Junior Year

di ShArY90
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Un nuovo inizio ***
Capitolo 3: *** Ritorno a scuola ***
Capitolo 4: *** Ricreazione ***
Capitolo 5: *** Uno scontro... speciale! ***
Capitolo 6: *** L'inizio di una nuova avventura ***
Capitolo 7: *** Alex Dawson ***
Capitolo 8: *** Pigiama party ***
Capitolo 9: *** L’inizio di un’amicizia e la fine di un’altra ***
Capitolo 10: *** Un brutto ricordo ***
Capitolo 11: *** Katie e Rachel ***
Capitolo 12: *** Il primo appuntamento ***
Capitolo 13: *** Un' inaspettata amicizia ***
Capitolo 14: *** Il primo bacio ***
Capitolo 15: *** Strani avvenimenti ***
Capitolo 16: *** La dura verità ***
Capitolo 17: *** Una piccola fuga da scuola ***
Capitolo 18: *** Chiarimenti ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Junior Year

Junior Year

Prologo

Forse questa vi sembrerà una storia come tante. Beh forse lo è per davvero, però se siete così curiosi di andare avanti, io non vi dirò di non farlo perché credo che la curiosità sia uno degli aspetti più affascinanti di una persona…allora è proprio da qui che incomincia la mia storia, siete pronti?

 

Salve a tutti! Mi chiamo Summer Richmond sono una ragazza di sedici anni e abito a Santa Monica in California. Sono una ragazza allegra, mi piace divertirmi e conoscere gente diversa ogni giorno, fare tante amicizie e soprattutto godermi la vita! Peccato però che io non sia proprio quel genere di ragazza che pensereste.

Sono una ragazza molto timida, non vivo di molte attenzioni e non sono fortunata né in amore né con le amicizie. O almeno era quello che avrei detto di me “tanto tempo fa”.

Sin da piccola ho vissuto in un mondo tutto mio, fatto di persone che mi volevano bene e che non mi avrebbero mai lasciato… il problema è che non è mai successo qualcosa di buono nella mia vita da durare così a lungo. Tutte quelle persone che io credevo mi volessero bene si rivelarono false e superficiali ma il peggio era che io avevo sempre vissuto all’ombra dei loro successi. Mi odiavo, non mi piaceva la vita cui appartenevo! Eppure non ho mai chiesto tanto…insomma solo una migliore amica e un ragazzo!! (Anche se devo ammettere che ho sempre preteso tanto da un quest’ultimo).

La mia famiglia non mi capiva: riteneva che fossero solo dei capricci adolescenziali. Non avevo amiche né amici immaginari con cui parlare, non avevo nessuno, nulla, eccetto quel ragazzo che mi era solito chiamare fratello.  , sto parlando del mio purtroppo unico, insensibile, stupido fratello Nathan. Per quanto lo potessi odiare (per tutti i guai che combinava) fu l’unico a cercare di capirmi e di venirmi incontro... l’unico che era disposto a lasciar appoggiare sulla sua spalla la propria sorellina e aspettare che si sfogasse e gli rovinasse tutte le sue magliette preferite con i suoi continui piagnistei. Fu l’unico che mi dimostrò tutto l’affetto possibile. Io, ovviamente compresi quanto ci teneva a me. Avrei voluto che anche lui vivesse la sua vita con tutto l’affetto che mi aveva dimostrato durante quei difficili anni. Ma non mi chiese mai nulla, non mi dimostrò mai di aver la necessità di un aiuto anche se sapevo benissimo che ne avrebbe dovuto. Si cacciava sempre nei guai più insoliti come le risse o cose che hanno a che fare con l’alcool. Mi dispiaceva per la sua situazione, ma sembrasse che i guai se li chiamasse da solo. Per fortuna con lui c’era Jason, il suo migliore amico, sempre pronto a difenderlo (aveva certi muscoli) e sempre pronto a mettersi nei guai anche lui!

Continuando a parlare di me e tralasciando qualche insignificante dettaglio, fisicamente non sono poi così male: bionda, occhi castani, abbastanza alta anche se non sono certo un peso piuma!!!

Credo che la California sia uno dei luoghi più belli d’America, anche se devo ammettere amaramente che non sono mai uscita fuori dalle sue mura. Ho sempre sognato di vivere a New York. Se potessi, abiterei poco distante dalle piazze principali, così potrei vedere durante tutti i Natali, il grande abete che viene addobbato al Rockefeller Center o passare per il Central Park dove c’è quell’enorme pista di pattinaggio o persino passeggiare da quelle parti dove l’aria è tranquilla e il posto immerso nel verde di prati e alberi. Potrei percorre quei suoi piccoli sentieri che caratterizzano tanto quel grande parco soprattutto quando arriva la primavera o l’autunno: questo splende di mille colori!

Un altro motivo per cui andrei a vivere a New York è che lì non fanno tanta differenza su dove abiti. I newyorkesi non sentono il bisogno di confrontarsi necessariamente su ciò che possiedono o il loro prestigio negli affari. Gli abitanti sono disposti equamente tra ricchi e poveri, quindi non esistono eccezioni. La stessa cosa non si può dire della California.

Qui la maggior parte della popolazione vive nel lusso più sfrenato, tra limousine e grandi ville, feste e abiti firmati. Qui non esiste moralità. Tutto ha un prezzo. E se non sei uno di loro non vali nulla. Sin da bambina pensavo di essere diversa dalle altre perché non abitavo come loro in mega ville con governanti e una dozzina di domestiche. No signore. Io vivevo in una confortevole villetta blu molto modesta che però era situata a poca distanza dal centro. Tuttavia io, al contrario di Nat, mi lamentavo sempre della scelta che avevano fatto i miei da giovani, ovvero quella di restare in quella casa. Io volevo essere solo come tutte le altre!

Poi compresi a poco a poco che non avrei voluto, per niente al mondo, essere come tutte le altre. Loro avevano tutto? Beh io non avevo molto, ma questo già mi rendeva speciale!

 

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Capitolo 2
*** Un nuovo inizio ***


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Un nuovo inizio

Da quando ho incominciato il liceo è cambiato tanto della mia vita: ho tanti amici che mi vogliono bene e di cui mi fido e senza di loro non saprei cosa fare, e ho dei genitori incredibili (e non l’ho mai dubitato veramente), e un fratello al quale, benché sia fatto così come Dio ha deciso, gli voglio un bene immenso. Ora però frequento il terzo anno al liceo e non so perché, ma ho come l’impressione che debba succedere qualcosa d'incredibile da un momento all’altro, non so dirvi se sia un buon presagio o uno cattivo…non sono mai riuscita a prevedere qualcosa!!!

Il 15 settembre fu il mio primo giorno di scuola… -AAAAAAAAAAAAAAAAAH- è quello che urlai non appena mia madre mi svegliò.

-Ma si può sapere che vuoi a quest’ora del mattino?!- le dissi sconvolta,non ancora cosciente di quale giorno fosse,ma mi bastò guardare il mio calendario,attaccato alla parete di fronte a me,per capire cosa avrei dovuto fare quella mattina.

Mia madre mi sorrise e disse in tono minaccioso -Se non ti sbrighi tuo fratello e tuo padre si mangeranno tutta la colazione-. E così, senza pensarci due volte, uscì dalle coperte e mi diressi di fretta in cucina. Non ci impiegai molto perché la nostra casa, a differenza dalla maggior parte delle case in  città, non era di dimensioni stratosferiche.

Mia madre faceva la casalinga mentre mio padre era un ottimo avvocato, uno dei migliori a Santa Monica. Potevamo permetterci una casa più lussuosa ma i miei preferirono restare nella casa che comprarono quando giunsero la prima volta insieme a Santa Monica, dove mia madre e mio padre aveva vissuto insieme durante gli anni del college.

Appena arrivata in cucina vidi mio padre che, con la sua consueta tranquillità, beveva una tazza di caffè e leggeva il giornale e mio fratello che, come al solito, si cibava di tutto quello che riusciva a trovare a pochi kilometri di distanza e proprio mentre mangiava dei cereali, con la bocca piena, mi disse -Buongiorno sorellina vuoi qualcosa?-.

Mi bastò guardarlo pochi secondi per farmi passare la fame -No, grazie Nat volevo qualcosa ma mi è bastato guardarti perché cambiassi idea-.

Tuttavia non appena si fu allontanato dalla cucina, mi tornò la fame e presi una brioche dal tavolo. Mio padre, che aveva assistito sott’occhio a tutta la scena, incominciò a ridere e mi disse -Allora piccola oggi incomincia la scuola giusto? Vuoi che ti accompagni?-.

Mi ci volle un po’ di tempo per rispondere e infine decisi che mi sarei fatta accompagnare da mio padre anziché da quell’inutile di mio fratello. -Ok grazie papà- gli dissi.

Le previsioni parlavano di una giornata perfetta ed era proprio quello che speravo accadesse poichè avrei voluto incominciare col piede giusto quest’anno il liceo. Eppure, dentro di me, sentivo che quell’anno non sarebbe stato uguale agli altri, che quell’anno sarebbe successo qualcosa che al momento non mi sapevo spiegare. Solitamente, come ogni primo giorno di scuola, mi sentivo agitata e tesa come una corda ma conoscevo già la risposta al mio stato d’animo: per me, al momento, il liceo rappresentava tutta la mia vita e ogni volta che iniziava un anno diverso mi sembrava di incominciare una nuova avventura… solo ora però mi pongo questa domanda, ero davvero pronta per quella che sarebbe incominciata tra pochi istanti?

 

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Capitolo 3
*** Ritorno a scuola ***


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Ritorno a scuola

Eccomi, finalmente la vedevo, era l’insegna della mia scuola che, scritto in un blu cobalto, diceva “Santa Monica High School”.

-Wow- dissi con un finto entusiasmo non appena la vidi.

-Eccoci qui, finalmente!- disse mio padre in tono sarcastico mentre voltava a sinistra la macchina in modo da farmi scendere davanti alla scalinata della scuola.

-Ok tesoro ti lascio… mi raccomando non passare tutto il tuo tempo a studiare- mi disse ed io risposi ridendo --Guarda che se non la finisci dico alla mamma che se prendo qualche brutto voto la colpa è esclusivamente tua!!- lui si girò ancora una volta a guardarmi e ridendo disse -Si lo so,tua madre è capace di punirmi!!-.

Dopo averlo salutato con un bacio, scesi dall’auto e cominciai a girarmi a destra e a sinistra in cerca delle mie amiche… che eccole lì, mi attendevano al nostro solito posto all’ombra di un grosso albero poco lontano dall’entrata dove noi, in passato, incidemmo le nostri iniziali in segno di amicizia.

Le vidi, tranquille come al solito, le mie quattro migliori amiche: Katie, Marian, Libby e Rachel. Mancavano solo pochi minuti al suono della campanella e già sapevamo tutte cosa sarebbe successo: la nostra preside,ovvero la Signora Collins,avrebbe incominciato uno dei suoi  soliti monologhi noiosissimi riguardanti l’importanza della vita,della società e dell’istruzione.

 -Driiiiiiiiiin- insieme ci voltammo a quel suono ormai fin troppo riconoscibile, ci guardammo intensamente tutte quante, aspettammo qualche secondo, e poi con dei sorrisi pieni di speranza varcammo senza alcun timore la soglia di quella che ci sembrava “la nostra maledizione”… peccato che però con noi non c’era nessun pirata pronto a salvarci!!

-…Vorrei ringraziare infine i nostri magnifici docenti che, senza di loro, la nostra scuola non sarebbe tanto prestigiosa-, ancora una volta la Signora Collins aveva prolungato il suo discorso di un'altra mezz’ora solo per i suoi “cordiali” ringraziamenti. Così, dopo quelle ultime parole che ci sembravano non dovessero mai giungere, tutto il corpo studentesco si alzò in un boato. C’era chi applaudiva (per cordialità), chi sinceramente (come facevo io) si alzava ed emetteva uno sbadiglio molto rumoroso segno che quegli applausi lo avevano interrotto dal sonno. I nostri amici Pete, Justin, Seth e Gabe che, sfortunatamente si erano seduti dietro di noi, avevano smesso di fare baccano e, con tutta la lentezza di questo mondo, si avviarono verso le loro rispettive classi.

 

Niente era più noioso (persino del discorso d’apertura della preside), della prima lezione del giorno: fisica. O almeno è quello che pensavo siccome che odiavo applicare troppo il mio cervello a cose di cui, personalmente, mi risultavano inutili alla vita.

Si può dire che tutti, su per giù, seguivano la lezione del professor Gregory, prima che la porta della classe fosse sbattuta all’improvviso da un essere ridicolo.

-Buongiorno professor Gregory - poi si girò e voltandosi verso il resto della classe fece un occhiolino che provocò non pochi e silenziosi sospiri da parte delle ragazze della classe. Perché sì, Jack Gordon, era il ragazzo più ambito di tutta la scuola; poche erano le ragazze che non subivano il suo fascino e potevo dire, orgogliosamente, che io ero una di quelle.

-Grazie per averci dato ancora una volta prova della sua puntualità Gordon e adesso se permette starei facendo lezione-. Il professore prese il gessetto che aveva posato poco prima e invece di continuare subito la spiegazione, aggiunse -Ah quasi dimenticavo! Un altro ritardo, Gordon e non potrà seguire la mia lezione, ci siamo intesi?-. Sfrontatamente Jack rispose -Certo! Non si preoccupi prof!- si rigirò ridendo provocando ancora una volta un’ondata di sospiri.

Io proprio non lo sopportavo, lui cercava sempre di attirare quanto più poteva le attenzioni sia giungessero da ragazze sia giungessero da ragazzi: tutti erano ammaliati da lui ed io proprio non riuscivo a trovare una ragione. Che c’era di tanto affascinante in lui? Insomma…si è vero, era un bel ragazzo: occhi azzurri, capelli corti e neri sempre in disordine. Aveva un fisico che molti ragazzi lo invidiavano: magro, snello, potrei dire circa 1.82, praticava il basket dai tempi del primo liceo diventando così il capitano della squadra della scuola, infatti, questo sport gli aveva permesso di sviluppare quel po’ di muscoli che lo avevano reso ancora più “sexy” (così dicevano le sue fans). Si era guadagnato il rispetto di tutti sin da quando, da semplice studente del primo anno, divenne un asso del basket. In effetti, non potevo che essere d’accordo da quel punto di vista: era davvero bravo. I miei amici Justin e Gabe facevano parte della squadra, così, per andare ad assisterli durante le partite del campionato studentesco, mi resi conto che le voci di corridoio erano vere.

