L'Alba Scarlatta

di Goran Zukic
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Incubo (prologo) ***
Capitolo 2: *** ll Basilisco ***
Capitolo 3: *** Il Misterioso Alicorno ***
Capitolo 4: *** Festa di Sangue ***
Capitolo 5: *** Parole d'acciaio ***
Capitolo 6: *** Guerra e Pace ***
Capitolo 7: *** Inganno e Melodia ***
Capitolo 8: *** Porto Criniera ***
Capitolo 9: *** Octavia Melody ***
Capitolo 10: *** Acqua e Fulmine ***
Capitolo 11: *** Lacrime d'ametista ***
Capitolo 12: *** Un' estate dopo ***
Capitolo 13: *** L'Occasione di Twilight ***
Capitolo 14: *** Sussurro Glaciale ***
Capitolo 15: *** Sorriso di Memoria ***



Capitolo 1
*** Incubo (prologo) ***


Prologo
Guardò il mare, il sole stava calando piano piano verso l’orizzonte e il cielo era di un amaranto rosato con qualche spruzzata di viola pallido.
I suoi occhi riflettevano le trame delle deboli nuvole con il cielo variopinto, mentre sotto di lei le onde sbattevano violentemente sulla scogliera, increspandosi, per poi ricadere nell’acqua azzurra.
Un sibilo di vento le scompigliò la criniera, mentre le onde si facevano sempre più alte.
"Mi aspettavi?”
Twilight si girò.
Davanti a sé aveva il più bel stallone che avesse mai visto: criniera nera e folta, occhi scuri e intensi, profilo pronunciato e marmoreo, spalle forti e busto prestante e vigoroso.
La faccia di Twilight era tutta un programma, sembrava chiedere: “Dici a me? Proprio io? Perché parli con me?”
La sua bocca era spalancata, i suoi occhi fissi e increduli in un espressione di colpo di fulmine, con le guance arrossate.
“Hai perso la lingua per caso?” chiese lui con la sua voce forte, con un leggero accento.
Twilight scosse la testa e si accinse in un debole sorriso.
“Sembro Fluttershy” pensò lei, vergognandosi paurosamente.
Lo stallone fece qualche passo in avanti verso Twilight e le disse: “Io sono Sylvester e tu come ti chiami splendida dama?”
Twilight arrossì e sorrise nervosamente.
I loro occhi si incrociarono e tra di loro scoppiò la scintilla, i loro sguardi sembravano uno solo, gli occhi viola di Twilight e quelli neri di Sylvester.
I due si avvicinarono, ma prima che si potessero raggiungere, ecco che tutto intorno a Twilight scomparve.
Prima il rumore del mare, poi il vento e infine anche lui, Twilight era ora sola, immersa nel buio e nell’oscurità.
Il silenzio e la paura del buio la invasero e cercò di capire dove si poteva trovare, per quale motivo tutto intorno a lei era nero, ma ovunque si guardasse intorno non vedeva altro che buio e paura.
“C’è Nessuno?” chiese lei tremante e impaurita “Sylvester?”
La sua voce echeggiò per qualche secondo, ma non ricevette risposta.
Si girò, si rigirò, fece qualche passo in avanti, indietro, ma non c’era niente intorno a lei.
Si inginocchiò sulla superficie scura e delle lacrime le scesero sulle guance.
“Che fai? Piangi?”
Alzò lo sguardo, cercando di scoprire da dove provenisse la voce, ma ovunque guardasse era sempre sola nell’oscurità.
Si alzò, l’adrenalina e la paura cresceva ogni secondo che passava, una goccia di sudore cadde a terra e si sentì il rumore dell’acqua frantumarsi nell’oblio, il cui eco vibrò più volte nel buio.
“Twilight” disse ancora la voce.
“Chi sei? Vieni fuori?” chiese Twilight ora spaventata a morte.
“Lo sai chi sono, sei solo troppo spaventata per ricordare” rispose la voce.
Twilight cercò ancora di scoprire la posizione della voce, ma poi si illuminò e con voce sottile, ma sicura e priva di paura, disse: “Discord”
“Oh. Allora ti ricordi di me?” esclamò Discord, ma di lui si sentì solo la voce.
“Vieni fuori codardo!” esclamò Twilight ad alta voce con tono di rabbia.
“Non posso Twilight, sono qui solo di passaggio” rispose lui.
“Qui dove?” chiese lei.
“Non è rilevante” rispose lui “Le cose stanno cambiando Sparkle, niente sarà più come prima quando sarò tornato”
Twilight sorrise e disse: “Che c’è? Stanco di fare il soprammobile?”
“Scherza pure Sparkle, ma vedremo chi riderà alla fine” rispose lui con la voce che ora aveva perso il suo tono divertito.
Twilight ebbe un sussulto, ma poi chiese: “E come pensi di fare?”
“Lo scoprirai e niente riuscirà a fermarlo…e ora svegliati Twilight”

Aprì gli occhi e si alzò tempestivamente.
Era nella sua stanza e non fu mai così contenta di abbracciare il suo cuscino viola.
Era sudata di paura, aveva la criniera scompigliata, tremava di brividi e scottava di febbre.
Provò ad alzarsi, ma fu colta da un capogiro e cadde a terra.
Si sentiva la testa scoppiare, gli occhi girare, le gambe cedere, non si era mai sentita così male in vita sua, ma era sollevata che tutto quello fosse solo un incubo, che Discord fosse ancora nella sua prigione e che tutto era come doveva essere.
Si accesero le luci e Spike fece irruzione nella stanza.
“Per la Principessa Celestia, Twilight, che è successo?” chiese lui spaventato.
Indossava la sua camicia da notte viola e aveva delle occhiaie di sonno e delle borse sotto gli occhi.
“Un incubo, niente di che” rispose Twilight con un fil di voce.
Spike le mise la mano sulla fronte.
“Oh Dio! Bruci più tu del mio alito!” esclamò “Hai la febbre”
Twilight chiuse gli occhi per un secondo e per un attimo le sembrò di vedere Discord.
Li aprì immediatamente, colta dalla paura e disse: “E’ tornato. E’ di nuovo cattivo. Ponyville ha bisogno di me”
E detto questo si alzò, ma non riusciva a stare in piedi e cadde a terra sbattendo la testa sull’armadio.

Buio.
 

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Capitolo 2
*** ll Basilisco ***


Il Basilisco

Il sole entrò dalla finestra e le illuminò la faccia, quasi accecandola.
Strizzò gli occhi e, con uno sbadiglio, si sforzò di alzarsi.
I suoi capelli erano spettinati, era sudata, gli occhi erano circondati da occhiaie, ma non le faceva più male la testa e nonostante la stanchezza si sentiva bene.
Si guardò intorno, era seduta nel suo letto, nella sua stanza illuminata dalla luce del sole, dalla finestra si vedeva il castello di Canterlot, maestoso e splendente sulla collina.
Twilight gettò uno sguardo ai suoi pinnacoli e le sue torri e arricciò leggermente il naso.
Fu allora che si accorse del cerotto sulla fronte.
Se la tastò e si ricordò tutto quello che era successo quella notte: l’incubo, Discord, Spike, la febbre, la botta sulla fronte.
Doveva andare da Celestia, doveva raccontarle quello che aveva sognato.
Non che si fosse mai troppo preoccupata dei sogni o degli incubi, ma se c’era qualcuno di cui non si fidava quello era Discord e quel sogno non la convinceva e la preoccupava.
“E se non fosse solo un sogno? Se stesse davvero succedendo qualcosa?” pensò lei e si alzò dal letto con qualche fitta di dolore.
Fece due passi in avanti e notò che si sentiva bene.
Scese le scale e nel salone circondato da libri vide Spike che dormiva con delle uova strapazzate sugli occhi e dei pancakes con sciroppo d’acero che gli colava dal collo e sotto le ascelle.
A Twilight scappò un risolino che sfociò in una forte risata.
Spike, udendola ridere, saltò in aria dallo spavento, ma scivolò sullo sciroppo e cadde faccia a terra sul pavimento di legno.
Twilight continuò a ridere e arrivò proprio di fronte a Spike.
“Dev’essere stato sveglio per tutta la notte” pensò lei.
“Ciao Twilight” disse lui sbadigliando “Perché ti sei alzata? Devi riposare? Hai la febbre”
“Spike, sto bene. Tu piuttosto, perché non ti riposi un po’?” chiese Twilight.
“No” rispose lui, ma un altro sbadiglio lo fermò “Ti ho preparato la colazione…o almeno, avevo preparato” disse lui guardando sconsolato e deluso le uova che giacevano per terra e i pancakes.
“Sei molto caro Spike e sei stato gentile a badare a me, ma ora devi riposare, altrimenti…” ma si bloccò.
Spike era crollato di nuovo a terra e aveva cominciato a russare.
Twilight sorrise di nuovo e si incamminò, cercando di non far rumore verso la porta.
“Ci vediamo dopo Spike, devi riposare, andrò da sola dalla principessa Celestia” pensò lei guardando il suo assistente e chiudendosi la porta alle spalle.
La città si era già alzata da qualche ora, i pony stavano già esercitando le loro mansioni e le vie del paese erano già invase di pony.
Twilight doveva raggiungere la stazione per andare a Canterlot e così iniziò a camminare perle vie della città.
Tutti la salutavano sorridendo, mostrando però una certa attenzione per la sua ferita che lei non faceva nulla per nascondere.
Passò davanti alla casa di Rarity, ma le luci erano ancora spente, continuò a camminare lungo la strada principale fino a quando non sentì una voce acuta che la chiamava.
“Twiiiiiiliiight!”
“Oh mio dio…Pinkie Pie” esclamò Twilight sconsolata.
Non aveva proprio voglia di incontrare Pinkie, proprio ora che doveva andare da Celestia.
“Twiiiiiiiiiiliiiight!” esclamò ancora Pinkie, la cui voce si faceva sempre più vicina e acuta.
Twilight si girò e vide saltellare verso di lei Pinkie con in testa uno stranissimo cappello di piume.
“E adesso che cosa sta combinando?” si chiese Twilight tra sé confusa, ma non troppo, ormai si era fatta l’abitudine della stranezza di Pinkie Pie.
“Ciao Twily. Tutto bene? Oh per la principessa Luna! Che hai in testa?” chiese Pinkie con aria confusa e spaventata.
“Potrei farti la stessa domanda” rispose Twilight.
“Ahaha. Dici questo? Oggi è la festa dello struzzo e ho deciso di organizzare un party a casa mia. Vuoi venire? Ci saranno torte, cioccolato, regali, torte, palloncini, torte, caramelle, torte, gelato, torte, cioccolato e torte” esclamò allora Pinkie con gli occhi illuminati di gioia e un sorriso a 32 denti.
“Mi spiace Pinkie, sto andando da Celestia e non so quando tornerò” rispose Twilight.
“Oh! Ti accompagno se vuoi” le disse Pinkie.
“Ehm, non dovevi preparare una festa?” le chiese Twilight nervosamente, cercando di evitare che venisse con lei.
“Oh! Sì! Che stupida! Devo gonfiare i palloncini! Ciao Twily, devo andare, buon viaggio!” esclamò Pinkie e si allontanò saltellando e cantando: “I palloncini, adoro i palloncini, i palloncini che belli i palloncini”
Twilight alzò il sopracciglio con sguardo confuso, ma poi si mise a ridere e continuò a camminare verso la stazione.
Arrivò appena in tempo per prendere il primo treno per Canterlot e salire in carrozza.

Intanto Pinkie Pie continuava a saltellare e a sorridere, verso il negozio di articoli regalo.
“Sarà una festa da sballo! Magari copro anche quelle bibite gassate che mi piacciono tanto, così saremo completamente fuori e ci divertiremo come matti” pensò Pinkie ridendo e saltellando allegramente.
Era sempre così Pinkie Pie, sempre a metà tra la pazzia e la normalità, una vita all’insegna della gioia e del divertimento con feste, scherzi e a volte qualche vizio di troppo, ma da Pinkie Pie ci si poteva aspettare qualsiasi cosa, fuorché essere triste.
Saltellò verso il negozio che ormai si vedeva all’angolo tra la via dei negozi di giocattoli e quella dei dolci, quando d’un tratto venne toccata da qualcosa.
Pinkie si fermò e, girandosi, vide Fluttershy davanti a sé.
I suoi occhi erano spalancati, ogni centimetro del suo corpo tremava incontrollabilmente e si reggeva a malapena in piedi.
“Ciao! Flutter…Per tutto lo zucchero! Che è successo? Vuoi una tavoletta di cioccolato? Fa bene sai” chiese Pinkie preoccupata
. Fluttershy rimase immobile, gli occhi sgranati, le palpebre rigide e aperte.
“Fluttershy?” Pinkie le mise la zampa davanti alla faccia, ma non notò alcuna reazione.
“Fluttershy, mi stai spaventando. Ti prego…cosa c’è?”
Gli occhi della pony gialla si spostarono su quelli di Pinkie, le sopracciglia inclinate in segno di paura.
Fluttershy mormorò qualcosa che Pinkie non comprese.
“Busbico?”
Fluttershy scosse il capo, ma continuava a tremare ed era così spaventata che non riusciva a parlare.
Aprì la bocca, ma non riuscì a dire niente.
Pinkie le mise le zampe sulle spalle, la guardò negli occhi e le cacciò in bocca la barretta di cioccolato.
“Va meglio vero?” Fluttershy ingoiò quasi intera la barretta e poi disse con la sua solita voce timida e acuta: “C’è, c’è, c’è, c’è” “C’è?” “C’è, c’è…”balbettò lei.
“Cosa c’è? Ne vuoi un’altra?” chiese Pinkie.
All’improvviso si sentì un rumore sordo, le pony saltarono in aria dallo spavento e poco dopo, un crepa si formò nella strada proprio sotto i loro piedi.
Si sentì ancora lo stesso rumore e subito dopo le pony vennero scaraventate contro il muro della casa dietro di loro.
“Ahia!” esclamò Pinkie.
Davanti a loro si ergeva un immenso serpente, più alto delle case, che usciva da una voragine nella strada.
Era enorme, aveva una bocca immensa, con due canini affilati come lame, gli occhi rossi come un rubino, le scaglie bluastre e una piccola cresta ossea che partiva dalla testa e finiva nella coda.
“Era questo che volevo dirti” esclamò Fluttershy spaventata.
Pinkie aveva gli occhi spalancati, un taglietto sulla guancia, ma non aveva paura e disse: “Tranquilla Fluttershy, ci pensa Pinkie adesso”
Ma Fluttershy la trattenne per la zampa e le disse: “No, No! Se lo guardi diventi pietra”
“Cosa?”
“E’ un basilisco. Ed è cattivo”
IL serpente gigante le vide e si girò verso loro con le fauci spalancate.
Entrambe chiusero gli occhi, abbracciate e impaurite da quello che il mostro avesse potuto fare loro.
Sentirono il respiro puzzolente del basilisco sulle loro teste, ma poco dopo sentirono un fruscio di vento passare loro accanto e il serpente emettere un gemito di dolore.
“Prendi questo schifoso mostro strisciante!” esclamò qualcuno sopra le loro teste.
“Apro gli occhi?” chiese Pinkie a Fluttershy.
“Non ancora” rispose l’altra.
“Adesso?”
“No”
“Adesso?”
“Aspetta”
“Ora?”
“Aspetta”
“Vuoi una barretta di cioccolato?”
Fluttershy emise un lamento nervoso e aprì gli occhi.
Il basilisco era sopra di loro e sembrava mordere l’aria, o almeno, non si vedeva quello che stava cercando di cacciare
. Il serpente subì un colpo all’occhio e ruggì di rabbia cercando di addentare qualcosa.
Fu allora che Fluttershy vide Rainbow Dash che volava velocissima attorno a mostro, cercando di colpirlo quando possibile.
“Adesso posso aprire gli occhi?” chiese Pinkie, ma Fluttershy si era già alzata.
“Rainbow Dash, non guardarlo negli occhi” esclamò Fluttershy, ma la sua voce era troppo bassa e la pegasus pony non la sentì.
“Torna da dove sei venuto!” esclamò Rainbow Dash e colpì ancora il serpente sul mento.
Volava così veloce che molti non riuscivano neanche a vederla, si vedeva solo una scia arcobaleno che sfrecciava intorno al mostro.
D’un tratto però il serpente ebbe uno scatto fulmineo e con la coda colpì Rainbow Dash in pieno, facendola scaraventare contro il carretto dei gelati.
Le spire del basilisco si attorcigliarono attorno al suo corpo e i loro occhi si incrociarono.
Rainbow Dash da prima non provò nulla, ma poi si sentì irrigidire, prima non sentì le gambe, poi le ali, poi la faccia e infine, prima che potesse parlare, gli occhi si fermarono, bloccati come il ghiaccio.
Fluttershy emise un lamento di paura e pianto, il serpente se ne accorse e si girò verso di lei.
La pegasus pony chiuse gli occhi, ma sentiva già le spire del serpente che la stringevano sempre di più.
Fu allora che si sentì un suono simile ad un esplosione e il basilisco gemere di dolore, ruggendo e sventrando con la coda una casa intera.
Fluttershy sentì la presa allentarsi e poi cadde a terra.
Alzò lo sguardo, il basilisco si dimenava e gli faceva un po’ pena, perché stava provando un grande dolore.
Accanto a lui, c’era un pony, ma non un pony qualsiasi, volava, ma aveva anche un corno, era un alicorno.
Aveva il manto rosso, gli occhi azzurri, la criniera rossa con spruzzate di giallo e blu e dal corno spuntava un energia rossa e blu.
Approfittando della distrazione dell’animale, l’alicorno gli scagliò una potente scarica di energia con la quale lo stese a terra in un solo colpo.
Fluttershy corse subito verso Raimbow Dash.
Era immobile, gli occhi vuoti e fermi, anche leggermente fuori asse, la bocca aperta e le sopracciglia spaventate, il corpo freddo come il marmo e rigido come l’acciaio.
Le scese una lacrima.
“Sta tranquilla si rimetterà” le disse qualcuno alle sue spalle. Fluttershy saltò in aria dallo spaventò e si girò.
Davanti a sé aveva il misterioso alicorno, quello che aveva messo KO il basilisco e che ora se ne stava con le ali aperte nel mezzo della piazza, circondato da tutto il paese curioso.
“Tornerà come prima appena trovata un po’ di mandragola” le disse lui con voce sicura e protettiva.
Fluttershy lo guardò con grande ammirazione, ma non ebbe il coraggio di rispondere, anche perché aveva comunque fatto male al basilisco.
Intanto i Pony si affollavano attorno a lui, mormoravano, si facevano domande, si chiedevano chi fosse quel misterioso alicorno e da dove venisse.
Leggendo la curiosità generale, l’alicorno salì sul corpo inerte de basilisco e disse: “Io sono Justhought e sono qui come nuovo protettore della città di Ponyville. Oggi ho salvato le vostre vite, ma vi prometto questa non sarà l’ultima volta e sarò il garante della vostra salvaguardia fino alla fine”
Delle urla di giubilo e applausi si levarono dalla folla che inneggiava già il suo nome.
Justhought fece segno di tacere e continuò: “Una di voi oggi si è battuta coraggiosamente e sarò in prima linea per impegnarmi affinché possa ritornare quella che era”
Altri applausi si alzarono.
“Posso aprire gli occhi ora?” chiese Pinkie ancora seduta contro il muro con gli occhi chiusi.
Fluttershy corse da lei e la portò, piangendo da Raimbow Dash.
“Ahah. Assomigli a Derpy con quegli occhi” disse Pinkie a Rainbow Dash, ma non ricevette risposta.
“Non c’è niente da ridere. E’ stata pietrificata” replicò Fluttershy con un leggero tono di rabbia, inusuale per lei.
Pinkie rimase impassibile e sorpresa difronte al cambio di carattere dell’amica e si sentì dispiaciuta per avere preso in giro Rainbow Dash.
“Barretta?” chiese lei porgendo il dolce all’amica, cercando di farsi perdonare.
All’improvviso però si sentì fermento tra la folla.
“Fate passare, permesso, grazie, uffa, ahia, grazie, per favore, sono amiche mie”
Rarity si stava facendo largo tra la folla per raggiungere le amiche e quando la ebbe superata si guardò sconsolata la criniera e disse: “Messa in piega…rovinata”
Poi corse verso le amiche e chiese: “Oh! Per gli elementi dell’armonia! Che è successo?”
Ma prima che potessero risponderle ecco che vide il mostro e i suoi occhi si spalancarono di paura e iniziò a sbattere i denti.
“E…e…quel..llo?” chiese lei.
“E’ un basilisco, ha attaccato la città” rispose Pinkie.
Poi Rarity spostò lo sguardo su Rainbow Dash e disse: “Per tutti i draghi! Che è successo a Rainbow Dash? Mio dio…con quegli occhi sembra Derpy”
“Vero?” esclamò Pinkie.
“Cosa?” si accinse a chiedere di nuovo Rarity, ma Justhought era arrivato accanto a loro e disse con il suo tono deciso e forte: “E’ stata pietrificata dal mostro, ma non è in pericolo, andrò personalmente a cercare il rimedio per curarla”
“Oh…mio…santissimo…stallone volante. La tua bellezza è pari a quella dell’ambrosia degli dei, della stella più luminosa, ti prego sposami ora e io sarò tua moglie e insieme avremo tanti puledrini” pensò Rarity sognando ad occhi aperti.
I suoi occhi erano fissi sull’alicorno, la bocca aperta e non riusciva a parlare.
“Ti senti bene?” le chiese Justhought.
“Cosa? Io?...Sì…benone, una meraviglia, ti ringrazio, grazie a te e alla tua forza, hai sconfitto il mostro e aiutato tutte noi, ti mostro la mia più gradita e sincera riconoscenza” rispose Rarity arrossendo.
L’alicorno sorrise e ringraziò a sua volta.
“Invitalo a cena” pensò Rarity parlando con il suo subconscio interiore “E’ bellissimo, è forte, è gentile. L’essere più meraviglioso che abbia mai visto, invitalo a cena”
“Senti…” si accinse a parlare, ma venne interrotta da Pinkie Pie che chiese a Justhought: “Questa sera tengo una festa a casa mia, mi chiedevo se potesse diventare una festa di benvenuto per il nostro salvatore? Se tu non fossi contrario…vuoi venire?
“Ne sarei onorato” rispose lui.
Pinkie allora corse verso il centro della piazza ed esclamò: “Gente! Amici! Stasera ci sarà un party di benvenuto a casa mia, per il nostro nuovo protettore Justhought! Chiunque voglia venire è libero di farlo”
Rarity gelò Pinkie Pie con lo sguardo e pensò tra sé: “Quella guastafeste adesso mi vuole rubare anche il fidanzato. Eh no! Questo no!”
Solo Fluttershy non sembrava essere felice, guardava Rainbow Dash che se ne stava immobile appoggiata a terra sospirava affannosamente, non si spiegava come le amiche non fossero tristi come lei.
Mentre la folla iniziava ad allontanarsi Justhought si mise vicino a lei e le disse: “Non preoccuparti. E’ forte, saprà aspettare fino a quando non troverò la mandragola. Ma fino a quel momento voglio vederti sorridere”
Fluttershy si girò verso di lui, le lacrime le rigavano il viso, ma poi sorrise e arrossì, prima di farsi aiutare a portare Rainbow Dash dentro la casa di Pinkie, per tenerlo al caldo.
Intanto, proprio mentre il serpente iniziava ad alzarsi ecco che Justhought creò un alone di energia attorno ad esso e con una potente telecinesi lo trasportò oltre i confini di Ponyville, nel mezzo della Evertree forest.

