Swan Queen - Anche la Salvatrice a volte deve essere salvata

di mudblood88
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La notte del solstizio d'estate. ***
Capitolo 2: *** Ventotto giorni prima del solstizio d'estate. ***
Capitolo 3: *** Ventisette giorni prima del solstizio d'estate. ***
Capitolo 4: *** Ventisette giorni prima del solstizio d'estate. ***
Capitolo 5: *** Ventisei giorni prima del solstizio d'estate. ***
Capitolo 6: *** Ventisei giorni prima del solstizio d'estate. ***
Capitolo 7: *** Sedici giorni prima del solstizio d'estate. ***
Capitolo 8: *** Quindici giorni prima del solstizio d'estate. ***
Capitolo 9: *** Quindici giorni prima del solstizio d'estate. ***
Capitolo 10: *** Quattordici giorni prima del solstizio d'estate. ***
Capitolo 11: *** Tredici giorni prima del solstizio d'estate. ***
Capitolo 12: *** Dodici giorni prima del solstizio d'estate. ***
Capitolo 13: *** Dodici giorni prima del solstizio d'estate. ***
Capitolo 14: *** Undici giorni prima del solstizio d'estate. ***
Capitolo 15: *** Undici giorni prima del solstizio d'estate. ***
Capitolo 16: *** Cinque giorni prima del solstizio d'estate. ***
Capitolo 17: *** Un giorno prima del solstizio d'estate. ***
Capitolo 18: *** La notte del solstizio d'estate, parte 1. ***
Capitolo 19: *** La notte del solstizio d'estate, parte 2. ***
Capitolo 20: *** Circa sette mesi dopo il solstizio d'estate. ***



Capitolo 1
*** La notte del solstizio d'estate. ***


** Buonasera team SwanQueen! Eccomi qua come promesso con il seguito della mia storia "I cattivi non hanno mai un lieto fine, ma Regina ha Emma."
Ho deciso di cominciare a pubblicare oggi perché in mancanza di OUAT spero di tenervi compagnia per le prossime domeniche e di alleggerire un po' la mancanza del nostro show preferito. Specifico che questa storia NON segue assolutamente l'andamento della quarta stagione, è legata soltanto alla prima che ho scritto e che voi tutti conoscete bene. Quindi vi ringrazio se continuerete a seguirmi anche in questa nuova avventura. 
Questo è un capitolo introduttivo e molto molto angst... nei prossimi capitoli capirete cosa è successo alle nostre protagoniste e come, per il momento godetevi questa piccola introduzione. 
Un abbraccione a tutti!!!! :)


 


LA NOTTE DEL SOLSTIZIO D'ESTATE
 


Emma e Regina erano immobili davanti al Pozzo di Storybrooke, una di fronte all'altra, ma con molti metri che le separavano, un fumo sinistro che le avvolgeva.

Quando tutto quel buio si dissolse, le due donne si ritrovarono faccia a faccia con qualcuno che non avrebbero mai voluto vedere in quella situazione.

«Henry!» gridò Regina, sgranando gli occhi.

Emma trasalì. «Ragazzino...»

Il ragazzo era immobile davanti a loro, esattamente in mezzo tra le due donne che da una parte e dall'altra lo osservarono esterrefatte. Finché, in un attimo, non cominciò a tremare.

«No!» gridò Emma, correndogli incontro.

Regina, dall'altra parte, gridò a sua volta. «Emma, fermati! Non è reale!»

Emma si bloccò a pochi metri dal ragazzo.

Fu avvolto completamente da un'ombra scura, che lo sollevò da terra, stringendolo per la gola. Henry si dimenò, portandosi le mani alla gola, nel tentativo di liberarsi, tossendo e rischiando di soffocare.

Emma cercò lo sguardo di Regina.

«Non è reale» disse Regina, stringendo il coperchio del Vaso di Pandora tra le mani.

«Guardate il ragazzo soffocare» gridò una voce, ghignando. «Vostro figlio sta morendo».

Regina fu invasa dal panico, e stavolta fu lei a cercare lo sguardo di Emma. Quando lo trovò, capì che la ragazza stava provando le stesse sue sensazioni. Aveva uno sguardo terrorizzato negli occhi, si agitava sul posto, tentata dal buttarsi verso Henry e salvarlo. Ma entrambe sapevano che quella era solo un'illusione.

«La pagherai!» gridò Regina, decisa, e con un gesto deciso scoperchiò il Vaso di Pandora.

Emma e Regina restarono con il fiato sospeso, ma non accadde niente di ciò che si aspettavano.

Quell'ombra scomparì, mentre Henry cadde a terra, svenuto, davanti ai loro occhi.

«Ma cosa...» Regina guardò il Vaso confusa.

Henry si rialzò, con un ghigno malvagio. «Ti facevo più furba, Regina Mills» disse, con la voce metallica dell'ombra. «Quell'oggetto non funziona finché sarò in forma illusoria. Funziona solo con la mia vera essenza. Finché avrò questo aspetto non potete fare niente contro di me».

Regina contrasse le labbra in una smorfia. Incrociò lo sguardo teso di Emma, alle spalle di Henry.

La bionda si voltò, cauta, a cercare lo scrigno. Giaceva ancora a terra, così provando a non farsi notare, corse verso di esso per prenderlo. Ma prima che potesse arrivarci, un fumo nero lo avvolse, e subito fu nelle mani di Henry.

Una risata gelida sferzò l'aria.

«Non siete niente senza la vostra magia».

Emma si lasciò scappare un grido frustrato. Regina richiuse il Vaso di Pandora e lo posò a terra.

«Datemi il cuore della Salvatrice!»

Regina lo stringeva ancora tra le mani. Lo sapeva che sarebbero arrivati a tanto, lo sapeva che avrebbe dovuto dargli quel cuore.

Poi Emma la raggiunse. «Regina, dagli il mio cuore» le disse, afferrandole le spalle.

«Emma...» iniziò Regina, ma la bionda la interruppe.

«Tu prendi lo scrigno, spezza il sortilegio e torna a casa. Non importa cosa accadrà a me».

Regina avrebbe voluto dirle tante cose, ma si limitò ad allontanarsi da lei, stringendo il sacchetto con il cuore.

Raggiunse Henry, che ghignava, un sorriso maligno che stonava con il suo viso dolce. Chiuse gli occhi; non poteva vederlo così.

Regina allungò il cuore verso il ragazzo. «Eccolo».

L'ombra lo afferrò, lasciando cadere lo scrigno a terra.

«Si» gridò il loro nemico, soddisfatto.

Poi il corpo di Henry scomparì, restò soltanto il pendente con la magia di Emma e Regina che fluttuava in aria.

«Ora ho tutti gli ingredienti e potrò avere una forma umana».

Estrasse il cuore dal sacchetto, che cominciò a fluttuare accanto al pendente. Lo espose alla luce della luna, e una scia luminosa colpì i due oggetti e sè stessa.

Emma guardava la scena, sentendo un enorme vuoto nel petto, mentre Regina aveva raccolto lo scrigno e l'aveva raggiunta di nuovo.

«Emma, ascoltami» iniziò Regina, agitata. «Prendi il Vaso di Pandora e intrappola l'ombra. Soltanto così riusciremo ad avere il pendente, e riavremo la nostra magia».

Emma la guardò confusa. «Regina, non possiamo più intrappolarla, sta tornando in forma umana».

Regina fece un sorriso malinconico. «Non tornerà in forma umana» disse.

«Regina, cosa...» non ci fu bisogno di finire la frase, Emma capì subito cosa aveva fatto Regina. «Non avrai...»

Regina non fece in tempo a rispondere che si accasciò a terra, tremante, gridando dal dolore. 




 

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Capitolo 2
*** Ventotto giorni prima del solstizio d'estate. ***



Capitolo 2

Ventotto giorni prima del solstizio d'estate


 
 

Per Henry fu facile fare irruzione di nuovo nel negozio del signor Gold, perché dopo tutto quello che era successo, tra le loro priorità non c'era quella di preoccuparsi di chiudere la porta.

Aveva corso dall'ospedale fino al negozio senza mai fermarsi, e una volta entrato dovette accasciarsi a terra per riprendere fiato. Teneva ancora il giacchetto di Emma stretto tra le braccia, se lo rigirò tra le mani come per assicurarsi che non gli scivolasse via.

Inspirò a fondo e si rialzò, guardandosi intorno. Si diresse subito alla teca delle pozioni di Tremotino, ancora aperta e coi vetri rotti a terra. Notò che c'erano soltato quattro fialette, ma non aveva idea di quale fosse la pozione localizzante. Perciò decise di prenderle tutte. Non sapeva se effettivamente gli sarebbe servita, ma preferiva non farsi trovare impreparato.

Infilò le fiale nello zaino, e decise di stiparci anche il giacchetto di Emma, almeno sarebbe stato al sicuro. Poi rivolse la sua attenzione all'armadio. Le ante erano socchiuse, ed Henry le spalancò, liberando un fascio di luce. Era la luce del Pozzo dei Desideri.

Si guardò intorno per un attimo, prima di muovere un passo dentro l'armadio. Non era sicuro che l'avrebbe portato dove voleva, ma era la sua unica possibilità. Aveva pensato di andare a New York a cercare direttamente Tremotino, ma se si fosse trovato in una New York del futuro? Cos'avrebbe fatto poi?

Ripensò alle ultime parole di Emma; si fidava di lei, si fidava del suo istinto e dei suoi giudizi. Se gli aveva detto di tornare ad Arendelle era la scelta giusta.

Sospirò e si convinse ad entrare nell'armadio, richiudendosi le ante alle spalle. E in un attimo il fascio di luce verde lo avvolse.

Fu sbalzato fuori dal Pozzo dei Desideri rischiando di rompersi l'osso del collo. Rimbalzò sull'erba fredda e rotolò per un paio di metri, prima di fermarsi ai piedi di un grosso albero.

«Ahia!» brontolò, massaggiandosi la schiena.

Poi subito si sfilò lo zaino, controllò che le fiale delle pozioni fossero intatte e anche che il giacchetto fosse ancora al proprio posto. Non sapeva perché, ma aveva come la sensazione di poterlo perdere da un momento all'altro. E quella era l'unica cosa che gli rimaneva di Emma, l'unica cosa che l'avrebbe riportato da lei e Regina.

Tirò un sospiro di sollievo nel vedere che era tutto quanto a posto. Poi, frugando nello zaino, si ritrovò in mano la mappa di Arendelle che Elsa aveva dato a loro.

Sorrise. Con quella avrebbe raggiunto il castello il prima possibile. Elsa e Hans avrebbero saputo aiutarlo.

Rimise tutto nello zaino e solo in quel momento, per la prima volta, si guardò intorno. Era giorno. Non sapeva se mattino o pomeriggio, ma di sicuro non era sera come in quella strana Storybrooke del futuro, quindi se era fortunato era davvero tornato indietro, nel posto giusto, al momento giusto.

Rallegrato da questi pensieri e mosso da una nuova determinazione, prese la mappa e cominciò a seguire il percorso che l'avrebbe riportato al castello.

 

**

 

Emma stava rischiando di impazzire.

Era rinchiusa in quella cella da tutto il giorno, non aveva notizie di Regina e non riusciva nemmeno a parlare con Neal. Non che sarebbe servito a qualcosa, probabilmente. Il ragazzo non era particolarmente loquace, nè ben disposto ad ascoltare le sue ragioni. Tutto ciò che gli importava era che aveva fatto irruzione in un negozio, e quando provò a spiegargli come erano andate veramente le cose – menzionando il loro viaggio attraverso l'armadio – aveva capito che il ragazzo non sapeva niente della magia, oltre che essersi guadagnata un controllo con l'alcol test.

Ad aggravare il tutto, c'era il fatto che aveva coinvolto nelle sue malefatte un minorenne – attualmente scomparso - e una donna incinta.

Insomma, Emma stava rischiando di impazzire.

Neal entrò nell'ufficio dello Sceriffo soltanto nel pomeriggio successivo alla notte del suo arresto.

«Buon giorno signorina Swan» la salutò, posando un caffè sulla scrivania. Si tolse la giacca – Emma constatò che aveva anche lui una passione per le giacche in pelle – e poi recuperò il bicchiere, sorseggiando un po', guardando dritto nella direzione di Emma.

«Buon giorno un cavolo!» sbraitò Emma, incapace di trattenersi. Ma se ne pentì subito. «Scusami. Sono nervosa».

«Le conviene rilassarsi» suggerì Neal, sedendosi sulla sedia dietro la scrivania. «Altrimenti così non andiamo da nessuna parte».

Emma sbuffò. «Io di certo non vado da nessuna parte» borbottò. «Vorrei parlare con Mary Margaret e David, se è possibile».

Neal si rialzò e fece qualche passo verso di lei. «Non mi ha ancora detto come conosce i miei genitori».

Emma strinse i pugni intorno alle sbarre della cella. «Non ci crederesti mai, se te lo dicessi».

Neal non rispose, così Emma approfittò di quel momento per chiedergli di Regina. «Posso avere notizie sulla donna che è stata ricoverata ieri sera? Sta bene?»

«Mi piacerebbe molto darle queste informazioni» replicò Neal. «Ma lei, in fin dei conti, è una sconosciuta e per il momento è una detenuta».

Emma alzò gli occhi al cielo.

«Quindi penso che dovrà aspettare di essere di nuovo libera».

«E questo quando accadrà, di grazia?» Emma gridò più forte di quanto non volesse. Sicuramente quell'atteggiamento così poco collaborativo non avrebbe migliorato la sua posizione, ma era più forte di lei.

Il cellulare di Neal squillò. Il ragazzo rispose e dopo una breve conversazione annunciò ad Emma di dover uscire per un'emergenza.

«Mi raccomando, non faccia danni mentre sono via» disse, con un sorriso beffardo.

Emma trasalì. Quel sorriso le ricordava, vagamente, il suo. Molti anni prima, quando faceva la cacciatrice di taglie, quando non era ancora stata stravolta dal mondo delle fiabe e dai doveri da Salvatrice.

Fu solo quando sentì la porta dell'ufficio richiudersi che Emma valutò le opzioni che aveva.

Per prima cosa, doveva uscire di lì e andare a trovare Regina. Doveva sapere se stava bene, doveva avere sue notizie o sarebbe letteralmente impazzita. In secondo luogo, doveva trovare Mary Margaret e David. Non aveva ancora capito se, in quella strana Storybrooke, fosse saggio farsi vedere dagli altri. Ripensò al suo viaggio nel passato insieme a Uncino, quando erano stati costretti a muoversi sotto falsa identità per non farsi vedere e non cambiare gli eventi futuri. Ma in questo caso, pensò, era diverso; non c'erano eventi futuri da cambiare, perché quello era il futuro.

«Regina sicuramente saprà cosa fare» bisbigliò tra sé e sé, guardandosi intorno nella cella.

Regina.

I suoi pensieri erano sempre per Regina.

Si erano separate da meno di un giorno e lei stava rischiando di andare nei matti.

Se fosse stata insieme a Regina avrebbe saputo come comportarsi in questo strano contesto, e avrebbe anche saputo come poter contattare Henry.

Henry.

L'aveva spedito ad Arendelle, nella speranza che con l'aiuto di Elsa e Hans riuscisse a trovare un modo per contattare Tremotino. Insieme avrebbero potuto risolvere tutto quel casino.

Ma se il ragazzino non fosse mai arrivato ad Arendelle? Se attraverso l'armadio fosse arrivato in un altro luogo, o un'altra epoca? Se gli fosse capitato qualcosa ancora prima di raggiungere il negozio del signor Gold?

Si prese la testa tra le mani, sopraffatta da tutte quelle domande che le causavano un mal di testa fulminante.

Aveva dormito pochissimo e mangiato ancora meno. Si sentiva stanca, debole e piena di rabbia. Ma non doveva cedere, non poteva cedere.

«Io sono la Salvatrice» si disse. «Io sono la Salvatrice».

Prese a camminare avanti e indietro nella cella.

«Io sono la Salvatrice» ripeté. Sentì la frustazione crescerle dentro sempre più forte. «Io sono la Salvatrice!»

Stavolta aveva gridato. Per fortuna che era sola nell'ufficio, altrimenti Neal le avrebbe fatto rifare l'alcol test come la sera prima.

Poi, all'improvviso, comprese cosa doveva fare. Si guardò le mani, che tremavano, e si avvicinò alla serratura della cella. Inspirò a fondo.

Forse la magia non funzionava, lì, ma doveva fare un tentativo. Era la sua sola possibilità.

Posò una mano sulla serratura, si concentrò, e dopo pochi istanti la porta della cella si aprì, spinta da una piccola luce bianca.

Tuttavia, non uscì subito. Si meravigliò di quanto fosse stato facile, ma decise di non preoccuparsene, non in quel momento. Valutò i pro e i contro di quella situazione, nonostante la smania di rivedere Regina la spingesse a correre fuori dall'ufficio.

Scappando, la sua posizione si sarebbe aggravata ancora di più. Neal le avrebbe dato la caccia, e una volta trovata l'avrebbe rinchiusa di nuovo. Ma sapeva bene come funzionavano quelle cose a Storybrooke, almeno nella vecchia Storybrooke. Sarebbe rimasta in cella qualche giorno e poi l'avrebbero rilasciata. Ma in questa nuova Storybrooke, cosa le sarebbe accaduto? Cosa sarebbe accaduto a Regina?

Regina.

Sicuramente si sentiva spaesata. Sicuramente aveva bisogno di riposte, aveva bisogno di qualcuno accanto. E quel qualcuno era, senza dubbio, lei.

Quei pensieri la spinsero a uscire dalla cella, senza neanche preoccuparsi di chiudersi la porta alle spalle. Si guardò intorno, e vide una felpa nera appesa all'attaccapanni. Non era il suo giacchetto, pensò, ma andava bene comunque. La prese, se la mise addosso – le stava larga – e si tirò su il cappuccio.

Doveva andare in ospedale da Regina. Sapeva che quello era il primo posto dove Neal l'avrebbe cercata, ma non le importava. Doveva assicurarsi che stesse bene, dopo si sarebbero accordate su come affrontare quella situazione. Poi avrebbe cercato David e Mary Margaret, nella speranza che potessero aiutarla.

Mentre usciva dall'ufficio, cercò di convincersi che tutto sarebbe andato per il meglio. Prima di allontanarsi, decise di sigillare la porta con un incantesimo, così avrebbe guadagnato un po' di tempo con Neal. Si sforzò di ricordare tutto quello che Regina le aveva insegnato, ma non ce ne fu bisogno; il solo pensare a lei era sufficiente per farle sprigionare la magia necessaria.

Quando si incamminò verso l'ospedale, avvolta nella felpa nera col cappuccio sulla testa, stava di nuovo scendendo la sera.

 

**

 

Regina aprì gli occhi, trovandosi davanti un soffitto bianco. Non ricordava niente di ciò che era successo, ma ancora prima di guardarsi intorno si rese conto di dove si trovava; l'odore di medicinali e di malati propagava per tutta la stanza.

Spostò la testa di lato, sentendola pesante. Vide una flebo, attaccata al suo braccio, e i suoi vestiti adagiati su una sedia non distante dal letto.

Era ancora stordita, e i ricordi faticavano ad arrivare; l'ultimo luogo in cui ricordava di essere stata era il negozio del signor Gold, dopo aver attraversato l'armadio.

Un dottore entrò in quel momento, facendola sussultare.

«Signorina Mills, che piacere vederla sveglia» esordì. «Si ricorda qualcosa di ciò che è accaduto?»

Regina mosse la testa per dire no.

Un'infermiera le portò un po' d'acqua e la aiutò a sistemarsi con la schiena più dritta, contro i cuscini.

«Che cosa mi è successo? Perché mi trovo qui?» domandò Regina, con voce flebile.

«Ha subito un forte stress» spiegò il dottore. «E nella sua condizione può rivelarsi un grosso problema».

Regina strizzò un po' gli occhi. «Nella mia condizione?»

Il dottore sorrise. «Signorina Mills, congratulazioni. Lei è incinta di cinque settimane».

Regina si sentì sprofondare.

Fu come se tutto intorno a lei fosse diventato inconsistente; le pareti, i mobili, perfino il letto su cui riposava. Le sembrava di precipitare in un buco nero.

Fu travolta da una marea di emozioni contemporaneamente. Prima lo smarrimento, e lo shock di ricevere una tale notizia; poi senso di colpa, perché i ricordi riaffiorarono con prepotenza, e lei si ricordò di aver visto nel libro delle immagini di sé stessa incinta, ma le aveva tranquillamente ignorate. E aveva messo a rischio la vita del bambino, oltre che la sua.

Poi, all'improvviso, arrivò la gioia; aveva sempre desiderato portare in grembo un figlio suo, ma aveva passato metà della sua vita a inseguire una vendetta insensata, invece che cercare di costruirsi una famiglia.

Una famiglia.

Henry ed Emma.

«C'erano delle persone con me» disse, con lo sguardo perso nel vuoto. «Un ragazzo sui tredici anni e una donna bionda. Dove sono?»

Il dottore le rivolse uno sguardo incuriosito.

«Il ragazzo, per quel che ne so, è scappato dall'ospedale e non penso l'abbiano trovato. La donna invece è stata arrestata».

E ancora una volta, Regina si sentì sprofondare.

«Arrestata?» gridò, agitandosi. «Scappato? Quel ragazzo è mio figlio! Devo sapere dov'è!»

«Signorina, deve calmarsi» le consigliò il dottore. «Questo non fa bene alla sua salute, né al bambino».

Regina sospirò. Poi guardò fuori dalla finestra, e vide che si stava già facendo buio.

«Da quanto sono qui?»

«Ha dormito per quasi ventiquattr'ore» rispose il dottore. «E' arrivata ieri sera tardi».

Regina annuì, poi si distese di nuovo sul letto.

«La terremo in osservazione qualche giorno» aggiunse, prima di uscire dalla stanza. «Dobbiamo far rientrare i parametri nella norma. Ma anche quando la dimetteremo, mi raccomando... niente stress».

Regina annuì ancora, anche se non l'aveva ascoltato davvero.

I suoi pensieri erano tutti rivolti a Henry ed Emma. Le parole "scappato" e "arrestata" le rimbalzavano nella testa, pesanti come macigni.

Poi si posò una mano sulla pancia e solo allora si rese conto di ciò che stava succedendo.

Era incinta.

Incinta.

Di un piccolo essere umano.

E per la prima volta da quando aveva saputo la notizia pensò a Robin.

E fu la terza volta che Regina Mills si sentì sprofondare in un buco nero.

Si portò una mano sul petto e sentì il cuore accelerare. Doveva risolvere tutto quel casino, doveva capire cosa stava succedendo. Ma non poteva farlo da sola. Doveva trovare suo figlio e doveva trovare Emma.

Emma.

Cos'avrebbe detto, lei, del bambino? Cos'avrebbe pensato, dopo tutte le cose che si erano dette?

Si prese la testa tra le mani, prima di valutare la situazione.

Il dottore aveva detto che l'avrebbero tenuta in osservazione qualche giorno, ma lei si sentiva bene. Si sentiva incredibilmente bene a parte un gran mal di testa.

Doveva trovare Emma. E doveva trovare Henry.

Se avesse chiesto al dottore di dimetterla, non gliel'avrebbe mai permesso, non subito almeno. Ma lei non aveva tempo da perdere.

Se Emma era stata arrestata, l'avrebbe trovata sicuramente alla centrale, e magari lei sapeva dove Henry era scappato. Sicuramente faceva parte di un piano da loro elaborato, ed era giunto il momento che anche lei ne prendesse parte.

Si tolse la flebo, e si alzò con calma dal letto. Recuperò i suoi vestiti, si rivestì e si chiese se non fosse del tutto un'incoscente.

Sentì dei passi lungo il corridoio, e capì che non aveva più molto tempo, doveva prendere la sua decisione subito.