 

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Capitolo 4
*** Ricreazione ***


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Ricreazione

-Però dovete ammettere che quest’anno Jack si è fatto ancora più bello- disse Katie posando il suo vassoio assieme a quello delle altre sul tavolo della mensa.

Dopo tre ore di lezione finalmente arrivò lo spacco per il pranzo e Katie decise che doveva mangiare tutto quello che avrebbe trovato nella mensa. Infatti, c’erano cose abbastanza disgustose nel suo vassoio ma nessuna ci fece tanto caso dato che era solito di Katie mangiare anche le cose più orribili. Al contrario Rachel, che faceva parte delle ragazze pon pon, aveva deciso di seguire una dieta a base di sole verdure inventata da lei.

Katie e Rachel litigavano spesso quando eravamo in mensa perché una credeva nella sana alimentazione (che in verità non era per niente sana) e l’altra in una giusta alimentazione senza carboidrati; così, ogni volta, finivano per litigare.

Io, Marian e Libby però ci eravamo molto stufate di questa faccenda così mettemmo subito in chiaro le nostre intenzioni - Katie e Rachel abbiamo qualcosa da dirvi- disse Marian guardando seriamente le due ragazze, a questo punto incominciai io -Allora, il problema è che non né possiamo più delle vostre stupide litigate sul mangiare quindi almeno per quest’anno, e si spera anche l’anno prossimo, vi chiarite una volta per tutte senza rovinarci, tutte le volte, il pranzo- e infine Libby -quindi ora guardatevi negli occhi e dite “ti voglio bene e non me ne frega assolutamente niente se tu mangi come un maiale o se tu non sai cosa significa mangiare veramente”anche se, devo dire la verità, Rachel non ti serve a niente questa dieta…sei già magrissima!!!-.

Io e Marian guardammo minacciosamente negli occhi Libby che, aspettandosi una reazione del genere, fece finta di pulirsi i suoi occhiali da vista. -Ok, avete ragione- sbuffò Katie che guardò Rachel e disse -non voglio più litigare con te, sei d’accordo? Per me puoi mangiare quello che vuoi- e Rachel ridendo disse -anche per me va bene…però permettimi di dire che quel coso gelatinoso ha un aspetto orribile!!-.

 Tutte guardammo quella sostanza verde sul piatto di plastica e non appena Katie affermò -lo sai che hai proprio ragione?!- scoppiammo tutte a ridere.

 

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Capitolo 5
*** Uno scontro... speciale! ***


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Uno scontro…speciale!

 Così passò il primo giorno di scuola alla SMHS (così la chiamavamo noi) e ci salutammo tutte con la promessa di scendere quella sera e farci un giro tutte assieme a mangiarci un gelato.

Quel pomeriggio stranamente mi addormentai e mi svegliai molto tardi.

-Oddio!!Sono già le 5 e mezzo,tra mezz’ora devo essere giù da Tom!!!-. Così più veloce che potei, mi preparai e scesi di corsa le scale. Mia madre mi vide e mi chiese interrogativa perché corressi in quel modo per le scale e le dissi in fretta che avevo un appuntamento con le ragazze in centro.

Il tempo di salutarla e varcai la soglia di casa correndo ma fui certa che mia madre avesse detto in quel momento -Bah, io i giovani non li capisco più-.

Fu proprio quando voltai per Venice Boulevard che la fortuna per la prima volta mi sorrise, anche se io allora non lo sapevo ancora…

Quando girai l’angolo nello stesso momento c’era un ragazzo che in bici stava svoltando sul marciapiede, così finimmo per scontrarci, ed entrambi cademmo per terra (ma io mi feci più male di lui). -E’ tardi è tardi, devo correre!!- mi alzai in fretta,anche se mi faceva male tutto il fondoschiena e, soprattutto, la gamba destra che aveva scontrato accidentalmente contro la ruota della sua bici.

-La prossima volta guarda avanti!!- dissi io arrabbiata. Lui dal suo canto disse -E allora tu la prossima volta gira con più grazia come fanno tutte le ragazze della tua età e…guarda avanti!!-. Alzò lo sguardo e solo allora lo vidi veramente in viso e, senza rendermene conto, mi feci scappare un -Wow!-.

-Come scusa?- mi chiese lui -Hai detto qualcosa?-.

-No niente, scusa ma devo andare sono in ritardo per un appuntamento- gli risposi. Mi squadrò e poi disse alzando un sopracciglio -Dal tuo ragazzo?-. -No, solo dalle mie amiche- replicai in tono aspro pensando il perché mi avesse fatto quella domanda.

Stupita lo sentì rispondere -Ok, allora non avresti problemi se ti proponessi di accompagnarti…giusto?!-. Quando sentì quelle parole il mio cuore sobbalzò e incominciò a battere forte. -No, grazie non credo sia il caso…-. -Ma dai! Che sarà mai un passaggio?- e vedendo che non rispondevo aggiunse -Su monta! Dove ti porto?-.

Un po’ intimorita risposi -Sul pontile di Venice Boulevard-.

-Ehm…scusa ho dimenticato di dirti che non sono proprio di qui…sono giunto da poco in città-. Questa fu la riposta involontaria alla mia domanda “ perché non l’ho mai notato prima?”. -Oh! Bé non ti devi preoccupare! Devi solo andare dritto, fino alla fine della strada…- ma non ebbi la possibilità di concludere la frase che lui parti in quarta dritto verso la meta.

Gli feci segno di fermarsi e lui si accostò al fianco del marciapiede, a pochi passi dal luogo in cui avevo appuntamento. Infatti, poco distanti da noi, le mie amiche si accorsero della nostra presenza e, incominciarono a guardare incuriosite quella strana novità. Così immediatamente feci capire al nuovo ragazzo che sarei dovuta andare -Allora grazie… Ciao!-.

Ma non ebbi neanche il tempo di fare un passo che mi bloccò afferrandomi un polso -Aspetta!! Non ci siamo neanche presentati! Piacere,mi chiamo Alex e tu?- gli sorrisi e gli dissi -Mi chiamo Summer…e le mie amiche in questo momento non sanno se venirmi a prendere o lasciarmi andare-.

-Se fossi in loro ti lascerei andare…-. Gli sorrisi e senza pensarci gli gridai -Dai scusa ma ora devo proprio andare…ci si vede!-.

Solo quando raggiunsi le ragazze ripensai meglio alle sue ultime parole, ma quando mi voltai lui già non c’era più. Le mie amiche poi, cercavano di farmi sputare il rospo per sapere chi fosse quel misterioso ragazzo ma l’unica cosa che riuscì a dire fu -Non lo so…-.

Ma raccontai lo stesso tutto quello che era successo, momento per momento, come adoravano fare loro, perché quando si vivono momenti indimenticabili, unici, bellissimi, felici l’unica cosa che si può volere è condividerli ma soprattutto riviverli con le persone che più si amano e io avevo deciso di dire loro tutto.

 

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Capitolo 6
*** L'inizio di una nuova avventura ***


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L’inizio di una nuova avventura

Non so precisamente perché, ma quella notte non chiusi occhio, tanto ero stata presa nel pensare a quel bellissimo ragazzo e quando, il giorno dopo, entrai in classe fu l’ultima cosa che mi sarei mai aspettata di vedere che comparì davanti ai miei occhi.

-Prego Dawson entri pure e si presenti alla classe-.

Il ragazzo fece un sospiro profondo ed entro in classe. -Piacere a tutti…mi chiamo Alexander ma gli amici mi chiamano Alex…-.

-Perché uno come te hai pure degli amici?!- e partirono lunghe risate. -Grazie Gordon per le sue gentili parole ma in questo momento non ne abbiamo bisogno- affermò il professore Winston, il nostro professore di inglese, e fece segno al ragazzo di continuare.

-Ho 16 anni e ne compirò 17 il 18 ottobre, mi sono trasferito qui da Sant Diego, spero di trovarmi bene perché mia madre ha deciso di voler restare qui per molto tempo…sperando di trovare gente capace di avere un senso di umorismo superiore a quello che ho visto fin’ora-.

Così scoppiò un altro boato di risate (questa volta ridevo anche io), mentre Jack e il suo gruppo di fans guardavano malevolo il nuovo arrivato. Anche gli amici di Jack risero alla battuta di Alex e quando Daniel toccò la spalla del suo migliore amico disse divertito -Quel ragazzo ti ha battuto…ammettilo!!-. Persino il professore si trattenne il suo sorrisino dicendo al nuovo ragazzo di trovarsi un posto e sedersi.

Era stata la prima volta che qualcuno aveva osato ribattere le parole di Jack. Ovviamente la notizia che un nuovo studente aveva fatto infuriare l’asso del basket, il numero uno della scuola, il sogno di mille ragazze, era stata divulgata in poco tempo in tutta la scuola e gli studenti erano tutti curiosi di vedere questo ragazzo. Ma la persona più sconvolta in quel momento non erano loro, né Jack che infuriato, dopo la lezione di inglese, era uscito senza più ritornare in classe…la persona più sorpresa di tutte ero proprio io!!

Quando Alex entrò in classe la prima volta, sapevo che in quello stesso istante le mie amiche mi guardarono sorprese quanto me, ma io non dissi niente fino all’ora di ricreazione.

-Ehi! Summer sei qui con noi o nel mondo degli innamorati?- mi disse Katie mentre mangiavamo il pranzo, alzai piano la testa e poi le dissi -Scusa, stavo solo pensando…-. -…al nostro nuovo compagno di classe- rispose per me Marian. -Dai ti posso capire!E' un bel ragazzo ma non capisco perché tu debba restare con quella faccia imbambolata-. -Uffa Katie tu non capisci proprio l’amore!!- s'infuriò Rachel. E se prima era stato il pranzo, ora le due ragazze erano state capaci di trovare un altro pretesto per litigare. -Avanti smettetela!- urlò Marian, lei era sicuramente la ragazza più paziente e calma che allora conoscevo, infatti, fece zittire immediatamente le due ragazze.

-E’ lo stesso ragazzo del passaggio vero?- mi chiese curiosa Libby, lei lavorava per il giornale della scuola ed era di sua abitudine fare mille domande alla gente, però adoravo questo lato di lei perché anch’io, come lei, ero sempre curiosa di tutti e di tutto ciò che riguardasse la scuola o il mondo. -Si esattamente. Però non dovete preoccuparmi per me non mi sono mica innamorata di un ragazzo che ho visto qualche volta e che, per caso, mi ha dato un passaggio!!- dissi io rassicurandole ma Katie rispose,con tono malizioso -Quindi se lui ti avesse dato un latro passaggio…-. -KATIE!!!!-.

 

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Capitolo 7
*** Alex Dawson ***


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Alex Dawson

Occhi verdi chiari, capelli castano scuro corti,sguardo affascinante e dolce. I suoi atteggiamenti erano normali, come quelli di un comune ragazzo che si sentiva uguale agli altri. Il coach di basket Howard l’aveva scoperto giocare sul campo da basket durante il primo giorno di scuola e l’aveva messo in squadra annunciando a tutti che -Quel ragazzo ha un talento innato nel basket-.

Le cose per Jack non si facevano più semplici, e se prima tutte le attenzioni erano rivolte solo a lui adesso gli stavano ritorcendo contro perché cercava in ogni modo di mettere in difficoltà “il nemico”.

C’è anche una cosa che non vi ho detto subito.

Quando Alex si presentò la prima volta in classe, credevo che non si fosse accorto di me, ed invece, quando il professore Winston gli disse di sedersi, lui si girò immediatamente e mi salutò dal suo banco.

Non capì perché ma, quando Jack vide tutta la scena (lui che mi sorrideva, io sicuramente tutta rossa in viso mentre gli rispondevo al saluto), la sua faccia si fece rossa dalla rabbia. Fu così che, quando vide Alex alzarsi e venire da me dopo che la prima campana, che aveva segnato la fine della prima lezione, scoppiò di rabbia dando un pugno sul banco e scappando dalla classe. Io, personalmente, non l’ avevo mai visto in quello stato ma pensai che fosse normale per gli amici vederlo così quando, ad esempio, perdevano una partita di basket o quando non andavano bene gli allenamenti. Quindi potete ben costatare come fui stupita nel notare che furono proprio loro i più sbalorditi dal comportamento dell’amico.

Quando Jack se n’è andò Alex mi venne incontro -Wow! Allora è proprio destino che dobbiamo incontrarci!-. Lo guardai sospettosa e gli chiesi -Non è che già eri a conoscenza della scuola che frequentavo e sei venuto a cercarmi?-. -Non credo di essere molto bravo in questo genere di cose però credo che in un modo o nell’altro ti avrei ritrovata- disse sfacciatamente, così curiosa gli risposi -E cosa te lo fa pensare?-.

-Immaginavo già di ripercorrere le stesse strade...prima o poi mi sarei riscontrato con te- dichiarò sinceramente e allora gli sorrisi -Non te l’ha mai detto nessuno che hai un bellissimo sorriso?-. Non potreste neanche immaginare di quanti e quali colori si tinse la mia faccia in quell’istante, ero vergognosa!!!

-Allora a presto!- mi sussurrò affrettatamente Alex quando uscimmo dalla classe quel giorno.

Le sue parole mi suonarono in testa da quando, passandomi accanto, mi aveva sfiorato la mano ...forse mi stavo solo facendo film. O forse speravo che le sue considerazioni fossero state rivolte solo a me? Io rimasi un po’ impalata mentre lo vedevo scendere le scale in tutta fretta. Ancora non  riuscivo a capacitarmi il perché un ragazzo così carino come lui avesse cercato di attirare la mia attenzione!!

Ero proprio su di giri quando vidi che Jack mi stava fissando in mezzo alle scale come se si fosse fermato di botto. - Dov’è Jack?! Jack muoviti se no ti lasciamo qui!-. Lo chiamavano gli amici ma lui non si mosse finché incrociai il suo sguardo, allora lui si voltò e se n’è andò via.