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Capitolo 3
*** Il Misterioso Alicorno ***


Il Misterioso Alicorno

Twilight osservò la statua più e più volte, ma non trovava niente di diverso dall’ultima volta che l’aveva vista, niente che facesse pensare ad una fuga, niente era cambiato.
“Hai visto Twilight? E’ sempre lì, come lo abbiamo lasciato” disse Celestia.
Twilight si girò, guardò Celestia con occhi sconsolati e leggermente irritati.
“Quello che ho sognato non era un semplice sogno principessa” esclamò lei.
Celestia la guardò con sguardo comprensivo, le si avvicinò e le disse: “A ognuno di noi capita di avere degli incubi, non vuol dire che siano reali. E poi Discord è cambiato, non è più quello di una volta”
Twilight alzò lo sguardo verso la statua.
Gli occhi di Discord erano fissi e immobili, ma le sembrò che la guardassero e cercassero di dirle qualcosa.
Rimase per qualche secondo con gli occhi sulla statua e poi sentì una voce nella sua testa che le diceva: “E’ l’ora, sta arrivando. La resistenza è inutile”
Era la voce di Discord, le stava parlando, ma non riusciva a capire a cosa il draconequus stesse alludendo.
All’improvviso però si sentì bussare al portone e Twilight tornò in sé togliendo gli occhi dalla statua.
“Chi è?” chiese Celestia con il suo solito tono solenne.
“Principessa sono Mr.Rho” rispose una voce grave da dietro la porta.
“Signor primo ministro, entri pure” disse Celestia e le porte si spalancarono magicamente.
Il primo ministro di Equestria entrò nella grande sala con passo deciso e rapido.
Aveva una criniera marrone, un po’ stempiata sulla fronte, due grandi orecchie, un muso allungato, un fisico possente, ma un po’ appesantito da qualche chilo di troppo e sulla coscia, come cutiemark, una valigia verde.
“Buongiorno principessa. Sono qui per informarla di un fatto curioso accaduto oggi a Ponyville” disse lui.
A queste parole Twilight drizzò le orecchie, aggrottò la fronte e si mise in ascolto.
“Che è successo Rho?” chiese Celestia.
“Un basilisco ha attaccato la città” rispose lui.
Gli occhi di Celestia si spalancarono e arricciò il naso, Twilight lo notò e divenne più nervosa.
“Un basilisco ad Equestria? Ne sei sicuro?” Rho annuì e continuò: “Stia tranquilla principessa, l’essere è stato abbattuto”
“E da chi?” chiese allora Celestia.
“Justhought” rispose con qualche esitazione Rho, come se avesse timore a pronunciare quel nome.
Celestia rimase immobile, come colpita a morte da quel nome, un nome che non sentiva da tanti, troppi anni e che ormai non si aspettava più di sentire.
“E’ tornato?” chiese lei.
“Sembrerebbe, principessa” rispose Rho.
Celestia, inizialmente sembrò pronta a scoppiare di rabbia, ma poi sorrise e delle lacrime le scesero sulle guance e caddero sul pavimento liscio.
Twilight intanto osservava la scena da dietro, non sapeva quello di cui i due stavano parlando, non sapeva il motivo dello stato d’animo di princess Celestia e soprattutto era scossa dalla notizia dell’attacco di un basilisco a Ponyville, un mostro raro e quasi invincibile.
Princess Celestia si voltò verso Twilight, gli occhi ancora rigati di lacrime e le disse: “Torneremo insieme a Ponyville, devo vedere una persona”
“Principessa, se posso chiedere, ci sono stati dei feriti durante l’attacco?”
“Non devi chiedere a me” rispose lei e le fece segno di chiedere a mr. Rho.
I due si guardarono e Rho prese la parola per primo: “Una pegasus pony di nome Rainbow Dash, è stata pietrificata dal mostro”
Fu Twilight questa volta ad avere un colpo al cuore.
Si sentì irrigidire, le sue gambe tremavano, i denti sbattevano e le lacrime già le rigavano le guance. “Perché non ero lì? Perché non ero con le mie amiche?” pensò lei “Se ci fossi stata io non sarebbe successo e tutto perché credo ai miei stupidi sogni!”
Twilight singhiozzò e Celestia le si avvicinò, abbracciandola con le ali.
“Si sistemerà tutto, stai tranquilla” disse Celestia.
“E’ colpa mia” singhiozzò Twilight “E’ mio compito proteggere Ponyville”
Celestia la guardò e le asciugò le lacrime.
“Dobbiamo andare ora. Non è colpa tua, non è colpa di nessuno. Tu sei una brava allieva, la migliore che abbia mai avuto, non permettere a nessuno di dirti il contrario, nemmeno nei tuoi sogni” le disse Celestia.
Twilight la guardò, i loro occhi viola si specchiavano l’un l’altra e poi si sorrisero.
“Il carro è pronto principessa” esclamò Rho.
Celestia mollò la presa e annuì.
Le due si incamminarono alle spalle del primo ministro e si chiusero il portone alle spalle, uscendo dalla sala e lasciando al buio la statua di Discord.
La carrozza alata era sulla grande terrazza ad aspettarle, trainata dai due pegasi personali della principessa che indossavano le loro armature d’oro massiccio e i loro elmi. Celestia e Twilight salirono sulla carrozza.
“Faccia buon viaggio mia principessa” disse Rho.
Celestia ringraziò e subito dopo ordinò ai pegasi di partire alla volta di Ponyville.
Twilight stava pensando ancora alla discussione tra princess Celestia e mr. Rho, riguardo un certo Justhought, che lei non conosceva e che aveva salvato Ponyville.
Era confusa, mai aveva visto Celestia piangere e mai l’aveva vista nello stesso tempo così felice.
“Principessa, se posso chiedere, chi è Justhought?” chiese Twilight timidamente.
Celestia ebbe un attimo di esitazione, in cui non diede il minimo sguardo a Twilight, ma poi le rispose: “Era mio fratello”
A queste parole Twilight strabuzzò gli occhi con sorpresa e incredulità, come poteva essere vera una cosa simile, su nessun libro che aveva letto si alludeva ad un altro fratello oltre a Luna e Celestia.
“Comprendo la tua confusione, Twilight, ma è vero. Justhought è mio fratello, terzogenito della mia famiglia” le disse la principessa.
“Mio padre affidò a lui la giustizia di Equestria, ma per lui non era abbastanza e pretese di più, tanto che quando mio padre non glielo concesse lasciò Equestria e non tornò mai più”
Twilight notò in Celestia un tono di grande tristezza.
“Non pensavo potesse ritornare, l’ho cercato in tutti i territori conosciuti, ma non sono mai riuscita a trovarlo e ora che è tornato, sento di non essere mai stata più felice”
La carrozza scendeva sempre più e dopo aver superato una nuvola, videro Ponyville, nella pianura verde sotto di loro, con le sue case e i suoi alberi.
La carrozza scese sempre più, tanto che Twilight poteva toccare i comignoli delle case e le fronde più alte degli alberi.
Alcuni pegasi si affiancarono a loro e li accompagnarono nella discesa.
Quando la carrozza atterrò nella piazza della città, i pony si avvicinarono e applaudirono con inchini e riverenze questa inaspettata visita della loro principessa.
La principessa scese dalla carrozza e salutò la folla che applaudiva e incitava il suo nome: “Viva Celestia!” “Lunga vita all’impero del sole!” intonavano loro.
Twilight scese dietro Celestia e cercò tra la folla gli occhi delle sue amiche, che però non trovò.
Si girò, si rigirò, ma non vide ne sentì nessuna di loro.
Abbassò lo sguardo, amareggiata, dov’erano le sue amiche? Perché non le erano venute incontro?
Alzò gli occhi verso la folla in festa e poi vide Derpy Hooves, che applaudiva e rideva in prima fila.
Twilight le si avvicinò, Derpy era sempre la stessa, manto grigiastro, criniera e coda bionda, cutie mark a forma di bolle di sapone, occhi giallognoli e asimmetrici.
“Twilight! Non ti avevo vista!” esclamò lei sorridendo.
“Ciao Derpy. Come sta Rainbow Dash?” le chiese Twilight.
Derpy arricciò il naso e abbassò lo sguardo.
“Non bene. E’ sempre immobile” rispose lei con espressione triste e sconsolata.
Twilight sospirò di amarezza e rabbia, si sentiva colpevole della fine di Rainbow Dash e capiva perché le sue amiche non volevano vederla.
“Sai dove posso trovarla?” chiese allora Twilight.
“Ah ah. Sì. A casa di Rarity” rispose Derpy, ma era anche lei visibilmente provata per lo stato di salute dell’amica.
“Grazie Derpy” disse allora Twilight cercando di sembrare il più serena possibile, ma poi lasciò andare le emozioni e abbracciò Derpy.
Dopo averla abbracciata si voltò verso Celestia che si faceva strada tra la folla a fatica e poi si incamminò verso la casa di Rarity.
Tutti quelli che la incrociavano abbassavano lo sguardo o si voltavano per non guardarla, continuando poi a camminare dalla parte opposta.
Twilight abbassava lo sguardo a sua volta, si vergognava per non aver protetto Ponyville e si rattristava dal fatto che i suoi amici la giudicavano così male.
Arrivò alla porta della casa bianca e rosa di Rarity e timidamente bussò alla porta.
“Vado io” sentì Twilight dall’interno della casa e subito dopo la porta si aprì e si trovò AppleJack davanti agli occhi.
I suoi occhi verdi incontrarono i suoi e le sue sopracciglia si aggrottarono in uno sguardo severo.
“Ciao” disse con voce bassa e nervosa Twilight.
“Ciao, che fine avevi fatto?” chiese AppleJack con tono inquisitorio.
“Ero da Celestia” rispose Twilight.
“Le lettere non esistono più?”
Twilight abbassò lo sguardo e sospirò piangendo: “Mi dispiace”
Sentì però delle braccia che si avvolgevano attorno al suo corpo e aprì gli occhi.
AppleJack la stava abbracciando.
“Non è colpa tua” le disse AppleJack e detto questo la fece entrare.
La condusse nella sala dove vide, Raimbow Dash sdraiata sul divano e Fluttershy che vegliava su di lei.
“Vuoi un altro cuscino per stare più comoda?” chiese Fluttershy a Rainbow Dash, senza ottenere risposta.
“Sì, te lo porto subito”
Si girò e vide davanti ai suoi occhi le due amiche.
“Twilight” esclamò e corse ad abbracciarla piangendo.
“Hai visto quello che è successo?” le chiese Fluttershy con voce malinconica.
Twilight annuì e le rispose: “Mi dispiace molto”
“Non è colpa tua” la rassicurò Fluttershy e tornò ad assistere Rainbow Dash.
Era fredda come il ghiaccio, rigida come il ferro e non dava segni di vita.
“E’ morta?” chiese Twilight rassegnata e disperata.
“No, il suo cuore batte è solo diventata come la pietra, come la statua di Discord” rispose AppleJack e Twilight sospirò sollevata, nonostante ebbe un certo risentimento quando sentì pronunciare quel nome, che ancora le balenava dentro la testa.
“Justhought ha detto che starà bene e io mi fido di lui” esclamò Fluttershy.
Quel nome le rimbalzò come eco nella testa, non lo conosceva ancora, non sapeva che aspetto avesse, ma sapeva chi era ed era il fratello di Princess Celestia.
Applejack notò lo sguardo pensoso di Twilight e le chiese: “Qualcosa non va?”
“Stanno succedendo cose strane, prima il sogno poi il basilisco” rispose Twilight.
“Che sogno?” chiese confusa e interessata Applejack.
“Niente. Un incubo che ho fatto la notte scorsa, sono andata a parlarne con Princess Celestia” rispose Twilight.
Applejack la guardò preoccupata.
“Cosa aveva quel sogno di così strano?” chiese Applejack.
“Niente. Era solo un sogno” rispose Twilight, ripensando anche alle parole che le aveva detto Celestia a Canterlot.
“E tu solo per un sogno hai lasciato la città in balia di un mostro che fa diventare delle statuine i pony?” esclamò Applejack ora con un tono decisamente arrabbiato.
Twilight si sentì in colpa, quello che aveva detto Applejack era vero, abbassò timidamente lo sguardo.
“A volte Twilight sei proprio una testona egoista” disse Applejack con rabbia e andò in cucina per evitare di arrabbiarsi troppo con l’amica.
Intanto Fluttershy continuava a vegliare sull’amica pietrificata a volte le raccontava delle storie, altre volte le faceva vedere dei vecchi album di foto, altre volte ancora cercava di pettinarle la criniera, senza riuscirci.
Twilight le si avvicinò e Fluttershy dopo averla osservata un po’ le disse: “Non hai una bella cera, che cosa è successo?”
Fu allora che la pony gialla notò il cerotto sulla fronte, nascosto ora sotto la frangetta nero-violacea.
“Oh per tutti i conigli! Che hai fatto alla fronte? Ti hanno picchiata?” esclamò Fluttershy spaventata, abbracciando di paura Rainbow Dash.
“No tranquilla…ho solo picchiato la testa” rispose Twilight.
“Ma qualcosa è successo. Te lo leggo negli occhi. E poi sei anche stanca, hai le occhiaia e sei pallida” le disse Fluttershy.
Twilight abbassò lo sguardo vergognandosi, ma poi cedette e capì che doveva dire a qualcuno quello che aveva sognato.
“Ho fatto un sogno strano” le disse Twilight. Fluttershy ebbe un tremito di paura e invitò l’amica a continuare.
“Ho sognato Discord, che mi parlava e mi diceva delle cose strane” ripensandoci Twilight ebbe una fitta alla testa “E poi…io…ho avuto molta paura”
Fluttershy alzò un sopracciglio, confusa e nervosa, ma poi dopo una piccola pausa di riflessione disse all’amica: “Hai bisogno di dormire Twilight. Sei molto stanca, devi fare una pausa”
Twilight annuì, forse Fluttershy aveva ragione, non aveva dormito l’ultima notte, era stanca, le girava la testa e cominciava a sentirsi addormentare.
Fluttershy si alzò, camminò verso un armadio e prese una coperta, con cui coprì Rainbow Dash, poi accompagnò Twilight a casa sua, lasciando ad Applejack il compito di vegliare su Rainbow Dash.
Non appena entrarono in casa vennero subito abbracciate da Spike.
“Oh! Per fortuna! Twilight! Mi hai fatto spaventare, dove eri finita? E’ ora di pranzo” esclamò lui spaventato, ma felice che Twilight stesse bene. “Non hai una bella cera però”
“Sono andata da Celestia Spike” gli disse Twilight.
“Adesso deve riposare Spike, starai tu con lei?” chiese allora Fluttershy e Spike annuì mettendosi divertito sull’attenti.
Fluttershy sorrise, sembrava diventata più coraggiosa del solito nelle ultime ore: si prendeva cura di Rainbow Dash, parlava abbastanza disinvolta, Twilight quasi non la riconosceva.
“Ci vediamo stasera Twilight” esclamò Fluttershy avvicinandosi alla porta.
“Stasera? Cosa c’è?” chiese Twilight confusa.
“Una festa in onore di Justhought, nella sala del municipio” rispose l’amica.
Twilight ripensò ancora a Justhought, quel nome cominciava a irritarla, tutti che parlavano di lui, tutti che lo esaltavano e lei che era stata messa in disparte manco avesse fatto scoppiare una bomba.
“Verrò se starò meglio” disse allora Twilight con un certo tono di irritazione.
Fluttershy sorrise timidamente, salutò Spike e uscì chiudendosi la porta alle spalle.
“L’hai già incontrato Justhought, Twilight?” chiese Spike con tono estasiato.
“No” rispose secca Twilight incamminandosi verso il suo letto.
Spike si guardò intorno nervoso e poi le disse: “No…perché è venuto qui”
Twilight si bloccò su due piedi, si girò, confusa e nervosa dalle parole di Spike.
“E perché è venuto?” chiese allora lei.
“Voleva parlarti, non c’eri ed è andato via subito” rispose lui.
“Beh. Io non ho voglia di parlare con lui, sono stanca” replicò allora lei, voltandosi e lasciando Spike da solo nel salotto.
“Chissà cosa le passa per la testa? Ho sempre detto che lo studio le fa male” esclamò Spike preoccupato e sconsolato.
Twilight si sdraiò sul letto, mise la faccia nel cuscino e ringhiò di rabbia, bagnando il cuscino di lacrime.
“Le mie amiche mi odiano, tutti mi odiano” pensò lei guardando il soffitto. “Ed è tutta colpa di quel pomposo e stupido alicorno. Non mi importa se è fratello di Celestia, è chiaro che è qui per irritarmi e rubarmi il lavoro. Mi vuole rubare l’amicizia, ma non glielo permetterò”
Ma detto questo, sbadigliò e le palpebre si chiusero sui suoi occhi viola, facendola addormentare.
La rabbia che provava per il nuovo arrivato le aveva fatto dimenticare il sogno, Discord e tutto il resto, ora l’unica cosa a cui pensava era l’odio che provava per Justhought.

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Capitolo 4
*** Festa di Sangue ***


Festa di Sangue

Sentì intorno a lei il rumore del vento che scuoteva le foglie e le scompigliava la frangia, come il suono di un fischio sinistro e lontano.
Aprì gli occhi, era seduta a terra, sull’erba fredda e umida, intorno a lei regnava la notte, la notte scura e tetra.
Solo la luce abbagliante e bianca della luna le permetteva di vedere dove metteva i piedi, ma poco altro riusciva a captare.
Fece qualche timido passo in avanti, aveva paura, non sapeva dove si trovava e soprattutto aveva la nitida e brutta sensazione di aver già vissuto questa esperienza in passato.
All’improvviso però sbatté contro un muro, ma non un muro qualsiasi, era soffice, leggermente spinoso e sembrava fatto da foglie.
Mise gli zoccoli in avanti e vide che si trattava proprio di foglie e che aveva sbattuto contro un’alta siepe.
Si girò, il suo sguardo passava velocemente da destra a manca, come stesse cercando qualcosa.
Fece qualche passo verso destra, ma venne raggiunta da un’altra siepe e poi un’altra ancora, e un’altra, e un’altra, non avevano fine.
Twilight allora iniziò ad ansimare, a sudare e a spaventarsi sempre di più.
Tremava, gli occhi cercavano di cogliere il minimo rumore intorno a lei e aveva freddo, a causa del gelido vento che spifferava tra le siepi.
Camminò ancora e questa volta non raggiunse, né venne raggiunta da nessuna siepe, tanto che arrivò in un punto in cui la luce lunare le permetteva di vedere sufficientemente.
Davanti a lei c’era una stradina, delimitata da due corsie di siepi alla fine della quale c’erano altre tre stradine.
Twilight capì, si ricordò quando e in che occasione era già stata in quel posto e la cosa non le piaceva affatto.
Percorse ora con meno timore, ma con più ansia la stradina fino ad arrivare davanti alle tre vie parallele.
Fu allora che si sentì un lunga e raccapricciante risata che sembrava filtrare attraverso le siepi, muoversi attraverso gli spifferi di vento e rimbombare nella solitudine della notte.
Twilight iniziò a tremare sempre più, quella voce la conosceva e non le piaceva affatto, inoltre era talmente forte che fu costretta a tapparsi le orecchie.
All’improvviso però tutto tacque e tornò il silenzio della notte.
Twilight tolse le mani dalle orecchie e, facendosi coraggio, chiese: “Fatti vedere! Perché mi tormenti?”
“Oh non ti sto tormentando, ti sto sorvegliando” rispose la voce con tono irrisorio, ma Twilight non riuscì a percepire da dove venisse.
“Allora spiegami, Discord, che cosa ci fai nei miei sogni se la tua statua è ancora là dove l’abbiamo lasciata?” chiese Twilight.
“Twilight, ciao comunque, io sto bene tu?”
“Potrei stare meglio” rispose secca lei, che intanto non era più né spaventata, né ansiosa, solo arrabbiata.
“Carissima, diciamo che sto cercando di condurti verso delle risposte” rispose lui.
“Basta con i tuoi giochetti, Discord! Che cosa stai cercando di dirmi?” chiese lei ora, con voce così alta da produrre l’eco.
“Non ti scaldare Houdini, sto solo cercando di avvisarti riguardo qualcosa”
“Cosa?”
“E’ arrivato Twilight e deve essere fermato, il prima possibile, altrimenti, tutto ciò che noi conosciamo, non esisterà più”
“Come? Spiegati meglio” chiese lei.
“Sta finendo il tempo Twilight, tra poco dovrò andare, ma tu puoi scegliere e so che prenderai la scelta giusta” rispose lui.
“Rispetto a cosa?”
“Fermalo Twilight, o con lui tornerà anche qualcos’altro” rispose allora Discord.
“Chi?” chiese Twilight, ma non si accorse che intorno a lei non c’era più il labirinto, ma solo la sua stanza, dalla cui finestra entrava la luce della luna.
Si mise seduta ripensando al sogno che aveva appena fatto e ormai convinta che questi sogni fossero in qualche modo collegati con la realtà.
“A chi alludeva Discord? Chi? Che cosa succederà?” si chiedeva tra sé lei, ma più si poneva domande più le girava la testa.
Si tirò su la frangia e si tolse il cerotto che ormai aveva fatto il suo mestiere, si alzò con qualche dolore e scese le scale, contando sul fatto che forse, parlandone con Spike, sarebbe arrivata ad una conclusione, ma non lo trovò.
Le luci erano spente e di Spike non c’era l’ombra.
Accese le luci e raggiunse il tavolo dove trovò un bigliettino color giallo, appiccicato sul legno su cui c’era scritto, in inchiostro viola:

“Ciao Twilight,
vado alla festa in onore di Justhought, mi dispiace, ma dormivi così bene e non ti ho voluta svegliare.

Ci vediamo,
Spike”

Gli occhi di Twilight si spalancarono, incollati su quel nome, scritto in viola, che aveva davanti agli occhi e che ogni volta che sentiva le dava una forte rabbia.
“Fermalo, Twilight, o con lui tornerà anche qualcos’altro” disse Twilight, ripetendo le parole dette da Discord in sogno.
Ripensò poi alle parole che Celestia la aveva detto quella mattina riguardo suo fratello e nei suoi occhi balenò una nuova emozione, un misto tra adrenalina, gioia e rabbia.
“E’ lui, non può che essere lui” esclamò Twilight e aggrottò le sopracciglia.
“Discord mi ha detto che quel qualcuno a cui alludeva era tornato e proprio oggi, nello stesso giorno è tornato Justhought, dopo tanti anni. E’ sicuramente lui, vuole prendersi il trono di Equestria e portare la morte nelle nostre case” pensò allora Twilight e detto questo si accinse ad uscire, pronta a stanare l’alicorno.
Era certa che fosse lui, tutti i blocchi del puzzle combaciavano e ora come non mai si sentiva così carica di lottare contro qualcuno.
Corse tra le case, nel silenzio e nel buio della sera fino al municipio.
Le luci però le trovò, incredibilmente spente e temette che Justhought avesse già fatto piazza pulita di tutti gli invitati.
Le finestre erano chiuse, ma guardando attraverso il vetro si riusciva, nonostante il buio, a vedere quello che succedeva all’interno.
Twilight si avvicinò alla finestra, ma quello che vide all’interno era solo buio e silenzio.
Fu però colta da un particolare interessante, il riflesso della luna sulla parete. Si girò, guardò la luna che era alta e piena, scintillante tra le stelle e gli astri.
Guardò di nuovo attraverso il vetro e questa volta il riflesso della luna non era solo.
Proprio al centro del riflesso si vedeva chiaramente un ombra, una grande ombra.
Era l’ombra di un pony, ma sulla fronte aveva un corno e ai lati del busto due grandi ali.
“Justhought” esclamò Twilight sottovoce, ma decise di non intervenire subito e continuare a guardare, cercando altre informazioni.
All’improvviso però l’ombra alzò una zampa e si vedeva chiaramente che impugnava un coltello lungo e affilato.
Twilight ebbe un colpo al cuore e capì che era il momento di fermare quel folle.
Dal suo corno scaturì un alone di energia color viola luminoso e un secondo dopo era dentro la sala del municipio e aveva placcato a terra Justhought che non la notò.
Era ancora tutto buio, ma lei iniziò a colpire con dei pugni l’avversario che era sotto di lei, bloccato al pavimento dalle sue ginocchia.
Sentì dei rumori, come di vetri e cose che cadono, ma non ci fece caso e colpì ancora Justhought che questa volta gemette di dolore.
All’improvviso però le luci si accesero e con esse si sollevarono grida di terrore e pianti di sgomento.
Twilight era pronta a colpire il nemico con un incantesimo, ma gli occhi che aveva davanti alla sua faccia non erano quelli di Justhought.
Davanti a lei c’era princess Celestia, con il labbro inferiore che sanguinava, un occhio nero e il naso rotto.
Twilight mollò la presa e si alzò, ma poco dopo cadde a terra.
Le gambe le tremavano come mai prima d’ora, non riusciva a stare in piedi, i denti sbattevano violentemente, dagli occhi sgorgavano delle lacrime che le avevano già invaso le guance.
Era terrorizzata, non riusciva a credere a quello che aveva appena fatto, il cuore sembrava le potesse scoppiare da un momento all’altro tanto stava battendo furiosamente, i singhiozzi sembrava potessero farla vomitare da un momento all’altro.
Alcuni pony corsero verso la principessa che era svenuta e la soccorsero con delle cure di fortuna in attesa del dottor Hooves, chiamato immediatamente.
Gli altri, invece, stavano urlando di terrore, il clima era di panico e nessuno riusciva a mantenere la calma.
Twilight aveva gli occhi fissi verso il corpo di Celestia.
“Che cosa ho fatto? Come è potuto succedere? Ho ucciso la principessa, l’unica persona che ha sempre creduto in me” pensava lei, ma non aveva la lucidità per pensare e si stava lasciando andare al pianto e allo shock.
Fu allora che un pony si mosse verso di lei.
“Come hai osato assassina!?” esclamò il pony e la aggredì, mettendole le mani al collo, tentando di strozzarla.
Altre urla si levarono tra i presenti, mentre la scena diventava ancora più drammatica.
Twilight non riusciva a respirare, ma non riusciva a vedere chi la stesse aggredendo, aveva gli occhi inondati di lacrime.
All’improvviso però la morsa si allentò e il pony la lasciò andare.
Davanti a sé ora aveva un altro individuo, aveva il manto rosso, un grande paio di ali dello stesso colore e una criniera gialla, blu e rossa.
“Nessuno la tocchi!” esclamò lui con una voce forte e severa.
Era Justhought.
Subito tutti i pony indietreggiarono e molti di loro si zittirono, fu allora che Twilight vide qualche metro avanti a lei Applejack a cui scendeva un rivolo di sangue dal naso.
Era stata lei, la sua amica, ad aver tentato di ucciderla e quell’alicorno dal manto rosso le aveva staccate.
Questo scioccò ancora di più Twilight, che vomitò a terra.
Justhought si girò verso di lei, la guardò storto e le diede un bicchiere di acqua, prima di allontanarsi verso i presenti per tranquillizzarli.
Applejack la guardò malissimo prima di seguire l’alicorno.
All’improvviso entrò il dottor Hooves, accompagnato dalla nipote Derpy che svenne non appena vide Celestia, che insieme a dei volontari portò la principessa fuori dalla sala per curarla in clinica.
Con loro entrarono anche un gruppo di soldati, armati di tutto punto e accompagnati anche dalla principessa Luna e dal primo ministro Rho.
Twilight incrociò gli occhi di Luna nei quali lesse un disprezzo e un odio che mai aveva percepito in vita sua.
“Prendetela, portatela alle prigioni di Canterlot” esclamò lei con tono duro, ma nervoso e anche spaventato dalle condizioni della sorella.
Due soldati si fecero avanti e la sollevarono per i gomiti, mettendole delle catene ai polsi.
Mentre passava tra la gente veniva coperta di insulti e critiche anche da parte di chi non se lo sarebbe mai aspettata.
“Hai rovinato la festa! Pazza criminale!” urlò Pinkie Pie.
“Sei fortunata che non ti ho a tiro di pugno squilibrata” le disse allora Applejack.
Fluttershy piangeva, scuoteva il capo come se non credesse a quello che aveva appena visto, guardando Twilight con un sguardo di paura, delusione, odio e tristezza.
“La nostra principessa! Come hai potuto?! Non ti voglio più vedere!” esclamò Rarity.
Anche Spike la guardava malissimo e scosse la testa quando Twilight le rivolse uno sguardo, per poi girarla in segno di disprezzo.
Twilight venne portata fuori e con la porta si chiuse anche quella catena infinita di odio e rabbia.
Non riusciva a credere a quello che aveva appena fatto, non riusciva a nemmeno a pensare, aveva tentato di uccidere, la persona che più aveva amato in tutta la sua vita e ora con questo gesto sapeva di aver perso tutto, persino l’amicizia.
Non appena fuori Luna la prese per le spalle e la spinse a terra, aveva negli occhi lo sguardo che aveva Nightmare Moon, uno sguardo che Twilight non vedeva da tempo.
“Principessa” esclamò un soldato invitandola a mantenere la calma.
“Fai silenzio Ivan!” replicò lei gelandolo con lo sguardo.
“Senti Sparkle, non so cosa ti è saltato in testa questa sera, ma sappi che non la passerai liscia, non mi importa se mia sorella ti vuole bene, ti punirò in maniera esemplare per questo e ti assicuro che non sarà piacevole” le disse lei con gli occhi che sprizzavano scintille di ira.
Twilight era paralizzata dalla paura e si mise a piangere e singhiozzare.
“Portate via questa pazza” disse lei, la lasciò cadere a terra e si allontanò.
“Rho, vai con lo loro, io starò con mia sorella, avvisa Princess Cadence di venire a Canterlot” concluse Luna e volò verso la clinica.

