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Forse questa vi sembrerà una storia come tante. Beh forse lo
è per davvero, però se siete così curiosi di andare avanti,
io non vi dirò di non farlo perché credo che la curiosità
sia uno degli aspetti più affascinanti di una persona…allora
è proprio da qui che incomincia la mia storia, siete pronti?
Salve a tutti! Mi chiamo Summer Richmond sono una ragazza di sedici anni e
abito a Santa Monica in California. Sono una ragazza allegra, mi piace divertirmi
e conoscere gente diversa ogni giorno, fare tante
amicizie e soprattutto godermi la vita! Peccato però che io non sia proprio
quel genere di ragazza che pensereste.
Sono una ragazza molto timida, non vivo di molte attenzioni e non sono
fortunata né in amore né con le amicizie. O almeno era quello che
avrei detto di me “tanto tempo fa”.
Sin da piccola ho vissuto in un mondo tutto mio, fatto di persone che mi
volevano bene e che non mi avrebbero mai lasciato… il problema è
che non è mai successo qualcosa di buono nella mia vita da durare
così a lungo. Tutte quelle persone che io credevo mi volessero bene si
rivelarono false e superficiali ma il peggio era che io avevo sempre vissuto
all’ombra dei loro successi. Mi odiavo, non mi piaceva la vita cui
appartenevo! Eppure non ho mai chiesto tanto…insomma solo una migliore
amica e un ragazzo!! (Anche se devo ammettere che ho
sempre preteso tanto da un quest’ultimo).
La mia famiglia non mi capiva: riteneva che fossero solo dei capricci
adolescenziali. Non avevo amiche né amici immaginari con cui parlare,
non avevo nessuno, nulla, eccetto quel ragazzo che mi era solito chiamare fratello.Sì, sto
parlando del mio purtroppo unico, insensibile, stupido fratello Nathan. Per
quanto lo potessi odiare (per tutti i guai che combinava) fu l’unico a
cercare di capirmi e di venirmi incontro... l’unico che era disposto a
lasciar appoggiare sulla sua spalla la propria sorellina e aspettare che si
sfogasse e gli rovinasse tutte le sue magliette preferite con i suoi continui
piagnistei. Fu l’unico che mi dimostrò tutto l’affetto
possibile. Io, ovviamente compresi quanto ci teneva a me. Avrei voluto che
anche lui vivesse la sua vita con tutto l’affetto che mi aveva dimostrato
durante quei difficili anni. Ma non mi chiese mai nulla, non mi dimostrò
mai di aver la necessità di un aiuto anche se
sapevo benissimo che ne avrebbe dovuto. Si cacciava sempre nei guai più
insoliti come le risse o cose che hanno a che fare con l’alcool. Mi
dispiaceva per la sua situazione, ma sembrasse che i guai se li chiamasse da
solo. Per fortuna con lui c’era Jason, il suo migliore amico, sempre
pronto a difenderlo (aveva certi muscoli) e sempre pronto a mettersi nei guai
anche lui!
Continuando a parlare di me e tralasciando qualche insignificante
dettaglio, fisicamente non sono poi così male: bionda, occhi castani, abbastanza
alta anche se non sono certo un peso piuma!!!
Credo che la
California sia uno dei luoghi più belli d’America,
anche se devo ammettere amaramente che non sono mai uscita fuori dalle sue
mura. Ho sempre sognato di vivere a New York. Se potessi, abiterei poco distante
dalle piazze principali, così potrei vedere durante tutti i Natali, il
grande abete che viene addobbato al Rockefeller
Center o passare per il Central Park dove c’è quell’enorme
pista di pattinaggio o persino passeggiare da quelle parti dove l’aria
è tranquilla e il posto immerso nel verde di prati e alberi. Potrei
percorre quei suoi piccoli sentieri che caratterizzano tanto quel grande parco
soprattutto quando arriva la primavera o l’autunno: questo splende di mille
colori!
Un altro motivo per
cui andrei a vivere a New York è che lì non fanno tanta
differenza su dove abiti. I newyorkesi non sentono il bisogno di confrontarsi
necessariamente su ciò che possiedono o il loro prestigio negli affari.
Gli abitanti sono disposti equamente tra ricchi e poveri, quindi non esistono
eccezioni. La stessa cosa non si può dire della California.
Qui la maggior
parte della popolazione vive nel lusso più sfrenato, tra limousine e
grandi ville, feste e abiti firmati. Qui non esiste moralità. Tutto ha
un prezzo. E se non sei uno di loro non vali nulla. Sin da bambina pensavo di
essere diversa dalle altre perché non abitavo come loro in mega ville
con governanti e una dozzina di domestiche. No signore. Io vivevo in una
confortevole villetta blu molto modesta che però era situata a poca
distanza dal centro. Tuttavia io, al contrario di Nat, mi lamentavo sempre
della scelta che avevano fatto i miei da giovani, ovvero quella di restare in
quella casa. Io volevo essere solo come tutte le altre!
Poi compresi a poco
a poco che non avrei voluto, per niente al mondo, essere come tutte le altre.
Loro avevano tutto? Beh io non avevo molto, ma questo già mi rendeva
speciale!
Da quando ho
incominciato il liceo è cambiato tanto della mia vita: ho tanti amici
che mi vogliono bene e di cui mi fido e senza di loro non saprei cosa fare, e
ho dei genitori incredibili (e non l’ho mai dubitato veramente), e un
fratello al quale, benché sia fatto così come Dio ha deciso, gli
voglio un bene immenso. Ora però frequento il terzo anno al liceo e non
so perché, ma ho come l’impressione che debba succedere qualcosa
d'incredibile da un momento all’altro, non so dirvi se sia un buon
presagio o uno cattivo…non sono mai riuscita a prevedere qualcosa!!!
Il 15 settembre fu
il mio primo giorno di scuola… -AAAAAAAAAAAAAAAAAH- è quello che
urlai non appena mia madre mi svegliò.
-Ma si può
sapere che vuoi a quest’ora del mattino?!- le dissi sconvolta,non ancora
cosciente di quale giorno fosse,ma mi bastò guardare il mio
calendario,attaccato alla parete di fronte a me,per capire cosa avrei dovuto
fare quella mattina.
Mia madre mi
sorrise e disse in tono minaccioso -Se non ti sbrighi tuo fratello e tuo padre
si mangeranno tutta la colazione-. E così, senza pensarci due volte,
uscì dalle coperte e mi diressi di fretta in cucina. Non ci impiegai
molto perché la nostra casa, a differenza dalla maggior parte delle case
incittà, non era di dimensioni
stratosferiche.
Mia madre faceva la
casalinga mentre mio padre era un ottimo avvocato, uno dei migliori a Santa
Monica. Potevamo permetterci una casa più lussuosa ma i miei preferirono
restare nella casa che comprarono quando giunsero la prima volta insieme a
Santa Monica, dove mia madre e mio padre aveva vissuto insieme durante gli anni
del college.
Appena arrivata in
cucina vidi mio padre che, con la sua consueta tranquillità, beveva una
tazza di caffè e leggeva il giornale e mio fratello che, come al solito,
si cibava di tutto quello che riusciva a trovare a pochi kilometri di distanza
e proprio mentre mangiava dei cereali, con la bocca piena, mi disse -Buongiorno
sorellina vuoi qualcosa?-.
Mi bastò
guardarlo pochi secondi per farmi passare la fame -No, grazie Nat volevo qualcosa ma mi è bastato
guardarti perché cambiassi idea-.
Tuttavia non appena
si fu allontanato dalla cucina, mi tornò la fame e presi una brioche dal
tavolo. Mio padre, che aveva assistito sott’occhio a tutta la scena, incominciò
a ridere e mi disse -Allora piccola oggi incomincia la scuola giusto? Vuoi che
ti accompagni?-.
Mi ci volle un
po’ di tempo per rispondere e infine decisi che mi sarei fatta
accompagnare da mio padre anziché da quell’inutile di mio
fratello. -Ok grazie papà- gli dissi.
Le previsioni
parlavano di una giornata perfetta ed era proprio quello che speravo accadesse
poichè avrei voluto incominciare col piede giusto quest’anno il liceo.
Eppure, dentro di me, sentivo che quell’anno non sarebbe stato uguale
agli altri, che quell’anno sarebbe successo qualcosa che al momento non
mi sapevo spiegare. Solitamente, come ogni primo giorno di scuola, mi sentivo
agitata e tesa come una corda ma conoscevo già la risposta al mio stato
d’animo: per me, al momento, il liceo rappresentava tutta la mia vita e
ogni volta che iniziava un anno diverso mi sembrava di incominciare una nuova
avventura… solo ora però mi pongo questa domanda, ero davvero
pronta per quella che sarebbe incominciata tra pochi istanti?
Eccomi, finalmente
la vedevo, era l’insegna della mia scuola che, scritto in un blu cobalto,
diceva “Santa Monica High School”.
-Wow- dissi con un finto entusiasmo non appena la vidi.
-Eccoci qui, finalmente!- disse
mio padre in tono sarcastico mentre voltava a sinistra la macchina in modo da
farmi scendere davanti alla scalinata della scuola.
-Ok tesoro ti lascio… mi
raccomando non passare tutto il tuo tempo a studiare- mi disse ed io risposi
ridendo --Guarda che se non la finisci dico alla mamma che se prendo qualche
brutto voto la colpa è esclusivamente tua!!-
lui si girò ancora una volta a guardarmi e ridendo disse -Si lo so,tua
madre è capace di punirmi!!-.
Dopo averlo salutato con un bacio,
scesi dall’auto e cominciai a girarmi a destra e a sinistra in cerca
delle mie amiche… che eccole lì, mi attendevano al nostro solito
posto all’ombra di un grosso albero poco lontano dall’entrata dove
noi, in passato, incidemmo le nostri iniziali in segno
di amicizia.
Le vidi, tranquille come al
solito, le mie quattro migliori amiche: Katie, Marian, Libby e Rachel.
Mancavano solo pochi minuti al suono della campanella e già sapevamo tutte cosa sarebbe successo: la nostra preside,ovvero la Signora Collins,avrebbe
incominciato uno dei suoisoliti
monologhi noiosissimi riguardanti l’importanza della vita,della
società e dell’istruzione.
-Driiiiiiiiiin- insieme ci voltammo a
quel suono ormai fin troppo riconoscibile, ci guardammo intensamente tutte
quante, aspettammo qualche secondo, e poi con dei sorrisi pieni di speranza
varcammo senza alcun timore la soglia di quella che ci sembrava “la
nostra maledizione”… peccato che però con noi non
c’era nessun pirata pronto a salvarci!!
-…Vorrei ringraziare infine
i nostri magnifici docenti che, senza di loro, la nostra scuola non sarebbe
tanto prestigiosa-, ancora una volta la Signora Collins aveva
prolungato il suo discorso di un'altra mezz’ora solo per i suoi
“cordiali” ringraziamenti. Così, dopo quelle ultime parole
che ci sembravano non dovessero mai giungere, tutto il corpo studentesco si
alzò in un boato. C’era chi applaudiva (per cordialità),
chi sinceramente (come facevo io) si alzava ed emetteva uno sbadiglio molto
rumoroso segno che quegli applausi lo avevano interrotto dal sonno. I nostri
amici Pete, Justin, Seth e Gabe che, sfortunatamente si erano seduti dietro di
noi, avevano smesso di fare baccano e, con tutta la lentezza di questo mondo,
si avviarono verso le loro rispettive classi.
Niente era più noioso
(persino del discorso d’apertura della preside), della prima lezione del
giorno: fisica. O almeno è quello che pensavo siccome che odiavo
applicare troppo il mio cervello a cose di cui, personalmente, mi risultavano
inutili alla vita.
Si può dire che tutti, su
per giù, seguivano la lezione del professor Gregory, prima che la porta
della classe fosse sbattuta all’improvviso da un essere ridicolo.
-Buongiorno professor Gregory -
poi si girò e voltandosi verso il resto della classe fece un occhiolino
che provocò non pochi e silenziosi sospiri da parte delle ragazze della
classe. Perché sì, Jack Gordon, era il ragazzo più ambito
di tutta la scuola; poche erano le ragazze che non subivano il suo fascino e
potevo dire, orgogliosamente, che io ero una di quelle.
-Grazie per averci dato ancora una
volta prova della sua puntualità Gordon e adesso se permette starei
facendo lezione-. Il professore prese il gessetto che aveva posato poco prima e
invece di continuare subito la spiegazione, aggiunse -Ah quasi dimenticavo! Un
altro ritardo, Gordon e non potrà seguire la mia lezione, ci siamo
intesi?-. Sfrontatamente Jack rispose -Certo! Non si preoccupi prof!- si
rigirò ridendo provocando ancora una volta un’ondata di sospiri.
Io proprio non lo sopportavo, lui
cercava sempre di attirare quanto più poteva le attenzioni sia giungessero da ragazze sia giungessero da ragazzi: tutti erano ammaliati da
lui ed io proprio non riuscivo a trovare una ragione. Che c’era di tanto
affascinante in lui? Insomma…si è vero, era un bel ragazzo: occhi
azzurri, capelli corti e neri sempre in disordine. Aveva un fisico che molti
ragazzi lo invidiavano: magro, snello, potrei dire circa 1.82, praticava il
basket dai tempi del primo liceo diventando così il capitano della
squadra della scuola, infatti, questo sport gli aveva permesso di sviluppare
quel po’ di muscoli che lo avevano reso ancora più
“sexy” (così dicevano le sue fans). Si era guadagnato il
rispetto di tutti sin da quando, da semplice studente del primo anno, divenne
un asso del basket. In effetti, non potevo che essere d’accordo da quel
punto di vista: era davvero bravo. I miei amici Justin e Gabe facevano parte
della squadra, così, per andare ad assisterli durante le partite del
campionato studentesco, mi resi conto che le voci di corridoio erano vere.
-Però dovete ammettere che
quest’anno Jack si è fatto ancora più bello- disse Katie
posando il suo vassoio assieme a quello delle altre sul tavolo della mensa.
Dopo tre ore di lezione finalmente
arrivò lo spacco per il pranzo e Katie decise che doveva mangiare tutto
quello che avrebbe trovato nella mensa. Infatti, c’erano cose abbastanza
disgustose nel suo vassoio ma nessuna ci fece tanto caso dato che era solito di
Katie mangiare anche le cose più orribili. Al contrario Rachel, che
faceva parte delle ragazze pon pon, aveva deciso di
seguire una dieta a base di sole verdure inventata da lei.