Quello fu per me un giorno pieno di emozioni, per la prima volta in tutta la mia vita mi sentì davvero felice come non mai e sentì che non sarebbe finito tutto lì: la storia della mia vita stava finalmente dando una svolta profonda, che avrebbe condizionato il resto delle mie scelte.

 

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Capitolo 8
*** Pigiama party ***


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Pigiama party

Dato che sapevamo che la scuola avrebbe preso il sopravvento su di noi per almeno molti mesi, decidemmo di passare più tempo possibile insieme prima che avremmo dovuto passare il resto delle giornate sui libri. Così optammo per un pigiama party in grande stile.

I nostri pigiama party non solo erano aperti a tutti ma erano a tema, un modo come un altro per rendere le cose più speciali, più uniche! Per quella sera il tema era “Las Vegas” quindi immaginatevi il casino che combinammo quella notte a casa di Katie!! (i genitori le permettevano tutto).

Con noi c’erano le amiche di Rachel, Rose e Stephanie, che facevano parte anche loro delle ragazze pon pon, poi c’erano le gemelle vicine di casa di Katie (lei le odiava senza un alcun motivo ma noi la obbligavamo sempre ad invitarle per gentilezza e loro accettavano sempre perché, scoprimmo col tempo, avevano una vera e propria ammirazione per Katie) e le nostre compagne di scuola, Rose e Mandy.

La serata passò tra chiacchiere e sfilate, film come “Ocean eleven” e giochi come il poker (ma era tutto finto… perfino i soldi!), e ci addormentammo solo per le 4 del mattino successivo. Peggio fu quando, due ore dopo, dovettimo tutte svegliarci per prepararci ad andare alla SMHS.

Tutte erano ormai pronte e solamente la sottoscritta si stava ancora preparando, così le altre, per non fare tardi, s’incamminarono. L’unica che mi aspettò fu Marian che, nel frattempo, leggeva il solito quotidiano che comprava sempre il padre di Katie, il signor Sunders.

L’uomo aveva da sempre una grande ammirazione per Marian, la considerava una ragazza seria che, in futuro, avrebbe fatto grandi cose -E’ come se stesse annunciando una profezia- diceva spesso Katie esasperata e guardava la madre severa aspettando che fosse proprio lei a zittire il marito. La madre allora faceva in modo di cambiare argomento -Caro che ne dici se oggi mi accompagni da Sandy? E’ da tanto che non la sento, vorrei riabbracciarla-.

Katie aveva ottenuto sempre tutto ciò che voleva, fin da quando era solo una bambina e non permetteva mai a nessuno di superarla in qualche modo. Questo era uno dei suoi tanti difetti. Anche se non lo ammetteva, era di Marian la più invidiosa. Forse perché credeva che il padre volesse più bene alla sua amica che a sua figlia. Questo le faceva male ma lei non è mai stata un tipo che si lamentava, anzi si è sempre dimostrata forte e sfacciatamente coraggiosa.

Eppure non sapeva che un giorno, non lontano da quello, in lei sarebbero cambiate tante cose.

 

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Capitolo 9
*** L’inizio di un’amicizia e la fine di un’altra ***


8

8

L’inizio di un’amicizia e la fine di un’altra

Quando ancora ero al primo anno, le uniche ragazze che frequentavo erano Libby e Marian.

Da sempre siamo state grandi amiche e, mi dispiace ammetterlo per gli altri, ma senza di loro non avrei mai apprezzato tanto la mia vita quanto allora. Senza di loro mi sarei sentita sola, incompresa ed inutile. “Nessuno si merita di sentirsi così” era quello che mi ripeteva sempre Marian.

Il primo giorno di scuola, quando entrai in classe, la prima persona che conobbi fu proprio lei, Marian Benjamin. Sembrava una ragazza così irraggiungibile: bellissima ed intelligentissima. Aveva lunghi capelli castani lisci che terminavano con dei piccoli boccoli, una pelle chiarissima che faceva risaltare i suoi bellissimi occhi castano-verdi. Le persone non si avvicinavano a lei per il timore di essere troppo inferiori ma lei non ci faceva caso: non dava mai importanza ai pregiudizi della gente che non la conoscevano. L’unica che si avvicinava a lei senza alcun timore era Libby, la ragazza più vivace della classe. “Un tipetto folle”, così la consideravano in classe ma io non avevo paura ad avvicinarmi a loro, cosa avevo da perdere?

Fu così che mi avvicinai a loro ed istaurammo uno splendido rapporto di amicizia: eravamo inseparabili!!!. Con questo però, non intendo che ignoravamo il resto della classe, anzi, era nostro desiderio che ognuna di noi facesse quante più amicizie volesse e con chi, perché capivamo che questo meraviglioso sentimento chiamato “amicizia” era ancora più magico se condiviso con altre persone. Per la prima volta capì di aver trovato finalmente delle vere amiche che non mi avrebbero mai deluso.

Fu allora che conobbi Jack Gordon. Conoscerlo fu il mio sbaglio più grande: era terribile!! Mi prendeva in giro ad ogni momento del giorno, provocandomi in ogni modo possibile, perché sapeva che mi avrebbe dato molto fastidio e ciò gli permetteva ancora più popolarità da parte degli studenti più grandi che non si dispiacevano nel vedere me, una piccola liceale, messa in ridicolo davanti a tutti. Ad aumentare la dose delle sue attenzioni e quindi, delle sue cattiverie, fu soprattutto l’opportunità di entrare a far parte della squadra di basket della scuola.

Dannazione! Quel pomeriggio non avrei dovuto esserci a scuola, ma attendevo una mia compagna di classe Rose che voleva vedere a tutti i costi gli allenamenti di basket. Soprattutto per vedere lui. Tutto ciò era alquanto imbarazzante ma dovevo farlo, gliel’ avevo promesso da tempo.

Con mia grande sorpresa vidi che non eravamo le uniche ad aver deciso di restare a scuola per guardare gli allenamenti...anzi lo stadio era quasi pieno di fans esultanti della squadra!!!

Era straziante sentire la mia amica ripetutamente dire -Oddio, oddio, oddio...sta guardando, sta guardando...e soprattutto sta guardando verso di noi!!!-. Avevo quasi perso la voce per cercare di dirle, in tutti i modi possibili, che si stava sicuramente sbagliando.

Quando finalmente ce ne andammo, mi ricordai di aver dimenticato il libro di matematica nell’armadietto così corsi a prenderlo mentre lei mi avrebbe aspettato all’uscita.

Per il giorno dopo il professore Herbert ci aveva assegnato un sacco di esercizi che avremmo dovuto correggerli personalmente in classe (lui lo faceva soprattutto per mettere in difficoltà i ragazzi che i pomeriggi avevano gli allenamenti di basket. Non sopportava l’idea che il giorno dopo si presentavano sempre a mani vuote nella sua materia).

Il tempo di prendere quel mattoncino di pagine che, quando chiusi l’armadietto, mi venne un colpo nel vedere Jack appoggiato all’armadietto di fianco al mio che mi fissava. Mi guardava con quel suo solito sorrisetto strano alzando il lato destro delle labbra, come quando stava progettando una delle sue diavolerie e io fossi la povera vittima ignara di tutto.

-Ciao mostriciattolo! Lo sai perché oggi sono così felice?- mi chiese d’un tratto, era una domanda a trabocchetto? -No, illuminami… Hai intenzione di cambiare scuola? Ma non dovevi! Al mio compleanno manca ancora così tanto! Comunque non devi preoccuparti per me, starò benissimo-.

Mi guadò accigliato e rispose con amarezza -Ti piacerebbe… Sfortunatamente resterò qui ancora per molto-.

-Allora spero che resterai sempre unico nel tuo genere perché sono quelli come te che non riesco a sopportare-.

Quando conclusi la frase non sentì né una battutina né una risposta. Lo guardai meravigliata e vidi che non vi era gioia o follia in quel suo volto da bambino. Non ebbi alcun modo di pensare al perché continuasse a restare muto. Si voltò e se n’è andò via.

Quella fu la prima volta che lo vidi triste, quasi sembrava dispiaciuto per quello che avessi detto perché forse aveva intuito che, le mie parole di disprezzo, erano tutte vere.

L’avevo ferito veramente e non riuscivo a capire perché l’avesse presa tanto… Io gli rispondevo sempre così! Passavano i giorni e lui non mi rivolse più neanche una parola, un insulto, niente. Per un attimo pensai che avesse preso di mira un’altra poverella ma mi sbagliai, io ero stata l’unica oltre a Benny, il secchione numero uno della scuola, ad essere sempre stata presa in giro da lui.

Se prima lui, durante le lezioni, si girava e mi gettava addosso delle palline di carte per far ridere l’intera classe, da quel momento lui non si voltò più. Mi evitava, faceva finta di non vedermi come se non fossi mai esistita e, la cosa peggiore, fu che non compresi mai perché, per il suo comportamento, soffrivo tanto: non era ciò che avevo sempre voluto?

Lo guardavo spesso durante le lezioni che avevamo in comune (che, sfortunatamente, erano quasi tutte) e spesso mi domandavo cosa avessi fatto per meritarmi tanto.

-Ciao mostruosa come va?- mi diceva spesso Meg, la ragazza più popolare tra le ragazze di prima. Da quando Jack mi chiamava “mostriciattolo”, le persone l’ho imitavano chiamandomi con nomignoli molto simili al suo per dimostrargli che lui era sempre il migliore.

Meg aveva da sempre una cotta per lui e questo di certo non mi facilitava le cose. Se adesso non era più lui ad insultarmi c’era sempre una riserva.

-Allora hai saputo mostruosa? A quanto pare sei capitata nell’anno dei vincenti, non che tu lo sia, però sei stata fortunata. Quando ti farai una vecchia rugosa racconterai ai tuoi nipotini, sempre se riuscirai a trovarti uno straccio di ragazzo, delle meravigliose creature che vissero durante il periodo scolastico del liceo…-. -Wow! Sarà dura dire a dei bambini così piccoli che ai nostri tempi la scuola era infestata da serpenti molto velenosi che sventolavano dei pon pon e da scimmie che non smettevano di arrampicarsi su di un cestino- disse divertita Libby mentre io e Marian ridevamo.

-Ahah che ridere! Raccontalo ad un altro questa- poi si rivolse di nuovo a me, ma prima che continuasse a parlare gli domandai poco curiosa -Perché dovrei sentirmi fortunata nell’essere nata nel tuo stesso anno serpe? Cioè…volevo dire Meg?-. Mi guardò con il volto in fiamme ed infine mi rispose -Durante la prossima settimana ci sarà la prima partita di basket di Jack e io andrò ad appoggiarlo come ragazza pon pon e ovviamente come la sua ragazza. Insieme vinceremo-.

-Casomai vince lui!- rispose Libby ma ormai lei già se n’è era andata indignata ed io ero rimasta a bocca aperta.

- Summer che ti succede?- mi chiesero preoccupate Marian e Libby, -Fai quasi paura con quella cera, non è che stai poco bene?- mi chiese Libby.

Non riuscì a dire una sola parola perché il cuore mi martellava le orecchie, mi faceva male quasi dovesse esplodere da un momento all’altro. Mi alzai e scappai in bagno.

Non diedi molta importanza a chi avessi trovavo durante il mio tragitto, dovevo rinchiudermi subito da qualche parte a pensare. Quando mi lasciai dietro la mensa ed entrai in bagno, mi sedetti su di un water, chiusi la porta a chiave e non ci uscì fino all’ora successiva quando rincominciarono le lezioni.

Durante quell’ora pensai a tantissime cose senza però darmi una risposta sicura. Quel giorno Jack mi avrebbe voluto dire che era riuscito ad entrare nella squadra di basket, ma perché si era comportato in quel modo? Ci teneva così tanto a dirmelo? Cosa si aspettava che facessi se me lo avesse detto?! Certo non potevo congratularmi con lui visto che ci odiavamo. O ero solo io ad odiarlo? Forse neanche io l’ho mai odiato veramente…No! Che mi succede? Io devo odiarlo, dopo quanto mi aveva fatto passare!! Non capivo neanche più i miei sentimenti, per caso mi ero innamorata del ragazzo più odioso della scuola? Non era possibile! Eppure, quando a mensa avevo ascoltato le parole di Meg che dicevano di essere “la sua ragazza”, non avrei mai immaginato di provare quella strana sensazione come se mi sentissi quasi mancare l’aria, come se avessi sentito un grosso vuoto dentro lo stomaco che non riuscivo a spiegare. Ero gelosa? Tutto ciò non era possibile e conclusi così i miei discorsi perché sentì la campana annunciare l’inizio delle lezioni.

Mi avviai da sola, lungo il corridoio. Mi sentivo triste e abbattuta. Entrai dopo circa venti minuti di ritardo in classe e feci le mie scuse al professor Gregory (che non servirono a nulla perché mi mise una nota) e mi sedetti al mio posto. Tutta la classe mi guardava, forse perché avevo ancora il viso un po’ pallido, ma non ci feci molto caso perché l’unica cosa che al momento volevo dimenticare era l’unico ragazzo che non si era girato ad osservarmi, Jack Gordon.

 

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Capitolo 10
*** Un brutto ricordo ***


9

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Un brutto ricordo

Passarono quasi due anni da quando io e Jack ci ignorammo definitivamente. Stavamo crescendo, anche se non ce ne rendevamo conto.

Lui si tagliò i capelli castani e li tinse di nero, la sua statura incominciò a farsi più alta e i suoi lineamenti più duri. Il suo comportamento era uno di quelli che i professori contestavano sempre: aveva un’indole indipendente, odiava seguire le regole e spesso si cacciava nei guai. La maggior parte delle volte, però, se la cavava grazie all’intervento del coach che lo seguiva in tutti gli spostamenti.

Se c’era qualcuno in quella scuola che ci teneva a Jack quanto i suoi amici era proprio il coach Howard che tentava di tenerlo lontano dai pericoli. Eppure a me sembrava che se li cercasse da solo soprattutto quando a lezione c’era il professor Gregory : lì dava il suo meglio.

Io, nel frattempo, mi feci poco più alta, dimagrì e iniziai a truccarmi ed aggiustarmi i capelli (una volta li legavo sempre, poi decisi di lasciarli sciolti). Mi feci senza dubbio più carina, più femminile.