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Capitolo 5
*** Parole d'acciaio ***


Parole d'acciaio

Il rumore dei suoi passi echeggiava sul marmo bianco, mentre saliva la scalinata centrale del palazzo di Canterlot.
Aveva due profonde occhiaie scure e sulle guance i segni delle lacrime che aveva versato quella notte, la più lunga della sua vita.
Non aveva chiuso occhio, il suo sonno era stato tormentato da incubi, diversi però da quelli che la assillavano nelle ultime notti.
Aveva sognato le sue amiche che la insultavano, la picchiavano e la abbandonavano; aveva sognato princess Celestia, morente a terra, in una pozza di sangue, che la guardava con occhi increduli, sgomenti e infinitamente delusi; e infine aveva sognato Nightmare Moon, la sua risata maligna, che la torturava deridendola.
Non si capacitava ancora di quello che aveva fatto la sera prima, una notte intera sdraiata sul freddo pavimento della sua cella non era bastata a farle comprendere la situazione e a tranquillizzarla.
I due soldati ai suoi fianchi la scortarono fino alla porta della sala del trono; la guardavano con disprezzo e odio, quasi si stessero trattenendo dall’ucciderla.
Twilight stava tremando, aveva paura di quello che Luna avrebbe potuto farle, i denti sbattevano, il cuore strepitava e gli occhi erano fissi sulla maniglia del portone, come se la pregassero di non aprirsi.
All’improvviso però si sentì delle voci, provenire da dentro la sala, erano le voci di Celestia e Luna.
“Sorella, ha tentato di ucciderti!”
“Ci deve essere una spiegazione, lascia che parli con lei da sola”
“Sorella devi punirla per quello che ha fatto, la tua decisione non è una punizione giusta”
“Adesso basta! E’ un ordine!”
Era la prima volta che sentiva urlare princess Celestia e Twilight iniziò a spaventarsi ancora di più.
Il portone si aprì di scatto e la principessa Luna si materializzò davanti a loro.
Era sciupata, per la prima volta Twilight le notò le occhiaia, i suoi occhi erano iniettati di ira, tremava di rabbia e sbatté la porta alle sue spalle.
I suoi occhi poi si spostarono su Twilight che ebbe un tremito di panico; la guardavano con disprezzo e disapprovazione.
“Non finisce qui, Sparkle” le disse lei e si allontanò spingendola a terra.
Twilight si alzò, le membra che ancora tremavano di paura, guardò ancora la porta e questa volta tirò un forte sospiro di sollievo.
La guardia alla sua destra, allora bussò alla porta.
“Chi è?” chiese princess Celestia dall’interno con una voce strozzata e nervosa.
“Sono Ivan, con la prigioniera di Ponyville” rispose la guardia.
“Fatela entrare, ma senza la vostra compagnia” replicò la principessa.
“Ma principessa…”
“E’ un ordine”
Il portone si spalancò e Twilight venne spinta dai soldati all’interno della sala.
Intorno a lei le vetrate colorate che raffiguravano i momenti di gloria dell’impero sembravano fissarla, giudicarla e mai come ora si sentiva a disagio in quella sala.
Il suo sguardo timido e spaventato si muoveva sugli arazzi e sulle vetrate, come cercasse in loro un minimo di comprensione.
La statua di Discord era in mezzo alla sala, immobile, marmorea, niente sembrava diverso dal solito, ma Twilight la fissava questa volta con rabbia e odio.
Era colpa sua, colpa di Discord se quella notte aveva aggredito princess Celestia, era stato lui a dirle di fermare Justhought, sfruttando la sua invidia e la sua gelosia.
Gli occhi di Twilight si tinsero di odio, guardò la statua con occhi tinti di fuoco, gli stessi occhi che aveva prima di colpire Justhought, che poi si era rivelata essere l’ombra della sua principessa.
Resasi conto di questa emozione, che ora la spaventava e di cui si sentiva in colpa, scosse la testa e chiuse gli occhi, piangendo e ripensando a quello che questo sentimento le aveva fatto fare all’unica persona che aveva creduto in lei, princess Celestia.
“Perché piangi?” le chiese una voce.
Twilight alzò lo sguardo da terra, le guance rigate di lacrime e davanti a lei, che guardava verso la vetrata su cui era raffigurata la sconfitta di Nightmare Moon, c’era princess Celestia.
Aveva una benda sull’occhio, un cerotto sul naso, un taglio cicatrizzato sul labbro inferiore; era quasi irriconoscibile, se non per il suo aspetto regale e solenne che nonostante tutto manteneva freddo e regale.
Twilight vedendo la principessa in quello stato, scoppiò in un singhiozzo copioso e rispose balbettando: “Mi…mi…mi…dis…dispiace”
“Lo so” replicò Celestia, senza nemmeno guardarla, con tono rigido e deciso.
Twilight cadde sulle ginocchia a terra e le lacrime caddero sul marmo bianco del pavimento della sala del trono.
All’improvviso venne coperta da un ombra, alzò lo sguardo e vide davanti a lei, troneggiante, princess Celestia.
La principessa le porse un fazzoletto per asciugarsi le lacrime.
Twilight lo prese tremante e si asciugò le lacrime.
“Quando mia sorella mi tradì, anni fa, io la esiliai per sempre, sulla luna, ma forse sarebbe bastato chiederle il motivo di tale gesto” disse princess Celestia e le due si guardarono negli occhi.
I loro sguardi viola si scrutavano, l’una dall’alto, l’altra dal basso, l’una con sguardo severo, l’altra con sguardo disperato, triste, come se cercasse perdono.
“Perciò, Twilight” continuò Celestia “Perché?”
“Non lo so” rispose Twilight, con la voce strozzata dal pianto.
“Non è una risposta”
“Lo so”
Celestia, sospirò profondamente, i suoi occhi viola sembravano squadrarla da cima a fondo, sembravano poterla disintegrare e Twilight iniziò a tremare di paura.
“Alzati” le disse Celestia con tono sempre freddo e solenne.
Twilight si alzò, pronta all’inevitabile, con la paura di essere spedita anche lei sulla luna, con la paura di quello che avrebbe potuto dirle, con la paura del suo sguardo gelido, come mai lo aveva visto in tutta la sua giovane vita.
“Ci sono delle leggi ad Equestria e tu lo sai, dovrei imprigionarti a vita per alto tradimento e tentato omicidio della mia persona” le disse Celestia, voltandole le spalle.
Twilight iniziò a tremare e il suo cuore iniziò a pulsare.
“Ma io non farò questo”
A queste parole Twilight spalancò gli occhi.
“E non pensare che lo faccia perché ti perdono o solo perché sei stata la mia favorita, ma non meriti una pena come questa. Tu sei una unicorno intelligente, sei gentile, sei buona e se hai fatto quello che hai fatto, una ragione c’è, se non vuoi dirmela, lo capisco, ma ho capito che non era tua intenzione farmi del male. Comunque non posso non punirti, il crimine lo hai commesso, un grave crimine”
Celestia si girò e i loro occhi si incrociarono di nuovo, Twilight tremava ancora, nonostante fosse sollevata dalle ultime parole della principessa, lo sguardo della principessa era ancora freddo come l’acciaio.
“Se al posto mio ci fosse Luna, ti avrebbe uccisa e dio solo sa cosa ti avrebbe fatto, ma io sono l’imperatrice di Equestria e io ho deciso la tua pena. Verrai esiliata, lontano, nella terra più isolata di Equestria, a tempo indeterminato. Questo luogo porta il nome di Porto Criniera ed è un isola nell’est del continente” disse Celestia.
Twilight ebbe un tremito e annuì, una lacrima le scese dall’occhio sinistro, ma accolse il giudizio della principessa, sapeva che doveva ricevere una punizione e sapeva anche che era una punizione molto indulgente.
“Perciò io, Celestia Aurora Solaria, prima discendente dell’imperatore Heliod, riunificatore delle terre indipendenti di Equestria, sovrana dell’armonia, protettrice dei popoli e delle razze di Equestria, principessa e imperatrice dell’impero del sole e suprema espressione del potere astrale e terrestre, condanno te, Twilight Sparkle, mia ex allieva, all’esilio sull’isola di Porto Criniera, sotto la supervisione del sergente Ivan, per un tempo indeterminato”
Twilight chiuse gli occhi e pianse, per un ultima volta, poi le porte si aprirono e due guardie la presero per le ascelle portandola di peso fuori, cercò ancora lo sguardo di Celestia, ma la principessa era voltata verso il trono.
Sapeva che era la fine di tutto, sapeva che non avrebbe più rivisto le sue amiche, non avrebbe più rivisto la principessa, non avrebbe più rivisto Ponyville e forse, non sarebbe mai più tornata.
Per un attimo ebbe la sensazione di rivivere nella sua mente tutto il film della sua vita a Ponyville, ma una sensazione che svanì con l’ultima lacrima sul pavimento di marmo e con il portone d’oro che si chiudeva alle sue spalle, separandola definitivamente dalla sua vecchia vita.
Celestia si girò, guardando la porta che si chiudeva e il suo sguardo rigido e freddo si sciolse, lasciando cadere una lacrima a terra, una lacrima che al contatto con il pavimento fece nascere una rosa, ma non una rosa ordinaria, era nera e si sgretolò come cenere.

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Capitolo 6
*** Guerra e Pace ***


Guerra e Pace

Il treno sfrecciava veloce lungo i binari della ferrovia, la Transequestria, un lungo e incredibile sistema di stazioni e binari che collega tutte le città di Equestria, dai più piccoli villaggi alle più grandi città, fino all’impero di cristallo.
Il cielo era coperto di nuvole grigie e ogni tanto si intravedeva oltre lo spesso strado grigio qualche bagliore luminoso, segno che era in arrivo un temporale.
Twilight guardava il paesaggio oltre lo spesso vetro della carrozza, che ormai si era appannato a causa del suo respiro.
Il treno continuava a superare alberi e paesi e a Twilight, ogni albero che superava, le ricordava sempre più il suo addio, la ormai lontana Ponyville e le sue amiche che, probabilmente, mai avrebbe più rivisto.
Twilight appoggiò la testa al vetro, fissando il paesaggio davanti ai suoi occhi, uno splendido lago circondato da boschi; il treno stava appunto percorrendo la via delle selve dell’ovest, gli ultimi rilievi prima del mare.
Gli occhi di Twilight si fecero sempre più pesanti, le palpebre iniziarono a rilassarsi e infine, le lunghe ciglia si posarono sugli occhi viola e si addormentò, con la testa appoggiata al vetro appannato della carrozza numero tre del treno.
All’improvviso però qualcosa la sveglio di soprassalto, proprio nel momento in cui si era addormentata e davanti a sé vide la faccia del suo compagno di viaggio, il sergente Ivan.
Era alto, possente, il più grande pony che avesse mai visto, aveva la criniera bionda e tagliata corta, gli occhi azzurri e come cutiemark un guantone da pugile; Celestia gli aveva ordinato che la controllasse in questo periodo di esilio e, quindi, era partito con lei alla volta di Porto Criniera.
L’aveva svegliata scuotendole la spalla e ora la fissava con il suo consueto sguardo severo, le sopracciglia inclinate e la bocca rigida.
Twilight gemette di stanchezza, sbadigliò e poi chiese a Ivan, con tono irritato: “Potevi almeno evitare di svegliarmi?”
“No” rispose Ivan, la cui voce era molto forte e grave, simile a quella di Big Macintosh, ma con un leggero accento del nord “Mi hai chiesto di portarti un panino perché avevi fame e te l’ho portato, mi hai chiesto di portarti da bere perché avevi la gola secca e ti ho portato dell’acqua, poi mi hai chiesto qualcosa da leggere e ora sono tornato con un libro, mi sarei aspettato almeno un grazie”
I loro occhi si incrociarono e entrambi avevano uno sguardo di sfida.
“Grazie” disse Twilight con tono gelido.
Ivan arricciò il naso con dissenso e gettò letteralmente addosso a Twilight il libro, per poi girare la testa dalla parte opposta.
Twilight lo prese tra le mani e lesse il titolo: “Guerra e Pace…di…” ma il nome dell’autore era sbiadito e illeggibile.
“Dove l’hai trovato?” chiese Twilight ad Ivan.
“Me lo sto ancora chiedendo. Ero al bar a bere un caffè, quando sono andato un secondo in bagno, al mio ritorno il libro era proprio accanto al mio tovagliolo. Curioso vero?” rispose Ivan.
Twilight annuì; era molto incuriosita da quel romanzo e desiderava più di ogni altra cosa leggerlo, anche perché mai, nella sua lunga carriera di studio si era imbattuta in un romanzo di questo genere.
Aveva la rilegatura in cuoio verde, le scritte del titolo in oro, era piuttosto grande e decisamente intrigante.
Il treno entrò in una galleria e tutto nel vagone si fece buio, fino a quando non si accesero le luci e la carrozza ritornò illuminata.
Twilight allora aprì il libro e iniziò a leggere…


Guerra e Pace
Capitolo 1
Si sentì bussare più volte alla porta, tanto che rimbombò per tutta la casa.
Ci fu un attimo di silenzio in cui si sentì solo il rumore del vento che sferzava le imposte nella tempesta di neve, poi la porta si aprì.
Da dentro la casa veniva un grande calore e il vento, trovata una via di entrata, iniziò a soffiare e a riversare neve all’interno dell’abitazione.
“Oh fratello, sono così felice che tu sia tornato” esclamò Luna da dentro la casa abbracciando il fratello, imbottito di lana fino alle orecchie e vestito degli abiti più pesanti che possedeva.
Era una giovane alicorno dal manto blu scuro, come quello del padre, aveva come cutiemark una mezzaluna, due occhi verdastri e una criniera blu-violaceo.
“Sono venuto, appena ho saputo” replicò lui chiudendosi la porta alle spalle “Come sta?”
Justhought, quello era il suo nome, era invece molto diverso dalla sorella: aveva il manto rosso acceso, la criniera, simile al colore del fuoco, era folta e spettinata dal vento e aveva come cutiemark una falce che pota il grano.
Gli occhi di Luna si inondarono di lacrime, guardavano gli occhi di Justhought con una tristezza che mai aveva visto negli occhi della sorella.
“Non bene” rispose una voce con tono forte e deciso.
Justhought alzò lo sguardo e vide sua sorella maggiore, Celestia, accanto al pianoforte di famiglia che lo fissava con sguardo severo.
Era, come i fratelli, un alicorno, ma era più alta e imponente di entrambi, aveva il manto bianco, la criniera bianco-rosea, gli occhi viola e come cutiemark un sole splendente.
“Sorella, non hai una bella cera” le disse lui con un leggero tono di sfida e ironia.
“Ho vegliato mio padre per tutta la notte” rispose lei con irritazione.
Era infatti molto sciupata, aveva delle scure occhiaia violacee sotto gli occhi, stanchi e spossati e si vedeva chiaramente che non aveva chiuso occhio.
“E’ così grave?” chiese Justhought ora più serio e preoccupato
. Celestia annuì, senza mai perdere il suo atteggiamento superiore e gli rispose: “Non c’è niente da fare, potrebbe lasciarci da un momento all’altro”
Luna intanto continuava a lacrimare, osservando la scena alle loro spalle.
Justhought si irrigidì e imprecò di rabbia, calpestando di nervosismo a terra con il suo zoccolo.
“Vedo che i pegasi non si decidono a cambiare il tempo” esclamò Celestia guardando la tempesta in corso fuori la finestra.
Justhought scosse la testa e disse: “Almeno stanno mantenendo la tregua, ma se continuano così…i pony di terra senza il raccolto non sopravvivranno a queste temperature…si ribelleranno”
Lo sguardo di Celestia si fece più cupo e freddo.
“Ed è un male?”
Justhought si girò con sguardo confuso verso la sorella e chiese: “Cosa?”
“Rifletti…se la guerra continuasse, tutte e tre le razze si indebolirebbero e nessuna di loro prevarrà mai l’una sull’altra, permettendo a noi Karamazov di diventare i dominatori di Equestria” rispose Celestia, i cui occhi ora erano iniettati di ardore e spirito di guerra.
“Ma che stai dicendo? Ti senti quando parli?! Questo è delirio!” esclamò a gran voce Justhought.
“E’ solo il primo passo per la grandezza” replicò Celestia.
“Nostro padre ha speso tutta la sua vita per mantenere la pace e non ho intenzione di disonorare la sua memoria. Si parla di migliaia di vite innocenti!”
“Sacrifici necessari, se vogliamo diventare immortali”
“Se vuoi diventare immortale! Ogni momento che passa diventi sempre più folle!”
“Come mi hai chiamata? Bastardo ingrato!”
Justhought, allora, furioso, si gettò addosso alla sorella, cercando di colpirla con i suoi zoccoli.
“Perché è questo che sei, un lurido bastardo!” esclamò di nuovo Celestia levandosi di dosso il fratello con una testata.
Justhought si alzò subito e subito contrattaccò, ma tra di loro si mise in mezzo Luna, con le guance rigate di lacrime e le membra tremanti.
“Basta!” urlò lei “Non vi basta litigare ogni santo giorno? Dovete farlo anche quando nostro padre sta morendo?! Vi prego”
Celestia e Justhought si scrutarono con occhi di fuoco, poi, il fratello si allontanò dalle sorelle e andò nella stanza adiacente.
Percorse un corridoio con pareti rosse a passo deciso e rabbioso, sulle pareti erano appesi i ritratti degli antenati, i primi alicorni di Equestria, coloro che vollero riunire tutte le razze di Equestria sotto un'unica bandiera.
Due erano le famiglie di alicorni che si impegnarono in questo progetto: i Karamazov e i Loewenheim.
Ma i contrasti per il potere tra le due casate si fecero frequenti e con essi il sistema crollò, generando una guerra tra le tre diverse razze di Equestria: i pegasi, gli unicorni e i pony di terra.
La guerra continuò per decenni e con essa la battaglia per il potere tra Karamazov e Loewenheim, fino al giorno in cui Heliod Karamazov e Ferdinando Loewenheim, i capi-fazione delle famiglie, non fecero un patto, l’accordo dei fondatori, in cui si sanciva la pace tra le famiglie.
I due alicorni erano giusti, fieri e intelligenti e capirono che se la guerra si fosse prolungata nei secoli, di Equestria non sarebbe rimasto granché per cui lottare, così dopo anni di concordati e diplomazia venne sancita la tregua tra le razze.
Con la malattia di Heliod, però, le cose stavano iniziando a degenerare nuovamente e i pegasi avevano ricominciato a far nevicare, rovinando così i raccolti dei pony di terra, arrivando in un momento di grande stallo, ad un passo da una nuova guerra.
Justhought arrivò dunque alla stanza del padre morente e, dopo un lungo sospiro, aprì la porta, entrando.
Davanti a sé aveva il padre, sdraiato sul letto, in condizioni pietose e disperate: aveva la pelle e il manto tutto pallido, irriconoscibile e diverso dal suo luminoso manto blu cobalto, aveva gli occhi iniettati di sangue, ormai logori e privi della forza di un tempo, il mento e il viso coperto da una barba bianca e incolta che gli arrivava al petto e le ali, ormai raggrinzite e prive di piume che giacevano inerti ai lati del letto.
Un infarto, un colpo al cuore era bastato per affondare il più grande alicorno della storia e portarlo ad un tramonto di tristezza e squallore, sull’orlo di una guerra, come a rendere vano tutto il suo impegno per raggiungere la pace.
Justhought si avvicinò al letto del padre e gli prese lo zoccolo tra le sue zampe calde e irraggianti, capaci di infondere calore anche al più freddo dei blocchi di ghiaccio.
Il padre sembrò svegliarsi da un sogno, tossì ripetutamente, ma il suo respiro era debole e malsano; i medici erano riusciti a curarlo dall’infarto, ma la debolezza gli aveva fatto prendere la rara malattia infettiva della Timisi, incurabile patologia che assidera i polmoni facendoli deperire, per poi lasciare il malato ad una morte per soffocamento.
I suoi occhi guardavano il figlio e sembravano voler piangere, ma ormai non aveva abbastanza acqua in corpo per versare lacrime.
Justhought allora scoppiò in lacrime e appoggiò la faccia sul petto del padre che continuava a guardarlo, senza dire una parola, non aveva infatti la forza nemmeno per parlare, ma rimaneva forte e solenne, come mai nessuno sul letto di morte.
Fu allora che Heliod Karamazov alzò l’arto anteriore sinistro, con un incredibile forza, che sembrava provocargli un dolore immane.
Justhought si alzò dal suo corpo e, ancora con le lacrime agli occhi osservò la zampa del padre che indicava un quadro davanti a sé.
Era il quadro dell’accordo del pane, dove era raffigurata la stretta di mano tra Heliod e Ferdinando Loewenheim.
Justhought guardò poi il padre che con i suoi occhi penetranti lo guardava, sembrava volergli dire qualcosa.
“Pa…ce” sussurrò con un fil di voce, flebile e annegata nel dolore, il padre.
Gli occhi poi si fecero vacui, le membra si rilassarono e infine l’ultimo respiro del grande Heliod Karamazov, uscì dalla sua bocca e si perse nell’aria della stanza.
“Luna!” urlò Justhought “Luna!”
Subito la sorella minore accorse a passo spedito e non appena vide il padre morto, le ginocchia le cedettero e cadde a terra in un pianto disperato, strozzato da forti singhiozzi.
“Padre mio” disse Justhought con voce strozzata dal pianto.
Subito dopo entrò Celestia nella stanza, molto meno affannosamente di Luna, che piangeva con la testa sul pavimento.
Anche lei respirava affannosamente, ma non piangeva e nei suoi occhi si vedeva solo uno sguardo freddo, rigido come l’acciaio.
Justhought la guardò con disprezzo, come mai l’aveva guardata, mai l’aveva odiata così tanto, le divergenze del passato non contavano più, perché, negli occhi della sorella, Justhought leggeva sola la soddisfazione della dipartita di uno scomodo ostacolo, tra lei e il suo progetto di potere.
Solo dopo notò una pergamena che fluttuava davanti a lei.
“Che è?” chiese lui.
“Il testamento di mio padre” rispose Celestia “Lo appoggio qui, così, se vuoi, potrai leggerlo”
Nella sua voce c’era un tono di grande soddisfazione che fece infuriare ancora di più Justhought.
“Nostro padre è morto!” urlò lui.
“Mio padre è morto! Lui non è, né mai sarà tuo padre. Sei solo un bastardo” replicò lei e gli voltò le spalle lasciando la stanza.


Il treno uscì dalla galleria e Twilight sembrò tornare in sé da un lunghissimo sogno.
Guardava il libro, le pagine che aveva appena letto e venne colta da un tremito e da un brivido gelido lungo la schiena.
Era la storia di Equestria, ma in nessun libro che aveva studiato era raccontata così e mai princess Celestia le aveva raccontato di suo padre, di suo fratello e di una antica guerra tra le razze di Equestria.
La cosa la innervosiva, provava a riflettere, a pensare, ma ogni pensiero era confuso, ogni ricordo sembrava appannato e soprattutto, non riusciva a togliersi dalla mente lo sguardo e le parole di princess Celestia, una Celestia che non conosceva che non poteva essere l’alicorno che l’ha allevata con tanto amore.
Alzò lo sguardo e fissò oltre il finestrino, fino a quando non venne colta da una visione.
Proprio davanti a lei c’era il mare, una massa di infinito blu, che solo poche volte aveva avuto il piacere di vedere.
“Twilight” disse Ivan, chiamandola.
Twilight si girò verso il sergente in ascolto.
“Casa tua ,ora, è in mezzo al blu di quel mare” gli disse lui indicando un isola piccolissima immersa nel blu dell’oceano “Quella è Porto Criniera”

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Capitolo 7
*** Inganno e Melodia ***


Inganno e melodia

Intorno a lei c’era il silenzio, un silenzio abissale, quasi sepolcrale.
Non vedeva oltre il suo naso a causa di una fittissima nebbia che la circondava da ogni parte; ovunque si girasse non vedeva altro che nebbia, densa e impenetrabile.
Alzò lo sguardo verso Ivan che se ne stava in parte a lei con il busto il più eretto e fiero possibile, con lo sguardo fisso verso un orizzonte invisibile e con la sua tipica espressione di ordine e rigore, che manteneva sempre.
“Dovrebbe arrivare a momenti” esclamò lui con la sua voce grave.
“Cosa?” chiese Twilight.
“Il traghetto che ci porterà all’isola” rispose lui, senza variare il suo tono di una virgola.
Un sibilo di vento accentuò l’atmosfera di calma silenziosa e Twilight tremò di freddo, colpita dallo spiffero improvviso.
Teneva nella sua bisaccia il libro, quello che aveva appena iniziato a leggere poco prima e del quale ora aveva una grande paura.
Aveva suscitato in lei una catena interminabile di emozioni contrastanti, come nessun libro mai le aveva causato.
Non sapeva più a cosa pensare, a cosa credere, o meglio a chi credere.
Aveva sempre visto Justhought come un nemico, ma l’inganno di Discord e la sua figura nel libro le stavano facendo cambiare idea, come del resto la figura di princess Celestia sulla quale non sapeva cosa pensare.
Non riusciva a togliersi dalla testa le parole del libro, la voce di Discord, lo sguardo di Celestia, gli insulti delle sue amiche, mai si era sentita così fragile e nello stesso tempo combattuta nell’animo.
Avrebbe voluto piangere, ma si sentiva svuotata di tutto, anche della forza per piangere, aveva perso tutto, casa sua, le sue amiche, l’ammirazione di princess Celestia e la cosa che più la rammaricava era il fatto che tutto questo era successo per colpa sua.
Tutto perché era invidiosa della popolarità di Justhought, mossa da uno spirito di odio senza senso che l’aveva portata all’esilio.
Quello che aveva fatto era imperdonabile e si sentiva anche fortunata per la clemenza mossale da princess Celestia, tuttavia ora, la tristezza e l’amarezza per il suo destino aveva lasciato spazio ad una grande inquietudine.
“Dovrei parlarne con Ivan?” si chiedeva lei “Magari lui ne sa qualcosa? Chissà da dove viene quel libro? Chi l’ha scritto? Racconterà la verità o è solo una menzogna?”
Ormai non sapeva più a cosa pensare; era passata una settimana dalla sua partenza dalla stazione di Ponyville, dall’inizio del suo viaggio verso ovest e verso il posto più lontano di Equestria e ora era molto più confusa di quando era partita.
Quel giorno alla stazione nessuno era venuto a darle l’ultimo saluto, nessuno l’aveva abbracciata, nessuno le aveva augurato buona fortuna, erano soli, lei e Ivan, uno dei pony più scontrosi e poco socievoli che avesse mai incontrato.
Lo capiva però, trovarsi da un momento all’altro dalla sua bel titolo di sergente di Canterlot, a far da balia ad una u giovane unicorno nel posto più sperduto del mondo.
“Il libro era di tuo gradimento?” le chiese lui senza spostare lo sguardo.
Twilight lo guardò, come appena svegliata da un sogno ad occhi aperti e rispose con qualche esitazione: “Sì…è interessante…grazie Ivan”
“Ne sono felice” disse allora lui, nonostante la sua espressione fosse tutt’altro che felice.
Si sentì un rumore provenire dal mare, qualcosa stava alzando delle piccole onde in prossimità della riva.
Ivan mise mano alla spada, legata con una cintura di cuoio attorno al suo addome, dato che, non vedendo nulla, non poteva sapere cosa fosse l’origine di una tale rumore.
Il suono e lo strepitio delle onde si facevano sempre più vicini, fino a quando non fendette la nebbia una sottile prua di legno.
Si sentirono dei passi, passi lenti e pesanti come su una superficie legnosa e poi comparve da dietro la nebbia la sagoma di un pony, alta e imponente.
“E’ lei il traghettatore?” chiese Ivan con tono deciso.
La figura annuì e una zampa, con lo zoccolo allungato, uscì dalla nebbia.
Il manto era grigio-verdastro e lo zoccolo era consumato, sporco e con delle schegge di legno infilzate.
“E’ un ordinanza dell’imperatrice Celestia, abbiamo un proclama ufficiale, non intendo pagarla” gli disse allora Ivan con tono contrariato.
“Non mi importa se siete qui per conto di una principessa o per conto di Dio in persona, da qua non vi muovete senza le mie quindici fregate” replicò allora la figura, la cui voce era aspra e logorata dal catarro.
“Osi contraddire princess Celestia! La pagherai cara, ingrato!” esclamò allora Ivan sguainando la spada, ma venne fermato dalla zampa di Twilight.
L’unicorno si rivolse allora al pony misterioso e disse: “Eccoti il tuo denaro, ti ringraziamo per il tuo generoso aiuto”
Quindici monete d’oro scivolarono dalla zampa di Twilight sullo zoccolo di lui che subito ritrasse il braccio che scomparì nella nebbia.
Ivan la fissò con occhi di brace.
“Esistono allora persone dell’entroterra gentili. Prego, salite mia generosissima cliente” disse allora lui.
Twilight si avvicinò con una certa esitazione alla barca e poi ci salì sopra vedendo finalmente il traghettatore in carne e ossa.
Era alto, ma magro e indebolito dalla vecchiaia che manifestava in una barba che dal mento si diramava fino all’addome, nelle rughe molto marcate e in alcune macchie qua e là sul dorso, aveva gli occhi rossastri e come cutiemark un remo.
Ivan fece per salire, ma il suo zoccolo venne fermato dal remo del traghettatore.
Gli occhi azzurro-grigi di Ivan si fecero porpora di rabbia, ma riuscì a trattenersi dal colpire l’anziano pony.
“Che vuole adesso? I soldi li ha avuti no?” chiese Ivan irritato.
“Quindici fregate cadauno” rispose l’uomo che balenava un filino di godimento.
Ivan che imprecava a bassa voce estrasse le monete dalla sua bisaccia e le diede con rabbia al traghettatore, prima di salire e sedersi accanto a Twilight.
“Posso sapere il suo nome Traghettatore?” chiese Twilight.
“Mi chiamano in molti modi: Druido di brace, Caronte, Vecchio, ma puoi chiamarmi Mortimer” rispose lui che con un semplice gesto del remo aveva spinto la barca fuori dalla sabbia.
Con qualche scossone la barchetta di legno partì e si lasciò alle spalle, nella nebbia fitta, la riva.
Il mare era incredibilmente calmo, piatto e fermo come il marmo, la barca infatti procedeva tranquilla e intorno a loro solo il rumore del remo che sferzava le onde faceva un minimo rumore.
“Ci vorrà molto signor Mortimer?” chiese ancora Twilight, mentre Ivan si era addormentato.
“No, è più vicino di quanto possa sembrare” rispose il pony continuando la sua tranquilla remata.
Il tempo sembrava interminabile, la nebbia sembrava impenetrabile e ad ogni remata gli occhi di Twilight si facevano sempre più stanchi e pesanti, tanto che, cullata dal mare, si addormentò sulla spalla di Ivan.

