Dissidia Quattuordecim

di Final_Sophie_Fantasy
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Introduzione ***
Capitolo 2: *** Cercando una identità ***
Capitolo 3: *** I Manikins e il nome ***
Capitolo 4: *** Nelle mani della Discordia ***
Capitolo 5: *** Compagni d'avventura ***
Capitolo 6: *** L'Au'Ra ***
Capitolo 7: *** Con il potere di Shinryu ***
Capitolo 8: *** Toccata e fuga ***
Capitolo 9: *** Lo stregone ***
Capitolo 10: *** Ballando con le rose ***
Capitolo 11: *** Solo un'impressione ***
Capitolo 12: *** Freddo mio amico... ***
Capitolo 13: *** Maledetto cuore ***
Capitolo 14: *** Au'Ra versus Dragone ***
Capitolo 15: *** Il Lupo Nero ed i Falsi Dei ***
Capitolo 16: *** Non toccare la mia coda! ***
Capitolo 17: *** Il verdetto del Giudice Magister ***
Capitolo 18: *** Battaglia al Castello di Artemisia ***
Capitolo 19: *** Non disturbar il Dragone che dorme ***
Capitolo 20: *** Verso la battaglia ***
Capitolo 21: *** Armonia e Discordia-Il Quattordicesimo Ciclo inizia ***
Capitolo 22: *** La figlia di Shinryu ***
Capitolo 23: *** Il risveglio dei ricordi ***
Capitolo 24: *** I Cristalli dell'Oscurità ***



Capitolo 1
*** Introduzione ***





















 







All’origine ci fu il Nulla, nella sua vastità infinita. Poi una volontà, chiamatela Destino o Fato, generò gli Dei. All’apparenza, come ce li immaginiamo noi uomini, questi non si presentarono mai come viventi, rimasero sempre nell’immaginario. Figure astratte, la cui presenza la si avvertiva solo ed esclusivamente in particolari momenti. Dai popoli più antichi, Greci, Romani e via dicendo fino ai nostri giorni, gli uomini hanno sempre pregato e venerato, chi più chi meno, queste figure. Rappresentate come potenze della natura, signori degli elementi, governatori assoluti dell’universo. Chi crede in uno, chi crede in cento. Essi sono uno solo, essi sono migliaia. Tuttora non si capisce quanti siano essi. Forse sono tanto vasti quanto l’immaginario dell’uomo, forse non esistono e i mortali pregano per niente.

Armonia e Discordia stanno al principio di tutto, come dicono molti. L’ordine e il caos sostentano l’equilibrio dell’Universo. Senza uno non esiste l’altro. Senza l’ordine non si distinguerebbe il disordine, senza quest’ultimo cesserebbe il primo. Una cosa tiene l’altra. E nessuno si è mai chiesto cosa succederebbe se questi due elementi entrassero in conflitto. Cosa accadrebbe se gli Dei che comandano l’Armonia e la Discordia decidessero di darsi battaglia? Quale catastrofe attraverserebbe le galassie dell’Infinito? Si penserebbe a scontri di grandezza inaudita, l’incalcolabile che lotta. E invece, questi due Dei, decisero di svolgere le cose nel piccolo e nel grande allo stesso tempo. La loro temibile volontà frantumò pezzi di mondi e li convogliarono in un’unica, confusionale dimensione, incastrando le varie schegge come un puzzle. Ora il campo di battaglia era stato preparato.

Combatterono, divinità contro divinità. La dimensione venne segnata dal loro scontro che s’inacidì con il passare dei millenni. Gli Dei interrogarono il volere del Fato: il conflitto era destinato a durare in eterno. Dunque, una guerra che mai avrebbe trovato fine, poiché Armonia e Discordia desideravano prevalere l’uno sull’altro me senza riuscirci: senza uno non poteva esistere l’altro. Invano la bilancia sarebbe stata sbilanciata, quella sarebbe tornata alla sua posizione. Le forze s’eguagliavano, nessuna pesava troppo dell’altra. Ma mai i due Dei vollero accettare questo e lo scontro continuò a trasudare dall’origine dei tempi fino all’eternità.
Fu allora, in quel tempo, che gli Dei decisero allo stesso tempo, inconsapevolmente, di mettere in atto la stessa arma per rompere quel ciclo di lotte. Presero una scelta che influenzò il destino di ogni universo. Vollero invocare pedine da usare per la loro guerra, mutare esseri viventi in armi per combattere. Ma subito una grande volontà li fermò, imponendo loro un patto: gli Dei avrebbero invocato al loro fianco i soldati che desideravano e li avrebbero governati. Ma alla sconfitta dell’altro, l’equilibrio sarebbe stato mantenuto grazie all’azione di una creatura originaria del Nulla: Shinryu, il Drago Purificatore. Questa creatura aveva tale potenza che da alcuni veniva ritenuta un Dio, ma mai i suddetti simili lo considerarono tale. La bestia divina aveva il potere della rinascita e, secondo il patto, Shinryu avrebbe purificato e fatto rinascere ogni singolo partecipante allo scontro, Dei compresi, causando la perdita di memoria ad ognuno di essi. Solo i vincitori del primo scontro si sarebbero riguadagnati i ricordi e la consapevolezza di tutta la storia dietro quello scontro. Ma se a morire fosse stato uno dei due Dei, le pedine sarebbero svanite con loro. I due contendenti accettarono, poiché non avevano altra scelta, sicuri che all’inizio del nuovo ciclo la vittoria si sarebbe comunque presentata e avrebbero riguadagnato le memorie.
E così, al termine di quel ciclo, Shinryu purificò i due Dei mentre questi con tutte le loro forze strappavano violentemente ai mondi le loro creature natie per chiamarle alla guerra.
Un nuovo ciclo ebbe inizio e, come previsto dal patto, Dei e guerrieri furono privi di memorie sul loro passato, sui loro mondi originari, su tutto ciò che veniva prima di quella dimensione che mutava la sua geografia e come paesaggio mostrava lande tanto diverse da far nascere timore. Le creature di quel mondo vagarono a lungo come anime smarrite e furono solo gli Dei a riprendersi e allungare la mano su coloro che sceglievano di prendere. Come bambini che litigano per una bambola, così l’Armonia e la Discordia si giocarono le pedine. A schieramenti fatti, lo scontro ebbe inizio. I guerrieri dell’ordine e del caos combatterono. Molti di entrambi gli schieramenti caddero e con la loro morte, i guerrieri tornarono ai loro mondi, in attesa della conclusione del ciclo, così che i frammenti dei mondi tornassero al loro posto. E nessuno sapeva che la fine era destinata a non arrivare. I morti avrebbero atteso invano.

Il primo ciclo nessuno sa quanto durò ma il verdetto finale fu la vittoria schiacciante della Discordia.  Shinryu purificò e ai vincitori del primo scontro venne ridata memoria e svelata la verità di quell’eterno conflitto. Ma Shinryu, per ordine del Fato, non ridiede i ricordi né con la Purificazione svelò la verità al Dio della Discordia. Solo i suoi guerrieri vantarono quella restituzione.
Inoltre, parte dei guerrieri che avevano combattuto nel primo ciclo ed erano caduti non si ripresentarono alla Rinascita. E così, ciclo dopo ciclo,  purificazione dopo purificazione, i guerrieri di entrambi gli schieramenti svanirono lasciando nei compagni solo un flebile ricordo che svaniva con la Purificazione successiva. Le file andarono a decimarsi, da migliaia che erano, divennero sempre meno, fino a raggiungere l’esiguo numero di una decina di soldati per ciascun Dio. Fu allora che il Dio della Discordia decise di mettere in atto uno stratagemma per ingrossare le sue file e garantirsi la vittoria. Aprì un varco sul Nulla, denominato Crepa, da cui creò cloni dei guerrieri invocati. Vennero chiamati Manikins. Creature all’apparenza invincibili, con forze sovrumane, che uccidevano senza pietà, a sangue freddo. Chiunque si metteva sulla loro strada, cadeva. E con questi nuovi soldati che ogni giorno uscivano dalla Crepa, la Discordia parve squilibrare la bilancia dell’Equilibrio Universale.
Solo nel dodicesimo ciclo si ebbe una svolta, quando i guerrieri dell’Armonia vennero informati sotto tradimento da un guerriero della Discordia. Gli Dei non sanno di preciso cosa accadde in seguito, poiché la lotta eterna col tempo era lentamente scivolata nell’opacità, svanendo dai pensieri delle altre divinità, stanche della solita guerra. Si sa solo che i guerrieri invano tentarono di cambiare qualcosa prima che il ciclo concludesse. Ma furono proprio loro a porne il termine, morendo nel vano tentativo di eliminare per sempre i Manikins dalla loro dimensione e di distruggere la Crepa. Morirono tutti e pare che fu solo la indomabile e intensa volontà dell’Armonia a salvare i suoi guerrieri, poiché, sembra, fra la Dea e i suoi prescelti fossero nati rapporti più intensi che quelli di un servo davanti al suo signore. Quasi un rapporto di amicizia fondato sulla pietà che provavano l’uno verso l’altro per il loro triste destino di cadere e rinascere in eterno. La coscienza e il cuore, infatti, non li avevano mai abbandonati.
Il tredicesimo ciclo iniziò. La Dea dell’Armonia venne informata dagli alleati della Discordia ciò accaduto nel ciclo precedente, poiché lei aveva perso i ricordi nella Purificazione. Sin dall’inizio, prima del risveglio dei suoi soldati, la Dea decise le sorti di quello scontro e appena svegliati rivelò loro un’informazione di enorme importanza ma che non approfondì, lasciando tutto sospeso sull’ambiguità: esistevano dei Cristalli che erano capaci di annientare le forze della Discordia e di eliminare il Dio stesso. Il compito dei guerrieri era cercarli e con quelli porre fine al conflitto per sempre. L’inizio fu difficoltoso, poiché le varie nemesi della schiera opposta li ostacolarono, conoscendo la forza dei Cristalli che era capace di annientare il loro padrone e di conseguenza loro. Trovati i Cristalli il destino della guerra sembrava poter cambiare. Così fu, ma seguendo un’altra strada. Il Dio della Discordia annientò la Dea che si era sacrificata di sua spontanea volontà. Secondo il patto stabilito, i guerrieri dell’Armonia sarebbero dovuti perire insieme a lei. Invece, i Cristalli furono per loro fonte di vita, poiché essi erano parte della Dea e lei era morta solo fisicamente. Il suo animo era rinchiuso nelle gemme che i guerrieri custodivano con loro. Compreso il loro compito, i guerrieri viaggiarono nella dimensione che lentamente collassava nell’oblio, dominata ormai solo dalla volontà del Dio della Discordia. Con il potere dei Cristalli, sconfissero la divinità oscura e il tredicesimo ciclo si concluse. Shinryu riportò i guerrieri ai loro mondi e i frammenti incastrati fra loro della dimensione tornarono al loro posto.
Armonia e Discordia pesarono allo stesso modo sulla bilancia per molto tempo. Ma quando una delle due si sbilanciò troppo, pretendendo nuovamente il controllo assoluto, le due divinità rientrarono in conflitto. Il patto stabilito dalla Volontà venne rimesso in atto. Di nuovo dai diversi mondi degli universi vennero strappati via frammenti e guerrieri. Il Drago Purificatore uscì nuovamente dal Nulla, spalancando le ali dorate. Il suo ruggito imperversò nell’Universo mentre il quattordicesimo ciclo dello scontro tra la Dea dell’Armonia, Cosmos, e il Dio della Discordia, Chaos, rinasceva per continuare nell’eterno.

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Capitolo 2
*** Cercando una identità ***


Sentiva umido contro il corpo.
Una calma corrente d’aria fresca la investì, le riempì i polmoni del freddo che portava con sé, pizzicandole il naso minuto. Nelle orecchie il piacevole scrosciare dell’acqua, lieve come una goccia che cade in una pozza.
Glush… glush…
Le pareva una ninnananna che la istigava ancora di più al sonno. Per questo tenne gli occhi chiusi ancora per un indeterminabile lasso di tempo, a respirare quell’aria pura e fresca e ad ascoltare quel piacevole rumore dell’acqua che tranquillamente le bagnava il corpo…
Aspetta… ACQUA?! 
Si rese conto solo in quel momento che tutto quello non era normale.
Fu allora che sbarrò gli occhi, stupefatta. Le sue iridi acquamarina risplendettero mentre le pupille trasmettevano quell’immagine così surreale.
Un terreno bianco, duro come il pavimento, coperto da un velo sottilissimo d’acqua. Ma visto dal suo punto di vista, sdraiata con il ventre rivolto in basso, quel sottilissimo velo sembrava un mare infinito con le sue placide onde. Poi, con sua sorpresa, notò che tutto intorno a lei, fin dove l’occhio si perdeva, si alzavano grandi aste bianche e frammenti di pareti concave. Non sapeva che materiale potesse essere, pareva marmo bianco. Ma quelle costruzioni erano troppo immacolate per essere fatte di semplice marmo.
Si alzò che la testa le girava. Una volta in piedi, barcollò per poi riuscire a reggersi sulle gambe.
Si guardò ancora intorno. Il paesaggio era sempre lo stesso e pareva perdersi verso l’orizzonte dove però una spessa linea scura preannunciava un cambiamento.
Alzò lo sguardo e spesse nuvole grigie accolsero i suoi meravigliosi occhi. Si muovevano, lente. Poi si accorse di un particolare. Dovette aguzzare la vista per rendersi conto che la vista non la ingannava. Erano fasci di luce verde, grandi archi che tagliavano il cielo, scie luminose che lo percorrevano per poi finire sfumando.
Si chiese cosa mai fossero.
Smise di guardare in aria, le girava troppo la testa per guardare i particolari.
Ma che diavolo mi prende? Perché sono così confusa?
Guardò dentro di sé fino a quando non si rese conto di un fatto. All’improvviso sentì un vuoto profondo, sorto con un’unica, sola domanda.
Chi sono?
L’ansia le strinse il petto e dovette poggiarci una mano sopra, come se quella avesse potuto prendere forma di una bestia e divorarla fino al midollo. Si costrinse alla calma e rifletté. Ma più pensava e più si rendeva conto che non aveva ricordi. La sua memoria era azzerata. Non sapeva nemmeno come era fatta, non sapeva come fare per riconoscersi, fisicamente e mentalmente.
Aveva bisogno di fare qualcosa, qualcosa per riuscire a calmarsi, qualcosa che le facesse capire che era viva, che esisteva. Camminò, dritta. La direzione non la conosceva né le importava. Tutto ciò che voleva era un’identità.
Abbassò lo sguardo e vedere i suoi piedi scrosciare nel lieve velo d’acqua fu un enorme sollievo. Li guardò con attenzione, senza fermarsi, perché vederli muovere le instaurava un senso di sicurezza. E dopo esserseli gustati a sufficienza, a guardarli così elegantemente coperti da lunghi stivali stretti da lacci e che arrivavano fino al ginocchio allargandosi, abbassò ancora di più lo sguardo e fissò quel poco del suo corpo che riusciva a vedere. Era magra, i fianchi stretti. Era coperta da un vestito he però non riusciva a immaginarsi. Era di un verde bluastro scuro e s’allargava sul fondo con a destra ampi stracci di tela bianca che le solleticavano le gambe nude.
E camminava sempre.
Sul petto non riusciva a vedere molto. Solo che era scollato e che i bordi erano sempre fatti di quella tela stropicciata e bianca che le fungeva anche da spalline. S’accorse che sulle spalle aveva un piccolo spallaccio in ferro, leggero se ci pensava. Era meravigliosamente decorato con fregi e simboli. Rimase ad ammirarlo a lungo, affascinata da un oggetto che all’apparenza sarebbe sembrato semplice. Se solo lei avesse riavuto un qualche ricordo con cui paragonarlo, probabilmente non avrebbe reagito così. Fu così che sorse la seconda domanda.
Da dove vengo?
Si diede solo una certezza: quel posto, quel dannato luogo in cui stava vagando alla cieca, sicuramente non era casa sua. Camminò ancora, avvicinandosi sempre di più all’oscuro confine.
Si guardò le braccia magre e nude. La candida pelle rosea, per qualche motivo, le diede sconforto. Era come se si fosse aspettata qualcosa di più. Non quella semplice carnagione molle e rosa. E così fu per le mani eleganti e piccole. Specialmente sul dorso di esse si era aspettata qualcosa. E invece niente. Si sentì delusa. Non solo per quello, ma perché ancora non si era vista in volto.
Con le mani si toccò il viso ma non scoprì niente che le fosse essenziale.Solo che pareva avere lunghe ciglia, si ricordava il colore degli occhi, un naso piccolo e lunghi capelli. Guardò proprio le ciocche di questi ultimi. Avevano un colore stranissimo, tra il bianco, il biondo e il nero sulle punte. Se li toccò e li trovò meravigliosamente morbidi e soffici. Sulla fronte aveva una frangia mentre quelli lunghi erano raccolti da nastri in quattro codini sciolti, due grandi dietro e due più piccoli più avanti. I capelli erano mossi verso la fine.
Fattasi un’idea di come era, allora, e solo allora, guardò dove era arrivata.
Si bloccò, ferma come un masso.
Il paesaggio precedente era completamente sparito. Niente ora era rimasto del piacevole sciacquio dell’acqua. Solo il silenzio. I suoi piedi ora calpestavano  una roccia marrone, nuda  e dura. Una collina, ecco dov’erano. Una collina ripida che aveva salito senza nemmeno rendersene conto. Il paesaggio intorno era una landa desolata, con alte montagne vuote. All’orizzonte un mare grigio scuro, con alte onde minacciose che si infrangevano sulle coste frastagliate a nord e sulle spiagge deserte del sud. Non vi era anima viva nel raggio di chilometri.
Anche il cielo era cambiato e nel modo più assurdo immaginabile.
Da esso arrivava una luce finta, non c’era un sole ad illuminare quella terra. Le nuvole non permettevano di vedere oltre. E poi c’era quella angosciante suddivisione. Verso nord, dove enormi montagne appuntite parevano eruttare lava, il cielo si tingeva di rosso. Alle sue spalle, a sud, dove dolci terre, vaste pianure e eleganti montagne innevate modellavano quelle terre, il cielo era luminoso.
Rimase a guardare quel paesaggio suggestionarla, spaventarla, intimorirla. E quel silenzio di tomba accompagnava il suo.
Si voltò per guardarsi alle spalle.
Non volle credere ai suoi occhi. A lei era sembrato di aver percorso appena qualche metro e invece il paesaggio che poco tempo fa la circondava era addirittura svanito dietro l’orizzonte. Non era possibile. Un brivido le corse lungo la schiena. Si sentiva schiacciata da quell’atmosfera soprannaturale. Pareva che in quel mondo niente seguisse leggi fisiche, l’etica delle cose non aveva alcun valore. La geografia stessa non era logica.
Per un istante cercò di trovare una spiegazione logica ma presto si arrese. Niente le importava più che trovare cosa era lei.
Si voltò, lasciandosi alle spalle quanto non era capace di capire e prese a camminare, sicura solo su una strada. Su quella determinazione che nessuno poteva toglierle, a cui lei non avrebbe mai rinunciato.
Capirò chi sono. Ricorderò il mio nome e da allora non sarò più debole.

***

Arrivò su una collina ancora più alta, questa volta restando con i sensi acuti per accorgersi se qualcosa cambiava. Non accadde niente.
Aveva le gambe addolorate e per arrampicarsi su quella ripida collina si era graffiata le mani fino a farle sanguinare. Ma con fatica e sudore aveva terminato la scalata, giungendo in un punto abbastanza alto per poter scorgere ancora meglio il paesaggio.
Scorse le stessa lande di prima, continenti deserti. A sud le tranquille terre illuminate, a nord le spigolose montagne incandescenti. Le guardò con gli occhi fissi, meravigliata, ipnotizzata dalla loro forma che nella ente le muoveva qualcosa, parevano la fonte dei suoi ricordi. Così alte, imponenti, forti. Nessun vento sarebbe stato capace di eroderle. Sembravano lame che uscivano dal terreno e quell’aura rosso fuoco le faceva apparire  ancora più minacciose.
Aguzzò la vista e guardò oltre la coltre di gas. C’era una montagna, nascosta dietro il fumo e le basse, scure nuvole del nord. Era enorme, gigantesca, la cima svaniva oltre il cielo tempestoso. Oscura, trasmetteva una sensazione di terrore.
All’improvviso, sentì un rumore alle sue spalle. Passi metallici, un cigolare sinistro di ruggine. Spostò un piede per voltarsi, spaventata. Trovò il vuoto. Cadde indietro.

 



Ciao a tutti!
Ecco il secondo il capitolo. Lo so, vi starete chiedendo: " ma chi diavolo è sta qua di cui non sappiamo nemmeno il nome?". In effetti qui ho voluto introdurre lentamente il nuovo personaggio, passo dopo passo. Ho voluto curare di più i paesaggi e la loro stranezza, poiché la dimensione, come avrete capito e da come leggerete nei prossimi capitoli, non segue nessuna legge della fisica. La geografia stessa cambia, non spesso, ma lo fa.
Spero le mie descrizioni siano state sufficentemente chiare, la mia grammatica "italiana" e ovviamente che la storia vi stia interessando.
Al prossimo capitolo!
 

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Capitolo 3
*** I Manikins e il nome ***


Scivolò appena il suo piede cercò un punto su cui appoggiare. Quella maledetta roccia si sgretolava. Rotolò giù dalla collina insieme ai detriti e alla polvere mentre il mondo le vorticava intorno. Ogni colpo era un supplizio. Con le mani sbucciate tastò per un appiglio ma le dure pietre appuntite le ferivano e cadeva dalla collina troppo in fretta per riuscire a fermarsi.
All’improvviso batté violentemente la schiena contro un grande masso che la bloccò. Gemette mentre si contorceva dal dolore. Rimase immobile, aspettando di sentirsi meglio. Ma non appena quel rumore di ruggine tornò, si costrinse ad alzarsi in fretta e puntando i piedi per non scivolare di nuovo giù per la ripidissima collina si portò dietro il masso. Poggiò la schiena sulla roccia e controllò il respiro per non farsi sentire.
Dalla cima della collina vennero passi, tanti, decine, forse di più. Dietro si portavano lo sferragliare del ferro arrugginito e un tintinnio cristallino. Seguirono versi simili a rocchi rantoli.
Quando una voce distorta e gracchiante le giunse alle orecchie s’appiattì ancora di più contro il masso.
« Dove sono? DOVE SONO?! »
Lei tremò a quel grido tanto distorto da far male alle orecchie.
« Li voglio! Tutti! » Seguì un verso di rabbia.
Sentì movimento di ferraglia, un verso strozzato. Seguirono pochi secondi che vide cadere qualcosa a poca distanza da lei. Volle gridare quando capì che era un corpo… ma… strano. Non era fatto come lei, non aveva la pelle rosea. Era di una tonalità violacea, con riflessi cristallini, trasparente come il vetro. Non scorse altri particolari tranne che le ricordò un pagliaccio, perché la misteriosa “cosa” sparì dietro le rocce appuntite della collina.
Si costrinse alla calma e ascoltò nuove voci distorte venire dall’alto.
« Finalmente! Non ne potevo più di quel pagliaccio! Idiota... tra tutti quelli che ci sono quello era proprio quello che più non sopportavo. Non che gli altri siano diversi, ma… »
Una seconda voce lo zittì, sempre quel tono gracchiante:
« ZITTO! Imbecille! » Seguì un minuto di silenzio « Lo senti? »
Sentì lievemente qualcuno che fiutava l’aria, come un cane:
« Sì… questo è… »
L’altro continuò e lei era quasi sicuro che sul volto di quella voce ci potesse essere un ghigno di soddisfazione:
« … respiro di un vivo… sentila! Quella sporca aria piena di ossigeno che entra nei polmoni… esce… entra…esce… è veloce! »
Lei, con già una mezza ida di cosa intendeva, smise di respirare e la voce smise di farle l’eco.
Si sentì impallidire come un lenzuolo.
Un nuovo ghigno, ancora più aperto:
« Ha paura… »
L’altro rispose:
« E ne avrà ancora di più… »
Entrambe le due voci scoppiarono in una risata fragorosa tanto agghiacciante per quel tono distorto e gracchiante che lei volle tapparsi le orecchie. E raggelò quando sentì altre voci aggiungersi a quella terribile risata. Non volle sapere quanti altri esseri c’erano alle sue spalle.
All’improvviso una delle due voci urlò:
« SILENZIO! IDIOTE! STUPIDE BESTIE! » La risata di gruppo cessò in un istante « Spaventeremo la preda… » seguì un minuto ancora di silenzio
« TROVATELA! E ricordate: se alleato, inchinatevi! Se nemico… massacratelo… Faremo vedere noi ai bastardi dell’Armonia di cosa siamo capaci! Noi, creature del Nulla! »
Versi e grida eccitate si sparsero per le valli.
Lei tremò, mentre sentiva passi di ruggine avvicinarsi e vedeva il pulviscolo sollevato da quei piedi rotolare intorno a lei.
Doveva fare qualcosa, qualcosa, in fretta. Restare lì non se ne parlava neanche.
Guardò ai suoi piedi.
Poteva sfruttare la ripida inclinazione della collina per un iniziale slancio e darsela a gambe.
Decise così e preparò le gambe.
Si fece coraggio. Poi si diede lo slancio in avanti saltando. S’aspettò di ricadere a terra dopo poco e invece continuò a sfrecciare in avanti di metri.
Santo cielo! Ma sto volando!
Lentamente prese a rallentare a scendere verso i piedi della collina. Cadde a terra come se l’avessero spinta. Si mise in ginocchio e rimase basita.
Ma cosa è successo? Io non mi sono data una spinta così forte… e poi… nessuno può saltare così lontano!
Una voce alle sue spalle la distrasse dai suoi pensieri:
« Eccola! Inseguitela! Veloci, stupidi! »
Si voltò verso la collina e vide con orrore una truppa intera di uomini trasparenti come il vetro e coperti da armature arrugginite correre giù per i ripidi e scoscesi fianchi rocciosi. Nelle loro mani vide armi di ogni tipo e forma. In cima, due di quegli esseri stavano a fissarla. Poi vide scendere anche loro. Fu allora che prese a correre.
E mentre scappava alla cieca, cercando con gli occhi un qualunque nascondiglio, cercò di ricordarsi come aveva fatto a saltare in quel modo. Ma in realtà non aveva fatto niente di particolare. Aveva semplicemente fatto un passo più lungo.
Guardò i suoi piedi muoversi veloci come dei razzi.
Tentò la sorte e balzò.
Vide il terreno sfrecciare sotto i suoi piedi che rimanevano sospesi sul vuoto. Quando notò che tornava ad atterrare, riprese a correre, incespicando non appena ritrovò la pietra sotto i suoi stivali. Non poté fare a meno di lasciarsi scappare un sorriso.
Ma non appena si guardò alle sue spalle, quel suo senso di soddisfazione scomparve.
Si era aspettata di vedere quelle creature sparire all’orizzonte dopo quel balzo. E invece le vide saltare esattamente come aveva fatto lei, balzando con agilità su rocce e dandosi lo slancio con una corsa fatta solo di salti. Erano vicini, una decina di metri.
Sentì il cuore batterle a mille e salirle in gola dalla paura.
Intanto, qualcosa dentro le premeva, come un peso che lentamente le saliva lungo il corpo. Una sensazione di stritolamento. Una spira che saliva lungo le sue viscere, che premeva per arrivare al collo.
Corse più veloce, il fiato pesante. Saltò. Ancora, di nuovo. Prendeva la rincorsa, di nuovo quel balzo.
Presto s’accorse di aver quasi percorso una valle intera. E quelle bestie erano ancora dietro di lei, per niente affaticate. Erano un’onda di colori sbiaditi, cristallini, trasparenti e di ferro arrugginito che la seguiva a pochi metri di distanza.
Incontrò una gola tra le montagne e saltando il più in lungo possibile vi si infilò dentro.
Un’oscura penombra la accolse, creata dalle alte montagne che la circondavano. La percorse fino alla fine con il fianco sinistro tanto dolorante che aveva l’impressione che una lama la stesse trafiggendo in quel punto. L’aria quasi non arrivava ai polmoni. Le stava venendo l’asma.
Si fermò.
Scosse il capo mentre gli occhi le diventavano lucidi.
Un vicolo ceco.
Un’alta, piatta parete di roccia.
Si voltò e l’onda di creatura bloccò la sua unica via di fuga. Quelli che erano ancora in aria, atterrarono.
Nella massa si fecero avanti i due presunti capi della truppa.
Li guardò e con terrore vide che i loro occhi non avevano pupille né iridi. Erano bianchi. Vuoti. Non trasmettevano espressioni.
E anche il sorriso che uno dei due le rivolse era spento. E la sua voce fu per lei una spilla di dolore nel petto:
« Tienila ferma. »
All’improvviso sentì un rumore alle sue spalle e due mani trasparenti le afferrarono le braccia. Anche se non si era aspettata che uno di loro arrivasse così all’improvviso dietro di lei, non si diede per vinta e tentò di ribellarsi. Come risposta ricevette un calcio di ferro arrugginito dietro le ginocchia che la lasciò barcollante, appesa alla stretta di quelle mani.
Il capo di quelle creature le si avvicinò e lei tenne lo sguardo fissò a terra per non incontrare quegli orribili occhi vitrei. Nel petto sentiva quella sensazione di stritolamento stringersi. Era come se qualcosa volesse uscire dalla sua gola e premeva alla base di essa, sempre con più insistenza mentre la sua paura cresceva.
La creatura parlò da sopra la sua testa china:
« Troppo tenera e dolce per essere un guerriero della Discordia. » Sputò ai suoi piedi « Uccidetela. Saziatevi delle sue suppliche, solo guardarla mi viene la nausea… animale rosa e viscido… » 
Lei ruotò gli occhi verso di lui, guardandolo con odio mentre si voltava e tornava verso la sua truppa.
Te lo do io il viscido…
Quel nodo alla gola esplose ed ebbe l’impressione che qualcosa le stesse per uscire dalla bocca.
Dalla schiena sentì i muscoli tendersi, qualcosa cambiava e mentre muta ascoltava quella sensazione, la rabbia le oscurava la mente, rendendola quasi incosciente a ciò che le stava accadendo.
Le presa delle mani sulle sue braccia lentamente si indeboliva. Fino a quando lei non si sentì improvvisamente forte, strattonò con tutte le sue forze la creatura alle sue spalle, sbattendola contro il muro di roccia. Si voltò e allungò la mano contro di lei.
Artigli lunghi quanto pugnali ancorarono l’essere alla parete per il collo. Quello emise rantoli strozzati e invano cercò di liberarsi. Dopo pochi secondi lei si trovò a stringere la gola del mostro soffocato… ma… al posto della sua mano rosea e nuda… c’era…
O cavolo!
Allontanò all’istante la mano dal cadavere che cadde atterra come un burattino a cui tagliano i fili. La guardò e non volle credere ai suoi occhi.
Era una zampa coperta da spesse squame bianche-giallognole e lunghi artigli acuminati brillarono come il metallo.
Il capo delle creature si voltò e lei pure.
Incrociarono gli sguardi, entrambi spaventati per quel mutamento. Ma lei era sicura che negli occhi bianchi dell’essere, per quanto inespressivi essi fossero, c’era vero terrore. Furono quegli occhi a ingrossare quella sensazione che provava dentro. La paura crebbe con essa.
Sentì il corpo cambiare, vide le gambe mutare anche loro in zampe, il suo corpo venire coperto da spesse squame, sulle tempie sentì le ossa del cranio muoversi.
Con un urlo di terrore cadde a carponi davanti agli occhi inespressivi degli esseri spaventati e stupefatti.
Un dolore lanciante la prese alle spalle e anche le ossa della schiena e le vertebre la fecero gemere per la sofferenza che provava.
All’improvviso qualcosa esplose sul dorso.
Con la coda dell’occhio vide qualcosa muoversi. Voltò lo sguardo, spaventata.
E le vide. Grandi, spalancate, bianche.
Ali!
Squame di ogni dimensione che avevano la forma di piume bianche candide. si muovevano senza coordinazione, attaccate alle sue spalle come un altro paio di braccia.
Dolore. Provò un immenso dolore.
Urlò e alle sue orecchie giunse il suono di un ruggito.
Con gli occhi che lacrimavano vide le creature arretrare, atterrite e terrorizzate che la guardavano.
Guardò le sue mani poggiate sul terreno per sostenere il corpo tremante… o meglio guardò le zampe artigliate. Si sentiva terribilmente cambiata. Sentiva che quel corpo non apparteneva a lei. Non sapeva nemmeno cosa era diventata.
Il capo degli esseri si riprese e puntò la sua arma contro di lei, urlando con la sua voce distorta:
« Eliminatela finché è debole! »
L’onda di creature si riversò addosso a lei con un urlo di battaglia.
La rabbia e la paura montarono in lei come un torrente in piena.
Alzò gli occhi verso di loro, lo sguardo demoniaco e mostruoso, lo sapeva che lo stava trasmettendo e sapeva anche che lo stava facendo apposta.
Si alzò sulle quattro zampe e aspettò l’impatto dell’onda.
Richiuse le ali intorno al corpo.
Sentì i corpi degli esseri accalcarsi come formiche sopra di esse, cercando di trafiggere con le armi le spesse squame. Quando il peso raggiunse il limite di sopportazione, con ogni suo briciolo di forza, dispiegò violentemente le ali con un sonoro sciocco delle squame che sbattevano l’una contro l’altra. Le creature furono scaraventate via con immane potenza, sbattendo contro le pareti rocciose e rotolando a terra. Ma come se niente fosse, si rialzarono indenni e partirono di nuovo alla carica.
Li vide avanzare e allora mise in atto artigli, zanne, ali e, con sua enorme sorpresa, una coda munita di spunzoni trafisse diversi degli assalitori. Con un colpo di testa scoprì sul capo delle corna e la spinosa, spessa e resistente pelle coriacea che le contornava il muso.
Erano troppi, numerosi come le formiche di un formicaio, invincibili, nessuna ferita li fermava. Le salivano sul corpo come zecche, aumentando il peso sulle sue spalle.
Era stremata, combatté ancora. Le armi presero a rompere le squame a squarciare la pelle rosea sotto di esse, combatté con ancora più rabbia. Sentiva il sangue correrle per il corpo, lottò per la vita. Con quel corpo che imparava a conoscere solo massacrando, con quella paura venire convertita in rabbia, con quella furia indomabile che sentiva premerle nel petto e animarla.
Eppure, quando sentì le forze venire improvvisamente a meno, tutto crollò ai suoi piedi. La tempesta che fino a quel momento la teneva in piedi cessò.
Con un ruggito di frustrazione, cadde a terra, sfinita.
La voce distorta del capo fece allontanare all’istante gli altri esseri che si erano già preparati a massacrarla con le armi:
« FERMI! IDIOTI SENZA CERVELLO! »
Lo vide avanzare trionfante verso di lei, in mano vide che teneva un’arma di grandezza spropositata. Era una punta in metallo attraversata da linee scure, rompendola in pezzi che, probabilmente potevano essere staccati.
Lo guardò troneggiare su di lei e con un ringhio sperò di spaventarlo. Ma da dietro l’elmo munito di lunghe corna, sempre che ci fosse qualcosa dietro,  venne solo una risata agghiacciante:
« Il signore della Disperazione apprezzerà di certo una nuova, stupida, pedina viva. I Manikins, finalmente, mostreranno all’Onnipotente Oscuro che le creature del Nulla valgono molto di più che semplici, deboli, mortali! »
Vide la sua immagine sdoppiarsi e sfocare. La testa doleva.
Le sue palpebre calarono sugli occhi, facendola sprofondare nel buio mentre la voce della creatura sussurrava come un eco lontano:
« Odiosi, stupidi, draghi… »
Draghi… draghi?
Un lampo le attraversò la mente.
Fu allora che capì.
Ricordò.
Ginevra von Darnus…

 

Salve a tutti!
Ansia? Sì, ne avevo anch'io mentre scrivevo, come se non sapessi come sarebbe andata a finire. E invece lo so benissimo. Finalmente adesso sapete il nome della tipa di cui avete seguito la vicenda per due capitoli. Mi piace tenere le persone sulle spine fino a quando non ci sclerano. e molto spsso lo faccio più nelle storie che nella vita reale... ma enso sia un ottimo espediente per interessare le persone. Alcuni si arrendono e mollano il colpo. Spero che con questa storia non valga lo stesso.
Che fine avrà fatto Ginevra? Cosa ci nasconde questa sua trasformazione? Perchè diavolo, tu, scrittrice dei miei stiavali, aggiungi draghi dove cavolo ti capita quando in Dissidia praticamente non ce ne sono? (Risposta: Aspettate e vedrete) Lo scopriremo insieme nel prossimo capitolo.
P.S. per coloro che conocono Dissidia: capito chi è il Manikin a capo della truppa? Si capisce abbastanza chiaramente? 
 

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Capitolo 4
*** Nelle mani della Discordia ***


« Io avviso Chaos, tu tienila d’occhio. Il mio effetto su di lei durerà abbastanza da permettermi di andare e tornare. E se… »
« Ehi, ehi, ehi! Ho capito! Io sto qui con lei, tu vai a fare il tuo lavoro e se si sveglia… beh, ho capito! »

***

Jecht se la tolse dalla spalla con uno sbuffo, la poggiò a terra con gentilezza.
« Dannazione… » Si disse tra sé e sé.
Si lasciò cadere con pesantezza accanto a lei, conficcando l’enorme spadone nel terreno.
La guardò:
« Diavolo, proprio come con i bambini… »
Già, lui se ne intendeva di bambini. Proprio tanto.
Si grattò la testa, scompigliandosi i lunghi capelli neri più di quanto non lo fossero già, e si sistemò meglio l’armatura che gli copriva il braccio sinistro. Poi si stiracchiò.
Non ci riusciva a stare fermo. Né tanto meno zitto.
La fissò ancora:
« Ma come diavolo sei conciata dopo quella trasformazione? »
Come risposta, il viso sereno e dolce della ragazza addormentata.
Jecht grugnì:
« Ah, lo so che non puoi sentirmi. Nube Oscura ti ha fatto proprio un bel favore e farti dormire. Beh ma io non ci sto zitto. Non ci riesco! Almeno ho qualcuno con cui parlare, anche se non mi sembri molto attiva come persona. Ma sei interessante. »
La guardava e non poteva fare a meno di accorgersi che in lui stava nascendo affetto per quella ragazza.
« Ah… essere padri è pericoloso. Finisci per affezionarti a tutti i bei faccini che ti trovi in giro. Non saprei spiegare… è come se… ti nascesse un sesto senso per la protezione. Appena vedi qualcuno che ha bisogno di aiuto… Zam! Corri sul posto. »
La ragazza sospirò a fondo.
Jecht scosse il capo:
« Il povero vecchio Jecht deve davvero avere seri problemi di mente se si mette a parlare da solo. Spero sia effetto della vecchiaia… »
Aspettò qualche secondo e nel frattempo si sentì ancora più stupido ad assumere quella reazione:
« Ma a cosa serve parlarti? »
Una voce gli rispose dall’ombra.
« Le serve molto più di quanto tu pensi. »
Jecht alzò lo sguardo e da dietro una delle rocce lunari vide comparire un’alta figura. Indossava un’armatura molto decorata, pesante, enormi spallacci appuntiti poggiavano sulle spalle e un grande mantello blu era attaccato ad essi. Il volto era coperto dall’elmo cornuto che la faceva apparire piccola in confronto al corpo. Dalla fessura per gli occhi, si intravedeva una singola luce.
Jecht lo guardò uscire allo scoperto con il passo pesante, dal buio delle ombre proiettate dalle colline lunari, alla luce delle due lune.
Si fissarono per diversi secondi poi l’uomo chiese:
« Sei sicuro? A me non sembra così attenta al discorso. E poi… beh… parlare da solo non si può dire sinonimo di salute. »
« Tu lo credi. » Gli rispose l’altro.
Jecht rimase in silenzio, calando gli occhi sulla ragazza.
« Non ti soffermare sull’apparenza, Jecht. Devi guardare oltre, allora saprai se lei davvero ignora le tue parole. »
Jecht si mise le mano dietro la nuca e s’appoggiò alla roccia lunare:
« Ah, Golbez, smettila di parlare per enigmi! Vuoi dirmi che è sveglia e dorme allo stesso tempo? Io non ci credo. »
« Può sembrare stupido per te, ma per lei, che probabilmente non sente la voce umana da tempo, anche se dorme, le tue parole non sono date al vento. Stanno dando speranza. »
Jecht ridacchiò:
« Ah! Lo considererò un complimento! »
Rimasero in silenzio per molti minuti. E i loro occhi spesso fuggivano verso la figura rannicchiata per terra immersa nel sonno. Il suo aspetto era la calamita che li attirava.
Jecht tornò a sedersi composto, serio, parve perdere l’atteggiamento spensierato che aveva avuto fino a quel momento:
« Ehi, Golbez… »
« Mh? »
« Hai visto quello che ha fatto? »
« Sì, ho visto. »
Jecht corrugò la fronte:
« Come ci è riuscita? Tu ti intendi di draghi, conosci il loro potenziale. Come ha fatto a diventare una di loro? »
Golbez dopo un secondo di silenzio, si voltò, il mantello compì un ampio movimento arioso:
« La paura a volte libera ciò che più teniamo nascosto dentro di noi. »
E prese ad incamminarsi per tornare a nascondersi nell’ombra. Jecht balzò in piedi e lo chiamò:
« Ehi! Non vorrai lasciarmi la bambola ridotta in queste condizioni e piantarmi in asso! »
Golbez voltò di poco il capo, fermandosi:
« Cosa intendi dire? »
Jecht si voltò a guardare la ragazza, di nuovo attratto da quell’aspetto strano e da quel volto dolce e gentile:
« Non voglio che finisca in mano di Chaos... La distruggerebbe. » Golbez si voltò del tutto, interessato « Sai bene come me che le file della Discordia sono quanto di più oscuro ci sia in questo universo. Non è un privilegio combattere con coloro che aspirano alla distruzione. Noi due ne siamo un esempio. Abbiamo sempre voluto portare il bene, ma i nostri animi, nel profondo, erano macchiati dei nostri peccati nel passato. Questo ci ha condotti tra queste, dannate e maledette file. »
Golbez abbassò lo sguardo anche lui sulla ragazza:
« Hai ragione. Capisco, quello che intendi. Forse si può fare qualcosa. »
Jecht lo guardò, speranzoso.
Golbez si riavvicinò, questa volta più vicino:
« Quando si giunge qui per la prima volta, si parla di corpi vuoti, contenitori che vanno riempiti o di luce o di oscurità. Siamo ancora in tempo per riempirla del bene e non del male. Se riuscirà a diventare una guerriera dell’Armonia, sono sicuro che la Dea potrebbe riuscire a porre fine anche a questo conflitto con una vittoria assicurata. »
« Sei così sicuro delle sue abilità? » Chiese Jecht.
Lo Stregone annuì:
« Io sono certo. Dopo quello che ho visto, credo in lei più di quanto non creda in me stesso. »
Jecht si grattò la testa e ridacchiò:
« Beh, allora si cammina sul sicuro! »
Golbez lo guardò:
« Sei sicuro di volerti assumere un carico così pesante? »
Jecht afferrò saldamente l’elsa dello spadone e lo sollevò, caricandoselo sulla spalla:
« Ragazzo, io sono nato per gli incarichi pesanti! »
Golbez fece un passo indietro mentre l’uomo si caricava anche la ragazza sulle spalle. Jecht sbuffò:
« Avanti, facciamo il primo passo! »
Golbez si voltò:
« Seguimi. Ho già in mente a chi consegnare il pacco… »
 



Salve a tutti!
Scrivere questo capitolo, può sembrare strano, mi è costato un sacco di scervellamento. Ma per fortuna ci sono i personaggi di FFIV a risolvere la situazione. Compagni fedeli fino alla fine!
Al prossimo capitolo!