Lui invece diventò un ragazzo bellissimo, nessuna ragazza riusciva a pensare il contrario; anzi, trovavano nel suo essere imprevedibile e poco affidabile, una grande fonte di fascino. Persino Marian e Libby, sempre state indifferenti alla sua persona, mi rivelarono un giorno che lo trovavano molto affascinante.

Io non feci più caso ai miei sentimenti, avrei dovuto reprimerli per sempre. Ero tranquilla perché ero convinta di esserci riuscita. A volte mi capitava di sognarlo senza volerlo, io e lui di nuovo insieme, illudendomi che il giorno dopo avrei ritrovato tutto come prima, come se non fosse mai successo nulla.

Ma niente di tutto ciò accadde.

Incominciai ad illudere me stessa soprattutto quando pensai che forse, in fondo, anche io avrei potuto avere una chance per stare con lui. Ma compresi che ciò non era possibile.

Non sarei mai potuta essere la ragazza giusta per lui. Accanto a Jack potevano esserci solo un certo tipo di ragazza: popolare, ricca e bella come Meg, e io certamente non ero così.

Quando io e lui ci ritrovavamo nella stessa classe, sembrava che il tempo non passasse mai e, invece, avrei voluto che corresse.

Nessuno più pensò all’altro. Dovetti ammettere a me stessa che era più difficile di quanti pensassi : ogni cosa all’interno della scuola rievocava un suo ricordo. Il giorno che mi buttò un secchio d’acqua in testa, quella volta che mi tolse la sedia dal tavolo della mensa mentre stavo per sedermi (fu velocissimo), persino il corridoio del mio armadietto mi rammentava suoi ricordi. Una volta, ad esempio, scivolai perché lui lasciò appositamente una banana sul pavimento, e io, da vera stupida qual’ero, non mi accorsi di nulla finché non feci una brutta caduta che mi costò, non solo dei dolori fortissimi, ma un bel livido viola sul sedere. In effetti, un po’ tutto mi faceva ricordare quei suoi stupidi giochetti.

Uno fu diverso dagli altri, il ricordo più brutto eppure quello più imbarazzante: un pomeriggio, dopo che la campana suonò la fine dell’ultima lezione, mi ritrovai da sola in classe ad aiutare la professoressa Nancy a riporre i suoi libri nello studio degli insegnanti. Lasciai, involontariamente, la mia borsa sul banco. Quando tornai a casa mi accorsi che dentro alla borsa, c’era una lettera bianca con un rosa rossa attaccata con lo scotch. Curiosa la aprì e lessi quella che doveva essere una dichiarazione d’amore: possibile che esisteva una persona che mi trovasse interessante?

La lettera diceva che avrei dovuto incontrarmi con lui, durante l’ora di spacco, nella sala delle celebrazioni dove avvenivano i discorsi di apertura della preside e dove si allestivano le feste o gli spettacoli teatrali della scuola. Cosa avrei dovuto fare? Accettare o buttare la lettera nel cestino?

Al momento immaginavo i commenti che avrebbero fatto le altre “ Summer dovresti buttarti e non tirarti indietro come fai sempre”.

Così decisi di andarci ma feci la più grande stupidaggine del mondo. Ovviamente era tutto uno scherzo di Jack.

Ricordo ancora quando lui si avvicinò a me e disse ridendo -Tu e Benny state proprio bene assieme-. Dovevo aspettarmelo, non sono mai stata una ragazza molto fortunata. Non riuscì neanche a trattenere le lacrime così, senza pensarci due volte, mi voltai e scappai via.

Sapevo che tutti i suoi amici, che avevano assistito alla scena, mi videro piangere, ma ormai non me ne importava più nulla. Volevo sprofondare, volevo scomparire, non aver mai aperto quella dannata busta! Quando uscì da scuola non mi voltai mai indietro.

Quella sera, mentre studiavo (mangiai tanta cioccolata), sentì battere qualcosa alla finestra. Andai a controllare e lo vidi. Un’immagine di terrore si dipinse sul mio volto: avrei dovuto ucciderlo allora! Ma non lo feci (fortunatamente per lui). Aprì la finestra e, senza dargli il tempo di parlare, gli dissi che se ne doveva andare al diavolo. Ma lui non si arrese e mi lanciò quanti più sassolini poteva al mio finestrino, allora io accesi lo stereo e lasciai la musica a palla per non essere più disturbata da lui.

Dopo circa tre ore mi accorsi che lui continuava a tirare sassolini, non si era ancora arreso all’evidenza. Sapevo che era un ragazzo testardo, ma non credevo fino a questo punto!

Mia madre mi pregò di parlargli: lo trovava molto romantico il gesto. Per non parlare di Nathan! Lui credeva persino che fosse il mio ragazzo! -Su sorellina, dagli un’altra possibilità- mi diceva ridendo a crepapelle. Così esausta, dopo cena, uscì nel giardino e lo vidi intento a cercare nuovi sassolini da lanciare alla mia finestra.

-Eccone un altro!-.

Stava parlando da solo e ignorava le guardate curiose dei vicini. In effetti, un po’ mi faceva tenerezza…ma solo un po’!

-Si può sapere che ci fai ancora qui a quest’ora? Neanche tua madre ti sopporta più?-.

Finalmente si voltò. Se fosse stato un altro ragazzo ad avermi sorriso in quel modo, forse avrei pensato che lo avesse fatto perché era felice di vedermi.

Lui continuava a guardarmi, forse sperando che cambiassi il mio tono freddo, ma non lo feci. Lo sentì fare un respiro profondo, mentre si appoggiava delicatamente ad una colonna.

-Finalmente! Non ne potevo più…ti cercavo perché... ecco…-. -Mentre mi dici che ci fai qui mangia questo panino, l’ha fatto mia madre per te-. -Gentilissima signora…non come sua figlia ovviamente- disse sorridendo.

Io, però, continuavo ad essere rigida e fredda. -Guarda che me lo riprendo- gli dissi, così incominciai a correre dall’altra parte del giardino ma lui mi raggiunse subito.

Non me ne resi conto all'istante ma lui mi fermò abbracciandomi da dietro e stringendo entrambe le sue braccia attorno alle mie. Io ero immobile, perché il mio cuore stava impazzendo?

-Ti ricordo che sono un ragazzo molto sportivo-. -E io ti ricordo che è me quella che stai abbracciando, se passa qualcuno che conosci, non ti darà fastidio se ci vedrà insieme?-. -Che dici? Non potrebbe mai importarmene-.

Cosa avevo sentito? Ma lui, rendendosi conto solo all’ora di ciò che riferì, si corresse immediatamente staccandosi da me e dicendo -Hai ragione, la notizia farebbe troppo scalpore “Il magnifico Jack nelle grinfie del suo mostriciattolo”- e scoppiò a ridere. Io rimasi zitta a fissarlo, questa volta esasperata dal suo ego. Lui mi guardò, capì che era il momento di essere seri.

- Daniel voleva che ti chiedessi scusa ma sinceramente non capisco il perché. Io oggi mi sono divertito e continuerò a divertirmi perché sono giovane e bello e mi piace ridere. Se Dio mi ha fatto così, prenditela con lui-. Dopodiché strappo dalla mia mano il panino che avevo e si avviò verso il sentiero che conduceva al piccolo cancello e, senza voltarsi, agitò due dita in aria in segno di saluto.

Stavo rientrando dentro quando lo sentì urlare -Sogni d’oro piccolo mostriciattolo!-.

Se c’era una cosa evidente del carattere di Jack era il suo orgoglio: non era mai riuscito a chiedere scusa a nessuno ma questo io ancora non lo sapevo.

 

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Capitolo 11
*** Katie e Rachel ***


10

10

Katie e Rachel

-Guardate! Non è incredibilmente bella?-. 

-Si hai proprio ragione! Mi hanno detto che il suo nome è Katie Sunders, è  la figlia di Tom Sunders, il proprietario della miglior banca di Santa Monica. Mio padre dice che è l’unico uomo di cui si possa mai fidare nel mondo degli investimenti-.

Quando sentimmo quelle ragazze parlare tra loro, io Marian e Libby ci girammo curiose a guardare chi fosse questa ragazza. Alta, bionda, occhi verdi, sempre alla moda, ricca fino al midollo: Katie Sunders era invidiata da molte ragazze perché otteneva sempre tutto ciò che voleva. Non solo per le cose materiali, lei stessa si era dimostrata capace di essere una persona responsabile e poco superficiale premiandosi come  presidente del consiglio studentesco. Il suo incarico era per lo più quello di organizzare feste o eventi. Lei era molto brava in questo: le feste organizzate da lei erano tutte bellissime.

Tuttavia se da un lato tutti i ragazzi erano attratti dai suoi modi di fare, dall’altro questo suscitava invidia e antipatia da parte delle ragazze che la trovavano un tipo orgoglioso, egoista e altezzoso. In effetti era quello che credevo anche io: la vedevo molto spesso fare la preziosa con i ragazzi, sfruttare la gentilezza dei ragazzi più piccoli ordinando loro di farle i compiti o di andarle a prendere il pranzo. Eppure quando la vedevo, credevo fermamente che non poteva essere così perché c’era un non so ché nei suoi modi di fare, nei suoi sguardi che nascondevano qualcosa di meno perfetto di quello che dimostrava.

A conoscerla fu un caso. Non sono mai stata un asso nello sport o in qualche disciplina.

Marian era molto brava a scuola, adorava soprattutto la letteratura. Libby invece era molto brava negli sport come la pallavolo.

Io invece mi distinguevo sempre. Non eccellevo né per lo studio né per gli sport. Mi reputavo una ragazza in gamba, perché comunque andava, riuscivo sempre a strappare una sufficienza. Nello sport non davo certo del mio meglio quando Jim, il nostro professore, (si faceva chiamare per nome) ci diceva di fare dei giri di corsa attorno alla palestra. Abitualmente, dopo due giri, incominciavo a rallentare fino a fare delle vere e proprie passeggiate lungo i bordi della palestra.

L’unica ragazza che seguiva il mio esempio era Katie che, benché avesse un fisico molto atletico, non adorava correre o, in qualche modo, sudare. Così spesso ci sedavamo sugli spalti (lontane dalla vigilanza di Jim) e parlavamo di tutto quello che ci succedeva giorno per giorno.

Avevo sempre pensato che lei avesse una vita perfetta: dei genitori ricchissimi che le permettevano qualunque cosa senza mai dire di no, tutti i ragazzi più grandi e carini della scuola ai suoi piedi e tutte le ragazze ammirate che provavano ad imitarla. Invece non era così. I suoi sorrisi nascondevano turbamenti, incertezze, tristezza e paura. Non era una ragazza felice e mi ci volle un po’ di tempo per capirlo. Un giorno la trovai piangere nel bagno delle ragazze: era sola e nessuno le era accanto. Piangeva perché non ne poteva più della sua vita, le sembrava così vuota.

Così le permettemmo di entrare ufficialmente nel nostro piccolo gruppo: eravamo così felice di averla tra noi. Ben presto Katie imparò che, quello di cui aveva più bisogno, era l’affetto di un’amica.

 

Rachel si trasferì a Santa Monica solo l’anno seguente. Era sempre stata un ragazza molto determinata. Come nella scuola precedente, Rachel aveva deciso che sarebbe diventata “qualcuno”, non voleva essere considerata come tutte le altre. Così fece i provini per le ragazze pon pon (le cosiddette cheerleader) ed entrò immediatamente nel loro gruppetto.

Durante il pranzo, Marian ci aveva dichiarato che avrebbe provato anche lei ad entrare tra le cheerleader. Io e Libby pensavamo che lo volesse fare per cercare di superare le sue paure come quella di ballare davanti a un pubblico; in seguito scoprimmo che lei aveva fatto una scommessa con Katie. Se entrava tra le cheerleader Katie avrebbe chiesto a Daniel, il migliore amico di Jack per cui Katie aveva una cotta dalla prima, di uscire con lei.

Nonostante l’impegno di Marian non superò le selezioni. Era completamente negata: non solo non riusciva a seguire il ritmo ma sbagliava anche tutti i passi. -Almeno c’ho provato- ripeteva ad alta voce più a se stessa che a noi.

Durante le audizioni, tutte le ragazze miravano a vincere. Solo Rachel non era preoccupata:sapeva di avere la stoffa della cheerleader.

Molte erano le ragazze che desideravano diventare sue amiche. Infatti ci risultò strano che fu proprio Marian a fare subito amicizia con lei.  Era strano perché le ragazze come Rachel, erano considerate il classico tipo popolare e snob (come Katie, ma lei non era mai stata amica di Megan), che il resto della scuola detestava (soprattutto da me) e perciò avrebbe potuto prendere in considerazione ben altre amicizie.

Fortunatamente era diversa da ciò che appariva. Ma se entrare a far parte delle ragazze pon pon significava essere conosciuti da tutti, lei divenne ben presto una di quelle persone che non ne poteva di fare a meno di tante attenzioni. Ma le non si pentì mai di aver scelto di stare con noi piuttosto che con il gruppo dei più popolari della scuola, il gruppo di Megan e di Jack.

Lei aveva sempre avuto un buon intuito su tutto ciò che le circondava: dall’amicizia all’amore. Ad esempio, quando vide per la prima volta Justin, affermò che non era per niente il suo tipo ma che avrebbe voluto tanto un ragazzo come lui (un po’ contorto, lo so). Così si fidanzò con Justin. Passarono tre anni e ancora andavano d’amore e d’accordo.

Così come l’amore, l’amicizia tra noi cinque non finì mai. Incidemmo le nostre iniziali sulla corteccia dell’albero dove più ci piaceva stare durante le ore di riposo. M+L+S+K+R=amiche 4ever e così sarebbe stato per sempre.

 

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Capitolo 12
*** Il primo appuntamento ***


11

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Il primo appuntamento

-Sono pronta!!-.

Scesi le scale e giunsi davanti alla porta d’ingresso di casa Sunders. -Finalmente! Non ne potevo più di spettarti, stavo quasi pensando di lasciarti qui- mi gridò di rimando Marian.

-Non l’avresti mai fatto, purtroppo mi vuoi troppo bene- la guardai sfoggiando il mio lato più affettuoso, dandole un bacio leggero sulla guancia.