Si posò una mano sulla pancia. I passi erano sempre più vicini. Prese un lungo respiro, sperando di non pentirsi di quella decisione.

Scomparì nella nuvola di fumo viola un attimo prima che qualcuno entrasse nella sua stanza. Quello che però non sapeva, era che la persona che stava entrando era Emma.  


** Hello everybody! Eccomi con il secondo capitolo, puntuale come spero potrò essere nelle prossime settimane. Infatti ho deciso che pubblicherò ogni domenica, così da tenervi compagnia e sopperire alla mancanza della nostra serie. Non so voi, ma io sono in astinenza dopo solo due settimane! Sarà lunga arrivare a fine settembre.
Colgo l'occasione per ringraziarvi come sempre di tutte le recensioni e di seguirmi, sia nella long, che nella raccolta di OS, sulla pagina di facebook, e MI SCUSO se non rispondo sempre alle recensioni o rispondo in ritardo. Ma vi leggo, davvero, e mi fa tanto piacere che mi seguiate! Quindi, continuate a farlo :*
Comunque, vi ricordo di seguire la mia pagina di facebook qui: 
https://www.facebook.com/pages/SwanQueen-%CF%9F-I-cattivi-non-hanno-mai-un-lieto-fine-ma-Regina-ha-Emma/1587931868117207?ref=bookmarks
E di dare un'occhiata alla raccolta di OS che sto pubblicando, intitolata Delirio Swan Queen, qui: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3073107&i=1


Un abbraccione people, a domenica prossima! :)

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Capitolo 3
*** Ventisette giorni prima del solstizio d'estate. ***


Capitolo 3

VENTISETTE GIORNI PRIMA DEL SOLSTIZIO D'ESTATE 

 


Henry non aveva idea che il castello di Elsa fosse così lontano dal Pozzo dei Desideri. I metodi che usava Regina, per viaggiare, erano sicuramente più comodi e evidentemente molto più veloci.

Scese la notte, e lui si ritrovava ad un punto morto. Nel buio, faticava a leggere la cartina, così decise di trovarsi un riparo per riposare qualche ora, per muoversi di nuovo alle prime luci dell'alba. Raggiunse una radura, lungo il sentiero che stava seguendo, la attraversò per rientrare nel bosco e ripararsi in mezzo ad alcuni alberi. Sistemò lo zaino come un cuscino e usò il giacchetto di Emma per coprirsi. Quando lo tirò fuori, se lo portò vicino al viso, sentendo il profumo di Emma vivo come non mai. Sembrava quasi che fosse lì con lui.

Si tolse la spada dalla cinta, prima di stendersi a terra e riposare. Ma non ci riuscì; non riusciva a prendere sonno, non riusciva a riposarsi, non riusciva a smettere di pensare che Emma e Regina, ancora una volta, avevano bisogno di lui. Pensò a Regina, e all'ultime parole che aveva sentito pronunciare dal dottore.

"Incinta di cinque settimane".

Sorrise, al pensiero. Certo, la situazione era complicata, ma avrebbe avuto un fratellino. O una sorellina. Se c'era un'opportunità di diventare finalmente una vera famiglia, bè era quella. E non poté fare a meno di sorridere ancora, pensando che in quella famiglia, ci sarebbe stata anche Emma.

Era strano pensare che Emma e Regina potessero diventare una coppia. Per quante volte lui avesse desiderato una famiglia unita, si era ormai abituato a quella situazione. Aveva entrambe le sue mamme al suo fianco, e il pensiero di averle insieme, a dargli il bacio della buonanotte, a cenare tutte le sere intorno allo stesso tavolo e magari, perché no? Vivere insieme sotto lo stesso tetto. Questi pensieri gli riempivano il cuore di gioia. Era fiducioso che una volta risolto tutto quel grosso problema avrebbero avuto una vita felice, avrebbero avuto il loro lieto fine.

Dopo un paio d'ore disteso sotto al cielo stellato, decise di rialzarsi. Non era ancora giorno, ma non sarebbe comunque riuscito a riposarsi, quindi era meglio non perdere altro tempo.

Proseguì lungo il sentiero che stava già percorrendo, alla cieca. Non riusciva a vedere bene la mappa, ma il suo istinto gli diceva che la strada era giusta. Il bosco era avvolto nel buio, non vedeva niente davanti a sè se non l'oscurità.

All'improvviso, sentì un inconfondibile rumore di acque provenire dalla sua sinistra. Lo seguì, facendo slalom tra gli alberi e ritrovandosi quasi subito davanti al mare aperto. Respirò profondamente l'aria salmastra del mare, si guardò intorno e fu allora che vide delle luci. Non lontano da lui, si stendeva il porto di Arendelle e in lontananza, nonostante il buio, riuscì a distinguere il profilo del castello di Elsa che sembrava attendesse soltanto il suo arrivo.

 

**

 

«Regina Mills» ripeté Emma, esasperata, all'infermiera del reparto in cui era ricoverata Regina. «E' stata ricoverata ieri sera».
«Non c'è bisogno che me lo ripeta, signorina» la ammonì l'infermiera. «Se non è una parente, non posso indicarle la stanza».
«Ma io sono una parente» rispose Emma, con la pazienza che diminuiva sempre di più. «Sono sua sorella».
L'infermiera la fissò per un attimo. «Non vi somigliate per niente. Lei come si chiama, signorina?»

Emma si morse un labbro. Certo, avrebbe potuto essere una cugina di terzo o quarto grado, sarebbe stato meno sospettoso. Ma il suo cervello aveva smesso di funzionare nel momento in cui la sua pazienza si era esaurita.
«Emma Mills» rispose, cauta.
«Mi fa vedere un documento?»
Emma sentì la rabbia salirle nel petto. Ma non si scoraggiò; aveva in tasca la patente, e quando la tirò fuori, con un piccolo gesto della mano si assicurò di modificare il cognome da "Swan" a "Mills". Rilesse il documento, per esserne sicura, e le scappò un sorriso leggendo il cognome di Regina accostato al suo nome.
Poi lo porse all'infermiera, che lo squadrò da cima a fondo, come per cercare l'errore che era sicura ci fosse ma non riusciva a vedere.
«Molto bene» disse, dando di nuovo la patente ad Emma. «Secondo corridoio a sinistra, la stanza numero quindici».
Emma si affrettò a raggiungere la stanza. La porta era chiusa, ma lei non ci badò; entrò, con il cuore in gola, ma quando si ritrovò davanti un letto vuoto restò per un attimo impalata sulla soglia.
«Regina?» sussurrò. Fece qualche passo nella camera. «Regina, sei qui?»
Si avvicinò al comodino, dove era sistemata una cartelletta che lei subito aprì.
"Regina Mills" lesse. "Incinta di cinque settimane".
Sì, quella era decisamente la stanza di Regina.
Si guardò intorno, e vide che non c'era niente di suo; nè i vestiti, nè gli oggetti personali. Non ci mise tanto a capire che Regina se n'era andata, e la conosceva abbastanza bene da poter intuire che non era stata dimessa.
Sentì un'infermiera avvicinarsi dal corridoio, così decise di sgattaiolare fuori prima che questi si accorgessero che Regina era scappata e cominciassero a tempestarla di domande.
Si rimise il cappuccio sulla testa, uscì dalla porta e passò accanto ad un'infermiera e un dottore che non la degnarono di uno sguardo. Poco dopo sentì il dottore chiedere dove fosse la signorina Mills, e così ebbe la conferma che Regina se n'era andata senza permesso.


 

**

Regina ricomparve davanti alla stazione di polizia e vi trovò una piccola folla, compreso lo sceriffo, che aveva conosciuto la sera prima. E in un attimo, si ricordò tutto. Quello era Neal, il fratello di Emma, il figlio di Biancaneve e il principe Azzurro. Soltanto che ora aveva almeno vent'anni, e loro l'avevano lasciato che era soltanto un neonato.
Restò in disparte, per non attirare l'attenzione su di sé. Se Neal l'avesse riconosciuta probabilmente l'avrebbe arrestata, esattamente come aveva fatto con Emma.
Regina si fece pensierosa; forse, farsi arrestare non era una cattiva idea. Lei ed Emma sarebbero state di nuovo insieme, e avrebbero potuto trovare un modo per uscire da quel pasticcio. Avrebbero avuto tutto il tempo di parlare e ideare un piano.
Si avvicinò appena per sentire cosa Neal stava dicendo alla folla.
«State tranquilli, si risolverà tutto».
«Ma come possiamo stare tranquilli? Questa è opera di ladri esperti!» gridò un'anziana donna, che Regina non riconobbe.
«Potrebbero entrare nelle nostre case» aggiunse un'altra donna, un po' più giovane, coi capelli legati in uno chignon.
«Nessuno entrerà da nessuna parte» le interruppe Neal, alzando le mani nel tentativo di calmare tutti. «Una delle due donne è ricoverata in ospedale, l'altra l'ho arrestata ieri sera. Non vi faranno del male».
Regina fece un passo indietro, mentre altre proteste si alzavano dal gruppo davanti allo Sceriffo. Si allontanò, infilandosi in un vicolo per non farsi vedere. Qualcuno, dalla folla davanti alla stazione di polizia, si allontanò, lasciando Neal e pochi altri alle prese con la serratura che non si apriva. Regina lo osservò a lungo, prima di rendersi conto che quella era un'opera di magia. E l'unica persona in grado di usare la magia, a parte lei, era Emma. Quindi c'era una possibilità che fosse riuscita ad evadere.
Sospirò, restando in balia dei suoi pensieri. Se Emma era fuggita, dov'era andata? Era forse andata a cercare i suoi genitori? Era forse andata a cercare Henry?

Se invece era ancora chiusa lì dentro, c'era solo un modo per scoprirlo.
Aspettò finché Neal non si arrese. Era ormai l'unico rimasto davanti alla porta, e in pochi minuti se ne andò, scomparendo nelle strade della città.
Regina si guardò intorno un paio di volte, prima di uscire dal vicolo e raggiungere la porta per controllare se fosse effettivamente opera di Emma. Certo, sarebbe potuta comparire all'interno dell'ufficio senza problemi, ma Emma poteva non essere l'unica presente, ed era meglio evitare l'effetto sorpresa almeno in quel caso.

Controllò la serratura e sorrise. Emma era davvero migliorata tanto con la magia. Con un gesto della mano, disattivò l'incantesimo e spalancò la porta. Avanzò nel corridoio il più veloce possibile, fino a ritrovarsi di fronte alla cella vuota.
Sbuffò. «Riusciremo mai a smetterla di rincorrerci, Swan?»
Era troppo tardi quando sentì dei rumori dietro di sé.
«Ferma là!»
Si voltò di scatto, vide lo Sceriffo che le puntava una pistola contro, e non ebbe nessuna esitazione. Scomparì in una nuvola di fumo viola, senza preoccuparsi di ciò che il ragazzo avrebbe pensato.


 

**

«Dove diavolo sei, Regina?» borbottò Emma, uscendo dall'ospedale.
Si augurò di non incontrare Neal. Sperava che il suo incantesimo avrebbe tenuto abbastanza da darle il tempo di ritrovare Regina. Certo, non immaginava che avrebbe dovuto cercarla dappertutto, ma non si perse d'animo.
Camminò per le vie di Storybrooke, cercando di non dare nell'occhio. Pensò e ripensò a tutta quella situazione, a Regina, a Henry, ai suoi genitori. Forse, prima di trovare Regina, doveva andare da Mary Margaret e David. Insieme, forse, avrebbero potuto trovare una soluzione.
Ma in un angolo remoto della sua mente, c'era una vocina che le diceva che non era prudente. Il suo super potere, forse, non era del tutto arrugginito. C'era la possibilità che Mary Margaret e David non la riconoscessero, oppure poteva rischiare di rovinare qualche strano equilibrio spazio temporale. Lei non sapeva niente di quelle cose, era Regina quella che avrebbe saputo come muoversi. Quindi la sua priorità era trovarla.

Era persa nei suoi pensieri e si rese conto troppo tardi che stava andando a sbattere contro qualcosa. Anzi, qualcuno.

Alzò lo sguardo e si trattenne dal pronunciare il nome della persona che si trovava di fronte. La conosceva fin troppo bene, nonostante le rughe che le solcavano il viso e i capelli più argentati che castani.

«Mi scusi, signorina, non l'avevo vista» si scusò Belle.

Emma sussultò. La voce era la stessa di sempre, e quella era sicuramente la Belle che conosceva. Ma a quanto pare, lei non conosceva Emma.

«Non... non c'è problema» balbettò, e solo allora abbassò lo sguardo e vide che teneva per mano un bambino. «E'... è suo figlio?»

Belle sorrise. «Si».

Ad Emma passarono mille domande per la testa ma la shock gliele bloccò.

«Sta bene, signorina?» chiese Belle, notando la sua espressione.

«Sì, tutto bene» si affrettò a rispondere Emma. Non riuscì ad aggiungere altro, anche se avrebbe voluto carpire delle informazioni più importanti.

«E' nuova qui? Non mi sembra di averla mai visto in giro».

Per fortuna che Belle era particolarmente loquace.

«Sì, sono arrivata ieri sera» rispose Emma. «Sono solo di passaggio. Però avrei... una domanda da... da farle».

Avrebbe voluto chiederle in che anno si trovavano, ma come poteva fare quella domanda? Belle l'avrebbe presa per un'ubriaca o ancora peggio, per una matta da rinchiudere la manicomio.

Belle la guardò curiosa. «Mi dica».

Emma esitò. La cosa migliore che poteva fare, forse, era andarsene prima di fare qualche danno irreparabile. O forse poteva girare intorno all'informazione che voleva avere, senza fare la domanda diretta. In fondo, un tempo, era una cacciatrice di taglie e scoprire cose senza dare nell'occhio era la sua specialità.

«Da quanti anni vive qui?» iniziò Emma, cauta.

Belle si fece pensierosa. «Tanti, tantissimi anni» rispose, con un sospiro. Guardò il bambino che teneva per mano con un gran sorriso. «Viviamo qui da molto prima che Robert nascesse. Viviamo qui da... sempre, che io ricordi».

Emma trasalì. Quella era una risposta che si era sentita dare tante volte, quando era arrivata a Storybrooke la prima volta. Quando Storybrooke era sotto il sortilegio.

«Ti chiami Robert?» disse Emma, sorridendo al bambino. «E' un bellissimo nome. Quanti anni hai, Robert?»

Il bambino non rispose subito. Guardò Emma con curiosità, e lei sembrò trovare quegli occhi molto famigliari. Non erano quelli di Belle, ma era sicura di averli già visti.

«Sei» rispose, con vocina stridula.

«Sei anni?» ripeté Emma, sforzandosi di essere gentile. «Sei proprio un ometto».

Belle sorrise, stringendo la mano di Robert un po' di più. «Ora dobbiamo andare».

Emma si fece da parte. «Ma certo, anzi scusate se vi ho trattenuto».

«Nessun problema!» disse Belle, incamminandosi. «Benvenuta in città».

«Grazie» disse Emma, guardando Belle allontanarsi. La donna aveva fatto solo pochi passi, quando la bionda la richiamò. «Aspetti un momento!»

Belle si voltò.

«Mi sa dire che giorno è oggi?»

Belle sbatté le palpebre un paio di volte, a quella domanda. «Intende...che giorno della settimana o...»

«No, intendo di numero» Emma fece un passo verso Belle, sentendosi una stupida. Ma doveva cercare di capire.

«E' il ventisei di maggio».

«Grazie» rispose Emma, con un cenno del capo.

Belle si allontanò senza aggiungere una parola, e anche Emma riprese la sua strada, e in un attimo si ritrovò a correre.

Doveva trovare Regina al più presto. E c'era soltanto un posto in cui sapeva di poterla trovare, l'unico posto in cui Regina si sentiva sicura. 

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Capitolo 4
*** Ventisette giorni prima del solstizio d'estate. ***


 
CAPITOLO 4

VENTISETTE GIORNI PRIMA DEL SOLSTIZIO D'ESTATE


 
 

Henry attraversò la piazza che precedeva il castello di Elsa senza mai fermarsi, nè voltarsi indietro. Era appena spuntata l'alba all'orizzonte, ma lui non ci si soffermò; corse finché non si ritrovò davanti al grande portone di legno e bussò, bussò incessantemente finché qualcuno non andò ad aprirgli la porta.

«Signorino Henry!»

Una delle domestiche, una donna di mezza età con i capelli raccolti sotto a un cappellino che Henry ricordò si chiamasse Delilah, per fortuna lo riconobbe.

«Buongiorno Delilah, mi scusi per l'orario» biascicò il ragazzo, tentando di riprendere fiato. «Avrei bisogno di parlare con Elsa... cioè, la Regina Elsa. E con Hans».

La donna aveva grandi occhi gentili, che percorsero il ragazzo da capo a piedi.

«Stai bene, giovanotto?» gli domandò, posandogli una mano sulla spalla. «Entra, coraggio, entra!»

Henry fece qualche passo dentro l'atrio. «Sto bene» si affrettò a dire. «Ma ho bisogno di parlare con...»

«Henry!»

Alzò lo sguardo e vide Elsa scendere dalla grande scalinata, i capelli ancora in disordine e la vestaglia che la copriva.

«Henry, cosa ci fai qui? Dove sono Emma e Regina?»

Il ragazzo si avvicinò di qualche passo, e si incontrò a metà strada con Elsa.

«Va tutto bene?» ripeté Elsa, notando che Henry era molto scosso. «E' successo qualcosa?»

Henry non rispose subito. Si prese qualche momento per prendere dei grandi respiri, cosa che gli costò una grande fatica, perché questi continuavano a mancare.

«Henry...» Elsa gli posò una mano sulla spalla. «Sei molto pallido. Va tutto bene?»

«Ho bisogno... del tuo... aiuto».

E nel dire quell'ultima frase, Henry cadde a terra, svenuto, sotto lo sguardo preoccupato di Elsa e della domestica.

 

**

 

Regina ricomparve davanti al numero 108 di Mifflin Street. La sua casa sembrava anch'essa invecchiata nel tempo, ma sicuramente era frutto della sua immaginazione. Tutto quel caos di ritrovarsi nel futuro le giocava brutti scherzi. Ma era sicura che, nonostante tutto, i suoi libri di magia erano ancora esattamente dove li aveva lasciati. Gliene serviva uno in particolare, uno che riguardava i viaggi nel tempo e i buchi spazio-temporali. Era un tomo blu scuro, con il titolo scritto a grandi lettere dorate e bordato nello stesso colore.

Percorse a grandi passi il vialetto, ma quando si ritrovò davanti alla porta si bloccò, perché vide una luce accendersi in salotto. Si accostò alla porta ma non sentì nulla, soltanto silenzio. Poi rimbombarono dei passi.

Si fece indietro, con il cuore che batteva all'impazzata.

Qualcuno viveva in casa sua. Qualcuno dormiva nel suo letto, o nel letto di Henry.

Era piuttosto normale, si disse. Erano nel futuro, in un qualche modo erano passati almeno vent'anni, e la sua casa non doveva essere rimasta disabitata a lungo.

Sentì dei rumori avvicinarsi alla porta, così fece dietro front, corse di nuovo in strada e si allontanò, riparandosi dietro a un albero. Restò in attesa qualche minuto, e finalmente vide una sagoma uscire dalla casa. Non le distinse finché non fu in strada, illuminata dalla luce dei lampioni.

E il suo cuore si fermò.

Robin.

Robin camminava lungo il viale, stringendosi nella giacca verde militare, che era la stessa di sempre.

Regina si accovacciò, prendendosi la testa tra le mani. Sentì delle lacrime che spingevano per uscire, ma cercò di trattenersi. Istintivamente si portò una mano sulla pancia e pensò alla creatura che portava in grembo, suo figlio. Il figlio di Robin.

Lanciò un'occhiata all'uomo che con passo deciso si allontanava dall'abitazione, e lo seguì con lo sguardo finché non scomparì dal suo campo visivo, immerso nel buio.

Sospirò, e senza cedere al dolore, scomparì di nuovo.

 

**

 

Henry riaprì gli occhi, solleticato dai raggi del sole che entravano dalle grandi finestre della stanza. Riconobbe subito dove si trovava; era la stessa stanza in cui aveva dormito l'ultima volta che era stato ad Arendelle. Sentì una strana sensazione quando realizzò che era passato soltanto un giorno da quando era stato lì. Gli sembrava passata un'eternità.

«Henry, stai meglio?»

La voce gentile e calma di Hans arrivò da in fondo alla camera. L'uomo era seduto su una poltrona, e quando vide che il ragazzo era sveglio si alzò e lo raggiunse. «Ci hai fatto davvero preoccupare. Cosa è successo?»

Henry sospirò. «Mi dispiace, non so cosa mi è preso. Ero stanco morto e...»

«Tranquillo, Henry» lo rassicurò Hans. «Vado a chiamare Elsa così ci racconti tutto».

Henry annuì, mentre l'uomo usciva dalla stanza. Pochi istanti dopo ritornò insieme alla Regina di Arendelle, che sfoggiò un enorme sorriso nel vedere che Henry aveva ripreso conoscenza.

«Ti ho fatto preparare qualcosa da mangiare» disse Elsa, poi raggiunse Henry e l'abbracciò. «Cosa è successo, Henry? Emma e Regina stanno bene? Perché sei qui?»

«E' meglio se vi sedete, è una storia un po' lunga» iniziò Henry, e quando Elsa e Hans presero posto sulle poltrone, lui raccontò tutto ciò che era capitato da quando avevano lasciato il castello di Arendelle, per filo e per segno, senza tralasciare nulla.

«Abbiamo realizzato di essere arrivati in una Storybrooke del futuro, ma non sappiamo se è per un sortilegio, o se abbiamo sbagliato qualcosa attraverso il portale» concluse. «Io so solo che le mie mamme sono in pericolo. Emma è stata arrestata, e Regina...»

Henry esitò. Non sapeva ancora se dire la verità su ciò che stava succedendo. Elsa e Hans lo guardarono, sembrava che capissero il suo tormento. Non fecero domande, ma Henry proseguì. «Reigna è incinta. E' stata ricoverata in ospedale, e non so come sta».

Entrambi spalancarono la bocca per la sorpresa.

«Ok, allora noi... noi cosa possiamo fare per aiutarvi?»

Henry restò un attimo in silenzio.

«In realtà, non lo so. Emma mi ha mandato indietro per farmi stare al sicuro, ma mi ha anche detto di cercare di contattare Tremotino».

«Contattare Tremotino» ripeté Hans, meccanicamente. «Forse so come fare».

Elsa ed Henry lo guardarono.

«E come?» domandò Elsa.

«Bè, io sono l'Autore del libro, giusto? Sono ancora in possesso di un oggetto che potrà fare al caso nostro. E forse posso scrivere una storia che porti Tremotino... qui».

«Puoi farlo davvero?» esclamò Henry, entusiasta. «Pensi che funzionerà?»

«Non ne ho la certezza, ma tentar non nuoce» rispose Hans, alzandosi. «Anzi, mi metto subito all'opera. Hai per caso con te uno dei miei libri bianchi?»

«No, non ce l'ho» sussurrò Henry. «Ho soltanto quello che ha scritto la storia delle mie mamme».

Hans sorrise. «Andrà bene».

Henry gli indicò lo zaino, e Hans lo prese. Sotto al giacchetto di pelle di Emma, le fiale e altri oggetti, c'era il libro. Hans lo sfogliò fino all'ultima figura poi, con suo grande sollievo, vide che c'erano rimaste delle pagine bianche in fondo.

«Andrà benissimo» ripeté. «Ora, se volete scusarmi, mi metto al lavoro» e con un inchino, uscì dalla camera.

«Pensi che funzionerà?» domandò Henry ad Elsa. Aveva bisogno di essere rassicurato.

«Credimi, Henry» rispose Elsa, prendendo le mani del ragazzo nelle sue. «Hans sa quello che fa. Sono sicura che funzionerà, e con Tremotino riusciremo a salvare Emma e Regina. Te lo prometto».