Katie e Rachel litigavano spesso
quando eravamo in mensa perché una credeva nella sana alimentazione (che
in verità non era per niente sana) e l’altra in una giusta
alimentazione senza carboidrati; così, ogni volta, finivano per
litigare.
Io, Marian e Libby però ci
eravamo molto stufate di questa faccenda così mettemmo subito in chiaro
le nostre intenzioni - Katie e Rachel abbiamo qualcosa da dirvi- disse Marian
guardando seriamente le due ragazze, a questo punto incominciai io -Allora, il
problema è che non né possiamo più delle vostre stupide
litigate sul mangiare quindi almeno per quest’anno, e si spera anche
l’anno prossimo, vi chiarite una volta per tutte senza rovinarci, tutte
le volte, il pranzo- e infine Libby -quindi ora guardatevi
negli occhi e dite “ti voglio bene e non me ne frega assolutamente niente
se tu mangi come un maiale o se tu non sai cosa significa mangiare
veramente”anche se, devo dire la verità, Rachel non ti serve a niente questa
dieta…sei già magrissima!!!-.
Io e Marian guardammo minacciosamente negli
occhi Libby che, aspettandosi una reazione del genere, fece finta di pulirsi i
suoi occhiali da vista. -Ok, avete ragione- sbuffò Katie che guardò
Rachel e disse -non voglio più litigare con te, sei d’accordo? Per
me puoi mangiare quello che vuoi- e Rachel ridendo disse -anche per me va
bene…però permettimi di dire che quel coso gelatinoso ha un
aspetto orribile!!-.
Tutte guardammo quella sostanza verde sul
piatto di plastica e non appena Katie affermò -lo sai
che hai proprio ragione?!- scoppiammo tutte a ridere.
Così passò il primo giorno
di scuola alla SMHS (così la chiamavamo noi) e ci salutammo tutte con la
promessa di scendere quella sera e farci un giro tutte assieme a mangiarci un
gelato.
Quel pomeriggio stranamente mi addormentai e
mi svegliai molto tardi.
-Oddio!!Sono
già le 5 e mezzo,tra mezz’ora devo essere giù da Tom!!!-.
Così più veloce che potei, mi preparai e scesi di corsa le scale.
Mia madre mi vide e mi chiese interrogativa perché corressi in quel modo
per le scale e le dissi in fretta che avevo un appuntamento con le ragazze in
centro.
Il tempo di salutarla e varcai la soglia di
casa correndo ma fui certa che mia madre avesse detto in quel momento -Bah, io
i giovani non li capisco più-.
Fu proprio quando voltai per Venice Boulevard
che la fortuna per la prima volta mi sorrise, anche se io allora non lo sapevo
ancora…
Quando girai l’angolo nello stesso
momento c’era un ragazzo che in bici stava svoltando sul marciapiede,
così finimmo per scontrarci, ed entrambi cademmo per terra (ma io mi
feci più male di lui). -E’ tardi è tardi, devo correre!!- mi alzai in fretta,anche se mi faceva male tutto il
fondoschiena e, soprattutto, la gamba destra che aveva scontrato
accidentalmente contro la ruota della sua bici.
-La prossima volta guarda avanti!!- dissi io arrabbiata. Lui dal suo canto
disse -E allora tu la prossima volta gira con più grazia come fanno
tutte le ragazze della tua età e…guarda avanti!!-.
Alzò lo sguardo e solo allora lo vidi veramente in viso e, senza
rendermene conto, mi feci scappare un -Wow!-.
-Come scusa?- mi chiese lui -Hai detto
qualcosa?-.
-No niente, scusa ma devo andare sono in
ritardo per un appuntamento- gli risposi. Mi squadrò e poi disse alzando
un sopracciglio -Dal tuo ragazzo?-. -No, solo dalle mie amiche- replicai in tono
aspro pensando il perché mi avesse fatto quella domanda.
Stupita lo sentì rispondere -Ok, allora
non avresti problemi se ti proponessi di accompagnarti…giusto?!-. Quando sentì quelle parole il mio cuore
sobbalzò e incominciò a battere forte. -No, grazie non credo sia
il caso…-. -Ma dai! Che sarà mai un passaggio?- e vedendo che non
rispondevo aggiunse -Su monta! Dove ti porto?-.
Un po’ intimorita risposi -Sul pontile
di Venice Boulevard-.
-Ehm…scusa ho dimenticato di dirti che
non sono proprio di qui…sono giunto da poco in città-. Questa fu la riposta involontaria alla mia domanda “ perché non l’ho mai notato prima?”. -Oh!
Bé non ti devi preoccupare! Devi solo andare dritto, fino alla fine
della strada…- ma non ebbi la possibilità di concludere la frase
che lui parti in quarta dritto verso la meta.
Gli feci segno di fermarsi e lui si
accostò al fianco del marciapiede, a pochi passi dal luogo in cui avevo
appuntamento. Infatti, poco distanti da noi, le mie amiche si accorsero della
nostra presenza e, incominciarono a guardare incuriosite quella strana
novità. Così immediatamente feci capire al nuovo ragazzo che
sarei dovuta andare -Allora grazie… Ciao!-.
Ma non ebbi neanche il tempo di fare un passo
che mi bloccò afferrandomi un polso -Aspetta!! Non ci
siamo neanche presentati! Piacere,mi chiamo Alex e
tu?- gli sorrisi e gli dissi -Mi chiamo Summer…e le mie amiche in questo
momento non sanno se venirmi a prendere o lasciarmi andare-.
-Se fossi in loro ti lascerei andare…-. Gli sorrisi e senza pensarci gli gridai -Dai scusa ma ora devo proprio andare…ci si vede!-.
Solo quando raggiunsi le ragazze ripensai meglio alle
sue ultime parole, ma quando mi voltai lui già non c’era
più. Le mie amiche poi, cercavano di farmi sputare il rospo per sapere
chi fosse quel misterioso ragazzo ma l’unica cosa che riuscì a
dire fu -Non lo so…-.
Ma raccontai lo stesso tutto quello che era successo,
momento per momento, come adoravano fare loro, perché quando si vivono
momenti indimenticabili, unici, bellissimi, felici l’unica cosa che si
può volere è condividerli ma soprattutto riviverli con le persone
che più si amano e io avevo deciso di dire loro tutto.
Capitolo 6 *** L'inizio di una nuova avventura ***
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L’inizio di una nuova avventura
Non so precisamente perché, ma quella
notte non chiusi occhio, tanto ero stata presa nel pensare a quel bellissimo
ragazzo e quando, il giorno dopo, entrai in classe fu l’ultima cosa che
mi sarei mai aspettata di vedere che comparì davanti ai miei occhi.
-Prego Dawson entri pure e si presenti alla
classe-.
Il ragazzo fece un sospiro profondo ed entro
in classe. -Piacere a tutti…mi chiamo Alexander ma gli amici mi chiamano
Alex…-.
-Perché uno come te hai pure degli
amici?!- e partirono lunghe risate. -Grazie Gordon per
le sue gentili parole ma in questo momento non ne abbiamo bisogno-
affermò il professore Winston, il nostro professore di inglese, e fece
segno al ragazzo di continuare.
-Ho 16 anni e ne compirò 17 il 18 ottobre,
mi sono trasferito qui da Sant Diego, spero di trovarmi bene perché mia madre ha deciso di voler restare qui per molto tempo…sperando
di trovare gente capace di avere un senso di umorismo superiore a quello che ho
visto fin’ora-.
Così scoppiò un altro boato di
risate (questa volta ridevo anche io), mentre Jack e il suo gruppo di fans
guardavano malevolo il nuovo arrivato. Anche gli amici di Jack risero alla
battuta di Alex e quando Daniel toccò la spalla del suo migliore amico
disse divertito -Quel ragazzo ti ha battuto…ammettilo!!-.
Persino il professore si trattenne il suo sorrisino dicendo al nuovo ragazzo di
trovarsi un posto e sedersi.
Era stata la prima volta che qualcuno aveva
osato ribattere le parole di Jack. Ovviamente la notizia che un nuovo studente
aveva fatto infuriare l’asso del basket, il numero uno della scuola, il
sogno di mille ragazze, era stata divulgata in poco tempo in tutta la scuola e
gli studenti erano tutti curiosi di vedere questo ragazzo. Ma la persona più
sconvolta in quel momento non erano loro, né Jack che infuriato, dopo la
lezione di inglese, era uscito senza più ritornare in classe…la
persona più sorpresa di tutte ero proprio io!!
Quando Alex entrò in classe la prima
volta, sapevo che in quello stesso istante le mie amiche mi guardarono sorprese
quanto me, ma io non dissi niente fino all’ora di ricreazione.
-Ehi! Summer sei qui con noi o nel mondo degli
innamorati?- mi disse Katie mentre mangiavamo il pranzo, alzai piano la testa e
poi le dissi -Scusa, stavo solo pensando…-. -…al nostro nuovo
compagno di classe- rispose per me Marian. -Dai ti posso capire!E' un bel
ragazzo ma non capisco perché tu debba restare con quella faccia
imbambolata-. -Uffa Katie tu non capisci proprio l’amore!!- s'infuriò Rachel. E se prima era stato il pranzo, ora le due
ragazze erano state capaci di trovare un altro pretesto per litigare. -Avanti
smettetela!- urlò Marian, lei era sicuramente la ragazza più paziente e
calma che allora conoscevo, infatti, fece zittire immediatamente le due
ragazze.
-E’ lo stesso ragazzo del passaggio
vero?- mi chiese curiosa Libby, lei lavorava per il giornale della scuola ed
era di sua abitudine fare mille domande alla gente, però adoravo questo
lato di lei perché anch’io, come lei, ero sempre curiosa di tutti
e di tutto ciò che riguardasse la scuola o il mondo. -Si esattamente.
Però non dovete preoccuparmi per me non mi sono mica innamorata di un
ragazzo che ho visto qualche volta e che, per caso, mi ha dato un passaggio!!- dissi io rassicurandole ma Katie rispose,con tono
malizioso -Quindi se lui ti avesse dato un latro passaggio…-.
-KATIE!!!!-.
Occhi verdi chiari, capelli castano
scuro corti,sguardo affascinante e dolce. I suoi atteggiamenti erano
normali, come quelli di un comune ragazzo che si sentiva uguale agli altri. Il
coach di basket Howard l’aveva scoperto giocare sul campo da basket
durante il primo giorno di scuola e l’aveva messo in squadra annunciando
a tutti che -Quel ragazzo ha un talento innato nel basket-.
Le cose per Jack non si facevano più
semplici, e se prima tutte le attenzioni erano rivolte solo a lui adesso gli stavano ritorcendo contro perché cercava in ogni
modo di mettere in difficoltà “il nemico”.
C’è anche una cosa che non vi ho
detto subito.
Quando Alex si presentò la prima volta
in classe, credevo che non si fosse accorto di me, ed invece, quando il
professore Winston gli disse di sedersi, lui si girò immediatamente e mi
salutò dal suo banco.
Non capì perché ma, quando Jack
vide tutta la scena (lui che mi sorrideva, io sicuramente tutta rossa in viso
mentre gli rispondevo al saluto), la sua faccia si fece rossa dalla rabbia. Fu
così che, quando vide Alex alzarsi e venire da me dopo che la prima
campana, che aveva segnato la fine della prima lezione, scoppiò di
rabbia dando un pugno sul banco e scappando dalla classe. Io, personalmente, non
l’ avevo mai visto in quello stato ma pensai che fosse normale per gli
amici vederlo così quando, ad esempio, perdevano una partita di basket o
quando non andavano bene gli allenamenti. Quindi potete ben costatare come fui
stupita nel notare che furono proprio loro i più sbalorditi dal
comportamento dell’amico.
Quando Jack se n’è andò Alex
mi venne incontro -Wow! Allora è proprio destino che dobbiamo
incontrarci!-. Lo guardai sospettosa e gli chiesi -Non è che già
eri a conoscenza della scuola che frequentavo e sei venuto a cercarmi?-. -Non
credo di essere molto bravo in questo genere di cose però credo che in
un modo o nell’altro ti avrei ritrovata- disse sfacciatamente, così
curiosa gli risposi -E cosa te lo fa pensare?-.
-Immaginavo già di ripercorrere le
stesse strade...prima o poi mi sarei riscontrato con
te- dichiarò sinceramente e allora gli sorrisi -Non te l’ha mai detto
nessuno che hai un bellissimo sorriso?-. Non potreste neanche immaginare di
quanti e quali colori si tinse la mia faccia in quell’istante, ero
vergognosa!!!
-Allora a presto!- mi sussurrò
affrettatamente Alex quando uscimmo dalla classe quel giorno.
Le sue parole mi suonarono in testa da quando,
passandomi accanto, mi aveva sfiorato la mano ...forse
mi stavo solo facendo film. O forse speravo che le sue considerazioni fossero
state rivolte solo a me? Io rimasi un po’ impalata mentre lo vedevo
scendere le scale in tutta fretta. Ancora nonriuscivo a capacitarmi il perché
un ragazzo così carino come lui avesse cercato di attirare la mia
attenzione!!
Ero proprio su di giri quando vidi che Jack mi
stava fissando in mezzo alle scale come se si fosse fermato di botto. - Dov’è
Jack?! Jack muoviti se no ti lasciamo qui!-. Lo
chiamavano gli amici ma lui non si mosse finché incrociai il suo sguardo,
allora lui si voltò e se n’è andò via.
Quello fu per me un giorno pieno di emozioni, per
la prima volta in tutta la mia vita mi sentì davvero felice come non mai
e sentì che non sarebbe finito tutto lì: la storia della mia vita
stava finalmente dando una svolta profonda, che avrebbe condizionato il resto
delle mie scelte.
Dato che sapevamo che la scuola avrebbe preso
il sopravvento su di noi per almeno molti mesi, decidemmo di passare più
tempo possibile insieme prima che avremmo dovuto passare il resto delle
giornate sui libri. Così optammo per un pigiama party in grande stile.
I nostri pigiama party
non solo erano aperti a tutti ma erano a tema, un modo
come un altro per rendere le cose più speciali, più uniche! Per
quella sera il tema era “Las Vegas” quindi immaginatevi il casino
che combinammo quella notte a casa di Katie!! (i
genitori le permettevano tutto).