-Arrivederci ragazze e buona scuola! Mi raccomando, mi fido su di voi per la sicurezza di Katie. Mia figlia ama cacciarsi nei guai-. La madre di Katie ci salutò ancora.

Scesi gli ultimi scalini del bianco marmo della bellissima casa, Marian guardò l’orologio, il suo volto diventò una maschera di paura. La guardai e ridendo le dissi -Lo sai che con questa faccia saresti perfetta per Halloween?-. Mi guardò ancora più severamente e disse -Se vedessi che ore sono non rideresti più!-.

Non fu facile il tragitto sino a scuola.

Io e Marian ci lanciammo in una corsa contro il tempo. Riuscimmo ad entrare per un soffio allo scoccare della campanella.

La giornata passò tranquilla senza altri imprevisti.

Mi sentivo serena perché ogni momento che passava scoprivo un nuovo aspetto del carattere di Alex che mi appariva sempre più interessante. Col tempo riuscì a liberarmi della mia timidezza ed accettare la bellissima realtà che si presentava davanti ai miei occhi. I giorni passavano e ogni secondo di più mi sembrava che non fosse mai abbastanza da contenere tutte le emozioni, le gioie che riuscivo a provare con lui. Ero davvero felice. E la cosa più piacevole fu scoprire che per lui era lo stesso.

Questo lo seppi la sera del nostro primo appuntamento. Ero emozionatissima.

Quella mattina a scuola mi sembrava così nervoso! Non capivo perché si comportasse in quel modo (inciampava spesso, era perso sempre tra i suoi pensieri, e ogni tanto balbettava), poi tutto mi fu chiaro quando mi chiese di fermarmi con lui dopo scuola perché doveva parlarmi. Non pensai certamente ad un appuntamento, tutto mi sembrava già troppo bello per essere vero, anche se Katie mi faceva più volte notare che avevo torto se pensavo che prima o poi tutta quella felicità mi sarebbe stata portata via.

Immaginatevi la faccia che feci quando lui mi chiese, più agitato di quanto non l’avessi mai visto, se volessi uscire con lui quella sera per andare a vedere un film che aspettava da tempo di andarlo a rivedere. Così accettai immediatamente, avevo sognato da troppo tempo quelle parole. Infatti, quando raggiunsi le mie amiche non capivo se avevo immaginato o se era stato tutto vero. Vidi tutte e quattro che mi guardava ansiose, aspettando una qualsiasi risposta uscire dalle mie labbra.

Per un po’ le guardai senza pensare di tralasciare alcuna emozione, poi però non riuscì a trattenermi. Le rivolsi un gran sorriso (era enorme) e loro compresero immediatamente, forse già lo avevo intuito. Urlarono come delle pazze -SI!!!!!!!!!!- e tutti gli studenti,che ancora uscivano dal grande cancello,ci guardavano impauriti. Ma nessuna ci fece caso.

Quello che volevo l’avevo finalmente ottenuto. Per prepararmi al mio primo vero appuntamento invitai tutte le mie amiche ad aiutarmi a scegliere cosa avrei indossato quella sera. Dopo un’estenuante decisione, indossai un top rosa e un jeans grigio a sigaretta, una giacchettina bianca a tre quarti con lunghi risvolti alle maniche e le ballerine bianche con un po’ di tacco. Le mie amiche uscirono poco dopo che arrivò Alex.

Fu meglio così: odiavo aspettare.

Quella sera mi sembrò essere stata troppo breve, avrei voluto restare con lui tanto altro tempo ancora,ma i miei non me lo permettevano. Mi sentivo come una cenerentola che viveva finalmente il suo sogno con il suo principe azzurro per poi sentirsi improvvisamente in ansia quando l’orologio segnava l’ora il ritorno a casa. Fortunatamente Alex era venuto di persona a parlare con i miei rassicurandoli che sarei tornata a casa per le 22:00. Durante il film (il signore degli anelli: il ritorno del re) eravamo stati entrambi talmente presi dalla storia da non pensare che il nostro dovesse essere stato il primo appuntamento.

Quando arrivammo sulla soglia di casa mia discutevamo ancora del film. Mentre parlavamo ci sembrò, però, di essere osservati. Fino a quel momento non avevamo mai avuto imbarazzo, ma proprio in quell’istante non sapevamo cosa fare. Lui agitava le mani nelle tasche guardando da una parte all’altra del giardino facendo osservazioni sulla casa e io, più imbarazzata di lui, decisi di assecondarlo rispondendolo alle domande. Per quella sera lui era bellissimo (non che non lo era solitamente) : indossava una maglia bianca e dei jeans chiari e strappati, una giacca elegante nera e le converse nere.

Finché restai con lui non avevo alcuna necessità di rientrare, ma l’imbarazzo aumentò quando Nat e Jason, il suo migliore amico, rientrarono da Stanford.

Scesi dall’auto, per poco non si presero un colpo: Jason era amico di mio fratello dai tempi del liceo. Lui scelse un’altra facoltà, quella di Barkley. Evidentemente era venuto a trovare mio fratello. Per me lui era sempre stato quasi come un fratello, una volta era sempre in giro per casa a combinare guai con Nat. Ma quella è la loro storia. Comunque l’avermi visto con un ragazzo non fu uno schok solo per mio fratello.

Ci passarono accanto lanciando occhiatacce riferite, ovviamente, solo ad Alex. Appena entrarono dentro casa, Alex mi fece notare -Mi sa che non piaccio tanto ai tuoi fratelli-. Lo guardai e risi -Non ti preoccupare non sono due i miei fratelli, l’altro era il suo migliore amico-. -Non riesco a trovarci un lato positivo a questa notizia-. -Beh potresti pensare che solo uno dei due ha il diritto di sbranarti-. -Spero sia quello più magrolino-. Gli sorrisi e dissi -Allora reputati un uomo fortunato-.

Rientrai a casa poco dopo, io e Alex ci eravamo salutati con un semplice bacio sulla guancia. A me andava bene anche così, quella sera già era stato un grande traguardo per la mia noiosissima vita sentimentale, di certo non l’avrei mai dimenticata. Come sospettavo, a guardare la scena del saluto, c’era tutta la mia famiglia che vigilava sulla finestra di fronte all’entrata. Ma non mi importava. Ero felice e non riuscivo a smettere di sorridere.

Per una volta, la vita mi aveva sorriso.

 

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Capitolo 13
*** Un' inaspettata amicizia ***


12

12

Un’inaspettata amicizia

Durante il tempo che trascorrevo sola con Alex, sentivo che mi stavo legando sempre più a lui. Ovviamente finì con l’innamorarmene perdutamente. Niente aveva più senso se non c’era lui con me.

Le mie amiche conoscevano bene quel sentimento ma sapevo, in cuor loro, che ero abbastanza noiosa quando iniziavo a parlare di lui. Così, quando c'erano loro, cercavo sempre di cambiare argomento. Ovviamente a scuola non mancarono di girare voci che affermavano che io e Alex già facevamo coppia fissa. Ciò era appunto impossibile: lui non mi aveva fatto ancora quella fatidica domanda che aspettavo con tanta speranza.

Con mia grande sorpresa fu Daniel il primo che cercò una conferma.

Alla fine della quarta ora, mi fece segno di seguirlo. Così, mentre tutti si dirigevano a mensa, io e Daniel ci fermammo a parlare in classe.

Fece un lungo sospiro e poi mi chiese, guardandomi dritto negli occhi, -E’ vero quello che si dice qui a scuola? Stai veramente con Alex?-. Lo guardai sbalordita per la domanda che mi aveva posto,così gli risposi tranquillamente -No, io e Alex usciamo insieme ma non mi ha ancora chiesto di diventare la sua ragazza-.

Lo vidi fare un altro sospiro, e molto più sollevato infine dichiarò velocemente -Ok scusa per la domanda-. Ma prima che se n’è andò mi parai davanti a lui e gli chiesi spedita -Aspetta un attimo! Perché desideravi tanto una mia riposta?-. Sembrava che lo avessi messo in difficoltà con questa domanda.

-E’ difficile spiegarti ma ormai non ha neanche tanta importanza, la mia considerala una semplice curiosità-. Una semplicità curiosità? Ma che vuol dire!? Mentre riflettevo sulla sua strana affermazione, non mi accorsi che lui se ne era già andato, lasciandomi da sola in classe con i miei pensieri. Cosa significavano quelle parole?

Poi sentì un rumore forte proveniente dalla mia pancia e mi decisi di non pensarci più ma di dirigermi subito in mensa.

Daniel non fu che il primo di una lunga lista di persone che mi chiesero informazioni sulla mia vera situazione sentimentale.

All’inizio non ci davo tanto peso, poi però, le continue curiosità della gente incominciarono a stufarmi.

Ad alzare il mio tasso di impazienza fu il comportamento di Jack: si comportava come un amico sincero nei confronti di Alex. No so spiegarvi perché, ma quest’amicizia appena sbocciata non mi piaceva per niente. Avevo sempre creduto che la gentilezza di Jack era nata dal fatto che doveva rassegnarsi all’idea che c’era un altro giocatore di basket altrettanto bravo quanto lui e che ne avesse raggiunto la sua stessa popolarità .

Quando ne parlai con le ragazze, loro non furono assolutamente d’accordo con me, come se mi dovessero nascondere qualcosa che io non potevo sapere. -Dai Summer! Non è che preferiamo lui a te ma... E' evidente che loro si trovino d’accordo adesso: fanno parte della stessa squadra e devono divedere lo stesso campo da gioco!- incominciava Katie. -Se ci pensi troppo dai forma alle rughe sul tuo viso prima ancora di essere invecchiata, quindi non ci pensare tanto. Io la penso come Katie: forse Jack ha capito che è stupido continuare a tenersi contro Alex. In fondo sono due brave persone- replicò Rachel.

Dopo aver guardato torva la mia amica mi voltai a guardare Libby e Marian ma loro abbassarono gli sguardi come per fami intendere che, neanche loro, mi volevano dar ragione. Cosa mi stavano nascondendo?

 

 

 

 

 

 

Salve a tutti!!Volevo ringraziare Ethlinn per la sua recensione (non so se ti è arrivato il mio mess di posta elettronica...)comunque non ti preoccupare!! Mi fa sempre piacere avere suggerimenti o commenti sulla mia storia!! Ringrazio anche tutti coloro che stanno leggendo e che continueranno a leggere questa fic... spero vi piacca davvero!!Se volete commentate... accetto anche le critiche!!Kiss ShArY90

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Capitolo 14
*** Il primo bacio ***


13

13

Il primo bacio

Il secondo appuntamento aveva sicuramente un’atmosfera più magica. Soprattutto perché non parlammo di libri, film o scuola. Ma parlammo semplicemente della nostra vita.

Lui mi raccontò di non essere figlio unico: aveva una sorellina più piccola di 6 anni insopportabile (secondo lui),e viveva solo con la madre superprotettiva.

-E tuo padre dov’è?- gli chiesi incuriosita. Lui abbassò lo sguardo e con un tono totalmente nuovo, che non sembrava appartenergli, disse -Mio padre è morto due anni fa in un incidente stradale. Un camionista era ubriaco, così non ha visto la macchina di mio padre e... -.

-Dai lascia stare! Non voglio sentire come finisce. Per te deve essere stata dura, non volevo rievocarti brutti ricordi... Scusa- lo guardai sperando di non aver rovinando la serata con la mia stupida domanda, non avrei dovuto nemmeno pronunciarla, se solo avessi saputo!

-Non ti preoccupare ho già superato il trauma... Io almeno sì ma mia madre no, doveva cambiare posto. Non ne poteva più lì, a Sant Diego. Ogni cosa gli faceva ricordare mio padre-. Quelle parole mi rievocare, involontariamente, quell’essere disgustoso di Jack, e il modo in cui, anni fa, cercavo invano di dimenticarlo anche se tutto mi rievocava un suo ricordo. Ma questo certamente non era il momento più adatto per pensarci.

Guardai Alex sperando in un suo piccolo sorriso e gli dissi -Allora devo ringraziare assolutamente tua madre per aver scelto Santa Monica. Perché sono così felice di averti conosciuto!-.

Come speravo lui mi sorrise. Un piccolo, dolce sorriso e cambiò tutto.

-Hai ragione, devo ancora ringraziare mia madre, vedrò di farlo quanto prima-.

Eravamo sul ponte del Venice Boulevard. Lui mi aveva detto che quello, per lui, era diventato il luogo più bello di quella città. Primo, perché mi aveva incontrata lì (fu dolcissimo...come potevo non adorarlo?) e secondo, perché ci veniva ogni domenica con la bici per ammirare lo splendido tramonto della città.

Quando giungemmo alla fine del lunghissimo ponte bianco. Ci fermammo a contemplare il mare. -Come si sta bene qui. Tutto è calmo, immobile, domina il silenzio assoluto- mi rivelò più tardi.

Mi soffermai a guardare il suo splendido viso che era illuminato dal lampione che ci era accanto.

Lui chiuse gli occhi e fece un gran respiro. -Mi piace questo posto soprattutto quando voglio essere solo senza il disturbo di nessuno- continuò. -Quindi già so che se ti vedrò di nuovo qui non dovrò venire a disturbarti!- gli risposi con ironia.

Lui riaprì gli occhi e si voltò a guardarmi -No... tu sei la mia piccola eccezione-. E poi avvenne.

Mentre gli rivolgevo un delizioso sorriso per le sue belle parole, lui si avvicinò piano piano al mio volto e posò delicatamente le sue labbra sulle mie. Io rimasi di sasso, non mi aspettavo quel bacio. Infatti mi irrigidì all’istante.

Lui non comprese la mia strana “risposta” al bacio e si staccò di poco dalle mie labbra guardandomi confuso -Devo pensare che tu abbia solo freddo o semplicemente che non avresti voluto un bacio da me?-.

Non riuscivo a guardarlo, era troppo vicino al mio viso!! Ma dovevo dirgli qualcosa, lui aspettava una risposta. Così mi feci coraggio, alzai lo sguardo e lo baciai.

Quel bacio era la risposta alla sua domanda.

E stavolta fu diverso. “Il secondo bacio è sempre il più bello” mi ricordo di aver sentito dire da Joey mentre guardavo il mio telefilm preferito dell’epoca Dawson’s Creek.

Finalmente potei ripeterlo anche con le mie parole.

E poi...