Aprì gli occhi e non era più nell’oceano, non c’era nebbia intorno a lei, solo una stanza arancione, ampia, riccamente decorata con uno stile baroccheggiante.
Ruotò lo sguardo, davanti a lei aveva un pianoforte, mentre tutt’intorno delle statue e degli arazzi.
Fu allora che sentì un suono, un suono di pianoforte.
Si girò e vide che Discord era seduto sul sedile difronte al piano e lo stava suonando egregiamente.
Nota dopo nota Twilight si avvicinò a lui e quando si trovò proprio accanto a Discord gli chiese: “Che melodia è?”
“Per Celestia, di Jannick Von Bennuven, un grande compositore, riesci ad assaporare tutta la magia della sua musica solo in questo brano” rispose lui non smettendo di suonare.
“Penso che tu mi debba delle spiegazioni” disse allora Twilight irritata.
“Tranquilla, dolce Twilight, il viaggio per Porto Criniera è lungo, abbiamo tutto il tempo” replicò lui sorridendole.
“Cosa?...Come…Come fai a sapere dell’esilio?” chiese lei confusa e sorpresa.
Discord si mise a ridere e le rispose: “Oh mi cara, ci sono tantissime cose purtroppo che ancora non sai, che se dovessi spiegarti tutto finirebbe il divertimento”
“Basta giochi! Mi hai ingannata e per colpa tua sto andando in quel posto!”
“Colpa mia? Uhuh, quanto sei simpatica quando ti arrabbi” esclamò lui continuando a suonare.
Allora Twilight non ci vedette più dalla rabbia tirò una zoccolata al gruppo dei tasti con il suono più grave creando un tremendo rimbombò in tutta la sala.
“Ohoh! Piano! Non vorrai picchiare anche il mio piano ora, non ti basta aver quasi ammazzato di botte Princess Celestia?”
“E’ stata colpa tua!!!” urlò Twilight, cercando di colpire con un pugno Discord che però era già scomparso e si trovava seduto davanti ad una camino in accappatoio con il giornale in mano e la pipa in bocca.
“Oh guarda qui come titola l’Equestria Illustrated: “Twilight Sparkle, pazza furiosa, esiliata a Porto Criniera, dopo il tentato omicidio della nostra amata principessa”. Direi che l’appellativo che ti hanno dato è azzeccato” disse Discord facendo infuriare ancora di più Twilight.
“Adesso Basta!!!” urlò Twilight e questa volta Discord smise davvero di parlare.
“Ok Sparkle, siamo partiti con il piede sbagliato, per quale motivo sarebbe mia la colpa? Tu hai malmenato Celestia, non io”
“Non fare il finto tonto, sei tu che mia detto in sogno di fermare Justhought”
“Ti ho detto di fermarlo, non di ucciderlo di pugni”
“Allora cosa volevi che facessi, cosa ha Justhought di pericoloso?” chiese Twilight con rabbia.
“E da quando prendi ordini da me? Devo dire che mi ha stupito il modo in cui hai messo KO la principessa”
“Il tuo obiettivo era quello fin dall’inizio vero? Sfruttare la mia gelosia e la mia invidia per attaccare Justhought, che avrei però scambiato con princess Celestia e ora senza di me nei paraggi hai campo libero per prendere il potere”
“No, ma è un piano geniale, come ti vengono certe idee, dovremmo collaborare più spesso noi due”
Twilight ringhiò di rabbia e si tirò un calcio allo sgabello del piano che volò qualche metro più in là.
“Ehi! E’ di valore quel coso!” esclamò Discord preoccupato.
“Rispondi Cane! Cosa volevi che facessi?!”
I loro occhi si incrociarono, gli occhi viola intenso e iniettati di rabbia di Twilight e quelli gialli con le pupille scarlatte di Discord.
Lui sospirò profondamente e si accinse a parlare: “L’arrivo di Justhought ha generato una serie di eventi che…”, ma venne interrotto da un rumore simile a quello che si genera bussando alla porta.
“Che cos’è?” chiese Twilight confusa.
“Qualcuno ti sta svegliando” rispose Discord divertito.
“No! No, finisci di parlare, prima”
“Tanto, in questo posto, non potrai certo essermi di aiuto” le disse allora lui, mentre il bussare si faceva più forte.
“E allora perché sei venuto nel mio sogno?
” “Per dirti addio, non volevo che te ne andassi senza che ti avessi salutato” rispose lui sfoggiando un sorriso maligno e beffardo.

“Discord noooooooo!” urlò Twilight, ma davanti a sé aveva lo sguardo confuso e severo di Ivan che la fissava dall’alto al basso.
Si era svegliata e Discord se ne era andata con il sogno e con esso l’unica possibilità di sapere qualche informazione in più sul misterioso alicorno e sulle cose che stavano accadendo in quei giorni.
“Discord?” esclamò confuso Ivan.
Twilight lo guardò imbarazzata e rispose: “Beh…ecco…una lunga storia…sogni…sai”
Ivan annuì confuso, con gli occhi che erano fessure prima di dirle: “Siamo arrivati”


Angolo dell'autore

Mi scuso con chiunque sta seguende la storia e con chi aspettava il prossimo capitolo per il ritardo, ma è stato un periodo faticoso in cui ho dovuto lavorare a molte storie personali.
Spero che il capitolo vi piaccia e per chi non l'avesse capito la storia è cronologicamente ambientata prima che Twilight diventi principessa.
Per qualsiasi chiarimento o informazione, non esitate a chiedere.
Grazie di tutto
Alla prossima
Goran

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Capitolo 8
*** Porto Criniera ***


Porto Criniera

Ivan le strinse la zampa e la aiutò ad alzarsi, in un modo che non si poteva certo definire cortese ed elegante.
Twilight si sfregò gli occhi dalla stanchezza e guardò davanti a sé la terra che sarebbe diventata la sua nuova casa, ma non vide altro che la stessa nebbia grigia con cui erano partiti.
“Signor Mortimer, è sempre così qui a Porto Criniera?” chiese Twilight al traghettatore con lo sguardo un po’ deluso.
“Tutto l’anno signorina, è da generazioni che ormai non si vede il sole” rispose Mortimer con voce roca.
Twilight allora guardò dietro di sé, come se stesse cercando qualcosa oltre la nebbia, come se anche solo per un momento potesse tornare a casa, a Ponyville e sentire di nuovo le risate delle sue amiche.
I suoi occhi si inondarono di lacrime che le scesero come torrenti lungo le guance, ma non singhiozzò e rimase immobile a guardare l’oceano di foschia.
“Torneremo mai a casa?” chiese Twilight, tirando su col naso, a Ivan.
“Né tu né io possiamo deciderlo, per ora siamo qui, dobbiamo restare e lo faremo insieme” rispose Ivan.
Twilight si girò quasi di scatto, colpita al cuore dalle parole di Ivan, quel sergente così scontroso e severo che non le aveva mai quasi rivolto la parola e che ora cercava in qualche modo di consolarla.
I loro occhi si incrociarono e per un attimo nessuno dei due fiatò, il viola degli occhi di lei e l’azzurro di quelli di lui sembrarono fondersi nella nebbia e nel silenzio, poi Twilight lo abbracciò e scoppiò in lacrime.
“No…no…non è stata…colpa…mia…scus…ami” pianse lei e lui, che non sapeva cosa fare, né cosa dire, si limitò a stare fermo immobile con il suo solito portamento fiero.
“Siete voi i visitatori da Canterlot?” chiese all’improvviso una voce dalla nebbia.
Subito Ivan si voltò verso la voce, scansando con forza, senza volerlo, Twilight.
“Chi è là?” esclamò Ivan nel silenzio della foschia.
“Dovrei essere io a fare questa domanda” rispose la stessa voce e subito dopo, sul molo davanti alla loro barca, comparve un pony, chiuso in un impermeabile giallo, con il cappuccio che gli copriva la fronte, rendendo visibile solo il suo mento.
“Ti hanno dato delle grane, Caronte?” chiese il figuro al traghettatore che sembrò svegliarsi da un sonno profondo.
“Oh no, signor Locke, si sono comportati bene, hanno dormito per quasi tutto il tragitto” rispose Mortimer, sempre appoggiato al remo, sorridendo.
“Non me lo sarei aspettato da dei capitolini…Comunque sono venuto a darvi personalmente il benvenuto, io sono Locke, sindaco, se così si può dire, di Porto Criniera” disse allora il pony chiuso nell’impermeabile giallo.
“E’ un piacere signor Locke. Lei sa perché siamo qui, ne è stato informato?” chiese allora Ivan, allungando un foglio di pergamena, che aveva appena estratto dalla sua bisaccia a Locke.
Lui annuì e preso il foglio disse: “Ci stupiamo che non l’abbia condannata a morte, Twilight Sparkle, deve considerarsi fortunata”
“Non esiste la pena di morte su Equestria” intervenne Twilight che si era ridestata dal pianto di poco prima.
“Non ne sarei così sicuro, ma comunque ciò che è passato…è passato e noi non siamo qui per giudicarti, siete qui come ospiti”
Twilight ebbe un tremito ed ebbe una spaventosa visione di Celestia che la condannava alla ghigliottina.
“Venite, vi mostro la città e i vostri alloggi”
Ivan salì sul molo e aiutò Twilight a fare lo stesso, poi salutarono e ringraziarono il traghettatore che con un cenno del capo si allontanò dal molo e svanì nella nebbia.
I loro passi sul legno umido riecheggiavano tutt’intorno, simili ad un macabro tintinnio nella notte, mentre Locke, in testa al gruppo procedeva a passo calmo, nella nebbia, così densa che non si poteva vedere oltre il proprio naso.
“Conoscevate questo posto, prima di oggi?” chiese Locke.
“Solo per sentito dire” rispose Ivan.
“L’immaginavo, siamo un umile puntino nell’immensità dell’impero del sole, serviamo solo come prigione, il luogo più infimo di tutta Equestria, o così crede la nostra principessa”
Ivan non poteva fare a meno di arricciare il naso contrariato, dato che il tono della voce di Locke nei confronti dell’impero e della sua politica era fortemente irritato.
“Sieti i primi da secoli che vengono qui dall’esterno e la cosa mi stupisce, Celestia non ci ha mai rivolto la minima attenzione, né mai è venuta a farci visita, il vostro arrivo non verrà accolto con gioia, vi avverto”
“E perché non dovrebbe esserlo? Siamo pur sempre emissari del potere dell’impero a cui voi sottostate, dovreste essere orgogliosi” replicò Ivan con voce nervosa di rabbia.
“Per anni abbiamo contato solo sulle nostre forze, per secoli abbiamo vissuto sotto pioggia e nebbia, vissuto sotto una bandiera che non ci ha mai nemmeno sfiorato. Io sono un pony vissuto, esperto posso dire e posso capire, ma come fai a spiegare ai giovani che sottostiamo ad un imperatrice che per secoli non si è mai degnata della nostra presenza” disse allora Locke, fermandosi di colpo e togliendosi il cappuccio, guardando negli occhi Ivan con sguardo severo e ammonitivo.
Ivan rimase impassibile, pronto a ribattere ad altre provocazioni contro l’impero e il credo civile che ha sempre seguito e ammirato.
“Non sono qui per fare la guerra a voi, sergente, ma solo per ammonirvi, riguardo come la pensiamo qui e come vi conviene comportarvi se volete vivere pacificamente” disse allora Locke.
“Non saranno le minacce di un vecchio pony a rinnegare il potere supremo di Princess Celestia, per la quale lavoro e per la quale morirei, e non sarete certo voi a dirmi come mi devo comportare e a che autorità devo ubbidire”
I due si squadrarono per qualche secondo, entrambi con la bocca in un ghigno di rabbia, entrambi pronti, non appena l’uno avesse calcato troppo la mano, a colpirsi.
“Bene” esclamò Locke, senza muovere un muscolo e senza togliere lo sguardo “Facciate come vi pare, sappiate però, che noi qui non rispondiamo dell’autorità di nessuna principessa, ne tantomeno ascolteremo un suo tirapiedi”
Ivan si protese con lo zoccolo alzato, pronto a colpire al volto Locke, ma venne bloccato da qualcosa.
Twilight si era messa in mezzo tra i due e il colpo di Ivan si era infranto contro lo scudo di energia che aveva generato l’unicorno viola con la sua magia.
“Vuoi fare lo stesso errore che ho fatto io? Non è il caso di litigare per questioni marginali, siamo qui ora, che ci piaccia o no e se vogliamo star qui dobbiamo comportarci in una certa maniera, non aspettiamoci un accoglimento con il tappeto rosso, ma abbiamo l’umiltà di rispettarci l’un altro. Qui non esiste Princess Celestia, ci siamo solo, tu, io e gli abitanti di Porto Criniera” disse Twilight, guardandolo negli occhi da dietro lo scudo.
Ivan sospiro profondamente di rabbia, ma poi si tranquillizzò e si limitò a ritornare nel suo portamento da soldato, con il petto gonfio e le spalle larghe.
“Sei saggia, Twilight Sparkle, se ora l’autorità di sua altezza mi permette di proseguire…”
Ivan si mosse ancora verso Locke, ma Twilight lo precedette: “La cosa del rispetto vale per entrambi, vi siete presi l’onore di ospitare una criminale e il suo accompagnatore, non gettate via l’opportunità di rivendicare l’importanza che meritate, trattandoci come voi credete che meritiamo, senza nemmeno sforzarvi di conoscerci”
Locke guardò dall’alto al basso Twilight, che rimaneva impassibile nel suo sguardo serio, con gli occhi viola rivolti dritti nelle pupille azzurro glaciale di Locke.
Il pony fece un sospiro e poi disse: “Non aspettatevi applausi e riverenze, tutto qui”
Continuarono la marcia in un silenzio che si faceva passo dopo passo più tetro e abissale.
La cittadina era molto piacevole e caratteristica.
Le case erano tutte il legno, in parte colorato, in parte no, tutte molto simili tra loro e tutte molto antiche, c’era una chiesa, nel lato più vicino alla collina, era anch’essa in legno e molto carina, al centro della città c’era una fontana sulla qui sommità si ergeva la statua di un unicorno con in mano un palla circolare, tutt’intorno sorgevano le case e dietro la statua un grande edificio in legno sul quale sventolava una bandiera raffigurante due pesci spada che incrociano le spade.
I tre camminarono per le strade, sempre guidati da Locke, che procedeva con una camminata fiera e continua.
Era un pony massiccio, robusto quasi quanto Ivan, ma più anziano e vissuto.
Aveva il manto grigio-marroncino, gli occhi di un azzurro quasi glaciale, la criniera grigia e corta e delle cicatrici, qua e là sparse su tutto il corpo, in particolare, una molto evidente a lato dell’occhio destro.
In città la nebbia era meno densa e fitta e diversi pony erano fuori le loro case ad osservare il trio che procedeva lungo l’unica stradicciola della città.
Twilight sentiva tutti gli occhi addosso a lei, occhi indagatori, sguardi pieni di disprezzo e odio che la fissavano e non la mollavano nemmeno per un secondo.
Tutti pony in città, non appena li vedevano si fermavano e li fissavano con sguardo torvo, qualcuno di loro salutava Locke, altri, invece, si limitavano a fissare con sconcerto e odio, l’arrivo dei due capitolini.
“Ci stanno guardando male” disse Twilight a Ivan, cercando di parlare con il tono più basso possibile.
“Sì e non vedo l’ora di tornare a Canterlot, per dire a Princess Celestia come la considerano in questa terra di infedeli” replicò lui arricciando il naso.
Passarono accanto alla fontana, dove un unicorno, dal manto azzurro, con uno stranissimo copricapo sulla testa, li guardava, con la schiena appoggiata al bordo della fontana.
“Locke, chi sono quei due damerini che ti porti appresso?” chiese l’unicorno con un tono irrisorio.
“Idrozoa, ti vedo in forma, sono i capitolini di cui vi avevo parlato, sono ospiti qui a tempo indeterminato” rispose Locke con tono pacato.
“Ah, chi dei due è lo spietato assassino, Terminator o Frangetta violetta?” chiese allora l’unicorno divertito.
“Mi chiamo Twilight Sparkle, non osare chiamarmi in quel modo!” esclamò Twilight con rabbia.
“Alla faccia del rispetto” disse allora Ivan, canzonando le parole di Twilight di poco prima.
“Scusami Frangetta, non intendevo svegliare il tuo istinto da killer, perdonami principessa, so che da voi si conviene che mi inchini di fronte a dame del suo rango, ma sai, io con il tuo pedigree regale mi ci pulisco il didietro quando vado in bagno”
Il corno di Twilight si incendiò, pronto a scagliare un incantesimi incendiario e Locke non fece in tempo ad accorgersene che una palla di fuoco stava già volando verso la faccia di Idrozoa.
Ma prima che la sua faccia si abbrustolisse ecco che dal corno di Idrozoa comparve una bolla d’acqua che inglobò la palla di fuoco spegnendola.
“Alla faccia delle buone maniere, pensavo che nei vostri castelli vi insegnassero almeno l’educazione” esclamò Idrozoa, sorridendo a Twilight, che lo guardava con occhi infuocati.
“Adesso basta, Idrozoa, vai a lavorare che ti vedo abbastanza allegro per i miei gusti” gli disse Locke gelandolo con lo sguardo.
“Agli ordini!” esclamò allora l’altro, facendo l’occhiolino a Twilight e scattando verso il mare.
Twilight stava tremando di rabbia, i suoi occhi erano rossi di ira, la sua bocca era bloccata in un ghigno di guerra e il suo naso era arricciato come mai in vita sua.
Locke le si avvicinò, con sguardo severo e le disse: “E dopo mi parli di rispetto e di mantenere la calma, ti ricordo che hai quasi ammazzato di botte una principessa, dovresti imparare a controllarti o passerai il limite della mia sopportazione”
Gli occhi di Twilight si fecero ora imbarazzati e sconsolati, senza volerlo aveva appena vanificato le parole che aveva detto poco prima sul molo e inoltre aveva confermato il suo status di violenta criminale, appellativo che diventava sempre più azzeccato.
Locke continuò allora a camminare, seguito da Twilight e infine da Ivan, anche lui molto turbato e irritato dal comportamento degli abitanti del posto e irritato anche dallo scatto di ira di Twilight nel quale aveva rivisto l’unicorno che aveva quasi ucciso la sua amata principessa.
Locke arrivò davanti ad una casa e bussò tre volte alla porta.
Dopo qualche secondo di attesa si sentirono dei passi e subito dopo la porta si aprì di scatto e comparve sulla porta una puledrina dal manto blu, sfumato di giallo e la criniera biondo dorato.
“ Salve signor Locke, vuoi Nadia?” chiese la piccolina con una voce acuta e dolce.
“E’ in casa, Lightbeam?”
La puledrina annuì e chiamò “Nadia” con voce acuta.
Una pony dal manto grigiastro e la criniera castano scura, pettinata in una frangia, arrivò poco dopo e i suoi occhi viola si posarono sui Twilight e Ivan.
“Locke, non mi vorrai chiedere…”
“Sì, Nadia”
Gli occhi di lei e quelli di Twilight si incrociarono, ma questa volta l’unicorno viola non lesse turbamento o disprezzo, non erano gli stessi occhi con cui la guardavano gli altri abitanti, erano occhi diversi, occhi che per qualche strana ragione, pensava di aver già visto.

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Capitolo 9
*** Octavia Melody ***


Octavia Melody

“Locke, non puoi farmi questo, è stato…così…difficile per me ambientarmi qui, sarei vista come una traditrice” esclamò Nadia con tono quasi supplichevole.
“E’ la soluzione migliore, Nadia, se li dessi come ospiti a chiunque altro, come pensi che li tratterebbe?” chiese allora Locke.
“Perché non li tieni tu? Sei il capo qui, tutti ti amano, non ti giudicheranno se li ospiterai”
“Nadia, non sono in grado di ospitarli senza comportarmi come un qualsiasi abitante di Porto Criniera. Odio i capitolini quanto tutti gli altri…hai ragione, sono meno estremista, ma in un giorno ho litigato con loro abbastanza volte per capire che non riuscirei a ospitarli pacificamente”
Ci fu un attimo di pausa in cui Nadia sembrò riflettere in silenzio.
“Locke, ricordo quegli sguardi, ricordo il giorno che venni qui e non voglio rivivere quei momenti solo perché avrò dei capitolini in casa mia” disse allora Nadia rompendo il silenzio.
“Adesso li chiami capitolini? Non sei anche tu una di loro?”
“Ero, Locke, ero”
Twilight era nascosta dietro la porta della cucina, dove Locke e Nadia stavano parlando, e ascoltava la conversazione con molta attenzione, nel tentativo di ricevere più informazioni possibili.
Ivan, invece, era seduto sul divano di una stanza adiacente, tormentato dalle richieste della piccola Lightbeam di giocare con lei.
Lui e Twilight non si erano ancora parlati da quando lei aveva perso la calma con Idrozoa.
Ci era rimasta un po’ male Twilight, ma comprendeva la rabbia del suo compago di viaggio.
Si sentiva tradito, Ivan, preso in giro: aveva imparato a conoscere Twilight, andando oltre il gesto che la giovane unicorno aveva compiuto a Ponyville, ma poco prima gli aveva un’altra volta confermato quanto il suo carattere fosse instabile e anche pericoloso.
“Non sei anche tu una di loro?”
Questa domanda che Locke aveva posto a Nadia le rimbalzava in testa e Twilight rivisse la medesima sensazione che ebbe al loro primo incontro, quando i loro occhi viola si erano incrociati per la prima volta.
Era sicura di averla già vista, era sicura che questa non era la prima volta che la incontrava ed ora ne aveva la prova.
Le sue impressioni e sensazioni erano ora confermate: Nadia era una capitolina e, probabilmente, l’aveva incontrata a Canterlot.
Twilight fu molto rallegrata da questa scoperta, una pony della sua stessa città natale in mezzo ad un paese ostile poteva essere la sua unica possibilità per passare serenamente il suo esilio.
All’improvviso però il dialogo continuò e Twilight si mise in ascolto.
“Perché Celestia li ha mandati qui, è venuta a conoscenza della mia posizione?” chiese Nadia, la cui voce si era fatta più preoccupata e ansiosa.
“Devi stare tranquilla, Nadia, non sa che sei qui. E’ solo arrivata una richiesta scritta di ospitare l’esilio di una criminale, tutto qui” rispose Locke con tono rassicurante.
“E allora…come spieghi il soldato?” chiese quindi Nadia.
“E’ solo l’accompagnatore dell’unicorno, dopo quello che ha fatto, non potevano certo lasciarla venire qui da sola. Ho accettato la richiesta di Celestia solo nella speranza che un giorno qui possa tornare il sole e ci venga data la considerazione che meritiamo”
Twilight ascoltava sempre più interessata e sempre più assorta nella conversazione che si era fatta più nervosa.
All’improvviso però, senza accorgersene, Twilight colpì con il ginocchio la porta dietro la quale stava origliando che, scricchiolando lentamente, si aprì.
Twilight, non appena vide la faccia di Locke ruotare verso la sua direzione, si teletrasportò, lasciando al suo posto solo un leggero spiffero di polvere.
Era ora sola, in una stanza illuminata solo da una finestrella ovale sulla parete davanti a sé.
Aveva le pareti lilla, un letto delle stesso colore e un armadio in legno.
Si guardò intorno, come per scoprire se ci fosse qualcuno, oltre a lei, in quella stanza.
Fece qualche passo intorno al letto, diede un sguardo fuori dalla finestra dalla quale però si vedeva solo nebbia e poi, spinta dalla curiosità si diresse verso l’armadio.
Lo aprì e dal suo internò uscì, sospinto dal movimento delle ante, un foglio di carta che svolazzò e si posò accanto agli zoccoli di Twilight.
Lo raccolse e iniziò a leggere quello che sembrava un manifesto:


Concerto di Capodanno

Per concludere l’anno al meglio, l’orchestra sinfonica e il coro di Canterlot si esibiranno in un concerto senza precedenti con la presenza di alcuni tra i più grandi artisti musicali del nostro tempo.

Il direttore d’orchestra Kazim Richards dirigerà l’esibizione che comprenderà brani di artisti del passato e del presente, tra i quali Bennuven, Mach e Pretzwolsky.

Annoveriamo tra le numerose presenze di artisti di livello, quella di Octavia Melody, violoncellista che suonerà con l’orchestra alcuni brani del suo repertorio personale, come il famoso “Preludio al chiaro di Luna” o la celebre “Sonata all’Alba Scarlatta”.