Con noi c’erano le amiche di Rachel, Rose
e Stephanie, che facevano parte anche loro delle ragazze pon pon, poi c’erano le gemelle vicine di casa di Katie (lei
le odiava senza un alcun motivo ma noi la obbligavamo sempre ad invitarle per
gentilezza e loro accettavano sempre perché, scoprimmo col tempo, avevano
una vera e propria ammirazione per Katie) e le nostre compagne di scuola, Rose
e Mandy.
La serata passò tra chiacchiere e
sfilate, film come “Oceaneleven”
e giochi come il poker (ma era tutto finto… perfino i soldi!), e ci
addormentammo solo per le 4 del mattino successivo.
Peggio fu quando, due ore dopo, dovettimo tutte svegliarci per prepararci ad
andare alla SMHS.
Tutte erano ormai pronte e solamente la
sottoscritta si stava ancora preparando, così le altre, per non fare
tardi, s’incamminarono. L’unica che mi aspettò fu Marian che,
nel frattempo, leggeva il solito quotidiano che comprava sempre il padre di
Katie, il signor Sunders.
L’uomo aveva da sempre una grande
ammirazione per Marian, la considerava una ragazza seria che, in futuro, avrebbe
fatto grandi cose -E’ come se stesse annunciando una profezia- diceva
spesso Katie esasperata e guardava la madre severa aspettando che fosse proprio
lei a zittire il marito. La madre allora faceva in modo di cambiare argomento -Caro
che ne dici se oggi mi accompagni da Sandy? E’ da tanto che non la sento,
vorrei riabbracciarla-.
Katie aveva ottenuto sempre tutto ciò
che voleva, fin da quando era solo una bambina e non permetteva mai a nessuno
di superarla in qualche modo. Questo era uno dei suoi tanti difetti. Anche se
non lo ammetteva, era di Marian la più invidiosa. Forse perché
credeva che il padre volesse più bene alla sua amica che a sua figlia.
Questo le faceva male ma lei non è mai stata un tipo che si lamentava, anzi
si è sempre dimostrata forte e sfacciatamente coraggiosa.
Eppure non sapeva che un giorno, non lontano
da quello, in lei sarebbero cambiate tante cose.
Capitolo 9 *** L’inizio di un’amicizia e la fine di un’altra ***
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L’inizio di un’amicizia e la fine di
un’altra
Quando ancora ero al primo anno, le uniche
ragazze che frequentavo erano Libby e Marian.
Da sempre siamo state grandi amiche e, mi
dispiace ammetterlo per gli altri, ma senza di loro non avrei mai apprezzato
tanto la mia vita quanto allora. Senza di loro mi sarei sentita sola,
incompresa ed inutile. “Nessuno si merita di sentirsi così”
era quello che mi ripeteva sempre Marian.
Il primo giorno di scuola, quando entrai in
classe, la prima persona che conobbi fu proprio lei, Marian Benjamin. Sembrava
una ragazza così irraggiungibile: bellissima ed intelligentissima. Aveva lunghi capelli castani lisci che terminavano con dei piccoli boccoli, una pelle chiarissima che faceva risaltare i suoi bellissimi occhi castano-verdi. Le
persone non si avvicinavano a lei per il timore di essere troppo inferiori ma
lei non ci faceva caso: non dava mai importanza ai pregiudizi della gente che
non la conoscevano. L’unica che si avvicinava a lei senza alcun timore
era Libby, la ragazza più vivace della classe. “Un tipetto
folle”, così la consideravano in classe ma io non avevo paura ad
avvicinarmi a loro, cosa avevo da perdere?
Fu così che mi avvicinai a loro ed
istaurammo uno splendido rapporto di amicizia: eravamo inseparabili!!!. Con questo però, non intendo che ignoravamo il
resto della classe, anzi, era nostro desiderio che ognuna di noi facesse quante
più amicizie volesse e con chi, perché capivamo che questo
meraviglioso sentimento chiamato “amicizia” era ancora più
magico se condiviso con altre persone. Per la prima volta capì di aver
trovato finalmente delle vere amiche che non mi avrebbero mai deluso.
Fu allora che conobbi Jack Gordon. Conoscerlo
fu il mio sbaglio più grande: era terribile!!
Mi prendeva in giro ad ogni momento del giorno, provocandomi in ogni modo
possibile, perché sapeva che mi avrebbe dato molto fastidio e ciò
gli permetteva ancora più popolarità da parte degli studenti
più grandi che non si dispiacevano nel vedere me, una piccola liceale,
messa in ridicolo davanti a tutti. Ad aumentare la dose delle sue attenzioni e
quindi, delle sue cattiverie, fu soprattutto l’opportunità di
entrare a far parte della squadra di basket della scuola.
Dannazione! Quel pomeriggio non avrei dovuto
esserci a scuola, ma attendevo una mia compagna di classe Rose che voleva
vedere a tutti i costi gli allenamenti di basket. Soprattutto per vedere lui. Tutto ciò era alquanto
imbarazzante ma dovevo farlo, gliel’ avevo promesso da tempo.
Con mia grande sorpresa vidi che non eravamo
le uniche ad aver deciso di restare a scuola per guardare gli allenamenti...anzi lo stadio era quasi pieno di fans esultanti della
squadra!!!
Era straziante sentire la mia amica
ripetutamente dire -Oddio, oddio, oddio...sta guardando, sta guardando...e soprattutto sta guardando verso di noi!!!-.
Avevo quasi perso la voce per cercare di dirle, in tutti i modi possibili, che
si stava sicuramente sbagliando.
Quando finalmente ce ne andammo, mi ricordai
di aver dimenticato il libro di matematica nell’armadietto così
corsi a prenderlo mentre lei mi avrebbe aspettato all’uscita.
Per il giorno dopo il professore Herbert ci
aveva assegnato un sacco di esercizi che avremmo dovuto correggerli
personalmente in classe (lui lo faceva soprattutto per mettere in
difficoltà i ragazzi che i pomeriggi avevano gli allenamenti di basket.
Non sopportava l’idea che il giorno dopo si presentavano sempre a mani
vuote nella sua materia).
Il tempo di prendere quel mattoncino di pagine
che, quando chiusi l’armadietto, mi venne un colpo nel vedere Jack
appoggiato all’armadietto di fianco al mio che mi fissava. Mi guardava
con quel suo solito sorrisetto strano alzando il lato destro delle labbra, come
quando stava progettando una delle sue diavolerie e io fossi la povera vittima
ignara di tutto.
-Ciao mostriciattolo! Lo sai perché
oggi sono così felice?- mi chiese d’un tratto, era una domanda a
trabocchetto? -No, illuminami… Hai intenzione di cambiare scuola? Ma non
dovevi! Al mio compleanno manca ancora così tanto! Comunque non devi
preoccuparti per me, starò benissimo-.
Mi guadò accigliato e rispose con
amarezza -Ti piacerebbe… Sfortunatamente resterò qui ancora per
molto-.
-Allora spero che resterai sempre unico nel
tuo genere perché sono quelli come te che non riesco a sopportare-.
Quando conclusi la frase non sentì
né una battutina né una risposta. Lo guardai meravigliata e vidi
che non vi era gioia o follia in quel suo volto da bambino. Non ebbi alcun modo
di pensare al perché continuasse a restare muto. Si voltò e se
n’è andò via.
Quella fu la prima volta che lo vidi triste,
quasi sembrava dispiaciuto per quello che avessi detto perché forse
aveva intuito che, le mie parole di disprezzo, erano tutte vere.
L’avevo ferito veramente e non riuscivo
a capire perché l’avesse presa tanto… Io gli rispondevo
sempre così! Passavano i giorni e lui non mi rivolse più neanche
una parola, un insulto, niente. Per un attimo pensai che avesse preso di mira
un’altra poverella ma mi sbagliai, io ero stata l’unica oltre a
Benny, il secchione numero uno della scuola, ad essere sempre stata presa in
giro da lui.
Se prima lui, durante le lezioni, si girava e
mi gettava addosso delle palline di carte per far ridere l’intera classe,
da quel momento lui non si voltò più. Mi evitava, faceva finta di
non vedermi come se non fossi mai esistita e, la cosa peggiore, fu che non
compresi mai perché, per il suo comportamento, soffrivo tanto: non era
ciò che avevo sempre voluto?
Lo guardavo spesso durante le lezioni che
avevamo in comune (che, sfortunatamente, erano quasi tutte) e spesso mi
domandavo cosa avessi fatto per meritarmi tanto.
-Ciao mostruosa come va?- mi diceva spesso Meg, la ragazza più popolare tra le
ragazze di prima. Da quando Jack mi chiamava “mostriciattolo”, le
persone l’ho imitavano chiamandomi con nomignoli molto simili al suo per
dimostrargli che lui era sempre il migliore.
Meg aveva da sempre una cotta per lui e questo
di certo non mi facilitava le cose. Se adesso non era più lui ad
insultarmi c’era sempre una riserva.
-Allora hai saputo mostruosa? A quanto pare
sei capitata nell’anno dei vincenti, non che tu lo sia, però sei
stata fortunata. Quando ti farai una vecchia rugosa racconterai ai tuoi
nipotini, sempre se riuscirai a trovarti uno straccio di ragazzo, delle
meravigliose creature che vissero durante il periodo scolastico del
liceo…-. -Wow! Sarà dura dire a dei bambini così piccoli
che ai nostri tempi la scuola era infestata da serpenti molto velenosi che
sventolavano dei pon pon e da scimmie che non
smettevano di arrampicarsi su di un cestino- disse divertita Libby mentre io e
Marian ridevamo.
-Ahah che ridere! Raccontalo ad un altro questa- poi si rivolse di nuovo a me,
ma prima che continuasse a parlare gli domandai poco curiosa -Perché
dovrei sentirmi fortunata nell’essere nata nel tuo stesso anno serpe?
Cioè…volevo dire Meg?-. Mi guardò con il volto in fiamme ed
infine mi rispose -Durante la prossima settimana ci sarà la prima partita
di basket di Jack e io andrò ad appoggiarlo come ragazza pon pon e ovviamente come la sua ragazza. Insieme vinceremo-.
-Casomai vince lui!-
rispose Libby ma ormai lei già se n’è era andata indignata
ed io ero rimasta a bocca aperta.
- Summer che ti succede?- mi chiesero
preoccupate Marian e Libby, -Fai quasi paura con quella cera, non è che
stai poco bene?- mi chiese Libby.
Non riuscì a dire una sola parola
perché il cuore mi martellava le orecchie, mi faceva male quasi dovesse
esplodere da un momento all’altro. Mi alzai e scappai in bagno.
Non diedi molta importanza a chi avessi
trovavo durante il mio tragitto, dovevo rinchiudermi subito da qualche parte a
pensare. Quando mi lasciai dietro la mensa ed entrai in bagno, mi sedetti su di
un water, chiusi la porta a chiave e non ci uscì fino all’ora
successiva quando rincominciarono le lezioni.
Durante quell’ora pensai a tantissime
cose senza però darmi una risposta sicura. Quel giorno Jack mi avrebbe
voluto dire che era riuscito ad entrare nella squadra di basket, ma
perché si era comportato in quel modo? Ci teneva così tanto a
dirmelo? Cosa si aspettava che facessi se me lo avesse detto?!
Certo non potevo congratularmi con lui visto che ci odiavamo. O ero solo io ad
odiarlo? Forse neanche io l’ho mai odiato veramente…No! Che mi
succede? Io devo odiarlo, dopo quanto
mi aveva fatto passare!! Non capivo neanche più
i miei sentimenti, per caso mi ero innamorata del ragazzo più odioso
della scuola? Non era possibile! Eppure, quando a mensa avevo ascoltato le
parole di Meg che dicevano di essere “la sua ragazza”, non avrei
mai immaginato di provare quella strana sensazione come se mi sentissi quasi
mancare l’aria, come se avessi sentito un grosso vuoto dentro lo stomaco
che non riuscivo a spiegare. Ero gelosa? Tutto ciò non era possibile e conclusi così i miei discorsi
perché sentì la campana annunciare l’inizio delle lezioni.
Mi avviai da sola, lungo il corridoio. Mi
sentivo triste e abbattuta. Entrai dopo circa venti minuti di ritardo in classe
e feci le mie scuse al professor Gregory (che non servirono a nulla
perché mi mise una nota) e mi sedetti al mio posto. Tutta la classe mi
guardava, forse perché avevo ancora il viso un po’ pallido, ma non
ci feci molto caso perché l’unica cosa che al momento volevo
dimenticare era l’unico ragazzo che non si era girato ad osservarmi, Jack
Gordon.
Passarono quasi due anni da quando io e Jack
ci ignorammo definitivamente. Stavamo crescendo, anche se non ce ne rendevamo
conto.
Lui si tagliò i capelli castani e li
tinse di nero, la sua statura incominciò a farsi più alta e i
suoi lineamenti più duri. Il suo comportamento era uno di quelli che i
professori contestavano sempre: aveva un’indole indipendente, odiava
seguire le regole e spesso si cacciava nei guai. La maggior parte delle volte,
però, se la cavava grazie all’intervento del coach che lo seguiva
in tutti gli spostamenti.
Se c’era qualcuno in quella scuola che
ci teneva a Jack quanto i suoi amici era proprio il coach Howard che tentava di
tenerlo lontano dai pericoli. Eppure a me sembrava che se li cercasse da solo
soprattutto quando a lezione c’era il professor Gregory
: lì dava il suo meglio.
Io, nel frattempo, mi feci poco più
alta, dimagrì e iniziai a truccarmi ed aggiustarmi i capelli (una volta
li legavo sempre, poi decisi di lasciarli sciolti). Mi feci senza dubbio più
carina, più femminile.
Lui invece diventò un ragazzo
bellissimo, nessuna ragazza riusciva a pensare il contrario; anzi, trovavano
nel suo essere imprevedibile e poco affidabile, una grande fonte di fascino.
Persino Marian e Libby, sempre state indifferenti alla sua persona, mi
rivelarono un giorno che lo trovavano molto affascinante.
Io non feci più caso ai miei
sentimenti, avrei dovuto reprimerli per sempre. Ero tranquilla perché
ero convinta di esserci riuscita. A volte mi capitava di sognarlo senza volerlo,
io e lui di nuovo insieme, illudendomi che il giorno dopo avrei ritrovato tutto
come prima, come se non fosse mai successo nulla.