Eravamo sotto casa mia.

Da poco ci eravamo salutati, cosi stavo per varcare la soglia di casa quando sentì un braccio tirarmi di nuovo fuori. Ero un po’ spaventata, perché credetti che fosse un maniaco (anche se praticamente ero dentro casa) , ma appena guardai in faccia il proprietario del braccio mi rilassai.

Notai che era piuttosto ansioso. E certamente mi lasciò spiazzata quando sentì pronunciargli -Ok... questa è l’ultima volta che ripeto a me stesso di chiedertelo...vorresti essere la mia ragazza?-.

COSA?????COSA AVEVA DETTO???SOGNO O SON DESTA???

Io ero ancora incantata a guardarlo e non riuscivo ad aprire la bocca (o forse era già aperta). Infatti, senza che me ne rendessi conto pienamente, le mie labbra risposero da sole per pronunciare un semplice ma bellissimo –Si-.

Quando rientrai a casa trovai, al solito, tutta la mia famiglia riunita in cucina che mi spiava dalla finestra. Ma loro facevano finta di niente perché non volevano essere scoperti nei loro ruoli di spioni.

Così quando entrai nella stanza cercai di fare la parte della persona adulta e matura dicendo che dovevano finirla e dovevano rispettare la mia privacy, ma non appena rientrai nella mia camera da letto scoppiai a ridere e la prima cosa che feci fu chiamare le mie adoratissime amiche. 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

***Salve a tutti!!! Chiunque siate spero che questa storia sia abbastanza intrigante da piacervi!! Per favore lasciate commenti!!( vanno bene anche critiche).

C’è una cosa importante che vorrei assolutamente sottolineare QUESTA STORIA E’ STATA INVENTATA DI SANA PIANTA DALLA SOTTOSCRITTA SE PER CASO ALCUNE PAROLE, ESPRESSIONI, O VARI RIFERIMENTI VI SEMBRANO FAMILIARI AD UN’ATRA FIC SAPPIATE CHE TUTTO Ciò E’ STATO SPUDORATAMENTE COPIATO quindi vorrei pregare le persone ad essere più attente (difatti troverete che la mia fic è stata postata prima). Non voglio fare nomi o cose simili ma voglio solo avvertire che mi sono accorta di tutto e che, chiunque sia, deve smetterla di mescolare le mie parole nella sua storia!! Scrivere è anche riflettere noi stessi, le nostre parole, in una storia vera o finta che sia. Dal modo di scrivere si può anche capire come è fatta una persona. Questa sono io e, credo come chiunque, sono unica e non vorrei essere imitata o fotocopiata. Questa non è una minaccia ma solo un suggerimento e un avvertimento: scrivi per quello che sei e non per rendere più “bella” la storia con parole d’altri! Che razza di storia sarebbe, non ti pare?

Ora vi lascio... spero che continuerete a leggere la mia adorata fic!! (che è anche la prima...)***

 

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Capitolo 15
*** Strani avvenimenti ***


14

14

Strani avvenimenti

Il giorno dopo a scuola fu strano. Non ero abituata a sentirmi pronunciare quella maledettissima e bellissima frase che faceva “sto con un ragazzo”. Alle mie labbra sembrava troppo difficile pronunciare quelle parole senza fare anche un sorriso a 32 denti. Le mie amiche ridevano tutte le volte che mi sentivano ripetere quella frase, soprattutto nel guardare la faccia che assumevo nel dirla.

Alex era molto felice, proprio come lo ero io. Tutto sembrava così perfetto! Non credevo che avrei trovato così presto il mio principe azzurro! Perché era quello che credevo...

Ogni mattina mi aspettava appoggiato all’ingresso della scuola, poi si univa a me e alle ragazze nell’ora di spacco e se rimaneva tempo, ci riposavamo sotto al grande albero poco lontano dal grande cancello bianco.

Era tutto perfetto, come l’avevo sempre immaginato.

Ogni tanto poi mi faceva un sorpresa facendosi trovare sotto casa mia con l’intenzione più carina di fare la strada assieme per andare a scuola. Dato che, purtroppo, era a conoscenza del mio scarso rendimento in educazione fisica, percorrevamo le strade sulla sua bicicletta anziché a piedi.

Vi chiedete per caso come facevamo? Beh... lui era seduto sul sediolino e io, dietro di lui, restavo in piedi facendo aderire quanto potevo le mie scarpe ai tubi che si trovavano accanto alle ruote, in modo che, curvandomi leggermente, mi potevo appoggiare sulle spalle di Alex. Ovviamente pregavo tutte le volte che quei poveri tubi non avrebbero mai ceduto al mio peso.

 

Benché tutto questo mi facesse già molto felice, per me la sorpresa più bella di tutte restava la prima.

Una mattina (io e Alex ci eravamo messi insieme solamente la sera prima), scoprii in camera mia una cosa davvero inaspettata: Alex aveva ordinato la sera prima a un bar poco distante da casa mia, di portarmi la colazione personalmente a letto. Infatti quando mi svegliai vidi appoggiato sul “bauletto delle meraviglie” (in realtà era un semplice baule ma io e Nat l’avevamo soprannominato così perché volevamo conferirgli un aria più misteriosa e intrigante, inutile dire che appariva comunque un semplice baule di vimini) un piccolo vassoio bianco.

Rimasi perplessa e avrei continuato a contemplare quel piccolo vassoio con sopra un caldo cornetto al cioccolato che emanava un odore delizioso e un mazzo di rose rosse lasciate accanto ad esso, se non fosse entrato papà che preoccupato mi domandò subito chi avesse potuto pensare di farmi un regalo del genere. Quando scesi in cucina, sollevata per essere riuscita a liberarmi da mio padre, affermando solennemente “deve essere stato sicuramente un errore... ma visto che ormai lo sbaglio l’hanno fatto, io adesso mi pappo tutto”, trovai mia madre canticchiare mentre preparava la colazione così l’avvertì in tempo che non avevo più fame.

Mia madre non mi chiese nulla, sapeva che avrebbe dovuto aspettare poco perché sua figlia le avesse rivelato tutto.

Le mie amiche erano felicissime per me, sapevano quanto per me fosse importante che conoscessero Alex. Infatti in poco tempo, tra di loro, si istaurò una certa complicità.

Mentre io vivevo il mio sogno Alex si abituava alla vita scolastica alla SMHS.

Dopo pochi mesi, notai che lui salutava, per i corridori, non poche persone. Molto spesso poi si fermava a parlare, a scherzava e commentava con gli altri i fatti del giorno o le ragazze che passavano e lo guardavano sperando di essere ricambiate. A vederlo così non mi sembrava fosse giunto solo quell’anno a scuola, anzi non sembrava più l’Alex che conoscevo.

Per il suo dolce carattere, per la sua fama di studente modello e ottimo giocatore di basket giunsero ben presto i suoi giorni di gloria. Un esempio? Quando arrivò il giorno del suo 17° compleanno ricevette un milione di regali (ovviamente furono tutte da parte di ragazze). Il mio regalo (una felpa carinissima) sembrava una stupidaggine in confronto agli altri regali. Se solo avesse saputo con quanto impegno avevo scelto un regalo per lui!

 

Alex non sembrava più il ragazzo semplice e tranquillo che avevo conosciuto. Al suo carattere, mutarono anche i suoi atteggiamenti tranne quelli nei miei confronti: con me era sempre lo stesso, dolce, romantico, allegro ma quando io non c’ero diventava un bullo proprio come lo era Jack. Voleva che il mondo girasse esclusivamente intorno a lui. 

Così compresi troppo tardi che il comportamento di Jack era stato solo una conseguenza alla popolarità che aveva ottenuto nel corso degli anni. Probabilmente lui con gli amici era sempre lo stesso e forse lo sarebbe stato anche con me se non fosse stato per quel banalissimo insulto.

Inoltre non tutti i miei amici presero bene la notizia del mio “fidanzamento” con Alex, come invece era avvenuto con le mie amiche. I ragazzi ad esempio, (Justin, Gabe, Pete e Seth) non sembravano tutti d’accordo sulla mia decisione di stare con Alex.

Si formarono addirittura due blocchi: da una parte c’erano Justin e Gabe che mi dicevano di lasciarlo perdere, che Alex non era un ragazzo adatto a me. Mentre dall’altro lato c’erano Pete e Seth che mi dicevano di lasciar perdere i suggerimenti dei loro amici che erano solo un branco di scemi.

Continuavo a non capire cosa ci fosse di male. E’ vero, Alex era stranamente perfetto da ogni punto di vista (a volte non riuscivo a capacitarmi come io avessi potuto avere tanta fortuna ad incontrare uno così): dolce, premuroso, gentile, intelligente e divertente. Era proprio come l’avevo sempre sognato (il mio principe azzurro, intendo).

Perfino Benny mi venne vicino a fare le sue più care congratulazioni.

E volgendomi la sua mano mi disse -Sono assolutamente convinto che tu abbia fatto la cosa più giusta, non dare retta a chi ti dice che avresti fatto meglio ad aspettare quello zotico di...- ma non riusciva mai a finire la frase perché interveniva sempre qualcuno a riempirlo di sberle. Dai ragazzi un po’ me l’aspettavo ma dalle cheerleader no!

-Senti brutto ficcanaso perché non ti stai zitto per una buona volta? Qui nessuno è interessato ai tuoi luridi commenti inutili...e ora SPARISCI!!- urlò infuriata Megan lasciando il colletto della camicia di Benny.

La guardai impaurita (faceva davvero paura, più di quanto possiate immaginare) e aspettai che qualcuno fosse pronto a soccorrermi quando mi accorsi che la iena mi guardava in modo diverso da come faceva di solito.

Nel suo volto c’era solo malinconia e tristezza.

Mi guardava come se fosse appena stata ad un funerale. Non è che stava progettando di uccidermi?

Ad un tratto dal corridoio adiacente, senza che me ne accorgessi, spuntò la figura alta di un ragazzo che fece segnò a Megan di allontanarsi e di andare via.

Divenni rossa come un peperone quando mi voltai a guardare chi fosse stato, perché tutto mi sarei aspettata fuorché lui.

-Avanti Megan lascia perdere, è tempo sprecato-.

Le sue parole erano così vuote, piene di tristezza, un tristezza che non sarei riuscita a spiegare bene.

Per la prima volta, dopo circa due anni fa dalla nostra ultima conversazione, vidi Jack veramente abbattuto e depresso. Non sembrava più lo stesso ragazzo di una volta.

Lui non mi guardò mai in faccia ma le sue parole e il suoi modi di fare mi fecero male come se mi bruciassero in petto perché, in qualche modo, mi avevano ferito molto.

Perché non aveva più voglia di perdere tempo con me?

Se un attimo prima ero tanto allegra, l’attimo dopo mi sentì improvvisamente infelice. Perché mi sentivo in questo modo ogni volta che sentivo la sua voce, ogni volta che lo guardavo? Perché sentivo ancora la sua mancanza?

Ma non era ancora tutto finito, almeno per quel giorno.

Vidi una cosa che pensavo non avrei mai immaginato di poter vedere con i miei occhi. Se qualcuno me lo avesse raccontato, mi sarei sicuramente messa a ridere.

Megan incominciò a piangere, una lacrima scendeva sull’altra velocemente, come se avessero aspettato quel fatidico momento per poter essere usate.

Per chi erano quelle lacrime così amare?

Allora guardai Jack che sembrava davvero dispiaciuto per quello che stava accadendo. Ma veramente era lui o stavo solo sognando come avevo fatto spesso? La risposta apparì scontata:era tutto vero.

Scorgevo dalla mia perfetta postazione lo sguardo ferito di lei che piangendo, guardava Jack e lui, tranquillo come se non stesse succedendo nulla, guardarla senza dire una parola. Non avrei mai dimenticato quell’insolita scena.

Ad un certo punto, però, Jack scocciato dalla situazione che stava diventando sempre più seria, prese per un braccio Megan e la portò via. Sembrava che si stesse arrabbiando seriamente con lei.

Perché piangeva e cosa significavano quelle lacrime?

Quando quella scenetta scomparve davanti ai miei occhi, mi accorsi troppo tardi che non ero stata l’unica ad aver visto tutto.

L’intera scuola si era ammassata ai lati del corridoio per guardare l’intera faccenda con i loro occhi. Adesso però guardavano me. Ed io ero più confusa di loro riguardo a ciò che avevo appena visto.

Mi girai e incrocia gli sguardi delle mie quattro migliori amiche che mi guardavano triste e abbattute, come se avessero sempre saputo che sarebbe capitata una cosa del genere da un giorno all’altro.

Dannazione a quello stupido di Benny! Se solo non si fosse avvicinato a me mentre passava Megan. Un secondo più tardi sarebbe stato meglio!

Eppure qualcosa mi diceva che era stato giusto così; che quello sarebbe stato solo l’inizio delle varie complicazioni che mi avrebbero tenuta come protagonista. Sentivo che ero all’oscuro di qualcosa che dovevo mettere assolutamente alla luce.

Ma come mi sarei sentita dopo averlo scoperto? Sarei stata più felice o più depressa? La scelta dipendeva da me e come sapete ho un brutto difetto. Sono troppo curiosa.

 

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Capitolo 16
*** La dura verità ***


15

15

La dura verità

Nel corso dell’autunno le giornate si facevano più fresche e molto spesso tirava un forte vento che faceva rabbrividire tutti.

Fu un giorno di questi a sconvolgermi i miei dolci sogni con Alex. Ero sotto al grosso albero con le mie amiche, stavamo parlando del più e del meno, quando mi feci coraggio e domandai loro se sapevano cosa fosse successo quella volta nel corridoio.

Non furono le uniche a cui chiesi delle spiegazioni.

A molte altre persone posi quella domanda ma nessuno sapeva darmi una risposta certa o vera. Altri mi evitavano o inventavano scuse per non essere interpellate in alcun modo. Nemmeno Alex, che mi sembrava sapesse la verità (date le numerose conoscenze che aveva fruttificato durante l’anno scolastico), mi disse di non sapere nulla di quella faccenda. Mi fidai delle sue parole, probabilmente, come diceva lui, non era a conoscenza di nessun fatto insolito che valesse la pena conoscere. Ma sapevo che le mie amiche non potevano fingere con me. Ci sarei rimasta troppo male e loro lo sapevano bene che ero un tipo abbastanza permaloso. Così approfittai di quel momento per sapere finalmente tutta la verità.

