Ma scusa, il pavimento è sporco! E la mia ragazza ha appena comprato questi vestiti! Perché sporcarli subito?» gli dissi.

«Risparmiati le battute, o ti ammazzo sul serio!» continuò a sbraitare: si vedeva che aveva molta fretta, dettata dalla paura. Forse la paura di farsi beccare, non di me: cosa che era il caso di correggere.

«Allora, amico, le opzioni sono due: o ve ne andate, tranquillamente, posando le armi.» dissi, mentre vedevo la tensione crescere nei suoi occhi «Oppure vi darò talmente tanti calci in culo, che alla fine sarà di tutti i colori dell’arcobaleno. Chiaro?»

A quel, punto, lo vidi tremare , di fronte alla fermezza delle mie affermazioni. Gli altri suoi scagnozzi, sette se li avevo contati bene, osservavano la scena allibiti tanto quanto gli ostaggi che sembravano non curarsi più di avere un’arma puntata contro.

A quel punto, il loro leader sparò una raffica di colpi con il suo mitragliatore: non era il caso di deviarli, ed iniziai a raccoglierli con entrambe le mani, muovendomi a grande velocità.

Quando poi la raffica terminò, lasciai cadere i proiettili dai palmi delle mie mani, il loro tintinnare reso più forte dal silenzio che era calato, mentre il suo tremare si faceva più evidente.

«M-Ma… c-come è p-possibile…» disse, balbettando.

«Amore, credo proprio che non abbia capito…» mi disse Pamela, da dietro le spalle.

«Credo anch’io, tesoro.» dissi, prima di proiettarmi dietro al loro leader, stendendolo con un mirato colpo alla nuca.

I suoi scagnozzi iniziarono a sparare nella mia direzione: evitarli fu facile.

Con un balzo, fui in mezzo a loro: un calcio al mento, una gomitata allo stomaco, una manata al volto e una ginocchiata sul braccio, tutto in un unico movimento, bastarono a mandarli k.o.

Il quinto di loro mi guardava, inorridito. MI piagai verso di lui, e feci schioccare il mio indice sul suo volto: volò contro il muro, sbattendoci violentemente, e perse i sensi.

A conti fatti, ne mancavano due.

«STA FERMO O LEI MUORE!»

Mi voltai, e li vidi entrambi dietro Pamela: la tenevano per un braccio ciascuno, e uno dei due gli puntava la pistola alla tempia.

In quel momento arrivò anche la polizia.

«Uscite con le mani in alto! Con noi c’è anche Great Saiyaman! Arrendetevi!» urlarono nei loro megafoni.

Great Saiyaman? E chi era costui? Un altro pagliaccio come mister Satan?

A quel punto, al megafono si sentii una nuova voce: «Arrendetevi, nel nome della giustizia! È Great Saiyaman che parla! Malvagi, sappiate che avete le ore contate!»

“Gohan?!” pensai, ascoltando quella nuova voce, incredibilmente familiare.

«Hai sentito amore? Non ti pare di aver già sentito quella voce?»

«Si, mi pare familiare.» disse, con molta calma.

«STA ZITTA!» la minacciò uno dei rapinatori.

«Uhm, però credo dovresti liberarti di quei due insetti sul tuo vestito, fanno un po’ schifo, non credi?» le dissi.

«Già, hai proprio ragione.» rispose, sempre con la stessa calma olimpica.

E in quel momento rifilò un calcio nelle zone delicate al rapinatore armato, mentre si liberò facilemente della presa dell’altro, e gli rifilò una gomitata al mento. Poi, in un'unica rotazione, colpì entrambi con lo stesso calcio, mandandoli k.o.

«Vedo che non sei poi così fuori forma, tesoro!» le dissi.    

«Hai ragione, credevo peggio anche io! E comunque questi cretini erano poca roba, dai…»

L’ennesimo avvertimento della polizia, ci fece rinsavire. Mi voltai verso gli ostaggi, che uscirono tutti rapidamente dalla banca, balbettando qualche ringraziamento, per farsi assistere.

«Puoi tenermi aperti i portoni, tesoro?» chiesi a Pamela.

«Certo, amore.»

E allora presi tutti e otto i rapinatori, e li lanciai fuori, facendoli atterrare tutti di fronte alle auto della polizia.

«È dovere di ogni bravo cittadino differenziare la spazzatura: ogni rifiuto va gettato nel contenitore adibito.» dissi, mentre uscivo, con Pamela che mi sorrise.

A quel punto notammo una gigantesca folla radunatasi fuori dalla banca, formata da poliziotti e curiosi: tutti ci guardavano allibiti.

A quel punto notai la figura davanti alle auto della polizia: indossava una calzamaglia nera, guanti e stivali bianchi, e una giacchetta verde. Ma i dettagli più ridicoli erano il lungo mantello rosso e lo strano casco da astronauta.

In quel momento, ci fu un’enorme appaluso da parte della folla, che a quanto pare vedeva quello che avevamo appena fatto come un’impresa sensazionale: in effetti, non avevo pensato che ero io quello con le capacità stratosferiche, rispetto a chiunque di loro. Avrei dovuto ricordarmelo…

Poi, quella specie di supereroe si avvicinò: «Great Saiyaman vi ringrazia per aver contribuito alla cattura di questi pericolosi criminali! –vi spiegherò dopo- Tutta Satan City vi è grata!»

A quel punto ci fu un altro lungo applauso da parte di tutta la folla, tranne una persona: una ragazzina dai lunghi capelli neri, raccolti con due piccoli elastici a formare due lunghe ciocche che le ricadevano sulle spalle. Osservava la scena con curiosità, ma sembrava anche piuttosto irritata.

«Vediamoci sul tetto della banca tra cinque minuti, cercate di non farvi notare!»

Mi scambiai con Pamela uno sguardo tra l’allibito e il divertito, ma facemmo come ci aveva chiesto. Dribblammo i giornalisti, che ovviamente ci chiedevano se fossimo due nuovi eroi della città, rendendo la cosa ancora più strana.

Ci isolammo in un vicoletto, al riparo da quelli sciacalli, e con un balzo prendemmo il volo, andando a posarci sul tetto della banca. Aspettando Gohan, mi appoggiai ad uno dei tubi dell’aerazione.

Fu allora che arrivò, questa volta vestito nella divisa del suo liceo.

«Che c’è, ti vergogni pure tu a girare conciato in quel modo?» gli dissi.

«Ehi! Si vede che non hai proprio idea di cosa vada di moda oggi!»

«Bah, se lo dici tu…» intervenne Pamela «In ogni caso, perché eri conciato in quel modo?»

«Beh, ho notato che a Satan City c’è parecchia criminalità, e per non farmi notare, ho deciso di assumere l’identità di Great Saiyaman!»

«Daniel, tu lo sapevi già, dai!» mi disse improvvisamente.

«E come mai, scusa?»

«Un nome così stupido non credo possa averlo inventato Gohan!»

«Dai, non siate cattivi…» disse il saiyan, imbarazzato.

«Ma lo sai che scherziamo, tranquillo…» lo rassicurò Pamela.

«Comunque, che ci fate a Satan City?»

«Dovevamo risolvere le ultime questioni riguardo l’eredità di mia nonna… che a pensarci bene, ho lasciato i moduli in banca!» dissi, ricordandomi improvvisamente dei documenti non consegnati per colpa di quei pagliacci.

«Oh, beh, già che siete qui, ne approfitto per dirvelo subito: stavo per iniziare a fare un giro per avvisare tutti che mio papà tornerà in vita!»

«COSA?!» gridammo in coro.

«Ma per un giorno soltanto, per partecipare al Torneo Tenkaichi che si terrà tra un mese: pensavo che potremmo partecipare tutti, per celebrare la cosa alla nostra maniera!» disse entusiasticamente il giovane saiyan.

«Sarebbe fantastico! Io però non mi sentò di partecipare al torneo… tu amore?»

Ci pensai un attimo: sarebbe stato il mio primo vero torneo mondiale. E la cosa mi ispirò non poco.

«Perché no? Sarà divertente!» gli risposi.

«Fantastico!»

A quel punto, però, notai sulla sua divisa il logo della sua scuola, e mi parve di averlo già visto, finché non mi venne in mente: quella ragazzina!

«Gohan! C’era una tua compagna di scuola prima, tra la folla?»

«Oh si… È Videl, la figlia di Hercule Satan. Mi segue ovunque, è come ossessionata da Great Saiyaman: credo sospetti qualcosa sulla mia identità…»

«Beh, è piuttosto carina, eh…» gli dissi, stuzzicandolo col gomito.

Lui si irrigidì, imbarazzato: la sua grande timidezza stonava sempre col fatto che fosse uno dei guerrieri più potenti dell’universo, il vero vincitore di Cell.

«M-Ma cosa s-stai dicendo Daniel… c-ci conosciamo a malapena…»

«Ehi! Ho solo detto che è una bella ragazza! Ammetterlo non ti sarebbe costato nulla!»

A quel punto il suo viso divenne color pomodoro.

«Aha, stai tranquillo Gohan non andremo di certo in giro a dirlo.» intervenne Pamela «Comunque grazie per averci avvisato di questa cosa. Non si allena già da un paio di giorni, non vorrei che inflaccidisse, e che finisca per fare una figuraccia con tuo padre!» disse, facendomi un sorrisetto.

Fu allora che ci salutammo, con Gohan che ci raccomandò di volare con discrezione, visto quello che era appena successo: consiglio che seguimmo, prendendo velocemente il volo verso l’alto, nascondendoci alla vista della gente, prima di iniziare a volare in direzione Pepper Town.

ͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻ

Il sole splendeva forte sulle montagne, i suoi raggi che si riflettevano sull’acqua.

Mantenni comunque la mia concentrazione alta, mentre tenevo giunti i palmi.

Poi, concentrai il Ki nelle mia mani, e cin un rapido movimento separai i palmi e modellai una piccola sfera di ki, che poi colpii con la mano destra.

«Cannone Doomsday!» gridai a pieni polmoni.

Non appena colpii la sfera, da essa partii una gigantesca onda che colpì il lago, e proseguii fino a colpire il fianco della montagna, generando un gigantesco cratere.

“Nettamente più rapido: per oggi può bastare”

Guardai l’orologio: erano le quattro e venti del pomeriggio del 4 Maggio. Pamela sarebbe tornato dal lavoro tra un paio d’ore.

Poi, mi resi conto di un’altra cosa: mancavano solo tre giorni al torneo, e al ritorno di Goku.

Che comunque, una capatina quaggiù l’aveva fatta: giusto qualche giorno fa sulla Terra era improvvisamente comparsa una gigantesca energia, che continuava a crescere ogni momento.

Distratto dall’allenamento, me ne ero accorto troppo tardi: quando arrivai sul luogo, mi ritrovai due eccitati Goten e Trunks che mi raccontarono di aver appena affrontato il leggendario super saiyan. Gohan poi mi spiegò che Broly era sopravvissuto, e a quanto pare era riuscito a tornare in qualche modo. Dopo aver soccorso Crilin, feci anche la conoscenza di Videl.

“Ma tu sei quello della banca!” fu ciò che mi disse: evidentemente aveva un’ottima memoria.

C’è da dire che, è tutto l’opposto mr. Satan: oltretutto, lei ha accettato il fatto di avere a che fare con guerrieri con i quali suo padre non può nemmeno confrontarsi, tra i quali c’era, ora, anche lei.

Dopo averli salutati, tornai a Pepper Town per riprendere i miei allenamenti.

Ma mi ritrovai con un nuovo pensiero fisso in testa: c’erano stati tanti grandi nemici che non avevo avuto occasione di affrontare, Nappa, la squadra Ginyu, Freezer, Garlic Jr., Bojack e, in un certo senso, anche Cell.

Ma questo Broly, questo super saiyan della leggenda, uno che, a detta degli altri, aveva messo PAURA a Vegeta, e che aveva sempre richiesto il massimo sforzo collettivo per essere sconfitto, mi intrigava.

Anche questa volta, pare che Goku abbia fatto una comparsata dall’aldilà per aiutare i figli contro il mostro, formando una tripla kamehameha che, questa volta, avrebbe dovuto averlo definitivamente ucciso.

Ma, proprio per questo, avrei voluto poterlo affrontare: ora però non era più possibile. Ma forse, era meglio così.

Così, alleggerito da quel pensiero, che sapevo sarebbe comunque tornato, mi avviai verso casa. Volai con molta calma, mentre riflettevo.

Forse, avevo quei pensieri perché erano ormai cinque anni che non c’era veramente più niente da fare: c’era solo la pace. Un hatwa da quel che ho imparato in questi anni, normalmente è pacifico, non è mai stata una razza bellicosa: però quando cresci a pane e combattimenti, e con un demone potentissimo in corpo, senza un avversario decente era dura trovare qualcosa di soddisfacente da fare.

Qualche volta avevo duellato sia con Gohan che con Vegeta, ma in questo periodo erano più presi ad allenare i ragazzi: sorprendente la velocità con cui sono diventati due super saiyan.

Intravidi poi con lo sguardo il tetto del mio condominio: vi atterrai dolcemente, e imboccai la scala di servizio, fino ad arrivare all’appartamento.

Una volta dentro, organizzai subito il mio piano relax post allenamento: innanzitutto, doccia.

Poi, indossata una vestaglia e i pantaloni del mio pigiama, mi preparai una bella ciotola di pop-corn e mi sedetti davanti alla Tv, accendendo su una partita di baseball: a parte le pubblicità con quel buffone di mr. Satan, in quel momento fui solamente rilassato, anche grazie al fatto che Yamcha non giocasse per nessuna delle due squadre che si stavano affrontando, altrimenti sai che tifo avrei fatto.

Era un momento magico: il sole del tardo pomeriggio che ancora splendeva forte, il gusto salato dei pop-corn che mi riempiva la bocca, la freschezza della doccia appena fatta sulla pelle.

Almeno finché una piccola figura non comparve improvvisamente in mezzo alla stanza, facendomi sobbalzare dallo spavento.

«AAAAAAAAAAHHHH!»

Caddi sul pavimento, sbattendo il sedere per terra, e la cosa mi fece anche piuttosto male. Mi girai a guardare il nuovo arrivato: era un piccolo omino dalla pelle rosa shocking, vestito come un impiegato da ufficio, con tanto di cravatta rossa e camicia bianca, e corti capelli neri ben pettinati.

«Buonasera, mi perdoni se l’ho spaventata. Lei è il signor Daniel Ryder, giusto?»

«S-Si… sono io…» dissi, mentre mi rialzavo in piedi.

Avevo constato che questo tipo non era una minaccia, ma ero comunque insospettito.

«Molto piacere, io sono Gyu.» disse, inchinandosi «Vengo con un invito da parte del Gran Maestro Re Kaioh in persona.»

«Chi?»

«Il Gran Maestro Re Kaioh! Non lo conosce?»

«A dire il vero, no... Ho sentito parlare di un Re Kaioh, comunque.»

«Uh, lei si sta riferendo al Re Kaioh del nord, quello che sovraintende la vostra galassia! Io mi sto riferendo al suo superiore.»

«S-Superiore?»

«Proprio così: il Gran Maestro Re Kaioh è colui che vigila sui quattro quadranti, e quindi su tutto l’universo. Io sono solo uno dei suoi tanti assistenti.»

«E dimmi, Gyu…» dissi, con maggiore sicurezza «Cosa vorrebbe il Gran Maestro da me?»

«Il Gran Maestro vorrebbe offrirvi la possibilità di allenarvi sotto la sua guida!»

Rimasi di sasso per un istante: lo guardai, ad occhi sgranati.

«A-Allenarmi con lui? C-Cioè lui vuole addestrarmi?»

Gyu annuì.

Mi sedetti sul divano, l’immaginazione che già viaggiava.

«E quando dovrei iniziare?» gli chiesi.

«Domani!» mi rispose col suo solito tono allegro.

«C-Come?! DOMANI?!»

«Si. C’è qualche problema?»

Oh, eccome se ce n’erano, omino.

«Non c’è proprio nessuna possibilità di posticipare la cosa? E quanto dovrebbe durare?»

«Il mio capo non mi ha lasciato indicazioni su quando questo addestramento dovrebbe finire… però mi ha detto che c’era solo questa possibilità. E fidati se ti dico, visto che lo conosco da molto tempo, che farsi allenare dal Gran Maestro è una chanche più unica che rara.»

In quel momento, la porta si aprì: «Daniel, ci sei? Sono a ca…»

Pamela rimase sulla soglia come paralizzata, osservando l’inusuale ospite.

«E q-quello chi sarebbe, scusa?» disse, scioccata.

«Siediti qua» dissi, dando dei piccoli colpi al cuscino del divano «Che è piuttosto complicato.»

Passarono quindi altri cinque minuti in cui Gyu spiegò nuovamente per quale motivo fosse lì. Dopo di che, mi guardò, quasi scioccata.

«Non gli hai ancora dato la tua risposta, vero?»

«No…»

Ci fu un istante di silenzio, prima che mi facesse una domanda spiazzante: «Come mai?»

La guardai, scioccato: «Come mai?! Ma hai presente cosa sta per succedere tra poco più di due giorni!»

«Uh, io lo so! A Son Goku è stato permesso di ritornare per un giorno sulla Terra!» intervenne improvvisamente Gyu, che si ritrovò immediatamente fulminato dai nostri sguardi.

«S-Scusate…» disse, imbarazzato.

Mi voltai nuovamente a guardare Pamela: «In ogni caso, non ti sembra un motivo piuttosto valido per rifiutare? Viviamo in pace da anni, che senso avrebbe sottoporsi ad un altro addestramento?»

Lei sospirò: «Fa come vuoi, secondo me dovresti accettare la sua proposta.»

«E su che basi, scusa?»

«Beh, il fatto che viviamo in pace da anni non è una scusante per un guerriero del tuo potenziale per non migliorare nelle sue capacità: credevo ci fossi già arrivato. Hai imparato che lo stronzo di turno può comparire in ogni momento, e poi, credo che quel Broly abbia fatto azzerare il contatore, no?»

Continuai a guardarla, questa volta con aria sconsolata: aveva ragione. Ma soprattutto, non aveva ancora finito.

«Oltretutto, Goku tornerà per un solo giorno, quello che imparerai lassù, invece, rimarrà per sempre. E poi non è che Goku sparirà: se ti va bene, vi incontrerete di nuovo lassù. Che poi, sarebbe anche la tua unica possibilità di vedere come è fatto l’aldilà!»

«I-In realtà, non sarebbe proprio l’aldilà... ma va bene lo stesso…» provò a inserirsi nuovamente Gyu, questa volta cercando di rimanere discreto.

Intanto, pensai alle ultime parole di Pamela: aveva ragione, su tutto. Non mi ero reso conto di che occasione mi si fosse presentata: avrei ricevuto un addestramento dal superiore di chi aveva addestrato lo stesso Goku anni prima, e quindi non uno qualsiasi. E per quanto mi dispiacesse perdermi questo evento, era una decisione già presa.

«Gyu, accetto la proposta.»

Lui fece un piccolo saltello: «Perfetto! Allora passerò domattina verso… uh… come lo chiamate qua questo orario?»

In quel momento allungò il braccio, tirandosi indietro la manica, indicando uno degli svariati orologi che aveva, quello con le dodici ore, puntato sulle nove.

«Uh… le nove.» gli rispose Pamela.

«Grazie! Allora domattina per le nove! Sa, è difficile ricordarsi gli orari di intere galassie, eh-eh… Ah, non si porti dietro niente, abbiamo già tutto il necessario! Arrivederci!»

Quindi sparì come era apparso, improvvisamente.

Mi scambiai con Pamela l’ennesimo sguardo confuso: quel tipo era decisamente strano. Poi guardammo l’ora, quella attuale: erano già le otto meno un quarto.

«Vuoi ordinare qualcosa?» mi chiese.

«Pizza. Uovo e pancetta. Sarebbe perfetto.» dissi, freddo.

«Ok.»

Il pizzaiolo ci mise un’eternità ad arrivare: la pizza fu pure gratis. Niente male come ultima cena prima di partire.

In effetti, l’idea di dover partire già domattina andava metabolizzata bene. Sia io che Pamela sembravamo averla presa allo stesso modo: cenammo entrambi in silenzio, al piccolo tavolo della cucina.

Dopo un po’ di relax sul divano, decisi di andare a dormire: mi rannicchiai sul mio lato del letto matrimoniale che avevamo comprato già da tre anni ormai (cosa che ora mi parve come l’ennesimo punto a favore di Umigame) e cercai di chiudere gli occhi.

Almeno, ci provai.

Riaprii improvvisamente gli occhi, per trovarla sopra di me, a gattoni, le mani poggiate sul cuscino, su entrambi i lati della mia testa, mentre mi guardava con occhi ardenti di passione.

«Se non devo vederti più per un po’, allora portiamoci un po’ avanti… che ne dici?»

E a quel punto ci baciammo appassionatamente, stringendoci tra le braccia come in una morsa, almeno finché le nostre mani non si mossero cercando di togliere i vestiti dai corpi che si desideravano ardentemente.

Facevamo spesso l’amore, ma mai con così tanta foga, e mai Pamela aveva preso una così tale iniziativa: la cosa fu comunque meravigliosa. In quel momento, mi dimenticai di cosa fosse successo e di cosa stava per accadere.

Quel momento era nostro, e anche se eravamo consapevoli che sarebbe finito, ci sembrò comunque durare in eterno.

Quando finimmo, rimanemmo stretti in un abbraccio, lei che, piano piano, finì per addormentarsi prima di me. Mentre la guardavo, avevo ancora quella stessa percezione, che il tempo si fosse fermato per contemplarci.

Il domani, in quel momento, era solamente un remoto avvenimento futuro.


NOTE DELL’AUTORE
Colpo di scena! Cos’ha in mente il Gran Maestro Re Kaioh? Tutti sappiamo cosa sta per succedere… o almeno, ora c’è Daniel di mezzo! Gli eventi prenderanno svolte forse non così inattese… ma non faccio troppe anticipazioni, perché comunque qualcosa di VERAMENTE importante accadrà!

Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, nonostante la sua mera natura di filler: scene come quella del Great Saiyaman volevo comunque scriverle da tempo. Senza fare troppi spoiler, vi scrivo comunque che la saga di Majin Bu è stata qualcosa di veramente difficile da riportare, quindi vi avviso che potreste anche rimanere delusi, ma ci saranno comunque eventi FONDAMENTALI per la nostra storia.

Ogni recensione, di ogni tipo, è gradita!

Dragon Ball è proprietà di Akira Toriyama.

Alla prossima!

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Capitolo 28
*** Ancora più forte ***


CAPITOLO VENTOTTESIMO- ANCORA PIÙ FORTE

Quella mattina mi alzai prima ancora della sveglia, prima ancora di Pamela, prima ancora del sole.

Mi alzai delicatamente per non svegliarla, che anche se non si era accoccolata su di me, alzarsi bruscamente non avrebbe di certo favorito il suo riposo. Andai in bagno e mi lavai cercando di rendermi anche presentabile: i capelli, sempre gli stessi da anni, lisci e distesi a sinistra; la barba, completamente rasata; ed, ovviamente, denti puliti e ben curati.

Mi recai nuovamente in camera, per indossare la mia tuta: Pamela dormiva ancora. La presi e, con indosso ancora le mutande, mi recai in cucina, dove, mentre il caffè si preparava, mi vestii.

Dopo aver fatto colazione, mi sedetti davanti alla televisione, facendo un po’ di zapping. Dopo un po’, potei udire la sveglia suonare.

Pamela uscì sbadigliando dalla camera, indossando solamente la sua vestaglia, dirigendosi in bagno.

Una volta che ne uscì, si diresse verso la cucina, ma prima si piegò sul divano, baciandomi sulla guancia.

«Buongiorno…» disse, prima di andare in cucina, dove si preparò la colazione.

Erano le otto: il suo turno sarebbe iniziato alle nove e mezza, e arrivare alla città dell’ovest era questione di mezz’oretta da Pepper Town, ma lei preferiva alzarsi presto per potersela prendere comoda.

La sentii poi prepararsi la colazione, per poi andare farsi una doccia.

Guardai fuori dalla finestra: il sole era già alto nel cielo, ad indicare l’inizio di un  nuovo giorno sulla Terra.

E tra poco meno di mezz’ora l’avrei già dovuta lasciare.

Pamela uscì dal bagno in quel momento, vestita di tutto punto, e venne a sedersi vicino a me.

«Credevi forse che ti avrei fatto andar via senza salutarti?»

Le sorrisi, e ci scambiammo un piccolo bacio. Proprio in quel momento Gyu apparve nuovamente.

«Buongiorno!» disse, entusiasta «È pronto, signor Ryder?»

Guardai nuovamente Pamela, questa volta con la determinazione che potei leggere anche nei suoi occhi. Poi mi voltai verso Gyu.

«Andiamo.» gli dissi.

«Perfetto! Si metta al mio fianco, per cortesia, e saremo pronti per partire!»

Seguii le sue istruzioni, e mi si in piedi di fianco a lui: mi scambiai u ultimo sguardo con la donna che amavo, prima che lo scenario cambiasse improvvisamente.

Mi ritrovai in una gigantesca stanza oscura, in un piccolo cerchio luminoso, che arrivava da un piccolo foro posto sul soffitto.

«Ben arrivato, figliolo!» disse improvvisamente una voce, dal tono molto amichevole.

Mi voltai e vidi un piccolo uomo anziano, che mi ricordava parecchio il maestro Muten, se non fosse stato per i lunghi capelli e la barba spropositata. Indossava una salopette di jeans, e una maglietta bianca, che stonavano con la sua anzianità.

«G-Grazie. E lei sarebbe…»

«Hai di fronte il Gran Maestro Re Kaioh, colui che ti ha voluto qui!» intervenne Gyu.

Io mi sentii profondamente imbarazzato.

«Oh! P-Perdonatemi, eccellenza!» dissi, inchinandomi.

«Non ti grucciare figliolo, non sarà necessario. Ora però seguimi, ti porterò dove avrà luogo il tuo addestramento.» disse, prima di volgere lo sguardo verso Gyu «Puoi tornare alle tue mansioni, Gyu.»

«Subito, capo! Signor Ryder, è sto un piacere conoscerla!» disse, prima di sparire nuovamente.

A quel punto, mi voltai verso il Gran Maestro, che con passo quasi spensierato stava già imboccando l’uscita dalla stanza. Mi affrettai allora a seguirlo, imboccando un scala che ci portò su una lunga balconata, da cui si poteva intravedere un enorme prato, e su di esso parecchi guerrieri, dotati di aureola, che si allenavano.

«Wow…» dissi, provando ad avvicinarmi al bordo.

«NO! Fermo lì! Non devi farti vedere! Ti spiegherò meglio poi…»

Lo guardai per un istante, sorpreso dalla sua reazione.

«Ok…» gli risposi, senza obbiettare, ma dentro mi chiedevo il perché di quello strano divieto.

Lo seguii ancora lungo una serie di corridoi, finché non giungemmo di fronte ad un’enorme porta blindata, che il Gran Maestro aprì.

«Eccoci, finché ti addestrerai qui, questo sarà il tuo spazio.» mi disse, mostrando la stanza che ora si apriva davanti a lui: un enorme spazio aperto, circolare, con muri che apparivano solidissimi.

«Questa stanza» iniziò a spiegare « è stata costruita appositamente per il controllo e l’occultamento dell’aura. Finché sarai qui dentro, non sarai percepibile da nessuno, in nessun luogo.»

«Questo ha forse a che fare con il motivo per il quale mi ha portato qui?» gli domandai, colto da quell’improvvisa deduzione.

«Vedo che sei sveglio, fortunatamente. Comunque si: tu sai che cosa porti dentro di te, vero?»

Ebbi un piccolo sussulto: si che lo sapevo, ma per quel che ne sapevo io, era sparito…

«Si, ma l’ho sconfitto cinque anni fa, ormai: ora domino completamente il suo potere.» dissi, trasformandomi nello stesso istante.

Il Gran Maestro osservò imperturbabile il mio nuovo aspetto.

«Oh si, lo domini eccome… per adesso.»

Questa volta, le sue parole mi lasciarono scioccato.

«PER ADESSO?! C-Come sarebbe?»

Il solo pensiero del ritorno di quel tormento mi dava i brividi, soprattutto pensando a COME sarebbe tornato, che era la più grande incognita.

«Calmati, figliolo. Adesso ti spiego. Ma forse credo sia meglio farlo in un posto più comodo.» disse, voltandosi alla sua sinistra e dirigendosi verso una porticina che prima non avevo notato.

La aprì, ed ecco una piccola stanza, dotato di armadio, letto, tavolo e due sedie. Il maestro schioccò le dita, ed ecco che un vassoio con due tazze di te e una ciotola di biscotti comparvero sul tavolo.

«Vuoi favorire, figliolo?»

Non rifiutai, e presi posto.

Mentre sorseggiavo il mio thè, lui proseguì la sua spiegazione: «Vedi figliolo, un demone non è una creatura facile da sconfiggere, immagina da controllare, specie se forte come quello che porti dentro di te. Nel tuo caso, sei riuscito a sottomettere solo una parte del suo spirito: ma proprio perché è legato alla tua anima, esso non se ne andrà mai, a meno che… beh, a meno che tu non muoia.»

Deglutii: l’idea della morte come rimedio era assolutamente fuori discussione.

«E quindi, che soluzione ci resterebbe?»

«Quella per cui siamo qui, ragazzo: sei riuscito a domarlo una volta, ora devi imparare ad attingere ancora dal suo potere. Lui è ancora lì, soffocato: tu devi sfruttare tutto il suo potere ancora sopito dentro di te. Per questo ti allenerai e vivrai in questa stanza, finché non ci sarai riuscito.»

«Aspetti un attimo, VIVERE QUI DENTRO?»

«Si, figliolo. Lo so che sembra crudele, ma prima raggiungi questo obbiettivo, meglio sarà per tutti, fidati.»

Posai per un istante la tazza, ancora ricolma di thè fumante.

«Questo, invece, ha a che fare con la reazione che ha avuto prima, eccellenza?» gli chiesi, freddamente.

Il Gran Maestro Re Kaioh sospirò.

«Si figliolo. Vedi, tutti i guerrieri che hai visto sono deceduti, e gli è stato concesso di mantenere il proprio corpo: si allenano duramente ogni giorno, sperando di poter vincere uno dei vari tornei che organizzo per potersi allenare con me. E tu sei un’eccezione: ti ho messo davanti pure Goku e a Paikuhan, i migliori guerrieri mai passati da qui. Tu, oltretutto, sei ancora vivo, e non vorrei che la tua presenza generasse del malcontento, io voglio bene a tutti quei ragazzi, sono tutti ottimi guerrieri che si impegnano molto…»

«Capisco, Gran Maestro.» dissi, cercando ancora di decifrare quella figura: doveva essere una delle entità più potenti dell’universo, eppure sembra più un nonno gentile ed affettuoso.

«Ahhh… un thè delizioso, non trovi?» disse, soddisfatto.

«Uh… direi di si…»

«Ottimo! Allora sarà il caso di mettersi subito all’opera, non trovi?»

Io annuii, sorpreso dalla sua improvvisa proposta, e lo seguii nuovamente nella gigantesca stanza.

«Ora, trasformati.» mi disse, ed io eseguii.

In un istante, la gigantesca forza di quell’essere mi pervase, senza comunque influenzarmi in nessun modo.

«Fatto, e adesso?»

«Ora, voglio che ti concentri al massimo. Devi cercare di aumentare la forza dalla quale attingi ogni volta che ti trasformi.»

Eseguii il suo comando: concentrandomi sulla mia aura, potei sentire dentro me la fonte di quell’energia.

«Ora che l’hai trovata, aumenta la tua aura, concentrandoti su di essa…» mi disse nuovamente.

Ed ecco, potei sentirla aumentare: la mia forza cresceva, e potevo sentirlo anche sul mio corpo, con i muscoli che si fecero più grossi e pronunciati.

Non mi accorsi dell’enorme alone di aura che si era formato attorno a me, mentre continuavo a sforzarmi per trarre sempre più forza da quell’essere dentro me.

Finché non iniziarono a fluire anche pensieri strani: pensieri di morte, tortura, distruzione. Pensieri malvagi, che iniziarono ad inondare la mia mente. Cercai di soffocarli, ma questo mi causò solo un forte mal di testa. Mantenni comunque la calma e proseguii, finché avessi retto.

UCCIDI!

«AHHHH!» urlai, spaventato.

Dopo anni, avevo sentito ancora quella voce, soffocata, nella mia testa. Rimasi per un attimo paralizzato dalla paura.

«È normale, figliolo, non farcela al primo tentativo. Ma sei comunque già molto avanti!» disse, in un tono quasi allegro, il Gran Maestro Re Kaioh.

Mi voltai a guardarlo, sudato e ansimante, ancora scosso da ciò che era successo: aveva ragione, lui era ancora lì… come poteva essere comunque così allegro?

«Lo so perché ti sei spaventato, figliolo…» disse, improvvisamente «E fidati che lo temo quasi quanto lo temi tu. Ancora non so di che entità si tratti, ma è sicuramente molto potente, e antico…»

Mi diede per un attimo le spalle.

«È importante» proseguii «Che tu impari assolutamente a controllare il tuo limite, e a mantenerti freddo. Se lasci un solo spiraglio a quel mostro, esso prenderà nuovamente il controllo, e questa volta sarà al massimo della sua forza e potenza. Devi assolutamente imparare a controllare le tue emozioni, è fondamentale.»

Lo guardai, mentre una nuova ondata di pensieri inondò la mia mente: l’unica cosa certa, in quel momento, era che non sarebbe stata un’impresa semplice. Se prima l’avevo sconfitto grazie ad uno sforzo emotivo, ora dovevo imparare ad essere chiuso.

«Ricorda, figliolo: le emozioni possono essere un’arma a doppio taglio. Possono aiutarci a trovare nuova forza in ciò che facciamo, o possono tagliarci le gambe: il controllo su sé stessi è fondamentale.» disse, nuovamente, il Gran Maestro Re Kaioh.

Sembrava comunque mantenere un’aria rilassata, nonostante in quel momento avessimo a che fare con il controllo di una forza malvagia, dotata di una forza quasi incontrollabile.

«Bene, ora credo che tu possa proseguire da solo, scusami ma devo assoluatemente andare!» disse, tornando improvvisamente molto allegro «Ma prima… credo che ti serva un cambio d’abito, se ti allenerai qui!»

E con un suo schiocco di dita, la mia vecchia tuta sparì, e mi ritrovai vestito con una tuta simile, ma nera, ad eccezione degli stivaletti bianchi. Non c’era maglietta sottostante la canotta, e la scollatura era molto più marcata: sul suo contorno, e su quello di tutta la canotta, una lunga linea bianca.

Sul retro, lo stesso logo che portava Goku da quando era tornato dallo spazio: il simbolo dei Re Kaioh.

«Bella!» commentai «Ma la mia vecchia tuta?»

«Non ti preoccupare, figliolo, è tutto nella tua stanza: lì troverai ogni giorno i tuoi pasti. Buon allenamento!»

E lo vidi avviarsi verso la porta, ma in quel momento mi ricordai di una cosa.

«Aspetti!»

«Si, figliolo?» disse, voltandosi.

«Prima ha parlato di Goku… È anche lui qui?»

«Si…»

«Potrei incontrare almeno lui? Sa, visto che non parteciperò al torneo e mi perderò il suo ritorno in vita…»

«No, ragazzo. Mi dispiace, ma voglio che tu rimanga concentrato. Se ci sarà l’occasione, potrai rivederlo, quando avrai terminato.»

Io rimasi allibito: nemmeno Goku?!

«M-Ma… Devo rimanere completamente isolato?!» sbottai un istante.

«No… ma se proprio vuoi, posso aumentare la sensibilità delle percezioni che puoi avere da questa stanza. In fondo questo è il mio pianeta…» disse, facendo l’occhiolino «Ma questo non deve essere una distrazione dai tuoi doveri, ragazzo!»

«Stia tranquillo!» lo rassicurai. Ero felice, quantomeno, di poter vedere come se la cavavano laggiù.

Rimase per un attimo in silenzio.    

«Fatto. Buona giornata!» disse, improvvisamente, uscendo dalla stanza nello stesso istante.

Che strano tipo, pensai. Era decisamente stravagante, ma non dovevo scordare che si trattava pur sempre del guardiano dell’intero universo, e quindi di un’autorità indiscutibile.

Ma soprattutto, non dovevo scordare perché mi avesse voluto lì.

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2 giorni dopo…

La mia concentrazione era massima in quel momento, mentre in entrambe le mani formavo due piccoli globi di Ki.

Era da un po’ che la volevo sperimentare, e ora, in questo gigantesco bunker, la situazione era propizia.

Li tenni entrambi saldi nel palmo, dopo di che li lanciai in avanti.

«Diluvio esplosivo!»

Ed ecco che i piccoli globi si separavano in tanti piccole sfere di Ki, mentre incrociavo le braccia nello slancio. Quando poi chiusi i pugni, l’effetto fu proprio quello desiderato: un vortice esplosivo di Ki che generò una serie di gigantesche esplosioni, che si fusero poi in un unico, grande scoppio.

Guardai con soddisfazione il risultato che avevo ottenuto: una doppia Tempesta Mortale, un vero e proprio diluvio che avrebbe investito ogni nemico senza lasciare scampo.

Non era rapido come la Tempesta, ma sicuramente più efficace.

In quei due giorni ero riuscito a diventare immediatamente più forte: piano piano, riuscivo ad attingere sempre più energia da quel demone, ed avevo già quasi raggiunto il limite consentito. Oggi mi ero preso una pausa, per provare questa nuova tecnica.

Intanto, avevo percepito l’inizio del torneo poco fa: decisi di dare uno “sguardo” alla situazione.

Cercai le aure dei miei amici, ma sull’isola papaya erano rimasti in pochi, anzi, sembrava che molta gente fosse sparita improvvisamente. Pamela era ancora lì, fortunatamente. Incuriosito, decisi allora di allargare la mia percezione.

Fu uno shock.

L’aura di Vegeta era improvvisamente aumentata a dismisura, e si stava battendo contro un fortissimo Goku: avevano entrambi la stessa forza che aveva raggiunto Gohan anni fa, contro Cell.

Era una lotta tra due super saiyan di secondo livello, e il rilascio di energia era gigantesco.

Mi sedetti per un istante, guardando bene alle loro aure: se quella di Goku sembrava la stessa di sempre, quella di Vegeta, al contrario, sembrava tornata quella frustrata e malvagia di anni fa, quando arrivò sulla Terra per la prima volta.

Ma non feci in tempo a realizzare cosa potesse essere successo, che immediatamente un’altra, gigantesca aura, comparve.

Era molto simile a quella che avevo dentro.

Era l’aura di un demone.

Cosa diavolo stava succedendo laggiù?


NOTE DELL’AUTORE
Eccoci, con l’arrivo di Majin Bu! Eppure, Daniel è costretto, ancora una volta, a fare da spettatore non pagante… come reagirà? Non lascio anticipazioni!

Vi prego di non uccidermi se taglierò di parecchio la saga di Bu: ma vi assicuro che ne vedrete comunque delle belle!

Ogni recensione, di ogni tipo, è ben gradita!

Comunque, ho un annuncio da fare: purtroppo, mi dovrò assentare per parecchio tempo. Concluderò la saga di Bu, poi chiuderò con gli aggiornamenti, o comunque saranno molto, ma molto sporadici: gli esami incombono, e bisogna ricordarsi di quelle che sono le priorità!

Dragon Ball è proprietà di Akira Toriyama.

Alla prossima!

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Capitolo 29
*** Oltre il limite ***


CAPITOLO VENTINOVESIMO- OLTRE IL LIMITE

Quel mostro sembrava essere una forza inarrestabile: aveva appena eliminato un essere che non avevo identificato, e ora pareva se la stesse vedendo con lo stesso Vegeta.

Ma non cedeva, per quanto potevo sentire il principe dei saiyan sforzarsi per batterlo.

E fu allora che accadde: sentii l’aura di Vegeta crescere improvvisamente, come in un esplosione.

E poi, il nulla.

Vegeta era morto.

In compenso, sembrava che quel mostro fosse sparito: ma dovetti immediatamente ricredermi, di fronte al suo ennesimo ritorno, la sua aura sembra essere rimasta illesa. Nel frattempo, notai anche come Gohan fosse improvvisamente sparito.

Sentivo crescere la rabbia dentro di me: fu allora che mi accorsi che la stanza stava tremando.

Mi calmai immediatamente, proprio nel momento in cui la porta si aprì.

«Che stai facendo, ragazzo?!» disse, con fare irritato.

Io mi voltai, imbarazzato: evidentemente avevo tremare qualcosa di più grande della stanza stessa.

«Mi scusi, Gran Maestro, ma mi sono fermato a seguire cosa sta succedendo sulla Terra… che cos’è quella cosa?!»

Il Gran Maestro Re Kaioh emise un forte sospiro: «Quello è Majin Bu, figliolo.»

«Majin Bu? E chi sarebbe?»

«Un demone antico, dalla grande potenza: fu liberato tempo fa dallo stregone Bibidi, e sterminò quasi tutti i Kaioshin…»

«No, aspetti, un passo alla volta: chi sono i Kaioshin?»

E fu allora che iniziò una lunga lezione di storia, sui Kaioshin, le buone divinità delle quattro galassie, su Majin Bu e su Bibidi, fino ad arrivare a suo figlio Babidy, che aveva oltretutto posseduto Vegeta, spingendolo nuovamente verso la malvagità, facendogli uccidere parecchie persone.

Caddi a terra, scioccato, fissando il vuoto per qualche istante. Poi tornai a guardarlo, quasi scioccato.

«E io sono ancora qui?!» sbottai.

«Ed è importante che tu ci resti: in questo momento è una sfida che va oltre le tue possibilità» disse, con spiazzante calma, il Gran Maestro Re Kaioh.

«Ma com-…»

«Non sono ammesse obiezioni. Adesso Gohan si trova sul pianeta dei Kaioshin, ci penserà lui a disfarsi di Majin Bu. Ma se vuoi seguire gli eventi, ecco.»

Ed in quel momento, sulla parete, si formò un gigantesco schermo.

«Ciò che percepirai verrà visualizzato su questo schermo, così che tu possa osservare. Ma devi assolutamente raggiungere l’obbiettivo che ti ho prefissato, non dimenticarlo, figliolo.»

Ed in quel momento, uscì dalla stanza.

Fissai per qualche istante quella specie di maxischermo, cercando immediatamente un aura in particolare: la trovai assieme a Yamcha, Bulma, Chichi, Videl, C-18 e Marron, alla ricerca delle sfere del drago.

Mi fece piacere vedere che stava bene.

Decisi allora di riprendere il mio allenamento, e mi trasformai immediatamente, sfruttando anche l’energia in più che ero già riuscito ad ottenere.

La percepii in un instante: ora si trattava di trarre da essa l’energia necessaria per diventare ancora più forte.

In quello stato, ero diventato forte quasi quanto i saiyan, chissà se avessi raggiunto l'obbiettivo prefissatomi dal Gran Maestro.

Trovai così nuova motivazione per proseguire: la feci fluire piano piano, aumentando progressivamente la mia aura.

Ed eccole, ancora, quelle terribili sensazioni e pensieri malvagi: ancora quella voglia di distruggere, fare del male, tutte cose che non sentivo dai tempi dei Cacciatori.

Distruggi.

Devo mantenere il controllo, non permettergli di controllarmi ancora: questa volta sono io quello un passo avanti.

Uccidi.

Sentivo i miei muscoli ingrossarsi, mentre la mia potenza aumentava a dismisura: questa volta però, la terra non tremò.

“Majin Bu, preparati…”

UCCIDILO.

“Stai facendo casino sul pianeta sbagliato…”

SOFFRIRÁ.

“Ammirerai la mia potenza…”

MORIRÁ.

“Morir-NO!”

Interruppi bruscamente il flusso di energia da quell’entità, prima di lasciarmi prendere ancora una volta: non potevo permetterglielo.

Non potevo permettere che quella cosa tornasse in circolazione un'altra volta: c’era già un mostro in libertà, che sembrava invincibile, non potevo mettere ulteriormente a rischio la vita dei miei cari.

Fu allora che ebbi l’idea di dare un’occhiata laggiù: ciò che vidi mi lasciò alquanto scioccato.

Goten e Trunks non c’erano più: le loro aure sembravano fuse, percepibili in un ragazzino spavaldo con un ridicolo gilet. Lo vidi sfidare un gigantesco guerriero rosa, che intuì essere Majin Bu.

“Forza ragazzi, è vostro!” pensai, mentre la fusione dei due ragazzi si lanciava contro Majin Bu.
Rimasi di sasso quando quel ridicolo ammasso informe rosa umiliò quel ragazzino: la forza di Majin Bu era evidentemente fuori dal comune.

Rimasi scioccato a quella vista: cosa avrebbe fermato, ora, quel mostro.

Mi parve di ritornare indietro nel tempo: costretto ad addestrarmi ad oltranza, mentre intorno a me la gente moriva, senza poter fare niente per evitarlo.

Ora, però, le ombre da affrontare erano quelle celate nel mio animo: un mostro da contenere e da dominare, e che avrebbe distrutto ogni cosa davanti a sé, se non fossi stato in grado di dominarlo.

Anche quella stessa stanza, in quel momento, mi sembrò nuovamente la Stanza delle Mille Ombre: potei rivedere l’oscurità, potei nuovamente percepire il vuoto intorno a me…

Potei nuovamente sentire quei sibili…

La cosa mi fece sussultare: come potevano essermi tornati certi pensieri?

Le analogie si sprecavano: ma questa volta ero consapevole del perché fossi stato escluso. Ma non poter dare una mano ai miei amici mi faceva sentire veramente male, debole come al torneo mondiale anni fa, quando ero ancora un bambino...

Chissà se si erano chiesti dove fossi. O se, magari, stessero ancora sperando in un mio improvviso intervento.

Sentii, quindi un forte peso sul cuore, pensando a tutti i miei amici laggiù, ancora inermi di fronte a questa catastrofe.

Decisi di riprendere il mio allenamento, cercando di non pensarci più.

Iniziai ad eseguire qualche kata, poi proseguii con flessioni e addominali. Iniziai poi a correre lungo il perimetro della gigantesca stanza.

Il mio fisico non risentii affatto della stanchezza. Sulla Terra era ormai quasi notte , ma non c’era tempo per dormire: ora la mia concentrazione doveva essere tutta sull'allenamento.

Dopo qualche ora, ricominciai la stessa serie come l’avevo cominciata: finché non ebbi un brivido lungo la schiena.

Qualcosa stava succedendo laggiù: qualcosa di tremendo.

Cercai subito le aure dei miei amici: le trovai quasi tutte al palazzo del Supremo. Mi accorsi che erano passate diverse ore dall'ultima volta che avevo guardato laggiù: eravamo già nel pieno di un nuovo giorno.

Majin Bu era lì: ma c'era qualcosa di diverso in lui. Qualcosa di molto diverso.

Non era più il grasso buffone che avevo visto umiliare la fusione di Goten e Trunks: era alto, magro e la sua espressione era come un misto di arroganza e crudeltà. Sembrava quasi a vantarsi della su superiorità.

Guardai il gruppo: erano solamente i più “deboli” della banda. Mi dispiacque pensarlo, ma a confronto con quel mostro c’era poco da fare perfino per Crilin e C-18, in quel momento gli unici combattenti di livello lì presenti.

Fare affidamento sul maestro Muten sarebbe stato un suicidio, nonostante fosse ancora un ottimo insegnante.

Li osservava, minaccioso, e io sperai fino all'ultimo che li risparmiasse miracolosamente, e che nessuno facesse cazzate di alcun tipo: ma mi disperai quando vidi Crilin lanciarsi contro di lui, venendo praticamente ignorato dal mostro, che mosse la sua antenna verso di lui, lanciando un raggio che… lo trasformò in una barretta di cioccolata.

Cioccolata.

Majin Bu se lo mangiò, e fui ancora più terrorizzato quando vidi tutti gli altri venire trasformati in dolci e caramelle di ogni tipo.

L’ultima, fu Pamela.

La trasformò in un lecca lecca.

La mia Pamela.

Un lecca lecca che si mangiò: l’aveva uccisa.

“Mostro…”

Non sarebbe più potuta tornare in vita.

“Schifoso pezzo di merda…”

In me sentii crescere una rabbia che non sentivo da anni: una rabbia profonda, una furia devastante che mi avrebbe spinto a spianare qualunque cosa si fosse frapposta ad essa.

“Bastardo…”

«MORIRAIIIIIIII!» gridai a pieni polmoni, quasi completando il mio ultimo pensiero.

In quel momento sentivo la mia potenza crescere a dismisura.

La mia aura uscii in un bagliore fortissimo, e la terra intorno a me cominciò a tremare con forza, mentre continuavo a gridare.

Lo vidi gustarsi il suo “pasto” con gusto: quel pasto che consisteva in quelli che, fino a quel momento, erano stati i miei amici.

E la donna che amavo.

Donna, che lui mi aveva tolto, per sempre.

La deve pagare.

Avrebbe pagato per tutte le vite che si era preso.

Lo farai soffrire.

Gli avrei fatto provare un nuovo significato della parola “dolore”.

Morirà.

Lo avrei torturato, fino a ridurlo moribondo tra le mie mani, e avrei continuato a torturarlo, levandogli da quella faccia di cazzo che si ritrovava quel sorrisetto beffardo.

«MORIR- UGH!»

In quel momento sentii un forte dolore al collo, e poi fu solamente il vuoto.

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«Oh, ragazzo mio, cosa mi hai costretto a fare…» disse mestamente il Gran Maestro Re Kaioh, mentre osservava il corpo ormai esanime di Daniel Ryder.

«Grazie dell’aiuto, Paikuhan. Sapevo avresti compreso.»

«Si, maestro. Questo ragazzo ha veramente una forza colossale… ha detto che è un amico di Goku, giusto?» chiese il verde guerriero, che aveva messo fuori combattimento Daniel colpendolo di sorpresa.

«Si… ma quella forza a cui ha assistito non è proprio la sua… ciò che ti chiedo è comunque di non farne parola con nessuno, chiaro?»

«Si, maestro.»

A quel punto, Paikuhan, sollevò il corpo esanime del giovane hatwa, e lo portò nella sua stanzetta, posandolo sul letto.

A quel punto, seguì il Gran Maestro fuori da quella gigantesca stanza.

«Crede che quel Gotenks sarà in grado di sconfiggere quel Majin Bu?» domandò poi al barbuto guardiano.

«Non lo so… abbiamo anche la carta Gohan da giocarci, ma se dovessero fallire, ancora, allora l’intero universo sarebbe in pericolo, ragazzo mio…» gli rispose il Gran Maestro, con fare malinconico.

«Uno scenario esaltante, direi.» disse Paikuhan, mentre entrambi ritornavano nel grande piazzale, dove tramite un piccolo televisore, stavano seguendo il susseguirsi degli eventi sulla Terra.

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CI HAI PROVATO, RAGAZZO…

“No…”

MA NON MI ELIMINERAI MAI…

“Vai via…”

IO SARÒ SEMPRE QUA…

«NOOOOOOOOO!»

Mi svegliai di soprassalto: il gridò mi si smorzò immediatamente in gola.

Mi guardai intorno: ero nella stanzetta adibita a camera mia, disteso sul mio letto. Sentivo il collo leggermente indolenzito, mi faceva un po’ male…

Poi ricordai: fu un colpo secco, che mi stese.

Ma cosa stavo facendo prima che succedesse tutto ciò? Perché mi ero improvvisamente risvegliato lì?

Iniziai a ricordare che mi ero allenato per diverse ore, per poi dare nuovamente uno sguardo sulla Terra…

Ed ecco che realizzai: Majin Bu.

Quel mostro si era mangiato i miei amici, trasformandoli in caramelle.

Quel mostro si era mangiato la mia Pamela.

Quel mostro aveva UCCISO la mia Pamela: e sapevo benissimo cosa significava questa cosa.

Ed ecco che, con la rabbia, tornarono anche i ricordi: ero divenuto una furia, e probabilmente ero stato interrotto dal Gran Maestro prima di perdere completamente il controllo.

Poi, improvvisamente, potei sentire la sua aura: Majin Bu era qui, sul pianeta del Gran Maestro Re Kaioh. Probabilmente era già arrivato da qualche minuto.

Ma, ancora una volta, la sua aura sembrava differente: ora sembrava veramente malvagità allo stato puro, un mostro irrazionale e distruttivo.

Sentivo che, stranamente, c’erano anche Yamcha e Crilin sul pianeta.

A quel punto, non ci vidi più: non c’era più ragione a rimanere chiuso qui dentro.

Mi avviai rapidamente verso la porta della stanzetta, per entrare in quella gigantesca adibita al mio allenamento: dalla Terra non si percepiva più nulla, ma non ci feci caso più di tanto. Volevo solo andare ad uccidere quel bastardo.

Ma la porta dello stanzone era chiusa, sigillata: provai a forzarla in ogni modo, anche con una Kamehameha, ma non ci riuscii.

Sentii poi l’aura di Majin Bu sparire nuovamente: era scappato? Non lo so, in ogni caso, ora mi sentivo più inutile che mai.

Caddi per terra, appoggiandomi sui palmi delle mani: chiuso, in quella stanza, con un demonio inarrestabile al di fuori di essa, e i miei amici a combatterlo senza che potessi fare nulla.

Pensai a tutti gli altri, morti a causa di quel mostro: la furia si trasformò quindi in disperazione, ed iniziai a piangere.

Piansi con foga, svuotando completamente i miei condotti lacrimali, il diaframma che si dilatava irregolarmente per gli spasmi che questo sfogo mi causava.

Davanti a me, vidi i volti di tutti i miei amici, nei momenti felici, quelli che, in quel momento, avevo deluso ancora una volta.

Finché non mi resi conto di una cosa, che avevo già realizzato qualche giorno fa: NON era colpa mia.

Erano stati altri a costringermi all’isolamento.

Non era una mia scelta.

Una mia scelta era quella di uscire e andare a rompere il culo a Majin Bu.

Uscire a vendicare i miei amici.

A quel punto mi alzai, mentre potei sentire che, per assurdo, la Terra sembrava essere ricomparsa improvvisamente: ma in quel momento avevo solo una cosa in mente.

La furia mi pervadeva completamente: aumentai la mia aura più che potei, con il solo pensiero di uscire da lì, e rimettermi in gioco.

A quel punto, una volta che riuscii a caricarmi a sufficienza da far tremare nuovamente la terra, caricai un pugno che fece volare via il gigantesco portone blindato.

Uscii di corsa, dirigendomi verso il punto dove potevo percepire il maggior numero di aure, e mi ritrovai in un grande cortile, dove parecchi guerrieri erano radunati vicino ad una specie di veranda, e guardavano nella mia direzione.

Ma non mi importava di loro: fortunatamente, la persona che cercavo mi venne incontro, quasi esagitata.

«Ragazzo, cosa stai facendo qui?» si affrettò a chiedermi il Gran Maestro Re Kaioh.

«Dov’è Majin Bu?» chiesi, deciso.

«Ragazzo, non ha importanza ades-»

«DOV’È MAJIN BU?» chiesi, gridando con tutta la mia foga. In quell’istante mi accorsi che mi ero trasformato: tornai normale, calmandomi un po’, mentre il Gran Maestro mi fissava, con la sua solita calma.

«Calmati, ora… in questo momento Goku e Vegeta lo stanno affrontando sul pianeta dei Kaioshin: Goku sta preparando una grande sfera Genkidama che possa definitivamente annientarlo… »

«Gran Maestro, venga a vedere! Neanche il ciccione ce l’ha fatta!»

A quel punto corse nuovamente verso quella veranda, sotto la quale, oltre ai numerosi guerrieri, c’erano altre quattro figure che, dal simbolo che portavano sulle tuniche, dedussi essere i quattro Re Kaioh.

Gli occhi di tutti erano rivolti ad un piccolo televisore, dove potevano vedere cosa stesse succedendo laggiù.

«La Genkidama è pronta?» chiese il Gran Maestro.

«No signore, ora quando avrà finito con quello… sarà libero di attaccare Goku.» gli rispose, mestamente, uno dei quattro Re Kaioh, tarchiatello e dalla pelle azzurra.

Guardai con errore l’ennesima nuova forma di quel mostro, piccola e maligna, brutalizzare la sua versione grassa, che, strano ma vero, pareva stesse lottando al nostro fianco.

A quel punto, la furia dentro di me fu sul punto di scatenarsi.

«Gran Maestro…»

Si voltarono tutti a guardarmi, qualcuno bisbigliò qualcosa che non potei sentire, ma i miei occhi erano fissi sulle sue lenti scure.

«Mi mandi laggiù.»

«Ragazzo, non posso correre questo rischio, non sei ancora in grado di controllare tutto il tuo potere…»

Lo fissai, cercando di fargli intendere che non c’era ragione.

«Figliolo, mi disp-»

«MI MANDI LAGGIÙ! Preferisce davvero avere la garanzia della vittoria di Majin Bu? Sul serio? Io sono stato troppe volte trattenuto, mentre i miei amici combattevano e morivano di fronte alle più svariate minacce! NON POSSO TOLLERARLO!» gridai, a pieni polmoni.

Tra i presenti cadde il silenzio.

«Ora mi mandi laggiù.»

Il Gran Maestro continuò a fissarmi, attraverso i suoi occhiali scuri, senza lasciar trasparire alcun tipo di emozione.

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Majin Bu diede l’ultimo, decisivo calcione alla sua grassa controparte, che andò definitivamente k.o.

«K-Kakaroth… dimmi che sei pronto…» chiese un ormai esausto Vegeta.

«Purtroppo no, non è ancora sufficientemente potente!» gli rispose Goku, piuttosto nervosamente.

Majin Bu si voltò, fissando il saiyan con il suo classico sorrisetto beffardo, mentre allungava il braccio verso di lui.

Goku capì immediatamente le sue intenzioni, quando vide caricarsi un Ki Blast nel piccolo palmo rosa.

Majin Bu continuò a sorridere, beffardo, mentre il piccolo globo di aura rosa diventava sempre più grande.

Ma non fece in tempo a voltarsi che un improvviso calcio lo fece volare contro una parete rocciosa.

«Cazzo, spero non mi sia rimasta attaccata alla scarpa!»

Mr. Satan, Vegeta e Goku si voltarono verso la direzione della voce, così come fece Majin Bu, rialzandosi con un versaccio arrabbiato.

«Daniel!» gridò Goku, identificando, finalmente, il nuovo arrivato, nella sua nuova divisa nera.

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Guardai quel mostriciattolo: faticavo a credere che fosse così potente. Lui mi guardava a sua volta, non capì se sospettoso o arrabbiato: aveva le labbra arricciate in un’espressione che, comunque, non aveva nulla di rassicurante.

«Che cosa diavolo ci fai qui?!» potei sentirmi urlare da Vegeta, dall’alto di una sporgenza, verso la quale mi voltai.

«Vi serviva un diversivo, ed eccolo qua. In più…»

Mi voltai nuovamente verso Majin Bu.

«Ho una voglia matta di rompere il culo a questo bastardo.»

«Come puoi pensare di tenergli testa?! Io e Kakaroth siamo diventati molto più potenti di te, e abbiamo faticato comunque!» mi urlò nuovamente il principe dei saiyan.

Non appena ebbe finito, il piccolo mostro rosa assunse un’espressione beffarda: non parlava, a quanto pare, ma capiva perfettamente.

«So che hai capito…» gli dissi, facendolo immediatamente ritornare serio.

«Come so che ricordi cosa hai fatto sulla Terra…» proseguii, mentre si faceva di nuovo beffardo, questa volta dimostrando che sapevo di cosa stessi parlando.

«Hai mangiato anche la mia ragazza… non tornerà più in vita…»

A quel punto, piegò per un attimo il collo, sorridendo, e si massaggiò la pancia:  la mia furia si fece quasi incontrollabile, mentre mi concentravo sull’aura del MIO demone.

«E per questo… PAGHERAI!» gridai, trasformandomi a piena potenza, i muscoli che si ingrossarono improvvisamente.

A quel punto mi guardò stupefatto. Io non volevo più aspettare.

«Allora, chewing-gum…» dissi, assumendo una posa d’attacco «balliamo?»

Mi caricò a piena forza: mi sorprese la sua velocità, ma riuscii a scansarlo e colpirlo con una gomitata sul suo collo, facendolo ruzzolare sul terreno roccioso.

A quel punto mi colpì con un calcio al mento, allungando improvvisamente la sua gamba. Mi ripresi in fretta per pararne un altro, mentre si rimetteva in piedi per colpirmi nuovamente.

Parai anche il suo pugno, e con un calcio lo spedii lontano, per essergli poi nuovamente addosso, cercando di colpirlo con un calcio rotante alla testa.

Mi sorprese la facilità con cui lo parò: era veramente fortissimo.

Ma la sua espressione mi faceva intuire che lo stavo mettendo in difficoltà.

A quel punto ci fu uno scambio di colpi, che danneggiò entrambi. La sua elasticità lo rendeva molto difficile da colpire, cambiava più volte forma di quanti erano i colpi che avrebbe dovuto schivare: dovevo essere più rapido di lui.

Proprio in quel momento, lasciò per un attimo lo stomaco scoperto: non ci pensai due volte e lo colpii, più forte e veloce che potessi. E fui più che soddisfatto nel vederlo piegarsi in avanti dal dolore.

Ed eccolo, finalmente, alla mia mercé: ora potevo finalmente trattarlo come meritava.

Lo colpii con un potente calcio al mento, trattenendolo per la testa, facendogli letteralmente rientrare la faccia nella testa, dopo di che iniziai a tempestarlo di calci e di pugni: sul torso, sulle braccia sui fianchi, finché non lo cacciai lontano con un calcio allo stomaco.

Allora mi alzai in volo, tenendolo d’occhio mentre si rialzava.

«Quindi ti piacciono le caramelle, eh?» gli gridai.

Mi guardò con occhi truci.

«Allora assaggia queste!» dissi, caricando due sfere di Ki in entrambe le mani: potei sentire che erano molto più potenti di tutte le altre che avevo mai provato a formare.

Fui soddisfatto: era molto più facile che morisse. Come speravo.