Ma niente di tutto ciò accadde.
Incominciai ad illudere me stessa soprattutto
quando pensai che forse, in fondo, anche io avrei potuto avere una chance per
stare con lui. Ma compresi che ciò non era possibile.
Non sarei mai potuta essere la ragazza giusta
per lui. Accanto a Jack potevano esserci solo un certo tipo di ragazza:
popolare, ricca e bella come Meg, e io certamente non ero così.
Quando io e lui ci ritrovavamo nella stessa
classe, sembrava che il tempo non passasse mai e, invece, avrei voluto che
corresse.
Nessuno più pensò
all’altro. Dovetti ammettere a me stessa che era più difficile di
quanti pensassi :ogni cosa all’interno
della scuola rievocava un suo ricordo. Il giorno che mi buttò un secchio
d’acqua in testa, quella volta che mi tolse la sedia dal tavolo della
mensa mentre stavo per sedermi (fu velocissimo), persino il corridoio del mio
armadietto mi rammentava suoi ricordi. Una volta, ad esempio, scivolai
perché lui lasciò appositamente una banana sul pavimento, e io,
da vera stupida qual’ero, non mi accorsi di nulla finché non feci
una brutta caduta che mi costò, non solo dei dolori fortissimi, ma un bel
livido viola sul sedere. In effetti, un po’ tutto mi faceva ricordare
quei suoi stupidi giochetti.
Uno fu diverso dagli altri, il ricordo
più brutto eppure quello più imbarazzante: un pomeriggio, dopo
che la campana suonò la fine dell’ultima lezione, mi ritrovai da
sola in classe ad aiutare la professoressa Nancy a riporre i suoi libri nello
studio degli insegnanti. Lasciai, involontariamente, la mia borsa sul banco.
Quando tornai a casa mi accorsi che dentro alla borsa, c’era una lettera
bianca con un rosa rossa attaccata con lo scotch. Curiosa la aprì e
lessi quella che doveva essere una dichiarazione d’amore: possibile che
esisteva una persona che mi trovasse interessante?
La lettera diceva che avrei dovuto incontrarmi
con lui, durante l’ora di spacco, nella sala delle celebrazioni dove
avvenivano i discorsi di apertura della preside e dove si allestivano le feste
o gli spettacoli teatrali della scuola. Cosa avrei dovuto fare? Accettare o
buttare la lettera nel cestino?
Al momento immaginavo i commenti che avrebbero
fatto le altre “ Summer dovresti buttarti e non tirarti indietro come fai
sempre”.
Così decisi di andarci ma feci la
più grande stupidaggine del mondo. Ovviamente era tutto uno scherzo di
Jack.
Ricordo ancora quando lui si avvicinò a
me e disse ridendo -Tu e Benny state proprio bene assieme-. Dovevo
aspettarmelo, non sono mai stata una ragazza molto fortunata. Non riuscì
neanche a trattenere le lacrime così, senza pensarci due volte, mi
voltai e scappai via.
Sapevo che tutti i suoi amici, che avevano
assistito alla scena, mi videro piangere, ma ormai non me ne importava
più nulla. Volevo sprofondare, volevo scomparire, non aver mai aperto
quella dannata busta! Quando uscì da scuola non mi voltai mai indietro.
Quella sera, mentre studiavo (mangiai tanta
cioccolata), sentì battere qualcosa alla finestra. Andai a controllare e
lo vidi. Un’immagine di terrore si dipinse sul mio volto: avrei dovuto
ucciderlo allora! Ma non lo feci (fortunatamente per lui). Aprì la
finestra e, senza dargli il tempo di parlare, gli dissi che se ne doveva andare
al diavolo. Ma lui non si arrese e mi lanciò quanti più sassolini
poteva al mio finestrino, allora io accesi lo stereo e lasciai la musica a
palla per non essere più disturbata da lui.
Dopo circa tre ore mi accorsi che lui
continuava a tirare sassolini, non si era ancora arreso all’evidenza.
Sapevo che era un ragazzo testardo, ma non credevo fino a questo punto!
Mia madre mi pregò di parlargli: lo
trovava molto romantico il gesto. Per non parlare di Nathan! Lui credeva
persino che fosse il mio ragazzo! -Su sorellina, dagli un’altra
possibilità- mi diceva ridendo a crepapelle. Così esausta, dopo
cena, uscì nel giardino e lo vidi intento a cercare nuovi sassolini da
lanciare alla mia finestra.
-Eccone un altro!-.
Stava parlando da solo e ignorava le guardate
curiose dei vicini. In effetti, un po’ mi faceva tenerezza…ma solo
un po’!
-Si può sapere che ci fai ancora qui a
quest’ora? Neanche tua madre ti sopporta più?-.
Finalmente si voltò. Se fosse stato un
altro ragazzo ad avermi sorriso in quel modo, forse avrei pensato che lo avesse
fatto perché era felice di vedermi.
Lui continuava a guardarmi, forse sperando che
cambiassi il mio tono freddo, ma non lo feci. Lo sentì fare un respiro
profondo, mentre si appoggiava delicatamente ad una colonna.
-Finalmente! Non ne potevo più…ti
cercavo perché... ecco…-. -Mentre mi dici che ci fai qui mangia
questo panino, l’ha fatto mia madre per te-. -Gentilissima
signora…non come sua figlia ovviamente- disse sorridendo.
Io, però, continuavo ad essere rigida e
fredda. -Guarda che me lo riprendo- gli dissi, così incominciai a
correre dall’altra parte del giardino ma lui mi raggiunse subito.
Non me ne resi conto all'istante ma lui mi
fermò abbracciandomi da dietro e stringendo entrambe le sue braccia
attorno alle mie. Io ero immobile, perché il mio cuore stava impazzendo?
-Ti ricordo che sono un ragazzo molto
sportivo-. -E io ti ricordo che è me quella che stai abbracciando, se
passa qualcuno che conosci, non ti darà fastidio se ci vedrà
insieme?-. -Che dici? Non potrebbe mai importarmene-.
Cosa avevo sentito? Ma lui, rendendosi conto
solo all’ora di ciò che riferì, si corresse immediatamente
staccandosi da me e dicendo -Hai ragione, la notizia farebbe troppo scalpore
“Il magnifico Jack nelle grinfie del suo mostriciattolo”- e
scoppiò a ridere. Io rimasi zitta a fissarlo, questa volta esasperata
dal suo ego. Lui mi guardò, capì che era il momento di essere
seri.
- Daniel voleva che ti chiedessi scusa ma
sinceramente non capisco il perché. Io oggi mi sono divertito e
continuerò a divertirmi perché sono giovane e bello e mi piace
ridere. Se Dio mi ha fatto così, prenditela con lui-. Dopodiché
strappo dalla mia mano il panino che avevo e si avviò verso il sentiero
che conduceva al piccolo cancello e, senza voltarsi, agitò due dita in
aria in segno di saluto.
Stavo rientrando dentro quando lo sentì
urlare -Sogni d’oro piccolo mostriciattolo!-.
Se c’era una cosa evidente del carattere
di Jack era il suo orgoglio: non era mai riuscito a chiedere scusa a nessuno ma
questo io ancora non lo sapevo.
-Si hai proprio ragione! Mi hanno detto che il
suo nome è Katie Sunders, èla figlia di Tom Sunders, il
proprietario della miglior banca di Santa Monica. Mio padre dice che è
l’unico uomo di cui si possa mai fidare nel mondo degli investimenti-.
Quando sentimmo quelle ragazze parlare tra
loro, io Marian e Libby ci girammo curiose a guardare chi fosse questa ragazza.
Alta, bionda, occhi verdi, sempre alla moda, ricca fino al midollo: Katie Sunders
era invidiata da molte ragazze perché otteneva sempre tutto ciò
che voleva. Non solo per le cose materiali, lei stessa si era dimostrata capace
di essere una persona responsabile e poco superficiale premiandosi comepresidente del
consiglio studentesco. Il suo incarico era per lo più quello di
organizzare feste o eventi. Lei era molto brava in questo: le feste organizzate
da lei erano tutte bellissime.
Tuttavia se da un lato tutti i ragazzi erano
attratti dai suoi modi di fare, dall’altro questo suscitava invidia e
antipatia da parte delle ragazze che la trovavano un tipo orgoglioso, egoista e
altezzoso. In effetti era quello che credevo anche io:
la vedevo molto spesso fare la preziosa con i ragazzi, sfruttare la gentilezza
dei ragazzi più piccoli ordinando loro di farle i compiti o di andarle a
prendere il pranzo. Eppure quando la vedevo, credevo fermamente che non poteva essere così perché c’era un
non so ché nei suoi modi di fare, nei suoi sguardi che nascondevano
qualcosa di meno perfetto di quello che dimostrava.
A conoscerla fu un caso. Non sono mai stata un
asso nello sport o in qualche disciplina.
Marian era molto brava a scuola, adorava
soprattutto la letteratura. Libby invece era molto brava negli sport come la
pallavolo.
Io invece mi distinguevo sempre. Non eccellevo
né per lo studio né per gli sport. Mi reputavo una ragazza in
gamba, perché comunque andava, riuscivo sempre a strappare una
sufficienza. Nello sport non davo certo del mio meglio quando Jim, il nostro
professore, (si faceva chiamare per nome) ci diceva di fare dei giri di corsa
attorno alla palestra. Abitualmente, dopo due giri, incominciavo a rallentare
fino a fare delle vere e proprie passeggiate lungo i bordi della palestra.
L’unica ragazza che seguiva il mio
esempio era Katie che, benché avesse un fisico molto atletico, non
adorava correre o, in qualche modo, sudare. Così spesso ci sedavamo
sugli spalti (lontane dalla vigilanza di Jim) e parlavamo di tutto quello che
ci succedeva giorno per giorno.
Avevo sempre pensato che lei avesse una vita
perfetta: dei genitori ricchissimi che le permettevano qualunque cosa senza mai
dire di no, tutti i ragazzi più grandi e carini della scuola ai suoi
piedi e tutte le ragazze ammirate che provavano ad imitarla. Invece non era così.
I suoi sorrisi nascondevano turbamenti, incertezze, tristezza e paura. Non era
una ragazza felice e mi ci volle un po’ di tempo per capirlo. Un giorno
la trovai piangere nel bagno delle ragazze: era sola e nessuno le era accanto.
Piangeva perché non ne poteva più della sua vita, le sembrava
così vuota.
Così le permettemmo di entrare
ufficialmente nel nostro piccolo gruppo: eravamo così felice di averla
tra noi. Ben presto Katie imparò che, quello di cui aveva più
bisogno, era l’affetto di un’amica.
Rachel si trasferì a Santa Monica solo
l’anno seguente. Era sempre stata un ragazza
molto determinata. Come nella scuola precedente, Rachel aveva deciso che
sarebbe diventata “qualcuno”, non voleva essere considerata come
tutte le altre. Così fece i provini per le ragazze pon pon (le cosiddette cheerleader) ed entrò
immediatamente nel loro gruppetto.
Durante il pranzo, Marian ci aveva dichiarato
che avrebbe provato anche lei ad entrare tra le cheerleader. Io e Libby
pensavamo che lo volesse fare per cercare di superare le sue paure come quella
di ballare davanti a un pubblico; in seguito scoprimmo che lei aveva fatto una
scommessa con Katie. Se entrava tra le cheerleader Katie avrebbe chiesto a
Daniel, il migliore amico di Jack per cui Katie aveva una cotta dalla prima, di
uscire con lei.
Nonostante l’impegno di Marian non
superò le selezioni. Era completamente negata: non solo non riusciva a
seguire il ritmo ma sbagliava anche tutti i passi. -Almeno c’ho provato-
ripeteva ad alta voce più a se stessa che a noi.
Durante le audizioni, tutte le ragazze
miravano a vincere. Solo Rachel non era
preoccupata:sapeva di avere la stoffa della cheerleader.
Molte erano le ragazze che desideravano
diventare sue amiche. Infatti ci risultò strano
che fu proprio Marian a fare subito amicizia con lei.Era strano perché le ragazze come
Rachel, erano considerate il classico tipo popolare e snob (come Katie, ma lei
non era mai stata amica di Megan), che il resto della scuola detestava
(soprattutto da me) e perciò avrebbe potuto prendere in considerazione
ben altre amicizie.
Fortunatamente era diversa da ciò che
appariva. Ma se entrare a far parte delle ragazze pon pon
significava essere conosciuti da tutti, lei divenne ben presto una di quelle
persone che non ne poteva di fare a meno di tante attenzioni. Ma le non si
pentì mai di aver scelto di stare con noi piuttosto che con il gruppo
dei più popolari della scuola, il gruppo di Megan e di Jack.
Lei aveva sempre avuto un buon intuito su
tutto ciò che le circondava: dall’amicizia all’amore. Ad
esempio, quando vide per la prima volta Justin, affermò che non era per
niente il suo tipo ma che avrebbe voluto tanto un ragazzo come lui (un
po’ contorto, lo so). Così si fidanzò con Justin. Passarono
tre anni e ancora andavano d’amore e d’accordo.
Così come l’amore,
l’amicizia tra noi cinque non finì mai. Incidemmo le nostre
iniziali sulla corteccia dell’albero dove più ci piaceva stare
durante le ore di riposo. M+L+S+K+R=amiche 4ever e così sarebbe stato
per sempre.
Scesi le scale e giunsi davanti alla porta
d’ingresso di casa Sunders. -Finalmente! Non ne potevo più di
spettarti, stavo quasi pensando di lasciarti qui- mi gridò di rimando
Marian.
-Non l’avresti mai fatto, purtroppo mi
vuoi troppo bene- la guardai sfoggiando il mio lato più affettuoso,
dandole un bacio leggero sulla guancia.
-Arrivederci ragazze e buona scuola! Mi
raccomando, mi fido su di voi per la sicurezza di Katie. Mia figlia ama
cacciarsi nei guai-. La madre di Katie ci salutò ancora.
Scesi gli ultimi scalini del bianco marmo
della bellissima casa, Marian guardò l’orologio, il suo volto
diventò una maschera di paura. La guardai e ridendo le dissi -Lo sai che
con questa faccia saresti perfetta per Halloween?-. Mi guardò ancora
più severamente e disse -Se vedessi che ore sono non rideresti
più!-.
Non fu facile il tragitto sino a scuola.
Io e Marian ci lanciammo in una corsa contro
il tempo. Riuscimmo ad entrare per un soffio allo scoccare della campanella.