Marian e Rachel erano appoggiate all’albero, Kate era distesa a terra con la testa appoggiata sopra le gambe di Marian. Libby, invece, era distesa lungo l’erba davanti a loro. Erano tutte tranquille e serene, almeno fino al momento in cui mi alzai e mi inginocchiai davanti a loro, come quando dovevo dire qualcosa di importante. Forse già sospettavano cosa avrei voluto dire.

-Bene! Ragazze è giunto il momento che almeno qualcuno di voi abbia il coraggio di dirmi la verità. Non ne posso più dei vostri sotterfugi, io voglio sapere cosa è successo l’altra giorno per il corridoio…- e vedendo che fingevano di non sapere, continuai -…tanto per la cronaca, è inutile che fingete, so benissimo che sapete qualcosa in più che io non so, ve lo si legge negli occhi!-. -Da quando ti dai alla psicologia?-. -Libby ti prego non cambiare discorso!- la mia voce ormai era diventata isterica, non ce la facevo più a restare zitta. Dovevano dirmi pure qualcosa!

-E’ va bene te lo diciamo, mi sono scocciata anche io di stare in silenzio- disse Katie alzandosi dalle gambe di Marian che impallidì all’istante. -Katie che cosa vuoi fare? Dirle tutta la verità? Ma sei impazzita o cosa?- le gridò furibonda Rachel. -No ti sbagli, io farò una cosa che nessuno di voi ha avuto il coraggio di fare:le dirò la verità. Restare all’oscuro di un fatto che, a parer mio è ormai insignificante, è stupido. Soprattutto noi che siamo le sue migliori amiche, avremmo dovuto dirle tutto da subito!!-. -Aspetta Katie, almeno lascia spiegare a me i fatti, penso di essere la persona più adatta a dover raccontare ogni cosa dal principio-. Cercò di intervenire Libby per fermare Marian ma lei la fulminò con uno sguardo.

La faccenda stava diventando troppo seria per me.

-Aspettate ragazze! Devo sistemarmi!- le dissi ironicamente (in realtà mi sedetti nel modo più comodo possibile: con il sedere per terra e le gambe incrociate). Notai che le ragazze incominciavano a osservami in malo modo e ad essere impazienti.

-Ok sono pronta… Mi stai per dire che sono la nuova Sailor Moon, vero?- dissi speranzosa. L’unica che non si trattenne dal ridere fu Libby che però si zittì immediatamente per volere delle altre più che per volere suo. -Lo so che ti sembrerà esagerato…- incominciò Marian.

-Esagerato? Sembra che mi dobbiate annunciare la fine del mondo!- dissi esasperata.

-Marian muoviti a raccontare, tra mezz’ora dobbiamo stare in classe- disse preoccupata Rachel.

-Ok, ok, ci metterò poco- poi mi guardò negli occhi e incominciò -Allora quello che è successo qualche giorno fa per il corridoio del secondo piano è stata, per così dire, una cosa normale e scontata. Non è stata neanche la prima volta che a scuola si è verificata una cosa simile. Le molteplici conseguenze dei fatti che ti sono risultati strani hanno avuto origine tutti per uno stupido equivoco. Ti ricordi quando, due anni fa, mi dicesti che Jack, quella sera a scuola ti fermò nel corridoio per spiegarti perché era così felice? E tu gli dicesti, su per giù, che non te ne importava minimamente perché non lo sopportavi?-. Le feci segno con la testa di si e lei continuò -Bene, il problema sta nelle parole che tu utilizzasti quella volta per dire a Jack quanto tu lo disprezzasti-.

La guardai stupita -Scusa Marian ma continuo a non capire quale sia il collegamento a quello che è successo poco tempo fa con ciò che è accaduto ben due anni fa!-.

Il suo tono diventava sempre più serio e ciò non solo mi metteva in disagio, ma creò in me anche un certo timore, cosa cercava di dirmi Marian?

-Tu dicesti a Jack delle parole che in lui risuonarono orribili, più di quanto tu possa immaginare anche se sappiamo tutte, soprattutto io e Libby, che tu non le hai detto credendoci veramente. Tu avevi detto quelle parole perché eri stata in qualche modo costretta: lui ti aveva sempre trattato male e tu non ne potevi più dei suoi giochetti. Il tuo comportamento è stato normalissimo visto le situazioni che avevi passato, ma Jack tutto questo non l’ha mai capito. E anche se non ci è arrivato subito, ha pensato che era troppo tardi per chiederti scusa. Anche se, come molti mi hanno detto, lui questa parola non l’ha mai detta a nessuno. Ma questo non lo so se sono solo dicerie…comunque Jack, sentendosi gravemente offeso da te, decise di non rivolgerti più la parola. Era così immaturo! Sperava che così le cose si sarebbero aggiustate da sole. Invece si rese conto che il vostro rapporto deteriorava ogni istante che passava. Ma lui è stato sempre troppo orgoglioso per provare a riavvicinarsi a te. Credeva che l’avresti fatto prima tu ma tu, come lui, evitasti di chiarirti-.

Fece un grosso sospiro poi continuò dicendo -Jack fece un errore, un grosso errore con il suo comportamento. Tu soffristi molto e furono tante quelle volte che tu cercasti di trovare la risposta al suo strano comportamento ma non trovasti certezza nelle risposte che ti ponevi. Io e Libby immaginavamo quale fosse la verità ma credevamo di sbagliarci, invece scoprimmo l’anno seguente che le nostre considerazioni era tutte vere-.

Marian mi prese le mani e le intreccio alle sue e con il tono più calmo che riuscì ad ottenere, disse -Jack Gordon è da sempre incredibilmente, indiscutibilmente e meravigliosamente innamorato pazzo di te, Summer-.

 

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Capitolo 17
*** Una piccola fuga da scuola ***


16

Una piccola fuga da scuola

Ero sconvolta. Ero completamente sconvolta.

Stavo ancora guardando Marian quando sentì la campanella strillare un “ritornate tutti in classe”. Ero certamente confusa, nella mia testa balenavano tante di quelle domande che volevano un’urgente risposta! - Summer ci sei ancora?- mi chiese preoccupata Rachel. Io la guardai ma non riuscì a scorgerla bene, incominciavo a vedere tutto opaco.

Tutto intorno a me si fece opaco.

Poi sentì che lunghe e calde lacrime scorrevano dai miei occhi e cadevano tra l’erba del prato. Perché proprio adesso dovevo piangere, non potevo farlo più tardi a casa?

-Dio Summer non sai quanto ci dispiace, lo sapevamo quanto in realtà tu tenessi tanto a Jack e quanto hai sofferto per l’indifferenza che ha dimostrato spesso nei tuoi confronti. Noi avevamo sempre sospettato che tu avessi una cotta per quel pezzo di scemo però speravamo che avresti superato tutto, ma ci siamo proprio sbagliate. Tu sei ancora così innamorata di lui, ora comprendi perché non ti abbiamo voluto dire nulla? Non volevamo vederti in questo stato... Noi desideriamo solamente vederti felice! Adesso hai Alex, perché rimuginare ancora sul passato, giusto?- mi chiese disperata Libby, ma sembrava che cercasse di rassicurare più se stessa che me.

Non riuscì a risponderle. Non ce la facevo più. Il mio istinto mi diceva di andare via, di uscire fuori di scena. Sentivo sempre più scendere le mie lacrime lungo le mie guance. Perché non riuscivo a fermarle? Le mie lacrime non erano gocce di felicità, ma erano di rabbia e di frustrazione. Tutte quelle volte che lui faceva lo stupido, tutte quelle volte che mi faceva quegli orribili scherzetti, erano per dirmi che gli piacevo? No, era impossibile.

-No, voi vi state sbagliando di grosso- dissi in lacrime. -Anche voi vi state prendendo gioco di me! Quello che dite non ha senso! Io non posso piacergli, è inammissibile-. -No, invece è tutto vero, che tu lo voglia o no. Quello stupido ha aspettato che ti fidanzasti perché si facesse vivo e neanche ora ha il coraggio di venire da te e dirti tutto! Ora che non ha più niente da perdere!- mi disse Katie abbracciandomi. -Infatti... - continuò Rachel -E’ successo più volte che le ragazze fossero respinte da lui perché diceva di essere innamorato di un'altra ragazza. Le ragazze non sono mai riuscite a capire chi fosse questa misteriosa ragazza. Fatta eccezione di una sola. Lei aveva sempre conosciuto la risposta, sapeva perfettamente chi avesse fatto breccia nel cuore di Jack perché l’aveva sempre sospettato-. La guardai ma mi ci volle un po’ per riuscire a trovare una risposta. - Megan?!-. –Esattamente- rispose Rachel.

Le ragazze cercarono di calmarmi ma io non ne potevo più delle loro parole, mi risuonavano continuamente nella mia testa che voleva solo dimenticare tutto. Così mi alzai bruscamente da terra, pronta a fuggire ma, involontariamente, andai a sbattere contro un gruppo di ragazzi che in quel momento passavano di lì perché si preparavano a rientrare in classe. -Ehi! Stai un po’ più attenta... - mi disse uno. Poi mi girai per chiedere scusa a chiunque fosse, ma, disgraziatamente mi accorsi troppo tardi che non erano il solito gruppetto di studenti quello che avevo scontrato, era il gruppo di Jack. Justin mi guardò stupito e preoccupato e mi domandò - Summer va tutto bene? Perché piangi?-. Mi voltai a osservare le altre persone: tutti mi stavano fissando. Megan, Daniel, Sam, Christie, Justin e Jack. Quest’ultimo che, un attimo prima era intento ad abbracciare e scherzare con le ragazze, si era finalmente deciso a voltarsi e a squadrarmi. Non era così che io speravo si decidesse a finire di fare l’indifferente con me.

Mi guardava come se non avesse mai visto una ragazza piangere, invece, per quanto ne sapevo, doveva ormai essere abituato a veder lacrimare ogni genere di ragazza che aveva avuto il coraggio di dichiararsi apertamente a lui.

All’improvviso lo vidi sciogliersi dall’abbraccio delle compagne e di avvicinarsi lentamente verso di me. Prima che potesse raggiungermi, io mi voltai e continuai a camminare velocemente verso il sentiero che conduceva fuori dal liceo.

Non feci che pochi passi quando raggiunsi la strada, che una mano mi fermò con tanta di quella forza che bastò a farmi girare sbattendomi duramente contro il piccolo muro bianco che costeggiava la scuola. Per la botta chiusi gli occhi, ma quando li riaprì, avrei tanto desiderato non averlo mai fatto.

Davanti a me, che tratteneva il mio braccio con la sua mano contro il muro, c’era la persona che al momento odiavo più di tutte. Jack Gordon.

Mi guardava severamente come se avesse voluto dirmi qualcosa che aveva oramai rimandato troppe volte. Il suo sguardo che avevo tante di quelle volte sognato ma che è da tanto che non lo vedevo vivo nella mia realtà, era ora visibile chiaramente a pochi centimetri dal mio viso.

Quel suo sguardo grave si trasformò ben presto in un sorriso dolce che mi chiese -Ti va di parlare?-. Per la prima volta dopo tanto tempo sentì nuovamente la sua bellissima voce.

 

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Capitolo 18
*** Chiarimenti ***


17

Chiarimenti

Quella giornata passò così velocemente che né io né Jack ci accorgemmo dell’ora, fino a che notammo casualmente che il cielo era diventato completamente buio.

Quando Jack mi chiese di parlare mi accorsi di avere una fitta nello stomaco e, nello stesso tempo, un leggero brivido mi percorse nel sentire il tocco della sua mano che circondava il mio polso.

In testa mi balenava la voce di Libby che mi diceva “Noi avevamo sempre sospettato che tu avessi un cotta per quel pezzo di scemo però speravamo che avresti superato tutto, ma ci siamo proprio sbagliate. Tu sei ancora così innamorata di lui”. E se avessero avuto ragione?

Feci un lungo sospiro e senza guardarlo negli occhi gli diedi il mio –Ok- in un leggero sussurro.

Sentì che la sua presa sul mio polso si staccava lentamente. Non avevo il coraggio di voltarmi a guardarlo. Quella faccenda stava diventando troppo insolita per me: di solito ero abituata a viverlo solo nei miei sogni. Poi però sentì il dolce calore delle sue dita che desideravano ardentemente di poter alzare il mio viso per guardare il suo dritto negli occhi. Lasciai farlo, ma quando incontrai quei suoi occhi così belli, di un azzurro splendido, non riuscì a dire una sola parola. Ero completamente incantata. Il mio cuore incominciò a battere freneticamente, lo sentivo pulsare dentro di me con una forza tale che avevo paura potesse essere sentito da lui. Perché se lo odiavo tanto, sentivo le farfalline volare vorticosamente nel mio stomaco?

Anche lui notò che la situazione incominciava a essere inconsueta, ed io, più di lui, ero molto a disagio. Si staccò frettolosamente da me e mi fece segno di camminare.

Passò un bel quarto d’ora prima che uno dei due si decidesse a parlare. Lui fu il primo a riuscire a spiaccicare una frase. -Non so di preciso cosa ti abbiano detto le tue amiche, però credo di sapere, più o meno, di quale argomento stessero trattando con te-. Dopo una piccola pausa di silenzio, Jack continuò nervoso -Non credevo che avresti potuto prenderla così male. Ho sempre pensato che tu mi odiasti abbastanza da non essere minimamente considerato-. Lui posò il suo sguardo sul mio ma io non mi voltai. -Probabilmente mi sto ancora sbagliando, forse tu continui e continuerai a odiarmi come credo tu abbia sempre fatto- disse cercando una disapprovazione nel mio sguardo ma io non lasciavano trapelare nulla, ero muta e immobile, non volevo che credesse che bastasse davvero poco per fare pace con me: l’aveva fatta troppo grossa. -Comunque, ritornando al discorso di prima, vorrei farti una domanda che spero tu possa rispondermi sinceramente... sempre se vuoi-.

Si fermò sotto un grande albero che ci copriva dalla luce del sole e aspettò una risposta. Sentivo che era impaziente di un mio sì così lo assecondai e gli feci segno con la testa di continuare.