Gli occhi di Twilight si posarono su quel nome, Octavia Melody, e gli ingranaggi del suo cervello si accesero, illuminati da quel nome.
Sul manifesto c’era la foto di una pony dal manto grigio-beige, con la criniera castano scuro, lunga e pettinata in una frangia, e gli occhi viola che suonava uno splendido violoncello.
“Sorpresa, Twilight Sparkle?” chiese una voce alle sue spalle che la fece sobbalzare.
Twilight si voltò di scatto e davanti ai suoi occhi aveva Octavia Melody…o Nadia…o…chiunque fosse la osservava intensamente con i suoi occhi viola.
La confusione di Twilight era tale che faceva fatica a parlare, non capiva come tutto questo fosse collegato e non capiva se quella davanti era davvero la violoncellista Octavia Melody.
“Perdonami, non avrei dovuto aprire l’armadio…mi dispiace” rispose Twilight dopo un attimo di silenzio, imbarazzata e con gli occhi bassi.
“L’avresti scoperto comunque, non sei stupida. Ti ho visto che origliavi e sono venuta a cercarti” le disse allora Nadia.
“Oct…Nadia…io”
“Puoi chiamarmi Octavia, se siamo solo noi due”
Twilight annuì timidamente e disse: “Octavia…io…scusami”
Octavia la fissò con occhi pensierosi e poi le disse: “Ti perdono, Twilight, non sarà un gesto del genere a farmi provare rancore”
Nella piccola stanzetta lilla scese il silenzio, un silenzio che accompagnava i loro sguardi, fissi l’una sull’altra, gli occhi pieni di confusione di Twilight e quelli, molto meno imbarazzati di Octavia.
“Non hai niente da chiedermi?” chiese allora Octavia.
“Penso che entrambe abbiamo delle cose da dire” rispose Twilight, ora molto meno insicura e imbarazzata.
Nessuna delle due però iniziava a parlare, avevano più meno la stessa età, o almeno la dimostravano, Octavia era di qualche anno più grande, ma non si conoscevano, non personalmente almeno.
Ovviamente Twilight sapeva chi era la famosa Octavia Melody, una dei pony più famosi di tutta Equestria e, dal canto suo, anche Octavia conosceva Twilight Sparkle, ma non si erano mai conosciuto, mai salutate, solo viste di sfuggita a qualche ricevimento a palazzo o a qualche concerto.
Octavia Melody era nata a Canterlot, due o tre anni prima di Twilight e subito, sin dall’infanzia si era appassionata alla musica, anche grazie al padre Amstrong Melody, un magnifico cantante jazz che si esibiva in un locale della capitale.
All’età di tre anni suonava già piccole canzonette al pianoforte del padre e a sei aveva preso in mano per la prima volta il violoncello, appartenuto a John Alexander Mach, celebre compositore, che il padre ricevette in eredità e conservò per tutta la sua vita.
Iniziarono quindi gli anni di studio al conservatorio di Canterlot e tutti ben presto capirono che Octavia era molto superiore ai suoi compagni di scuola.
Uscì dal conservatorio a dodici anni, sei anni prima di un qualsiasi allievo eccezionale che frequenta quella scuola, e iniziò la sua carriera musicale.
Inizialmente suonava con il padre, con cui riscosse un discreto successo e una certa popolarità, girando noi locali di tutta Equestria.
Poi il padre morì all’improvviso in un incidente, ucciso da una pallottola volante, sparata, involontariamente nella sua direzione, da qualcuno, durante una sparatoria tra famiglie mafiose rivali a Baltimare.
Aveva solo quattordici anni e la tristezza fu tale che l’evento pose un terribile freno alla sua carriera dato che era pronta a smettere di suonare.
Dopo due anni di inattività, passati a fare lavori occasionali e sottopagati, riprese in mano il suo violoncello, dopo aver più volte pensato di venderlo e scrisse il Preludio al chiaro di luna, insieme ad altre composizioni di musica classica.
La suonò per la prima volta durante un concorso a Canterlot per giovani talenti musicali, il vincitore avrebbe ottenuto un contratto discografico e la possibilità di esibirsi in concerto.
L’opera era dedicata al padre e alla sua passione per la musica e l’emozione e la passione con cui Octavia si esibì lasciarono senza fiato i giudici.
Dopo aver finito Octavia scoppiò in lacrime di tristezza, che divennero però lacrime di gioia quando venne decretata vincitrice.
Da quel giorno iniziò la sua carriera musicale vera e propria, divenne primo violoncello dell’orchestra sinfonica di Canterlot, vinse due dischi di platino e fece numerosi concerti in tutta Equestria.
Twilight conosceva la storia di Octavia, sapeva chi era, ma non si spiegava perché fosse qui, perché fosse in incognito e perché durante la conversazione temeva che qualcuno avesse scoperto dove si trovasse.
“Tutto questo non ha senso” pensò Twilight i cui occhi erano ancora fissi nelle pupille di Octavia.
“Octavia perché sei qui, in questo posto?” chiese Twilight, che ora si era fatta più coraggiosa e determinata a scoprire la verità.
“Bella domanda, ma non posso risponderti” rispose la violoncellista, lasciando di stucco Twilight.
“Come? Perché?”
“Non mi fido di te, non ti conosco e non vedo perché dovrei dirtelo” rispose Octavia pacata e tranquilla.
Twilight ora era irritata dal suo comportamento altezzoso e non capiva per quale motivo non volesse rivelarle perché fosse a Porto Criniera.
“C’entra col fatto che hai paura che Princess Celestia ti trovi? Se è così, dimmelo, stanno succedendo un sacco di cose strane…e…non so più in cosa credere. Aiutami” disse Twilight con tono quasi supplichevole.
Octavia sospirò profondamente e dopo un attimo di silenzio disse: “Vorrei farlo, credimi, non posso più tenere la bocca chiusa, ma non mi fido di te, mi dispiace, ma per quanto tu possa essere gentile e intelligente, non sono argomenti di cui si può parlare alla leggera”
“Tu sai qualcosa che potrebbe essermi utile ne sono sicura. Perché sei in incognito, ti hanno mandato per controllarmi?” chiese Twilight confusa.
“No, no. Niente di tutto questo, sono qui per conto mio, non sapevo neanche che saresti venuta anche tu qui. Davvero Twilight, non posso dirti di più” rispose Octavia, ora leggermente dispiaciuta e avvilita.
“Allora rivolgimi la parola quando sarai pronta a dirmi di più, io non ho niente da dirti” esclamò allora Twilight irritata e uscì dalla stanza come un lampo sbattendo la porta.
Scese le scale che portavano al piano di sotto, la casa era infatti costruita su due piani e entrò nel salotto dove vide Ivan che stava bevendo il tè con Lightbeam e i suoi giocattoli.
“Twilight, vuoi giocare con noi?” le chiese la puledrina, quando vide la giovane unicorno entrare in salotto.
“Forse dopo” rispose Twilight sorridendole.
Ivan le diede uno sguardo severo e poi le disse: “Ciao”
“Ciao” replicò Twilight imbarazzata.
“Se dovete litigare io vi lascio soli, basta che non fate del male ai miei peluche” esclamò la piccola puledrina, notando il clima di guerra fredda tra i due.
“Tranquilla piccolina, so trattenere la rabbia, io” le disse Ivan sorridendole e gettando un occhiata gelida a Twilight.
Twilight arricciò il naso e subito dopo buttò lo sguardo sul tavolino accanto al divano dove c’era la sua bisaccia, con le poche cose che si era portata.
I suoi occhi si posarono sul libro, quel libro di cui aveva il terrore, ma che ora come ora, sembrava l’unico modo per avere delle risposte a tutte le domande che le balenavano in testa.
La scritta “Guerra e Pace” era bloccata nel suo sguardo e con essa tutte le sue confusioni e le sue inquietudini.
La risposta a ciò che stava succedendo nel presente, forse, andava cercata nel passato.

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Capitolo 10
*** Acqua e Fulmine ***


Acqua e Fulmine

Guerra e Pace

Capitolo 2

Intorno alla tavola apparecchiata c’era un silenzio quasi tombale, nessuno osava fiatare, tutti erano come ammutoliti, pietrificati.
Augusto fissò il padre con sguardo speranzoso, come provasse a fargli dire qualcosa, ma egli rimaneva con gli occhi bassi, fissi sul piatto di porcellana e gli zoccoli nella criniera ormai grigia.
Il suo sguardo era spento, privo di ogni qualsivoglia emozione, freddo, freddo come l’acciaio.
Non che Ferdinando Loewenheim fosse mai stata una persona loquace e solare, ma mai il figlio lo aveva visto così spento e cupo, mai come in questo momento.
Augusto cercò conforto negli occhi della madre Sofia, ma nemmeno i suoi occhi indaco che sempre l’avevano sorretto e aiutato riuscivano a dargli la forza per prendere parola e rompere il silenzio.
Non era mai capitata una situazione simile, la famiglia Loewenheim era sempre stata una casata serena, che mai si era lasciata affondare dallo svolgersi degli eventi, che mai si era lasciata sopraffare dalle disgrazie e dai dolori, ma questa volta un sentimento di dubbio e confusione affliggeva il capofamiglia, un sentimento che si era propagato in tutti i suoi parenti, lungo la tavolata.
Le guance di sua madre erano rigate di lacrime, che le scendevano come sorgenti sulle guance blu cobalto, non poteva vedere il suo sposo, la persona che più amava, essere così afflitto da un pensiero terribile, così terribile da non riuscire a parlare.
Era arrivata quella mattina la notizia, una mattina fredda, tra le più fredde dell’inverno improvviso che i pony avevano scatenato.
Con uno spiffero di neve la porta aveva bussato e sulla soglia si erano trovati davanti Ethan, il maggiordomo di casa Karamazov.
Non sapevano il motivo di tale visita e lo avevano invitato ad entrare, offrendogli una tazza di tè caldo e un comodo posto a sedere davanti al camino.
Ma con il suo ingresso non era entrato solo uno piccolo soffio di vento gelido, non potevano saperlo, ma quello che Ethan stava per dire loro sarebbe stato più gelido di migliaia di soffi di vento.
Heliod Karamazov era morto, la notte prima, aveva ceduto infine alla malattia che lo affliggeva da mesi, morto all’improvviso, lasciando la terra per cui aveva lottato per tutta la vita, in preda ad una guerra sul punto di cominciare.
Erano bastate quattro semplici parole a rabbuiare l’intera famiglia, a sollevare inquietudini, a portare dolore, la morte di un alicorno, il più grande e nobile alicorno della storia.
Come era venuto, Ethan se n’era andato e questa volta il soffio di vento sotto forma di pianto non entrò dalla porta, ma uscì dagli occhi di Ferdinando Loewenheim.
Erano stati amici, patriarchi di famiglie rivali, ma troppo rispettosi l’uno dell’altro per portarsi rancore, troppo intelligenti per farsi guerra e, soprattutto, lottatori instancabili per una pace tra le razze di Equestria.
Insieme erano stati portatori della pace, firmatari della tregua e unici veri difensori di Equestria, nobili oltre che di stirpi anche d’animo.
La morte del suo più grande amico, non poteva certo portare buon umore nel cuore di Ferdinando, solo dolore e inquietudine, inquietudine per un futuro ora più che mai oscuro e incerto, per una guerra ormai alle porte e per un terribile presagio di sventura.
Ferdinando ora era fermo, bloccato, con lo sguardo fisso su quel piatto di porcellana, la mente assorta in chissà quale pensiero cupo e confuso e la parola che con il dolore sembrava averlo abbandonato.
Augusto era il figlio maggiore, aveva il manto violaceo, con striature di rosso, gli occhi indaco della madre e la criniera marrone rossiccio che aveva un tempo il padre ed era stufo di questo silenzio, stufo di non poter capire cosa affliggeva il padre, ma non sapeva assolutamente cosa poteva dire.
Il silenzio si era ormai prolungato per troppo tempo, non si sentiva volare una mosca nella sala da pranzo, tanto che anche i respiri si erano fratti talmente leggeri poter essere percepiti solo minimamente.
All’improvviso però si aprì la porta e il rumore echeggiò per tutta la casa, Ferdinando alzò lo sguardo come svegliato improvvisamente da un sogno e i suoi occhi iniziarono a scrutare lo spazio intorno a sé , come per cercare qualcuno.
Subito dopo si sentirono dei passi e gran velocità entrò nella sala il terzo figlio della casata Loewenheim, Galvano che era coperto dalla testa ai piedi di neve.
Come infatti per la famiglia Karamazov, anche Ferdinando Loewenheim aveva avuto tre figli: il primo era Augusto, erede della casata, la seconda era Anastasia, aveva il manto indaco della madre e la criniera violacea, ma gli occhi erano rossastri, come quelli del padre e, infine, Galvano, l’unico dei tre a non aver ereditato il gene dell’alicorno.
Galvano era infatti un semplice unicorno; non aveva ereditato le ali del padre, dato che la madre era una semplice unicorno, ma era il figlio che più di tutti gli assomigliava: aveva il suo stesso manto rosso bruno, gli occhi viola scuro e la criniera castana.
I tre figli Loewenheim erano sempre cresciuti in un ambiente sereno e familiarmente stabile, con due genitori amorevoli che li avevano sempre cresciuti nel rispetto e nell’onore, onore di appartenere ad una nobile casata.
Avevano sempre rispettato e aiutato tutte le razze di Equestria, non erano mai stati viziati dai genitori e avevano imparato a contare sulle loro proprie forze.
Augusto era sempre stato cresciuto dal padre con il dogma della pace, della perseveranze e del lavoro, Ferdinando se lo portava sempre appresso per fargli apprendere sul campo i compiti e gli impegni che un giorno sarebbe stato lui a sostenere.
Lo portava nella sala del consiglio nella città libera di Regatha, l’unica città dove unicorni, pony di terra e pegasi vivevano in armonia e fratellanza, una città fiorente e serena da dove Ferdinando ed Heliod amministravano la giustizia e mantenevano la pace, lo portava ad assistere alle riunioni con i capi delle diverse razze rivali e gli insegnava la storia di Equestria.
Anastasia era invece educata principalmente dalla madre, educata ad una vita da moglie fedele e devota, nel rispetto del marito e della casa.
L’unico per cui non avevano progetti era il terzo figlio, Galvano, per il quale non sapevano quale strada fargli intraprendere.
L’avevano educato come i suoi fratelli maggiori, ma nell’adolescenza era cresciuto per conto suo, lavorando a Regatha come postino, poi come apprendista fabbro, poi come assistente avvocato e, infine come giornalista.
Ora erano tutti nella stessa stanza, a guardarsi negli occhi, l’uno più teso dell’altro, tutta la famiglia riunita nel giorno più oscuro della loro storia.
Gli occhi di Ferdinando e quelli di Galvano si incontrarono e lo sguardo del figlio non prometteva niente di buono.
“Figlio mio, non dovevi lavorare oggi?” chiese la madre, con ancora la voce strozzata dalle lacrime appena versate.
“Oggi non si lavora, madre” rispose Galvano, con il tono preoccupato e rassegnato.
“Che è successo?” chiese allora Augusto, nei cui occhi ora si leggeva una forte curiosità.
“Padre…i pegasi…hanno…hanno…occupato Regatha” rispose Galvano, senza spostare gli occhi dallo sguardo del padre.
Gli occhi di Ferdinando si spalancarono di netto e le sue membra iniziarono a tremare, poi come di schianto, il suo corpo si inclinò verso destra e cadde a terra, sul pavimento freddo, privo di sensi.

“Twilight, io esco”
“Twilight, esco”
“Mi senti? Esco”
Twilight, con un leggero tremito, sembrò svegliarsi da un sogno e guardò gli occhi azzurro chiaro di Ivan che se ne stava davanti a lei e la guardava con il suo solito sguardo severo.
“Stavo leggendo” gli disse Twilight, leggermente irritata.
“Scusami principessa se le ho recato disturbo” ribadì lui sarcastico “Ti volevo solo dire che esco, vado a vedere come è il posto”
Twilight annuì e abbassò di nuovo lo sguardo sul libro, come se non l’avesse nemmeno degnato di uno sguardo.
“Antipatica asociale” esclamò con voce bassa Ivan e si diresse verso la porta.
“Mi prendi qualcosa da mangiare?” chiese allora Twilight, prima che il sergente uscisse dalla porta.
“Scordatelo” rispose secco lui e si chiuse la porta alle spalle.
Twilight sbuffò di rabbia e si rimise a leggere il libro, seduta sulla stessa poltrona da parecchi minuti.
L’atmosfera intorno a lei era tranquilla, la piccola Lightbeam era uscita a giocare con delle sue amiche e Octavia stava cucinando la cena, così che nessuno potesse disturbarla mentre leggeva.
Leggeva come non mai in vita sua, i suoi occhi passavano velocemente pagina dopo pagina, alla continua ricerca di risposta, risposte a degli eventi che le avevano sconvolto la mente e le avevano fatto dubitare delle sue conoscenze e delle sue certezze.
Cercava la verità, la verità su Justhought, la verità su princess Celestia, la verità rispetto ad una situazione che si faceva sempre più strana e sempre più ricca di domande.
Mentre leggeva pensava ad Octavia, anche lei forse fonte di risposte, ma per le quali avrebbe dovuto sudare per ottenerle.
Non sapeva cosa ci potesse fare in quel posto dimenticato da dio una celebrità della musica classica come Octavia Melody, che cosa poteva averla portata lì e perché lei non volesse parlarne.
Tutte cose che non facevano che aumentare i suoi turbamenti e la sua sete di risposte.
“Twilight, ti piace il purè di patate?” chiese all’improvviso una voce.
Twilight alzò lo sguardo dalle pagine e vide Octavia, appoggiata allo stipite della porta che la guardava con i suoi bellissimi occhi viola, leggermente tagliati a mandorla.
“Ehm…sì…grazie” rispose Twilight, per rimettersi subito a leggere.
Octavia alzò leggermente il sopracciglio, in un misto di irritazione e dispiacere nel vedere Twilight arrabbiata con lei.
La pony dal manto grigio chiaro fece un sospiro di sconforto e si voltò per tornare ai fornelli, ma venne fermata dalla voce di Twilight.
“Octavia…ecco…mi dispiace per prima, non sono affari miei se non vuoi dirmi quelle cose, scusami se ti ho trattata male”
La violoncellista si fermò di scatto e si voltò verso l’unicorno che la guardava con occhi dispiaciuti.
“Non fa niente, non mi sono offesa, ti capisco” disse allora Octavia sorridendole “Che stai leggendo?”
Twilight ebbe un attimo di esitazione, non sapeva se poteva rivelarle il contenuto del libro, così prezioso per lei e allo stesso tempo così pericoloso, non poteva rischiare di.
“Narra la storia di Equestria” rispose Twilight alla domanda rivoltole precedentemente, cercando di rimanere il più naturale possibile.
Il sorriso di Octavia svanì di colpo e le chiese con tono sorpreso: “Sempre la solita storia insomma?”
Twilight annuì e rispose mentendo: “Un classico sì, le tre razze di Equestria che combattono tra loro, Celestia e Luna che riportano l’ordine, re Sombra, le solite cose”
Octavia sorrise e le disse allora: “Perché non vai anche tu a fare un giro? Se rimani tutto il tempo chiusa qui, finirai per sentirti male”
Twilight annuì, con una leggera espressione contraria e si alzò dalla poltrona, con il libro in mano.
Prese dal tavolino di legno davanti a sé la sua bisaccia e ci mise dentro il libro, che ormai custodiva gelosamente e si incamminò verso la porta.
“Ho una domanda, Octavia”
“Dimmi pure”
“Lightbeam è tua figlia?” chiese Twilight.
“No, no, è solo una puledrina che tengo…è orfana e Locke mi ha chiesto di tenerla con me” rispose Octavia.
Twilight le sorrise, la salutò e uscì dalla porta, aprendo gli occhi davanti al centro di Porto Criniera con la fontana al centro e tutte le poche case intorno.
Si incamminò lungo la via, guardandosi intorno e ammirando lo splendido panorama, con la nebbia che si era fatta meno fitta e densa.
Le case, dai colori vivaci, erano bellissime, in legno di acero e quercia, gli alberi alti e colorati di verde, segno che l’estate era vicina e i pony, che camminavano lungo la via verso il porto per il mercato del pesce.
Ad ogni passo Twilight si sentiva sempre più osservata, ma ormai non ci faceva più caso, non le interessava quello che la gente pensava di lei, le interessava solo quello che lei pensava, non quello che pensavano gli altri.
Passò accanto ad una coppia che parlava sottovoce, guardandola con sguardi di disprezzo e accanto ad un panettiere che quando lei gli passò davanti, sputò a terra.
Sempre più gente si affollava attorno a lei fino a quando non si trovò sbarrata la strada da quattro pony, si voltò, ma intorno a lei si era fatto un cerchio.
L’ansia e la rabbia salirono dentro di lei ed esclamò nervosa: “Lasciatemi passare”
“Che hai frangetta? Nervosa?” chiese allora una voce.
“Oh, Idropirla, non posso dire che un piacere sentire la tua voce da scoiattolo col catarro” replicò Twilight facendo scatenare qualche risata tra la gente intorno.
“Vedo che sei anche capace di insultare, frangetta violetta” disse allora idrozoa uscendo dal gruppo e arrivando faccia a faccia al centro del cerchio con Twilight.
Sul suo viso era arricciato un sorriso beffardo, e la guardava con sguardo superiore e disinvolto, mentre lei aveva un ghigno di rabbia e occhi iniettati d’ira.
Idrozoa, lo stesso pony che l’aveva infastidita al suo arrivo, che sembrava non averne ancora abbastanza.
Aveva gli occhi rossastri, il manto celeste con macchie qua e là bianche, ma per il resto era diversissimo da qualsiasi altro pony avesse mai visto.
Non aveva criniera, aveva come una specie di casco, o qualcosa di simile sul capo fino alla base del collo, azzurro e bianco con un cerchio rosso al centro, la coda piuttosto lunga e stretta con un ciuffetto di peli azzurri solo all’estremità e al centro della fronte un unicorno rosso.
“Cosa sei tu? Una specie di unicorno uscito male?” chiese Twilight a Idrozoa.
“No, frangetta, per tua informazione, sono l’ultimo esemplare rimasto di unicorno di mare” rispose lui orgoglioso.
“Cosa?”
“Non mi stupisce che tu non conosca questa specie, ignorante come sei”
“Chi ostenta la propria grandezza lo fa per compensazione” disse allora Twilight sorridendo e togliendo a Idrozoa quel sorrisetto dalla faccia.
“Va bene, principessina, ti sfido a duello, così vedremo chi ha il diritto di ostentare la propria grandezza” esclamò Idrozoa e a queste parole i pony intorno a loro iniziarono ad acclamarlo e applaudirlo.
“Dove vuoi, quando vuoi” rispose Twilight, ora più che mai decisa nel farla pagare a quel presuntuoso.
La gente intorno a loro allargò il cerchio lasciando i due uno di fronte all’altro.
I loro occhi si incrociarono ed entrambi si guardano con sguardi di sfida e odio, con i nasi arricciati e le bocche arcuate in ghigni da battaglia.
I due si allontanarono di qualche passo, fino a fermarsi a venti passi di distanza.
“Prima le signore, o dovrei dire principesse, mi perdoni” disse lui, scatenando in Twilight ancora più ira.
“Stanne certo” replicò lei.
Ora intorno a loro si era fatto un silenzio quasi abissale, nessuno del pubblico fiatava, si udivano solo i loro respiri e il rumore del mare poco lontano.
Fu allora che il corno di Twilight scagliò verso Idrozoa una scarica di energia, che velocissima si dirigeva verso l’unicorno di mare che venne colpito in pieno.
Twilight sorrise, ma la gioia svanì subito dato che vide che l’energia che gli aveva scagliato contro era imprigionata dentro una bolla d’acqua.
Questa volta era Idrozoa a sorridere e subito dopo, senza che Twilight se ne rendesse conto, la goccia carica di energia le stava cadendo sulla testa.
Fece appena in tempo a saltare di lato, prima che la goccia cadesse a terra creando una mini voragine sulla strada.
All’improvviso però sotto di lei si aprì una crepa e uno spruzzo d’acqua comparve dal terreno facendola volare oltre le case.
L’unicorno allora, che stava per cadere a terra si teletrasportò alle spalle di lui e lo colpì con un fulmine, uscito dal suo corno, che lo scaraventò a metri di distanza.
Idrozoa si alzò a fatica, dolorante e con un rivolo di sangue che gli usciva dalla bocca e con gli occhi iniettati di rabbia.
“Nessuno ti ha detto che non bisogna unire acqua ed elettricità? Peccato” disse allora lui e dal suo corno uscì un getto potentissimo di acqua, che però spruzzava delle scintille e dell’energia del fulmine di Twilight.
L’unicorno fece appena in tempo a teletrasportarsi sulla destra, ma il getto come provvisto di mente propria, virò e la seguì.
Twilight lo vide e iniziò a correre velocissima verso la parte opposta.
Il getto distrusse un albero, poi una panchina, prima di arrivare pochi metri dietro le spalle di Twilight, che non sembrava in grado di correre ancora per molto.
Provò ancora a teletrasportarsi, ma subito dopo il getto la raggiunse e la fulminò, facendola rimbalzare dentro la fontana.
La gente accorse velocemente con Idrozoa che sorrideva felice e soddisfatto.
Proprio allora Twilight alzò lo sguardo dall’acqua, aveva tutti i capelli fulminati, la frangia completamente spettinata, il viso e il corpo scuriti, come se le fosse scoppiata una bomba accanto e gli occhi spalancati e quasi scioccati.
“Tutto ok Twilight Splash?” esclamò Idrozoa ridendo e scatenando le risate del pubblico “Sembra che abbia vinto e sembra che tu abbia perso, tu che dici?”
Twilight abbassò lo sguardo con occhi delusi, furente di rabbia, ma troppo imbarazzata per replicare.
“Ti lascio al tuo bagno di salute, ora, fatti vedere se hai voglia di una permanente per tirare su quella tua orribile frangetta” le disse lui allora voltandole le spalle e seguito dal resto della gente che rideva e si divertiva.
Twilight uscì dalla fontana e si diresse con passo lento e triste verso la sua bisaccia che giaceva a terra, inerte.
La prese, se la mise in spalla e si incamminò verso la casa di Octavia.