La giornata passò tranquilla senza
altri imprevisti.
Mi sentivo serena
perché ogni momento che passava scoprivo un nuovo aspetto del
carattere di Alex che mi appariva sempre più interessante. Col tempo
riuscì a liberarmi della mia timidezza ed accettare la bellissima
realtà che si presentava davanti ai miei occhi.I giorni passavano e ogni secondo di più mi sembrava che
non fosse mai abbastanza da contenere tutte le emozioni, le gioie che riuscivo
a provare con lui. Ero davvero felice. E la cosa più piacevole fu
scoprire che per lui era lo stesso.
Questo lo seppi la sera del nostro primo
appuntamento. Ero emozionatissima.
Quella mattina a scuola mi sembrava
così nervoso! Non capivo perché si comportasse in quel modo
(inciampava spesso, era perso sempre tra i suoi pensieri, e ogni tanto
balbettava), poi tutto mi fu chiaro quando mi chiese di fermarmi con lui dopo
scuola perché doveva parlarmi. Non pensai certamente ad un appuntamento,
tutto mi sembrava già troppo bello per essere vero, anche se Katie mi faceva
più volte notare che avevo torto se pensavo che prima o poi tutta quella
felicità mi sarebbe stata portata via.
Immaginatevi la faccia che feci quando lui mi
chiese, più agitato di quanto non l’avessi mai visto, se volessi
uscire con lui quella sera per andare a vedere un film che aspettava da tempo
di andarlo a rivedere. Così accettai immediatamente, avevo sognato da
troppo tempo quelle parole. Infatti, quando raggiunsi le mie amiche non capivo
se avevo immaginato o se era stato tutto vero. Vidi tutte e quattro che mi
guardava ansiose, aspettando una qualsiasi risposta uscire dalle mie labbra.
Per un po’ le guardai senza pensare di
tralasciare alcuna emozione, poi però non riuscì a trattenermi.
Le rivolsi un gran sorriso (era enorme) e loro compresero immediatamente, forse
già lo avevo intuito. Urlarono come delle pazze -SI!!!!!!!!!!- e tutti gli studenti,che ancora uscivano dal grande
cancello,ci guardavano impauriti. Ma nessuna ci fece caso.
Quello che volevo l’avevo finalmente
ottenuto. Per prepararmi al mio primo vero appuntamento invitai tutte le mie
amiche ad aiutarmi a scegliere cosa avrei indossato quella sera. Dopo
un’estenuante decisione, indossai un top rosa e un jeans grigio a
sigaretta, una giacchettina bianca a tre quarti con lunghi risvolti alle
maniche e le ballerine bianche con un po’ di tacco. Le mie amiche
uscirono poco dopo che arrivò Alex.
Fu meglio così: odiavo aspettare.
Quella sera mi sembrò essere stata
troppo breve, avrei voluto restare con lui tanto altro
tempo ancora,ma i miei non me lo permettevano. Mi sentivo come una cenerentola
che viveva finalmente il suo sogno con il suo principe azzurro per poi sentirsi
improvvisamente in ansia quando l’orologio segnava l’ora il ritorno
a casa. Fortunatamente Alex era venuto di persona a parlare con i miei
rassicurandoli che sarei tornata a casa per le 22:00. Durante il film (il
signore degli anelli: il ritorno del re) eravamo stati entrambi talmente presi
dalla storia da non pensare che il nostro dovesse essere stato il primo appuntamento.
Quando arrivammo sulla soglia di casa mia
discutevamo ancora del film. Mentre parlavamo ci sembrò, però, di
essere osservati. Fino a quel momento non avevamo mai avuto imbarazzo, ma
proprio in quell’istante non sapevamo cosa fare. Lui agitava le mani
nelle tasche guardando da una parte all’altra del giardino facendo
osservazioni sulla casa e io, più imbarazzata di lui, decisi di
assecondarlo rispondendolo alle domande. Per quella sera lui era bellissimo
(non che non lo era solitamente) : indossava una
maglia bianca e dei jeans chiari e strappati, una giacca elegante nera e le
converse nere.
Finché restai con lui non avevo alcuna
necessità di rientrare, ma l’imbarazzo aumentò quando Nat e
Jason, il suo migliore amico, rientrarono da Stanford.
Scesi dall’auto, per poco non si presero
un colpo: Jason era amico di mio fratello dai tempi del liceo. Lui scelse
un’altra facoltà, quella di Barkley. Evidentemente era venuto a
trovare mio fratello. Per me lui era sempre stato quasi come un fratello, una
volta era sempre in giro per casa a combinare guai con Nat. Ma quella è
la loro storia. Comunque l’avermi visto con un ragazzo non fu uno schok
solo per mio fratello.
Ci passarono accanto lanciando occhiatacce
riferite, ovviamente, solo ad Alex. Appena entrarono dentro casa, Alex mi fece
notare -Mi sa che non piaccio tanto ai tuoi fratelli-. Lo guardai e risi -Non
ti preoccupare non sono due i miei fratelli, l’altro era il suo migliore
amico-. -Non riesco a trovarci un lato positivo a questa notizia-. -Beh potresti
pensare che solo uno dei due ha il diritto di sbranarti-. -Spero sia quello
più magrolino-. Gli sorrisi e dissi -Allora reputati un uomo fortunato-.
Rientrai a casa poco dopo, io e Alex ci
eravamo salutati con un semplice bacio sulla guancia. A me andava bene anche
così, quella sera già era stato un grande traguardo per la mia
noiosissima vita sentimentale, di certo non l’avrei mai dimenticata. Come
sospettavo, a guardare la scena del saluto, c’era tutta la mia famiglia
che vigilava sulla finestra di fronte all’entrata. Ma non mi importava.
Ero felice e non riuscivo a smettere di sorridere.
Durante il tempo che trascorrevo
sola con Alex, sentivo che mi stavo legando sempre più a lui. Ovviamente finì con l’innamorarmene perdutamente. Niente
aveva più senso se non c’era lui con me.
Le mie amiche conoscevano bene
quel sentimento ma sapevo, in cuor loro, che ero abbastanza noiosa quando
iniziavo a parlare di lui. Così, quando c'erano loro, cercavo sempre di
cambiare argomento. Ovviamente a scuola non mancarono di girare voci che
affermavano che io e Alex già facevamo coppia fissa. Ciò era
appunto impossibile: lui non mi aveva fatto ancora quella fatidica domanda che
aspettavo con tanta speranza.
Con mia grande sorpresa fu Daniel il primo che
cercò una conferma.
Alla fine della quarta ora, mi fece segno di
seguirlo. Così, mentre tutti si dirigevano a mensa, io e Daniel ci
fermammo a parlare in classe.
Fece un lungo sospiro e poi mi chiese, guardandomi
dritto negli occhi, -E’ vero quello che si dice qui a scuola? Stai
veramente con Alex?-. Lo guardai sbalordita per la domanda che mi aveva posto,così gli risposi tranquillamente -No, io e Alex
usciamo insieme ma non mi ha ancora chiesto di diventare la sua ragazza-.
Lo vidi fare un altro sospiro, e molto
più sollevato infine dichiarò velocemente -Ok scusa per la domanda-.
Ma prima che se n’è andò mi parai davanti a lui e gli chiesi spedita -Aspetta un attimo! Perché desideravi
tanto una mia riposta?-. Sembrava che lo avessi messo in difficoltà con
questa domanda.
-E’ difficile spiegarti ma
ormai non ha neanche tanta importanza, la mia considerala una semplice
curiosità-. Una semplicità curiosità? Ma che vuol dire!? Mentre riflettevo sulla sua strana affermazione, non mi
accorsi che lui se ne era già andato, lasciandomi da sola in classe con
i miei pensieri. Cosa significavano quelle parole?
Poi sentì un rumore forte proveniente
dalla mia pancia e mi decisi di non pensarci più ma di dirigermi subito
in mensa.
Daniel non fu che il primo di una lunga lista
di persone che mi chiesero informazioni sulla mia vera situazione sentimentale.
All’inizio non ci davo tanto peso, poi
però, le continue curiosità della gente incominciarono a
stufarmi.
Ad alzare il mio tasso di impazienza fu il
comportamento di Jack: si comportava come un amico sincero nei confronti di
Alex. No so spiegarvi perché, ma quest’amicizia appena sbocciata
non mi piaceva per niente. Avevo sempre creduto che la gentilezza di Jack era
nata dal fatto che doveva rassegnarsi all’idea che c’era un altro
giocatore di basket altrettanto bravo quanto lui e che
ne avesse raggiunto la sua stessa popolarità .
Quando ne parlai con le ragazze, loro non
furono assolutamente d’accordo con me, come se mi dovessero nascondere
qualcosa che io non potevo sapere. -Dai Summer! Non è che preferiamo lui
a te ma... E' evidente che loro si trovino d’accordo adesso: fanno parte
della stessa squadra e devono divedere lo stesso campo da gioco!- incominciava
Katie. -Se ci pensi troppo dai forma alle rughe sul
tuo viso prima ancora di essere invecchiata, quindi non ci pensare tanto. Io la
penso come Katie: forse Jack ha capito che è stupido continuare a
tenersi contro Alex. In fondo sono due brave persone- replicò Rachel.
Dopo aver guardato torva la mia amica mi
voltai a guardare Libby e Marian ma loro abbassarono gli sguardi come per fami
intendere che, neanche loro, mi volevano dar ragione. Cosa mi stavano
nascondendo?
Salve
a tutti!!Volevo ringraziare Ethlinn
per la sua recensione (non so se ti è arrivato il mio mess di posta elettronica...)comunque non ti preoccupare!!
Mi fa sempre piacere avere suggerimenti o commenti sulla mia storia!! Ringrazio anche tutti coloro che stanno leggendo e che
continueranno a leggere questa fic... spero vipiacca davvero!!Se volete
commentate... accetto anche le critiche!!Kiss ShArY90
Il secondo appuntamento aveva sicuramente
un’atmosfera più magica. Soprattutto perché non parlammo di
libri, film o scuola. Ma parlammo semplicemente della nostra vita.
Lui mi raccontò di non essere figlio
unico: aveva una sorellina più piccola di 6
anni insopportabile (secondo lui),e viveva solo con la madre superprotettiva.
-E tuo padre dov’è?- gli chiesi
incuriosita. Lui abbassò lo sguardo e con un tono totalmente nuovo, che
non sembrava appartenergli, disse -Mio padre è morto due anni fa in un
incidente stradale. Un camionista era ubriaco, così non ha visto la
macchina di mio padre e... -.
-Dai lascia stare! Non voglio sentire come
finisce. Per te deve essere stata dura, non volevo rievocarti brutti ricordi...
Scusa- lo guardai sperando di non aver rovinando la serata con la mia stupida
domanda, non avrei dovuto nemmeno pronunciarla, se solo avessi saputo!
-Non ti preoccupare ho già superato il
trauma... Io almeno sì ma mia madre no, doveva cambiare posto. Non ne
poteva più lì, a Sant Diego. Ogni cosa
gli faceva ricordare mio padre-. Quelle parole mi rievocare, involontariamente,
quell’essere disgustoso di Jack, e il modo in cui, anni fa, cercavo
invano di dimenticarlo anche se tutto mi rievocava un
suo ricordo. Ma questo certamente non era il momento più adatto per
pensarci.
Guardai Alex sperando in un suo piccolo
sorriso e gli dissi -Allora devo ringraziare assolutamente tua madre per aver
scelto Santa Monica. Perché sono così felice di averti
conosciuto!-.
Come speravo lui mi sorrise. Un piccolo, dolce
sorriso e cambiò tutto.
-Hai ragione, devo ancora ringraziare mia
madre, vedrò di farlo quanto prima-.
Eravamo sul ponte del Venice Boulevard. Lui mi
aveva detto che quello, per lui, era diventato il luogo più bello di quella città. Primo, perché mi aveva
incontrata lì (fu dolcissimo...come potevo non adorarlo?) e secondo,
perché ci veniva ogni domenica con la bici per ammirare lo splendido
tramonto della città.
Quando giungemmo alla fine del lunghissimo
ponte bianco. Ci fermammo a contemplare il mare. -Come si sta bene qui. Tutto
è calmo, immobile, domina il silenzio assoluto- mi rivelò
più tardi.
Mi soffermai a guardare il suo splendido viso
che era illuminato dal lampione che ci era accanto.
Lui chiuse gli occhi e fece un gran respiro.
-Mi piace questo posto soprattutto quando voglio essere solo senza il disturbo
di nessuno- continuò. -Quindi già so che se ti vedrò di
nuovo qui non dovrò venire a disturbarti!- gli risposi con ironia.
Lui riaprì gli occhi e si voltò
a guardarmi -No... tu sei la mia piccola eccezione-. E poi avvenne.
Mentre gli rivolgevo un delizioso sorriso per
le sue belle parole, lui si avvicinò piano piano al mio volto e
posò delicatamente le sue labbra sulle mie. Io rimasi di sasso, non mi
aspettavo quel bacio. Infatti mi irrigidì
all’istante.
Lui non comprese la mia strana
“risposta” al bacio e si staccò di poco dalle mie labbra
guardandomi confuso -Devo pensare che tu abbia solo freddo o semplicemente che
non avresti voluto un bacio da me?-.
Non riuscivo a guardarlo, era troppo vicino al
mio viso!! Ma dovevo dirgli qualcosa, lui aspettava
una risposta. Così mi feci coraggio, alzai lo sguardo e lo baciai.
Quel bacio era la risposta alla sua domanda.
E stavolta fu diverso. “Il secondo bacio
è sempre il più bello” mi ricordo di aver sentito dire da
Joey mentre guardavo il mio telefilm preferito dell’epoca Dawson’s
Creek.
Finalmente potei ripeterlo anche con le mie
parole.
E poi...
Eravamo sotto casa mia.
Da poco ci eravamo salutati, cosi stavo per
varcare la soglia di casa quando sentì un braccio tirarmi di nuovo
fuori. Ero un po’ spaventata, perché credetti che fosse un maniaco
(anche se praticamente ero dentro casa) , ma appena
guardai in faccia il proprietario del braccio mi rilassai.
Notai che era piuttosto ansioso. E certamente
mi lasciò spiazzata quando sentì pronunciargli -Ok... questa
è l’ultima volta che ripeto a me stesso di chiedertelo...vorresti essere la mia ragazza?-.