«DILUVIO ESPLOSIVO!»

A quel punto, la pioggia di sfere di Ki si lanciò verso il mostro, per poi dividersi nuovamente, non dandogli scampo.

Potei vedere la sua faccia sorpresa prima che cominciasse una lunga serie di gigantesche esplosioni, che sollevarono un’immensa nuvola di polvere.

Quando si fu diradata, però, la mia furia ebbe altro motivo per crescere.

Lui era ancora lì, in piedi. I pantaloni bianchi strappati, qualche bruciatura sul corpo rosa che sparì quasi subito: a non sparire fu, invece, la sua espressione decisamente arrabbiata.

In quel momento fummo in due ad essere infuriati.

«GYAAAAAHHH!» gridò selvaggiamente, prima di lanciarsi su di me a tutta velocità.

Non ebbi scampo dalla sua furia: iniziò a martoriarmi di pugni, senza che potessi fare nulla.

Ad ogni colpo sentivo i muscoli contrarsi dal dolore. Mi colpì con forza allo stomaco, ed ecco che il sapore del sangue si rifece vivo dopo anni nella mia bocca.

Non mi lasciò neanche il tempo di sputare: mi diede due decisi calcioni, e con un colpo a mani unite mi scaraventò su una parete rocciosa, facendomi formare un bel cratere.

Mentre cadevo, potei vedere un ki blast rosa che si avvicinava sempre di più, e che mi colpii poco dopo l’impatto.

Rimasi stordito per qualche secondo: ma la mancanza di nuovi attacchi mi fece capire che credeva di avermi messo al tappeto.

Oh, come si sbagliava.

Per quanto mi avesse fatto provare un dolore incredibile, questa mia nuova potenza mi aveva immediatamente rimesso in piedi. Potei vederlo, ancora a mezz’aria, nella nuvola di polvere, rivolto verso il punto dove si trovava Goku.

Non gli lasciai spazio di reazione: potei notare con la coda dell’occhio la sua espressione sorpresa mentre lo colpivo con una testata in pieno mento.

Si rimise immediatamente in equilibrio, ma non poté ancora reagire: lo colpii rapidamente con un altro potente pugno, e poi, a suo stesso modo, lo lanciai a terra con un colpo a mani unite.

Con una capriola, Majin Bu fu nuovamente in piedi, e io gli fui immediatamente addosso, con la rabbia che aumentava sempre di più la mia forza, continuando ad attingere dall’aura del demone dentro me.

Sentivo di aver quasi raggiunto il limite, ma non mi importava: in quel momento volevo solamente massacrarlo.

Iniziò un nuovo scambio di calci e pugni, l’energia che scaturiva da ogni colpo aveva creato una nuvola di detriti attorno a noi.

Gli parai tutti i colpi, avvertendo tutta la sua potenza in ogni calcio: cosa che ricambiai, vedendomi comunque i colpi parati nella stessa maniera.

Finché non gli parai un calcio: allora ci fu come una sorta di scoppio, e si generò una piccola onda d’urto che ci separò.

In quel momento sentii un dolore atroce al polso, come se fosse stato messo sotto una pressa: fortunatamente non c’era nulla di rotto. Ma qualcosa mancava.

Mi si sgranarono gli occhi, sentendolo nudo: guardai verso il punto dove ci eravamo separati, cosa che, stranamente, stava facendo anche lui.

Ma non me ne curai: mi piegai immediatamente a raccogliere i frammenti del mio braccialetto, andato in frantumi all'impatto con il calcio di Bu.

Il braccialetto che mi aveva regalato papà.

Il braccialetto di famiglia.

Lo ha distrutto.

La nostra eredità.

Deve pagare.

Aveva ucciso la mia ragazza. Ora questo.

MASSACRALO.

L’unico ricordo che mi restava della mia famiglia.

UCCIDILO.

«Tu pagherai per questo…» sussurrai, alzando lo sguardo verso Majin Bu, mentre una lacrima mi scese sulla guancia.

DISTRUGGILO.

«Tu… PAGHERAIIIIIIIII!» gridai a pieni polmoni, sentendo la mia aura crescere esponenzialmente, finché non ebbi come un blocco.

BRAVO, RAGAZZO.

“No..”

ORA VEDRAI DI COSA SONO VERAMENTE CAPACE!

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«DANIEL! Cosa diavolo ti sta succedendo?» gridò Vegeta, non appena vide l’improvviso blocco che ebbe l’hatwa.

Mr. Satan, vicino al Majin Bu suo amico, si sporse anch’egli a guardare.

Anche Majin Bu, quello malvagio, osservava con curiosità: Daniel Ryder era come piegato su se stesso, pareva tremasse.

A quel punto, il cielo si fece improvvisamente scuro, su tutti i pianeti dell’universo, e ovunque iniziò una pioggia di fulmini.

Piccolo, sulla Terra, ebbe un fremito.

Al palazzo del Supremo, dove si era ritrovata anche una sorpresa Pamela, i guerrieri e le loro famiglie mantennero le braccia al cielo, come aveva richiesto Goku, ma si misero al riparo dai sempre più frequenti fulmini.

Sul pianeta del Gran Maestro Re Kaioh, fu proprio egli a sentenziare, davanti a tutti: «L’universo intero sta fremendo…»

Sul pianeta dei Kaioshin, Daniel Ryder era ancora piegato su sé stesso, in preda a tremori sempre più forti, mugugnando frequentemente. Mentre gli altri spettatori osservavano, Majin Bu si stufò, e fece per caricare un ki blast proprio sulla testa dell’hatwa.

Ma fu allora che, dopo un grande spostamento d’aria verso Daniel, che il ragazzo balzò in piedi, urlando come un pazzo, mentre dal suo corpo si sprigionò un bagliore immenso e una gigantesca onda d’urto, che coprì tutto il pianeta dei Kaioshin.

Vegeta e Mr Satan si ripararono dietro le rocce, mentre Majin Bu la prese in pieno, rimanendo in piedi, coprendosi poi gli occhi a causa delle continue ondate di energia che si sprigionavano dal ragazzo, che oltre che potenti erano anche accecanti.

Un gigantesco terremoto colpì in quell’istante tutto l’universo. Piccolo si fermò per un istante, spalancando gli occhi per il terrore: aveva percepito la forza di Daniel arrivare sul pianeta dei Kaioshin, eppure ora stava mutando in qualcosa di spaventoso.

«Piccolo, che sta succedendo?» gli chiese Gohan, preoccupato.

Il namecciano non gli rispose, paralizzato da quella percezione.

Daniel Ryder, intanto, continuava a gridare, muovendosi spasmodicamente sul posto, muovendo le braccia, a volte tenendosi la testa a volte stringendosi il petto.

Goku faticava a mantenere il controllo della gigantesca sfera che, comunque, in quel momento, aveva cessato di ricevere energia dal pianeta Terra.

«Vegeta! Riesci a vedere che sta succedendo?» gli gridò.

Vegeta non rispose: non poteva vedere di preciso cosa stesse accadendo in quel turbinio di energia, ma di sicuro capiva che quelle grida non erano per caricarsi: erano grida di dolore.

Poi, la forma dell’hatwa sembrò mutare, finché poi non fu chiaro che stesse crescendo.

La sua sagoma divenne gigantesca, le sue spalle si allargarono; la sua testa, parve allungarsi.

Poi, quando fu visibile una lunga coda sinuosa, fu chiaro al principe dei saiyan che stesse avvenendo una qualche trasformazione: quando poi, provò a percepirne l’aura, i suoi occhi sgranarono, di fronte alla potenza che si stava per manifestare.

Ed ecco, il terremoto si fermò, e il cielo ritorno calmo.

Ma in quel momento c’era poco da star tranquilli.

Al posto di Daniel Ryder, ora, in mezzo ad un cratere, stava un mostro: una gigantesca lucertola umanoide, dalle enormi mani e braccia. La sua schiena, i suoi avambracci, e parte della sua coda erano ricoperti di spuntoni ossei. Sopra due grosse spalle corazzate, la testa di un serpente, la bocca semi aperta, mostrando una lunga fila di denti aguzzi.

Si lasciò cadere a terra, sbattendo gli enormi pugni sul terreno, causando un piccolo terremoto.

Majin Bu osservò il suo nuovo nemico, quasi inorridito. Emise un piccolo verso gutturale, mentre faceva qualche passo indietro.

In quel momento il mostrò aprì gli occhi: privi di pupille, di un rosso brillante.

Vegeta ebbe un fremito: era la seconda volta che si sentiva effettivamente terrorizzato nella sua vita. La potenza che si percepiva da quell’essere era incomparabile a qualunque cosa avesse mai incontrato in tutta la sua vita. Si scambiò con Goku uno sguardo preoccupato.

Il mostro si alzò in piedi, sulle sue muscolose gambe, che terminavano in un piede, formato da tre sole dita artigliate. Sotto di lui, i brandelli di una tuta nera.

La sua pelle di un blu scurissimo faceva risaltare i suoi penetranti occhi rossi, con cui adesso fissava un Majin Bu piuttosto scioccato, che smise di arretrare per qualche istante.

La creatura lo guardò per qualche secondo. Poi, allargò le gambe e si piegò improvvisamente in avanti, lanciando un ruggito che fece raggelare il sangue ai presenti, come a chi stava osservando la scena.

Come il Gran Maestro Re Kaioh, i cui timori si erano realizzati, dimostrandosi addirittura peggiori che nelle sue precedenti previsioni.

«D-Doomshiku…» sussurrò.


NOTE DELL’AUTORE
BOOM! Here we go! In quanti avete azzeccato chi fosse il demone dentro Daniel? Comunque, ora i problem sono due, e che problemi!

Questo capitol è stato personalemente quello che non vedevo l’ora di scrivere dal primo momento in cui ho ideato questa storia: la metamorfosi è una svolta fondamentale, spero che il capitolo vi sia piaciuto come è piaciuto a me scriverlo.

Ogni recennsione, di ogni tipo, è gradita!

Dragon Ball è proprietà di Akira Toriyama.

Alla prossima!

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Capitolo 30
*** Sacrificio ***


CAPITOLO TRENTESIMO- SACRIFICIO

Dopo il potente ruggito, i due mostri tornarono a fronteggiarsi, in silenzio.

Studiandosi.

Goku, che ancora reggeva la potente sfera Genkidama, osservava la scena con una certa paura.

«Re Kaioh, che cos’è quello? I-In cosa si è trasformato Daniel?» domandò poi il saiyan al suo mentore.

«N-Non lo so figliolo, ma sembra essere ancora più potente di Majin Bu…» disse, esitante, Re Kaioh, che poi si rivolse verso al suo superiore «Signore, voi forse sapete qualcosa in più?»

Il Gran Maestro re Kaioh rimase immobile sulla sua poltrona, rigido.

«Signore, va tutto bene?» gli domandò il Re Kaioh del Sud, preoccupato.

Fu allora che il Gran Maestro alzò lo sguardo, e parlò: «Ascoltami bene, figliolo.»

«Gran Maestro Re Kaioh! È lei, signore?» chiese Goku, sorpreso da questa nuova voce nella sua mente, come lo furono sia Vegeta che lo stesso mr. Satan.

«Ascoltatemi bene tutti. Quello con cui avete a che fare ora,» proseguì «è una forza con la quale non potete confrontarvi in questo momento. Dovete solo sperare che rimanga impegnato abbastanza perché la sfera Genkidama si completi. Altrimenti, non ci sarà più niente da fare per niente e nessuno.»

Vegeta si girò immediatamente verso mr. Satan, guardandolo con tono severo.

«Sai cosa devi fare, quindi fallo!» sbraitò il principe dei saiyan.

«Uh, si, certo!» rispose il campione del mondo.

Re Kaioh lo mise immediatamente in contatto con la Terra, e mr. Satan annunciò: «Gente della Terra, ci serve ancora che prestiate la vostra energia! Una nuova grande minaccia si è palesata, e senza il vostro aiuto non posso essere in grado di eliminarla! Alzate tutti le braccia verso il cielo e concentratevi!» urlò, ottenendo l’immediata reazione della popolazione.

«Una nuova minaccia?! Di che starà parlando?» chiese, stupefatto, Crilin.

Gli altri del gruppo avevano il suo stesso dubbio: a cosa si stava riferendo mr. Satan?

«Ancora mi sto chiedendo come faccio ad essere ritornata in vita, e sono già nuovamente in pericolo? Nossignore!» sbraitò Pamela, alzando entrambe le braccia per aumentare il flusso di energia, imitata anche dagli altri.

«Sono convinto che quegli strani eventi di prima c’entrino qualcosa…» disse Yamcha, inconsapevole come gli altri di cosa stesse realmente accadendo lassù.

Majin Bu fissava la creatura ringhiando, consapevole della forza del suo nuovo avversario, che ora gli “sorrideva” in modo beffardo, e la cosa lo fece parecchio irritare.

Majin Bu si caricò, facendo uscire parecchio fumo dalle piccole cavità che aveva sulla testa, e caricò il mostro a tutta velocità.

Caricò il calcio più potente che potesse dare, pronto a colpirlo sul muso.

Ma trovò il suo colpo interrotto dalla mano della creatura, alzatasi improvvisamente, senza alcuno sforzo apparente da parte del suo proprietario.

Bu rimase sospeso a mezz’aria per un istante, prima di provare a sferrare un pugno, fermato anch’esso dalla stessa mano.

La creatura continuò a guardarlo con i suoi penetranti occhi rossi, mentre l’espressione del demone rosa si faceva sempre più terrorizzata.

Provò nuovamente a colpire il mostro, vedendosi ogni colpo facilmente parato dalla bestia.

Almeno, finché una parata non si trasformo in presa: Majin Bu si vide afferrato per il polso, e fu colpito da un potentissimo pugno sul petto, che lo scaraventò lontano.

Il mostro però, gli si proiettò immediatamente sopra, afferrandolo per la testa e scaraventandolo al suolo, facendogli poi sbattere ripetutamente il cranio per terra.

Majin Bu restrinse la forma della propria testa ed uscii dalla presa, provando ad allontanarla con un calcio alla pancia: la creatura barcollò all’indietro, ma parò facilmente l’ennesimo tentativo di attacco del demone rosa.

Majin Bu provo ad allungare la sua antenna per farlo inciampare, ma la creatura la afferrò, e senza poter reagire Majin Bu si vide sbattuto più e più volte a terra, rimanendo alla completa mercé del mostro.

Almeno finché non allungò ulteriormente la sua appendice, rimanendo ancorato al terreno: la legò, poi, attorno al polso del mostro, e tirò, facendolo inciampare in avanti.

Ma il gigantesco rettile fu più rapido, e, poggiandosi sull’altra mano, effettuò una rotazione che gli permise di colpire Bu con la coda, scaraventandolo lontano.

«I-Incredibile…» disse uno stupefatto Vegeta, che stava osservando la scena, prima di voltarsi verso Goku «Kakaroth! Quanto ci vuole ancora?»

«Ancora qualche istante, Vegeta!»   

Vegeta digrignò i denti, irritato, mentre volgeva nuovamente lo sguardo verso lo scontro.

Majin Bu era andato a schiantarsi contro una grossa formazione rocciosa, attraversandola completamente, riducendola così in mille pezzi. Si rimise in piedi, per vedere il mostro avventarsi su di lui, passando attraverso i detriti come fossero stati pioggia, emettendo un ruggito raggelante.

Majin Bu si vide colpito più e più volte su tutto il corpo, sollevato per la testa, colpito ancora, e nel momento in cui sarebbe dovuto volare via, afferrato nuovamente e colpito allo stesso modo: il mostro lo stava letteralmente brutalizzando.

La lucertola proseguì in questa sua tortura, finché non decise di sbattere ancora, per l’ennesima volta, la testa di Majin Bu a terra. Poi, con un salto, lo schiacciò con entrambi i piedi. Aumentò la pressione delle sue zampe su quel corpicino così piccolo in confronto a lui, finché, con un salto, non andò a posarsi qualche metro indietro.

Majin Bu era stremato, faceva fatica a sollevare la testa: nonostante la sua grande elasticità, non era riuscito a sfuggire alle torture di quel mostro. Era come rallentato, e per la prima volta provava vero dolore sul suo corpo.

Il mostro ruggì nuovamente, in segno di sfida.

Il demone rosa, allora, intuì che non aveva altre opzioni, se non quella che, in quel momento, gli venne in mente: se poi ci fosse riuscito, sarebbe diventato inarrestabile.

Lasciò che una piccola parte di sé si staccasse dal suo corpo, ed essa iniziò a strisciare verso la bestia, che continuava a ringhiare, osservando il suo avversario.

Finché non venne avvolto da una melmaglia rosa, che lo ricoprì interamente: sembrò comunque non ribellarsi, e lasciò che il liquido rosa lo ricoprisse completamente.

«S-Sta provando ad assorbirlo!» gridò Goku.

Mr. Satan osservava paralizzato dal terrore, mentre Bee, tra le sue braccia, iniziò ad abbaiare.

Majin Bu si rialzò, ancora piuttosto dolorante, ma con in volto un sorriso orgoglioso, trionfante: aveva vinto, anche questa volta.

«G-Gran Maestro…» Re Kaioh si voltò verso il suo superiore, terrorizzato.

Il Gran Maestro rimase impassibile, mentre osservava la scena.

La creatura era ora avvolta completamente dalla fanghiglia rosa, senza mostrare reazione alcuna: Majin Bu iniziò a ridere convulsamente.

Vegeta era pietrificato: cosa avrebbe fermato quel mostriciattolo adesso?

Majin Bu continuò a ridere spasmodicamente, finché non si paralizzò, spalancando gli occhi, così come tutti quelli che stavano osservando la scena.

Il demone rosa strinse i denti, il suo corpo iniziò a fremere, come in preda a grande fatica, mentre la melma rosa assunse la forma di una solida sfera.

In quel momento, la sfera iniziò a dissolversi, facendo gridare Majin Bu dal dolore, mentre si ricominciava a vedere la schiena della creatura.

La sfera rosa continuò a dissolversi piano piano, mentre Majin Bu continuava a gridare, finché non rimase altro che una piccola pallina rosa nel palmo della creatura, che aveva allungato il braccio destro.

Strinse poi la mano, e tra le dita si intravide la luce di una potente esplosione di Ki, contenuta dalle dita stesse.

A quel punto, Majin Bu cadde in ginocchio, gridando: quel mostro aveva, letteralmente, distrutto una parte del suo corpo.

La creatura si avvicinò, camminando, verso la sua dolorante vittima.

Majin Bu alzò lo sguardo, per incontrare quei terrificanti occhi rosso rubino, che sovrastavano il suo sorriso inquietante, che mostrava tutti i suoi denti aguzzi.

La creatura allungò il piede come per colpirlo con un calcio: ma si fermò immediatamente sotto il mento del demone che la guardò, non capendo cosa stesse per fare.

In quel momento il sadico sorriso della bestia si fece più largo: diede un piccolo, ma forte calcio al mento di Majin Bu, sollevandolo da terra. A quel punto, cominciò a prenderlo a calci senza farlo volare via, ma senza nemmeno farlo cadere a terra.

«S-Sta… s-sta…» provò a balbettare mr. Satan.

«Sta PALLEGGIANDO con Majin Bu.» completò Vegeta, anch’egli orripilato.

La creatura continuò a “palleggiare” con Majin Bu, finché non lo alzò più in alto e, piegandosi all’indietro, lo colpì con un calcio che lo lanciò in aria, diversi metri dietro di lui.

La creatura fu però rapidissima nel raggiungerlo, afferrarlo per aria e, tenendolo per l’antenna, lo fece cadere violentemente al suolo.

Poi, con un nuovo calcio, lo spedì in aria.

In quel momento non erano più troppo lontani da Goku, che proprio in quel momento esclamò: «Ecco! È pronta!»

«Allora cosa stai aspettando, Kakaroth?!» gli urlò Vegeta.

«Vegeta… q-quello è Daniel!»

«Quello è un mostro, non Daniel! Fallo e basta!»

«No, Vegeta! Bisogna farlo rinsavire!»

«Sei impazzito, Kakaroth?! Quel coso sta trattando Majin Bu come sacco da boxe! Come credi di farlo rinsavire?!»

In quel momento, proprio Majin Bu ebbe un ultimo moto d’orgoglio: fermò il suo volo, rimanendo a mezz’aria, molto lontano da terra. Si voltò, poi, a guardare il mostro: ne aveva abbastanza.

«Gyah!» gridò, alzando il braccio, e nel suo palmo si generò una gigantesca sfera di energia.

«V-Vuole distruggere anche questo pianeta!» disse un sempre più spaventato mr. Satan.

Né Goku, né Vegeta poterono fare nulla: Majin Bu lanciò rapidamente la gigantesca sfera verso la creatura, che la fermo con entrambe le mani.

Majin Bu ricominciò a ridere ossessivamente, mentre la creatura arretrava sotto la potenza della sua sfera.

O almeno così pensava: la creatura iniziò a premere sulla sfera, generando piccole onde d’urto dovute al rilascio energetico.

Bu e gli altri spettatori continuarono ad osservare con stupore mentre la sfera si faceva sempre più piccola, finché non rimase che un piccolo, ma potentissimo, globo energetico tra i palmi del mostro.

A quel punto, la creatura strinse le mani, e ci fu una potentissima onda d’urto, che rischiò di far perdere l’equilibrio a Goku., che comunque rimase pietrificato da questa ennesima dimostrazione di potenza da parte di quel mostro.

Sul pianeta del Gran Maestro Re Kaioh, le reazioni non furono differenti: tuttavia, il padrone del pianeta continuava a rimanere impassibile. Finché non capii che una soluzione c’era.

«Ragazzi! Dovete fare leva sul ragazzo!» gridò, facendosi udire anche dai saiyan.

«Che cosa intende?» chiese Vegeta, piuttosto agitato.

«L’anima del ragazzo è ancora là dentro: solo facendo presa su di essa possiamo quantomeno sperare che possa rallentare. Ma dovete fare in modo che trovi la forza per ribellarsi a quella creatura!»

I due saiyan si guardarono, e capirono immediatamente cosa dovessero fare.

«Kakaroth, tu tieniti pronto: a far rinsavire quel pagliaccio ci penso io.» disse Vegeta, sporgendosi dalla formazione rocciosa, sulla valle dove Majin Bu, con nuovo vigore, aveva ripreso ad attaccare la bestia.

Vegeta sapeva, che se c’era una voce in grado di risvegliare la sua rabbia e il suo spirito combattivo, era la sua. Forse la sua stessa insolenza avrebbe potuto salvarlo.

«DANIEL! Razza di stupido, torna in te!» gridò.

Ma dalla creatura non arrivò alcuna reazione, anzi, continuava a divertirsi a torturare Majin Bu, che era ora infuriato: non si faceva più colpire come prima, ma non riusciva nemmeno a danneggiare la bestia.

«Non capisci che ci metti tutti in pericolo?!» gridò ancora Vegeta, non ottenendo ancora risultati.

Il Gran Maestro ora osservava fremente, sperando che Vegeta potesse avere successo: ma i risultati sembravano non arrivare.

Finché non lo colse un’illuminazione.

«Vegeta!» disse, facendosi udire dal principe dei saiyan «I vostri amici! Ricordagli della vostra gente! Digli che è tornata in vita!»

Il principe dei saiyan eseguì: «Daaaaaaniel! Sono tutti tornati in vita, idiota! Ritorna in te e non metterli nuovamente in pericolo!»

Per la gioia del Gran Maestro, la creatura sembrò avere un’esitazione, che lo espose ad un attacco di Majin Bu.

«Vegeta! La ragazza! LA RAGAZZA!» gli urlò.

Vegeta capì allora, come potesse essere arrivato così infuriato: ma anche Pamela era tornata in vita.

«DANIEL! Anche Pamela è tornata in vita, sta bene!» gridò, ancora.

La creatura parve avere un’esitazione più evidente.

«PAMELA È VIVAAAAAAAAAAA!»

ͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻ

Che stava succedendo?

NON TI IMPICCIARE ANCORA!

“Che succede?”

Guardai con occhi stranamente più alti il mondo intorno a me. Vidi Majin Bu caricare, improvvisamente: come un riflesso, gli parai facilmente il colpo.

Ma non capivo cosa stesse succedendo.

Guardai la mia mano: grande, squamosa ed artigliata, di un colore blu scuro che potei vedere su tutto il mio corpo.

TI PIACE , EH? QUESTA È LA NOSTRA VERA POTENZA! E NON TI PERMETTERÒ DI METTERTI IN MEZZO ANCORA UNA VOLTA!

“Ma cosa stai dicendo?”

Poi i ricordi fluirono improvvisamente nella mia testa: la trasformazione, Majin Bu, la tortura…

Intanto il piccolo essere attaccò ancora: questa volta feci modo di colpirlo più forte che potei, lanciandolo lontano.

GUARDA COME SIAMO POTENTI! COME PUOI NON ACCETTARE QUESTA POTENZA? NON ESISTE NULLA PIÙ POTENTE DI NOI!

“No… i miei amici… gli farai del male…”

«Pamela è viva, idiota! È RIUSCITA A TORNARE IN VITA! Ritorna in te stesso!»

Era la voce di Vegeta.

NO…

Mi ricordai, improvvisamente, le sue parole: i miei amici erano ritornati in vita.

NON CI PROVARE…

Pamela era tornata in vita. Era viva. Viva.

È TUTTO INUTILE!

“Questo… lo dici… TU!”

NOOOOOOOOOOOOOOO…

Dopo quel grido fui solamente io: ma sentivo che dentro me, stava già provando a prendere nuovamente il controllo.

Mi concentrai, con grande fatica, per tenerlo lì.

«Kakaroth! ORA!»

Sentii la voce di Vegeta: provai ad alzare lo sguardo, e vidi una gigantesca sfera di energia dirigersi verso me e Majin Bu, che nel frattempo mi fronteggiava, ringhiando.

Come un riflesso, sogghignai, anche se non so cosa uscì: sentivo che la mia testa era diversa. Ma feci comunque in tempo ad alzare il braccio e con il dito, fargli segno che doveva girarsi.

Lui si voltò, incuriosito: fu l’ultima cosa che fece.

La sfera Genkidama lo investì con forza, e dopo un’ultima, strenua resistenza, lo disintegrò.

Ora, però, si dirigeva verso di me.

«Daniel! Amico, so che sei lì dentro, spostati!» sentii Goku urlare.

Avrei dovuto davvero farlo? In quel momento tutti gli scenari possibili mi attraversarono il cervello, finché non ne arrivo uno, in particolare, al quale mi dovetti rassegnare.

Era l’unica soluzione.

“No Goku.” Mi accorsi che gli stavo parlando con la telepatia, che, da umano, non avevo mai imparato.

«MA MORIRAI!»

“Lo so.” Gli risposi. Era una scelta presa più che consapevolmente.

«Smettila di fare l’idiota! SPOSTATI! Hai gente che ti aspetta sulla Terra!» sbraitò Vegeta.

“Perché credi che io sia in grado di controllare questa bestia? È per voi che lo sto facendo!” gli risposi.

Sentii un peso al cuore nel dire quelle parole.

“Mi dispiace, ragazzi, ma non posso: questa volta, devo assumermi la responsabilità del mio errore. Non ho ancora molto tempo, quindi sarò breve: dite a tutti, che vi ho voluto bene come ad una seconda famiglia, a tutti quanti, e che sentirò la vostra mancanza. Io sarò sempre con voi: vado a riunirmi con la mia famiglia, quella vera. Quella che mi ha insegnato che, in certe situazioni, bisogna solamente accettare ciò che ha deciso il destino.”

La sfera Genkidama si avvicinava sempre di più, mentre dentro me sentivo quel mostro provare a riacquistare forza.

“H-Ho fatto il passo più lungo della gamba, e ora devo accettarne le conseguenze: questo è il mio sacrificio perché voi possiate far rendere al meglio la vostra esistenza, che è ancora lunga. Sarò sempre grato, a tutti voi, per avermi insegnato qualcosa in questa vita: so che lascio l’universo in buonissime mani.”

A quel punto, allargai le braccia, quasi ad accogliere la sfera Genkidama.

“Vi voglio bene, ragazzi.”

Ora la sfera era a pochi centimetri da me.

“Chiedete a Pamela, se gli andrebbe di sposarmi.”

In quel momento mi investii in un gigantesco bagliore bianco.

E poi fu il vuoto.


NOTE DELL’AUTORE
Non odiatemi, vi prego, se mi fermo qua. Mi sembrava il modo migliore per interrompere, anche perché vi garantisco che ci sarà molto altro da leggere, ma come ho scritto nelle note del capitolo numero 28, ora bisogna dare spazio a cose più importanti. Mi dispiace lasciarvi in questo modo ma tornerò il prima possibile!

Nel frattempo, ribadisco il “non odiatemi” per questo sacrificio: fidatevi se vi dico che la storia non morirà così. Mi auguro che continuerete a seguirmi e vi ricorderete di questa storia, anche se so che per il prossimo aggiornamento ci vorrà un bel po’.

Nel frattempo, se volete lasciare una recensione siete sempre ben accetti, che sia positiva, neutra o critica (ora me ne aspetto molte per questa mia scelta!)

Dragon Ball è proprietà di Akira Toriyama.

Non è un addio, è solo un arrivederci!

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Capitolo 31
*** Prezioso più di un gioiello ***


CAPITOLO TRENTUNESIMO- PREZIOSO PIÙ DI UN GIOIELLO

Sulla Terra, la gente iniziò a festeggiare, non appena la voce di mr. Satan annunciò la sconfitta di Majin Bu.

Al palazzo del Supremo,  dopo Piccolo, Gohan, Goten e Trunks si attendeva ormai solo il ritorno di Goku e di Vegeta, che avvenne qualche istante dopo, per la gioia e la felicità di tutti.

«GOKU!» gridò Chichi, fra le lacrime, abbracciando il marito.

«Sono felice tu stia bene… come sono felice stiate bene tutti quanti! Sono tornato… questa volta, per restare.» disse, volgendo alla moglie uno sguardo dolce.

Ora la vita poteva tornare alla normalità.

«Pamela, sono felice sia tornata in vita anche tu! Ma come è possibile?» domandò poi Goku.

«Me lo sto chiedendo anch’io…» gli rispose la rossa.

«Credo sia dipeso dal fatto che sei stata mangiata da Majin Bu, quindi il tuo spirito non ha potuto fondersi con il flusso di energia del pianeta, di conseguenza sei dovuta andare nell’aldilà.» disse Piccolo, sorprendendo tutti «Goku, io però ho un’altra domanda.»

Goku si fece improvvisamente serio, e Vegeta ebbe un sussulto, voltandosi verso il namecciano.

«Cosa è successo lassù?» chiese, freddo, il namecciano.

Dende, rimasto in disparte, chinò improvvisamente la testa, coprendosi per un istante il volto con la mano.

Goku sospirò: «È arrivato Daniel.»

«Sul serio? E ora dov’è?» chiese improvvisamente Pamela, ansiosa. Ma la sua domanda non trovò risposta.

«Fin lì c’ero anch’io,» disse Piccolo «io mi riferisco a ciò che è successo dopo.»

A quel punto intervenne Vegeta: «È comparso improvvisamente, tenendo occupato Majin Bu mentre Kakaroth preparava la sfera Genkidama. E gli ha tenuto testa per un po’: ha acquisito una forza sensazionale, anche se credo fosse più merito della furia che provava in quel momento. Ma non è questo il punto: dopo uno scambio di colpi, c’è stato come uno scoppio. Quando l’ho visto, raccoglieva dei frammenti di qualcosa, minacciando Majin Bu…»

«Il braccialetto! Majin Bu deve avergli rotto il braccialetto!» disse Pamela.

«Intendi quel piccolo bracciale d’argento? Come ha fatto a causare lo scoppio di cui ha raccontato Vegeta?»

«Era un braccialetto di Hamon, fabbricato dagli hatwa… ed era anche un’eredità di famiglia. Posso capire perché si sia arrabbiato… ma lui dov’è? » disse, dando forza alla sua ultima domanda.

I volti dei due saiyan si fecero ancora più rabbuiati.

«Lui… si è trasformato.» disse, a fatica, Goku.

«Trasformato?! In che senso?» chiese Crilin.

«È rimasto piegato, tremante, per qualche secondo. Il cielo si è fatto scuro, e la terra ha iniziato a tremare…»

«È successa la stessa cosa qui!» intervenne Goten.

«L’universo intero ha tremato, in quel momento…» disse, mestamente Dende «Anche i Kaioshin se ne sono resi conto. Ma facciamo finire Vegeta…»

«E poi si è alzato, rilasciando un immenso e continuo bagliore energetico: ma la cosa più straziante, furono le sue grida. Io ne ho sentite molte, nella mia vita: e garantisco che quelle erano grida di dolore, di dolore fisico. E poi, quella cosa…»

Si voltò, dando nuovamente le spalle al gruppo.

«Una gigantesca lucertola umanoide, gli occhi di un rosso brillante, privi di pupille. Io ne ho visti di mostri in tutta la mia vita, ma questo… metteva i brividi.» disse, cercando comunque di apparire indifferente alla cosa.

«Ha umiliato Majin Bu, quasi divertendosi a torturarlo.» proseguì Goku «La sua aura sembrava non avere limiti… era una potenza incredibile. E quel sorriso…»

«Per nulla differente da ciò che abbiamo visto in passato.» concluse Vegeta, voltandosi nuovamente verso il gruppo.

Alcuni rimasero di sasso di fronte al pensiero di quell’orribile sorriso, pensando ai tempi in cui Daniel era in balia di quel mostro o, a quanto pareva, di una sua versione “minore”.

Pamela non sapeva cosa provare. Si voltò nuovamente verso Goku: «M-Maestro... Goku… ti prego… dimmi che ne è stato di lui.»

«Vegeta è riuscito a fargli recuperare il controllo…» gli disse, prendendogli la mano «È stato decisivo dirgli che eri tornata in vita.»

Il cuore di Pamela si riaccese per un istante, ma fu una fiammella che si spense all’istante, quando quella pressante domanda tornò a martellarle la mente.

«Lui dov’è? Ditemelo…» disse, mentre le prime lacrime iniziavano a formarsi sul suo viso.

Ci fu qualche istante di silenzio, in cui Pamela attendeva la sentenza come un condannato sotto la ghigliottina.

«Si è sacrificato.» disse, freddamente, Vegeta «Per il bene di tutti, sue testuali parole. Non riusciva a controllare appieno quel mostro.»

Pamela sbiancò: fisso per un attimo il saiyan, ritto in piedi sul bordo del palazzo, poi non resse più le lacrime, e cadde a terra, piangendo.

«No…»

Fissava il pavimento, mentre le lacrime le pervadevano le guance.

«Pamela, noi…» provò a giustificarsi Goku, ma Pamela non lo sentiva.

«NOOOOOOOOOOOOOOOOOO!» gridò, disperata, il volto tra le mani, i palmi intrisi dalle lacrime. Bulma le fu subito a fianco, abbracciandola.

Sui volti di tutti ci furono solo espressioni tristi.

Marron, tra le braccia del papà, gli chiese: «Papà… dov’è andato lo zio? Tornerà anche lui?»

«Non lo so, piccola… lo zio ora è tanto, tanto lontano da qui…»

A quel punto, la bimba si strinse ancora di più al padre, il quale faticava a trattenere le lacrime.

Tutti quanti, in quel momento, faticavano a trattenere le lacrime.

«Bu non capisce perché la gente piange, ma Bu triste…» disse Majin Bu, al fianco di mr. Satan, che gli diede due pacche sulla gigantesca schiena.

Ma Pamela, ormai, le aveva già esaurite tutte, l’amica Bulma che piangeva piano sulla sua spalla, tenendola stretta tra le spalle.

Goku le si avvicinò: «Ehi, ancora mi ricordo quando da bambina venisti a casa mia, per imparare la arti marziali, anche un po’ invidiosa del trattamento che riceveva il tuo amico. Oggi invece, sei qui a piangere per lui. Non dovresti piangere, sapendo quanto ti amava… Sai, tra tutte le cose che ci ha detto, ce n’è una, che ha detto giusto prima di andarsene. Una cosa da dire a te.»

La rossa alzò lo sguardo verso il suo vecchio, il viso ormai devastato dal pianto, continuando a singhiozzare.

«Voleva sapere se avresti voluto sposarlo.» gli disse Goku, sorridendole caldamente.

Pamela guardò negli occhi il suo vecchio maestro, facendo sempre fatica a trattenere i singhiozzi.

«S-Si. Io gli dico si.»

ͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻ

Un mese dopo…

Pamela fissava il soffitto della sua stanza da letto. Ormai era passato parecchio tempo da quando si era ristabilita la pace, e lei era rimasta lì tutto il tempo.

Sola, in quella stanza che, fino a qualche giorno fa, condivideva con l’amore della sua vita.

Bulma le aveva concesso un lungo permesso, in quanto perfino lei faticava ad elaborare la perdita: ciò non le aveva comunque impedito di organizzare una festa per la pace ritrovata, alla quale però Pamela non si era presentata.

Non sentiva più nessuno da parecchio tempo: non che non fosse cercata, il telefono aveva squillato diverse volte. La segreteria era strapiena di messaggi, ma lei non li considerava più.

Era già la sua seconda notte in bianco: ormai il sole dell’alba si poteva intravedere dalle finestre.

Si chiedeva come sarebbe potuta andare avanti, con quel posto vuoto al suo fianco: era da quando erano bambini che si completavano, erano sempre stati insieme, ed ora, non c’era più.

Portato via da un mondo, nel quale ora lei era solo una marginale comparsa.

Mentre si ritrovava ancora a pensare alla scomparsa del suo amato, ecco che con la seconda notte in bianco, gli venne per la seconda volta una grande sensazione di nausea.

Corse in bagno a vomitare: una volta che fu sicura di sentirsi meglio, si sedette per terra, appoggiando la schiena alla parete.

“Sarà sicuramente la mancanza di sonno…” pensò in quel momento, ancora piuttosto scossa dalla vomitata.

Era già la seconda mattina che le succedeva, doveva assolutamente ricominciare  dormire…

Poi però, un piccolo sospetto si insinuò nella sua mente: non gli diede troppa importanza, ma forse era il caso di essere sicuri.

Si alzò, dirigendosi verso il lavandino, aprendo l’armadietto dei medicinali: frugando di qua e di là trovo quello che stava cercando.

Un test di gravidanza.

Si ricordò di averlo comprato, per sfizio, all’insaputa di Daniel, tenendo conto della loro vita sessuale: ma viste le precauzioni che erano soliti usare, si era rivelato inutile.

Poi, la realizzazione la colpì rapida come un lampo: quella notte, prima che partisse.

La loro ultima notte.

Fu una notte selvaggia, passionale, forte: la ricordava con piacere. Ma gli venne in mente anche che, nella foga, potessero essersi dimenticati delle precauzioni.

Ora, quel test era fondamentale.

Seguì le istruzioni del test, dopo di che iniziò una delle attese più estenuanti della sua esistenza.

E alla fine, quelle due linee non fecero che aumentare il peso sulle sue spalle.

Si appoggiò nuovamente al muro, lasciandosi cadere per terra.

Incinta: era rimasta incinta.

E non c’erano dubbi su chi fosse il padre. I suoi dubbi ora, erano sul suo futuro: un futuro da dare anche a suo figlio.

In quel momento si sentii ancora più sola, in quell’appartamento, che nel giro di tre mesi aveva perso due occupanti su tre.

Poi, sentì il telefono suonare ancora una volta. Lo lasciò suonare, finché non si interruppe, facendo partire la segreteria:

“Ciao cara, sono Chichi. Senti, e da troppo che ti stai nascondendo, e mi dispiace vederti così. Ti va di passare per un thè? Fammi sapere, ciao!”

Pamela lo ascoltò, ma questa volta si sentii diversamente: capì di non essere veramente sola.

Si alzò, dirigendosi verso il telefono in salotto: avrebbe ripulito la segreteria e risposto a tutti in un secondo momento.

Ma ora doveva chiamare una persona: digitò il numero che ormai conosceva a memoria, e attese.

«Pronto? Qui parla Bulma Brief!»

«Bulma… sono io…»

«Pamela! Finalmente! Come stai, tesoro?»

«Direi bene… ma c’è un problemino del quale dovremmo discutere…»

ͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻ

9 mesi dopo…

Spingeva con forza, cercando di reggere il dolore.

Era finalmente giunto il momento: dopo mesi passati nuovamente a nascondersi, ora stava per nascere.

Pamela non aveva voluto che gli altri venissero a sapere del bambino, per paura di ritrovarsi circondata di aiuti e di attenzioni: Chichi avrebbe sicuramente insistito per poter fare da baby sitter e ad aiutarla nei lavori di casa, cosa che avrebbe significato nritrovarsi a non fare più nulla, così come Crilin si sarebbe offerto di dare una mano nel curarlo mentre lei non c’era.

Penso poi a tutto quello che gli altri le avrebbero offerto: non che le dispiacesse l’idea, ma era decisa all’idea di rifiutare ogni offerta, ma voleva dimostrare, soprattutto dopo la morte di Daniel, di poter costruire da sola un futuro per il proprio figlio.

Per questo aveva preferito tenera nascosta la gravidanza.

Pareva strano che l’unica a cui si fosse rivolta fosse Bulma, la più ricca della compagnia: ma non fu per i soldi, quanto per l’amicizia che ormai le legava e le sue conoscenze e abilità, che le permisero di trovarle una saletta in un ospedale lontano dove, aiutata da robot-infermieri targati ovviamente Capsule, la stava aiutando a partorire.

«Avanti Pamela! Un ultimo sforzo!»

La rossa gridò mentre diede l’ultima, decisiva spinta. A quel punto, il pianto disperato di un neonato fu udibile nella piccola saletta.

«È un maschietto!» le disse Bulma, che lo affidò ad uno dei robot, che tagliò velocemente il cordone e ripulì il bimbo, avvolgendolo in un asciugamano.

Pamela lo prese tra le sue braccia, sentendolo finalmente calmarsi.

Poté rivedere in quel piccolo viso alcuni tratti del padre, e a quel punto iniziò a piangere, stringendolo più forte che poteva.

Lo sforzo per metterlo al mondo era stato enorme, eppure si sentiva come rinvigorita, ora, a guardare quegli occhi serrati, ancora non abituati alla luce, e quelle manine che si agitavano convulsamente.

«Come intendi chiamarlo?» le chiese Bulma, che si era seduta al fianco del letto.

Pamela guardò nuovamente a suo figlio, e vide finalmente qualcosa per cui proseguire davvero, per valere il sacrificio del suo amato.

Per poterlo ricordare tutti i giorni: per questo, suo figlio era prezioso più di un qualunque gioiello.

«Keiichi.» disse «Keiichi Ryder.»

ͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻ

Poco più di un anno dopo…

«MUOVITI LUMACA!» gridò una decisamente arrabbiata Pamela, al volante della sua auto.

Di fianco a lei, un piccolo bambino con un piccolo ciuffo di capelli scuri in testa, vestito con una salopette di jeans e una magliettina rossa, smise di giocare con il suo pupazzetto, e si girò incuriosito verso la madre, rimanendo seduto sul suo seggiolino.

«Oh, scusa, tesoro, mamma è solo un po’ nervosa…»

La interruppe il suono di un clacson: «MA SMETTILA! PENSA A PIGIARE IL MALEDETTO ACCELERATORE, PIUTTOSTO!»

Il piccolo, intanto, riprese a giocare con il suo pupazzetto, mentre sua madre emise un lungo sospiro.

«Oh, Keiichi…» disse, fingendo di rivolgersi al figlio «Proprio oggi dovevo scegliere di presentarti agli altri, eh? La festa del grande mr. Satan! Ed ecco che l’autostrada si fa regolarmente strapiena…»

A quel punto, poggiò sconsolatamente la testa sul volante, mentre il bimbo al suo fianco aveva iniziato a ridacchiare, meravigliato dal suo giocattolo.

Ci misero tre ore per uscire dall’autostrada, quando era già l’una del pomeriggio. Altre due ore furono necessarie a raggiungere il luogo dove Mr. Satan aveva costruito il suo albergo di lusso.

O almeno, quello che doveva essere un albergo di lusso: ora erano solamente macerie.

«Cosa diavolo sarà successo qui?» si chiese Pamela, ad alta voce, mentre prendeva in braccio Keiichi.

Oggi aveva optato per indossare una semplice camicetta e dei pantaloni: ora la scelta di non indossare l’elegante vestito rosso da cerimonia si era rivelata azzeccata.

Anche perché la grossa borsa contenente anche il necessario per Keiichi era piuttosto pesante.

Salì la scalinata dell’albergo, e iniziò a sentire un brusio, che seguì, finché non sentì dei passi venirle incontro: fu sollevata dal veder sbucare Bulma da dietro un angolo.

«Ah, eccoti finalmente! E come sta il nostro piccolo ometto?» li salutò, chinandosi poi verso Keiichi, facendogli qualche smorfia che lo fece ridere.

«Dai, andiamo dagli altri, sperando sia avanzato qualcosa per te! Sai, non è difficile quando ci sono di mezzo dei saiyan… ma credo che comunque qualcosa ci sia ancora!» disse, ridacchiando.

«Si, ma… che è successo qui?» chiese, evitando un pezzo d’intonaco caduto sul pavimento.

«Ah, normale amministrazione: due cattivi si sono presentati e hanno fatto un po’ di casino. Alla fine si è risolto tutto.»

«E chi sarebbero questi due?»

«Oh, due ex membri dell’esercito di Freezer, Abo e Cado… Alla fine si sono rivelati due simpaticoni anche loro. E pensare che tormentavano il pianeta di mio cognato!»

Pamela si irrigidì per un istante sul posto.

«No, aspetta… tuo cognato?!» le chiese, sorpresa.

«Si, il fratello di Vegeta! Oh, è una persona squisita, proprio l’opposto di suo fratello! Ora lo conoscerai!»

«E meno male che non era successo nulla!» gli disse, sarcasticamente, Pamela.

Arrivarono poi in un grande salone, all’interno del quale erano stati ordinati diversi tavoli, tutti occupati dalla banda.

«Gente! È arrivata anche Pamela!» gridò Bulma, facendo voltare tutti verso l’ingresso.

Ma il saluto si smorzò in gola a tutti, non appena videro cosa Pamela portava in braccio: a Yamcha andò per un attimo qualcosa di traverso, con Puar che lo aiutò a respirare nuovamente, salvo poi riprendere a guardare, stupefatto, verso la rossa.

«Siamo onorate di presentarvi Keiichi Ryder!» disse entusiasticamente Bulma, prima che tutta la banda si radunasse attorno a Pamela, ammirando il bambino.

«Perché non ci hai detto niente, Pamela?» chiese Goku, stuzzicando con l’indice il naso del piccolo.

«È così carino, poi!» fu il commento di Videl.

«È una lunga storia…» rispose Pamela, mentre Keiichi tra le sue braccia continuava a ridere, almeno finché non gli finì davanti Crilin, allora iniziò ad agitarsi verso l’ex-monaco.

«Ah, a quanto pare gli piaci, Crilin!» disse Bulma.

«Vero, eh-eh… Posso prenderlo in braccio?» chiese Crilin a Pamela, che glielo porse senza problemi.

«Ti devo piacere tanto eh, piccoletto? Io sono lo zio Crilin, eh? Ti piace, eh?» gli disse, con Keiichi che sembrava al settimo cielo.

«‘ilin,’ilin!» mugugnò poi, agitando le piccole braccia.

Gli occhi di Pamela si illuminarono: «La sua prima parola! LA SUA PRIMA PAROLA!»
«Wow, che onor- OUCH!»

Crilin si interruppe non appena sentì i suoi capelli tirati dalla piccola manina di Keiichi, che fece sì che gli altri iniziassero a ridere come il piccolo stava già facendo da qualche secondo.

«EHI! Traditore!» disse scherzosamente Crilin, mentre si liberava della presa del piccolo, che fu preso in braccio da sua moglie.

«La prossima volta ascoltami quando ti dico ti accorciarti i capelli.» gli disse C-18, fredda, per poi buttare un occhio sul pargolo sorridente che aveva tra le braccia, regalandogli uno dei suoi rari sorrisi.

Dopo di che lo restituì alle braccia della madre, che però furono assaltate dalle latre ragazze, curiose di ammirare il piccolo.

«Dimmi, Pamela…» disse improvvisamente Yamcha «Ma il padre… è lui?»

In quel momento la rossa ebbe un sussulto, e per qualche istante fu come in un altro mondo.

Non pensava più a Daniel da una vita. La sua morte era passata inosservata anche alle autorità: dopo Cell, ci fu un grande casino all’anagrafe, e a quanto pare lui non si registrò mai, e già prima non era mai andato nemmeno a scuola. Insomma, era come se non fosse mai esistito.

Ma si vide costretta ad annuire all’amico: un segno lo aveva lasciato, ed era quello che ora stava tra le sue braccia.

«Beh, il suo essere così allegro e scherzoso ha una spiegazione, allora!» disse Gohan.

«Così come il fatto che monti su uno spettacolino per attirare l’attenzione su di sé.» bofonchiò Vegeta, rimasto seduto al tavolo.

«Zitto, imbecille!» gli gridò dietro Bulma.

«Perdoni i modi di mio fratello.» disse una voce proveniente dal basso, nascosta dalla ressa.

Pamela abbassò leggermente lo sguardo per vedere una copia in miniatura di Vegeta, con tanto di armatura, che la guardava sorridendo. Al suo fianco, una sorridente figura dalla pelle grigia poco più piccola di lui: aveva la pelle grigia, una grande testa tonda, e indossava un semplice abitino viola.

«Sembra scortese, ma in realtà è anche lui felice per lei.» disse, causando un grugnito di irritazione dal principe dei saiyan «Comunque io sono Tarble, fratello di Vegeta. E questa è mia moglie Gure. Siamo onorati di fare la vostra conoscenza, e vi facciamo le nostre più grandi congratulazioni!»

A quel punto si inchinò, e Pamela fece lo stesso.

«Molto onorata anche io, e vi ringrazio.» gli rispose, prima di bisbigliare a Bulma «Avevi proprio ragione!»

L’azzurra ridacchiò alla constatazione dell’amica.

Goku comunque si intromise ancora: «Pamela, però, a me piacerebbe sapere perché ci hai tenuto all’oscuro!»

La rossa sospirò: sapeva di dover essere pronta a domande del genere.

«Ok, ve lo dirò, ma non voglio che ne facciate una questione personale. Volevo essere certa di poter dare a Keiichi un futuro solido anche senza il vostro aiuto, che sapevo sarebbe arrivato incondizionatamente, e per questo vi avrei ringraziato. Ma ho avvisato solamente Bulma, perché era l’unica che poteva darmi una mano a portarla avanti segretamente, e perché era l’unica alla quale non avrei mai potuto nasconderlo!» disse, quasi senza prendere fiato.

Nel gruppo scese per qualche istante il silenzio, finché Chichi non parlò:

«Cara, non ti saresti dovuta preoccupare di una cosa del genere! Sono cose che andrebbero dette più profondamente ma, per adesso, fatti dire da chi ti conosce bene che, con o senza il nostro aiuto, tu sarai una madre perfetta!» le disse, sorridendole.

«Grazie Chichi.» le rispose, semplicemente, stringendo a sé Keiichi.

«Bene, ora bando ai convenevoli! Sbaglio o c’era una festa qui?» gridò Bulma, seguita immediatamente da tutti.

Pamela andò a sedersi al tavolo con la famiglia di Crilin e Yamcha, mettendosi il figlio sulle ginocchia.

«Allora, che mi raccontate d’altro?» chiese al gruppo.

«Beh, in questo periodo che mi hai dato buca, ho comunque trovato degli abiti meravigliosi…» iniziò a dirle C-18, e cominciò una lunga discussione su abiti e moda che fece annoiare a morte i due maschi a tavola.

Non che C-18 fosse una gran conversatrice, ma quando si trattava di vestiti riusciva a chiacchierare normalmente: l’unico problema era che gli unici interlocutori possibili erano Pamela e Bulma.

Intanto Marron stuzzicava Keiichi, facendolo ridere: la bambina iniziò a ridere a sua volta, almeno finché non si accorse che Keiichi aveva afferrato una ciotola di riso.

Non fece in tempo a fermarlo, che la ciotola si rovesciò tutta sul bambino, e di conseguenza su sua madre, che parve non accorgersi di nulla.

«Uh… zia Pamela…»

«Che c’è tesoro?» si girò, prima di notare il disastro sotto di sé, e il bambino seduto sulle sue ginocchia che continuava a sorridere.

«KEIICHI RYDER!»

ͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻ

Dal suo pianeta, il Gran Maestro Re Kaioh osservava la scena, divertito.

«Hai fatto proprio un bel lavoro figliolo.» disse, senza che nessuno fosse attorno a lui.

Continuò ad osservare quella piccola creatura, quella nuova vita, generata da chi dentro portava la distruzione, non per sua volontà.

«Proprio un bel lavoro…» commentò nuovamente.

In quel momento, nuove esplosioni, soffocate dalle pareti del palazzo, si fecero sentire fino in giardino: il Gran Maestro sospirò.

«Posso solo essere dispiaciuto per te, ragazzo mio…»


NOTE DELL’AUTORE
Ehilà! Non vi lascio soli nemmeno ora! Mi sono preso una piccola pausa dallo studio, ma dopo questo capitolo dovrò riprendere a pieno regime, e quindi non ci sentiremo per un bel po’!

Vi lascio quindi con Keiichi, il figlio di Daniel: il suo nome da il nome ad un capitolo, spero che l’idea di un figlio di Daniel vi piaccia! Comunque, faccio un piccolo, ma piccolo spoiler: avremo Battle of Gods (il capitolo è pronto da settimane, ma come ho detto preferisco lasciarmi un bel divario tra pubblicati e scritti, e quindi vorrei prima scrivere ancora un po’, e soprattutto studiare!) ma non Fukkatsu no F, quindi nessun power-up al super saiyan god (anche se i capelli azzurri sono una gran figata a mio avviso!). Ma avremo comunque la resurrezione di un grande nemico… più di questo non dico!

Dragon Ball è proprietà di Akira Toriyama.

Alla prossima!

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Capitolo 32
*** Divinità ***


CAPITOLO TRENTADUESIMO- DIVINITÁ

Anno 778

Il Dio della Distruzione si stiracchiò sulla sua sedia galleggiante, seduto di fronte alla ricca tavolata.

«Quindi qualcuno è riuscito a sconfiggere Freezer prima che lo eliminassi io? Comìè possibile?»

«A quanto pare è stato uno dei saiyan sopravvissuti… pare abbiano trovato un metodo per accrescere la loro potenza. Lo chiamano “super saiyan”.» gli rispose un alto uomo dalla pelle azzurra, dall’aria raffinata. Indossava un lungo vestito dalle tinte rosse e teneva in mano un lungo bastone, nel quale osservava le immagini di un biondo guerriero che combatteva contro Freezer.

«Super saiyan, dici? Uhm…» disse il dio dalle sembianze di un gatto, cambiando ripetutamente posizione sulla sua sedia, che intanto levitata in aria, come alla ricerca frenetica di una risposta.

Finché non ebbe come un’illuminazione, che lo fece sobbalzare: «Ecco perché avevo deciso di svegliarmi in anticipo! Avevo previsto che in questo giorno avrei affrontato il super saiyan god!»

«Il super saiyan god? Ne è sicuro, lord Bills?»

«Osi mettere in dubbio le mie previsioni, Whis?»

«Non che se ne siano avverate molte, mio signore…»

«Whis…»gli rinfacciò, minaccioso, il Dio della Distruzione.

Whis, allora, si zittì per un istante, poi chiese: «Almeno sa qualcosa riguardo questo “super saiyan god”?»

«Devo essere sincero, non ne ho idea: nella mia premonizione ho visto la battaglia contro questo saiyan dall’incredibile potenza.» disse, sdraiandosi, mettendo le mani dietro la nuca «Una sfida stimolante dopo tanti anni.»

«Non ne dubito, mio signore, ma non credo che nessuno dei saiyan sopravvissuti abbia raggiunto un livello del genere.» disse, pacatamente, Whis.

«Eppure io non mi sono sbagliato! Oggi affronterò il super saiyan god! Poi magari distruggerò qualche pianeta, qua e là… insomma, la solita routine. Ma prima, devo assolutamente trovare questo saiyan dalla potenza incredibile!» disse, quasi irritato, Bills.

«Uhm, se ci tiene tanto, ci conviene cercarlo tra i saiyan sopravvissuti: sembra che vivano tutti sulla Terra, in questo momento.» gli rispose Whis, sempre pacato e tranquillo.

«La Terra? Credo di esserci già stato… Ah si! Era qualcosa che aveva a che fare con quegli insolenti dei dinosauri… qualcuno di essi è ancora vivo?»

«Qualcuno si, mio signore, ma pochi: ora la Terra è popolata principalmente dagli umani: umani con i quali i sayan si sono accoppiati, generando qualche ibrido… è probabile che qualcuno di essi abbia informazioni sul super saiyan god, mio signore!»

«Allora, Whis» Bills si stiracchiò «credo sia il caso di fare una visitina ai saiyan. Al limite, mi limiterò a distruggere la Terra.»

«Uh, aspetti, pare che uno di questi, un certo Goku, si trovi sul pianeta del Re Kaioh del nord: trattasi del saiyan che ha sconfitto Freezer!» gli riferì Whis.

«Re Kaioh, eh? È parecchio tempo che non lo vedo… forse conviene passare prima da li, che dici Whis?»

Whis annuì, prima però di farsi nuovamente serio: «A proposito di premonizioni, c’è qualcos’altro che deve assolutamente vedere. Qualcosa che è accaduto sul pianeta dei Kaioshin, ormai quattro anni fa.»

A quel punto, una grande sfera bianca si formò davanti a Bills, mostrando un ragazzo in una tuta nera, piegato sulle ginocchia, in preda a dei tremori.

«E quello sarebbe?» chiese Bills, sorpreso che Whis gli mostrasse una cosa del genere.

«Si chiama Daniel Ryder, è un discendente dei sopravvissuti alla distruzione di Hamon, nato e cresciuto sulla Terra. Ma non è questo il punto, guardi…»

A quel punto, il ragazzo nell’immagine, fronteggiato da un piccolo mostro rosa, scattò in piedi, generando un forte bagliore che costrinse anche Bills a coprirsi gli occhi.

Il Dio della Distruzione osservò con interesse quella che pareva una imponente trasformazione, la mano di fronte alla bocca. Whis guardava a sua volta, consapevole dell’esito.

Quando poì la luce si diradò, poterono entrambi vedere la gigantesca figura di una lucertola antropomorfa, che fece sgranare gli occhi a Bills.

«Whis…» sussurrò, sorpreso.

«Si, mio signore?»

«È lui?» gli domandò, gli occhi fissi sulle immagini del mostro che stava brutalizzando il suo avversario.

Whis sospirò. «Si, è lui.»

Il Dio della Distruzione osservò con interesse lo scontro tra le due figure. Riconobbe Majin Bu, quel demonietto che lui non aveva mai reputato una vera e propria minaccia, e non fu sorpreso dal vedere la paura nei suoi occhi: stava affrontando un avversario decisamente fuori portata.

Ma fu ancora più sorpreso quando vide la creatura esitare per qualche istante.

«Che è successo qui, Whis?» domandò Bills.

«A quanto pare sulla scena c’erano anche i saiyan, che pare conoscano il ragazzo: hanno fatto leva su di lui per fermarlo.»

«Uhm… la cosa è decisamente interessante, Whis.» disse Bills.

«Sicuramente, mio signore. Purtroppo, pare si sia sacrificato, guardi.» gli disse, indicando lo schermo, dove ora si vedeva la creatura che, inerme, si lasciava colpire da una gigantesca sfera di energia.

Bills sbattè le mani sul tavolo: «Che spreco! La possibilità di poter controllare la forza più grande mai conosciuta da questo universo, e quell’hatwa preferisce la morte?!»

Al Dio della Distruzione questa cosa non piacque, affatto.

«Beh, signore, la promessa che fece si è avverata, ma forse non come sperava lui: il che è positivo, per noi.» gli disse Whis, cercando di placarlo.
«Non è questo il punto, Whis. Dopo milioni di anni passati sotto la tua guida sono più che migliorato, ho appreso perfettamente come sfruttare appieno la mia potenza, e darei di tutto per poterlo riaffrontare: anche perché per lui la distruzione è sempre stata questione di mero divertimento, uno svago; mentre per me è anche questione di mantenimento di un equilibrio, quello di questo universo. Quando mi fu dato questo ruolo, i Creatori sapevano bene che la distruzione era una cosa necessaria: ma non come la intendevano lui e gli altri Demoni. E oggi darei di tutto per rinfacciargli tutto ciò che ha detto e fatto.» disse Bills.

Whis, che nel frattempo aveva fatto sparire il globo trasparente, ascoltava, serio, lo sfogo del suo signore.

«Ma comunque,» proseguì «anche se non fosse mai tornato non mi sareidispiaciuto, anzi: lui e la sua compagnia sono gli unici che abbia mai temut. Se non mi sbaglio, erano più forti anche di te, Whis.»

Whis rimase per qualche istante in silenzio, consapevole del primo segno di tensione in Bills dopo milioni di anni.

«Se la cosa la rassicura,» disse, piegandosi in avanti, vicino alle grandi orecchie del suo padrone «dentro quel ragazzo ci sono solo il potere e lo spirito distruttivo di Doomshiku. Ma lui, l’originale, è morto da parecchio tempo, con il pianeta Hamon.»

La cosa sembrò rasserenare Bills.

«E poi,» continuò Whis «Anche il ragazzo è morto: e, in quanto hatwa, sa che non c’è possibilità che possa tornare in vita.»

A quel punto, il Dio della Distruzione si rifece determinato. Scese dalla sua sedia, e in un attimo si cambiò d’abito.

«Allora, credo sia il caso di occuparci di questo super saiyan god.»

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Qualche ora più tardi…

Lord Bills lanciò il corpo stremato di Goku sul terreno, atterrando poi delicatamente davanti al gruppo di guerrieri e alle loro famiglie, che lo guardavano in un misto di rabbia e terrore.

«Beh, ho promesso che avrei distrutto la Terra, e ora è tempo di mantenere la promessa.» disse, generando nel palmo un piccolo globo di aura viola.