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Capitolo 11
*** Lacrime d'ametista ***


Lacrime d’ametista

La porta sbatté alle sue spalle, ancora leggermente ustionate e scure, con un grande botto che rimbombò in tutta la casa.
“Chi è?” chiese una voce dalla stanza sulla destra con un tono leggermente spaventato.
Dalla porta si sporse la faccia di Octavia e i suoi occhi viola si incrociarono con quelli viola di Twilight, appena entrata nella casa.
La faccia della giovane unicorno era tutto un programma: la criniera era rizzata in piedi, sporca, quasi elettrica, il viso era scuro, tranne per qualche goccia di sudore che le scendeva dall’attaccatura della criniera e che le rigava la faccia sporca e nei suoi occhi si leggeva una grande e infinita delusione, sembrava sul punto di mettersi a piangere.
“Oh per tutti i violini! Che cosa ti è successo?!” chiese Octavia con occhi spalancati, in un misto di shock e preoccupazione.
Twilight scosse la testa avvilita, abbassando lo sguardo verso il tappeto sotto i suoi zoccoli.
Mai come in quel momento da quando si trovava su quell’isola si era sentita così solo, mai così abbandonata e si sentiva cadere il mondo addosso.
Troppi pensieri che le giravano in testa, troppi sentimenti sconnessi, troppa tristezza e troppa confusione, tanto che non sapeva più quanto sarebbe riuscita a resistere.
Pensava a quei pony che la guardavano male e la disprezzavano solo per il fatto di essere di Canterlot, pensava a Celestia e Justhought, alla sera in cui aveva aggredito la sua principessa, alla mattina in cui era partita da Ponyville e in cui nessuno era venuta a salutarla, nemmeno le sue amiche, nemmeno i suoi genitori e nemmeno suo fratello.
Non sapeva più a cosa pensare e quel pomeriggio le aveva dimostrato quanto era veramente sola, sola in un paese ostile, sola tra pony che la odiano, sola con la sua confusione e la sua amarezza.
Octavia cercò di avvicinarsi, ma non fece in tempo a fare un passo che la porta dietro le spalle di Twilight si aprì di scatto.
Le figura di due pony dalla corporatura possente fecero irruzione nella casa, pronunciando parole confuse e incomprensibili.
Erano Locke e Ivan, visibilmente sciupati e nervosi, con le criniere corte sudate.
“Cosa ti è saltato in mente?!” esclamò Locke furioso riferito a Twilight che non mosse un muscolo, continuando a fissare i ghirigori del tappeto.
“Calmati, Locke, non vedi che non sta bene!” replicò Octavia, irritata dal comportamento aggressivo del suo sindaco.
“Stanne fuori, Nadia!” le disse Locke, ammutolendola e lasciandole sul viso uno sguardo di rabbia.
“Che hai non rispondi?!” disse allora lui rivolto a Twilight.
I suoi occhi erano bloccati, come le sue membra, ma le orecchie ci sentivano benissimo e quelle parole le provocavano dei singhiozzi sempre più forti.
“Ah certo! Noi ti ospitiamo qui, quando avresti dovuto marcire in una cella e tu ci ripaghi distruggendo mezza città!” esclamò lui quasi urlando.
Una lacrima le scese dal viso e cadde sul tappeto, generando una macchiolina più o meno grande.
“Una prigione! Ecco! Dove gentaglia come te dovrebbe stare!”
“Basta!” urlò allora Twilight, con gli occhi inondati di lacrime, le zampe che le tremavano e la sua voce stroncata quasi dal pianto, che mai era stato così forte.
Locke rimase un po’ scosso da questa risposta così determinata e dal volto di Twilight, così sciupato e triste.
“Non sono stata io! Chiedi a quella testa di ca…cioè…quel demente di Idrozoa! Solo perché sono una sporca capitolina ti senti in diritto di trattarmi così!” urlò Twilight con tutta la rabbia e la malinconia che aveva in corpo, piangendo e singhiozzando di tristezza.
“Cosa dovrei dire io?!...Dimmelo!...Come quella gente mi guarda…non lo sopporto! Non ce la faccio più…”
Ivan e Locke la guardavano scioccati e colpiti, così come Octavia dai cui occhi scendevano delle leggere lacrime luccicanti.
“Sono sola!...So…so…la...Non ho più niente…Vi odio tutti!” urlò lei e corse su per le scale spingendo di lato Locke che sbatté la schiena contro la parete alle sue spalle.
I singhiozzi ora erano incontrollabili, mentre, gradino dopo gradino, saliva al piano di sopra, tra il buio del tramonto che si faceva inoltrato e le luci spente.
Non appena raggiunse il piano si gettò nella prima stanza, sbattendosi la porta alle spalle e buttandosi sul letto con la testa nel cuscino, piangendo e inzuppandolo di lacrime che scendevano come l’acqua da una diga rotta.
Solo immagini sconnesse le ruotavano nella mente, immagini che non facevano che aumentarle il dolore che provava, immagini che le ricordavano i momenti peggiori della sua vita.
Lo sguardo di Celestia, freddo come l’acciaio, quando l’aveva appena esiliata, lo sguardo di Applejack, mentre cercava di strangolarla, le parole di disprezzo e rabbia delle sue amiche, gli occhi furiosi di Luna, quelli ricchi di disprezzo degli abitanti di Porto Criniera, le urla di Locke, la voce viscida e maligna di Discord.
Il vaso riempito di tutte le sue paure, di tutta la sua tristezza, di tutta la sua confusione stava ora sgorgando incessantemente, come un rubinetto lasciato aperto, in un lavandino.
I suoi singhiozzi rimbombavano in tutta la casa, come dei lontana latrati di cane, così forti e amari che chiunque li avesse sentiti ne sarebbe uscito scosso e turbato.
Tremava in un misto di paura e adrenalina dolorosa, un sensazione di amarezza invasiva che non la lasciava in pace e la assillava con altre lacrime e con altre paure.
Ora come non mai aveva bisogno delle sue amiche.
Davanti agli occhi acquosi rivedeva i momenti più felici passati insieme: il primo momento in cui avevano collaborato insieme contro Nightmare Moon, la felicità del gran galà galoppante, il sorriso contagioso di Pinkie Pie, la boutique e le ore passate tra i vestiti con Rarity, la gentilezza tenera e amorevole di Fluttershy, i giorni passati a bere sidro e a raccogliere mele sotto le fronde degli albere della tenuta Apple, il primo arco boom-sonico di Raimbow Dash, le giornate passate a scoprire nuove magie, le giornate passate a ridere, le giornate passate a combattere nemici sempre più forti per conto di Celestia.
Una battuta senza senso di Pinkie le avrebbe tirato su il morale, Fluttershy avrebbe saputo cosa fare, Applejack e Raimbow Dash le avrebbero messo in mano un pallone e le avrebbero fatto dimenticare tutto con un po’ di calcio e Rarity con un po’ di shopping da femmine.
Mai come ora si sentiva sola, sola e lontana da ciò che più amava e abbandonata da tutto e da tutti ad un’esistenza di solitudine e monotonia.
Pensò a Spike, il suo più fedele compagno che l’avrebbe sicuramente consolata e avrebbe vegliato su di lei per tutta la notte, pensò ad un abbraccio, ad un bacio, anche solo ad una carezza, una stretta di mano, qualcosa che le facesse capire di non essere sola.
All’improvviso sentì una mano sulla spalla che la accarezzava.
Era calda, un calore nuovo, nel suo corpo freddo di paura e pianto, come se avesse invocato l’arrivo di un segno e quel segno fosse arrivato.
Twilight si girò con le lacrime che ora le avevano pulito la faccia e davanti ai suoi occhi vide gli occhi viola di Octavia che la guardavano, con un leggero sorriso sul viso e sembravano cercare di consolarla.
Erano lucidi, segno che aveva pianto poco prima, ma incredibilmente belli, simili a quelli di Rarity per forma e bagliore, così belli che sembravano due ametiste appena colte dalla miniera.
Ora c’era solo silenzio, solo qualche tirata di naso di Twilight lo rompeva, ma l’atmosfera era tranquilla e quasi romantica.
“Tutto bene?” chiese Octavia con voce leggera e gentile.
Twilight scosse il capo timidamente e una lacrima le scese dall’occhio destro.
“E’ successo tutto…così…in fretta. Io…non…ho…avuto il tempo…di capire...” ma la sua voce venne fermata da un singhiozzo e abbracciò forte Octavia, piangendole sulla spalla.
La pony grigio chiaro la strinse tra le sue zampe, lasciandola piangere e sfogarsi ancora.
“Sono…so…so…la” disse Twilight.
“Non dire così, Twilight, sei meno sola di quanto pensi” le disse allora Octavia.
“E’ stato difficile anche per me, credimi, quando sono venuta qui sono stata trattata come te, allo stesso modo. Piangevo tutte le notti, mi mancava la mia casa, i miei amici, ma col tempo ho capito che piangere non mi aiutava a sentirmi meglio e mi sono messa al servizio della città e col tempo hanno cominciato a rispettarmi e a conoscermi”
Twilight la ascoltava senza dire una parola, con le lacrime che scendevano copiose, ma con i singhiozzi che si facevano più rari.
“Non rivedrò mai più le mie amiche” disse Twilight con amarezza.
“Non dire così” replicò Octavia, ma un singhiozzo le bloccò la voce e Twilight lo notò e la guardò con occhi confusi.
Octavia tremava ora leggermente e delle lacrime le iniziavano a scendere dagli occhi viola, come delle piccole sorgenti che a fatica fuoriescono dai sassi.
“Qualcosa non va?” chiese Twilight, sembrava che i ruoli si fossero invertiti.
“Tutt..to bene. Solo ricordi…” ma questa volta scoppiò a piangere ed era Octavia ora che piangeva sulla spalla di Twilight.
Twilight ora era un po’ imbarazzata, non sapeva come comportarsi, non sapeva se era il caso di parlarle o no e non sapeva soprattutto perché all’improvviso fosse scoppiata così.
“Vuoi parlarne?” chiese allora la unicorno viola con voce timida.
Octavia annuì e si ridestò, asciugandosi le lacrime con la zampa e sedendosi composta accanto a Twilight.
“Ho da tempo che voglio parlarne, ma non ne ho mai avuto l’occasione” disse lei con voce leggermente tremante.
Twilight la guardava con attenzione, ma anche con conforto, perché si vedeva chiaramente che Octavia era molto triste in quel momento.
“Avevo un amica, si chiamava Vinyl Scratch ed era la mia migliore amica” iniziò a raccontare Octavia, ma la sua voce si faceva ogni parola più bloccata dal pianto imminente. “Ci eravamo conosciute ad uno dei miei primi concerti da sola, sei anni fa. Stavo suonando la suite numero uno per violoncello di Mach, quando una orrenda musica da discoteca era stata proiettata nella sala da questa pony, dal manto bianco, la criniera azzurro elettrica, con dei grandi occhiali a specchio blu. Io ero semplicemente uscita di testa, ero sul punto di tirarle il mio violoncello addosso, la stavo odiando ed ero imbarazzatissima, lì, in mezzo al palco con questa demente che faceva andare le sue stupide casse”
Ora stava sorridendo, un sorriso nostalgico e quasi amaro, come se sotto sotto velasse una tristezza quasi incontenibile.
“Io me ne ero andata piangendo dal locale, furibonda e avvilita, ma il giorno dopo, la stessa pony mi si era presentata davanti a casa con un mazzo di fiori e un biglietto di scuse. Non so perché, ma subito siamo diventate amiche, poi migliori amiche”
La sua voce si fece più cupa e le lacrime rincominciarono a scendere.
“Poi…però…ecco…non posso dire come, ma abbiamo fatto uno sbaglio e siamo diventate ricercate…fuggitive in una città che cercava solo i nostri visi…io…io…io…sono…riuscita a fuggire, ma…”
I singhiozzi si fecero di nuovo forti e ora stava quasi gemendo di dolore, tanto era forte il suo pianto.
“Vinyl………io…..era dietro di me…mi diceva…di…di…correre…e io…no…no…no…non…pensavo…io…non…mi dispiace...io”
Si mise gli zoccoli tra la criniera, poi a coprirsi gli occhi, mentre il pianto si faceva più forte e sempre più disperato.
“Mi sono girata…lei…mi guardava…ma non…non…era…pi…pi…pi…più…vicino a me…era…l’avevano…presa…mi guardava…con i suoi occhi rosati…e mi diceva di correre…le mura…erano…erano…davanti a me…ma…ma…io…io…io…non potevo…Vinyl…”
Twilight la abbracciò e ora anche il suo viso era rigato da lacrime che scendevano, colpita e sconvolta dalla storia di Octavia e dalla sua tristezza.
“L’hanno…l’hanno…è…morta”
La sua voce ora si era fatta bassissima, quasi sussurrata, così debole da essere completamente superata dalla forza del pianto incessante.
“Mi dispiace” le disse Twilight “Anche io ho perso le mie amiche e non le rivedrò mai più, piangevo perché mi sentivo sola, ma ora non lo sono più”
I loro occhi si incrociarono, occhi viola lucenti di lacrime, occhi grandi e espressivi, occhi giovani, aperti ad un futuro incerto, occhi che avevano conosciuto il dolore e la gioia, occhi che avevano visto l’amicizia, occhi che l’avevano vista perdersi, occhi che avevano pianto, occhi che avevano visto il cambiamento, che avevano accettato il futuro che avevano cercato di dimenticare il passato.
Occhi viola che trovavano l’uno nell’altro la forza di continuare a lottare e di continuare a sperare, a sperare in un futuro migliore e magari ad un ritorno al passato.
“Perché oggi tu mi hai aperto il tuo cuore e questo basta per farmi capire che sei mia amica” continuò Twilight ed entrambe versarono lacrime di gioia.
“Grazie” esclamò Octavia con un fil di voce, abbracciandola. “Non sarai mai sola, perché anche quando tutto sembra buio c’è sempre qualcuno pronto a volerti bene”
Le due rimasero abbracciate, con le lacrime, ora lacrime di conforto e sollievo che scendevano lungo le loro spalle, mentre la luna saliva nel cielo e con essa tutte le loro paure e le loro inquietudini evaporavano dal loro pianto e abbandonavano il loro corpo.

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Capitolo 12
*** Un' estate dopo ***


Un' estate dopo

“Fai attenzione con quei chiodi Twilight” le disse Octavia, mentre dipingeva con la vernice rossa una tavola di legno davanti a sé.
“Tranquilla Nadia, il mio corno ha tutto sotto controllo” replicò Twilight sorridendole, mentre batteva con attenzione il martello sui chiodi.
La straniva ancora, nonostante fosse passato un po’ di tempo, di chiamarla Nadia, ma Octavia le aveva detto che qui la conoscevano con quel nome e Twilight non ci aveva indagato troppo, anche perché Octavia non aveva la minima intenzione di raccontarle il motivo.
“Sei sicura di poterti fidare, Nadia, io non lo farei. Piuttosto chiedi a uno, decisamente più capace” disse allora una voce sotto di loro.
Erano infatti sedute sopra un’alta piattaforma a ricolorare le assi di legno delle case.
“E dovrei chiedere a te, Idrozoa? Vai a lavorare che è meglio” rispose Octavia.
“Forse è meglio. Non mi saluti frangetta?”
“No” rispose secca Twilight “Gira all’argo e ti tiro addosso una dozzina di chiodi”
“Non scaldarti, zuccherino…non credo comunque che sarebbe una scelta saggia, potresti colpire dei bambini”
Un chiodo gli passò accanto all’orecchio e Idrozoa riuscì a sentire lo spostamento d’aria passargli proprio a lato del volto, prima di sentire il rumore del ferro cadere sulla strada.
Idrozoa fissò Twilight, sorpreso e quasi spaventato, mentre lei con sguardo beffardo, sorrideva maliziosamente e continuava a battere col martello.
Erano passati ormai tre mesi da quando era venuta a Porto Criniera, un estate era passata e ora anche quella stava per finire.
Tre mesi in cui molte cose erano cambiate, tre mesi in cui Twilight era cambiata, da quel giorno di inizio estate in cui aveva pianto, non era più la stessa unicorno.
Da allora nemmeno una lacrima era scesa e la sua nostalgia, le sue paure e la sua malinconia erano via via scemate con il vento primaverile, per lasciare spazio al calore dell’estate.
Col tempo aveva imparato a farsi rispettare in paese, senza perdere il controllo, solo rimanendo sé stessa, offrendo il suo aiuto e aiutando i suoi nuovi concittadini.
Aiutava i pony nel raccolto della frutta, nella pesca delle alghe, nella manutenzione degli edifici e più volte era stata invitata nella piccola scuola di paese a insegnare ai bambini argomenti come la matematica o la scienza.
In questo processo Octavia era stata fondamentale, l’aveva sempre sostenuta, aiutata e accompagnata nel suo ingresso nella piccola società di pescatori di Porto Criniera.
Le aveva insegnato a cucinare e avevano cucinato insieme per il compleanno di Locke, insieme educavano la piccola Lightbeam, avevano vinto un torneo di carte durante i giochi di mezza estate e anche il torneo di pingpong e quello di karaoke.
Erano diventate grandi amiche, nonostante Octavia non volesse raccontarle per quale motivo fosse fuggita da Canterlot per nascondersi a Porto Criniera, cosa a cui Twilight non dava ormai troppo peso, dato che anche lei aveva i suoi segreti personali, che non avrebbe mai raccontato a nessuno.
Potevano contare l’una sull’altra, si supportavano a vicenda e soprattutto non erano più sole.
Grazie a questa amicizia e alla nuova grinta che la aveva dato, Twilight era riuscita a ottenere il rispetto della comunità e l’accettazione come cittadina, nonostante non avessero dimenticato la sua origine capitolina e non mancavano di sottolinearlo ogni volta che capitava l’occasione.
Tuttavia non si mostravano ostili e se lo facevano, lo facevano solo perché era loro abitudine farlo, non per disprezzo o odio nei confronti di Twilight.
Anche con Locke i rapporti si erano fatti meno tesi, non avevano parlato molto dal loro ultimo diverbio, ma si rispettavano, si facevano cenni di consenso quando si incrociavano per strada e spesso si erano trovati a lavorare insieme per la città, cooperando in maniera ottimale.
Non solo Twilight però era cambiata anche Ivan che si era integrato nella comunità, talmente tanto che quasi era irriconoscibile.
L’armatura era appesa al muro della sua camera da molto tempo ormai e ora era uno stallone nuovo di zecca, meno severo, meno rigido e molto più aperto e gioioso.
Lavorava ora come pescatore, muratore, all’occorrenza postino ed era molto amato dalla gente, soprattutto dalle signorine che potevano stare ore a fissarlo mentre si allenava sulla riva del mare o mentre sollevava i sacchi di cemento per costruire un nuovo granaio o una nuova abitazione.
Anche con Twilight il rapporto era cambiato e possiamo dire che, anche se non si potesse ancora definirli amici, erano molto vicino ad esserlo.
Ivan non sottolineava più la sua posizione di superiorità e il suo ruolo di custode e la considerava ora una sua pari, tanto che non avevano più litigato se non per finire con un abbraccio o una risata e non avevano più tirato fuori l’argomento riguardo il motivo per cui erano lì.
L’unica pecca nel piacevole cambio di vita di Twilight era il rapporto con Idrozoa, non che le interessasse particolarmente la sua amicizia, anzi avrebbe preferito cacciarsi un candelotto di dinamite in gola che essere amica di Idrozoa, ma il fatto che l’unicorno di mare continuasse a infastidirla non la lasciava indifferente, avrebbe voluto strangolarlo con i suoi zoccoli.
Il cambiamento però non si era proiettato solo sulle sue amicizia e i suoi rapporti con gli altri pony, ma soprattutto nel suo stato d’animo.
Non era più confusa, non aveva più paura, sembrava che tutte le inquietudini che aveva prima dell’estate fossero svanite, che tutti i pensieri confusi fossero stati presi e gettati nel cestino dei rifiuti senza pensarci.
Non che avesse dimenticato il suo passato, ma aveva deciso di non pensarci più, di vivere la sua vita nel presente, come aveva imparato a vivere a Ponyville anni prima, ora poteva tranquillamente imparare a vivere su questa isola, sfruttando anche la sua maggiore esperienza nei rapporti personali, rispetto a quando era stata mandata via da Canterlot.
Il libro che tanto l’aveva interessata, incuriosita, ma soprattutto confusa, stava ora chiuso nella sua bisaccia, sotto il suo letto, lontano da occhi indiscreti, ma lontano anche dai suoi, visto che in tutta l’estate non aveva letto neanche una riga.
Non le interessava più la verità, sapeva che sarebbe ripiombata ancor più nell’oblio della sua depressione che ora non esisteva più e che non voleva più che tornasse.
Non aveva più pensato a Princess Celestia, a Justhought, a Discord, niente contava più, ora che era qui e una nuova vita era iniziata.
“Bisogno di una mano Twilight?” chiese un pegaso dal manto lilla e la criniera biondo-cotonata.
Twilight si girò di scatto e dopo averlo visto, arrossendo copiosamente, rispose timidamente: “No…grazie comunque Kenneth”
Lui si inchinò sorridendole e si allontanò volando in modo aggraziato.
Octavia, notando lo sguardo ammaliato di Twilight, le batté gli zoccoli davanti alla fronte, ridestandola.
“Ti piace quello?” chiese Octavia confusa e sorpresa.
“E’ così bello” rispose Twilight, senza spostare la vista dal volo del pegaso.
Octavia fece una faccia schifata e le disse: “E’ così…teatrale e pieno di sé, come fa a piacerti uno così?”
“Ha gli occhi color del mare”
Octavia batté ancora le mani per svegliarla di nuovo dal suo sogno ad occhi aperti.
“Ci manca che ti metti a sbavare, proprio ora che stiamo per finire”
Stavano infatti ridipingendo il legno delle case, dato che quella sera si sarebbe celebrata la festa di benvenuto all’autunno.
I pochi pegasi della città, erano infatti tre, era da giorni che si impegnavano a lasciare il cielo sopra Porto Criniera libero da nebbia, che non li aveva abbandonati nemmeno d’estate e tutti si stavano impegnando per mettere a nuovo la città.
Ivan ad esempio stava costruendo, insieme ad altri pony, il palco per i festeggiamenti e tutti i banchetti per il cibo, Idrozoa puliva le alghe appena pescate, Lightbeam e gli altri puledri raccoglievano i fiori per le ghirlande e Twilight e Octavia erano state incaricate di rinnovare parte delle abitazioni.
“Ho capito che è affascinante, ma non conta solo l’aspetto, conta anche il suo carattere e Kenneth Tudor è un idiota egoista” diceva Octavia contrariata.
“Ehi! Non insultarlo! E’ così elegante, un vero cavaliere, così gentile, cortese, il fidanzato ideale” replicava Twilight estasiata al solo pensiero.
Aveva lo sguardo talmente assorto nel volo elegante del pegaso che si tirò una martellata sullo zoccolo, causandosi un dolore notevole.
“Ben ti sta” le disse Octavia ridendo di gusto, mentre Twilight gemeva di dolore.
I preparativi per la festa procedettero in armonia e ordine nel paese, tanto che per il primo pomeriggio tutto era pronto.
Ivan, con in spalla due assi di legno, passò loro accanto, salutandole, costantemente seguito dalle solite due o tre giumente.
Twilight e Octavia stavano tornando a casa, per concedersi un meritato riposo prima della festa di quella sera quando Mortimer, il traghettatore, fece il suo ingresso in città con passo spedito e con il volto segnato dallo shock.
Il vecchio pony dal pelo marrone-verdognolo si incamminò velocemente verso la piazza e la sua figura non passò inosservata tra gli abitanti nelle vicinanze, raramente infatti il vecchio traghettatore si spostava sulla terra ferma e il suo arrivo era un curiosa sorpresa.
Twilight lo osservò con curiosità, la sua figura curva ed esile si muoveva veloce, facendosi spazio tra i materiali per i preparativi della festa.
Arrivato proprio davanti alla fontana, con qualche pony che già gli si era avvicinato, iniziò a gesticolare animatamente, cercando l’attenzione della gente.
Twilight si fece strada tra la folla fino a quando la voce roca di Mortimer non le fu a portata di udito.
“E’ tornato! L’ho visto! E’ tornato!” diceva a gran voce il traghettatore, con espressione spaventata, ma anche molto misteriosa.
Twilight notò che il timore di Mortimer si propagò tra la gente tutt’intorno che, con espressioni di shock e spavento, si iniziava ad agitare chi parlando animatamente con il vicino, chi rimanendo a bocca aperta e chi, come Twilight, rimanendo scettico e confuso.
“Quello che dici non ha senso, traghettatore. Come può essere tornato?” disse una voce, sopra le altre, la voce di un pony dal manto giallo e la criniera verde.
“Quello che dice Santos è vero. Non si fa vedere da così tanto tempo…e poi così all’improvviso…” esclamò allora una unicorno dal manto azzurro e la criniera blu.
Intanto le voci cominciavano ad accavallarsi l’una con l’altra, chi per esprimere il proprio timore, chi per esprimere contrarietà.
Twilight si guardò intorno, non sapeva a cosa Mortimer e gli altri alludessero, non sapeva il motivo della paura che era salita nel villaggio e si sentiva leggermente fuori luogo.
Le voci si fecero tutte molto alte, Mortimer cercava di spiegarsi, ma nessuno ormai lo stava a sentire, era scoppiato il pandemonio, ora i pony discutevano l’uno con l’altro in maniera animata e caotica.
“Octavia, sai cosa sta succedendo?” chiese Twilight all’amica che, come lei non sembrava comprendere a pieno la situazione.
“Non ne ho idea” rispose confusa Octavia.
Idrozoa era il più animato del gruppo, discuteva con una pegaso, dalla criniera elettrica e con un pony con un folto paio di baffi bruni, ma Twilight non poteva sentire cosa stesse dicendo, riusciva solo a comprendere il suo nervosismo, dato che le sopracciglia erano inclinate e molto spesso arricciava il naso.
Ivan, dall’altra parte del gruppo, ascoltava frustrato le lamentele di Gloria, una pony azzurra dalla criniera biondo lucente che gli stava appiccicata, con sguardo sconsolato ed espressione annoiata, sembrava potesse colpirla con qualcosa da un momento all’altro.
La voce roca di Mortimer cercava di ergersi sopra le altre, ma alla fine cedette al dolore della sua gola e smise di provare a prendere a ricevere l’attenzione degli altri.
“Sono davvero noiose questo genere di situazioni, non trovi?” chiese a Twilight una voce dolce e cortese alle spalle della giovane unicorno indaco.
Twilight si girò e la sua espressione di noia e confusione mutò completamente: La bocca si spalancò in un timido e teatrale sorriso a trentadue denti, le guance e gli zigomi arrossarono e diventarono porpora e gli occhi si fecero luccicanti come abbagliati da un bagliore di energia.
Octavia si girò e i suoi occhi fecero un giro completo dell’orbita iridale, per poi sospirare di contrarietà e voltarsi di nuovo verso Mortimer.
Davanti agli occhi di Twilight c’era Kenneth: era bellissimo, aveva la criniera di un biondo lucente che si illuminava al sole, pettinata in un alto e affascinante ciuffo composto, il sorriso, così luminoso che avrebbe fatto concorrenza a Colgate, gli occhi blu, stupendi e luminosi quanto gli altri elementi del viso, il manto lilla lucido e pulito e come cutiemark una rosa gialla.
Twilight stava sorridendo e sembrava un misto tra una pazza e un’ebete, ma non ci faceva caso, i suoi occhi erano tutti per lo splendido pegaso biondo.
“E’ tutto ok?” chiese lui con una voce soave, poetica e degna di un doppiatore professionista.
A Twilight uscì un versetto acuto e annuì timidamente, prima di accorgersi che il suo comportamento era a dir poco inquietante.
“No, calmati Twilight, non lasciarti prendere dall’ansia” pensava lei “E’ così bello…ti prego sollevami e portami via da questa bolgia, salvami, portami lontano, sulla nave dei sogni e li baciami…”
Octavia le batté gli zoccoli davanti alla faccia e Twilight si risvegliò dal sogno ad occhi aperti, arrossendo di nuovo.
“Stavi cominciando di nuovo a sbavare” le disse lei senza il minimo incoraggiamento o gioia.
“Grazie” replicò Twilight.
“Allora ce l’hai la voce. Pensavo che fossi diventata come Mortimer, ma come potevo pensarlo, una unicorno così bella e attraente” le disse allora Kenneth.
“Uccidimi ora, Dio, uccidimi” pensò Twilight dopo aver fatto un altro versetto acuto e essere arrossita terribilmente.
“Grazie” riuscì alla fine a dire la unicorno, mentre il sorriso di Kenneth stava per ipnotizzarla di nuovo nei suoi campi elisi personali.
“Voliamo insieme, stallone bianco, per te pregherei Celestia di farmi diventare un alicorno, giuro…e insieme voleremo verso gli arcobaleni, verso l’orizzonte e nuovi mondi e…”
Questa volta non fu Octavia a fermare il suo vortice di pensieri, ma una voce ben più forte e severa.
“Silenzio! Che siete una mandria di bisonti?! Senza offesa John”
“Figurati Locke” rispose un bisonte.
Locke si era alzato arrampicato sul gradino della fontana e aveva urlato con voce forte per prendere l’attenzione della gente e porre fine al delirio.
“Siate civili e ascoltiamo ciò che il nostro Mortimer ci deve dire” disse allora Locke gelando i presenti con lo sguardo.
Il traghettatore si schiarì la voce, provata e stanca dallo sforzo precedente e iniziò a parlare: “Whisper Crowd è tornato”
A quel nome molti tra la folla emisero urla di sorpresa e paura.
“Cosa te lo fa dire, Mortimer?” gli chiese Locke confuso e curioso.
“L’ho visto, con questi occhi” rispose lui indicandosi le pupille scure “Stavo navigando al largo, quando ad un tratto, proprio mentre la nebbia si era fatta più fitta, ecco che è comparso il suo veliero”
“Non poteva essere uno scherzo della nebbia?” chiese lo stesso pony che aveva parlato prima, Santos.
“No, era vero, con la unicorno dorata a prua, le vele rosse e le sue dimensioni imponenti” rispose Mortimer con tono spaventato.
A quelle parole tutti si ammutolirono e iniziarono a parlare l’un con l’altro a bassa voce, perfino Locke si era bloccato ed ora stava pensando a come comportarsi e prender questa informazione.
Twilight si girò e guardò Kenneth che non sembrava particolarmente interessato, aveva l’espressione annoiata, ma quando notò lo sguardo di Twilight il suo viso tornò nel consueto sorriso ammaliante e lei non riuscì a non fare lo stesso sorriso ridicolo e a evitare che ritornasse rossa in viso.
“Convoco il consiglio degli anziani” esclamò Locke.
A quelle parole tre pony uscirono dalla massa: il pony con i baffi di prima, una pony vecchia, dalla pelle rosa pallido e uno color terra dalla criniera marrone-dorato.
Twilight non riusciva a capire, non sapeva chi fosse questo Whisper coso e non sapeva perché la gente lo temesse così.
“Octavia, sai di chi stanno parlando?” chiese Twilight all’amica.
“Non ho idea, perché non chiedi al tuo…amico?” rispose un po’ stizzita Octavia che rimase quasi impassibile.
“Sei arrabbiata con me?”
“No, perché?”
“Allora sei gelosa?”
Octavia si voltò verso Twilight con occhi di brace e le disse: “Gelosa di quello? Piuttosto mi farei investire da un ippopotamo”
Twilight rise e si voltò verso Kenneth, ora molto meno timida e ansiosa di quanto fosse prima.
“Kenneth, sai per caso di chi stanno parlando?” chiese Twilight sorridendo e arrossendo.
Il pegaso fece uno strano movimento del capo che mosse il suo ciuffo verso l’alto, creando uno splendido effetto di luce con i raggi solari.
Twilight rimase a bocca aperta con gli occhi sgranati.
“Un antico pirata, credo, ma se è esistito non viene qui da anni…io non ci credo” rispose lui con tono annoiato e privo di interesse.
“E’ pericoloso?”
“A quanto dicono sì. Vieni a prendere un gelato?”
Twilight rimase spiazzata da quella richiesta e rimase con gli occhi aperti per circa cinque secondi prima di riuscire a rispondere e a rendersi conto di quello che Kenneth le aveva chiesto.
Kenneth si esibì in uno dei suoi sorrisi affascianti e abbaglianti.
Twilight annuì e insieme si allontanarono dalla piazza.
“Adesso non saluta nemmeno” esclamò Octavia, contrariata, ma non riuscì a non trattenere una risata, cadendo quasi a terra dal dolore addominale causatole dal divertimento.
I due si incamminarono verso la gelateria e presero due gelati: Lui, aroma di violetta e crema, lei, pistacchio e camomilla, gusti verso i quali Kenneth aveva mostrato un certo disgusto.
Kenneth, dopo averle offerto molto cortesemente il gelato, la portò sotto un salice, l’albero più bello e romantico di Porto Criniera, tanto che ad ogni passo che facevano Twilight viveva un nuovo sogno ad occhi aperti.
Arrivati sotto il salice, si sedettero a terra, ascoltando il suono del mare e guardandosi negli occhi, quelli blu di lui e quelli viola di lei.
Twilight lo guardava estasiata, mai era stata così innamorata di qualcuno, anzi mai era stata innamorata, troppo studio, troppi libri, troppe avventure, non aveva mai avuto il tempo per certe cose.
Ma ora, con una nuova libertà scoperta a Porto Criniera aveva scoperto anche questo sentimento ed era una sensazione che amava.
Le piaceva tutto di lui, oltre all’aspetto era gentile, un vero cavaliere, era disponibile, coraggioso e la gonfiava di complimenti in continuazione, con lui si sentiva come un principessa.
“Ti devo dire una cosa, Twilight” le disse allora lui, con tono così seducente che le orecchie di Twilight iniziarono a diventare rosso pomodoro, i suoi zoccoli iniziarono a tremare, i suoi occhi ad aprirsi e chiudere velocemente.
“Oh mio Dio…ora mi bacia…cosa?...come si fa? Dovevo ascoltare il consiglio di quell’editore e comprare Orgoglio e Pregiudizio. Dannata la mia erudizione!” pensò Twilight con il cuore che batteva incessantemente.
Twilight si protese verso di lui, con le labbra aperte leggermente e gli occhi chiusi, pronta a ricevere il bacio che già si era immaginata un migliaio di volte.
“Mi presenti Nadia” disse quindi lui e gli occhi di Twilight si spalancarono, come se la corda di un violino si fosse spezzata proprio nel bel mezzo dell’esibizione.
“Come?” chiese Twilight, il cui tono si era fatto malinconico e quasi supplichevole.
“Hai capito. La tua amica, quella con il manto grigio chiaro. E’ così sexy, con degli occhi viola bellissimi…” iniziò a dire lui.
“Anche io ho gli occhi viola” sospirò delusa Twilight.
“…Dei capelli morbidi pettinati in una frangia raffinata e meravigliosa…”
“Anche io ho la frangia” il suo tono si era fatto ora, molto vicino al pianto.
“…E poi, quel suo fascino e quella sua bellezza nobile, così principeschi, degni di una pony di Canterlot…” continuava lui.
“Anche io sono di Canterlot” ma questa volta il tono non era più triste e avvilito era colorato di rabbia e ira.
Prese il suo gelato che le era quasi colato, tanto calore aveva emanato prima, e lo frantumò nel ciuffo di Kenneth che urlò come una femminuccia.
“Oh mio Dio! Il mio ciuffo! Come hai osato!? Ingrata infame!”
“Ah. E sarei io l’infame, vedi di non incrociare mai più il mio sguardo con quel tuo sorriso da idiota e quei tuoi capelli da spaventapasseri…così belli…Che sto dicendo! Vaffancanterlot stronzo!” gli disse allora lei e uscì furiosa, ma soddisfatta e carica di adrenalina da sotto le fronde dell’albero.
“Ehi! E Nadia non me la presenti?” chiese ancora lui, ma Twilight era già lontana.