COSA?????COSA AVEVA
DETTO???SOGNO O SON DESTA???
Io ero ancora incantata a guardarlo e non
riuscivo ad aprire la bocca (o forse era già aperta). Infatti, senza che
me ne rendessi conto pienamente, le mie labbra risposero da sole per
pronunciare un semplice ma bellissimo –Si-.
Quando rientrai a casa trovai, al solito,
tutta la mia famiglia riunita in cucina che mi spiava dalla finestra. Ma loro
facevano finta di niente perché non volevano essere scoperti nei loro
ruoli di spioni.
Così quando entrai nella stanza cercai
di fare la parte della persona adulta e matura dicendo che dovevano finirla e
dovevano rispettare la mia privacy, ma non appena rientrai nella mia camera da
letto scoppiai a ridere e la prima cosa che feci fu chiamare le mie
adoratissime amiche.
***Salve a tutti!!!
Chiunque siate spero che questa storia sia abbastanza intrigante da piacervi!!
Per favore lasciate commenti!!( vanno bene anche
critiche).
C’è una cosa importante che
vorrei assolutamente sottolineare QUESTA STORIA E’ STATA INVENTATA DI SANA PIANTA DALLA SOTTOSCRITTA SE PER CASO ALCUNE
PAROLE, ESPRESSIONI, O VARI RIFERIMENTI VI SEMBRANO
FAMILIARI AD UN’ATRA FIC SAPPIATE CHE TUTTO Ciò E’ STATO
SPUDORATAMENTE COPIATO quindi vorrei pregare le persone ad essere più
attente (difatti troverete che la mia fic è stata postata prima). Non voglio fare nomi o
cose simili ma voglio solo avvertire che mi sono accorta di tutto e che,
chiunque sia, deve smetterla di mescolare le mie parole nella sua storia!! Scrivere è anche riflettere noi stessi, le nostre
parole, in una storia vera o finta che sia. Dal modo di scrivere si può
anche capire come è fatta una persona. Questa sono io e, credo come
chiunque, sono unica e non vorrei essere imitata o fotocopiata. Questa non
è una minaccia ma solo un suggerimento e un avvertimento: scrivi per
quello che sei e non per rendere più “bella” la storia con
parole d’altri! Che razza di storia sarebbe, non ti pare?
Ora vi lascio... spero che continuerete a
leggere la mia adorata fic!!
(che è anche la prima...)***
Il giorno dopo a scuola fu strano. Non ero
abituata a sentirmi pronunciare quella maledettissima e bellissima frase che
faceva “sto con un ragazzo”. Alle mie labbra sembrava troppo
difficile pronunciare quelle parole senza fare anche un sorriso a 32 denti. Le
mie amiche ridevano tutte le volte che mi sentivano ripetere quella frase,
soprattutto nel guardare la faccia che assumevo nel dirla.
Alex era molto felice, proprio come lo ero io.
Tutto sembrava così perfetto! Non credevo che avrei trovato così
presto il mio principe azzurro! Perché era quello che credevo...
Ogni mattina mi aspettava appoggiato
all’ingresso della scuola, poi si univa a me e alle ragazze
nell’ora di spacco e se rimaneva tempo, ci riposavamo sotto al grande
albero poco lontano dal grande cancello bianco.
Era tutto perfetto, come l’avevo sempre
immaginato.
Ogni tanto poi mi faceva un
sorpresa facendosi trovare sotto casa mia con l’intenzione più
carina di fare la strada assieme per andare a scuola. Dato che, purtroppo, era
a conoscenza del mio scarso rendimento in educazione fisica, percorrevamo le
strade sulla sua bicicletta anziché a piedi.
Vi chiedete per caso come facevamo? Beh... lui
era seduto sul sediolino e io, dietro di lui, restavo in piedi facendo aderire
quanto potevo le mie scarpe ai tubi che si trovavano accanto alle ruote, in
modo che, curvandomi leggermente, mi potevo appoggiare sulle spalle di Alex.
Ovviamente pregavo tutte le volte che quei poveri tubi non avrebbero mai ceduto
al mio peso.
Benché tutto questo mi facesse
già molto felice, per me la sorpresa più bella di tutte restava
la prima.
Una mattina (io e Alex ci eravamo messi
insieme solamente la sera prima), scoprii in camera mia una cosa davvero
inaspettata: Alex aveva ordinato la sera prima a un bar poco distante da casa
mia, di portarmi la colazione personalmente a letto. Infatti
quando mi svegliai vidi appoggiato sul “bauletto delle meraviglie”
(in realtà era un semplice baule ma io e Nat l’avevamo
soprannominato così perché volevamo conferirgli un aria
più misteriosa e intrigante, inutile dire che appariva comunque un
semplice baule di vimini) un piccolo vassoio bianco.
Rimasi perplessa e avrei continuato a
contemplare quel piccolo vassoio con sopra un caldo cornetto al cioccolato che
emanava un odore delizioso e un mazzo di rose rosse lasciate accanto ad esso,
se non fosse entrato papà che preoccupato mi domandò subito chi
avesse potuto pensare di farmi un regalo del genere. Quando scesi in cucina,
sollevata per essere riuscita a liberarmi da mio padre, affermando solennemente
“deve essere stato sicuramente un errore... ma visto che ormai lo sbaglio
l’hanno fatto, io adesso mi pappo tutto”, trovai mia madre
canticchiare mentre preparava la colazione così l’avvertì
in tempo che non avevo più fame.
Mia madre non mi chiese nulla, sapeva che
avrebbe dovuto aspettare poco perché sua figlia le avesse rivelato
tutto.
Le mie amiche erano felicissime per me,
sapevano quanto per me fosse importante che conoscessero Alex. Infatti in poco tempo, tra di loro, si istaurò una
certa complicità.
Mentre io vivevo il mio sogno Alex si abituava
alla vita scolastica alla SMHS.
Dopo pochi mesi, notai che lui salutava, per i
corridori, non poche persone. Molto spesso poi si fermava a parlare, a scherzava e commentava con gli altri i fatti del giorno o
le ragazze che passavano e lo guardavano sperando di essere ricambiate. A
vederlo così non mi sembrava fosse giunto solo quell’anno a
scuola, anzi non sembrava più l’Alex che conoscevo.
Per il suo dolce carattere, per la sua fama di
studente modello e ottimo giocatore di basket giunsero ben presto i suoi giorni
di gloria. Un esempio? Quando arrivò il giorno del suo 17°
compleanno ricevette un milione di regali (ovviamente furono tutte da parte di
ragazze). Il mio regalo (una felpa carinissima) sembrava una stupidaggine in
confronto agli altri regali. Se solo avesse saputo con quanto impegno avevo
scelto un regalo per lui!
Alex non sembrava più il ragazzo
semplice e tranquillo che avevo conosciuto. Al suo carattere, mutarono anche i
suoi atteggiamenti tranne quelli nei miei confronti: con me era sempre lo
stesso, dolce, romantico, allegro ma quando io non c’ero diventava un
bullo proprio come lo era Jack. Voleva che il mondo girasse esclusivamente
intorno a lui.
Così compresi troppo tardi che il
comportamento di Jack era stato solo una conseguenza alla popolarità che
aveva ottenuto nel corso degli anni. Probabilmente lui con gli amici era sempre
lo stesso e forse lo sarebbe stato anche con me se non fosse stato per quel
banalissimo insulto.
Inoltre non tutti i miei amici presero bene la
notizia del mio “fidanzamento” con Alex, come invece era avvenuto
con le mie amiche. I ragazzi ad esempio, (Justin, Gabe, Pete e Seth) non
sembravano tutti d’accordo sulla mia decisione di stare con Alex.
Si formarono addirittura due blocchi: da una
parte c’erano Justin e Gabe che mi dicevano di lasciarlo perdere, che
Alex non era un ragazzo adatto a me. Mentre dall’altro lato c’erano
Pete e Seth che mi dicevano di lasciar perdere i suggerimenti dei loro amici
che erano solo un branco di scemi.
Continuavo a non capire cosa ci fosse di male.
E’ vero, Alex era stranamente perfetto da ogni punto di vista (a volte
non riuscivo a capacitarmi come io avessi potuto avere tanta fortuna ad
incontrare uno così): dolce, premuroso, gentile, intelligente e
divertente. Era proprio come l’avevo sempre sognato (il mio principe
azzurro, intendo).
Perfino Benny mi venne vicino a fare le sue
più care congratulazioni.
E volgendomi la sua mano mi disse -Sono
assolutamente convinto che tu abbia fatto la cosa più giusta, non dare
retta a chi ti dice che avresti fatto meglio ad aspettare quello zotico di...- ma non riusciva mai a finire la frase perché
interveniva sempre qualcuno a riempirlo di sberle. Dai
ragazzi un po’ me l’aspettavo ma dalle cheerleader no!
-Senti brutto ficcanaso perché non ti
stai zitto per una buona volta? Qui nessuno è interessato ai tuoi luridi
commenti inutili...e ora SPARISCI!!- urlò
infuriata Megan lasciando il colletto della camicia di Benny.
La guardai impaurita (faceva davvero paura,
più di quanto possiate immaginare) e aspettai che qualcuno fosse pronto
a soccorrermi quando mi accorsi che la iena mi guardava in modo diverso da come
faceva di solito.
Nel suo volto c’era solo malinconia e
tristezza.
Mi guardava come se fosse appena stata ad un
funerale. Non è che stava progettando di uccidermi?
Ad un tratto dal corridoio adiacente, senza
che me ne accorgessi, spuntò la figura alta di un ragazzo che fece
segnò a Megan di allontanarsi e di andare via.
Divenni rossa come un peperone quando mi
voltai a guardare chi fosse stato, perché tutto mi sarei aspettata
fuorché lui.
-Avanti Megan lascia perdere, è tempo
sprecato-.
Le sue parole erano così vuote, piene
di tristezza, un tristezza che non sarei riuscita a
spiegare bene.
Per la prima volta, dopo circa due anni fa
dalla nostra ultima conversazione, vidi Jack veramente abbattuto e depresso.
Non sembrava più lo stesso ragazzo di una volta.
Lui non mi guardò mai in faccia ma le
sue parole e il suoi modi di fare mi fecero male come
se mi bruciassero in petto perché, in qualche modo, mi avevano ferito
molto.
Perché non aveva più voglia di
perdere tempo con me?
Se un attimo prima ero tanto allegra,
l’attimo dopo mi sentì improvvisamente infelice. Perché mi
sentivo in questo modo ogni volta che sentivo la sua voce, ogni volta che lo
guardavo? Perché sentivo ancora la sua mancanza?
Ma non era ancora tutto finito, almeno per
quel giorno.
Vidi una cosa che pensavo non avrei mai immaginato
di poter vedere con i miei occhi. Se qualcuno me lo avesse raccontato, mi sarei
sicuramente messa a ridere.
Megan incominciò a piangere, una
lacrima scendeva sull’altra velocemente, come se avessero aspettato quel
fatidico momento per poter essere usate.
Per chi erano quelle lacrime così
amare?
Allora guardai Jack che sembrava davvero
dispiaciuto per quello che stava accadendo. Ma veramente era lui o stavo solo
sognando come avevo fatto spesso? La risposta apparì scontata:era tutto vero.
Scorgevo dalla mia perfetta postazione lo
sguardo ferito di lei che piangendo, guardava Jack e lui, tranquillo come se
non stesse succedendo nulla, guardarla senza dire una parola. Non avrei mai
dimenticato quell’insolita scena.
Ad un certo punto, però, Jack scocciato
dalla situazione che stava diventando sempre più seria, prese per un
braccio Megan e la portò via. Sembrava che si stesse arrabbiando
seriamente con lei.
Perché piangeva e cosa significavano
quelle lacrime?
Quando quella scenetta scomparve davanti ai
miei occhi, mi accorsi troppo tardi che non ero stata l’unica ad aver
visto tutto.
L’intera scuola si era ammassata ai lati
del corridoio per guardare l’intera faccenda con i loro occhi. Adesso
però guardavano me. Ed io ero più confusa di
loro riguardo a ciò che avevo appena visto.
Mi girai e incrocia gli sguardi delle mie
quattro migliori amiche che mi guardavano triste e abbattute, come se avessero
sempre saputo che sarebbe capitata una cosa del genere da un giorno
all’altro.
Dannazione a quello stupido di Benny! Se solo
non si fosse avvicinato a me mentre passava Megan. Un secondo più tardi
sarebbe stato meglio!
Eppure qualcosa mi diceva che era stato giusto
così; che quello sarebbe stato solo l’inizio
delle varie complicazioni che mi avrebbero tenuta come protagonista. Sentivo
che ero all’oscuro di qualcosa che dovevo mettere assolutamente alla
luce.
Ma come mi sarei sentita dopo averlo scoperto?
Sarei stata più felice o più depressa? La scelta dipendeva da me
e come sapete ho un brutto difetto. Sono troppo curiosa.
Nel corso dell’autunno le giornate si facevano
più fresche e molto spesso tirava un forte vento che
faceva rabbrividire tutti.
Fu un giorno di questi a sconvolgermi i miei
dolci sogni con Alex. Ero sotto al grosso albero con
le mie amiche, stavamo parlando del più e del meno, quando mi feci coraggio e
domandai loro se sapevano cosa fosse successo quella volta nel corridoio.
Non furono le uniche a cui
chiesi delle spiegazioni.
A molte altre persone posi quella domanda ma
nessuno sapeva darmi una risposta certa o vera. Altri mi evitavano o
inventavano scuse per non essere interpellate in alcun modo. Nemmeno Alex, che
mi sembrava sapesse la verità (date le numerose conoscenze che aveva
fruttificato durante l’anno scolastico), mi disse di
non sapere nulla di quella faccenda. Mi fidai delle sue parole, probabilmente,
come diceva lui, non era a conoscenza di nessun fatto insolito che valesse la
pena conoscere. Ma sapevo che le mie amiche non
potevano fingere con me. Ci sarei rimasta troppo male e loro lo sapevano bene
che ero un tipo abbastanzapermaloso.
Così approfittai di quel momento per sapere finalmente
tutta la verità.
Marian e Rachel erano appoggiate all’albero, Kate era distesa a terra con la
testa appoggiata sopra le gambe di Marian. Libby, invece, era distesa lungo l’erba davanti a loro.