Henry sospirò. «Lo spero».

 

**

 

Emma aveva rischiato di farsi beccare più di una volta, percorrendo le strade di Storybrooke senza una protezione. Sperava di dare meno nell'occhio, nascosta sotto al cappuccio nero, ma la verità è che tutti quanti si fermavano a fissarla.

Certo, doveva ammettere che una sconosciuta coperta da un cappuccio nero che correva per le strade di un paese come quello, era piuttosto sospetto. Ma non le importava. Doveva raggiungere la cripta, sapeva che lì avrebbe trovato Regina.

 

Regina raggiunse la sua cripta, trovandola ancora sigillata, esattamente come l'aveva lasciata. Tirò un sospiro di sollievo; anche se Robin -e forse anche Marian e Roland, pensò- per un qualche grottesco scherzo del destino viveva nella sua casa, la cripta era il posto in cui si sentiva più sicura. E, apparentemente, nessuno aveva osato profanarla.

 

Emma attraversò di corsa il parco antecedente alla cripta, passando in mezzo alle lapidi che l'avevano sempre un po' inquietata. Non sapeva spiegarsi perché Regina si sentiva così a suo agio in quel posto, lei lo trovava semplicemente inquietante, ma era sicura che Regina fosse lì, probabilmente già intenta a cercare una soluzione a quella strana situazione.

 

Regina sollevò una mano, e con un gesto rapido e deciso tolse il sigillo che aveva imposto. Toccò appena la porta della cripta e capì che era riuscita ad aprirla. Poi sentì un rumore di passi alle sue spalle, passi che si trascinavano sull'erba. Si voltò.

«Regina!» gridò Emma, col fiato grosso.

«Emma!» esclamò Regina, andandole incontro.

Due grandi sorrisi si allargarono sui visi di entrambe, mentre si correvano incontro. Emma provò una sensazione di calore invaderle il petto, nel momento in cui riuscì a distinguere nel buio gli occhi di Regina, il suo viso, i suoi lineamenti, tutto quanto; stava bene. L'aveva trovata e stava bene, quella era la cosa importante. Per Regina invece fu come se tutto il dolore e i dubbi che l'avevano assalita fino a quel momento fossero scomparsi; si sentì incredibilmente rassicurata dalla sola presenza di Emma, anche se era ancora lontana e non l'aveva ancora stretta tra le braccia. Con Emma al suo fianco, era sicura che le cose sarebbero finalmente andare per il verso giusto. E ne ebbe ancor di più la certezza quando si trovarono a metà strada, stringendosi in un abbraccio. 

Erano di nuovo insieme. Erano di nuovo insieme e nient'altro importava.



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Buona domenica belle persone! Eccomi qui puntuale con il quarto capitolo della ff. E' un po' più corto degli altri, è vero, ma volevo che finisse esattamente in questo punto, quando Emma e Regina FINALMENTE si ritrovano, almeno da far gustare a loro e a voi un briciolo di felicità, prima di... bè, non ve lo nascondo: ci sarà tanto angst! ANGST A PALATE, proprio!
Quindi diciamo che questa è la cosidetta quiete prima della tempesta.
Anyway, il prossimo capitolo arriverà domenica prossima come di consueto, e ho tante altre os in cantiere che aggiungero alla raccolta "Delirio Swan Queen" che trovate qui: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3073107&i=1

Vi ricordo anche di seguire la mia pagina facebook, nel caso non lo facciate già, che trovate qui:  https://www.facebook.com/pages/SwanQueen-%CF%9F-I-cattivi-non-hanno-mai-un-lieto-fine-ma-Regina-ha-Emma/1587931868117207
E vi lascio un ultimo link per votare la Swan Queen agli "Once Upon a time Awards" come miglior ship. VOTATE VOTATE VOTATE!!! qui:  http://daninseries.altervista.org/once-upon-a-time-awards-finalissima/

In ultimo, ma non per importanza, un saluto e un abbraccio enorme alle ragazze del "Delirio Swan Queen" perché... bè, semplicemente perché esistono <3

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Capitolo 5
*** Ventisei giorni prima del solstizio d'estate. ***


Capitolo 5

VENTISEI GIORNI PRIMA DEL SOLSTIZIO D'ESTATE




«SWAAAAAN!» sbraitò Regina, una volta che Emma le ebbe raccontato dov'era andato Henry. O meglio, dove lei lo aveva mandato. «Hai veramente spedito nostro figlio, da solo, attraverso un portale che potrebbe portarlo chissà dove?»

Erano entrate nella cripta, e si erano sigillate dentro, così da evitare che qualcuno potesse trovarle.

Emma alzò le mani e le interpose tra sé stessa e Regina, come per proteggersi da un attacco che sarebbe arrivato da un momento all'altro. Ormai aveva capito che non era un buon segno quando Regina la chiamava per cognome. «Regina, non sapevo cosa fare in quel momento. Pensavo che rimandandolo ad Arendelle sarebbe stato al sicuro... e avrebbe potuto farsi aiutare a tirarci fuori da questo casino. Magari avrebbe potuto contattare Tremotino».

«E se non ci fosse mai arrivato, ad Arendelle?» gridò Regina, portandosi le mani sulla testa. «Se abbiamo sbagliato qualcosa con il portale, magari è finito... è finito...» Regina si interruppe, sentendo il respiro mancarle. Si mise a sedere, mentre Emma le si avvicinava preoccupata.

«Stai bene, Regina?» le domandò, posandole una mano sulla spalla. «Non devi agitarti così, sei...»

Emma si bloccò.

Silenzio.

Regina alzò lo sguardo e incrociò quello di Emma, capendo che lei sapeva già.

«Sono incinta» sussurrò Regina. «Sono incinta, Emma» ripeté, come se quelle parole fossero sempre state sospese tra di loro, ma nessuna delle due aveva avuto il coraggio di pronunciarle.

La bionda si mise a sedere accanto a lei e le prese le mani tra le sue.

«Tranquilla» la rassicurò. «Sistemeremo tutto. Come abbiamo sempre fatto».

A Regina sfuggì un sorriso.

«Sembri i tuoi genitori» scherzò. «Schifosamente ottimista».

Emma rise.

«A proposito dei miei genitori... devo andare da loro».

«Non sono sicura sia una buona idea» replicò Regina. «Non sappiamo ancora quali effetti potrebbe avere, mostrarci alle persone qui».

Sul viso di Emma si materializzò un sorrisetto colpevole. «Veramente...»

Regina si voltò. «Emma Swan! Non posso lasciarti da sola un attimo!»

Emma, ancora una volta, alzò le mani. «Ho letteralmente sbattuto contro Belle mentre venivo qui» e le spiegò della loro breve conversazione.

«Sei proprio sicura che non sapesse chi sei?»

Emma annuì. «Non ha saputo dirmi nemmeno da quanto tempo vive qui».

Regina si alzò e fece qualche passo avanti e indietro. «Bè, tutto questo può significare solo una cosa».

Emma non rispose, sapendo già a cosa Regina si riferisse.

La mora si voltò a guardarla. «E' stato lanciato un sortilegio, non c'è altra spiegazione. Se avessimo sbagliato qualcosa con il portale, saremo finiti nel futuro, ma si ricorderebbero di noi. Con il sortilegio che avevo lanciato io avevo portato via tutti i loro ricordi. Forse anche questo funziona così».

Emma si alzò, pensierosa. «Forse abbiamo bisogno di una conferma in più. Il mio veloce scontro con Belle mi sembra poco su cui basarsi».

«Forse hai ragione» disse Regina, poi si diresse verso un baule, aprendolo. «Devo controllare una cosa...» e si mise a frugarci dentro.

Emma la raggiunse, restando in piedi dietro di lei.

«Cosa cerchi?»

«Un libro. Sono sicura di averlo a casa, ma voglio controllare. Se la fortuna è dalla nostra parte...»

«Che libro è?» domandò Emma, curiosa.

«E' un libro che contiene informazioni sui viaggi spazio temporali, magari contiene anche qualche incantesimo che possiamo applicare... ma ovviamente qui non c'è...»

Regina chiuse il baule con un tonfo e si rialzò.

«Andiamo a prenderlo a casa tua, allora» suggerì Emma.

Regina subito si irrigidì. Non sapeva se dire ad Emma di aver visto Robin uscire dalla sua casa. Da quando l'aveva visto, sentiva un groppo allo stomaco, e si sentiva in colpa verso Emma, anche se non sapeva spiegarsi il motivo. Si chiese come Emma avrebbe reagito a sapere che Robin era in città. Si chiese se tenerglielo nascosto fosse una cosa giusta. Si chiese tante cose, ma non riuscì a darsi nessuna risposta.

«Dobbiamo fare il punto della situazione» Regina decise di cambiare argomento.

Emma annuì.

«Se è stato lanciato un sortilegio, dobbiamo capire come spezzarlo» proseguì Regina.

Emma annuì di nuovo. «Dobbiamo però prima capire se ci abbiamo visto giusto. Dobbiamo avere la prova che si tratta di un sortilegio. Ah, e c'è un'altra cosa. Il maggiolino e tutte le nostre cose sono rimaste a New York. Dobbiamo recuperarle».

«Hai ragione, ma abbiamo ancora un'altra priorità» rispose Regina. «Dobbiamo sapere se Henry sta bene».

Emma sentì il senso di colpa opprimerla. «Come possiamo fare? Come possiamo contattarlo?»

«C'è un solo modo» rispose Regina, in tono grave. «Dobbiamo seguirlo, ovunque sia andato».

Emma sgranò gli occhi. «Vuoi attraversare di nuovo il portale?»

Regina annuì, e vedendo l'espressione preoccupata di Emma si affrettò ad aggiungere: «Lo so, per la mia salute non va bene. Ma non posso fare niente se non ho la certezza che Henry sta bene. Devo saperlo, lo capisci?»

Emma abbassò lo sguardo. «Certo che lo capisco. E' nostro figlio».

Regina sospirò, guardandola. Colse una nota di colpevolezza nel tono con cui Emma aveva detto quell'ultima frase. Fece un passo verso di lei. Non era il tipo di persona che riusciva a lasciarsi andare a gesti d'affetto, ma quando Emma alzò i suoi occhi verdi colmi di lacrime su di lei, le prese timidamente la mano e la strinse nella sua.

«Ce la faremo, vedrai» le disse. E stavolta fu lei ad abbassare lo sguardo, imbarazzata per quel gesto che non era riuscita a trattenere.

Emma fece un debole sorriso. «Adesso chi è quella schifosamente ottimista?»

Regina non rispose. Sorrise insieme a lei, beandosi di quel lieve contatto che avevano ritrovato.

Poi Emma deglutì, ricacciando indietro le lacrime, e aggiunse: «Quindi prossima fermata, negozio di Gold?»

Regina, in tutta risposta, fece sparire entrambe nella solita nuvola di fumo viola.

 

**

 

Hans non si fece vedere per tutto il giorno. Henry ed Elsa erano preoccupati che ci fosse qualche problema con il libro, ma non riuscivano a non essere fiduciosi che l'uomo avrebbe trovato una soluzione per contattare Tremotino.

Fu soltanto all'ora di cena che Hans si presentò con il libro sotto braccio e un gran sorriso stampato in volto.

«Fatto!» esclamò, posando con un tonfo il libro sul tavolo.

Henry ed Elsa sussultarono.

«Mostraci tutto» lo esortò Elsa, e Hans aprì il libro davanti a loro.

«Come potete vedere, le ultime pagine del libro mostrano queste immagini di Emma, Regina ed Henry a Storybrooke. Essendo tornati nel mondo reale, il libro non ha registrato più niente, però ora che siamo ad Arendelle...» Hans girò una pagina. «Eccoti qua, Henry. Da solo, al Pozzo dei Desideri».

Henry non staccò gli occhi dal libro nemmeno per un secondo, non sbatteva neanche le palpebre.

«Quindi ho pensato di proseguire da qui» Hans girò di nuovo la pagina. Non c'erano più immagini, soltanto storie scritte a mano. «Tu ci hai raggiunto al castello, mentre Tremotino comparirà dal Pozzo dei Desideri non appena terminerò di scrivere questa pagina. E la terminerò soltanto quando noi saremo arrivati al Pozzo. Meglio farci trovare là quando il nostro ospite apparirà».

Elsa guardò Hans. «Qual era l'oggetto che poteva tornarti utile?»

Hans sorrise, estraendo dalla sua tracolla una penna e una boccetta d'inchiostro. «Inchiostro magico» e lo indicò «Usando questa penna e questo inchiostro insieme, tutto ciò che viene scritto diventerà reale».

«Che forza!» esclamò Henry, alzandosi dalla sedia. «Cosa aspettiamo allora? Andiamo subito al Pozzo!»

Hans chiuse il libro. «Io sono pronto a partire subito».

Elsa a sua volta si alzò. «Sono pronta anche io. Andiamo ad accogliere il nostro ospite».

 

**

 

Regina ed Emma ricomparirono direttamente dentro al negozio del signor Gold. Se c'era una cosa che avevano capito dalla loro prima visita, è che nessuno entrava nel negozio da diversi anni, e soprattutto nessuno ci viveva. Si ritrovarono infatti immerse nel buio più totale, e videro una grande spranga sulla porta che la teneva bloccata.

«Probabilmente Neal si aspettava che avremo fatto irruzione di nuovo» disse Emma, con una risata.

«Cosa che effettivamente è vera» aggiunse Regina. «Solo che i nostri metodi non sono così prevedibili».

Le due donne si avvicinarono all'armadio. Le ante erano socchiuse, così le aprirono.

«Qualcosa non va» borbottò Regina, infilando la testa dentro all'armadio.

«Che cosa?»

«Questo armadio dovrebbe funzionare da solo» spiegò la mora. «Non dovrebbe servire la nostra magia per attivarlo».

Emma ci pensò su, restando in silenzio.

Regina controllò accuratamente l'interno dell'armadio.

«Proviamo comunque ad attivarlo» propose Emma, incerta.

Regina annuì. Insieme tesero le mani verso l'armadio, facendo scaturire lampi di luce colorati, in attesa che qualcosa accadesse. Ma niente.

Emma non osò parlare, sentendosi ancora più in colpa di prima. Si chiese dove poteva essere finito Henry. Si chiese se stava bene. Si chiese che razza di madre era stata per averlo mandato alla sbaraglio in quel modo.

Regina sembrò captare i suoi pensieri, così cercò di darle una spiegazione. «L'unica cosa che mi viene in mente è che qualcuno sia passato di qui e abbia disattivato il portale».

Emma la guardò. «Qualcuno che usa la magia, quindi».

«Esatto» confermò Regina. «Quindi sappiamo una cosa importante, ora».

Emma sospirò. «Che chi ha lanciato questo presunto sortilegio, è ancora qui».

«E non vuole che torniamo indietro» aggiunse Regina. «Vuole averci qui».

«Ma perché?» domandò Emma. «Perché vuole tenerci relegate in questa Storybrooke del futuro?»

Regina non rispose. Si guardò intorno, come per cercare qualche oggetto che sarebbe potuto essergli utile. Vide la teca delle pozioni – ancora distrutta - vuota. Aprì qualche cassetto, frugando tra le pergamene e tra gli oggetti più disparati.

Poi sentirono dei rumori fuori dalla porta d'entrata. Sussultarono, lanciandosi un'occhiata preoccupata. Si guardarono per un lungo momento in cui seppero che entrambe stavano pensando la stessa cosa.

Poteva essere Neal. Oppure poteva essere la persona che aveva lanciato il sortilegio che andava a controllare.

Emma raggiunse Regina al bancone, e insieme vi si accovacciarono dietro, per nascondersi.

Altri rumori aldilà della porta, sommessi e pacati, quasi impercettibili. Una sagoma scura si stagliò, attraverso le luci dei lampioni. Restò davanti alla porta qualche secondo, per poi allontanarsi velocemente.

Regina ed Emma si guardarono, poi la bionda scattò in piedi.

«Emma, aspetta!»

Regina non fece in tempo a fermarla, che la donna aveva già raggiunto la porta. La spalancò usando la sua magia, facendo saltare le spranghe, e corse in strada. Regina, sbuffando, la raggiunse.

La trovò a pochi passi dal negozio che si guardava intorno, l'alba che pian piano nasceva intorno a loro.

«E' scomparsa nel nulla!» gridò. «Quella sagoma, quella persona che c'era fuori dalla porta è... sparita. Non è possibile!»

Regina le si parò davanti. «Emma, non dobbiamo fare cose affrettate, o rischiamo...»

La macchina dello Sceriffo sbucò dalla strada principale, con le sirene accese.

«Ecco, appunto!» esclamò Regina, prima di afferrare il polso di Emma e trascinarla di nuovo nella cripta.

Quando riapparirono, Emma ci mise qualche secondo a realizzare cosa aveva fatto Regina.

«Ma sei impazzita?» gridò. «Neal ci avrà sicuramente visto sparire!»

Regina alzò le spalle.

«Non è la prima volta».

Emma spalancò gli occhi. «Regina Mills» gridò. «Poi sarei io quella che non può stare un attimo da sola?»

Regina sbuffò, spazientita. «Ero venuta a cercarti alla stazione di polizia, e lui è arrivato proprio in quel momento! Cosa avrei dovuto fare? Mi dovevo fare arrestare o sparare?»

Emma non rispose, lanciando un'occhiata truce a Regina.

«E comunque, non ha importanza» proseguì la mora. «Perché molto probabilmente c'è proprio Neal dietro a tutto questo».

Emma rise. «Mio fratello? Un neonato che lancia un sortilegio?»

Regina restò in silenzio, rendendosi conto di avere esagerato. «Il fatto è che lui è l'unico con cui abbiamo interagito da quando siamo qui. E' l'unico che ci ha viste e ci sta addosso».

Emma dovette ammettere che Regina aveva ragione, ma nonostante questo continuava a credere che suo fratello fosse una vittima del sortilegio, come tutti gli altri, e non l'artefice.

«Non può essere lui» disse, decisa. «Piuttosto, visto che abbiamo fatto un buco nell'acqua con il portale, credo che dovremo concentrarci sulla prossima mossa».

«E sarebbe?»

«Dobbiamo capire se si tratta di un sortilegio oppure no».

«E come possiamo fare?» sbraitò Regina, nervosa.

«Sei tu l'esperta» disse Emma, poi guardando il viso contratto della donna, aggiunse: «Stai bene?»

Regina sbuffò. «Sì, è solo che non riesco... non riesco a ragionare a stomaco vuoto».

«Vado a prendere qualcosa da mangiare, se vuoi. Ho una certa fame anche io».

«E' meglio se vado io» disse Regina, alzandosi. «Mi muovo più velocemente, almeno non dovrò farmi tutta la strada a piedi».

Emma acconsentì. «Dovresti veramente insegnarmi a farlo, un giorno di questi. Potrebbe tornarmi utile».

Regina la ignorò. «Mettiti comoda, intanto. Visto che non possiamo lasciare Storybrooke, credo che questo sarà il nostro nascondiglio per i prossimi giorni».

Emma sospirò, muovendo qualche passo nella cripta. «Questo posto è inquietante, lo sai?»

«Dovrai abituartici» disse Regina, acida.

Emma alzò gli occhi al cielo. «Sei proprio intrattabile, quando sei affamata».

Regina rispose con una linguaccia, poi si soffermò a guardare Emma, squadrandola da capo a piedi.

Emma ricambiò l'occhiata, a disagio. «Cosa c'è?»

«Dove hai messo il giacchetto rosso?»

Emma si guardò addosso, come se non si ricordasse più com'era vestita. «L'ho dato a Henry» spiegò. «Pensavo che magari l'avrebbe potuto usare per ritrovarci. Con una pozione localizzante, o una di quelle diavolerie. Insomma, non sapevo...»

Emma non finì la frase, perché in fin dei conti non sapeva niente quando aveva preso quelle decisioni. Ma Regina parve capirla, e fu rincuorata nel sapere che Emma non aveva mandato Henry totalmente allo sbaraglio.

«Torno tra un attimo» disse Regina, scomparendo.

Emma fissò il punto in cui la donna era scomparsa per qualche secondo. Non le aveva neanche chiesto cosa voleva da mangiare. Ma non importava.

Sorrise. Perché Regina sapeva esattamente cosa voleva da mangiare, anche senza che lei glielo dicesse.

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Capitolo 6
*** Ventisei giorni prima del solstizio d'estate. ***


Capitolo 6

VENTISEI GIORNI PRIMA DEL SOLSTIZIO D'ESTATE




«Eccolo laggiù!»
Henry, Elsa e Hans raggiunsero il Pozzo dei Desideri il mattino seguente, e con grande stupore di tutti, fu proprio Henry a fargli da guida. Di giorno era stato ancora più facile orientarsi, non aveva avuto bisogno nemmeno della mappa.
«E ora, che si fa?» domandò Elsa, sporgendosi sul bordo per guardare all'interno del Pozzo.
Hans estrasse il libro e una piuma con un calamaio da una tracolla che aveva sulla spalla. «Ora, termino la storia» disse, con un sorriso.
Si appoggiò sul bordo del Pozzo, aprendo il libro all'ultima pagina che aveva scritto. In pochi istanti, scrisse di un portale che sarebbe comparso a Tremotino, che l'avrebbe portato direttamente ad Arendelle, facendolo uscire dal Pozzo che avevano davanti agli occhi. La penna magica si muoveva sulla pagina del libro con una grazia naturale, e quando terminò, mettendo il punto all'ultima frase, Elsa ed Henry guardarono verso il Pozzo, in attesa che qualcosa accadesse.
Hans richiuse il libro. «Forse dovremo aspettare un po'».
«Speriamo» disse Elsa.
Henry si sporse verso il bordo del Pozzo. «Funzionerà, ne sono certo» disse. Guardò Elsa e Hans. «Deve funzionare. Io ci credo davvero».
Nel momento in cui Henry pronunciò quelle parole, un gran frastuono riempì il bosco e una luce verde fuoriuscì dal Pozzo, facendo cadere Henry all'indietro.
«Henry, stai bene?» Elsa corse da lui. «Ti sei fatto male?»
Henry non rispose. «Lo sapevo che avrebbe funzionato!» si alzò di scatto. «Basta solo crederci. Esattamente come la spada nella roccia».
Elsa e Hans non risposero, ma guardarono il fascio di luce verde del Pozzo, tappandosi le orecchie per il troppo rumore. Nel giro di pochi minuti, la luce arrivò fino al cielo, esattamente come la prima volta che Henry l'aveva visto, e subito dopo cominciò a scomparire di nuovo, ma non prima di aver lanciato fuori Tremotino in persona.
L'uomo cadde a terra, sotto lo sguardo di Henry, Elsa e Hans.
«Nonno!» esclamò Henry, andandogli incontro.
Tremotino alzò lo sguardo. «Henry, che cosa... che cosa succede?»
Henry lo aiutò ad alzarsi.
«Come sono arrivato qui?»
«Ha funzionato!» esclamò Henry, e una volta che Tremotino fu di nuovo in piedi, non riuscì a trattenersi e lo abbracciò. 
Tremotino si irrigidì a quel contatto, e ricambiò appena l'abbraccio.
«Temo che mi serva una spiegazione» continuò Tremotino.
Henry sciolse l'abbraccio. «E' una lunga storia. Ma ho bisogno del tuo aiuto».
Elsa e Hans si fecero avanti.
«Propongo di tornare al mio castello» disse la Regina di Arendelle. «Là avremo tutto il tempo per parlare».
Tremotino, seppur riluttante, acconsentì, e per evitare che si facessero di nuovo la strada a piedi, teletrasportò tutti e quattro direttamente al castello. 
Una volta seduti comodamente in biblioteca, Henry raccontò per filo e per segno che cos'era successo da quando si erano visti l'ultima volta. Di come si erano sbarazzati di Malefica, Ursula e Crudelia alla Montagna Proibita, di come avevano raggiunto Arendelle per poi tornare a Storybrooke, ritrovandosi in una Storybrooke del futuro. Henry raccontò tutti i dettagli, tutte le informazioni che aveva raccolto su quella Storybrooke in cui erano finiti. 
Tremotino ci rifletté qualche momento. «Sortilegio, senza dubbio».
Henry, Elsa e Hans trasalirono.
«Come fai a esserne certo?» domandò Henry.
Tremotino incrociò le dita, appoggiando il mento sulle mani. «Ho cercato di contattare Belle, dopo che ci siamo lasciati. Ed è stato più difficile del previsto, anche per me» fece una pausa. «Quindi, alla luce di ciò che mi hai raccontato, credo proprio che non ci sia stato nessun errore con il portale. Ne è la prova anche il fatto che tu sei tornato qui sano e salvo».
Henry annuì. «A proposito di questo, devi aiutarmi a contattare le mie mamme. Devono sapere che sto bene e soprattutto devo sapere come stanno loro».
Sul volto di Tremotino si materializzò il suo solito ghigno beffardo. «Un modo potrei conoscerlo».
Tutti e tre lo fissarono, in silenzio.
Tremotino aprì il palmo della mano, mostrando una catenina che pendeva dalle dita, con un ciondolo che Henry riconobbe subito. Era il frammento di specchio che Regina aveva incantato per tenerlo d'occhio, e che Tremotino gli aveva poi strappato dal collo.
«Ce l'hai ancora?» esclamò Henry, con un sorriso.
Tremotino sorrise compiaciuto. «La cosa importante sarebbe che Emma e Regina abbiano ancora l'altra metà. Altrimenti non se ne fa niente».
Elsa intervenne. «Come possiamo fare per capirlo?»
«C'è soltanto un modo» rispose Tremotino. «Dobbiamo provare ad usarlo e vedere se riceviamo risposta».