Il gruppo di guerrieri continuò a fissare Bills, consapevole del destino che incombeva su di loro, e che ormai non ci fosse più nulla da fare: neppure Goku, come super saiyan god, era riuscito a sconfiggere il Dio della Distruzione.

Whis chinò solennemente il capo.

Nessuno dei presenti era pronto alla morte, ma avevano già accettato che non c’era via di scampo: infatti, furono tutti enormemente sorpresi quando Bills scagliò quello che in realtà era un piccolo ki-blast contro una roccia.

Tutti fecero un sospiro di sollievo, prima di chiedersi perché la mortale divinità avesse deciso di risparmiarli.

«Avete distrutto una Terra molto piccola, Lord Bills.» disse, con la solita pacatezza, Whis.

«Infatti, Whis: credo di aver consumato tutta la mia energia nel combattimento. Mi toccherà riposare un po’, poi penso che riuscirò a distruggere il resto.» gli rispose solennemente il Dio della Distruzione, mettendo le braccia dietro la schiena: ma sul volto aveva un ghigno che molto rivelava sulle sue reali intenzioni.

Goku, ancora piuttosto affaticato, sorrise debolmente alla divinità, che ricambio, mantenendo la sua aria solenne.

«Grazie, lord Bills.» gli disse.

Bills sorrise al saiyan, per poi rivolgersi a Bulma: «Signorina Briefs, chiedo perdono per aver rovinato la vostra festa.»

«Per la festa?! Quello è niente, piuttosto si scusi per avermi schiaffeggiata!» gli rispose Bulma, con ammirevole determinazione.

E ancora più sorprendentemente, Bills si scusò ancora una volta.

«C’è un’ultima cosa, però, che dobbiamo risolvere qui.» disse improvvisamente Bills «Whis, hai presente quella strana aura che abbiamo percepito lungo il tragitto qui?»

Il suo maestro si mise un dito sul mento, in una posa pensierosa.

«Oh, si!» esordì, improvvisamente «Quella sul pianeta del Gran Maestro Re Kaioh! Come mai, signore?»

«L’aura di quel bambino… non l’hai sentita?» disse Bills, indicando il piccolo Keiichi, nascosto dietro le gambe della madre.

«Uh, si! È molto simile!» disse Whis, annuendo.

«Fermi un attimo, voi due! Che volete da mio figlio?» gridò Pamela, irritata.

Bills si voltò verso la ragazza, mantenendo la sua solita espressione solenne. «Nulla, signorina. Però mi domandavo come potevate temermi così tanto, quando avete vissuto per anni assieme Doomshiku, permettendogli anche di riprodursi.»

Negli occhi di tutti comparve lo sconcerto.

«Ma di cosa sta parlando?!» gridò Crilin. Pamela guardava il Dio della Distruzione, scioccata ma anche un po’ incuriosita, Keichii che si teneva stretto ai lembi dei suoi pantaloni, rassicurato dalla mano della madre sui suoi capelli marroni.

A questo punto, quello sconcertato fu Bills, che si voltò verso Whis, che lo guardava con la sua solita aria altezzosa.

«Whis, non sapevano!» disse, ad alta voce, ricevendo come risposta le spallucce del suo attendente.

«Non sapevamo… cosa?» chiese Piccolo.

«Oh, che avevate tra voi il potere più grande che l’universo abbia mai conosciuto?»

L’intero gruppo rimase scioccato alle parole di Bills, che sogghignò: «Un potere che pure io temo. E due di voi l’hanno anche visto, se non vado errato.»

A quel punto guardò sia Goku che Vegeta, che ebbero un sussulto.

«Vuole dire che… quel mostro sul pianeta dei kaioshin…» provò a dire Vegeta, che aveva capito di cosa stava parlando il Dio della Distruzione.

«Esattamente. Quello era Doomshiku: a quanto pare ha scelto di stabilirsi nel corpo del vostro amico hatwa.»

A quel punto calò il silenzio: nessuno sapeva come interpretare le parole di Bills, che lasciavano solo ulteriore confusione a quella che già, per tutti loro, era una storia complicata.

«Ma forse è il caso di partire dal principio,  non credi anche tu, Whis?.» disse, voltandosi verso il suo attendente, sogghignate «Adoro raccontare questa storia!»

Whis gli rispose con un piccolo cenno del capo. Poi, Bills iniziò: «Vedete, questo universo nacque dalla scissione di un’antica entità, nota come l’Antica Energia, in due diverse realtà: l’Aura Bianca e la Nera Energia. Dalla prima nacquero i Creatori, coloro che hanno creato le prime galassie e pianeti, le fondamenta dell’universo che conoscete. Dalla Nera Energia invece nacquero i Grandi Demoni, creatura dalla potenza inimmaginabile, quasi quanto la loro malvagità, che entrarono in conflitto con i Creatori, fino ad arrivare alla Grande Guerra delle Entità: una guerra sanguinosa, durata secoli, tra i Creatori e Demoni, il cui campo di battaglia fu l’intero universo. Io fui posto a Dio della Distruzione in quel periodo, dagli stessi Creatori, in quanto ritennero che la distruzione era comunque necessaria in questo universo, per mantenere un equilibrio necessario. Whis, ultimo loro discendente, divenne quel giorno il mio mentore e attendente.»

Il gruppo guardò verso l’alto alieno, dall’aria così gentile e pacata, consapevole ora della potenza che nascondeva. Whis, al contrario, mantenne anch’egli la sua espressione solenne.

Bills, intanto, proseguì «Ma veniamo a ciò che più vi riguarda: Doomshiku. Sapete, i Demoni erano creature sadiche e malvagie all’inverosimile: con una simile potenza, avrebbero potuto distruggere interi pianeti con uno schiocco di dita, ma non era abbastanza “divertente” per loro. Distruggevano a modo loro, causando carestie, ere glaciali, o addirittura portando la gente alla follia.»

A quel punto Bills parve tremare, come colto da ira improvvisa.

«Urca, sembrano dei tipi piuttosto forti!» disse Goku, rialzatosi nel frattempo, nonostante fosse ancora piuttosto affaticato, cosa che comunque distolse il Dio della Distruzione dalla sua rabbia repressa.

«Indubbiamente.» gli rispose Bills «Ma Doomshiku era, se posso dirlo, diverso: era forse una versione ancora peggiore di tutti gli altri. Amava la distruzione, pura e semplice. Si divertiva a torturare le popolazioni che annientava, deridendoli, umiliandoli e torturandoli nei modi più disperati: tutto questo, nonostante per lui una persona era meno significativa di quanto lo è per voi una formica. Era maestro nella manipolazione dell’energia vitale altrui, oltre che il più forte e potente tra i Grandi Demoni: così potente e malvagio che lo soprannominarono Demone dell’Apocalisse.»

Bills non aveva ancora concluso, ma godette degli sguardi rapiti dei suoi ascoltatori, almeno finché Whis non interruppe: «Oh, mi è venuto in mente ora che aveva un soprannome per lei, Lord Bills! E se non sbaglio fu proprio lui ad affibbiarglielo!»

«Whis…» disse, irritato, Bills.

«Aspetta, com’era? Oh, mi ricordo quanto vi faceva arrabbiare! Era piuttosto crudele, in effetti…»

Bills ormai stava digrignando i denti da qualche secondo, profondamente irritato ed imbarazzato.

«Oh, già! “Bel gattino tenerino”! Ecco come la chiamavano!»

«OK, ABBIAMO CAPITO, WHIS!» gli gridò, stavolta.

«Era solo a titolo informativo: uno dei tanti motivi per cui ce l’ha ancora con loro.» disse, ridacchiando, Whis.

Bills sospirò, poi riprese: «Comunque, non avevo concluso. La sua potenza era così grande che i Creatori non riuscirono ad eliminarlo, neanche con uno sforzo congiunto: la Grande Guerra delle Entità si concluse una volta che Doomshiku fu sigillato dentro un pianeta creato dallo sforzo congiunto di tutti i Creatori attorno al suo corpo: il pianeta Hamon.»

Pamela ebbe un sussulto interno nell’udire quel nome, nonostante per lei Hamon fosse appunto, solamente quello: sapeva, comunque, che si trattava sempre della terra d’origine della sua razza.

«Hamon traeva l’energia per prosperare da Doomshiku stesso. Finché non fu costretto a lasciarsi esplodere, a causa di un’invasione tsufuru.»

«Pff… patetici…» commentò Vegeta.

«Io mi ero sempre rifiutato di distruggere Hamon, per paura di liberare Doomshiku: ma a quanto pare non tenni conto della simbiosi con il pianeta, che lo uccise a sua volta. Quando però Hamon esplose, sia io che Whis potemmo percepire il suo ultimo segnale, l’ultimo disperato grido di un condannato, rimasto impresso nella memoria dell’universo: una promessa, di tornare per vendicarsi, che a quanto pare si è avverata attraverso questo vostro Daniel, che porta dentro di lui il suo potere. O meglio, portava.»

«Credo sia il caso di verificare, allora, mio signore.» gli disse Whis.

«Hai ragione, Whis. Scusate il monologo, ma credo che fosse necessario: quantomeno ora potete reputarvi veramente fortunati ad essere incappati ANCHE nella mia misericordia.»

A quel punto, si posizionò dietro Whis.

«Arrivederci.» disse, prima che Whis facesse battere il suo bastone, facendoli scomparire in un bagliore di luce.

Il gruppo rimase silenzioso per qualche minuto.

«Beh… di certo non sono informazioni di poco conto…» esordì improvvisamente Crilin, rompendo il silenzio.

«Anche più forte di Bills… non riesco, francamente, ad immaginarmelo…» disse Tensing.

«Io e Kakaroth, purtroppo, possiamo…» intervenne Vegeta «E vi assicuro che non è uno spettacolo esaltante.»

Mantenne le braccia incrociate, guardando il cielo con la sua solita espressione fiera.

«Francamente, non mi interessa quel discorso: è ciò che hanno detto all’inizio che mi lascia stupefatto.» intervenne Piccolo.

«Ossia?» gli chiese Yamcha, incuriosito.

«Avete già dimenticato? Bills ha parlato di un’aura simile a quella di Keiichi che si trovava sul pianeta del Gran Maestro Re Kaioh: non avete pensato cosa questo possa significare?»

A quel punto, tutti sussultarono nel realizzare cosa Piccolo intendesse dire: a quanto pare, nessuno ci aveva fatto caso, ma era comunque possibile che Daniel Ryder fosse ancora vivo.

«Ma come è possibile? L’abbiamo visto morire davanti ai nostri occhi!» sbottò Vegeta.

«Ha ragione… la Genkidama lo ha investito in pieno…» aggiunse Goku.

«È appunto quello che mi sto chiedendo anch’io.» disse Piccolo, mentre nel gruppo si iniziava discutere.

Solo due persone non parteciparono al dibattito: si allontanarono, invece, di qualche metro, anche se forse erano quelle che avrebbero dovuto essere maggiormente interessate all’argomento della discussione.

Pamela Ikeda fissava il cielo, silenziosa: era vero? E se fosse stato vero, perché non era tornato?

«Mamma?»

Pamela sentì tirare i suoi pantaloni: guardò in basso, trovando gli occhi di suo figlio, che in quel momento gli ricordarono, anche troppo, quelli del padre.

«Quel gattone parlava del papà?» gli chiese, con tono innocente.

Pamela gli annuì dolcemente prima di prenderlo in braccio e stringerlo a sé per un istante. Tornò poi a guardare il cielo, con il piccolo Keiichi che fece la stessa cosa.

«Dov’è papà, allora, mamma?» gli chiese, voltandosi nuovamente verso la madre.

Pamela sospirò.

«Non lo so, tesoro. Non lo so.»

Diede un ultimo sguardo al cielo, con gli occhi che le si bagnarono per qualche istante: non si sentiva tradita, anche se avrebbe voluto.

Se Daniel fosse stato ancora vivo, di certo non si era nascosto per sfuggire a qualche responsabilità: tutto ciò che lui aveva fatto lo aveva sempre fatto in nome del benessere altrui. E con questa consapevolezza, si rese conto di amarlo ancora fortemente, come quella notte di quelli che, ormai, erano quasi dieci anni fa.

Ma sapeva che se si fosse ripresentato, avrebbe avuto parecchie domande da porgli.

Nel frattempo, Bills e Whis erano atterrati sul pianeta del Gran Maestro Re Kaioh, atterrando nell’ampio giardino, dove furono immediatamente accolti dal padrone del pianeta.

«Lord Bills! Che piacere averla qui! Cosa posso fare per lei?» gli disse il Gran Maestro Re Kaioh, inchinandosi insieme a tutti i guerrieri che lì si allenavano.

«Niente di particolare, stavo solo cercando una persona…» rispose il Dio della Distruzione, guardandosi intorno «… che non è neppure qui ad accogliermi.»

Il Gran Maestro ebbe un fremito «Ma no, mio signore! I miei guerrieri sono tutti qui, vede?»

«Andiamo, sai benissimo anche tu cosa sto cercando: il ragazzo con il potere di Doomshiku è qui.»

«No, no, assolutamente! Come potrei nascondervi una cosa del genere, mio signore? Sarebbe da incoscienti!» gli rispose la barbuta divinità, agitando le mani davanti a sé.

«Infatti.» gli rispose Bills, causando un leggero tremore nel Gran Maestro.

Bills strinse le palpebre, mentre si chinava su di lui: «Ce l’hai ancora quella fantastica stanza? Perché mi piacerebbe visitarla nuovamente…»

«Oh, non serve, mio signore, perderebbe solo tempo e-»

«Lasci stare maestro, è inutile tenerlo all’oscuro, se proprio ci tiene al suo pianeta.» interruppe una voce che fece voltare tutti.

«Ah, finalmente.» disse un soddisfatto Bills, mentre dal palazzo era uscita una figura che ora si dirigeva verso il gruppo.

I capelli raccolti in un codino sul retro della testa, la barbetta ispida che ormai gli adornava la faccia, e gli occhi scavati non nascosero a Bills l’aura dell’uomo che stava cercando. Era alto, dalle ampie spalle, i muscoli molto sviluppati dall’intenso allenamento.

Indossava una tuta da combattimento nera, adornata da un velo grigio, simile nella forma a quello portavo da Whis, che portava disegnato nel mezzo lo stemma dei Re Kaioh.

«È un onore conoscerla Lord Bills.» disse, non appena fu davanti al Dio della Distruzione, inchinandosi.

«Il piacere è mio, signor Ryder.»

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Lo guardai dritto negli occhi, senza timore: non mi curavo più ormai di rischiare la pelle, nonostante sapessi di cosa fosse capace questo Bills.

Sia lui che il suo assistente non avevano l’aria di essere così potenti: eppure, si trattava di due divinità.

«Mi piacerebbe parlare con te.» disse Bills «In privato.»

Questa volta si voltò verso il Gran Maestro, che senza protestare fece segno agli altri di rientrare, cosa che fece anch’egli qualche istante dopo, non prima di avermi rivolto un’occhiata, nella quale c’era più di qualche raccomandazione.

«Allora, cosa volete chiedermi, eccellenza?» gli chiesi, cercando di mantenermi il più educato possibile: un solo commento fuori luogo e questo avrebbe potuto perdere le staffe, causando chissà quali disastri.

«Sarò breve, perché voglio tornare a dormire.» disse, andando a sedersi sotto un albero, appoggiando la nuca sui palmi a loro volta appoggiati al tronco dell’albero «Tu sapevi della natura del mostro dentro te?»

«No, lord Bills: mi è stato spiegato solo di recente.» dissi, un po’ insicuro.

Era vero: quando mi salvò, il Gran Maestro mi spiegò immediatamente con cosa avessi a che fare. Ma ciò che mi aveva fatto quasi balbettare nel rispondergli fu la consapevolezza di quale sarebbe stata la domanda successiva.

«E come ti sei salvato?»

Non mi sentivo ancora a mio agio nel ricordare quei momenti: ma per non farlo spazientire, dovevo rispondergli, senza nascondere nulla.

«Quando la sfera mi colpì, il mio corpo non si disintegrò, ma piuttosto tornai nella mia forma normale: un assistente del Gran Maestro mi teletrasportò immediatamente nella stanza, dove non avrei potuto essere percepito.»

«Solo che oggi hai commesso l’errore di uscire qualche istante, ho ragione?» disse, mettendosi in bocca del sushi  «Whis, passami un altro di questi gustosi manicaretti…»

Io rimanevo in piedi, diligente, nel terrore di spazientirlo, mentre lui sembrava godersi un pomeriggio di relax: la cosa mi irritava un po’. Il suo attendente, seduto sulle ginocchia, non aiutava: anch’egli, come il suo padrone, si atteggiava come se si trovasse ad un pic-nic.

«Allora, ho ragione?» mi esortò.

«Ah! Oh… si, lord Bills, avete ragione.»

A quel punto, si rialzò, e mi guardò nuovamente con la sua espressione altezzosa.

«Mostrami.»

«Cosa, lord Bills?»

«La parte del suo potere che riesci a dominare.»

Ebbi un fremito: perché voleva vedere la mia trasformazione? Sapevo che il suo problema era con Doomshiku, non comprendevo questa sua richiesta, ma dovetti obbedire.

«Subito, lord Bills.» gli risposi, e in quel momento feci fluire tutta la potenza che in quegli anni di isolamento ero riuscito a dominare senza problemi: i muscoli si ingrossarono, i miei canini crebbero, i miei occhi divennero quelli di un rettile. La pelle divenne di grigio chiarissimo.

Mi osservò per qualche istante, mentre la terra smise di tremare, e lo spostamento d’aria cessò.

«Niente male, davvero niente male.» disse, sembrando soddisfatto.

«Domini alla perfezione gran parte del potere di Doomshiku, complimenti.» commentò Whis, da dietro.

«Beh, la ringrazio, io-»

«Zitto.» mi disse Bills «Per quanto potere tu possa dominare, non hai nulla per cui essere grato. Magari questo ti permetterà di confrontarti con i tuoi amici laggiù, ma sei ancora anni luce dal mio livello, ragazzo. Ma tu sai come potresti raggiungerlo, vero?»

I suoi occhi felini mi squadrarono dalla testa ai piedi: sapevo di cosa stava parlando, fin troppo bene.

«Lo so, lord Bills. Ma non posso farlo.»

«E come mai, se posso saperlo?»

«È… pericoloso.»

«Pericoloso?! AH! Stai tranquillamente chiacchierando con il Dio della Distruzione in persona, senza battere ciglio, e hai paura di un lucertolone?»

«Sapete benissimo anche voi che non è solo un “lucertolone”.» dissi, questa volta più deciso «E in che pericolo metterei i miei cari. Io non lo posso controllare…»

«BALLE!» sbottò questa volta, avvicinando il suo muso al mio viso «Ma che effetto ha la Terra? Vi insegna a preferirvi deboli? Prima quel Goku, incapace di accettare un potere non suo, e ora tu, impaurito dal perdere il controllo di te stesso! Perché non siete in grado di accettare con entusiasmo la possibilità di diventare delle divinità?!»

A quel punto, non seppi che rispondere: la sua affermazione mi aveva lasciato di sasso.

«Tu, hai la possibilità di diventare uno dei più potenti esseri mai conosciuti, domando il potere della creatura che effettivamente lo era: di fronte a questa chanche, dovresti essere sempre più determinato a farcela, invece ti diverti a fare la vittima!»

«Giù hai una donna e un figlio per i quali varrebbe la pena diventare invincibili, per poterli proteggere: anche se credo che la sua cucina sia già un motivo più che valido.» aggiunse Whis.

A quel punto, non ressi. Caddi per terra, tronando normale, lo sguardo perso nel vuoto: anche questa volta, il Dio della Distruzione aveva eseguito il suo compito, distruggendo tutte le mie certezze.

«Doomshiku era un gran bastardo, ma se è dentro di te, significa che non sei il suo burattino! Tu sei, nel suo progetto, il vendicatore della razza hatwa!» proseguì Bills, nella sua predica «Diventeresti una divinità, un potere infinito davanti al quale nessuno si opporrebbe! Nonché un avversario degno per il sottoscritto…»

Lo guardai, ancora seduto per terra: questa volta la determinazione dentro di me era svanita completamente. Mi aveva demolito, senza preavviso, e ora non sapevo più che dire.

Lui mi squadrò, dopo di che si voltò. «Andiamocene Whis, è stata solo una perdita di tempo, e io ho sonno.»

A quel punto si posizionò dietro il suo attendente. Ma prima che potessero sparire, disse un’ultima cosa: «Se mai deciderai di correre dei rischi, come hanno fatto i tuoi amici laggiù, pur di poterli proteggere, cerca di farmelo sapere: mi farebbe piacere ritrovare degli avversari validi, in questo universo.»

E a quel punto sparirono. Io rimasi lì, seduto sul prato, a fissare il vuoto, a rimuginare sulle sue parole, finché due mani non mi si posarono sulle mie spalle.

«Tutto bene, figliolo?» mi chiese il Gran Maestro Re Kaioh.

Mi girai a guardarlo, ancora piuttosto scosso: «Si…»

Ma in realtà, la mia mente era affollata da pensieri assillanti, mentre ripensavo ai miei amici laggiù, che oggi hanno rischiato ancora una volta tutto per difendere la Terra contro un dio vero e proprio, ed io qui, nascosto.

Un guerriero codardo.

Un padre assente.

A quel punto mi sdraiai sul prato, con il Gran Maestro che si allontanò, e rimasi a fissare il cielo.

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INTANTO, ALL’INFERNO…

Due guardie stavano sedute alla loro postazione: due piccoletti dalla pelle arancione. Di tutti i turni possibili ai quali potessero essere assegnati in quel luogo maledetto, questo era di gran lunga il peggiore di tutti.

La maggior parte delle celle rimaneva vuota, riempita sporadicamente dalle anime che combinavano “pasticci”. Cell, Freezer e compagnia erano praticamente degli ospiti fissi. Ma ce n’era uno, tra tutti, talmente incontrollabile che era stato segregato nella parte più profonda della prigione infernale, legato a catene praticamente indistruttibili.

Una delle due guardie guardò l’orologio, e frignò: «Uhh, è già ora di controllare il prigioniero!»

«L’ultima volta è toccato a me, stavolta tocca a te!» sbraitò il suo compagno.

«Bugiardo! Tocca te!»

«No! Sei tu che menti!»

«Senti, tiriamo a sorte, ok?» disse la prima guardia, estraendo una moneta «Testa o croce?»

«Testa!»

La prima guardia lanciò la monetina, che cadde subito a terra. I due si piegarono all’istante per vedere il risultato.

«Croce! Yu-huu!» esultò la prima guardia. Il suo compagno, rassegnato, prese allora la scala che partiva dietro di loro, che arrivava molto in profondità, finché non giunse davanti ad una porta, sulla quale c’era una finestrella, per poter osservare l’interno.

Questa era la parte peggiore: il recluso era una bestia assetata di sangue, per questo si trovava lì. La sola idea della sua presenza gli metteva i brividi, e guardarlo negli occhi lo raggelava, sapendo di cosa fosse capace.

Ma si vide costretto ad aprire la finestrella: poté immediatamente vedere, legata per i polsi a due enormi catene, seduta sulle due ginocchia, la muscolosa figura del prigioniero, che teneva la testa china, i lunghi capelli neri che gli coprivano la fronte.

Ma non appena vide uno spiraglio di luce, la alzò immediatamente, ringhiando alla guardia, che con un gridolino richiuse immediatamente la finestrella e ripercorse velocemente la scala.

“Patetico” pensò Broly.

Era tutto ciò che pensava dei suoi aguzzini: se solo avesse potuto sfogarsi su di loro… Ma no, il Re Enma lo giudicava troppo pericoloso per le altre anime.

“Sono loro ad essere dei vermi…” pensò, mentre rivisse nuovamente il momento in cui fu condannato all’eterno isolamento.

Però all’aldilà ci era comunque finito anche lui: tutta colpa di quella banda di vermiciattoli sulla Terra.

Ma su tutti, il suo odio era per lui: quello che lo aveva sfidato fin da quando erano due neonati; lui con la sua faccia sempre allegra, che gli avrebbe volentieri strappato; lui, quello che oggi era diventato davanti ai suoi occhi un dio, le cui gesta era costretto a veder passare continuamente nella sua mente, come punizione: cosa che non fece che accrescere il suo odio anche verso il Re Enma.

Non lo poteva accettare: lui era la leggenda, lui quello con il potere infinto. Non avrebbe permesso ad un gatto qualunque e a quel bastardo di prendersi il suo titolo di leggenda, di divinità distruttiva.

Eppure, quelle catene dicevano il contrario.

«Kakaroth… ti odio…» sussurrò, osservando per un’ultima volta le immagini del super saiyan god che si susseguivano nella sua mente.


NOTE DELL’AUTORE
Ehilà! Rieccomi, gli esami incombono ma ho comunque trovato il tempo per postarvi il nuovo capitolo! Ebbene si, Daniel è ancora vivo, e si è beccato anche una bella strigliata…

Per quanto riguarda Bills e Whis, spero di averli riportati bene: Battle of Gods io l’ho visto in inglese, in quanto l’ho sempre reputato il doppiaggio migliore, e molte delle loro battute sono traduzioni. Comunque, spero in ogni caso di non essere andato troppo fuori personaggio: oltretutto sono due che ho adorato fin da subito. Come del resto adoro Broly: credo non ci siano più dubbi su chi sarà il prossimo nemico, ma come e perché tornerà ve lo spiegherò solo più avanti, credo anche di averla motivata piuttosto bene, nonostante non sia un personaggio canonico…

Adesso mi tocca però salutarvi: fatemi sapere cosa ne pensate, ogni tipo di recensione è ben accetta!

Dragon Ball è proprietà di Akira Toriyama.

Alla prossima!

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Capitolo 33
*** Le leggende non muoiono mai ***


CAPITOLO TRENTATREESIMO- LE LEGGENDE NON MUIONO MAI

Ancora, quelle immagini nel suo cervello: ancora il sorriso ebete di Kakaroth, avvolto in quell’aura rossa che avrebbe dovuto renderlo un “dio”.

Ormai andava avanti così da un paio di mesi: Broly non ce la faceva più. In quel momento, sentì dentro di lui come una sorta di nuova forza, un nuovo vigore che lo pervase nell’animo e nel corpo, facendolo sentire nuovamente potente, come quando era in vita.

Come quando era una forza inarrestabile.

Fu allora che quella consapevolezza gliene fece acquisire di nuove: lui si sarebbe vendicato. Li avrebbe uccisi, tutti quanti. E poi avrebbe distrutto l’universo, tanto caro a Kakaroth e a tutti gli altri vermi.

Se quelle maledette catene non lo tenessero legato, come un animale in gabbia, non avrebbe di certo risparmiato nessuno.

Perché nessuno poteva permettersi di trattarlo così, come una bestia addomesticata: lui era una leggenda, destinata a far valere il suo dominio su tutto l’universo, e nessuno avrebbe dovuto ostacolarlo.

Nessuno.

In quel momento, si trasformò in super saiyan per la prima volta dopo anni, illuminando l’angusta cella e rivelando così la situazione degradante in cui era stato lasciato per anni.

Non avrebbe permesso a quel bastardo di Kakaroth di soppiantarlo in questo modo: avrebbe sofferto, lui più di ogni altro.

L’odio cresceva dentro di lui, e con esso la sua aura: per la prima volta, si sentii nuovamente potentissimo. Proprio come ai vecchi tempi.

Le catene però, lo tenevano ancora legato nell’oscurità. Lanciò un gridò di frustrazione, che mise in allarme le guardie.

“Tutti, la pagheranno tutti” pensò, mentre i suoi polsi venivano fermati ancora dall’eccessiva tensione raggiunta dalla catena.

“Kakaroth, tu morirai per primo…”

Sentiva la sua aura crescere ancora, mentre i passi si facevano più numerosi e frequenti.

“La pagheranno tutti.”

In quel momento, la sua aura crebbe nuovamente, e questa volta, la lasciò uscire, senza porle freno: intorno a lui la terra tremò, così come in tutto l’inferno, mettendo questa volta tutti in allarme.

Raggiunse la sua leggendaria forma in un istante, ingrandendo enormemente, i muscoli che ora si erano ulteriormente gonfiati, trasformandolo in un mostro gigantesco dalle vuote pupille: ma nonostante tutto ciò, non riuscì comunque rompere quei sigilli. Ringhiò, sentendosi ancora ancorato ad un destino che non poteva essere suo.

E allora, eccolo, nuovamente, nella sua testa, Kakaroth.

Sentii ancora una volta il suo pianto nella culla, lo rivide mentre lo colpiva allo stomaco con quel potente pugno, lo rivide sostenere quei due vermi dei figli nell’attacco energetico che aveva definitivamente posto fine alla sua esistenza.

Ora toccava a lui: sarebbe dovuto morire, tra atroci sofferenze. Voleva permeare i suoi palmi del suo sangue, e di quello dei suoi figli, dei suoi amici, e di ogni essere che aveva avuto a che fare con lui, nel bene e nel male.

Doveva esserci Kakaroth al suo posto.

Era il motivo per il quale ora stava rischiando di far crollare la struttura, illuminando ora a giorno, con la sua aura, quella cella che per anni era rimasta nell’oscurità.

Era il motivo per il quale sentì una moltitudine di passi avvicinarsi alla cella.

Era il motivo per il quale ora, la sua aura stava crescendo a dismisura.

Era il motivo per il quale sarebbe ritornato in vita, in un modo o nell’altro.

Era il motivo per quale tutto ciò che ora desiderava, era la vendetta.

«Kakaroth… Kakaroth… KAKAROOOOOOOOOOOOOOOTH!»

In quel momento, la sua aura crebbe in maniera incredibile, che se fosse stato abbastanza lucido, perfino lui stesso ne sarebbe stato sorpreso.

Ma non gli importava più: poté nuovamente sorridere, a suo modo, quando sentì un forte schiocco vicino a lui, e vide che le catene si erano spezzate.

«BROLY! Ti avvertiamo, siamo in molti, ti conviene calmarti e non opporre resistenza!» disse improvvisamente una voce da dietro la porta.

Il super saiyan leggendario si limitò a sorridere, mentre strappava gli anelli che coprivano i suo enormi bracciali d’oro.

Poi, con un grido, si lanciò a mano aperta contro la porta, che venne scardinata come un pezzo di carta sotto la sua spinta. Broly continuò a correre, trascinando la porta lungo la stretta scalinata, e trascinando con essa tutte le guardie che si erano posizionate dietro essa.

Quando poi arrivò alla fine della scala, molte guardie vennero lanciate a destra e a sinistra dalla spinta, altre, purtroppo, finirono schiacciate tra la massiccia porta metallica e il muro.

Quando il sangue arrivò a bagnare i suoi stivali, il leggendario super saiyan si sentì nuovamente come ai vecchi tempi: sorrise sadicamente, guardando i volti impalliditi delle altre guardie, prima di ripulire entrambi i lati del corridoio con due ondante di ki verde.

Ovviamente, doveva cercare l’uscita da quel posto, sempre che un’uscita ci fosse.

Corse, senza trovare opposizione alcuna nel suo cammino, lungo i corridoi, la sua gigantesca forma che li occupava quasi per intero…

«Guardie! Guardie! BROLY È RIUSCITO A EVADERE! Tutte le guardie all’ingresso della zona detentiva!» si sentì gridare, ma per Broly quello era come il ronzio fastidioso di una zanzara.

Continuando a correre, si ritrovò in quello che doveva essere l’ingresso. Ad accoglierlo, centinaia di guardie del volto palesemente terrorizzato.

Broly le guardò, piegando leggermente il collo.

«Bu!» disse, semplicemente, spaventandoli però tutti a morte.

A quel punto, si lanciò sulle guardie, che nulla poterono di fronte alla sua forza: afferrava e faceva esplodere teste, schiacciava corpi o li faceva volare lontano.

Era una furia inarrestabile.

Una volta constatato che erano troppi, e che stava solo perdendo tempo, formò intorno a sé una gigantesca barriera di ki che si estese tutto intorno a lui, disintegrando i suoi nemici: sorrise, poi, sadicamente, contemplando il risultato.

Ora si trovava da solo nel grande ingresso dell’edificio completamente costruito in pietra, senza alcun segno di vita dalle balconate o dai tanti corridoi che da esso partivano: ora, l’unico ostacolo tra lui e la libertà era la gigantesca porta metallica d’ingresso. Sogghignò, allungando l’enorme braccio verso di essa, in mano un piccolo globo di ki.

Una volta sfondata anche la porta dell’ingresso con una gigantesca esplosione, la mastodontica figura del leggendario super saiyan poté ammirare il panorama infernale: una vasta landa desolata, desertica, dove le anime vagavano senza meta.

Solo che in quel momento erano tutte ferme a contemplare quello spettacolo inquietante.

Broly vide tra loro anche suo padre Paragus, visibilmente spaventato: quel verme che aveva provato a sottometterlo al suo volere.

Non era minimamente degno della sua attenzione, in questo momento: doveva riuscire ad arrivare a Kakaroth.

Volò in alto, verso quello che pareva il cielo, convinto di aver finalmente raggiunto la sua meta.

Almeno finché non andò a sbattere contro una barriera invisibile, che lo fermava.

«No… No…»

Provò e riprovò sfondarla, senza trovare successo.

«NOOOOOOOO!» gridò con rabbia, sentendo la sua aura raggiungere livelli mai visti fino a quel momento: era riuscito, in quel momento, a equiparare Goku, nella sua forma non divina.

Continuò a prendere a spallate quella barriera, invano, finché non sentì gigantesche catene non gli si avvolsero intorno alle braccia.

Sorpreso, venne trascinato facilmente a terra da grossi servitori del Re Enma. Le catene brillavano di un bagliore bianco, intenso, che faceva intuire la loro natura sovrannaturale.

«Adesso basta, Broly, ti sei divertito abbastanza, è il momento di tornare a cuccia!» disse uno dei gorilla che lo trattenevano.

A cuccia, come un cagnolino addomesticato: come si permetteva?

Lui non poteva essere controllato: lui era un dio.

E nessuno gli avrebbe impedito di portare a termine il suo destino: nessuno di loro.

Neanche Kakaroth.

Fu allora che Broly sentì dentro di sé una potenza nuova, ancora più grande, che continuava a crescere.

Sentiva che ora poteva umiliare Kakaroth.

Le catene che lo trattenevano cominciarono a spezzarsi, mentre la terra degli inferi iniziava a tremare.

«Kakaroth…» sussurrò, caricando la sua aura.

In quel momento il terremoto si fece più intenso e forte, mentre l’aura di Broly assunse un colore viola acceso.

«KAKAROTH!» gridò, generando un bagliore mai visto da allora negli inferi.

Le anime si nascosero, mentre l’aura di Broly continuava ad aumentare, finché non si rese conto di sensazioni nuove, ma in realtà parecchio familiari.

Lo scenario intorno a lui cambiava, mentre continuava a gridare, caricando la sua aura.

In quel momento, cominciò a sentire un calore inusuale, che non appena il suo gridò terminò, divenne insopportabile.

Generò immediatamente una barriera attorno a sé, sorprendendosi che il suo ki avesse improvvisamente assunto un colore viola.

Si accorse di essere arrivato, improvvisamente, nello spazio, o, più precisamente, vicino al Sole.

Il luogo dove aveva trovato la morte: e dove, in questo istante, aveva riacquistato la vita.

Fu allora che la sentì, dentro di sé: una potenza che neanche lui aveva mai potuto sentire, una potenza inimmaginabile, infinita.

La potenza di un dio: un dio che era stato in grado di superare la morte stessa, di dominarla e di umiliarla. E che aveva ben chiaro in mente cosa dovesse fare ora: vendicarsi.

Girò lo sguardo di qualche grado, e la vide: lontana anni luce da dove si trovava, la Terra.

Ci sarebbe voluta un’eternità per raggiungerla, anche per il super saiyan leggendario: ma non per il nuovo super saiyan leggendario, il dio che aveva sconfitto la morte stessa.

Prese immediatamente il volo verso il pianeta blu, sentendo avvicinarsi sempre di più l’ora dell’agognata vendetta.

Ora non c’era assolutamente niente che potesse fermarlo.

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In quel momento la potei sentire: una forza di proporzioni gigantesche era comparsa nella galassia del nord, improvvisamente.

«Maestro, l’avete sentita?» chiesi al Gran Maestro Re Kaioh, seduto sulla sua grande poltrona mobile, nella grande veranda.

Mi trovavo in giardino, per un giorno, ad allenarmi: da quando Bills mi scoprì, non aveva più senso restare chiusi lì dentro, ma comunque avevo preferito celarmi ancora agli altri. Mi ero dovuto nuovamente nascondere quando Goku mi venne a cercare, qualche giorno dopo l’arrivo del Dio della Distruzione, ma ora non c’era più pericolo di venire scoperti.

Solo che, a quanto pare quello non era più l’unico pericolo dal quale mi sarei dovuto guardare.

«Si ragazzo, l’ho sentita.» disse, freddo, il Gran Maestro.

Provai ancora a percepire quella grandissima aura, cercando di capire di cosa si trattasse: avrei anche provato la meditazione, ma dubitavo di poter arrivare così lontano, nonostante si trattasse di una forza spaventosamente grande.

«È…È più forte di lord Bills… C-Com’è possibile?! Che sia Whis?» dissi voltandomi, sconcertato.

Il Gran Maestro si girò, mantenendo un’aria stoica «Peggio, ragazzo mio. Quello è Broly.»

«B-Broly?! Com’è possibile?! Comprendo che fosse forte, ma come ha raggiunto un tale livello in così poco tempo? E poi, non era morto?!»

«È questo il punto, ragazzo: è resuscitato. Ma la cosa più spaventosa, è che ci è riuscito per conto proprio: a quanto pare, il suo potere e il suo odio sono stati in grado di abbattere i vincoli della mortalità, riesco a percepirlo.» disse, con un tono sempre più cupo.

«Broly è diventato un dio: un Dio della Morte.»

Continuai a guardarlo, come in attesa di qualche rassicurazione, che sapevo non sarebbe mai arrivata.

«E dove è diretto?» gli chiesi.

«Tu lo sai già, figliolo.» mi rispose. E aveva ragione.

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Sulla Terra, intanto, nessuno pareva essersi ancora accorto di nulla.

Bulma aveva deciso di organizzare un’altra festa, quella per il suo anniversario di matrimonio con Vegeta: aveva invitato tutti, organizzandola nella vallata in cui furono teletrasportati da Polunga dopo gli eventi di Namecc.

«Perché è stato qui che hai acconsentito a venire a stare da me!» aveva spiegato entusiasticamente al marito, che comunque non si dimostrava mai troppo entusiasta di fronte a queste cose, per usare un eufemismo.

Tutti si stavano godendo una bella mattinata in mezzo alla natura: Marron e Keiichi giocavano assieme a Goten e Trunks, mentre gli adulti chiacchieravano a tavola.

«Allora, Videl» chiese Pamela «siamo già al sesto mese, eh?»

La ragazza annuì: «Io e Gohan ormai non stiamo più nella pelle. Non vediamo l’ora che nasca, e già che ha saputo rendersi utile da qua dentro, figuriamoci quando uscirà!» disse entusiasticamente la ragazza.

«Già! Fenfa di lei chi lo afrebbe fentito fiù quel Bills?» disse Goku, con la bocca piena, facendo imbarazzare la moglie per l’ennesima volta.

«Eddai Goku, non tirare ancora in ballo quella storia!» gli disse Crilin «Ormai sono passati mesi! Pensiamo a goderci questa giornata tra amici, no?»

E a quel punto esortò tutti ad un brindisi, che fu rapidamente celebrato.

«Sappi, piccoletto, che prima di poterti definire mio amico dovranno volare gli asini.» disse, freddo, Vegeta.

«Ma Yamcha già vola!» disse scherzosamente Tensing.

«EHI!»

Al che tutti iniziarono a ridere, sembrava che nulla potesse rovinare questo idillio.

Finché una gigantesca potenza in avvicinamento non mise in guardia in guerrieri.

«Goku, che succede?» chiese Chichi al marito, che si alzò improvvisamente.

I guerrieri si schierarono davanti alla tavolata, mentre C-18 e Pamela recuperavano i figli piccoli.

«Papà, cos’è?» chiese Trunks.

«Non lo so. Ma è un’aura spaventosamente familiare…» gli rispose Vegeta, che osservava il cielo.

«Ma come può essere qualcosa che abbiamo già incontrato? Questa potenza è più grande perfino di Bills!» aggiunse Gohan.

«Non lo so, ragazzi, ma è carica di odio e risentimento… la sua malvagità è impressionante.» disse Piccolo.

Goku rimase ad osservare il cielo, con un’espressione di determinazione in volto.

Finché una grande sfera viola squarciò le nuvole, andando ad atterrare poco lontano, generando un potente spostamento d’aria all’impatto.

«Dovremmo andare a contr-» provò a dire Goten, cercando di decollare, vedendosi però bloccato ed interrotto dalla mano del padre.

Nel gruppo scese un silenzio glaciale, dettato dall’attesa.

Una figura apparve nel cielo, in lontananza. Levitava in verticale, nella loro direzione. In molti lo poterono riconoscere, ma faticavano a crederci. Ma quando atterrò davanti a loro, dovettero arrendersi all’evidenza: quei lunghi capelli neri, i vistosi gioielli, e quei pantaloni bianchi, dotati di quel vistoso drappo rosso, erano inconfondibili.

«B-BROLY?!» esclamò, sorpreso, Goku «Ma c-come è possibile?»

L’alto saiyan si limitò a sogghignare alla sua inquietante maniera.

«G-Goten, credi che si ricordi…» sussurrò Trunks all’amico, continuando a fissare Broly, piuttosto impaurito, mentre ricordava la brutalità di quel mostro affrontato anni fa, ma che aveva comunque lasciato un segno indelebile nella sua memoria.

Broly continuò a fissare il gruppo di guerrieri, con la sua solita aria spavalda.

«Come è sopravvissuto all’impatto con il Sole?» chiese Gohan.

«Non lo so, ma mi sembra diventato parecchio più forte da allora.» gli rispose il padre, continuando a fissare Broly negli occhi «Potrebbe essere una sfida interessante…»

«GOKU! Non dire o fare idiozie! So che sembra impossibile ma ti prego, ascoltami!» gridò improvvisamente una voce incorporea, udibile da tutti i guerrieri «Non sai a cosa state andando incontro!»

«Cosa intende, Re Kaioh?» chiese Goku all’ormai familiarissima voce.

«Broly è stato in grado di tornare in vita, da solo! Ha sfruttato solamente la forza della propria aura!» gridò.

A quel punto, gli occhi dei guerrieri sgranarono alla notizia, mentre il ghigno di Broly sembrava farsi più ampio.

«È diventato un DIO!» concluse Re Kaioh, piuttosto agitato.

«Hmpf,» sbuffò Vegeta «A me non sembra così cambiato: più forte si, ma sempre lo stesso Broly... ora come ora non è che spazzatura, per noi.»

Broly si girò, verso quello che doveva essere il suo “principe”.

«Spazzatura?» chiese, prima di caricare la propria aura, che crebbe enormemente.

La terra tremò per qualche istante, e Broly raggiunse immediatamente la sua forma leggendaria.

«M-Ma è un mostro!» sussurrò Pamela, di fronte all’inquietante metamorfosi, mentre il figlio rimase incredibilmente tranquillo «Guarda mamma, è diventato gigante!»

Vegeta sbuffò nuovamente, questa volta assumendo un ghigno beffardo: «Avete visto? Niente di nuovo!»

Ma fu l’unico ad ostentare questa sicurezza, mentre Broly continuava a sogghignare, volgendo lo sguardo verso Vegeta.

«Cosa stai guardando, patetico ammasso di muscoli? Sei rimasto indietro, anche mio figlio è ora più potente di te!» sbraitò Vegeta, facendo spostare lo sguardo di Broly sul piccolo Trunks, e poi su Goten, che tremarono nel vederlo sorridere nuovamente.

Broly poi, distolse lo sguardo da tutto il resto, piegando le braccia e spingendole verso il basso, dando il via ad una nuova carica dell’aura, e ad un ennesimo terremoto. Dal suo corpo, poi, partì un gigantesco bagliore che avvolse tutta la vallata.

«C-Che sta facendo?» gridò Crilin.

«N-Non… Non ne ho idea… Ma la sua potenza continua a crescere vertiginosamente!» disse Piccolo anche lui costretto a coprirsi gli occhi.

Broly, intanto, continuava a gridare, mentre l’aura attorno a lui cominciava ad assumere una colorazione viola. Finché la trasformazione non fu completa, ed il suo grido cessò, così come tutti gli effetti causati da quel gigantesco sfogo d’aura.

E fu allora, che gli occhi del gruppo conobbero una visione inquietante. La trasformazione non pareva aver mutato di molto il super saiyan leggendario: eppure, i capelli, ancora più ritti di prima e di un intenso viola scuro, e le occhiaie scure sotto le vuote pupille gli conferivano un aspetto ancora più terrificante.

«Kakaroth,» disse, volgendo lo sguardo a Goku «ora morirai.»

Goku assunse immediatamente una posa da combattimento, pronto all’azione, ma nel frattempo stava elaborando una strategia: finché non si rese conto che per affrontare un dio, ce ne voleva un altro.

«Devo diventare super saiyan god, non c’è altro modo!» disse, freddo.

«Eh no, Kakaroth! Avevamo un accordo!» si intromise prepotentemente Vegeta.

«Vegeta, sii ser-» fu interrotto da uno sguardo glaciale del principe dei saiyan.

«Sono serissimo: il patto era che la prossima volta che si fosse reso necessario il super saiyan god, sarebbe toccato a me. Lui vorrà pure te, ma se serve un super saiyan god a sconfiggerlo, allora tra me e te non c’è alcuna differenza: e sarò io a sconfiggerlo, stavolta.»

Goku guardò Vegeta negli occhi per qualche istante, per poi volgerli a Broly, che sembrava, per assurdo, stare aspettando.

«D’accordo.» disse, per poi gridare «Videl! Vieni qua, sbrigati!»

La ragazza capì immediatamente le intenzioni del suocero, e si avvicinò al gruppo dei saiyan. Ma rimase sorpresa nel ritrovarsi proprio la sua mano nella sua, vedendo poi che al centro del cerchio c’era ora Vegeta.

Le energie dei saiyan presenti si canalizzarono in Vegeta, attraverso tanti piccoli bagliori blu. Il principe dei Saiyan poi fu sollevato in aria, avvolto in un grande alone di energia rossastro.

Dopo che dall’alone partì qualche scintilla, la sua aura, si stabilizzò, e Vegeta ridiscese a terra, avvolto da una grande aura rossa, come i suoi capelli e le sue iridi.

Vegeta era ora un super saiyan god.

«Guarda, leggendario super saiyan.» disse, sogghignando, a Broly «Ammira cos’è veramente un dio per la nostra raz-»

«Tesoro! Stai benissimo con i capelli rossi, lo sai?» gli gridò Bulma da poco lontano, interrompendolo improvvisamente.

«Bulma…» sussurrò, digrignando i denti, volgendosi poi verso Broly «Allora, vogliamo cominciare?»

Il sogghigno del leggendario super saiyan gli bastò come risposta: si lanciò immediatamente verso di lui, tempestandolo di pugni alla sua massima potenza.

Broly sembrò soffrirne, infatti fu costretto a rallentare con la mano, scavando nel terreno, una volta che Vegeta provò a lanciarlo lontano con una calcio.

Si rialzò guardandolo con un’espressione priva di qualunque arroganza.

Vegeta, al contrario, sembrava bearsi del suo potere: osservava Broly con un ghigno in viso che nulla faceva per nascondere la sua certezza di vittoria.

«Sembra che ce la possa fare! Broly non mi sembra riesca minimamente a contenerlo!» disse entusiasticamente Crilin, seguito a ruota da Gohan «Infatti! Broly potrà anche aver ricevuto il potere di un dio, ma ancora non lo è!»

Goku e Piccolo, al contrario, osservavano quasi preoccupati, mentre Vegeta si lanciava ancora una volta contro Broly.

Questa volta, il leggendario super saiyan provò a parare qualche colpo, senza ottenere grandi risultati: Vegeta continuò a colpirlo, fino a lanciarlo in aria con un pugno secco al mento.

«Hai visto? Eri…» iniziò a dire, nel momento in cui lo colpì allo stomaco con un pugno, facendolo piegare in avanti.

«Sei…»

Lo colpì nuovamente allo stomaco con una ginocchiata.

«E rimarrai…»

Lo lanciò a terra con un colpo a mani unite.

«un PERDENTE!»

A quel punto, si lanciò per finirlo definitivamente: sarebbero il suo primo, grande successo. Eppure sperava che Broly si rivelasse un avversario più stimolante: si stava proprio rimettendo in piedi quando lo raggiunse, pronto a sferrare il pugno decisivo.

Ma, con sua grande sorpresa, lo vide bloccato nel gigantesco palmo del leggendario super saiyan.

Vegeta sgranò gli occhi, guardando il suo avversario: non aveva notato che era rimasto praticamente illeso, dopo il suo attacco.

L’espressione sul viso di Broly mutò nuovamente in un sadico sorriso.

«Ora basta giocare: e ora di gettare la spazzatura.» si limitò a dire, prima di colpire Vegeta in faccia con l’altro pugno.

Ma Broly non mollò la presa sulla mano del principe dei saiyan: lo tenne fermò davanti a sé, tempestandolo di pugni ad una velocità impressionante.

Poi fece per lanciarlo leggermente in aria, si appoggiò sulla sua grande mano sinistra e girò su di essa, colpendo Vegeta con un calcio che lo fece volare dritto verso una parete di roccia.

Broly, però, si proiettò tra lui e la parete immediatamente prima dell’impatto, e lo spedì in aria con un calcio.

A quel punto, si proiettò nuovamente davanti a Vegeta, che volava ormai verso il cielo, afferrandolo per la testa e trascinandolo letteralmente contro la parete di roccia, scavando bene anche con il braccio, con il quale gli diede anche un pugno, prima di afferrarlo nuovamente per lanciarlo nel bel mezzo della valle.

I guerrieri guardarono terrorizzati: ora si trovavano anche senza energia, come speravano di affrontare un simile mostro?

«P-Papà, che facciamo?» chiese Gohan al padre, la cui tensione era più che palpabile.

Goku osservava Broly mentre si avvicinava minaccioso ad un Vegeta che pareva tramortito, rendendosi conto che gli sguardi di tutti erano ora posati su di lui, speranzosi.

«Non c’è tempo per formare una Genkidama abbastanza potente: se vogliamo salvarlo, dobbiamo combattere!» disse Goku.

«Crilin, Yamcha, voi proteggete gli altri, portate tutti al sicuro!» disse Gohan, mentre lui, Piccolo, Goku, Tensing e Majin Bu si lanciavano all’attacco.

Goten e Trunks, invece, rimasero al loro posto, scambiandosi un cenno di assenso.

Gohan e Piccolo furono immediatamente su Broly, cercando di colpirlo come potevano, prima di vedersi afferrati per i polsi, e sbattuti prima l’uno contro l’altro, poi al suolo, con violenza, per poi essere lanciati via.

Tensing non riuscì nemmeno ad avvinarsi: bastò un dito a Broly per generare con l’aura uno spostamento d’aria abbastanza forte da farlo sbattere violentemente contro una roccia, facendogli perdere i sensi.

Majin Bu, al contrario, riuscì a colpirlo, sul petto: salvo poi essere guardato in cagnesco dal leggendario super saiyan. Con un pugno gli fece sprofondare nel corpo la gommosa testa, dopo di che lo fece inciampare, per poi farlo rimbalzare sul terreno a forza di pugni. Dopo di che, come con un pallone, lo lanciò lontano con un calcio.

«Fuuuuu… siooo… NE!»

Broly dovette coprirsi un attimo gli occhi per un istante, quando vide quel potente bagliore: Goten e Trunks si erano appena fusi.

Ma per lui, quel nuovo ragazzino non era altro che l’ennesimo verme da schiacciare. Nonostante questo, il ragazzino lo minacciò comunque: «Ti conviene arrenderti Broly! Il grande Gotenks è qui!»

L’atteggiamento spavaldo del ragazzino non fece che sorridere il leggendario super saiyan.

«Schiacciarne uno per due… dovrei ringraziarvi mocciosi.» disse, mentre Gotenks assunse un’espressione determinata.

«Posso anche non poter diventare super saiyan, per il momento, ma ho molti assi nella manica, leggendaria faccia da culo!» gli disse, facendogli il dito medio.

«Gotenks! Modera il tuo linguaggio!» gridarono Chichi e Bulma all’unisono.

«Sentito mammina?» disse, sogghignando, Broly, cosa irritò parecchio Gotenks, che preparò il suo attacco.

«Attacco dei Fantasmi Kamikaze!» gridò, prima di generare dalla sua bocca tanti piccoli fantasmini che gli assomigliavano «Finitelo!»

I fantasmini si lanciarono contro Broly, pronti a farsi esplodere contro di lui.

Ma non fecero neanche in tempo ad arrivare che, alzando una mano, Broly espanse una gigantesca barriera di Ki che andò a scontrarsi con i fantasmi, facendoli prematuramente esplodere.

Gotenks non fece in tempo a reagire, che Broly fu immediatamente di fronte a lui.

«Ora di fare la nanna» disse, guardandolo con il suo classico sorriso sadico «per sempre.»

Detto ciò, con un pugno li sbatté violentemente al suolo, dopodiché iniziò a tempestarli di colpi, finché la fusione non fu sciolta.

«Adesso BASTAAA!» urlò Goku, lanciandosi a tutta forza contro Broly, che però fu lesto ad afferrarlo.

«Mi deludi, Kakaroth…» disse, colpendolo in pancia con forza «Ma ucciderti sarà comunque una soddisfazione immensa.»

Dopo averlo tempestato di colpi, scaraventò anche Goku al suolo, tenendolo per la testa. A quel punto, iniziò a caricare una piccola sfera di ki nella sua mano.

«Goku! NO!» gridò Chichi, dall’lato della sporgenza su cui Crilin e Yamcha li avevano portati, e dal quale stavano osservando il combattimento.

Era pronto ad uccidere Goku, e ad adempiere l’obbiettivo che si era prefissato.

Era pronto ad adempiere al suo destino.

«AAAAAAAAAAAAAHHHH!» gridò, quello che con un pugno riuscì a far barcollare Broly, facendolo spostare da sopra Goku, costringendolo a guardare a questo suo “nuovo” avversario.

«Ho ancora… il potere… del super saiyan god… se pensi che sia finita qui, hai sbagliato di grosso, Broly…» disse un sofferente Vegeta.

Broly, lo guardò, continuando a sorridere: «Patetico.»

Vegeta lo caricò, cercando di colpirlo con ogni mezzo a sua disposizione.

Bulma guardava, in lontananza, lo sforzo del marito, e i suoi occhi non poterono non illuminarsi di fronte a questo suo ennesimo atto di forza ed orgoglio, dopo quello che fece per lei contro lo stesso Dio della Distruzione.

Vegeta intanto, tentava invano di colpire Broly, che si limitava a schivare i suoi colpi, a braccia conserte.

Finché non si stufò, facendolo nuovamente volare lontano con un pugno: il principe dei saiyan ruzzolò sul terreno, sbattendoci contro più volte, prima di arrestarsi.

In quel momento, il potere divino abbandonò Vegeta, che si mise seduto sulle ginocchia, decisamente sofferente.

Guardò in lontananza il super saiyan leggendario, ora trasformato in una vera divinità, che allungava il braccio, aprendo la mano verso di lui: vide formarsi nel suo palmo un grosso globo viola di Ki.

Il suo colpo di grazia.

Vegeta era pronto ad accettare il suo destino, mentre volgeva un ultimo sguardo ai suoi compagni, privi di sensi, finché un grido non squarciò il cielo.

«TEMPESTA MORTALE!»

A quel punto Broly fu costretto ad arretrare velocemente, per evitare diverse esplosioni che sembravano propagarsi all’infinito.

Quando poi le esplosioni terminarono, si accorse che si era allontanato parecchio dalla sua vittima, e guardò irritato verso la fonte del grido, il suo sorriso trasformato in una smorfia di irritazione.

Vegeta volse lentamente lo sguardo, e rimase esterrefatto, così come tutto il resto del gruppo, quando guardarono verso una collinetta, dove una figura stava ritta in piedi, il braccio destro piegato all’indietro. Portava i capelli raccolti in un codino, e indossava una tuta nera, coperta da una lunga fascia grigia sia sul davanti che sul retro, sulla quale era disegnato lo stemma dei Re Kaioh.

Pamela fu sull’orlo di piangere quando, su quella collinetta, poté riconoscere il suo amato.

Daniel Ryder era tornato.


NOTE DELL’AUTORE
Sarò molto conciso: questa sera saranno due capitoli che CI TENGO a farvi leggere, in quanto sono stati quelli più attesi (dal sottoscritto stesso), e non vedevo l’ora di scriverli. Saranno anche due, così posso finalmente tornare con la testa all’esame che dovrò dare!

Broly Shinigami, che ne dite? A quelli a cui ho fatto leggere “in anteprima” questo capitolo, l’idea era piaciuta alla grande. Spero, poi, di aver reso l’idea di come sarà usato il super saiyan god in questa storia: non so se dopo aver dato l’energia, gli altri saiyan non possano più diventare “super” non è stato scritto da nessuna parte, allora facciamo che sia così.

Ogni tipo di recensione è ben accetta dal sottoscritto!

Dragon Ball è proprietà di Akira Toriyama.

Alla prossima!

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Capitolo 34
*** Scontro fra titani ***


CAPITOLO TRENTAQUATTRESIMO- SCONTRO FRA TITANI

Avevo osservato la scena, seduto fino a quel momento nel palazzo del Gran Maestro Re Kaioh.

Vegeta si era trasformato in super saiyan god, eppure ciò non era bastato: Broly aveva raggiunto la potenza di una vera e propria divinità.

«È stato il suo odio per Goku» disse il Gran Maestro. A lui fu tutto immediatamente chiaro: l’odio che ribolliva dentro di lui sarebbe dovuto uscire, ad un certo punto. E una volta uscito, la forza che da esso è scaturita ha permesso al suo potere leggendario di crescere a dismisura, rendendolo perfino un dominatore della morte stessa.

Vederlo combattere mi faceva venire i brividi: li vidi cadere tutti, uno ad uno, come moscerini.

E io cosa potevo fare? Rischiare di liberare Doomshiku ancora una volta, lasciando quindi come unica certezza la più totale distruzione dell’universo stesso?

Eppure, in quell’ultimo assalto di Vegeta, potei rivedere l’orgoglioso saiyan che mi disse, che rifiutarsi di combattere è la peggiore sconfitta per uno che vuole definirsi guerriero.

Riconobbi in ciascuno dei miei amici le parole di Bills: si prendevano rischi, anche inutili, pur di provare a difendere i loro amici, i loro cari, il loro pianeta.

I loro volti mi passarono in testa uno per uno, finché non ne giunsero due che mi colpirono particolarmente:

Il volto ormai familiare di Pamela, la bambina, poi ragazza, e poi donna che ho imparato ad amare.

E poi, il volto ancora ombroso di mio figlio: non l’ho mai visto in tutto questo tempo, e ormai ha compiuto tre anni. Per quel poco che ho visto di lui, ho riconosciuto quella stessa vitalità ed energia che mi hanno sempre fatto amare sua madre: e ora, stava tutto per essere spazzato via.

Non lo avrei permesso. Vidi per un’ultima volta il volto di mio figlio, atterrito dalla violenza di Broly, il che mi aiutò solamente a capire quale fosse la decisione migliore: era un rischio che era giusto prendere.

Un rischio che DOVEVO prendere.

«Maestro… mi lasci andare laggiù.» gli dissi, voltandomi verso di lui.

Lui mi guardò a sua volta, le lenti dei suoi spessi occhiali scuri riflettevano il mio volto, nel quale, per la prima volta, rividi una scintilla che non vedevo da parecchio tempo: ma l’espressione del Gran Maestro era comunque indecifrabile, non pareva né contrariato né entusiasta.

Semplicemente indifferente.

Attesi con pazienza il suo responso finché, dopo un lungo sospiro, disse: «Va bene, figliolo. GYU!»

Al suo grido il piccolo assistente comparve al suo fianco, e le istruzioni gli furono subito chiare: mi prese per la mano, e in un istante lo scenario cambiò.

Mi ritrovavo sulla Terra: il MIO pianeta, quello su cui sono vissuto e cresciuto.

Dovetti però rinunciare immediatamente alla contemplazione, avvertendo immediatamente come la battaglia stesse ancora infuriando poco lontano da me: Vegeta stava ancora tentando il tutto per tutto.

«Grazie, G-» dissi, voltandomi, con la sua improvvisa sparizione che non mi fece concludere la frase.

“Vabbè, meglio così, torna al sicuro” pensai, mentre presi il volo verso il campo di battaglia.

Arrivai appena in tempo: Broly aveva messo letteralmente k.o Vegeta. Tutti gli altri, Goku compreso, erano stremati al suolo, e faticavano ad osservare la scena.

Il resto del gruppo, Pamela e Keiichi compresi, si erano rifugiati poco lontano, su un’altra piccola altura, opposta a quella da cui li osservavo: potei percepire la disperazione che provavano in quel momento, con Broly pronto ad uccidere Vegeta.

Non potevo più nascondermi: caricai il mio attacco meno dispendioso, giusto per fargli intendere che c’ero.

Gridai con forza il nome del mio attacco, che fu il primo che sviluppai, ormai più di dieci anni fa.

“Come vola il tempo…” pensai, guardando il super saiyan leggendario saltellare all’indietro per evitare la mia Tempesta Mortale, per poi fissarmi con aria piuttosto irritata.

A quel punto, guardai solo verso di lui: presi il volo per qualche istante, atterrando giusto al fianco di Vegeta, il cui potere divino era ormai esaurito. Mi voltai a guardarlo, facendogli un amichevole sorriso: poi gli tesi la mano.

«Ho pensato che un aiuto vi avrebbe fatto comodo…»

Il principe dei saiyan sputò, girandosi, per poi tornare a guardarmi, sogghignando a sua volta: «Quindi…. un cervello… che funziona… ce l’hai… eh?»