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Capitolo 5
*** Compagni d'avventura ***


Ginevra aprì gli occhi e si guardò intorno, confusa.
Dove sono?
S’alzò.
Notò con curiosità che si trovava sopra una pedana sospesa, intorno a lei ce n’erano altre, tutte collegate tra loro. Ad ogni incrocio, angolo o rientranza nella parete vi erano alte capsule cilindriche in vetro. Si sporse dalla pedana e sotto di lei vide le costruzioni che le sorreggevano, con lunghi tubi in metallo che andavano da un muro all’altro. Dal pavimento salivano altre pedane che portavano a dove si trovava lei.
Che strano posto. Credevo di essere rimasta nel vicolo cieco…
Rimase ferma, in piedi, a guardare il vuoto per molti, lunghi minuti mentre i ricordi le riaffioravano in mente. Anche la trasformazione e il dolore che aveva provato erano ancora vivi in lei. E si sentiva strana, forse diversa da come era prima.
Fu un verso a distoglierla dai suoi pensieri.
Era un fischio acuto, un pigolio potente. Una galoppata seguì quel suono.
Ginevra si voltò e da dietro un angolo vide comparire una grossa figura dal corpo tondo coperto da candide, luminose piume giallognole. Per coda, la creatura aveva  un ciuffo di lunghissime piume, così come sua testa che svettava in cima all’elegante collo morbido. Due robuste e grandi zampe a tre dita reggevano il goffo corpo. Quando riuscì a scorgere il becco in mezzo a tutto quel giallo, a Ginevra l’animale ricordò un uccello, una gallina troppo cresciuta. Questa la vide, puntando due grandi occhi blu su di lei. Emise quel potente pigolio e prese a correrle incontro, dondolando nella corsa.
Ginevra si voltò per correre via ma pochi metri davanti a lei trovò il muro di metallo a bloccarle la strada. Si gettò a terra, nascondendo il volto tra le braccia, rannicchiandosi mentre sentiva l’animale fermarsi esattamente sopra di lei. Non alzò lo sguardo nemmeno quando un becco le bacchettò la schiena, senza forza. Trovò, invece, il coraggio di gridare:
« No! Vattene via! Schoo! »
Un voce maschile, lontana e che si avvicinava, esclamò:
« Boko! Boko! Per la miseria, vieni qui! »
Ginevra sentì l’animale togliersi da sopra di lei e correre indietro. Fu allora che, incerta, si alzò, voltandosi.
Due figure si presentarono davanti ai suoi occhi, l’animale, come un cagnolino, era accucciato dietro di loro.
Uno dei due nuovi arrivati,  era un ragazzo sui diciannove anni dal fisico snello e atletico che indossava una canottiera azzurra a collo largo, uno spallaccio dorato sulla spalla sinistra, numerose fasce e fusciacche legate in vita, pantaloni aderenti a strisce verticali bianche e grigie e stivali da viaggio alti fino a mezza gamba. Dai polsi fino al gomito aveva bracciali di stoffa, sulle spalle un corto mantello azzurro e un coltello al fianco. Sulla testa aveva una massa scompigliata di corti capelli castani. Due occhi marroni chiari la fissavano con interesse e stupore.
Al fianco di quest’ultimo c’era un secondo ragazzo di sedici anni, piuttosto piccolo di statura, ma con un fisico proporzionato. I capelli biondi erano tagliati in modo da incorniciare il viso  e dietro erano legati in un codino. Sotto un gilet blu con cinghie sulle spalle, indossava una camicia bianca priva di maniche. Alle mani aveva guanti verdi chiaro con enormi polsini ornali di gemelli. Indossava un paio di pantaloni blu e stivaletti grigi; in vita portava una cintura con una grossa fondina in pelle. Il viso le parve quasi quello di un bambino perché i due grandi occhi azzurri del giovane erano gentili ed infantili nel complesso, oltre che per l’effetto che la sua statura trasmetteva.
I due, intanto, si erano avvicinati e lei non aveva battuto ciglio nel vederli avanzare.
Sembravano così sconcertati che la ragazza si chiese cosa diavolo in lei li rendesse così basiti.
Il ragazzo dai capelli castani, dopo molti, sconcertanti,  minuti di silenzio, si mise una mano sul fianco e tossicchiò:
« Ehm… Ehm… Chi-chi sei? »
Ginevra lo guardò e lo vide quasi impallidire:
« Mi chiamo… Ginevra von Darnus. »
Forse era la prima volta che sentiva la sua voce. Non le dispiacque quel tono gentile che aveva.
Il biondino prese parola con un’altra domanda:
« Fai parte delle schiere del Chaos? »
Lei corrugò la fronte:
« Di chi?! »
Il ragazzo castano si rivolse al compagno:
« Zidane, questa non sa nemmeno chi sia... » Subito dopo, persa in parte quell’espressione di smarrimento, s’affrettò ad un veloce inchino e disse « Oh! Il mio nome è Bartz Klauser. »
Il biondino fece un salto in avanti, un sorriso apparentemente forzato si disegnò sul suo volto mentre con aria spavalda si presentava:
« Signorina, il mio nome è Zidane Tribal, è un onore fare la vostra conoscenza. »
Ginevra rimase di masso:
« Ehm… grazie. Il piacere è tutto mio. »
L’animale giallo comparve all’improvviso da dietro i due, pigolando felice.
Zidane parlò:
« Questo è Boko, il nostro chocobo. Scusa per il suo scortese benvenuto, ma è nuovo di qui ed è un po’ eccitato. »
Cho-co-bo… Ok. Dunque questa gallina gigante è un chocobo. Devo ricordarmelo, si disse.
Bartz prese subito la parola:
« Ehi, non per farmi subito gli affari tuoi appena conosciuta, ma… cosa sei? »
Ginevra si perse:
« Cosa sono? »
Il ragazzo si grattò la testa e cercò le parole con sforzo:
« Beh, ecco… hai un aspetto… non offenderti, ma… mi sembri umana solo per metà. »
La ragazza parve mutare in pietra, con gli occhi sbarrati su quelli marroni del giovane. Si riscosse e cercò in fretta uno di quei cilindri in vetro, il più vicino che trovava. Corse verso uno alla sua destra e guardò il suo riflesso.
Un gridolino di spavento le scappò di bocca.
Si toccò il volto, si fissò con spavento.
In alcuni punti della pelle aveva squame bianche a forma di rombo che andavano a comporre dei disegni. Partivano dal naso, gli zigomi sotto gli occhi, poi le guance, scendevano giù lungo l’esile ed elegante collo, sparendo poi sotto il vestito dove continuavano lungo i fianchi. Si toccò le gambe e scoprì che ne aveva un’altra fila lungo l’esterno delle gambe e le cosce fino ai piedi. Si toccò la schiena e trovò che lungo la spina dorsale aveva una piccola, bassa cresta coriacea. Poi vide le squame sulle braccia, finendo a coprire il dorso delle mani dove tempo prima aveva sentito mancare qualcosa. Si stupì ancora di più quando sulle tempie scoprì di avere due lunghe, sottili, eleganti e bianche corna rivolte dolcemente indietro e coperte da una superficie d’osso ruvida e spigolosa.
Presa dal panico, con le dita cercò di grattare via le squame, ma senza riuscirci, rischiando addirittura di farsi male. Nell’atto, si scostò la frangia e sulla fronte vide una grande squama bianca diversa dalle altre. Aveva una forma tale da apparire come la membrana di un’ala dispiegata.
All’improvviso sentì una sensazione di fastidio nel fondo schiena. Qualcuno la toccava.
Si voltò di scatto, spaventata, lasciandosi scappare di nuovo quel gridolino.
Incrociò gli occhi azzurri del biondino, accovacciato con la mano ancora protesa verso qualcosa che gli era scappato di mano. S’alzò all’istante e balbettò:
« Oh! Scusa, scusa! Solo, che ho appena scoperto che siamo simili! » E con eleganza, da dietro il ragazzino, comparve una lunga coda da scimmia.
Ginevra strillò:
« Hai…hai… hai la coda! »
Zidane alzò le spalle, scuotendo il capo:
« Ehi, anche tu l’hai! Non lo sapevi? »
Il suo cuore perse un battito:
« Io… ho… cosa? »
Con timore voltò lo sguardo alle sue spalle e scorse qualcosa muoversi. Poi la vide. Lunga, bianca, coperta dalla dura pelle coriacea, sulla punta svettavano quattro magnifici spunzoni acuminati.
Ginevra urlò, cominciando a girare in tondo nel tentativo di afferrare quel “serpente” bianco attaccato al suo fondo schiena:
« Ah! Ah! Toglietela! Toglietela! »
Zidane protestò:
« Ma come faccio a toglierti la coda?! È la tua! Non posso tagliartela! »
Bartz intervenne, afferrando la ragazza per le spalle, dandole una breve scrollata e fermandola da quell’agitazione arrivata alle stelle:
« Ehi! Calma! D’accordo, abbiamo capito. Forse sei ancora nella fase confusionale, non hai ricordi. L’amnesia è stata tanto forte che ti sei dimenticata come sei fatta... o probabilmente ti è successo qualcosa di strano. È normale, non ti agitare. Adesso ci siamo noi, metteremo a posto le cose. »
Ginevra lo fissò negli occhi, i suoi li sentiva lucidi:
« Mi aiuterete? »
Zidane arrivò da dietro, affiancato da Boko:
« Ci puoi contare! Sempre pronti ad aiutare una principessa che ha bisogno d’aiuto! »
Bartz le lasciò le spalle quando vide che finalmente si era calmata.
La ragazza annuì:
« Grazie, grazie mille. »
Il ragazzo castano sorrise raggiante e annuì pure lui:
« Basta che non ti stropicci la coda! »
Zidane incorciò le braccia e disse:
« Ehi, ti troverei un soprannome. Ginevra è troppo lungo e serio come nome. Dai, dammi un nome con cui chiamarti, anche per iniziare meglio il rapporto d’amicizia. »
Lei ci pensò:
« Gyn. »
Zidane saltò, battendo il pungo sulla mano:
« Mi piace! »
Il chocobo alle sue spalle fischiò, felice.
Bartz le rivolse di nuovo il suo sorriso:
« Perfetto! Gyn, ora sei nella squadra. Dobbiamo solo presentarti ad una persona e tutto sarà a posto. Intanto ti insegneremo qualcosa per rinfrescarti un po’ la memoria. »
Zidane poggiò una mano sulla spalla di Boko e l’animale s’accucciò, ubbidiente. Poi con un balzo saltò sulla sua groppa, agitando la coda:
« Per prima cosa, come si monta un chocobo. »
« Montare un chocobo? Non ci penso nemmeno! Non so nemmeno se da dove vengo ci sono quei cosi! »
Bartz le prese gentilmente il braccio e la avvicinò all’animale:
« Beh, non è mai tardi per imparare. Forza, salta su, arriveremo prima. »
Ginevra si caricò a peso sull’uccello giallo e si trovò in difficoltà perché le piume la facevano scivolare giù. Ma non appena sentì il contatto con esse, qualcosa nella sua mente si mosse. Quella sensazione non le era sconosciuta. Fu quello che le diede un minimo di determinatezza. Adesso sapeva che probabilmente aveva già montato un animale simile.
Bartz si sedette dietro di lei e con il suo permesso le cinse la vita per reggerla.
Ginevra chiese:
« Dove andiamo? »
Il ragazzo alle sue spalle le rispose:
« Al Santuario dell’Ordine, dalla Dea dell’Armonia, Cosmos. »
Zidane diede un leggero colpo di talloni ai fianchi del chocobo che, sbattendo le sue piccole ali ed emettendo il suo allegro fischio, si alzò e prese a correre con quella sua anda dondolante.

***

Jecht scosse il capo, gli scappava da ridere, mentre guardava il chocobo galoppare via con i tre in sella.
Golbez, nascosto poco distante, nell’ombra del muro, le braccia incrociate e il bagliore dietro la fessura dell’elmo che puntava, luminoso nella penombra, ancora sul gruppo che si allontanava, chiese:
« Perché ridi? »
L’uomo si grattò la testa e solo in quel momento si concesse una risata:
« Ah, l’abbiamo di nuovo fatta grossa! »
Golbez ora si trovava a guardare il vuoto, perché i tre erano già spariti dietro i muri in metallo, attraversando pedana dopo pedana:
« Abbiamo fatto quello che dovevamo. Ginevra ora è in mani più sicure delle nostre. »
Jecht staccò la schiena dal muro e lo guardò:
« Sicuramente non mi sarei aspettato che scegliessi loro come custodi della nuova arrivata. Sono quasi bambini! Non hanno senso di giudizio, sono ingenui, non sono in grado di portarla salva al Santuario dell’Ordine! »
« Infatti non saranno soli. »
Jecht rimase in silenzio, curioso, aspettando la risposta. Solo allora il bagliore dietro l’elmo dello stregone puntò verso di lui, segno che lo stava guardando. Passarono minuti e nel frattempo Jecht cominciava a capire:
« Ah! Ma tu vuoi farti proprio beccare! Darai troppo nell’occhio! Andiamo, non esagerare. Rischi seriamente la pelle. »
Golbez parlò, la voce tanto bassa da essere quasi impercettibile e l’ombra dietro cui si nascondeva la rendeva ancora più profonda:
« Ormai cos’ho da perdere, Jecht? L’unica mia speranza è credere in coloro che ne hanno davvero. Come molti di noi che sono stati nuovamente convocati a questa carneficina, ho abbandonato la speranza di trovare la pace, il riposo. Io voglio che l’Armonia trionfi. Così, una volta ricongiunti ai rispettivi mondi, l’universo tornerà alla tranquillità e noi potremo riporre le armi. »
« E se tornati a casa per noi non ci fosse futuro? » Chiese Jecht.
Golbez si voltò, pronto a sparire nell’oscurità:
« Accetterò ciò che per me è stato prescritto, fosse anche che ad attendermi ci sia solo la morte. »
Jecht avrebbe voluto aspettare prima di chiedere, ma appena i suoi occhi ebbero difficoltà a distinguerlo nel buio, decise di parlare:
« Andrai davvero tu o manderai qualcun’altro? »
Lo stregone si fermò e il silenzio fu tutto ciò che l’uomo udì per molto tempo. Gli stava davvero a cuore della situazione. Era preoccupato per tutto, per Ginevra, per Golbez e per il suo gioco a carte scoperte, per il rischio che entrambi stavano correndo. E sapeva benissimo che allo stregone i suoi crucci non erano un segreto.
Poi, dal nero, la voce di Golbez fu giusto un soffio di vento:
« Io mi sono fatto carico di tutto ciò. Io ho iniziato, io finisco. »


 



Salve a tutti!
Scusate per il ritardo!
Fine scuola►Un sacco di cose da fare►Tempo per scrivere si riduce del 70%
Temo che andando avanti con la storia dovrete aspettare sempre un poco di più del solito. Magari poi non succede. Chissà, dipende da cosa salta di fare alla mia testa.
Spero la presenza di un chocobo nella saga di Dissidia non vi dispiaccia. Ho preso quello più famoso che stava bene nella compagnia di Bartz e Zidane. Spero anche che il capitolo sia piaciuto.
Alla prossima! 

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Capitolo 6
*** L'Au'Ra ***


Tenne il capo chino. Non lo guardò. Concentrò la mente solo su quello che doveva riferire. Ma impiegò molto prima di parlare:
« Mio Signore, la ragazza non è più nelle nostre mani. »
La voce del Dio fu bassa, tetra, maligna nel profondo e infastidita:
« Perché? »
La domanda gli arrivò come uno schiaffo in faccia e con la coda dell’occhio, dal basso, vide una coda agitarsi, irritata.
« Il custode sostiene che lei si sia improvvisamente svegliata e sia fuggita, utilizzando la sua trasformazione in drago. » Rispose Garland.
« E perché non ha dato l’allarme? »
Il Cavaliere non seppe rispondere e con tono afflitto si scusò:
« Perdonatemi… non lo so. »
La sua prima tentazione fu di alzarsi da quell’inchino e darsela a gambe prima che la furia del suo padrone gli si rivoltasse contro. Ma con suo stupore, il Dio non fece una piega, grugnì solo, fissandolo dal suo trono, dall’alto:
« Il Manikin a capo della truppa che l’ha attaccata ha subito il giusto trattamento? »
Garland abbassò ancora di più il capo, ricordando il fatto:
« Sì, mio Signore… È tornato dove è giusto che stia… »
« Molto bene. »
Il silenzio calò per minuti mentre il Cavaliere aspettava ordini, sempre inchinato e immobile.
All’improvviso il Dio replicò:
« Trovatela. Trovatela prima che riceva la benedizione della Dea. Altrimenti sarà troppo tardi e avremo perso un alleato prezioso. »
Garland si alzò e lo guardò negli occhi, annuendo:
« Sì, mio Signore! »

***
Boko si fermò, fischiando.
Zidane saltò giù dalla sua groppa, agile come una gazzella e agitando vanitosamente la sua coda da scimmia.
Porse la mano a Ginevra:
« Vuoi una mano? »
Lei scosse il capo:
« Riesco a scendere da sola. »
In realtà non ne era minimamente capace e si affidò alla sorte. Si lasciò scivolare lungo il fianco del chocobo. Ma si accorse solo in quel momento di quanto fosse alto l’animale e cadde a terra da quasi due metri di altezza. Boko la guardò interrogativo dall’alto, evidentemente nessuno era mai caduto dalla sua groppa.
Bartz le chiese:
« Tutto a posto? »
Gyn si alzò, sollevando il mento e togliendosi la polvere dai vestiti:
« Sto benissimo! »
Un movimento della sua coda coriacea diede un chiaro segno di fastidio che ai due non sfuggì.
Devo imparare a comandarla, esprime troppi sentimenti…
E mentre Bartz scendeva pure dalla groppa del chocobo, Ginevra si allontanò con passo elegante e ancheggiando vanitosamente.
Zidane si sporse verso l’amico e, posando una mano da un lato della bocca, sussurrò:
« Hai visto che curve? »
Bartz scosse il capo:
« Mah! »

***

Il paesaggio intorno a loro era lo stesso in cui Ginevra si era ritrovata prima dell’inseguimento dei Manikins. Quella vasta landa deserta e rocciosa accoglieva i loro occhi, ma i suoi due compagni non parevano per niente impressionati da quel posto. Appena usciti da quel luogo misterioso in cui lei si era ritrovata, quella terra l'aveva accolta. Aveva quindi chiesto indicazioni ma Bartz aveva preferito raccontarle tutto dopo, una volta accampati. Così, galoppando veloci, si erano allontanati dal luogo, viaggiando per valli e valli, gole tra le montagne e colline. Si erano avvicinati per un tratto al minaccioso mare nero e turbolento, attraversando una delle desolate spiagge. Il cielo diventava sempre più luminoso, mentre le nubi rosse andavano svanendo all’orizzonte alle loro spalle. Avevano impiegato due giorni di corsa e il chocobo aveva camminato solo durante la notte, senza però fermarsi.
Erano arrivati davanti un crepaccio, accanto loro scorreva un torrente che precipitava proprio nella fossa. S’accamparono lì e in un angolo accesero un fuoco con rametti secchi che trovarono sparsi nei dintorni e con pietre focaie che Zidane aveva con sé. I due ragazzi offrirono a Ginevra un mantello con cui coprirsi per la notte e si posizionarono tutti intorno alla fiamma per scaldarsi.
La ragazza, quando vide Boko bere l’acqua gelida del torrente, si rese conto di non aver mangiato o bevuto fino a quel momento. Fu così che dopo pochi minuti, con timidezza, disse:
« Avrei un po’ di fame… »
Bartz, sorridendo, si alzò dal suo cantuccio e replicò:
« Tono subito! » E così, correndo, sparì dietro i massi che li circondavano e proteggevano dal vento.
« Ma dove è andato? » Chiese la ragazza a Zidane.
Il ragazzo, con un sorrisino sulle labbra, le rispose:
« Ha prendere le provviste. »
« Pensavo le aveste dietro. »
Lui alzò le spalle:
« Beh, in realtà sono tutte sparse un po’ in giro. Ma noi sappiamo dove sono, col tempo imparerai a riconoscere i posti. »
E dopo poco, Bartz ritorno con in grembo tre ampolle di liquido trasparente come l’acqua, ma più denso. Ne consegnò una a Ginevra e poi ritornò al suo posto, offrendo la seconda al compagno. La ragazza li guardò bere quella sostanza tutta d’un fiato e appena finito sui loro volti c’era un’espressione soddisfatta.
Ginevra guardò il contenuto e chiese:
« Ma cosa sono? »
Zidane rispose:
« Sono Elisir. »
« E a cosa servono? »
Bartz prese a giocare con l’ampolla vuota:
« Sono la nostra forma di rifornimento. Ti dissetano e sfamano, riempiendoti la pancia fino a che non ti senti scoppiare. Qui puoi non sentire il bisogno di mangiare anche per giorni, ma prima devi bertela proprio tutta! »
Gyn rimase sconcertata dalla rivelazione:
« Ma… ma si mangia solo questo? »
Zidane alzò le spalle:
« Sì. Ma ogni volta il gusto cambia, per questo non ti stufi di loro. Una volta ho dovuto mandare giù un Elisir che sapeva di carote… non mi piacciono le carote! »
Ginevra rise ma tornò seria quando tornò a pensare alla sua ampolla.
Bartz la incitò:
« Dai, bevila! Vediamo che gusto hai preso! »
Ginevra si fece coraggio, tolse il tappo e mandò giù l’intruglio trasparente. Svuotò completamente l’ampolla e poi ascoltò il gusto che le era rimasto in bocca:
« Mmh… mela! »
Bartz si mise una mano sulla pancia:
« Adoro le mele! Anche a Boko piacciono! »
Il chocobo si era avvicinato al ragazzo, battendo il becco sulla sua spalla. Il ragazzo dalle fasce che portava in vita raccolse un mazzo di erba e  lo porse all’animale che lo raccolse in bocca e poi filò via per gustarsele.
« Cos’è? » Chiese lei.
« Erba Ghisal. I chocobo la amano. » Rispose lui.
Dopo qualche minuto, passato nel silenzio, i tre si coricarono per dormire, mentre una surreale penombra si allargava come una mano sulla dimensione: la notte calava.

Ginevra si alzò: non riusciva a dormire. Aveva troppi pensieri in testa.
Il più silenziosamente possibile si allontanò dal suo cantuccio senza svegliare i due che ronfavano alla grande, chocobo compreso.
Si arrampicò sul masso che li proteggeva e si sedette sopra di esso, arrotolandosi il mantello sul corpo per scaldarsi. E con gli occhi acquamarina guardò il mondo intorno a lei, scavando nei ricordi. Ma tutto ciò che la sua mente era capace di assorbire dal passato reso oscuro era il suo nome che le ispirava una seconda parola: Au’Ra. Non sapeva cosa voleva dire, non sapeva cosa era. Ma si legava al suo nome, in qualche modo. Nei minuti che passarono, nella sua mente poche sensazioni le rinacquero dentro. Ma erano tutte negative: paura, terrore, sofferenza. Un’immagine si svelava alla mente: un pavimento macchiato di sangue. Ma non ricordava dove aveva visto quel particolare, né come e perché fosse lì.
Fu turbata da quell’immagine. Volle cancellarla dalla testa e si diresse verso il torrente.
Raccolse l’acqua gelida nelle mani a coppa e se la gettò in volto.
Poi, vide il suo riflesso.
Quella pelle con le squame, quegli occhi acquamarina, quelle eleganti corna bianche...
Si slacciò i nastri che formavano i codini, vedendo per la prima volta i suoi capelli biondo-platino sciolti sulle spalle. Li scompigliò un po’, poi li raccolse in un’alta coda e li legò stretti. Annuì, contenta del nuovo cambiamento, ora si sentiva meno infantile che con i codini. Tornò alla sua pietra e di nuovo si sedette, abbracciando le gambe piegate e arrotolando la coda sui piedi. Poggiò il mento sulle ginocchia e chiuse gli occhi, ascoltando il silenzio del mondo avvolgerla con impressionante forza.
« Non riesci a dormire? » Chiese una voce dietro di lei.
Si voltò e vide i grandi occhi blu di Zidane fissarla, allegri.
Lei sorrise:
« Sì… sono troppo scossa per tutto questo. »
Il ragazzo con un balzo si sedette accanto a lei e anche lui arrotolò la coda sui piedi, sbuffando:
« Ah, capisco. A tutti fa questo effetto. »
Ginevra divenne seria e chiese:
« Zidane, mi dici dove sono e che cosa succede qui? »
Il ragazzo si grattò il capo e grugnì:
« Ah, la faccenda è lunga. Non saprei nemmeno da dove cominciare. »
« Prova. » Lo incitò lei.
Lui ridacchiò e annuì, si sistemarono meglio e il ragazzo iniziò il discorso:
« Esistono due divinità: Cosmos, la Dea dell’Armonia e Chaos ,il Dio della Discordia. Questi due Dei si fanno la guerra dall’origine dei tempi per stabilire chi governerà l’Universo. Hanno scelto di arruolare soldati dai vari mondi, strappando allo stesso tempo da essi anche frammenti di mondi che si sono convogliati in questa dimensione caotica. Tu, io, Bartz e molti altri siamo guerrieri chiamati a far parte di questo conflitto che è destinato a durare in eterno. La prima volta che arriviamo qui, nessuno ha ricordi e ogni volta che la guerra ricomincia, noi li riperdiamo, anche se parzialmente. »
« La guerra ricomincia? » Chiese Gyn.
« Esiste un drago, chiamato Shinryu che purifica i guerrieri di questa guerra ogni volta che uno schieramento viene sconfitto. Tutto ricomincia e tu devi di nuovo faticare. All'inizio, eravamo molti. Col tempo molti sono scomparsi e siamo rimasti in pochi. Al tredicesimo ciclo, noi dell’Armonia eravamo riusciti a sconfiggere il Dio della Discordia e la guerra terminò. Ma ora… ora è successo qualcosa. Siamo stati di nuovo richiamati indietro, quasi tutti. E questa volta non ricordiamo molto dei nostri mondi d’origine, ma dei cicli precedenti, di quello che ho passato con Bartz, io ricordo tutto. Qualcosa è cambiato. Ci sentiamo quasi a casa qui, conosciamo questo posto, ma sentiamo che molto è diverso dal passato. Per questo io e Bartz stiamo andando dalla Dea, per capire cosa è successo. Sappiamo che altri nostri vecchi compagni saranno lì ad aspettarci. All’inizio di ogni ciclo quello era il punto di ritrovo. Questa volta ci sei anche tu, ma sei nuova, ci sarà da lavorare con te. »
Ginevra fissò il vuoto davanti a sé:
« Wow… che storia! »
Zidane rise:
« Ah! Puoi dirlo forte! Non hai idea di cosa abbiamo passato! Sarà bello condividere le nostre avventure con te! »
La ragazza sorrise, ascoltando quei minuti di silenzio che i due si concessero. Poi il ragazzo chiese ancora:
« E tu? Non ricordi proprio niente? »
Ginevra si fece improvvisamente seria:
« No… Non ricordo niente. So solo il mio nome e a questo riesco a collegarci solo una parola: Au’Ra. »
Zidane mugugnò:
« Mmh… interessante. Non hai proprio idea di cosa significhi? »
Lei scosse il capo.
Il ragazzo alzò lo sguardo:
« Sai, anch’io all’inizio al mio nome ho collegato un nome: Jenoma. »
Lei lo guardò:
« E hai scoperto cosa voleva dire? »
Zidane annuì, sorridendo:
« Ci puoi scommettere! Sai cos’era? La mia razza! » Agitò la sua coda da scimmia « Io non sono un uomo... O almeno lo sono solo per aspetto se non fosse per questa coda che cambia le cose. Forse, ciò che vale per me vale anche per te. Forse quel nome indica semplicemente cosa sei! »
Ginevra rimase pensierosa:
« Io… sono… un Au’Ra. »
Non sapeva perché, ma le piaceva come frase e la sentiva sua.
Sorrise:
« Mi piace! »
Zidane scoppiò in una fragorosa risata:
« Perfetto! Miss Ginevra von Darnus l’Au’Ra, detta Gyn! »
Scoppiarono a ridere, contenendosi per non svegliare il loro compagno che dormiva come un ghiro alle loro spalle.


 



Salve a tutti!
Devo ammettere che scrivere questo capitolo è stato bello e corto. Avevo le idee chiare.
Vorrei parlarvi del perchè mettere l'Elisir: la cosa è molto semplice e la riassumerò con un botta e risposta breve.
Il party è ai minimi termini? Elisir. Hai tutti i personaggi avvelentati dai mostri che ti intralciano la strada e su cui inciampi come sulle bucce di banana? Elisir. Cosa devi comprare quando in  Dissidia trovi un Moogle ambulante che vende pozioni? Elisir (sempre che ne abbia). Prendi un brutto voto di greco al liceo classico? Elisir... no, scherzo. Magari fosse così! Ecco, secondo me l'Elisir risolve ogni problema esistente nei giochi di FF e in questa storia mi sono proprio fatta la domanda: ma cosa mangiano quando tutti sti poveretti sono a combattere nei vari cicli? Elisir risolve tutto!

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Capitolo 7
*** Con il potere di Shinryu ***


Ginevra, per tutto il resto del viaggio, si fece raccontare dai due tutte le loro avventure. Venne informata dei guerrieri della Discordia e dei loro Manikins che lei aveva già incontrato.
Fu così che toccò pure a lei raccontare la sua storia, con grande interesse da parte dei due compagni.
Distrattamente, notò la grande e luminosa torre bianca che s’innalzava davanti a loro mentre si avvicinavano. Chiese solo cosa fosse, poi quasi se ne dimenticò quando riprese a parlare. Sapeva di essere passata attraverso un immenso arco bianco con un simbolo sospeso nel mezzo con stranissimi effetti di luce. Lo varcarono e Ginevra rimase di sasso quando vide i suoi piedi poggiare su un velo d’acqua.
Si guardò intorno e in un istante riconobbe il luogo in cui si era svegliata al suo arrivo in quella dimensione.
Fu Bartz ad aprire le braccia verso quel paesaggio:
« Gyn, ti presento il Santuario dell’Ordine! Ci sei già stata, solo che non sapevi fosse lui! »
Lei scosse il capo e un sorriso le comparve sulle labbra:
« No… non lo sapevo… »
All’improvviso, Zidane puntò il dito verso un punto lontano:
« Bartz! Quello laggiù è Squall! Guarda, è lui! »
« La tua vista mi stupisce sempre, Zidane! » Esclamò Bartz mentre caricava Ginevra su Boko. Poi salirono anche loro e spronarono il chocobo al galoppo.
« Squall… è il ragazzo delle vostre avventure? » Chiese Ginevra.
« Certo! Ora lo conoscerai! » Esclamò il ragazzo castano.
Quando furono non molto distanti dal tipo, Zidane prese a gridare a squarcia gola per farsi sentire:
« Ehi! Squall! Siamo qui! CIAOOO! »
Gyn lo vide girarsi verso di loro e, anche se ancora lontano, lesse benissimo nel suo sguardo una nota di disappunto.
Boko si fermò all’improvviso, sollevando con le zampe un’onda di chiara acqua che per poco non bagnò il nuovo ragazzo.
Zidane e Bartz scesero con un balzo dall’animale e gli si avvicinarono, mentre Ginevra faticava a scendere senza fare la terribile figura di cadere di nuovo a terra. Una volta arrivata con i piedi per terra, la ragazza esaminò il famoso Squall.
Era un ragazzo sui diciassette anni con i capelli castani scuro tagliati corto e aveva profondissimi occhi celesti. Sul volto aveva una lunga cicatrice. Indossava una giacca di pelle nera con maniche lunghe, larghe sulle braccia ma strette sui polsi, e un colletto di pelo bianco, il tutto sopra una maglia bianca con collo a V. Indossava un paio di jeans neri a vita alta, stretti ai fianchi e alle caviglie ma piuttosto larghi nel mezzo, con due cinture incrociate di pelle marrone con fibbie e borchie molto decorate. Alle mani aveva guanti di pelle neri e stivali militari neri. Lungo i fianchi pendeva la custodia di un’arma che lei non riuscì ad identificare, ma sembrava una spada molto particolare.
Zidane e Bartz scambiarono allegri saluti con lui che ricambiò con molta freddezza e serietà. Poi i due compagni gli presentarono Ginevra.
Gli occhi del ragazzo calarono seri su di lei e Gyn li fronteggiò con altrettanta serietà, facendo un passo avanti, il petto in fuori.
Squall le parlò:
« Sei troppo particolare per essere una di noi. Siete sicuri di non aver raccattato una guerriera di Chaos? »
Ginevra si fece scura in volto e la sua coda si agitò, minacciosa e infastidita. Non la trattenne, quella volta non voleva.
Gli rispose lei, il tono duro:
« Partendo dal fatto che io non ne ho mai incontrato uno e che sono stata già attaccata da un gruppo di Manikins, presumo che tu ti basi un po’ troppo sui fatti tuoi invece di prima analizzare i fatti e commentare una persona. »
Squall incrociò le braccia sul petto:
« Cerco solo di prevedere. »
Ginevra alzò il mento, facendogli capire di essersi offesa. Ma gli porse comunque la mano e si presentò:
« Io sono Ginevra von Darnus. »
Il ragazzo ricambiò ma ritirò quasi subito la mano:
« Squall Leonheart. »
Zidane si frappose tra i due prima che con i loro sguardi si fulminassero a vicenda:
« Bene! Ora che ci siamo presentati, che ne dite di fare il viaggio insieme verso il trono, eh? »
« Sarà un piacere… » Esordì Squall, infittendo lo sguardo contro quello di Gyn che lo sostenne con il nervoso che saliva alle stelle.

Così Ginevra e Squall dovettero sopportarsi fino a quando in lontananza non videro un’aura risplendere con potenza.
Bartz annuì:
« Ci siamo! »
Zidane batté le mani:
« Sarà bello rivedere tutti! »
Ripresero il cammino e Ginevra già tendeva a nascondersi dietro il tondo corpo di Boko per dare meno nell’occhio una volta arrivati.
Sbirciando da dietro le piume gialle, Gyn vide diversi altri personaggi comparire accanto a quella luce.
Erano le persone più strambe che avesse mai visto.
Guardò cosa c’era alla fonte di luce.
Un basso trono fatto a sorta di triclinio, bianco e immacolato come le costruzioni che lo circondavano, quelle strane aste bianche che lei aveva trovato al suo arrivo. Nel cielo quei strani fasci di luce lo percorrevano, luminosi.
Ginevra vide Zidane, Bartz e Squall dirigersi verso il gruppo già presente e scambiare calorosi saluti tra amici che sembravano conoscersi da una vita. Lei rimase nascosta dietro Boko. Dai discorsi che sentiva, intuì che parecchi dei guerrieri che i suoi compagni si erano aspettati di incontrare mancavano.
Guardò il gruppo raccolto da una parte discutere e fu contenta che nessuno venisse da lei a disturbarla, tranquillamente nascosta dietro le piume del chocobo.
Si accorse solo dopo che dei passi si avvicinavano a lei. Non ebbe tempo di girarsi che una voce le parlò:
« Sei nuova di qui? »
Voltatasi, vide un ragazzo di diciannove anni, alto e bello, con lineamenti molto delicati. La carnagione era quasi bianca e i lunghi capelli biondo-platino tenuti sollevati sopra la fronte da una fascia blu. L'armatura che indossava era quasi tutta bianca, con il pettorale blu scuro e striature blu sulle gambe e sui bracciali dotati di spunzoni e che lasciavano scoperte parte delle braccia. Sulle spalle calcava luminosi spallacci decorati, anche loro con spesse punte. A questi era attaccato un lungo mantello finemente decorato con disegni blu, bianchi e gialli e corredato da un lungo nastro con motivi e colori simili. Furono i suoi occhi, però, ad incantarla. Erano di un blu profondissimo e cerchiati da un penombra che li rendeva ancora più vivi e intensi.
Il ragazzo le sorrideva.
Lei gli rispose:
« Sì. Il mio nome è Ginevra von Darnus. »
Il ragazzo accennò un inchino e disse:
« Io sono Cecil Harvey. Lieto di fare la tua conoscenza. »
« Il piacere è tutto mio. » Replicò lei, sorridendo e provando già simpatia per lui.
Boko si era voltato e con il suo potente pigolio aveva attirato l’attenzione dei due:
« Vedo che non sei l’unica ad essere nuova qui. » Disse il ragazzo.
Gyn accarezzò Boko:
« Beh, penso sia così… »
« Con chi hai viaggiato fin qui? »
Ginevra indicò Zidane e Bartz poco distanti da loro:
« Loro due mi hanno raccattata da qualche parte e mi hanno riportata qui. Io, in effetti, quando mi sono svegliata, mi trovavo già in questo posto ma mi sono allontanata e persa. Poi ho incontrato loro e mi hanno accolta. »
Cecil era diventato serio ma non dubbioso come era stato Squall:
« Non hai ancora ricevuto la benedizione quindi? »
Ginevra lo guardò interrogativa e lui si scusò:
« Oh, perdonami, pensavo lo sapessi già! Quando un nuovo guerriero si aggiunge al ciclo, deve ricevere la benedizione dal Dio che sceglie o che lo sceglie per servire. È stata una fortuna che ti abbiamo trovata prima noi che quelli della Discordia. »
Gyn lo fissò un poco preoccupata:
« Sono davvero tutti così crudeli quelli che stanno dal Dio della Discordia? »
Vide Cecil rabbuiarsi e quando lo vide chinare il capo quasi temette di aver detto qualcosa di sbagliato:
« Quasi tutti… »
Un’ombra da dietro una di quelle costruzioni candide si ritirò ancora più nell’oscuro.
Dopo pochi secondi, il ragazzo riacquisì il sorriso e la invitò ad avvicinarsi al gruppo. Lei esitò per poi accettare.
Zidane e Bartz le saltarono incontro, sotto gli occhi di tutti gli altri guerrieri. Il biondino le disse:
« Capiti al momento giusto! Stavamo proprio parlando di te! »
Vide occhi di ogni colore calare su di lei non appena guardò in che gruppo era arrivata. Fu felice di vedere anche qualche ragazza.
Avrebbe voluto iniziare i rapporti e conoscerli ma all’improvviso, un bagliore potente comparve dal trono bianco davanti a loro. Dalla potente luce emerse la figura di una donna.
Era vestita con una lunga tunica bianca scollata e priva di spalline. Lungo il corpo aveva una specie di leggera armatura, con complicate ricamature d’oro. Sulle braccia teneva un foulard dorato e trasparente. I suoi lunghi capelli biondi gli ricadevano sulle spalle. Sulla testa aveva una piccola corona a cui era attaccato un corto mantello trasparente. I suoi occhi a mandorla erano chiusi quando emerso, luminosa, dall’aura abbagliante che lentamente s’attenuò.
Cecil le disse:
« Questa è Cosmos, la Dea dell’Armonia. »
La ragazza rimase abbagliata dal suo aspetto e ancora di più da tutta quella luce che si diffondeva in lei, che lei stessa emanava, rimanendo sospesa a mezz’aria davanti a loro.
Da dietro il trono bianco, ai suoi piedi, comparve una piccola figura. Era troppo in disparte perché Gyn potesse vederne i particolari e inoltre la luce della divinità la attirava come una calamita.
La Dea aprì gli occhi e le sue iridi tanto chiare da parere bianche puntavano già su di lei, serie, azzurre come il ghiaccio. Ginevra ascoltò il suo silenzio e poi lo sguardo divino si spostò su tutti i guerrieri. Ancora diversi minuti di silenzio, poi la sua voce si fece udire, calma, dolce, gentile, limpida come l’acqua pura, eterea, pareva un canto alle orecchie della ragazza.
« Ascoltatemi, guerrieri. So che molti di voi ancora non sono giunti al Santuario dell’Ordine e temo che molti non verranno in tempo. Sono stata avvisata da vostri compagni che le orde del Chaos si sono già messe in moto e un esercito di Manikins, che voi ben ricorderete, ha intrapreso il cammino per giungere qui. »
Una voce dal gruppo si fece sentire, Ginevra non vide chi parlava:
« Di già? Ma siamo appena arrivati e nemmeno sappiamo perché di nuovo questa convocazione! »
La Dea rispose, calma:
« Siete stati nuovamente richiamati qui perché siete stati scelti come protettori di questo Universo. Siete voi a stabilire quale delle due divinità comanderà su tutto, noi siamo solo i rappresentanti di ciò per cui combattete. Mi rincresce di doverlo ammettere, ma per voi è stato riservato il destino di continuare a combattere. Solo raramente vi sarà concesso di tornare ai vostri mondi natii. Ora siete tornati perché ogni cosa è tornata instabile nel suo complesso. C’è bisogno del vostro aiuto. »
Ginevra sentì la voce di un giovane uomo rivolgersi a Cosmos:
« Cosa dobbiamo fare per fermare questo esercito? »
Cosmos rispose:
« Cercate i vostri compagni, portateli qui e preparatevi alla battaglia. Presto. »
Ginevra vide molti acconsentire e dare già di spalle per iniziare la ricerca. Era incredibile come tutti fossero già pronti all'azione senza nemmeno pensare su dove e come fare. Fu la voce della Dea a fermare tutti:
« Partiranno tutti… tranne uno. »
Ginevra aveva già capito, gli occhi della Dea erano fissi su di lei.
« E quell’uno sa che mi riferisco a lei. Andate voi, non perdete tempo. »
E tutti ubbidirono.
Ginevra vide Squall voltarsi e partire solitario; Cecil, dopo averla salutata con estrema gentilezza, si unì ad un gruppo e si allontanò. Zidane e Bartz, affiancati dal fedele Boko si avvicinarono a lei.
Il castano le sorrise:
« Beh, buona fortuna! È stato bello poterti avere con noi. Sarebbe fantastico poterti ricongiungere al gruppo, ma le Dea è la Dea. Ti vuole qui. »
Gyn gli sorrise ancora più apertamente:
« Tranquillo, ci rincontreremo sicuramente. Grazie per quello che mi avete raccontato e che avete fatto per me. »
Bartz annuì e saltò in sella a Boko.
Zidane agitò la coda:
« Vedremo di raccattarti ancora! »
Ginevra gli fece la smorfia, ridendo, mentre il biondino saliva pure lui sull’animale. Infine fu il chocobo a darle il saluto, battendo il becco sulla sua spalla:
« Ciao, Boko! » Gli disse Gyn.
Vide i tre partire, allontanarsi sempre di più fino quasi scomparire.
Allora si voltò e la Dea accolse i suoi occhi acquamarina con i suoi azzurri e vacui.
Cosmos le disse:
« Conosco il tuo nome, Ginevra von Darnus, ma c’è parecchio che non mi è chiaro. Molto lo intendo solo leggendo dentro di te, per quel poco che la tua coscienza mi lascia vedere. »
« Io… » Tentò di parlare lei, ma le parole le morirono in gola.
Cosmos si abbassò, arrivando a toccare il terreno con i piedi nudi. Ginevra la sentì improvvisamente gentile nel tono:
« Parla, non temere. »
Gyn si fece coraggio:
« Speravo di potervi rispondere ma la verità e che… nemmeno io so chi sono. Ricordo solo il mio nome e che la mia razza è quella degli Au’Ra. Ma non so niente di più. Il mio passato non lo conosco. »
Cosmos annuì:
« Sapevo che mi avresti detto così. Ed io posso dirti la ragione per cui tu non ricordi pur essendo in questo mondo già da tempo. Sei ancora un contenitore vuoto. Dentro di te non esiste luce né oscurità, sei quello che ora viene chiamato un Neutro. Questi ultimi, sono guerrieri che non appartengono a nessun schieramento e vagano alla ricerca di un’identità. Ma da oggi tu non sarai più un’anima persa. Io ti riempirò della mia luce e da allora, lentamente, il tuo passato verrà svelato, ma solo in parte. »
« Voi potete? » Chiese Ginevra speranzosa e cercando di nuovo quella conferma.
La Dea le annuì.
« Ma… » Aggiunse la divinità « … c’è qualcosa dentro di te che non proviene dal tuo mondo di origine. »
La ragazza non capiva e Cosmos spiegò:
« Quando arrivasti qui, il tuo corpo era semplice ed umano, solo dopo quella trasformazione i tuoi veri tratti sono tornati. Ma il potere di diventare drago non è tuo di nascita, qualcuno te l'ha dato e penso di sapere chi... »
Ginevra, mentre aspettava la rivelazione, era tesa come la corda di un arco.
Capiva, ora capiva cosa le era successo. La verità lentamente si svelava davanti ai suoi occhi.
Cosmos tornò a parlare:
« Shinryu, il Drago Purificatore, è l’unico che nel processo di trasporto in questa dimensione può aver cambiato il tuo gene e dotata di questa capacità. »
Shinryu…
« Tu hai il potere di Shinryu… »
 

Salve a tutti!
Devo dire che ultimamente viaggio come un treno. Purtroppo questo attacco di scrivarella finirà presto, perchè non aggiungerò nuovi capitoli per tutta la prossima settimana. In questi ultimi giorni vedrò di aggiungere quanti capitoli posso e nella settimana di pausa penserò a come organizzare bene il seguito della storia. Vi terrò sulle spine della curiosità per un pò...