**

Emma si svegliò il mattino seguente con la schiena a pezzi. 
Il letto presente nella stanza adiacente alla cripta non era tanto grande, ma lo era abbastanza perché potessero dormirci tutte e due. 
Tuttavia, quando si trovarono a doversi mettere a letto, entrambe sentirono un leggero imbarazzo, e restarono impalate ai due lati opposti per un bel po', fin quando Emma non decise di coricarsi a terra, senza dire niente.
Regina, a quel punto, aveva insistito perché lei dormisse nel letto, facendole capire implicitamente che avrebbero dormito separate. Emma, naturalmente, aveva rifiutato la sua proposta, costringendola – vista la sua condizione – a dormire nel letto e cercare di riposarsi. 
Non aveva certo calcolato come sarebbe stata la sua schiena dopo una notte passata sul pavimento. Si alzò, stiracchiandosi, e guardò Regina, ancora profondamente addormentata.
Era bellissima, pensò; così elegante e raffinata anche mentre dormiva, ma allo stesso tempo di una tenerezza disarmante. Emma si ritrovò incantata a guardare il suo profilo, i suoi occhi delicatamente chiusi, soffermandosi sulla cicatrice che aveva sul labbro superiore.
In quel momento, un flusso impetuoso di pensieri le attraversò la mente.
Da quando erano tornate a Storybrooke e si erano ritrovate nel futuro, non avevano più avuto occasione di parlare di ciò che avevano lasciato in sospeso. Tra la scoperta della gravidanza di Regina, del presunto sortilegio e il fatto che non avevano notizie di Henry, erano state troppo impegnate.
Emma si convinse che non era un buon momento per parlarne. Regina sicuramente doveva ancora digerire la notizia del bambino, così come lei stessa, d'altronde. Continuava a ripetersi che non era cambiato niente, che i suoi sentimenti per Regina erano immutati. Ed era vero; ma quel bambino da ora in poi sarebbe stato la priorità di Regina. Sapeva quanto Regina desiderava una famiglia unita, e ora aveva finalmente la possibilità di averla. Soltanto che lei non ne avrebbe fatto parte.
Sussultò appena quando vide che Regina cominciò a muoversi nel sonno. Si rigirò un po' nel letto, e la coperta le scivolò di dosso. Emma si avvicinò a raccoglierla, e fece per ricoprirla, quando la mora aprì gli occhi e la guardò.
Emma arrossì, senza rendersene conto. «Buon giorno» bisbigliò, ancora con la coperta tesa a mezz'aria.
Regina sbatté le palpebre un paio di volte prima di risponderle. «Buon giorno».
Sembrava come che non riuscisse a capire dove fosse, alzò un po' la testa e si guardò per un attimo intorno, spaesata.
«Non è stato un sogno allora» borbottò, stendendosi di nuovo sul letto. «Henry...»
Emma non rispose. Quella di Regina non era una domanda, ma un'affermazione che non attendeva una risposta.
Non sapeva cosa dirle. Si sentì improvvisamente svuotata, improvvisamente di nuovo oppressa dal senso di colpa. 
Si inginocchiò accanto al letto, dove Regina era ancora distesa. La donna si mise su un fianco, e i loro occhi si inchiodarono gli uni agli altri.
Per qualche minuto ci fu soltanto silenzio tra loro, silenzi adornati di sospiri e sguardi indecifrabili. Emma aprì la bocca per parlare un paio di volte, e alla fine riuscì a pronunciare soltanto un flebile: «Regina...» poi abbassò lo sguardo.
Voleva scusarsi, voleva confortarla, voleva dirle... quello che provava.
Regina allungò una mano verso di lei, accarezzandole una guancia. Nel momento in cui le sue dita sfiorarono la pelle della bionda, entrambe seppero cosa volevano dirsi, ma seppero anche di non poterselo dire. Quella situazione era già abbastanza complicata senza che ci mettessero in mezzo anche i loro sentimenti. Sentimenti di cui entrambe, ormai, avevano certezza, ma nonostante questo dovevano tenerli dentro.
Poi cominciarono a sentire un ronzio provenire da un angolo della cripta. Regina si alzò di scatto, mentre Emma si voltò alla ricerca della fonte del rumore.
Entrambe si alzarono, guardandosi intorno, e capirono che il ronzio proveniva dalla borsa di Regina, che la sera prima aveva abbandonato senza nemmeno ricordarsene.
«Ma cos'è?» domandò Emma, mentre Regina afferrava la borsa, frugandoci dentro.
«Non può essere...» esclamò Regina, fissando l'interno della borsa. Estrasse un piccolo frammento di specchio, che Emma guardò ad occhi sgranati.
«Quello è...» Emma si avvicinò. 
«Henry!» esclamò Regina, lasciando cadere la borsa a terra. Il viso sorridente del ragazzo fece capolino dallo specchietto, anche se pallido e sfocato. «Henry, stai bene? Come hai fatto a...»
«Sto bene, mamma!» gridò il ragazzo. «Sto bene, sono ad Arendelle, con Elsa e Hans!»
Emma tirò un sospiro di sollievo, e per la prima volta da due giorni sentì i nervi delle spalle rilassarsi. Fu costretta a mettersi a sedere sul letto dall'emozione. 
«C'è Tremotino qui! Aveva lui il ciondolo con il frammento di specchio!»
Regina ed Emma si scambiarono un'occhiata.
«Come hai fatto a contattarlo?» chiese Regina, sorpresa. «Come hai fatto a farlo arrivare fin lì?»
Henry sorrise. «Ci ha pensato Hans. Ha scritto su Tremotino, con l'inchiostro e la penna magica. L'inchiostro e la penna con cui ha scritto le vostre storie!»
Regina ed Emma - che nel frattempo si era rialzata per guardare nello specchio - restarono a bocca aperta.
«Dobbiamo parlare con Tremotino» intervenne la bionda. «Abbiamo bisogno di sapere come risolvere il nostro problema».
«E perché dovrei aiutarvi?» domandò Tremotino, affiancandosi ad Henry. «Sapete che la magia ha sempre un prezzo».
Emma sbuffò. «Certo, come no» esclamò. «Si da il caso che noi abbiamo un'informazione che sicuramente ti convincerà ad aiutarci».
Tremotinò esitò. «E quale sarebbe?»
Regina lanciò uno sguardo d'intesa ad Emma, prima di rispondere.
«Belle».
Al solo nome, Tremotino si irrigidì.
«Belle ha un marito e un figlio» continuò Emma, senza tatto. «Se vuoi che questo cambi, dovrai aiutarci».
Anche attraverso lo specchietto, videro lo sguardo smarrito di Tremotino. Poi, come risvegliato da un sonno, tornò ad essere il cinico che era. 
«Cosa volete sapere?» domandò.
«Vogliamo sapere cosa sta succedendo» disse Emma, e velocemente spiegò a Tremotino ciò che già Henry gli aveva raccontato, ma con qualche dettaglio in più. «Sembrerebbe proprio un sortilegio» rispose Tremotino, dopo averci riflettuto qualche secondo. «I sortilegi che hanno a che fare coi salti temporali sono molto pericolosi. Ma si possono spezzare, come tutti. Serve un incantesimo molto potente che, si da il caso, io conosca».
«Che genere di incantesimo è?» domandò Regina.
«E' un incantesimo che sovvertirà gli equilibri spazio temporali, e porterà tutto alla normalità, se applicato correttamente. Dovrei averlo nel mio negozio, ammesso che sia ancora lì» Tremotino fece una pausa, prima di continuare. «Non ricordo esattamente come funziona quell'incantesimo, ma sicuramente dovrete trovare degli oggetti».
«Come possiamo avere la conferma che si tratta di un sortilegio e che non abbiamo sbagliato qualcosa con il portale?» intervenne Emma. 
Tremotino ghignò. «Sapete già la risposta a questa domanda. C'è solo un modo per capirlo».
Emma e Regina si guardarono.
«Il confine» sussurrarono, all'unisono.
Tremotino annuì. «La pergamena con l'Incantesimo dello Spazio e del Tempo dovrebbe trovarsi in uno dei cassetti del bancone, nel mio negozio. La riconoscerete con facilità». 
«Grazie, Tremotino» disse Regina. 
Emma annuì. «Si, grazie».
«Non ringraziatemi, non ancora almeno» sospirò l'uomo. «Verrete altre volte a chiedere il mio aiuto, ne sono certo. E vedremo che informazioni avrete, allora».
Emma e Regina fecero per rispondere - o insultarlo - a quella velata minaccia, ma Tremotino scomparve dalla loro vista per lasciare spazio di nuovo al visto sorridente di Henry, che calmò le due donne.
«Voi come state?» chiese il ragazzo.
«Stiamo bene, Henry» disse Regina.
Henry sospirò. «Mi mancate. Vorrei essere li con voi per aiutarvi».
«Non preoccuparti per noi, ce la caveremo» lo rassicurò Emma. «Tu resta lì, sarai al sicuro. Noi sistemiamo questo pasticcio e poi torniamo da te. Ok?»
Henry annuì. Poi lanciò un'occhiata oltre lo specchietto, e chiese, in un bisbiglio: «Cosa devo fare con Tremotino?»
Emma e Regina, ancora una volta, si scambiarono uno sguardo.
«Convincilo a rimanere ad Arendelle» suggerì Emma.
«Emma ha ragione» intervenne Regina. «Meglio tenerlo d'occhio, e poi... purtroppo temo abbia ragione. Avremo bisogno ancora del suo aiuto».
Henry annuì di nuovo. «Cosa devo fare per contattarvi con questo specchietto?»
«Basterà che pronunci il nostro nome guardandolo» spiegò Regina. «Siamo qui, ogni volta che vuoi».
Le due donne gli sorrisero.
«Vi voglio bene» sussurrò Henry.
«Anche noi te ne vogliamo, ragazzino» disse Emma.
Henry annuì e sorrise appena, un secondo prima che la comunicazione si interruppe. Le due donne restarono qualche minuto a fissare lo specchietto nelle mani di Regina.
«Sta bene» bisbigliò Emma, scoppiando a piangere. «Sta bene, è al sicuro».
Il senso di colpa che la opprimeva sembrava svanire poco a poco, come un iceberg che si scioglieva dentro al suo petto, invadendola di una sensazione fredda, glaciale, ma che avrebbe presto lasciato spazio ad un calore rassicurante.
Regina le sorrise. «Si, sta bene» e le posò una mano sulla spalla.
Emma la guardò dritta negli occhi e Regina, davanti a quelle lacrime, si sentì sprofondare. Teneva ancora una mano sulla sua spalla, quando presto si ritrovò ad abbracciarla, a stringerla forte contro il suo petto. Ed Emma si lasciò andare, come solo con Regina riusciva a fare. Singhiozzò contro la sua spalla, senza preoccuparsi di apparire debole, senza preoccuparsi di non essere capita. Non aveva bisogno di fingere, con Regina; sapeva che lei l'avrebbe compresa, sapeva che non l'avrebbe giudicata. Perché anche lei era madre, la madre di suo figlio, e anche lei sentiva lo stesso senso di leggerezza nel sapere che Henry era al sicuro. 

**
Se gli equilibri spazio temporali vuoi sovvertire
Due oggetti magici e potenti devi reperire.
Un oggetto del presente, che a quel momento ti riporterà
E un oggetto del futuro, che tutto inghiottirà.
Sotto alla luce della luna posarli dovrai
Ma attenzione! Un giorno prescelto, avrai.
Con entrambi gli oggetti tornerai all'inizio
Ma solo nella notte d'estate, del solstizio. 


«E' uno scherzo, vero?» sbraitò Emma, leggendo la pergamena che Regina teneva in mano. 
Dopo aver parlato con Henry e Tremotino – e dopo che Emma si fu calmata – le due donne erano andate al negozio di Gold per recuperare la pergamena. L'avevano riconosciuta subito, come aveva detto Tremotino; era vecchia e ingiallita nel tempo, ma erano comunque leggibili le grandi lettere argentate che recitavano "Incantesimo dello Spazio e del Tempo" e poche enigmatiche frasi.
«Dimmi che tu hai capito qualcosa di quello che c'è scritto» continuò Emma, portandosi le mani alla testa.
Erano tornate nella cripta, dopo aver preso un caffé per Emma e un thé per Regina. 
«Ho capito che questo incantesimo è più difficile del previsto e dobbiamo farlo...» Regina indicò le ultime due frasi, sospirando. «...il giorno del solstizio d'estate. Ma è tra meno di un mese!»
Emma fece un rapido conto mentalmente. «Tra ventisei giorni per l'esattezza. Dobbiamo recuperare questi oggetti al più presto».
«Hai ragione» ammise Regina. Lesse un'altra volta la pergamena. «Non ho idea di cosa siano. Un oggetto del presente e un oggetto del futuro...»
Emma cominciò a camminare avanti e indietro nella cripta. «Abbiamo bisogno d'aiuto».
Regina si voltò a guardarla. «E chi ci può aiutare?»
Emma inspirò a lungo, prima di rispondere. «Tremotino potrebbe avere questi oggetti. Ma senza doverlo chiedere a lui, ci serve una persona che ha passato molto tempo lì».
Si guardarono per un lungo momento.
«Come possiamo convincerla ad aiutarci?» chiese Regina. «Siamo due sconosciute per lei, senza contare che non possiamo farci vedere troppo in giro. Neal ci sta alle costole».
Emma si portò un dito sulle labbra. «Forse Belle non ci riconosce finché è a Storybrooke. Ma cosa accadrebbe se attraversasse il confine?»
Regina annuì. «Tremotino ha detto che così possiamo anche avere la conferma che si tratta di un sortilegio. Possiamo unire le due cose».
«Dobbiamo escogitare un piano per attirarla al confine» disse Emma. «Questa è la nostra nuova operazione».
Regina sorrise. «Propongo di darle un nome. Henry l'avrebbe fatto».
Emma lesse tra le parole di Regina una certa nostalgia, verso Henry, che non era lì con loro. Capiva perfettamente cosa provava, perché anche a lei mancava.
«Operazione...» continuò Regina, pensierosa. «Io non sono brava, coi nomi».
Emma arricciò un angolo della bocca. «Operazione Scoiattolo».
Regina aggrottò la fronte. «Perché scoiattolo?»
Emma alzò le spalle. «Henry mi ricorda un po' uno scoiattolo, a volte...»
Emma scoppiò a ridere ancora prima di finire la frase, trascinandosi dietro Regina. Risero per quelle che sembrarono ore, e si gustarono fino in fondo quel piccolo momento di gioia, perché sembrava troppo tempo che non ne assaporavano uno. 



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** Eccomi qua, bella gente, con il sesto capitolo! Spero che vi sia piaciuto, le cose stanno cominciando a prendere forma. Vi dico anche che salutiamo momentaneamente Henry, Elsa e compagnia bella, non scriverò più in parallelo ma ora mi concentrerò su Emma e Regina e sull'Operazione Scoiattolo. 
Operazione che non ha un nome casuale, e certe personcine carine capiranno a cosa mi riferisco <3 Ciò detto, questo capitolo, questa Operazione scoiattolo, lo dedico in particolare alla mia Deary, alla mia Alli-Mills, e alla mia Pattysmam -che mi porta sulla via della perdizione-. Voi sapete perché <3

Un'ultima cosa, passate in pagina a partecipare al nostro secondo Giveaway! :) Ecco il link:  
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Capitolo 7
*** Sedici giorni prima del solstizio d'estate. ***


 

Capitolo 7

Sedici giorni prima del solstizio d'estate

 

 

Dopo aver parlato a lungo, Emma e Regina erano arrivate alla conclusione che era meglio non farsi vedere da altre persone, nonostante Emma volesse andare a trovare i suoi genitori. Ma si rese conto che non era prudente; Neal, probabilmente, viveva con loro, quindi avrebbero potuto incontrarlo. E dopo essersi scontrata con Belle, che non l'aveva minimamente riconosciuta, la Salvatrice non era sicura che avrebbe voluto provare quella sensazione anche con Mary Margaret e David.

Così si concentrarono su Belle e sull'Operazione Scoiattolo; per qualche giorno osservarono i suoi spostamenti, e capirono che la mattina portava il figlio a scuola alle otto in punto, per poi passare da Granny a prendersi un caffè e dirigersi in biblioteca dove, evidentemente, lavorava. La seguirono una sera fino a casa, e scoprirono che abitava in una delle ville appena fuori dal centro. Ma la cosa più importante che scoprirono, era che il mercoledì sera Belle tornava in biblioteca per un turno extra, e dopo dieci giorni dal loro arrivo si sentirono abbastanza sicure dal decidere di agire.

Furono dieci giorni di caffé presi in fretta e furia da Granny, cercando di sfuggire al suo sguardo indagatore.

Dieci giorni di pranzi e cene consumati sul pavimento della cripta.

Dieci giorni in cui avevano approfittato della lavanderia di Granny per fare la doccia, lavarsi i vestiti, e cercare di mantenere un aspetto almeno decente.

Dieci giorni di sguardi sospettosi da parte della gente che non le conosceva, e che loro non conoscevano. Perché, a parte Belle e Granny, si erano tenute alla larga dai "vecchi" abitanti di Storybrooke.

Tutto questo, cercando di non dare troppo nell'occhio, evitando lo Sceriffo e scomparendo ogni volta che lo sentivano arrivare.

Per un paio di volte si erano recate a casa di Mary Margaret e David. Emma voleva avere la certezza che ci fossero, che stessero bene, perché non li avevano mai incontrati in giro, ed era strano. Ma Emma non aveva il coraggio di avvicinarsi troppo. Aveva paura di trovarseli di fronte, di non essere riconosciuta e di rimanere vittima dei loro sguardi indifferenti. Poi, una sera, li vide uscire di casa; erano visibilmente invecchiati ma sembravano sempre innamorati come un tempo, e soprattutto, stavano bene.

Emma e Regina si recarono in biblioteca, quel mercoledì sera, e vi trovarono Belle, intenta a fare l'inventario. La ragazza, quando sentì la porta aprisi, alzò appena lo sguardo.

«Siamo chiusi, mi dispiace» disse, scrutando Emma e Regina con sguardo confuso. «Ciao» disse, rivolta a Emma. Probabilmente l'aveva riconosciuta dopo il loro incontro-scontro.

«Ciao» balbettò Emma, facendo un passo avanti. «Scusa, non volevamo disturbarti».

«Nessun disturbo» Belle posò la penna e gli occhiali che usava per leggere sul bancone, prima di fare il giro e ritrovarsi a pochi passi dalle sue ospiti. «Credevo che fossi soltanto di passaggio».

«Era così» replicò Emma. «Ma abbiamo un problema da risolvere, e speravo che magari potevi darci una mano».

«Se posso aiutarvi, volentieri» rispose, in tono gentile.

Emma era titubante. Regina, dietro di lei, socchiuse gli occhi, sospirando. Era rimasta piuttosto colpita di vedere Belle così invecchiata, nonostante se l'aspettasse. Diede un colpetto a Emma per farla procedere.

«Volevo... volevamo...» Emma balbettava. Non avevano preparato un discorso da fare a Belle. Come potevano spiegarle cosa stava succedendo, senza essere prese per pazze? E come potevano convincerla ad andare con loro al confine, senza essere prese per due criminali? «Abbiamo bisogno d'aiuto» Emma parlò tutto d'un fiato. «Dovresti venire con noi in un posto».

Belle parve piuttosto confusa. Incrociò le braccia sotto al seno, scettica. «Scusate, ma io non vi conosco. Se posso aiutarvi lo faccio volentieri, ma non ho intenzione di andare da nessuna parte».

Emma fece una smorfia. «Lo so che può sembrare assurdo Belle, ma abbiamo davvero bisogno che ti fidi di noi».

Belle indietreggiò. «Come sai il mio nome?»

Emma si morse un labbro e Regina sospirò.

«Ascolta, so che può sembrare strano... non vogliamo farti del male» Emma cercava di sistemare la situazione, ma riusciva soltanto a peggiorarla.

«Uscite subito da qui!» gridò Belle, dirigendosi verso il bancone per raggiungere il telefono.

Regina si materializzò davanti a lei, bloccandole la strada.

«Scusami, Belle» disse, prima di addormentarla con un gesto della mano.

Emma la raggiunse appena in tempo, per afferrarla prima che sbattesse a terra.

«Che tatto che hai, Regina» borbottò.

«Bè, non mi hai lasciato altra scelta. Con il tuo tatto non stavi risolvendo nulla, Swan».

Emma guardò Belle. «E adesso?» chiese, alzando lo sguardo su Regina.

«Adesso andiamo al confine» e toccò la spalla di Emma per far riapparire tutte e tre davanti all'insegna di Storybrooke.

«Abbiamo rapito Belle, te ne rendi conto?» strillò Emma, che ancora la reggeva tra le braccia. «Come siamo arrivate a questo punto?»

Regina sospirò. «Anche a me dispiace, Emma. Ma non possiamo fare altrimenti. Non sarebbe mai venuta qui con noi, e comunque non le stiamo facendo del male. Quando attraverserà il confine» e indicò la linea dietro di sé «probabilmente ricorderà tutto e non ce l'avrà con noi».

«Probabilmente?» ripeté Emma, ansiosa. «E se le capitasse qualcosa di brutto? Se perdesse completamente la memoria o, che ne so...»

Non lo voleva dire. Ma entrambe sapevano che attraversare il confine non era una cosa sempre prudente.

Trascinarono Belle fino alla linea che delimitava il confine di Storybrooke, sotto la luce fioca dei lampioni che illuminavano appena ciò che le circondava. La foresta intorno alla città non era mai sembrata così sinistra.

Emma si bloccò. «Non possiamo farlo».

«Emma...» iniziò Regina, ma la bionda la interruppe.

«E se morisse?» domandò, a voce troppo alta, tant'è che un'eco si alzò intorno a loro.

Regina chiuse gli occhi. «Hai ragione, non possiamo farlo».

Restarono per un lungo momento davanti al confine, Emma aveva un braccio di Belle sulle spalle, mentre Regina la sosteneva dall'altra parte, tenendola per l'altro braccio.

Fu Regina a spezzare il silenzio. «Ho un'idea!»

Emma sobbalzò. «Quale?»