Erano tutte tranquille e serene, almeno fino al momento in cui mi alzai e mi inginocchiai davanti a loro, come quando dovevo dire
qualcosa di importante. Forse già sospettavano cosa avrei voluto dire.
-Bene! Ragazze è giunto il momento che almeno
qualcuno di voi abbia il coraggio di dirmi la verità.
Non ne posso più dei vostri sotterfugi, io voglio sapere cosa è successo
l’altra giorno per il corridoio…- e vedendo che fingevano di non sapere,
continuai -…tanto per la cronaca, è inutile che fingete,
so benissimo che sapete qualcosa in più che io non so, ve lo si legge negli
occhi!-. -Da quando ti dai alla psicologia?-. -Libby
ti prego non cambiare discorso!- la mia voce ormai era diventata isterica, non
ce la facevo più a restare zitta. Dovevano dirmi pure qualcosa!
-E’ va bene te lo diciamo, mi sono scocciata anche io di stare in silenzio- disse Katie alzandosi dalle
gambe di Marian che impallidì all’istante. -Katie che cosa vuoi fare? Dirle
tutta la verità? Ma sei impazzita o cosa?- le gridò
furibonda Rachel. -No ti sbagli, io farò una cosa che nessuno di voi ha avuto
il coraggio di fare:le dirò la verità. Restare
all’oscuro di un fatto che, a parer mio è ormai insignificante, è stupido.
Soprattutto noi che siamo le sue migliori amiche, avremmo dovuto dirle tutto da
subito!!-. -Aspetta Katie, almeno lascia spiegare a me
i fatti, penso di essere la persona più adatta a dover raccontare ogni cosa dal
principio-. Cercò di intervenire Libby per fermare Marian ma lei la fulminò con uno sguardo.
La faccenda stava diventando troppo seria per
me.
-Aspettate ragazze! Devo sistemarmi!- le dissi
ironicamente (in realtà mi sedetti nel modo più comodo possibile: con il sedere
per terra e le gambe incrociate). Notai che le ragazze incominciavano a osservami
in malo modo e ad essere impazienti.
-Ok sono pronta… Mi stai per dire che sono la
nuova Sailor Moon, vero?- dissi speranzosa. L’unica che non si trattenne dal
ridere fu Libby che però si zittì immediatamente per
volere delle altre più che per volere suo. -Lo so che
ti sembrerà esagerato…- incominciò Marian.
-Esagerato? Sembra che mi dobbiate annunciare
la fine del mondo!- dissi esasperata.
-Marian muoviti a raccontare, tra mezz’ora dobbiamo stare in classe- disse
preoccupata Rachel.
-Ok, ok, ci metterò
poco- poi mi guardò negli occhi e incominciò -Allora quello che è successo
qualche giorno fa per il corridoio del secondo piano è stata, per così dire,
una cosa normale e scontata. Non è stata neanche la prima volta che a scuola si
è verificata una cosa simile. Le molteplici conseguenze dei fatti che ti sono risultati strani hanno avuto origine tutti per uno stupido
equivoco. Ti ricordi quando, due anni fa, mi dicesti che Jack, quella sera a
scuola ti fermò nel corridoio per spiegarti perché era così felice? E tu gli
dicesti, su per giù, che non te ne importava minimamente perché non lo
sopportavi?-. Le feci segno con la testa di si e lei
continuò -Bene, il problema sta nelle parole che tu utilizzasti quella volta
per dire a Jack quanto tu lo disprezzasti-.
La guardai stupita -Scusa Marian ma continuo a non capire quale sia il
collegamento a quello che è successo poco tempo fa con ciò che è accaduto ben
due anni fa!-.
Il suo tono diventava sempre più serio e ciò
non solo mi metteva in disagio, ma creò in me anche un certo timore, cosa cercava
di dirmi Marian?
-Tu dicesti a Jack delle parole che in lui
risuonarono orribili, più di quanto tu possa immaginare anche
se sappiamo tutte, soprattutto io e Libby, che
tu non le hai detto credendoci veramente. Tu avevi detto quelle parole perché
eri stata in qualche modo costretta: lui ti aveva sempre trattato male e tu non
ne potevi più dei suoi giochetti. Il tuo comportamento è stato normalissimo
visto le situazioni che avevi passato, ma Jack tutto questo non l’ha mai
capito. E anche se non ci è arrivato subito, ha pensato che era troppo tardi
per chiederti scusa. Anche se, come molti mi hanno detto, lui questa parola non
l’ha mai detta a nessuno. Ma questo non lo so se sono
solo dicerie…comunque Jack, sentendosi gravemente offeso da te, decise di non
rivolgerti più la parola. Era così immaturo! Sperava che così le cose si sarebbero aggiustate da sole. Invece si rese conto che il
vostro rapporto deteriorava ogni istante che passava. Ma lui è stato sempre
troppo orgoglioso per provare a riavvicinarsi a te.
Credeva che l’avresti fatto prima tu ma tu, come lui, evitasti di chiarirti-.
Fece un grosso sospiro poi continuò dicendo -Jack
fece un errore, un grosso errore con il suo
comportamento. Tu soffristi molto e furono tante quelle volte che tu cercasti
di trovare la risposta al suo strano comportamento ma non trovasti certezza
nelle risposte che ti ponevi. Io e Libby immaginavamo
quale fosse la verità ma credevamo di sbagliarci,
invece scoprimmo l’anno seguente che le nostre considerazioni era tutte vere-.
Marian mi prese le mani e le intreccio alle sue e con il tono più calmo che
riuscì ad ottenere, disse -Jack Gordon è da sempre incredibilmente,
indiscutibilmente e meravigliosamente innamorato pazzo di te, Summer-.
Stavo ancora guardando
Marian quando sentì la campanella strillare un “ritornate tutti in classe”. Ero
certamente confusa, nella mia testa balenavano tante di quelle domande che volevano
un’urgente risposta! - Summer ci sei ancora?- mi chiese preoccupata Rachel. Io la
guardai ma non riuscì a scorgerla bene, incominciavo a vedere tutto opaco.
Tutto intorno a me si
fece opaco.
Poi sentì che lunghe e
calde lacrime scorrevano dai miei occhi e cadevano tra l’erba del prato. Perché
proprio adesso dovevo piangere, non potevo farlo più tardi a casa?
-Dio Summer non sai
quanto ci dispiace, lo sapevamo quanto in realtà tu tenessi tanto a Jack e
quanto hai sofferto per l’indifferenza che ha dimostrato spesso nei tuoi
confronti. Noi avevamo sempre sospettato che tu avessi una cotta per quel pezzo
di scemo però speravamo che avresti superato tutto, ma ci siamo proprio
sbagliate. Tu sei ancora così innamorata di lui, ora comprendi perché non ti
abbiamo voluto dire nulla? Non volevamo vederti in questo stato... Noi
desideriamo solamente vederti felice! Adesso hai Alex, perché rimuginare ancora
sul passato, giusto?- mi chiese disperata Libby, ma sembrava che cercasse di
rassicurare più se stessa che me.
Non riuscì a risponderle.
Non ce la facevo più. Il mio istinto mi diceva di andare via, di uscire fuori
di scena. Sentivo sempre più scendere le mie lacrime lungo le mie guance.
Perché non riuscivo a fermarle? Le mie lacrime non erano gocce di felicità, ma
erano di rabbia e di frustrazione. Tutte quelle volte che lui faceva lo
stupido, tutte quelle volte che mi faceva quegli orribili scherzetti, erano per
dirmi che gli piacevo? No, era impossibile.
-No, voi vi state
sbagliando di grosso- dissi in lacrime. -Anche voi vi state prendendo gioco di
me! Quello che dite non ha senso! Io non posso piacergli, è inammissibile-. -No,
invece è tutto vero, che tu lo voglia o no. Quello stupido ha aspettato che ti
fidanzasti perché si facesse vivo e neanche ora ha il coraggio di venire da te
e dirti tutto! Ora che non ha più niente da perdere!- mi disse Katie
abbracciandomi. -Infatti... - continuò Rachel -E’ successo più volte che le
ragazze fossero respinte da lui perché diceva di essere innamorato di un'altra
ragazza. Le ragazze non sono mai riuscite a capire chi fosse questa misteriosa
ragazza. Fatta eccezione di una sola. Lei aveva sempre conosciuto la risposta,
sapeva perfettamente chi avesse fatto breccia nel cuore di Jack perché l’aveva
sempre sospettato-. La guardai ma mi ci volle un po’ per riuscire a trovare una
risposta. - Megan?!-. –Esattamente- rispose Rachel.
Le ragazze cercarono di
calmarmi ma io non ne potevo più delle loro parole, mi risuonavano
continuamente nella mia testa che voleva solo dimenticare tutto. Così mi alzai
bruscamente da terra, pronta a fuggire ma, involontariamente, andai a sbattere
contro un gruppo di ragazzi che in quel momento passavano di lì perché si preparavano
a rientrare in classe. -Ehi! Stai un po’ più attenta... - mi disse uno. Poi mi
girai per chiedere scusa a chiunque fosse, ma, disgraziatamente mi accorsi
troppo tardi che non erano il solito gruppetto di studenti quello che avevo
scontrato, era il gruppo di Jack. Justin mi guardò stupito e preoccupato e mi domandò
- Summer va tutto bene? Perché piangi?-. Mi voltai a osservare le altre
persone: tutti mi stavano fissando. Megan, Daniel, Sam, Christie, Justin e
Jack. Quest’ultimo che, un attimo prima era intento ad abbracciare e scherzare
con le ragazze, si era finalmente deciso a voltarsi e a squadrarmi. Non era
così che io speravo si decidesse a finire di fare l’indifferente con me.
Mi guardava come se non
avesse mai visto una ragazza piangere, invece, per quanto ne sapevo, doveva
ormai essere abituato a veder lacrimare ogni genere di ragazza che aveva avuto
il coraggio di dichiararsi apertamente a lui.
All’improvviso lo vidi
sciogliersi dall’abbraccio delle compagne e di avvicinarsi lentamente verso di
me. Prima che potesse raggiungermi, io mi voltai e continuai a camminare
velocemente verso il sentiero che conduceva fuori dal liceo.
Non feci che pochi passi
quando raggiunsi la strada, che una mano mi fermò con tanta di quella forza che
bastò a farmi girare sbattendomi duramente contro il piccolo muro bianco che
costeggiava la scuola. Per la botta chiusi gli occhi, ma quando li riaprì,
avrei tanto desiderato non averlo mai fatto.
Davanti a me, che
tratteneva il mio braccio con la sua mano contro il muro, c’era la persona che
al momento odiavo più di tutte. Jack Gordon.
Mi guardava severamente
come se avesse voluto dirmi qualcosa che aveva oramai rimandato troppe volte. Il
suo sguardo che avevo tante di quelle volte sognato ma che è da tanto che non
lo vedevo vivo nella mia realtà, era ora visibile chiaramente a pochi
centimetri dal mio viso.
Quel suo sguardo grave si
trasformò ben presto in un sorriso dolce che mi chiese -Ti va di parlare?-. Per
la prima volta dopo tanto tempo sentì nuovamente la sua bellissima voce.
Quella giornata passò
così velocemente che né io né Jack ci accorgemmo dell’ora, fino a che notammo
casualmente che il cielo era diventato completamente buio.
Quando Jack mi chiese di parlare
mi accorsi di avere una fitta nello stomaco e, nello stesso tempo, un leggero
brivido mi percorse nel sentire il tocco della sua mano che circondava il mio
polso.
In testa mi balenava la
voce di Libby che mi diceva “Noi avevamo sempre sospettato che tu avessi un
cotta per quel pezzo di scemo però speravamo che avresti superato tutto, ma ci
siamo proprio sbagliate. Tu sei ancora così innamorata di lui”. E se avessero
avuto ragione?
Feci un lungo sospiro e
senza guardarlo negli occhi gli diedi il mio –Ok- in un leggero sussurro.
Sentì che la sua presa
sul mio polso si staccava lentamente. Non avevo il coraggio di voltarmi a
guardarlo. Quella faccenda stava diventando troppo insolita per me: di solito
ero abituata a viverlo solo nei miei sogni. Poi però sentì il dolce calore
delle sue dita che desideravano ardentemente di poter alzare il mio viso per
guardare il suo dritto negli occhi. Lasciai farlo, ma quando incontrai quei
suoi occhi così belli, di un azzurro splendido, non riuscì a dire una sola parola.
Ero completamente incantata. Il mio cuore incominciò a battere freneticamente,
lo sentivo pulsare dentro di me con una forza tale che avevo paura potesse
essere sentito da lui. Perché se lo odiavo tanto, sentivo le farfalline volare
vorticosamente nel mio stomaco?
Anche lui notò che la
situazione incominciava a essere inconsueta, ed io, più di lui, ero molto a
disagio. Si staccò frettolosamente da me e mi fece segno di camminare.
Passò un bel quarto d’ora
prima che uno dei due si decidesse a parlare. Lui fu il primo a riuscire a
spiaccicare una frase. -Non so di preciso cosa ti abbiano detto le tue amiche,
però credo di sapere, più o meno, di quale argomento stessero trattando con te-.
Dopo una piccola pausa di silenzio, Jack continuò nervoso -Non credevo che
avresti potuto prenderla così male. Ho sempre pensato che tu mi odiasti
abbastanza da non essere minimamente considerato-. Lui posò il suo sguardo sul
mio ma io non mi voltai. -Probabilmente mi sto ancora sbagliando, forse tu
continui e continuerai a odiarmi come credo tu abbia sempre fatto- disse
cercando una disapprovazione nel mio sguardo ma io non lasciavano trapelare
nulla, ero muta e immobile, non volevo che credesse che bastasse davvero poco
per fare pace con me: l’aveva fatta troppo grossa. -Comunque, ritornando al
discorso di prima, vorrei farti una domanda che spero tu possa rispondermi sinceramente...
sempre se vuoi-.
Si fermò sotto un grande
albero che ci copriva dalla luce del sole e aspettò una risposta. Sentivo che
era impaziente di un mio sì così lo assecondai e gli feci segno con la testa di
continuare.
Dopo un lungo respiro mi
chiese -Che cosa provavi per me durante il primo anno del liceo?-.