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Capitolo 8
*** Toccata e fuga ***


« Ascoltami, guerriera. Rivolgi la tua forza e volontà al servizio dell’Armonia e difendi questo universo da chi aspira a distruggerlo. » Cosmos allungò la mano fino a toccarle la fronte, lì dove la particolare squama era coperta dalla frangia « Unisciti a noi. »
Ginevra sentì un calore spandersi per le membra  mentre il palmo della Dea si illuminava di una meravigliosa luce che non le feriva gli occhi. Gyn, da inginocchiata, vide la sua pelle illuminarsi, il suo corpo risplendere, le vene dentro di lei divennero luminose. Il vuoto nel petto svanì e dentro di lei ora trovava la calma e la pace.
« Giuro di servire l’Armonia, impegnando corpo e anima per difendere l’universo da coloro che desiderano distruggerlo. Sono al vostro servizio, Dea dell’Armonia. » Esordì lei, felice.
Le scappò un sorriso dal suo autocontrollo mentre la luce che fino a quel momento l’aveva illuminata si raccoglieva tutta all’interno di lei.
Cosmos tolse la mano dalla sua fronte e le disse:
« Alzati, Ginevra. » Lei ubbidì « Ora sei un guerriero dell’Armonia. Porta questo titolo con onore e sii valorosa in guerra. Difendi i tuoi compagni, aiuta i deboli, sconfiggi i malvagi. Porta la pace nell’Universo. »
Ginevra s’inchinò di nuovo:
« Giuro. »

***

Dentro di sé non poté che sentirsi soddisfatto. Quello che avrebbe dovuto considerare una sconfitta, la sentiva una vittoria. Era contento quando non avrebbe dovuto. Era il responsabile di tutto.
Ma che differenza faceva? Non aveva niente da perdere. Migliorare l’ingiusto era l’unica cosa che sentiva pesargli sull’anima, anche se questo voleva dire pagarne le conseguenze. L’ombra non lo avrebbe nascosto per molto. Avrebbe dato nell’occhio, lo avrebbero scoperto. Non gli interessava.
Ora era felice, felice di quella insubordinazione, di quel tradimento.
Ci sei riuscita…
Guardò la ragazza parlare con la Dea per ancora molti minuti e nel frattempo era immerso nei suoi pensieri, sempre più meravigliato dalla rivelazione che aveva udito.
Il potere del Drago Purificatore… questa volta gli Dei hanno una bella gatta da pelare…
Cosmos svanì in quella potente aura di luce, lasciando Ginevra alla compagnia di una piccolissima figura comparsa da dietro il trono.
Se ha il potere di purificare...
Si voltò mentre l’ombra intorno a lui si faceva tanto densa da renderlo invisibile.
… allora le cose si fanno interessanti…

***

Non è giusto! Non è giusto per niente! Si disse, scocciata.
Stare seduta a guardare il vuoto non era certo ciò che avrebbe voluto fare. La scusa era un’altra, ne era certa. C’era già quell’insopportabile di Shantotto a tenere d’occhio il trono!
Lei e quella sua odiosa mania di fare verifiche! E poi a vederla non si direbbe mica che è una maga…
« Oh, ma cara! Cosa ti succede? Perché quel broncio? Le mie lezioni non ti interessano? »
Gyn non si voltò e rimase per terra seduta con il broncio.
« MI STAI ASCOLTANDO!? »
Ginevra sobbalzò e degnò la nanetta di uno sguardo. Non poté fare a meno di notare di nuovo i suoi vestiti. Indossava un cappotto a strisce bianche e nere con finiture dorate, stivali e guanti corazzati… ma era tutto in versione minuta! Ginevra era arcisicura che Shantotto non fosse umana. Era troppo piccola. E aveva quello sguardo deciso e agguerrito che la squadrava dal basso come se fosse la signora suprema. Dall’altra parte le sembrava una bambina, soprattutto per i suoi capelli biondi legati in due codini ai lati della testa che la rendevano ancora più infantile. Ma c’era la squillante voce da adulta che storpiava tutto.
« GINEVRAA! »
La ragazza sobbalzò di nuovo e gli iridi marroni chiaro della nanetta la fulminarono:
« Sempre con la testa per i fatti suoi! Ma come fai concentrarti? Non ti accorgi nemmeno che qualcuno ti sta parlando! E pensare che il mio discorso era pure interessante! »
Il ciclo è appena cominciato ed è già a far discorsi? Si disse lei.
Ginevra si voltò mentre nelle orecchie aveva il frastuono delle parole di Shantotto con non voleva stare zitta nemmeno per due secondi.
Passarono minuti.
La ragazza aveva già la testa da un’altra parte.
Shantotto aveva preso a girarle intorno, ancheggiando mentre camminava con le sue gambette minute e il cappotto ondeggiava elegantemente… e mentre parlava. Ginevra non sapeva nemmeno cosa stesse dicendo, era diventata quasi un’altra lingua. Sapeva solo che dalla sua ramanzina era passata a discorsi di magia di cui al momento non gliene fregava niente. Lei voleva solo capire perché Cosmos la volesse ferma sul posto, a non fare niente. E lei invece aveva così tanto da imparare!
Ora che era una guerriera dell’armonia voleva esplorare, vedere quel mondo, capire i suoi poteri, voleva conoscere quella dimensione per poter aiutare anche lei nella guerra. E invece era seduta per terra a guardare il vuoto con una nanetta a farle la ramanzina.
Dannazione, sta arrivando un esercito di Manikins ed io sono qui a non fare niente! Anche io voglio dare una mano.
Shantotto aveva smesso di farle l’avvoltoio e si era fermata alle sue spalle, dandole la schiena, mentre si vaneggiava delle sue abilità e parlava di quanti bei esami le avrebbe fatto fare nel mentre.
Fu allora che Ginevra vide qualcosa.
Là, in fondo, verso l’orizzonte grigio, dove l’occhio si perdeva in quella tinta.
C’era qualcosa.
Una sinuosa figura nera, come un serpente che volava, si contorceva nel cielo.
Sembrava aspettare.
Ginevra sentì un tremito alle gambe, la tentazione premerle addosso.
Non sapeva perchè. Non c'era un motivo per cui quella creatura dovesse attrarla.Forse perchè era qualcosa di nuovo per lei, qualcosa di diverso dalle chiacchiere di una nanetta...
Vado? Non vado? Si chiedeva, mentre fissava quella figura levitare nel cielo, compiendo con il lungo corpo meravigliose curve.
Era un invito troppo forte.
Poi la creatura puntò verso di lei.
Ginevra vide comparire un muso affusolato, lunghe spine a contornare il capo e continuare lungo la schiena fino alla coda. Due punti bianchi e luminosi la fissarono. Occhi. Gli occhi di un drago.
La ragazza rimase di masso.
Le parve di vedere le fauci della bestia aprirsi, come per emettere un ruggito muto. Poi la creatura si voltò, allontanandosi.
Ginevra si alzò di scatto quando si ricordò di Shantotto che ancora parlava.
Si voltò a guardarla. La nanetta non si era accorta di niente.
Un sorriso furbetto le comparve sulle labbra. Si voltò con cautela e il più silenziosamente possibile scivolò indietro, passo dopo passo allontanandosi dal trono.
Quando fu alla distanza desiderata, si preparò.
Diede le spalle al trono della Dea, si mise in posizione di corsa, nelle orecchie sentiva ancora le parole di Shantotto che non finiva di parlare.
Tre…
Due…
Uno…

Si diede la spinta con le gambe e sfrecciò in avanti. Volò, sfiorando il velo d’acqua con i piedi e schizzando tutto intorno a lei. Rallentò. Si diede di nuovo la spinta con le gambe e continuò ad allontanarsi velocemente dal trono, le parole di Shantotto non si udivano già più.
Rideva e non se ne era nemmeno accorta.
Dopo poco, all’orizzonte rivide la figura del drago nero istigarla. La creatura la guardò, quasi soddisfatta.
Poi si voltò e si fece seguire.

 



Salve a tutti!
Temo questo sia il mio ultimo capitolo prima della settimana di pausa. Forse non sarà un gran chè, anche per come è scritto. Ma dovevo dare una svolta anche alla parte in cui lei scappa (wow, appena guerriera dell'Armonia è già fa quello che vuole!).
Vi lascio crogiolare nelle domande di sapere dove è andata e chi è quel misterioso drago nero (probabilmente lo sapete già).
Alla prossima settimana!

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Capitolo 9
*** Lo stregone ***


Ginevra fece fatica a restare sui passi della creatura. Il drago volava, lei no. Il massimo che riusciva a fare era saltare per grandi distanze, ma ogni volta la bestia nera la aspettava cinquanta metri più in là; le sembrava un miraggio impossibile da raggiungere.
Lentamente, il drago la condusse fuori dal Santuario dell’Ordine, attraversò le lande brulle e nude di quel mondo. E Ginevra si accorse anche che spesso aggirava certi posti. Quando vide la creatura deviare bruscamente da un lato, lei, invece, si diresse velocemente dritta e sbirciò da dietro un masso. Scoprì che il drago altro non faceva che condurla lontano dai Manikin, appostati negli angoli di quelle terre, o che marciavano in truppe scomposte e disordinate lungo le valli e i monti. Non sapeva dove la stava portando, e più proseguiva il viaggio più la sua curiosità diventava intensa. Finalmente poteva scoprire, poteva cercare di rendere quel mondo famigliare anche per lei. E il drago sembrava soddisfare tutte le sue richieste, portandola in posti nuovi, sconosciuti, che quasi a lei piacevano. Ma non incontrò nessuno. Né Zidane e Bartz, né Squall, né Cecil. Nessuno. Chilometri e chilometri di desolazione e silenzio. Si sentì quasi spaventata da tutto quello e come conforto con gli occhi cercava l’unica forma di vita oltre a lei che fosse nei paraggi: il drago nero.
Ginevra giunse in una pianura circolare molto ampia coperta da alta vegetazione secca, intorno a lei si alzavano alte montagne rocciose, marrone scuro. Al centro vi era un lago cupo, con acqua stagnante, non uno spiffero di vento accarezzava la superficie. Verso questo si estendeva un promontorio elevato e sulla cima la ragazza vide ruderi di antiche costruzioni. Colonne spezzate e poggiate sul terreno, circonferenze di case cadute in rovina e ormai irriconoscibili. L’unica costruzione ancora in piedi era una grande porta ad arco in pietra grigia. Al centro, sospeso a mezz’aria c’era un cerchio di luce segnato da decorazioni e simboli.
Ginevra aveva perso di vista il drago ma sapeva che lo avrebbe rincontrato.
Decise allora di esaminare meglio quella volta ad arco che tanto l’attirava. Percorse tutto il promontorio fino alla sua cima, esaminando i ruderi delle abitazioni e poi concentrandosi su quella strana porta.
Sentì una presenza  alle sue spalle e voltatasi sbarrò gli occhi. Vide l’enorme drago nero precipitarsi contro di lei, ruggendo, gli occhi bianchi che scintillavano. Fece appena in tempo a buttarsi per terra prima che le la bestia la colpisse. Ginevra lo vide attraversare il cerchio luminoso al centro della porta, che risplendette con potenza, e svanire, senza ricomparire dall’altra parte.
Un portale!
Di nuovo in piedi, si trovò a dover prendere una decisione. Passare o no? Cosa c’era dall’altra parte?
Forse quella porta era ciò per cui il drago si era fatto seguire, forse era il motivo di tutto quel viaggio. Oppure era una delle tante tappe. Ma in ogni caso era un obbiettivo e bisognava farsi avanti.
Prese coraggio e con le gambe che tremavano passò attraverso il cerchio, chiudendo gli occhi per la forte luce che il simbolo prese ad emettere appena lei lo toccò. Sentì per un istante una sensazione di vuoto. Poi aprì gli occhi e quella vista le fece venire immediatamente un capogiro.
Alte pareti fatte di esagoni rosei tutti uguali, perfetti, impeccabili, identici a cui si alternavano tratti di muro più sul blu, ma pur sempre composti da quelle figure geometriche. Il pavimento blu percorso da venature opache, come riflessi d’acqua che davano una nauseante impressione di tridimensionalità. Il tetto ancora più cupo, quasi sul nero. Su alcuni angoli si alzavano colonnine dal colore tra il grigio e il viola. Ma ogni cosa, tutto intorno a lei, era stato costruito con una precisione che spaccava il millimetro. Non un muro storto, non un mattone esagonale con un lato sbagliato. L’apotema della perfezione e precisione… e anche della confusione. Corridoi, corridoi, corridoi… si incrociavano, tornavano indietro, conducevano a punti cechi, ti portavano ad un piano più in alto, ti riconducevano da dove eri venuto.
Un labirinto.
Un labirinto perfetto.
A Ginevra passò subito la voglia di fare un passo in più avanti. Si voltò, ma non appena lo ebbe fatto si accorse che dietro di lei c’era solo una parete con una porta sprangata, tanto perfetta da sembrare anche finta. Nel piazzale dove si trovava in quel momento, nei quattro angoli erano poste quelle strane colonnine e una discesa portava al piano sotto, fatto principalmente di un enorme buco che dava sul vuoto. Intorno a questo si estendeva il labirinto.
Ginevra continuò a guardarsi intorno, rassegnata, fino a quando da quella cavità emerse il drago nero. La bestia le volteggiò davanti agli occhi per ancora qualche istante poi virò verso un lato e svanì in un corridoio buio alla sua sinistra.
Ginevra s’affrettò a scendere per la discesa e raggiungerlo ma arrivata al piano sotto si accorse di averlo già perso di vista, tra l’altro anche in un labirinto da cui non sapeva uscire.
« Ehi, aspetta! »
Corse per ancora qualche metro ma non ebbe il coraggio di inoltrarsi nel corridoio, temeva di non saper tornare indietro. Così rimase a diversi metri di distanza dall’ingresso all’ombra e fissò il buio con la mente vuota.
Dopo poco vide una singola luce comparire nel nero del corridoio. Puntava verso di lei.
Ginevra corrugò la fronte e si mosse per vedere meglio. Non era sicura di star vedendola davvero. Si avvicinò di qualche passo e quasi arrivò alla penombra. Scorse qualcosa.
« Non ti avvicinare. » Disse una voce profonda dal buio.
Ginevra sobbalzò e indietreggiò. Cercò subito di parlare:
« Per… perdonami… non sapevo… non sapevo che… tu… »
« Che io? »
Ginevra deglutì:
« Che tu fossi una persona… lo sei, vero? » Lasciò un secondo di silenzio « Non sei il drago che ho seguito, vero? »
La voce le rispose dopo qualche altro secondo di silenzio:
« Il drago che ho mandato ti ha solo condotto da me, niente di più. »
Ginevra osò:
« Ma tu chi sei? »
Avrebbe quasi voluto ritirare la domanda perché la voce non si fece udire per molto, molto tempo. E visto che dopo minuti lei non aveva ancora ricevuto risposta, con voce più gentile, chiese:
« Almeno dimmi il tuo nome. »
La presenza esitò ancora, ma rispose:
« Golbez. » Lo disse con un tono di distacco e velocemente, quasi potesse scottare. Poi aggiunse subito dopo « Dimenticalo. Non è degno di essere ricordato. »
« Perché? » Chiese Ginevra.
Il tono fu duro:
« Non farmi domande a cui non posso rispondere. »
Ginevra abbassò lo sguardo, come fanno i bambini quando sono rimproverati. Lasciò calare il silenzio apposta per riuscire a sentire qualche rumore provenire da dietro la penombra, un suono che potesse dare forma alla persona che aveva davanti. Ma non udì niente, nemmeno il suo respiro.
« Perché mi hai condotta qui? » Chiese all’improvviso lei.
La voce di Golbez poteva avere una nota di divertimento sotto, forse sorrideva nel profondo:
« Pura curiosità di chi ha visto le potenzialità che tu nemmeno conosci. »
« Parli… di quella trasformazione? Mi hai vista? » Chiese Ginevra, immersa nei ricordi.
« Sì. Ho già incontrato persone simili a te, con poteri mistici e bestiali da cui le persone stesse che ne sono capaci scappano o non le conoscono. Ma mai mi sarei aspettato di incontrare una ragazza influenzata dal potere del Drago Purificatore. Un onore che nessuno ha mai avuto. Questo ti rende unica e temibile dai tuoi nemici. I guerrieri della Discordia ti cercano per allearti con loro, ma non sanno che ormai la tua Benedizione è stata già effettuata dall’Armonia. »
« Come fai a sapere tutte queste cose? » Chiese Ginevra.
« Ho il mio metodo per tenermi aggiornato. »
« E sai anche qualcosa su di me? Voglio dire… sai darmi qualche informazione in più su cosa sono? » Tentò ancora lei, speranzosa.
« Ognuno di noi deve affrontare le proprie battaglie. La ricerca di sé stesso è un lavoro che non può essere svolto da nessun altro all’infuori di chi cerca. Costa fatica, è il prezzo da pagare per ottenere un successo che bene o male arriva. Lentamente i tuoi ricordi diventano nitidi e tu arrancando riesci a intravedere qualcosa del tuo passato, nonostante il ciclo sia appena incominciato e la tua amnesia sia stata alquanto pesante. Hai già scoperto le tue potenzialità, hai bisogno di allenarti per controllarle, ci vuole tempo. Non avere fretta, avrai ciò che cerchi. Io, però, posso iniziarti al viaggio che ti aspetta. »
« Mi aiuterai? »
« A patto che questo incontro non sia mai esistito per nessuno all’infuori di noi due. » Disse.
Ginevra rimase dubbiosa:
« Ma perché sei così misterioso? Perché ti nascondi? Io non so nemmeno come sei fatto. Siamo alleati, perché non… »
« Cosa ti fa credere che io sia un tuo alleato? » La interruppe Golbez.
La domanda la lasciò spiazzata:
« Perché ti sei offerto di aiutarmi. Di solito i nemici non si aiutano, tu invece… »
Ginevra s’interruppe quando alle sue orecchie giunse un rumore di metallo. Passi pesanti, decisi, con la determinazione di chi non teme nulla. E nelle penombra vide una sagoma muoversi. Se l’era immaginato più piccolo e invece la figura che lentamente uscì dal nero era imponente e temibile, lei non gli arrivava alla spalla. Coperto da una possente armatura, la persona con cui lei fino a pochi secondi prima aveva parlato le si presento in tutta la sua figura ora non più nascosta dalla penombra.
Ginevra fu scossa da più brividi ed era ferma e muta come un masso mentre con senso di impotenza guardava quell’unico bagliore che comapriva dalla fessura dell’elmo fissarla. Le pareva una lama che voleva penetrarla, lo sguardo dello stregone era un occhio che la guardava dentro, pareva poter varcare i limiti dell’animo e riuscire a scoprire ogni cosa dentro di lei.
« Io invece sono un guerriero della Discordia… » Replicò Golbez, riprendendo la sua frase precedente.
La ragazza non voleva ammetterlo ma tremava e ora aveva paura. Ma nonostante provasse quella sensazione, non sentiva quella pressione alla gola che le nasceva quando si sentiva in pericolo.
« Hai paura? » Chiese lo stregone.
Ginevra deglutì:
« Poca… »
Golbez ridacchiò e lei fu di nuovo scossa da brividi, quella risata era profonda, non si sarebbe mai aspettata di sentirlo ridere:
« Non temere. Non voglio farti del male. Le mie sono buone intenzioni. Vuoi ancora il mio aiuto? »
Ginevra annuì, senza parlare e mordendosi il labbro inferiore per tenersi calma.
Golbez incrociò le braccia sul petto e disse:
« Allora, per prima cosa, hai bisogno di armi per difenderti e oggetti vari per sopravvivere. » Fece un cenno con la testa « In quel baule alle tue spalle troverai tutto ciò che ti ho preparato. »
Ginevra si voltò e in un angolo vide il suddetto tesoriere.
Ma prima non c’era… ,si disse.
Si diresse verso di esso, anche se l’idea di dare completamente di spalle allo stregone non le piaceva molto. Lo aprì e dentro trovò diversi Elisir, altre ampolle con intrugli di ogni colore e consistenza, una coperta e due foderi in cuoio con ricami dorati a forma di foglie. Li prese tra le mani e chiese:
« Cosa sono? »
« Le tue armi. » Rispose Golbez.
Ginevra afferrò l’elsa che sbucava da una delle due federe ed estrasse l’arma. La lama argentea di un coltello brillò, il filo tanto sottile e acuminato che non appena lei lo ebbe sfiorato con un dito si tagliò.
Lo stregone alle sue spalle disse:
« Ho pensato che fossero le armi ideali per una come te. Devi indossare qualcosa di leggero perché non ti ingombri durante la trasformazione, che imparerai a gestire, e allo stesso tempo hai bisogno di qualcosa da usare in forma umana, anche utilizzando la magia. »
« La magia? » Domandò lei, voltando il capo verso di lui ma evitando il suo sguardo.
« Unisci i manici dei coltelli… »
Ginevra sfoderò anche l’altro coltello, ammirando le lame lavorate e con decori incisi nel ferro vivo. Unì le estremità delle due else e i due coltelli furono coperti da un velo di luce. La loro forma cambiò e dopo un istante Ginevra si ritrovò con tra le mani una lunga lancia con alle estremità e due coltelli.
« Sono chiamati i Coltelli di Lilith, hanno la capacità di mutare in una lancia denominata proprio Lilith. È uno dei cimeli più preziosi che furono rubati nei cicli precedenti. Abbine  cura, diventeranno una parte di te, quando li saprai usare. » Le disse lo stregone.
Ma dopo l’entusiasmo iniziale, Ginevra si accorse di un particolare:
« Ma io non so combattere. »
« Affidati ai ricordi. Sono sicuro che il tuo passato ti cela molto più di quanto pensi. »
Ginevra poggiò la lancia a terra e rimase pensierosa a guardarla.
All’improvviso, alle orecchie dei due, giunsero voci gracchianti e urla distorte. Pochi secondi dopo lei senti il terreno sotto i suoi piedi tremare.
Golbez si voltò verso una direzione e disse:
« Manikin… »
Ginevra si alzò in fretta e si voltò, spaventata:
« Cosa devo fare adesso? »
Golbez tornò a guardarla, lo sguardo intenso che ancora lei non riusciva a sostenere:
« Conosco qualcuno che potrebbe aiutarti per cominciare l’addestramento. Si trova a nord, non si muove molto al momento. Se hai fortuna potresti incrociarlo anche senza cercare molto. Si chiama Kain Highwind. Ma se incontri qualcuno per la strada, non dire da chi stai andando. »
Le voci dei Manikin  ora erano chiare e vicine.
Ginevra raccolse tutto il contenuto del tesoriere in un sacco che trovò sul fondo e se lo caricò sulla spalla, poi prese la lancia di Lilith e si preparò a partire.
Golbez le si avvicinò di un solo passo:
« Esci dalla porta attraverso cui sei arrivata; ora ho tolto l’incantesimo che la bloccava. Dirigiti a nord, non ti fermare. Non dire a nessuno che mi hai visto e che ti ho dato tutto ciò. Ti verrò a cercare. » Si voltò, il mantello si gonfiò come un paio di ali « Vai, adesso. Io li tengo impegnati per darti il tempo di guadagnare distanza. »
Ginevra prese a correre lungo la salita per arrivare al piano superiore. Ma una volta arrivata al piazzale si fermò. Fece qualche passo indietro e disse:
« Golbez… » lo stregone non si voltò « … grazie… »
Lui non le rispose.

La sentì voltarsi e passare oltre il portale.
Vide l’orda di Manikin comparire da uno dei corridoi.
No, Ginevra… grazie a te per essere qui…

 



Salve a tutti!
Eccomi di nuovo qui con un nuovo capitolo! Quale modo migliore di ricominciare a scrivere con i propri, amati, personaggi? Lasciatemelo dire, i personaggi di FFIV mi risolvono tutti i problemi di scrittrice. Quando ci sono loro, posso star tranquilla che tutto và bene!
Spero che il carattere che ho dato a Golbez non vi dispiaccia (a diversi questo suo comportamento proprio non và giù) e che Ginevra non copra un pò troppo gli altri personaggi (lo prometto, racconterò storie anche di altri personaggi di Dissidia e non solo di lei!).
Al prossimo capitolo!
 

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Capitolo 10
*** Ballando con le rose ***


Quando sentiva che il sacco cominciava a pesare troppo si fermava. Quando sentiva le gambe cedere si fermava. Quando le veniva l’asma si fermava. Però ogni volta resisteva sempre più a lungo. Dopo ogni sosta, faceva tragitti lunghi il doppio di quello precedente. E non riusciva a capire se era lei che risvegliava il corpo atletico o se era quella dimensione che le giocava brutti scherzi.
Non mollava la Lancia di Lilith nemmeno quando le mani erano tanto sudate che le scivolava dal palmo. Anche se non la sapeva usare, la considerava l’unica sua salvezza in caso di attacco. Fu durante una delle soste che la analizzò meglio e scoprì che con la sua sola forza della volontà la lancia poteva essere nuovamente divisa nei due coltelli. Se li rigirò nelle mani per tutta la siesta fino a quando non si pose la domanda di dove metterli. Nel sacco ci avrebbe messo troppo per prenderli, non aveva cinture.
All’improvviso sentì dei passi alle sue spalle che la distrassero dai suoi pensieri.
Sobbalzò e afferrò uno dei coltelli, voltandosi mentre si rialzava da seduta. Puntò l’arma davanti a sé e incrociò due occhi castani chiaro.
Si fermò all’istante e lentamente la sua mente riprese lucidità dallo spavento per analizzarlo.
Era un ragazzo sui diciotto anni, ma forse anche di più, alto e snello dai capelli bianchi tagliati corti, salvo per un lungo codino lasciato andare fin sotto le spalle. I capelli erano ornati da gioielli e coperti da una bandana variopinta. Indossava un'armatura leggera azzurrina sopra dei vestiti da viaggio. Le gambe erano rinforzate con gambali metallici e anche le spalle erano corazzate. Un arioso mantello azzurrino scendeva fino a fare quasi da strascico sul pavimento. Attaccate ai fianchi dell’armatura c’erano una spada e una piccola ascia da lancio. Nei gambali erano nascosti due coltelli e alle spalle vi erano un arco e una lunga lancia.
Il ragazzo alzò le mani in segno di resa, mentre dopo pochi secondi Ginevra sentì una lama sfiorarle la gola da dietro. Rimase pietrificata sul posto, il tempo sospeso per un istante.
Il ragazzo di fronte a lei a voce alta disse:
« Lightning, ferma! Non è un nemico! »
Una voce femminile, seria e fredda, rispose:
« Come fai a dirlo? Ti sta puntando un coltello addosso. »
Il ragazzo ribatté:
« L’ho vista al Santuario dell’Ordine. Riponete le armi entrambe. » Si rivolse all’Au’Ra « Siamo amici. »
Ginevra lo fissò con gli occhi ridotti a due fessure.
Il ragazzo le rivolse un debole sorriso sincero e lei abbassò il coltello.
La voce femminile alle sue spalle la intimò:
« Lascialo. »
Ubbidì e la lama alla sua gola sparì alle sue spalle.
All’istante si voltò e due occhi azzurri chiaro come il ghiaccio la fulminarono.
La ragazza era sulla ventina d’anni e il primo particolare che stupì l’Au’Ra furono i suoi capelli color ciliegio.   Indossava un giubbotto a collo alto marrone sotto una divisa militare bianca, al collo portava una catenina con un ciondolo a forma di fulmine. Indossava inoltre degli spallacci con parti gialle luminose, uno stretto mantello rosso e una cintura marrone proprio sotto il busto. Portava guanti di pelle blu senza dita e una manica nera che le arrivava dal polso fino al gomito sul braccio sinistro; indossava poi stivali di pelle neri e una minigonna marrone. Un fodero era  attaccato ai fianchi e alla gamba destra.
Le due si guardarono a lungo, fu il ragazzo a rompere il silenzio:
« Sei tu la nuova arrivata, vero? »
Ginevra si voltò e gli annuì:
« Sì. Il mio nome è Ginevra von Darnus. »
Il ragazzo le porse la mano e lei ricambiò:
« Io sono Firion, piacere di fare la tua conoscenza. »
Lei annuì, sorridendo. Lui continuò:
« E lei è la mia compagnia di viaggio. Stiamo cercando i guerrieri che mancano all’appello per affrontare la battaglia che ci aspetta. »
La ragazza fu fredda a presentarsi:
« Lightning. »
L’Au’Ra annuì di nuovo, meno convinta, e s’affrettò ad aggiungere:
« Mi dispiace di avervi attaccato, pensavo foste nemici. »
Firion le sorrise di nuovo:
« Avevi le tue ragioni; siamo stati noi che non avremmo dovuto avvicinarci così. »
Lightning adocchiò subito il pacco poco distante da loro:
« Ti vedo indaffarata… chi ti ha dato quella roba? »
Ginevra balbettò, la sua coda si agitava:
« Ehm… ecco… Ho raccolto quello che ho trovato… »
La ragazza dai capelli rosa raccolse il coltello di Lilith lasciato cadere:
« Devi aver trovato un tesoro preziosissimo se all’interno vi sono anche armi leggendarie. »
Firion esclamò:
« Quelli sono i coltelli di Lilith! Dove li hai presi? »
« Ho detto di averli trovati! »
Lightning guardò per diversi secondi alle loro spalle, lontano. Assunse un’espressione di concentrazione e le porse l’arma, disse:
« Ah, sì? E li sai usare? »
Ginevra s’affrettò a riprendersi le armi, quasi strappando il coltello dalle mani della ragazza:
« Beh, mi sto allenando… »
Lightning sfoderò nuovamente la sua strana arma e allora Ginevra ebbe la possibilità di vederla.
Era una spada ma costruita in modo tale da poter essere trasformata in qualcos’altro che lei non pensava di aver mai visto.
La ragazza assunse una posa e tirò un’occhiata di consenso a Firion:
« Allora avrai modo di mostrarci di cosa sei capace con quelle armi che presumi di aver trovato. »
« Cosa? »
Si voltò insieme a Firion che aveva già impugnato la spada rossa.
Dalla collina che li sovrastava videro comparire tre Manikin. Con suo enorme stupore, Ginevra vide che uno assomigliava a Cecil, uno a Zidane e l’ultimo non seppe riconoscerlo.
Lightning disse:
« Ci vediamo a fine battaglia! »
Detto ciò, prese lo slancio e con un salto perfetto ed elegante si gettò addosso al Manikin di Zidane, sparendo dietro le rocce.
Firion rinfoderò temporaneamente la spada, afferrò l’arco e una freccia comparve pronta ad essere incoccata proprio nel momento in cui lui tese la corda. Puntò l’arma contro il Manikin sconosciuto agli occhi dell’Au’Ra e prendendo la mira e senza guardarla disse:
« Mi prometti che sarai ancora in piedi quando avremo finito? »
Ginevra strinse i pugnali tra le mani:
« Ci proverò. » Rispose, accennando un sorriso.
« Ottimo. Buona fortuna! » Disse e così scoccò la freccia.
L’arma colpì il Manikin al petto ma quello come se niente fosse continuò a correre verso di lui. Firion allora sguainò la spada e sfrecciò a pelo del terreno verso il suo avversario.
Ginevra alzò lo sguardo verso il suo rivale.
Il Manikin di Cecil le sorrise con malignità e il suo corpo mutò, coprendosi di un’armatura completamente nera, arrugginita e di composizione simile al cristallo. Occhi vitrei la fissarono.
Ginevra unì i manici dei coltelli e la lancia si formò tra le sue mani. Saltò e volò sopra di esso. Mentre scendeva puntò l’arma contro il clone. Quello si scansò all’ultimo, rivelando allo stesso tempo tra le mani una spada più simile ad una corta lancia. L’Au’Ra tornò con i piedi a terra e schivò appena in tempo l’arma nemica che puntava verso di lei. Parò con l’asta un fendente. Girò su se stessa per farlo indietreggiare, minacciando con le due lame alle estremità. Il Manikin non si fece impressionare e si gettò nuovamente su di lei. Ginevra si scansò, non aveva tempo per pensare. Ma mentre lo scontro proseguiva si rendeva conto che le mosse le stavano venendo in modo naturale e spontaneo.
Forse c’è davvero qualcosa dentro di me che è rimasto dal mio mondo originale.
Si sentì rincuorare, sapendo che la vecchia parte di sé non era sparita del tutto. Fu allora che prese ad attaccare anche lei, mettendo confusione al clone che tentò una difesa, desiderando scoprire cosa era nascosto nel suo inconscio, volendo vedere di cosa era davvero capace lei. I due si stavano fronteggiando quando la voce di Firion le arrivò alle orecchie:
« Ginevra, attenta! »
Senza nemmeno sapere cosa stava succedendo, si gettò a terra e sopra di lei il Manikin che stava fronteggiando Firion andò a cozzare proprio contro la copia di Cecil. I due cloni ricaddero indietro di diversi metri, rotolando nella polvere, mentre un’ascia si divelse dal petto di uno dei due e tornò alle mani del suo padrone che Ginevra si ritrovò al fianco. Si accorse di stare ansimando per la fatica quando il ragazzo le chiese:
« Tutto a posto? »
« Sì. »
I due Manikin si rialzarono, pronti a riprendere lo scontro.
Con la forza della sua volontà la lancia si divise nei due coltelli che Ginevra impugnò saldamente fra le mani.
Per un istante alzò lo sguardo al cielo e vide che nell’aria Lightning stava fronteggiando il clone di Zidane. Ad ogni suo attacco l’arma della ragazza faceva comparire petali di rosa di un rosso vivo e carnoso che volteggiavano in basso fino a ricadere ai suoi piedi.
Lei e Firion diedero la carica e lo scontro continuò nella pioggia di petali che piovevano dallo scontro nel cielo.
Ginevra calciò il Manikin e quello volò indietro. Saltò, arrivando dall’alto, atterrò sulle spalle del clone e conficcò i coltelli alla base del collo di esso. Poi con una capriola indietro tornò a terra e squarciò la schiena al mostro. Volteggiò su se stessa e con gli spunzoni sulla coda bianca aprì profonde ferite dietro le ginocchia del Manikin. Fulminea come un razzo, Ginevra unì i manici dei coltelli e quelli si fusero nella lancia che conficcò nel petto del clone non appena quello si fu voltato verso di lei.
Vide il mostro venire scosso da tremiti e spasmi involontari mentre la sua figura cambiava in continuazione e confusionatamente tra il cavaliere vestito in nero e la figura di Cecil con cui lei lo aveva visto la prima volta. Strappò la lancia dal corpo del Manikin e quello cadde a terra, inerte, sparendo dopo pochi secondi in una fuliggine sporca che evaporò.
Ginevra rimase a guardare il vuoto davanti a sé fino a quando nelle orecchie non si accorse che c’erano ancora rumori di battaglia. Alzò lo sguardo  e vide i suoi compagni combattere.

Lightning mutò la gunblade in pistola e sparò una raffica di colpi al Manikin di Zidane che si contorse nell’aria mentre i proiettili lo attraversavano, perforandolo. Con gesti veloci della mano, la ragazza ebbe di nuovo in mano la spada. Con un colpo di frusta del polso, l’arma prese a roteare intorno a lei a velocità folle. Alzò le braccia al cielo mentre un fulmine compariva ad attraversare il corpo del clone, scuotendolo da capo a piedi. Lightning riprese in mano la gunblade e si rannicchiò per coprirsi gli occhi dal lampo accecante che il fulmine emise prima di sparire. Una pioggia di petali rossi esplose nel cielo mentre il Manikin precipitava, stordito dal flash e percorso da tremiti dovuti alla scarica elettrica. La ragazza si lasciò cadere, dandosi poi lo slancio con i piedi per raggiungere l’avversario e recidergli la testa con un colpo secco.

Firion roteò su se stesso con la lancia sfoderata, nel turbine raccolse il Manikin che continuò a colpire anche una volta fermato, rigirando l’arma come un turbine. Lo scaraventò in aria. Veloce come un fulmine ripose la lancia sulla schiena e raccolse i coltelli dai gambali, lanciandoli contro le rocce intorno a lui dove le lame si conficcarono. Afferrò le corde attaccate ad essi e con esse si diede lo slancio per raggiungere il clone, tirando poi le funi per divellerli dalla roccia e riaverli in mano. Sguainò la spada e tagliò diverse volte il ventre scoperto del Manikin. Quello volteggiò su se stesso, agitando con minaccia il lungo bastone. Firion si allontanò, senza tornare a toccare a terra. Afferrò nuovamente i coltelli e li lanciò contro le spalle del clone dove si conficcarono. Afferrò le corde dei pugnali con una mano mentre con l’altra preparava la spada, puntandola al suo petto. Tirò il mostro verso di sé e la lama rossa della sua arma affondò nel punto in cui ci sarebbe dovuto essere il cuore della creatura, ma dove in realtà c’era solo il vuoto di una macchina spietata.

Gli altri due cloni svanirono allo stesso modo in cui era sparito quello di Ginevra.
Vide i due tornare a toccare terra mentre ancora rinfoderavano la armi.
Lightning si guardò intorno, furtiva come un gatto mentre gli ultimi petali rossi scendevano dal cielo.
Ginevra ne raccolse uno nella mano e lo nascose nel suo palmo prima che uno dei due lo notasse. La ragazza dai capelli rosa si avvicinò e disse:
« Meglio muoverci, ci saranno altri Manikin esploratori nei dintorni. »
Firion guardò Ginevra:
« Te la sei cavata bene in battaglia, mi sembra di aver visto. »
Ginevra annuì, spostando una ciocca di capelli dietro le corna bianche:
« Penso che il mio passato che non ricordo mi nasconda molto di più di quanto riesca a credere. »
Firion replicò, sorridente:
« Le abilità più recondite vengono fuori con il tempo, combattendo. Riguadagnerai i tuoi ricordi, non temere. Probabilmente già dopo questo scontro ti sarai ricordata qualcosa. »
Ginevra ci pensò. Eppure in testa aveva solo e sempre quell’immagine del pavimento sporco di sangue. Nient’altro le veniva in mente.
Probabilmente non mi ricordo parti del passato, però ora so che riesco a combattere, si disse, rincuorata.

***

 « Vuoi venire con noi? » Fu la domanda improvvisa che arrivò da Firion.
Si erano allontanati dal luogo dello scontro e si erano riparati in una incavatura della roccia, assicurandosi che nessuno li vedesse.
Ginevra avrebbe voluto dire di sì, ma si ricordò le parole dello Stregone e scosse il capo:
« No. Io… io ho già il mio viaggio da affrontare. »
« Per dove? Tutti abbiamo un solo scopo: dobbiamo trovare i nostri compagni dispersi ed è meglio se si lavora in gruppo. » Disse il ragazzo.
« Ma io devo trovare una persona in particolare e devo andarci da sola. »
Diavolo, ho detto troppo.
Lightning la guardò solo in quel momento:
« E chi, di grazia? »
Ginevra si morse il labbro inferiore e abbassò lo sguardo:
« Uno che si trova a Nord… »
Firion incrociò le braccia e disse, serio in volto:
« Io e Lightning abbiamo usato il teletrasporto per arrivare al Nord e da lì siamo scesi. Non c’è anima viva, se non lande vuote e silenziose. Pochissimi Manikin si aggirano da quelle parti. »
« No, non è vero. » Ribatté la ragazza dai capelli rosa.
Firion la guardò con la coda dell’occhio e lei aveva gli occhi chiusi e il capo chino. Seguì un momento di silenzio, poi lei corrugò la fronte:
« C’è qualcuno lassù che tu non hai scorto, Firion. »
Calò il silenzio per molti secondi.
Lightning alla fine assunse un’espressione arrabbiata e si voltò:
« Mentre scendevamo verso Sud, lui… lui era lì. Ci ha spiati, per assicurarsi che ce ne andassimo. Quando abbiamo passato il suo territorio, è tornato a nascondersi nella sua tana. Quel… quel traditore  è astio e più pericoloso degli altri cicli. Non è nemmeno stato purificato dalla Dea. »
Firion lasciò cadere le braccia lungo i fianchi e guardò in basso, in volto un’espressione tra lo stupito e il rattristato; ricordi passavano nella mente del giovane:
« Ne sei sicura? »
Lei annuì:
« E spero per noi che non lo abbia preso Chaos tra le sue file… e che non abbia già ucciso i nostri compagni dispersi. » Lightning si voltò di scatto verso Ginevra, arrabbiata in volto « È da lui che devi andare, non è vero? »
« Io… ecco… penso di sì... Io… mi ricordo appena il suo nome. » Balbettò lei sotto lo sguardo glaciale della ragazza.
Firion azzardò una sola parola:
« Kain? »
Ginevra annuì, pur temendo che Lightning si infuriasse ancora di più, pur non sapendo il motivo per cui ce l’avevano tanto con lui. Fu per questo che osò chiedere:
« Ma perché parlate così male di lui? Non me lo hanno presentato così tanto pericoloso. »
« Dipende da chi te lo ha presentato. » Replicò la ragazza.
Ginevra abbassò lo sguardo:
« In realtà… non me l’hanno presentato. È solo una mia impressione, penso. »
Firion la guardò:
« Chi ti ha accennato di lui? Perché ti hanno detto di raggiungerlo?»
Ginevra scosse il capo, confusa; stava svelando tutto, non doveva, doveva fermare quella conversazione:
« Non so chi mi ha parlato, perché era nascosto, non si è presentato. Questa persona mi ha detto che questo Kain mi avrebbe potuto aiutare, nell’addestramento, credo… »
I due davanti a lei non la fissarono, pensierosi.
All’improvviso Lightning si voltò nuovamente:
« Beh, allora và pure da lui, se tanto ci tieni. Ma se ti ritrovi con la sua arma nel petto, non stupirti. Non merita la fiducia di nessuno, quello lì. Se viene chiamato “il Traditore” ci sarà un motivo. Consideralo pure un nemico da abbattere. » Si rivolse al suo compagno « Andiamo, Firion, abbiamo dei compagni più fedeli da trovare. »
Lui annuì, ma prima di lasciare si avvicinò a Ginevra e le disse:
« Io… ho brutti ricordi che coinvolgono Kain e non vorrei che lui riuscisse a ferire anche te. Sii prudente quando lo incontri: lui è un Dragone, con quelli come lui la morte arriva dall’alto. Sta attenta. » Le rivolse un ultimo sorriso forzato, poi si congedò.
Ginevra rimase un po’ scioccata da quelle parole, ma tentò di ignorarle.
Si ricaricò il sacco in spalla e fece pochi passi fuori dalla cavità, passando oltre la figura ferma e pensierosa di Lightning che non aveva ancora mosso piede per partire. Ginevra fece qualche altro passo in più, indecisa se salutarla o meno, ma non ce ne fu bisogno perché la ragazza la chiamò:
« Ginevra… » Lei si fermò « … stai in guardia. »
L’Au’Ra si voltò, le annuì, sorridendo:
« Tornerò sana e salva, promesso. »
La ragazza dai capelli rosa alzò il mento, inspirando a fondo. Poi seguì il suo compagno, ormai distante.
Ginevra si voltò e riprese il cammino verso il Nord.