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Capitolo 13
*** L'Occasione di Twilight ***


L'Occasione di Twilight

“Twilight, lo sai che non mi piace origliare” le disse Octavia con voce sussurrata e leggermente nervosa.
“Dai, Octavia, cosa ci può capitare?”
“Lo so che tu sei una spiona diplomata, ma non mi sento a mio agio” rispose Octavia che con gli occhi cercava di dissuadere l’amica che aveva già l’orecchio appoggiato alla porta di legno.
Erano appostate dietro la porta secondaria della casa di Locke, l’abitazione più grande e bella del paese, in legno di cipresso e con incisioni e decorazioni sugli architravi e sulle finestre.
Quella porta era quella che dava sul retro dell’edificio, dove c’era l’orto personale di Locke e da dove si poteva sentire, nel silenzio più assoluto, la conversazione in corso nella saletta da pranzo all’interno.
“Convoco il consiglio degli anziani” aveva detto Locke mezz’ora prima e subito dopo, lui, insieme ad altri tre pony, era entrato nella sua dimora, per fare una riunione riguardo quel misterioso Whisper Crowd.
Twilight non sapeva il motivo di tale mobilitazione, la gente del villaggio era diventata nervosa ed impaurita e persino Locke sembrava spaventato, chiunque fosse questo Whisper Crowd, la notizia di un suo ritorno, aveva fatto cadere Porto Criniera nel panico.
Twilight aveva l’orecchio appoggiato alla porta e stava ascoltando, con espressione concentrata e attenta, la stessa che assumeva quando studiava, cercando di capire e di ricevere la maggior parte di informazioni possibile.
Octavia invece era in ansia, si continuava a guardare intorno, nervosa e stava pestando insistentemente lo zoccolo a terra, abitudine che aveva spesso quando era nervosa.
“La smetti con quello zoccolo, non riesco a sentire” disse Twilight irritata.
“Andiamo via, ti prego, se Locke ci scopre…io…non si può ascoltare la riunione degli anziani” replicò Octavia, ma venne fermata da Twilight che le fece segno di fare silenzio.
Si sentivano delle voci che provenivano dall’interno, ma Twilight non riusciva a sentire pienamente quello che stavano dicendo perché Octavia respirava affannosamente.
“La vuoi finire?!” sbuffò Twilight e Octavia questa volta smise di mostrare la sua ansia così apertamente.
Ora Twilight era circondata dal silenzio, elemento a lei molto caro durante gli anni passati a studiare all’accademia di Canterlot e rimase in ascolto, pronta a cogliere le informazioni che cercava.
Riconobbe la voce di Locke, la più forte delle quattro, che discuteva animatamente con gli altri.
“Non può essere tornato, proprio nel giorno del benvenuto all’autunno”
Era la voce di Locke, particolarmente nervosa, ma mai così seria.
“Potrebbe benissimo…ricordo l’ultima volta che tornò e quello che accadde non fu una bella cosa” replicò la pony più anziana dei quattro, con voce molto roca.
“Ma si parla di secoli fa!” esclamò un altro.
“Grazie” replicò allora la pony anziana.
“Non intendevo offenderti, Old Truth, ma qui si parla di eventi lontani…Non si è fatto più vivo da allora”
“Mesh Woody ha ragione, Locke, non vedo perché dobbiamo allarmarci così e spaventare la comunità. La solitudine avrà sicuramente giocato un brutto scherzo a Mortimer, niente di preoccupante” l’ultimo dei quattro intervenne, dando ragione al suo compagno.
Ci fu un attimo di silenzio, in cui le orecchie di Twilight si drizzarono sempre più, poi Locke iniziò a parlare, ma lei non riuscì a sentire, perché qualcuno alle sue spalle stava facendo chiasso.
“Che ci fate lì dietro?” chiese una voce alle loro spalle, era forte, con un tono grave e potente.
Twilight si girò e vide davanti a sé Ivan, nel suo manto bianco luminoso e la sua criniera bionda tagliata corta.
Twilight e Octavia gli fecero subito segno di fare silenzio e di abbassare la voce.
“Ma cosa?”
“Ssssssshhhhhtt!”
Il sergente, confuso e colpito, non capiva quello che stava accadendo e prima che potesse parlare di nuovo, ecco che Twilight gli aveva già tappato la bocca e lo aveva tirato per il collo accanto a loro, con una forza inconsueta.
“Posso sapere, ora, cosa state facendo?” chiese lui, ora sussurrando.
“Stiamo origliando” rispose Octavia “Oh meglio, Twilight sta origliando”
“Non sto origliando, sto solo cercando informazioni” replicò la unicorno indaco.
“Nel mio paese si chiama origliare”
“Vuoi farla finita!” il tono di Twilight, nonostante fosse sussurrato era incredibilmente efficace e forte.
“Sei nervosa Twilight?” chiese allora Ivan, confuso.
“No. Guarda, vorrei ascoltare, ma due pony invadenti non vogliono stare zitti” rispose sarcastica Twilight.
“Non ti ho chiesto io di stare…” cercò di replicare Octavia, ora irritata.
“Ssssshhhhtt!”
Twilight si rimise concentrata, ma ora anche nervosa e irritata, in ascolto, con l’orecchio appoggiato alla porta, mentre Ivan alle sue spalle faceva segno a Octavia che Twilight aveva qualche rotella fuori posto.
Ormai aveva perso il filo del discorso, ma cercava comunque di capirci qualcosa: i toni si erano fatti più alti, i due pony maschi stavano ora litigando con la pony anziana, mentre Locke cercava di placare la loro disputa.
“Sei vecchia!” urlò uno di loro.
“Hai la testa da cavallo!” replicò lei.
“Io sono un cavallo!”
Ivan e Octavia si guardavano confusi, dato che ora anche loro potevano sentire quello che gli anziani stavano dicendo.
“Il tuo alito sa di pesce!”
“Tua madre è grassa!”
“Osi insultare la buon’anima di mia madre!”
“E’ finito il sidro!”
“Riempilo!”
“State calmi! Sembrate un branco di iene!” cercò di fermarli Locke.
I tre ora si guardavano tutti e tre straniti.
“E questi sarebbero i saggi anziani del villaggio?” chiese Ivan sorridendo leggermente.
Octavia, con le palpebre che sbattevano e il naso che si arricciava ogni parolaccia che le giungeva all’orecchio, annuì con gli occhi sgranati e confusi.
All’improvviso si sentì un rumore, così sordo e vicino che tutti e tre, compreso il forte Ivan, saltarono in aria dallo spavento.
Qualcosa aveva colpito la porta dietro la quale stavano ascoltando e i loro corpi erano scattati indietro di qualche metro, terrorizzati dall’improvviso colpo, simile al rumore del vetro quando si frantuma.
“Possiamo andare a casa ora?” chiese allora Octavia speranzosa, con tono stanco e supplichevole.
“No, Nadia, devo sapere” rispose Twilight, avvicinandosi alla porta.
“Ma…è così anche normalmente?” chiese allora Octavia a Ivan.
“Per come l’ho conosciuta…anche peggio” rispose lui.
“Vi sento!” replicò stizzita Twilight, ma proprio mentre aveva pronunciato quelle parole, ecco che la porta si spalancò e Twilight incrociò i suoi occhi con quelli del pony con i baffi che aveva una faccia semplicemente confusa, come scolpita nel marmo.
La situazione era di un imbarazzo incredibile, Twilight era rossa di vergogna, così come Octavia, mentre Ivan era a metà tra la preoccupazione e il divertimento.
Twilight cercò di fare un timido sorriso da innocente, con le zampe nascoste dietro la schiena e gli occhi aperti al massimo, come implorare pietà.
Il pony con i baffi bruni, che aveva il manto marrone chiaro, la criniera dello stesso colore dei baffi, gli occhi verdi e come cutie mark un boccale di sidro, si limitava ad osservarla confuso, anche lui colpito dall’inaspettata visione.
Il silenzio era imbarazzante, ma all’improvviso l’atmosfera di tensione venne rotta dalla voce della pony anziana che chiamava il suo collega da dentro.
“Dov’è il mio sidro?”
Il pony con i baffi scoppiò in un colpo di tosse e rispose con voce aspra: “Arriva!”
I suoi occhi poi si spostarono su quelli dei tre giovani stesi a terra che lo guardavano speranzosi.
“Io non ho visto voi, voi non avete visto me, ma ora via di qua, se vi becca Locke…” disse loro facendo tirare un enorme sospiro di sollievo alla nervosissima Twilight, prima di prendere una bottiglia da una cassa accanto a loro e portarla dentro.
I tre si guardarono scioccati e poi scoppiarono a ridere di gusto, rotolando come dei maggiolini per terra, non riuscivano a respirare tanto stavano ridendo.
“Ho detto via!”
La voce del pony con i baffi li fece scattare in piedi e correre via dal vicolo, tornando in fretta e furia nella piazza principale.
La gente era ancora, in parte, riversata in piazza, in attesa di informazioni e indicazioni da parte del consiglio degli anziani.
Un gruppo di piccoli puledri stava giocando a carte, mentre le madri spaventate discutevano tra loro, nei loro visi si leggeva una forte dose di ansia e preoccupazione.
Anche Twilight era confusa, non era né spaventata né nervosa, ma confusa perché per la prima volta non sapeva di cosa la gente era preoccupata, non sapeva come risolvere il problema e si sentiva fuori luogo, isolata nella sua “ignoranza”.
Stanca di brancolare nella curiosità e la confusione si avvicinò ad una giovane pony dal manto fuxia e la criniera azzurro acqua.
“Scusami, sai dirmi chi è Whisper Crowd?” chiese Twilight alla pony, ma capì che non aveva usato l’approccio corretto dato che la pony l’aveva guardata con occhi terrorizzati ed era scappata via velocemente.
“Ho detto qualcosa di male?” chiese Twilight a Ivan e Octavia che la seguivano, leggermente annoiati, ma anche divertiti dal fatto che Twilight cercasse di impegnarsi così tanto senza successo.
I due le risposero facendo spallucce, mentre Octavia scoppiò a ridere.
“Grazie mille…amica”
“Se vuoi ti dico io chi è Whisper Crowd, frangetta violetta” le disse una voce alla sua sinistra.
Twilight si voltò, ma davanti a sé vide solo la fontana e il bisonte John che trasportava un barile, nonostante avesse capito di chi fosse la voce.
“In alto” le disse di nuovo la voce e Twilight alzò lo sguardo, vedendo Idrozoa seduto sulla testa dell’unicorno raffigurato nella statua, intento a mangiare una mela verde.
“Idriota, che piacere” esclamò Twilight, sorridendo con una velata cattiveria.
“Sempre simpatica come un chiodo sotto la lingua, Twilight Splash” replicò lui ricambiando il sorriso e facendole l’occhiolino.
Twilight arricciò il naso e gli disse: “Senti, non ti chiederei mai un favore, ma se me lo offri tu, potrei anche accettare”
“Vuoi sapere o no chi è Whisper Crowd?” chiese allora Idrozoa, irritato.
Non voleva chiedere un favore a Idrozoa, non voleva proprio, lo odiava, odiava il suo atteggiamento, odiava tutti i lati del suo carattere e non voleva averci niente a che fare, ma in questa situazione sembrava che fosse l’unica soluzione.
“Sì” sussurrò Twilight.
“Come?” chiese Idrozoa con lo zoccolo attaccato all’orecchio e un sorriso a trentadue denti.
“Sì!”
“Oh mio Dio! Stalloni e puledre, unicorni e pegasi, assistete alla principessina di Canterlot che scende dal suo trono fatato!” gli occhi di Twilight fecero un giro completo e sembrava poter esplodere di rabbia da un momento all’altro. “Mia signora, che onore per un umile unicorno di mare come me, potervi aiutare”
Idrozoa scese dalla statua con un salto e i due unicorni arrivarono faccia a faccia, con espressioni totalmente diverse: entrambi avevano le sopracciglia inclinate, ma, mentre uno aveva il viso scolpito in un sorriso beffardo, l’altra aveva la bocca inclinata in un ghigno di rabbia.
Octavia stava sorridendo di gusto e Twilight la gelò con lo sguardo.
I due rimasero in silenzio a guardarsi per qualche secondo, poi Twilight gli disse: “Se dobbiamo farlo, prima iniziamo e prima finiamo”
“Mi sembra coerente” replicò lui.
“Chi è Whisper Crowd?” chiese allora la unicorno viola, senza cambiare di una virgola il suo atteggiamento ostile.
“Era, ma probabilmente è, un pegaso, ma non un pegaso qualsiasi…è un pirata, il più terribile corsaro dei nostri mari. La leggenda narrava che da secoli tormentava i villaggi a bordo del suo veliero, “Il Sussurro Glaciale”, rubando viveri, ricchezze e tutto quello che i poveri abitanti di quest’isola avessero in possesso. In realtà il suo obiettivo era quello di rubare il nostro tesoro più prezioso, “Il Globo delle maree”, una sfera azzurra che conteneva il potere di controllare il mare. Era con quell’artefatto che noi controllavamo il mare e le stagioni, vista la scarsità di pegasi nel nostro villaggio ed era l’eredità degli antichi unicorni di mare, la mia stirpe, e del suo ultimo possessore, mio padre. Ma un giorno, Whisper Crowd giunse, dopo anni di inattività e trovò il globo, uccidendo in duello mio padre…” la sua voce si era fatta più rabbiosa e determinata, come se da un momento all’altro potesse esplodere d’ira. “Ero solo un cucciolo allora, ma è da quel giorno che aspetto il suo ritorno per poterlo finalmente sconfiggere e vendicare mio padre”
Il suo racconto l’aveva lasciata senza parole, non che fosse particolarmente commuovente o dettagliato, ma vedere Idrozoa emotivamente coinvolto in un problema la faceva sentire a disagio, come se sentisse che il suo giudizio nei suoi confronti stesse cambiando.
“Capito, Frangetta? O la mia parlata da popolano ti disgusta?” esclamò allora lui, facendole cambiare immediatamente sensazione.
“Ho capito, grazie, rimani comunque un cretino” rispose lei e gli voltò le spalle tornando da Ivan e Octavia che si erano sdraiati poco più in là sull’erba.
Twilight raggiunse gli amici, ma proprio mentre stava per sdraiarsi anche lei, ecco che le porte della casa di Locke si spalancarono e gli anziani uscirono in piazza, salendo sul palco eretto poco prima per la festa di benvenuto all’autunno.
La gente iniziò a riaffollarsi davanti al palco e Locke iniziò subito a parlare.
“Abbiamo deciso che non possiamo permetterci di non fidarci di Mortimer, altrimenti potrebbe succedere come l’ultima volta. Ho bisogno di alcuni volontari che mi accompagnino in una perlustrazione in mare, per provare il ritorno di Whisper Crowd” disse Locke con tono forte e risoluto.
Idrozoa alzò subito la zampa e Locke annuì compiaciuto della sua velocità.
Twilight stava pensando, rifletteva riguardo la missione, se si fosse offerta probabilmente sarebbe stata integrata definitivamente nella società e l’idea cominciava a portarle una certa curiosità.
“Se ci va lui, vengo anche io” esclamò lei alzando la zampa e scatenando qualche tono di sorpresa dalla folla.
“Se ci va lei, vengo anche io” esclamò allora Ivan alzando anch’egli la zampa.
“Se ci va lui, vengo anche io” questa invece era la voce di Octavia.
“Se ci va lei, vengo anche io” Twilight riconobbe la voce elegante e teatrale di Kenneth che era al centro del gruppo con la zampa alzata.
In meno di dieci secondi Locke aveva già cinque volontari.