Dopo un lungo respiro mi chiese -Che cosa provavi per me durante il primo anno del liceo?-.

-Ah! Vuoi dire prima che TU incominciassi a giocare al gioco del silenzio?- gli chiesi immediatamente con tutta freddezza. Il suo viso fece una smorfia di dolore, come se le mie parole gli avessero perforato il petto. Guardava a destra, in modo da non poter scorgere la rabbia che il mio volto si era sedimentata in tutti quegli anni contro di lui. Sentivo che l’atmosfera intorno a noi stava diventando troppo pesante, così cercai di essere meno fredda possibile ma, inconsciamente, le mie parole uscivano freddi e taglienti tanto che demoralizzavano sempre più quella piccola speranza che ancora risiedeva in Jack.

Vidi che si mordeva il labbro inferiore per cercare di trattenersi... ma trattenersi da cosa?

Mi faceva male vederlo in quello stato, ma i miei sentimenti di rabbia non erano più ostini ad assecondare le sue gentili parole. Fortunatamente riuscì a trattenermi dall’urlare, cercando sempre di tenere un tono calmo e pacato. Finché lui non mi avrebbe continuato a guardare negli occhi, sarei riuscita a dichiarare tutto quello che avrei voluto dirgli durante tutti quegli anni.

Ricordo ancora quando cercavo di non perdermi nessuna sua partita di basket e, con la scusa di tifare ai miei amici, restavo incantata (come d’altronde tante altre ragazze) a guardarlo giocare. I miei amici mi prendevano spesso in giro sulla memoria perché dicevano che io non avessi ricordo di nulla. Eppure ricordavo ogni secondo di lui: quando passava per i corridoi, quando ero sicura di vederlo in classe nelle lezioni che condividevamo, quando mangiava in mensa, quando rideva con gli amici, ma soprattutto quando lo vedevo amoreggiare con le ragazze. Ogni volta che lo vedevo abbracciato a una ragazza, sarei voluto scoppiare a piangere. Se veramente mi voleva perché comportarsi così?

Presi coraggio e gli risposi -Ti odiavo... o almeno era quello che credevo. Pensavo fossi il ragazzo più odioso della scuola. A causa tua mi sono sentita umiliata e considerata lo zimbello di tutti! Già da piccola mi facevo complessi d’inferiorità poi quando credevo di aver preso finalmente il controllo di me stessa, arrivi tu e mi rovini di nuovo la vita. Secondo te cosa dovrei sentire per te? Dovrei provare solo odio allo stadio puro!-. Ora sarebbe arrivata la parte più difficile. -Eppure quando eri con me, non mi accorgevo che le emozioni che provavo non erano di odio... Infondo le mie giornate a scuola erano incomplete se non c’eri tu che mi facevi infuriare come non aveva mai fatto nessun’altro. Mi sono resa conto che quel detto “solo quando perdi una persona ti rendi conto ti quanto per te era importante” diceva il vero. Solo dopo il tuo allontanamento, ho capito che per me non eri solo uno stupido ragazzo ma qualcosa di più, anche se non riuscivo proprio a spiegarmi cosa provassi per te. Forse ti consideravo un amico?-.

Non me ne accorsi ma, fino a quel momento, avevo tenuto la testa abbassata: confessare i miei sentimenti era più difficile di quanto pensassi. Alzai lo sguardo credendo che Jack era ancora voltato dall’altro lato. Invece non mi resi proprio conto che in realtà lui stava guardando dritto verso di me.

Non saprei descrivere esattamente l’espressione che aveva in volto, sembrava un misto tra meraviglia e commozione. Così, per nascondere il mio viso tutto rosso, riabbassai lo sguardo sperando che non avesse notato nulla.

Talmente ero rimasta incantata dal suo volto, che per un attimo dimenticai cosa stavo dicendo. Fortunatamente la ragione non era del tutto andata, così continuai -Non sapevo cosa rappresentassi per me anche se le mie amiche, Marian e Libby, avevano sempre saputo meglio di me quali fossero i veri sentimenti che provavo. Io invece ero così testarda! Non volevo credere che mi ero presa una cotta per te. Sarebbe stata da stupida innamorarmi del ragazzo più insensibile, egoista e crudele che avessi mai conosciuto! Alla fine, però, dovetti ammettere a me stessa che le mie giornate senza di te erano vuote, come se senza di te sembravano troppo semplici, normali e monotone. Avrei voluto indietro i tuoi sorrisi, anche se forse sarebbero stati per qualche dispetto, avrei voluto indietro i tuoi odiosi scherzetti, anche se questo significava fare tante figuracce, avrei voluto sentire ancora una volta la tua voce, anche se avresti potuto rivolgermi parole scortesi. La cosa più difficile da ammettere era proprio quella che più temevo: ero innamorata di te-.

Feci un lungo respiro e mi accorsi che stavo tremando tutta, ma quello che sentivo non era freddo. Lui se ne accorse e, senza pensare alle conseguenze, mi cinse con le sue lunghe braccia.

L’abbraccio mi costò più di una perdita al battito del mio cuore. Sentivo il calore del suo abbraccio e del suo corpo che mi riscaldava, il suo respiro quasi regolare, il suo buonissimo profumo e il suo bellissimo viso che sfiorava leggermente il mio. Era talmente vicino a me che avevo paura potessi svenire tra le sue braccia. Sarei riuscita a contenere tutte le mie emozioni?

Passarono parecchi minuti prima che uno di noi due avesse il coraggio di sciogliersi da quell’abbraccio. Questa volta fui io a fare la prima mossa. Mi staccai lentamente da lui senza mai guardarlo in faccia perché sapevo che, vedendo quel suo dolcissimo viso, avrei perso di nuovo il lume della ragione. Però compresi subito che il suo stato d’animo non era certamente in uno dei suoi migliori momenti perché quando iniziò a parlare, nella sua voce si percepiva un velo di tristezza.

-Perché sono stato così dannatamente stupido da non accorgermi di nulla?-.

Prima ancora che avessi la possibilità di fermarlo diede un pugno fortissimo all’albero che lo fece tremare tutto (in verità sussultai anch’io dallo spavento), appoggiò poi la testa al grande tronco.

-Ora tocca a te- gli dissi ma lui si voltò e mi guardò turbato, così continuai -Mi spieghi perché mi hai ignorato per tutto questo tempo?-.

Senza guardarmi negli occhi, come avevo fatto anch’io poco prima, incominciò a raccontare.

-Quando ti conobbi, pensai subito che fossi diversa dalle altre ragazze. Non eri più bella delle altre e non spiccavi per intelligenza o perché eri una secchiona, non avevi tanta autonomia quanta invece ne aveva chi era figlia di genitori molto ricchi... insomma eri apparentemente una ragazza comune. Eppure quando ti vidi la prima volta non poté fare a meno di osservare ogni tuo movimento, ogni tuo gesto, ti trovavo stranamente interessante. Stranamente perché solitamente ho sempre guardato solo ed esclusivamente ragazze più grandi, che avessero un fisico perfetto, delle bellezze mozzafiato e in questa città ce ne sono parecchie... -. Fortunatamente aveva continuato a parlare senza voltarsi verso di me se non avrebbe incrociato uno sguardo di donna molto indignata e infuriata (in realtà ero solo gelosa) -... ma nonostante tutto non riuscivo a scrollarmi di dosso la tua immagine nella mia mente. Quando sapevo che eri nei paraggi non potevo fare a meno di attirare la tua attenzione, ma per quanto mi sforzassi, non mi ero mai accorto che la situazione degenerava sempre più. Io volevo solo che tutta la tua attenzione fosse rivolta solo a me e quando notavo che invece di farti interessare alla mia persona ti facevo solo arrabbiare, mi demoralizzavo moltissimo. Avevo il timore che non sarei mai riuscito a piacerti-. Notai che mentre raccontava fece un sorrisino malinconico. -Non capivo perché ci tenessi così tanto a conquistarti. Le ragazze spesso mi dicevano che ero molto carino e mi facevano montare molto la testa. Eppure io rimanevo sempre interessato esclusivamente a te, quello che provavo quando mi eri accanto, era ben diverso da quello che avevo provato finora. Un giorno origliai una tua conversazione con le tue amiche e dicevi che ti piaceva seguire molto le partite di basket così credetti che, se fossi entrato nella squadra di basket, tu avresti finalmente capito che non ero certamente solo un piccolo bulletto ma che ero anche una persona interessante. Quando entrai nella squadra, però, non cambiò molto la situazione tra noi. Anzi... mi sembrava che ti allontanassi sempre più da me ed io non seppi più che fare. Non mi sono mai trovato in una situazione del genere, solitamente ho sempre avuto tutte le ragazze che volevo. Allora ero molto immaturo, credevo che ti avrei conquistato come tutte le altre ragazze. Invece, come ti ho già detto, tu eri diversa ed io, in fondo, l’avevo sempre saputo. Quando quel giorno ti notai sugli spalti che seguivi la partita pensavo che fossi venuta soprattutto per vedere me. Così, senza pensarci due volte, dopo gli allenamenti mi sbrigai a prepararmi per poterti almeno raggiungere fuori scuola. Quando poi ti ho visto, sola vicino al tuo armadietto ho pensato che fosse il momento giusto per chiederti se volessi uscire con me, ma tu non sei stata molto cordiale-.

Un nodo si formò nella mia gola benché cercassi di trattenere le lacrime che insistevano a voler scendere dal mio viso. -Mi scoraggiai a tal punto che decisi di non voler più avere niente a che fare con te. Tu eri stata l’unica ragazza a essere stata in grado di farmi sentire un idiota completo. Imbecille qual ero non capì che la colpa era soltanto mia e che il tuo comportamento era solo una conseguenza a quello che ti avevo fatto durante tutto l’anno. Tuttavia credetti che era troppo tardi per farmi perdonare-. Il suo tono di voce si faceva sempre più duro e freddo. -Incominciai a essere quel genere di ragazzo che ho sempre detestato: uno che se ne frega dei sentimenti e degli affetti altrui per dedicarsi solo a se stesso. Odiavo tutte quelle ragazzine che venivano da me e mi dicevano che erano innamorate: io volevo solo una ragazza e se non potevo avere te valeva dire che non potevo avere nessun’altra. Poi col tempo, seguì l’esempio di alcuni ragazzi più grandi della scuola, che m’insegnarono che, per avere in pugno una ragazza non dovevi per forza fare sul serio con lei ma bastava anche farla divertire. Così iniziai a uscire con ogni sorta di ragazza purché fosse bellissima e a portarmela a letto. Cambiai completamente stile di vita: uscivo solamente per andare a fare baldoria con i ragazzi più grandi e non mancavo mai a una di quelle feste dove la gente pensava solo a bere, a fumare e a fare sesso. Per sentirmi completamente diverso, cambiai il mio look e il mio carattere: in questo modo mi sentì anche superiore degli altri, persino dei miei migliori amici. Tu forse hai pensato che ti avessi ignorato per sempre, in realtà ti osservavo tutti i giorni, sperando che alla fine saresti venuta da me per pregarmi di ritornare com’ero. Cercavo ancora più attenzione da te ma tu te ne stavi sempre con i tuoi amici. Eri più felice senza di me. Tutto quello che facevo, era in pratica inutile, mi arresi all’idea che io non avrei mai potuto avere una chance con te perché non mi consideravi affatto. Diventavi ogni giorno più bella e quando passavi per i corridoi molti ragazzi restavano a guardarti, incantati domandandosi chi fossi e perché non ti avessero notato prima. Ero così geloso... non volevo che altri ragazzi ci provassero con te. Immaginavo che fossi maturata molto nel corso del tempo, avresti sicuramente scelto il ragazzo in grado di renderti felice. Così, anche se il look è rimasto sempre lo stesso, tornai alle vecchie abitudini... almeno in parte. In realtà continuo a flirtare e a fare lo stupido con le ragazze ma non ho mai provato a fare niente di più con loro. Non sono riuscito invece ad allontanarmi dai guai: possiedo un istinto naturale nel mettermi in brutte situazioni. E, cosa più importante, non sono mai riuscito a dimenticarti. Sfortunatamente per te, sono ancora innamorato del mio mostriciattolo-.

Finito il lungo discorso, si voltò a guardarmi e rimase di sasso quando vide il mio volto bagnato di lacrime. Credo che non si sarebbe mai aspettato una reazione del genere ma le sue parole avevano significato davvero tanto per me: solo sentendo la sua versione dei fatti, mi ero resa conto dell’enorme errore che avevo commesso. Io avevo sempre sofferto per come Jack mi aveva trattato fino allora, eppure mi ero mai domandata se io avessi fatto concretamente qualcosa che lo avesse incoraggiato a capire quanto in realtà tenessi a lui? E se invece di sopportare in silenzio avessi provato a riavvicinarmi piano a lui? Dio che stupida che ero stata!Tutti questi anni... e non ho mai fatto nulla!

Le sue parole erano state così dolci e sincere (soprattutto il termine “mostriciattolo”) che sembrassero fossero rimaste per anni, chiuse nel fondo del suo cuore, ansiose di essere ascoltate da qualcuno.

Lui mi guardava preoccupato, ma non sapeva cosa dire. Benché non riuscissi a smettere di piangere cercai di fargli un sorriso per dimostrargli di essere grata per quello che aveva appena fatto. Ora sapevo cosa dovevo fare, mi sembrava tutto così chiaro! Alex avrebbe capito... quello che provavo per lui non era amore, ma affetto. Lui era stato il primo ragazzo che mi aveva fatto sentire una principessa, ma certamente non ero io la donna della sua vita. Quello che avevo provato e ancora sentivo per Jack era molto più vivo e vero di quello che avevo sentito fino allora con Alex. Lui era sicuramente un ragazzo moralmente migliore di Jack, sicuramente più intelligente e più romantico: ma non era lui il ragazzo che volevo.

E così, mentre continuavo a guardare Jack che mi fissava disorientato, gli dissi con tutta la forza che avevo in corpo -Non sai quanto sia felice di sapere che sono io la ragazza di cui sei innamorato-.

 

 

 

 

Ringrazio tutti colori che hanno aggiunto la mi fic tra i preferiti o tra le storie seguite....GRAZIE!! Questo per me vuol dire che a qualcuno sta piacendo davvero questa storia!!^-^ Baciiiiii

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