Risi, sommessamente. A quel punto mi voltai verso gli altri: «Tutto ok, gente?»

«Meravigliosamente…» disse Piccolo, che si stava faticosamente rialzando.

«Non intenderai affrontarlo, vero?» mi chiese subito Goku, zoppicante e ancora piuttosto scosso: era veramente difficile accettare quella visione, eppure eccolo lì, praticamente al tappeto.

Mi voltai, tornando a guardare Broly, che aveva stampato sul suo volto quel sorriso inquietante, in un misto di sadismo e arroganza: un sorriso che mi sembrava fin troppo familiare.

«Ho un’alternativa?» risposi a Goku, tenendo però lo sguardo fisso sul nemico.

La mancanza di una sua risposta mi fece capire che aveva accettato la cosa: aveva capito che ero ben consapevole di ciò che stavo per fare.

Insomma, era nettamente più forte di me, non c’erano discussioni: anche al mio limite, non ero di certo al livello di un super saiyan god. C’era solo una forma, che avrebbe potuto metterlo in seria difficoltà… ma quello era un rischio che avevo deciso di correre, ma che avrei preferito evitare.

«Allontanatevi, mettetevi in un posto più sicuro dove possiate quantomeno riprendere fiato.» dissi, con fermezza.

Stranamente, eseguirono senza battere ciglio. A quel punto, dopo che si posarono qualche centinaio di metri più in là, fummo solo io e la divinità della morte.

«E così, tu saresti Broly…» gli dissi, senza ottenere risposta «il leggendario super saiyan.»

Continuò a fissarmi, e a sorridere malignamente.
«Beh, devo farti i complimenti, hai raggiunto una potenza ragguardevole. E poi, devo dirti che per me poterti affrontare è come un sogno che si realizza: ci sono stato vicino tante volte, eppure io sono sempre mancato…»

A quel punto, il suo sorriso si allargò.

«Morirai comunque...»

«Mi sorprende anche la vastità del tuo vocabolario.» gli dissi, incrociando le braccia.

Broly continuava a sorridermi, fissandomi con quei suoi occhi vuoti, resi ancora più inquietanti da quelle strane occhiaie viola, come i suoi capelli.

«Devo dire che la tua trasformazione non è male, per niente.» gli dissi, guardandolo in quelle grandi orbite bianche «Ora, però, permettimi di mostrarti la mia.»

A quel punto, mi trasformai, facendo appello a tutta l’energia di Doomshiku della quale potessi usufruire: generai una forte onda d’urto, a causa del rilascio dell’aura, e potei immediatamente sentire i muscoli gonfiarsi più del solito.

Quando riaprii gli occhi, lo guardai ancora, e potei vedere che la sua espressione non era cambiata per nulla, anzi: il mastodontico saiyan ora teneva le enormi braccia incrociate, guardandomi con aria spocchiosa.

A quel punto, capì che era meglio fare la prima mossa: giusto per fargli intendere che facevo sul serio.

«Allora, Broly…» dissi, assumendo una posa da combattimento «Balliamo?»

Allora mi lanciai su di lui a tutta velocità, caricando un pugno che mi vidi immediatamente parato dal suo enorme polso: quei grossi e duri bracciali d’oro, poi, non miglioravano la situazione.

Ma proseguii, cercando di colpirlo con pugni e calci su ogni parte del corpo, saltando, abbassandomi, spostandomi di lato ma nulla, lui parava tutto.

A quel punto, fu lui a tentare di colpirmi: ma per sua sfortuna, io avevo potuto prevedere la sua velocità, e mi ero già scansato.

Il pugno che mi mancò creò un enorme buco nel terreno e fece tremare la terra.

Non feci neanche in tempo a stupirmi della cosa, che già mi vedevo costretto a difendermi: o meglio, a schivare, visto che quelle gigantesche mani avrebbero annichilito qualunque tentativo di parata.

Come prima, saltavo, mi abbassavo e mi spostavo di lato, questa volta per evitare i suoi pugni.

Mi resi conto di aver fallito non appena sentii un incredibile dolore al petto, con il respiro che mi mancò per qualche istante mentre volavo via.

Fortunatamente, riuscii subito a girarmi, e rallentare la caduta frenando con la mano sul terreno, mentre con l’altra mi massaggiavo il petto.

Alzai lo sguardo, aspettandomi un’altra carica: invece mi guardava , con il suo solito sorriso sadico, le braccia distese lungo i fianchi. Allora piegò il braccio destro, portando la mano all’altezza del petto, facendomi segno di venire da lui.

Mi invitava a insistere: bene, avrebbe avuto quello che voleva.

«Dammi solo un minuto.» gli dissi, mentre mi afferravo quello scomodissimo velo, per togliermelo immediatamente di dosso. Lo scagliai lontano, facendolo atterrare su una roccia, che andò in frantumi.

«Sai com’è, duecento chili sulle spalle non sono proprio il massimo quando si combatte…» dissi, cercando di apparire anch’io spavaldo di fronte a quello che, in quel momento, era sicuramente l’avversario più forte mai comparso.

Guardai per un attimo sulla sporgenza dove si erano messi al sicuro gli altri, che non avevano combattuto: il cuore mi batté ancora più forte quando vidi Pamela in prima fila che teneva in braccio Keiichi, mentre la determinazione cresceva in me.

“Vincerò. Per voi. Per voi tutti.” Pensai, prima di lanciarmi a tutta velocità sul super saiyan leggendario, ora potente come una divinità, contro il quale andavo con il potere di un demonio.

Gli arrivai addosso con un grido fortissimo, e questa volta mi parve di metterlo in difficoltà: iniziai ad investirlo di colpi senza mai fermarmi, levitando a mezz’aria per poter mirare perfettamente alla sua faccia.

Lo costrinsi ad arretrare di diversi metri, mentre continuavo a colpirlo.

Provai quindi a sferrargli un calcio rotante con la gamba destra, vedendomi però afferrato per la caviglia e scagliato lontano.

Questa volta, quando mi fui rimesso in piedi, non aspettò: fu subito addosso a me, a velocità impressionante. Io però mi proiettai esattamente dietro di lui, pronto a colpirlo alla testa con un colpo a due mani.

Per quanto fosse stato forte, non c’era possibilità che questo colpo non andasse a segno.

Fui però sorpreso quando mi ritrovai a colpirlo, e l’unica reazione che ottenni fu un banale movimento della testa, che parve assorbire completamente l’urto.

In quel momento lo sentii sghignazzare, prima di sentire un fortissimo dolore alle costole e di essere nuovamente scagliato via: mi aveva colpito con una potente gomitata.

Non feci in tempo ad alzare lo sguardo, che un potente uppercut mi spedì in aria di qualche metro. Il dolore che sentii in quel momento fu assurdamente indescrivibile: il collo si era piegato improvvisamente, e per qualche istante non vidi più nulla, tanto che non potei accorgermi del calcio che stava per riaccogliermi al suolo.

La mia schiena si curvò nel momento in cui mi colpì, e fu un dolore incredibile: a quel punto, mi lasciò cadere a terra.

Riuscii a prendere qualche respiro, prima di sentirmi afferrato per un braccio: a quel punto iniziò un meraviglioso viaggio nel dolore, mentre mi faceva sbattere ripetutamente sul terreno.

Finché il mio braccio non si allungò: a quel punto, il dolore assunse un nuovo significato, mentre sentivo la spalla uscire dalla sua normale locazione.

Fu allora che con un pugno mi scaraventò nuovamente a terra: i dolori erano ancora fortissimi, e feci fatica perfino a pensare.

A quel punto sentii i sensi abbandonarmi.

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Pamela guardò con orrore la scena.

Vide Daniel, il suo amico, il suo amato, il padre di suo figlio, appena tornato da chissà dove solo per proteggerli, venire trattato come una marionetta da quel mostro.

Si rendeva conto di non essere minimamente all’altezza, che non combatteva ormai da anni e che forse era anche fuori allenamento.

Ma doveva fare qualcosa.

«Pamela, che hai?» le domandò Crilin, in piedi a fianco a lei.

Non gli rispose, volgendosi piuttosto al figlio, rimasto attaccato ai suoi pantaloni: «Keiichi, tesoro, rimani con lo zio Crilin, d’accordo?»

«Dove vai, mamma?» le chiese il bimbo, preoccupato.

«Tu fa come ti dico.»

A quel punto, lo accompagnò forzatamente vicino a Crilin, che lo prese in braccio a sua volta.

«Ma che vuoi far- OH NO!» Crilin non fece in tempo a terminare la frase che Pamela si era già lanciata sul campo di battaglia.

«Lascialo stare! LASCIACI STARE!» gridò, caricando un potente calcio alla testa di Broly.

Potente, o almeno così sperava: sembrava non sentire ogni colpo che provava a sferrargli, e continuava a fissare Daniel.

Finché non si girò, ma a quel punto Pamela era già ridiscesa a terra e, mettendosi in una posa che non aveva mai dimenticato, caricò rapidamente il suo attacco.

«Kame… hame… HA!» gridò, mentre dalle sue mani fuoriusciva una grande onda di energia che investì completamente Broly.

Pamela osservò il fumo diradarsi, sperando di avercela fatta.

E invece, il ghigno di un illeso Broly le ricomparve davanti, prima che il suo volto venisse ricoperto da un gigantesco palmo.

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«Pa… Pamela…» provai dire, nel dolore.

L’avevo appena vista, come aveva coraggiosamente attaccato Broly: se non fossi stato consapevole della drammaticità della situazione, probabilmente avrei riso a vedere quel guerriero a torso nudo, vestito con abiti antiquati, battersi con una ragazza vestita in pantaloni e camicetta.

Ma non trovai nulla da ridere in ciò che venne dopo: Broly la tenne stretta nel suo palmo, finché con un potente pugno non la scagliò lontano.

A quel punto, sentii dentro di me una furia incredibile, che avrei preferito non provare.

«Broly…» sussurrai, mentre sentivo le energie che, lentamente, tornavano.

Vidi Pamela per terra, con Vegeta accorso in suo soccorso, evidentemente l’unico ancora in condizione di farlo tra i guerrieri.

«Lasciala stare…» dissi, ancora molto piano, ma già provai a rialzarmi, nonostante la spalla mi dolesse incredibilmente.

Broly stava caricando un ki blast, nel frattempo, diretto su Vegeta, e su Pamela: a quel punto, le energie dentro me tornarono nuovamente, e mi rialzai in piedi.

«BROLY!» gridai, con tutta la furia che in quel momento pervadeva il mio corpo.

Lasciai che si girasse, a guardarmi, nuovamente. Io lo fissai, dentro di me un odio indescrivibile per quel mostro. A quel punto, mi ricordai la manovra per sistemare la spalla lussata, e la eseguii di fronte a lui.

Sta di fatto che non feci più caso al dolore, né al fortissimo CRAC che si sentì in quel momento: la mia aura cresceva sempre di più.

Sapevo a cosa stesse attingendo, ma sarei riuscito a controllarlo.

«Lasciala… STAREEEEEEEEEEEEEEEEE!» gridai con forza, facendo uscire un gigantesco quantitativo di aura, generando una grande onda d’urto. A quel punto, il dolore non c’era più.

Ero solo io, incazzato, contro quell’animale.

Lui rimase sempre lo stesso: con arroganza, allargò le braccia, e poi mi indicò il mento.

“Dai, tiramene uno” sembrava dirmi, mentre sul volto rimaneva, stampato, il suo solito sorrisetto sadico.

«Con piacere.» dissi, lanciandomi a tutta velocità su di lui.

Il pugno fu così forte che lo lanciai dall’altra parte della vallata: era quello che voleva, e lo aveva ottenuto.

Dovetti volare in mezzo ad una nuvola di detriti, ma gli fu immediatamente addosso: luì parò il mio calcio con il suo enorme braccio sinistro, ma io ero una furia, e tentai nuovamente di colpirlo con un pugno al mento, ma parò anche questo.

Notai sulla sua faccia lo stesso sorriso, ma questa volta, potevo leggere soddisfazione, mentre ci scambiavamo una lunga serie di colpi, intorno a noi una nuvola di detriti alzati dall’energia che rilasciavamo.

Dopo un piccolo slancio, lo “scalai” letteralmente con una serie di calci, andando a finire dietro di lui: mentre cadevo, provai a colpirlo con una gomitata al volto.

Ma lui fu più lesto, e mi afferrò per lanciarmi nuovamente davanti a lui: a quel punto fui io quello costretto a parare un potentissimo pugno, con l’unica differenza che io dovetti usare entrambe le braccia.

Prima che ne potesse tirare un altro, con un salto fui sul suo palmo, sbilanciandolo abbastanza da mettere la sua faccia all’altezza del collo del mio piede: lo scagliai lontano, mentre io continuai a salire in aria, finché non fui all’altezza perfetta.

«CANNONE DOOMSDAY!» gridai, lanciando velocemente il mio attacco.

L’onda che si generò dal piccolo globo fu enorme, e investì completamente il super saiyan leggendario.

Quando poi si diradò la gigantesca nuvola di polvere che si era formata, lui era comunque ancora lì, per mia grande sorpresa: ma questa volta la sua faccia pareva piuttosto irritata.

Digrignai i denti a quella vista: sentivo ancora la furia crescere dentro di me.

«Schifoso…» sussurrai, ancora fermo a mezz’aria.

Continuò a fissarmi con quel broncio che nulla prometteva di buono.

Ma la vidi come una cosa positiva: quantomeno gli avevo levato quell’odioso sorriso di sadica arroganza, e forse ora mi avrebbe preso maggiormente sul serio.

Quindi era il caso di continuare: mi lanciai su di lui a tutta velocità, pronto a colpirlo nuovamente come prima. Sentivo il potere dentro me crescere a dismisura, mentre la sua figura, ancora con le braccia distese lungo i fianchi, si avvicinava sempre di più.

Ero ormai vicinissimo, il pugno pronto ad andare a segno…

Finché il suo gigantesco braccio sinistro non lo intercettò, fermando il mio slancio e costringendomi ad allargare le braccia, lasciandomi fermo e vulnerabile mezz’aria: allora, il suo gigantesco pugno destro mi colpì con forza allo stomaco, senza farmi volare via, ma costringendomi a piegarmi in avanti a causa dell’impatto.

Sputai con forza, il sapore amaro del sangue e la saliva mi permeavano la bocca.

«Adesso mi hai stufato.» disse, con spietata freddezza.

E quindi, iniziai a sentirmi tartassato da quella che pareva una serie infinta di colpi: sentivo i suoi pugni e i suoi calci che arrivavano potentissimi, e prima che potessi volare via, mi sentivo continuamente riafferrato e trascinato o su un gomito o su un ginocchio.

In quel momento, il dolore fu così forte che ad un certo punto non sentii più nulla.

Allora lo sentii fermarsi, mentre mi teneva per la testa: la visione ormai era sfocata, ma potevo vederlo sogghignare nuovamente.

A quel punto mi lanciò in aria: lo potei perfettamente sentire, con l’aria che mi riempiva l’ormai malconcia tuta.

Era quasi poetico, con il sole che ancora filtrava nel cielo reso scuro dal grande rilascio di energia, o almeno lo fu prima che una gigantesca figura si frappose, e prima di sentire un grande gomito sul collo, che mi spingeva con forza verso il basso.

«MUORI!» potei sentir gridare vicino a me.

Mentre scendevo, potei udire un altro grido: un grido, lungo, disperato.

Un grido femminile.

Poi arrivò l’impatto, e a quel punto non sentii veramente più nulla: l’unica cosa che riuscii a sentire fu solo l’ennesima, fortissima scarica di dolore quando un piede mi colpì con forza al costato.

Broly doveva aver spettacolarizzato l’atterraggio, effettuando una capriola con atterraggio sul suo nuovo materassino personale.

Mi accorsi che, però, ora aveva smesso: ma in quel momento, volli solo guardare il cielo.

Ma la rabbia dentro me cresceva.

Fallo…

Una rabbia potente, grande…

FALLO…

Capii immediatamente cosa stesse per succedere.

“NO!”

NON HAI ALTRA SCELTA, RAGAZZO.

“Non è vero…”

LO SAI MEGLIO DI ME IN QUESTO MOMENTO, VERMICIATTOLO.

Mi insultava pure, non gli bastava avere ragione. Ma in quel momento, potei intravedere un’altra strada.

“Tu non mi avrai, questa volta…”

PENSA QUELLO CHE VUOI, NON POTRAI FARE NULLA COMUNQUE!

“Questo lo pensi tu, bastardo…”

NON CI PENSARE…

“Sconfiggerai Broly, ma non farai del male a nessuno…”

SE PENSI CHE FINIRÁ COME NOVE ANNI FA, TI SBAGLI DI GROSSO!

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«Spazzatura.» disse Broly, dando le spalle al corpo apparentemente esanime di Daniel Ryder, voltandosi nuovamente verso Pamela e Vegeta, ora circondati anche dagli altri guerrieri: tra loro c’erano ora qualche centinaio di metri, ma per loro fu come guardarlo negli occhi da pochi centimentri, mentre caricava nuovamente il ki nel suo enorme palmo.

«È-È finita…» sussurrò Yamcha.

«M-Mamma…» singhiozzò il piccolo Keiichi, che si strinse ancora di più a Crilin.

Tutti osservarono con apprensione Broly, che ormai pareva non avere più ostacoli tra lui e la distruzione della Terra, e con essa, del tanto odiato Kakaroth.

Ma, all’improvviso, un fulmine cadde nelle vicinanze del vincitore della morte, che si voltò, sorpreso. Sorpresi erano anche i guerrieri, mentre i fulmini aumentavano d’intensità, e il cielo si faceva sempre più buio.

«Mamma, ho p-paura…» disse una preoccupata Marron, afferrando il braccio della madre.

«Cosa diavolo sta succedendo?» chiese un sorpreso Tensing, domanda che vagò nelle menti di molti dei presenti.

Finché tutti si voltarono al rumore di detriti che si spostavano, e rimasero esterrefatti quando un barcollante Daniel Ryder fu nuovamente in piedi.

«Si! Vai così!» gridarono all’unisono Trunks e Goten, che videro però il loro entusiasmo soppresso dalle serie espressioni di tutti gli altri, che avevano gli occhi fissi sull’hatwa.

Broly si girò nuovamente a guardarlo, sogghignando, aspettandosi un altro atto di venale eroismo.

Ma Daniel Ryder si limitò ad alzare lo sguardo, quasi inconsapevole dei fulmini che aumentavano di intensità.

A quel punto, però, si piegò nuovamente su sé stesso, come in preda a forti spasmi, e la tempesta di fulmini cessò improvvisamente.

Broly osservava incuriosito quello che doveva essere il suo avversario, così come tutti i presenti.

Ma Goku e Vegeta, al contrario, furono gli unici a scambiarsi uno sguardo di reale preoccupazione.

A quel punto, ci fu un gigantesco spostamento d’aria, che converse tutta su Daniel: ed ecco che il giovane hatwa fu nuovamente in piedi, gridando come un ossesso, sfogando la sua aura enormemente, finché non generò un gigantesco bagliore bianco, che avvolse l’intera valle.

Ora era diventato praticamente invisibile: lo stesso Broly dovette coprirsi gli occhi, mentre arrivavano come ondate continui lampi di luce dall’ormai indistinguibile figura di Daniel, che continuava a gridare.

«Ma cosa gli sta accadendo?!» gridò Bulma.

«Non lo so, ma ora percepisco un’aura molto potente, e che sta continuando a crescere…» disse il maestro Muten, a cui non bastavano nemmeno gli occhiali da sole.

A quel punto le grida furono come soffocate da versi gutturali, profondi, animaleschi, mentre i bagliori si facevano quasi più intensi.

Qualche istante dopo, tutto cessò, e nella valle calò nuovamente il silenzio: tutti fissavano la grande nuvola di polvere che si era creata nel punto dove fino a quelche istante fa stava in piedi Daniel Ryder.

Non appena qualcosa fu visibile, lo scenario non fu comunque dei più gradevoli per i presenti: una nuova, mastodontica figura fece capolino dalla polvere. Poi, con un colpo di coda, la creatura allontanò la polvere, rivelandosi completamente: un rettile antropomorfo, la pelle di un blu scurissimo, e diverse placche ossee sul dorso.

Guardava tranquillamente Broly negli inquietanti occhi vuoti, con degli altrettanto inquietanti occhi rossi.

Gohan guardò l’essere in un misto tra il terrore e lo stupore: «Dite che quello è… è…»

«Noi non “diciamo” niente Gohan.» gli rispose bruscamente Vegeta.

Broly, a sua volta, fissava la creatura.

«È tutto inutile, non hai comunque alcuna chanche, verme. Un ultimo desiderio?» gli disse.

La creatura lo guardò per qualche istante, in silenzio.

Poi, parlò, con una voce profonda, suadente e potente, che echeggiò nell’intera valle: «Solo che tu risponda ad una mia domanda, leggendario super saiyan.»

Broly, la guardò, nuovamente incuriosito
.
Allora, il mostro gli volse un sorriso molto simile ai suoi, rivelando quindi anche la lunga fila di denti aguzzi, prima di esporre il quesito:

«Come scegli di morire?»

A quel punto, il mostro fu davanti a Broly in un istante, colpendolo. Il saiyan fu comunque lesto a parare, come riuscì a parare uno e un altro pugno.

Ma al momento di contrattaccare, la creatura sparì nuovamente, e il suo pugno andò a finire a terra, generando un piccolo terremoto e un profondo buco nel terreno.

Broly si guardò intorno, e fu nuovamente rapido nel percepirla e a spostarsi velocemente a lato, nel momento in cui la creatura comparve sopra di lui, colpendo il terreno con entrambe le zampe e generando un grande buco. Allora Broly provò nuovamente ad attaccarla, vedendosi parato il suo pugno.

La creatura provò quindi a sferrare dei calci al volto del saiyan, effettuando improvvisamente una verticale: risultati inefficaci, si rimise in piedi con un balzo e sparì nuovamente.

Broly si guardò nuovamente intorno, cercandola con lo sguardo: quell’essere era agile e veloce come nulla avesse mai incontrato. Ma soprattutto, era enormemente potente.

Se ne accorse giusto in tempo, quando la creatura era pronta a sferrargli un pugno, comparsa improvvisamente a mezz’aria e diretta su di lui.

Broly si girò a velocità sorprendente, parando con l’avambraccio sinistro il potentissimo colpo del mostro, generando un’onda d’urto incredibile, che fece franare qualche parete di roccia.

A quel punto si distaccarono per un istante, tornando ad osservarsi: se Broly pareva ora piuttosto preoccupato, la creatura pareva divertirsi un mondo.

Broly si lanciò contro di lei con furia, tempestandola di colpi che la creatura schivava solamente piegandosi.

Finché non ne schivò uno spostandosi lateralmente, ritrovandosi con il corpo del saiyan alla sua mercé: lo colpì con una gomitata, un pugno, e poi lo lanciò lateralmente con un colpo di coda.

Il tutto effettuando una sola rotazione su sé stessa.

Broly però non mollò, e questa volta riuscì a colpirla con un potente pugno sul muso: la creatura si ritrovò lanciata a grande distanza, con il saiyan subito dietro di lei.

Il mostro si rimise quasi immediatamente in piedi, e non appena Broly le fu addosso, le loro mani si presero mentre le loro aure crescevano intorno a loro.

Iniziarono a scambiarsi colpi, con Broly costretto a pararne da ovunque, vista la fastidiosa coda della creatura, e nel frattempo, prendevano quota, sotto gli sguardi sbigottiti degli altri presenti.

A quel punto, un forte pugno della creatura lanciò Broly via, e iniziarono a scontarsi in cielo, muovendosi a grande velocità, separandosi ad ogni impatto.

Finché non si ritrovarono come prima, le mani dell’uno nell’altro, in uno scontro d’aura.

Allora Broly si stizzì, e generò attorno a sé un enorme campo energetico, che lanciò via la creatura, facendole fare diverse capriole in aria: ne approfittò per lanciarle una piccola ma potentissima sfera di energia.

Fu allora che tutti rimasero di sasso: quando il ki blast raggiunse il mostro, quest’ultimo si trovava a testa verso il basso, ma ciò non gli impedì di afferrare il piccolo globo viola di energia con la mano sinistra e, nello stesso istante in cui riacquistava l’equilibrio, di chiuderlo tra i due palmi, generando una gigantesca esplosione.

Ora Broly lo fissava con grande preoccupazione, mista a forte irritazione, mentre il mostro lo guardava con la sua stessa arroganza, spostando leggermente il collo di lato mentre rilassava le braccia.

«Quindi è questa, la potenza di Doomshiku…» disse Piccolo, freddamente. Il resto del gruppo guardava in un misto di terrore e meraviglia, tranne una: Pamela guardava all’essere con curiosità, sapendo che pur sempre di lui si trattava.

O almeno, ci sperava.

Nel frattempo, Broly si lanciò nuovamente sul mostro: il suo pugno fu immediatamente parato, e lui dovette subito difendersi da un altro attacco.
Doomshiku, allora, lo colpì con la coda alle gambe, facendolo praticamente inciampare a mezz’aria. A quel punto, sempre con la coda, lo colpì nuovamente spedendolo a terra.

Broly fu lesto a rimettersi in piedi, parando un calcio diretto al suo volto, e afferrando il mostro per la caviglia, scagliandolo violentemente al suolo.

Doomshiku si liberò rapidamente della presa, facendo perdere l’inerzia a Broly con due schiaffi dati con la coda, e si rimise in piedi effettuando una capriola.

Il saiyan gli fu nuovamente addosso, questa volta con ancora più violenza: Doomshiku dovette sforzarsi per parare i suoi colpi.

Finché non giunse l’occasione perfetta: con un'altra schivata laterale, si ritrovò il braccio del saiyan davanti al suo muso e lo morse con forza, prendendolo per il bracciale, che si frantumò.

Broly gridò di dolore, cosa rara per lui: Doomshiku allora, mantenendo la presa stretta, lo lanciò in aria, scagliandolo in alto per diversi metri.

Con un scatto, lo raggiunse nuovamente, e mentre continuava a volare verso l’alto, lo colpì più volte e con forza allo stomaco, concludendo con una testata che non fece altro che spedire ancora più in alto il saiyan.

Ad un altezza ormai considerevole, Broly recuperò l’equilibrio.

Non lo poteva accettare; era diventato inarrestabile, eppure c’era ancora qualcuno in grado di opporsi a lui.

L’avrebbe pagata. Carissima.

Portò indietro il braccio ancora sano, caricando nel palmo il ki.

«PRENDI QUESTA!» gridò, lanciando una piccola sfera di ki viola.

La creatura ridiscese a terra, osservando. Allora Broly allargò ulteriormente il palmo, ingigantendo la piccola sfera, facendole raggiungere dimensioni mastodontiche: molto lentamente, un globo grande quanto una città si avvicinava lentamente alla Terra, con le prime sporgenze che già andavano in frantumi a causa dell’enorme spostamento d’aria.

«Ma che fa?!» sbraitò Vegeta «Se ne sta li fermo! Quella cosa distruggerebbe in un sol colpo due intere galassie!»

«Aspetta.» gli disse Goku, lo sguardo ancora fisso sulla creatura, mentre ormai il viola colorava l’ambiente circostante.

Doomshiku rimase fermo, osservando la gigantesca sfera avvicinarsi, mentre Broly rideva come un pazzo di fronte alla sua imminente vittoria.

Fu in quel momento, che Doomshiku caricò improvvisamente la sua aura, facendo inorridire i presenti per ciò che gli fece percepire, e si lanciò contro la sfera, mentre tutti guardavano allibiti.
Broly smise improvvisamente di ridere, mentre Doomshiku entrava letteralmente dentro il mastodontico globo mortale: la sfera iniziò come ad avere degli spasmi, finché non si piegò su sé stessa, generando una gigantesca esplosione.
Tutti però riuscirono a vedere cosa accadde dopo.

Tutti, tranne Broly, che non fece nemmeno in tempo a reagire, che un pugno lo colpì nuovamente al mento: Doomshiku era uscito praticamente illeso e si era lanciato a tutta velocità sul saiyan, e iniziò nuovamente a tempestarlo di pugni.

Concluse, piegandosi all’indietro, colpendolo con un doppio calcio, che spinse il saiyan ancora più in alto e aiutò Doomshiku a tornare in basso.

Quando entrambi riacquistarono l’equilibrio, Doomshiku distese immediatamente il braccio destro, aprendo il palmo: in un attimo, un piccolo globo di Ki iniziò a formarsi dentro ad esso.

In quel momento, accaddero cose che lasciarono stupefatti tutti i presenti: i pochi alberi e arbusti che avevano retto lo scontro appassirono e seccarono nel giro di qualche secondo;  un fiume poco lontano da lì si asciugò nel girò di pochi secondi; il terreno stesso si scurì e si crepò in molti punti, formando tante piastrelle di un desertico pavimento.

«Che succede?!» gridò una spaventata Chichi.

Tutti si guardavano sopresi dai cambiamenti improvvisi nell’ambiente attorno a loro.

«Sta usando l’energia del pianeta.» disse Piccolo, che se ne rese conto all’istante.

Ad un certo punto, quando il globo fu abbastanza grande da occupare tutto il suo palmo, il terremoto si fermò.

«Permettimi di scegliere per te, allora.» disse la voce potente di Doomshiku, mentre alzava il braccio verso Broly, la cui prima vera espressione impaurita era nascosta dalla distanza.

Allora Doomshiku tese il braccio e aprì il palmo, generando un’onda di dimensioni gigantesche, larga quasi quanto il precedente colpo di Broly, ma la cui potenza era nettamente superiore.

Broly guardò atterrito quella giganetsca luce biancastra che si avvicinava a sempre maggiore velocità verso di lui, e sperò che nessuno potesse vedere l’espressione dle suo viso in quel momento. Il super saiyan della leggenda rivide nuovamente la morte, quando il raggio lo investì, distruggendolo: questa volta, non sarebbe più nemmeno andato all’aldilà. Ma questo lui non lo sapeva.

Broly venne trascinato fin nello spazio profondo, dove esplose, e la detonazione fu visibile anche sulla Terra, quando un gigantesco cerchio di energia ricoprì improvvisamente il cielo. Il colpo di Doomshiku, carico di energia, arrivò a disintegrare perfino la sua anima.

Il Dio della Morte cadde, per mano del Demone dell’Apocalisse, che sorrise, soddisfatto, mentre distendeva il braccio lungo il fianco.


NOTE DELL’AUTORE
Breve ma intenso… avrei preferito che lo scontro tra Broly e Doomshiku mi uscisse più lungo, ma credo che comunque sia uscito bene, voi che dite?

Comunque questo sarà l’ultimo capitolo per un bel po’, e questa colta sarà veramente un bel po’: se volete il perché lo troverete nelle note al capitolo 33.

Una cosa che mi preme sapere: questa storia sta girando? Nel senso, non sono in molti a recensirmi (ringrazio i miei recensori fidelizzati) ma dai numeri che posso vedere questa storia deve avere parecchi lettori! Non so se molti di voi attendano il completamento, e per quello ci vorrà parecchio, ma avere maggiori opinioni anche in corso d’opera può essere molto stimolante! E dopo questa tiritera ribadisco che ogni tipo di recensione è ben accetta dal sottoscritto: sarò pacato come Gianni Morandi su Facebook nel raccogliere i vostri feedback!

Dragon Ball è proprietà di Akira Toriyama.

Alla prossima!

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Capitolo 35
*** Ritorno a casa ***


CAPITOLO TRENTACINQUESIMO- RITORNO A CASA

Il gruppo di guerrieri fu immediatamente raggiunto dagli altri, scesi di corsa dalla sporgenza.

«Mamma!» gridò il piccolo Keiichi correndo tra le braccia di un’ancora scossa Pamela.

Ma poi, gli sguardi di tutti conversero sulla creatura, che lentamente discendeva a terra. Tutti rimasero con il fiato sospeso mentre le gigantesche zampe di Doomshiku toccavano terra.

Allora, il mostro si girò, guardandoli, facendo sussultare parecchi dei presenti: Goku, Vegeta, Piccolo e tutti gli altri guerrieri si misero immediatamente in posizione, pronti a quella che, comunque, sarebbe stata una lotta impari.

Doomshiku continuò a guardarli, con quei grossi globi rossi luccicanti: li guardò tutti, uno per uno, soffermandosi particolarmente su Pamela e su Keiichi.

Poi, iniziò a camminare, ma non verso i guerrieri: si mosse verso un punto piuttosto lontano, seguito dallo sguardo attento dei guerrieri.

Arrivato vicino ad un cumulo di detriti, si chinò, raccogliendo dei brandelli di tessuto scuro: la tuta di Daniel.

Fu allora che gli sguardi di curiosità del gruppo si tramutarono in sorpresa, quando la pelle del mostro iniziò a raggrinzirsi, finché non seccò, iniziando a staccarsi, come foglie morte in autunno.

Il processo continuò, finché al posto del mostro, non ci fu nuovamente un essere umano: o, più precisamente, un hatwa le cui fattezze erano familiari a tutti.

Nudo, con i capelli ormai sciolti, si legò attorno alla vita i brandelli della tuta nera, e si girò verso di loro, esibendo con un caldo sorriso.

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Era stato quasi divertente, guardare le loro facce impaurite mentre li osservavo, convinti che Doomshiku li avrebbe sterminati tutti da un momento all’altro.

E invece, quando fu il momento, mentre la sua voce si faceva sempre più potente nella mia testa, ero riuscito a mantenere il controllo di me stesso: e fu esaltante. Tutto quel potere a mia disposizione, quella forza, quella potenza: Broly non aveva avuto chanche.

In quei pochi minuti, ero stato in grado di comprendere perché perfino Bills temesse Doomshiku: Broly aveva raggiunto un livello superiore ad un super saiyan god, ed era stato comunque sconfitto.

Mi accorsi comunque che mi stavo straniando nuovamente: mi ricordai che in quel momento non ero solo, avevo ancora addosso gli sguardi stupiti della piccola folla radunatasi ad una cinquantina di metri da me.

«Ehilà… ne è passato di tempo, eh?» dissi, smorzando un sorriso.

«ZIOOOOOOO!»

Non feci in tempo a realizzare da dove provenisse quel grido, che mi ritrovai addosso la piccola Marron, che mi si strinse forte ad una gamba, facendomi sobbalzare.

«Ehi, cucciola!» dissi, prendendola in braccio «Ci stiamo facendo grandi, eh?»

Lei ridacchiava, mentre mi guardava con degli occhi pieni d’affetto.

A quel punto, furono tutti attorno a me: li guardai ancora, uno per uno, ricambiando tutti i loro sorrisi.

«Ce ne hai messo di tempo, eh?» mi disse Crilin, riprendendo in braccio sua figlia.

«Beh, si… c’era un po’ di traffico…» gli risposi, mestamente, mentre anche Goten e Trunks si strinsero alle mie gambe.

Accarezzai i capelli di quelle due pesti, che mi guardavano con due sorrisoni.

«Hmpf, queste battute erano quello che non ci mancava.» sbuffò Piccolo, abbozzando comunque un sorriso.

«Beh, secondo me a Vegeta si!» gli risposi, volgendo lo sguardo al principe dei saiyan, che si voltò, irritato.

«In compenso, fenomeno, credo ci sia qualcuno che devi conoscere!» disse Bulma, scostandosi, liberando la strada a Pamela, che mi guardava con un sorriso carico d’affetto. Ma soprattutto, la liberò al bambino che le stava davanti.

Keiichi: mio figlio.

Mi guardava con occhi pieni di curiosità ed imbarazzo, mentre rimaneva ritto al suo posto.

Io mi piegai sulle ginocchia, cercando di guardarlo negli occhi: cercai di sorridergli, affettuosamente, ma stentavo a trattenere le lacrime, mentre allargavo le braccia.

«Ehi, ciao...».

Lui alzò un attimo lo sguardo verso sua madre, che gli fece un cenno: anche lei si stava trattenendo dal non piangere, mentre il suo sguardo si posava tra lui e me. A quel punto, Keiichi mi saltò in braccio, e io lo strinsi forte a me, mentre sentivo le sue piccole braccia attorno al collo.

«P-Papà…» disse, tra i singhiozzi.

«Shhh… Non piangere… Sono qui, figliolo…» gli sussurrai all’orecchio.

A quel punto, ci separammo, guardandoci negli occhi per qualche istante: il suo sorriso mi riempiva il cuore di gioia.

«Hai visto mamma? Papà è tornato! Il gattone aveva ragione!» disse, voltandosi improvvisamente verso Pamela.

«Eccome, tesoro…» disse, con un tono, lievemente più sarcastico, Pamela.

“Oh-oh…” pensai, mentre lo rimettevo a terra, pronto a fronteggiare la sua furia: avrei dovuto metterlo in conto, che ci sarebbero state conseguenze simili, ma avevo sperato fino all’ultimo che le lacrime e i sorrisi durassero di più.

«Daniel Ryder.» disse, incrociando le braccia.

«C-Ciao tesoro…» le risposi, mettendo le braccia avanti.

«Non. Chiamarmi. Tesoro.» disse, avvicinandosi.

Vedevo il fuoco nei suoi occhi. Mi voltai un attimo per vedere Crilin scuotere sommessamente la testa, guardandomi con occhi carichi di compassione.

«D-Dai, non c’è bisogno di arrabbiarsi… almeno, n-non così tanto…» mai scelta di parole fu più errata di questa.

Mi fulminò con lo sguardo: a quel punto capii che era veramente la fine.

Mi si avvicinò, e mi beccai uno schiaffone sulla guancia.

«Quattro anni! QUATTRO FOTTUTISSIMI ANNI! Mi hai lasciato da sola con un figlio da crescere, TUO FIGLIO! E per cosa? Perché potessi ancora una volta “proteggere” tutti da quel mostro?! Sai che ti dico? CHE NON MI INTERESSA!»

Mi beccai nuovamente un altro ceffone: quanto avrei preferito avere nuovamente davanti Broly.

«Mi hai abbandonata, tutto perché ancora non ti ritenevi all’altezza! E oggi hai avuto la faccia tosta di ripresentarti! Veramente, sai che cosa dovrei farti?!»

Ero pronto ad un altro schiaffo, invece sentii le sue braccia stringersi attorno al mio collo, le sue labbra che improvvisamente arrivarono a toccare le mie, cercandole con veemenza: risposi immediatamente al suo bacio, mentre sentivo una sua lacrima bagnarmi la guancia.

Una volta separati, ci guardammo nuovamente negli occhi, e potei vedere come stesse piangendo a dirotto.

«Esattamente questo.» disse, tra i singhiozzi.

A quel punto, la strinsi forte a me, in un abbraccio che in quel momento mi fece sentire nuovamente in un altro mondo.

«Beh, non aspettarti un bacio anche da noi, però siamo comunque tutti felici di rivederti, eh!» disse Yamcha, all’improvviso, per le risate generali.

«Comunque c’è una cosa che mi premeva chiederti, prima di ogni altra…»  disse Tensing «Eri tu, o Doomshiku, a combattere contro Broly?»

Lo guardai, sorpreso, per un istante: era un’altra cosa che non avevo messo in conto. Mi resi conto che ero stato in grado di assoggettare al mio volere la forza più potente mai conosciuta da questo universo, non una roba da poco: a ripensarci era stato forse uno sforzo più grande che eliminare Broly stesso.

Sospirai: «Si… ero io a combattere, in quel momento.»

«Ma come è possibile?» chiese Gohan, sorpreso.

Rimasi per qualche istante in silenzio: mi tornò in mente quella lotta mentale per la supremazia, avvenuta appena qualche minuto fa.

«Ho dovuto schiacciarlo: non so dove ho trovato la forza, eppure sono riuscito a mantenere il controllo su di lui. Ma di sicuro non l’ho sconfitto, questo è sicuro…» dissi, mestamente.

Sapevo che, nonostante tutto, erano comunque tutti comunque in grande pericolo: mi sentii improvvisamente uno schifo, come se tutti i miei sforzi si fossero resi improvvisamente inutili.

«Beh, almeno sappiamo che puoi combatterlo!» disse improvvisamente Goku, mettendomi una mano sulla spalla «A me sembra comunque un grande risultato, no?»

Aveva in faccia il suo solito sorrisone: il suo essere sempre così positivo era veramente contagioso.

«Ma si, dai… in fondo non hai tutti i torti!» gli risposi.

Goku, allora, si piegò leggermente verso di me, tenendo la mano vicino alla bocca, come per sussurrarmi qualcosa: «Nell’eventualità riuscissi a controllare definitvamente, quella forma… sappi che dobbiamo assolutamente duellare!»

«SON GOKU! Puoi qualche volta smettere di pensare a combattere e magari essere felice che sia tornato?!» lo rimproverò Chichi, e ridemmo tutti nuovamente.

Al che, sospirai, guardando verso il cielo.

«Bravo figliolo… È la giusta ricompensa per i tuoi sforzi… Per quanto mi riguarda, posso solo augurarti buona fortuna: goditi la vita!»

Sussultai: quella voce! Sembrava avesse parlato solamente a me, a quanto pare: l’avevo comunque sentita chiaramente nella mia testa.

«Gran Maestro…» sussurrai, guardando ancora verso il cielo.

«Che c’è, Daniel?» mi chiese Pamela, al che mi voltai, sorpreso.

«Oh, niente, amore!» le risposi, stringendola ancora di più a me «Sono solamente felice di essere finalmente tornato a casa…»

Sentii improvvisamente un peso sulla mia gamba: guardai verso il basso per vedere Keiichi nuovamente stretto attorno alla mia gamba. Mi abbassai e lo presi nuovamente in braccio.

«Papà… adesso torni a casa con noi, vero?» mi chiese, quasi sussurrando.

Lo guardai nei suoi occhi carichi di eccitazione ed entusiasmo: nonostante ci incontrassimo per la prima volta, sembrava essere a suo agio come si mi avesse visto dai suoi primi istanti. In quel momento, mi sembrò di sentire grande calore nel mio petto.

«Si, figlio mio… si.»

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«No. Non ce la posso fare.»

«Ma si che puoi farcela, smettila!» mi disse Crilin, con decisione.

«No, no, no…»

«Urca, come sei nervoso! Dai, ci siamo già passati in tanti, perché non dovresti farcela?» mi disse Goku, cercando nuovamente di tranquillizzarmi.

«Zitto! Me l’hanno raccontato, sai? Tu nemmeno sapevi cosa fosse e cosa implicasse! Sfido che fossi così tranquillo!» gli risposi, con veemenza.

«In ogni caso, la proposta l’hai fatta tu. E sia io che Kakaroth eravamo presenti.» disse Vegeta, appoggiato ad un muro dall’altra parte della stanza.

«Si, ma, ormai sono passati anni… E teoricamente stavo per morire…»

«Ok, ma non puoi tirarti indietro proprio oggi! Oltretutto questo smoking ti sarà costato una fortuna!» disse Yamcha.

«L’ho noleggiato…»

«Adesso non essere pignolo…»

«Basta, adesso! Hai fronteggiato il dr. Gelo, Kreed, Majin Bu, Broly… e hai paura di sposarti?! E non rispondermi, non hai niente da usare contro di me! Quindi adesso ti abbottoni quello smoking, saliamo in macchina e andiamo alla cerimonia!»

Aveva ragione, non ci potevo fare niente.

Presi un profondo respiro, e mi guardai nuovamente allo specchio: lo smoking decisamente non mi si addiceva, come qualunque vestito elegante.

Avrei voluto fare come Vegeta, e presentarmi agli eventi in armatura: era all’apparenza decisamente più comoda.

Tutti quei pensieri non riuscirono comunque a liberarmi la testa da ciò che stava per succedere: ancora qualche ora e io e Pamela ci saremmo sposati. Uniti per sempre. Legati per la vita. Era vero, feci quella proposta sul pianeta dei Kaioshin, nel momento in cui credevo sarei morto, perché non credevo avrei più avuto occasione di chiederglielo. Ma, una volta sopravvissuto, avrei preferito fare le cose con più calma.

“Ma forse, se ci ho pensato proprio in quel momento, era perché lo volevo davvero.”

Quel pensiero mi scosse profondamente: era forse così? Amo Pamela più di ogni altra cosa in questo mondo, la conosco da sempre, siamo sempre stati insieme, anche quando eravamo solo amici.

Forse il matrimonio era solo un nuovo gradino da salire, insieme, e non una svolta per la quale prepararsi.

Fu allora che sentii dentro me una nuova determinazione.

Mi voltai verso Crilin, a cui avevo chiesto di farmi da testimone, e verso tutti gli altri, seduti in vari punti dell’appartamento di Yamcha, che aveva messo a disposizione per prepararmi. Per assurdo, era venuto anche Vegeta: Bulma lo aveva convinto ad unirsi al gruppo, mentre lei aiutava Pamela, costringendolo a fare la stessa cosa con me.

«Andiamo.» dissi, con convinzione, ricevendo come risposta un sorriso pieno di orgoglio dal mio amico.

La guida di Yamcha non fu spericolata, ma riuscimmo ad arrivare in tempo alla cerimonia: la sala era ormai già piena, e nella strada per arrivare all’altare incontrai i sorrisi e gli sguardi d’affetto di tutti, con il pollice alzato del vecchio maestro Muten.

Riconobbi Takeshi, Yuto e molta altra gente del piccolo villaggio: tutti sorridenti e affettuosi come quando li conobbi per la prima volta, quando ero ancora un ragazzino, ancora inconsapevole delle proprie capacità.

Ora invece, vedevano un uomo, in grado di portare dentro di sé la forza più potente dell’universo stesso, pronto a compiere il grande passo assieme alla donna che aveva imparato ad amare.

Oh, comunque, mi piaceva pensare che mi vedessero così.

Vidi Keiichi tra le braccia di C-18, segno che lei sarebbe arrivata tra poco: mi avvicinai a mio figlio e lo presi in braccio, cercando di non rovinare il piccolo vestito elegante che aveva.

«Allora, hai fatto il bravo?»

«Si! Ma con le zie è stato un po’ noioso…» disse, sistemandosi il piccolo papillon rosso «E questo coso mi dà fastidio, papà! Quando torniamo a casa?»

La sua uscita mi fece ridere per un istante: «Presto, campione, presto… Ora però, voglio che tu resti con zia 18 finché non sarà finita la cerimonia, va bene?»

«Si papà!»

«Bravo! Batti il cinque!»

Lui eseguì, e subito dopo lo riaffidai alle cure di C-18 e di Marron, che lo trattava alla stregua di un fratellino minore.

Mi misi in piedi all’altare, Crilin subito al mio fianco: ora non c’era che da attendere.

Non mi resi conto che per il nervosismo non riuscivo a rimanere fermo: se non fosse stato per la stretta che mi sentii al polso, avrei continuato con quella serie di piccoli movimenti spasmodici: mi voltai verso il testimone, che visto l’andazzo avrebbe potuto essere considerato alla stregua di un baby-sitter, e lo guardai con occhi pieni di gratitudine.

«È normale essere nervosi, amico. Si tratta comunque di un bell’impegno. Ma tu più di molti sei quello che dovrebbe farsi meno problemi…» mi disse.

«E come mai, scusa?»

«Vi conoscete benissimo, no?»

«Certo, è da quando siamo bambini che ci conosciamo!»

«La ami, giusto?»

«Si, più di ogni altra cosa al mondo, eccetto mio figlio.»

«Vuoi che siano felici?»

«Ovviamente!»

«E allora dovresti stare tranquillo: hai tutti i requisiti necessari perché questa cosa esca bene. E poi fidati, essere sposati alla fine è una gran bella cosa… se sai di esserlo con la persona giusta: Pamela è la persona giusta?»

«Certo che lo è!»

«Allora piantala di preoccuparti e girati.»

Mi voltai, incuriosito da questo suo comando, per ritrovarmi improvvisamente paralizzato.

Verso l’altare stava camminando un angelo, vestito in un lungo abito bianco, semplice, senza dettagli eccessivi, come chi lo indossava. Camminava piano, tenendo alto lo sguardo, i rossi capelli raccolti in uno chignon.

Aveva scelto di fare il percorso da sola, senza accompagnatore: indipendente, decisa e determinata, come era sempre stata.

E ora stava per diventare mia moglie: francamente, non potevo chiedere nulla di meglio.

Una volta che giunse all’altare, mi voltai a guardarla per un istante: ero rimasto, per una volta nella mia vita, completamente senza parole.

Anzi, me ne vennero solo due: «Sei bellissima.»

«Lo so, grazie.» disse, sogghignando. Ecco che in quel momento rividi la Pamela che conoscevo e amavo, solamente vestita con un elegante abito bianco invece che con la tuta.

Fu allora che, finalmente, ogni tipo di tensione scivolò via da me, mentre la cerimonia stava per iniziare: non c’era altra persona con la quale avrei voluto condividere il resto della mia vita.

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Fu una giornata meravigliosa: il ricevimento avvenne alla Capsule Corporation, e riuscimmo a riempire gran parte del giardino dell’azienda.

Cercai di non bere troppo, anche se l’euforia dei festeggiamenti mi fece comunque trangugiare qualche bicchiere di champagne. Alla fine non fui comunque brillo come altri ospiti, testimone di nozze compreso, che aveva proposto brindisi su brindisi per tutto il pomeriggio.

Takeshi preparò parecchio del suo ramen, che non sfigurò assolutamente nel buffet ricchissimo.

Quando tutto, poi, terminò, ci ritrovammo con una macchina piena di doni, lo stomaco altrettanto pieno e un bimbo addormentato sul sedile posteriore: fui io a guidare, per il semplice fatto che il vestito di Pamela non le permetteva di stare comoda alla guida, quasi un eufemismo. Erano passate diverse ore dalla fine del ricevimento, e dovevo ringraziare il buffet per essere riuscito a smaltire quello che ero riuscito a bere.

Fu anche un momento per far valere quella patente, che presi ormai sette anni fa, ma che non ho mai trovato modo di utilizzare: anzi, tra pochi anni avrei già dovuto pensare a rinnovarla.

Ma non era proprio il caso di mettersi a pensare a quelle cose: questa sera dovevo pensare a mio figlio e a mia moglie, alla mia famiglia.

Quella realizzazione fu qualcosa di meraviglioso.

Ormai dormivano entrambi, mentre prendevo l’uscita verso Pepper Town: avrei dovuto immaginare cosa avrebbe comportato ordinare un buffet di quelle dimensioni. Quasi otto tavoli, pieni di cibarie di ogni genere: ora avevo decisamente sonno anche io, senza tener conto dell’alcool, che però dovevo aver smaltito ormai ore fa.

In quel momento, passammo davanti al cimitero: casa era ormai vicina, ma volli fermarmi lo stesso.

Accostai lungo il marciapiede, e abbassai il finestrino: mi limitai a fissare il cimitero, ormai chiuso, dall’esterno, pensando a quelli che lì dentro erano sepolti.

Mamma, papà… chissà cosa direbbero ora.

Non posso negare che ogni tanto non senta la loro mancanza: delle disgrazie me li hanno portati via, e quelle disgrazie avrebbero potuto essere anche la mia rovina.

Eppure, è forse anche grazie a quelle tragedie, se si è arrivati a questo: e francamente, in questo momento mi sento al settimo cielo.

«C’è qualche problema?» mi chiese un’assonata Pamela, stiracchiandosi.

Mi voltai, preso per un attimo alla sprovvista: «Oh, niente! Non è niente, tesoro… Siamo quasi arrivati, comunque.»

Due svolte, infatti, e fummo a casa: parcheggiai in garage, dopo di che scendemmo dalla macchina. Pamela teneva Keiichi in braccio, il piccolo che dormiva alla grande: ma non potevo comunque prescindere dalle tradizioni.

«Ma che fa-» si interruppe non appena la sollevai, mentre ancora teneva un Keiichi profondamente addormentato tra le braccia.

Le sogghignai mentre iniziavo a fare le scale, e lei non disse nulla, anzi, si accoccolò sulla mia spalla, finché non arrivai a posarla sul divano, dal quale si alzò immediatamente per mettere a letto il piccolo.

Andai immediatamente in camera a cambiarmi: sarei andato domani a restituire lo smoking, ora però avevo solamente voglia di toglierlo. Così feci, indossando immediatamente qualcosa di più comodo, non trovando un pigiama: così mi ritrovai in canotta e bermuda, anche se l’estate era terminata da un bel po’.

Andai alla finestra, la aprii e mi accesi una sigaretta: fu una sensazione piacevolissima in quel momento, non potevo essere più rilassato. Alle mie spalle, sentii entrare Pamela: anche lei aveva deciso di cambiarsi, e dai continui fruscii potei solo immaginare che fatica fosse togliersi quel vestito.

Continuai a fumare, il silenzio che continuava a caratterizzare l’inizio della nostra prima notte di nozze: ma era un silenzio piacevole, un silenzio d’intesa, un silenzio che descriveva perfettamente la pace che sembrava finalmente tornata.

«Vieni a letto, signor Ryder?»

Mi voltai, e vidi che si era sdraiata sul letto, rimanendo con una camicia da notte praticamente trasparente, che faceva intravedere tutto l’intimo nero: la sua posa, poi, non era certo quella di una ragazza assonnata.

«Arrivo subito… signora Ryder.»

E allora mi catapultai su di lei, cercando le sue labbra con forza: e prima che me ne potessi rendere conto, stavamo nuovamente facendo l’amore. Nonostante fossero passati anni dall’ultima volta, quella da cui, peraltro, fu generato Keiichi, fu comunque come se fosse passato un giorno.

Quando finimmo, ci accoccolammo sul letto, stringendoci tra le braccia.

«Mi sei mancato…» mi sussurrò.

«Anche tu…» le risposi.

«Sei sicuro di non voler andare da qualche parte? Per la luna di miele, intendo…»

Mi voltai, per guardarla nuovamente negli occhi: «Per me, la migliore luna di miele sarebbe poter stare tranquillamente in pace con te e Keiichi, per il resto dei nostri giorni. Ma se vuoi proprio andare da qualche parte…»

«No… anche a me sta bene così.» sembrava aver concluso, in realtà proseguì, modificando il suo tono «Anche se… Sarebbe bello andare a sciare, e ho sentito che nella Città del Nord gli alberghi stanno effettuando grandi ribassi sui prezzi…»

Sospirai: avevo già capito come sarebbe andata a finire.

«Si potrebbe fare…»

«Dici che lo possiamo organizzare in così poco tempo?» mi chiese.

«Abbiamo organizzato un matrimonio in un mese, tesoro: credo che una settimana bianca sia decisamente fattibile.»

«Ah, devi ringraziare Bulma: avere amici potenti aiuta…»

«Ma guarda un po’ che furbona!» dissi, ridacchiando.

«Smettila, lo sai che è nostra amica!»

«Ma tu resti comunque una raccomandata!»

«Cretino!» disse, tirandomi uno dei suoi soliti schiaffetti sulla spalla.

A quel punto, la guardai negli occhi per qualche secondo.

«Anche questi mi mancavano…» le dissi, addolcendomi.

«Anche a me…»

A quel punto rimanemmo per qualche istante in silenzio, ognuno stretto tra le braccia dell’altro, poi mi ricordai che si trattava comunque della nostra prima notte…

«Ehi…»

«Che c’è?»

«Ti va un altro giro?»

Il bacio che ricevetti fu una risposta più chiara di qualunque altra potessi ricevere: la ritrovai immediatamente sopra di me, mentre cercava con foga le mie labbra.

La lasciai fare, cercando di godermi ogni attimo.

O almeno, ci provai finché la porta non si aprii, cigolando.

«Mamma… papà…»

Pamela scese immediatamente da me, rimettendosi al suo posto. «Che c’è, tesoro?» gli chiese, dolcemente.

«Ho fatto un brutto sogno… posso dormire nel lettone?»

«Certo tesoro, vieni qua!» gli disse Pamela, e immediatamente ce lo ritrovammo tra di noi.

Più lo guardavo, e più mi sembrava una versione maschile di sua madre, fatta eccezione per gli occhi e i capelli.

«Cos’hai sognato?» gli chiesi, accarezzandogli la testa.

«Quel gigante… quello coi capelli viola… che vi picchiava ancora… e poi mi urlava contro…» disse, iniziando a singhiozzare, e lo sentii stringersi al mio braccio, con forza.

«Shhh… non è reale, piccolo…» gli dissi, stringendolo a mia volta «Papà e mamma sono ancora qui, vedi? E poi, hai visto che lezione ha rifilato papà a quel bruttone, eh?»

«S-Si…»

«Stai tranquillo, tesoro, che comunque vada noi ci saremo sempre per te…» gli disse Pamela.

A quel punto, ci stringemmo tutti e tre, chiusi in un grande abbraccio collettivo: li vidi cadere entrambi in un sonno profondo, prima di chiudere definitivamente gli occhi anch’io, non prima di aver dato un ultimo sguardo alle due persone che dormivano vicino a me. Le persone che ora, mi permettevano dopo anni di poter dire di avere una famiglia.


NOTE DELL’AUTORE
Rieccomi! Questo sarà il primo di una piccola serie di capitoli puramente filler, ma spero di non annoiarvi: avrete ancora capitoli pieni d’azione!

In questo capitolo, e in quelli che seguiranno, cercherò di creare quella tipica atmosfera famigliare tipica delle fasi finali di Dragon Ball, con diverse scene di vita quotidiana, sperando che la cosa risulti abbastanza credibile! Ma l’azione tornerà presto, tra un po’ inizerò finalmente con GT e vi darò una nuova versione di una storia parecchio discussa!

In ogni caso, ogni tipo di recensione è gradita!

Dragon Ball è proprietà di Akira Toriyama.

Alla prossima!

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Capitolo 36
*** Famiglia ***


CAPITOLO TRENTASEIESIMO- FAMIGLIA

2 anni dopo…

«Signora, quello che deve fare è riempirmi questo modulo e poi mettersi in fila a quello sportello…»

«Ma è sicuro di non poter fare nulla?!»

«Gliel’ho già spiegato, signora, per rinnovare la sua patente deve presentare la richiesta a me, ma il modulo lo deve consegnare al mio collega a quello sportello…»

L’anziana sbuffò, compilò il modulo che le porsi e si allontanò, con fare piuttosto irritato: eppure le avrò spiegato la procedura per almeno quattro volte. Non poteva essere colpa mia se questa burocrazia è allucinante, però se siedi dietro uno sportello ti toccherà sempre subire: e certe giornate sanno essere peggio di molti pugni.

Però dovevo farlo: era la promessa che avevo fatto a mia moglie. Me lo ricordo ancora, anche dopo due anni: «Adesso però devi alzare il culo anche tu! Il tempo per gli allenamenti lo troverai!» aveva urlato. E aveva ragione: con un figlio, ora le spese erano aumentate considerevolmente.

Avevamo deciso che lui a scuola ci sarebbe andato: trovare un istituto fu abbastanza semplice, qui in zona di scuole ce ne sono a bizzeffe. Il difficile fu per me trovare un impiego, con un curriculum praticamente vuoto: mi resi conto che forse il metodo di mia moglie, ossia “chiama Bulma” era ancora piuttosto necessario, nonostante mi desse piuttosto fastidio. Ma era tutto per il bene di Keiichi.

Ed eccomi qui, alla motorizzazione di Pepper Town, dietro una vetrata, seduto ad una scrivania piena di scartoffie e moduli prestampati, il turno ormai terminato. Ero francamente esausto.

«Meno male che è venerdì! Vero, Daniel?»

«L’hai detto, Ted!» gli risposi, voltandomi verso la postazione alla mia destra.

«Programmi per il week-end?»

«Beh, stasera ho una festa da amici… poi le solite cose. Tu, invece?»

«Ah, porto la famiglia  due giorni al mare! Città del Sud! Ho trovato un’offerta sensazionale e ne ho approfittato subito! Parto giusto stasera»

«Ah, fai bene! Inizia proprio a far caldo…»

«Infatti! Beh, buon week end!» disse, alzandosi dalla sua poltroncina.

«Altrettanto!»

E così terminò l’ennesima conversazione di routine tra colleghi, una delle tanti susseguitesi negli anni, momenti che non facevano che ricordarmi di come fossi ormai affondato nella routine. Eppure io non ero uno abituato alla routine, alla normalità.

Se solo Ted sapesse chi sono, chi conosco, cosa sono in grado di fare, probabilmente smetterebbe di parlarmi: ormai sappiamo come reagiscono davanti a ciò che non comprendono. Come tutti, preferisco lasciare che adorino il buon mr. Satan: alla fine, sono più soldi che può mettere nell’organizzazione di qualche bel party, come quello che ci sarebbe stato giusto stasera, una rimpatriata che questa volta si sarebbe tenuta nella sua enorme villa.

A quel punto, decisi di alzarmi anch’io: ormai erano dieci minuti che lo sportello era chiuso, eppure ero rimasto lì seduto quasi inconsapevole. Neppure il fatto di appartenere ad una razza di fottuti salutisti mi aiutava a superare lo stress di certe giornate: a casa avrei dovuto meditare, e tanto.

Proprio in quel momento, il telefono vibrò nella mia tasca.

“E adesso che c’è?” mi chiesi, mentre lo tiravo fuori. Sullo schermo vidi il faccione di mia moglie, il che mi fece subito rabbrividire: normalmente non mi chiamava mai a quest’ora se non per delle emergenze. O peggio, per chiedermi dei favori.

Accettai la chiamata, cercando di apparire il più rilassato possibile: «Pronto?»

«Pronto, tesoro? Come va? Tutto bene al lavoro?» disse, con il suo solito tono squillante.

«Si certo, amore, tutto a posto qua… te?»

«Oh, anche a me, adesso sono in città con le ragazze... e mi servirebbe un favore.»

Alla faccia di Baba, a me non serve la sfera di cristallo. Non provai nemmeno a controbattere, era una sconfitta certa. Sospirai: «Va bene, cosa c’è?»

«Puoi andare tu a prendere Keiichi a scuola?»

Pensavo peggio.

«Va bene. Pensi di tornare a casa? Ricorda che dobbiamo andare a Satan City stasera!»

«Tu stai tranquillo, preoccupati di recuperare Keiichi. Ti amo!»

A quel punto, interruppe improvvisamente la chiamata. Non lo trovai un gesto maleducato, ma sospirai comunque: il fatto che fosse in giro con le amiche poteva significare solo una cosa, shopping. E lo shopping implicava per loro una concentrazione maniacale sulle vetrine: quindi una telefonata al marito era già una distrazione di troppo, anche quando era necessaria.