 



Salve a tutti!
Scusate il ritardo!!! Sorry, sorry, sorry, sorry!!!! Ma, pur essendo nelle vacanze estive, ho i miei impegni e non resco a fare molto, sopratutto ora che si entra nel pieno della storia e piuttosto che scrivere delle cavolate noiose e in un italiano sconosciuto, preferisco non pubblicare niente. Cercherò di fare meglio possibile per non annoiarvi (sarà difficile perchè di solito i miei racconti sono molto statici! Quindi se i capitoli riflessivi e statici vi annoiano, vi consiglio di lasciare la lettura ora perchè sicuramente vi addormenterete prima!).
Se avete qualche idea da consigliarmi per la storia o qualche info in più sul carattere di un personaggio ( che non sia di FFIV perchè quelli li so a memoria) per renderlo meglio, fatevi pure avanti, accetto aiuti di ogni tipo! 
Alla prossima! 

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Capitolo 11
*** Solo un'impressione ***


Vaan aguzzò la vista, passando lo sguardo sul territorio circostante.
Rinunciò e si appoggiò al pilastro di cristallo arancione, bussò sulla superficie con le nocche e apparentemente al vuoto chiese:
« Visto niente lassù? »
Dal pilastro un’esile figura femminile scese, fluttuando. Atterrò con delicatezza sul pavimento e la ragazza lo guardò, gli occhi grandi e dolci. Scosse il capo e con voce debole e delicata rispose:
« No. Questo posto sembra deserto. »
Entrambi guardarono alla loro destra, verso quell’unico cristallo che levitava volteggiando su se stesso, circondato da quell’aura violacea e dal cerchio di polvere, forse polvere stellare.
Vaan portò entrambe le mani dietro la nuca e si lasciò scivolare a terra con un sospiro:
« Beh, allora aspettiamo che Tidus ritorni dalla sua ispezione e poi andiamo a cercare da un’altra parte. »
Terra, la ragazza, annuì, senza smettere di fissare il minerale fluttuante. Aspettò ancora qualche minuto poi disse:
« Vaan… » il ragazzo alzò lo sguardo verso di lei « … io… io mi ricordo ancora di te. » Fece una pausa, assorta nei suoi pensieri « Due cicli fa, mi hai promesso che saresti tornato. Non lo hai mai fatto. »
Vaan si rialzò e le si avvicinò:
« Beh… tutti hanno i contrattempi, giusto? Ma ora siamo insieme e questa volta non ho nessun motivo per lasciarti indietro, sempre che tu voglia combattere. »
Terra sospirò:
« Nemmeno io so più cosa voglio. Ho una sola certezza ed è difendere quante vite posso. Difenderò te, come difenderò qualunque altro guerriero dei nostri, i miei amici. »
Vaan le sorrise e lei ricambiò, un sorriso quasi timido che era comparso dopo una breve esitazione, quasi non sapesse se rivolgerglielo davvero.
All’improvviso, il terreno sotto i loro piedi tremò e videro una grande figura sfrecciare accanto a loro per poi rotolare rovinosamente sul piazzale di cristallo arancione. Grandi unghie s’agganciarono al terreno per arrestare l’impeto della caduta. La bestia, col muso di cane e il corpo somigliante vagamente a quello dello stesso animale, guardò un istante davanti a sé per poi giacere a terra, inerme. La creatura sparì in un'abbagliante luce creata dal suo corpo.
Vaan afferrò Terra per le spalle e la spinse indietro, dietro una delle colonne e disse:
« Cos’era!? »
« Un’invocazione… Era un’invocazione, Vaan! » Esclamò la ragazza, scossa da un brivido.
« Ma allora… »
Una seconda figura, questa volta una ragazza, frenò una scivolata sullo stesso piazzale.
Indossava una gonna blu oltremare decorata con motivi floreali, stivali neri e un saio bianco che copriva la parte superiore del corpo. La gonna era corredata da una fusciacca gialla con un fiocco e due maniche separate le coprivano le braccia. La nuova arrivata portava i capelli lunghi fino alle spalle e aveva un occhio azzurro e uno verde. Tra le mani stringeva con potenza un’asta con un complicato cerchio dorato sulla cima.
Vaan esclamò, incredulo:
« Yuna! »
La ragazza non lo sentì e in quell’istante puntò l’arma davanti a sé e una donna azzurra dai capelli blu comparve affianco a lei per poi gettarsi contro un’enorme palla di fuoco diretta versi di loro. La creatura scomparve insieme al bolide di fuoco. Ma dalle fiamme che ancora si dissipavano, luci viola si diressero verso la ragazza e la colpirono, lanciandola in aria e lasciandola cadere a peso morto al suolo.
Yuna non si rialzò da terra pur essendo ancora cosciente.
Terra fece un passo avanti per andarla ad aiutare ma Vaan la fermò, prendendole un braccio.
Nella loro visuale comparve una figura rinchiusa in un’armatura dorata e violacea con un mantello sdoppiato sulle spalle. Dai lunghi capelli biondi uscivano due corna e tra le mani guantate stringeva un lungo bastone con in cima un globo.
L’uomo si avvicinò a Yuna e la guardò dall’alto.
Con voce amara, gli occhi viola ridotti a due fessure, le parlò:
« Senza di loro sei niente. Senza i tuoi amici non sapresti dove mettere i piedi. Sola, le preghiere a creature bestiali non ti possono salvare dal male in questo universo. Siamo tornati, siamo molto più di quanto non fossimo nel passato. » Le puntò il bastone contro nello stesso momento in cui Yuna alzò il capo per fronteggiarlo. Il globo rilucette di un bagliore viola a soli pochi centimetri dal volto della giovane.
Vaan decise di darsi una mossa e con la forza del pensiero fece comparire nella sua mano la balestra:
« Preparati. » Sussurrò a Terra.
La ragazza gli annuì.
Il giovane prese la mira con l’arma e quando sentì giungere il momento, rilasciò la freccia.
L’Imperatore vide l’arma quasi sbalzargli via di mano il bastone. Si voltò e vide i due giovani correre verso di loro, Vaan a proteggere Terra con due coltelli stretti in mano.
Il ragazzo allontanò l’Imperatore minacciandolo con dei colpi mentre la bionda aiutava Yuna a rialzarsi.
Mateus li guardò. Erano uno contro tre.  L’uomo strinse i denti e nella rabbia sibilò:
« Vi attende ancora la prima battaglia di questo ciclo. Non pensiate che mi tirerò indietro come adesso. »
Si voltò e svanì.

***

Tidus si tirò una pacca sulla nuca.
Niente. Non ho trovato niente… nemmeno te, vecchio mio. Dove sei finito? Anche tu sei finito in questo putiferio di nuovo? E da che parte? Pensò, sbuffando.
Arrivò al punto di ritrovo.
Li vide, in lontananza, sull’altro spiazzo più in là.
E vide lei. L’avrebbe distinta tra mille.
Gli mancò il fiato per un istante, poi prese a correre.
Corse, corse, una saetta e fu capace di solo di urlare:
« Yunaaa! »
La ragazza alzò lo sguardo e gli occhi divennero lucidi, increduli ma allo stesso tempo era come se avesse sempre saputo della sua presenza.
Tidus era già accanto a lei quando questa lo richiamò:
« Tidus…! »
Seppur affaticata, Yuna s’alzò da terra e si gettò tra le braccia del ragazzo.
I due si strinsero forte, senza risparmiarsi.
Vaan non li aveva mai visti così uniti, mai visti lasciati andare così tanto ai loro sentimenti.
« Anche tu sei qui? » Chiese l’Invocatrice.
« Dove vai tu vado io. » Le rispose Tidus.
Si staccarono per scambiarsi un unico, profondo sguardo che solo loro due potevano capire cosa nascondesse dietro.
Vaan grugnì per attirare l’attenzione:
« Sono contento che vi siate ritrovati, ma… Yuna, cos’è successo? »
L’Invocatrice abbassò il capo, poi prese a raccontare:
« Per prima cosa, io non mi sono svegliata al Santuario… »
« Nemmeno noi. » Aggiunse Terra.
« Avrei voluto raggiungerlo. I posti li riconoscevo, sapevo dov’ero. Ma avevo una strana sensazione. Sentivo che nell’aria c’era qualcosa di diverso, come se una grande presenza fosse scesa su di noi. »
« Una presenza? » Fece eco Tidus.
Yuna annuì:
« Non una creatura qualsiasi come quelle che invoco io. Qualcosa di immenso, potente, più degli Dei. »
Tidus fischiò:
« Per la miseria… ma sei sicura? »
« Non del tutto. Ma di solito non mi sbaglio mai su queste cose. » Ammise lei.
Rimasero in silenzio, pensierosi.
Poi Vaan ruppe il silenzio:
« Fammi indovinare: sei andata a cercare la causa di questa sensazione ma ti sei imbattuta nei guerrieri di Chaos. »
« Precisamente. »
Terra s’intromise:
« Comunque, credo che ora non sia il caso di fare indagini. Piuttosto, dobbiamo prepararci per la battaglia. »
Yuna sbarrò gli occhi:
« Una battaglia? Di già? Era questo allora che l’Imperatore intendeva prima. »
Tidus annuì e alzò il pugno:
« Forza, torniamo al Santuario e prepariamoci! Sono sicuro che i nostri compagni stanno già trovando i dispersi. »
Yuna annuì, sorridendo:
« Andiamo. »
Il gruppo prese a correre ma l’Invocatrice rimase indietro apposta per poi fermarsi, pensierosa. Si voltò verso il cristallo fluttuante alle sue spalle, lo fissò.
Lo so che c’è… Non mi sto sbagliando…
« Yuna! »
Vaan la distolse dai pensieri.
Lei mise da parte le sensazioni e li raggiunse.

 



Ciao a tutti!!
Non sono morta, giuro, sono solo temporaneamente bloccata con la storia. Fatico ad andare avanti e piuttosto che perdere tempo su idee che alla fine non mi vanno a genio, faccio altro. È difficile andare avanti con una storia che non ho ben organizzata in mente, che sia grammaticalmente corretta e che non deluda le aspettative di nessuno... Ma non mollo, promesso, in qualche modo andrò avanti.
Spero che questo capitolo come ripresa sia sufficente, comunque aspettatene uno nuovo presto ( e questa volta viene davvero presto, non tra tre mesi ;))
Grazie per la vostra perseveranza nel leggerlo, mi incoraggia molto ad andare avanti!
A presto!

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Capitolo 12
*** Freddo mio amico... ***


Lightning continuava a fissare il pavimento.
Erano vicini al Santuario, ancora qualche ora di marcia. Ma si era dovuta fermare… per Firion. Lei aveva il passo da soldato, lui no, per quanto robusto fosse. Ma se doveva essere sincera, anche lei era stanca. E preoccupata. Non ci avrebbe creduto se qualcun altro glielo avesse detto che era in quella situazione.
Era giorni che aveva in testa l’incontro con la nuova guerriera, Ginevra. Pensava ai coltelli e le sorgeva la domanda da chi provenissero; pensava al suo aspetto e la vedeva aliena; pensava al motivo che l’aveva spinta a proseguire da sola controcorrente, verso il nemico… e sentiva l’impeto di andarla a riportare indietro. Non si era mai preoccupata di nessuno, gli altri erano liberi di fare le loro scelte a loro rischio, ma lei, per quanto lo avesse nascosto, aveva provato un certo affetto nei suoi confronti. Quel volto, le stuzzicava la memoria. Poi malediceva quel suo aspetto strambo con squame, coda e corna che non le permetteva di raggiungere i ricordi che sapeva di aver dimenticato. Come tutti i guerrieri, per quanto fosse consapevole di non ricordare, odiava non poter guardare nel proprio passato.
Firion finì il suo Elisir che tanto desiderava e Lightning ancora fissava per terra, pensierosa.
« Lightning… » La chiamò il ragazzo-
« Mh? » Mugugnò lei.
« Stai bene? C’è qualcosa che non và? » Chiese, guardandola da lontano.
Lei scosse il capo:
« No, sto bene. »
Il ragazzo, capendo che non avrebbe ottenuto niente di più, fissò l’ampolla di Elisir vuota, dondolandola tra le dita.
« Firion. »
Lui fu subito pronto ad accogliere le sue parole e la guardò. La ragazza sospirò e chiese:
« Che impressione ti ha fatto quella ragazza? »
Firion sospirò a sua volta e gettò la testa indietro per poggiarla sulla roccia, fissando il cielo scuro della notte:
« Uhm… vediamo… Beh, determinata, coraggiosa… ma anche timida… non potrei dire di più, non la conosco bene. »
« Giusto. » Affermò lei.
Firion fece qualche veloce ragionamento sul motivo di quella domanda. Sbarrò gli occhi e la guardò per l’ennesima volta:
« Non sarai mica preoccupata? »
Lightning non rispose, chiuse gli occhi, corrugando la fronte. Si alzò.
« Per quanto strana sia e per quanto non abbia fiducia in lei, fino ad ora è stata l’unica ha ispirarmi idee sul mio passato, è stata l’unica a sfiorare i miei ricordi. Credo che sia l’unica fonte da cui partire per cominciare a ricordare qualcosa. Se la perdo, dovrò cominciare da zero. » Raccontò la ragazza, con lo stesso tono di voce che assumeva quando doveva raccontare qualcosa di privato o personale.
« Capisco… Vuoi andare a cercarla? »
« Non credo che sia una stupida, saprà difendersi da sola. Noi abbiamo affari molto più importanti da sbrigare… ma saranno guai per quell’idiota se le mette le mani addosso! »
Firion distolse lo sguardo: ogni volta che sentiva quel nome gli tornava il dolore alla schiena, dove ricordava di aver sentito la lancia entrare nella carne per ritrovarsela davanti agli occhi mentre usciva dal torace, sporca del suo stesso sangue.
Ebbe un brivido che le parole di Lightning spezzarono a metà:
« Andiamo, siamo in ritardo. »
Il ragazzo s’alzò e con lei continuò il viaggio verso il Santuario.

***

Ginevra aveva in fiato pesante. Il freddo, la fatica… la paura. Le labbra erano screpolate e doveva bagnarsele in continuazione per non farle seccare e spezzare, dalla gola uscivano nuvole di vapore caldo che con delusione rigettava dal corpo, riuscendo a gettare nei polmoni solo aria gelida. Strinse l’elsa dei due pugnali e tenendoli dietro la schiena per non ferirsi corse su per l’ammasso di rocce. Arrivò in cima e come previsto dal suo udito si trovò alle spalle del Manikin. Si fece coraggio e poi saltò; gli arrivò addosso e piantò le lame nel corpo cristallino del mostro. La testa della creatura colta di sorpresa si rigettò indietro, sbarrando occhi di vetro, e dalla gola emise un verso simile a un grido distorto. Ginevra si costrinse a tagliargli la gola per far cessare quel terribile suono che avrebbe potuto attirarne altri nelle vicinanze. Il corpo crollò e lei tornò su due piedi.
Si bagnò le labbra; almeno quelle bestie umane non rilasciavano sangue.
Velocemente, ripose i coltelli nelle loro custodie e avvolgendosi nel mantello s’avviò oltre il canyon.
Ad ogni angolo, prima di svoltarlo, controllava con occhio e udito che niente fosse vicino. Solo quando era sicura metteva piede avanti.
Muoversi la faceva sentire bene, scaldava il corpo ed i muscoli e inoltre si era lasciata i capelli nuovamente sciolti perché le facessero caldo sul collo, ma legandoli nei suoi quattro codini di partenza perché non le ingombrassero quando combatteva.
Si fermò a riprendere fiato. Oltre il suo respiro affannato non si udiva altro rumore. Ogni tanto, il vento soffiava forte e in quel momento si sentiva osservata, come se l’aria stessa la stesse sorvegliando.
Scosse il capo e continuò.
Arrivò di fronte ad un largo crepaccio. Non era un problema, riusciva ad attraversarlo saltando. ma era il ghiaccio sul bordo dall’altra parte che la metteva in dubbio, sembrava molto scivoloso.
Sospirò, pentendosi subito per aver sprecato l’aria calda nei polmoni.
Indietreggiò di qualche metro, poi prese la rincorsa e saltò.
Forse fu l’istinto, forse la curiosità, ma l’occhio le cadde sul fondo del crepaccio sotto di lei.
E li vide.
Decine di decine di corpi cristallini ricoperti di armature arrugginite e dai svariati colori sbiaditi.
Si distrasse a guardare i nemici accorgersi della neve sollevata dai suoi piedi che cadeva su di loro e non s’accorse della parete opposta del crepaccio. Guardò in avanti in tempo per riuscire ad afferrare il bordo, ma il ghiaccio che tanto le prometteva male le fu ostile e le sue mani non ressero. Cadde giù.
Atterrò, battendo la testa. Perse la vista per qualche secondo e quando la riacquisto decine di occhi vitrei la fissavano dall’alto.
S’alzò con un balzo, giusto in tempo prima che uno di loro le saltasse addosso per bloccarla.
Non poteva sconfiggerli tutti. Doveva trovare la salvezza con la fuga.
Prese a correre.
Dietro di lei sentì rumore di cariche meccaniche e qualche istante dopo proiettili cercavano di colpirla da dietro. Furono solo quattro colpi schivati per fortuna ma che le diedero lo sprint per aumentare il passo. Oltre la cozzaglia delle armature arrugginite, distinse l’arma da fuoco venire ricaricata e si rifugiò dietro l’angolo che il crepaccio compiva nel suo corso. Lanciò gridolini di spavento quando vide la roccia a pochi centimetri sbriciolarsi sotto i colpi di pistola. Sbirciò oltre e li vide avventarsi su di lei.
Riprese a correre .
Le custodie dei coltelli le battevano sulle gambe come invito a prenderli e combattere, ma lei lo sapeva che non era pronta ad affrontarne così tanti.
Quando vide la parete dritta su di lei che annunciava la fine del crepaccio non si fece prendere dallo sconforto e saltò. S’aggrappò a degli appigli nella roccia e cominciò a scalare su per la parete con i Manikin alle calcagna. Dopo qualche secondo fu in cima e con le gambe che cedevano dall’agitazione riprese a scappare.
Con gli occhi all’inizio non riconobbe il posto ma poi guardando in alto, s’accorse di essere ancora nel canyon. La superficie era ancora più in alto e aveva bisogno di tempo per trovare un punto attraverso cui risalire. E lei non ne aveva molto.
Durante il viaggio si era allenata nelle acrobazie in aria ma non si era mai spinta oltre per il timore di rompersi qualche osso. Era alle strette con le decisioni. Era meglio una gamba rotta o una fucilata nella schiena?
Strinse i denti.
Ma nonostante la decisione fosse fatta aveva bisogno di guadagnare ancora più distanza dai nemici per permettersi di prendere la carica per un salto degno di essere chiamato “alto”.
Continuò a correre ma s’accorse di aver commesso un errore a non reagire prima: il canyon finiva in una scarpinata troppo scoscesa ed instabile per essere risalita a piedi.
Ormai l’aria nei polmoni era fredda, tanto che non emetteva più nuvole di vapore caldo, solo fiato gelido. Si toccò la pancia per aiutare i polmoni a gonfiare aria e frustrata fissò i Manikin metterla nell’angolo… ancora una volta.
Mandò tutto al diavolo e sfoderò i coltelli, unendo i manici e formando la Lancia di Lilith.
La impugnò saldamente e prese posizione d’attacco, ignorando le sue forze che veniva a meno per la corsa.
Ben quattro dei mostri caricarono su di lei che non si fece prendere dall’indecisione e con colpi precisi delle due lame alle estremità li perforò e tranciò, finendoli se ancora desideravano combattere agonizzando.
Caricò un altro gruppo e Ginevra guadagnò le sue prime ferite sulle braccia. Per la prima volta, la pelle fredda le fu d’aiuto perché la rendeva meno sensibile al dolore, come anestetizzata. Continuò a combattere, avanzando a colpi di lancia e inoltrandosi nel grumo di mostri semi-umani. Ora anche la coda, che aveva imparato a gestire a suo comando, faceva il suo lavoro, usata come frusta. Le squame sul corpo la proteggevano dai colpi più forti. Venne ferita sui fianchi, sulle braccia, sulle spalle, una taglio profondo sulla gamba sinistra, qualche livido sulla faccia. Era in una scatola di corpi ed armi che continuamente la ferivano.
Ma perché non mi trasformo? Ora sarebbe un buon momento, pensò, cominciando a sentire la fatica.
Le sue energie si spegnevano, non c’era più l’energia iniziale nei suoi colpi, faticava e sentiva l’aria fredda gelarla dentro. Il sudore s’asciugava gelido sulla pelle e sul volto.
No! Fu l’urlo del suo corpo che la fece retrocedere e ritirare dal marasma.
Girò su se stessa, macinando con le lame i corpi intorno a lei e guadagnando spazio per saltare indietro. Si ritrovò tanto allo stremo che quando atterrò le gambe cedettero e si dovette appoggiare alla lancia per non cadere.
Il numero dei Manikin era diminuito, ma non abbastanza.
Indietreggiò ed inciampò, ritrovandosi stesa per terra, completamente scoperta ai colpi.
Basta, è finita…
Ormai non sentiva più niente, era sorda, nonostante sentisse. Percepiva solo la neve sotto il corpo, nemmeno le ferite erano degne di essere considerate. Sentiva il freddo, suo compagno sin dall’inizio, sentiva la debolezza, la nuova arrivata, sentiva la stanchezza, per la prima volta così opprimente. I gorgoglii dei Manikin erano niente per le sue orecchie.
« Salta… »
Era una voce.
Una voce!
Non una voce di un Manikin, no, quella la riusciva distinguere.
Sbarrò gli occhi che andarono oltre il mare di pupille vitree sopra di lei, ma non lo vide ancora. Rivoltò il capo ancora più indietro, riuscendo a vedere la cima del canyon e fu così che lo vide.
Solo il profilo, solo la sua ombra.
« Salta! »
Provò a muoversi ma il freddo l’aveva congelata sul posto e migliaia di corpi non le avrebbero permesso di alzarsi.
Stava scivolando nell’incoscienza, vedeva tutto come un sogno.
Lo stupore che avrebbe dovuto provare nel vederlo saltare di metri e metri e atterrare senza che si spiaccicasse al suolo non la colse come avrebbe dovuto. Mentre lo sentiva combattere e vedeva gli occhi vitrei scomparire uno ad uno in una nube di vapore nero, il freddo entrava nel corpo.
Chiuse gli occhi e quando si risvegliò dal brevissimo sonno, si sentiva sollevare, il corpo venire tolto dalla neve.
« Tieniti. » Le disse la voce vicina.
Lei mosse le braccia attorno alla vita di qualcuno, ma non fece alcuna forza. Era più morta che viva.
Sentii improvvisamente il vuoto sotto i piedi e perse i sensi.

 



Salve a tutti!
Avevo promesso che il capitolo sarebbe arrivato presto, ed eccolo qui.
Devo dire che mi sono divertita a scriverlo, pensavo sarebbe venuto peggio. Si entra nello spesso, anche con i sentimenti dei personaggi. Spero la storia vi intrattenga abbastanza e vi soddisfi :)
Alla prossima!

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Capitolo 13
*** Maledetto cuore ***


Si sentiva calmo.
Forse lui era sempre così.
Ma lo era anche in quel momento, sapeva come reagire in futuro, sapeva come chiudere la questione. Nessuno gli sarebbe venuto a fare il contropelo. Sarebbe sparita dalla sua vita e se ne sarebbe dimenticato. Basta tutto lì.
La rogna era aspettare i comodi degli altri.
In certi momenti lo sfiorava il pensiero che avrebbe potuto svegliarla dal sonno a calci, ma riusciva a controllare il suo lato violento… e poi c’era quel volto rilassato che la rendeva così maledettamente dolce, un’espressione che avrebbe disarmato chiunque.
Maledetto cuore…
Avrebbe tanto voluto disfarsene, di tutti quei sentimenti, quelle emozioni pressate dentro, dietro quell’armatura di pelle di drago a renderlo un assassino.
Aveva ucciso, aveva versato tanto sangue che avrebbe potuto imbrattarsene dalla testa ai piedi, eppure davanti con quei volti non riusciva ad alzare mignolo. In quel momento, dannazione, non riusciva a mettersi nell’idea di una determinazione ferrea e di liberarsi della sua presenza una volta per tutte. Con gli altri Guerrieri c’era riuscito, addirittura in quel ciclo era riuscito a scacciare gli intrusi solo con la forza dello sguardo… perché non riusciva adesso? Cos’aveva di diverso lei da tutti gli altri?
Maledetto cuore…
« Ohoh! Ma chi abbiamo qui! Il Traditore! »
Odio, odio, odio… odio per quella voce.
Si voltò solo per vedere chi quello scemo di pagliaccio si fosse portato appresso.
Profondi occhi blu lo fissarono, altezzosi, e il volto levigato da lunghi capelli argentei decorati da due piume gli regalò un sorrisino, niente più che un muto e camuffato saluto. Una coda spuntava poggiata con rilasso sulla gambe.
Giusto per dargli fastidio, Kefka attirò la sua attenzione nuovamente alla propria figura che sapeva perfettamente disgustarlo:
« Credevamo ti fossi già tagliato la gola! »
« Pf! Non ti darei mai questa soddisfazione. » Ammise il Dragone, increspando la bocca di un millimetro per rivolgergli il suo tipico sorriso, questa volta intriso di odio.
Kefka colse appieno quello sguardo di sfida e scosse la mano:
« Oh, ma è sempre bello vedere un amico! »
Si continuava a chiedere come facesse il suo compagno a sopportarlo e come potesse rimanere muto alle sue spalle.
Il pagliaccio lo fissò intensamente:
« Piuttosto… come mai qui al Vecchio Santuario del Caos?  »
Lui era tornato serio e stava guardando la figura accanto a lui per non fissarlo:
« Credevo avessi capito che non ho intenzione di spostarmi da qui… »
« Ma nessuno ti ha dato il permesso di starci, caro! »
Odiò quel termine:
« E chi ha il diritto di dirmi ciò che devo fare? Non di certo tu. »
Fu con suo enorme sollievo che finalmente il secondo elemento si fece avanti:
« Oh insomma, Kefka! Siamo solo qui di passaggio, non per fare le pulci agli altri. » Disse la sua voce soave.
Il Dragone conosceva quelle sue aspirazioni poetiche, quel suo carattere vanitoso ed ego centrista, quella mania di prendere tutto come se la vita fosse un’opera da recitare… ma pensava comunque che prendesse tutto con troppa leggerezza. Il mondo non era centrato su di lui, non poteva pensare che il vivere fosse una sola messa in scena. Era tanto convinto di questo che anche la sua voce nei momenti in cui decideva di sprecarla sembrava essere venuta fuori da qualche copione.
E Kuja sapeva recitare benissimo.
I suoi occhi blu oltremare lo fissarono ancora più profondi:
« Direi che il nostro compare qui abbia già il suo ben da fare… »
Il Dragone emme un sussulto nel profondo, che non mostrò minimamente, essendosi scordato di chi aveva alle spalle.
Non gli era stato nemmeno concesso il tempo per comprendere cosa Kuja volesse intendere che Kefka era già sulla strada per avvicinarsi alla ragazza immersa nel tepore del mantello.
Fu un lampo a sfoderare la sua fidata lancia e a piantarla a pochi centimetri dal naso del pagliaccio bloccato al suo fianco. Non degnò nemmeno di un sguardo, fissò dritto davanti a lui e con parole di gelo gli disse:
« Osa  di un solo passo, ed io ti uccido. »
Kefka lo guardò con la coda dell’occhio e invece di mostrare paura gli rivolse un largo sorriso:
« Aaaah… allora fai sul serio… » Disse a bassa voce il pagliaccio.
Il Dragone lo fulminò con gli occhi, lasciando che capisse da solo la sua risposta.
Kefka si ritirò di nuovo al fianco di Kuja, rivolgendogli il sorrisino più intriso di vendetta che gli avesse mai donato fino a quel momento. E dopo quella serie di sguardi di odio che l’Angelo della Morte aveva guardato con divertimento, fu il pagliaccio stesso a parlare:
« Beh, ma credo sia giusto che anche tu abbia le tue bambole con cui giocare. Ma mi raccomando, consiglio di esperto, non tirare troppo o si rompono! Bwahahahah! »
E con quella risata austera Kefka gli voltò le spalle per poi saltellare via, canticchiando:
« Kuji-kuuu!! Ti aspetto più avantiii!! »
Quando il pagliaccio fu sparito dalla vista metri e metri più avanti, entrambi poterono tirare un sospiro di sollievo.
« Come riesci a sopportarlo? » Chiese il Dragone.
Kuja sorrise:
« Gli stupidi un giorno o l’altro spariranno tutti, è solo questione di tempo. »
L’Angelo della Morte non perse tempo e con un movimento del mento chiese:
« Lei piuttosto… da dove salta fuori? Un nuovo burattino della Dea? »
Il Dragone si voltò, dandogli le spalle, si fidava di lui, non aveva timore a rivolgersi così:
« Credevo fosse dei vostri ma evidentemente mi sbagliavo. »
Kuja si era avvicinato di qualche passo per arrivargli di fianco:
« Perché quest’idea tanto bizzarra? »
« Il suo aspetto… non si trova tutti i giorni una ragazza con le squame… »  Disse lui.
« Posso…? » Chiese con eleganza Kuja.
Il Dragone gli concesse di avvicinarsi alla giovane nascosta sotto il mantello nero. L’Angelo s’inginocchiò e con gentilezza scostò di poco la copertura per vedere meglio il corpo della giovane, mentre il Traditore, alle sue spalle, stringeva la mano sulla lancia in caso si fosse visto dover intervenire. Ma Kuja non fece niente. Dopo pochi minuti di attenta osservazione, si ritrovò a dire:
« È perfetta… non ha nemmeno bisogno del costume, è già pronta per la scena… » E così la ricoprì del suo tepore.
Kuja continuò a fissarla dall’alto, agitando la sua coda:
« Dimmi, perché non l’hai uccisa? »
« Non ho detto che la lascerò in vita. » Rispose gelido il Dragone.
Kuja ridacchiò piano per non svegliare la ragazza:
« Sei bravo a recitare, ragazzo. »
« Mai quanto te. » Fu il suo rimando.
Kuja si voltò per passargli affianco e sparire alle sue spalle, pronto a riprendere il suo cammino.
Il Dragone lo fermò:
« Tu, invece… »
« Io…? »
Aspettò qualche secondo:
« Anche tu mi sembri più compassionevole… avresti potuto fare il lavoro al posto mio. »
Kuja non gli rispose subito, no, doveva ricordare le parole nel copione, doveva sceglierle bene, era l’atto finale, non si esce di scena senza un buon finale. Ascoltò musica conclusiva dentro di sé, ascoltò il ritmo, le parole, ricordò l’opera intera e fu solo dopo averla ripercorsa tutta che poté concludere per accogliere gli applausi che si preparavano a risuonargli nel petto:
« Ah, maledetto cuore! »

***

Il freddo che tanto l’aveva invasa, ora era sparito. Lo aveva percepito nel sonno. Era sceso un velo di calore sulle sue membra e solo allora aveva colto nel pieno lo stato di quiete, se così si poteva definire. Infatti nel profondo la sua anima era turbata dagli ultimi ricordi, quelli dello scontro con i Manikin. Lei stessa non si ricordava più cosa avesse fatto e come ne fosse uscita viva… sempre che fosse così. Forse quella quiete era effimera.
Fu così che riprese coscienza nel dormiveglia. Non voleva aprire gli occhi, stava così bene al caldo che voleva prolungare la cosa perché qualunque fosse la fonte del tepore, svegliarsi voleva dire doverla lasciare. Così non esitò mostrare segni di coscienza, ad esempio lasciando che la coda si potesse muovere di poco a suo piacere, o muovendo di poco le dita che ricordava gelate.
Si sistemò meglio e cominciò a capire che doveva esserci una coperta a coprirla, perché sentiva il tessuto sulla pelle e la sua peluria agganciarsi sulle sue squame. Sospirò e sentì aria calda entrarle nei polmoni. Allora doveva essere in un posto riparato dalla neve e dal freddo.
Sotto di lei sentiva il duro del pavimento piatto, comodo per certi sensi se confrontato alla roccia appuntita e grumosa su cui aveva dormito fino a quel momento.
A quel punto era talmente sveglia che avrebbe voluto aprire gli occhi, ma quel calore era ancora una tentazione.
Così li socchiuse e basta. Sbirciò un poco oltre le lunghe ciglia che ancora le impedivano la vista completa, non vide né capì molto del posto.
Non c’era proprio scelta se non quella di alzarsi.
Sbuffò e tenendo il mantello a coprire le spalle si portò a sedere, barcollando ancora mezza intorpidita. Inarcò la schiena per stiracchiarsi e strizzò gli occhi per poi guardarsi intorno.
Era un piazzale dove erano posizionati dei monumenti strani e in giro riusciva a distinguere chiaramente dei buchi, come fosse.
Sentì un rumore e i suoi sensi scattarono in allerta. Si guardò intorno ancora più attentamente, spaesata, poi le tornarono alla mente i coltelli.
Dove sono? Dove sono?! Ho bisogno dei miei coltelli!
Tastò con le mani sotto di lei e li cercò tutto intorno, alzandosi per controllare ancora. Sul suo volto si dipinse un’espressione di pura disperazione a non trovarli vicino a lei.
« Cerchi questi? » Chiese una voce dietro di lei.
Ginevra si voltò di scatto e davanti a lei vide una nuova figura che fino a qualche istante prima non c’era.
Era un ragazzo sulla ventina d’anni, alto, molto magro e snello, completamente coperto da un’armatura viola scuro aderente al corpo e che all’apparenza sembrava fatta con la pelle di qualche rettile. Sul capo portava un elmo ricalcante la testa di un drago da cui uscivano finti lunghi capelli viola.
Nella mano sinistra stringeva una lunga ed affusolata lancia, mentre con la destra stringeva i suoi coltelli ancora uniti a formare a loro volta una lancia.
Ginevra sentiva che da sotto la penombra che l’elmo proiettava sul volto, c’erano due occhi a fissarla intensamente. Ma non volle farsi prendere alla sprovvista e dalla timidezza e corse verso di lui, le mani che già protendevano verso la sua unica arma di difesa.
Ma all’improvviso, senza che nemmeno avesse il tempo di reagire, si ritrovò la punta della lancia del ragazzo dritta nel ventre.
Si prese un tale colpo che nemmeno indietreggiò, ma rimase a fissarlo ad occhi sbarrati dallo stupore.
« Non così in fretta. » Le disse freddo il ragazzo.
Ginevra deglutì e fece un passo indietro per togliersi dal ventre il filo della lancia che la solleticava minaccioso.
Lo sconosciuto riabbassò l’arma e con occhio indagatore la guardò da capo a piedi.
Ginevra si fece coraggio e con cautela, scegliendo bene le parole disse:
« Sei… sei tu… Kain? »
Non disse il termine che aveva sentito gli altri utilizzare per identificarlo, sapeva fin troppo bene che l’avrebbe irritato.
Il ragazzo arrivò a fissarla negli occhi, analizzando la sua frase, come se non avesse mai sentito il suo nome:
« Sì. »
Ginevra sospirò per calmarsi e continuò a chiedere:
« Sono… sono stata mandata da te per… »
« So chi sei e so anche perché sei qui. Sono già stato avvisato. Ma io non ho intenzione di prendermi nessuno come allievo o chicchessia, quindi puoi tornartene da dove sei venuta. » Le disse, lanciandole la sua arma per poi voltarsi con l’intenzione di sparire.
Ginevra afferrò al volo con impaccio la Lancia di Lilith, quasi perdendola di mano.
« Cosa?! T-tu non mi puoi rimandare indietro! Ho fatto il viaggio fin dall’altra parte del mondo per trovarti e tu non mi puoi trattare così! »
« Se avessi un minimo di intelletto capiresti che ti sto solo risparmiando la vita. » Disse il Dragone senza voltarsi.
« Eh? »
Kain a quel punto si voltò:
« So benissimo che conosci la mia fama tra i Guerrieri di Cosmos. Pensavo che le storie su di me ti avrebbero almeno fatto ripiegare, ma evidentemente sei troppo ingenua e bisogna fartela capire con le maniere forti. »
Ginevra assunse un’espressione di determinatezza:
« Non mi fai paura, io lo so che sei dei nostri! »
Kain con tre passi le fu addosso e senza timore avvicinò il suo volto a quello della ragazza, lasciandola completamente spesata da quella reazione:
« Brava, fidati degli altri! Vedrai quando verrai pugnalata alle spalle quanto la tua fiducia sarà ancora salda! Sei stata mandata qui perché ti insegnassi, bene, allora questo è il mio primo ed ultimo consiglio per te: stammi alla larga ed io non ti uccido. »
Detto così, il Dragone si voltò e si preparò a saltare.
Ginevra rimase basita da quelle parole ma non si diede per vinta.
Avanti, Ginevra, un po’ di nervo! Si disse.
E nel momento in cui Kain staccò i piedi dal suolo per saltare, la ragazza si gettò su di lui, scaraventandolo a terra e cadendo insieme a lui.
Lei rimase a terra e lo vide alzarsi, incredulo che lei fosse riuscita ad arrivare a tanto.
Poi il Dragone riprese la sua postura e acido le disse:
« Allora mi sfidi… »
Ginevra si rialzò:
« Sì! Perché non ci credo che tu sia così cattivo. Fai il duro solo perché gli altri ti vedono nel modo sbagliato. Non ti conosco e potrei anche sbagliarmi, ma voglio che tu torni da noi! »
« Se sai che potrei tradire la tua fiducia, allora perché tutto questo? »
« Perché sono ingenua! » Gli gridò contro lei.
Kain sorrise, quell’increspatura della bocca:
« Lo vedo… »
Ginevra non mollò la sua determinazione.
Il Dragone la guardò dritta negli occhi da dietro la penombra del suo elmo:
« E và bene. Allora io propongo un duello: se vinci tu, ti seguirò fino al Santuario e ti aiuterò in qualunque sia il tuo obbiettivo; ma se vinco io, tu torni alla polvere. »
Ginevra analizzò la situazione.
Aveva mostrato così tanta convinzione che a quel punto non poteva certo ritirarsi.
Alzò il mento e con voce ferrea ma che cercava di contenere il tremito dell’agitazione, disse:
« Ci sto. »
Kain si rigirò la lancia tra le mani e si posizionò per l’attacco :
« Preparati! »

 



Salve a tutti!
Beh diciamo che Kain e Ginevra a questo punto si sono presentati... anche se non con frasi affettuose, anzi, proprio per niente.
Ma la parte a cui ho voluto dare più importanza è l'inizio, con Kefka e Kuja. Avrei dovuto far finire il capitolo in quel punto, poi però ho pensato all'organizzazione dei prossimi capitoli e quindi ho aggiunto quest'incontro movimentato.
Non starete sulle spine per molto, questa fase l'ho ben in testa e saprete come andrà a finire l'accesa disputa.
Alla prossima! 