Regina lasciò Belle, facendo ricadere tutto il peso su Emma. «Fidati» disse, con una strana determinazione negli occhi.

Emma si morse un labbro. Si fidava di Regina, certo. Ma conosceva fin troppo bene quello sguardo.

«Regina, non vorrai...»

Non riuscì a terminare la frase, che Regina aveva già affondato una mano nel petto di Belle. Un istante dopo, estrasse il suo cuore.

«Se il cuore rimane di qua, Belle non può morire» disse Regina, soddisfatta.

Emma fece una smorfia. «A me queste cose mettono ansia. Ma mi fido di te. Spero tu sappia quello che fai».

Regina la guardò torva. «Certo che lo so. E ora vai».

Emma non se lo fece ripetere due volte. Raggiunse il confine, facendo attraversare Belle e adagiandola a terra. Non appena la ragazza varcò la soglia, il suo corpo prese a tremare e si illuminò completamente, emanando luce da ogni singolo poro.

Regina restò a guardare la scena con il cuore che batteva frenetico. Entrambi i cuori, che battevano frenetici.

«Cosa succede?» domandò Emma, agitata.

Regina esitò. «Non lo so».

La luce che Belle emanava era ancora forte, quando Regina notò un movimento dietro di sé. Non captò dei rumori, intravide soltanto un'ombra, che così com'era arrivata, era scomparsa. Si voltò, ma dietro di sé non riuscì a distinguere nient'altro che buio.

«Regina!»

La voce di Emma la fece voltare. Belle aveva smesso di emanare luce ma soprattutto, era ritornata la giovane Belle di un tempo, coi capelli castani, le guance arrossate, il viso pulito e non solcato da rughe. La ragazza si svegliò non appena la luce cessò.

«Belle, stai bene?» le domandò Emma, inginocchiandosi accanto a lei, ma restando dall'altra parte del confine.

Belle sbatté le palpebre un paio di volte, con sguardo confuso. Guardò Emma per un lungo momento prima di metterla a fuoco, e fu allora che spalancò la bocca in un'espressione di sorpresa.

«Emma!» esclamò, sollevandosi, appoggiando il peso sui gomiti.

«Mi riconosci?» domandò Emma, aiutandola a mettersi a sedere. «Sai chi sono?»

Belle la guardò confusa. «Perché non dovrei? Cosa...»

Guardò Regina, in piedi dietro Emma.

«Siete tornate, allora?» domandò Belle. «Cosa ci facciamo qui?»

Emma e Regina si guardarono. La mora fece un passo avanti, attenta però a non varcare il confine con il cuore di Belle stretto nella mano.

«Belle, cos'è l'ultima cosa che ricordi?» le domandò Regina.

Belle ci pensò. «Ricordo che siete partite, stamattina ho incontrato Mary Margaret da Granny e mi ha detto che non aveva vostre notizie da giorni. Era molto preoccupata» poi si guardò intorno. «Ma cosa succede? Mi volete spiegare?»

Belle si mise in piedi e la sua attenzione cadde sulla mano di Regina. Si lasciò scappare un urlo.

«Tranquilla, è tutto a posto» la rassicurò Regina. «Non abbiamo molto tempo. Abbiamo bisogno del tuo aiuto per una cosa».

Regina estrasse la pergamena che avevano recuperato nel negozio di Gold, mentre Emma spiegava a Belle tutto ciò che era successo da quando erano ritornate a Storybrooke.

«Vuoi dire» disse Belle, scossa. «Che se attraverso il confine invecchierò di vent'anni in un colpo solo?»

Emma annuì. Poi Regina le passò la pergamena.

«Dobbiamo applicare questo incantesimo» disse, tendendo la pergamena a Belle. «Ma non sappiamo da dove cominciare a trovare questi oggetti».

La ragazza prese la pergamena, titubante. La lesse per parecchi minuti, soffermandosi più volte sulle vari frasi.

Emma e Regina si scambiarono sguardi carichi d'ansia.

«E' un incantesimo molto complicato, e questi oggetti...» Belle sospirò. «Credo di sapere dove potete trovarne uno».

Emma si raddrizzò. «Davvero?»

Belle annuì. «L'oggetto descritto nell'incantesimo non è un oggetto che dovete prendere dal futuro. E' più una cosa simbolica, e questo oggetto può controllare il futuro. Penso che possa essere l'oggetto che inghiottirà tutto. E' un oggetto molto pericoloso, infatti Tremotino l'ha nascosto nel bosco».

Emma e Regina si scambiarono un'altra occhiata.

«Sai che oggetto può essere?» chiese Emma.

«No» rispose Belle. «Non so di che oggetto si tratta, Tremotino non parlava con me di queste cose. E' già molto che sia riuscita a farmi dire dove l'ha nascosto».

«Come ci arriviamo?» domandò Regina. «Dov'è nascosto di preciso?»

«Non lo so, purtroppo» rispose Belle, porgendo a Emma la pergamena. «Però esiste una mappa, una mappa che conduce al nascondiglio. Tremotino me l'ha data e io l'ho nascosta in biblioteca, nel libro de L'Isola del Tesoro, sotto la rilegatura».

«Appropriato» bofonchiò Regina, sarcastica, ma né Emma, né Belle la sentirono.

«Ok, quindi dobbiamo recuperare quella mappa» disse Emma. «Scusaci, Belle».

Belle la guardò confusa. «Per cosa?»

«Bè, visto che quando tornerai a Storybrooke perderai la memoria, penso che saremo costrette a rubarti quella mappa. Perciò, mi scuso in anticipo».

«Ma non posso tornare!» replicò Belle. «Perdendo la memoria non vi sarei di alcun aiuto».

«Non puoi neanche sparire, Belle» s'intromise Regina. «Hai una famiglia che ti aspetta, qui».

Belle sbatté le palpebre. «Ho una famiglia?»

«Sì» rispose Emma. «Devi tornare e lasciare che tutto si svolga normalmente. Non possiamo dare nell'occhio, lo capisci?»

Belle annuì.

Certo che capiva, pensò Emma. Era la persona più intelligente che conosceva.

Belle fece un paio di passi verso la linea del confine, ma prima di varcarla, esitò.

«E' con Tremotino?»

Emma la guardò, perplessa.

«E' con Tremotino che ho costruito una famiglia?»

Emma si morse un labbro. Regina si irrigidì.

«Non credo, Belle» rispose Emma, sincera. «Tremotino in questo momento si trova ad Arendelle, con Henry ed Elsa».

«Sta bene?» chiese Belle.

Il cuore che Regina teneva in mano accelerò visibilmente.

«Sta bene, sì» rispose Regina.

«Ci sta aiutando a capire come spezzare questo sortilegio» aggiunse Emma. Poi, vedendo Belle agitata, proseguì. «Questo futuro non è reale. Quando avremo spezzato il sortilegio, tornerà tutto alla normalità e forse... forse potremo trovare una soluzione anche per Tremotino. Devi solo fidarti di noi».

Belle, ancora una volta, annuì. Fece un passo verso il confine, e lo superò con un piede. Guardò Emma, che le rivolse un'occhiata di incoraggiamento e le tese la mano. Belle l'afferrò, ritornando a Storybrooke, e la luce di nuovo la invase, facendola ritornare la signora di mezza età con cui Emma si era scontrata appena erano arrivate. Con la sua giovinezza, se ne andò anche la memoria, e non fu facile per Regina rimetterle il cuore nel petto. Si trovò costretta ad addormentarla di nuovo, per poi riportarla in biblioteca. La misero su una sedia, e decisero di non aspettare che si svegliasse; probabilmente Belle avrebbe pensato di essere vittima di un colpo di sonno.

Approfittarono di quel momento per cercare il libro de L'Isola del Tesoro. Emma fece una rapida ricerca al computer, trovando il numero dello scaffale su cui si trovava. Regina lo prese, staccò la rilegatura e vi trovò, come aveva detto Belle, una piccola mappa disegnata su una pergamena logora.

Regina sorrise in direzione di Emma. Poi Belle cominciò ad agitarsi sulla sedia, e decisero che era giunto il momento di tornare alla cripta. 


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** Ciao amici del team SwanQueen! Sarò breve: ringrazio tutti voi che mi seguite, recensite, anche in pagina, e mi scuso se non rispondo sempre alle vostre recensioni. Ma vi leggo davvero troppo volentieri e spero che la storia vi stia continuando a piacere. Un abbraccio a tutti <3

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Capitolo 8
*** Quindici giorni prima del solstizio d'estate. ***


 Capitolo 8

Quindici giorni prima del solstizio d'estate


 
 

La sera successiva, Emma e Regina erano già dirette nel bosco. Non erano uscite dalla cripta per tutto il giorno, timorose che se avessero incontrato Belle avrebbero potuto far riemergere dalla sua mente gli avvenimenti della sera prima.

Emma teneva la mappa in mano, illuminandola con una torcia per cercare di decifrarla.

«Che lingua è? Spagnolo?» domandò Emma, avvicinando la mappa a Regina in modo che anche lei la vedesse.

«Queste non sono lettere» disse Regina. «Credo che siano... passi».

Emma annuì. «Quindi, dobbiamo...» posò un dito su ogni passo, per contarli. Ci volle più tempo del previsto. «Trecentonovantaquattro passi per arrivare a questo albero» e lo indicò. «Poi da qui dobbiamo...»

Emma inclinò appena la mappa.

«Andiamo, intanto» propose Regina, avviandosi. «Meglio decifrare la mappa un po' alla volta».

Emma annuì di nuovo. «Dobbiamo partire da laggiù» disse, indicando il vecchio pozzo di Storybrooke.

Camminarono per un po' in silenzio, contando entrambe i passi che stavano facendo nella direzione che la mappa suggeriva.

Emma faceva strada, continuando a scrutare la mappa con curiosità, inclinandola di tanto in tanto, per capire se stavano andando dalla parte giusta, e facendo luce con la torcia davanti a loro.

«Se ci fosse Uncino saprebbe decifrare questa mappa in un secondo» disse Emma, senza pensare. Poi si morse il labbro inferiore. Regina era poco dietro di lei, e la bionda sentì appena i passi della donna rallentare tra le foglie, per poi riprendersi subito.

Emma non si voltò e non disse nulla, continuando a camminare normalmente. Era felice che Regina non potesse vedere la sua espressione; aveva parlato senza riflettere, e anche se non aveva detto niente di male, non sapeva ancora come gestire quella situazione. In fondo lei era ancora impegnata con Killian, e non era sicura che a Regina desse fastidio sentirlo nominare. Le cose tra loro non erano state chiarite dopo quel bacio, non ne avevano avuto il tempo. Ed Emma sapeva che, sia lei che Regina, erano due completi disastri quando si trattava di relazioni amorose.

«Ti manca?»

La voce di Regina arrivò forte e chiara a interrompere il flusso dei suoi pensieri.

«Chi?»

«Uncino».

Emma si immobilizzò, presa alla sprovvista.

Regina sospirò, chiedendosi dove aveva trovato il coraggio di farle quella domanda. Non era sicura di voler sapere la risposta.

Emma lasciò ricadere le braccia lungo i fianchi, abbassando la luce della torcia. Regina subito le fu accanto.

«Perché ti sei fermata?» domandò, con naturalezza, come se non le avesse appena fatto una domanda così intima e importante.

Emma la guardò, e nonostante il buio Regina riuscì a intravedere i suoi occhi chiari.

«Non lo so» rispose Emma, guardando a terra.

Regina si chiese se quel "non lo so" fosse la risposta alla prima o all'ultima domanda che le aveva rivolto.

«La verità è che...» continuò Emma, ora guardando la mappa. Non la guardava davvero, ma non aveva il coraggio di alzare lo sguardo su Regina. «Vorrei che mi mancasse. Ma non ho pensato molto a lui, ultimamente».

Regina, che non le aveva tolto gli occhi di dosso per tutto il tempo, distolse a sua volta lo sguardo.

«A quanti passi eravamo?» chiese Regina, spezzando il silenzio.

Emma non rispose subito. Trovava impressionante come quella donna riuscisse a passare da una domanda così delicata, a una domanda così neutra, nel giro di pochi secondi e senza lasciar trapelare la minima emozione.

«Centoventicinque» rispose, meccanicamente.

«Centoventicinque, sì» confermò la mora, e riprese a camminare.

Emma, dopo qualche istante, la seguì.

Continuarono a camminare in silenzio; Regina sembrava non aver fatto caso alla risposta di Emma, e camminava decisa cercando di non perdere il conto dei passi. Emma, dal canto suo, era rimasta piuttosto scossa dalla domanda di Regina, ma soprattutto dalla sua sincera risposta. Non si era resa conto di quelle cose finché non le aveva dette ad alta voce.

Uncino non le mancava. Avrebbe voluto che fosse così, avrebbe voluto pensare a lui, preoccuparsi per lui. E un po' lo era, preoccupata; ma non abbastanza da fare in modo che l'uomo fosse nei suoi pensieri.

Era talmente assorta che non si accorse di aver perso il conto dei passi, né che Regina si era fermata, e andò a sbatterle contro.

«Scusami» si affrettò a dire.

Ma Regina non la guardò, continuando a fissare qualcosa davanti a sé.

«A quanti passi siamo?»

«Shhh!»

Regina la zittì, e per la prima volta Emma guardò nella sua stessa direzione, e finalmente capì.

C'era qualcuno davanti a loro, nascosto in mezzo agli alberi. Era una sagoma scura che si stagliava dietro ad una grande quercia, la stessa quercia che era la loro destinazione. Emma spense la torcia, e la sagoma si perse nel buio.

Regina strinse la mano in un pugno, ed Emma capì che era pronta a combattere, se ce ne fosse stato bisogno. La seguì, lentamente, cercando di non fare rumore.

Raggiunsero la quercia, facendo il giro dell'imponente tronco, poi Emma riaccese la torcia e la puntò contro l'intruso.

Entrambe sgranarono gli occhi.

«Ma non è possibile!» esclamò Regina, guardandosi intorno.

Emma fece lo stesso, girando intorno all'albero una seconda volta per controllare da entrambe le parti.

«L'avevi vista anche tu, vero? Quella sagoma?»

«Sì, l'ho vista» rispose Emma, smarrita. «E' riuscito a scappare, chiunque fosse».

Regina scossò la testa. «No, è impossibile. Non abbiamo sentito passi, rumori, niente! Si è volatilizzato».

«Regina, calmati. Non è successo niente».

Emma notò che Regina era piuttosto agitata, così le si avvicinò. Alla luce della torcia la vide pallida, ansiosa, impanicata.

«Ti senti bene?»

Istintivamente portò una mano sul grembo di Regina, sfiorandola appena.

Regina trattenne il fiato.

Emma stessa trattenne il fiato, e subito ritrasse la mano.

«Scusami, Regina...»

«Sto bene» rispose, secca. «Ma qui abbiamo a che fare con qualcuno che pratica la magia, ne sono sicura».

Emma aggrottò la fronte. «Questo lo deduci dal fatto che una persona è scappata nel bosco?»

Regina sospirò. «Non sono sicura sia una persona» si fermò. Emma la guardò confusa. «Anche ieri sera, quando eravamo al confine con Belle, mi era sembrato di vedere qualcuno dietro di noi. Ma quando mi sono voltata non c'era nessuno, eppure mi era sembrato di vedere... un'ombra».

Emma si irrigidì a quelle parole.

«Un'ombra?»

Regina annuì.

Si guardarono per un lungo momento, senza parlare, ma sapevano che entrambe stavano pensando la stessa cosa. Alzarono appena lo sguardo, vedendo la luna sopra di loro che illuminava tutto il bosco.

«Pensi che...» iniziò Emma.

«Non lo so» rispose Regina. «Propongo di muoverci».

Emma alzò la mappa, puntandoci la torcia contro.

«Questa è la quercia indicata, perciò...» Emma esitò, mentre Regina si sporse a guardare la mappa. «...dobbiamo procedere verso est, proseguendo per duecentodieci passi verso il Troll Bridge».

Regina inclinò la testa per guardare meglio. «Sì, poi superato il Troll Bridge, sembra ci sia una radura...»

«FERME DOVE SIETE!»

Una voce rimbombò nel bosco, facendo sussultare Regina ed Emma, alla quale scivolò la torcia di mano.

Sentirono dei passi, e videro una luce, probabilmente proveniente da un'altra torcia, avvicinarsi.

«Cosa state facendo nel bosco, a quest'ora di notte?»

Era la voce di Neal, ma non riuscirono a vederlo. Vedevano soltanto la luce che man mano si avvicinava, e sentivano i passi tra le foglie correre verso di loro.

Regina afferrò la mano di Emma, pronta a farle sparire.

«Aspetta!» la fermò Emma. «Seguimi».

La trascinò tra gli alberi, senza lasciare la sua mano, allontanandosi nella direzione in cui dovevano procedere.

«Emma, dobbiamo sparire da qui!» protestò Regina.

«Dobbiamo recuperare quell'oggetto!» insistette Emma. Correva alla cieca, tra gli alberi, perché non aveva raccolto la torcia. Intorno a loro c'era soltanto silenzio e buio, mentre la voce di Neal risuonava in lontananza.

«Ci torniamo domani, Emma!» Regina oppose resistenza. «Possiamo tornare domani».

Emma si bloccò.

«Mi sembra che non riusciamo a fare progressi, che siamo sempre ferme nello stesso punto».

Regina sospirò. «Lo so, Emma. Ma farci arrestare non sarebbe d'aiuto».

Emma sbatté un piede a terra, dalla rabbia. «Hai ragione. E odio quando hai ragione».

Regina alzò gli occhi al cielo, e rise. «Dovresti saperlo ormai, Swan. Io ho sempre ragione» e portò entrambe di nuovo alla cripta.

«Pensi che Neal crederà di essere matto con tutte queste cose strane che stiamo facendo?» domandò Emma, dopo pochi istanti. Ormai era diventato naturale per lei teletrasportarsi con Regina, non le dava nemmeno più fastidio.

Regina la guardò, inarcando un sopracciglio. «Sarà solo una scusa in più per arrestarci. Dobbiamo capire al più presto chi c'è dietro a tutto questo. Dobbiamo capire con chi abbiamo a che fare. Quell'ombra che ho visto, mi fa pensare...»

Regina si fermò. Emma non parlò.

«Ma non può essere» continuò Regina, rispondendo alle sue stesse preoccupazioni. «Pan è morto, Tremotino l'ha pugnalato».

«Anche Tremotino era morto» obiettò Emma. «Anche Malefica, sotto forma di drago, era morta. Non mi stupirei se Pan avesse trovato un modo di tornare».

Regina non rispose, ma sapeva che Emma aveva ragione, e che era sicuramente più pericoloso Pan, anche da morto, piuttosto che Neal.

Lo stomaco di Regina interruppe il silenzio, protestando violentemente.

«Al diavolo!» sbraitò, alzandosi. «Ho sempre questa dannata fame!»

«E' normale» rispose Emma. «Anche io avevo sempre fame quando ero incinta di Henry. E avevo sempre sonno, ovunque mi appoggiavo dormivo».

Regina sorrise.

«Meno male che a te non da l'effetto soporifero. A me andava anche bene, tanto ero in prigione. Non è che avessi molte cose da fare».

Regina abbassò lo sguardo.

Era strano; lei ed Emma ormai si conoscevano da tempo, ma si rese conto soltanto in quel momento di non sapere niente della gravidanza di Henry. Avrebbe voluto chiederle di più, ma non ne ebbe il coraggio. Purtroppo la gravidanza corrispondeva al periodo che Emma aveva passato in prigione, e Regina sapeva che era un argomento delicato per lei, nonostante ne parlasse con così tanta tranquillità.

Il suo stomanco gorgogliò ancora. «Vado a vedere se Granny è ancora aperto».

«Vengo con te» disse Emma, facendo un passo in avanti. «Non ti lascio andare da sola, con Neal che ci sta cercando. Non si sa mai».

Stranamente, Regina non replicò e insieme ricomparirono nel vicolo accanto al Granny.

Era notte fonda, e la cittadina dormiva, avvolta nel buio e nel silenzio più totale. L'insegna del Granny era ancora accesa, e illuminava la piazza insieme ai fiochi lampioni che circondavano le strade.

Emma e Regina uscirono dal vicolo, avviandosi verso l'entrata, ma quando fecero per entrare si scontrarono con una persona che stava uscendo.

«Regina?»

Quando gli occhi di Regina e di Emma si posarono sull'uomo che avevano urtato, entrambe ebbero un sussulto. E a Regina cominciarono a tremare le gambe, letteralmente.

«Regina, cosa ci fai qui?» domandò Robin, con vivo stupore nella voce.

Regina non rispose subito. Non aveva più pensato a Robin da quando l'aveva visto uscire da casa sua.

«Robin...» sussurrò Regina, con voce flebile.

Emma fece saettare lo sguardo da Robin a Regina, senza tregua, senza riuscire a chiudere la bocca che era spalancata dallo stupore.

«Sei tornata, finalmente!» continuò Robin. «Ero in pena per te!»

Robin si sporse verso Regina, abbracciandola. La donna, sorpresa e sopraffatta da quel gesto spontaneo, si strinse a lui, sentendo il cuore battere più veloce nel petto.

Emma guardò la scena, con un groppo alla gola. Sentì una strana rabbia ribollirle nelle vene, un sentimento indefinito che si faceva strada in lei, avvolgendole le viscere. Si morse le labbra, e fece un passo indietro.

«Dove sei stata?» domandò Robin, e solo allora posò lo sguardo su Emma. «Ciao, Emma, che piacere rivederti» e le porse la mano.

Emma, esitante, gliela strinse. «E' un vero piacere, sì».

Robin non ci fece caso, ma Regina conosceva troppo bene Emma, e sapeva che quelle parole così acide e fredde non erano da lei. Colse perfettamente il suo disagio che, in parte, era condiviso da lei stessa.

«Allora, dove siete state?» domandò di nuovo Robin, guardando prima una poi l'altra.

Regina fece per rispondere, ma Emma si mise in mezzo. «Tu ci riconosci? Sai chi siamo?»

Regina socchiuse gli occhi, maledicendosi. Era talmente sorpresa di aver rivisto Robin che non aveva fatto caso a questo particolare. Robin era l'unico, fino ad ora, che le aveva riconosciute.

«Ma certo» rispose Robin, in tono confuso. «Perché non dovrei?»

Emma e Regina si guardarono.

«La situazione è un po' complicata, qui» disse Regina, in un sussurro.

«Perché non entriamo e ne parliamo con calma?» domandò Robin, indicando il locale dietro di sé.

Regina guardò Emma, chiedendole silenziosamente l'approvazione.

Emma si limitò a mordersi le labbra, poi prese Regina per un polso. «Possiamo parlare un secondo... in privato?» le sussurrò a un orecchio.

Regina lanciò a Robin uno sguardo di scuse, poi seguì Emma. L'uomo restò sulla porta del Granny, in attesa.

«Questa storia non mi piace» iniziò Emma, isterica. «Perché ci riconosce? Come fa a non essere sotto l'effetto del sortilegio?»

Regina alzò le spalle. «Può darsi che sia arrivato qui dopo che il sortilegio è stato lanciato».

«E perché non ha fatto niente per rimettere le cose a posto?»

«Forse non sapeva come fare» Regina alzò il tono di voce, segno che si stava spazientendo.

Emma sbuffò, rendendosi conto che le risposte di Regina erano sensate. «Non so se possiamo fidarci di lui» sentenziò, alla fine.

«E perché mai?» chiese Regina, incrociando le braccia sotto al seno. «Io lo conosco, mi fido di lui».

«Ma non sappiamo niente di quello che ha fatto mentre eravamo via, nè di quello che fa qui, o... non lo so. Come puoi fidarti?»

Regina esitò. «Forse è proprio per questo che dobbiamo sederci con lui e parlarne».

Emma scossò freneticamente la testa.

«Emma, ragiona. Avere un alleato potrebbe rivelarsi utile, potrebbe aiutarci a rimettere le cose a posto. E magari si offrirà di farci tornare a casa mia visto che...»