Spero che quantomeno si comprasse qualcosa di carino da mettere stasera.

Uscii dalla motorizzazione, ed estrassi dall’altra tasca un altro oggetto fondamentale. Premetti il pulsante sulla capsula, ed ecco che comparve la mia macchina, uno degli ultimi modelli usciti: una splendida macchina levitante, di un rosso fiammante, leggera e spaziosa per “portare tutto ciò che vuoi nel tempo che tu vuoi”.

Imparare a memoria le pubblicità non mi parve comunque un buon segnale. “Qui c’è proprio bisogno di una sana meditazione” mi dissi, mentre mettevo in moto. Iniziai quindi il mio viaggio verso la scuola di Keiichi, che sfortunatamente si trovava dall’altra parte della città. “Sfortunatamente” era comunque un avverbio per quelli che non amavano guidare quanto lo amassi io, soprattutto con questa macchina.

Quando mi resi conto di essere vicino alla scuola, abbassai un attimo lo sguardo e guardai l’orologio: erano giusto le quattro meno dieci del pomeriggio, dieci minuti all’uscita di mio figlio.

Mi accostai quindi vicino al marciapiede, scesi dalla macchina e la ridussi nuovamente ad una capsula, dopo di che mi incamminai verso l’ingresso della scuola, dove si era già radunata una buona massa di genitori in attesa: rimasi in disparte, attendendo con pazienza.

Finché, soffocato dalle pareti in cemento della scuola, non sentii il suono della campanella. Allora mi spostai, abbastanza per poter essere visto, mentre un’orda di bambini usciva correndo dall’ingresso e si ricongiungeva ai parenti in attesa.

Ne uscirono a bizzeffe, la ressa iniziò a diminuire, eppure Keiichi non si vedeva. Mi preoccupai per un istante e feci per entrare nel giardino della scuola, quando lo vidi: era in compagnia di una ragazza, che avrà avuto si e no qualche anno in più di me. Teneva i capelli raccolti  in una lunga coda di cavallo, e indossava una polo verde acqua, sopra un paio di jeans scuri: doveva essere l’insegnante di mio figlio.

“Ti prego, fa che non abbia combinato nulla…” pensai, mentre il grido “Papà!” mi accoglieva nel giardino dell’istituto: mio figlio, nella sua divisa, pareva avere un’aria tranquilla, come se fosse tutto normale. Sperai con tutto il mio cuore che fosse così.

«Papà, la signora Tanaka vuole parlare con te!» disse, esibendo un sorrisone dei suoi, i capelli scuri spettinati come al solito: a guardarlo con attenzione, era praticamente una mia fotocopia a cinque anni.

«Buongiorno, lei deve essere il padre di Keiichi! Mi aspettavo di incontrare sua moglie…»

Avrei voluto risponderle “anch’io, guardi…”,  e iniziai a sospettare che la mia presenza non fosse casuale, quel pomeriggio. A scagionare Pamela però ci pensò immediatamente l’insegnante stessa: «Sa, normalmente vedo sempre Keiichi andare via con sua madre e quindi pensavo mi sarei ritrovato a parlare con la sua signora. In ogni caso, la sua presenza mi fa comunque piacere: vede, avrei bisogno di scambiare due parole con lei riguardo suo figlio…»

Nonostante avessi constatato la casualità del nostro incontro, le sue ultime parole non mi lasciarono comunque più sereno. «Spero non abbia combinato nulla.» le risposi, volgendo lo sguardo verso Keiichi, che ora mi fissava quasi perplesso.

«Oh no, assolutamente niente, suo figlio è decisamente vivace ma anche molto disciplinato. Ma ci sono certe cose di lui che un po’ mi preoccupano, e mi sono sentita in dovere di riferirle anche a voi, che siete i genitori.»

A quel punto, feci segno a Keiichi che poteva andare a giocare nell’ormai deserta area giochi dell’ampio giardino: presi il suo zaino e lo guardai correre come un ossesso verso la giostra. Mi persi per qualche istante nell’ascoltare le sue risate vivaci, che persi per un attimo la percezione della realtà: così che un colpo di tosse forzato da parte della maestra mi fece sobbalzare.

«Oh, scusi…»

«Non si scusi: suo figlio è veramente un gioiellino.» mi rispose, guardandomi con fare comprensivo «Però…»

Ecco, ci deve sempre essere un “però”.

«Come le ho già detto, suo figlio è uno scolaro ineccepibile: ha sempre tutti i compiti, non è chiassoso, è molto intelligente e creativo. Forse, però, la sua fantasia lo porta un po’ oltre i limiti, e la cosa mi ha un po’ preoccupato.»

La guardai, piuttosto insospettito: «In che senso, scusi?»

«Vede,» proseguì «giusto qualche giorno fa ho assegnato ai ragazzi la scrittura di un esperienza eccitante vissuta in famiglia: normalmente leggo di giornate passate in posti esotici o nei luna park, ma questo, mai!»

E mentre terminava il suo breve discorso estrasse dalla tasca un foglio, che mi porse: riconobbi la scrittura, ancora piuttosto imprecisa, di mio figlio.

«È francamente assurdo, concorderà con me!» disse, mentre leggevo «Posso comprendere perfettamente l’assenza di parenti di sangue, ma alieni no! Alieni verdi o i cui capelli cambiano colore o le dimensioni aumentano! Guardi, ce n’è per tutti i gusti! Esseri in grado di volare e lanciare colpi energetici! E poi, il tocco finale: lei che arriva e salva tutti trasformandosi in una specie di lucertola o qualcosa di simile…»

Non prese quasi mai fiato mentre parlava, e quando terminò, stava ansimando: io potei perfettamente comprendere il suo disagio. Ma, personalmente, lo trovai quasi comico: perché era esattamente la realtà dei fatti.

Tutto quello che Keiichi aveva, ingenuamente, fatto, era stato descrivere nei dettagli lo scontro con Broly: il che fece tornare anche me a quel giorno, quando la mia vita prese una nuova, positiva svolta e, comunque, di come la monotonia di questa nuova vita mi stesse, al contempo, sfibrando. Poi mi ricordai che avevo comunque una sconcertata insegnante alla quale dovevo delle spiegazioni.

«AH! Eh…. Ha ragione! È decisamente strano!» risposi, evidentemente in imbarazzo «Si sa, è un bambino… che fantasia, eh? Si, semplicemente ha un po’ elaborato quel giorno… in cui… ehm… si, ho scacciato un malintenzionato mentre facevamo campeggio!»

«Ma scusi, da dove pensa possa aver tratto tutte queste cose? Alieni, mostri, combattimenti…»

«Oh, penso sia la televisione: credo che tutte quelle storie su Cell lo abbiano influenzato parecchio. Provvederò io stesso perché inizi a leggere più libri!»

«E lei che diventa una lucertola, come lo spiega, scusi?»

A quel punto rimasi per qualche secondo in silenzio, tornando a fissare il foglio mentre mi sforzavo per inventare una storia.

«Ehm… È che… Ecco… Avevo addosso… il costume da Godzilla!»

«Costume da Godzilla?»

«SI! SI! Il costume da Godzilla! Sa, ai ragazzi piace tanto, quando organizziamo queste giornate mi piace, ehm… farli divertire!»

«Oh… beh, se le cose stanno così, credo di poter stare tranquilla…»

«Ma certo che può stare tranquilla! Non ha nulla di cui preoccuparsi! La ringrazio comunque per avermene parlato!» dissi frettolosamente, cercando di sbrigrare immediatamente quell’imbarazzante pratica.

«Keiichi! Andiamo!» gridai a mio figlio, che prese immediatamente a correre nella mia direzione, poi mi voltai verso la sua maestra «Arrivederci, signora Tanaka!»

Quindi presi Keiichi per mano e mi diressi fuori dal complesso scolastico, e non appena fummo in strada, tirai immediatamente fuori la capsula che conteneva la macchina. Quando fummo entrambi in macchina, posai il suo zaino sui sedili posteriori e misi immediatamente in moto.

Dopo qualche minuto di silenzio, Keiichi mi fece la domanda che mi aspettavo: «Cosa voleva dirti la signora Tanaka, papà?»

Sospirai, pensando a come elaborare un discorso sensato per un bambino di ancora cinque anni, e trovare comunque la concentrazione per guidare.

«Vedi, la tua maestra mi ha fatto leggere il tuo tema… quello sull’esperienza di famiglia…»

«UH! Ti è piaciuto?»

«Si… sei stato bravo…» dissi, smorzando un sorriso «Però, figliolo, forse sei stato TROPPO bravo…»

«E perché non mi sembri felice?» disse, con un tono che non nascondeva un pizzico di delusione.

«No… Non è per quello… Ok, io, tuo zio Goku, lo zio Vegeta, zio Crilin, Gohan, Trunks, Goten… siamo tutti molto potenti, giusto?»

«Si!»

«E ti sarai accorto che non tutti sono come noi, giusto?»

«Eccome! Voi siete i più forti dell’universo!»

«Vero… Ma devi capire che… ehm, non tutti sono forti come noi, e… ecco… potrebbero essere un po’ invidiosi!»

«E quindi?»

«Quindi non voglio che tu vada in giro a parlare di quello che facciamo o siamo in grado di fare. Alcuni potrebbero, diciamo, spaventarsi ed arrabbiarsi con noi.»

«Ma tu potresti liberartene facilmente, papà!»

«Si… ma non sarebbe giusto!»

«Uff…»

«Mi prometti che non parlerai più in giro di queste cose?»

«Oh… va bene, ma a me sembra stupido…» disse, incrociando le braccia e piegandosi nel sedile. Con un sbuffo pose definitivamente fine a quella breve ma pesante conversazione.

Dopo qualche minuto, arrivammo nei pressi del nostro condominio. Una volta parcheggiato, rientrammo entrambi in casa, per scoprire che Pamela era già rientrata da qualche minuto, per mia grande sorpresa.

«Dove siete stati?» chiese, improvvisamente.

«La signora Tanaka ha voluto parlare con papà!» gli disse, con il solito entusiasmo, Keiichi. Allora mia moglie mi guardò sorpresa, e potei immediatamente immaginare cosa stesse pensando.

«Non ti preoccupare… Keiichi, va pure a fare merenda e inizia a prepararti, dobbiamo partire tra poco!»

Non se lo fece ripetere due volte, e corse in cucina come un razzo. Mi voltai allora verso Pamela e le raccontai tutto: alla fine, anche lei si mise a ridere.

«Spero non ne combini un’altra del genere… sarà difficile trovare altre scuse plausibili…» dissi, sospirando.

«Beh, nel caso, oggi ho visto un bel negozio di costumi e articoli per le feste… forse un costume da Godzilla lo possiamo rimediare!» mi disse, stuzzicandomi con il gomito.

«Piuttosto, quanto hai spe… ehm, cos’hai comprato?»

«Oh, cosucce… un vestito, qualche accessorio…»

Sospirai per l’ennesima volta in quella giornata, a pensare che forse il trovarmi un lavoro serviva anche a garantirle certi vizi.

«Ah, ho preso una bella camicia anche per te!» disse, improvvisamente, risollevando per qualche istante il mio morale e stimolando la mia curiosità.

«Davvero? Dove l’hai messa?» le chiesi, mentre la vidi recarsi in bagno, probabilmente per vedere quali danni stese facendo nostro figlio, che vi era corso immediatamente dopo aver concluso la sua merenda o, guardando come fosse ridotto il suo viso, la sua “immersione nel cioccolato”.

«È nel sacchetto sul nostro letto!» rispose, frettolosamente.

Aprii allora la porta di camera nostra, e a quel punto sgranai gli occhi: davanti a me si apriva una gigantesca distesa di sacchetti, di cui almeno una decina erano posati sul letto.

Forse, se mi avessero dato uno zeni per ogni sospiro fatto fino a quel momento, forse avrei avuto abbastanza denaro per poter pagare tutta quella roba senza dover sentir piangere il nostro conto in banca.

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Il viaggio fu, tutto sommato, tranquillo. Il traffico fu, incredibilmente per un venerdì sera, scorrevole, il che mi permise di non imprecare davanti al bambino sul fatto che “ci si poteva andare volando!”.

Una volta giunti a Satan City, trovare la villa di mr. Satan fu un gioco da ragazzi: era forse ormai il luogo simbolo della città stessa.

Lasciai Pamela e Keiichi all’ingresso, e andai a cercare un posto comodo dove potermi fermare per poter incapsulare la macchina. Una volta trovato un buco in quella zona incredibilmente trafficata (e soprattutto piena di auto parcheggiate ai lati, evidentemente non prodotte dai Brief) scesi e mi bastò premere un pulsantino per poter trasformare quel bolide in quel piccolo oggetto a forma di pillola, che mi misi rapidamente in tasca.

«Ci siamo fatti la macchina nuova, eh?» disse improvvisamente una voce alle mie spalle.

«Yamcha! Come stai, amico? Non ci si vede da un sacco!»

Lo abbracciai senza pensarci due volte: tra tutti, era quello che vedevo effettivamente meno di tutti gli altri, escludendo Tensing e Reef, che continuavano a condurre la loro esistenza eremitica.

«Non è da solo, sai?» disse improvvisamente un’altra vocina molto familiare, che riconobbi immediatamente.

«Ciao anche a te, Puar! Allora, come ve la passate?»

«Ah, per ora non ci lamentiamo,» disse, mentre iniziavamo a camminare verso la reggia del campione del mondo «adesso devo vedere se riesco a trovare un nuovo impiego nel baseball, ormai sono tre anni che mi sono definitivamente ritirato. Tu piuttosto, mi sembra che non te la stia passando malaccio, eh?»

«Se ti riferisci alla macchina, è solamente il frutto del duro lavoro… e di qualche conoscenza giusta!»

A quel punto scoppiammo tutti e tre a ridere, mentre entravamo nel cortile di reggia Satan, dove quello che doveva essere uno dei suoi numerosi maggiordomi ci accolse con fare decisamente pomposo: «Buonasera, gentili signori: il mio padrone, mr. Satan, vi dà il benvenuto. Se volete seguirmi, vi accompagnerò dove si tiene il banchetto.»

Mentre lo seguivo iniziai a sentirmi a disagio: se doveva essere una serata di gala, mi sarei messo qualcosa di diverso rispetto ad una camicia bianca (ancora nuova) e un paio di jeans. Ma poi non appena entrammo nel grande salone, i volti sereni della compagnia mi fecero immediatamente sentire a mio agio.

«Ehilà gente!» dissi, sedendomi di fianco a mia moglie.

«Come mai sei entrato così tardi?» mi domandò Gohan.

Io sorseggiai dal mio bicchiere un sorso d’acqua prima di rispondergli: «È stata dura trovare un buco per poter incapsulare tranquillamente la macchina… Piuttosto, tuo padre dov’è?»

«Oh, lui è ad allenarsi… anche questa volta.» mi rispose mestamente «Meno male che non l’hai chiesto alla mamma! Non fa che rimarcargli come anche tu ti sei messo a lavorare!»

A quel punto volsi lo sguardo verso Chichi, dall’altra parte del tavolo, che teneva in braccio una piccola bambina dai capelli scuri: la piccola Pan. Vicino a lei Bulma, anch’essa con in braccio una piccola bambina, Bra, la neonata di casa Brief.

«Che a proposito, ormai è passato già qualche mese, come ti trovi a lavorare?» mi chiese Crilin, seduto in fronte a me.

«Domanda di riserva?» gli risposi, affondando nella sedia «Insomma, non è che non mi piace, i colleghi sono simpatici, il compito non è gravoso, ma certa gente tende a darti delle motivazioni per lasciar tranquillamente distruggere il pianeta al prossimo pazzo che apparirà.»

Alla mia risposta si lasciarono andare a delle sane risate, che mi fecero sentire nuovamente molto sollevato. Sentii poi dei piccoli tocchi sulla mia spalla: mi voltai per ritrovarmi Marron che mi guardava con un sorrisone.

«Zio, grazie mille per il regalo!» disse, mostrando orgogliosa un paio di orecchini che non avevo mai visto in vita mia, al che mi voltai verso Pamela che mi guardò con uno sguardo innocente.

«Figurati, tesorino! Ancora buon compleanno!» le risposi, cercando di non smorzare il suo entusiasmo: allora mi ritrovai le sue braccia attorno al collo, e mi lasciò un bacio sulla guancia, prima di tornare al suo posto, di fianco a sua madre. Il suo compleanno fu giusto una settimana fa, ma evidentemente Pamela aveva optato per un altro regalo, tardivo, del quale non ero assolutamente a conoscenza.

«E questo quanto ci sarebbe venuto a costare?» le chiesi, sottovoce.

«Non ti preoccupare, e poi, se proprio vuoi saperlo, non sono molto costosi. E poi ha insistito tanto!»

Mi voltai verso il piatto, e tra i sorrisi solidali dei miei amici lì presenti, decisi di concedermi il primo e ultimo bicchiere di vino della serata. Quantomeno, il calore dell’alcol lungo il mio esofago mi fece rilassare, e parecchio.

Girai lo sguardo, guardando con attenzione la tavolata. Erano effettivamente venuti tutti, tranne Goku: vidi Vegeta, silenzioso di fianco alla moglie, così come Piccolo, seduto vicino a Popo e Dende.

Vidi qualche posto vuoto: erano quelli dei ragazzi. Alzai un attimo lo sguardo e vidi Goten e Trunks, seduti su uno dei lussuosi divani della sala, che intrattenevano Keiichi facendo dei giochi col ki, facendolo applaudire divertito.

Mi fece tornare in mente me alla sua età, affascinato da tutto quello che era legato al mondo nel quale oggi sono perfettamente integrato. Io, ai tempi, potevo concepire a malapena una kamehameha; lui, al contrario, era aveva già vissuto esperienze devastanti e incontrato esseri dalla potenza inimmaginabile.

Ma ne era rimasto affascinato esattamente come me: e allora mi tornò in mente fu proprio alla sua età che mio padre iniziò ad allenarmi.

«A che stai pensando?»

Quella voce mi fece sobbalzare: era già la seconda volta in quella giornata, ed ogni volta Keiichi c’entrava in qualche modo. Mi voltai verso la fonte della voce, e vidi Crilin che mi guardava: sembrava un po’ preoccupato. Notai che tutti in quella parte del tavolo mi stavano guardando allo stesso modo.

«Oh, scusate, mi sono perso un attimo…»

«Mi sembravi piuttosto preso… c’è qualcosa che ti preoccupa?» mi chiese Videl, molto gentilmente.

«Non è niente di particolare, in realtà… guardavo Keiichi e la mente mi è tornata a parecchi anni fa… ventiquattro, per essere precisi.» dissi, sogghignando verso Pamela.

«Ah, quel torneo mondiale! Bei tempi, eh?» disse Yamcha «Ai tempi eri ancora un mocciosetto entusiasta nel veder combattere la gente! E pensare che ora hai già famiglia… e io ho quasi cinquant’anni…»

A quel punto scoppiai a ridere: «Ma non abbatterti, amico! Il punto non è questo…»

«E quale sarebbe scusa? Adesso sono curiosa.» disse improvvisamente Pamela, al mio fianco.

«Ti ricordi cosa successe, dopo quel torneo?»

A quel punto sgranò gli occhi, realizzando improvvisamente cosa intendessi. Allora le sorrisi affettuosamente, e lei ricambiò, entrambi evidentemente  immersi nei ricordi.

«Scusate ragazzi, ma noi purtroppo non abbiamo ben inteso!» disse Crilin, interrompendo il bel momento. Presi fiato prima di rispondere, come dovessi dare una sentenza, ed effettivamente lo era: la vita di mio figlio avrebbe preso una svolta radicale.

«Credo sia il caso di iniziare l’addestramento di Keiichi.» dissi, davanti a tutti.

«Ma è una grande notizia questa!» disse, entusiasta, Crilin «Allora te lo dico fin da subito, se mai dovessi aver bisogno di una mano, io sono ancora disponibile!»

A quel punto però C-18 lo squadrò per un istante, prima di sentenziare: «Caro, sei a malapena ancora in grado di lanciare un Kienzan.»

Al che scoppiammo tutti a ridere, vedendo l’espressione sconfitta che assunse il nostro amico, che comunque fu lesto a ribattere: «Voi ridete ma credetemi, ci so ancora fare!»

«Lo sappiamo Crilin, tranquillo, non scaldarti!» gli disse Gohan.

A quel punto, la serata proseguì tra chiacchiere e risate, con il mio sguardo che ogni tanto cadeva sul ragazzino che si divertiva a osservare i grandi, e mi immaginavo come sarebbe stata la sua faccia una volta che gli avrei detto cosa stavamo per iniziare.

Mi resi conto solo in quel momento di quanto mi stessi godendo quella serata.


NOTE DELL’AUTORE
Ehilà bella gente! Ho deciso di lasciarvi un altro capitolo, molto tranquillo, mentre io tranquillo non sono per niente…

Giusto per farvi capire come in questi capitoli abbia poco da scrivere nelle note dell’autore, talmente è normale la situazione: ma le storie, soprattutto quelle lunghe, vivono anche di questi momenti, giusto? Questo sarà il primo di una breve serie di capitoli con questi toni, prima che l’azione ritorni, con prepotenza!

Nel frattempo, se volete lasciare una recensione, ogni tipo di opinione è ben accetta dal sottoscritto!

Dragon Ball è proprietà di Akira Toriyama.

Alla prossima!

P.S. Ogni citazione di lucertoloni radiottivi frutto della fantasia è volutamente cercata: io adoro Godzilla.

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Capitolo 37
*** Di padre in figlio ***


CAPITOLO TRENTASETTESIMO- DI PADRE IN FIGLIO

La sveglia suonò, implacabile, alle sei esatte.

La spensi più velocemente che potei, in modo da non svegliare un’ancora dormiente Pamela: in fondo era comunque un sabato mattina, dopo cinque giorni di lavoro mi parve decisamente scortese, per usare un eufemismo, svegliarla così. Fortunatamente, ieri sera aveva alzato un po’ il gomito, e dormiva piuttosto profondamente.

Scesi dal letto e mi diedi una sciacquata veloce in bagno, per poi tornare silenziosamente in camera. Andai verso l’armadio, dal quale estrassi degli indumenti non banali, legati a ricordi indissolubili: quella tuta biancorossa era stata una compagna di vita. Sul retro si poteva vedere chiaramente il simbolo del Supremo. Ovviamente, non era la stessa tuta con la quale iniziai il mio addestramento anni fa, ma era comunque un oggetto dal quale non mi sarei mai separato, anche al costo di farmene dare sempre di nuove.

La indossai rapidamente, e dopo aver impacchettato qualche cosa da mettere sotto i denti, aprii la porta di un’altra camera da letto, dove un bimbo dormiva profondamente nel suo letto.

«Sveglia, sveglia!» dissi, scuotendolo un attimo, ricevendo un paio di mugugni come risposta.

«Keiichi! Sveglia!» dissi, questa volta con più forza, costringendolo ad aprire gli occhi.

«P-Papà… cosa c’è?...» disse, nel bel mezzo di uno sbadiglio.

«Alzati e vestiti, dobbiamo andare.» gli dissi con fermezza, ricevendo uno sguardo perplesso e comunque piuttosto assonnato come risposta. «Metti le stesse cose che metteresti per l’ora di ginnastica, capito?»

Mi annuì lentamente, ancora piuttosto assonnato, al che chiusi la porta e andai a prenderci qualcosa per la colazione: afferrate due mele, lo aspettai all’ingresso del nostro appartamento. Arrivò che ancora si stropicciava un po’ gli occhi, e il primo morso che diede alla mela non fu dei più convinti.

«Ma dove dobbiamo andare, papà? La mamma non viene?» mi chiese, con lo stesso tono assonnato.

«Lo scoprirai presto. Andiamo ora!» dissi, prima di uscire. Vidi però che stava per prendere la scala che andava verso il basso.

«Dove credi di andare?» gli dissi, prima di fargli cenno di seguirmi sul tetto. Lui, piuttosto perplesso, mi seguì, mentre terminava la sua mela. Una volta raggiunto il tetto del condominio, mi voltai verso di lui, e dissi: «Se pensavi di viaggiare in macchina, ti sbagliavi: adesso sali sulle mie spalle.»

Mi piegai sulle ginocchia per facilitargli il compito. «Questo credo ti sveglierà.» dissi, prima di lanciarmi a tutta velocità verso l’alto. Sentii la sua presa stringersi improvvisamente sui miei vestiti, mentre lasciava cadere il torsolo della mela. Raggiunto il livello delle nuvole, mi fermai, e potei sentire il suo respiro piuttosto affannoso: doveva essere stato un gran bello spavento.

«Tutto bene?» gli chiesi.

«NON FARLO PIÙ! Non mi piace!» mi disse, piuttosto irritato.

«Tranquillo, è stata la prima e ultima volta. Ora però, dobbiamo andare.»

Presi quindi il volo, più tranquillamente, verso un’altra zona della città: una zona che per anni era stata casa mia. Quando poi iniziai a sorvolare il bosco, la cercai spasmodicamente con lo sguardo finché non la vidi: atterrai in mezzo all’erba, che in quel posto sembrava non crescere veramente mai.

Non appena atterrai, mi fermai un attimo mentre i ricordi mi inondavano la mente. A quel posto erano legati passaggi fondamentali della mia vita, e in quel momento mi parve di riviverli tutti, ancora una volta: il giorno in cui mio padre iniziò ad allenare me e Pamela; il giorno in cui il suo addestramento terminò, e andai a vivere alla Kame House; il giorno in cui mi guadagnai il suo rispetto come guerriero, quando lo superai definitivamente.

Ma anche il giorno in cui mi lasciò.

Il giorno in cui ritrovai i suoi vestiti, quelli di mamma, quelli di Kira, vuoti, abbandonati, segno del passaggio di quel mostro di Cell, la definitiva vendetta di quel bastardo del dr. Gelo.

Il giorno in cui Doomshiku smise di essere solamente un incubo d’infanzia.

«Papà?»

La vocina mi colse di soprassalto, facendomi ritornare nuovamente concentrato sul presente. Mi voltai, per incontrare lo sguardo perplesso di mio figlio, che nel frattempo era sceso dalle mie spalle.

«Va tutto bene, papà?» mi chiese, piegando leggermente la testa di lato.

Io continuai a guardarlo, e in quel momento potei sentire una sensazione di forte calore riempirmi il petto.

«Si… Si, Keiichi, va tutto bene, tranquillo.» gli risposi, e il suo sorriso non fece che aumentare quella meravigliosa sensazione. In quel momento compresi come, in quel momento, un nuovo ricordo si stava aggiungendo alla collezione: quello di un nuovo inizio, di una nuova generazione di Ryder, che nonostante tutto quello che avevano attraversato, c’erano ancora,  e saranno sempre pronti a combattere.

«Wow, che strano posto!» disse Keiichi, quando poté osservare per la prima volta la piccola radura circolare che mi era così familiare.

Ed ecco, che i ricordi tornarono, in quel momento, ad essere ciò che erano sempre stati, e mi concentrai nuovamente sul motivo per il quale, questa mattina, avevo portato qui Keiichi.

«Lo percepisci anche tu? Bene, perché prima di spiegarti perché siamo qui, dobbiamo meditare, visto che non l’abbiamo ancora fatto, ok?» gli dissi, mentre mi mettevo seduto a gambe incrociate sull’erba. Lui non se lo fece ripetere due volte, e si mise seduto a sua volta.

In un attimo, i nostri respiri si sincronizzarono, e iniziò la nostra meditazione: in un attimo fummo raggiunti dalle tracce di energia vitale di tutta la zona. La foresta, come ogni giorno, era una vera e proprio tempesta di percezioni.

Non che non fossi ormai abituato a quelle che erano le percezioni di quella zona, erano tutte familiari a miei sensi, comprese quelle della comunità di dinosauri stanziatasi in queste zone da appena qualche anno, un evento per questi territori: ma meditare in questa radura era sempre speciale, le percezioni arrivavano da ogni dove ed erano tutte chiare e facilmente identificabili.

Era come un punto di convergenza, nel quale tutti i flussi di energia si univano in un unico grande insieme, che permetteva una completa armonia con tutto l’ambiente intorno a noi.

Quando mi accorsi che era già passato qualche minuto, decisi di interrompere la nostra meditazione: Keiichi ne uscì sobbalzando, cosa che mi fece sorridere sul momento, pensando a quello che capitava anche a me quando avevo la sua età.

“Però, a me capitava perché ero in grado di raggiungere una connessione così forte con il flusso da perdere la concezione di me stesso, cosa dovuta alla mia grande energia… mi chiedo perché Keiichi abbia le stesse reazioni” pensai, ricordandomi che comunque quella non era la prima volta che gli succedeva. Ma non diedi troppa corda a quel pensiero: Keiichi era un hatwa normalissimo, forse ancora inesperto nella meditazione.

«Allora figliolo,» gli dissi, con forza «perché credi ti abbia svegliato così presto e portato qua?»

Lui assunse un’espressione pensierosa, mentre avvicinava il pugno chiuso alla bocca, come se volesse farmi credere di sapere la risposta. Infatti, poco dopo, disse: «Non lo so, papà.»

Lo guardai affettuosamente, prima di cominciare il mio breve discorsetto: «Qui, il tuo bisnonno ha allenato tuo nonno, e tuo nonno ha allenato me e tua madre. E qui, oggi, io inizierò ad allenare te.»

I suoi occhi si illuminarono per un istante, finché non saltò con il pugno verso l’alto, gridando: «SI!»

«Ehi ehi, frena l’entusiasmo: voglio che tu sappia che non sarà semplice. Voglio sapere se è quello che vuoi, perché nel caso non c’è nessun problema.»

«Scherzi, papà? Lo voglio assolutamente!» disse, elargendomi l’ennesimo sorrisone «Voglio diventare forte come tutti voi altri!»

«Lo immaginavo.» gli risposi, con maggiore calma.

Mi soprese vedere quanto somigliava a me e a sua madre: le mi ambizioni, il suo temperamento. Forse era il caso, quindi, di dare il via alle danze.

«Bene, allora, inizieremo con alcune kata. Sai cos’è una kata?»

I movimenti laterali del capo mi fecero realizzare che cosa gli era mancato rispetto al sottoscritto: una passione per un mondo precluso, nel quale lui invece era nato e cresciuto.

«Le kata sono i movimenti base del combattimento: da esse, poi, possiamo sviluppare nuovi colpi, mosse, perfino nuovi stili di lotta. Ma senza le fondamenta, ogni casa crolla, giusto?»

A quel punto, gli mostrai quegli stessi movimenti, che un tempo mio padre spiegò a me. Gli spiegai come dovesse essere in armonia con il flusso di energia circostante per poter imparare ad eseguirle al meglio.

Provò una, due, tre volte, e in tutti i casi finì con il sedere per terra. Mi sorprese comunque la sua concentrazione: normalmente era un ragazzo vivace, sorridente e attivo, ma in quel momento sembrava un’altra persona, dalla serietà che ci stava mettendo.

«Ok, basta così, per adesso!» gli dissi, mentre si rimetteva in piedi un’altra volta «Adesso ci dedicheremo al lavoro fisico: seguimi.»

Lo condussi fino all’imbocco di un familiare sentiero, o almeno, lo era per me. «Le istruzioni sono le stesse: seguimi, e stai al passo.»

Allora iniziai a correre lungo il sentiero a tutta velocita: mi voltai giusto un secondo, per vedere che Keiichi aveva recepito la cosa al volo, e mi stava seguendo a razzo. Allora proseguii, senza più voltarmi, lungo quel sentiero che per un anno rappresentò una vera tortura, sia per me che per sua madre.

Nonostante fossero passati anni, ricordavo perfettamente ogni ostacolo, dalla più nascosta radice alla buca più larga e profonda. Dopo qualche minuto potei sentire che l’aria si faceva più rarefatta, e il paesaggio più spoglio: non mancava molto, per niente.

Quando poi arrivai allo spiazzo in mezzo ai monti, sentii immediatamente dei passi più piccoli e rapidi immediatamente dietro di me: su questo fu decisamente più bravo dei suoi genitori, ma ne uscì decisamente più stanco.

«Riposati pure qualche minuto, ti servirà.» gli dissi.

«Papà, io posso fare tutto, ma questo è necessario perché diventi forte come voi?»

Mi voltai, guardandolo negli occhi. «Questo, e molto di più, figlio di mio, se vuoi anche solo sfiorare i livelli di Goten e Trunks.»

«Allora lo farò! Farò tutto quello che mi dirai di fare!» disse, rialzandosi improvvisamente in piedi.

Sorrisi affettuosamente tra me e me, e mi sedetti sul bordo dello strapiombo. «Vieni qua un attimo.» gli dissi, dando dei colpetti al terreno al mio fianco.

Keiichi si sedette al mio fianco, e rimanemmo in silenzio per qualche istante. Presi un profondo respiro, poi gli chiesi: «Bello il panorama, eh?»

Lui annuì, sorridendo come sempre. Allora proseguii: «Questo è quello che tuo nonno fece vedere a me e a tua madre il nostro primo giorno di addestramento: quello che lui voleva dirci, era che ogni cosa ha a che fare con qualcosa di più grande: la stessa montagna, sulla quale noi siamo seduti, si sente minuscola quando guarda al cielo.»

Lui mi ascoltava, incantato, mentre gli parlavo: «Tuo nonno ci spronava a non arrenderci mai, a capire che nessun ostacolo è impossibile da superare: infatti mi piace vederti così determinato, figlio mio. Ma c’è una cosa che voglio tu comprenda.»

A quel punto mi guardò, sospettoso, e mi venne un peso al cuore per quello che stavo per dirgli: l’ultima cosa che volevo era quella di dargli un dispiacere.

«Vedi, il nonno ci spiegava che era importante prendere coscienza dei propri limiti, quando si trattava di doverli superare: però, ai tempi, nessuno era a conoscenza dei saiyan, Keiichi. E quindi, non voglio che tu parta con il presupposto di diventare quello che non sei: noi siamo hatwa, non siamo una razza guerriera. Possiamo diventare degli abili combattenti, ma non ai loro livelli.»

Lui rimase per un attimo basito, prima di pormi una pesantissima domanda: «E allora tu, papà? Come hai fatto?»

A quel punto, fui io a rimanere di sasso: a Keiichi era stato spiegato di appartenere ad una razza aliena, ma non cosa fosse sopito dentro il suo vecchio. E non ero preparato a rispondere, non credo lo sarò mai, in realtà.

Fui costretto ad improvvisare, cercando di non mortificare anche le sue ultime briciole di entusiasmo: «Vedi, Keiichi, anch’io mi sono applicato molto, in tutta la mia vita. Ma in più, ho… qualcosa, dentro di me, che mi permette di essere quasi più forte di tutti i saiyan. Ma è una cosa che è capitata solo a papà, e che non ti auguro assolutamente.»

Fu allora che la delusione fu evidente sul suo viso, e mi si spezzò il cuore a vederlo così già il primo giorno: rimediare era d’obbligo.

«Con questo, non voglio dirti che non diventerai forte: imparerai anche tu ad utilizzare il tuo ki e a combattere come gli altri. Tu hai poi un grande temperamento, che ti renderà un avversario ostico per chiunque. Prima di tutto, devi diventare un guerriero: e un guerriero non si giudica solo dalla sua forza e potenza, ma anche dal suo cuore, dal suo carattere, dal suo temperamento: ed è per questo che io non voglio tu perda il tuo entusiasmo. Voglio che tu impari a non arrenderti mai, di fronte a qualunque situazione e ostacolo, e a migliorarti sempre e comunque, perché l’allenamento di un guerriero non finisce mai, e non avviene solo tramite l’allenamento del fisico. Ti è chiara questa cosa?»

Ci guardammo negli occhi per pochi istanti, ma a me parvero una vera eternità: la sua espressione era ora impercettibile, finché non si allargò nuovamente in un sorriso affettuoso.

«Tutto chiaro, papà.»

A quel punto, gli cinsi le spalle col mio braccio e lo strinsi a me, entrambi i nostri sguardi che ora ammiravano il panorama di fronte a noi.

Dopo qualche istante di silenzio, volsi lo sguardo verso il grande lago Shoen, e mi sorse un dubbio, che gli girai: «Ti ho mai portato al lago Shoen, Keiichi?»

«No papà!»

«Uhm, allora quando sarai più preparato andremo a fare una sessione laggiù, ti andrebbe?»

«Eccome!» mi rispose, con lo stesso entusiasmo che era ora tornato forte come prima, nonostante la chiacchierata di qualche istante fa. Rimanemmo ancora per qualche minuto in contemplazione del panorama, finché non mi resi conto che stavamo perdendo fin troppo tempo.

«È il caso di rimettersi al lavoro, forza!» lo spronai, e lui si mise immediatamente in piedi di fronte a me.

Guardai dietro di lui, e vidi una parete di roccia a cui erano legati altri bellissimi, ma faticosi, ricordi. «Girati.» gli dissi, e mentre guardava il fianco della montagna, gli impartii le istruzioni «Vedi questa parete? Ecco, poco più in alto c’è uno spiazzo come questo, solo un po’ più piccolo: voglio che tu faccia avanti e indietro tra questo e quello spiazzo.»

Si voltò a guardarmi e, contro ogni mia aspettativa, aveva sul volto un’espressione di pura determinazione. «Intendi rimaner fermo lì ancora per molto? Forza!» gli gridai, spronandolo, così che potei vederlo correre verso la parete a gran velocità.

E mentre lo guardavo cercare con rapidità l’appiglio successivo, sentii dentro me un calore nuovo: un calore che da quel momento avrei definito come orgoglio.

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Quando decisi che la giornata era finita, mi caricai un esausto Keiichi sulle spalle, e mi misi lentamente in volo. Volai alto, cercando di non farmi notare: era comunque il tardo pomeriggio di un sabato, in giro c’erano parecchie persone.

Lo sentii poggiare la testa sulla mia nuca, era palesemente molto stanco: oggi, mi aveva mostrato di avere anche lui una vera predisposizione al combattimento. Aveva eseguito ogni esercizio che gli avevo chiesto, senza fiatare, mettendo in mostra delle già ottime doti fisiche. Non aveva fatto che rendermi ancora più orgoglioso.

«Papà, aspetta!»

Mi fermai improvvisamente a mezz’aria, non appena sentii la sua voce squillarmi nell’orecchio. «Che c’è?» gli chiesi, cercando di voltarmi verso di lui, per quanto mi fosse possibile.

«Puoi atterrare quaggiù cinque minuti, per favore?» mi chiese, così che mi ritrovai a guardare verso il basso: quello che vidi mi lasciò decisamente di stucco.

«Vuoi davvero che ci fermiamo qua?»

«Si, cinque minuti!»

Non obbiettai ulteriormente, e atterrai lentamente, cercando di non farmi notare, sul prato che Keiichi mi aveva indicato: il prato del cimitero. Scese di corsa dalle mie spalle e con passo deciso iniziò a serpeggiare tra le lapidi. Io lo seguii più lentamente, consapevole di dove fosse diretto.

Quando raggiunsi il punto, e lo vidi seduto a gambe incrociate, come in contemplazione, capii che la mia deduzione era stata corretta: era andato a cercare le tombe della famiglia.

Mi sedetti al suo fianco, posandogli una mano sulla spalla, e misi anch’io a leggere, per l’ennesima volta, i nomi incisi sulla lapide.

«Era forte il nonno, papà?»

La domanda mi lasciò spiazzato: non mi aveva mai, fino a quel momento, fatto domande sui miei genitori, i suoi nonni. Nemmeno domande su sua zia.

«Beh… Il nonno…»

Ripensai improvvisamente a tutti i momenti passati con loro, la mia famiglia, ma soprattutto con mio padre: ripensai ai suoi insegnamenti, che ora stavo passando a mio figlio; ripensai ai suoi sorrisi, al suo rispetto; ripensai al giorno in cui lo superai definitivamente in potenza, quando non avevo nemmeno tredici anni. Eppure, lui per me sarà sempre un gradino più in alto.

Mi voltai verso Keiichi, che mi guardava, in attesa di una risposta. A quel punto, gli sorrisi affettuosamente, prima di accontentarlo: «Il nonno era, e resterà sempre, uno dei più forti che io abbia mai incontrato.»

A quel punto, sul viso di mio figlio ricomparve un sorriso carico di ammirazione, il suo sguardo che si alternava tra la lapide e il mio viso. Lo strinsi ancora di più a me, e rimanemmo in contemplazione della lapide, la luce del sole del tramonto che si rifletteva sulla lucida pietra.

Finché non mi resi conto che era il tramonto: «Oh cacchio! È tardissimo! Tua madre ci scuoia vivi!»

Ci rialzammo immediatamente, e misi subito in posizione per prendere il volo: ma Keiichi non mi saltò immediatamente in spalla. Mi voltai, e lo vidi in piedi di fronte alla lapide. Posò quindi la mano sull’incisione che recitava: “Damon Ryder (3/8/721- 15/5/767), brillante scienziato e padre devoto, una luce che ci illuminerà sempre”.

«Grazie, nonno.» disse, piano.

Sentii una lacrima scendermi lungo il viso: non ero riuscito a reggere ulteriormente. In quel momento mi sentii ancora più pieno di orgoglio. «Dai, Keiichi, andiamo: tua madre sarà già molto preoccupata.»

Lo potei immediatamente sentire arrampicarsi sulla mia schiena, e a quel punto presi il volo: casa non era molto distante, ma avevo semplicemente una voglia matta di volare, di sentirmi fisicamente al settimo cielo, perché in quel momento era lì che si trovava la mia anima.

Quando poi vidi finalmente il tetto della nostra abitazione, iniziai la discesa, il pensiero già rivolto alla cena che ci aspettava in tavola: mi resi conto solo in quel momento di avere una gran fame.

Finché non sentii Keiichi sporgersi leggermente verso di me: «Papà, e zia Kira com’era?»

Capii immediatamente che le prossime sarebbero state delle lunghissime giornate.


NOTE DELL’AUTORE
I’m finally back, my friends! La lunga assenza è stata purtroppo causata da una grande vicinanza tra i miei impegni, e a certe cose bisogna comunque dare la priorità. Ora ho comunque trovato qualche giorno per poter aggiornare e magari proseguire il mio lavoro sulla storia (anche se sarà comunque un’estate travagliata!)

Come avevo annunciato, ci saranno un bel po’ di capitoli filler, che mi servono da tramite tra le saghe. Questo capitolo, per quanto breve, resta uno dei miei preferiti tra tutti quelli che ho scritto: ho voluto creare un tramite tra le generazioni che spero vi sia piaciuto come è piaciuto a me scriverlo.

Dragon Ball è proprietà di Akira Toriyama.

Buone vacanze a tutti, alla prossima!

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Capitolo 38
*** Andata e ritorno ***


CAPITOLO TRENTOTTESIMO- ANDATA E RITORNO

4 anni dopo…

Il colpo mi raggiunse con forza: lo aveva preparato bene, avrebbe potuto danneggiarmi senza problemi. Ma nonostante ciò, riuscì comunque a pararlo con facilità.

«È questo tutto quello che sai fare?» gli dissi, provocandolo «Sai che non sei ancora riuscito a colpirmi? Coraggio!»

Lo guardai, mentre, in piedi davanti a me, riprendeva fiato, lievemente piegato sulle ginocchia. Avevo deciso di metterlo definitivamente alla prova, ed era già qualche ora che duellavamo. E nonostante non fosse ancora riuscito a colpirmi in alcun modo, ero più che soddisfatto dai risultati che mi stava mostrando: gli ultimi anni di allenamenti stavano mostrando i loro frutti.

Erano passati quattro anni da quando avevamo iniziato: rispetto a come fui allenato da mio padre, per mio figlio scelsi invece un approccio meno intenso, con allenamenti più brevi e meno frequenti.

«Papà, ne abbiamo ancora per molto?» mi chiese, apparentemente ripresosi.

«Finché non sentirò sul mio corpo qualcosa che potrò definire come “colpo”.  Avanti, Keiichi, so che puoi fare meglio di così!» gli dissi, cercando di spronarlo ancora una volta.

Allora si lanciò su di me a tutta velocità, cercando di colpirmi con una lunga serie di calci e pugni, per fermare i quali mi limitai al semplice uso delle braccia. Tra parate e schivate, anche a questo giro non riusciva proprio a colpirmi. Continuai a lasciarlo fare, vedendo quanto impegno ci stesse mettendo, finché non mi accorsi che stavamo raggiungendo gli alberi che circondavano la radura: lì sarebbe stato piuttosto difficoltoso per entrambi.

Decisi quindi di metterlo ulteriormente alla prova, e nel giro di pochi secondi mi ritrovai a levitare a diversi metri dal suolo. Dopo esser salito per qualche decina di metri ancora, volsi il mio sguardo verso il basso: lui mi osservava con gli occhi spalancati, perplesso, e in tutta risposta gli sogghignai.
Ed ecco che decollò anche lui, raggiungendo la mia stessa altitudine  in un battito d’occhio.

Non ci aveva messo molto ad imparare a volare, fu una delle prime cose che gli insegnai non appena ebbe imparato a padroneggiare il suo ki, e dopo un paio di giorni era diventata per lui una cosa quasi naturale: aveva una vera e propria predisposizione per queste cose, forse per come era cresciuto. In ogni caso, non faceva che rendermi enormemente orgoglioso.

Ma i pensieri paterni dovettero subito scemare quando mi accorsi che si stava avvicinando a tutta velocità. Mi accorsi proprio all’ultimo che si era piegato all’indietro, pronto a colpirmi al mento con la suola della sua scarpa.

Mi spostai all’ultimo istante, e riuscii ad evitarlo per un soffio.

Una volta superatomi anche con la testa, però, effettuò una rapida capriola area, e ancora una volta mi vidi costretto a fermare un suo calcio.

«Bravo! Così mi piace!» gli dissi, mentre provava nuovamente a colpirmi con diversi pugni. Al che rilasciai per un istante la mia aura, generando una piccola onda che lo allontanò via di qualche metro.

Con una rapida capriola, si rimise immediatamente in equilibrio, e mi guardò per qualche istante, piuttosto irritato: esattamente la reazione che mi aspettavo.
Si lanciò su di me come una furia, io ero già pronto per difendermi: ma quando arrivò a pochi metri di me, sparì improvvisamente, in un istante. Neanche il tempo di capire cosa fosse successo, che sentii un fortissimo colpo alla schiena, e vidi il terreno avvicinarsi improvvisamente.

Mi rimisi immediatamente in equilibrio, e atterrai dolcemente sull’erba: guardai quindi in alto, dove un finalmente sorridente Keiichi mi guardava con un’espressione soddisfatta.

«Bel colpo, figliolo!» gli dissi, carico d’orgoglio: aveva usato la mia stessa strategia di lotta, che non era esattamente una mia esclusiva, ma era comunque parte integrante del mio modo di lottare. E vedergliela applicare così bene mi rese decisamente orgoglioso.

«Ok, voi due, per oggi può bastare! Dobbiamo andare a prepararci!» disse improvvisamente una voce da dietro gli alberi, anticipando l’arrivo di una corta chioma di un rosso intenso.

«Ma mamma…» disse Keiichi, mentre atterrava.

«Niente “ma”, signorino, avete duellato per quasi due ore! E tra un’ora dobbiamo essere alla Capsule Corporation!»

«Uff…» sbuffò, al che lo raggiunsi e gli cinsi le spalle col mio braccio. «Tua madre ha ragione, non ci sono discussioni. Piuttosto, hai deciso se parteciperai anche tu?» gli chiesi.

Lui si fece improvvisamente pensieroso, ma non ci mise molto a rispondermi: «Non ancora, papà. Credo di essere migliorato molto, ma quest’anno sarà una competizione unica, e ancora non mi sento al livello di quelli che parteciperanno! Almeno, così la vedo io…» mi disse, apparendo comunque piuttosto deluso.

«Beh, saresti comunque tra i più forti in gara!»

«Lo so papà, ma il fatto è… che non devo dimostrare niente a quelli là. Oggi parteciperanno tutti i nostri amici saiyan, e sono tutti decisamente più esperti e preparati di me, compresa Pan!» disse, lasciandomi in un misto tra sorpresa ed irritazione.

«Stai forse dubitando del mio modo di addestrarti?»

«NO! No papà… È solo che vorrei sentirmi realmente competitivo, perché possa giocarmela alla pari con tutti, e credo che mi ci vorrà ancora parecchio tempo. Me lo hai insegnato anche tu, che bisogna esssere comunque consapevoli dei propri limiti!»

A questa sua ultima affermazione, l’orgoglio che sentivo per mio figlio crebbe a dismisura. Lui mi sorrideva innocente, forse non rendendosi conto dell’incredibile saggezza che mi aveva dimostrato.

Mi limitai comunque a sorridergli e a scompigliargli affettuosamente i capelli scuri: «Hai fatto la tua scelta, e io non la contesterò: però sappi che, quantomeno, sei comunque più forte del campione del mondo in carica!»

Rise per un istante di gusto, mentre raggiungevamo Pamela al limitare della radura, e prendemmo tutti e tre il volo verso casa.

«Mamma, credi che zia Chichi potrebbe cucirmi un’altra di queste?» disse Keiichi, girandosi verso Pamela, mentre continuava a levitare nel cielo. Si riferiva alla tuta che indossava per gli allenamenti da qualche mese, bianca e rossa come la mia, che Chichi gli aveva cucito su misura per il suo compleanno.

«Basta che non mi tocchi chiedergli già di rammendarla… l’hai praticamente appena ricevuta!» gli rispose.

Sorrisi pensando ad una Chichi infuriata per aver già rovinato uno dei suoi capolavori.

«Ma no mamma! È solo che dopo un po’ puzza!»

Mi ritrovai così a ridere di gusto, mentre ormai sorvolavamo il centro di Pepper Town.

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«Come mai non vuoi partecipare?» domandò Trunks a Keiichi, seduto di fianco a lui. Vidi che le guance di mio figlio si erano leggermente arrossate: evidentemente la cosa lo metteva comunque in imbarazzo di fronte a quello che per lui era come un fratello maggiore.

Decisi quindi di intervenire: «Anch’io sono rimasto sorpreso, ma resta una scelta ponderata, e la cosa non può che farmi piacere. Ma puoi stare tranquillo, Trunks, che dalla prossima edizione avremo anche lui!»

Scompigliai un po’ i capelli di Keiichi, che tornò a sorridere beatamente. Eravamo seduti sui sedili posteriori dell’aereo dei Briefs, e stavamo tranquillamente chiacchierando del più e del meno mentre volavamo verso l’isola Papaya.

«Adesso però ho qualcosa da chiedere anch’io: è stata una scelta ponderata anche la tua?» mi chiese Vegeta, voltandosi dal sedile del passeggero «O semplicemente dopo tutti questi anni ti sei accorto di essere rimasto indietro rispetto a noi altri?»

Aveva sul volto il suo solito ghigno arrogante, al quale ero comunque abituato: anzi, questo suo atteggiamento mostrava solo quanto fosse ormai completamente a suo agio a stare in mezzo a noi altri. Non era il caso di farglielo notare, ma, per quanto mi riguardava, era diventato un terrestre a tutti gli effetti: di questo, forse, bisognava ringraziare Bra, che vidi in braccio a Pamela mentre osservava l’oceano fuori dal finestrino.

«No, Vegeta, non è per questo… pensa che in tutta la mia vita non ho mai partecipato ad un solo torneo Tenkaichi! Ma ormai, ho perso interesse nella competizione… mi basta ripensare alla faccia di Broly per essere soddisfatto di ciò che ho raggiunto!» dissi, sistemando la mia posizione sul sedile «O alla tua, quando ti salvai la pellaccia contro quel bestione, eh-eh…»

In tutta risposta, ricevetti un ringhio, che mi fece tornare indietro nel tempo quando mi divertivo a stuzzicarlo. Ma non potei non fermarmi un attimo a pensare alle mie ultime affermazioni.

Effettivamente, erano vere: quando avevo saputo di questo torneo, non avevo più provato quello stesso entusiasmo che sentivo anni fa. Il che mi parve strano, ma poi ebbi modo di rifletterci su, pensando che forse non era così necessario prendervi parte: la vidi molto meglio come una vetrina per i ragazzi, un modo per testarsi. Tra tutti, solo Keiichi aveva optato per farsi da parte, oltretutto all’ultimo.

«Più che altro sono curioso di vedere all’opera Pan! Ho saputo che Gohan e Videl le permettono di partecipare!» dissi, sviando la conversazione.

«Proprio così: ed è nettamente la più motivata di tutti, anche più di quel buono a nulla lì dietro!» disse ancora Vegeta, sogghignando, mentre Trunks sospirò.
«Forse è il caso vi prepariate, siamo quasi arrivati!» disse improvvisamente Bulma.

Atterrammo quindi sull’isola, che non vedevo ormai da diversi anni. Mentre scendevo dall’aereo, presi un lungo respiro, come se l’aria di quel posto fosse particolarmente diversa e particolare. E lo era, effettivamente.

«Dove saranno gli altri?» domandò Pamela, mettendo a terra Bra, che andò a prendere la madre per mano.

«Ehi! Laggiù c’è Goten! I Son devono essere là!» disse improvvisamente Trunks, e ci muovemmo immediatamente in quella direzione, per poi effettivamente incontrare la famiglia Son al gran completo: compreso un certo saiyan che ormai evitava di farsi vedere da parecchio tempo, nella sua nuova tuta azzurra.

«Ah, se mancavi anche questa volta avrei veramente iniziato a sospettare che ci odiassi tutti!» gli dissi, avvicinandomi per abbracciarlo, dopo così tanto tempo.

Lui si grattò, come la solito, il retro della sua testa, imbarazzato: «Beh, avete ragione, ma sai che non sono proprio un asso in queste cose, eh-eh…» disse, e potei vedere Chichi assumere un’espressione altrettanto imbarazzata.

A quel punto, ci incamminammo alla ricerca del resto della banda. Vidi Keiichi discutere con Goten e Trunks mentre camminavamo, mentre Pamela discuteva proprio con Chichi, indicando qualche volta mio figlio: probabilmente gli stava parlando della tuta, ma non mi interessò più di tanto.

«Allora, Pan, so che parteciperai al torneo!» dissi alla piccolina che camminava al fianco di Goku.

«Si! Combatterò con il nonno! E vincerò!» disse, mostrando un fervente entusiasmo.

«Ne sono certo, piccolina!» le risposi, massaggiandole la testa.

«Piuttosto, Keiichi non partecipa? Chichi mi aveva detto che lo stavi addestrando…» mi chiese improvvisamente Goku.

«No…» dissi sommessamente, voltandomi verso mio figlio, che sembrava comunque divertirsi un mondo «In quattro anni ha fatto comunque progressi spaventosi. Non lo so, è come se anche lui avesse qualcosa dentro, ma non riesco a percepire nulla. Eppure ha imparato a volare in due giorni, in quattro ha imparato la Tempesta Mortale, e più in là non mi sono spinto: ma credo che per imparare altre tecniche non gli ci vorrà molto tempo, e ha solo nove anni!»

«E quindi, come mai non partecipa?»

«Mi ha detto di non sentirsi pronto, che gli ci vuole ancora allenamento: il che è positivo, ma mi sarebbe piaciuto si mettesse alla prova… ma sono comunque felice che ragioni in questo modo, spero solo non gli ci voglia tutta la vita per potersi sentire “competitivo”» gli risposi, cercando di alleggerire l’atmosfera.

Ci accorgemmo quindi di aver trovato il resto del gruppo: c’erano tutti, ad esclusione di Reef e Tensing. Goku fu costretto a scusarsi anche con loro: aveva perso i contatti perfino con Crilin, quello che doveva essere il suo migliore amico. Dopo gli ultimi saluti, salutammo i partecipanti, che si recarono alla registrazione.

«Una domanda, gente: adesso, però, come lo troviamo posto? Gli spalti sono pieni!» disse Yamcha, spegnendo per un attimo gli entusiasmi di tutti, che si riaccesero quando, poco dopo, un addetto al torneo ci disse di seguirlo: a quanto pareva, mr. Satan era riuscito a procurarci dei posti.

Sarebbe stata una grande notizia, se quei posti non fossero stati proprio sul prato che circondava il ring, poco distanti dall’ingresso dei combattenti. Eravamo tutti piuttosto imbarazzati, mentre tutto il pubblico ci osservava, silenziosamente, cosa che non faceva che aumentare il nostro imbarazzo.

«Ok, ammetto che in molte occasioni mi piace stare al centro della scena, ma così è decisamente esagerato!» commentai sommessamente, facendo ridacchiare Yamcha al mio fianco.

«Ehi, voi! Chi vi credete di essere?!» disse improvvisamente una voce roca. Mi voltai, con tutti gli altri, per vedere un omone scavalcare gli spalti e avvicinarsi a noi.

«Vi conviene spostarvi, qui adesso ci sediamo noi!» disse, mentre lo osservavo: indossava un piccolo gilet di pelle, sproporzionato rispetto alle dimensioni del suo corpo, e dei pantaloni scuri, che terminavano in due grossi stivaloni di pelle. Portava i capelli raccolti in un codino in cima alla testa, come me qualche nano fa, prima di ritornare alla mia solita capigliatura: anche se poco professionale, secondo il mio capo, mi piacevano i capelli lisci piegati verso sinistra, che non avevo mai cambiato da quando Crilin me li tagliò anni fa alla Kame House. Ma questi pensieri furono immediatamente sovrastati dal disgusto nel vedere i suoi baffi, lunghi e apparentemente piuttosto sporchi.

«E perché dovremmo ubbidirti? Tu sai chi sono io?» gli disse Videl, piuttosto irritata.

«No, ma nemmeno tu sai chi sono io! Sono il fratello del prossimo campione del mondo, il grande Mo Kekko! E quelli sono i ragazzi della nostra banda.» disse, indicando un altro gruppo di omaccioni, ancora sugli spalti.

«Pff, lascialo perdere, è solo un altro spaccone.» intervenne improvvisamente Pamela, che con Keiichi si era seduta proprio vicino a Gohan e Videl. Io mi ero messo vicino Yamcha, proprio verso la fine della panca stessa.

«E tu che vuoi, rossa? Hai un viso familiare, potrei averti incontrata qualche sera in strada con la mia banda, allora so bene come farti stare zitta, ah!»

Non so chi avesse incontrato mai quel tizio, di certo non mia moglie: ma quel riferimento mi fece scattare qualcosa dentro, e per sua sfortuna, niente di positivo per lui. Su quella panca tutti, ad eccezione di pochi, avrebbero potuto aprire letteralmente in due questo spaccone, ma tra noi vigeva la regola del basso profilo.

Ma questo se l’era proprio cercata.

Mi alzai in piedi, sentendo subito Yamcha tirarmi la manica della camicia bianca. «Calma…» mi disse, mollando la presa.

«Tranquillo…» gli sussurrai, prima di voltarmi nuovamente verso l’omone «non gli farà troppo male.»

«E ora tu cosa vuoi?» mi disse, mantenendo sempre la sua aria di superiorità. Potevo vedere quanto, fisicamente, fosse nettamente più grosso di me: rovinargli l’esistenza sarebbe stato un gioco da ragazzi.

«Voglio solo che tu ripeta quello che hai appena detto a mia moglie.» gli dissi, ostentando molta rilassatezza. Notai dei commissari che lentamente si stavano avvicinando, che ricevettero però un segno da Videl stessa di rimanere al loro posto.

«Cerchi rogne per caso, moscerino? Comunque si, è una sgualdrina, e adesso ci lasciate questi posti a chi se li merita davvero.» mi rispose, mantenendo la sua solita aria sprezzante, dimostrandomi come non temesse qualsivoglia reazione da parte del sottoscritto.

«Oh, ok, è perfettamente chiaro, ma non ve li daremo. Un’intera banda di ragazzi come te rischierebbe di rompere queste panche!» gli dissi, prima di andare a tastare il legno dove prima ero seduto «Guarda, è legno pregiatissimo! Vi ritrovereste a dover pagare molto!»

«Forse non ti è chiaro con chi hai a che fare, moscerino: io non partecipo al torneo solo perché sono certo della vittoria di mio fratello!»

«Woah! Avete sentito ragazzi, abbiamo a che fare con un guerriero!» dissi, voltandomi verso gli altri, prendendolo evidentemente in giro.

«Spero che qualcuno dei tuoi amici conosca il numero dell’ospedale, perché quando avrò finito con te non sarai più nemmeno in grado di alzare un dito!» gridò, piuttosto irritato.

«Guarda, dovrei averlo segnato su un foglietto nel portafoglio, se aspetti un attimo che lo affido a qualcuno…» dissi, fingendo di frugare nella mia tasca posteriore, il che fece ridacchiare il resto della compagnia.

«ORA BASTA!» gridò, e fece per colpirmi con un pugno. Io lo ricevetti in pieno volto, ma non mi fece niente, come mi aspettavo. Rimasi fermo, le sue nocche contro la mia faccia: più che un pugno quello era stato come ricevere un pizzicotto.

«Hai già cominciato? No perché sono curioso di vederti all’opera!»

Provò a darmi altri pugni, ma il risultato fu sempre lo stesso. Alla fine gli venne il fiatone, e si fermò, guardandomi con aria stupita.

«Sei già stanco? Che delusione… Ma se vuoi posso insegnarti qualcosa che può tornarti utile: hai mai pensato di imparare a volare?»

Al che mi guardò con aria ancora più stupita. Io mi avvicinai ulteriormente a lui: «È facile, guarda, ti mostro come si fa…»

E lo colpii con un pugno al mento che lo scagliò in alto di diverse centinaia di metri, tanto che finì per sparire alla nostra vista. Mi limitai a guardare verso l’alto, così come tutti gli altri.

«Dieci… Nove… Otto… Sette…»

«Tesoro, non hai un pochino esag-» provò a interrompermi Pamela, ma la fermai, con un gesto della mano.

«Sei… Cinque… Quattro… Tre… Due…»

Il suo grido si rifece nuovamente forte mentre si avvicinava rapidamente al suolo, in una caduta perfettamente verticale.

«Uno…»

Dopo pochi istanti, quando mi accorsi che era proprio vicino a schiantarsi a terra, allungai il braccio e lo afferrai per la colletta del gilet, mentre continuava a gridare. Lo avevo fermato proprio a pochi centimetri dal suolo.