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Capitolo 14
*** Au'Ra versus Dragone ***


Ginevra sapeva.
Sapeva di aver fatto la più grande stupidaggine possibile ed immaginabile.
E solo ora che lo vedeva in azione lo capiva.
Aveva parlato prima ancora di ragionare, aveva deciso senza basarsi sui pregiudizi, nemmeno sugli avvertimenti.
Ora che se lo trovava contro trovava la ragione per cui era stata messa in guardia.
Sarebbe stato davvero bello se all’improvviso se lo fosse visto al suo fianco, amico, fedele. Ma questo non sarebbe mai accaduto. Forse, se avesse vinto. Ma la sua esperienza in confronto alla sua era niente. Non poteva vincere basandosi sui suoi ricordi vaghi. Lei per come la vedevano gli altri non sapeva combattere con una tecnica, nonostante lei fosse cosciente di averne avuta una. E Kain aveva occhio per gli incapaci come lei.
Non sembrava intenzionato a perdere tempo con lei, eppure stava facendo il gioco del gatto e del topo.
Si faceva vedere, poi spariva. Veloce. Un flash davanti ai suoi occhi, una frazione di secondo per deviare la lancia fine, poi quella che sembrava un’illusione spariva con un salto.
Aveva già visto i guerrieri della Dea in azione, ma Lightning e Firion, per quanto già veloci fossero, non sapeva neppure se sarebbero stati in grado di compararlo.
« Sei confusa? » Chiese la sua voce.
Ginevra era tanto persa che non capì nemmeno da dove provenisse il suono. Aveva le orecchie tappate dall’adrenalina.
Si sentì venire spinta in avanti, la coda agì d’istinto, frustando minacciosa, ma non arrivò a toccare niente. Si voltò, stringendo la lancia di Lilith. Ma i suoi occhi non distinsero alcuna forma umana.
Sudava.
La sola tensione bastava per farle tremare ogni singola squama.
Sentì uno spostamento d’aria alle sue spalle e con la coda dell’occhio una lancia roteare verso di lei. Si gettò da una lato e con una capriola fu di nuovo in piedi.
Questa volta lo vide frenare nell’aria e poggiare i piedi per terra, senza più tentare di scappare ai suoi occhi.
Ginevra portò la lancia davanti a sé e lo fissò con occhi sbarrati, pronta a prevenire il peggio. Kain le puntò la lancia contro e si diede la spinta con le gambe, schizzandole contro. Ginevra fu veloce e con un forte colpo deviò la direzione dell’arma. Kain riprese la lancia alla sua manovrabilità e prese a colpire. Ginevra parò soltanto, ma senza riuscire ad evitare di indietreggiare.
E continuò così per lunghi, intensi minuti.
Un piede dietro l’altro, un colpo dopo l’altro, fino a quando l’Au’Ra si rese conto di star arrivando al limite.
Dietro di lei ora c’era uno strapiombo che dava sulla nebbia scura invadente la landa ai piedi del santuario. Non riuscì a pensare in tempo ad un piano e i suoi talloni poggiarono sul vuoto. Spinse indietro la lancia di Kain e si guadagnò un solo passo in avanti per non cadere.
Diede un velocissimo sguardo indietro per vedere quanto il salto fosse alto. Le venne un nodo alla gola quando notò che la nebbia era tanto densa da nascondere il suolo a chissà quando in basso sotto di lei.
Kain davanti a lei le rivolse il suo sorriso ad un millimetro. Poi scattò in avanti e la prese per la scollatura:
«Ti piace stare con i piedi per terra, non è vero? Perché non provi a volare? Vedrai, sarà molto più bello di quanto pensi. »
E la spinse indietro.
Ginevra cadde.
Vide la figura del Dragone guardarla dall’alto ancora per qualche metro, poi raggiunse la nebbia e la sua immagina sparì.
Vide grigio e sentì il suo corpo precipitare.
Mentre cadeva, mentre si chiedeva quanto ci sarebbe voluto per schiantarsi al suolo, dentro sentiva qualcosa serpeggiare nel suo animo. Qualcosa cominciava a grugnire, a scuotere il corpo addormentato. La sua volontà, la sua paura, lentamente scivolare in quel lato che lei sapeva esistere ma che non conosceva.
Vide le mani cambiare, le gambe deformarsi, le ossa muoversi, sulla schiena, all’altezza delle scapole, quel dolore lanciante.
Con loro la morte arriva dall’alto…, furono le parole che le vennero in mente.
Le parole di Firion.
E allora capì.
Non era ancora finita.
Dalla nebbia vide comparire il Dragone, la lancia perfettamente bilanciata con il suo corpo, la punta mirava contro di lei.
Ma come Kain sembrò vederla, il suo corpo divenne improvvisamente teso e perse la postura d’attacco.
Ginevra vide i suoi stessi artigli afferrarlo al volo e sbatterlo giù, contro il suolo ora visibile che s’avvicinava sempre di più.
Kain fu comunque pronto e atterrò riuscendo a non schiantarsi al suolo.
Ma Ginevra non se l’era aspettato e fu l’istinto a farle spalancare le ali mai aperte completamente fino a quel momento.
Nell’istante in cui lo fece, tutti i muscoli urlarono di dolore e pure lei volle gridare per la sofferenza ma dalla sua bocca venne solo fuori un ruggito assordante.
Le spesse membrane si gonfiarono, tendendo la pelle, vide il terreno sfrecciarle sotto, poi s’alzò di nuovo in cielo.
Emettendo versi di lamento, Ginevra tornò in alto e fu la disperazione per il dolore che provava a costringerla a continuare a volare. Barcollando nel volo, virò, sbattendo senza coordinazione le ali. Vide la nebbia grigia oscurarle la vista per molto tempo. Poi fu con enorme sollievo che vide il tetto del tempio comparire nella densa foschia. Richiuse troppo presto le ali e si dovette agganciare con gli artigli all’orlo dell’edificio per salirvi sopra. Una zampa dopo l’altra, Ginevra si portò dolorante lontano dal precipizio.
Le ali tremavano e strisciavano inermi sul pavimento.
Avrebbe voluto parlare, o almeno sentire la sua voce, ma sentiva ancora il verso di un rettile uscire dalle sue zanne. Le mani erano ancora zampe munite di artigli. Sul capo sentiva ancora pesare le corna.
Crollò al suolo, soffiando dalle narici con un grugnito.
Chiuse gli occhi, perdendo coscienza per un tempo indefinito.
Fu un rumore a svegliarla e dalla foschia nei suoi occhi vide Kain a pochi metri da lei, in piedi, per la prima volta sul suo volto c’era un’espressione chiara: stupore.
Provò a dare un segno ma le sue forze si spensero e tutto divenne nero.
 

Salve a tutti!
Scusate, scusate, scusate il terribile ritardo, ma sono stata davvero impegnatissima questi mesi (e lo sono ancora) e ho avuto dei piccoli problemini con il sito perchè non riuscivo più a pubblicare niente, altrimenti avrei aggiornato prima. 
Il capitolo è molto corto in confronto a quello che faccio di solito e non l'ho revisionato ancora bene, ma spero vi sia piaciuto comunque. In questi ultimi tempi cercherò di correggere eventuali errori nei precedenti capitoli, forse (forse) potrei cambiare qualche frase se sgrammaticata. Quindi cercherò di fare un refresh alla storia completa.
Ci si vede al prossimo capitolo, quando arriverà, il prima possibile! ;)

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Capitolo 15
*** Il Lupo Nero ed i Falsi Dei ***


« Le mie convinzioni… » Disse una voce.
Ci fu una lunga e profonda pausa. Un lungo silenzio sospeso sulle sue prime parole. Una corda cigolava muta nell’aria mentre veniva tesa.
« … sono tutte un falso, allora? »
L’ultima parola venne pronunciata con un fastidio represso.
Camminò per ascoltare la sua armatura nera tintinnare sulle giunture in stoffa rossa.
Un secondo rumore di passi metallici venne dalle sue spalle e una seconda voce fece la sua comparsa.
« Se credi alle mie parole, come sei obbligato a fare, allora sì. »
Lui si fermò.
Le mani unite dietro la schiena si strinsero a pugno e i suoi guanti in pelle si lamentarono della stretta a cui li sottopose; il capo reclino a guardare in basso e la sua risatina priva di allegria venne soffocata dall’elmo.
« Ci conosciamo da appena poche ore e già mostri presunzione nei miei confronti. »
« La mia presunzione è al fine di illustrarti la cosa e di renderti subito chiaro chi qui comanda e chi qui ubbidisce. E qui l’unico a cui devi ubbidire è il Dio della Discordia! »
La mano guantata di nero andò lentamente ad un’elsa  che spuntava dalla sua schiena:
« Non esiste… » Le dita si strinsero con rabbia intorno ad essa  «… alcun… » L’arma venne sfoderata e l’uomo si voltò verso l’individuo alle sue spalle, urlando «… Dio!! »
La lama sottile puntò verso il bersaglio e lungo la sua superficie fischiarono proiettili, usciti da una canna posta nell’elsa. I colpi andarono a colpire un’estesa superficie in ferro che bloccò la loro fulminea e letale corsa. Quando lo sfogo dell’uomo fu momentaneamente placato, l’arma venne abbassata, rivelando l’elmo cornuto di Garland.
« Non credi alle mie parole? Andare al suo cospetto non ti è bastato come prova? » Chiese il guerriero.
L’uomo non aveva ancora abbassato l’arma:
« Quello non è un Dio! Quello è un mostro, una bestia uscita dalle crepe oscurate e dimenticate dell’Universo, è un essere immondo! »
« Quello è il tuo Signore! »
« Io non eseguo gli ordini di nessuno, tanto meno degli animali! Io giuro potere, servitù e fedeltà solo ed esclusivamente a me stesso. » Rispose determinato l’altro.
Garland gonfiò il petto per l’offesa fatta al suo padrone ma non aggiunse nient’altro se non l’unica domanda che gli sorse in mente:
« Allora cosa credi di fare in questa dimensione se non vuoi servire la causa che ti si addice? »
L’uomo solo in quel momento abbassò la sua arma, senza smettere di guardarlo. Lasciò apposta qualche secondo di silenzio:
« Questo mondo è governato da entità non concepibili definite “Dei”. Questi non sono altro che creazioni della mente umana, raffigurazioni effimere di concetti astratti. Solo gli illusi credono in ciò che non è reale, solo i persi d’animo, i falliti, credono nel niente. La propria fede và solo per la propria persona, nessun’altra entità irreale deve interferire. E voi, tutti voi, siete un branco di cani caduti nella credenza che quel mostriciattolo seduto su uno scranno possa essere definito un Dio. Discordia e Armonia non hanno raffigurazione materiale, solo astratta per chi è caduto. Io non incapperò nella pecca di abbandonare le mie convinzioni a figure inesistenti e dimostrerò che i vostri Dei non sono altro che dei falsi. »
Garland aveva capito dove l’elemento voleva arrivare, era già successo che un guerriero sfidasse un Dio.
Lo guardò voltarsi e fissare la lunga scalinata del Mondo delle Tenebre che conduceva al Baratro, la sala del trono di Chaos.
« Altri hanno provato la tua follia di sfidare una divinità. Sono stati schiacciati e puniti per il loro affronto. » Replicò il guerriero.
L’uomo di fronte sembrò non essere intimorito:
« Non temere: conosco la sconfitta e so dosare bene i miei avventi. Non mi schiacceranno facilmente. »
Garland grugnì in risposta.
Il silenzio tornò padrone nel luogo, serpeggiando lento tra le file di colonne del Mondo delle Tenebre. Il loro stato di mutismo venne interrotto dall’arrivo di una voce femminile e negativamente soave:
« Ammiriamo la determinazione dei novellini… »
Sia il guerriero che l’uomo si voltarono verso la fonte delle parole.
Ai loro occhi comparve la figura di una donna quasi priva di vesti, se non per strani decori lungo il magro e snello corpo pallido e un mantello rosso dalle sfumature nere attaccato a dei lunghi e aderenti guanti alle mani. Dalla schiena partivano due tentacoli gialli muniti di due teste tonde dagli occhi grandi e maligni. I capelli della donna erano grigi e si disperdevano ariosi sul suo capo.
L’uomo non fu per niente toccato dall’aspetto della nuova arrivata e né tanto meno dai taglienti occhi rossi della donna che gli rivolse parola:
« Non ti preoccupare, è un bene, te ne servirà molta. »
« Mi vieni a fare da maestra? » Le ribatté in faccia lui.
Le teste gialle sibilarono infastidite ma lei non mosse un solo ciglio:
« No. Credevamo che nel tuo folle progetto un incoraggiamento ci volesse. »
« Non ne ho bisogno. » Ribatté lui.
La donna in ogni caso abbassò il capo e guardandolo di sottecchi gli rivolse la parola ancora, sorridendo:
« Iniziamo bene il nostro rapporto… il nostro nome è Nube Oscura. Possiamo avere l’onore di conoscere il tuo? »
L’uomo la guardò, rimuginando sul fatto che parlava di sé al plurale, e lei era sicura che la stesse fissando con occhi a fessura, ma l’elmo tradiva ogni espressione. Anche Garland aspettava, tanto che incrociò le braccia sul petto.
Certo, lui non aveva ancora svelato il suo nome a nessuno. Giorni erano passati dal momento in cui era stato inserito nella Discordia, davanti al “falso” Dio della Discordia si era fatto ricordare con il nome di Lupo Nero, l’unico titolo oltre al suo nome che riuscisse a ricordare. Per il momento l’amnesia non lo preoccupava quanto l’annientare quelle forme divine che sarebbero state solo capaci di intralciarlo per tornare nel suo mondo originario.
L’uomo ripose appena in quel momento l’arma dietro la schiena.
Poi si incamminò verso di loro e i due si scostarono per lasciarlo passare. Si fermò pochi metri più lontano.
« Io… sono Gaius van Baelsar, il Lupo Nero… »
Riprese il suo cammino verso l’uscita.
 
***
 
 « Abbiamo un nuovo inutile scapolo fra le nostre file… » Ammise scoraggiato Garland, senza togliere lo sguardo dal punto in cui il Lupo Nero era uscito dal Mondo delle Tenebre.
Nube Oscura chiuse gli occhi, trattenendo una risatina:
« Mh! Lascia che incontri la sua nemesi e vediamo se questo incontro avrà gli stessi esiti che ha avuto su di noi… se condividerà ricordi con la mocciosa allora sarà lui stesso a venire a cercare le nostre file… sempre che non la uccida prima. »
Le teste gialle sibilarono compiaciute, poi la donna e Garland si voltarono per dirigersi al Baratro.
 
Jecht li guardò allontanarsi da dietro la sua colonna di postazione.
Aveva una mano che gli stringeva il cuore, una pressione che non sentiva da tempo. Il senso di preoccupazione che tornava. Dannazione essere genitori quanto era difficile!
Rimase pensieroso a riflettere sia sulle sue sensazioni sia sulle parole appena origliate.
Ginevra è in pericolo. Il Lupo Nero non deve trovarla. Cosa devo fare? Rifletté.
Pensò e pensò.
Poi scosse il capo e si grattò la testa.
Ma certo, borbottò, Golbez saprà cosa fare e se non è a fare da balia al suo caro fratellino sarà certamente disposta ad aiutarla.
Così si caricò lo spadone sulla spalla e corse via.

 

Salve a tutti!
Dunque, sarò breve...
Come principio non sapevo se inserire questo nuovo personaggio alla mia storia e penso che sia la prima volta che il povero Gaius fa una comparsa su EFP quindi abbiate un pò di pietà per lui (anche perché penso sia uno dei personaggio più fighi ed epici della saga). Essenzialmente sarebbe il cattivone principale (oltre la incredibile sfilza di altri che ci sono) che il proprio personaggio nel recente FFXIV deve fronteggiare... io stessa da brava giocatrice di FF l'ho mazzoccato alla grande ma quando è morto ci sono rimasta malissimo (#glispoilercifannounbaffo). Comunque se volete già farvi un'idea all'incirca di come immaginarvelo visto che non l'ho descritto molto, cercate su Internet anche solo le immagini e gustatevele (lui e le sue scellerate doti di epicità che fanno invidia agli effetti speciali della Marvel). Per il capitolo avrei voluto farlo un pò più movimentato ma ho preferito una cosa più soft con solo qualche fucilata di gunblade a Garland che tanto non gli fa male. Comunque vi assicuro che con il Lupo Nero avremo una bella svolta perché so all'incirca come farlo muovere nell'ambiente Dissidia.
Direi di aver finito... sì, ho finito!
Ci vediamo al prossimo capitolo!
 

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Capitolo 16
*** Non toccare la mia coda! ***


A quel punto aveva perso il conto di quante volte era svenuta. Sembrava essere diventato un bisogno quotidiano. Era stufa di svenire, era stufa di doversi sempre svegliare dall’altra parte del mondo, persa, con gli occhi rimbambiti e di fare sempre la figura della smarrita senza speranze.
Così socchiuse gli occhi e la prima cosa che vide fu un fuoco scoppiettare nel buio della notte.
C’era un focolare a poca distanza da lei e si rese conto solo in quel momento di essere scaldata da esso e dal suo mantello nero. Controllò e sotto di lei c’era ancora il pavimento del Vecchio Santuario del Chaos, ma ora sembrava che fossero entrati ed erano in una delle ali immerse nei colonnati.
Guardò oltre le fiamme guizzanti e vide appena in tempo una mano raccogliere lunghi capelli biondi contro la testa e un elmo a forma di drago nasconderli con la sua finta chioma violacea.
Allora fece mentale locale e si stropicciò gli occhi.
Provò ad alzarsi ma un terribile dolore alla schiena la fece gemere e cadere a terra con il naso a pochi millimetri dal pavimento, ansante per la sorpresa e per la fitta acuta che andava ad attenuarsi fino quasi sparire.
Due piedi le comparvero davanti e subito la voce del Dragone la rimproverò dall’alto:
« Sta giù. Non ti muovere. »
Ginevra alzò lo sguardo e fissò per quanto poteva il ragazzo:
« Altrimenti cosa mi fai? Chi ti da il permesso di darmi ordini? Sto benissimo, io! »
Kain le rispose acido:
« No, non stai bene e qui do io gli ordini. Se non vorrai ubbidirmi, ti costringerò a forza… Avrei già dovuto ucciderti! » Lei abbassò lo sguardo, ferita, e lui continuò spietato « Dovresti ringraziarmi per non averti fatto passare a vita migliore. »
Il Dragone si voltò, tornando al suo posto dall’altra parte del focolare.
Ginevra si riprese e commentò:
« Comunque sei tu quello ad essersi schiacciato al suolo! »
Kain le rispose contro quasi subito:
« Comunque quello ad essere ancora in piedi a fine duello ero io. »
A quel punto Ginevra si cucì la bocca.
Ma non s’arrese e dopo pochi minuti, grugnendo per lo sforzo del resistere al mal di schiena, estesosi ora anche alle spalle, si mise a sedere, tenendosi il mantello sempre addosso per tenere il tepore con sé. Così avvicinò le gambe al corpo e si rannicchiò, contenendo ogni lamento che le premesse alla gola.
Kain la guardò per storto e con evidente fastidio perché stava facendo tutto di testa sua, poi sospirò e la ignorò.
Lei inchiodò gli occhi al fuoco e lasciò che la sua coda si muovesse senza controllo accanto a lei.
Passarono i minuti e Ginevra sentiva lo sguardo indagatore del Dragone percorrerle tutto il corpo, quasi avesse un raggio d’azione che riusciva a toccarla e lo sentiva correre su e giù, fermarsi sulle corna, sulle squame su viso e sulla coda irrequieta.
Ginevra sopportò, reprimendo la voglia di sbattergli in faccia un “cos’hai da guardare?” di quelli colossali. Ma aveva capito che con lui ogni passo era un rischio ed era meglio non infastidirlo troppo.
Ma la sua coda non si dava certo a contegni del genere e si dibatteva sul pavimento con crescente fastidio, tanto che Ginevra se la pestò con un piede per tenerla ferma.
A quel punto Kain smise di guardarla e all’improvviso chiese:
« Non mangi? »
Ginevra lo guardò con lo sguardo più interrogativo che le fosse mai comparso fino a quel momento. Poi si guardò intorno e s’accorse solo allora dell’ampolla di Elisir posta accanto a lei. Lei la prese e guardò il liquido ballare oltre il vetro. Poi si decise a togliere il tappo e lo mandò giù con un solo sorso.
Non seppe dire il gusto, era qualcosa di salato, ma niente di più. Il suo stomaco le mandò una benedizione come si sentì pieno. Si era proprio sfamata a dovere.
Poggiò lontano il contenitore vuoto e tornò alla sua posizione immobile.
Aveva centinaia di pensieri per la testa, migliaia di domande.
E la prima che abusò della sua bocca fu:
« Perché non mi hai uccisa? » 
Kain non la guardò nemmeno, lasciò solo qualche secondo di silenzio:
« Non mi aspettavo di dover fronteggiare un drago. »
Ginevra si concesse un sorriso nascosto dalle sue stesse ginocchia:
« Non ne hai mai ucciso uno prima? »
Il Dragone guardò lontano quando con sforzo le rispose:
« Ho un debole per i draghi… »
« Ah... » Disse lei per poi aggiungere « Quindi ora sono tua prigioniera? »
« Sì e no. »
« Cosa vuoi farne di me, allora? Mi fai tua compagna? Mi uccidi quando ti pare? Mi fai il lavaggio del cervello? Mi mandi da quelli della Discordia? Mi fai uccidere i guerrieri dell’Armonia? Mi schiavizzi? Mi… » Prese a chiedere lei con aria di sfida.
« Per amor del cielo, taci! » Fu l’improvvisa scarica di impazienza di lui.
Ginevra lo fissò con gli occhi a palla e si morse il labbro.
Kain sospirò, riacquistando il suo atteggiamento:
« Smettila di assillarmi con le tue domande e lascia stare torture e cose del genere. L’unica cosa che voglio è che ti levi dai piedi e mi lasci in pace. Quindi domani te ne torni da dove sei venuta e ti dimentichi di me e di tutto. Ora dormi. »
« Cosa!? » Esclamò lei.
« Dormi! »
Ginevra tentò di alzarsi in piedi:
« No! Io non dormo! Ho fatto mezzo mondo per trovarti, ho passato l’Inferno! Mi hanno detto di venire da te perché mi avresti aiutato! Tu devi venire con me! Tu devi…! »
Mentre parlava Kain si era fiondato di nuovo da lei e ora Ginevra aveva la lancia del Dragone sulla gola.
A denti stretti il ragazzo scandì bene ogni sillaba, serio ma furioso:
« Mettiti giù e dormi… »
Ginevra socchiuse gli occhi a fessura per il fastidio che gli dava ma ubbidì.
Si coricò, voltandosi dall’altra parte per scaldarsi la schiena e le spalle doloranti. Sentì la figura del Dragone sovrastarla ancora per qualche secondo, forse per assicurarsi che non si rialzasse, poi la sua ombra sparì.
Ginevra lo ascoltò sedersi e riporre la lancia.
Domani gliele suono se non mi ascolta!
 
***   
 
Ginevra si svegliò, perfettamente in forma. Anche le spalle e la schiena ora non facevano più male.
Tentò di stiracchiarsi ma le sue mani non si staccarono.
Sbarrò gli occhi.
Aveva i polsi legati.
Capì subito perché.
Brutto schifoso verme! Si disse con rabbia.
E subito prese ad urlare:
« Kain! Kain! Slegami! Slegami! »
Si dimenò e presto sentì anche un braccio prenderla saldamente per la vita ed arrivare a sollevarla da terra. Ginevra scalciò, colpendolo con la coda fin dove arrivava:
« Tu non puoi! Tu non puoi! Kain, mettimi giù! Non puoi farmi questo! »
« Posso benissimo.» Le rispose lui, riuscendo a compiere  un balzo fuori dall’interno del Santuario.
« No! No! Lurido! Tu devi venire con me! Devi venire con me! Ma perché non vuoi ascoltarmi!? Perché non vuoi farti perdonare!? » Gridò lei.
« Non sono cose che ti riguardano. »
Ginevra lo sentì prepararsi al prossimo balzo. Con i denti stretti imprecò:
« Ma brutto…! »
Si dimenò con tutte le sue forze e riuscì ad uscire dalla stretta ferrea del Dragone, cadendo rovinosamente a terra.
Kain non si diede per vinto e sbuffando fece il più grande errore della sua vita: afferrò la coda di Ginevra.
« Sei testarda. » E la trascinò.
Ginevra sentì un nuovo sentimento. Un senso di profonda offesa, di un terribile abuso a cui seguì la rabbia più furente che avesse mai sentito in corpo.
« KAAAAIIIIN! NON TOCCARE LA MIA CODAAAA!!!!! »
Perse il controllo mentre ancora sentiva la sua coda venire tirata e il suo corpo venire trascinato nella polvere.
Davanti ai suoi occhi, ora con le pupille ridotte ad un filo, le sue mani divennero zampe che distrussero le corde ai suoi polsi. Ginevra guizzò contro il Dragone che si fermò dallo stupore, urlando ed emettendo un verso più simile ad un ruggito che ad una voce umana.
Kain non capì cosa successe per diversi istanti, ma quando la mente tornò a ragionare, lui era per terra, inchiodato da artigli lunghi quanto pugnali, il viso di Ginevra a pochi centimetri da suo, le pupille di lei erano due fili neri e trasudava rabbia da ogni squama.
Rimasero così per qualche minuto, poi Ginevra sembrò riacquistare un minimo di lucidità e direttamente in faccia gli disse:
« Tu vieni con me da Cosmos e basta! Sono disposta a pagare qualunque prezzo, ma io non ti mollo, non ti lascio a marcire qui. Tu ci puoi aiutare, tu puoi portare fine a tutto questo, insieme. »
Kain la guardava, impassibile.
Fu quello sguardo a far disperdere l’ira che animava Ginevra, tanto che le sue mani tornarono normali e lei si ritrovò sopra di lui a sorreggersi con le mani sulle spalle.
La ragazza sospirò:
« Io… io non sono brava a persuadere gli altri… non sono capace a fare niente senza combinare guai… e non sono brava nemmeno a far valere anche solo me stessa. Ma… ma io voglio che tu vieni con me. Sono stupida, sto rischiando la vita a portarti con me, non so se mi potrò fidare o se mi pugnalerai alle spalle. » Scosse il capo, con gli occhi lucidi: aveva paura « Ma non mi importa niente. Io lo so che non sei un assassino… sei un amico, sei uno di noi… io… io credo che gli altri capiranno… ti perdoneranno… ti prego, vieni con me… »
Kain la guardava, la sua espressione non cambiava, sembrava che la sua testa fosse andata in tilt e che stesse ancora cercando di capire se si stava rivolgendo a lui.
Ginevra non sostenne oltre il suo sguardo e lo chinò.
Solo dopo lunghi minuti, il Dragone le rispose con la voce debole:
« Se vengo temo che deluderò tutte le tue aspettative… »
Lei tornò ad alzare gli occhi verso di lui:
« Ti prego… »
Kain sospirò, tanto a fondo che lei che era stesa sopra di lui percepì il suo ventre alzarsi ed abbassarsi.
« D’accordo. »
Ginevra sorrise, non ci voleva credere che era riuscita a convincerlo.
Il Dragone la guardò:
« Ma ora togliti di dosso. »
  
 

Salve!
Beh, direi che per questa volta non ho niente da dire. Il capitolo direi che sono ruscita a farlo nella norma dei tempi e vi lascio tutto il piacer di leggervelo, anche perchè questo lo trovo bello nel complesso. Ora ai due aspetta il viaggio di ritorno verso Cosmos, agli altri guerrieri dell'Armonia trovare i dispersi e a quelli della Discordia... lo saprete presto.
Alla prossima!

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Capitolo 17
*** Il verdetto del Giudice Magister ***


Jecht s’appoggiò con un braccio alla colonna e osservò i dintorni. Aguzzò la vista, cercò segni di vita.
Golbez dietro di lui era irrequieto, ma comunque se ne stava fermo immobile al suo posto, fissandolo in chissà quali pensieri che lo attraversavano.
L’uomo a quel punto vide qualcosa nell’altra ala del Santuario. Si diede lo slancio con le gambe e saltò diretto nel punto. Frenò, alzando la polvere sul terreno e si chinò a fissare il focolare spento.
Corrugò la fronte in disapprovazione. Cercò ancora con gli occhi, poi calciò la cenere del fuoco spento:
 « Argh! Se ne sono già andati! »
Lo stregone gli rispose da dietro:
« Possiamo ancora raggiungerli. »
Jecht si voltò per guardarlo, ma come lo fece una voce femminile giunse alle loro orecchie:
« E chi, di grazia, vorreste raggiungere? »
Ad entrambi saltò il cuore in gola come si ritrovarono una figura comparire da un varco nero costellato di piume nere.
La donna era coperta da una lunga veste rossa dagli orli neri, aperta davanti dove si intravedevano i disegni sulla pelle chiara. Le mani ed i piedi erano dotati di dita acuminate di colore violaceo. Il volto, anch'esso decorato, era incorniciato da lunghi capelli argentei e dalle tempie uscivano due lunghe corna. Dalle spalle coperte di una folta coltre di piume erano abbandonate lungo la schiena due ali nere screziate di un blu profondo.
La donna li guardò con occhi di fiamma, accennando un sorrisetto.
Golbez fu il primo a scuotersi:
« Artemisia… perché sei qui? »
La strega incrociò le braccia:
« La mia presenza ti preoccupa? Perché? »
Jecht arrivò in soccorso allo stregone:
« Chi ha detto che siamo preoccupati? La nostra è pura curiosità! »
« Anche la mia, Jecht. » Rispose pronte lei.
L’uomo si ritirò dal parlare e i due lasciarono che fosse Artemisia ad afferrare il discorso:
« In ogni caso non vedo perché dovrei tenervi nel dubbio. Mateus mi ha mandato a cercarvi, riteneva che foste particolarmente movimentati in questi ultimi tempi. »
« Siamo tutti indaffarati per la battaglia che si sta per svolgere. » Ribatté lo stregone.
Artemisia annuì:
« Molto vero. Ma mi è sembrato bene unirmi alla combriccola; d’altronde, avere una spia in più non nuoce a nessuno, giusto? »
« Spia? » Fece eco Jecht, non capendo.
A Golbez bastò spostare lo sguardo su di lui che una scossa elettrica gli percorse la gamba, facendolo gemere per la sorpresa. Artemisia guardò di storto l’uomo che si riprendeva in fretta:
« Ah! Ah, ma certo! Ma… non ti preoccupare. Siamo già ben piazzati, non abbiamo bisogno di altri alleati. Abbiamo tutto sotto controllo! »
La strega alzò un sopracciglio:
« Bene… »
Passarono pochi secondi di silenzio ma ai tre parvero secoli.
Improvvisamente Artemisia riprese parola:
« In ogni caso, Garland ha ordinato di non superare determinati confini poiché ci sono già i Manikins a tenere d’occhio quelle terre, quindi, voi siete già al limite. »
«Da quando questa regola? » Esclamò Golbez, mantenendosi calmo.
« Da quando i guerrieri di Chaos hanno cominciato a combinare pasticci e son scappati dal controllo del nostro Signore. » Guardò le espressioni interrogative dei due « Kuja e Kefka stanno togliendo il divertimento a tutti e Sephiroth sta reclamando il suo burattino in territorio nemico. Chaos ha ora ordinato che tutti i suoi guerrieri vengano radunati per guidare i Manikins in battaglia. »
« E tu sei qui per… » Fece Jecht temendo la risposta.
Artemisia sorrise:
« La mia prima intenzione sarebbe stata quella di trasgredire gli ordini a mia volta, unendomi a voi per aiutarvi , ma visto che siete a posto, allora ho ogni diritto di portarvi indietro. »
Jecht si voltò verso Golbez, cercando sostegno. Lo stregone lo guardò solo per un secondo poi, con enorme stupore dell’uomo, disse:
« D’accordo: facci strada. »
Artemisia si voltò, sorridendo, poi alzò la mano per aprire il varco.
Jecht sussurrò allo stregone:
« Cosa!? E Ginevra? Chi glielo dice che è in pericolo? »
« A questo punto penso che come ognuno di noi Ginevra dovrà affrontare i suoi ricordi e la sua nemesi da sola… »
 
***  
 
Era tornato.
Era tornato in quel lurido mondo.
Solo.
Come un cane.
Sentiva la maledizione della Discordia animarlo. Era un guerriero di Chaos.
Strinse i pugni.
Dannato Dio! Si disse in testa.
Avrebbe dato ogni cosa pur di vederlo sconfitto, pur di vedere la sua vendetta per il male subito venire realizzata. Era stato gettato nel Purgatorio del ciclo, come uno straccio sporco. Lui. Lui che aveva cercato di dare una fine a tutto, che aveva sfidato gli Dei  pur di dare una svolta a tutto. Era stato ripagato con l’umiliazione che solo gli animali abbandonati hanno.
E ora era stato richiamato, come se all’improvviso si fossero ricordati della sua ignobile esistenza. Ma a fare cosa? A fare la tira a quelli dell’Armonia di cui non gli importava niente? Qual’era il motivo di quella nuova convocazione?
Sentì dei passi avvicinarsi.
Si voltò.
« Chi sei tu? » Chiese, aspro.
L’uomo di fronte a lui si fermò a guardarlo.
« Perché ti interessa? » Furono le parole di risposta del nuovo elemento.
« Perché nessuno entra deliberatamente nei miei luoghi solitari. Questa è terra mia, è la patria dei miei peccati, il mio luogo di sofferenza. Tu non dovresti essere qui. » Spiegò lui.
La figura incrociò le braccia:
« In queste terre desolate tu ancora reclami un regno? Questa è terra di nessuno. Io passo dove voglio. Và a rimuginare sui tuoi crucci da un’altra parte e fammi passare. »
A quell’atto di sfida, le sue mani andarono ad allargarsi ai suoi fianchi e in un istante le sue due lunghe e contorte spade furono salde contro i suoi palmi. Alzò una delle armi contro il nuovo arrivato e con un tono potente esclamò:
« Io sono il Giudice Magister Gabranth von Ronsemburg e sono io a giudicare i guerrieri di questa dimensione se siano degni o meno di vita! Tu ora mi rechi offesa e io ti rispondo con la sfida! Degnami solo del tuo nome perché venga inciso nella lapide dei dannati che io ho giudicato e sparisca nella sua infinità! »
L’uomo afferrò la gunblade attaccata alla sua schiena e la puntò a sua volta contro il nemico:
« Il mio nome è Gaius van Baelsar, il Lupo Nero. Accolgo la tua sfida, Gabranth. Vedremo chi dei due ha più determinazione a proseguire nelle sue convinzioni! »
Il Giudice unì le due spade in una lunga lancia e schizzò contro l’avversario. Gaius premette subito il grilletto e tre colpi partirono contro l’uomo. Gabranth mise le lame per traverso e i proiettili furono deviati, poi urlando le preparò al colpo. Il Lupo Nero si scostò con un grande balzo a destra, mentre il Giudice frenava piantando i piedi a terra e ridandosi un nuovo slancio; Gaius frenò le lame con la sua, le spinse indietro scoprendo il ventre del nemico e approfittò sparando. Gabranth fu colpito e spinto indietro mentre la sua armatura gemeva per resistere alla potenza del proiettile. Sbatté contro il muro ma riuscì a tornare vacillante sulle sue gambe mentre il Lupo s’avventava su di lui. Il Giudice prese a schivare i fendenti spietati del nemico, deviando la direzione del ferro con l’asta della sua lancia quando erano troppo vicini. Poi decise che era troppo e roteò su sé stesso, allontanando l’avversario che balzò indietro, frenando. Gabranth riprese l’attacco, caricando dal basso le spade ora divise. Prese a colpire, lasciando che la loro pesantezza mettesse in difficoltà la sottile lama scintillante. Ma Gaius in un istante saltò e atterrò sulla costruzione cubica in cristallo. Lo guardò dall’alto e disse:
« Dimmi, Gabranth, cosa ti spinge a vivere in questo buco dimenticato? »
Gabranth lo guardò dal basso e tendendo una mano avanti rispose:
« Ho cercato di porre fine a questa prigione senza fine, a questa costrizione senza via d’uscita. Sconfiggendo un Dio tutti i suoi guerrieri muoiono e si pone fine al ciclo eterno. Io decisi di eliminare la Dea e sono stato sconfitto, gettato e dimenticato dal Dio che servivo in un Inferno dove le anime dei combattenti finiscono, in attesa di una fine che mai arriverà. »
« Di quali Dei parli? » Disse il Lupo Nero.
Gabranth non seppe se ridere o se arrabbiarsi e scelse la seconda opzione.
Strinse il pugno della mano tesa:
« Mi prendi in giro? Non lo vedi che tutto questo è opera loro? »
«Io non credo negli Dei. Questi non sono che dei fannulloni che si spacciano per qualcosa che non esiste! La tua convinzione di essere stato dimenticato è una tua illusione, nata da rimorsi che ti porti dietro. »
Il Giudice raggiunse il limite:
« Taci! »
Saltò e raggiunse lo spazio dove Gaius stanziava e lo attaccò come una furia, menando le spade come un forsennato. Il Lupo Nero stette sulla difensiva: stava cominciando a progettare una soluzione. Arrivarono al muro che portava al secondo spiazzo sopra di loro. Il Giudice mise il nemico con le spalle al muro, allora quello abbassò l’arma e lasciò che una delle lame di Gabranth lo sfiorasse.
« Io dico che è finita. » Disse lui.
Gaius ripose la gunblade sulla schiena e innestò qualche meccanismo nella sua manopola sinistra in metallo:  
« Io dico che non lo è ancora… »
Così alzò la mano in alto e dalla sua manopola esplose un colpo. Gabranth lo guardò interrogativo, poi sentì un fischio e alzò lo sguardo. Gaius schizzò via e appena il Giudice se ne accorse, il colpo lanciato dall’avversario si rivelò essere una granata.
L’esplosione lo investì, fuoco e fiamme lo avvolsero, un bruciore ustionante invase le membra. Urlò il suo strazio  mentre il dolore lo stringeva in una morsa.
Poi lentamente l’esplosione si dissipò.
Gabranth si ritrovò appoggiato sulle gambe malferme e tremanti, le spade gli caddero dalle mani, tintinnando sul pavimento. L’armatura era ammaccata, annerita, il mantello bruciato. Cadde in ginocchio, sentendosi improvvisamente debole.
Sentì i passi del Lupo Nero avvicinarsi e presto vide i suoi piedi entrare nel suo campo visivo. Aveva il capo chino quando vide la lama della gunblade sfiorargli il volto coperto dall’elmo rovinato.
« Entrambi odiamo gli “Dei”. Tu hai le tue cause, io ho le mie convinzioni e sono disposto a tutto pur di renderle più concrete di così. Posso risparmiarti la vita e ti puoi unire a me. » Gli disse Gaius.
Gabranth strinse i denti :
« Non mi mostrare pietà, te ne prego. La tua forza è notevole, sai cogliere sulla sorpresa e sei spietato. Hai battuto il tuo giudice, non dimostrargli lati deboli o lui sarà sempre pronto a sopraffarti. »
Il Lupo Nero ridacchiò:
« Non mi spaventi. » La gunblade s’abbassò.
Gabranth alzò lo sguardo:
« Sei un cane… proprio come me… »
Gaius sostenne gli occhi intrisi di odio del Giudice:
« Ritienimi ciò che vuoi. A me non fa differenza. Ma mi sembra inutile combattere quando i nostri obiettivi sono gli stessi, non credi? »
Gabranth abbassò di nuovo il capo. Sospirò.
Le sue mani strinsero le else delle sue spade a terra. S’issò di nuovo sulle sue gambe e guardò il Lupo Nero dritto negli occhi.
Gaius aveva vinto.
 

Salve a tutti!
Nuovo capitolo, vediamo cosa combinano quelli della Discordia. Il piano dei nostri due aiutanti è saltato e il nuovo arrivato si sta trovando dei pesci che abboccano. Ho scelto Gabranth perchè all'incirca i loro obiettivi sono gli stessi: far fuori gli Dei. E due e sempre meglio di uno. Spero che questa fusione non vi sia dispiaciuta, anche perchè il nuovo personaggio un po' deve attecchire con gli altri suoi compari.
Bene, ci vediamo al prossimo capitolo per vedere come se la cavano Gyn e Kain!
A presto e buon nuovo anno!

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Capitolo 18
*** Battaglia al Castello di Artemisia ***


Il Castello di Artemisia esternamente era una massiccia torre in pietra nera-bluastra. In cima ad essa vi era un orologio molto complesso ma dalle lancette bloccate in un diametro verticale al cerchio lavorato. Intorno vi erano catene di montagne non molto aspre, dai profili che s’addolcivano per rendere le colline che iniziavano a sud.
Ginevra ormai cercava orientamento guardando i colori del cielo.
Ora erano al limite tra il fronte rosso del nord e il cielo luminoso vero cui avanzavano.
Era tardo pomeriggio quando decisero di cercare rifugio nella torre. Infatti, era da almeno due giorni che Kain l’aveva costretta ad un passo forzato, giorno e notte, senza sosta. Alla fine si era deciso a fare una sosta. Ma non fuori, dove i Manikin appostavano.
Ginevra, una volta sotto la grande costruzione, alzò lo sguardo.
Non vi erano porte d’entrata. L’unica via d’accesso era possibile solo da delle alte fenditure nei muri.
Kain le era al fianco:
« Tieni a mano le armi: potremmo dover fare piazza pulita. »
Così lo vide prendere la lancia in mano.
Lei impugnò i suoi coltelli e sospirò.
Il Dragone s’inginocchiò, chinando il capo. Poi le sue gambe scattarono come delle molle e lei lo vide sfrecciare in alto, riuscendo a frenare perfettamente sull’orlo della fenditura più vicina a loro. Lo guardò entrare con un secondo balzo, ignorandola del tutto. Così sbuffò e anche la ragazza si preparò al salto. Lei non era un Dragone, ma pensava di poterci riuscire ugualmente.
Saltò. Ma si vide costretta ad impiantare i coltelli nel muro per agganciarsi poiché frenò dopo qualche metro. Prese ad arrampicarsi, agganciandosi con le lame dove poteva.
Avere le ali sarebbe molto più comodo… , si disse, scocciata.
Infine arrivò alla fenditura anche lei. Si concesse uno sbuffo rumoroso ma immediatamente una mano sulla bocca la spinse in un angolo, cogliendola di sorpresa.
Si ritrovò nascosta nella penombra di due grandi ruote ad ingranaggio, pressata contro l’armatura del Dragone e tenuta ferma e muta. Provò a divincolarsi ma Kain la rimproverò sottovoce:
« Sssht! Fai silenzio! »
Ginevra mugugnò in protesta, ma poi ubbidì.
Improvvisamente alle loro orecchie giunse un rumore di assi rotte e Kain si spinse ancora di più nel buio.
L’Au’Ra vide chiaramente il ponte a spirale, che saliva verso l’alto davanti a loro, tremare quando fu percosso da qualcosa e poi una figura precipitare verso il basso, spaccando per la seconda volta il legno.
Ginevra si ribellò alla stretta del Dragone che non oppose alcuna resistenza, stupendola. Così lei si voltò e vide il suo atteggiamento forse sorpreso mentre vedeva l’accaduto, tanto che Kain uscì dall’ombra per capire meglio cosa stesse succedendo.
Ginevra guardò con lui.
Una ragazza era a terra, in fondo alla torre, tra le macerie cadute su un rialzo del pavimento in pietra. Aveva lunghi capelli neri raccolti in un codino alla fine e alcune ciocche coprivano la parte destra del viso. Indossava una canotta bianca e una minigonna nera in pelle, tenuta da una cintura e delle bretelle. Portava scarpe da ginnastica rosse e guanti neri senza dita e lunghi fino al gomito, rinforzati da un secondo paio di guanti da combattimento rossi. Sul braccio sinistro era presente una gomitiera metallica.
Era visibilmente ferita e debole.
Ginevra vide arrivare dall’alto un nuovo elemento.
Era un ragazzo alto e robusto dai capelli biondi sparati. Indossava una divisa, guanti e stivali tutti neri. In vita aveva una cintura marrone e sulla spalla sinistra uno spallaccio. Tra le mani brandiva un enorme spadone, tanto pesante che lei non riuscì a capire come facesse ad impugnarlo.
Lo vide scendere  e atterrare accanto alla ragazza indebolita. La guardava con intensità, incertezza, quasi non sapesse più che fare. La mora tentò di alzarsi ma non ci riuscì e guardò supplichevole il ragazzo che la sovrastava. Ginevra sentì il debole eco della sua voce affranta:
 « Cloud… ti prego… »
Ma pochi secondi dopo comparve da un turbinio di piume nere anche una terza figura. Era un uomo alto e snello, il viso angelico era contornato da due lunghe ciocche protese in avanti e lungo la schiena scendevano lunghissimi capelli argentei. Portava pantaloni, stivali e guanti neri. Indossava poi un cappotto anche lui scuro, aperto sul petto dove si vedevano due cinghie incrociarsi. Completavano il tutto due spallacci e una cintura con uno strano simbolo sopra.
Ginevra fu scossa da un brivido freddo quando notò l’esageratamente lunga katana del nuovo arrivato.
L’uomo dai capelli argentei s’avvicinò al biondo e protendendosi verso un suo orecchio lo sentirono sussurrare:
« Allora, Cloud, cosa aspetti? Non sei capace a portare a termine un solo compito? »
Videro il ragazzo venire scosso da un tremito, esitare ancora, poi spostare uno sguardo di gelo sulla ragazza. Lo spadone s’alzò sopra la testa di lei.
« Occupati dell’altro! » Fu l’improvvisa frase del Dragone.
Ginevra non ebbe nemmeno il tempo di guardarlo che Kain era già sfrecciato contro il biondo, la lancia in pugno.
Ginevra emise un debole lamento e tese a tapparsi gli occhi quando vide il Dragone frapporsi tra la ragazza e il suo aggressore. Ci fu un rumore di ferro contro ferro. Lei tornò a guardare e vide l’esile lancia sorreggere e resistere con immane forza al peso dello spadone calato a tutta forza.
« Kain! » Esclamò la mora, guardando al Dragone che piegava le gambe per lo sforzo.
« Ora, Ginevra! » Urlò Kain.
L’uomo dai capelli argentei rimase basito ed indietreggiò di un passo:
« Cosa!? »
Ma come si fu voltato, vide due occhi occhio acquamarina venirgli incontro e un urlo di carica invase la torre.
Ginevra gli andò addosso con tutte le sue forze, i coltelli in mano, spingendolo contro una delle pareti. L’uomo sparì in una nube di detriti e polvere, ricadendo poco dopo in ginocchio. La ragazza si fermò a qualche metro da lui, guardandolo con un misto tra sfida e paura. Lo vide rialzarsi, composto, la katana ancora in mano.
I loro occhi s’incontrarono e Ginevra li vide per la prima volta, verdi, luminosi. La pupilla piccola,  sottile come quella delle serpi.
Lui, invece, guardò all’aspetto della giovane e con voce confusa, bassa ma seria, chiese:
« Che cosa sei…? »
Lei strinse i coltelli, portandosi in posizione d’attacco.
L’uomo sorrise e alzò la katana sopra la sua testa in un movimento ampio per poi riportarla al suo fianco:
« Hmp! Non importa, sarà lo stesso divertente giocare con te. »
 
Kain sentiva di non poter resistere oltre; così calciò il biondo lontano, liberando finalmente la sua fedele lancia che aveva miracolosamente resistito all’impatto. S’assicurò che l’avversario fosse momentaneamente fuori gioco e si voltò per aiutare la ragazza ad alzarsi.
« Kain! Sono così contenta che tu sia qui! » Disse lei, reggendosi a mala pena in piedi.
« Vai al sicuro, Tifa, qui ci penso io. » Rispose lui, fingendo di non aver sentito la sua frase.
La ragazza scosse il capo:
« Ti prego non fargli male! Deve solo capire che… ATTENTO! »
Kain si voltò per vedere il biondo venirgli incontro a spadone alzato. Fulmineo, il Dragone puntò entrambe le mani aperte davanti e la sua lancia si staccò dalla sua presa, roteando come impazzita. L’aria intorno si raccolse in una sfera tanto densa da essere visibile che sfrecciò contro il nemico, esplodendo in un tornado che allontanò ancora una volta il biondo.  Lo videro atterrare in piedi sul ponte e guardarli.
Tifa fu subito pronta e barcollando osò solo un passo avanti:
« Cloud, ti prego! Ascoltami! »
Ma lui per tutta risposta evocò una piccola meteora infuocata che scagliò contro i due. Kain fu prezioso di sensi e afferrò la ragazza per la vita, saltando appena in tempo per evitare l’esplosione che s’accese sotto di loro. Atterrò poco lontano e disse:
« È inutile, Tifa. Finché c’è l’influenza di Sephiroth su di lui, non possiamo fare niente. »
Solo in quel momento si ricordò di Ginevra.
 