Regina si morse un labbro. Emma la guardò dritta negli occhi.

«Cosa?»

«Emma...» Regina abbassò lo sguardo colpevole.

«Sapevi che era qui?» Emma, senza rendersene conto, gridò.

Regina si voltò a guardare Robin, che sembrava non aver sentito nulla.

«L'avevi già incontrato?» continuò Emma, a voce sempre più alta. «Sapevi che era qui e non me l'hai detto?»

«Emma, adesso stai esagerando».

Emma strinse i pugni, talmente forte che le sue nocche sbiancarono. Poi si voltò, incamminandosi dalla parte opposta al locale.

«Emma!»

«Me ne torno alla cripta!»

La bionda non si voltò, anzi accellerò il passo, fino a ritrovarsi a correre, scomparendo nel buio.

Fu soltanto quando Emma sparì dalla vista di Regina, che quest'ultima si decise a tornare da Granny, dove Robin la stava ancora aspettando sulla porta. 


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** Sorpresa, amici! Ebbene sì, ho aggiornato con un giorno di anticipo per il semplice motivo che sto partendo per il week end, e non volevo lasciarvi senza la vostra dose settimanale di SQ! 
Sul capitolo vorrei dire due cose: sta arrivando, sì. Sta arrivando l'angst, come vi avevo promesso. Come vedete ho introdotto lo scimpanzé Robin, che sarà presente per buona parte della storia. Le nostre due bimbe cominciano ad avere le prime scaramucce romantice (?) e i primi confronti su tutta la questione. Era anche ora!
Inoltre vorrei dire che, come penso abbiate notato, c'è un piccolo riferimento ad un episodio della terza stagione, di una scena sempre tra Emma e Regina, sapete dirmi quale frase e da quale episodio è tratta? Voglio veder se siete stati attenti :D inoltre c'è una citazione anche potteriana..... anche qui, quale? Suvvia, non fate i babbani!
Per il resto vi auguro un buon week end e vi ringrazio, come sempre, per l'affetto che mi dimostrate, sia qui, che in pagina, nel gruppo Delirio SwanQueen... insomma, ovunque! <3 
Un abbraccio a tutti :3

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Capitolo 9
*** Quindici giorni prima del solstizio d'estate. ***


Capitolo 9

Quindici giorni prima del solstizio d'estate

 
 

«Sono tornato a Storybrooke un mese dopo che me ne sono andato» spiegò Robin, davanti a una tazza fumante di caffé.

Regina era seduta di fronte a lui, con i gomiti poggiati sul tavolo e la mani posate l'una sopra all'altra. Lei aveva ordinato un thé e una fetta di cheese cake ai frutti di bosco.

«Ero tornato a cercarti» continuò l'uomo. «Volevo sapere come stavi, non riuscivo ad avere tue notizie. E mi sono ritrovato in questa... strana Storybrooke».

Regina prese un sorso di thé; guardò la sua fetta di torta, ma improvvisamente la fame era sparita. Si guardò un attimo intorno, con l'ansia di vedere sbucare Neal da un momento all'altro.

«E dove sono Roland e Marian?» chiese, dopo un momento di silenzio.

Robin sospirò. «Sono rimasti a New York».

«Come mai sei rimasto qui e non sei tornato da loro?»

Robin esitò. Prese un sorso di caffé, guardando la sua tazza, poi rialzò lo sguardo su Regina che nel frattempo aveva preso una forchettata di dolce.

«Non potevo andare via. Non prima di aver capito cosa fosse successo. Ma tutti quanti, qui, sono...»

Regina annuì. «Pensiamo siano sotto un sortilegio».

Si guardò di nuovo intorno, freneticamente.

«Avete idea di come fare per spezzarlo?»

Regina prese un sorso di thé. «Ci stiamo lavorando».

Robin allungò una mano sul tavolo e prese quella di Regina. La donna si irrigidì.

«Se posso dare una mano, non avete che da chiedere».

«Grazie» rispose Regina, poi afferrò la forchetta per prendere un'altra porzione di dolce. Non le andava più di tanto, ma doveva interrompere quel contatto con Robin.

«Ma voi dove siete state? Perché siete partite? Henry sta bene?»

Regina inspirò a fondo.

Robin era così. Premuroso, attento, e voleva bene a Henry. Avrebbero potuto essere una famiglia felice, insieme al bambino che stava crescendo nel suo grembo.

Si portò una mano sul ventre, domandandosi se fosse il caso di dire a Robin della gravidanza. Ma come poteva dirglielo? Se avesse saputo del bambino si sarebbe sentito obbligato a restare. E lei non voleva questo, non voleva costringerlo a fare una scelta, non voleva allontanarlo dalla sua famiglia.

«Robin, forse dovresti tornare da tuo figlio e tua moglie» suggerì Regina, ignorando la sua domanda. «Sicuramente ti staranno aspettando e sono preoccupati per te».

«Fammi almeno aiutare a rimettere le cose a posto» insistette Robin. «Adesso che ti ho ritrovata, non posso lasciarti».

Robin, ancora una volta, allungò una mano per cercare un contatto con lei, contatto che stavolta Regina non rifiutò. Prese un sorso di thé e cercò di mantenere la calma.

Robin le sembrava sincero. Sembrava davvero che volesse aiutarla, ma qualcosa le impediva di aprirsi con lui, di farsi aiutare, e non sapeva cosa. O forse lo sapeva fin troppo bene.

«Devo confessarti una cosa» continuò Robin, spezzando il silenzio. «Vivo a casa tua, per ora. Scusa se mi sono permesso. Ma l'ho trovata vuota, e ho pensato...»

Regina alzò una mano per fermarlo. «Non preoccuparti».

Robin contnuò. «Tu ed Emma dove dormite?»

«Per il momento, nella cripta» rispose Regina. «Non possiamo farci vedere troppo in giro. Lo Sceriffo ci sta addosso».

Si guardò intorno per la terza volta, con sguardo preoccupato, febbrile. Robin lo notò.

«Posso parlare con lo Sceriffo» propose. «Ho imparato a conoscerlo. E' un bravo ragazzo. Se gli provo a parlare...»

Regina sorrise. «Sarebbe molto gentile da parte tua, ma sono settimane che scappiamo e ci nascondiamo, penso che in ogni caso lo Sceriffo non ci prenderà in simpatia solo perché glielo dici tu».

Robin rise.

«Sei sempre la solita».

Anche Regina rise.

«Comunque lascerò la tua casa, così tu ed Emma potrete venire a stare lì. Sarà un posto più comodo della cripta, e io l'ho occupato senza permesso».

Regina ci pensò su per qualche minuto. Certo, sarebbe stata una soluzione migliore, ma dopo la reazione che Emma aveva avuto alla proposta di sedersi a prendere un caffè con Robin, dubitava che avrebbe accolto meglio l'idea di accettare l'aiuto di Robin.

«Gliene parlerò. Ma credo che io ed Emma lavoreremo meglio stando nascoste» disse, cauta. «Almeno finché non abbiamo capito cosa fare».

Robin annuì. «Vorrei potervi essere d'aiuto» ripeté. «Mi raccomando, se posso, in un qualche modo...»

«Lo terrò a mente, grazie» lo interruppe Regina. Lanciò uno sguardo all'entrata. «Ora è meglio che vada».

Non aveva finito né la torta né il thè, ma si alzò comunque. Robin la imitò. Uscirono dal locale, immettendosi nella strada deserta e silenziosa.

«Posso accompagnarti? Almeno mi assicurerò che arriverai sana e salva».

«Grazie, ma... Ho i miei metodi per muovermi senza essere vista».

Robin sorrise, capendo che si trattava di magia. Fece un passo verso di lei, prendendole la mano.

«Possiamo rivederci?»

Il cuore di Regina accellerò.

«Si, sicuramente» tolse la mano da quella dell'uomo. «Ma prima io ed Emma dobbiamo capire cosa fare, quindi non so... non so quando».

«Sai dove trovarmi, quando vuoi» disse Robin.

Regina fece un passo indietro. «Anche tu» disse soltanto, e scomparì.

 

**

 

Emma aveva raggiunto la cripta correndo, con l'aria che le sferzava il viso, sperando di smaltire la rabbia. Ma non aveva funzionato. Continuava a camminare freneticamente avanti e indietro, nella cripta, con quel groppo in gola che la opprimeva e le mozzava il respiro.

Cercò di darsi una calmata e di ritrovare la lucidità. Robin era una brava persona; era un amico, era uno di loro, li aveva sempre aiutati in passato. Ma era anche il padre del bambino che Regina portava in grembo. E amava Regina, così come Regina amava lui.

Impulsivamente, tirò un pugno sulla parete di pietra della cripta, sentendo subito un dolore invaderle la mano e il polso. Lanciò un grido sommesso, massaggiandosi la mano dolorante con l'altra.

Possibile che fosse così irrazionale da lasciare che i suoi sentimenti oscurassero il suo istinto? Si accovacciò, posando le proprie mani sulle ginocchia, inspirando a fondo.

Il suo super potere non era perfetto, ma si era rivelato sempre affidabile in passato. Socchiuse gli occhi, cercando di guardarsi dentro, per capire cosa provava realmente. Trovava davvero sospetta la presenza di Robin a Storybrooke, oppure c'era qualcos'altro, dietro?

Non fece in tempo a trovare una risposta che sentì Regina riapparire nella cripta. Con un sospiro, aprì gli occhi.

Per un breve e imbarazzante momento le due donne si guardarono. Gli occhi di Emma erano gelidi, quelli di Regina erano due buchi neri in cui sprofondare. Non c'era più calore, nè comprensione, o affetto. In quel momento, c'era soltanto rabbia, incomprensione.

Fu Emma la prima a parlare.

«Perché non mi hai detto che Robin era in città?»

Aveva continuato a farsi questa domanda per tutta la strada di ritorno, incessantemente, senza trovare una risposta sensata.

Regina le fu subito ostile. «Proprio per evitare sceneggiate come questa, Swan».

Emma si irrigidì, sentendo Regina chiamarla per cognome. Si rialzò, facendo qualche passo verso l'altra.

«Sceneggiate?» sbraitò. «Avresti dovuto dirmelo. Avevo il diritto di saperlo!»

«E sentiamo, perché?» domandò Regina, immobile dov'era. «Perché avrei dovuto dirtelo?»

Emma ignorò la domanda. Portò il peso da un piede all'altro, sospirando. «Non possiamo fidarci di lui».

Questa volta non c'era incertezza nelle sue parole. La sua era un'affermazione, un'accusa vera e propria.

Regina rise. «Emma, è di Robin che stiamo parlando. Lo stesso Robin che ci ha aiutato con la Regina delle Nevi, lo stesso Robin che ci proteggeva da Zelena e dalle sue scimmie volanti».

«Non trovi sospetto il fatto che sia l'unico che ci riconosce?»

«Mi ha dato una spiegazione» negli occhi di Regina guizzò un lampo di soddisfazione.

Emma non ci badò. «E quale sarebbe?»

«E' arrivato che la maledizione era già stata lanciata, come avevo presupposto».

Emma sbuffò. «E dov'è la sua famiglia?»

Regina si aspettava quella domanda, ma nonostante questo si prese qualche secondo prima di rispondere. «Sono rimasti a New York».

Emma lanciò un grido simile a una risata, gelida. «E tu ti fideresti di un uomo che abbandona la sua famiglia?»

«Non ha abbandonato la sua famiglia!» la ammonì Regina. «E' rimasto perché vuole aiutare. Mi ha anche detto che possiamo tornare a casa mia, se vogliamo».

«Io non voglio il suo aiuto» Emma si rese conto che poteva risultare infantile, con quel modo di fare. Ma non riusciva a fare altrimenti.

Regina si lasciò scappare un sorrisetto soddisfatto, aspettandosi quella reazione da parte di Emma, ma non aveva intenzione di lasciar perdere.

«Tu sei gelosa» disse Regina, puntandole un dito contro, il sorrisetto sempre presente sul suo volto. «Sei gelosa, e non riesci a vedere le cose con obiettività».

Emma fece un passo indietro, spalancando la bocca in una smorfia di diniego. «Non sono affatto gelosa!» esclamò. «Sono semplicemente razionale, cosa che tu, evidentemente, non riesci ad essere quando si tratta di Robin».

Emma stava gridando. Non si era nemmeno resa conto di star stringendo i pugni, fino a farsi del male.

Regina la guardò con occhi spalancati, rimanendo in silenzio.

Passò un lungo momento prima che una delle due si decidesse a parlare di nuovo. I loro occhi si muovevano nella cripta, fissandosi su dettagli inutili, pur di non incontrarsi.

Ancora una volta, fu Emma a spezzare il silenzio.

«Gli hai detto del bambino?»

La voce di Emma arrivò come un sussurro alle orecchie di Regina.

«No».

Regina non la guardò, mentre rispondeva.

Nemmeno Emma la guardava, continuava a guardare il pavimento della cripta con vivo interesse. Ma udendo quel "no", fu come se una nuova scarica di adrenalina le percorresse tutto il corpo.

«Ecco, lo vedi?» alzò di nuovo la voce. «Non gliene hai parlato perché sai che non puoi fidarti di lui!»

«Non gliene ho parlato perché non è il momento nè la situazione giusta» replicò Regina. «Abbiamo altre cose a cui pensare, adesso».

«Cosa farai se, un giorno, decidesse di abbandonare anche te e il bambino, come ha fatto con Roland e Marian?»

Regina digrignò i denti. Una luce folle le si accese negli occhi. «Farò quello che ho sempre fatto, Emma. Alleverò questo bambino da sola, come ho fatto con il figlio che TU hai abbandonato!»

Regina si portò una mano sulla bocca, come a voler bloccare quel flusso di parole che, lo sapeva, avevano ferito Emma.

La bionda si immobilizzò, lo sguardo perso nel vuoto.

Il pavimento della cripta tremò.

Regina capì subito che Emma era fuori controllo, che la sua magia stava agendo al posto suo. Anche Emma parve capirlo, quindi si incamminò verso l'uscita, passando accanto a Regina.

La luce folle che Regina aveva negli occhi, quella rabbia che l'aveva spinta a dire quelle cose, si era spenta. «Emma, aspetta...» disse, afferrandole un braccio.

Emma si liberò dalla presa con un gesto talmente improvviso che quasi andò a sbattere contro gli oggetti sugli scaffali accanto a lei.

«Ho bisogno d'aria» disse soltanto, senza voltarsi.

Fece un altro paio di passi verso l'uscita, ma Regina la fermò di nuovo, sfiorandole delicatamente il braccio, come a non volerla turbare ulteriormente.

«Emma...»

«No!» sbraitò la bionda. «Smettila, adesso».

Emma si ritrovò a ricacciare indietro le lacrime. Regina la guardò, mordendosi l'interno della guancia, tesa.

«Emma, non volevo dire...»

«Oh, lo so benissimo cosa volevi dire!» la interruppe la bionda. «Volevi dire esattamente questo, volevi rinfacciarmi di aver abbandonato Henry. Hai ragione, forse non sono stata una madre esemplare nella mia vita, ma le scelte che ho fatto, tutte le scelte che ho dovuto fare nella mia vita, sono state...»

Emma si prese la testa tra le mani, cercando di mettere ordine in quei pensieri furibondi che la stavano sopraffando.

Regina la guardò, improvvisamente consapevole di cosa Emma stesse per dire. «Dillo» la incitò.

Emma piantò gli occhi nei suoi. «E' colpa tua, Regina! Tutto quello che mi è capitato, è stata colpa tua e del tuo sortilegio! Se non fosse stato per la tua stupida vendetta non sarei stata costretta a crescere come un'orfana e avrei avuto la possibilità di crescere Henry!»

Regina non rispose, ammutolita dalle parole violente che Emma le stava vomitando addosso. Si rese conto subito che la Salvatrice aveva tenuto dentro questi pensieri per troppo tempo, forse senza neanche rendersene conto. Ma sentirsi dire quelle cose fu per Regina un vero e proprio dolore; principalmente perchè sapeva che era la verità, la nuda e cruda verità.

Emma distolse lo sguardo, avviandosi di nuovo verso l'uscita. Stavolta Regina non provò a fermarla. Lei aveva tirato fuori tutto il rancore e la rabbia che aveva accumulato nelle ultime ore, mentre Emma aveva fatto lo stesso ma con la differenza che quegli stessi sentimenti erano covati da molto più tempo. Sapeva che non sarebbe servito a niente, trattenerla. Sapeva che non sarebbe servito a niente scusarsi. Non in quel momento, almeno.

Emma uscì dalla cripta, fece qualche passo in mezzo al parco finché le gambe, dalla tensione, non le cedettero. Si lasciò cadere sull'erba, scossa dai singhiozzi che per troppo tempo aveva trattenuto.

Il respiro le si fece affannoso e irregolare, si portò una mano al petto per cercare di calmarsi, ma le lacrime continuavano a scenderle sulle guance, veloci e decise. Alzò lo sguardo verso il cielo, un cielo stellato, sereno, pacifico. Poi guardò dritto davanti a sé, fissando delle luci in lontananza, che illuminavano appena il parco antecendente la cripta. E la vide.

Un'ombra.

La stessa ombra che avevano visto nel bosco.

Forse l'ombra che Regina aveva visto anche al confine.

Si alzò di scatto, e per un attimo ebbe la tentazione di chiamare Regina. Ma l'ombra si mosse, allontanandosi, confondendosi col buio.

Lanciò un ultimo sguardo verso la cripta prima di correre nella direzione dell'ombra, sperando di ritrovarla.


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Rieccomi qui, team! Con un giorno di anticipo anche stavolta. Ma non abituatevi troppo bene :P
Non ho niente da dire su questo capitolo se non che mi è piaciuto molto scriverlo, nonostante l'angst. E mi scuso per tutto questo angst che vi sto propinando, mi farò perdonare presto xD
...almeno credo. 
Buon week end a tutti! :)

 

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Capitolo 10
*** Quattordici giorni prima del solstizio d'estate. ***


Capitolo 10
Quattordici giorni prima del solstizio d'estate



Emma corse dietro all'ombra, stando attenta a non perderla nel buio, come spesso accadde. Ma, in un modo o nell'altro, l'ombra le riappariva sempre.

Si ritrovò ai limiti del bosco, dove soltanto poche ore prima lei e Regina stavano cercando l'oggetto nascosto da Tremotino. L'ombra slittò tra gli alberi, leggermente illuminata dal chiarore del cielo che pian piano stava accogliendo l'alba. Adesso, Emma poteva vederla più chiaramente; non somigliava all'ombra di Peter Pan, era una grossa sagoma scura indefinita, senza forma. Si chiese che cosa potesse essere, chi potesse essere. Si chiese se fosse saggio seguirla, e dove la stava portando; nessuna di queste domande trovò risposta, ma ormai non poteva tornare indietro. Doveva capire.

L'ombra accellerò, ed Emma fu costretta a mettersi a correre per starle dietro, fino a quando non inciampò in una radice d'albero e cadde a terra. Quando rialzò lo sguardo, l'ombra era sparita.

Lanciò un grido, rialzandosi. Si scrollò le foglie dai vestiti, e si guardò intorno. Si incamminò di nuovo verso il bosco, proseguendo a passo spedito, senza una meta precisa, finché non si rese conto che era inutile proseguire alla cieca.

Così si voltò, e solo allora si ritrovò davanti l'ombra. Sussultò, e d'istinto sollevò le mani, pronta a usare la magia. Ma l'ombra non si mosse.

Emma strizzò gli occhi, per vedere meglio ciò che si trovava davanti.

«Che cosa sei?» sussurrò, anche se non si aspettava certo una risposta.

Le mani erano ancora sollevate, interposte tra lei e l'ombra. Così ne allungò una, per cercare di toccarla.

Sentì una scarica elettrica quando le sue dita entrarono in contatto con l'ombra, o meglio, con quella che doveva essere l'essenza dell'ombra. Perché era inconsistente, tanto che Emma poté attraversare con l'intero braccio quella macchia nera, trapassandola da parte a parte. Il suo braccio formicolava, a quel contatto, poi sentì qualcosa stringersi intorno ad esso. Spaventata, ritrasse il braccio, ma non ci riuscì subito; qualcosa la teneva ancorata all'ombra, una forza sconosciuta la tratteneva.

Emma gridò, strattonando il suo braccio, cercando di liberarsi. Ormai l'ombra l'aveva inghiottita fino al gomito, e lei puntò i piedi a terra, tirando ancora più forte.

«Ehi!» gridò una voce.

L'ombra tremò, lasciandola andare, ed Emma perse l'equilibrio e cadde a terra, stordita.

«Ehi, cosa ci fai qui?»

Emma guardò davanti a sé; l'ombra era sparita, ma in compenso Neal, lo Sceriffo, si stava avvicinando. Le faceva male la testa e sentiva ancora il braccio formicolare, così ci mise qualche secondo per rialzarsi e reagire.

«Ma tu non dormi mai?» disse, sbuffando.

Il ragazzo le si parò davanti. «Non quando ho dei fuorilegge da catturare» e dicendolo, estrasse le manette.

«Sei serio?» borbottò Emma, guardandolo torva. «Stavo solo facendo una passeggiata!»

Neal la prese per le spalle, voltandola, e mettendole le manette.

«Sa benissimo che non è per questo che la sto arrestando» disse Neal. «Adesso, andiamo».

Emma, per un secondo, pensò di opporre resistenza e di cercare di scappare. Ma sentiva ancora quella sensazione alla testa, uno strano torpore che la stordiva e le rallentava il flusso dei pensieri. Prima ancora che se ne rendesse conto, si trovava già sulla macchina dello Sceriffo, diretta alla stazione di polizia.

 

**

 

Regina aveva tentato, invano, di prendere sonno. Continuava a lanciare occhiate all'entrata della cripta, nella speranza di vedere ricomparire Emma. Ma non accadde. Era l'alba quando si decise ad uscire a cercarla.

Provava una gran rabbia dentro al petto, e si sentiva ferita per le parole che Emma le aveva rivolto. Ma al tempo stesso si sentiva terribilmente in colpa, perché anche lei non c'era andata leggera. Si era fatta prendere dall'ira, per un attimo era stata incapace di controllarsi, e il risultato era che aveva detto cose che non pensava ferendo Emma, facendola arrabbiare, e magari portandola a commettere qualcosa di stupido e impulsivo. Perché la conosceva bene, ormai; Emma Swan agiva d'impulso, ogni volta che si arrabbiava.

Per questo non si stupì quando, uscendo, non la trovò. Percorse qualche passo nel prato, guardandosi intorno.

«Emma?» gridò. «Emma, sei qui?»

La preoccupazione salì quando non ricevette risposta. Si guardò intorno un paio di volte, prima di rientrare e mettersi a frugare nel baule.

Sapeva di avere ancora una fiala di pozione localizzante da qualche parte. La cercò in mezzo alla catasta di oggetti che si ostinava a tenere, ma si ripromise di mettere ordine dentro quel baule. Erano passati parecchi minuti quando finalmente trovò la pozione che stava cercando.

Ora le serviva soltanto un oggetto di Emma. Si guardò intorno nella cripta, cercando in ogni angolo qualcosa che appartenesse alla Salvatrice. La ragazza non aveva molti oggetti personali, infatti Regina trovò soltanto una cuffia, la cuffia grigia di Emma. Quando la prese, sentì un odore famigliare propagarsi nell'aria. Se la rigirò tra le dita un paio di volte, prima di avvicinarsela al viso. Quando la cuffia fu a contatto con il suo naso, respirò a fondo un odore di cocco e papaya, l'odore di Emma, dei capelli di Emma.

«Ma che diavolo sto facendo?» borbottò tra sé e sé, e subito si allontanò la cuffia dal naso. Stappò la fiala, versò un po' di liquido sull'indumento, e si lasciò guidare da esso fuori dalla cripta.