-Ah! Vuoi dire prima che
TU incominciassi a giocare al gioco del silenzio?- gli chiesi immediatamente
con tutta freddezza. Il suo viso fece una smorfia di dolore, come se le mie
parole gli avessero perforato il petto. Guardava a destra, in modo da non poter
scorgere la rabbia che il mio volto si era sedimentata in tutti quegli anni
contro di lui. Sentivo che l’atmosfera intorno a noi stava diventando troppo
pesante, così cercai di essere meno fredda possibile ma, inconsciamente, le mie
parole uscivano freddi e taglienti tanto che demoralizzavano sempre più quella
piccola speranza che ancora risiedeva in Jack.
Vidi che si mordeva il
labbro inferiore per cercare di trattenersi... ma trattenersi da cosa?
Mi faceva male vederlo in
quello stato, ma i miei sentimenti di rabbia non erano più ostini ad
assecondare le sue gentili parole. Fortunatamente riuscì a trattenermi
dall’urlare, cercando sempre di tenere un tono calmo e pacato. Finché lui non
mi avrebbe continuato a guardare negli occhi, sarei riuscita a dichiarare tutto
quello che avrei voluto dirgli durante tutti quegli anni.
Ricordo ancora quando
cercavo di non perdermi nessuna sua partita di basket e, con la scusa di tifare
ai miei amici, restavo incantata (come d’altronde tante altre ragazze) a
guardarlo giocare. I miei amici mi prendevano spesso in giro sulla memoria
perché dicevano che io non avessi ricordo di nulla. Eppure ricordavo ogni
secondo di lui: quando passava per i corridoi, quando ero sicura di vederlo in
classe nelle lezioni che condividevamo, quando mangiava in mensa, quando rideva
con gli amici, ma soprattutto quando lo vedevo amoreggiare con le ragazze. Ogni
volta che lo vedevo abbracciato a una ragazza, sarei voluto scoppiare a
piangere. Se veramente mi voleva perché comportarsi così?
Presi coraggio e gli
risposi -Ti odiavo... o almeno era quello che credevo. Pensavo fossi il ragazzo
più odioso della scuola. A causa tua mi sono sentita umiliata e considerata lo
zimbello di tutti! Già da piccola mi facevo complessi d’inferiorità poi quando
credevo di aver preso finalmente il controllo di me stessa, arrivi tu e mi rovini
di nuovo la vita. Secondo te cosa dovrei sentire per te? Dovrei provare solo
odio allo stadio puro!-. Ora sarebbe arrivata la parte più difficile. -Eppure
quando eri con me, non mi accorgevo che le emozioni che provavo non erano di
odio... Infondo le mie giornate a scuola erano incomplete se non c’eri tu che
mi facevi infuriare come non aveva mai fatto nessun’altro. Mi sono resa conto
che quel detto “solo quando perdi una persona ti rendi conto ti quanto per te
era importante” diceva il vero. Solo dopo il tuo allontanamento, ho capito che
per me non eri solo uno stupido ragazzo ma qualcosa di più, anche se non
riuscivo proprio a spiegarmi cosa provassi per te. Forse ti consideravo un
amico?-.
Non me ne accorsi ma,
fino a quel momento, avevo tenuto la testa abbassata: confessare i miei
sentimenti era più difficile di quanto pensassi. Alzai lo sguardo credendo che
Jack era ancora voltato dall’altro lato. Invece non mi resi proprio conto che
in realtà lui stava guardando dritto verso di me.
Non saprei descrivere
esattamente l’espressione che aveva in volto, sembrava un misto tra meraviglia
e commozione. Così, per nascondere il mio viso tutto rosso, riabbassai lo
sguardo sperando che non avesse notato nulla.
Talmente ero rimasta
incantata dal suo volto, che per un attimo dimenticai cosa stavo dicendo.
Fortunatamente la ragione non era del tutto andata, così continuai -Non sapevo
cosa rappresentassi per me anche se le mie amiche, Marian e Libby, avevano
sempre saputo meglio di me quali fossero i veri sentimenti che provavo. Io
invece ero così testarda! Non volevo credere che mi ero presa una cotta per te.
Sarebbe stata da stupida innamorarmi del ragazzo più insensibile, egoista e
crudele che avessi mai conosciuto! Alla fine, però, dovetti ammettere a me
stessa che le mie giornate senza di te erano vuote, come se senza di te
sembravano troppo semplici, normali e monotone. Avrei voluto indietro i tuoi
sorrisi, anche se forse sarebbero stati per qualche dispetto, avrei voluto
indietro i tuoi odiosi scherzetti, anche se questo significava fare tante
figuracce, avrei voluto sentire ancora una volta la tua voce, anche se avresti
potuto rivolgermi parole scortesi. La cosa più difficile da ammettere era
proprio quella che più temevo: ero innamorata di te-.
Feci un lungo respiro e
mi accorsi che stavo tremando tutta, ma quello che sentivo non era freddo. Lui
se ne accorse e, senza pensare alle conseguenze, mi cinse con le sue lunghe
braccia.
L’abbraccio mi costò più
di una perdita al battito del mio cuore. Sentivo il calore del suo abbraccio e
del suo corpo che mi riscaldava, il suo respiro quasi regolare, il suo
buonissimo profumo e il suo bellissimo viso che sfiorava leggermente il mio.
Era talmente vicino a me che avevo paura potessi svenire tra le sue braccia.
Sarei riuscita a contenere tutte le mie emozioni?
Passarono parecchi minuti
prima che uno di noi due avesse il coraggio di sciogliersi da quell’abbraccio.
Questa volta fui io a fare la prima mossa. Mi staccai lentamente da lui senza
mai guardarlo in faccia perché sapevo che, vedendo quel suo dolcissimo viso,
avrei perso di nuovo il lume della ragione. Però compresi subito che il suo
stato d’animo non era certamente in uno dei suoi migliori momenti perché quando
iniziò a parlare, nella sua voce si percepiva un velo di tristezza.
-Perché sono stato così
dannatamente stupido da non accorgermi di nulla?-.
Prima ancora che avessi
la possibilità di fermarlo diede un pugno fortissimo all’albero che lo fece
tremare tutto (in verità sussultai anch’io dallo spavento), appoggiò poi la
testa al grande tronco.
-Ora tocca a te- gli
dissi ma lui si voltò e mi guardò turbato, così continuai -Mi spieghi perché mi
hai ignorato per tutto questo tempo?-.
Senza guardarmi negli
occhi, come avevo fatto anch’io poco prima, incominciò a raccontare.
-Quando ti conobbi,
pensai subito che fossi diversa dalle altre ragazze. Non eri più bella delle
altre e non spiccavi per intelligenza o perché eri una secchiona, non avevi
tanta autonomia quanta invece ne aveva chi era figlia di genitori molto
ricchi... insomma eri apparentemente una ragazza comune. Eppure quando ti vidi
la prima volta non poté fare a meno di osservare ogni tuo movimento, ogni tuo
gesto, ti trovavo stranamente interessante. Stranamente perché solitamente ho
sempre guardato solo ed esclusivamente ragazze più grandi, che avessero un
fisico perfetto, delle bellezze mozzafiato e in questa città ce ne sono
parecchie... -. Fortunatamente aveva continuato a parlare senza voltarsi verso
di me se non avrebbe incrociato uno sguardo di donna molto indignata e infuriata
(in realtà ero solo gelosa) -... ma nonostante tutto non riuscivo a scrollarmi
di dosso la tua immagine nella mia mente. Quando sapevo che eri nei paraggi non
potevo fare a meno di attirare la tua attenzione, ma per quanto mi sforzassi,
non mi ero mai accorto che la situazione degenerava sempre più. Io volevo solo
che tutta la tua attenzione fosse rivolta solo a me e quando notavo che invece
di farti interessare alla mia persona ti facevo solo arrabbiare, mi demoralizzavo
moltissimo. Avevo il timore che non sarei mai riuscito a piacerti-. Notai che
mentre raccontava fece un sorrisino malinconico. -Non capivo perché ci tenessi
così tanto a conquistarti. Le ragazze spesso mi dicevano che ero molto carino e
mi facevano montare molto la testa. Eppure io rimanevo sempre interessato
esclusivamente a te, quello che provavo quando mi eri accanto, era ben diverso
da quello che avevo provato finora. Un giorno origliai una tua conversazione
con le tue amiche e dicevi che ti piaceva seguire molto le partite di basket
così credetti che, se fossi entrato nella squadra di basket, tu avresti
finalmente capito che non ero certamente solo un piccolo bulletto ma che ero
anche una persona interessante. Quando entrai nella squadra, però, non cambiò
molto la situazione tra noi. Anzi... mi sembrava che ti allontanassi sempre più
da me ed io non seppi più che fare. Non mi sono mai trovato in una situazione
del genere, solitamente ho sempre avuto tutte le ragazze che volevo. Allora ero
molto immaturo, credevo che ti avrei conquistato come tutte le altre ragazze.
Invece, come ti ho già detto, tu eri diversa ed io, in fondo, l’avevo sempre
saputo. Quando quel giorno ti notai sugli spalti che seguivi la partita pensavo
che fossi venuta soprattutto per vedere me.
Così, senza pensarci due volte, dopo gli allenamenti mi sbrigai a prepararmi
per poterti almeno raggiungere fuori scuola. Quando poi ti ho visto, sola
vicino al tuo armadietto ho pensato che fosse il momento giusto per chiederti
se volessi uscire con me, ma tu non sei stata molto cordiale-.
Un nodo si formò nella
mia gola benché cercassi di trattenere le lacrime che insistevano a voler
scendere dal mio viso. -Mi scoraggiai a tal punto che decisi di non voler più
avere niente a che fare con te. Tu eri stata l’unica ragazza a essere stata in
grado di farmi sentire un idiota completo. Imbecille qual ero non capì che la
colpa era soltanto mia e che il tuo comportamento era solo una conseguenza a
quello che ti avevo fatto durante tutto l’anno. Tuttavia credetti che era troppo
tardi per farmi perdonare-. Il suo tono di voce si faceva sempre più duro e
freddo. -Incominciai a essere quel genere di ragazzo che ho sempre detestato:
uno che se ne frega dei sentimenti e degli affetti altrui per dedicarsi solo a
se stesso. Odiavo tutte quelle ragazzine che venivano da me e mi dicevano che
erano innamorate: io volevo solo una ragazza e se non potevo avere te valeva
dire che non potevo avere nessun’altra. Poi col tempo, seguì l’esempio di
alcuni ragazzi più grandi della scuola, che m’insegnarono che, per avere in
pugno una ragazza non dovevi per forza fare sul serio con lei ma bastava anche
farla divertire. Così iniziai a uscire con ogni sorta di ragazza purché fosse
bellissima e a portarmela a letto. Cambiai completamente stile di vita: uscivo
solamente per andare a fare baldoria con i ragazzi più grandi e non mancavo mai
a una di quelle feste dove la gente pensava solo a bere, a fumare e a fare
sesso. Per sentirmi completamente diverso, cambiai il mio look e il mio
carattere: in questo modo mi sentì anche superiore degli altri, persino dei
miei migliori amici. Tu forse hai pensato che ti avessi ignorato per sempre, in
realtà ti osservavo tutti i giorni, sperando che alla fine saresti venuta da me
per pregarmi di ritornare com’ero. Cercavo ancora più attenzione da te ma tu te
ne stavi sempre con i tuoi amici. Eri più felice senza di me. Tutto quello che
facevo, era in pratica inutile, mi arresi all’idea che io non avrei mai potuto
avere una chance con te perché non mi consideravi affatto. Diventavi ogni
giorno più bella e quando passavi per i corridoi molti ragazzi restavano a
guardarti, incantati domandandosi chi fossi e perché non ti avessero notato
prima. Ero così geloso... non volevo che altri ragazzi ci provassero con te.
Immaginavo che fossi maturata molto nel corso del tempo, avresti sicuramente
scelto il ragazzo in grado di renderti felice. Così, anche se il look è rimasto
sempre lo stesso, tornai alle vecchie abitudini... almeno in parte. In realtà
continuo a flirtare e a fare lo stupido con le ragazze ma non ho mai provato a
fare niente di più con loro. Non sono riuscito invece ad allontanarmi dai guai:
possiedo un istinto naturale nel mettermi in brutte situazioni. E, cosa più
importante, non sono mai riuscito a dimenticarti. Sfortunatamente per te, sono
ancora innamorato del mio mostriciattolo-.
Finito il lungo discorso,
si voltò a guardarmi e rimase di sasso quando vide il mio volto bagnato di
lacrime. Credo che non si sarebbe mai aspettato una reazione del genere ma le
sue parole avevano significato davvero tanto per me: solo sentendo la sua
versione dei fatti, mi ero resa conto dell’enorme errore che avevo commesso. Io
avevo sempre sofferto per come Jack mi aveva trattato fino allora, eppure mi
ero mai domandata se io avessi fatto concretamente qualcosa che lo avesse
incoraggiato a capire quanto in realtà tenessi a lui? E se invece di sopportare
in silenzio avessi provato a riavvicinarmi piano a lui? Dio che stupida che ero
stata!Tutti questi anni... e non ho mai fatto nulla!
Le sue parole erano state
così dolci e sincere (soprattutto il termine “mostriciattolo”) che sembrassero
fossero rimaste per anni, chiuse nel fondo del suo cuore, ansiose di essere
ascoltate da qualcuno.
Lui mi guardava preoccupato,
ma non sapeva cosa dire. Benché non riuscissi a smettere di piangere cercai di
fargli un sorriso per dimostrargli di essere grata per quello che aveva appena
fatto. Ora sapevo cosa dovevo fare, mi sembrava tutto così chiaro! Alex avrebbe
capito... quello che provavo per lui non era amore, ma affetto. Lui era stato
il primo ragazzo che mi aveva fatto sentire una principessa, ma certamente non
ero io la donna della sua vita. Quello che avevo provato e ancora sentivo per
Jack era molto più vivo e vero di quello che avevo sentito fino allora con
Alex. Lui era sicuramente un ragazzo moralmente migliore di Jack, sicuramente
più intelligente e più romantico: ma non era lui il ragazzo che volevo.
E così, mentre continuavo
a guardare Jack che mi fissava disorientato, gli dissi con tutta la forza che
avevo in corpo -Non sai quanto sia felice di sapere che sono io la ragazza di
cui sei innamorato-.
Ringrazio tutti colori che hanno aggiunto la mi fic tra i
preferiti o tra le storie seguite....GRAZIE!! Questo per me vuol dire che a qualcuno
sta piacendo davvero questa storia!!^-^ Baciiiiii