Sephiroth alzò la katana che s’illuminò, quando l’abbassò con forza, dal ferro partirono in sequenza una colonna di lame lucenti. Ginevra scartò violentemente da un lato. Unì le else ed ebbe la lancia. Partì all’attacco, roteando a mezz’aria e con la forza centrifuga puntò con una delle due estremità verso il nemico. L’uomo evitò le lame e con la lunga katana affondò. La ragazza mancò il colpo per un soffio, si spinse indietro con i piedi e frenò. Riportò la lancia in coltelli e aspettò l’attacco dell’avversario che non tardò ad arrivare. La katana fischiò mentre correva in un attacco orizzontale, incontrò resistenza e fu spinta indietro, tentò ancora da un’altra angolazione e ancora i coltelli la bloccarono. Ginevra, mentre la katana preparava la prossima offesa, saltò e arrivò al muro dall’altra parte. Portò i piedi su di esso e si diede la spinta. Volò contro l’uomo che fermò la sua carica con l’arma, poi la spintonò indietro. Ginevra frenò e vide Sephiroth balzarle incontro. Fece una finta, agitando la katana. Ginevra non se l’aspettò e presto fu sbattuta contro una delle ruote ad ingranaggio che sbucavano dal terreno. Batté la testa e quando riprese i sensi gli occhi verdi dell’uomo erano a pochi centimetri dai suoi.
 
Cloud gli bloccò la strada, arrivando in scivolata con lo spadone stretto in mano. Tentò di attaccare e Kain fu costretto a saltare indietro. Il Dragone evocò di nuovo il globo d’aria ma questa volta il Soldier la spezzò a metà, pronto a quel nuovo attacco. Kain schivò ancora, indietreggiando sempre di più, allontanandosi sempre di più da Ginevra che combatteva con tutte le sue forze.
Lui non voleva colpirlo, voleva poter almeno credere alle parole di Tifa, ma i fatti lo mettevano in difficoltà. Se il biondo non si fosse tolto di mezzo, lui sarebbe potuto non arrivare in tempo per aiutare l’Au’Ra.
Lo spadone arrivò dall’alto, non colpì l’obbiettivo, troppo veloce, e batté sul ponte di legno, creando un’onda d’urto che lo frantumò. Kain allora precipitò, non trovando più appoggio, ma fu pronto e riatterrò poco sotto senza rompersi niente. Cloud arrivò sopra di lui e Kain parò l’enorme lama di nuovo con l’asta della lancia e lei, fedele, ancora una volta reistette l’immenso peso. Il Dragone lo gettò da un lato e vide la scena: Ginevra veniva gettata contro i grandi ingranaggi e Sephiroth le arrivava addosso.
All’improvviso sentì un terribile dolore alla schiena e venne spinto a terra. Rimase boccheggiante sulle assi di legno che sotto di lui scricchiolavano, minacciando di cedere. Contenne gli spasmi di dolore, non un gemito uscì dal suo controllo mentre avvertiva il sangue colargli caldo bagnarlo sotto l’armatura. I passi del Soldier si fecero vicini. La sua lancia era caduta di mano ed era a pochi centimetri dalla sua portata. Allungò la mano per prenderla ma su di sé vedeva già l’ombra dello spadone.
« Blizaga! » Sentì la voce di Tifa.
Ghiaccio comparve ai piedi di Cloud, salì lungo il suo corpo e il ragazzo per la sorpresa non ebbe reazioni. Il gelo arrivò a bloccarlo in quella posizione, arrestando articolazioni e muscoli.
Kain si portò in ginocchio e si gettò lontano, riprendendo la lancia in mano. Poi guardò verso la mora e la vide appoggiata ad una parete, esausta, la mano ancora protesa verso il Soldier congelato ma vivo. Gli rivolse un sorriso stanco.
Il Dragone ricambiò un veloce sguardo, poi grugnendo per lottare contro il dolore si alzò in piedi; caricò i muscoli delle gambe e sfrecciò verso la sua meta.
 
Una mano guantata le afferrò la gola e la sollevò da terra.
Ginevra, presa dall’ansia, lasciò cadere i coltelli dalle mani per portarle al collo, cercando di allontanare quella stretta ferrea. Ma ogni suo sforzo fu vano, anche se si dimenava e scalciava.
Sudando vedeva gli occhi verdi fissarla quasi con piacere, mentre le pupille si restringevano ancora di più.
« Ancora non so chi tu sia o cosa tu sia. Ma credo che a questo punto non importi più. Sei stata un ottimo intrattenimento. »
La coda di Ginevra andò a colpire Sephiroth su una gamba, impiantando gli spunzoni nella sua carne e graffiandolo. L’uomo non fece una piega e abbassò lo sguardo per vedere le gocce di sangue imbrattargli di poco i pantaloni. Chiuse gli occhi e gli scappò una mezza risatina:
« Che infantile… »
Strinse la presa e Ginevra fu privata di ogni spiraglio d’aria.
Spalancò la bocca in lamenti strozzati mentre la vista sfocava, chiazzandola di macchie nere.
Ma Sephiroth percepì una punta pizzicargli la schiena.
Guardò indietro con la coda dell’occhio, ma sapeva benissimo chi era.
« Cloud, toglilo di mezzo. » Disse.
« Il tuo schiavo non verrà. » Rispose Kain, alle sue spalle.
L’uomo allora voltò lo sguardo verso il ponte e vide Cloud ancora bloccato nel ghiaccio mantenuto da Tifa.
« Lasciala andare. » Ordinò duro il Dragone.
Sephiroth guardò gli occhi agonizzanti di Ginevra ancora per qualche istante, poi disse:
« Non credere che mi dimentichi così facilmente di chi come me ha perso onore e stima. Sei un eroe caduto proprio come me e il tuo stupido tentativo di prevaler ti costerà la vita, Dragone. »
Così una tempesta di piume nere lo avvolse e sparì.
L’Au’Ra cadde a terra e Kain le fu subito vicino.
Sephiroth ricomparve al fianco di Cloud, con un colpo di katana spezzò il ghiaccio che lo imprigionava e il Soldier cadde in ginocchio, sfinito e tremante. L’uomo allungò una mano verso la sua testa e mentre le piume scure tornavano per avvolgerli entrambi, disse:
« Non importa, Cloud. Avrai modo di dimostrare a Chaos il tuo valore nella prossima battaglia. E quando ti sarai fatto valore, allora potrai essere ufficialmente un Guerriero della Discordia… e il mio servo fedele… »
Sparirono, lasciando i tre nel silenzio del Castello di Artemisia, lì dove il tempo non scorre mai e l’orologio traccia la linea infinita dell’eterno oblio. 

 

Salve a tutti!
Nuovo capitolo, nuove comparse e nuove ricerche per renderli come meglio riesco. Non avete idea di quanto rimpiango non poter giocare ad ogni singolo FF per rendere tutti i personaggi davvero unici come rendo quelli di FFIV. Specialmente questi di FFVI che sono i più famosi ed acclamati. Perdonatemi davvero se non vengono come ve li eravate aspettati, ma sappiate che ci metto tutta la buona volontà per renderli bene! Inoltre, non sapendo bene come rappresentare esternamente il Castello di Artemisia, mi sono presa qualche libertà. Spero non vi abbia dato fastidio, specialmente ai fan di FFVII.
Con questo concludo.
Al prossimo capitolo!

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Capitolo 19
*** Non disturbar il Dragone che dorme ***


« Togliti. »
« Sulla schiena non ci arrivi! »
« Togliti. »
« Ma come pretendi di fare tutto da solo? »
« Togliti! »
Silenzio.
« Stare così lontani è pericoloso. »
« Ginevra… togliti-dai-piedi! »
Lei mise su il broncio e fece dietro front.
Questa volta aveva vinto lui per testardaggine.
 
Ginevra arrivò alla grotta di fianco e vi entrò, già zozza d’acqua anche se erano solo pochi passi. Si scrollò fino alla punta della coda.
Non credeva che anche in quella dimensione esistesse la pioggia. Era la prima volta che la vedeva lì, forse era anche una delle prime volte che la sentiva. All’improvviso lo scrosciare quell’acqua, il vento freddo, l’umido e il bagnato della tempesta le sembravano qualcosa di estraneo, mai provato prima. Eppure la conosceva… ma in quel momento non aveva proprio voglia di godersela: era troppo violenta.
Tifa era nel fondo della grotta, bendata e fasciata su braccia e gambe dove era tempestata di graffi e ferite anche non da poco; dei due Elisir che si erano guadagnati raspando anche con le unghie nel terreno ne era rimasto mezzo, per Ginevra.
Così si sedette accanto alla ragazza e guardò l’intruglio:
« Sicura di non volerlo? Tu eri messa peggio di me… »
Tifa sorrise, appoggiata in riposo contro il masso piatto che era stato prediletto come suo giaciglio per quella notte:
« No, vai pure. Mi basterà riposare ancora un po’. »
Allora Ginevra bevve, ripensando all’Elisir neanche aperto del Dragone e si chiese cosa mai lo spingesse a non berlo.
Quasi Tifa l’avesse letta nel pensiero, chiese, ridacchiando:
« Allora? L’hai convinto? »
« Ma scherzi? Quello a mala pena lo convinco a sopravvivere! » Esclamò lei, ancora arrabbiata.
La ragazza mora rise di gusto:
« Sì, Kain è sempre stato così. Non riposa mai, si spinge sempre oltre i suoi limiti e non accetta facilmente l’aiuto degli altri. Forse dovresti capirlo… »
Ginevra invece era seria:
« Questo è volersi male ed io non lo trovo un motivo valido per comprendere… »
La ragazza non le rispose e rimasero per lunghi minuti a guardare il muro d’acqua fredda bagnare il terreno di quelle terre dure e spigolose. Per molto tempo, l’unico rumore fu quello della forte pioggia e l’aria era intrisa dei loro pensieri.
« Tu lo conosci bene, vero? » Chiese l’Au’Ra.
Tifa annuì, senza guardarla:
« In uno degli ultimi cicli… il mio ultimo… ho viaggiato con lui. Questo e le condizioni in cui eravamo mi hanno aiutato a capirlo di più e allo stesso tempo a farmi capire che non sarei riuscita ad aiutarlo di più. » Sospirò « Kain è… troppo… troppo combattuto. Io credo di capire qualcosa su di lui, perché gli ho parlato, ho visto come si atteggia e come reagisce ai suoi doveri e alle situazioni… ma temo che il vero cruccio venga da quella parte della nostra vita che qui dimentichiamo. E non è l’unico a esserne soggetto. »
Ginevra aveva smesso di guardarla:
« Si considera un assassino. »
« Dopo un po’ tutti qui ci convinciamo di esserlo. Ci trattano da soldati ma non lo siamo, non siamo burattini. Siamo esseri viventi, siamo persone vive e con una coscienza ed una volontà. La vera lotta, in questo posto, è mantenere ciò che siamo. In tutto questo mondo di caos, finzione e vuoto, dobbiamo convincerci che siamo ancora vivi e che nessuno può darci dei falliti senza anima. » E Tifa si rattristò.
 Ginevra l’aveva notato e l’aveva guardata interrogativa per poi chiedere:
« Io non ti ho visto alla convocazione di Cosmos… perché non c’eri? »
Lei si tirò su, seduta, e portò una mano alla testa per il capogiro che le venne:
« Una delle prime cose che ho visto quando sono ritornata qui era Sephiroth che portava via Cloud, il ragazzo che mi stava per… » Evitò la parola, sospirò ancora « E… l’ha portato da Chaos, il Dio della Discordia. Non so cosa diavolo gli abbia messo in testa durante il tragitto, ma deve averlo convinto di essere uno schiavo, approfittando del momento di confusione che tutti abbiamo quando arriviamo qui. Ho viaggiato giorno e notte senza sosta per raggiungerli, ma mi hanno seminata con un teletrasporto ed io ho dovuto cercare le loro tracce. Così non sono riuscita a sostenerlo nel momento del bisogno e lui si è attaccato alla prima cosa su cui ha trovato sicurezza. »
« Ma perché lo volevi tanto al tuo fianco? » Chiese Ginevra.
« Perché… io e lui molto probabilmente veniamo dallo stesso mondo… dalla stessa casa. Mi ha salvato la vita, una volta, mi ha detto il suo nome e da allora non mi è più sparito dalla testa. Mi diceva un sacco di cose, troppe. Inoltre, quando ho preso coscienza in questa dimensione, mi sono risvegliata con lui al mio fianco, quasi fossimo giunti insieme. Neanche il tempo di respirare e già me l’hanno portato via… avrei voluto almeno salutarlo e farmi riconoscere. » Rispose lei.
L’Au’Ra non aggiunse altro, togliendo lo sguardo dai suoi occhi rossi.
La vedeva preoccupata, per quanto in quel momento stesse cercando di non darlo a vedere. Ma la debolezza e la situazione la mettevano  in un angolo, costringendola ad ammettere che effettivamente era turbata.
Tifa si posizionò meglio nella postura, sorridendo e facendo svanire all’istante quell’espressione di scoraggiamento:
« Beh, una speranza di averlo indietro comunque c’è: non è stato ancora accolto ufficialmente nelle schiere della Discordia perché Chaos non ha voluto “benedirlo” con il suo male. Voleva che dimostrasse determinazione nell’ucciderci. »
L’Au’Ra s’appoggiò alla parete della grotta:
« Quindi… può ancora diventare un guerriero dell’Armonia? »
La ragazza annuì.
« E come pensi di fare? » Chiese ancora Ginevra.
Tifa incrociò le braccia sul petto:
« Nel prossimo scontro darò calci e pugni anche agli Dei pur riaverlo con noi. Non merita di stare nella Discordia. »
L’Au’Ra sorrise, contenta che anche alla compagna fosse tornato il sorriso.
Fuori la pioggia ancora batteva insistente, forse un goccio diminuita da prima.
Le due lasciarono che il silenzio fosse la loro musica di sottofondo e lo scroscio le note di una musica lontana; così rimasero nel loro silenzio a pensare.
Mancavano forse due giorni ancora di viaggio e sarebbero arrivati al Santuario dell’Armonia, dove gli altri guerrieri li aspettavano. Ginevra non sapeva a cosa sarebbe andata incontro, non sapeva come le grandi battaglie si potessero svolgere in quella dimensione. Ma sapeva che in ogni caso avrebbe rincontrato Zidane e Bartz che l’avrebbero sicuramente aiutata. Si rincuorò e poté concentrare la mente su altre cose.
Si ricordò di Kain, ancora nascosto nella sua grotta affianco alla loro.
Era stato tanto testardo che aveva rinunciato aiuto per farsi curare lo squarcio sulla schiena, lì dove non poteva arrivare.
Sapeva che l’avrebbe linciata se fosse andata a vedere se aveva bisogno di lei, ma non le importò e s’alzò comunque, questa volta prendendo il mantello nero per coprirsi un minimo dalla pioggia.
Tifa la vide saltare su due gambe e rise:
« Vai a vedere se riesci a smuoverlo? »
« Certo. »
« Mi chiedo chi di voi due sia più testardo… » Rifletté la ragazza.
 
Aveva fatto la corsa per arrivare e quando entrò nel “segretissimo ed inaccessibile antro” del Dragone, si tolse il mantello dalla testa e sbuffò, dando una rapida occhiata dietro le sue spalle.
Poi guardò davanti a sé il buco scuro in cui Kain aveva fatto il nido.
Mise le mani sui fianchi.
Lui non c’era.
« Kain! Lo so che ci sei! È inutile che ti nascondi! » Poi alzò le spalle come constatò che la risposta non sarebbe arrivata « D’accordo. »
Osservò i dintorni e nella penombra vedeva diverse rocce sbucare dalle pareti, perfette per nascondersi.
Fece qualche passo nel posto, fingendo di ignorarlo e si guardava intorno, con aria vaga. Fino a quando non notò l’elmo posato in un angolo.
Allora s’avvicinò, inginocchiandosi, e lo prese delicatamente fra le mani.
Quella smania di fare la menefreghista stava lentamente sparendo più diventava conscia di averlo disturbato in un momento privato… forse anche troppo perché non lontano c’era anche l’armatura in via di riparazione. Lo stupore che provò nel sapere che l’equipaggiamento si aggiustava con altri tipi di pozioni e oggetti fu il minimo.
Quindi lui è…, pensò, arrossendo.
Con voce tremante e mentre riappoggiava l’elmo esattamente dove l’aveva trovato, disse:
« Eeeeehm… ti ho mica disturbato? »
Il rumore del ferro della lancia strisciato sulla roccia le fece intendere alla perfezione la risposta.
Ginevra balzò in piedi, dritta come un soldatino, la pelle d’oca e la coda dritta.
Si voltò su un solo piede e ciondolando, senza guardare indietro per timore di vederlo, fece il tragitto di ritorno, balbettando:
« Oook! Allora… tutto bene, quindi? Non vuoi una mano per la schiena… giusto? Dunque… io non servo a niente? Bene… allora… penso che se le cose stanno così… allora sei riuscito a curarti… quindi non hai bisogno d’aiuto… ed io posso togliere il disturbo! »
Tornò a coprirsi con il mantello e scappò fuori.
Tornò indietro un istante, ricomparendo davanti l’entrata della grotta:
« Scusa!! » Gridò per farsi sentire.
Poi scappò via.
 
Kain aspettò un’eternità prima di porsi appena l’idea di scendere.
Così, finalmente, staccò gli occhi dall’entrata della grotta e balzò giù, riappoggiando poi la lancia dove era prima.
Sospirò.
Era incredibile come quella ragazza fosse continuamente piena di sorprese. Una sua visita proprio non se l’era aspettata ed era fuggito sulle rocce in alto a velocità di fulmine come aveva sentito i suoi passi. Ma aveva dimenticato il suo lavoro sul fondo.
Si voltò, controllando che anche se si muoveva come suo solito le bende fossero comunque resistenti e ferme. Poi sospirò una seconda volta, più a fondo e si inginocchiò per riprendere la ricostruzione dell’armatura con le Gocce di Soma.
Queste ricostruivano ogni tipo di materiale e lui lo sapeva bene perché nel suo ultimo ciclo se ne era caricato le tasche e ogni volta che si procurava anche solo un graffio sulla corazza la riaggiustava, quasi fossero ferite del corpo da rimarginare.
Ma come mise le mani sui suoi strumenti, l’occhio gli cadde sull’Elisir ancora pieno che non aveva bevuto.
Lo fissò a lungo, tra la tentazione e il contenimento.
La ferita sulla schiena lo incitò ad aprire quel dannato tappo.

 

Salve a tutti!
Un capitolo tranquillo, questo. Ho voluto mettere una pausa, altrimenti troppi combattimenti e casini appesantiscono la storia e sopratutto perchè siamo sulla strada di un combattimento con i fiocchi, che penso durerà anche più di un singolo capitolo.
Anche qui non so se ho reso bene o male i personaggi che non conosco a fondo (Tifa e Cloud, qui), spero per il meglio! ^^
Ho inserito una fine comica, mi mancava questo genere e avevo bisogno di farlo finire in qualche modo che non fosse Ginevra che sviene a caso... @.@
Bene, ci si vede al prossimo capitolo! 

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Capitolo 20
*** Verso la battaglia ***


« Si preparano. » Disse Gabranth, con la voce bassa di chi è nei suoi pensieri.
Lo sguardo del Giudice passava fitto nel marasma sotto di lui.
Centinaia di corpi cristallini trasparenti, ammassati gli uni sugli altri in una confusione indicibile.
Dal loro punto di vista, sopra la fossa, tutti quegli esseri sembravano insetti in un formicaio.
Erano stati messi lì, i Manikin, raccolti come pecore dal pastore in una fossa e imprigionati in quel luogo oscuro, in attesa di liberarli e scaricarli tutti in un unico colpo. La direzione era una: il Santuario dell’Ordine, e presto quello sarebbe diventato l’unico motivo di esistenza di ogni singolo clone segregato in quel buco.
« E voi vi affidate a loro? » Fece il Lupo Nero, guardando anche lui con assoluta indifferenza i Manikin più spietati uccidere quelli nel loro raggio di azione.
Gabranth alzò le spalle:
« Sembrano essersi rivelati efficaci per indebolirli. » Rispose il Giudice.
« Non hanno carne, non hanno ossa, non hanno anima. Sono oggetti, non dei nemici. Non sarebbero nemmeno degni di muovere la punta delle dita. » Protestò Gaius, disgustato.
« Nessuno ha mai voluto che fossero vivi. » Replicò l’altro, voltandosi finalmente a guardarlo.
Il Lupo Nero rimase a guardare in silenzio una coppia di cloni dibattersi in una lotta spietata.
Gabranth aveva smesso di fissarlo in quei minuti di contemplazione, poi si decise a dire:
« Se vogliamo sconfiggere degli Dei, forse imbattersi in una battaglia degna di nota non sarebbe poi una cattiva idea. E in ogni caso, voglio ancora constatare che tu sappia infliggere dei colpi letali quando serve. »
« Ancora non mi reputi degno? »
« No. Le mie decisioni devono essere fondate. » Rispose aspro lui.
Gaius ridacchiò, abbassando lo sguardo al suo avambraccio dove stava attivando la canna incorporata:
« Quindi… mi vuoi in uno scontro aperto… Se riesco a battere quelli dell’Armonia e gli intralci della Discordia per arrivare al nostro obbiettivo, mi avrai al tuo fianco per distruggere gli Dei? »
 Gabranth non si prese neanche il disturbo di rispondergli, rivolgendogli due occhi celati dall’elmo anche fin troppo chiusi a fessura per i suoi pensieri.
Il Lupo Nero preparò i colpi che gli servivano, prendendosela con calma mentre con un sorrisino nascosto guardava ancora la stessa coppia di cloni dibattersi nella rissa:
« Interessante la tua tecnica… » Replicò con voce riflessiva.
Puntò la mano contro i due Manikin.
I colpi partirono di seguito e lui dovette spostare il braccio teso di poco per mirare al secondo obbiettivo. Una scarica di proiettili, equivalente ad una mitragliata di almeno tre colpi, stese i due sfidanti sul fondo della fossa. Caddero in contorsioni e dopo poco i loro corpi si disfecero il nubi nere di gas.
Gaius poté rilassare il braccio scosso dai rinculi dei suoi colpi, anche se presto quella sensazione sparì per l’abitudine.
« Allora mi sembra giusto che anche noi ci prepariamo allo scontro… » Disse.
Gabranth si voltò:
« Vieni. »
 
***
 
Dalla Crepa uscivano Manikin a file e file.
Ma lui le considerava scarse comunque.
Erano appena a inizio ciclo ed i veri eserciti di cloni dovevano ancora formarsi. Ma gli ordini erano quelli e lui, insieme a Nube Oscura, aveva dovuto impiegare tutte le sue energie per piegare il lavoro della Crepa ad un ritmo serrato.
I Manikin si formavano da scarti di Universi, le schegge spaziali si univano a creare corpi, imitando quelli di chi era nel ciclo attuale. Nascevano con le armi in mano, capaci di combattere e bastava un minimo di forza di volontà per piegarli ad ogni proprio desiderio.
Incrociò le braccia, fissando anche con quasi scarsa attenzione i tipi di cloni che venivano fuori dallo squarcio nel terreno.
Barcollavano, cercando un equilibrio per quei poveri corpi finti e poi si dirigevano come degli ambulanti verso la loro prigione, per essere poi scagionati in una furia ceca contro i loro nemici.
Vide Nube Oscura staccarsi dal suo fianco per dirigersi verso un clone disperso nella folla.
Non badò più a lei per diverso tempo fino a quando non la vide a tornare, le sue serpi gialle stringevano tra i denti il collo e la coda floscia di un nuovo clone.
Era una ragazzina, corna, coda e squame sul corpo. Aveva sfumature acquamarina, gli occhi vitrei si chiudevano e spalancavano disordinatamente, come se fossero ubriachi.
Lui la guardò, costretta ad inginocchiarsi dalle teste compagne della donna.
« Un nuovo clone, il primo direi, non ne ho visti altri simili. Probabilmente è la nostra nuova nemica. » Disse Nube Oscura, facendo poi una pausa in contemplazione « Davvero affascinante come esemplare… sarà interessante come avversario. »
Lui chiamò in pugno la sua spada d’oro.
Toccò la punta alcuni punti del corpo del Manikin completamente spaesato ed incosciente.
« Sì, sarà davvero interessante. » Commentò.
Poi inflisse il suo colpo, trafiggendo il ventre del clone. Dalla gola dell’essere uscì un urlo distorto di ragazza, gli occhi vitrei sbarrati nella sorpresa.
Le teste gialle lasciarono la presa e la spada di lui fu tolta dal corpo trasparente. Il Manikin cadde riverso sul pavimento, evaporando dopo poco in gas nero.
« I primi cloni sono sempre i peggiori… sempre qualcosa che non quadra… Piuttosto, raduna l’unica copia dell’Invocatrice e fai in modo che sia ben conservata. Sarà utile in battaglia… » Disse lui.
Nube Oscura si voltò e levitando tornò al suo lavoro.
 
***
 
Tifa mise la mani sui fianchi, sospirando soddisfatta:
« Uff! » Guardò l’orizzonte « Siamo praticamente arrivati. »
Ginevra sorrideva, seguendo la mora a ruota lungo la corsa e gli slanci per colline e pianure.
Le faceva piacere avere una ragazza al fianco. Si sentiva più adagiata. Tifa poi era sempre energetica e molto positiva, la faceva sentire bene con quella voce sempre accesa e solare.
Kain le seguiva in disparte, saltando dove meglio le sue gambe trovavano pedane di slancio.
Dopo l’imbarazzante avvenimento nella grotta, Ginevra non era stata molto propensa a parlargli. Si vergognava troppo per essere stata così invasiva. Kain poi non l’aveva nemmeno guardata di striscio. Neanche ora che era distante il Dragone le guardava: sapeva benissimo dove stessero andando e lui non aveva intenzione di star appiccicato alle compagne di viaggio. Preferiva il cielo, libero, potersi godere le ultime ore di solitaria libertà prima di finire nuovamente nel gruppo di alleati, se così poteva considerarli.
 
Tifa e Ginevra arrivarono al portale per il Santuario che Kain era già lì, braccia conserte, appoggiato su una delle colonne portanti.
« Ti sei fatto il giro panoramico? » Chiese Tifa, scherzando.
Il Dragone grugnì e lasciò che fossero prima le due a passare oltre il varco.
Così, dopo il primo abbaglio di luce oltre il simbolo luminoso, la grande distesa d’acqua e le sottili costruzioni del Santuario dell’Ordine s’aprirono davanti a loro.
Di quel posto, Ginevra adorava il trasparente velo liquido e il cielo nuvoloso, attraversato da quelle linee verdi ancora così misteriose per lei.
Si fermò qualche secondo ad ammirare il posto, gli occhi per aria, quando Kain le passò di fianco e lei si ricordò che era arrivato il momento cruciale.
L’avrebbero accettato o no?
Si sbrigò a raggiungerlo e con una nota di timidezza disse:
« Sono contenta… che tu sia venuto. »
Lui guardava fisso davanti, quasi l’avessero inchiodato con la testa in quell’unica direzione:
« Potrei rendere vano questo tuo giubilo. »
Lei abbassò lo sguardo, tacendo.
È sempre così serio… così… triste…
Tifa, davanti ai due, si fermò e puntò il dito contro il trono bianco della Dea, ora visibile, circondato dai suoi guerrieri, forse tutti:
« Eccoli. »
Ginevra vide chiarissimamente il corpo del Dragone diventare più rigido della pietra e il disagio scendere su di lui come una nebbia fitta.
Anche lei aveva un poco di timore a rincontrare tutti, per la sua timidezza e perché prendeva posizione con l’elemento odiato da tutti. Si rincuorò che Tifa fosse con lei.
Così arrivarono da dietro, la Dea era l’unica che poteva vederli poiché era di fronte a loro. Sembrava che stesse parlando ai suoi guerrieri. Ma la divinità cessò il suo discorso ed i suoi occhi azzurri si spostarono chiari sui tre ormai vicini.
I presenti si voltarono, cercando di capire la reazione della Dea, e i nuovi arrivati si fermarono davanti agli sguardi di tutti.
Ginevra percepì gli occhi vagare sul suo gruppo e poi fermarsi su di lui.
Dritti.
Una freccia.
A nessuno era scappata la sua presenza.
E da come lo fissavano, la cosa sembrava peggio del solito.
« Ginevra! Gyn! » Gridarono due voci da dietro.
Dalla folla vennero allo scoperto Bartz e Zidane, intenti a correrle incontro, ma un braccio bloccò loro la strada.
Lightning era in prima fila, faccia a faccia con il Dragone che duro ricambiava solo e soltanto il suo di sguardo.
Ginevra sentiva un pizzicore alla coda, forse era un segno che era tesa. Lei all’inizio aveva fissato i suoi due vecchi compagni, ma ora non poteva che non osservare i due grandi contendenti.
Traditore e guerriera non staccavano lo sguardo, lei per paura di perderlo di vista, lui per sfidarla.
Ginevra vide il gruppo muoversi, mentre un guerriero con l’elmo dotato di due lunghe corna si avvicinava alla ragazza in prima linea.
Non l’aveva mai visto.
Era un ragazzo sulla ventina d’anni, alto e snello. Indossava un’armatura tra il blu e l’azzurro, con ornamenti d’oro e un mantello chiaro. Aveva lunghi capelli argentei e gli occhi acquamarina, proprio come quelli di Ginevra.
Il guerriero ora era anche lui davanti a tutti, fronteggiando il Dragone.
« Lightning… » Sussurrò, guardandola con la coda dell’occhio.
Non ricevette alcuna risposta, ma le sopracciglia di lei si avvicinarono, creando un’espressione ancora più dura ed accattivata di prima.
Ginevra osò guardare gli altri guerrieri e riconobbe Squall, poco più indietro che la fissava, serio. Evitò subito il suo sguardo, non era il momento di mettersi ulteriormente in scontro. Riconobbe Cecil e Firion, che fissava Kain con un misto tra il timore e un senso di contenimento per non mostrarsi suscettibile. Il Paladino invece sembrava più afflitto da quell’incontro, quasi dispiaciuto.
Bartz e Zidane erano sospesi ad un filo, con la tentazione di fregarsene altamente dell’impedimento della guerriera e quella di non muoversi per timore di subire le sue furie non piacevoli.
Tifa era muta, ma comunque accanto a loro.
Cosmos, era ferma, gli occhi ancora puntati su Ginevra, uno sguardo che sentiva addosso fino al midollo.
All’improvviso da dietro al trono comparve una piccola figura.
Ginevra la riconobbe subito e volle scomparire: era Shantotto, la nanetta che avrebbe dovuto farle da guardia del corpo prima che iniziasse il suo viaggio.
La Maga la fissò, furiosa, e con la sua voce austera esclamò:
« Tu! » L’Au’Ra fu scossa da testa a piedi « Tu! Signorina cara! Che pensavi di fare? Come hai osato scappare? Ti ho mica dato l’ordine di dileguarti? E… »
La Dea la interruppe:
« Shantotto… lascia che parlino loro. »
Ginevra le fu immensamente grata, ma lo fu di meno quando la divinità aggiunse:
« Ginevra, puoi parlare. »
Lei guardò tutti i presenti, accorgendosi con terrore che anche la guerriera ora la fissava. Così prese un profondo sospiro e allungò un timido passo in avanti:
« Io… » Disse con voce tremante.
Si diede della stupida, non poteva parlare così! Così prese un secondo respiro profondo e mostrò un’espressione il più determinata possibile:
« Io sono nuova di questo posto, di questa dimensione. Non vi ho mai visto, non ho mai condiviso niente con voi e non so chi siate. Sono pochi quelli che ho potuto incontrare e con cui ho potuto parlare. So all’incirca cosa avete fatto nei cicli prima di questo e so che ognuno di voi ha la sua storia, chi più positiva, chi più oscura. Posso capire che per come mi sto presentando io non vi sto dando una buona impressione. Nella mia ignoranza, vi ho riportato uno degli elementi più mal visti senza conoscere bene le sue intenzioni. Ma ho voluto fidarmi e vorrei che poteste dargli una nuova possibilità. Forse le cose possono cambiare… »
« Non ti credevo così ingenua… » Disse all’improvviso Lightning.
Ginevra la guardò mentre lei faceva un passo in avanti:
« Quando ti ho incontrato la prima volta, avevo capito benissimo che tipo eri e ho cercato di avvisarti. Mi sono illusa di potermi fidare, pensavo che saresti ritornata indietro, che ti sarebbe venuto un minimo di buon senso. E invece ti sei data all’esempio peggiore che potevi trovare. »
L’Au’Ra fu istigata a risponderle, irritata, e presto si dovette sfogare:
« Io invece credo che lui sia più che degno di essere come voi! »
Lightning le rispose, alzando il tono:
« Noi non siamo assassini! Noi non tradiamo gli amici alle spalle! »
Lei stava per ribattere ancora ma il Dragone la bloccò:
« Ginevra, basta difendermi. Non mi merito alcuna protezione. »
Lightning aveva spostato nuovamente lo sguardo su di lui:
« Non trovi situazione migliore tu, eh? Siamo tutti qui, puoi ucciderci tutti quando lo desideri. Basta solo che ti riesci ad infiltrare abbastanza da illuderci tutti quanti. »
Tifa avanzò, cercando di calmare la situazione:
« Lightning, aspetta! Ti stai lasciando prendere la mano! Hai dimenticato che alla fine del nostro ultimo ciclo Kain ci ha aiutati? È venuto con noi, ci ha difeso le spalle per permetterci di arrivare al nostro obbiettivo e come se non bastasse ci ha soccorso anche in quello. Questo non ti basta come segno che forse ha cercato di cambiare le cose? »
La guerriera guardò la compagna solo per qualche istante.
Spostò gli occhi di gelo sul Dragone e a passo felpato, costringendo Ginevra a farsi da parte, lo raggiunse, sfiorando l’elmo di lui con il proprio viso:
« Dimmi perché in questo ciclo non eri con noi quando avresti dovuto esserci. Dimmi perché non hai voluto la benedizione di Cosmos se ti sei veramente pentito. »
Kain era rimasto serio ed impassibile, anche con il volto della giovane a pochi centimetri dal suo. Lasciò passare alcuni secondi di silenzio:
« Per il rimorso. Per difendervi da me. »
Lightning cercò di mantenere lo sguardo di gelo ma presto fu disarmata da quello saldo di lui. La guerriera aveva capito che non stava mentendo.
Così indietreggiò.
Cosmos intervene dopo quei pochi minuti che bastarono a Lightning per tornare al gruppo:
« Non sei ancora stato inserito in uno schieramento . » Disse rivolgendosi al Dragone « Io posso darti la mia Benedizione a patto che ti impegnerai a combattere per il bene e a proteggere i tuoi compagni da ogni tua tentazione. »
Kain non la stava guardando e né sembrava disposto a rispondere con chiarezza. Furono gli occhi di Ginevra ad invitarlo almeno ad aprir bocca:
« Io non prometto niente. Non voglio la tua benedizione. » Disse, alzando gli occhi verso di lei.
Cosmos non fu affatto colpita. Annuì semplicemente, quasi si fosse aspettata una risposta del genere:
« Allora saranno le tue azioni a condurti dove è giusto che tu vada. » Poi si rivolse a tutti i presenti « E ora, Guerrieri dell’Armonia, preparatevi alla battaglia. »
 
 
 
Salve a tutti!
Eeeeee, prossimo capitolo è l'inizio della prima battaglia del quattordicesimo ciclo! Preparatevi anche voi visto che ci siete!^o^
Una nota che volevo rendere subito chiara è come si formano i Manikin. Visto che non mi ricordo perfettamente se in Dissidia viene reso esplicito come  nascono mi sono presa delle libertà. Può sembrare benissimo una cosa buttata un po' lì, perché non mi ci sono fermata tanto e se vi stona avete perfettamente ragione. Posso sempre modificare se proprio vi rimane per storto, tanto si tratta di cancellare una riga. 
In questo periodo sto proprio arrancando per trovare momenti in cui scrivere, quindi ogni tanto mi interrompo nel mezzo di un'accadimento, velocizzo alcune azioni e i dialoghi vengono meno intensi (il discorso di Ginevra è quello a cui più mi riferisco). Se avrò voglia potrei anche cambiarli. 
Bene, ci si vede al prossimo capitolo! 
P.S. Affilate le spade!

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Capitolo 21
*** Armonia e Discordia-Il Quattordicesimo Ciclo inizia ***


Poche ore.
Solo quelle poche ore e Ginevra avrebbe scoperto fino a dove si sarebbe spinta. O meglio, fin dove l’avrebbe spinta la paura.
Avrebbe quasi preferito iniziarla subito, buttarsi subito nella mischia e sparire tra centinaia di corpi piuttosto che rimanere lì ad aspettare un esito che non conosceva nemmeno di striscio.
Non conosceva bene il posto, non conosceva i compagni, non si conosceva. Era uno straccio buttato in una tempesta.
Scappare per evitare il tutto?
Che codarda…
Trovare una scusa?
Non voglio dimostrarmi così stupida…
Che sistema per battere il tutto?
Nessuno…
Non poteva fare niente, se non guardare i guerrieri presentarsi forse timidamente o con distacco, giusto per rompere il silenzio e il gelo di quei minuti. E lei per battere la fifa si ripeteva i loro nomi e cercava particolari per ricordarseli.
Tidus… quello con la spada azzura…, Vaan… vestito strano…, poi laggiù ci sono Firion, Lightning, Cecil… ehm…, cercò di riprendere l’elenco, … ah, sì! Ecco come si chiama: Squall… Tifa…  Zidane e Bartz, Boko… beato lui che mangia…Shantotto… ma Shantotto combatte stordendo i nemici con le chiacchiere o cosa?
« Ehm… ciao, Gyn… » Disse una voce femminile, distogliendola dai pensieri. Lei s’alzò in fretta, rivolgendo lo sguardo verso due giovani di fronte a lei.
Una era una ragazza sui diciotto anni, dal fisico snello. Indossava un vestitino corto color rosso rubino con stampati motivi floreali, una serie di fasce variopinte sulla vita, guanti rossi senza dita che arrivavano fino al gomito e collant rosa chiaro anche loro decorati con motivi floreali. Portava stivaletti con punte dorate e un lungo mantello rosa.
Il volto gentile era contornato da lunghi e mossi capelli biondi, legati a coda di cavallo. E i dolci occhi azzurri della ragazza la fissavano con timidezza e riservatezza, anche se Ginevra sapeva leggerci un aspetto amichevole e innoquo.
Di fianco c’era il secondo individuo, più basso forse addirittura di quattordici anni. Indossava una tuta pezzo unico, rossa, priva di maniche con le gambe corte e imbottite e rinforzata con un'armatura leggera. Le spalline, i bracciali e gli stivali erano decorati con motivi bianchi e oro. Una grossa cintura, con un enorme gioiello, cingeva la vita, e ad essa era attaccata una guaina con un pugnale; dalla cintura partiva un mantello bianco e arancione molto decorato, lungo  fino alle ginocchia. Dalle spalle partiva ancora un secondo mantello, più lungo e di colore bianco.
Sui capelli biondi, modellati per essere dritti sul suo capo, calcava un elmo molto grande, dalla forma simile a quella che Ginevra pensò fosse di una cipolla, con un lungo pennacchio diramato. Dall'elmo partiva un lungo codino di capelli.
Questo la guardava con grandi ed infantili occhi verdi e in loro c’era un pizzico di particolare curiosità nascosta e contenuta a cui l’Au’Ra era ormai abituata a riconoscere: il suo strano aspetto.
« Ciao. » Rispose lei, sorridendo.
Ci fu un iniziale momento di disagio perché fino a quel punto ci potevano arrivare tutti… e poi?
« Ehm… io sono Ginevra… » Si decise a dire infine lei, porgendo una mano.
La ragazza le rispose, stringendogliela talmente piano che sembrava avesse paura di farle male:
« Io sono Terra Banford, piacere di conoscerti. »
L’attenzione passò al ragazzino che era rimasto come incantato dalla bianca coda alle spalle dell’Au’Ra. Lui sembrò risvegliarsi e frettolosamente si presentò anche lui:
« Ehm… eh… Luneth… o Cavalier Cipolla… come preferisci. »
Ginevra ridacchiò:
« Luneth và bene. »
« Zidane e Bartz ci hanno parlato di te appena ci siamo rincontrati qui. Volevano che ci presentassimo… almeno prima della battaglia. » Disse Terra.
« È un piacere conoscervi. »
Le due riuscirono a prendere discorso, arrivando a mirare poi all’incontenibile interesse che Luneth aveva per l’aspetto di Ginevra. Sembrava non avesse mai visto nulla di simile e infine lui lo confessò anche. Dopo qualche secondo di esitazione, il Cavalier Cipolla osò, per quanto sapesse di non essere molto educato:
« Ehm… posso… toccare la tua coda? »
Ginevra stava per rispondergli con il sorriso, quando arrivò una figura da lontano.
Affiatata per la corsa e piena di energia si dirigeva verso il gruppo in attesa.
I tre s’avvicinarono, tempo che la figura arrivasse vicina.
Era una giovinetta di non più di diciassette anni, dai lunghi capelli viola chiarissimo da cui spuntavano due vistose orecchie a punta. Il corpo piccolo, ma agile e scattante. Indossava un corpetto nero dai bordi avorio rinforzato sulle maniche da della seta lilla, pantaloncini corti abbinati al corpetto e stivaletti decorati. Sopra al corpetto possedeva un gilet tenuto insieme da un vistoso nastro rosso e da una gemma bluastra . sul capo un capello composto unicamente da una visiera verticale.
Gli occhi della giovane erano blu e, dopo uno sbuffo di affaticamento, questi si alzarono verso i Guerrieri dell’Armonia e una voce squillante ruppe il silenzio:
« Arrivano! »
 
***
 
La landa spaziava di chilometri, di migliaia di chilometri, in lungo e in largo. Comprendeva il confine tra il santuario e la cinta rocciosa che lo conteneva. In quel punto, costruzioni candide e lame di pietra si contendevano il terreno in evoluzioni ad dir poco emozionanti e maestose, mentre il placido velo d’acqua terminava il suo sciacquio nel punto in cui il rialzo iniziava.
Il cielo era completamente coperto da luminose nubi scure grandi chissà quanto. Si stendevano sul campo di battaglia come un grumo di massi su una spiaggia, ottenebrando tutto ciò sotto di loro.
Sul trono della Dea un raggio di luce presentava la schiera di guerrieri, ancora in attesa.
I loro piedi erano saldi e pesanti sul terreno, quasi volessero saggiare bene il loro sostegno prima di dover sfrecciare verso lo scontro, alcuni di loro tenevano parti del corpo a riposo per contenere le energie. E i loro occhi che miravano dritti in un punto che tutti, o quasi, ben conoscevano.  
 