Quando smise di gridare, e si accorse di essere ancora vivo, impallidì e cominciò a tremare. Si voltò a guardarmi, e a quel punto i tremori divennero ancora più forti.
«Adesso fai il bravo bimbo, torna dai tuoi amici, e goditi il torneo dai posti che avevi. Siamo intesi?» gli sussurrai, mollando quindi la presa sul gilet. Appena il suo fondoschiena toccò terra, si rimise immediatamente in piedi e corse in fretta e furia verso gli spalti, dove la sua banda lo stava aspettando.

«Credo di aver stabilito un record!» dissi, compiaciuto.

«Quello del minor tempo in cui riuscire a far sentire ulteriormente in imbarazzo la propria consorte? Ti ha visto tutto lo stadio, cretino!» mi sgridò Pamela.

«E allora? Qualcuno si sarà divertito!» dissi, facendo l’occhiolino alla piccola Bra, che applaudiva.

«E meno male che questa situazione ti sembrava “esagerata”» commentò Yamcha, ridendo.

«In ogni caso, credo di poter riuscire a farci trovare degli altri posti, qui proprio non mi piace!» disse quindi Videl, alzandosi per recarsi dai commissari.

Alla fine riuscimmo a trovare dei posti più consoni: sopra l’ingresso dei combattenti, al fresco, con dei divanetti a disposizione. Decisi comunque di rimanere in piedi, mettendomi di fianco a Piccolo.

Quando fu il momento dei sorteggi, Vegeta diede immediatamente sfoggio delle sue qualità, spedendo un irritante combattente dai lunghi capelli lisci contro il divisorio che separava l’arena dalla sala d’attesa dei combattenti.

«Ehi, Pan sta estraendo il suo numero!» indicò Marron, proprio mentre Pan estraeva il numero uno dalla scatola. Non lessi con chi fu sorteggiata: aspettavo solo l’inizio dei giochi.

«Chi vuole una birra?» chiesi, mentre i sorteggi proseguivano. Non l’avessi mai fatto: Bulma, Gohan, Videl, Crilin, C18 e Yamcha risposero affermativamente.
«Ti aiuto io, pà!» mi disse Keiichi, che mi accompagnò verso il bar appena fuori la struttura.

Comprai anche una cola per Keiichi, come premio, e l’appoggiai sul piccolo vassoio che il barista ci aveva gentilmente lasciato. Salire le scale senza rovesciare nulla fu decisamente un’impresa.

«Sbrigati, papà, tocca già a Pan!» mi urlò Keiichi dalla cima delle scale, mettendomi ulteriore fretta. Arrivato miracolosamente in cima alle scale, era effettivamenete arrivato il turno di Pan, annunciata insieme ad un certo Mo Kekko.

«Oh, la cosa si fa piuttosto interessante…» dissi, raccogliendo i sogghigni di tutto il gruppo, perfino di Piccolo, nel vedere il fratello del gradasso di poco fa.

Ovviamente, non durò più di qualche secondo: Pan lo spedì contro il muro con un solo calcio ben diretto, per la nostra esultanza.

«Si vede che la propensione all’umiliazione è una cosa genetica.» commentò sarcastica C18, guardando lo sfidante di Pan portato via in barella.

«Oh, non chiamarla umiliazione: mi piace pensare di avergli dato una lezione di vita.» ribattei.

«Ok, dopo questa confermo che le tue battute non mi mancavano, così come il tuo esibizionismo.» commentò, freddo, il namecciano in piedi alle mie spalle.
«Ti voglio bene anch’io, Piccolo.»

Ovviamente sapevo che comunque non era serio, alla fine eravamo tutti amici lì dentro. C’era veramente un’atmosfera meravigliosa, e la birra che lentamente scendeva lungo la gola non faceva che migliorare queste situazione.

Fu quindi il momento di Goku, che affrontava un certo Ub. Vidi i contendenti avvicinarsi al ring, ed in quel momento ebbi di che sorprendermi: l’avversario di Goku non era che un ragazzino, vestito con qualche straccio, dalla pelle scura. Eppure, emanava un’aura veramente particolare.

«Piccolo…»

«Si, l’ho percepito anche io.» mi rispose, frettolosamente, come se fosse consapevole di altro.

«Anche voi, ragazzi? Allora non sono impazzito.» disse improvvisamente Crilin, aggregandosi.

«Di che diavolo state parlando?!» chiese improvvisamente Bulma.

«Ti senti esclusa?» dissi, sogghignando, ma prima che potessi spiegarle il perché, mi anticipò Gohan: «Quel ragazzino, Ub, ha un’aura piuttosto strana.»

«Beh, deve comunque vedersela con Goku, non credo che gli andrà comunque a finire bene!» ribatté l’azzurra, nell’ennesimo atto di fiducia nei confronti dell’amico di sempre.

«In ogni caso, sono veramente curioso di vederlo all’opera!» disse Yamcha, ponendo fine a tutti i discorsi, riassumendo il pensiero di tutti.
E, in effetti, fu veramente interessante: Ub dimostrò una forza veramente notevole mentre affrontava Goku, sembrava diventare più forte ad ogni scambio di colpi. Osservai con attenzione ogni suo movimento, e mi parve che il suo modo di combattere avesse qualcosa di familiare. Ma non ci feci troppo caso, anche perché, dopo uno scontro di veramente incredibile, per quelle che erano le prospettive con cui era iniziato.

«Impressionante!» commentò nuovamente Yamcha, mentre una forte esplosione faceva a pezzi il ring.

Vedemmo poi Goku levitare sopra ad un perplesso Ub: mentre tutti eravamo in attesa della conclusione del combattimento, sembrò invece mettersi a parlare pacatamente con il suo contendente.

«Cosa diavolo combina adesso quel disgraziato?!» sbraitò Chichi, nel momento in cui Goku si avvicinava alle finestre dalle quali osservavamo la scena.

Ed ecco, che la sua irritazione si trasformò in shock non appena Goku ci comunicò la sua decisione: voleva andare con Ub nella sua terra, per poterlo allenare e farlo diventare, un giorno, il nuovo protettore della Terra. Non avemmo neanche il tempo per controbattere, che se ne era già volato lontano, con Ub sulle spalle.
«Non cambierà mai…» commento Bulma, lo sguardo ancora rivolto verso il cielo.

Non fui l’unico che, a quel commento, smorzò un sorriso: in fondo, sapevamo com’era fatto Goku, e anche noi come lui eravamo guerrieri, la sua decisione aveva comunque un fine importante. Ma erano comunque comprensibili le reazioni decisamente irritata di Chichi: spero che manterrà la promessa di visitare spesso, almeno la moglie, giusto per essere sicuro di non incappare in eccessive sfuriate.

Guardavo ancora verso il cielo, quando mi accorsi che Keiichi si è sistemato al mio fianco.

«Papà… lo zio Goku tornerà mai?»

Come faccio a rispondergli? Si vede che la cosa lo ha decisamente scosso: mi limito a passargli una mano tra i capelli, per poi posarla sulla sua spalla.

«Non ti preoccupare, Keiichi. Dobbiamo solamente attendere.»

Mi accorsi che quella era non solo la risposta più corretta, ma anche l’unica possibile: quando si trattava di Goku l’unica, ma fondamentale certezza era che prima o poi sarebbe tornato. Nessuno è mai sicuro di quando, ma di certo lo farà, un giorno.

Con quest’ultimo pensiero, dò un ultimo sorso alla mia birra, stringendo a me Keiichi, con la consapevolezza che un bel presente non ci metterà mai completamente al sicuro dall’incertezza del futuro, e per questo dobbiamo sempre essere preparati.

E questo, Goku lo ha sempre saputo.
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5 anni dopo…

«Crilin, mi passeresti una birra, per cortesia?» dissi, togliendomi la sigaretta dalla bocca, voltando lo sguardo alla mia destra.

«Certo, amico!»

E detto ciò, l’ex monaco mise una mano nel frigorifero da campeggio che ci eravamo portati dietro, e mi passò una lattina gelata, che aprii immediatamente.

«Ahhhhh…» dissi, dopo aver dato un bel sorso «Adoro questo posto.»

«In effetti è veramente splendido! Come mai hai aspettato tutto questo tempo per portarci qua?» disse, alla mia sinistra, Bulma, anche lei sigaretta alla mano.

«Sono il primo che non veniva qua da un’eternità!» dissi, alzando le mani «Qui ho passato dei bei trascorsi con la famiglia… Eppure, l’ultima volta che sono venuto qua ero solamente un bambino.»

Al che fui colto da un’improvvisa tristezza, a ripensare a quei momenti della mia infanzia, quando ancora ero un bimbo innocente e schivo, desideroso di imparare a combattere come gli eroi del mondo idilliaco che sognava. Il tutto durò qualche istante, finché non fu proprio Bulma a rompere il silenzio che si era venuto a creare.

«Beh, a questo punto, il lago Shoen ci vedrà sicuramente più spesso! Questo posto è veramente magico!»

Non aveva torto: eravamo seduti, sulla ghiaiosa riva del lago, su tre sedie da campeggio, circondati da una foresta di pini. Nell’acqua incredibilmente limpida, gli altri membri delle nostre famiglie si divertivano con un pallone gonfiabile. Vedevo chiaramente i loro sorrisi dalle lenti scure dei miei occhiali da sole. C’erano tutti tranne Vegeta e Trunks, rimasti alla Capsule per motivi differenti: se uno si allenava, l’altro si preparava a prendere il posto della madre.

In quanto ai Son, beh, oltre all’assenza dello stesso Goku  si erano venuti a creare ulteriori impegni: la carriera accademica di Gohan proseguiva alla grande, ma lo occupava parecchio, così che sua moglie gli faceva da assistente. Pan, non da meno, oggi aveva il suo ultimo giorno di scuola.

Riguardo Chichi, si preoccupava di star dietro a Goten, che avevo visto trasformarsi da ragazzino innocente a donnaiolo incallito: non che lo biasimassi, sia chiaro, è normale per la sua età.

Ma d’altronde, nella nostra “famiglia”, quello di normalità era un concetto piuttosto ambiguo: e nemmeno vivere in pace per tutti questi anni aveva cambiato questa cosa.
«Oggi niente allenamento per Keiichi?» mi chiese Crilin. Prima però che potessi rispondergli, la voce squillante di mio figlio mi anticipò: «No, zio Crilin! Papà ha detto che oggi potevo prendermi una pausa! Ma se fosse per me, io oggi mi sarei anche allenato!»

Vidi che tutto il gruppetto era uscito dall’acqua e si stava avvicinando ed, iniziò così il rituale della mummificazione negli asciugamani: tranne che per Keiichi, che ancora si trovava nei pressi della riva.

«Allora, visto che sei così determinato, perché non fai vedere cosa sei riuscito ad imparare recentemente?» gli proposi. Appena però provò a muoversi verso il lago, fu interrotto da sua madre: «Eh no, adesso basta! Stare troppo in acqua non ti fa bene! Asciugati!»

Si avvolse quindi anche lui in un grande telo da spiaggia, asciugandosi per quanto possibile. Ma dopo appena cinque minuti, si levò il telo, che finì in faccia a Marron. «Stai attento, scemo!» gli gridò dietro.

«Scusami! Ehi zio, guarda qua!» disse, prima di iniziare a levitare sul lago. Incrementò improvvisamente la sua aura, e unì le mani. Quando le separò, formò un piccolo globo di energia, che rimase sospeso davanti a lui, finché non lo colpì con il braccio destro: «Cannone Doomsday!»

Appena dopo il suo grido, dal piccolo globo partì una gigantesca onda di energia, che andò a schiantarsi sul lago, sollevando un enorme quantitativo d’acqua. Quando fu tutto finito, si girò a prendersi gli applausi di tutti.

«Fai veramente grandi progressi.» commentò C18, che nonostante non tendesse a mostrare le sue emozioni, sembrava sinceramente impressionata.

«Grazie, zia! Mi ci è voluto un anno, ma papà ha avuto pazienza!» rispose Keiichi, ridisceso a terra.

«Quella che adesso perderò io se non ti decidi ad asciugarti per bene!» lo sgridò improvvisamente Pamela, riavvolgendolo nuovamente nel telo mare, cosa che lo fece sbuffare sonoramente.

Passò così qualche istante, nei quali, tra sbuffi e lamenti sommessi, Keiichi si sedette, avvolto nel grosso asciugamano, lasciandosi asciugare dal sole.

«Mamma, io ho fame!» disse Bra, volgendosi verso la madre. Che fu rapida ad estrarre una piccola capsula, dalla quale usci una grossa cassa, la cui interno si trovavano diverse cibarie. Mi presi un panino imbottito e incominciai a mangiare, rivolto verso il lago.

Dopo che tutti ebbero consumato il proprio pranzo, le ragazze optarono per fare una passeggiata in mezzo ai boschi, per digerire tranquillamente.

«Tesoro, mostragli il tempietto che c’è sulla collina poco più avanti! Quello è un bel posto!» le suggerì, voltandomi leggermente.

«Non hai tutti i torti! Tu non vieni, piuttosto?»

«No, non ne ho voglia. Preferisco stare qui seduto in riva al lago!»

«E tu, Crilin?» disse improvvisamente C18, rivolgendosi al marito, ancora seduto al mio fianco.

«Io resto a fargli compagnia!» disse, ghignando, cosa che fece sbuffare la moglie.

«Pigroni…» commentò Bulma, prima che iniziassero a camminare in direzione della foresta. Quando poi sparirono definitivamente alla nostra vista, sprofondai nella poltroncina.

«Pigroni? Noi? Tsk! Io lo chiamo meritato riposo!» commentai, afferrando una lattina di birra «Con la vita che abbiamo fatto e che facciamo, figurati se nonci meritiamo un po’ di riposo!»

«L’hai detto, amico!» mi rispose Crilin, ancora con il suo solito ghigno ebete stampato sulla faccia.

Fu allora che iniziai a pensare, realmente, a quella che era stata la mia vita, e la presenza di Crilin al mio fianco contribuiva. Anni e anni passati ad addestrarmi, quando nelle idee del mio vecchio io non sarei nemmeno dovuto diventare un combattente. E invece mi guardo ora, come uno dei più forti guerrieri in circolazione, un demone sigillato nel mio corpo, e mi meraviglio del ribaltamento che ha subito.

E mentre osservavo l’azzurro chiarissimo della volta celeste, non potei non ritrovarmi a pensare a quali saranno i suoi sviluppi.

«Come passa il tempo, eh? Mi sembra ieri quando iniziasti il tuo addestramento alla Kame House!» mi disse, aprendo una lattina a sua volta.

«Puoi dirlo forte. Già per me era dura vederti con i capelli, ora che sono grigi che dovrei dire?»

«Vuoi mettere con il ricordarti ancora bambino, timido e impacciato, per poi vederti mettere su una famiglia e diventare uno dei guerrieri più forti di questo universo? Scusa ma è piuttosto scombussolante a pensarci!»

Ci scambiammo uno sguardo d’intesa, e improvvisammo un brindisi facendo cozzare le nostre lattine: dopo di che tornammo a contemplare il lago, silenziosamente.

«Un ultima cosa, già che siamo qua e ho finito la mia quarta lattina di birra» mi disse, improvvisamente «Quando ti trasformi, normalmente, ti viene la pelle grigia e i tuoi occhi diventano gialli e simili a quelli di una lucertola; Doomshiku, invece, è blu scuro e ha gli occhi rossi. Qual è il nesso?»

Lo guardai, sorpreso, e credo che anche con gli occhiali da sole addosso la mia espressione fosse inequivocabile.

«Sinceramente? Non me n’è mai importato più di tanto.» dissi, quasi irritato, però in un attimo l’alcol fece sentire i suoi effetti anche su di me: «Però hai ragione, è strano. Decisamente strano.»

Improvvisamente, i sassolini che formavano la spiaggia del lago iniziarono a fare un gran casino, come se qualcuno ci stesse correndo sopra. Non feci nemmeno in tempo a voltarmi, che mi ritrovai Pamela praticamente addosso, la mano sinistra teneva in mano il cellulare, la destra posata sulla mia spalla.

«Tesoro, tu hai vissuto per più di anno al palazzo del Supremo, vero?» mi disse, frettolosamente. Potei vedere che era parecchio agitata, ma non potevo ancora capire il motivo.

«S-Si… perché?»

«Hai mai sentito delle sfere del drago dalla stella nera?»

A quel punto rimasi di sasso: non tanto per l’improvvisa nuova domanda, tanto per il fatto che non avessi mai sentito nominare tali oggetti.

«N-No… Ma come mai tutte queste domande?»

Pamela sospirò, e io mi voltai verso il resto della compagnia che si era avventurata nei boschi, vedendo degli sguardi piuttosto preoccupati.

«Goku è tornato…» sentenziò Pamela, con un tono quasi affranto.

«Ma questa è una notizia grandiosa!» disse Crilin, saltando letteralmente in piedi. Anch’io come lui mi sentii sollevato, tanto che mi sollevai anch’io dalla poltroncina.

«Si, lo è… se non fosse che è stato trasformato in un bambino!»

Sgranai gli occhi, e mi voltai verso Crilin: nel notare che anche lui aveva assunto la mia stessa espressione di assoluto stupore, potei lasciarmi andare completamente.

«COSA?!»

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Capitolo 39
*** Promesse non mantenute ***


CAPITOLO TRENTANOVESIMO- PROMESSE NON MANTENUTE

«AHAHAHAHAHAH! No, non ce la posso fare! AHAHAHAHAHAHAHAHA!»

Goku mi guardava perplesso, e nella sua “nuova” forma la cosa non fece che farmi ridere ulteriormente.

«Ancora non capisco cosa ci sia di tanto divertente… Sul serio, non capisco!» disse, nella sua “nuova” vocina. Vicino a lui, seduta su uno dei divani del soggiorno di Bulma, Pamela si mise una mano sul volto, mentre continuavo a ridere spasmodicamente.

«È PROPRIO PER QUESTO CHE LA COSA È ESILARANTE! AHAHAHAH» dissi, continuando a ridere, una mano posata sulla pancia a causa delle continue risate.

A farmi ridere così tanto era proprio il fatto che dentro quel bambino ci fosse il cervello di un saiyan che aveva ormai quasi sessant’anni che, nella sua ingenuità, ancora non si era reso conto di quanto strana, paradossale e complicata fosse la sua nuova situazione. E ve lo posso garantire, era assolutamente da scompisciarsi dalle risate.

Era tornato solamente da qualche giorno, ma avevamo potuto incontrarci solo oggi, il giorno in cui avevano deciso di partire per lo spazio. Quasi tutta la famiglia Son, ad eccezione di Chichi, si trovava lì quel giorno, ed era stata quindi l’occasione per una bella rimpatriata.

Non appena ebbi terminato il mio turno di lavoro mi ero immediatamente recato alla Capsule, e dal momento esatto in cui avevo visto Goku non avevo ancora smesso di ridere.

«Devo ricordarti cosa potrebbe succedere se dovessero fallire nel ritrovare in tempo le sfere del drago?» commentò Bulma, entrando improvvisamente. Sfortunatamente, ottenne l’effetto sperato, perché mi bloccai improvvisamente, colto dall’improvvisa realizzazione: in un anno, il nostro pianeta sarebbe esploso, se non fossero riusciti a riportare quelle dannate sfere sul pianeta.

«Bravo bimbo.» disse, con aria soddisfatta, prima di rivolgersi al saiyan «Goku, abbiamo quasi ultimato i preparativi, tra poco potrete partire!»

«Grande!» disse il nuovamente giovane saiyan, correndo immediatamente da dove Bulma era arrivata.

«Volete assistere al decollo?» chiese poi, voltandosi verso di noi.

«Si, dai… sperando che il rumore dei motori sovrasti le risate di questo cretino!» disse Pamela, alzandosi, e avvicinandosi a Bulma.

«Ah, uno dovrebbe essere proprio un idiota per ridere anche di fronte alle mie creazioni!» disse, prima che entrambe iniziassero a ridacchiare, uscendo dalla stanza.

Rimasi di sasso, sul divano, per qualche istante, questa volta ferito nell’orgoglio: non sarò Vegeta, ma anch’io ho una dignità da difendere.

«È per caso un complotto, questo?! Uno oggi non può più divertirsi…» dissi, alzandomi e prendendo anch’io la porta, dalla quale le ragazze erano uscite. Il rumore delle voci mi guidò verso l’enorme hangar, dove l’astronave di Bulma era pronta a partire.

«Daniel, di qua!»

La voce di Pamela mi fece voltare, e la potei vedere sulla balaustra che circondava l’hangar stesso, le braccia distese attorno al collo di Keiichi che osservava incantato l’astronave. Accanto a loro, Vegeta e Bra: ovviamente, notai subito la novità sul volto dello stesso Vegeta.

«Ma allora lo fate apposta!» dissi improvvisamente.

«Di che parli, zio?» mi chiese Bra, curiosa.

«Niente, tesorino, mi chiedono di essere serio ma oggi non riesco a trovare motivi per non ridere!» dissi, cercando di trattenere le risate.

Gli altri si guardarono, piuttosto stupiti, tranne la vittima del mio scherno, che rimase impassibile, come suo solito.

«Un solo riferimento ai miei baffi, e ti garantisco che sei morto.» mi disse, freddamente, Vegeta.

«Ma dai, francamente, sono terrificanti!» gli dissi, cercando di mostrarmi gioviale. Bra, senza farsi vedere, mi fece un piccolo cenno di assenso. «Seriamente, però, secondo me dovresti raderteli.»

«Fatti gli affari tuoi.»

«Ehi, io te lo sto dicendo da amico!»

«Anch’io te lo dico da “amico”: stai zitto.»

«Pff, non cambierai mai…» dissi, appoggiandomi alla balaustra «Piuttosto, ragazzi… dov’è Pan?»

Bra e Keiichi si guardarono per un istante prima di rispondermi: «L’abbiamo persa di vista da un po’, papà, eravamo a vedere la Tv in camera di Bra.»

«Si, aveva detto che doveva tornare qui per parlare con i suoi genitori e poi avrebbe guardato il decollo con noi… Però stanno già per partire, anche se Goten è ancora al telef- AH!»

In quel momento si sentii un fragore improvviso, e l’astronave decollò, improvvisamente, facendo volare Goten di qualche metro, preso alla sprovvista dal decollo improvviso.

Bulma non seppe spiegarsi il perché di quel decollo improvviso, come nemmeno Gohan e Videl, che la stavano assistendo.

Se due più due fa quattro, dopo qualche istante avevamo comunque tutti intuito cosa fosse appena successo: probabilmente a causa di un incidente, al posto di Goten sull’astronave ci era salita Pan, e ora avrebbe accompagnato lei suo nonno e Trunks alla ricerca delle sfere del drago.

Potemmo subito sentire Videl ringhiare: «Mi sentirà non appena torna!»

Ridacchiai sommessamente nel sentirla, e guardai in alto, verso quello che ora era un minuscolo puntino nel cielo, pensando a cosa avrebbero potuto incontrare.

E, a quel pensiero, iniziai a sentirmi piuttosto invidioso.

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Circa nove mesi dopo…

«Papà, mamma! Sono tornato!» disse Keiichi, rientrando in casa.

«Ciao tesoro! Com’è andata oggi?» chiese Pamela, dalla cucina.

«Benissimo! Oggi con zia Bulma ho programmato il mio primo robot! Secondo lei posso diventare anche più bravo del nonno!»

Potevo sentire l’entusiasmo nella sua voce anche dalla camera da letto, seduto vicino alla finestra, mentre mi fumavo un sigaro: sentirlo poi parlare così, di suo nonno, come un modello da imitare e superare, non fece che farmi sentire incredibilmente orgoglioso, in quel momento.

«Hai sentito, papà?» disse, facendo sporgere la testa in camera.

«Eccome. Sono fiero di te, figliolo.» gli dissi, alzandogli il pollice. Lui fece un sorrisone dei suoi, e tornò in soggiorno.

Ero, se possibile, anche più che fiero: ora che Keiichi, spinto dalla scuola a fare uno stage in un’azienda, aveva modo di poter già lavorare nel campo in cui suo nonno eccelleva, davanti a lui si aprivano nuove ed infinite strade. E la cosa, per un genitore, è decisamente rassicurante.

«È pronto! Daniel, vieni a tavola!»

La voce di Pamela mi risvegliò da quel torpore di pensieri paterni: posai il sigaro nel posacenere sul davanzale,  e mi alzai, dirigendomi fuori dalla camera da letto. Ad accogliermi, un invitante profumo di carne alla griglia.

«Hai fatto le braciole? Ti amo!» dissi, cingendole la vita e baciandola dolcemente sulla guancia, cosa che portò ad una smorfia di disgusto da parte di Keiichi.

Consumammo la cena con Keiichi che ci raccontò ogni dettaglio della sua giornata: dire che era entusiasta di ciò che aveva appreso oggi era dire poco. Una volta terminato di mangiare, toccò a me portare fuori la spazzatura. Quando arrivai fuori dal palazzo, e buttai il sacchetto nel bidone, decisi di accendermi una sigaretta, in quella che era proprio una serata perfetta. Nonostante fosse una zona montana, il clima qui era sempre stato decisamente caldo: eravamo ora in primavera inoltrata, e le serate iniziavano a farsi veramente piacevoli. Questa sera poi, una lieve brezza mi accarezzava il viso, facendomi venir voglia di non muovermi più da lì.

Ma dovetti fare i conti col fatto che la sigaretta fosse finita, e che, comunque, il letto è più comodo di qualunque altra cosa.

Salii nuovamente per le scale, e aprii la posta del nostro appartamento: ma dovetti immediatamente fare i conti con una scena piuttosto strana.

Vidi subito Keiichi in piedi dietro al divano, come paralizzato, che si voltò immediatamente a guardarmi. «È… È apparso…» balbettò, mostrandosi parecchio spaventato, al che mi sporsi un attimo per vedere Pamela seduta su una delle poltrone, con una mano a coprire il volto.

«Oh, finalmente, signor Ryder!» mi accolse in soggiorno una vocina molto familiare «Mi deve scusare, credo di aver spaventato suo figlio!»

Quando poi la vidi, vestito di tutto punto, come un impiegato d’ufficio, quella piccola zazzera di capelli neri, ma soprattutto quella pelle di un rosa shocking non mi fu difficile capire di chi si trattasse.

«Gyu! Quanto tempo, amico mio!» dissi, andando a stringergli la mano. Mi accorsi poi, che Keiichi era ancora paralizzato dietro al divano: evidentemente il mio vecchio amico doveva aver fatto una delle sue classiche entrate improvvise.

«Figliolo, questo è Gyu, uno degli assistenti dell’osservatore dell’universo, il Gran maestro Re Kaioh, non che un ex insegnante di tuo padre! Non essere scortese!»

Keiichi tese la mano, titubante, che Gyu afferrò e scosse con forza: «Molto piacere, signorino! È un piacere poterla conoscere! Ed è un piacere rivedere anche lei, signora Ryder!»

«Lo sarebbe anche per me se la prossima volta evitassi di comparire all’improvviso sul tavolino del soggiorno…» gli rispose Pamela, quasi sconsolata.

Non potevo che essere felice nel rivedere dopo così tanti anni il mio vecchio amico. Ma ebbi immediatamente una realizzazione quando mi realizzai meglio perché Gyu potesse essere comparso così all’improvviso.

«Comunque, che ci fai da queste parti?» gli chiesi, senza indugio, nonostante avessi capito non si trattasse di una semplice visita di cortesia.

«Oh, certo! Può immaginare per il conto di chi mi trovo qui, questa sera… Il Gran Maestro vorrebbe riprenderla con sé per qualche giorno. Vuole vedere che progressi avete fatto, e se c’è la possibilità che insorgano ulteriori… problemi.» disse, indugiando leggermente sull’ultima parola.

Non che non mi aspettassi nulla di diverso da ciò che mi riferì, ma mi parve piuttosto strano che un richiesta del genere arrivasse solamente adesso. Se conoscevo bene il Gran Maestro, evidentemente c’era qualcosa sotto: quando mi fece portare da lui la prima volta, non fu solo per insegnarmi a padroneggiare al meglio il potere che riuscivo a trarre da Doomshiku, ma anche per tenermi lontano da Majin Bu, ed evitare che lo stesso Doomshiku facesse un danno ancora maggiore.

Cosa che, prontamente, accadde lo stesso, ma fui in grado di limitare i danni, almeno finché Broly non si palesò.

La prospettiva, comunque, era allettante: era da un bel po’ che non avevo occasione di allenarmi come si deve, e francamente non mi andava di buttarla via. Ma un problema sorse immediato, e fu la stessa Pamela a farmelo notare: «E come la metti con il lavoro, genio?»

«Oh, a questo abbiamo già pensato noi!» interruppe improvvisamente Gyu «Il Gran Maestro vi osserva sempre, e abbiamo già elaborato una soluzione nel caso il signor Ryder accettasse l’offerta: uno dei miei colleghi prenderà il suo posto, senza che nessuno se ne accorga! Ovviamente, senza costringervi a fare nulla! La cosa poi, dovrebbe durare solo una settimana al massimo, quindi non ci saranno conseguenze!»

«Pff… come volete…» disse Pamela, sbuffando.

«Quindi che fai, papà? Te ne vai?» mi chiese subito Keiichi.

Io rimasi comunque un secondo a riflettere: era un’offerta irrinunciabile, era tutto già organizzato, eppure qualcosa dentro me diceva che avrei dovuto rifiutare, che sarebbe comunque successo qualcosa.

Quando però mi accorsi che stavo rinunciando a qualcosa di certo, perché mi basavo su delle semplici sensazioni, le soppressi immediatamente, e voltandomi verso Gyu, dissi: «Accetto ben volentieri.»

«Fantastico! Allora faremo come l’altra volta: passerò domattina alle vostre…»

Esitò per qualche secondo nel concludere la frase, guardando i numerosi orologi che nascondeva sotto la manica sinistra della camicia, e anche stavolta intervenne Pamela, più divertita: «Nove.»

«Si! Esattamente! Allora, buona serata e arrivederci a domattina, signor Ryder!» disse, prima di sparire improvvisamente.

Nel soggiorno calò per qualche istante il silenzio, e decisi di lasciarmi cadere sul divano, abbandonandomi per un istante alla morbidezza dei cuscini.

«Allora papà, vai ancora ad allenarti? E io come faccio in questi giorni?» mi chiese subito Keiichi, appoggiandosi al divano. Mi voltai a guardarlo, leggendo nel suo sguardo come si potesse sentir perso.

«Ehi, puoi anche iniziare ad allenarti per conto tuo, sei diventato abbastanza forte!» gli risposi, prima di posare lo sguardo su Pamela «E se hai bisogno, ricorda che anche tua madre se la cava piuttosto bene!»

Lei mi fulminò per un istante con lo sguardo, ma si addolcì immediatamente quando capii la sincerità della mia affermazione, o forse fu l’occhiolino che le lanciai, non lo saprò mai con certezza. Solo che, subito dopo, il suo sguardo si fece più preoccupato. «Tu fa solo in modo che non finisca come l’ultima volta che sei andato lassù.»

Fu una bella botta: evidentemente, non ero l’unico ad averci pensato. E ora, dovevo anche tener conto della sua legittima preoccupazione: rispetto alla prima volta, ci siamo legati ulteriormente, e non posso immaginare come si sentirebbe se dovessi lasciarla un’altra volta.

Anche se sarà difficile che accada, non posso farle un altro sgarbo del genere.

«Non preoccuparti,» dissi, cercando di alleviare la sua evidente tensione «farò il bravo.»

«Lo spero.» mi rispose, e calò nuovamente il silenzio. Che però, durò solo una trentina di secondi: «Posso accendere la Tv?»

Mi voltai verso il volto di Keiichi, che mi guardava, ansioso di ricevere una risposta positiva.

«Fai pure.» gli dissi, e non feci nemmeno in tempo a finire, che aveva già il telecomando in mano.

E la serata si concluse così, con noi tre in salotto, a guardare un film alla Tv: una commediola che, oltretutto, mi fece piuttosto schifo.

Quantomeno, potei tenermi occupato pensando a quello che sarebbe accaduto domani: mi sentii nuovamente come ai vecchi tempi, e proprio l’essere ormai prossimo ai quarant’anni, la rendeva una sensazione quasi esaltante.

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La mattina dopo, tutto avvenne nella normalità più totale. Mi alzai alla stessa ora di sempre, mi lavai, feci colazione, e mi vestii.

Le uniche, grandi differenze furono che mi ritrovai ad indossare la mia tuta da combattimento, rispetto ai miei soliti abiti per l’ufficio.

Rimasi poi seduto sul divano, in attesa di Gyu, mentre Pamela e Kaiichi uscivano, seguendo la loro normale routine.

«Buona fortuna, amore.» mi disse Pamela, dandomi un bacio sulla guancia.

«In bocca al lupo, papà!» mi disse invece Keiichi, che mi guardò con uno sguardo carico d’orgoglio.

Così rimasi seduto, in solitudine, sul divano, in attesa della comparsa di Gyu. Non sapevo come definire cosa provassi in quel momento: da un lato, ero quasi emozionato nel ritornare al palazzo del Gran Maestro re Kaioh, dopo tutti quegli anni; ma dall’altro, potei sentire una certa sensazione di insicurezza, come non la provavo dai tempi in cui ero un novellino.

Appoggiai il mento sulle mani giunte, mentre queste sensazioni opposte si fronteggiavano nel mio animo.

Passò circa un’ora, cosa che mi fece rimpiangere il non essermi alzato un po’ più tardi. Quando poi Gyu comparve, si limitò a chiedermi: «Tutto pronto?»

Una volta ricevuto un cenno d’assenso da parte mia, tutto ciò che fece fu prendermi per mano, e in un attimo il panorama intorno a me cambiò. Mi guardai un attimo intorno, rivedendo la stanza dalla quale Gyu si teletrasportava.

«Bentornato, figliolo.» disse una voce che riconobbi all’istante, e non appena mi voltai potei immediatamente vedere il suo volto sorridente.

«Gran Maestro! Che piacere rivederla!» dissi, notando subito un’alta figura al suo fianco «Bello rivedere anche te, Paikuhan!»

Il verde guerriero mi salutò con un cenno del capo, dopo di che volsi il mio sguardo nuovamente sul Gran Maestro. «Non dovrò nascondermi anche questa volta, vero?» gli chiesi, sogghignando.

«Non ti preoccupare, figliolo, questa volta sei libero ti farti vedere in giro per il palazzo.» disse, mentre ci incamminavamo fuori dalla stanza. Rivedere quei corridoi mi fece salire un po’ di nostalgia.

«Ti ho osservato per un po’, figliolo,» proseguì il Gran Maestro Re Kaioh «e ho visto che non utilizzi il potere di Doomshiku da parecchi anni, ormai.»

«Non ne vedevo l’utilità, signore, dopo la sconfitta di Broly abbiamo vissuto in pace per anni sulla Terra! Ho ritenuto più consono dedicare più tempo alla mia famiglia, togliendone un po’ ai miei allenamenti.»

«Non ti biasimo per questo, figliolo, assolutamente. Ma devi ricordarti che tu hai solamente controllato il potere di Doomshiku, non l’hai dominato: potrebbe ancora ritornare, e se non fossi in grado di controllarlo, sai bene quali sarebbero le conseguenze…»

Annuì mestamente alle sue affermazioni: non potevo certamente dargli torto.

«Pertanto, ho reputato necessario che tu passassi un po’ di tempo qui, ad allenarti assieme a Paikuhan e gli altri guerrieri: non vorrei mi arrugginissi! Eh-eh…» disse, cercando di apparire meno serio, dopo quel breve discorso introduttivo. «Ti lascio quindi a loro! Buona fortuna, figliolo!» disse, prima di allontanarsi in un’altra direzione, lasciando me e Paikuhan soli nel bel mezzo del corridoio.

«Beh, sarà il caso di mettersi all’opera.» disse immediatamente l’alieno al mio fianco, incamminandosi. Io, invece, rimasi fermo per un istante, contemplando nuovamente quel luogo che mi sembrava di non vedere solamente da pochi giorni, per quanto fossero passati anni.

«Ehi, vuoi stare li a vedere se l’intonaco si crepa, o preferisci seguirmi in giardino?» mi chiese Paikuhan, facendomi sobbalzare: avevo perso il contatto con la realtà per qualche istante.

Mi voltai a guardarlo, notando un ghigno sulla sua faccia.

«Tanto credo che durerà più di te. Tranquillo, ti seguo…» dissi, sorridendo spavaldamente, iniziando a mia volta a camminare.

Camminammo per qualche istante in silenzio: anche dopo così tanto tempo, potevo notare che nemmeno Paikuahn, così come quel luogo, non era cambiato di una virgola. La sua serietà e la sua freddezza mi colpivano sempre.

«Non duello seriamente da anni, ormai, ma non credere che sarà facile…» gli dissi, mentre ci avvicinavamo ormai all’uscita.

«Vedremo, vedremo…» rispose, mentre camminavamo, fianco a fianco, verso l’ampio giardino del palazzo del Gran Maestro.

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«Kamehameha!» gridai, con tutta la mia forza, prime che una gigantesca onda partisse dalle mie mani, diretta verso il mio avversario, che fu rapido a proiettarsi sopra di me, facendo finire il mio attacco nell’acqua.

«Quello è stato sleale!» disse, tentando di colpirmi con un calcio, che parai usando il mio avambraccio.

Allora iniziammo a scambiarci colpi in rapida successione in aria: schivavo e colpivo ad una rapidità impressionante, ma neanche Paikuhan era da meno. Arrivai a colpirlo poi alla guancia, con un colpo fortissimo. Avrei anche vinto, se proprio nello stesso istante non mi avesse colpito anche lui allo stesso modo, facendoci così allontanare l’uno dall’altro.

Ci ritrovammo ad ansimare per aria, uno di fronte all’altro, riprendendo fiato. Mi passai quindi la mano sulla guancia che mi aveva appena colpito, notando un piccolo rivolo di sangue: il labbro superiore, in qualche modo, si era tagliato, ma nulla di grave.

«Direi che può bastare così, per oggi…» dissi, scendendo a terra «Sei migliorato parecchio, Paikuhan!»

«Potrei dire la stessa cosa, anni di riposo non hanno per niente intaccato la tua forza!» mi disse, mentre scioglieva i muscoli.

«In effetti sono sopreso anch’io!» dissi, tornando normale «Anche se sono ancora riluttante a trasformarmi a piena potenza… Sai, il limite è piuttosto facile da superare.»

A quel pensiero mi sentii ancora più appesantito, come se lo sforzo appena profuso si fosse improvvisamente raddoppiato.

«Lo capisco, ma finché non mi affronterai a piena potenza non riusciremo a trarre troppo giovamento da questi allenamenti.» sentenziò l’alieno. Prima che potessi controbattere, vedemmo entrambi la grossa figura di Olipu correre verso di noi: sembrava piuttosto affrettato.

«Ragazzi, dovete assolutamente tornare al palazzo, è successo un bel casino sulla Terra!» disse, sistemandosi una ciocca di capelli biondi terminatagli davanti alla faccia.

Ebbi un sussulto: cosa poteva essere successo? Seguimmo entrambi Olipu al palazzo del Gran Maestro, dove tutti i guerrieri si erano radunati, incuriositi, e c’era un gran chiacchierare.

«Cosa diavolo è successo?!» dissi, sovrastando le chiacchiere. Paikuhan mi mise immediatamente una mano sulla spalla, a indicarmi di stare calmo. Finché non arrivò proprio il Gran Maestro Re Kaioh, per darmi le spiegazioni che cercavo.

«Guarda tu stesso, figliolo.» mi disse, e non esitai a mettere la mano sul suo vestito, riuscendo quindi a percepire tutto quello che stava accadendo laggiù, proprio come se lo stessi guardando con i miei occhi.

Mi sembrava tutto normale, solo che pareva esserci un gran ressa alla Capsule Corporation. Potei vedere Pamela, Keiichi e tutto il resto del gruppo, sembrava tutto normale, tranne che per delle strane curvature nei loro sguardi, sembravano quasi malvagi. Finché non vidi Bra volare, cosa che non aveva mai fatto prima di allora, ed iniziarono a formarsi i primi dubbi. Poi, una gigantesca astronave fece la sua comparsa, e iniziai a non capire più nulla: cosa diavolo stava accadendo?

E poi, apparve lui. Sentivo che doveva essere Vegeta, ma era diverso: la sua pelle era più scura, i capelli bianchi, i vestiti decisamente strani e ridicoli. Cingeva Bulma per la vita con un braccio, ed entrambi osservavano la scena con un ghigno malvagio a decorare i loro volti.

A quel punto, tolsi la mano dal vestito del Gran Maestro.

«Cos’era quell’essere?!» chiesi, allibito.

«Quello era Baby, Daniel. Un parassita, che ha preso possesso di tutte le menti dei terrestri e del corpo stesso di Vegeta. Intende ricreare la razza degli Tsufuru, ha utilizzato le sfere del drago dalla stella nera per creare un nuovo pianeta Plant… e vuole portare tutta l’umanità lassù.»

La promessa…

Sentii subito una strana sensazione, come un tremore dentro me, appena il Gran Maestro disse quel nome. Ma non ci pensai, perché avevo un’altra domanda in mente: «E Goku dov’è?»

«Baby gli ha messo tutti contro. Ora si trova comunque sul pianeta dei Kaioshin, ad allenarsi per poterlo battere: Kibito è riuscito a teletrasportarlo là all’ultimo istante.»

«Allora mi faccia andare laggiù! Quattro braccia sono meglio di due!» dissi, palesando l’agitazione che ora mi pervadeva, a pensare che una sorta di alieno aveva preso possesso delle menti dei miei cari.

Il Gran Maestro Re Kaioh, in tutta risposta, sospirò: «Quell’essere in questo momento, va oltre le tue… normali capacità. Vinceresti solo facendo tu-sai-cosa, ma sarebbe capace di metterti contro tutti i tuoi cari, e non voglio correre rischi inutili. Ti conosco, figliolo, so quanto puoi essere emotivo.»

Rimasi basito quando terminò quella frase.

«Ecco perché…» sussurrai, inizialmente.

«Cosa, figliolo?» disse il Gran Maestro, più sospettoso.

«Ecco perché mi ha portato qui! Lei sapeva!» dissi,  questa volta urlando.

Il Gran Maestro rimase di sasso per un istante, prima di dire, più pacatamente: «Adesso calmati…»

«NO CHE NON MI CALMO!» gridai «Per troppi anni le mie scelte sono state condizionate da altri, in primis dalla vostra sfiducia! IO LO POSSO CONTROLLARE!»

«Ci sono altri fattori di rischio…»

«E quali sarebbero?! Gli unici che stanno rischiando sono i miei chiari, posseduti da un parassita! E lei non mi permette di fare nulla! Avrei dovuto dare retta a lord Bills, avrei sempre dovuto dar retta a lui!»

«Bills sarebbe il primo a dirti di lasciar perdere in questa situazione.» disse, questa volta con maggiore fermezza «In questa situazione le persone che ami sarebbero le prime a rivoltarsi contro di te. Lui ti costringerà a fare del male ai tuoi cari, e non voglio sottoporti ad un simile sforzo emotivo, rischiando di compromettere l’esistenza dell’universo stesso!»

Concluse con un tono in crescendo, autoritario, cosa inusuale per lui. Gli sguardi di tutti gli altri guerrieri erano quasi attoniti. Io continuai a guardarlo nelle lenti scure dei suoi occhiali da sole, basito.

«Lascia che se ne occupi Goku.» disse, rilassandosi, ponendo fine ad ogni questione. Poi si rivolse a tutti gli altri «Coraggio, ragazzi, rimettetevi al lavoro!»

Tutti i guerrieri eseguirono, e dovetti a malincuore seguire nuovamente Olipu e Paikuhan, che mi cinse le spalle e mi costrinse a venire con loro.

Li guardai camminare davanti a me, ma poi finì per tenere la testa bassa, in preda ai pensieri cupi che mi assillavano da qualche minuto a questa parte.

Devi mantenere la promessa…

Sentii ancora quello strano brivido: perché avevo in mente di una certa promessa? Avrei dovuto avere altre preoccupazioni in quel momento…

«Ehi, Daniel, tutto ok?» mi chiese Olipu, voltandosi.

«Oh, si, non preoccupatevi…» dissi, ma sentii la testa farmi un po’ male.

Camminammo per qualche minuto, finché non raggiungemmo un albero nell’ampio giardino, poco distante dal palazzo.

«Ehi, non vuoi continuare la nostra sfida?» mi domandò Paikuhan, mentre mi appoggiavo con la schiena all’albero.

«No, fate pure voi. Preferisco riposarmi un attimo…» dissi, massaggiandomi le tempie.

Osservai lui e Olipu combattere per diversi minuti, chiedendomi come stessero andando le cose laggiù.

Sei stato scelto…

“Scelto per cosa?” pensai, mentre il mal di testa si faceva sempre più intenso.

Ti stai forse rifiutando? O sei semplicemente stupido?

Alla fine riuscii a sentirla: era una voce, nella mia testa. Ma questa volta, sembrava diversa: era decisamente più dominante, influenzava i miei pensieri, ma rispetto alle altre volte, sembrava mantenersi autonoma. Come se appartenesse a qualcun altro…

Questa è la MIA vera voce, razza di idiota. Sono sorpreso anch’ io di essere ancora vivo.

“Cosa? Che intendi?”

Io sono sempre stato qui: Doomshiku, il dominatore dell’energia, il maestro degli elementi… il demone dell’apocalisse.

“Ma come può essere questo?!” pensai, senza accorgermi che ero caduto in ginocchio.

Vedi, finora hai avuto a che fare semplicemente con sfoghi brutali della mia personalità. Per questo sei riuscito a controllarla: ti ho parlato, ma a farlo era solo una proiezione della mia anima. L’estinzione degli tsufuru non era in programma, per questo non hai mai potuto veramente sfruttare il mio potere per lo scopo che avevo prefissato… ma ora puoi, e io ti ho scelto, sarai tu il vendicatore.

Era effettivamente diverso da tutte le altre volte: era la stessa voce, ma più suadente, calma, ma soprattutto forte e indipendente.

“Non posso… andare laggiù… c’è la gente che amo!”

Hanno fatto la loro scelta.

“Sono stati posseduti!”

E che differenza dovrebbe fare per me?

“Di te non mi interessa! Quella è la mia gente!”

La tua gente? Io ti ho scelto perché tu fossi il vendicatore di Hamon, della razza hatwa, la tua VERA razza, idiota ingrato!

“Ingrato io?! Per colpa tua ho vissuto un’esistenza di sofferenza e insicurezza! I miei cari sono sempre stati in pericolo per colpa tua!”

Come osi… ti ho dato a disposizione una potenza irraggiungibile per qualunque essere esistente… e tu la rifiuti?! Non solo, ti permetti pure di insultarmi?! Evidentemente ho sbagliato a credere che potessi essere degno…

“Tu faresti del male a tutto ciò che mi è caro! Non posso permettertelo!”

Dovevo immaginarlo: un debole. L’ho sempre pensato, che se vuoi che una cosa sia fatta bene…

A quel punto il mal di testa divenne insopportabile, sentivo i suoi pensieri sovrastare i miei in ogni cosa. Il dolore era lancinante, tanto che cominciai a gridare.

…DEVI FARTELA DA SOLO. ALLORA ADDIO, DANIEL RYDER.

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Olipu e Paikuhan erano immediatamente andati in soccorso dell’amico, che era in ginocchio, in preda agli spasmi: teneva le mani strette attorno alla testa, e continuava a gridare.

«Che cos’hai? Dimmelo!» gridò Paikuhan, ma quando non ricevette risposta si girò verso Olipu: «Vai a chiamare aiuto!»

Il biondo guerriero non esitò, e corse a perdifiato verso il palazzo. Daniel, intanto, continuava a urlare, finché gli occhi non assunsero un colore rosso accesso. Paikuhan si ritrasse, sopreso, avvertendo come l’aura del guerriero stesse crescendo a dismisura. Ma oltre ad aumentare, l’alieno poté sentirla cambiare. «Cosa ti sta succedendo?! Dimmelo!» disse, mettendo entrambe le mani sulle sue spalle, mentre le urla si erano trasformate in mugugni di sofferenza.

Finché Daniel non lo guardò, e si limitò a sussurrare una parola: «Sca… Scappa…»

Paikuhan, però, si rifiutò categoricamente di eseguire il comando dell’amico. «Io rimango qui finché non arrivano gli aiuti, è chiaro?» disse, giusto prima di voltarsi e vedere che Olipu stava tornando, assieme al Gran Maestro, alcuni suoi attendenti, e ad un folto gruppo di guerrieri.

«Faresti bene a fare come ti ha detto… in fondo, si tratta del suo ultimo desiderio…» disse improvvisamente una voce profonda e suadente, che spaventò a morte Paikuhan: spavento che si tramutò in orrore, non appena l’alieno si accorse che la voce proveniva da Daniel stesso, il cui volto era ora marcato da un ghigno malvagio.

Improvvisamente, Daniel Ryder si alzò in piedi, allargando le braccia, e liberando un enorme quantitativo di energia, che fece volare via Paikuhan, facendolo atterrare ai piedi del gruppo di guerrieri.

Tutti guardarono inorriditi mentre il corpo dell’hatwa subiva una metamorfosi rapidissima, ingrandendosi a vista d’occhio, finché il bagliore che generò non lo rese praticamente invisibile agli occhi di tutti.

L’energia che scaturiva dal suo corpo era immensa, tanto da generare un gigantesco e continuo spostamento d’aria, che costrinse i guerrieri ad un grande sforzo per mantenere la posizione, mentre si coprivano gli occhi.

Quando poi la luce sparì, l’orrore fu maggiore: ora, al posto di Daniel Ryder, c’era una gigantesca lucertola antropomorfa, dalla pelle di un blu scurissimo, che faceva risaltare il bianco lucido della sua affilata dentatura, ma soprattutto il rosso brillante di suoi occhi.

«Ahhh…» disse improvvisamente il mostro, stiracchiandosi «Dormire è una cosa piacevolissima, ma dopo così tanto tempo, uno rischia di rammollirsi…»

Paikuhan riconobbe la stessa voce con la quale aveva parlato Daniel pochi istanti prima. Il Gran Maestro, invece, era a bocca aperta. «N-Non è possibile…» balbettò.

«Oh, ma guarda chi si rivede!» disse il mostro, girandosi verso il gruppone di guerrieri «Ne è passato di tempo, Gran Maestro Re Kaioh!»

Il mostro fece allora un sorriso inquietante, mentre il malcapitato interlucutore si limitò a balbettare: «T-tu sei morto…»

«Lo credevo anch’io. Ma la mia anima è rimasta dormiente per tutti questi anni: e il ritorno degli tsufuru mi ha dato la scossa necessaria svegliarmi completamente. Speravo solo che il ragazzo adempiesse il compito che gli avevo assegnato… ma evidentemente mi sbagliavo sul suo conto. Peccato.» disse, facendo spallucce.

«Che ne è di lui?» gridò improvvisamente Paikuhan, rimettendosi in piedi.

«Lui? Oh, lui non esiste più, ho preso io il controllo, ora. La sua anima è stata spazzata via dal sottoscritto.» disse, sogghignando, prima di chinarsi verso Paikuhan «La cosa ti crea problemi?»

«Eccome!» fece per caricarlo, ma si trovò bloccato dalla mano del Gran Maestro stesso.

«N-Non farlo, Paikuhan… È… È una sfida che non puoi vincere…» disse, mestamente, prima di rivolgersi a tutti gli altri «Tutti voi, non affrontatelo. Non servirà a nulla…»

«Oh! Finalmente qualcuno che usa la testa! Tranquillo, Gran Maestro, non ho intenzione di divertirmi da queste parti… per ora.» disse, mantenendo il suo sorriso maligno, cosa che provocò qualche ringhio di irritazione da parte dei guerrieri.

«Ora c’è una questione più urgente della quale devo occuparmi… uno tsufuru che pensa di poterla passare liscia! Povero illuso…» disse, guardando per un attimo verso l’alto. Poi, portò la mano alla bocca assumendo un’espressione che doveva sembrare dubbiosa.

«Mi domando, però, se sono ancora in forma come un tempo…»

A quel punto allungò il braccio verso il gruppo di guerrieri, che assunsero pose difensive. La creatura non li considerò nemmeno e si limitò a voltare il palmo della mano verso l’alto, sollevarla, ripiegando l’avambraccio verso il suo corpo: a quel punto, dietro ai guerrieri si poté udire una gigantesca esplosione,  e mentre provarono a voltarsi, una gigantesca onda d’urto li investì, facendoli cadere per terra.

Il palazzo venne completamente disintegrato da una gigantesca colonna di energia, che si estese fino al cielo. Quando si dissolse, del palazzo erano rimaste che briciole.

«AH! Non devo essere poi così tanto arrugginito, in fondo!» disse la creatura, con un tono di grande soddisfazione.

Il resto del gruppo rimase in silenzio, ancora sdraiato per terra, mentre la creatura lentamente, iniziò a prendere il volo.

«Io ora ho una faccenda da sbrigare, ma non preoccupatevi, avremo modo di rivederci. Anzi, spargi pure la voce Gran Maestro, dillo tranquillamente in giro, perché preferisco essere atteso.» gridò, rivolgendosi al Gran Maestro Re Kaioh.

«Dì a tutti che Doomshiku è tornato.»

A quel punto, sparì dalla vista, lasciando il gruppone che si era formato decisamente interdetto e piuttosto scosso.

Olipu aiutò il Gran Maestro Re Kaioh a rialzarsi. «Signore, ma quello era…»

«Si, Olipu.» disse, prendendo un lungo sospiro prima di terminare «Quello è il Demone dell’Apocalisse, Doomshiku, la cui anima si credeva morta con l’esplosione del pianeta Hamon…»

«Cosa possiamo fare ora? Se ha ucciso Daniel, non possiamo più sperare che si fermi da solo!» disse Paikuhan, ancora fremente dalla provocazione del demone.

«Non ti rendi neanche conto, Paikuhan… Finora, quello con cui abbiamo avuto a che fare non era altro che una brutta copia di Doomshiku: la sua anima era morta, ma il suo potere no…»

Sospirò profondamente ancora una volta.

«O almeno così credevamo. Ma ora, lui è tornato per davvero… se potevamo fare poco prima, ora…» non riuscì nemmeno a concludere la frase, tanto lo inquietava la prospettiva.

«Ma non è possibile che non ci sia nessuno in grado di fermarlo?» gridò una voce in mezzo al gruppo, che generò un piccolo brusio di chiacchiere.

Il Gran Maestro Re Kaioh si mise le mani dietro la schiena, e piegò la testa. «Qualcuno ci sarebbe…» disse, mantenendo basso lo sguardo «Ma conoscendo la forza del nostro avversario, può darsi che anche questo tentativo si concluda in un fallimento.»

I guerrieri lo osservarono in silenzio, mentre il Gran Maestro volgeva nuovamente lo sguardo verso di loro.

 «Ma è comunque una possibilità.» disse, sospirando.


NOTE DELL’AUTORE
Ehilà bella gente, sono tornato! Ho finalmente terminato la sessione estiva, con ottimi risultati, e nel prendermi le meritate vacanze (in cui mi dedicherò anche al proseguimento della nostra storia) vi lascio con due nuovi capitoli, che spero vi intrighino di più e stimolino la vostra curiosità!
Ribadisco che questa storia seguirà l’arco narrativo di Dragon Ball GT, anche se ho comunque in mente (una volta terminata la serie e calcolate le tempistiche) di riscrivere anche DB Super!

Non ho molto altro da dirvi, quindi vi lascio con la speranza che stiate trascorrendo delle buone vacanze: spero che questi due capitoli possano essere un’altra bella “esperienza” da aggiungere a quelle che magari avete già vissuto!

Dragon Ball è proprietà di Akira Toriyama.

Alla prossima!

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Capitolo 40
*** La minaccia più grande ***


CAPITOLO QUARANTESIMO- LA MINACCIA PIÙ GRANDE

«Schifosi saiyan, per voi è finita!» gridò Baby, facendosi sentire nella testa dei guerrieri saiyan, più un ancora più potente Ub, radunatisi vicino ad un malridotto Goku: Kibito era quantomeno riuscito a liberare loro, tra quelli presenti sul nuovo pianeta Plant. Ora però, assieme ad un impaurito Mr. Satan, stava assistendo alla scena da dietro una roccia.

Nonostante avesse raggiunto la quarta forma del super saiyan, tra mille difficoltà, non era stato in grado di sconfiggere Baby, che grazie anche all’aiuto di Bulma, era riuscito a trasformarsi in Oozaru, sfruttando il corpo saiyan di Vegeta.

«Non credere di farla franca, Baby!» gridò Trunks, in preda alla collera.

«L’ho già fatto, saiyan.» disse, ghignando malignamente «Preparatevi a morir-RRROUGH!»

Baby emise un ruggito di dolore, e fu costretto a mettersi le mani sul muso: era stato colpito improvvisamente e con molta forza.

«Adesso smettila, ridicola giustificazione d’essere vivente. Abbiamo altri problemi, in questo momento.» disse una voce roca, ma al contempo ferma e decisa, e dal tono un po’ snob, che i guerrieri riconobbero immediatamente, nonostante fossero passati parecchi anni: tutti, ad eccezione di Pan, riconobbero quel gatto viola antropomorfo che levitava di fronte ad un ancora sofferente Baby.

«Serve una mano?» disse improvvisamente una voce più dolce, e Goku poté vedere una mano tesa che lo aiutò a rialzarsi.

Baby intanto, provò ad attaccare il suo aggressore. «Sei proprio una testa dura. Occupare un saiyan per troppo tempo deve avere una pessima influenza su di te. E, secondo me, deve fare anche piuttosto schifo.» si sentì dire, prima di vedere i suoi colpi schivati con grande nonchalance.

Il nuovo arrivato, mantenendo le braccia dietro la schiena, si limitò poi a colpire lo scimmione con un calcio sulla guancia, scagliandolo lontano di diversi metri, causando un rumorosissimo schianto. Dopo di che, una volta constatato che non avrebbe reagito ulteriormente, tornò al suolo, e volse lo sguardo verso Goku.

«Vedo che hai raggiunto un nuovo livello di potenza: ma non sei forte quanto un super saiyan god.» gli disse, sogghignando.

«Eh, eh… Se avessi potuto, sarei diventato super saiyan god fin da subito, ma date le circostanze… è comunque un piacere rivederla, Lord Bills.» rispose un Goku ancora piuttosto scosso al dio della distruzione «Anche te, Whis, bello rivedervi entrambi.»

«Vieni pure fuori, Kibito: hai fatto un lavoro egregio.» disse Bills, rivolgendosi alle rocce, da dietro le quali spuntarono proprio Kibito e mr. Satan, che furono entrambi lesti ad inchinarsi al Dio della Distruzione.

Pan guardava stupita i due nuovi arrivati: il loro aspetto bizzarro non le facilitava comprendere tutto quel rispetto, ma una volta visto come aveva ridotto Baby, e soprattutto udito i loro nomi, aveva immediatamente capito con chi avesse ache fare.

«Questa deve essere la piccolina che la ti ha permesso di trasformarti quella volta, giusto?» disse, piegandosi proprio verso Pan, che lo guardò impietrita.

«Esattamente, questa è mia nipote Pan, la figlia di mio figlio Gohan. Vi ricorderete anche di Goten e Trunks…» disse Goku, indicando i ragazzi, solo per essere bruscamente interrotto dal Dio della Distruzione.

«Si, si, d’accordo, ma ora abbiamo una questione più urgente…» disse, apparendo quasi irritato.

«Penso proprio che siamo arrivati in anticipo, Lord Bills…»

«Me ne sono accorto, Whis…»

«Pensare che il Gran Maestro Re Kaioh ci ha avvisati giusto 10 minuti fa…»

«Io te lo avevo detto che avremmo potuto finire di mangiare!»

«Chiedo scusa!» interruppe bruscamente Gohan «Potremmo almeno sapere di che state parlando?!»

Bills si voltò, quasi indispettito, provocando l’immediato imbarazzo del giovane saiyan.

«Eh-eh… chiedo scusa, Lord Bills.» balbettò Gohan. Il Dio della Distruzione assunse la sua solita espressione fredda e indifferente, prima di spiegarsi: «Siamo stati chiamati perché un gigantesco problema si è presentato. E non mi sto riferendo a lui» disse, indicando Baby, che ancora tramortito al suolo, lo guardava, colmo di disprezzo «ma lui, se vogliamo, ne è stata la causa scatenante.»

«Non so cosa vogliate voi due, ma sappiate che non ve la farò passare liscia!» disse, rialzandosi in piedi a fatica, dimenticandosi che in quella forma poteva essere udito solamente dagli altri saiyan.

Stava per attaccare, quando percepì un’energia gigantesca avvicinarsi a Neo Vegeta, cosa che poterono percepire tutti quanti.

«Credo che ora vi sarà tutto più chiaro.» disse Bills dando le spalle al gruppo, volgendo lo sguardo verso l’alta torre che sovrastava la città costruita da Baby, sulla quale erano comunque visibili le tracce dell’appena avvenuto scontro con Goku.

Tutti rimasero in trepidante attesa che quell’enorme traccia energetica si palesasse finché, proprio sulla punta della torre, non si palesò una figura: braccia giunte, capelli corti con un ciuffo sul lato, una tuta bianca e rossa inconfondibile.

«Ma quello è lo zio Daniel!» gridò Pan, sorpresa, ma comunque sollevata nel poter sentire quella forza provenire da un possibile alleato.

«E che potenza! Per te è proprio finita, Baby!» gridò Goten, colto dall’entusiasmo. Baby, dal canto suo, osservava la scena terrorizzato: aveva visto nelle memorie di Vegeta chi fosse quel tizio, ma non si aspettava comunque un avversario di un simile livello. Almeno, non con quell’aspetto.

In mezzo alle rovine della città, Pamela e Keiichi Ryder si trovavano assieme al resto della loro grande “famiglia”, cercando un posto sicuro per proteggersi dallo scontro che era appena avvenuto: Crilin e la sua famiglia erano presenti, saliti all’ultimo momento sull’astronave, così come il resto della famiglia Son. Dei Brief, c’era solo la giovane Bra.