Quando la cuffia si fermò davanti alla stazione di polizia, Regina, ancora una volta, non fu sorpresa. Sicuramente Emma si era fatta beccare da Neal, presa in un momento in cui aveva abbassato la guardia. Probabilmente sarebbe riuscita ad evadere, esattamente come aveva fatto la prima volta, ma magari stavolta Neal l'avrebbe tenuta d'occhio.

Si infilò in un vicolo, anche se le strade erano ancora deserte. Doveva tirare fuori Emma di prigione, e sapeva benissimo di poterlo fare con la magia. Ma forse, era giunto il momento di mettere da parte l'orgoglio e decidere di farsi aiutare.

Così si incamminò verso il 108 di Mifflin Street.

 

**

 

«Questa volta, signorina Swan, non commetterò lo stesso errore» disse Neal, chiudendo la porta della cella.

Emma, con grande disappunto, tentò di liberarsi le mani dalle manette.

«Mi costringerai a tenerle?»

«Esatto» replicò il ragazzo. «L'altra volta, non so come, è riuscita a uscire di qui. Stavolta non glielo permetterò».

Emma alzò gli occhi al cielo. «Senti, mi dispiace di come mi sono comportata con te. E di aver fatto irruzione nel negozio di Go...» Emma si bloccò. Stava per parlare troppo, come sempre. «...di antiquariato. Ma non volevo rubare niente e non ho intenzione di fare niente di male, lo giuro».

Neal sogghignò. «Il fatto che si stia nascondendo da allora, mi fa dubitare delle sue parole».

Anche Emma sogghignò. «Non mi sembra che sia capitato niente di male in queste settimane, nonostante la mia presenza qui».

Neal non replicò, e fece una smorfia, come a non voler ammettere che Emma avesse ragione. Ma ciò non cambiava i fatti; lei era in prigione e lui aveva le chiavi.

Emma non poté fare altro che sedersi sul lettino sistemato dentro la cella. Con Neal in ufficio, non avrebbe potuto nemmeno provare a usare la magia. Ammesso che ci fosse riuscita, con le manette ai polsi.

Si mise a fissare il soffitto della cella, persa nei suoi pensieri. Ripensò alle parole che Regina le aveva rivolto, alla rabbia con cui le aveva parlato. Certo, forse aveva esagerato ad accusare Robin con così tanta insistenza. Ma Regina le aveva rinfacciato di aver abbandonato Henry, cosa che non aveva mai fatto da quando erano riuscite ad appianare le loro divergenze. Per un momento, le era sembrato di rivedere la Regina Cattiva, e questo la spaventava.

Certo era che anche lei non si era risparmiata, con le parole. Nemmeno si era resa conto di provare tutto quel rancore verso Regina, rancore che non sapeva ancora se fosse reale o solo frutto della sua impulsività. Non aveva mai davvero considerato Regina la responsabile di tutto. E' vero, lei aveva attivato il sortilegio, ma la decisione di metterla nella teca era stata solamente dei suoi genitori. Regina era responsabile soltanto in parte, ma anche se lo fosse stata totalmente, ormai non importava più.

Su una cosa, però, aveva enormemente sbagliato. Se Regina non avesse lanciato il sortilegio, lei non avrebbe mai incontrato Neal, e quindi non avrebbe mai avuto Henry. Alla fine, nonostante tutto, si rese conto che la sua vita andava bene così com'era. Avere Henry e poter finalmente avere adesso una famiglia, la ripagava di tutte le sofferenze che aveva dovuto subire quand'era una bambina.

Sospirò. Dovette ammettere però che anche Regina aveva ragione su una cosa.

Era gelosa. Era totalmente gelosa di lei.

Quando aveva rivisto Robin e aveva considerato la possibilità di perdere Regina, qualcosa si era mosso in lei, qualcosa che l'aveva spinta a fare accuse e a comportarsi come una squilibrata.

Si chiese cosa poteva fare per contattare Regina. Anche se avevano litigato, doveva trovare un modo per dirle dov'era.

Poi ripensò all'ombra. Ripensò alla sensazione che aveva provato quando l'aveva toccata, a quello strano formicolio che le aveva invaso il braccio. Si era sentita per un attimo svuotata di ogni emozione. In un certo senso, era stata una fortuna che Neal fosse intervenuto.

Sentì dei passi lungo il corridoio, e delle voci famigliari che si avvicinavano. Alzò la testa di scatto.

«Tesoro! Non sei tornato a casa neanche stanotte».

Emma si sentì mancare. Scese dal letto, con le gambe tremanti e il cuore che batteva veloce.

«Lo so, mamma» replicò Neal. «Avevo delle cose da sbrigare».

Mary Margaret abbracciò il figlio, che era più alto di lei di almeno venti centimetri. Era la prima volta che Emma la vedeva così da vicino. I capelli erano grigi, si era leggermente ingobbita ed era anche un po' ingrassata. Le rughe solcavano il suo volto ma i suoi occhi erano gli stessi di un tempo, pieni di calore e di speranza. Lo sguardo che rivolse a Neal riscaldò il cuore di Emma; erano gli stessi sguardi che rivolgeva a lei.

«Caffè e muffin alla ciliegia».

David entrò subito dopo, con un sacchetto e un bicchiere in mano. Anche lui era invecchiato, era un po' più basso di Neal, anche se di poco, ma aveva lo stesso sorriso e lo stesso portamento regale di quando era giovane.

«Devi almeno fare colazione» lo ammonì Mary Margaret. «Non devi strapazzarti così».

Neal afferrò il caffè e il sacchetto.

«Non me lo faccio certo ripetere due volte» disse, addentando il muffin. «Ho una fame!»

Neal si mise a sedere alla scrivania, gustandosi la colazione. Fu in quel momento che Mary Margaret e David si accorsero della presenza di Emma.

Per un primo momento, Emma li guardò negli occhi, prima uno e poi l'altra. Ma non riuscì a sostenere quel contatto per molto; si rimise a sedere sul letto, cercando di non farsi prendere dal panico.

«Buon giorno» la salutarono in coro.

Emma sospirò. «Buon giorno» borbottò. La sua voce tremava.

Era proprio per quello che non era andata a trovarli. Per evitare quegli sguardi indifferenti.

Neal prese un sorso di caffè. «Sapete, la signorina Swan...» e fece un gesto verso la sua direzione. «...dice di conoscervi».

Gli occhi di David e Mary Margaret si puntarono, in sincrono, su di lei.

«Come ha detto di chiamarsi, signorina?» le domandò David, strizzando gli occhi per vederla meglio.

Emma deglutì. «Swan. Emma Swan».

I suoi genitori si scambiarono un'occhiata.

«Non mi sembra di conoscere nessuno con questo nome» rispose David.

Mary Margaret non rispose subito. Si avvicinò alla cella, dove Emma era ancora seduta sul letto. Si parò davanti a lei, guardando tra le sbarre, squadrandola da capo a piedi.

Per un solo momento, ad Emma sembrò che sua madre si stesse ricordando di lei. Vedeva qualcosa nel suo sguardo, qualcosa di vivido. Tuttavia, non si mosse, non si avvicinò a lei; era come paralizzata.

«Nemmeno a me sembra di conoscerla» sussurrò. «Mi dispiace, signorina Swan».

Emma non rispose, ma si limitò a rivolgerle un lieve sorriso.

Poi ci fu rumore di altri passi, e pochi istanti dopo Regina fece il suo ingresso alla centrale, accompagnata da Robin.

Emma, di nuovo, si alzò di scatto dal letto. Regina trasalì, trovandosi di fronte i coniugi Charming. Il suo sguardo cercò quello di Emma, che era evidentemente scossa, così le rivolse un sorriso comprensivo. Il cuore di Emma fece una capriola.

«Neal, ho bisogno di parlarti» iniziò Robin, facendo un cenno di saluto ai coniugi Charming.

«Noi andiamo, tesoro» disse David, prendendo Mary Margaret per mano e uscendo dalla centrale. Il figlio li salutò con un gesto.

«Che è successo, Robin?» Lo sguardo di Neal si posò su Regina. «Un momento...» guardò Emma, e poi di nuovo Regina. «Lei è la donna che l'accompagnava quella notte!»

Robin alzò le mani. «Posso spiegarti, Neal. Sono mie amiche».

«Amiche?» replicò Neal, alzandosi dalla sedia. «Hanno fatto irruzione in un negozio, e sono fuggitive da allora».

«Non è così» rispose Robin. «Sono venute in città per aiutarmi, quello che è accaduto è stato tutto un malinteso. Sono brave persone, garantisco io per loro».

Neal sospirò, incrociando le braccia.

«Mi stai dicendo che pagherai la cauzione per liberare la signorina Swan, immagino».

Robin annuì. «Immagini bene».

Emma si voltò, per nascondere la sua espressione. Doveva essere grata a Robin, perché la faceva uscire di prigione. Ma non sopportava l'idea di dover essere in debito con lui.

 

**

 

Uscirono dalla centrale e si diressero da Granny a fare colazione.

«Grazie, Robin, per l'aiuto» disse Emma, sedendosi al tavolo. «Ti restituirò i soldi della cauzione il prima possibile».

Robin si mise a sedere di fronte a lei. «Non preoccuparti per quello, piuttosto...» prese un sorso di caffè. «Regina mi ha detto che state cercando un modo per spezzare il sortilegio. Se posso dare una mano...»

Emma non rispose. Regina ritornò al tavolo in quel momento, con un thé e una cioccolata calda per Emma.

«Con la cannella» le disse, posandole la tazza davanti. «Speriamo che ora lo Sceriffo ci lasci un po' di respiro».

«Sapete che l'invito a tornare a casa tua, Regina, è sempre valido» disse Robin.

Regina arricciò le labbra, prendendo posto accanto ad Emma. «Sei gentile, Robin. Ma noi stiamo bene nella cripta. Siamo meno in vista e questo ci da più margine di azione».

Regina si voltò verso Emma, per capire se la pensava come lei, per cercare una conferma. Ma la bionda era rimasta imbambolata.

Si sentiva terribilmente stupida. Si sentiva come una bambina alla prima cotta. Non era riuscita a trattenere un sorriso quando Regina si era seduta accanto a lei e non accanto a Robin, in più quando aveva pronunciato la parola "noi" il suo cervello era andato completamente in tilt.

Probabilmente Regina non si era nemmeno resa conto delle parole che aveva usato, ma per Emma erano importanti. Significava che nonostante la lite, nonostante la situazione complicata e il ritorno di Robin, forse avevano una possibilità. Forse poteva esistere un "noi".

«Emma?»

La bionda sussultò. «Sì, sono d'accordo» disse, d'istinto. «Più margine d'azione».

«In che cosa consiste il vostro piano?» domandò Robin, soffiando sopra alla sua tazza di caffè.

A Emma parve che Robin fosse un po' troppo insistente. Il suo super potere le mandava segnali contrastanti. Doveva fidarsi, oppure era semplicemente gelosa?

«Dobbiamo recuperare due oggetti» spiegò Regina, cauta. «Questi due oggetti serviranno per spezzare la maledizione, è solo che sono piuttosto difficili da reperire».

Robin si raddrizzò sulla sedia. «Che oggetti sono?»

Emma anticipò la risposta di Regina. «Non lo sappiamo ancora» e prese un sorso di cioccolata. Una strana idea le balenò nella mente. «Dobbiamo seguire una mappa, che indica un punto in cui Tremotino ha nascosto uno di questi oggetti».

Regina guardò Emma con la coda dell'occhio. Cosa stava cercando di fare? Fino a ventiquattro ore prima non voleva coinvolgere Robin né tanto meno accettare il suo aiuto. Cosa le passava per la testa?

Robin annuì. «Lasciatemi venire con voi. Vi guarderò le spalle».

Ancora una volta, Emma anticipò Regina. «Grazie, ci farebbe comodo il tuo aiuto. Ci vediamo domani mattina all'alba, va bene? Al pozzo di Storybrooke».

Robin sorrise, felice di poterle aiutare. «Va bene, ci sarò».

Regina, che ancora non riusciva a capire dove Emma stesse andando a parare, si limitò a fissare la sua tazza di thé.

 

**

 

«Improvvisamente Robin è diventato il tuo migliore amico?» domandò Regina, ironica.

Stavano tornando alla cripta. Non dovendosi più nascondere da Neal, ed essendo ormai pieno giorno, avevano preferito camminare piuttosto che ricorrere alla magia.

«Ah ah» rispose Emma. «Lasciami fare. Ho un piano».

«Era proprio quello che temevo» sbuffò Regina, alzando gli occhi al cielo. «E di cosa si tratta, se mi è concesso saperlo?»

Emma si immobilizzò. Si voltò a guardare Regina, che si era fermata a sua volta, sorpresa.

«Ti dimostrerò che non possiamo fidarci di Robin».

Regina riprese a camminare senza neanche degnarla di uno sguardo.

Per il resto del tragitto nessuna delle due parlò. Entrambe si lanciarono degli sguardi fugaci, cercando di non farsi vedere dall'altra, ma continuarono a camminare in silenzio e a debita distanza, come se un loro minimo contatto potesse scatenare di nuovo tutta quella rabbia che si erano rovesciate addosso la sera prima.

Emma sapeva che doveva chiederle scusa, e spiegarle che non la riteneva la vera responsabile di tutto. Ma non era sicura che Regina volesse ascoltarla, non in quel momento almeno. E in un angolo della sua testa sapeva benissimo che anche lei si meritava delle scuse.

Regina continuava a rimuginare sull'accaduto, ripetendosi che doveva mettere via l'orgoglio e fare il primo passo. Emma non aveva tutti i torti, e lei lo sapeva bene; il suo sortilegio aveva causato molti più danni di quanti avesse potuto immaginare. Ma si sentiva ancora ferita, e in un angolo del suo cuore sperava che fosse una storia superata, che Emma non ce l'avesse ancora con lei per quello. E aveva paura, in quel momento più che mai, che non avrebbe mai superato questa storia.

Le lanciò un'occhiata di sottecchi. «Come...» iniziò, con voce insicura. Forse non era pronta per affrontare quella conversazione, ma quel silenzio era molto peggio. «Come mai sei stata arrestata?»

Emma trasalì, come se non si aspettasse che Regina le rivolgesse la parola. Avevano quasi raggiunto la cripta.

«Neal mi ha sorpreso nel bosco, mentre seguivo un'ombra. Cioè, quell'ombra...»

Regina sgranò gli occhi. «Vuoi dire...»

«Non era l'ombra di Peter Pan. Era più una macchia scura, totalmente inconsistente e priva di forma. Mi è apparsa, l'ho seguita, e mi ha portato nel bosco. Ho cercato di toccarla ed è stato come... non so spiegarlo».

Regina la ascoltava in silenzio, senza neanche sbattere le palpebre. Arrivarono alla cripta ed entrarono, non appena Regina tolse il sigillo di protezione che aveva imposto.

«Quando l'ho toccata, le dita e il braccio hanno cominciato a formicolarmi» proseguì Emma. «E quando ho provato a ritirare la mano, bè... non ci riuscivo. Era come se mi attirasse a sé».

Regina si voltò a guardarla. «E hai pensato bene che fosse prudente scappare nel bosco in piena notte seguendo questa ombra sinistra che per quel che ne sappiamo potrebbe essere capace di tutto».

Emma la guardò, sbattendo le palpebre. «Mi stai davvero rimproverando per...»

«Non ti sto rimproverando» la interruppe. «Dico solo che un'ombra che si manifesta di notte avrebbe almeno dovuto farti venire un paio di dubbi».

Emma non rispose, incredula di come Regina le stesse parlando. Nonostante tutto, pensò, non aveva un briciolo di rimorso per come le aveva parlato la sera prima anzi, stava rincarando la dose.

Si guardarono in silenzio a lungo, poi la ragazza si avviò per raggiungere la stanza adiacente alla cripta.

«Vado a riposare un po'» sbraitò. 
Quando Emma scomparì dalla stanza, Regina si mise a sedere sul pavimento, sotto lo specchio appeso alla parete. Si rannicchiò, abbracciandosi le ginocchia con le braccia, maledicendosi per come aveva parlato a Emma. Avrebbe dovuto chiederle scusa, avrebbe dovuto per lo meno parlare in modo normale e non attaccarla.
Ma non era sorpresa. Ogni volta che qualcosa di bello capitava nella sua vita, Regina non riusciva mai a viverselo, e finiva col distruggerlo, frantumarlo, come fosse un fragile specchio. 
E quello che provava per Emma, anzi Emma Swan stessa era, sicuramente, qualcosa di bello. Per questo Regina la stava distruggendo. 
E, senza neanche rendersene conto, la lacrime cominciarono a scenderle lungo le guance, tirando fuori quel groppo allo stomaco che la attanagliava da tutto il giorno. 




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Capitolo 11
*** Tredici giorni prima del solstizio d'estate. ***


Capitolo 11
Tredici giorni prima del solstizio d'estate




Il piano di Emma era astuto e intelligente, se non fosse per il fatto che era totalmente inutile e insensato, almeno secondo Regina.

La ragazza sosteneva che coinvolgendo Robin nella loro operazione, l'uomo avrebbe fatto un passo falso e avrebbe rivelato il vero motivo per cui si trovava a Storybrooke e per cui non era sotto l'effetto della maledizione. Ad Emma, la storia dell'arrivo dopo il sortilegio, non convinceva per niente. Il suo super potere era decisamente tornato in azione.

Era arrivata anche a pensare che fosse lui l'artefice del sortilegio. Non ne aveva parlato con Regina, naturalmente; i loro rapporti erano ancora tesi dopo la discussione, e ci mancava soltanto che Emma accusasse Robin di un tale atto senza alcuna prova. Prova che, era sicura, avrebbe ottenuto presto.

Come stabilito, Emma e Regina si incontrarono con Robin al pozzo di Storybrooke, alle prime luci dell'alba. Fecero di nuovo il percorso che avevano fatto due giorni prima, raggiungendo di nuovo la grande quercia dove Neal le aveva sorprese.

Emma scrutava la mappa. «Se ho capito bene, credo che dovremo svoltare a sinistra per...» contò con le dita i passi disegnati sulla cartina. «...duecentodieci passi».

Robin le si avvicinò. «Posso vedere la cartina? Sono piuttosto bravo a decifrarle».

Emma la piegò su sè stessa. «Non c'è n'è bisogno, quella è la direzione giusta» e si incamminò per la via che aveva descritto poco prima.

Robin lanciò uno sguardo a Regina. «Ho forse fatto qualcosa di male?»

Regina abbozzò un sorriso, scrollando le spalle.

Avrebbe voluto dirgli che no, non aveva fatto niente di male. Ma non poteva spiegargli il motivo per cui la sua sola presenza irritava così tanto Emma. Non lo sapeva nemmeno lei, a dire il vero.

Seguirono Emma che era già molti passi davanti a loro, e in poco tempo raggiunsero il Troll Bridge. Superato il ponte, arrivarono in quella che sembrava una radura ed Emma si guardò intorno. Le sembrava di essere già passata di lì. Frugò nella sua mente, alla ricerca di quel ricordo che era sicura fosse nascosto da qualche parte.

«Cosa dice la mappa?» chiese Robin, ad un tratto. «Come dobbiamo proseguire?»

Emma spiegò la cartina e la fissò per qualche secondo. E subito si ricordò.

«Ma certo» esclamò.

Regina e Robin la guardarono.

«So esattamente dove siamo diretti!» disse, piegando la mappa e infilandosela in tasca. «So dove Gold ha nascosto questo oggetto. Seguitemi».

Emma partì a razzo, senza nemmeno preoccuparsi se Regina e Robin la stessero seguendo. I due faticarono a stare al suo passo, ma non la persero di vista.

«Emma, si può sapere cosa ti prende?» gridò Regina, col fiatone. «Puoi rallentare un secondo?»

Emma subito non si fermò, poi pensò che Regina, nella sua condizione, non doveva affaticarsi troppo e rallentò.

«Siamo quasi arrivati» disse, indicando un punto davanti a sé.

Si ritrovarono in una radura ampia e spoglia di ogni tipo di albero o caspuglio. Il cuore di Emma si fermò, ritrovandosi lì. Prese di nuovo la mappa per controllare se avessero fatto la strada giusta, e fu soddisfatta nel vedere che il percorso era esattamente quello che avevano fatto. La grossa X rossa era esattamente al centro della radura.

«Laggiù!» gridò Emma, dirigendosi nella direzione.

Regina la seguì, mentre Robin restò immobile.

«Io vi aspetto qui» disse l'uomo, davanti allo sguardo interrogativo di Regina. «Resto a fare la guardia».

Regina lo trovò strano, ma annuì. Mentre raggiungeva Emma si chiese se davvero Robin nascondeva qualcosa. Poi si rispose che probabilmente era solo condizionata dai sospetti di Emma.

«Dovrebbe essere circa qui» borbottò Emma, quando Regina le fu affianco.

«Come facevi a sapere che era questa la strada?» chiese Regina, curiosa.

Emma si rabbuiò. «Mi era sembrato di esserci già passsata di qui, così ci ho pensato e mi sono ricordata».

«Ricordata di cosa?»

Emma sospirò. «Qui è dove è morto Neal».

Regina si immobilizzò. «Capisco».

Passò un lungo momento in cui Emma fu incapace di muoversi e persino di parlare. Ripensò agli ultimi momenti con Neal e sentì la sua mancanza come non le capitava da tempo. Si riscosse soltanto quando sentì la mano di Regina, posarsi sulla sua spalla con dolcezza. Si voltò a guardarla, e vide un sorriso sul volto della donna. Un sorriso che si rese conto solo in quel momento di quanto le fosse mancato.

«Allora, scaviamo?» disse Emma, ricambiando il sorriso di Regina.

«Ci penso io» rispose Regina, sporgendo le mani in avanti.

La terra cominciò a dissotterrarsi, scavando una grossa buca esattamente al centro della radura. Continuò a tirare fuori la terra, aumentando la circonferenza della buca sempre di più, finché non videro uno scrigno di medie dimensioni, completamente di colore nero, confondersi in mezzo alla terra.

«Bingo» esclamò Emma.

Lei e Regina si sorrisero. Poi Emma si calò nella buca, recuperò lo scrigno, e ritornò su anche se con gli stivali e i vestiti sporchi. Diede lo scrigno a Regina, che lo pulì un po' dalla terra mentre Emma faceva lo stesso coi suoi vestiti.

«Sembra una scatola nera chiusa, sigillata» Regina si rigirava la scatola tra le mani. «Non ha nessuna apertura».

Passò lo scrigno di nuovo a Emma, che lo guardò. «Ci sarà un modo per aprirlo...» lanciò uno sguardo a Robin. «Magari non qui. Torniamo alla critpa?»

Regina notò lo sguardo di Emma alle sue spalle, e non ebbe bisogno di voltarsi per capire cosa avesse guardato. Tuttavia non replicò e annuì.

«Ce l'avete fatta» disse Robin, mentre le due donne lo raggiungevano. «Così era questo l'oggetto che vi serviva?» chiese, rivolgendo la sua attenzione allo scrigno.

«A quanto pare» rispose Emma, sulla difensiva. «Grazie dell'aiuto, Robin. Ora torniamo alla cripta per capire come dobbiamo procedere».

Con lo scrigno in una mano e una minacciosa determinazione negli occhi, Emma allungò una mano verso Regina, afferrandole l'avambraccio.

Regina guardò Emma, poi la mano che la stava stringendo, poi Robin.

«Ti dispiace se...»

«Oh no, assolutamente, andate» rispose l'uomo. «Io torno indietro a piedi con calma, faccio una passeggiata».

Regina gli sorrise timidamente. Emma invece tentò di mantenere la calma. Poi scomparirono riapparendo nella cripta, e soltanto allora Emma riuscì a rilassarsi.

«Quando la smetterai di trattare Robin come fosse il peggiore dei criminali?» sbraitò Regina, ancora prima che il fumo viola si dissolvesse del tutto.

Emma trasalì. «Come, scusa?»