All’inizio era solo silenzio.
 
All’inizio era solo pace e attesa.
 
Dal profondo dei confini giunsero urla, versi, voci distorte, come se l’arpa del menestrello al lavoro avesse perso le note per le corde spezzate.
Qualche secondo, qualche minuto.
Apparvero sull’orlo del rialzo, tracciandone tutto il profilo in una fila compatta. Centinaia, uno scarso migliaia di corpi screziati con colori sbiaditi. Armature arrugginite, armi in rovina, occhi vitrei, versi inumani. Le creature del Void, i loro cloni, i Manikin.
Ginevra non ne aveva mai visti tanti in vita sua. Deglutì e strinse la mani sulle else dei coltelli non ancora sguainati. I Guerrieri dell’Armonia, invece, fissavano tutto con lo stesso sguardo di prima, quasi non si fossero accorti di quell’esercito rivolto contro appena una decina di loro. Ma il loro obbiettivo non era ancora arrivato. Ginevra vide Boko scuotere il capo innervosito e Bartz, sopra di lui, non si disturbò nemmeno di calmarlo. Per la prima volta anche il ragazzo e il suo compagno al fianco erano seri e concentrati, senza il minimo accenno di un sorriso.
Improvvisamente, s’alzò un forte vento. Alle loro spalle, la corrente era fredda, ma non gelida, mentre dai confini aridi, dove i Manikin rimanevano fermi in quella linea opaca, lo sferzo era caldo. Da dietro l’esercito di cloni, s’accese una potente luce rossa. Scintille e lapilli vennero dal fondo, volando gettati nell’aria. Tra le fiamme e il fuoco che erano esplosi in quel punto, dal profondo del terreno, emerse una figura ricoperta senza danno dalla lava ustionante.
Ginevra non capì la forma, non capì dove fossero gli occhi da poter fissare, non capì cosa fosse. Ma quando due enormi ali s’aprirono lentamente, alzando una corrente d’aria che arrivò fino a loro, lei ebbe solo una vaga idea. Dovette aguzzare lo sguardo per veder comparire dei profili neri in contrasto alle membrane incandescenti. Erano loro, e questa volta c’erano tutti: i Guerrieri della Discordia. Per la prima volta li avrebbe visti e li avrebbe combattuti. Corpo a corpo, faccia a faccia, i nemici, quelli veri, quelli in carne ed ossa. I Guerrieri dell’Armonia sguainarono le armi, vedendo le loro nemesi presentarsi una ad una, gli occhi di ciascun nemico reciproco erano già puntati al loro obbiettivo.
Il vento freddo dietro di loro ululò, crescendo.
Alzò lo sguardo, come altri dei suoi compagni.
Le nubi scesero in una colonna, si mossero, si deformarono. Modellarono un corpo longilineo, elegante, aggraziato, perfetto; lunghe e sottili braccia protese sui suoi prediletti sotto di lei, capelli ariosi e l’accenno di un volto dato dalle ombre.
Cosmos e Chaos, Armonia e Discordia… gli Dei scendevano in campo, di nuovo, per l’inizio del quattordicesimo ciclo.
 
« Sei pronta? » Chiese piano una voce.
Ginevra rimase sorpresa a trovarsi Squall di fianco, la gunblade poggiata sulla spalla, non la guardava. Anche lei tornò a guardare verso i loro avversari.
« Forse… » Rispose lei.
All’improvviso ci fu un rombo cupo e l’onda di Manikin scese dal rialzo, all’assalto. Centinaia di corpi e un rumore assordante.
Lo scontro iniziava.
« Ci vediamo alla fine. » Replicò lui, prima di prepararsi insieme agli altri.
Ginevra vide Guerriero, il ragazzo dall’elmo con le lunghe corna, il capo del suo schieramento, alzare la spada e gridare:
« Guerrieri! Per la Dea! Per l’Armonia e la concordia! Carica! »
Ginevra vide le sue gambe partire da sole, corse, seguendo i compagni senza nemmeno sapere quale forza la stesse animando, con quale coraggio stesse caricando davvero contro migliaia di nemici quando loro erano appena in dieci se non poco di più. Ma strinse forte i coltelli e lasciò che quello sprint la portasse almeno fino alla prima linea. Al suo fianco comparve Boko, sopra di lui Bartz le porgeva la mano. Lo guardò confusa e lui le rivolse un debole sorriso:
« Sei in seconda linea. Devi saltare quando la prima si scontra e oggi ti aiutiamo noi. Forza, vieni su! »
S’avvicinavano all’esercito di cloni.
Ginevra allungò una mano verso quella del ragazzo e lui la issò su, senza mai smettere di correre. Boko s’inclinò da un lato per il nuovo peso sulle schiena, fischiò e riprese a correre. Zidane era comparso vicino, i coltelli dietro la schiena, la coda che impazzava eccitata.
Erano ancora più vicini.
« Sei pronta Gyn!? » Chiese Zidane, gli occhi pieni di vitalità.
Ormai erano a pochi metri e alle urla disumane dei Manikin si unirono a quelle dei Guerrieri.
« Oggi si combatte! » Gridò, mentre la prima fila, guidata da Guerriero si scontrava con quella dei cloni in un assordante rumore di ferro contro ferro.
« Ora! » Gridò Lightning, capo della seconda fila.
Ginevra strinse le gambe sui fianchi del chocobo come sentì quello saltare.
La seconda fila divenne la prima, saltando sopra i primi che erano impegnati a macinare con velocità qualunque cosa fosse nel loro raggio d’azione.
Da quel momento in poi, lei non capì più niente.
Ovunque i suoi occhi guardassero vedeva solo una mischia di colori sbiaditi, erano nel mezzo dell’esercito nemico, i compagni che aveva visto saltare con lei erano ormai svaniti in quell’ammasso di corpi. L’unico punto di riferimento sembrava Bartz, anche Boko sembrava voler sparire.
« Forza! Vai! » Le gridò quest’ultimo.
Lei s’alzò in piedi sulla groppo del chocobo e si diede la spinta con le gambe, saltando in alto. Nel riatterrare, puntò i coltelli in basso e con un solo colpo tranciò i corpi di due Manikin. Si ritrovò da sola, nel marasma, spintonata da ogni parte, quasi non volessero lasciarle uno spiraglio d’aria. Unì velocemente i coltelli nella lancia e roteando su sé stessa, colpì tutti quelli intorno a lei, creandosi uno spazio che sparì in pochi istanti.
Poco lontano da lei comparve un fulmine, poco più in là ancora vide un meteorite venire lanciato contro i cloni per poi esplodere in una nube di fiamme. Alla sua destra vide Zidane alzare un urlo al cielo e intorno a lui comparire una colonna di luce e simboli che fecero piazza pulita di un notevole numero di nemici.
Lei prese a colpire quasi alla cieca, mirando senza attenzione a qualunque cosa trovasse vicino. Gli occhi vitrei erano ormai invisibili, i corpi dei cloni non avevano numero e lei aveva smesso di contare quanti ne falciava ad ogni movimento dell’arma. Presto, capì, imparò e applicò: il completo distacco dalla realtà. Ora esistevano solo la Lancia di Lilith e il terreno sotto di lei.
Un passo dopo l’altro. Un piede davanti ad un altro. Ogni centimetro una conquista. Avanzare, arrivare fino all’ultima fila di nemici. Non importava più chi fosse al suo fianco, non importava più dove fosse e perché vi fosse. Ora aveva lo stesso obbiettivo di tutti i suoi altri alleati e solo ora lo aveva appreso.
Forza. Potenza. Questo sentiva crescerle in petto.
« Attenzione! » Gridò una voce.
Lei vide comparire un Manikin sopra le teste degli altri. Ginevra riconobbe subito le fattezze dello stregone. Ma le mani risplendevano di una luce elettrica e lei fu colta di sorpresa quando vide una pioggia di fulmini venirle contro.
Improvvisamente fu spinta indietro e a coprirle la visuale comparve un guerriero, il mantello giallo svolazzante. Lo vide alzare un scudo che ne generò un secondo di luce, più grande; le scariche furono riflesse contro il suo creatore, scagliandolo in mezzo all’esercito di mostri.
Ginevra alzò lo sguardo verso il guerriero e lui le rivolse i suoi occhi acquamarina, anche se ora erano più sottili, acuminati come la sua spada, penetranti. Lei non gli rivolse alcuna espressione, così pure lui, che riprese il suo combattimento, facendosi strada a colpi di fendenti. L’Au’Ra fu dietro il guerriero, aprendo un varco attraverso la mischia in un lavoro di coppia, tra salti acrobatici in aria ed incroci di armi. Ginevra, a differenza del ragazzo, riusciva a muoversi con estrema libertà ed equilibrio anche grazie alla coda che le faceva spostare il peso dove meglio volesse. Per una coincidenza si ritrovarono spalla contro spalla, i Manikin intorno a loro in cerchio. Occhi vitrei infissi nei loro, le bocche aperte in versi contorti, le armi pronte a colpire.
Si fermarono.
Improvvisamente, Squall comparve dall’alto e con voce tranquilla, ma con solo una nota di tensione, disse:
« Mettetevi al riparo. »
Il Guerriero alzò lo scudo, inginocchiandosi e facendo abbassare anche Ginevra prendendola per il braccio, mentre il ragazzo con la cicatrice compiva un giro su sé stesso, alzando la gunblade. Una serie di fiammelle si crearono intorno a loro e quando il ragazzo premette il grilletto quelle esplosero in un incendio che imperversò per diversi metri, facendo piazza pulita. Ginevra fu investita da un potente vento e quando riaprì gli occhi il guerriero si era già alzato in piedi. I Manikin erano già di nuovo alla carica e così fu Lightning la prossima a comparire, creando un muro di fulmini che spezzò i corpi cristallini con poche scosse elettriche. Cecil comparve sopra le loro teste, tracciò con la spada un semicerchio di luce che partì spedito contro i nemici, tranciandoli in due. I cloni erano inarrestabili e arrivavano onda dopo onda. Firion scoccò una freccia lontano, poi invocò tutte le sue armi in un tornado che rivolse contro la prima fila. Tidus compì diverse capriole e giravolte, toccando appena il terreno con  i piedi, per poi saltare e battere con tutta la sua forza la spada azzurrina per terra, creando una notevole onda d’urto. Davanti a lui arrivò Luneth che girò su sé stesso con folle velocità, mentre la sua corta spada fendeva l’aria e spezzettava ripetutamente i corpi vuoti. Prishe caricò un pugno che prese ad illuminarsi d’energia e poi, come la palla di un cannone, si gettò in avanti, sbaragliando tutti. Shantotto era a mezz’aria e con una risatina di soddisfazione vide il suo incantesimo comparire tra le minute mani. Portò i palmi aperti contro i cloni e la magia Bio ebbe il suo effetto, appiccicandosi gommosa e pastosa contro i corpi cristallini, diffondendo la sua pestilenza a quelli più vicini che ricaddero per terra mentre si consumavano nell’acido. Vaan invocò la balestra e, alzandosi in aria con un balzo, mitragliò con i dardi i vari nemici. Sotto, Laguna riuscì ad attivare la sua bomba a mano e la lanciò nel gruppo, esplodendo dopo poco. Boko irruppe alla carica, con un fischio acceso, schivando i vari attacchi sia nemici sia dei loro compagni. Sopra di lui, Bartz invocò un cannone particolare e lo puntò contro i Manikin, l’arma emise una colonna di luce energetica blu. Zidane, anche lui sulla groppa del chocobo, saltò con una capriola in aria e il suo corpo prese una luce rosea. Lui unì i coltelli e girando come una trottola su sé stesso si gettò nella mischia, rilasciando una scia alle sue spalle. Terra invocò tre trombe d’aria che rotearono vicino a lei, poi si unirono in un unico tornado che la tenne al suo centro, creando per lei una protezione fatale nei confronti dei cloni. Tifa si concentrò più nel singolo, eliminando velocemente un Manikin dopo l’altro, poi caricò il suo corpo verso l’alto e ricadde al suolo alzando un’onda d’urto talmente forte che tutto intorno a lei risplendette di energia. Kain piombò dal cielo, la lancia rivolta in basso.
Ginevra gli passò al fianco, caricando con un urlo.
Così i Guerrieri dell’Armonia avanzarono.
Passo dopo passo, colpo dopo colpo, fila dopo fila. Un lavoro di sostituzione continua, così che quelli affaticati tornassero alle file indietro, concedendosi un risparmio di energie per ricominciare. La meta era una, l’obbiettivo chiaro. La determinazione negli occhi passava oltre i corpi cristallini, le loro pupille sembravano passare sopra i contorni invisibili dei Manikin, come guardare attraverso un velo d’acqua, e puntavano dritti ai loro veri nemici.
I Guerrieri della Discordia li aspettavano, intrattenendosi a guardarli faticare contro le loro stesse copie. Intendevano la rabbia in loro, poiché ogni volta che ogni guerriero incontrava il clone della sua nemesi lo stendeva con una furia innata.
« Liberala. » Fu l’improvviso ordine di Garland.
L’uomo nell’armatura bianca si mosse lontano dai suoi alleati e andò in un punto non molto distante.
Due nuove figure comparvero, un poco in disparte, senza fissare nessuno dei guerrieri tali a loro. Garland li notò chiaramente e limitandosi a fissarli con la coda dell’occhio disse:
« Vi siete degnati di comparire? »
Fu il Giudice a rispondergli per le rime:
« Taci. Questa guerra è di tutti. »
« Che parole da uno come te… » S’intromise Artemisia.
Il Lupo Nero mise tutti a tacere:
« Non è contro voi che siamo venuti a combattere. Risolveremo la questione una volta finito questo lavoro. »
Garland lo fissò con sufficienza, nonostante stesse cominciando ad avere un certo interesse per il nuovo arrivato.
L’uomo vestito in bianco ricomparve.
Non passò molto che il Manikin prescelto prendesse il volo contro i Guerrieri dell’Armonia sulle ali di un drago.
 
Vedevano i loro risultati. La prima, più grande e massiccia onda di Manikin era stata eliminata. Da lontano si vedeva la seconda, ma minore, orda arrivare.
Ma un ruggito imperversò nel campo di battaglia, sembrando voler bloccare il tempo.
Ginevra si fermò, immobile.
Alzò forse con timore gli occhi.
E la vide.
Una sagoma cristallina, grande, due vaste ali aperte ai venti. Un corpo magro in alcuni punti coperto di piume, sul petto accennate le linee di un seno,  solo due zampe artigliate e una lunga e spessa coda.  Un folto  collo e una piccola testa triangolare da cui partiva una lunga coda.  Sulla groppa della bestia un clone di una ragazza.
Che cos’è quella bestia? Si chiese intimorita lei.
« Un Eidolon… questa non ci voleva… » Sentì sussurrare Tidus fra sé e sé.
Guerriero non era molto distante e lo sentì gridare, distogliendola dai pensieri:
« Mantenete la linea! Continuate ad avanzare! Kain! Yuna! Togliete di mezzo quell’essere o le cose saranno davvero complicate! »
« Ma dov’è Yuna? » Chiese Vaan.
Ginevra non capì l’espressione che vide dipingersi sul volto di un uomo dai lunghi capelli neri, un certo Laguna. Lo vide tendere una mano contro di lei come per volerla prendere e sentì la sua voce:
« Attenta!! »
Poi si sentì afferrare da dietro e il terreno allontanarsi sempre di più mentre sfrecciava in avanti. Urlò.
« GYYYN!!! » Fece Zidane ormai lontano.
Ma lei aveva la testa in tilt, non capiva cosa stesse succedendo, sentiva solo il vuoto sotto di lei e degli artigli acuminati premere contro i suoi fianchi e farle male. Aveva ancora la lancia di Lilith in mano ma non aveva la forza di agire e non avrebbe saputo nemmeno come fare.
Sentì uno sbalzo, una breve caduta nel vuoto che la fece gridare dallo spavento e poi un ruggito distorto tra l’addolorato e l’arrabbiato.
« Sono qui Ginevra non ti preoccupare!! » Gridò qualcuno.
Ginevra si sentì dondolare ancora per qualche secondo o minuto.
Poi una voce di ragazza gridò:
« Sir Laguna! Attenzione! »
« Oh, bella! »
Poco dopo arrivò un secondo colpo, più forte, uno scossone potentissimo.
Gli artigli la lasciarono, lei cadde nel vuoto con un grido. Precipitò, mischiando cielo e terra tra loro.
Poi batté contro qualcosa che la fece fermare.
Si portò una mano alla testa e i suoi occhi ci misero qualche istante a distinguere un corpo caramello e magro, coperto di una pelle molto elastica e resistente.
« Tutto bene? » Chiese la stessa voce femminile di poco fa.
Lei alzò lo sguardo e incrociò due pupille di colore diverso, uno azzurro e uno verde.
Era una ragazza sui diciassette anni dai capelli corti e castani. Indossava una lunga gonna blu oltremare decorata con motivi floreali, stivali neri e un saio bianco che copriva la sua parte superiore, mostrando però i lacci del reggiseno nero. Alla vita aveva una larga fascia che reggeva un grande fiocco giallo sulla schiena. Due maniche separate coprivano le braccia. In mano stingeva un’asta con in cima un fregio circolare d’oro.
« Sì, grazie… » Rispose Ginevra dopo un poco.
Sentì uno sbattere d’ali e solo allora analizzò dove fosse.
Era… sulla groppa di un drago! Lei! Ma… la creatura era uguale a quella che aveva visto dalla parte dei cloni, ma questa era in carne ed ossa.
« Ma… » balbettò « … tu chi sei? E cos’è questa… cosa? »
Yuna si voltò a guardare in avanti mentre planavano velocemente per staccarsi dal combattimento momentaneamente. La vide sorridere appena:
« Il mio nome è Yuna. E lui è Valefor, un Eone, il mio più fedele. »
« Cos’è un Eone? » Chiese Ginevra mentre la vedeva poggiare gentilmente una mano sul collo piumato della cavalcatura.
« Sono creature potenti ed eterne. Sono come spiriti puri. Io posso invocarli e chiamarli al mio fianco quando ho bisogno del loro aiuto. » Aveva il tono di qualcuno che davvero tiene affettuosamente a ciò di cui parla.
La sentì continuare:
« Questo mi rende molto potente e molto voluta per le mie potenzialità. Io combatto per il bene e c’è chi mi vuole per fini malvagi. Ma evidentemente sono già, di nuovo, riusciti ad ottenermi in modi diversi… » Voltò lo sguardo arrabbiato verso il Manikin che ora li inseguiva, l’Eone cristallino che ruggiva con furore.
« Tieniti. » Disse l’Invocatrice.
Valefor quasi non le diede tempo di prepararsi alla carica, perché con un verso di incitamento virò bruscamente e si gettò contro il suo stesso clone. Le due bestie si schiantarono corpo contro corpo, agganciandosi con artigli e ali ricurve all’avversario, ingaggiando una battaglia becco contro becco.
Ginevra era sbalzata continuamente in ogni direzione e impiegò tutte le sue energie per non cedere.
Ma dopo poco le creature si staccarono dal groviglio di corpi e dalle zanne della bestia clonata comparve un raggio di luce che li sbalzò via.
Perse l’appiglio.
Scivolò sul corpo magro mentre Yuna tendeva una mano contro di lei urlando per sovrastare il verso di dolore di Valefor:
« Ginevraaa!! »
Tornò a cedere nel vuoto. Ma questa volta cercò di mantenere un volo stabile. Se ci fosse riuscita, forse sarebbe riuscita ad atterrare. Si portò con il volto rivolto verso il basso, vedendo il terreno avvicinarsi piano piano, aprì braccia e gambe per fare da contrasto all’aria e frenare un minimo.
« Ginevra! »
Quella voce la conosceva.
Si voltò e vide il Dragone, a testa in giù, perfettamente dritto nella postura.
« Kain!? »
« Ancora non hai imparato a volare? »
« Ti sembra questo il momento!? E smettila di guardarmi a testa in giù e dammi una mano! Non so atterrare! »
Kain sembrò ignorare quella richiesta e portò lo sguardo in un certo punto, poi disse:
« Vedi quei fasci di luce verde? Atterra lì. »
« Cosa!? Non fare lo stupido, dammi una mano! » Gridò.
Lei li aveva sempre notate quelle scie luminose al Santuario dell’Ordine, ma mai aveva capito a cosa servissero o cosa fossero.
« Sono confini di condensazione d’aria, si raggruppa e diventa molto intensa, come una corrente d’aria. Ti daranno tanto contrasto che non ti faranno cadere. Ti avviso comunque che sei storta, ti consiglio di raddrizzarti. » Spiegò il Dragone mentre precipitando si avvicinavano sempre di più alla scia più vicina.
Ginevra all’inizio lo guardò come basita. Davvero le stava dando insegnamenti? Davvero la stava istruendo come inizialmente avrebbe dovuto?
« Sei storta. »
Non ci voleva credere. Allora forse lo stregone aveva davvero avuto ragione.
« Sei storta. »
Si avvicinavano, ma lei ancora lo guardava, la testa da un’altra parte.
Ma quando lo vide avvicinarsi a lei e spingerla un poco più in là fu come se si fosse svegliata da una sogno.
« Ginevra, sei storta! Non lo centrerai mai se stai così. »
Ma ormai erano arrivati alla scia.
Kain virò ma l’Au’Ra ci finì proprio sopra.
Si sentì rallentare improvvisamente, come se avesse incontrato un elastico che si tese fino a ripararla in aria con uno sbalzo minore. Dopo qualche capriola in aria si ritrovò con i piedi sopra il fascio luminoso. Le parve di scivolare. Ed effettivamente era quello che stava facendo, ma ad una velocità tale che non le era permesso di mantenere un equilibrio stabile.
Arrivò in un punto dove ben tre scie si incrociavano. Da quella più in basso vide risalire Kain, perfettamente bilanciato su di essa. Da quella laterale arrivò una figura.
Era Laguna che le porse la mano:
« Ehi, bambina, vuoi una mano? »
Lei gliela afferrò e lui saltò sulla sua scia, riuscendo a mantenere l’equilibrio pur standole di fronte e andando all’indietro.
« Forza, non è poi così difficile! È come scivolare sul ghiaccio, anzi, qui sei anche più libera di muoverti. Devi solo trovare il punto giusto! »
Ginevra, mentre ancora correvano di scia in scia, cercò stabilità con i piedi. Dopo qualche minuto, s’accorse di star trovando un baricentro adatto. Acquistò abbastanza sicurezza che Laguna le lasciò le mani e lei prese a scivolare da sola, in piedi e non più barcollante.
Sorrise per poi scoppiare in una risata di soddisfazione:
« Sto andando! Sto andando! »
Laguna rise di risposta:
« Brava bimba! »
Lo vide saltare per passare ad un’altra scia di ritorno ma un Manikin di Zidane gli fu addosso, spingendolo via.
« Laguna! » Gridò lei.
Lo vide dibattersi per poterla almeno guardare:
« Non ti preoccupare, bambola! Sarò di ritorno tra meno di un minuto! » Furono le sue ultime parole prima di sparire dalla sua visuale.
Kain comparve dalle nuvole grigie per atterrare sulla sua scia, anche lui dandole di fronte e andando all’indietro, schiena dritta e petto in fuori.
« Yuna ha bisogno d’aiuto. » Disse.
Ginevra voltò lo sguardo alla loro destra e vide i due Valefor combattere senza esclusione di colpi, mentre all’orizzonte gli altri Guerrieri dell’Armonia ancora lottavano.
Lei annuì:
« Andiamo. »
Ed entrambi saltarono.

 

Salve!
Scusate, scusate l'immenso ritardo! Ma essendo la prima volta che scrivo di una battaglia così grossa, ci ho messo un pò. Spero che le descrizioni siano comunque buone e che non ci siano tante ripetizioni (se ne vedete, ditemelo!).
Questa, dunque, è la prima parte del combattimento. Nella prossima vedremo come andrà a finire con Yuna, lo scontro tra Guerrieri dell'Armonia e della Discordia e... sorpresa! (spero anche io che verrà fuori prima possibile da sta testa pazza...)
Con questo vi lascio e ci vediamo al prossimo capitolo!
Bye!!

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Capitolo 22
*** La figlia di Shinryu ***


Gli occhi gialli di Valefor brillarono.
Le mani di Yuna gentilmente poggiate sul collo piumato, il volto della ragazza stanca si avvicinò più che poté al suo muso:
« Ora, Valefor… con tutta la tua forza. » Gli disse.
L’Eone alzò il capo, inarcandolo, rivelando i punti in cui le piume erano state strappate con violenza, dispiegando le ali e rivelando il corpo massacrato da artigli di cristallo. Le zanne s’aprirono in un acuto verso, mentre nella gola s’accendeva una luce potente.
Ginevra si voltò appena in tempo per vederlo caricare il colpo:
« Kain, andiamo via! »
Il Dragone capì quasi subito ed insieme estrassero lancia e coltelli dal corpo della bestia Manikin per poi saltare nell’aria.
Valefor emise un’intensa colonna di luce, tracciò un percorso e presto le sue fiamme esplosero in una nube di fuoco. Si udirono versi distorti, addolorati, forse furibondi. Il Manikin di Yuna cadde nel vuoto ancora per qualche secondo, poi sparì nella sua nube. Mentre il clone dell’Eone ancora si contorceva nel calore ustionante, quello reale caricò su di lui, impiantando zanne e artigli nei punti deboli. La copia fu presto dissipata nel nulla, lasciando tra le fauci della bestia solo fumo.
Ginevra si ritrovò a cadere di nuovo. Ma questa volta fu pronta e come vide la scia di luce verde sotto di lei, portò i piedi in basso e mirò. Cadde bene, centrandola.
Scivolò lungo essa e guardandosi intorno si costruì il percorso per tornare indietro, alla battaglia.
Kain era poco distante, che saltava a velocità impressionante da masso a masso, mentre Valefor ancora cavalcato da Yuna si dirigeva con una planata tranquilla verso i compagni.
 
***
 
« Il clone dell’Invocatrice è stato sconfitto… » Disse con tono amaro Nube Oscura.
« Che altro potevi aspettarti? » Chiese una figura dai lunghi e ariosi capelli argentei, conosciuto come Kuja.
« I primi sono sempre un fallimento. » Disse la figura nell’armatura bianca, colui che aveva liberato il clone stesso.
Garland ignorava qualunque commento. Qualunque chiacchiera dei suoi. Avevano un combattimento da portare avanti, ora. I Manikin d’altronde non avevano fatto alcun danno evidente e i Guerrieri dell’Armonia erano molto più in forma di quanto si sarebbe aspettato.
« Allllooooora!? Quand’è? » Arrivò un’impertinente voce alle sue spalle.
Arrivò un elemento vestito in stile pagliaccio, istinto assassino e testa non molto a posto. D’altronde Kefka non era mai cambiato. Sempre pronto a interrompere riflessioni altrui.
« Quand’è cosa? » Chiese Garland.
« Come cosa? Quando andiamo! Non vedi che fremono dalla voglia di farci a pezzi? Perché non esaudisci un desiderio ogni tanto? » Fu l’elenco di domande.
« Insolente pagliaccio… » Fu il commento ben udibile di Gaius.
Lo videro camminare per scendere dal rialzo.
« Dove credi di andare? » Fu il rimprovero di Garland che lo guardò altrettanto attentamente degli altri, ma non mai come Golbez.
« Non darmi ordini. » Fu la risposta diretta e chiara.
Gabranth non lo seguì, preferiva guardarlo da lontano e non interferire. Kefka gli gridò dietro qualche frase preannunciante morte e vendetta dai “santarellini dell’Armonia”, gli altri tesero ad ignorarlo, come pure Garland che lasciò perdere ogni discussione: sapeva di non poterlo controllare quel lupo solitario. Golbez, invece, non gli staccò l’occhio di dosso fino a quando non ebbe visto la sua postazione stabile. In cima ad un enorme pilastro bianco, su uno slargo con dislivelli grande quando una piazza.
Ottimo posto per incontrare la propria nemesi… è un tipo che prevede, pensò.
« Allllooooorrrraaaaaa!!!!??? » Fece ancora più forte Kefka.
Garland ignorò ancora.
Guardava in basso. Guardava con attenzione gli ultimi Manikin cadere in nubi. Guardò gli ultimi colpi d’arma dei Guerrieri, ben conscio che i prossimi sarebbero stati per loro. Aspettò ogni loro occhio puntato in alto. Ogni loro sguardo verso le loro figure oscurate dalla luce incandescente di Chaos.
« Quando!!?? »
Aspettò.
Eccoli. Tutti.
« Ora. » Fece, richiamando alla mano la sua arma.
 
***
 
Ginevra si portò volontariamente alle file dietro.
Le bruciava gli occhi il solo vedere i Guerrieri della Discordia diventare improvvisamente da immobili ad attivi.
Chi scese con un balzo pesante dal rialzo in roccia, chi prese a volare sulle loro teste. La Discordia, la vera Discordia, scendeva in campo. Frementi di combattere, sia le loro nemesi che i suoi compagni presero la carica allo stesso tempo.
Gli Dei si fecero ancora più presenti, espandendo le loro luci rosse e bianche in accesi contrasti, come cercando di prevalere con i semplici riflessi. E le armi dei rispettivi soldati brillavano dei loro bagliori, portando con loro benedizione e maledizione reciproche.
Il guerriero avanzò oltre chiunque altro, Lightning comparve al suo fianco per rivolgergli un veloce sguardo ricambiato prima di incrociare gli occhi luminosi di Garland. Il gigante in ferro, appena li ebbe a portata di mano, alzò l’arma in orizzontale per caricare un colpo. La soldatessa saltò sopra per avanzare alle sue spalle mentre il guerriero frenò per rimanergli di fronte, per sfidarlo.
Il gruppo seguì Lightning, ma dopo poco alcuni presero il volo con potenti salti, ognuno verso l’obbiettivo da tanto desiderato.
Ginevra guardò Tifa, Cecil, Zidane, Terra e Vaan sparire verso il cielo plumbeo.
 
Lei conosceva la sua volontà, conosceva ciò che voleva. Se affrontarli entrambi, di nuovo, da sola era una pazzia, ebbe lei stava per farla. Doveva essere capace di usare mani e parole con forza e determinazione.
E mentre sfrecciava verso un punto arretrato, vicino al Santuario, cercava con gli occhi. Smise con lo sprint e prese a correre, leggera, i capelli neri al vento.
Alle sue orecchie non sfuggì il suono di stivali poggiati sul velo d’acqua con gentilezza. E non le sfuggì nemmeno il tintinnio della lunga katana caricata col colpo. Si voltò solo una conferma e come vide le lame di luce venirle incontro, compì una capriola di lato. Si ritrovò in piedi e proprio davanti a lei piombò Cloud. Il ragazzo cercò di colpirla, lei schivò e con un calcio lo spedì lontano.
Scusa, lo faccio per te, pensò.
Sephiroth arrivò prendendola leggermente impreparata. Ma vide una figura comparire arrivando in scivolata, i pugni luminescenti. Si fermò davanti a lei e battendo una delle mani per terra creò un’onda d’urto che gettò lontano l’avversario.
Tifa incontrò gli occhi allegri di Prishe che esclamò:
« Occupati del tuo amico, a lui ci penso io! »
« D’accordo! » Disse lei, con un sospiro.
Prese a correre, dirigendosi verso Cloud che l’aspettava.
« A chi tira più pugni! » Gridò Prishe mentre anche lei schizzava via dalla parte opposta.
 
Lo aveva visto dirigersi lì. Suo fratello era così. Sempre in disparte, come se fosse sempre stato in attesa di qualcosa. E il suo combattimento era lento, tranquillo. Solo in pochi casi l’aveva visto fronteggiarsi con foga e quando lo faceva era per motivi seri.
« Ti aspetti qualcosa, Cecil? Questo non è altro che un giorno come tanti altri che sono venuti. » Disse una voce.
Il Paladino si voltò e lo vide comparire sopra una rupe, atterrando lentamente, le braccia incrociate sul petto.
« Mi aspettavo di risvegliarmi almeno con te al fianco. » Rispose lui.
« Credevo che ormai ti fossi convinto della realtà dei fatti. » Rispose duro lo Stregone.
« No, mai. Puoi cambiare, fratello, ma sei proprio tu la causa di questo. Ti convinci che per te non c’è più speranza. Sei tu il motivo per cui sei tornato con chi non devi stare! » Disse Cecil.
Sapeva che quel discorso li avrebbe comunque condotti ad uno scontro. Erano lì per quello. Ma Golbez fu più svelto del previsto e allungò le mani aperte verso di lui, emettendo una pioggia di fulmini. Cecil fu preso alla sprovvista e si ritrovò a contorcersi dal dolore. Volle resistere, ma come vide l’istinto spietato del fratello che non cessava quella sofferenza, permise all’oscurità di inebriargli i sensi. L’armatura bianca si spezzò in piccoli frammenti, rivelando il suo secondo corpo. I fulmini cessarono di percorrergli il corpo e lui poté alzare il capo, il volto sofferente ora coperto da un elmo nero.
« Dimostrami le tue convinzioni, Cecil. Avrai molto di cui patire se scegli questa strada. » Replicò Golbez, guardandolo dall’alto.
Cecil saltò, urlando di rabbia, caricando contro lo Stregone con la spada in pugno.
 
Zidane correva.
Terra era in difficoltà, l’aveva visto da lontano. Aveva individuato un punto di slancio e visto che la sua nemesi ancora non si era presentata, avrebbe utilizzato quel tempo per aiutarla. Ma neanche gli avessero letto nel pensiero, una sensazione s’insinuò in lui. Si voltò alla sua destra e dall’altra parte della serie di bianche colonne decadenti, lo vide. Sfrecciavano alla stessa velocità, lui correndo l’altro volando. Zidane non si fermò comunque, stringendo i denti. Alle orecchie gli giunse un fischio e un’esplosione mancata di poco ruppe quel minimo di divisione che c’era tra loro per spingerlo via, ancora più avanti. Lui compì una capriola  e una mezza volta per atterrare in derapata, le ginocchia a sfiorare il terreno e la coda a stabilizzargli l’equilibrio. Allora alzò lo sguardo e vide Kuja farsi avanti dall’alto. Intorno a lui fluttuavano in cerchio le sfere bianche. Era la prima volta che s’incontravano in quel ciclo, si stupì di vedere una coda bianca spuntare oltre la veste e le gambe.
« Ti sei degnato della coda questa volta? » Disse Zidane.
« Silenzio! Non sono affari tuoi! » Rimbeccò l’altro, attaccandolo con una delle sfere.
Il Jenoma saltò, schivando il colpo. E prese ad evitarne altre, saltando di colonna in colonna mentre diceva:
« Beh, almeno non mi sentirò più solo e potrò chiamare scimmia anche te! »
« Ti avrò cucito la bocca ancora prima che tu possa pronunciare una solo sillaba di quel nome! » E ne scaricò ben tre di sfere che misero in difficoltà seria il suo avversario.
Poi schioccò le dita, per far comparire sulla loro punta un granello luminoso che lanciò contro il Jenoma, facendola esplodere in un’aura di luce accecante. Zidane gridò di frustrazione come fu spinto contro una colonna, crepandone la superficie bianca. Non s’alzò, poiché l’avversario era già a terra a sovrastarlo con la sua ombra mentre in una mano teneva sospesa una sfera bianca. Gli occhi blu del ragazzo non potevano non evitare di fissare la coda bianca muoversi così vicina a lui.
« E con questo, siamo a tre. » Disse Kuja.
« Cosa? » Fece Zidane.
« Credi che io non sappia dell’esistenza di una terza povera anima dannata di questo? » E mosse la coda per inserirla al posto di “questo”.
Gyn!
 
Gabranth caricò energia nelle lame, le unì per le else una sola, veloce volta per poi muoverle in rapide angolazioni, creando fasci luminosi. Terra schivò, volando.
Doveva cercare una via di fuga.
Ma una mano le prese per la caviglia, fermando il suo volo e spingendola basso per gettarla a terra:
« Volare non ti servirà a sfuggirmi. » Fu la voce temibile del Giudice.
La ragazza rotolò nella polvere, gemendo. Aveva già un taglio alla spalla.
Gabranth si avvicinò a lei con passo pesante, le spade unite in una lancia:
« Hai il potere di un mostro solo quando la tua rabbia si scatena, ma quando sei umana, diventi niente meno che un’inutile fardello. »
Terra allungò una mano che s’illuminò appena di una luce calda. Ma il Giudice le mise un piede sopra il polso e la inchiodò al posto:
« Avanti, trasformati! Non reagisci quanti ti viene fatta offesa? »
Terra non rispose.
« Gabraaaaaanth!! » Urlò una voce.
Lui si voltò in tempo per vedere un ragazzo gettarsi contro i due. Vaan atterrò tra i due, spada in mano. Il Giudice si allontanò dalla ragazza, saltando indietro.  Il ragazzo prese Terra per il polso, la aiutò ad alzarsi e le disse:
« Vattene, vai a fermare Kefka! »
« Ok! » Disse lei, la voce incrinata dall’agitazione.
La ragazza prese il volo, lasciando che i due contendenti iniziassero lo scontro.
 
Squall deviò le lame di Artemisia con la gunblade e poi sparò qualche colpo alle ali della Strega, ferendola. Nube Oscura arrivò in soccorso alla compagna, invocando una colonna di oscurità che Luneth saltò arzillo per attaccarla e distrarla. Una sfera di fuoco irruppe enorme sopra il gruppo dell’Armonia.
« Firion!! » Urlò il guerriero, impegnato in una difesa serrata contro Garland, indebolito, l’armatura rovinata e il sangue a sporcare il mantello giallo.
Il ragazzo udì il richiamo del compagno e saltò. A mezz’aria, tanto vicino alla sfera di fuoco da sentirne il calore ustionante, invocò un muro trasparente che respinse la magia, annullandola in un’esplosione. Ricadde a terra dolorante e con la pelle in alcuni punti bruciata. Ebbe un presentimento: occhi puntati su di lui. Sapeva di chi. Alzò lo sguardo per incontrare quello altero della sua nemesi. Strinse i denti, afferrando i coltelli per lanciarli lontani. Si attaccò alle corde legate alle else e si lanciò alla carica.
Ginevra aveva ora perso punti di riferimento.
Tidus e Yuna erano lontani, impegnati contro Jecht. Tutti erano contro qualcuno, anche Lightning che era corsa in soccorso al guerriero. Nemmeno Kain era al suo fianco, perso tra le nuvole dove lei non arrivava.
« Ginevra! » Gridò una voce famigliare.
Bartz comparve alle sue spalle, ancora in sella a Boko che si fermò.
« Ho bisogno di aiuto. Vieni con me? » Chiese il ragazzo, accennando un sorriso.
« Ok! » Rispose lei, salendo dietro di lui.
Il chocobo partì fischiando.
L’Au’Ra notò con timore che si stavano avvicinando all’immensa figura ardente di Chaos.
« Perché lì? » Chiese lei.
« Perché è dove dobbiamo andare per combattere. Certi nemici evidentemente sono troppo pigri per scendere dal piedistallo. » Disse Bartz.
Ginevra capì presto a chi si riferiva. Sul rialzo c’era un uomo completamento coperto di un’armatura bianca molto decorata, spallacci minacciosi, mantello bianco che sfumava sull’azzurro e una spada dorata in mano. Li fissava, in attesa.
« Chi è? »
« Exdeath. Il mio nemico. È a lui che associo i miei ricordi, è sempre stato nel mio passato. » Rispose lui.
Dopo qualche minuto di corsa, il ragazzo aggiunse:
« Ho bisogno che porti Boko in un posto sicuro! Io ho il mio lavoro da svolgere. Non passare sopra il rialzo! »
« D’accordo… ma perché? » Disse lei, ma Bartz era ormai saltato contro il suo nemico.
 
 « Boko, no! » Gridò, come vide il chocobo deviare bruscamente.
Era andato tutto bene fino a quel momento, ma lei non era capace a gestirlo. Che fare ora?
La bestia frenò improvvisamente come sentì la terra tremare sotto le sue zampe. Ginevra perse l’appiglio alle piume e scivolò giù. Boko fuggì, scendendo dal rialzo attraverso le sporgenze di roccia. Lei rimase sola, nel luogo proibitogli da Bartz. Ma d’altronde non aveva avuto altra strada da seguire perché sotto di loro era una battaglia continua, impossibile attraversare quel posto senza rimetterci la pelle.
Sentì un vento caldo sferzarla violento da dietro.
Un grugnito.
Ginevra sbarrò lo sguardo in avanti e si voltò, ancora per terra, lenta. Gli iridi acquamarina parvero sciogliersi quando incontrarono enormi occhi di fiamma. Un volto mostruoso attraversato dalla lava, denti sguainati, gigantesche corna protese ai lati dalle tempie.
Il corpo addormentato in lei si scuoteva come la paura cresceva.
« TU… » Disse il Dio della Discordia.
Il suo lato recessivo esplose con una tale velocità che non si sarebbe mai aspettata. Ossa, muscoli, artigli e zanne, tutto in un pochi secondi mentre la voce cavernosa e orribile del Dio le parlava ad un soffio da lei, sovrastandola con una mole disumana:
« Sei tu, la Figlia di Shinryu! » Disse.

 

Salve a tutti!
Finalmente, ce l'ho fatta! Quasi... 
Originariamente i capitoli della battaglia dovevano essere due... sono diventati tre. Scusate, ma davvero non riesco a scrivere le mie storie brevemente, non lo faccio apposta! Spero la cosa comunque non vi stanchi a leggere, perchè le sto provando tutte ma non ci riesco.
Comunque, penso che entro domani dovrebbe arrivare la terza parte, il finale di sta benedetta battaglia della ******!!  Ehm, scusate O.o
Chiarisco subito una cosa: no, Ginevra non è davvero la figlia di Shinryu. Solo che Chaos la chiama così perchè ha capito benissimo che la ragazza ha subito dei mutamenti da parte del drago che ha reso possibile la sua trasformazione; le ha come iniettato un gene che la rende mezza drago. Per questo la chiama così.
Ok, ci vediamo presto!