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Capitolo 14
*** Sussurro Glaciale ***


Sussurro Glaciale

La prua della barca sferzava lentamente la calmissima e quieta superficie del mare, scura e impenetrabile con lo sguardo.
Non c’erano rumori intorno ad essa, solo il respiro dei suoi passeggeri e il debole rumore dell’acqua spostata.
Tutt’intorno la nebbia era fitta densa, impenetrabile, come la giungla più selvaggia e come rovi acuminati sembrava stringere a sé il legno, intrappolandolo nel suo freddo silenzio, tanto che nonostante il mare calmo e la navigazione tranquilla ad ogni virata si sentivano sempre più chiusi e interrotti da un muro di gelida foschia.
Non era più il clima estivo a cui Twilight era abituata, il giorno successivo sarebbe stato il primo giorno di autunno e la temperatura si era fatta molto più rigida, accompagnata anche da un brezza così pungente che al contatto sembrava come se ti colpisse un gruppo di spilli.
Twilight guardava lo specchio dell’acqua, fissando la sua immagine in silenzio, guardandosi nei suoi stessi occhi viola, occhi persi nella propria immagine, quasi spenti.
La brezza le scompigliava la frangia sulla fronte, che si muoveva al ritmo dettato dal vento, mentre il suo timido, ma penetrante fischio le frusciava tra le orecchie prima di superarla e raggiungere il soffio di aria che l’aveva portato da lei.
Aveva freddo, molto freddo, Octavia le aveva prestato una sua sciarpa di lana, ma non la riscaldava granché.
Erano partiti subito dopo l’ora di pranzo, per evitare di tornare con il freddo e il buio della notte, con la barca con cui si pescano le alghe, un vecchio peschereccio con la vernice verde scrostata, arrugginito che cigolava ogni volta che il timone girava.
Erano in sette sulla barca: i cinque volontari che si erano offerti di accompagnare Locke nella missione, Mortimer che stava al timone e lo stesso Locke, ma dato lo spazio terribilmente piccolo e angusto sembravano molti di più.
Octavia stava tremando di freddo, non era certo abituata ad andare per mare, era una pony di casa che amava cucinare e che un tempo viveva in sfarzosi alberghi, abituata al lusso e ad essere servita e riverita, trattata come un principessa e viziata di ogni comodo.
Si teneva le zampe incrociata attorno al cuore per tenere il più caldo possibile il petto, il collo era coperto da una sciarpa di lana bianca e sul capo indossava un cappello bianco, anch’esso di lana pesante.
Nonostante tutto però tremava di freddo e probabilmente si stava chiedendo per quale motivo avesse deciso di offrirsi volontaria.
Al contrario Idrozoa sembrava inebriato dal clima rigido, se ne stava appollaiato come un avvoltoio a prua, con gli occhi chiusi, come ad assaporare il sapore del vento e del gelo.
Anche Mortimer non sembrava toccato dal freddo e loro due erano gli unici che non indossavano niente, Locke ad esempio indossava il suo impermeabile giallo, mentre Ivan una sciarpa che gli aveva regalato Gloria, la pony logorroica che gli stava attaccata.
Odiava quella sciarpa: era verde, sciupata e perdeva pezzi di lana, ma nonostante questo lo stallone se la teneva stretta attorno al collo, sferzato dal vento e dal freddo.
Il più patetico di tutti era però Kenneth, che , inaspettatamente si era unito al gruppo, solamente per fare bella figura con Octavia e dimostrare il suo valore e il suo coraggio.
Se ne stava in disparte, coperto da una coperta di lana pesante dalla bocca in giù con solo gli occhi azzurri e il ciuffo biondo, pettinato e cotonato della criniera che uscivano dalla coperta, chiusa su di lui come le bende di una mummia.
Tremava come un ghiacciolo ed ogni volta che qualcuno gli rivolgeva uno sguardo, veloce come un ghepardo, usciva dal suo sarcofago di lana e sfoggiava un sorriso a trentadue denti, magari mettendosi anche in posa da ammiraglio, scrutando l’orizzonte, che non si riusciva nemmeno a vedere.
Per non parlare di quando non lo guardava Octavia, quando la pony grigio chiara gli volgeva lo sguardo, ecco che subito lui le rivolgeva un sorriso seducente, inviandole occhiate ambigue degne del più squallido dei rubacuori che la lasciavano con un espressione confusa, con gli occhi sgranati e quasi disgustati.
L’unica che non sembrava particolarmente attratta dalle parole e nemmeno particolarmente infastidita dal vento era Twilight che se ne stava in fondo alla nave, con lo sguardo perso nella sua immagine riflessa nell’acqua, in silenzio.
Sembrava voler cercare qualcosa dentro di sé, come se i suoi pensieri potessero trovare risposta semplicemente scrutando il proprio riflesso.
“Perché sono su questa nave, cosa mi ha spinto a propormi per questa missione?” si chiedeva Twilight, la cui mente era molto meno spenta e distaccata del suo corpo.
Si ricordava di essersi offerta volontaria, ma non si ricordava se ci avesse veramente pensato, se avesse riflettuto o se l’avesse scelto con causalità, cosa che nella sua filosofia non esisteva, ogni cosa possedeva una spiegazione razionale, ogni cosa poteva essere compresa e studiata.
Tuttavia Twilight non sapeva se quello che stava facendo fosse per una sua propria ambizione o per disponibilità verso i suoi nuovi concittadini.
Si ricordava di aver pensato che questa sarebbe stata la possibilità di dimostrarsi definitivamente un’abitante di Porto Criniera, ma ora che ci rifletteva si chiedeva se tutto quello che stava facendo fosse davvero necessario o fosse solo superbia, sentimento che non aveva mai provato e del quale aveva un grande timore.
Un sibilo di vento passò proprio a pelo d’acqua e la sua immagine riflessa si scosse con il movimento della superficie del mare e quando l’acqua tornò tranquilla al posto del suo viso c’era quello di Celestia, martoriato dai colpi che Twilight le aveva appena inflitto, con l’occhio nero e sanguinante, il naso rotto e il labbro frantumato e ferito.
Twilight fece un saltò indietro, con gli occhi sgranati il cuore che strepitava violentemente e il respiro che si era fatto incessante e forte.
Con cautela e ansia, alimentata dal vento che ora la faceva tremare di freddo e dal respiro a bocca aperta che la faceva sussultare, si avvicinò di nuovo al bordo e questa volta quello che vide nel riflesso del mare era solamente la sua faccia, sconvolta e impietrita di paura.
Era ormai da due ore che perlustravano il mare, con Mortimer che conosceva a memoria le maree e il corso dell’acqua che li guidava tra la nebbia densa come il fumo che esce da un camino.
Non aveva trovato nulla e, a breve, Locke gli avrebbe detto di virare verso l’isola per tornare a tranquillizzare gli abitanti per il falso allarme.
L’unico che sembrava deluso da questa prospettiva era Idrozoa che rimaneva a prua, impaziente con gli occhi rossastri che fissavano la nebbia difronte a lui come cercasse attraverso essa di vedere oltre.
Twilight rimase a poppa con il respiro che si era fatto normale, ma con il freddo che ora sferzava molto più fastidiosamente, intensificato anche con l’avanzare del giorno e l’avvicinarsi del tramonto.
Fu allora che Twilight sentì il freddo farsi stranamente gelido, il vento farsi quasi tagliente e più simile ora a dei chiodi che a degli spilli tanto era pungente.
Fu allora che, con gli occhi che ora si spostavano a destra a manca, ma con lo zoccolo che le copriva lo sguardo dal vento che altrimenti non le avrebbe permesso di vedere, sentì un rumore, come di ghiaccio che si spezza e poco dopo, attorno alla base della barca si formò un linea di ghiaccio.
Twilight non fece in tempo a dirlo agli altri che la barca era già bloccata, bloccata dentro uno spesso strato di ghiaccio.
“Che cosa è successo Mortimer?” chiese Locke, notando che la barca si era fermata.
“Non lo so, signore” rispose il traghettatore con tono confuso.
“Signor Locke, siamo bloccati” disse allora Idrozoa, indietreggiando confuso alla vista della lastra di ghiaccio che si era formata attorno alla nave dal nulla.
Tutti contemplarono l’inspiegabile e complessa situazione chi confuso, chi spaventato e chi semplicemente attento.
Twilight raggiunse gli altri al centro della nave, mentre stavano già discutendo tra loro, con la nave che non decideva a muoversi.
“Dobbiamo scendere, cammineremo sul ghiaccio” esclamò Idrozoa indicando un punto imprecisato nella nebbia.
“Non possiamo cosa potrebbe accaderci, restiamo qui” replicò allora Locke, visibilmente nervoso da questo inaspettato contrattempo.
“A me basta tornare a casa” disse allora Octavia.
“Nessuno ti ha chiesto di venire” le disse allora Idrozoa leggermente irritato dal commento della pony che si limitò ad abbassare lo sguardo imbarazzata, mente tremava sempre più a causa del freddo che ogni secondo che passava diventata sempre più gelido.
“Non possiamo restare qui, moriremo assiderati” disse allora Ivan, accogliendo l’approvazione dell’unicorno di mare.
“Non so voi, ma io ho un freddo terribile” disse allora Kenneth, avvolto nella coperta.
Tutti lo guardarono male e lui, sentendosi osservato disse: “Che c’è? Questo vento mi rovina l’acconciatura”
“Dovrei presentarlo a Rarity” pensò Twilight che restava in silenzio, senza commentare il dialogo in corso tra i suoi compagni, rimanendo distaccata.
Mentre anche il legno stava iniziando a ghiacciare, la conversazione continuava con i toni che salivano sempre più.
“Non metterò a rischio la vostra vita” disse Locke alzando il tono.
“Rischiamo di più stando qui fermi che lasciando la nave, non c’è più acqua intorno a noi è solo ghiaccio” replicò Idrozoa.
“Sono d’accordo con Idrozoa” intervenne Ivan.
“Io non lascio questa nave neanche se mi pagate” questa era la voce di Octavia, disturbata dallo sbattere dei suoi denti.
“I Miei capelli, No!”
“Ma non vi sembra strano che il mare ghiacci a Settembre?” chiese allora Twilight dietro tutte le voci, causando l’improvviso ammutolirsi di tutti, tranne Kenneth che continuava a passarsi il pettine, di cui non si riusciva a capire da dove lo avesse tirato fuori, inveendo contro il freddo, il mare, Dio e chi più ne ha più ne metta.
“Dannati occhi viola così seducenti! La prossima volta stava a casa davanti al camino nel mio accappatoi lilla, sulla mia poltrona, con la cioccolata…”
“Chiudi la bocca!” gli urlò contro Octavia lasciandolo senza parole e facendo tornare il silenzio.
“Puoi ripetere Twilight?” chiese Locke alla unicorno che aveva parlato, ma la cui voce era stata coperta dalle parole di Kenneth.
“Non vi sembra strano che il mare ghiacci a Settembre? Senza l’intervento di nessun pegaso per giunta” ripeté lei.
Idrozoa fissò allora Locke e nei suoi occhi si leggeva un misto di paura e eccitazione che Locke ricambiò con una espressione di sola incredulità.
“Non può essere” disse lui.
Idrozoa annuì e gli disse: “E’ così Locke, qual è l’unico oggetto che possa produrre un fenomeno simile?”
Locke si limitò a sospirare e tirò con rabbia un calcio al bordo della barca che si era fatto duro come un blocco di ghiaccio, ghiaccio che stava invadendo anche la superficie sotto i loro zoccoli.
Ivan, Twilight e Octavia si guardarono straniti, chiedendosi con gli occhi a cosa i due stessero alludendo.
Fu allora che il silenzio venne interrotto da un rumore violento in lontananza, ma abbastanza forte da essere sentito, rumore come di ghiaccio che si spezza.
“E’ lui” disse Idrozoa.
“Chi?” chiese Twilight.
“Il Sussurro Glaciale”

I loro passi sul ghiaccio facevano eco sotto i loro zoccoli, un’eco ansiosa che non faceva che alimentare il loro nervosismo e la loro paura.
Era così freddo che ora tutti stavano attaccati l’uno con l’altro per farsi caldo a vicenda, dato che anche i loro corpi ora stavano diventando dei ghiaccioli.
In testa c’era Idrozoa che camminava disinvolto, come se il gelo non avesse effetto su di lui, il manto, liscio e azzurro era coperto di brina, ma nemmeno quella sembrava scalfirlo.
Dietro di lui il resto del gruppo procedeva piano, con il timore di cadere a terra e con la paura di congelare.
Locke aveva dato il suo impermeabile giallo a Octavia e Twilight che erano chiuse insieme all’interno del largo indumento e si facevano caldo a vicenda, mentre Ivan era chiuso nella coperta di lana con Kenneth i cui denti sbattevano ininterrottamente ed erano fermati solo dalle sue imprecazioni ogni tanto.
“Guarda tu cosa mi tocca fare, dannato autunno! Mi manca il mio pigiama”
Ivan non ci faceva caso e proseguiva con il suo fisico forte aiutando anche le due ragazze a proseguire dato che il vento era così forte ora che anche la vista era compromessa.
Stavano cercando il Sussurro Glaciale, il veliero di Whisper Crowd che aveva emesso quel rumore in lontananza o almeno…che Idrozoa pensava avesse emesso.
Mortimer era rimasto da solo alla barca, mentre tutti gli altri, persino Kenneth, portato giù di peso dalla nave, mentre invocava la presenza della madre, l’aiuto di tutti gli angeli possibili immaginabili e il desiderio di una spazzola, era sceso ed aveva iniziato questa terribile camminata nel ghiaccio che a detta di molti si stava prolungando anche troppo.
“Torniamo indietro!” invocava Octavia, ma non veniva ascoltata anche perché ascoltarsi l’un l’altro si era fatto difficile.
Ivan ora stava trasportando letteralmente Kenneth che era in un misto tra il sonno e il delirio e blaterava cose come: “Hai visto il mio purè?” oppure “Hai degli occhi stupendi”
Tutti pregavano Idrozoa di tornare indietro, ma l’unicorno di mare procedeva a capofitto dentro la tormenta.
Avevano provato a rompere il ghiaccio con degli incantesimi, ma tutto era stato vano, nemmeno gli incantesimi di fuoco purificatore, esplosione solare, fulmine, shock che aveva tentato Twilight avevano funzionato, niente scalfiva quella lastra di ghiaccio.
“E’ il Globo delle Maree a dare al ghiaccio questo potere. E’ un artefatto potentissimo, così potente da rendere indistruttibile qualsiasi cosa riguardi l’acqua” aveva detto Idrozoa e tutti si erano conviti che nei paraggi ci fosse davvero il veliero di Whisper Crowd, ma questa camminata nella neve così faticosa e pericolosa stava portando tutti verso il limite delle forze.
“Dobbiamo fermarci, Idrozoa, siamo al limite” disse Locke all’unicorno in testa al gruppo.
“Se ci fermiamo moriamo” replicò lui e continuò l’avanzata.
Twilight avanzava lentamente, il suo respiro era affannoso, le ginocchia le bruciavano di freddo, una sensazione orrenda che capita poco prima di andare in ipotermia, quando tutto il corpo ti sembra bruciare, i denti sbattevano e il cuore strepitava.
Octavia, accanto a lei non se la passava meglio, aveva la criniera gelata, gli zoccoli invasi dal ghiaccio e le labbra erano piene di tagli, dovuti al congelamento.
Ogni passo Twilight sentiva i passi dell’amica alla quale era abbracciata farsi più pesanti e le sue spalle farsi più deboli, mentre il respiro rallentava e i tremiti acceleravano.
“Non mollare, Octavia, ti prego, ce la faremo” le disse Twilight con voce debole.
“Il mio violoncello è sotto il mio letto, non lasciarlo lì” replicò l’amica con la voce quasi un sussurro e le lacrime che le scendevano dagli occhi che si erano ghiacciate sulle sue guance ora pallide.
“Ma che cosa stai dicendo?”
“Non lasciarlo lì” rispose Octavia e i suoi occhi si chiusero.
Il corpo dell’amica le cadde addosso facendola cozzare sul ghiaccio gelido con le ginocchia e rimanendo appiccicate l’una sull’altra coperte dall’abito giallo.
Octavia non si muoveva, respirava, era viva, ma era svenuta.
Twilight si spaventò, ma non aveva la voce per urlare, non aveva la voce per chiamare gli altri, il vento era troppo forte, non si vedeva né si sentiva niente e le sue corde vocali sembrava si fossero congelate come il suo corpo.
“Aiuto!” provò a urlare lei, ma nessuno rispose.
L’ansia e la paura crebbero, il suo cuore stava scoppiando, il suo corpo stava bruciando a contatto con il ghiaccio gelato, i suoi occhi piangevano, ma anche loro sembravano congelati.
Si stava quasi per abbandonare ad una triste fine nei ghiacci, lontano da tutto, una fine così triste e inutile, ma all’improvviso con i suoi occhi che si chiudevano sentì una voce, era debole, ma era certa che fosse una voce, poi le palpebre si chiusero sopra il ghiaccio e tutto quello che vide fu il buio.

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Capitolo 15
*** Sorriso di Memoria ***


Sorriso di Memoria

“Come è possibile che questi rozzi e incivili animali non abbiano un pettine?!”
“Ti prego! Chiudi quella bocca! Non basta essere chiusi qui, adesso abbiamo anche un piagnone petulante che invoca spazzole e balsami”
“Il Balsamo! Oh mio Dio! Come ho potuto dimenticarlo?! E’ la fine!”
“Puoi tirargli un pugno, Ivan”
I suoi occhi si aprirono lentamente, come delle vecchie imposte che, cigolando, si spalancano a fatica.
Non vedeva bene, il suo sguardo era sfocato e percepiva solo delle ombre e delle strane combinazioni di luci, ma sentiva, sentiva che intorno a lei diverse voci stavano prendendo parte ad una conversazione e, a giudicare dal tono, non sembrava essere una situazione piacevole.
“Cosa dovrei fare?” chiese una voce maschile, dal tono forte e grave.
“Ti prego fallo smettere di parlare” rispose una voce femminile, dal tono dolce, ma irritato e nervoso.
Lo sguardo di Twilight si mise lentamente a fuoco con le zone d’ombra che come spostate da un soffio di vento scomparirono, dandole la possibilità di vedere cosa avesse davanti agli occhi.
Era in una stanza, ma non una stanza qualsiasi, era rozza, le pareti in legno erano sporche, scrostate e sembrava che potessero cedere da un momento all’altro, tanto erano pericolanti, tutt’intorno erano stipati dei sacchi, ricchi di strappi e cuciture, dai quali fuoriuscivano dei chicchi di caffè, dei barili, dai quali proveniva un’inconfondibile odore di alcool, e dei rifiuti qua e là.
Lo sguardo di Twilight era schifato e confuso, osservava quel posto, buio, illuminato solo da una debole lampada a olio, e rivoltante e non si ricordava per niente di come ci fosse giunta, l’ultimo ricordo era solo un terribile e terrificante freddo.
I suoi occhi si spostarono poi sul gruppo di pony che stava discutendo e li riconobbe nei suoi compagni di missione.
“Nadia, ma cosa mai ti ho fatto di male? Lo sai che sei bellissima” disse Kenneth esibendo il suo, ormai fantomatico, sorriso e i suoi penetranti e caleidoscopici occhi color mare.
Octavia lo guardò confusa e quasi schifata e alzato lo zoccolo si accinse a colpirlo con violenza, cosa che sarebbe riuscita a fare se Locke non l’avesse fermata.
C’erano tutti: Ivan era seduto a terra, osservava la scena in silenzio, quasi annoiato, come se fossero in quella situazione già da molto tempo, Octavia era seduta accanto a lui ed era innervosita dall’atteggiamento infantile e millantatorio di Kenneth che si stava lamentando dell’igiene della stanza, sproloquio che veniva a volte interrotto da alcuni sui elogi personali alla sua persona e al suo valore guerriero.
Locke era il più sciupato dei quattro, con delle pesanti occhiaie, ma soprattutto con un bruttissimo raffreddore, sottolineato dalle orecchie rosse, segno che aveva la febbre, dai suoi continui starnuti e dalla voce nasale.
“Gloria dice che sono il pony con i sorriso più seducente…” stava dicendo Kenneth, ma venne fermato da Octavia.
“Non mi interessa cosa pensa quella gallina, se non te ne fossi accorto siamo rinchiusi qui da ore ormai, senza cibo e le uniche cose a cui riesci a pensare sono i balsami e quanto sia bello il tuo sorriso…giuro, ti staccherei la testa”
“Ehi calmati, Nadia, non ce n’è bisogno, siamo tutti sulla stessa barca” le disse allora Ivan, cercando di calmarla.
“Dove sono?” pensava Twilight “Da quanto siamo qui e dov’è Idrozoa?”
L’unicorno di mare, infatti non si trovava lì con loro.
Twilight si alzò e fu colta da un capogiro non appena si alzò e si mosse verso i suoi compagni.
Non appena la videro tutti la aiutarono a stare sugli zoccoli, dato che si muoveva a fatica e barcollando leggermente.
“Tranquilla, Twilight, avresti dovuto vedere Nadia quando si è svegliata, faceva morir dal ridere, sembrava ubriaca” le disse Ivan facendola sorridere.
“Cosa vorresti insinuare?” chiese la pony grigia con sguardo indagatore.
“Perché ci sono tre lune? Abbassa quella maledetta musica! Se la neve fosse coca, tutti in alta quota” rispose Ivan, imitandola e atteggiandosi come lei.
Twilight si mise a ridere, mentre Locke la appoggiava alla spalla di Ivan, e stava cominciando a sentirsi meglio.
“Cos’è successo?” chiese allora la unicorno viola.
Locke si accinse a rispondere, ma quello che ne uscì fu solo un verso degno di un cinghiale con la bronchite e subito si zittì di nuovo.
“Hai presente che stavamo cercando questo Whisper Crowd…beh…diciamo che ha trovato lui prima noi e ci ha portati sulla sua nave, imprigionati nella stiva” le disse allora Octavia.
“Imprigionati? E Idrozoa?” chiese allora Twilight.
“Non lo sappiamo” rispose Octavia sconsolata e avvilita, mentre Twilight ebbe un’altra fitta alla testa e si sentì il freddo venirle al cervello.
“Tutto bene?” le chiese Ivan.
Twilight annuì con qualche smorfia di dolore e chiese: “E non avete provato a fuggire?”
“Sì” rispose Ivan “Ma quelle sbarre non si sbattono giù nemmeno con le cannonate” indicando le sbarre di acciaio dietro di loro che sbarravano loro la strada.
Twilight fissò allora le sbarre scure e i suoi occhi si inclinarono di rabbia, si alzò dalla spalla di Ivan e, dopo qualche secondo in cui cercò l’equilibrio, riuscì a rimanere sulle proprie zampe.
“Che fai, Twilight? Eri così stanca solo un secondo fa” chiese Ivan.
Twilight sembrava infatti aver trovato una nuova grinta e nuove forze, le sue zampe si tenevano su a fatica, ma con una grande e inconsueta forza, dato che solo poco prima faceva fatica persino a stare sollevata.
Il corno di Twilight si illuminò, di un alone violetto, carico di energia, ma subito dopo, con uno scoppio e qualche scintilla, la luce si spense e Twilight cadde, come colpita alla testa da qualcosa.
Le faceva malissimo la testa, le stava scoppiando, come se avesse della dinamite nel cervello, non riusciva a sentire più niente, solo un immenso dolore.
Si contorceva a terra, gemendo dal dolore, sbattendo gli zoccoli sul legno quasi incontrollabilmente, si sentiva il cervello lacerato in due, come se fosse stata colpita da una martellata.
All’improvviso però il dolore svanì e Twilight aprì gli occhi, che solo un secondo prima era chiusi così forte da averle fatto uscire un leggero rivolo di sangue dalla palpebra, rimanendo a terra, con tutti gli occhi preoccupati degli amici addosso.
Ora non provava più dolore, quella sensazione aveva lasciato spazio ad un freddo glaciale che l’aveva colpita sulla fronte e si era propagato in tutto il suo corpo.
Iniziò a tremare di freddo, con il sangue che dall’occhio stava iniziando a scendere che si ghiacciò e tutto il suo corpo cambiò colore, diventando vicino al blu.
La sua criniera stava lentamente diventando blu e così anche i suoi occhi.
Non sentiva niente, poteva solo vedere le bocche dei suoi compagni che si muovevano e le loro facce terrorizzate.
Poi tutto finì, il suo corpo prese i colori normali e la temperatura giusta, solo una cosa rimase ghiacciata, il corno e Twilight capì che anche prima che lanciasse l’incantesimo era ghiacciato.
Le avevano fatto un incantesimo, che non aveva mai visto, una magia che non le permetteva di fare magie e che le era stata fatta appunto per evitare che le facesse.
“Che è successo, Twilight?” le chiese Octavia che era pallida di terrore.
“Non lo so” rispose lei, ancora scossa e seduta a terra “Mi hanno fatto un incantesimo…credo”
“Come?” chiese allora Ivan.
“Non lo so…io…non lo conosco”
“Moriremo tutti!” esclamò allora Kenneth.
Locke e Ivan aiutarono Twilight a rimettersi in piedi, rimanendo però appoggiata ad Ivan, la giovane unicorno aveva ancora l’occhio sinistro arrossato.
Fu allora che da una porta oltre le sbarre entrò un pony.
Era un maschio, non particolarmente alto, aveva il manto azzurro, la criniera color ghiaccio e gli occhi di un blu così chiaro da sembrare bianchi, la cosa però più strana era che non avesse cutiemark.
Il pony rivolse loro degli sguardi, come se li stesse controllando, poi, si voltò e uscì nuovamente dalla porta.
Octavia lo fissava intensamente, con lo sguardo visibilmente nervoso di rabbia e i suoi occhi furono colti da una scintilla.
Illuminata dalla luce della lampada a olio, una chiave color oro scintillava, legata al collo del pony con un fil di ferro anch’esso dorato.
La porta si chiuse alle spalle del pony, dando un leggero scossone alla pericolante stanza in legno.
“Ragazzi, ho un piano” disse la pony grigia con la voce che si era fatta meno arrabbiata e più determinata.
“Che vuoi dire?” chiese Twilight confusa.
“Tranquilla Twilight, aspetta e vedrai” rispose Octavia sorridendole, con un leggero sguardo maligno negli occhi.
Octavia fece qualche passo verso Kenneth, con i suoi occhi viola che lo guardavano in modo seducente, esaltando al massimo la loro lucentezza e bellezza.
Kenneth dal canto suo sfoggiò il suo sorriso, ma questa volta non poté nascondere un po’ di sorpresa, vedendo la sua amata che lo guardava in quel modo così affascinante.
“E’ il tuo momento, Kenneth” gli disse lei, mentre gli altri tre li guardavano confusi e curiosi.
“Il…il…mio…momento?” chiese confuso il pegaso.
“Non dicevi poco fa di aver combattuto più volte contro i pirati del nord, nelle tue battute di pesca delle alghe…beh è ora di mostrare ciò che sai fare”
La sua espressione era tutto un programma, gli occhi da sopresi si erano spalancati in segno quasi di paura, il sorriso era scomparso e ora la sua bocca aveva formato un ovale confuso.
Octavia si sporse e si avvicinò sempre di più al suo viso, con la sua bocca che si avvicinò vertiginosamente a quella del pegaso che ora era arrossato terribilmente.
“Avanti, saresti il mio eroe…salvami se davvero vuoi conquistarmi” le disse lui con occhi speranzosi, bellissimi, ai quali qualunque pony avrebbe avuto difficoltà a dire di no.
“Ehm…Ehm…mol…molto…bene...penso…” ma non fece in tempo a finire la frase che con un gancio destro lo aveva steso a terra colpendolo sulla guancia sinistra.
“Ma che ti è preso?” chiese Twilight confusa.
Octavia le fece segno di stare in silenzio e subito dopo esclamò a gran voce: “Oh per Celestia! Aiuto! Si è sentito male!”
Twilight osservava la scena confusa, non sapendo cosa stesse passando per la testa di Octavia e cosa avesse intenzione di fare.
La pony grigia si mise allora a battere violentemente gli zoccoli sulle sbarre di ferro, causando un rumore fortissimo che rimbombò con forza in tutta la stanza, in tutto quel caos Twilight non si accorse che Ivan si era appena nascosto dietro un grande barile di sidro.
La porta all’improvviso si aprì di nuovo e lo stesso pony di prima con gli occhi glaciali entrò, con una espressione vuota e indifferente.
“La prego, buon pony, ci aiuti? Si è sentito male” gli disse Octavia recitando alla perfezione un ruolo drammatico, con gli occhi spaventati e ricchi di ansia.
Il pony fece qualche passo verso le sbarre, ma poi si bloccò all’improvviso, vedendo che Kenneth si stava alzando.
“Oh…ma…dove?...” disse il pegaso, facendo spalancare gli occhi a Octavia e facendola arrossire, proprio difronte al pony misterioso che la fissava privo di empatia.
Octavia mostrò allora un sorriso imbarazzato e nervoso, mentre il pony si stava già per allontanare.
“Ivan, abbattilo!” esclamò lei.
Da dietro il barile comparve Ivan che sorreggeva un rubinetto di ferro con lo zoccolo, i suoi movimenti furono repentini e scagliò contrò il pony dagli occhi di ghiaccio il rubinetto che, passando attraverso due sbarre, lo centrò in piena fronte facendolo capitolare a terra.
“Grande!” esclamò Octavia e i due si batterono lo zoccolo in segno di vittoria.
Octavia allungò poi la zampa tra le sbarre e prese la chiave che si era staccata dal collo del pony e si era avvicinata alla loro cella.
Nessuno si accorse che intanto in tutta la stanza si era propagato sul pavimento un ampio strato di sidro.
Tutti guardarono Ivan e videro che aveva staccato il rubinetto di uno dei barili, facendo capitolare fuori dallo squarcio tutto il contenuto.
Ci fu un attimo di silenzio, poi tutti scoppiarono a ridere, tranne Kenneth che sembrava leggermente spaesato.
Octavia lo vide e si sentì leggermente in colpa, gli si avvicinò e gli diede un bacio sulla guancia dicendogli: “Grazie Kenneth di esserti lasciato usare contro la tua volontà”
“Chi sei?” chiese però il pegaso, lasciandola di stucco, con uno sguardo confuso.
“Chi...chi…sono io?”
“Mi stai prendendo in giro, vero?”
Il pegaso sfoggiò il suo sorriso falso, segno che le stava mentendo, ma poi le rispose: “Certo che è strano questo posto, tu vivi qui?”
Octavia guardò Twilight che era ancora più confusa di lei, mentre Ivan e Locke stavano bevendo dal barile il sidro, la voce di Kenneth era molto convincente e sembrava avesse perso la memoria.

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