«Guardate, è arrivato papà! Ora ci penserà lui a sistemare il saiyan! E finalmente potremo celebrare il grande Baby tutti insieme!» disse Keiichi, colto da un’improvvisa ondata d’entusiasmo, che si propagò tra tutti i presenti, convinti che il nuovo arrivato avrebbe contribuito sicuramente alla causa.

Goku non si lasciò comunque tradire da facili entusiasmi: vide subito la concentrazione sui volti delle due divinità giunte in loro soccorso. Si voltò verso Gohan, e poté vedere che anche suo figlio aveva avuto la stessa impressione: c’era qualcosa che non andava, la cosa era evidente.

Bills osservava il nuovo arrivato con uno sguardo carico di disgusto: era ben consapevole di chi avesse di fronte. Ma per il gusto di ottenere una piccola vittoria, decise di smascherarlo lo stesso: «DOOMSHIKU!» gridò «POTRAI ANCHE INGANNARE LORO, MA SO BENISSIMO CHE SEI TU! QUINDI FARESTI BENE A RIVELARTI COSÌ CHE POSSANO TUTTI AMMIRARE QUANTO TU SIA ORRIPILANTE!»

Il grido di Bills riecheggiò per diversi chilometri, e fu udito da tutti: tra i presenti, calò lo sconcerto per le parole appena pronunciate dal Dio della Distruzione. Ma lo stupore fu ancora più grande quando, da grande distanza, poterono comunque vedere gli occhi di Daniel Ryder illuminarsi di rosso, e la sua bocca curvarsi in un ghigno malvagio.

«Anche dopo così tanto tempo Bills, sei sempre il solito guastafeste…» parlò poi, con una voce profonda, suadente, che riecheggiò per tutta la valle, facendo accapponare la pelle a chiunque la stesse ascoltando.

All’improvviso, l’immagine di Daniel Ryder sembrò distorcersi, e dopo qualche istante, al suo posto vi fu una gigantesca lucertola umanoide, dalla pelle di un blu scurissimo, gli occhi di un rosso accesissimo. Chiunque la poté vedere, e tutti quelli consapevoli di cosa fosse rabbrividirono un’altra volta.

«E poi, mi offendi anche? Non è molto carino… Posso essere terrificante, mostruoso, terribile, inarrestabile…»

Mentre parlava, allargò leggermente le braccia, chiudendo le mani a pugno, lasciando fuori solamente i due indici.

«… ma orripilante proprio no.» disse, puntandoli poi verso l’alto.

Vi fu un lampo di luce accecante, e la città, tutt’intorno alla torre, fu colta da esplosioni devastanti, che si propagarono fino all’area nella quale si era interrotto lo scontro tra Goku e Baby, causando piccole eruzioni di lava dal sottosuolo.

In città, tutti avevano appena fatto in tempo a vedere il semplice movimento delle dita del mostro, che le esplosioni iniziarono, stordendo molti dei presenti. Fortunatamente, l’area interessata sembrò solamente quella periferica: i rifugi messi a disposizione da Baby si trovavano, invece, nei pressi della torre, dove si trovava appunto Doomshiku. Ma ora, tra il fumo e le tubature piene di gas, era molto pericoloso rimanere all’interno.

«Cosa è stato?!» chiese uno spaesato Crilin.

«Non lo so, ma credo che sia il caso di uscire da qui!» disse Videl, tossendo «Forza, tutti fuori! Qua dentro non si può più stare!»

Tutti i presenti nel rifugio raggiunsero la base della torre. Bulma si sporse da un balcone, cercando di capire la situazione: ogni collegamento era saltato, e adesso tre quarti della città erano stati rasi al suolo nel giro di pochi istanti. Non fece in tempo a concepire la rabbia, che una gigantesca figura sfrecciò davanti a lei, e andò ad atterrare poco lontano, dove iniziava il deserto, iniziando a camminare lentamente.

I guerrieri potevano vedere il mostro camminare in mezzo alla più totale distruzione che lui stesso aveva causato, come se nulla fosse. Così come indifferenti continuavano ad apparire Bills e Whis.

«Lord Bills…» chiese Gohan, che manteneva lo sguardo fisso sulla creatura che continuava ad avvicinarsi «Lo avete chiamato Doomshiku… perché?»

Bills rimase per un istante in silenzio, mantenendo lo sguardo fisso sulla creatura.

«Perché quello É Doomshiku, ragazzo: ha ripreso possesso dei suoi poteri… e del corpo del vostro amico.»

«Dovremo lavorare sul tatto, lord Bills, una volta chiusa questa faccenda» commentò Whis.

«Chiudi il becco, Whis.»

Ma il loro bisticcio non interessò minimamente i presenti, rimasti scioccati dalle ultime affermazioni del Dio della Distruzione.

«Ma che intendete con morto?» provò a chiedere Goten.

«Stecchito, annichilito, kaputt. Sapevo che era stupidi, ma non così tanto…»

La risposta arrivò da una voce profonda, che fece voltare tutti i presenti: in piedi, a pochi metri da loro, si ergeva in piedi il demone. Era la terza volta che Goku poteva osservare l’aspetto di Doomshiku, e percepirne la potenza: eppure, in quel momento, poteva sentire qualcosa di diverso. Terribilmente diverso.

«Spero che la cosa non crei problemi anche a voi… Anche se, francamente, me ne importa meno di niente.» disse, facendo spallucce, cosa che mandò immediatamente in bestia Goku.

«PERCHÉ?!» gli gridò, arrabbiato. Doomshiku si limitò a ridacchiare.

«Semplice. Era, come voi tutti, un essere meschino e debole, al quale però, avevo affidato un solo compito: occuparsi di quelli come lui.» disse, indicando Baby. Poi sorrise allo tsufuru, in maniera terrificante, mostrando tutti i suoi denti aguzzi.

«A proposito, ciao, bello.» gli disse «Un uccellino mi ha detto che ti diverti a fare la vittima dei saiyan. Bene, credo ci divertiremo molto insieme…»

«Tu non sei mai stato un portatore di giustizia, Doomshiku. Smettila con questa pagliacciata del vendicatore: se io e Whis siamo qui, è per un motivo e uno solo, ossia fermarti.» disse improvvisamente Bills, con fermezza.

Doomshiku si voltò nuovamente verso il Dio della Distruzione, ostentando un atteggiamento strafottente. «Ambizioso, come sempre… Se è quello che vuoi, Bills, allora fatti sotto: non sarò certo io a fermarti…»

A quel punto, fu chiaro quali sarebbero stati gli sviluppi della cosa: Goku e gli altri si scambiarono dei cenni, e levitarono qualche metro più in là, su una sporgenza che appariva sicura. Baby invece rimase al suo posto, piuttosto confuso su quello che stava succedendo in quel momento.

Bills si mise immediatamente in posa, pronto allo scontro.

«Devo essere sincero, a portarmi qui è stata anche una certa voglia di rivincita nei tuoi confronti: non puoi immaginare da quanto tempo attendessi questo momento…» gli disse, ostentando un sorriso di arroganza.

«Oh, il gattino vuole graffiare? Gattino cattivo!» disse Doomshiku, canzonando Bills, che non la prese affatto bene.

In un attimo, si materializzò davanti a Doomshiku stesso, caricando un pugno che terminò sul palmo del demone, generando un grosso cratere attorno ai due.

Bills allora tentò ripetutamente di colpire Doomshiku, vedendo ogni suo tentativo parato dal demone stesso, che continuava a sorridere, sadico, mentre il Dio della Distruzione gridava sempre più forte ad ogni colpo che provava a mettere a segno.

«È tutto quello che sai fare, eh?! Parare e schivare, roba da dilettanti! Non sei più il più forte, rassegnati!» disse, tentando nuovamente di colpirlo.

«Davvero?» disse Doomshiku, mentre Bills si vide parare l’ennesimo colpo: ma questa volta, la mano di Doomshiku si era chiusa attorno alla sua. Bills venne quindi colpito con una forte ginocchiata allo stomaco, che lo costrinse a piegarsi in avanti, e a sputare copiosamente. Una gomitata al mento lo rimise dritto, e un colpo di coda lo scagliò lontano.

Bills doveva ancora impattare con il suolo, ma Doomshiku si proiettò immediatamente sulla traiettoria, pronto ad anticipare l’incontro tra il corpo del dio e il terreno con un colpo a mani unite. Stava proprio per colpirlo, quando Bills sparì improvvisamente, facendo sbattere le mani di Doomshiku sul terreno, causando un piccolo terremoto.

Bills si era proiettato su di lui, e riuscì a sorprenderlo colpendolo con un calcio laterale al volto. Doomshiku eseguì una verticale e si rimise in piedi, ma Bills gli fu nuovamente addosso, e ripresero a scambiarsi colpi, questa volta con maggiore potenza.

«Mi ricordo una tale foga, solamente quando lo feci arrabbiare, quella volta, anni fa…» commentò Goku, che stava osservando lo scontro da lontano.

«Chi vincerà, papà?» chiese Gohan, voltandosi verso il padre.

«Non lo so, ma in questo momento non possiamo fare nulla, e questo mi irrita parecchio… Fortunatamente non ha ancora ucciso nessuno, riesco a sentire che laggiù sono tutti ancora vivi… Trunks! Goten! Andate laggiù e vedete di portarli fuori dalla città, o almeno il più lontano possibile!»

All’ordine di Goku, i due giovani saiyan si misero immediatamente in volo verso laddove Bulma, impartendo istruzioni con un megafono, cercava di tenere calma la gente radunatasi ai piedi della torre, rassicurando che Baby si sarebbe occupato di tutto e che non c’era nulla da temere. Baby, però, era il primo a non sapere cosa dovesse fare: la potenza dello scontro tra quei due esseri lo aveva costretto a farsi da parte, nonostante fosse ancora nella forma di Oozaru. E anche lui, come Goku, era rimasto piuttosto irritato dalla cosa.

Intanto, Bills e Doomshiku non si risparmiavano: ora lo scontro si era spostato in aria, e i due contendenti non facevano che scontarsi in volo, finché non si afferrarono per le mani, fronteggiandosi, le loro aure che spingevano per allontanarsi a vicenda.

Bills si era abituato fin troppo bene ad essere quello con l’espressione arrogante sul volto in uno scontro: ora, teneva i denti stretti, la bocca piegata in un’espressione di fatica, mentre con gli occhi era costretto a guardare l’inquietante sorriso del suo avversario.

In quel momento, le loro aure non poterono più contenersi, e i due contendenti finirono per separarsi si bruscamente l’uno dall’altro.

Approfittando della situazione, Bills lanciò contrò Doomshiku un potente Ki Blast, che andò a segno: ne uscì una tremenda esplosione, che generò una gigantesca nuvola di fumo.

Bills fu costretto a riprendere fiato: quello scontro ero riuscito a stancarlo, cosa che non provava da moltissimo tempo. Il fumo generato dall’esplosione del ki blast tardava a diradarsi, tanto era stata potente l’esplosione: sperò quantomeno di essere riuscito a danneggiarlo. Nonostante milioni di anni sotto la guida di Whis, non era comunque riuscito a superare l’ancestrale potenza del demone.

Le sue speranze svanirono quando, improvvisamente, la sua vista fu oscurata, in quanto una grossa mano gli avvolgeva la faccia.

«A quanto pare il gattino ha effettivamente imparato a graffiare…» disse Doomshiku, prima di far impattare il suo ginocchio sul corpo di Bills. Lo colpì con un ulteriore pugno al busto, dopo di che mollò la presa sulla sua faccia, e con un ulteriore pugno lo scagliò al suolo.

Goku guardò inorridito mentre Bills faticava a rimettersi in ginocchio: lo stesso Bills che contro di lui aveva a malapena perso una goccia di sudore.

«È inutile Bills, resterai sempre un inferiore. Credevi davvero che mi avresti fermato da solo?» disse, caricando un ki blast verso il Dio della Distruzione.

«Mi permetto di dissentire…»

Doomshiku non poté fare in tempo a capire da dove provenisse la voce, che un colpo di bastone lo scagliò lontano.

«… Lord Bills non è solo. E di certo non è un inferiore.» disse Whis, fronteggiando Doomshiku.

Bills sogghignò soddisfatto, guardando Whis, che si limitò ad un sobrio cenno del capo verso il suo signore. Fino a quel momento aveva osservato lo scontro con attenzione, lasciando comunque spazio al suo padrone, come da prassi, ma ora si era visto costretto ad intervenire.

«Oh, Whis… Allora vedo che hai deciso di mostrare un po’ di fegato, per una volta nella tua miserabile esistenza. Ti ringrazio, comunque: adesso finalmente mi posso divertire sul serio…»

Whis strinse la presa sul suo bastone: «Quando vuoi, possiamo cominciare.»

Doomshiku sorrise nuovamente, mostrando i denti: «Si, credo proprio che stavolta mi divertirò.»

Allora si lanciò a tutta velocità su Whis, cercando di colpirlo con una raffica rapidissima di colpi: Whis, al contempo, si muoveva con la medesima rapidità, parando i colpi semplicemente con il suo bastone, finché non lo usò per colpire il piede del demone, che interruppe la sua carica, lo colpì poi al mento con una gomitata, dopo di che con un calcio gli fece perdere l’equilibrio, colpendolo alle caviglie.

Ma prima che Whis potesse proseguire, la coda di Doomshiku lo colpì al volto, permettendo al demone di riacquistare l’equilibrio con un a rotazione, e di tentare nuovamente di colpire Whis con un pugno, che vide quest’ultimo costretto ad usare il braccio destro per pararlo.

Quando però tentò nuovamente di usare il bastone per colpirlo al busto, Doomshiku si spostò di lato, e Whis fu senza protezione di fronte alla nuova offensiva del mostro, che con un pugno lo scagliò lontano, portandolo vicino alle rovine della città.

Una colonna di lava bollente si elevò giusto lungo la traiettoria di volo di Whis, che riuscì comunque a scansarla, riprendendo un attimo il controllo, ma non fece in tempo a riacquisire completamente l’equilibrio che Doomshiku gli fu nuovamente addosso, passando attraverso la stessa colonna di lava, pronto a colpirlo con un calcio che Whis fu comunque costretto a parare, continuando però a levitare all’indietro.

Decise quindi di proseguire lo scontro in questo modo: continuò a volare lontano, con Doomshiku che ogni tanto provava a sferrare qualche colpo, ma Whis continuava a pararglieli.

Passarono sopra le teste della folla che Trunks e Goten erano riusciti, faticosamente, a convincere i rifugiati che dovevano spostarsi. I due saiyan si guardarono per un istante, mentre le due figure raggiungevano le poche rovine rimaste della città.

Whis, a quel punto, decise che era arrivato il momento opportuno: quando si accorse di un nuovo avvicinamento di Doomshiku, si avvicinò al terreno e vi piantò improvvisamente il suo bastone.

Doomshiku gli volò oltre, e non ebbe nemmeno il tempo di capire cos’era successo che un calcio di Whis lo spedì muso per terra.

Ma il demone fu lesto a rimettersi in piedi, e lanciò un rapido ki blast contro il suo avversario, che, sorpreso, lasciò che gli esplodesse addosso.

Whis fu costretto ad arretrare di qualche passo, e riuscì a stento a reagire, quando dal fumo creatosi spuntò nuovamente Doomshiku, la bocca spalancata che si chiuse immediatamente sul bastone di Whis.

I due rimasero così per qualche istante, le due aure che crescevano esponenzialmente, generando un piccolo cratere intorno a loro.

Finché la stretta di Doomshiku non si fece più forte, e il bastone di Whis si spezzò.

«Fibre… l’ideale!» disse, prima di colpire Whis con un ennesimo, potente pugno, che questa volta vide il discendente dei creatori cadere al suolo, ferito.

Whis si passò una mano sul labbro, e vide del liquido verdognolo impregnargli le dita. Si rialzò, e guardò, rabbioso, il demone: «Non è ancora finita, Demone.»

Doomshiku si limitò a guardarlo, sogghignando: finché, con la mano, non gli fece segno di insistere.

Whis non se lo fece ripetere due volte, e si lanciò a tutta velocità contro il demone: calcio, pugno, calcio, il lungo vestito che non era per niente d’ostacolo, soprattutto ora che si era anche piuttosto rovinato.

Ma la cosa più importante, era che in questo momento aveva l’inerzia dello scontro dalla sua parte.

«Bravo Whis, così mi piaci.» gli disse Doomshiku, prima che un pugno lo scagliasse in aria.

 Riprese quindi l’equilibrio e, adottando la stessa strategia di Whis, iniziò a volare per il cielo, limitandosi a parare le sue cariche.

Si elevarono a tal punto che fu difficile vederli: non per Bills, che ora stava seguendo lo scontro insieme a Goku, Gohan e Pan.

«Whis è sempre stato forte, ma vederlo infuriato è qualcosa di nuovo anche per me…»

«Come sta andando?» chiese Goku, ma non ottenne risposta: Bills rimase concentrato sul combattimento che si stava svolgendo nel cielo.

I due contendenti si erano fermati, e ora si stavano scambiando raffiche di colpi a velocità straordinarie.

«Doomshiku, sappi che mi stai costringendo ad andare oltre i limiti che mi sono consentito!» disse, mentre parava un colpo e tentò di sferrarne un altro.

«Davvero?» gli rispose il demone «Io non ci sono nemmeno vicino!»

«In qualche modo, ti fermerò!»

«Ne sei sicuro, Whis? Guardati, i tuoi movimenti si stanno già facendo più lenti e prevedibili…» disse, parando l’ennesimo tentativo della divinità di colpirlo «I tuoi antenati erano più potenti di te, eppure la loro forza congiunta è servita solamente a confinarmi… forse dovresti rivalutare i tuoi limiti!»

A quel punto, colpì Whis con forza allo stomaco, e mentre era piegato in avanti, lo scagliò con forza verso il basso.

«Sei stato un valido avversario, Whis…» disse, mentre avvolgeva entrambe le mani con due globi di ki «… ma credo sia ora che tu ti faccia da parte.»

Non appena ebbe parlato, si lanciò a tutta velocità contro lo stesso Whis, tenendo i pugni avvolti nel Ki uniti davanti a lui. Whis impattò il suolo non lontano da dove lo scontro era iniziato, e Doomshiku lo raggiunse immediatamente, colpendolo con entrambi e pugni, generando una gigantesca esplosione che costrinse tutti a coprirsi gli occhi.

Quando la luce calò d’intensità, Doomshiku si stagliava, in piedi, sopra un Whis allo stremo delle sue forze, sdraiato al centro di un enorme cratere.

«Bene, ora che mi sono disfatto delle seccature…» disse, voltandosi verso Baby, che rimaneva ben visibile nella sua forma di Oozaru «… posso finalmente giustificare la mia presenza su quest’ammasso di roccia.»

Baby tremò nel vedere quell’essere avvicinarsi a lui, ma non poté comunque pensare di non reagire: era comunque riuscito a battere Goku, nella sua nuova forma di super saiyan, non vedeva ragione nel non poter battere anche quest’essere, nonostante la sua potenza lo facesse ancora rabbrividire, se solo provava a percepirla.

«Muori, guastafeste!» gridò, lanciandosi contro Doomshiku, che sentii solamente un ruggito, mentre lo scimmione correva verso di lui.

«Sta fermo, da bravo.» disse, aprendo il palmo, e Baby si ritrovò improvvisamente paralizzato.

«Da bravo tsufuru, non riesci a vivere senza sfruttare le risorse altrui, eh? Forza, adesso voglio che tu ti faccia vedere!» disse, prima di far partire un’ondata energetica che avvolse lo scimmione. Baby iniziò a gridare dal dolore, e cadde a terra.

«Stai così bravo… riesco a sentire la tua energia, verme schifoso…» disse, allungando anche l’altra mano, e l’ondata generata dal suo palmo aumentò di intensità, così come le grida di dolore di Baby- Oozaru.

Goku, Ub, Bills, Gohan e Pan, assieme a Kibito e mr. Satan, erano immediatamente corsi ad assistere Whis, ma non poterono non guardare mentre le grida di dolore di Baby si facevano sempre più forti.

Finché, improvvisamente, le fattezze dell’Oozaru si fecero più consone: gli strani indumenti di Baby sparirono come erano apparsi, e la grande scimmia tornò normale, mentre l’energia che partiva dalle mani di Doomshiku sembrò concentrarsi in un unico punto, sulla pancia dello scimmione.

«Bene… Fammi vedere se sei bello dentro!» disse sghignazzando, mentre dalla pancia dello scimmione uscì una massa di materiale grigio.

Lo scimmione, nel frattempo, assunse nuovamente le sembianze di Vegeta, il cui corpo, vestiti compresi, sembrava comunque essere rimasto intonso, nonostante le diverse trasformazioni di Baby.

Nel frattempo, la piccola massa grigia uscita dallo scimmione assunse rapidamente le sembianze proprie di Baby, e riprese nuovamente ad urlare dal dolore.

«Ok, può bastare così. Voglio che tu sia lucido per vedere cosa sto per fare. Ah! La tua energia è così malleabile, così facile da manipolare…» disse, mentre faceva sbattere Baby contro una parete di roccia.

«Ecco, fermo così…»

Mentre parlava, dei sassi attorno a lui incominciarono a levitare, andando a formare una solida e compatta lancia, che andò a schiantarsi dritta nello stomaco dello tsufuru, che gridò nuovamente dal dolore. Provò a rendere liquida la sua forma, ma non ci riuscì: il dolore si faceva sempre più insopportabile.

«So cosa stai provando a fare…» disse Doomshiku, che guardò Baby negli occhi da pochi centimetri, terrorizzando ulteriormente lo tsufuru «È tutto inutile: sei bloccato qui. Ora vieni con me, abbiamo molto da divertirci insieme!»

In quel momento, la roccia, alla quale Baby era impalato, iniziò a levitare, e prese il volo subito dietro il demone. Il gruppo intanto, si avvicinò a Vegeta, che lentamente sembrava riprendere conoscenza. Ub provò ad aiutarlo, solo per vedersi rudemente allontanato «Ce la faccio benissimo, da solo!»

«Vedo che il principe dei saiyan non è cambiato per nulla.» disse improvvisamente Bills, cogliendo Vegeta di sorpresa.

«Lord Bills, mi perdoni…» disse, abbozzando delle scuse.

«Lascia stare Vegeta, abbiamo problemi più seri.» lo interruppe Goku, bruscamente.

«Lo so, potevo vedere cosa succedeva… E per quanto sopportassi a fatica quel ragazzo, non riesco a concepire che quell’essere abbia ucciso Daniel e la passi liscia, nonostante condivida la mia stessa idea su quel verme di Baby.» disse, apparendo subito determinato.

«Dove sarà diretto?» domandò Pan.

Whis, ancora piuttosto malconcio, si voltò, guardando verso ciò che rimaneva della città: «È qui in cerca di vendetta. Potrebbe uccidervi tutti in un colpo solo, ma conoscendolo, vorrà divertirsi con quelle che presume essere le sue vittime designate…»

Tutti poterono immediatamente realizzare cosa intendesse Whis: Doomshiku era andato a cercare i seguaci di Baby. Cosa che comprendeva tutti i loro cari.

«Adesso, però, mi sono stancato! Può fare tutto ciò che vuole a Baby, ma se prova a sfiorare gli altri, giuro che non gliela farò passare liscia!» gridò Goku, prima di prendere il volo a tutta velocità verso le rovine della città, seguito a ruota da Ub e gli altri saiyan.

Whis non fece nemmeno in tempo a fermarli, che già si trovavano a parecchio distanti.

«La testa dura dei saiyan: avremmo dovuto tenerne conto, Whis» commentò Bills assumendo la sua solita posa, le mani giunte dietro la schiena.

«Allora credo che dovremmo essere disponibili a fornire un aiuto, non crede, Lord Bills?» disse Whis, prima di allungare la mano: in quel momento, i due frammenti in cui il suo bastone era stato ridotto lo raggiunsero in un istante, ricongiungendosi magicamente.

Con un cenno, si misero entrambi lentamente in volo verso le rovine della città. Kibito fece un cenno a mr. Satan, che gli saltò immediatamente in spalla, e anch’essi decollarono.


NOTE DELL’AUTORE
Ehilà amici! Come ve la passate? Io sto per partire per un’altra decina di giorni, ho pensato comunque di lasciarvi qualcosa di nuovo! In questi giorni, senza connessione, avrò modo di lavorare per proseguire la storia. Faccio parecchia fatica, ho perso un po’ di entusiasmo… ma devo finirla!

Riguardo questo capitolo, alcuni dettagli (come quello dei vestiti di Vegeta) sono recuperati dalla serie animata stessa (quindi li ho utilizzati anch’io, espedienti convenienti). Spero anche che Doomshiku vi abbia convinto come cattivo! Nei prossimi capitoli, vi garantisco, ne vedrete delle belle!

Dragon Ball è proprietà di Akira Toriyama.

Alla prossima!

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Capitolo 41
*** Giochi mortali ***


CAPITOLO QUARANTUNESIMO- GIOCHI MORTALI

Goten e Trunks erano riusciti a portare tutti gli sfollati fuori dalla città, o da quello che ne restava, e ad accompagnarli in una zona relativamente deserta, e osservavano da una piccola sporgenza rocciosa.

«Al diavolo i legami di parentela, se vi siete schierati con i saiyan scordatevi di darci ulteriori ordini!» sentirono gridare i due, e voltandosi poterono vedere le loro madri, seguite dal resto della loro grande famiglia allargata, che si avvicinavano minacciose.

«È per il vostro bene… Poi sistemeremo tutto…» provò a giustificarsi Trunks.

«Non raccontare fesserie! I saiyan sono nostri nemici, e se voi vi siete schierati con loro, allora scordat-»

«Uh, un litigio in famiglia. Decisamente il modo ideale per trascorrere l’ultimo giorno di esistenza!»

La voce che interruppe Bulma costrinse tutti a guardare verso l’alto, facendo rabbrividire i due saiyan quando videro cosa si stagliasse sopra di loro.

In tutta la sua terribile enormità, la coda che si muoveva lentamente alle sue spalle, Doomshiku li osservava con aria divertita. Ma la cosa che inorridì la maggior parte dei presenti, fu la figura impalata al pezzo di roccia che levitava al fianco del mostro.

«Lord Baby!» gridò Bulma sconvolta.

«Qualcuno sembra preoccupato…» sogghignò Doomshiku, mentre Goten e Trunks assunsero posizioni d’attacco.

«Cosa pensate di fare, voi due? Sapete, io ammiro il coraggio. Davvero. Ma, francamente, non vedo come possiate essermi d’ostacolo, in queste condizioni. Credo mi sareste molto più utili se faceste quel vostro balletto, almeno contribuireste al mio divertimento… e chissà, potrei anche decidere di risparmiarvi la vita.» disse il demone, sorridendo ai due saiyan.

«DOOMSHIKU!» urlò improvvisamente una voce, che si rivelò appartenere a Goku, quando apparve in mezzo a Goten e Trunks, seguito a ruota da Vegeta, Gohan, Pan e Ub.

«Papà! Come ti senti?» chiese Trunks, alla vista del padre rinsavito.

«Non è il momento, Trunks.» gli rispose Vegeta, freddo.

«Sta bene.» gli sussurrò Goten, alleggerendo l’atmosfera che si era creata.

«Ascolta, Doomshiku,» iniziò Goku «Questa gente non ha fatto nulla di male per meritarsi la tua vendetta! Hanno il diritto a proseguire la loro esistenza!»

Doomshiku, in tutta risposta, ridacchiò: «Forse non ti è ben chiaro chi sono io, saiyan. Evidentemente il tuo amico re Kaioh non è così ben informato come crede. Dovrò fargli una visitina…in questo caso, tocca a me presentarmi come si deve. Innanzitutto, ti basti sapere che per me le vostre esistenze valgono come tutte quelle in questo universo: cioè, zero.»

Il suo tono quasi canzonatorio non fece che irritare ulteriormente i presenti.
    
«Io sono nato per portare la morte e la disperazione,» proseguì «è un po’ il mio lavoro. Ma, nella mia lunga esistenza ho potuto constatare che, se ti diverti a fare il tuo lavoro, non lavorerai mai un giorno in tutta la tua vita. E ti assicuro che mi sto divertendo un mondo.»

Il suo ghigno malvagio si allargò ulteriormente.

«Ma» disse nuovamente «non sono senza cuore: se questa gente non avesse sposato la causa di questo verme, rinunciando alla loro stessa umanità, forse qualche giorno in più di vita glielo avrei potuto concedere. E se anche dovessero rinsavire in questo momento, potrei sentirmi in vena di gentilezze…»

«Sono posseduti, non è stata una loro scelta!»

«E a me che differenza fa?» controbatté nuovamente Doomshiku, facendo arrabbiare ancora di più Goku.

«Tu hai ucciso un nostro amico… stai sfruttando il suo corpo… e questo non te lo perdoneremo mai…»

Le parole di Goku fecero improvvisamente sussultare Pamela e Keiichi Ryder: cosa intendeva quel saiyan?

«Ti chiedo solo pietà per questa gente: altrimenti dovrai passare sui nostri cadaveri!»

«Solo? AH! Tu e lui non siete diversi, nessuno di voi è diverso, siete tutti uguali!» gridò, allargando le braccia.

«Siete deboli, rammolliti,» continuò, volgendo lo sguardo su tutti i presenti «mi parlate di pietà, semplicemente perché non avete il coraggio di affrontare la realtà: il più forte vince sul debole, la morte è il modo migliore per depurare questo mondo dagli insetti come voi. Ed io ci provo un gusto incredibile nello schiacciarvi.»

Dopo quell’ultima frase, mostrò i denti aguzzi in un inquietante sorriso.

«Adesso BASTA!» gridò Goku, lanciandosi contro il mostro, seguito a ruota dal resto dei guerrieri, che si trasformarono immediatamente in super saiyan.

Doomshiku li affrontò con disinvoltura, librandosi in aria a sua volta, parando e schivando ogni singolo colpo che i guerrieri provavano a infliggergli con incredibile naturalezza. Finché non aumentò la sua aura, generando un’onda che li scagliò tutti lontano.

«Magari posso alleviare il dolore per la perdita del vostro amico, ricongiungendovi alla sua maniera! Ad esempio, facendovi finire in una TEMPESTA MORTALE!» gridò, lanciando uno dei tipici attacchi di Daniel Ryder, dove erano caduti Goten e Trunks, che per quanto ci provarono, non riuscirono ad evitare tutte le esplosioni.

«Spero abbiate portato l’ombrello, è in arrivo un DILUVIO ESPLOSIVO!» urlò, lanciando questa volta la versione più devastante del precedente contro Gohan e Ub, che si riuscirono ad evitare le esplosioni, ma per colpa delle ultime onde d’urto vennero schiantati a terra.

«Com’è divertente!» disse, prima di caricarne un nuovo attacco «Questo ha un nome che mi piace, CANNONE DOOMSDAY!»

Questa volta l’attacco fu diretto Vegeta, che si scansò all’ultimo, ma l’esplosione lo fece comunque volare via di diversi metri.

«E per finire, la mia preferita…» disse, voltandosi verso Pan, che lo guardava terrorizzata.

«Kame… Hame…» cominciò a sillabare Doomshiku, con Pan che rimase immobile mentre le mani artigliate del mostro si stava formando un piccolo globo carico di energia.

«Pan, spostati!» le gridò il padre, ma Pan non si scansò, e così Doomshiku poté concludere la formula.

«HA!» gridò, facendo partire dalle mani un’onda energetica mastodontica, che squarciò l’aria, puntando dritta verso la ragazzina.

Pan non riusciva a muoversi, mentre l’onda si avvicinava sempre di più.

Finché due braccia pelose non la cinsero, proprio nel momento in cui l’onda avrebbe dovuto colpirla, facendola volare a terra per l’incredibile spostamento d’aria. La Kamehameha di Doomshiku andò a spegnersi nello spazio, senza dare sfogo a tutto il suo potenziale distruttivo.

Pan era volata a terra a velocità comunque molto considerevole, eppure sentì di non essersi fatta male: si accorse di essere stata presa al volo da una figura che aveva subito tutto il danno al suo posto, salvandola comunque da morte certa.

«La prossima volta, dai retta a tuo padre, ok?» le disse Goku, piuttosto sofferente.

«Si, nonno. Grazie.» gli rispose, sorridendo affettuosamente.

Doomshiku si ritenne soddisfatto: non aveva ucciso nessuno, ma aveva comunque impartito una bella lezione a quel branco di scimmioni. Ma l’assenza di almeno un morto gli pesò sul cuore, e decise che ora avrebbe dovuto divertirsi un po’, e nessuno avrebbe dovuto obbiettare.

“D’altronde, come potrebbero mai impedirmelo?” pensò, tra sé e sé, dirigendosi verso gli sfollati.

«Allora, amici miei…» disse, atterrando tra la folla atterrita «Immagino che tutti voi vi sentiate degli tsufuru orgogliosi.»

Nessuno rispose.

«Il vostro amato leader…» disse, voltandosi verso un’ancora sofferente Baby «vi ha insegnato ad odiare i saiyan, vi ha convinto di come gli tsufuru siano state le povere vittime di una razza di brutali usurpatori.»

Si voltò, nuovamente, verso la folla, esibendo un altro sorriso inquietante. Keiichi Ryder osservava, paralizzato, facendo fatica perfino a piangere, avvolto nelle braccia della madre.

«Voi siete tutta brava gente che si merita di ascoltare storie vere… e , soprattutto, complete.» disse, mentre si elevò al livello di Baby che, dolorante, teneva la testa china «Racconta un po’, tsufuru, cosa successe con il pianeta Hamon, e con la razza degli hatwa… Dillo ai tuoi fedeli seguaci…»

Baby alzò leggermente lo sguardo verso il suo aguzzino, che ebbe un improvviso scattò d’ira «DIGLIELO!»

Baby emise un piccolo gemito di dolore ma, alla fine, parlò: «Gli hatwa… si rifiutarono… di concederci le risorse del loro pianeta… ma ne avevamo bisogno… così lì invademmo…»

Baby, nelle cui cellule scorreva parte del DNA dello stesso re degli tsufuru che ordinò l’invasione, aveva in mente quella storia come se avesse vissuto di persona quei fatti: ma in quel momento, il dolore non gli consentiva di scendere troppo nei dettagli.

«Li sterminammo… ma poi… il pianeta esplose, misteriosamente… uccidendo anche molti di noi… e fu un nulla di fatto…»

«Si… misteriosamente…» sussurrò Doomshiku all’orecchio dello tsufuru, che si voltò, stupefatto «Esatto… fui io a farlo esplodere, tsufuru. Quel pianeta fu la mia prigione, poi la mia casa, l’unica ragione per non portare distruzione… e voi l’avete distrutto. Forse ti serve un po’ di ripasso sul vero concetto di vendetta, eh?»

Doomshiku continuò a sorridergli, poi si voltò nuovamente verso la folla: «Allora! Se voi tsufuru siete stati capaci di invadere un pianeta pacifico per i vostri meri scopi egoistici, da chi, quindi, non siete diversi? C’è qualcuno tra voi abbastanza sveglio per rispondere a questa domanda?»

Doomshiku aprì le braccia, cercando di spronarli a rispondere, cercando di apparire gioviale con la folla, mentre attendeva una risposta: si divertiva un mondo a vedere i loro sguardi terrorizzati, guardandoli uno per uno. Finché non si voltò verso Bulma.

«Tu…» disse, indicando la scienziata, che ebbe un tremore improvviso «Da quel che so, tu sei una scienziata, un genio, a quanto pare: allora, sei in grado di rispondere ad un semplice quesito di logica?»

A quel punto, si chinò sull’azzurra, fissandola intensamente con i suoi brillanti occhi rossi. Bulma era paralizzata.

«Davvero deludente…» commentò mestamente Doomshiku, che allungò l’indice sul volto della scienziata, che chiuse gli occhi di fronte alla fine imminente.

«Dai saiyan.» disse improvvisamente una voce in mezzo alla folla, che fece voltare tutti «Non ci rende diversi dai saiyan.»

«Bingo! Allora l’intelligenza vi è stata concessa!» gridò Doomshiku, improvvisamente entusiasta, allontanandosi da Bulma «Avanti! Fatti vedere!»

Dalla folla uscì un ometto di mezza età, dai corti capelli marroni, lo sguardo piuttosto impaurito.

«Come ti chiami?» gli domandò Doomshiku. L’uomo lo guardò, terrorizzato, mentre il demone si chinava su di lui. «T-Ted…» balbettò.

«Complimenti Ted, hai dato nuova linfa alla mia giornata, grazie!» gli disse, allargando le braccia, e mostrando nuovamente i denti.

«I… I-Il g-grande Baby ti fermerà!» balbettò nuovamente l’uomo, raccogliendo dei sussurri si approvazione.

Doomshiku, dal canto suo, faticava a contenere le risate.

«Ma lo hai visto?!» disse, indicando il pezzo di roccia dietro di lui, che ancora levitava per aria «Decisamente minaccioso…»

Il demone poté sentire la paura dentro l’ometto, così come dentro tutti gli altri: capì che era l’occasione per divertirsi veramente. Rimuginò un attimo, poi si chinò nuovamente su Ted: «E se fossi tu, invece, colui che mi fermerà?»

Doomshiku poté dirsi soddisfatto quando vide una luce accendersi negli occhi dell’ometto.

«Allora… io ti farò una domanda molto semplice, e ti darò cinque tentativi per rispondere correttamente.» disse, aprendo la mano destra di fronte a sé «Se mi darai la risposta giusta, mi prenderò comunque il vostro leader, ma voi sarete lasciati in pace. Ti sta bene?»

Il sogghigno di Doomshiku si fece più largo al piccolo cenno d’assenso che ricevette. «Bene allora, la domanda è questa… quante dita hai nella tua mano destra?»

Tutti emisero una sorta di sospiro di sollievo: era una domanda semplicissima, il mostro li avrebbe lasciati in pace e sarebbero stati tranquilli. Questi erano i pensieri della maggior parte dei presenti. Ma solo della maggior parte.

«È troppo semplice…» mugugnò Crilin, sospettoso, facendo girare il resto del gruppo vicino a lui.

«C-Cinque!» rispose Ted, rompendo gli indugi, e un peso si sollevò dall’animo di tutti i presenti, che assunsero tutti espressioni sollevate. Lo stesso Ted iniziò a sorridere, sollevato, ma la sua espressione cambiò nuovamente, mentre incrociava lo sguardo serioso di Doomshiku.

«Sbagliato.» rispose il demone, freddamente, chiudendo il pollice.

I presenti non ebbero nemmeno il tempo di stupirsi, perché lo stupore cedette immediatamente il passo all’orrore quando una delle dita di Ted saltò letteralmente via, generando una piccola pozza di sangue ai piedi dell’ometto, che iniziò a gridare dal dolore. Qualcuno provò a venire in suo soccorso, ma fu subito respinto da un’aura invisibile.

«State tutti fermi! Il nostro Ted può farcela da solo… Coraggio, hai ancora ben quattro tentativi…»

Ted, dolorante, alzò lo sguardo verso Doomshiku, che lo guardava, ghignante: «Allora, quante dita hai nella tua mano destra?»

L’uomo non capiva cosa stesse succedendo, ma l’unico pensiero che riuscì a formulare in quel momento fu quello di assecondarlo.

«Q-Quattro…»

«ERRORE!» esclamò nuovamente Dooshiku, chiudendo un altro dito della sua mano, facendone conseguentemente saltare uno dalla mano di Ted, che gridò nuovamente dal dolore.

Molti dei presenti volsero lo sguardo, mentre ai piedi dell’uomo, ormai caduto in ginocchio, si era formata una grossa pozza di sangue.

«Adesso basta! Lascialo stare!» gridò una ragazza, che si fece largo tra la folla, avvicinandosi al duo.

Doomshiku allora volse lo sguardo, fissando la donna, che si fermò, atterrita.

«Avevo detto di stare fermi…» disse, prima che la ragazza esplodesse in un grande bagliore, che non lasciò resti «Evidentemente non mi sono espresso bene.»

Tede aveva osservato con orrore cosa fosse appena successo, e capì che non c’era altro modo che assecondare quel mostro che, intanto, si era chinato su di lui.

«Hai visto, Ted?» gli sussurrò, piegato sulle ginocchia «La tua gente non ha fiducia in te. Dovresti dimostrargli il contrario, no?»

A quel punto, di fronte alla sprezzante arroganza di Doomshiku, dentro l’uomo si generò una forte rabbia, ma esitò ancora nel dare una nuova risposta.

«Avanti, Ted! Hai ancora ben TRE tentativi per salvarvi tutti! Coraggio!» lo esortò nuovamente il demone.

L’uomo stringeva i moncherini con l’altra mano, cercando di limitare la fuoriuscita del sangue. Ma la rabbia gli permise di ritrovare nuovamente il coraggio, e rispose nuovamente: «Ne ho… tre…»

«Sbagliato di nuovo!»

E si ripeté la stessa scena di prima, con Ted che stavolta cadde al suolo a causa del dolore insopportabile. Doomshiku volse lo sguardo verso di lui, che impallidiva a vista d’occhio per la continua perdita di sangue.

«D-Due…» sussurrò Ted, sempre più consapevole di quale fosse l’unico modo per porre fine a quella tortura. E quando un altro dito saltò, non ebbe più neanche la forza di gridare.

Doomshiku si piegò su di lui, ostentando compassione: «È il tuo ultimo tentativo, Ted. Usalo bene.»

L’uomo sputò un rivoletto di sangue, che gli finì a lato della bocca: «U… Un… Uno solo…»

«Peccato.» disse pacatamente Doomshiku, chiudendo l’ultimo dito della sua mano, lasciando Ted completamente senza dita nella mano destra. L’uomo, comunque, si sentì sollevato, nonostante il dolore e la fiacchezza che sentiva in quel momento: non pensò a cosa lo aspettasse, voleva solo che quella tortura finisse.

Finché non si sentì sollevato in aria.

«È stato divertente giocare con te, Ted.» disse, muovendo il pugno chiuso verso l’alto, con conseguente levitazione del malcapitato «Ma temo che dovrai lasciarci. Alla prossima! O forse no…»

A quel punto aprì la mano, e gli occhi e la bocca di Ted iniziarono a brillare di una luce accecante, finché non esplose in un gigantesco bagliore. Ma quando poi i presenti poterono nuovamente guardare, Ted non c’era più.

«Allora, in quanto a voi… oggi mi sento magnanimo, e voglio offrirvi una nuova chance: accettate di tornare a ciò che siete, alla vostra realtà di terrestri? Perché, nel caso, avreste salva la vita… almeno per il momento…»

Nessuno ebbe il coraggio di rispondere al mostro, che iniziò quindi a elevarsi verso il cielo.

«Lo prendo come un no…» disse, prima di voltarsi verso Baby, facendo levitare il pezzo di roccia verso l’alto, insieme a lui «Vieni, avrai un posto in prima fila per assistere alla tua disfatta…»

«Cosa avrà in mente adesso?» chiese mr. Satan, mentre il gruppo dei malridotti guerrieri osservava Doomshiku elevarsi sempre di più. Bills e Whis rimasero in silenzio.

«Bene, orgogliosi tsufuru!» gridò improvvisamente Doomshiku, una volta raggiunta una considerevole altitudine «Avendo fatto questa scelta, ora ne subirete le conseguenze, alla mia maniera!»

Allora, alzò le braccia verso l’alto, e gridò: «Mostrati, amico mio, a questi mostri che ci hanno costretto a separarci!»

La terra tremò per qualche istante, ma gli sguardi di tutti rimasero incollati al cielo, dove una gigantesca sfera di un verde acceso, che a qualcuno dei presenti ricordò vagamente un pianeta già visistato in passato, comparve improvvisamente, occupando interamente il cielo di Neo Vegeta.

«E q-quello cos’è?» domandò Goten, stupito.

«Quello, ragazzo, è il pianeta Hamon.» disse Bills.

«Hamon?! Ma è andato distrutto!» sbraitò Vegeta, stupefatto a sua volta.

«Hamon e Doomshiku hanno vissuto per anni in perfetta simbiosi: quello non è il vero pianeta, ma una proiezione di esso che Doomshiku ci sta mostrando, in quanto parte integrante del suo essere. E non credo si limiterà a quello…» gli rispose, secco, il Dio della Distruzione.

«Ora, amico mio, fai sentire loro, cos’è la vera sofferenza…» gridò Doomshiku, calando improvvisamente le braccia verso il basso, e una lunga nube bianca, partita da dietro di lui, iniziò a coprire il pianeta.

La folla di rifugiati, già piuttosto sconcertata, non ebbe il tempo di realizzare cosa stesse accadendo, che furono tutti colti da improvvise emicranie: nella nube iniziarono ad intravedersi figure, figure dalle fattezze umane, che iniziarono a girare intorno a tutti  i rifugiati.

Nella nube si formarono le figure di edifici distrutti, velivoli in fiamme, soldati che marciavano in mezzo ad una grande moltitudine di alberi.

Ma tra quelli che Doomshiku aveva scelto come tsufuru, si potevano sentire grida, grida di dolore, di disperazione, e gli spettri li accusavano di essere la causa della loro dipartita. Iniziarono tutti a gridare, cercando di chiudere gli occhi di fronte a quell’ennesima tortura.

Doomshiku, di tutt’altro avviso, iniziò a ridere maniacalmente, mentre osservava compiaciuto l’effetto che gli spiriti stavano portando in mezzo ai rifugiati.

«Cosa sta facendo?!» chiese Gohan, sconcertato, mentre vedeva Videl inginocchiata a terra, sofferente.

«Gli sta fa facendo provare tutta la sofferenza subita dalla razza hatwa.» rispose, freddo, Whis.

«E non c’è un modo per fermare tutto ciò?!» chiese Trunks, anche lui rimasto scioccato nel vedere sua madre e sua sorella in quello stato.

«Forse un modo c’è…» disse Kibito, che teneva ancora in mano l’Acqua Miracolosa «Magari questa può essere d’aiuto, ma non basterà per tutti…»

Vegeta, ancora più sconcertato del figlio, si girò verso il kaioshin, infuriato: «ALLORA FAI ALMENO UN TENTATIVO! PROVA SULLE NOSTRE FAMIGLIE! RISPARMIA QUESTA SOFFERENZA ALMENO A LORO!»

«Calmati, Vegeta…» gli disse Goku, che faticava comunque a contenere la collera, nel vedere anche sua moglie nello stesso stato «Kibito… fallo.»

«Noi andiamo con lui: almeno sapremo essere convincenti, sicuramente più di voi saiyan, nel caso oppongano resistenza.» disse improvvisamente Bills, generando stupore tra tutti i presenti, Whis compreso. Goku, superato l’iniziale stupore, sorrise alla divinità.

«Grazie, lord Bills.» gli disse, ricevendo un ghigno in risposta, prima che le tre divinità prendessero il volo verso la folla.

Ma se c’era una persona che, fino a quel momento, non aveva prestato più attenzione ad alcun discorso, e quella era Pan.

Dopo aver visto sua madre, sua nonna e tutti i suoi amici ridotti in quello stato, aveva preso a fissare Doomshiku, con una rabbia dentro che cresceva ad ogni risata del mostro.

Lo vedeva ridere, mentre la gente soffriva, lo aveva visto torturare quell’uomo, prendersi gioco di lui e di tutti gli altri. Aveva riso dei loro tentativi di fermarlo.

Aveva ucciso uno dei suoi amici, uno dei suoi tanti zii, e aveva preso definitivamente preso possesso del suo corpo.

Sentiva la furia crescere dentro di lei, anche nel suo sentirsi inerme di fronte alla sofferenza che quell’essere stava arrecando. La sua aura crebbe con essa, la poteva sentire, costretta a digrignare i denti da quanta forza si stesse generando dentro di lei.

Finché non la poté più contenere.

«Pan, tutto ok?» le chiese il padre, che non fece in tempo a chinarsi sulla figlia, che questa iniziò a gridare con tutta la sua forza, liberando con la sua furia anche un enorme quantitativo di energia.

Pan continuò a gridare per qualche secondo, mentre l’aura intorno a lei assumeva un colore dorato.

Quando lo sfogo di Pan terminò, tutti rimasero stupefatti da cosa fosse appena successo: i capelli, ancora raccolti sotto la bandana arancione, si erano fatti biondi, e si allungavano verso l’alto. L’aura della bambina era diventata di un giallo intenso, e il gruppo non poté vedere le pupille, diventate di un blu cristallino.

Pan era riuscita a trasformarsi in un super saiyan.

Gohan si sentì in quel momento ricolmo d’orgoglio, ma non fece nemmeno in tempo ad elaborare la cosa che sua figlia stava già volando verso l’alto, diretta a tutta velocità verso Doomshiku.

«Aspetta! PAN!» le gridò Goku, ma fu un tentativo inutile inutile: Pan aveva ormai raggiunto Doomshiku, che la guardò, incuriosito. Baby, ancora piuttosto sofferente, alzò lievemente la testa, stupendosi anche lui di quello che si ritrovò davanti.

«Bene bene… Anche la piccola Pan ha deciso di tingersi i capelli. Ti stanno molto bene! Oltretutto, da quel che so, la tintura è decisamente una cosa più femminile…»

Pan non fece caso alla battuta del demone, e continuava a guardarlo, digrignando i denti.

«Smettila subito… Lasciaci in pace.» gli sussurrò, fronteggiandolo «Ridammi mio zio Daniel.»

«Uh, lo “zio Daniel”! Che cosa tenera!» commentò Doomshiku, in tono canzonatorio.

Ma lo sguardo di Pan gli fece immediatamente capire che faceva sul serio subito che la ragazzina faceva sul serio: «Altrimenti, che fai?»

«Questo!» gridò Pan, colpendo con forza il muso del demone, che si vide costretto a piegare la testa ad ogni colpo, finché Pan non terminò la sua carica. Doomshiku rimase per un istante piegato sulla sua destra, per l’ultimo pugno subito dalla piccola saiyan: poi si voltò, apparendo quasi annoiato.

«Sai, come ho detto a quegli altri due, io ammiro chi ha coraggio…»

A quel punto, si proiettò a pochi centimetri da Pan, che rimase bloccata dalla sorpresa.

«È una giustificazione intelligente per la propria stupidità.»

Pan, allora, si sentì colpita fortissima sul fianco: Doomshiku, con un pugno, l’aveva scagliata verso il basso. Pan si avvicinava al suolo a grande velocità, finché due braccia non la raccolsero, prima che potesse schiantarsi con violenza: le braccia di Gohan.

«Papà…» sussurrò, ancora sofferente per il colpo subito.

«Shh, sei stata brava. MI hai reso orgoglioso di te.» disse, discendendo nuovamente verso il gruppo. Pan fu comunque lesta a rimettersi in piedi, e ricevette comunque sorrisi di affetto da parte di tutti.

«È stato parecchio stupido, Pan. Però, hai avuto fegato.» le disse Vegeta, cosa che Pan considerò come un attestato di stima.

«Almeno ci ha provato! Ci dovrà pur essere un modo per fermare quell’essere! Non possiamo continuare a rimanere qua, a far niente!» disse mr. Satan, sorprendendo un po’ tutti.

Goku chinò un attimo la testa e rifletté per un istante: anche se si era ripreso dalla batosta di prima, in questa forma non poteva comunque nulla contro quel demonio. Sapeva quale livello avrebbe dovuto raggiungere, ma forse anche in quella condizione, nella quale aveva lottato alla pari con Bills, avrebbe avuto poche chance.

Finché non ebbe come un’illuminazione: era una follia, probabilmente non avrebbe funzionato, ma ci si doveva provare.

«Ci serve il super saiyan god.» disse improvvisamente Goku, facendo voltare tutti.

«Pff, e chi sarebbe il designato, stavolta?» sbuffò Vegeta.

Goku rimase per un istante in silenzio, prima di girarsi verso il compagno di tante battaglie: «Io.»

«COSA?! Sei forse impazzito, Kakaroth? Hai già raggiunto la quarta forma del super saiyan!»

«Appunto. Se combinassi le due trasformazioni, potrei ottenere abbastanza energia per poterlo battere.»

«Ma è comunque un quantitativo di energia troppo grande per uno soltanto! Non durerai più di qualche minuto!» sbraitò nuovamente Vegeta.

«Vale la pena provare.» gli rispose, sorridendo amichevolmente a Vegeta. Voltandosi, incontrò le espressioni assenso del resto del gruppo.

«Oh, e va bene! Ma per me, resta una grandissima cazzata!» grugnì il principe dei saiyan.

Intanto, sulla sporgenza, la teoria di Kibito aveva avuto successo, ed era riuscito a ripulire qualche persona, tra cui le famiglie dei guerrieri e i loro amici, prima di interrompersi.

«Devo risparmiarne un po’, per poterla diffondere nell’aria quando torneremo sulla Terra… di più non posso fare!» si era giustificato.

«Non scusarti, Kibito: sei stato ancora molto utile alla causa.» lo aveva rassicurato Whis.

«Scusate un attimo, però: spiegatemi bene cosa intendete per “morto”!» aveva bruscamente interrotto Pamela, strattonando Whis.

«Che c’è da capire? Doomshiku ha distrutto l’anima di Ryder, lo ha ucciso e ripreso possesso del suo potere!» rispose, freddo, Bills, beccandosi un’occhiataccia da Whis.

Pamela lasciò andare il vestito di Whis, e rimase per un attimo sconcertata, le amiche che le si avvicinarono immediatamente per darle conforto. In quel momento, il mondo attorno a lei parve fermarsi, fino quasi a sparire. Faticava ad elaborare quello che le era stato appena detto. “Non è vero…” fu la prima cosa che le venne in mente.

Si era raccomandata. Non era vero. Sarebbe tornato. Non poteva essere vero. I suoi pensieri persero ogni tipo di connessione logica.

«C-Come è possibile…» chiese ancora, trattenendo a stento le lacrime.

«È successo, quindi è possibile!» rispose, ancora piuttosto freddamente, Bills, che si beccò stavolta una bastonata da Whis «Che c’è adesso? Non è colpa mia se non sono in grado di arrivarci!»

Keiichi aveva ascoltato tutto, ed aveva finito per sedersi su una roccia: neanche lui riusciva a concepire la cosa. Suo padre non poteva essere morto.

“Non può essere morto: è come l’altra volta, non è morto…”    

Non faceva caso alle urla del resto della folla, che ancora soffriva della tortura di Doomshiku. Guardava verso il basso, osservando niente in particolare.

Sentì sua madre piangere, ma non volle alzare lo sguardo.

Quando però la terra iniziò a tremare, si vide costretto a farlo: in quel momento si accorse che Crilin si era seduto vicino a lui, cercando di consolarlo, ma non ci fece più caso. Entrambi fissavano il punto, dove i saiyan si erano messi in cerchio attorno a Goku, concentrando un enorme quantitativo di energia.

«Non ditemi che…» sussurrò il maestro Muten, che osservava la scena, rapito. Gli occhi di tutti conversero su Goku, che in quel momento levitava in aria, avvolto da un’aura rossa, mentre la sua potenza cresceva sempre di più, raggiungendo un livello mastodontico.

Quando poi il processo fu completo, Goku tornò a terra, il suo aspetto decisamente cambiato: la pelliccia rossa del super saiyan quattro aveva ora un colore tendente all’arancio, i capelli neri erano ora rossi.

Goku era diventato nuovamente super saiyan god, in una nuova, più potente versione.

«Questi saiyan sono veramente pieni di risorse, non trovi anche tu, Whis?» commentò Bills.

«Sicuramente.» commentò Bills, mentre i restanti saiyan raggiungevano la sporgenza, ricongiungendosi alle famiglie.

«Gohan! Goten! Oh, ero così in pensiero! Perdonatemi!» gridò Chichi, abbracciando entrambi i figli.

«E ora? Che succede?» chiese Kibito, rivolgendosi ai nuovi arrivati.

«Ora è il caso di fare attenzione, perché sarà un gran casino.» commentò Vegeta, che si staccò dall’abbraccio di Bulma per un istante, voltandosi nuovamente verso Goku, che ora guardava verso Doomshiku.

Il demone dal canto suo, poté immediatamente percepire cosa stesse accadendo. Guardò anche lui Goku, constatando l’arrivo di un nuovo, più che valido avversario.

Con un rapido movimento della mano, interruppe bruscamente il flusso della nube dal pianeta Hamon, che come era comparso, sparì nuovamente. L’emicrania scomparve improvvisamente, e la gente smise di gridare, riprendendo fiato dopo lo shock.

Ora il paesaggio di Plant era ritornato quello di sempre, con il cielo nuovamente tinto di rosso. Goku, in mezzo alle rovine, guardò ancora Doomshiku, e gli fece un mezzo sorriso.

Il Demone dell’Apocalisse sorrise a sua volta: «Ora si che ci divertiamo…»


NOTE DELL’AUTORE
Ehilà, bella gente! Come ve la passate? Eccoci con un nuovo capitolo. Spero di aver stimolato la vostra curiosità: ora, chi mi chiedeva perché avevo optato per deviare dal finale di Battle of Gods, rendendo quello del Super Saiyan God uno stato raggiungibile solo e sempre attraverso un rituale, ha la sua risposta. Spero che questo escamotage vi sia piaciuto.

Ora, gli aggiornamenti andranno molto a rilento. Ci sarà sicuramente qualcuno tra voi che scrive da più tempo di me, e quindi capirà se dico che sto attraversando una fase di quasi completo blocco creativo (oltretutto in un periodo in cui ho parecchio tempo libero… sgrunt) quindi credo che la storia subirà un brusco rallentamento: ho ancora qualche capitolo pronto, ma non sono molti. In più, sono sopraggiunti alcuni problemini con il mio pc, ma è roba di poco conto.

Con questa (triste?) notizia, vi dò comunque appuntamento alla prossima!

Dragon Ball è proprietà di Akira Toriyama.

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Capitolo 42
*** Il fuoco dell'orgoglio ***


CAPITOLO QUARANTADUESIMO- IL FUOCO DELL’ORGOGLIO

Goku e Doomshiku si osservarono ancora per qualche istante.

Il demone poteva sentire come la potenza del saiyan avesse raggiunto un livello ragguardevole, superiore perfino a quella di molti Creatori: la cosa lo intrigò parecchio.

«Adesso tu sta buono, finirò di occuparmi di te dopo.» disse, e con un semplicemente movimento della mano fece schiantare la roccia alla quale Baby era bloccato al suolo.

Dopo di che, si lanciò a terra a sua volta, atterrando con forza: Goku osservò impassibile, mentre Doomshiku si rialzava, sorridendogli.

«Non volete proprio mollare, eh? Non ho niente contro voi saiyan, sappilo: per me valete tutti allo stesso modo.» disse, mentre apriva leggermente le braccia, tenendo le mani aperte all’altezza della vita. «So quanti nemici tu abbia affrontato in tutta la tua esistenza, saiyan: immagino che tutti abbiano dovuto ribadire come fossero gli esseri più potenti dell’universo. Questo perché, anche loro, come voi, sono esseri inferiori, che hanno bisogno di trovare il loro posto nel mondo. Io non ho bisogno di proclami: io comando, io vi uccido, voi subite. E lo faccio perché sono consapevole di come funziona questo universo: sono nato assieme a lui. Ma, anche dopo milioni di anni, vedo che ancora pochi hanno accettato l’esistenza di questa scala gerarchica.»

Goku si limitò ad osservarlo, nel suo gesticolare: il suo atteggiamento arrogante non faceva che renderlo ancora più furibondo. Sapeva benissimo di avere di fronte quello che effettivamente era l’essere più potente dell’universo: ma sapeva anche che questa sua nuova forma doveva essere ancora messa alla prova, e il più presto possibile.

Sentiva dentro di se una potenza mai provata, e neppure lui era stato ancora in grado di quantificarla: l’unica nota stonata era che, come aveva giustamente fatto notare Vegeta, era decisamente troppa. Poteva già sentirla lasciare il suo corpo, comunque molto lentamente.

Poi se ne rese conto: gli stava facendo perdere tempo. Anche lui si era reso conto che non sarebbe durato molto.

“È furbo” pensò, continuando a guardare il demone negli occhi.

«Vuoi combattere o continuare a parlare?» gli disse, sfidandolo platealmente.

«Ti sto aspettando.» gli rispose, alzando il mento in segno di sfida.

Goku non attese un istante di più: si lanciò a tutta forza contro il demone, che non rimase immobile. Si incontrarono a metà strada, scontrandosi avambraccio contro avambraccio: l’impatto generò un gigantesco cratere.

Doomshiku provò a colpirlo con la coda, girando su se stesso, ma Goku fu lesto ad abbassarsi e a rialzarsi immediatamente, colpendolo con forza al mento, facendolo volare diversi metri per aria.

«Niente male!» commentò il demone, riacquistando l’equilibrio, parando immediatamente un altro colpo di Goku, anch’egli sorpreso per un attimo dalla potenza acquisita.

Si scambiarono un’altra lunga serie di colpi, finché Doomshiku non fermò un colpo del saiyan, lo colpì al mento alzando il gomito, e con lo stesso braccio lo scagliò contro la torre facendocelo passare attraverso. La struttura iniziò a crollare mentre Goku, dall’altra parte, riacquistava nuovamente l’equilibrio.

La torre ebbe un nuovo collasso quando Doomshiku vi passò attraverso a sua volta, a tutta velocità, accelerandone la demolizione. Con un ruggito fu nuovamente addosso a Goku, che però fece in tempo a proiettarsi dietro il mostro, pronto a scagliarlo a terra con un colpo a mani unite.

Doomshiku lo parò, e lo scagliò nuovamente lontano: i due iniziarono a scontrarsi per aria a grandissima velocità, incontrandosi in punti sempre diversi del cielo.

Intanto, la torre crollò definitivamente, costringendo quelli rimasti a terra a coprirsi gli occhi a causa della nuvola di detriti che si formò.

Goku e Doomshiku continuarono il loro scontro finché, all’ennesimo impatto, rimasero ognuno fermo nella presa dell’altro, generando uno scontro d’aura immenso, che generò un bagliore incredibile. Entrambi furono scagliati lontano, distanziandosi parecchio, ma poterono comunque fronteggiarsi: ormai, il posto era un deserto decorato con le macerie.