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Capitolo 23
*** Il risveglio dei ricordi ***


Ginevra perse la ragione.
Scattò indietro come vide le zanne incandescenti avvicinarsi, gli  enormi occhi fiammeggianti spalancarsi.
Ruggì in difesa.
Agitò la coda per minaccia, gli occhi privi di pupilla e color acquamarina sembrarono voler contrastare con quelli del Dio. Le ali si aprirono mentre gli artigli s’impiantavano nella roccia dura del rialzo.
Paura e rabbia. Terrore e sfida. Questo sentiva dentro. Era con questi sentimenti che stava tenendo testa al primo dei suoi nemici.
Chaos era preso da stupore, non sapeva cosa fare ora che si trovava una tale scena davanti. Per questo stava emergendo il suo lato bestiale.
Ginevra si difendeva, indietreggiando ma senza mai permettere ai denti acuminati del Dio di toccarla, respingendoli con ruggiti potenti, gesti minacciosi, artigliate e rumorosi morsi dati al vuoto. E Chaos per istinto si ritirava, poiché ora era anche lui un animale. Un cacciatore tenuto sul filo dalla sua preda che mostrava un resistenza… inaspettata.
« Sono qui Ginevra… » Si sparse una voce.
Cosmos arrivò dalle sue spalle. Non sotto forma di donna. La nuvola minacciosa che la componeva si frappose tra i due scendendo dall’alto. Dal suo interno arrivò una potente luce che accecò gli occhi del Dio, spingendolo indietro, impantanato nella sua stessa lava.
« COSMOOOSSS!!! » Urlò il Dio pieno di collera.
Una mano di fuoco calò sulla nube, disfacendola. Ma quella si riunì e Ginevra riusciva ancora a distinguere i contorni della donna. Dalla nube vennero scariche d’energia che convertirono in fulmini imponenti, i quali s’abbatterono sul nemico con potenza inaudita.
« Tu non la toccherai, Chaos!! Non finché io sarò con lei! » Rispose la Dea, la voce soave ora era svanita per lasciare posto ad un riverbero spaventoso, potente, minaccioso.
 « Non puoi proteggerla!! » Ribatté il Dio, fuori di sé.
Ginevra e Cosmos lo videro issarsi sulle ginocchia, spalancare le due immense ali incandescenti e rivolgere al cielo un urlo iracondo. Una delle quattro braccia raccolse nel pugno la lava per riversarla dopo poco addosso alle due.
Le nubi si raccolsero veloci in uno scudo che le protesse dall’onda ustionante. Al confine tra gas e fuoco si creavano continue scariche energetiche per l’immensa pressione che veniva esercitata dalla gigantesca mano del Dio.
« Và via, Ginevra! Non è qui la tua battaglia! » Disse Cosmos, il tono riverberante era ora incrinato da una nota di affaticamento e forse anche di dolore.
La dragonessa ubbidì, voltandosi e spalancando le ali. Si gettò dal rialzo e prese il volo, lasciando alle sue spalle la mastodontica battaglia fra i due Dei.
 
Dall’alto vide tutto.
I suoi compagni, i Guerrieri della Discordia, la devastazione che imperversava e cresceva ad ogni singolo attacco.
Incontrò gli occhi blu di Zidane, ferito, debole, straziato dagli spietati attacchi della sua nemesi. Lui ricambiò il suo sguardo e lei vide le sue labbra muoversi a pronunciare il suo nome.
« Ginevra… ? » Sussurrò con stupore, prima di venire nuovamente colpito.
Poco lontano Squall combatteva allo stremo contro la pioggia di frecce violacee della sua nemesi e Laguna cercava in ogni modo di aiutarlo. Lightning resisteva in un continuo soccorso diventato caotico. Ormai anche Shantotto aveva smesso di ridere in faccia a tutti e toccava a Prishe  difenderla.
L’Armonia stava perdendo.
Doveva fare qualcosa.
 
Il guerriero cadde in ginocchio.
Garland gli fu sopra, pochi centimetri tra il suo volto sporco di sangue e sudore e i piedi metallici della nemesi. Tentò di difendersi alzando lo scudo rovinato, ma all’altro bastò afferrarglielo e strapparglielo dalle saldature al braccio, violentemente, rischiando di rompergli un osso. Il guerriero gemette, ricadendo chino su sé stesso, lasciando la spada per stringersi il braccio. Garland gli parlò:
« Sarai il primo fra i tuoi a cadere. Questo ciclo finirà a breve, a quanto pare. »
L’arma fu alzata su di lui.
Un ruggito prolungato che si fece sempre più vicino.
Garland si voltò e vide sei artigli candidi sfoderati contro di lui. Lo afferrarono per sollevarlo da terra e rigettarlo lontano. Lui non si fece prendere alla sprovvista e riuscì comunque con una capriola a tornare su due piedi. Ma si voltò per vedere un drago rialzarsi in cielo, virare e girare in tondo. Occhi acquamarina lo fissavano in un ringhio.
« Che cosa… ? È questo che sei, tu? » Disse.
Ginevra gli rispose con un ruggito.
Garland allungò l’arma in una frusta, una lunga catena con all’estremità la grande punta in ferro. Si mise in posizione d’attacco, guardando con sfida il drago:
« D’accordo. Vieni, mostro! Se la Discordia non può averti, allora nessun’altro deve! »
Ginevra ruggì ancora e gli si gettò contro in picchiata.
Garland stava già preparando la frusta quando una longilinea figura nera bloccò l’attacco della dragonessa, spingendola a terra.
Ginevra si ritrovò avvinghiata in spire nere. E quando tornò a ragionare, vide le sue ali costrette dal corpo del Drago Nero.
Allo stesso tempo, un ragazzo e Tifa arrivarono addosso a Garland, spingendolo lontano. Lui stringeva uno spadone.
« Dannazione… » Si disse quello, per poi cogliere la sfida dei due nuovi arrivati.
Ginevra si ribellò alla stretta, mordendo e graffiando, ma la bestia nera non faceva niente di più che tenerla ferma e istigarla alla quiete con soffi e grugniti. Allora vide non molto distante comparire Golbez.
Si calmò, sopportando la stretta.
Lo Stregone la fissò a lungo, per poi avvicinarsi ancora di qualche passo. Le parlò:
« Non ti preoccupare per loro, Ginevra. Le cose si rimetteranno in sesto, li aiuterò io per quanto posso. Cerca ancora e troverai quello che davvero vuoi in questa battaglia. »
Ginevra guardò nel punto in cui il guerriero era rimasto in ginocchio. Al suo fianco ora c’era Cecil che lo aiutava a rimettersi in piedi.
Il Drago Nero la lasciò libera e finse di scacciarla, colpendo appunto al vuoto come se la stesse mancando. Ginevra riprese il volo, lasciandosi lo Stregone e la bestia nera alle spalle.
Salì ancora più in alto, sorvolando il campo di battaglia. Cercò con occhi. Cercò con udito. Cercò con l’animo. Si spostò più verso una zona in disparte del confine tra Santuario dell’Ordine e il rialzo. E lì allora sentì che qualcosa era vicino.
Qualcosa ricambiò la sua sensazione.
Uno sguardo.
Uno sguardo che lei cercò.
E li incontrò.
In cima ad un bianco pilastro, tanto largo da sembrare un’arena. Due cavità nere sotto cui si celavano misteriosi occhi. Un elmo dalle corna rivolte ai lati. Un completo rosso acceso, sul petto coperto da un’armatura che continuava sulle spalle. Le gambe ferme in attesa coperte da pantaloni neri e gambali in ferro scuro e oro. Manopole in metallo chiudevano le maniche rigonfie all’altezza del gomito. Le mani guantate erano lasciate a riposo lungo i fianchi. Ma come vide la bestia comparire, la destra andò lenta ad una sottile spada munita di pistola riposta sulla schiena.   
Ginevra sentì di aver trovato ciò che cercava.
S’abbassò di quota, arrivò anche lei sulla cima della costruzione e atterrò, grugnendo e alzando un polvere e pietrisco. Quando richiuse le ali sentì i muscoli tesi venire rilassati ma farle male; per un po’ non avrebbe volato.
La figura non era più lontana di dieci metri.
Si guardarono.
Nell’aria era solo rumore di un combattimento lontano, che ormai i due nemmeno più riconoscevano.
Lei muoveva la coda, infastidita. Lui stringeva la gunblade.
« La figlia di Shinryu... è così che ti chiamano? » Fu l’improvvisa comparsa della sua voce, soffocata dall’elmo e resa più profonda.
Lei soffiò fumo dalle narici.
L’uomo ridacchiò:
« Bene… » Fece una pausa per ammirare la sua nemica « Il mio nome è Gaius van Baelsar, il Lupo Nero. »
Attese ancora. Ginevra si chiese il perché di così tante esitazioni.
« Un drago… Meraviglioso animale. Onorato di averti come prima sfidante. Non deludere le mie aspettative, ragazzina. »
Ginevra ringhiò, il muso basso per inarcare la schiena spinosa in una posa di minaccia. Il suo nemico non sembrò affatto impressionato.
Passarono lunghi minuti.
Gaius rifletteva, lei aspettava. Sapeva che il momento sarebbe arrivato.
« Forza, Figlia di Shinryu, mostrami che sangue scorre nelle tue vene! » Disse il Lupo Nero.
Ginevra scattò come una molla, zanne spalancate. Ma quando le richiuse, quelle scoccarono sonoramente, colpendo il vuoto. Gaius aveva già compiuto una capriola in aria ed era dietro di lei, in piedi.
Lei si voltò, ruggendo in minaccia, pensando che l’avrebbe colpita; agitò la coda come una frusta. Ma lui non fece alcuna mossa, evitando l’arto con una schivata elegante, indietreggiando di appena un passo per poi guardarla tornare in una posizione di attacco.
Ginevra cercò di prenderlo di fianco, camminando piano in semicerchio, mostrandogli gli eleganti fianchi squamati. Ma lui prese a sua volta a girarle intorno. Così si ritrovarono in un girotondo lento, teso, sospeso su un minimo movimento brusco. Ginevra, zampa dopo zampa girava, in gola riecheggiava un grugnito basso, ogni tanto scuoteva la testa con uno sbuffo per rilassare i muscoli del collo che dovevano essere pronti a partire. Gaius, piede davanti ad un altro, stringeva la gunblade, dito sul grilletto, proiettili sulla manopola carichi, pronti al colpo, lo sguardo di sottecchi era soltanto indagatore.
Ginevra rallentò ancora di più e gli ruggì contro.
Gaius quasi si fermò.
La dragonessa partì in attacco, il collo scattò come quello di un serpente, sibilando. Il Lupo Nero alzò la gunblade e colpì al muso, deviandolo dal suo corpo. Si trovò gli occhi acquamarina a pochi centimetri. Ginevra caricò con le corna di lato, ma lui si abbassò, sfiorando il sotto gola della bestia. Si rialzò, ritrovandosela alla sinistra. Ancora le zanne s’aprirono e lui con un pugno la colpì, seguendo con un affondo della spada che lei mancò per miracolo. La testa allora s’alzò e si gettò sul nemico dall’alto. Gaius alzò la mano sinistra e sparò tre colpi. Ginevra fermò l’assalto, scuotendo il capo per il dolore e rilasciando un debole ruggito di lamento. Le squame resistettero, scalfendole solo di poco la pelle. Ma lei s’allontanò comunque, girandosi e caricando con la coda. Gaius saltò, in volo caricò altri proiettili, poi fece una mezza volta per trovarsi rivolto verso il basso, sparò. La schiena della dragonessa fu sottoposta ad altre tre mitragliate, ma la corazza la difese bene, facendola solo arrabbiare ancora di più. Il Lupo Nero riatterrò in ginocchio, trovandosi a dover compiere una capriola di lato per evitare una zampa. Arrivò in carica a sfiorare il suolo la testa, zanne socchiuse pronte a mordere. Gaius saltò e fu sul capo della creatura. Ginevra non gli lasciò il tempo per cercare un appiglio e presa dall’adrenalina di toglierlo di lì, scosse il capo violentemente. Lui approfittò e scese lungo il collo, rimanendo in piedi; arrivò alla base di esso e lì conficcò la spada. Ginevra ruggì di dolore. Si contorse, cercò di toglierlo dalla sua posizione, ma ormai era agganciato e non era intenzionato a scendere. La dragonessa si gettò a terra, rotolandosi nel terreno, sperando di scacciarlo via come un parassita. Gaius infatti estrasse la spada dal suo corpo e saltò lontano. Lei rimase a terra, cercando un minimo di riposo. Non gliene fu concesso.
« Fragile creatura di carta… » Replicò indignato il Lupo Nero.
Ginevra ringhiò e si rialzò, il sangue colava dalla spalla. Vide il nemico poco lontano e ruggì. Gli corse incontro, Gaius preparò i colpi nella gunblade. Ma quando lei gli fu vicina di qualche metro, spalancò le ali e combattendo contro il dolore si alzò, passandogli sopra. Lui la guardò planargli intorno, si decise ad agire comunque e le sparò contro. La prese ad una zampa posteriore che la fece vacillare, gli altri proiettili furono schivati. Ginevra si riprese un minimo al dolore e quando si sentì pronta, caricò in picchiata.
Ma Gaius era più che pronto e quando se la trovò quasi addosso, si abbassò, afferrò l’elsa con entrambe le mani e quando vide arrivare il ventre sopra la sua testa, alzò in verticale l’arma.
Ginevra ascoltò la lama entrare attraverso le squame e aprirle uno squarcio lungo tutta la pancia.
Volle urlare, sentire la sua voce di ragazza. Ma dalle fauci venne solo un orribile lamento. Vide buio. Rotolò per metri e metri, un groviglio di coda e ali. Furono gli orli sporgenti della costruzione a fermare la sua tragica caduta. Rimase nella polvere in dolori atroci. La pietra bianca, liscia come il ghiaccio, fu sporcata di vivo sangue rosso.
S’accorse dopo poco di aver gli occhi sbarrati.
Il dolore della sua conversione fu niente in confronto a quello che sentiva.
Si portò una mano al ventre e quando la staccò dal tessuto verde vide il palmo sporco. Non un lamento le uscì di bocca.
Gaius s’avvicinò.
« È questo tutto? »
Una lama si protese verso di lei, sfiorandole il viso.
Proprio ora che si sentiva così vicina alla morte, dentro percepiva forza e lucidità.
Lei alzò lo sguardo, occhi luminosi, ora più vivi che mai.
 
E come le loro pupille furono una infissa in quella dell’altro, tra loro si tesse un filo sottile, un filo che era stato spezzato.
 
“Ricordi?” Sembrò dire una voce nell’ aria.
 
Quella posizione, quella lama, quegli occhi. L’ombra di lui a coprire un minuto corpo di bambina lasciato cadere sulle ginocchia nella polvere.
“Ricordi?”
Il vestito sporco dei comuni plebei. Intorno fuoco, dolore, neve.
 
Sì, nevicava quel giorno… nevicava. E a me piaceva la neve di casa mia, pensò lei.
 
Nei lontani paesi del Nord, in antichi tempi dove la guerra scorreva tra le bianche montagne come una serpe e stringeva tutto in spire mortali.
Il Lupo Nero aveva ululato sulla sua città, sulla sua casa, sulla sua famiglia.
“Ricordi?”
Mamma… Papà… dove siete? Sentiva la sua voce nella testa.
Gli aveva risposto una lama, sottile. La sua.
Aveva alzato i grandi occhi infantili e l’aveva visto, per la prima volta. La bestia famelica.
Non ha occhi in cui guardare…, aveva pensato come lo aveva incrociato nello sguardo.
« Non hai occhi in cui guardare… » Sussurrò Ginevra.
Gaius la fissò, a lungo, infinitamente a lungo.
« Non hai colpa contro nessuno… » Disse lui a sua volta.
L’uomo sembrò venire colpito al cuore come i ricordi si congiunsero e il filo divenne una catena tra i due, mentre lei rimase a fissarlo con un rivolo scintillante di lacrime che cresceva agli orli degli occhi.
Gaius barcollò indietro, una mano voleva andare alla testa, ma nemmeno lui sapeva cosa fare.
No. Invece lo sapeva. Voleva guardarla. Guardarla e non lascare mai quegli occhi acquamarina. Poi vide il sangue, vide la mano della ragazza morta sul pavimento, la lacrima che le scivolò lungo la guancia fino alle squame che comparivano dalle gote pallide.
 
Gaius tornò alla ragione.
Indietreggiò ancora. Poi ruppe quel contatto visivo come dietro di lui comparve Sephiroth, ferito.
« È tempo di ritornare. Ci ritiriamo. »
Il Lupo Nero guardò la ragazza un’ultima volta, impalata al suo posto, lo fissava ancora. Prese determinazione, si voltò definitivamente, saltò e sparì lontano.
 
Ginevra allora non ebbe più cosa guardare.
E solo allora la sua bocca s’aprì in per ansimare, dalla gola uscivano lamenti debolissimi. Chinò il capo e vide il vestito macchiato di un verde tanto scuro da essere nero. Sulle gambe, per terra, il suo sangue brillante scendeva lento come le sue lacrime.
 
« GINEVRAAAA!! »
Vide le figure sfocate di Firion, di Laguna e… Kain.
Ansimava ancora.
Cadde indietro, contro la roccia bianca.
Il ragazzo dai capelli neri sembrò volersi fare avanti, ma il Dragone lo respinse subito e in una frazione di secondo fu vicino alla ragazza.
Lei non vedeva più niente. Il volto di lui era quasi irriconoscibile.
Si sentì prendere da dietro le spalle e sotto le ginocchia con rudezza e agitazione.
Lei fu presa da una follia ceca, dalla disperazione più nera. Portò le mani contro il suo petto, artigliandolo come se cercasse un appiglio.
« Fa male… fa tanto male… » Pianse mentre il Dragone la sollevava.
Trovò finalmente la forza di gridare e nascondendo il volto come meglio poteva, si sfogò in un dolore terribile.
Mentre ancora piangeva senza ritegno, il buio la immerse.
E ricordò.





 

SBA-BAM!!
Eccovi, il capitolo per ora best di questa storia. Cavolo, quanto aspettavo a scriverlo!! 
I ricordi di Ginevra (e di Gaius) fanno riferimento a FFXIV, ad una parte di storia un poco messa in disparte dal videogioco, dove si racconta che nelle terre di Ishgard (qui la casa di Gyn), l'Impero di Garlemald abbia cercato di portare dominio. Ma a quei tempi, uomini e draghi erano amici e insieme riuscirono a mantenere la loro indipendenza. Poi questa unione si sfaldò, ma Ishgard resistette comunque. Se la storia di questi due fosse veramente nel gioco, Gaius non sarebbe nemmeno nell'anticamera del cervello, ma pazienza. Un poco di gioco spazio-tempo non importa a nessuno. 
Il disegno... mi è venuto da fare così, un giorno. Spero vi piaccia ('mazza Gaius che difficile sei!!), è il primo che compare in questa storia, tra l'altro O.o!
Bene! Al prossimo aggiornamento!
 

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Capitolo 24
*** I Cristalli dell'Oscurità ***


« COSMOOOOOSS!!!!  »
L’urlo del Dio squarciò il Baratro dal cielo fino alle sue radici più profonde. I quattro pugni del mostro furono sbattuti violentemente per terra, creando un terremoto che scosse l’intero piazzale, crepando la pietra dura.
Chaos guardò il pietrisco frantumato nei suoi palmi, la roccia sotto di lui ricomporsi; fu preso da una rabbia ancora più cieca. Strinse i pugni, polverizzando anche il più piccolo dei sassi, rivoltò la testa cornuta indietro, aprendo le zanne in un ruggito bestiale.
Vide il suo trono viola davanti, sopra un minimo rialzo. Si alzò in volo, sbattendo le ali. Incrociò le quattro braccia sul petto, richiuse le membrane sul suo corpo, raccolse ogni sua energia. Poi, con uno scatto improvviso, rivelò il suo ventre. Aria e fuoco si sprigionarono dall’interno del suo corpo, convogliarono in un raggio di vasta estensione, distrussero lo scranno.
Il Dio della Discordia guardò il trono cadere blocco dopo blocco per terra. Quando fu solo un relitto, s’abbassò per tornare a toccare il terreno. Non si preoccupò affatto… si sarebbe ricomposto in meno di un giorno.
Garland aveva guardato la scena nel completo silenzio, occhi solo per la furia del suo padrone. Ma quando lo vide rimanere fermo per almeno mezzo minuto, osò:
« Mio Signore… »
Chaos mosse violentemente la coda, minacciandolo e costringendolo ad indietreggiare. Si voltò di poco, giusto per vederlo appena con gli occhi fiammeggianti:
« Cosa!? »
Garland si ricompose e lo guardò, non temeva quello sguardo.
« Non c’è motivo di rimproverarsi per la sconfitta. Siamo ancora tutti in gioco, per quanto abbiamo perso dei preziosi alleati… »
« Preziosi alleati…!? » Marcò con stupore e odio il Dio mentre si voltava.
« Quella ragazza… » Continuò Chaos « … ha il potere del Drago Purificatore… Sai cosa vuol dire questo? »
Garland osò un passo avanti, sapeva con che carte stava giocando e lui poteva scoprire quella vincente:
« Sarà impedita, non le verrà concesso alcun potere! » Chaos lo guardò con interesse « Perché siamo noi in questo ciclo ad avere un vantaggio. »
Garland fermò il discorso, assaporando bene gli occhi bestiali del Dio, guardandone il corpo per metà rivestito di lava, per metà ancora con la sua forma originaria dei primi cicli. Sotto l’elmo sorrise, gustandosi tutta l’ansia muta che la divinità stava patendo, senza un solo lamento. C’era davvero qualcosa di animalesco in questo nuovo Chaos, mutato dai cambiamenti.
« Noi… » Disse improvvisamente il guerriero « … possiamo rendervi immortale… »
Una figura comparve dalla scalinata per il Baratro.
Chaos abbassò gli occhi sulla mano protesa in avanti del nuovo arrivato.
Lo scintillio, quel barlume oscuro, una luce che faceva cadere nel buio una stanza illuminata.
Garland sorrise ancora di più, soddisfatto dall’espressione più che basita del Dio:
« Possiamo rivoltare contro Cosmos le sue stesse armi… le sue mosse saranno le nostre. »
Sul volto mostruoso di Chaos, dopo diversi minuti, comparve un ghigno:
« Questo ciclo si rivela molto più interessante… »
« Il gioco è già iniziato, mio Signore, e anche se ne verranno a conoscenza, avranno il terrore di batterci in tempo. Ma noi siamo già un passo in più davanti a loro. Manterremo il distacco. » Disse il guerriero.
Garland poi si voltò verso il compagno che lentamente ritirava la mano, facendo sparire quella luce oscura:
« Ottimo lavoro, Golbez… »
Lo stregone tenne il capo chino e non rispose mentre la risata pazzoide del Dio gli feriva le orecchie.
 
***
 
Correva.
Correva.
Il pavimento sporco e scuro.  Il fuoco le faceva paura, così vicino. Percepiva ancora il suo calore istigarla a muovere le piccole gambe tremanti.
La neve era rossa in alcuni punti.
Era caduta su un’asse di una casa.
Aveva battuto il ginocchio e si era sbucciata i palmi di pelle debole e infantile.
Era arrivata un’esplosione, che aveva tirato giù un’altra abitazione, lei era caduta di nuovo per l’onda d’urto. Aveva gridato, tappandosi le orecchie come sentiva i proiettili di mostri robotici fischiarle sopra la testa. Si era rialzata, aveva corso. Aveva sbattuto contro alcuni abitanti in fuga, cercando di stare in piedi nel marasma di gambe che le parevano senza padrone. Era uscita viva e subito aveva avuto davanti un secondo mostro robotico. Aveva sparato un colpo contro quella folla in fuga. Le urla si erano spente. Lei aveva rilasciato un gemito, era scappata in mezzo alle gambe enormi della bestia in ferro. Ne aveva viste altre, intorno, e pure soldati in divise rosse e armature nere.
E lame, tante lame, che dall’elsa sputavano fuoco.
Solo i draghi sputano fuoco…
 
Era arrivata alla piazza, distrutta. Corpi ovunque. Soldati cattivi in ogni angolo a gridare parole che lei non capiva.
Un mostro robotico le era passato accanto, rischiando di calpestarla.
Un’altra esplosione e la fontana dove andava a giocare con mamma e i suoi amici fu ridotta in frantumi. Era caduta in ginocchio, tappandosi gli occhi, gridando. Ma non piangendo. Non trovava le lacrime per farlo. Non capiva. Non capiva niente, niente.
Aveva freddo, aveva paura del fuoco, voleva la neve.
 
Poi lo aveva visto.
Il Lupo Nero.
La bestia senza occhi in cui guardare, un predatore che non potevi riconoscere, che non potevi sapere cosa provava quando ti fissava in agguato.
Ma era stato un cacciatore stolto, non era stato capace di cogliere l’occasione di vittoria. Aveva abbassato la lama sottile, le aveva ringhiato e si era voltato, ululando ai suoi compagni di branco di cercare ancora col loro fiuto letale.
L’aveva lasciata nella piazza.
 
Dal cielo erano arrivati i draghi. Avevano incendiato lo spiazzo, avevano scacciato i lupi, avevano sciolto la neve.
Ma lei sapeva che papà non era con loro nei cieli… era caduto, lo avevano preso e bloccato nel terreno. E la mamma era rimasta indietro. I suoi amici dovevano essere a dormire nelle loro case.
Perché i grandi litigano così tanto? Perché fanno questo? Non si picchiano le persone, si abbracciano e si salutano… perché bisogna picchiare gli amici? Io non picchio mai…
Guerra.
Lei non conosceva questa parola.
La vedeva e sentiva, ma non avrebbe mai creduto che potesse anche avere un nome.
Era caduta per terra, in un angolo, coprendosi con delle assi ancora intere. Aveva guardato i draghi ruggire nel cielo, lì dove ormai suo padre non l’avrebbe più portata in sella alla sua cavalcatura. E quando sarebbero tornati, la mamma avrebbe dovuto rimproverarlo perché era pericoloso, ma il profumo dell’arrosto avrebbe risolto tutto. Gli amici sarebbero comparsi alla sua finestra, lei avrebbe guardato sua madre, un suo sorriso, una battuta di suo padre e sarebbe corsa fuori a giocare.
Casa.
Guerra.
Bianco e nero.
Una lacrima  aveva bagnato le piccole squame sulle gote. Aveva stretto il codino in mano, si era rannicchiata. Aveva visto il buio.
 
“Ricordi?”
Sì, io ricordo…
 
***
 
Glush…
Glush…
Glush…
Un vento tiepido sibilava dolce nell’aria.
Non c’era più alcun rumore. Non c’era più alcun odore. Nessuna fatica, nessuna rabbia. C’era pace, c’era silenzio… nella sua testa.
Nella memoria tormentata da sprazzi di ricordi, riusciva a trovare tranquillità.
Aprì gli occhi, li chiuse, buio e luce s’alternarono diverse volte fino a quando non fu capace di distinguere colori e contorni sfocati.
Il cielo nuvoloso era chiarissimo, le nubi scure si erano ritirate in alto.
Rimase così, a guardare un vuoto continuo, senza alcun pensiero in testa, scoprendo che non aveva nulla su cui rimuginare. Nessuna domanda, nessuna risposta, nessun giudizio, nessun complimento da farsi. Il color acquamarina dei suoi occhi era vago, spento.
Mosse una mano istintivamente portandola al ventre. Ma quella ebbe un crampo che la fece gemere e l’arto si bloccò contratto sulla sua pancia. Ansimò per non muovere altro e peggiorare il dolore. Poggiò la testa indietro e lasciò ogni lamento a sé stesso.
Sentì il contatto con una pelle morbida e calda.
Abbassò lo sguardo, inclinando un poco la testa.
Yuna era in piedi accanto a lei, una mano poggiata sulla sua dolorante. Aveva gli occhi chiusi. Ginevra sentì i nervi dell’arto distendersi dal loro intorpidimento, rilassarli e distenderli. Fu scossa da una sensazione di sollievo e poté sospirare con consolazione.
« Grazie… » Disse con voce talmente bassa che si fece pena da sola.
L’Invocatrice le rivolse i suoi iridi blu e verde con un sorriso e la sua voce era molto bassa… o forse era lei che la percepiva così:
« Sentivo che qualcosa era cambiato in questa convocazione. Ma non credevo che un tale richiamo potesse venire addirittura da uno di noi.  »
Ginevra era diventata seria e aveva abbassato gli occhi. Avrebbe voluto rispondere ma non sentiva le forze, né la voglia.
Bello essere pigri…, si rimproverò in testa.
Yuna le sorrise ancora più apertamente e scosse il capo, muovendo ariosamente il liscio caschetto di capelli bruni:
« Tranquilla, non volevo certo instaurare un dialogo oltremodo impegnativo. Per ora, hai bisogno di molto riposo e… »
« GYYYYN!! »
Entrambe le ragazze si voltarono per vedere due ragazzi arrivare in corsa vicino a loro.
Ginevra si rese conto solo in quel momento, quando ebbe girato il capo, che era stesa su una costruzione in pietra bianca, come un basso e duro letto che spuntava dal terreno. Ed in effetti Yuna l’aveva guardata dall’alto per tutto quel tempo. Ma la vide alzarsi da inginocchiata e lasciare spazio a due figure fin troppo famigliari.
Oltre alle due invadenti teste nel suo campo visivo, riuscì a scorgere il paesaggio del Santuario dell’Ordine.
Si trovava in una piazza determinata da pareti ovali e concave che coprivano in parte la visuale dal di fuori. Dentro la struttura presentava altri di quei ripostigli ma non scorse appena in tempo chi vi fosse.
« Bartz… Zidane… » Disse lei, stentando un sorriso.
Cercò di alzarsi almeno a sedere, ma la schiena scricchiolò e la fece gemere. Una mano scattante di Bartz la fece ristendere sulla pietra bianca:
« Ehi, stai giù! Non sei ancora in forma! »
« Sono contenta stiate bene… » Disse mentre espirava dal sollievo di sentire i muscoli di nuovo rilassati.
Zidane la guardava e lei, seppur con ancora la vista sfocata, distinse bene il livido sull’occhio del Jenoma:
« Ci vuole ben altro per tirarci giù! » Esclamò lui.
Lei ricambiò una risatina e Bartz si sedette comodamente per terra:
« Ma parliamo di te… allora, cosa ricordi? »
Ginevra sbarrò gli occhi offuscati, aprì di poco la bocca come se la parole fossero lì sul punto di uscire. Ma dalle labbra venne solo un:
« Ricordi…? »
Zidane si sedette pure lui:
« Beh, sì, dello scontro… ti ricordi di come hai combattuto? »
No… no era suo padre ad aver combattuto… almeno fino ad un certo punto… fino a quando aveva visto un drago cadere su una casa in fiamme.
« Io… ho combattuto? » Chiese.
Yuna si era fatta ancora più vicina mentre Bartz parlava con entusiasmo:
« Sì! Sì, tu! Sei diventata un drago, capisci!? Hai aiutato Yuna con il suo Manikin, hai salvato il Guerriero della Luce, hai sfidato Garland e Chaos stesso!! Sei riuscita a difenderti da lui! Da un Dio! »
Ginevra scosse il capo, strizzando gli occhi:
« Eh!? »
Non capiva…
Zidane intervenne, pressando su di lei con entrambi i due enormi occhi blu:
« E poi sei andata contro un nuovo Guerriero di Chaos che non pensavamo ci fosse! Hai combattuto da maestra! Poi… non è andata nel modo migliore, ma sei sopravvissuta! »
Bartz diede un colpetto alla spalla dell’amico:
« A proposito… come si chiama sto tizio nuovo? »
Zidane pensò, si grattò la testa, poi batté il pugno sul palmo della mano:
« Ah, già! Gaius van Baelsar! Lo chiamano anche il Lupo Nero! »
Ginevra sbarrò gli occhi.
La confusione tra passato e presente, tra mondo originale e nuova dimensione arrivò ad un ordine, capì, ricordò tutto come doveva essere. Lo scontro, il suo, le fu chiaro e vivo. La spada nel ventre, il ricordo di lui nella piazza in fiamme. Scattò a sedere:
« GAIUS!!!??? » Gridò.
La colse un improvviso malore, perse l’equilibrio, il mondo vorticò e si ritrovò con la faccia nel velo d’acqua del Santuario dell’Ordine. Yuna fu la prima ad intervenire e la prese delicatamente per le spalle, facendola stendere di nuovo sul suo ripostiglio:
« Ok, ragazzi, non stressatela… Tranquilla, Ginevra, và tutto bene… »
L’Au’Ra aveva la testa ciondolante, tornava a vedere doppio e sfocato alternatamente a momenti di lucidità. Le facce preoccupate di Bartz e Zidane le comparvero davanti:
« Ehi, Gyn! Scusaci! Tutto bene? » Fece il moro.
Zidane lo calmò:
« Sta buono, faccio io! Ehi, Gyn! » Lei cercò di guardarlo anche se al momento ne vedeva due di Zidane. Il Jenoma le portò davanti gli occhi tre dita e le chiese:
« Quante sono? »
Lei corrugò la fronte, gli elementi da enumerare sdoppiarsi e sfocare, così azzardò un numero:
« Sssei…? »
Zidane storse la bocca guardando l’amico:
« Beh, quasi… »
Bartz fece spallucce.
 
Si sparse un fischio nell’aria e i quattro si voltarono.
Ginevra aveva recuperato un minimo di salute dormendo per qualche ora. La vista era tornata, aveva parlato anche con qualche guerriero messo meglio degli altri che era andato a trovarla nei momenti di lucidità. Notava comunque che i rapporti non erano ancora fondati.
L’Au’Ra riuscì a portarsi seduta, poggiando di fianco la ben terza pozione che le veniva imposta per la ferita, oltre che ai due Elisir vuoti.
Boko sopraggiunse e frenò, scuotendo il capo.
Era probabilmente la prima volta dopo lo scontro che la bestia poteva trovare un momento di pace: le piume erano rovinate e scomposte, le zampe indolenzite e gli occhi stanchi. Bartz venne subito in contro al suo compagno e allo stesso momento, Guerriero scese dalle spalle dell’animale, porgendo la mano alla figura luminosa.
Cosmos rifiutò gentilmente il gesto, scendendo leggera a terra. Ma come i piedi furono sul velo d’acqua si vide costretta all’aiuto del suo prediletto poiché quasi cadde al suolo, mettendo in allarme tutti i guerrieri presenti. La Dea fu portata con attenta vigilanza del Guerriero fino ad uno dei ripostigli e lì lei si poté sedere con sguardo quasi rattristato per la situazione che stava instaurando. Arrivarono subito dopo Lightning, Cecil e Shantotto che avevano coperto le spalle al chocobo lungo la strada di ritorno dal campo di battaglia.
Tutti si guardarono con sguardi intenditori, ma in silenzio, fino a quando la Dea chiuse gli occhi e disse:
« Mi dispiace che mi debba presentare in questo modo davanti a voi… quando dovrei essere io a sostenervi… »
Guerriero le era al fianco, come una guardia del corpo, e rispose a nome di tutti:
« Non era scontato che tornassimo tutti quanti completamente indenni… questo non escludeva nemmeno te. »
Cosmos distolse lo sguardo da lui, ma negli occhi luminosi si intendeva la nota di ringraziamento.
 
Tidus mise una mano sulla spalla di Cecil e il Paladino si voltò per guardarlo. Il ragazzo era serio.
Tidus era sempre stato uno spirito animato, scalmanato  e testardo come un bambino, forte come un campione ma dolce e tenero quando si presentava l’occasione… e forse anche un po’ stupido ogni tanto. Rare volte lo aveva visto così serio. Solo quando affrontava argomenti personali, cioè che riguardavano sempre suo padre, il Blitzballer assumeva quello sguardo. Quella situazione non rientrava certo nell’ambito famigliare, eppure quegli occhi c’erano.
Cecil allora capì che quella situazione era ancora più seria. Svelare le sue conoscenze così davanti a tutti comportava dei rischi: avrebbero potuto perdere la situazione di mano. Ma nessuno era ancora cosciente del suo segreto, tranne Tidus, nessuno gli sarebbe stato a fianco, lui che aveva sempre contato sugli amici. Ma se i suoi compagni erano tali, sicuramente l’avrebbero capito.
Così prese respiro e con passo deciso allontanò la mano del compagno dalla sua spalla e si avvicinò al centro.
Cosmos intese subito le intenzioni del suo guerriero e si preparò già da subito a tenere discorso. Quando il Paladino fu di fronte alla Dea con sguardo indecifrabile da quanto duro, lei disse:
« Tieni qualcosa di grande in te. Ti ascolto. »
Cecil chiuse gli occhi, sentendo l’attenzione di tutti precipitargli addosso:
« Comprendo bene che la notizia che vi sto per riferire, mia Dea, sarà più terribile che sorprendente. Vi chiedo perdono per la mia impazienza, ma tenere una scoperta così grande solo per me stesso sarebbe inaccettabile. » Fece una pausa « Sono venuto a conoscenza… no, ho visto con i miei stessi occhi, che i Guerrieri della Discordia sono stati abilitati di una nuova forza in questo ciclo. Una forza che un tempo credevamo di possedere solo noi. » Vide gli occhi della Dea e si preparò a vederli incrinarsi « I Cristalli. »
Ascoltò le esclamazioni incredule di tutti, sorbendo tutto come fosse una punizione… dal’altronde era suo fratello il primo ad aver toccato tale potere avverso.
Pur conoscendo la risposta, si chiese perché mai.
Si consolò e stupì allo stesso tempo di vedere lo sguardo della Dea immutabile, fosse anche che nascondeva tutto dentro le fu riconoscente.
« Non è possibile! » Sbottò Lightning, sovrastando tutti con il suo tono stupito e già isterico.
Guerriero mise tutti a tacere con la domanda:
« Come fai a saperlo per certo? Non può essere stato un errore? »
Cecil lo guardò, sapendo benissimo che i suoi occhi nel profondo provavano una terribile tristezza:
« Il segreto dei Cristalli… solo chi è sicuro di sé stesso, chi si riconosce e sa difendere la propria personalità… chi consoce il suo obbiettivo e il suo volere… solo coloro che sono così posso trovare la luce del Cristallo. Mio fratello è arrivato in questa dimensione ormai ben conscio di ciò che voleva, conosceva i suoi obbiettivi, conosceva tutto alla perfezione… io sono stato la chiave di tutto, come in passato. Ha trovato il suo Cristallo, un Cristallo dell’Oscurità, benché le sue intenzioni  non lo richiedessero. »
Guerriero era esterrefatto e abbassò lo sguardo già immerso nei suoi pensieri.
Cosmos pure aveva smesso di fissarlo, raccolta probabilmente in riflessione.
Quel silenzio fu un’ottima occasione perché i vari guerrieri riprendessero i loro dibattiti che dopo pochi minuti si fecero sempre più accesi, sfiorando il litigio e la contesa.
La situazione precipitava inesorabile dalle mani di tutti, nessuno sembrava intenzionato a lasciare la propria opinione e il proprio panico per ristabilire il tutto.
Cosmos, tra i suoi pensieri, alzò puramente senza motivo verso un punto lontano, incrociando un dolce volto coperto di squame.
 
Ginevra guardava tutto senza comprendere.
Conosceva la loro storia, sì, ma perché tutti sembravano improvvisamente instupiditi? Invece di cercare una soluzione erano finiti a dibattere sul peggio del peggio, aumentando soltanto il loro panico.
Non seppe perché, ma trovò tutto quello terribilmente infantile, tanto che le venne una sensazione di nervoso nello stomaco.
Potrei rimettere Elisir e pozioni tutte insieme se non la smettono…
Così s’alzò, percependo con rivoltante fastidio la ferita sul ventre. Tenendo una mano sulle bende sotto il vestito, zoppicò fino ad un angolo dove tutti potessero vederla.
« Ehi! » Disse, ma la sua voce non raggiunse nessuno.
« EHII!! » Urlò, sforzandosi al massimo.
Calò un azzardato silenzio e dovette battere la soggezione e l’imbarazzo per prendere parola:
« Ehm… ehm… » Lightning aveva già occhio omicida per l’interruzione provocata « Ascoltatemi, potrò essere stupida e ingenua, perché so veramente poco della vostra storia… però… però ce l’avete sempre fatta, giusto? Avete sempre battuto ogni difficoltà, vi siete sempre fatti coraggio. Esiste la speranza, no? Ne avete sempre avuta e ora che ne dovete possedere di più, la dimenticate… non è una cosa… idiota? Le discussioni non portano a niente, litigare non serve, crea solo scompiglio e aumenta la paura. Io credo che si possa fare qualcosa… no, no, dobbiamo fare qualcosa. Perdere fede in tutto proprio adesso non ha alcun senso. Se siamo qui per lottare, facciamolo! Potrebbe essere un ultimo sforzo richiesto prima di tornare definitivamente a casa… non lo sappiamo, ma si continua a credere. »
Non voleva credere che negli sguardi degli altri guerrieri riuscisse a scorgere una nota qui di stupore, là di consenso, più in là ancora di dubbio. Però aveva cambiato qualcosa nei suoi compagni e questo bastava a soddisfarla.
Cosmos si alzò alle sue spalle e con volto più luminoso annuì:
« La vostra compagna ha sicuramente molta più dote di quanto credessi. Ascoltate le sue parole, guerrieri, sono veritiere. Tutti voi avete visto i suoi poteri e ora ci dimostra anche una grande forza d'animo che è capace di spingerti tutti più avanti. Accogliamo questo suo sforzo e facciamo rinascere una speranza. »
Ginevra sorrise come vide Guerriero consentire e alzare la voce per iniziare un discorso ai compagni.
Gonfiò il petto e il sorriso si fece ancora più radioso quando Bartz e Zidane la acclamarono dal fondo del gruppo.
 
Kain guardò i guerrieri radunarsi, i discorsi accendersi su argomenti privi di ansia o paura. Guardò Ginevra, soddisfatta, il sorriso sulle labbra, gli occhi di una bambina piena di gioia come riusciva a vedere consenso nei compagni.
Quanto ancora era infante quella ragazza?
Si chiese ancora per la millesima volta come fosse stato così buono di cuore da lasciarla convincerlo.
Incrinò la bocca in un sorriso.
Sentiva la sua presenza svanire. Il lavoro a cui era stato costretto era fatto. Ginevra sembrava averlo dimenticato.
Ma nonostante tutto era contento che la piccoletta fosse riuscita ad ottenere un minimo di dignità.
Si staccò dalla parte, sciogliendo le braccia conserte lungo i fianchi. Sfilò la lancia dal terreno.
Guardò un’ultima volta indietro, al sorriso di Ginevra.
La salutò.
Saltò per sparire nelle nuvole.
 

Salveeee!
Scusate, scusate, scusate, scusate, scusate (x10000) l'immenso ritardo di qualche mese ma... non mi dilungo. Vi dirò soltanto che ho troppe robe. Punto. 
Questo capitolo l'ho iniziato a scrivere tempo addietro e l'ho finito appena adesso. Immaginate voi lo sforzo disumano (esagerata). Lo spunto viene a meno, scrivi male, viene fuori schifezza. Perdonate la reazione orribile di Cosmos e il suo ancora più orripilante discorso alle parole di Gyn, migliorerò il capitolo appena posso, ma non potevo non aggiornare dopo tanto tempo (mi mancava). Dunque, dimenticate le sue parole e sappiate solo che Ginevra si sta facendo le ossa tra le file dell'Armonia.
E poi ci sono i Cristalli dell'Oscurità... ma non ho molto da dirvi, dato che Cecil ha già spiegato tutto (bravo ragazzo u.u). Li ho inseriti principalmente perché giocando a Dissidia mi sono chiesta: ma perché Armonia sì e Discordia no? Ecco, ora sono pari.
Al prossimo aggiornamento più o meno vicino!
Byeee!

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