Goku non sentiva ancora la sua energia diminuire, ma era comunque un peso enorme da gestire: ma quando gettò lo sguardo sul demone, ebbe modo di ritrovare nuovo vigore.

“Sta riprendendo fiato…” pensò, guardando verso Doomshiku che, leggermente piegato in avanti, stava effettivamente respirando più affannosamente: poté quindi intuire che c’era una possibilità di salvare tutti quanti, e di vendicare Daniel.

Si lanciò quindi contro il demone, che si mosse a sua volta: per sorpresa di Goku, Doomshiku non volò, anzi, iniziò a correre.

Anche tra gli spettatori la cosa suscitò curiosità mentre la corsa di Doomshiku si faceva sempre più rapida.

Il demone si piegò quindi in avanti e, posando i palmi a terra, iniziò una velocissima serie di capriole. Goku non fece in tempo a capire cosa stesse accadendo, che la zampa artigliata del mostro lo colpì alla schiena, facendolo sprofondare nel terreno.

Goku provò un dolore lancinante, ma riuscii a girarsi, mettendosi supino, e a rotolare alla sua destra, evitando così un altro pugno di Doomshiku. Lo colpì quindi con un calcio a piedi uniti, facendolo arretrare di qualche metro.

Rimessosi subito in piedi, fu immediatamente sul mostro, che parò i suoi tentativi di colpirlo con dei pugni ben assestati al muso. Doomshiku reagì, emettendo continui versi animaleschi mentre tentava di colpire Goku.

Finché non generò una piccola ondata d’aura, che fece perdere la guardia al saiyan, e lo scagliò lontano con un calcio al petto.

Allora prese il volo, formando tra il dito indice e il medio un piccola sfera di ki. Goku si rimise in piedi, giusto in tempo per vederlo avvicinare le due dita alla bocca curvata in un sadico sorriso, come se stesse fumando una sigaretta: solo che, invece che aspirare, Doomshiku si limitò a soffiare.

Dalla piccola sfera si generò una sottile ma potentissima ondata d’energia, che si avvicinò velocissima a Goku. Il saiyan iniziò a volare lateralmente, rimanendo vicino al suolo, mentre Doomshiku faceva muovere il raggio al suo inseguimento, scavando in profondità il terreno.

Nel momento di eseguire una rotazione completa, Goku riprese immediatamente quota, caricando un calcio contro Doomshiku, che ancora aveva le dita vicino alla bocca. Goku lo colpì al volto con forza, sfogando il grido con il quale aveva caricato il mostro, scagliandolo lontano.

«Vai così, nonno!» esultò Pan, vedendo Goku colpire con forza Doomshiku. Anche il resto del gruppo assunse espressioni soddisfatte, vedendo come si stava sviluppando lo scontro. Tutti, tranne Bills e Whis, che rimasero impassibili.

Doomshiku volò incontrollatamente per pochi istanti, ma riprese subito l’equilibrio, e guardò Goku con un ghigno malevolo. «Devo farti i miei più complimenti, saiyan, non affrontavo una sfida così stimolante da millenni!»

«Soddisfare le tue aspettative non è il mio obbiettivo: anche se devo dire che mi sto divertendo parecchio anch’io.» rispose Goku, cercando di apparire stoico.

«Oh, ma io pensavo lo facessi per il bene dei tuoi cari!» disse il demone, incrociando le braccia.

«Non essere sciocco, sai benissimo che combatto per quello!»

«Ma tu hai appena detto che ti diverte farlo!» ribatté Doomshiku, puntando l’indice contro Goku.

«È una cosa così strana, per te?» chiese Goku, che cominciava ad irritarsi.

«No… la trovo solamente stupida.»

Goku assunse un’espressione perplessa, e Doomshiku sogghignò, intuendo l’occasione propizia per provare a minare le sue certezze.

«Tu sei un mortale, la tua vita ha un inizio e una fine. Perché sprecare certe potenzialità per aiutare gli altri? Potresti dominare sopra tutti loro, goderti la tua esistenza come il mortale più potente dell’universo: su questo, tutti quei babbei che hai sconfitto si sono dimostrati più svegli di te. La morte è un nemico che né tu, né nessuno dei tuoi amichetti potrà mai sconfiggere… beh, io l’ho fatto, o meglio, qualcun altro lo ha fatto per me…»

Il riferimento alla battaglia tra Broly e Daniel non sfuggì a Goku. «Non ti permettere…» gli sussurrò, mentre la rabbia lo faceva fremere.

Doomshiku continuò a sorridere: «Vedi, super saiyan, come ti ho già detto, per me siete tutti uguali: moscerini. Dovreste essere furbi, capire quando avete la possibilità di godere la vostra effimera esistenza!»

«Esistono altri valori in questo mondo, hai una visione delle cose piuttosto limitata…»

«Sarà, o siete forse voi quelli che si complicano troppo l’esistenza? Guardali.» disse, volgendo lo sguardo verso la sporgenza, sulla quale si erano radunati tutti gli amici e la famiglia di Goku «Sono niente in confronto a quello che siamo, in confronto a quello che sei. Hai sprecato una vita a difendere l’indifendibile. Mi disgusti.»

«La cosa è reciproca.» ribatté Goku, continuando a fissarlo con disprezzo.

«Cosa si staranno dicendo?» domandò Gohan, sperando che qualcuno fosse in grado di rispondergli.

«Non lo so, ma spero che tuo padre sappia contenere sé stesso.»

«Lord Bills, che intendete dire?» chiese, curioso, Trunks.

«Che Doomshiku ha sfoderato la sua arma più potente: la sua lingua lunga.» commentò Bills, apparendo molto irritato.

«Sai, la verità fa male, lo so, ma non credere di potermi sconfiggere, saiyan, non è possibile: anche in questa nuova forma, non hai speranze. Dovresti piuttosto comprendere il tuo errore: ora che hai a disposizione questo potere, potresti ergerti a dominatore di voi mortali, dare un vero scopo a tutto il potere che hai acquisito. Il mio trono non lo puoi usurpare: mi sto già pentendo di aver fatto quell’offerta a quel mezzo uomo di Ryder.»

Goku fremette nuovamente «Non osare pronunciare il suo nome…»

«Altrimenti che fai? Oh, che ridere che mi fa, ripensare ai suoi pensieri in quel momento, anzi, gradirei che a questo punto li udissero tutti quanti!» gridò improvvisamente, facendosi sentire da tutti «È sempre bello condividere qualche aneddoto divertente!»

Goku faceva fatica a mantenere il controllo, mentre Doomshiku si prendeva gioco della morte del loro amico.

«Mi viene ancora in mente quando diceva “non ti permetterò di fare loro del male”»  disse, imitando alla perfezione la voce di Daniel « oppure “non ti permetterò di controllarmi!”, “porteresti solo morte e distruzione!”»

Keiichi ascoltava, e fremeva anche lui dalla rabbia, mentre quel mostro si prendeva gioco del padre, sminuendo quelle che erano evidentemente state le sue ultime parole. Una lacrima gli scese sul volto piegato in una smorfia infuriata. Ma non era il solo: tutti i presenti ascoltavano disgustati come quel mostro si prendesse gioco della morte di uno dei loro più cari amici. Marron iniziò a piangere, stringendosi alla madre. Pamela, invece, stretta tra le braccia di Bulma e Chichi, si mordeva il labbro cercando di contenere la sua furia.

«Alla fine, questo vostro modo di vivere le vostre esistenze, è ciò che mi spinge a fare così. Dovrei essere venerato, per come vi libero di tutte le sofferenze che da soli vi causate, con le vostre affezioni, i vostri legami, i vostri sentimenti…» commentò Doomshiku, guardando le loro reazioni.

«Voi moscerini siete veramente tutti uguali: nel piangere, nel gridare, nel supplicare…» disse, voltandosi nuovamente verso Goku «Ed è per questo che siete così divertenti.»

A quel punto Goku non resse più: la furia lo pervase, e si lanciò contro quell’irritante muso ghignante. Iniziò a colpire a velocità impressionante, con il demone che riuscì a schivare quasi tutti i colpi: quasi, perché Goku riuscì a colpirlo al ventre, dopo di che lo lanciò verso il suolo.

«Vedo che qualcuno si è arrabbiato!» disse, riacquistando l’equilibrio prima di toccare il suolo, atterrando dolcemente.

«Puoi dirlo forte!» gridò Goku, prima di raggiungerlo nuovamente. Tentò quindi di colpirlo con un pugno caricato al massimo, che Doomshiku parò.

Il Demone tentò a sua volta di colpire Goku con un calcio, che il sayan evitò, abbassandosi. Ma prima che potesse reagire, la pesante coda di Doomshiku tentò di schiacciarlo a terra, costringendo Goku a saltare lateralmente per evitarla. Coda che Doomshiku mosse rapidamente per parare il calcio con il quale Goku provò a colpirlo.

I due proseguirono nello scontro, mentre attorno a loro iniziava a crearsi una nube di detriti, che levitavano a causa dell’energia rilasciata dai due contendenti.

«Possiamo andare avanti così per ore, saiyan, non vincerai di certo in questo modo!» disse Doomshiku, parando l’ennesimo tentativo di Goku.

Goku provò allora ad appoggiarsi a terra, tentando di sgambettarlo: Doomshiku, saltò, evitando la gamba di Goku, e con la coda lo colpì al volto, facendolo volare lontano.

A quel punto, fu lui a caricare il saiyan, pronto ad infliggergli il colpo di grazia. Era praticamente su di lui, quando improvvisamente Goku sparì.

Doomshiku non fece in tempo a realizzare cosa stesse accadendo, che sentii il braccio destro avvicinarsi forzatamente al corpo, colpito da una calcio potentissimo che lo costrinse a spostarsi destra di pochi passi.

«Adesso capirai…» disse Goku, prima di colpirlo con forza al ventre con un pugno. Doomshiku provò per la prima volta un dolore immenso, mentre si piegava in avanti.

«… cosa vuol dire…» proseguì Goku, mettendosi a terra, riuscendo questa volta a sgambettarlo.

«…lottare…»

Lo colpì poi con un fortissimo calcio che lo spedì in aria di diversi metri. Si proiettò, poi immediatamente sopra di lui.

«… per qualcosa!» gridò prima di colpirlo con entrambe le mani giunte, mettendoci più forza possibile.

Doomshiku volò al suolo a grandissima velocità, e andò a schiantarsi con violenza al suolo, causando un piccolo terremoto.

Sulla sporgenza rocciosa, ad eccezione Chichi che osservava sognante il marito, tutti gli altri erano già esultanti. «Finiscilo, Goku!» gridò Crilin, convinto che la questione fosse ormai risolta.

«Fossi in voi risparmierei il mio entusiasmo.» commentò Bills, rimasto impassibile al fianco del suo attendente «Il meglio deve ancora venire…»

Anche Goku si era reso conto che non sarebbe bastato quell’impeto a mettere k.o. Doomshiku. Rimase in volo, ad osservare il nuvolone di polvere che intanto si diradava.

Finché non ne spuntò il muso del demone, piegato questa volta in una smorfia di grande irritazione: guardò verso Goku, al quale indirizzava tutta la sua rabbia. Poi, sentì come qualcosa di liquido scorrergli sul labbro: vi passò sopra il polso, cercando di levare quella fastidiosa sensazione. Quando però provò a vedere di cosa si trattasse, i suoi occhi rosso rubino sgranarono, alla vista dello stesso identico colore.

Sangue.

Lo aveva ferito. Aveva scalfito la sua corazza. Quella corazza che aveva resistito all’attacco di tutti i Creatori, era stata scalfita.

Si sentì umiliato.

Si sentì vulnerabile.

Era un gesto che avrebbe pagato. Continuava a ripeterselo, mentre la sua rabbia cresceva e, nello stesso istante, una tempesta di fulmini si scatenò.

«Whis…»

Al richiamo del suo padrone, Whis seppe immediatamente cosa fare: toccò al suolo con il suo bastone, e un grossa bolla di colore viola si formò attorno al gruppo e al resto dei rifugiati.

«Come mai questa cosa?» domandò Bulma, senza ricevere risposta dalle due divinità, che si limitarono a guardare verso Doomshiku, che ora fremeva dalla rabbia.

Goku continuò a guardarlo, cercando di apparire stoico, in mezzo a quella pioggia di elettricità.

Finché Doomshiku non si piegò, e ruggì, con tutta la forza e la rabbia che aveva in corpo: un verso raggelante, primordiale, che fece accapponare la pelle a tutti i presenti.

Ma soprattutto, non appena quel suono raccapricciante lasciò la sua bocca, ci fu un gigantesco terremoto, il suolo si spaccò, e diverse colonne di lava si elevarono, creando un vero e proprio inferno di fuoco, nel quale Goku rimase comunque  freddo, scostandosi ogni tanto per evitare degli schizzi incandescenti.

Baby, rimasto quasi inconscio fino a quel momento, si accorse solo in quel momento di cosa stesse succedendo, e si sforzò di liberarsi da quella costrizione: cercando di fare il più veloce possibile, spaccò una parte della lancia di pietra che lo teneva inchiodato alla roccia. Sentii che l’influenza del mostro aveva meno effetto su di lui: sentiva che il suo corpo stava tornando malleabile come prima, ma ancora non riusciva a modificare la propria forma.

Una volta liberatosi, vide che i brandelli di un edificio erano stati risparmiati, e sperando che quell’inferno cessasse presto, andò a nascondersi lì dentro.

All’interno della bolla, tutti compresero immediatamente il perché dell’intervento di Whis, mentre la lava scorreva lungo le pareti viola.

«Sempre il solito melodrammatico.» commentò Bills, lui e Whis rimasti decisamente calmi durante l’evento.

Quando Doomshiku si placò, lo scenario era mutato completamente: ora dalle crepe nel terreno si poteva vedere la lava incandescente, pronta a fuoriuscire in una colonna infuocata, fenomeno che continuava a ripetersi, ma meno frequentemente, ora che il demone aveva smesso di ruggire.

Si elevò di qualche metro, fronteggiando Goku. «Tu hai superato ogni limite consentito, super saiyan… Tu hai osato ferirmi…»

Il super saiyan god sogghignò, nonostante iniziasse a sentire che l’energia stava lentamente fuoriuscendo: lo aveva fatto arrabbiare sul serio, e questo per lui fu già una piccola vendetta.

«Subirai la morte più lenta e più dolorosa che io possa infliggere…»

«Accomodati pure!» lo invitò Goku, muovendo la mano in segnò di sfida, che il demone, ruggendo nuovamente, accettò.

Si lanciò con forza verso Goku, passando incolume attraverso una colonna di lava fuoriuscita improvvisamente dal terreno, la roccia fusa che decorò la sua pelle scura, mentre stava per mettere a segno il suo assalto.

Goku non si fece comunque trovare impreparato: quando Doomshiku impattò, riuscì a parare il suo assalto. L’onda d’urto che si formò, nonostante si trovassero a diversi metri da terra, generò comunque un altro piccolo terremoto.

Il demone, allora, iniziò ad attaccare con foga animalesca: Goku dovette scansarsi diverse volte, per evitare i suoi tentavi di graffiarlo brutalmente con i suoi artigli. Tentò quindi anche di morderlo: Goku si scansò nuovamente, facendolo andare a vuoto, ma il gomito di Doomshiku gli impedì di sfruttare la situazione di vantaggio, scagliandolo lontano.

Il saiyan stentò a recuperare l’equilibrio, ma riuscì ad evitare l’impatto con un’altra colonna di lava. Guardò verso Doomshiku, che si limitò ad alzare il braccio.

Riuscì a sentire il calore sotto di lui prima che lo colpisse, ed evitò un’altra potente fuoriuscita di lava bollente. Doomshiku alzò nuovamente il braccio, e altra lava rischiò di colpire Goku che, una volta capito il trucco, si lanciò a tutta velocità sul demone.

Doomshiku continuò a far uscire lava per ostacolarlo nel suo volo, ma Goku riuscì in un incredibile slalom, e arrivò a colpirlo con entrambi i pugni tesi in avanti, trascinandolo poi verso il suolo.

Lo schianto fu devastante, e prima che la lava potesse toccarlo, Goku eseguì una capriola e andò a posarsi sul terreno solido.

Doomshiku, comunque, si rialzò immediatamente, la lava che ora gli ricopriva  quasi completamente il corpo. Andò subito allo scontro corpo a corpo con Goku, che per quanto riuscisse a parare e schivare i suoi colpi, a causa della lava che ricopriva il copro del mostro non riuscì nemmeno a colpirlo una volta.

Non appena ebbe un po’ di spazio, si lanciò in aria a tutta velocità sperando che Doomshiku lo seguisse. Cosa che fece: la velocità a cui si muovevano ripulì il corpo del demone dalla lava bollente, dando così una chance a Goku, che arrestò improvvisamente la sua salita, e si limitò ad alzare di poco il gomito.

Doomishiku, colto di sorpresa, si ritrovo ad andare a sbattere con il collo contro il gomito del saiyan. Dopo qualche rantolo, Goku colpì il demone con un calcio verso il basso, lanciandolo verso il suolo.

Goku volò immediatamente dietro di lui, cercando di rendergli più doloroso l’impatto colpendolo con la pianta del piede. Ma appena prima di toccare il suolo Doomshiku si rimise in piedi, afferrò Goku per la caviglia e lo fece sbattere con forza al suolo.

Goku, in quel momento, sentì un fortissimo dolore al petto, e poté dedurre che qualche costola dovesse aver dato forfait.

Doomshiku fece per farlo volteggiare nuovamente, per fargli provare come fosse il terreno sull’altro lato, ma Goku trovò la forza di colpirlo sul muso con la pianta del piede libero, facendogli perdere la presa sull’altro.

Con una capriola si rimise in piedi, e non appena vide che Doomshiku stava caricando un potente pugno, fece la stessa cosa: quando le nocche dei due contendenti si incontrarono, l’energia rilasciata formò un gigantesco cratere, facendo schizzare grandi getti di lava.

Goku però, avvertì subito un enorme dolore alle dita: fu una distrazione di troppo.

Il ginocchio di Doomshiku incontrò il suo stomaco, poi il pugno del demone incontrò il suo viso. Goku si vide scagliato lontano con forza.

Ma, per sua grande sorpresa, Doomshiku non caricò nuovamente.

«LO HAI VOLUTO TU! ADESSO, MORIRETE TUTTI QUANTI! NESSUNO ESCLUSO!»

Goku si rialzò, sentendo le energie che diminuivano, ma sentiva di averne ancora per poterlo affrontare: ma quando vide cosa intendeva fare Doomshiku, sgranò immediatamente gli occhi.

Sogghignante, il Demone dell’Apocalisse aveva disteso il suo braccio destro lungo il fianco, e la terra incominciò improvvisamente a tremare: il terreno iniziò a farsi scuro, la lava a raffreddarsi e solidificarsi, fino a diventare roccia friabilissima.

Goku capì immediatamente cosa stava succedendo, ma non riuscì a reagire mentre Doomshiku prendeva rapidamente il volo verso l’alto, un piccolo globo di energia che si formava nel suo palmo.

La cosa non sfuggì neanche ai presenti dentro la bolla. Bills e Whis, per la prima volta fino a quel momento, sgranarono gli occhi: Whis fece immediatamente scomparire la bolla.

«Che diavolo stai facendo?! Non vedi cosa sta per scagliare?!» gridò Vegeta.

«N-Non è possibile… Non è mai stato così potente…» disse Whis, palesando il suo terrore nel constatare la potenza racchiusa nel piccolo bagliore di luce nella mano del Demone.

«Che vuol dire?! Perché hai rimosso lo scudo?!»

«Con quella potenza, ci distruggerà in ogni caso…» disse Whis, tenendo gli occhi fissi su Doomshiku.

«Whis… abbiamo fallito.» commentò Bills, amaro.

Al commento del Dio della Distruzione, lo stesso Vegeta si stupì, volgendo quindi lo sguardo verso il cielo, e verso quella che ormai era una piccola forma scura, affiancata da una piccola luce, dalla quale si poteva percepire una potenza impressionante.

Il disfattismo delle due divinità non fece che contagiare i presenti, che osservarono Doomshiku prendere quota con il piccolo globo, carico d’energia, nella meno destra. Ma Goku non ci stette. Si toccò le dita della mano che prima aveva impattato con le nocche del demone, e si accorse che gli dolevano parecchio.

Ma non voleva comunque dargliela vinta.

«Visto che ci tenete così tanto a quel fallito di Ryder, allora farò qualcosa che avrebbe fatto anche lui: darò un nome idiota alla tecnica che vi ricongiungerà!» disse, prendendo ancora quota.

Goku corse a mettersi sotto quella che sarebbe stata la traiettoria del colpo, e piegò le ginocchia.

«Credo che “Onda Apocalisse” sia piuttosto appropriato!» disse, facendosi ancora udire da tutti, mentre si fermava, a diverse centinaia di metri dal suolo.

Goku iniziò a sillabare, cercando di concentrare più energia possibile in quel colpo: «Kame…»

«ADDIO, DEVO COMUNQUE AMMETTERE CHE È STATO DIVERTENTE GIOCARE CON VOI!» gridò allora Doomshiku, lanciando il tremendo attacco, per gli sguardi terrorizzati di tutti.

«Hame…» proseguì Goku, cercando di sopportare il dolore alle dita, mentre nel suo palmo preparava la più potente Kamehameha che avesse mai lanciato. Quando ormai il raggio di Doomshiku fu a poche centinai di metri dal suolo, Goku riuscì a completare la formula.

«HA!» gridò, generando un’onda fortissima, che andò ad impattare immediatamente con quella lanciata da Doomshiku, generando una gigantesca sfera. L’energia che ne scaturiva generò un’enorme spostamento d’aria, che costrinse molti a mettersi al riparo per non volare via.

«Non ce la farà mai! Il colpo finale di Doomshiku è in grado di disintegrare le anime stesse! Non ha speranza!» gridò Bills, cercando di farsi sentire, in quello che più che uno spostamento d’aria, era una vera e propria tempesta.

Vegeta osservò, digrignando i denti, mentre il rivale di sempre fronteggiava la minaccia più grande di questo universo, da solo, mentre lui era costretto ad osservare, inerme. Si voltò, guardando sua moglie e sua figlia, nascoste dietro una roccia, strette in un abbraccio, la paura che adornava i loro volti. Vide la rabbia nell’espressione di suo figlio, e in quella di tutti gli altri guerrieri, che osservavano coprendosi i volti con le braccia.

Improvvisamente, il suo orgoglio prese nuovamente il sopravvento sulla sua razionalità.

Era stato fin troppo in balia degli eventi, fino a quel momento: ora voleva tornare a dire la sua. Ma non lo avrebbe fatto da solo.

«Allora? Quando pensate di muovere le chiappe per andare ad aiutare Kakaroth?» disse, voltandosi verso gli altri guerrieri, che piuttosto lo guardarono, stupiti.

«Cosa intendi, Vegeta?» gli domandò Goten.

«Credevo fossi stupido, ma non fino a questo punto! Tuo padre non ce la può fare da solo!»

«È inutile Vegeta…» lo interruppe Bills «Doomshiku ha già posto la parola fine a questo scontro… abbiamo tutti fallito.»

«Non credevo che il Dio della Distruzione potesse essere un tale fifone!» gli rispose, improvvisamente, facendo sussultare tutti presenti. Bills lo guardò, profondamente irritato, ma il principe dei saiyan proseguì: «Tu forse pensi di aver fallito, ma principe o meno sono sempre un saiyan, un guerriero, e se devo accettare un destino come questo, non lo farò senza lottare!»

Guardava Bills a pugni chiusi, la bocca stretta in una smorfia di rabbia. Bulma lo guardò perplessa, ma poi si lasciò andare ad un’espressione piena di orgoglio. Vegeta, quindi, si voltò verso il resto dei guerrieri: «Allora?! Voi cosa intendete fare?»

Gli altri saiyan, in piedi nel bel mezzo della furia degli elementi, ebbero un attimo di esitazione, finché non si scambiarono tra loro un cenno d’intesa: allora Gohan, Goten, Trunks e Pan volarono subito dietro Vegeta, verso il punto dove si trovava Goku.

«Tu non vai, Ub?» domandò Kibito al terrestre, che osservava, a braccia incrociate, la folta cresta che si agitava al vento, uno sguardo sinceramente determinato in volto.

«Questa battaglia non è la mia.» disse, voltandosi verso il kaioshin, che rimase piuttosto perplesso.

«Ma…»

«Abbi fiducia.»

Kibito non seppe come controbattere. Ub si limitò a voltarsi nuovamente, osservando con fierezza il gruppo di saiyan raggiungere il suo maestro.

Goku intanto, sentiva l’energia esaurirsi lentamente, e faceva sempre più fatica a contenere la forza del colpo finale di Doomshiku: lo sforzo era enorme, eppure non riusciva a fermarlo completamente. Pochi centimetri ancora, e la kamehameha di Goku sarebbe stata soppiantata.

«Non hai speranze, saiyan! QUESTA È LA FINE DI TUTTI VOI MISERABILI SPRECHI DI ENERGIA VITALE!»

«Non finché avrò la possibilità di dire il contrario!» disse improvvisamente una voce molto familiare alle spalle di Goku.

Il resto dei saiyan raggiunse Goku, che si voltò leggermente per poterli guardare tutti, piuttosto scioccato. «Se credi che avremmo lasciato a te tutta la gloria, Kakaroth, ti sei sbagliato.» disse più pacatamente Vegeta, che poi gridò a tutta forza «DOOMSHIKU! È Vegeta, il principe di tutti i saiyan a parlarti! Se credi di cavartela così facilmente, hai sbagliato di grosso! Ti sei inimicato la razza sbagliata!»

Allora, iniziò a caricare il suo Lampo Finale, mentre tutti gli altri, imitando Goku, preparavano la kamehameha.

«E adesso…» disse, quando fu pronto a scagliare il suo attacco «… capirai cosa vuol dire mettersi contro di noi! LAMPO FINALE!»

In quell’esatto momento Vegeta, Gohan, Goten, Trunks e Pan lanciarono i loro attacchi al massimo della loro potenza, unendosi a Goku. L’effetto fu immediato: questa volta fu il colpo di Doomshiku ad essere soppiantato, e a prendere il sopravvento fu la sfera generata dai sei saiyan.

Il Demone rimase piuttosto sorpreso, quando quella nuova potenza contrapporsi al suo attacco. «POVERI ILLUSI! Credete davvero di potermi sconfiggere in questo modo?!» disse, aprendo ulteriormente il palmo, portando maggiore potenza alla sua onda.

Nascosto, al riparo, Baby si sporse leggermente per vedere la sfera creata dai due raggi diventare ancora più grande. Inorridito, tornò a al riparo, tenendo comunque un occhi vigile sugli sviluppi della situazione.

«È… È tutto inutile… non credo di poter reggere ancora per molto…» disse all’improvviso Goku, molto provato.

Vegeta digrignò i denti, guardando come intorno anche gli altri mostrassero i segni dell’ingente sforzo sul loro volto: anche lui si sentiva molto provato.

In quel momento, il destinò dell’universo stesso era in bilico: loro sarebbero stati solamente i primi di una lunga serie di morti. Ma ciò che più lo devastava, era il non essere stato in grado di proteggere la sua famiglia, e aver visto la propria dignità di saiyan calpestata, prima da un parassita, adesso da quel mostro, che aveva sminuito interamente le loro stesse esistenze.

Sentì improvvisamente un nuovo vigore dentro di lui: lui era il principe di tutti i saiyan, e se in quel momento aveva una certezza, per cui si trovava lì, in bilico tra la vita e la morte, era quella che nulla lo avrebbe costretto ad arrendersi.

«Kakaroth! Smetti di ragionare come un verme di rango inferiore e dammi ascolto! Datemi tutti ascolto!» gridò, ottenendo l’attenzione degli altri saiyan «Non mi interessa qualunque cosa proviate in questo momento, voglio che scaviate dentro di voi, e che vi ricordiate COSA siete!»

Digrignò ulteriormente i denti, per lo sforzo. «Abbiamo affrontato di tutto nella nostra esistenza, e siamo sempre stati in grado di risollevarci! Si sono sempre messi contro di noi, calpestando il nostro orgoglio, convinti sempre di poterci trattare come semplici scarafaggi!»

«Ma noi siamo sempre stati in grado di dimostrare il nostro valore! E ora, ci ritroviamo sull’orlo della distruzione più totale, ma siamo qui, per dire la nostra ancora una volta! Perciò, vi chiedo di sfruttare ogni fibra del vostro essere, per superare anche questa difficoltà! Mostriamo a questo stronzo cosa voglia dire essere un SAIYAN!»

A quel punto, iniziò a gridare con forza, e riuscì, con le ritrovate energie a trasformarsi in super saiyan, mettendo così ulteriore potenza nel suo Lampo Finale.

Ispirati dal suo discorso, tutti gli altri saiyan riuscirono, con gli ultimi residui di energia, a trasformarsi anche loro, aumentando la potenza di tutti i loro attacchi: la sfera iniziò così a tornare verso un perplesso Doomshiku.

Whis e Bills osservavano, sbalorditi, mentre il resto del gruppo fu costretto a trovarsi un riparo.

Goku sentiva il potere divino defluire, ma in quel momento sentì una nuova forza farsi strada dentro di lui, aiutata dalle parole di Vegeta. In un ultimo, grande sforzo, la usò per immettere ancora più potenza nella sua kamehameha.

La gigantesca sfera formatasi, iniziò lentamente a prendere quota, mentre lo stesso Doomshiku digrignò i denti per lo sforzo.

A quel punto, però, la sua Onda Apocalisse fu soppiantata definitivamente, e l’unione dei colpi lanciati dai saiyan iniziò a volare velocemente contro il demone, che sgranò gli occhi.

«Impossibile…» sussurrò, prima che l’ondata lo investisse completamente.

I saiyan continuarono ad urlare, mentre l’onda raggiungeva lo spazio profondo, andando a spegnersi anni luce lontano da Plant.

Finché non rilassarono le braccia, facendo defluire l’energia: il cielo, sopra di loro, si era liberato.

Doomshiku era sparito.

«Ce l’abbiamo fatta!» esultò Pan, con un pugno rivolto verso l’alto.

«Ce l’hanno fatta, Whis.»

«Indubbiamente, lord Bills.» rispose l’alto l’alieno, gli occhi ancora spalancati dallo stupore, mentre attorno a loro la gente esultava.

Goten, Trunks e Gohan iniziarono a festeggiare tra loro: Goku, dal canto suo, si sedette, esausto, sul terreno. Aveva ormai perso il potere del super saiyan god, ma non la sua forma di super saiyan quattro: anche se sapeva di non poterla mantenere ancora per molto tempo.

Si voltò verso Vegeta, seduto anche lui sul solido terreno, limitandosi ad alzargli il pollice, sorridendogli. All’inizio, il principe dei saiyan sembrò mantenere la sua solita attitudine distaccata, salvo poi ricambiare Goku allo stesso modo, rilassandosi.

Keiichi, dal canto suo, non si sentì molto in vena di festeggiare: stava ancora facendo i conti con l’idea che, assieme a quel mostro, ogni speranza di rivederlo svaniva completamente. Quella persona che negli ultimi anni si era impegnata per trasformarlo in un guerriero, che lo aveva cresciuto assieme a sua madre, e che ora non c’era più, e non c’erano possibilità che ritornasse.

Sentì due mani calde stringersi sulle sue spalle: si voltò, per vedere l’espressione piena di compassione di sua madre. A quel punto la abbracciò, e non riuscì più a trattenere le lacrime.

Nel sentire i singhiozzi del figlio, anche gli occhi di Pamela iniziarono a bagnarsi.

«Bene, ora è il caso di organizzarsi per tornare a c-» provò a dire Gohan, interrompendosi improvvisamente, voltandosi verso il cielo «Che cos’è?»

Gli occhi di tutti si voltarono verso il cielo, dove un piccolo puntino scuro era comparso: iniziò una veloce discesa verso terra, ma quando fu in procinto di toccare il suolo, fece una brusca sterzata ed iniziò ad avvicinarsi, molto rapidamente.

Gli sguardi di tutti rimasero in trepidante attesa: qualunque cosa fosse, stava mantenendo bassa la propria aura. Ma quando fu abbastanza vicino, si accorsero che per quanto basso era un valore comunque enorme, ed inconfondibile.

«No… Non è vero…» fu ciò che disse uno spaventato Goten.

Ma dovette fare i conti con la realtà, quando Doomshiku si rivelò in tutta la sua potenza, atterrando in mezzo a loro con una forza spaventosa, facendoli tutti volare lontano. Il demone ruggì, lanciandosi verso uno dei saiyan in particolare, quello ancora ricoperto da una folta peluria rossa: iniziò a colpirlo a ripetizione, senza fermare il suo volo.

«GOKU!» gridò orripilata Chichi, vedendo la tortura che stava subendo il marito.

Goku continuava a volare lontano, mentre Doomshiku continuava a colpirlo: attraversarono macerie, pareti di roccia, senza che nulla potesse arrestare l’opera distruttiva del Demone dell’Apocalisse.

Keiichi Ryder continuava ad osservare, in lontananza: stretto nelle braccia della madre, sentì improvvisamente una furia incredibile svilupparsi dentro di lui.

Quel mostro, che ora stava brutalizzando Goku, aveva minacciato tutti loro, li aveva quasi distrutti, li avevi umiliati tutti, con la sua arroganza e supponenza.

Ma soprattutto, aveva ucciso suo padre, e ne aveva deriso la morte: questo non poteva sopportarlo.

Iniziò a fremere dalla rabbia, ancora chiuso tra le braccia di Pamela, che lo guardò, preoccupata: «Tesoro, cos’hai?» gli chiese, prima che il ragazzino si liberasse improvvisamente da quella lieve stretta, e si lanciò verso Doomshiku, che stava ancora torturando Goku, ignorando le grida disperate della madre dietro di lui, trattenuta a fatica da Videl.

Il saiyan in quel momento si vide colpito con maggiore forza, tanto che andando a sbattere al suolo finì per rimbalzare letteralmente in aria: Doomshiku fu però rapido, lo afferrò per il volto e lo scagliò al suolo con ancora maggior forza, facendogli formare un piccolo cratere nell’ormai friabilissimo terreno.

«Nessuno… Nessuno aveva mai osato tanto… Per quanto le punture di un insetto siano innocue, alla lunga diventano fastidiose… E voi, oh… Voi siete riusciti anche a farmi incazzare!» disse un rabbioso Doomshiku, mentre camminava lentamente verso Goku.

«Adesso,» continuò « mi libererò finalmente di te, dopo di che li ucciderò tutti, uno alla volta… Pff, “eroi”, così si fanno chiamare quelli come voi, troppo stupidi per accettare la realtà dei fatti…»

Una sfera di Ki si formò improvvisamente nella sua mano destra.

«Devo comunque ammettere che sei stato un avversario degno… La cui forza compensa la grande stupidità: eppure credevo di essere stato chiaro poco fa! Avresti potuto godere di un’esistenza di beatitudine…»

A quel punto, gli arrivò esattamente sopra.

«Ma tu hai scelto la morte.» disse, puntando il piccolo globo contro un morente Goku, che lo guardò, sofferente, con il dolore ad impedirgli di far trasparire alcuna emozione.

«Nonostante tu mi abbia fatto veramente arrabbiare, devo proprio dire che è un pecc-AHH!»

Doomshiku alzò la mano dolorante, facendo dissolvere la sfera di ki: non lo aveva visto arrivare, eppure un altro, forte ki blast lo aveva colto di sorpresa, colpendolo alla mano. Si voltò, nuovamente altamente irritato, per vedere un ragazzino, la mano ancora tesa per il colpo appena lanciato: Keiichi Ryder.


NOTE DELL’AUTORE
Salve gente! Ecco un nuovo capitolo tutto per voi. Personalmente, nel rileggerlo credo che questo sia uno dei più coinvolgente che abbia realizzato: spero vi abbia lasciato lo stesso effetto!

Non ho ancora idea di quando riprenderò a scrivere, sono un po’ preso anche da tante altre cose, ma vi assicurò che farò di tutto perché questa storia prosegua!

Dragon Ball è proprietà di Akira Toriyama.

Alla prossima!

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Capitolo 43
*** Il legame più forte ***


CAPITOLO QUARANTATREESIMO- IL LEGAME PIÙ FORTE

Doomshiku continuò a guardare il ragazzino, il volto piegato in un’espressione irritata per essere stato nuovamente ostacolato.

Finché l’irritazione si tramutò in una sorta di stupore, quando si rese conto di chi fosse questo ennesimo sfidante: la sua espressione mutò radicalmente nel giro di un istante, tornando ad un sorriso che nulla aveva di rassicurante.

«Bene bene, guarda un po’ che c’è qui… Credo che potrò divertirmi ancora un po’, dopotutto…» disse, voltandosi verso Keiichi, la cui espressione perse improvvisamente tutta la determinazione e la rabbia che la caratterizzava fino a qualche istante prima, non appena i suoi occhi incrociarono quelli di Doomshiku.

«S-Sca... Scappa, K-Keiichi…» provò a bisbigliare Goku al ragazzino, prima che la zampa di Doomshiku lo colpisse nuovamente, all’altezza dello stomaco.

«Zitto! Stai interrompendo una splendida riunione di famiglia!» disse, con falso fare irritato, prima di voltarsi nuovamente verso il ragazzo, tornando a sorridere malevolmente «Allora, ecco qui il mio figlioletto!»

Keiichi ebbe un fremito: sentì nuovamente la furia crescere dentro di lui, ma ci pensò la paura a tenerla a freno. «T-Tu… Tu non sei il mio papà…» riuscì comunque a dire, balbettando leggermente dall’emozione.

Il sorriso di Doomshiku si allargò: «Oh, si, hai ragione: effettivamente, ho solo sfruttato il suo corpo. In effetti, un moscerino come te non può essere la mia progenie: tu sei debole e inutile quanto quell’inetto di tuo padre.»

A queste parole, la rabbia crebbe nuovamente dentro il giovane hatwa: «Mio padre… non era debole…»

«Vuoi forse negare l’evidenza? Io gli ho offerto la potenza dell’universo, e lui ha rifiutato! E per cosa, poi?! La sicurezza e il benessere di voi miseri vermi! Ha passato tutta una vita ad eludere il destino per il quale lo scelsi, perché era un debole! Un debole, che ha dato troppo retta ai suoi sentimenti, come il nostro amico qui a terra!» ribatté Doomshiku, volgendo la mano verso Goku «Il che, riflettendoci, non lo rende forse l’unico responsabile della sua morte…»

Keiichi, che ad ogni parola di Doomshiku sentiva gli occhi bagnarsi sempre di più, improvvisamente li spalancò, sorpreso da questa ultima affermazione: cosa che sembrò divertire ulteriormente il demone.

«Sei curioso, eh? Bene…» disse, continuando a sorridergli «Perché, secondo te, tuo padre fu così ostinato? Perché così è stato cresciuto, e così si è sviluppata la sua vita! Circondato da perdenti che gli hanno insegnato ad amare e a sprecare il proprio potere in difesa dei deboli! Cresciuto da persone che gli hanno insegnato a difendere coloro che non hanno motivo di vivere! Persone come i tuoi amici, i tuoi nonni, tua madre… tu stesso.»

«I-Io?» balbettò Keiichi, strabuzzando nuovamente gli occhi, mentre continuava a fissarlo.

«KEIICHI! Non lo ascoltare!» provò a urlare Gohan, che insieme al gruppo dei saiyan stava accorrendo in soccorso, prima che Doomshiku generasse una forte onda d’urto, smuovendo l’aria e respingendoli tutti con forza, mentre continuava a fissare Keiichi.

«Oh si, proprio tu.» proseguì «Tu sei suo figlio, sangue del suo sangue: da quando è tornato sulla Terra ha fatto parecchi sacrifici per te. Ha rinunciato a molte ore di allenamento, per poterti mantenere, e per poterti addestrare: si è speso per te come forse tu non puoi ancora renderti conto. E questo, lo ha reso un debole.»

Keiichi sentì improvvisamente un forte peso al cuore: non poteva addossargli questa cosa. Dentro di lui sentiva che il demone si sbagliava: egli viveva per il male assoluto, non poteva concepire l’amore se non come una debolezza.

Ebbe però un altro fremito. Quelle parole, pronunciate da quella voce suadente e profonda, stavano smuovendo qualcosa dentro di lui: credette fosse semplicemente furia, nel sentirsi colpevolizzato della morte del suo stesso padre.

«N-Non è vero…» balbettò, le lacrime agli occhi.

«Eccome se lo è, moccioso! Lui avrebbe fatto qualsiasi cosa per te, lo sai…»

«S-Smettila…»

«Eri la cosa più importante per lui: pensa, sarebbe stato pronto a rinunciare ai combattimenti per te.» continuò Doomshiku, le parole che perforavano l’animo di Keiichi come pugnali.

«Smettila…» disse ancora Keiichi, la voce sempre più spenta dal pianto. Ma, dentro di lui, il giovane continuava a sentire crescere quella che sembrava essere solo una gigantesca rabbia.

Doomshiku continuò a sorridere.

«Era pronto a morire, per te.»

Keiichi, a quel punto, non poté più contenersi.

«Ti ho detto… di… SMETTERLA!» gridò, sfogando tutta la sua furia in un grido disperato.

Ma, ad uscire, non fu solamente la sua rabbia.

Il suo corpo venne improvvisamente ricoperto da un forte bagliore bianco, una luce intensissima che portava con sé un enorme quantitativo di energia.

Mentre Keiichi continuava a gridare, i presenti osservavano, sbalorditi. Pamela cadde in ginocchio, osservando l’energia che partiva figlio convergere in una colonna di luce che arrivò in cielo e iniziò a formare diverse onde circolari che ricoprirono tutto il manto celeste.

«Piccolo mio… Keiichi…» sussurrò, continuando a fissare il cielo.

«Whis… lo senti anche tu?» chiese Bills, voltandosi.

«Si, lord Bills… è lo stesso tipo di energia…»

Anche tutti gli altri poterono intuire che c’era qualcosa di incredibilmente familiare in quell’evento. Qualcosa che portò la mente di tutti a diversi anni fa, gli anni forse più duri nella vita del padre di quel ragazzino furibondo.

Doomshiku, dal canto suo, osservava incredibilmente stupito, i denti stretti in una smorfia atterrita.

«Non… ci posso credere…» sussurrò, mentre l’energia attorno al ragazzino si dissolveva lentamente, facendolo piegare in avanti per lo sforzo del grido appena emesso.

Subito tutti poterono vedere come la pelle di Keiichi fosse diventata di un grigio chiaro; i muscoli, già piuttosto sviluppati, apparivano ora più tonici; i canini evidentemente sviluppati, visibili dalla smorfia di rabbia sul volto del ragazzino.

Ma ciò che più di ogni altra cosa lo sorprese, visibile solamente a lui, furono i due occhi di un giallo brillante, tagliati da una sottile pupilla scura, permeati da molte lacrime.

«Come è potuto accadere?…» sussurrò nuovamente il demone, mentre Keiichi si rimetteva lentamente in piedi. Il giovane hatwa continuò a guardarlo, con uno sguardo carico d’odio, finché non iniziò ad avanzare lentamente verso di lui.

«È… È la stessa trasformazione di suo padre!» gridò Crilin, constatando quello ci cui si erano ormai resi conto tutti. Pamelaera l’unica a non ascoltare: continuava a guardare il suo bambino, questa volta con orgoglio, vedendo quanto potente fosse riuscito a diventare. Sentì improvvisamente una mano toccargli la spalla: si voltò per vedere il volto sorridente di Whis.

«Fa bene a sentirsi orgogliosa: il padre lo sarebbe, eccome!» le disse, confortando la donna.

«Si, peccato sia lontano anni luce dalla potenza del suo avversario!» commentò ancora Bills, apparendo sempre leggermente insensibile. Si mise comunque a riflettere sul comportamento strano di Doomshiku, che sembrava essere rimasto colpito dalla cosa: «Whis, voglio osservare più da vicino.»

Intanto, Keiichi continuava ad avvicinarsi a Doomshiku: il demone, spiazzato da quella trasformazione, manifestazione di quello che era il suo potere, rimaneva immobile.

Il giovane hatwa, però, non attese: si lanciò con forza contro Doomshiku, tentando di colpirlo con un calcio che il demone comunque parò. Tentò di tempestarlo di colpi, saltando da una parte all’altra, volando ogni volta sopra la testa del mostro, che si limitava a schivare e a parare.

«Non capisco! Non sta reagendo!» commentò Trunks, osservando da lontano.

«C’è qualcosa di strano in Doomshiku…» commentò Vegeta.

«È sorpreso, anche più di quanto possiamo esserlo noi.»

I saiyan si voltarono mentre Bills e Whis discendevano lentamente fra loro.

«Evidentemente nel giovane figlio di Daniel Ryder deve essersi trasferito parte del potere di Doomshiku stesso, non ci può essere altra spiegazione.» concluse il Dio della Distruzione, sogghignando, mentre Keiichi, dopo l’ennesima parata da parte di Doomshiku, gli atterrava nuovamente di fronte.

Il volto del ragazzino era piegato in una smorfia rabbiosa, mentre fissava il demone ancora piuttosto interdetto.

«RIDAMMI IL MIO PAPÁ!» urlò improvvisamente, lanciandosi a velocità impressionante contro Doomshiku: e, per lo stupore dei presenti, riuscì a colpirlo con un potente pugno, che lo fece arretrare di pochi passi.

Keiichi, infuriato, riuscì a colpirlo una, due, tre, quattro volte, con colpi che parvero danneggiare parecchio il demone, visto come continuava a subire senza mostrare alcun segno di reazione. Il ragazzo colpì nuovamente il demone con un potente calcio all’altezza della spalla, prima di atterrare e caricare un nuovo attacco.

Prese a colpirlo con una lunga serie di pugni al ventre, con il demone che anche questa volta parve non reagire, finché Keiichi non si distacco, caricando un pugno ancora più forte.

Pensò di riuscire a colpirlo nuovamente, ma nel giro di un secondo si sentì afferrato per il polso, e nell’istante successivo si ritrovò a guardare negli occhi un Doomshiku apparentemente ancora più arrabbiato di quanto non lo fosse stato qualche minuto prima.

Il demone ruggì in faccia a Keiichi, con potenza, prima di colpirlo con un pugno allo stomaco. Lo colpì poi anche al volto, prima di lanciarlo lontano.

Keiichi, dolorante, regredì immediatamente al suo stato normale, mentre Doomshiku si avvicinava ancora rapidamente: come per Goku, stava ora preparando una sfera di ki nel suo palmo.

«Non so come tu abbia fatto ad ottenere quel potere…» disse, con un tono palesemente irritato «ma di ben due cose sono certo: la prima, che non ne sei degno, esattamente come tuo padre…»

Tutti gli spettatori osservavano, in preda al terrore, mentre Doomshiku si avvicinava sempre di più. Le lacrime tornarono a bagnare gli occhi di Pamela.

«… la seconda, che adesso morirai.»

Keiichi lo vide puntare il braccio verso di lui: una lacrima gli spuntò sul viso illuminato dalla sfera di Doomshiku.

«Papà…» sussurrò, intravedendo la fine.

Tutti rimasero paralizzati, mentre Doomshiku era sul punto di spazzare via il giovane Keiichi, che voltò la testa, serrando gli occhi.

Il giovane hatwa era convinto che sarebbe morto da un momento all’altro: le lacrime avevano ormai completamente bagnato le sue guance, mentre i pensieri si soffermavano sul suo papà, sui suoi sorrisi, i suoi incoraggiamenti. Presto avrebbe avuto modo di poterlo riabbracciare.

Finché non si accorse che erano passati diversi secondi. Un mugugno, forte, lo fece voltare: e ciò che vide lo sconvolse.

Doomshiku aveva le mascelle serrate in una smorfia, quasi di dolore trattenuto, e sembrava avere una sorta di tremore, come se si fosse improvvisamente bloccato: il suo sguardo guardava dritto, senza osservare nulla di particolare.

Tutti osservarono sopresi questa nuova reazione del demone, che emise un nuovo gemito, più intenso, portandosi le mani alla testa. Keiichi si voltò, appoggiandosi sui gomiti, osservando il demone, che emise un nuovo gemito: il giovane hatwa fu comunque reattivo, strisciando rapidamente all’indietro, visto che dopo quel gemito Doomshiku colpì con forza il suolo.

Ma più che per colpire Keiichi, quello parve più un pugno di grande frustrazione. «V-Vattene…» sussurrò, a denti stretti.

Keiichi rimase nuovamente immobile, nella stessa situazione, chiedendosi se si stesse rivolgendo a lui, così che finì per non accorgersi di un nuovo colpo, ancora più forte, che stava per toccare il suolo.

Ne avrebbe sicuramente risentito, se, improvvisamente, due braccia pelose non lo avessero afferrato giusto in tempo. In un istante, si ritrovò in mezzo agli altri saiyan: si voltò, per vedere il volto del suo salvatore, ancora piuttosto malandato.

«Grazie zio Goku…» gli sussurrò, ricevendo un sorriso in risposta, prima che entrambi tornassero ad osservare Doomshiku, la cui sofferenza sembrava essere aumentata: ora era in grande agitazione, non riusciva a stare fermo; le sue mani stringevano con forza la sua testa.

Whis ebbe come un’illuminazione, mentre osservava il demone.

«Whis, lo percepisci anche tu?» gli chiese il suo padrone, anche apparendo visibilmente sorpreso. Il cenno del suo attendente fu una risposta più che soddisfacente: «Com’è possibile?» disse, a bassa voce, mentre osservava Doomshiku, il cui fastidio sembrava essersi ulteriormente accentuato.

Baby, che fino a quel momento era rimasto nascosto, evitando anche l’ultimo, grande sfogo distruttivo di Doomshiku contro Goku, vide finalmente la possibilità di svignarsela: se fosse riuscito ad avvicinarsi ad uno dei rifugiati, escludendo gli amici dei saiyan, avrebbe potuto tranquillamente infiltrarsi nuovamente tra loro, sperando che quel mostro lo lasciasse nuovamente in pace.

Il demone, intanto, era in preda ad un’incredibile agitazione: nella sua testa era ricomparso qualcosa che gli stava dando un incredibile fastidio, e che stava arduamente lottando contro di lui. Qualcosa che credeva di aver debellato…

«ESCI DALLA MIA TESTA!» gridò, improvvisamente, generando una potente scarica di energia, che scavò il terreno attorno a lui.

ͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻ

“NO! Ti sei spinto troppo oltre, grandissimo figlio di puttana, e ora ne pagherai le conseguenze!”

TU NON DOVRESTI NEMMENO ESSERE VIVO, MISERO INSETTO… HO SOPPIANTATO LA TUA ANIMA!

“Invece no, a quanto pare: guarda un po’, il grande Doomshiku ha fallito! Però devo dirti che, come è successo anche a te, sono anch’io sorpreso di essere ancora vivo!”

E COSA PENSI DI FARE? NON RIUSCIRAI A FERMARMI! TI HO GIÁ SCONFITTO UNA VOLTA, NON CREDERE CHE IO NON POSSA RIFARLO!

“No… questa volta sarà diverso… Doomshiku, hai minacciato  quello che non dovevi minacciare, HAI MINACCIATO MIO FIGLIO! E forse ora potrai incolparlo di avermi permesso di essere nuovamente qua!”

BASTARDO! UNA VOLTA CHE MI SARÓ DISFATO DEFINITIVAMENTE DI TE, LUI SARÁ IL PRIMO A MORIRE!

“No, non lo farai… Io te lo impedirò!”

AH SI? E COME PENSI DI RIUSCIRCI? SEI SOLAMENTE UN DEBOLE, LO SEI SEMPRE STATO!

“Si… Me lo hai sempre detto, anche tempo fa… Ma io sono consapevole che il vero debole qui, sei solo tu.”

AHAHAH! QUESTA È VERAMENTE BUONA!

“E devo ringraziare solamente te, che mi hai permesso di rendermene conto…”

NON FARMI RIDERE, RYDER!

“Quando te ne renderai conto, per te sarà ormai troppo tardi…”

SAPEVO FOSSI SPIRITOSO, MA NON A QUESTI LIVELLI! MA TI CONFERMI COMUNQUE UNO STUPIDO… AVEVI LA POSSIBILITÁ DI CONTROLLARE QUESTO POTERE, TE L’HO DATA IO STESSO, E TU HAI RIFIUTATO!

“E questo non fa che avvalorare la mia tesi… tu sei un debole perché sei il primo a temermi. E adesso comprendo perché tu mi abbia scelto…”

SMETTILA…

“Magari in uno scontro fisico, avresti sicuramente avuto la meglio. Ma tu hai sempre saputo quanto forte fosse il mio spirito. Ed è un’altra cosa che comprendo solo ora…”

E QUINDI TROPPO TARDI!

“Questa è una tua convinzione…”

NON PUOI! SONO IO, QUI, IL PIÙ FORTE!

“Forse Goku non te lo ha spiegato in modo abbastanza chiaro, cosa significhi lottare per qualcosa… permettimi di darti ripetizioni!”

NON OSARE…

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Tutti i presenti poterono osservare Doomshiku agitarsi sempre più convulsamente, mentre la sua aura attorno a lui scavava il terreno, causando un piccolo terremoto.

«Che gli sta succedendo?!» domandò Pan, voltandosi verso il padre, che pareva comunque saperne meno di lei: «Non lo so… Sembra come in preda ad una forte emicrania…»

Bills, quel punto, non riuscì a trattenere un risolino.

«Che c’è di tanto divertente?!» si voltò, scocciato, Vegeta, dimenticandosi chi fosse il suo interlocutore, che lo guardò irritato per un istante, prima di tornare a sogghignare, in piedi, con le mani dietro la schiena, di fianco ad un Whis che portava un sorriso pieno d’orgoglio in viso.

«Mi fa sorridere che nessuno di voi abbia ancora compreso, che stiamo assistendo alla fine di Doomshiku.» disse il Dio della Distruzione, sorprendendo un po’ tutti «La cosa mi lascia comunque un po’ invidioso, ma non posso che esserne felice.»

Gli altri si guardarono tra loro, cercando di trovare una spiegazione a ciò che Bills aveva appena affermato, finché a fornirla non fu Doomshiku stesso: il demone, che fino a quel momento era rimasto, tremante, con le braccia strette attorno alla vita, piegato su se stesso, si alzò improvvisamente in piedi, urlando come pazzo, generando un’altra fortissima ondata di energia.

La cosa andò avanti per qualche secondo, mentre il gruppo di guerrieri continuava a non comprendere pienamente cosa stesse accadendo.

Finché, senza preavviso, il corpo di Doomshiku ebbe una nuova, improvvisa convulsione, e vi fu un forte bagliore accecante, che costrinse tutti i presenti a coprirsi gli occhi.

In quello stesso istante, un rivolo di fumo nero partì dal corpo della creatura, muovendosi a spirale attorno ad essa, mentre lo sfogo energetico di Doomshiku si spegneva lentamente, il corpo della creatura che cadde in avanti, cadendo su un ginocchio.

Proprio in quel momento, la creatura aprì gli occhi, lasciando nuovamente stupiti i presenti, quando poterono vedere che erano gialli, non più rossi, con una sottile pupilla nel mezzo.

E allora tutti poterono comprendere, quando poterono sentire un’altra aura provenire dal corpo della creatura: un’aura familiare, che lasciò di stucco parecchi dei presenti, prima che diversi, larghi sorrisi facessero la loro comparsa, anche sui volti degli spettatori fermi sulla sporgenza rocciosa, che osservavano da molto lontano. Negli occhi di due persone in particolare si formarono le lacrime, nel percepire l’aura di Daniel Ryder.

Nello stesso istante, il fumo nero che si era generato dalla creatura iniziò ad aggregarsi, andando a formare un’altra familiare figura…

ͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻͻ

Mi alzai faticosamente in piedi: ancora non riuscivo a concepire cosa fossi riuscito a fare, ma la cosa che più mi premeva, in quel momento, era fargliela definitivamente pagare, dopo averlo scacciato definitivamente dal mio corpo.

Mi accorsi di essere ancora nella sua potentissima forma, quando notai le mie mani squamose e sentii la lunga coda dietro di me.

Mi voltai giusto un istante, guardando quel gruppo di guerrieri coraggiosi che avevano fronteggiato Doomshiku: mi sentì fiero nel poter dire che quelli erano miei amici, ma ancora più fiero nel vedere, tra loro, il volto sorridente di mio figlio.

Keiichi aveva fronteggiato con coraggio con un avversario imbattibile, solamente per me: non solo, mi aveva anche rivelato da cosa derivasse quella sua grande energia. In quel momento, non potei che sentirmi orgoglioso di lui.

«A quanto pare, è così che deve finire…» disse una voce, profonda che interruppe il flusso dei miei pensieri e mi fece leggermente voltare: potei vedere, poco più in alto rispetto a me, in un’indistinta forma fumosa.

Ad uno sguardo superficiale, non era che una massa di fumo scuro, ma io sapevo meglio di altri di cosa si trattasse: era lui, Doomshiku, che mi osservava. Lo riconobbi, soprattutto, per gli inconfondibili occhi vuoti, di color rosso rubino che mi guardavano.

Per l’ultima volta.

«Non sia mai che Doomshiku perda il suo onore…» proseguì «devo ammettere la sconfitta. Ti ho sottovalutato…»

Mi voltai nuovamente, rifiutandomi di guardarlo ancora: la sua voce bastava e avanzava. Caricai nella mia mano destra tutto il ki che potessi accumulare in questa forma.

«Ora, fai valere la mia scelta.»

Non lo delusi. Mi girai di scatto, portando rapidamente avanti il braccio destro, facendo partire un’onda mastodontica, che lo investì: mentre la sfogavo, mi lasciai andare ad un forte grido, che in realtà uscì come un potente ruggito, che accompagnò l’intero corso dell’onda verso Doomshiku, o ciò che ne restava, finché non lo colpirono.

I rivoli di fumo nero si contorcevano all’apice del colpo energetico: gridai a tutta forza, con la voce gutturale di quel mostro, mettendoci ancora maggiore potenza.

Finché il colpo non andò ad esplodere nello spazio, portandosi con lui l’anima di quell’essere immondo, e con lui, anni di sofferenze e timori, di ansie e insicurezze, che mi avevano tormentato fin da quando ero un bambino.

Era finita, finalmente.

Potei sentire il mio animo farsi improvvisamente più leggero al pensiero: Doomshiku non c’era più.

Ma c’era un ultimo compito da svolgere: mi aveva chiesto una cosa, di far valere la sua scelta.

Ignorai le esultanze dei guerrieri che accorrevano verso di me, e mi lanciai subito in aria, trovandolo immediatamente: si era avvicinato di soppiatto al gruppo di rifugiati, ormai era veramente a pochi metri. Non esitai, lanciandomi in mezzo a loro, ignorando altre grida terrorizzate: cercai di atterrare comunque senza causare danni. Non appena mi sentì arrivare, tornò immediatamente nella sua forma tangibile: il suo volto era una maschera di orrore.

Tremava come una foglia, mentre mi avvicinavo lentamente a lui.

«S-Senti, non possiamo discuterne? In fondo voi hatwa siete persone socievol-HNGH!» Non gli permisi di finire: lo afferrai immediatamente per il collo, facendo attenzione a stringere con forza. Lo guardai cercando di mostrargli tutto l’odio che covavo nei suoi confronti, e la sua espressione terrorizzata mi fece capire che l’obbiettivo era stato raggiunto.

Ciò che mi piaceva di questa forma era proprio la possibilità di manipolare con facilità le energie vitali più deboli. Ma la cosa ancora più interessante, erano tutte le tecniche che conosceva: e una, in particolare, mi parve adatta al caso.

«Guardami negli occhi…» gli dissi, mentre continuava a dimenarsi. Le sue iridi blu finirono comunque per incontrare immediatamente le mie: veramente ingenuo.

In un attimo, lo travolsi con ogni tipo di dolore provato nella mia esistenza, gli feci sentire quella per la morte dei miei genitori, la paura per l’incolumità dei miei amici, le parole di mia nonna sul suo letto di morte… Ad esse, aggiunsi quella di tutta la razza hatwa, che già Doomshiku aveva fatto provare a tutta quella povera gente: ora, Baby si sarebbe gustato tutto il menù.

Avvertì come una sensazione di godimento nel vederlo soffrire: la soppressi all’istante.

Negli occhi e nella bocca di Baby si generò un potente bagliore bianco, dopo di che esplose in un lampo di luce accecante. Alla fine, la mia mano riemerse pulita, come se nulla ci fosse mai stato dentro.

Ora si, che era veramente finita.

Finché non udii quel sussurro alle mie spalle: «Daniel…»

Mi voltai, per vedere Pamela che si avvicinava, esitante, a me.

In quel momento fui colto da un improvviso terrore, realizzando cosa fosse successo: il mostro che in tutti quegli anni mi ero portato dentro aveva nuovamente messo tutti in pericolo.

E questa volta ci era andato vicino. Troppo vicino.

Mi sentii responsabile, mi sentii colpevole: non potevo ricongiungermi agli altri, non in questo momento.

Decollai più velocemente che potei, cercando un posto dove poter rimanere solo: Doomshiku forse non c’era più, eppure sentii nuovamente un gigantesco peso nel mio animo.

Peccato che quegli occhi di rettile non fossero in grado di piangere.


NOTE DELL’AUTORE
Ehilà gente! I’m back! Ora finalmente ho molti meno pensieri per la testa, e posso mettere un po’ più di me stesso in questo progetto, che voglio assolutamente vedere terminato!

Allora, che ne pensate di questa rivisitazione della saga di Baby? È stato un bel lavoro per me, così come buoni si prospetterebbero gli latri miei progetti di “modifica” a Dragon Ball GT. Anche se, francamente, mi chiedevo se proseguire non fosse superfluo: mi piacerebbe avere anche la vostra opinione, voi lettori che mi seguite da un po’, riguardo questa cosa. Sinceramente, mi piacerebbe iniziare un nuovo progetto, sempre legato a questa storia, ma prima mi piacerebbe terminare il lavoro su “I still don’t know, what my destiny is…”. In ogni caso, anche solo una normale recensione al capitolo è ben accetta, come sempre, che sia negativa, neutra o positiva!

Dragon Ball è proprietà di Akira Toriyama.

Alla prossima!

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