Regina si bloccò, come improvvisamente pentita di come, per l'ennesima volta, aveva parlato ad Emma.

La ragazza sembrò interpretare i suoi pensieri, e lasciò perdere, concentrandosi sullo scrigno.

«Come pensi si possa aprire?» le chiese, sporgendolo verso di lei.

Regina lo scrutò, afferrandolo e rigirandoselo in una mano.

«Penso si possa aprire con la magia» disse, infine. «Anche se non so come questo scrigno possa risucchiare il futuro e riportarci al presente».

«A proposito di questo» intervenne Emma. «Hai qualche idea sull'oggetto che ci permetterà di tornare indietro?»

Regina sospirò. «Ho pensato a quello che ha detto Belle, e cioè che non è un oggetto che viene dal presente, ma un oggetto simbolico».

Emma fece un passo verso di lei. «Un oggetto che rappresenti il presente?»

Regina annuì. «Qualcosa che rappresenti il momento a cui vogliamo tornare. Qualcosa che, non lo so...» Regina si morse l'unghia del pollice. «Ho come la sensazione di sapere qual è l'oggetto che ci serve, ma mi sfugge».

Emma non rispose. Un oggetto che simboleggiava il presente. Un oggetto che, ripensò all'incantesimo, "a quel momento vi riporterà." Pensò al momento a cui sarebbe voluta tornare, e subito le venne in mente di quando avevano visto le loro immagini, apparse nel libro.

Il libro.

«Regina» bisbigliò Emma.

Regina era seduta, china sullo scrigno che teneva in grembo, e alzò lo sguardo fissando i suoi occhi scuri in quelli di Emma.

La Salvatrice aprì la bocca per parlare ma si bloccò, senza capirne il motivo. Anzi, forse lo capiva fin troppo bene. Erano gli occhi di Regina, quei due profondi buchi neri in cui si perdeva ogni volta che lei la guardava. Le facevano battere il cuore come mai era successo prima.

Scossò la testa, come per risvegliarsi da un sonno. «Stavo pensando al libro» disse, cauta. «Forse sto per dire una cavolata, ma se ripenso al momento in cui vorrei tornare, se penso al presente... mi vengono in mente le immagini del libro. Io e te, sotto la torre dell'orologio, con Henry...»

Regina sbatté le palpebre, sorpresa.

Emma restò in attesa qualche attimo, sentendo le guance scaldarsi e arrossire improvvisamente.

Aveva detto una sciocchezza, ne era certa.

Sorrise appena, rivolgendo a Regina il solito sorrisetto imbarazzato, quello che le rivolgeva sempre quando sapeva di aver detto qualcosa di stupido.

«Ok, ho detto una cavolata» sentenziò la bionda, ridendo per nascondere il proprio imbarazzo.

Regina continuava a guardarla senza battere ciglio. Poi, improvvisamente, posò lo scrigno e si alzò.

Emma fece un passo indietro. «Per favore, non sgridarmi» la supplicò. «So che ho detto una sciocchezza, ma ne dico talmente tante che ormai non dovresti farci caso».

«Emma, sei un genio!» esclamò Regina, e la bionda spalancò la bocca dalla sorpresa.

«Davvero?» chiese, aggrottando la fronte.

Sul viso di Regina si materializzò un largo sorriso. «E' il libro l'oggetto che ci serve! E' l'oggetto del presente, basterà scegliere un'immagine del libro, e torneremo a quel momento! E' assolutamente... geniale!»

Senza neanche rendersene conto, Regina si ritrovò a stringere le braccia intorno al collo di Emma, avvicinandosi a lei, baciandola con foga.

Emma non reagì subito. Fu colta alla sprovvista da quel gesto così spontaneo, e anche Regina doveva esserne rimasta sorpresa, perché la sua lingua esitò prima di insinuarsi tra le labbra di Emma.

Poi la Salvatrice chiuse gli occhi e si lasciò trasportare da ciò che sentiva. Strinse Regina per i fianchi, accarezzandole la schiena, cercando la sua lingua.

Regina tremò a quel contatto, e ogni insicurezza svanì. Si ritrovò a spingere Emma contro la parete, baciandola con passione, con forza, fino a sentire l'aria mancarle nei polmoni.

Emma cozzò contro il muro e trasalì, finché non urtò qualcosa che poi cadde a terra, infrangendosi sul pavimento.

Le due donne sobbalzarono. Si guardarono ai piedi, vedendo un vecchio candelabro spezzato a metà.

Emma si morse un labbro. «Regina, scusami...»

Ma Regina, sorprendentemente, rise. «Odiavo quell'orrore» e rise ancora, tanto che Emma sentì il petto riscaldarsi a quella vista, a quel suono.

Emma non riusciva a smettere di guardarla; le era mancato sentirla così vicina, le era mancata quella spensieratezza che provava ogni volta che si trovavano soltanto loro due, lasciando i loro problemi e tutto il resto del mondo fuori. Strinse un po' la labbra, continuando a guardare desiderosa quelle di Regina, ancora gonfie dopo il bacio, e ancora una volta lo sguardo le si posò sulla cicatrice.

Quando Regina si accorse che Emma la stava fissando abbassò lo sguardo, portandosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio, nascondendo l'imbarazzo. Si sentiva spoglia dopo il gesto che aveva fatto, si sentiva nuda agli occhi di Emma. Rialzò lo sguardo, trovando ancora una volta quello della bionda, e si decise a parlare.

«Scusami, Emma» bisbigliò, il sorriso che svaniva. «Non avrei dovuto dirti quelle cose, e non avrei dovuto...»

Emma la interruppe con un bacio, posando le sue mani sul viso di Regina.

«Anche io ti chiedo scusa» disse. «Abbiamo detto entrambe delle cose sbagliate. Eravamo arrabbiate e stanche...»

«Lo so, ma non è solo questo, è anche per... per tutto» intervenne Regina.

Emma la guardò. «Ehi, è tutto a posto. Io ho esagerato, è che forse ho... ho perso la testa. Per Robin».

Ci fu un momento di silenzio.

Emma dovette appellarsi a tutto il coraggio che aveva per pronunciare quelle parole.

«Forse sono un po' gelosa» disse, guardando a terra. «E' che tu ed Henry siete... siete la mia famiglia. E io ho...ho paura di perdervi. Di perdere...» ma non finì la frase, non ci riuscì.

Regina provò qualcosa di indefinito. Provò una sensazione di calore nel petto ma al tempo stesso un senso di tristezza la invase, nel profondo, una tristezza che non sapeva da dove provenisse.

Emma, dal canto suo, si liberò dalla stretta della donna e si allontanò. Era stata sincera con Regina ma per farlo aveva dovuto esporsi più di quanto era pronta a fare. Raggiunse lo scrigno, prendendolo in mano giusto per avere qualcosa da fare.

Regina avrebbe voluto dirle che non l'avrebbe persa, ma si fermò. Pensò al bambino che portava in grembo, suo figlio, il figlio di Robin. E si fermò.

Non era pronta a rassicurare Emma quando lei stessa non era sicura di niente.

«L'idea del libro» balbettò, esitante. «E' buona. Credo che possa funzionare».

Emma sorrise, ancora di spalle. Pensava di aver detto una stupidaggine, invece la sua idea era talmente brillante e intelligente, pensò, che si era addirittura meritata un bacio. E che bacio.

Scacciò il sorrisetto compiaciuto, prima di voltarsi. «C'è solo un problema, che il libro ce l'ha Henry».

Regina fece spallucce. «E' solo un'altra cosa da aggiungere alla lista delle cose da risolvere».

«Lista che per ora comprende...» Emma chiuse gli occhi per riflettere. «Andare a prendere la nostre cose a New York. Trovare un modo di aprire lo scrigno. Recuperare il libro. Applicare l'incantesimo il giorno del solstizio che è tra... due settimane?»

«Si, più o meno...» Regina si avvicinò a lei. «Comunque direi che andare a prendere le nostre cose a New York possa scivolare in fondo alla lista. Non pensi?»

«Ehi!» la ammonì Emma. «Mi manca il mio maggiolino! L'ho lasciato solo a Villa Demon. Si sentirà abbandonato!»

Emma si portò una mano sulla nuca, aspettandosi che Regina le tirasse uno schiaffo com'era solita fare. Invece Regina scoppiò a ridere di gusto, e subito dopo anche Emma.

Risero insieme, e in un attimo tutta la tensione che si era creata tra loro sembrava solo un lontano ricordo.

 

**

 

«Regina?»

Si erano messe a letto – Regina nel letto, Emma sul pavimento – dopo quasi 48 ore ininterrotte.

Emma bisbigliò, sapeva che Regina stava dormendo. Infatti la mora non rispose.

«Regina?» ripeté, stavolta sfiorandole il braccio con una mano.

Regina si mosse. «Che vuoi, Swan?»

«So che stai dormendo, ma...»

«Se lo sai, perché mi parli?»

Emma rise. «Devo chiederti una cosa».

Regina capì che non avrebbe potuto dormire, almeno finché Emma non le avesse fatto quella domanda. Aprì gli occhi, nel buio, cercando di non assopirsi.

«Dimmi» la incoraggiò.

Emma prese un grosso sospiro. «Hai intenzione di dire a Robin del bambino?»

Regina trasalì. Non si aspettava una domanda del genere, non in quel momento.

«Non... non lo so» balbettò. «Una parte di me mi suggerisce che... che ha il diritto di saperlo. Ma c'è una parte, in un piccolo angolo della mia testa che.... che non...»

Che non si fida, pensò Emma. Ma non osò parlare, non dopo che si erano riconciliate.

«Non lo so, Emma» disse infine Regina. «Come mai me lo chiedi?»

Che domanda stupida, pensò Regina. Era ovvio perché glielo stesse chiedendo. La aveva baciata. Lei era incinta, e l'aveva baciata. Sicuramente Emma si stava chiedendo il risvolto che quel bacio – e quello che provavano l'un l'altra – avrebbe avuto su tutta la storia del bambino. Il problema, però, era che lei non aveva una risposta.

La voce di Emma la riportò alla realtà. «Voglio solo che tu sappia che... qualsiasi decisione prenderai, io ti appoggio».

Fu uno sforzo immane dire quelle parole a Regina. Ma era la cosa giusta da dire, doveva darle il suo sostegno, doveva starle accanto qualsiasi decisione avrebbe preso. Emma voleva che Regina fosse felice, e lei non gliel'avrebbe mai impedito. Nemmeno se quella felicità comprendeva Robin e non lei.

Regina rimase sorpresa dal discorso di Emma, e sorrise nel buio.

«Grazie».

Anche Emma sorrise e si girò su un fianco, addormentandosi quasi subito.

 

**

 

«Emma?»

Regina non era più riuscita a prendere sonno.

«Emma, sei sveglia?»

La ragazza mugugnò in risposta. «Più o meno».

Regina sospirò. «So che cos'hai provato quando siamo arrivate in quel punto del bosco. Quello dove è morto Neal».

Emma riaprì gli occhi. Non parlò, ma Regina proseguì, come se sapesse che la stava ascoltando.

«Provavo le stesse cose ogni volta che andavo alle stalle. E' lì che è morto Daniel. Cioè, è lì che mia madre... l'ha ucciso».

Emma si mosse così velocemente che se fosse stata sul letto sarebbe caduta.

«Aspetta, tua madre...» si mise a sedere. «Tua madre ha ucciso Daniel?»

«Sì. Proprio davanti ai miei occhi».

«Non lo sapevo, non me l'avevi mai detto» aggiunse Emma. «Non immaginavo affatto che... mi dispiace, Regina».

La mora non rispose, ed Emma si distese di nuovo, coprendosi con la coperta.

«Passerà mai?» domandò, dopo un momento di silenzio.

Regina sospirò. La domanda era implicita, ma lei aveva capito benissimo a cosa Emma si riferisse.

«No, non passerà mai» rispose, trattenendo una lacrima. «Devi solo imparare a conviverci. Con il dolore. Con la mancanza».

«Tu ci riesci? A conviverci?»

Regina sentì la voce di Emma tremare. Capì che si stava trattenendo dal piangere, proprio come lei.

«Non sempre» sussurrò.

Emma sospirò. Allungò una mano, cercando quella di Regina. La trovò nel buio, e subito la mora intrecciò le dita alle sue. Le lacrime cominciarono a scendere calde sulle guance di Emma, e Regina lo percepì, perché strinse la sua mano ancora di più.

«Emma» bisbigliò, cercando di non lasciarsi trascinare dal pianto. Doveva essere forte. Doveva essere forte, per Emma.

«Si?» rispose la bionda, in un suono strozzato.

«Vuoi...» Regina si bloccò. Il cuore le batteva frenetico. «Vuoi dormire qui, con me?»

Il cuore di Emma, invece, si fermò.

Non rispose. Si limitò a togliersi la coperta di dosso, alzarsi, e adagiarsi un po' goffamente accanto a Regina che, intanto, le aveva fatto posto. Si asciugò le lacrime, prima di stendersi accanto a lei.

Erano una di fronte all'altra, talmente vicine che le loro fronti si toccavano. Il letto era stretto, ma nessuna delle due ci fece caso. Avevano ancora le mani intrecciate quando Regina, con una lieve incertezza, sollevò la mano di Emma e se la portò sul ventre.

Emma trasalì. Se prima il cuore le si era fermato, ora stava battendo all'impazzata. Adagiò delicatamente la mano sul grembo di Regina, sentendo un'emozione crescere dentro di lei sempre di più, la stessa emozione che provava anche Regina.

Si sorrisero, anche se non potevano vedersi, ma non importava; sentivano la presenza l'una dell'altra e in quel momento era tutto ciò di cui avevano bisogno. 




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** Ciao team SwanQueen! 
Eccomi con un nuovo capitolo di questa long che, con mio grande piacere, state tutti apprezzando. Sono molto felice di questo e vi ringrazio <3
Questo capitolo mi è piaciuto particolarmente scriverlo, e sono molto soddisfatta del risultato. Il finale, soprattutto, mi scalda il cuore perché è un confronto (quello Daniel/Neal) che avrei sempre voluto vedere tra le due. Hanno passato tante vicende molto simili queste due, non trovate? Penso abbiano più cose in comune di quanto se ne rendano conto e vorrei vedere interagire di più anche su queste cose del "passato". Tra virgolette perché la questione Neal è molto recente, in verità.
Anyway, spero che il capitolo vi sia piaciuto, alla settimana prossima team. Un abbraccio <3

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Capitolo 12
*** Dodici giorni prima del solstizio d'estate. ***


CAPITOLO 12
Dodici giorni prima del solstizio d'estate




«Emma! Attenta!»

Regina gridò con tutta la voce che aveva, ma era troppo tardi.

L'ombra aveva preso Emma, anzi l'aveva... attraversata.

Era inconsistente, non poteva afferrarla, però si era impossessata di lei, trapassandola da parte a parte, investendola in pieno petto.

Emma aveva barcollato, spalancando gli occhi, per poi cadere sulle ginocchia e accasciarsi a terra.

«Emma!» gridò di nuovo Regina, e corse verso di lei, per raggiungerla.

Ma non ci riusciva.

Più correva, più Emma si allontanava. Sentiva le gambe cedere dalla stanchezza, ma in realtà era ferma, era come se corresse sul posto, lasciando che quel poco che rimaneva di Emma sparisse davanti ai suoi occhi, e lei era completamente impotente.

Chiuse gli occhi. Il cuore le batteva forte nel petto.

Quando li riaprì era nel letto, nella cripta. Emma era profondamente addormentata accanto a sé. Inspirò a fondo, e le sembrò di non aver respirato per giorni.

Era solo un sogno, un brutto sogno.

Regina si mise un po' ad ambientarsi, e si rese conto di essere rannicchiata in un angolo del letto e di aver dormito nella posizione più scomoda del mondo.

Emma era accanto a lei. Certo, era in una posizione per niente elegante, e prendeva quasi tutto lo spazio costringendo lei a starsene in bilico sul suo lato, ma era lì con lei, stava bene. Era stato solo un brutto sogno.

La bionda aveva la testa appoggiata alla sua spalla, e lei cercò di muoversi delicatamente per non svegliarla. Cosa che, ovviamente, non le riuscì.

«...Gina».

Un suono sommesso, un mugolio quasi indecifrabile.

«Swan?»

«Mh?»

«Mi stai sbavando addosso» proseguì Regina, togliendo la spalla e facendola cadere con la faccia sul cuscino.

Emma alzò a fatica la testa e si impose di aprire gli occhi, mentre Regina si alzava.

«Sei intrattabile la mattina» biascicò.

«Non è la prima volta che me lo dici» replicò Regina, con una punta di compiacimento.

«Questo perché sei sempre intrattabile» brontolò Emma, prima di girarsi a pancia in su. Poi sollevò appena la testa per guardarla. «Ma quanto abbiamo dormito?»

Regina non rispose. «Non lo so, ma so che abbiamo poco tempo per recuperare il libro e riuscire ad applicare l'incantesimo».

Emma si mise a sedere, stiracchiandosi. Dopo un enorme sbadiglio, disse: «Come possiamo farci dare il libro se l'armadio non funziona più e non abbiamo modo di creare un portale?»

«Pensavo di chiedere aiuto ad Hans» rispose Regina, mettendosi di nuovo a sedere sul letto. Poi proseguì. «Se è riuscito a far arrivare Tremotino ad Arendelle, usando la penna e l'inchiostro magico, chissà... magari può farci arrivare il libro».

Emma si alzò in piedi. «Mi sembra un'ottima idea! Io direi di contattare subito Henry. Dopo propongo di andare a fare colazione, perché...» Emma si mise una mano sullo stomaco. «Sto morendo di fame».

Regina sorrise. «Ora capisco dove nostro figlio ha preso il suo grande appetito».

 

**

 

Ci misero più tempo del previsto a contattare Henry tramite il frammento di specchio. Non era sempre possibile connettersi, a volte le immagini risultavano sgranate e le voci arrivavano lontane, quasi in un sussurro.

Avevano sentito Henry soltanto un'altra volta, dopo la prima, ed era sempre stato lui a contattare loro. Non sapevano perché ma per loro era più difficile.

Dopo vari tentativi, il viso di Henry apparve nel piccolo frammento di specchio.

«Mamme!» gridò, entusiasta.

«Ehi, ragazzino!» lo salutò Emma.

«Ciao, tesoro!» disse Regina.

Henry mostrò un largo sorriso. «Come state?»

«Noi stiamo bene, tu piuttosto?» domandò Regina, preoccupata. «E' tutto tranquillo ad Arendelle?»

Henry annuì. «Tutto a posto. Come procede la vostra Operazione Scoiattolo?»

Emma e Regina sentirono una nota di soddisfazione nella voce di Henry. Era contento che questa cosa di dare il nome alle operazioni avesse contagiato anche loro.

«Procede, diciamo» rispose Emma. «Un po' lentamente, ma procede. A proposito di questo, abbiamo bisogno di chiedere un favore ad Hans».

Henry annuì e subito andò a chiamare l'Autore. Aveva capito che si trattava di una cosa importante, e visto la scarsità delle comunicazioni che potevano avere, decise di non perdere tempo.

«Regina, Emma, che piacere rivedervi!» esordì l'uomo, con un gran sorriso. «In cosa posso esservi utile?»

Le due donne raccontarono ad Hans della loro idea per poter avere il libro di Henry. L'uomo rifletté qualche secondo.

«Penso si possa fare» disse, infine. «Dovete dirmi un punto preciso in cui dovrò far aprire il portale. Forse è meglio un luogo isolato, lontano da occhi indiscreti».

Regina annuì. «Pensavo che potevamo farlo apparire dal pozzo di Storybrooke. Si trova nel bosco, potrebbe essere il posto adatto».

«E' perfetto!» esclamò Hans. «Posso farlo passare dal Pozzo dei Desideri al pozzo di Storybrooke. Facciamo questa sera? Il tempo di raggiungere il pozzo».

«E' perfetto, Hans, noi saremo là» disse Emma. Poi guardò Regina. «Vogliamo parlare anche con Tremotino, già che ci siamo?»

Regina annuì. Ringraziarono Hans e dopo pochi istanti arrivò Tremotino.

«Di cosa avete bisogno, stavolta?» domandò l'uomo, sarcastico.

Emma e Regina si guardarono, alzando gli occhi al cielo. C'era davvero un abisso tra la gentilezza con cui Hans si offriva di aiutarle e l'ironia con cui Tremotino faceva pesare loro anche il minimo sostegno.

«Vogliamo sapere dello scrigno» iniziò Regina. «Lo scrigno che avevi nascosto nel bosco e che abbiamo recuperato con la mappa».

Tremotino si irrigidì.

«C'è una sola persona che conosceva l'ubicazione dello scrigno. Cosa avete fatto a Belle?»

Emma sbuffò. «Niente, Belle sta bene. Rispondi alla domanda».

«Prima che risponda, lasciate che vi faccia io una domanda» disse Tremotino, in tono saccente. «Perché vi serve quell'oggetto?»

«Potrebbe essere l'oggetto che inghiottirà il futuro dentro di sé e ci permetterà di mettere le cose a posto» spiegò Regina. «Non è così?»

«Oh sì, è così» rispose Tremotino. «Ma non è lo scrigno che vi serve. È l'oggetto che si trova al suo interno».

Emma e Regina, ancora una volta, si scambiarono un'occhiata.

«Che oggetto è?» domandò Emma.

«E' un medaglione. Funziona automaticamente sotto la luce della luna il giorno del Solstizio d'estate. Dovrete soltanto averlo al collo quando l'incantesimo si compirà, altrimenti verrete risucchiate anche voi».

«Come apriamo lo scrigno?» domandò Regina, ma Tremotino non fece in tempo a rispondere che la comunicazione si interruppe.

«Tremotino?» domandò Regina, scuotendo il frammento di specchio. «Tremotino? Al diavolo!»

Fece per buttare il frammento, ma Emma la bloccò.

«Fa attenzione!» la ammonì. «Potrebbe rompersi, e non avremo più modo di contattare Henry».

Regina sospirò. «Si, hai ragione. Non so che mi prende, mi agito per niente ultimamente».

«E' normale» disse Emma. «Probabilmente è anche per la gravidanza che sei un po' sotto sopra».

Regina guardò Emma rivolgerle un piccolo sorriso impacciato.

«Proviamo ad aprire questo scrigno?» propose Emma, dopo un momento di silenzio.

«Ma non sappiamo come» ribatté Regina, prendendo in mano l'oggetto.

Emma ammiccò. «Con la nostra magia possiamo fare qualunque cosa. Ormai dovresti saperlo».

Regina rise, vedendo la spavalderia di Emma su un argomento che fino a poco tempo prima le era estraneo. Le rivolse un sorriso compiaciuto.

«Riesce sempre a sorprendemi, Miss Swan».

Emma rise a sua volta. «Ci sono ancora tante cose di me che non conosce, Vostra Maestà».

Regina posò lo scrigno sul baule davanti allo specchio, ed entrambe vi si misero davanti. Allungarono le mani, portando i palmi aperti verso lo scrigno, pronte a scagliare il loro potere contro lo scrigno.

Ma non accadde nulla. Regina riuscì a far scaturire un piccolo lampo di luce rossa, mentre dalle mani di Emma non uscì niente.

La bionda si guardò i palmi, confusa. «Non capisco che succede».

Regina la guardò. «Forse non è il metodo giusto. Forse non è questo il modo per aprire lo scrigno».

Emma non parve convinta. «Ho una sensazione strana» disse.

Regina si voltò a guardarla. «Che cosa?»

La bionda non rispose subito, facendo cadere il silenzio tra loro. Si continuò a guardare le mani, senza capire.

«Forse sono solo paranoica».

Regina vide l'espressione preoccupata e confusa della ragazza, così le posò una mano sulla spalla.

«Andiamo a fare colazione?» domandò poi. «Ci riproveremo più tardi».

Emma, debolmente, sorrise. Per quanto tutta quella situazione fosse complicata, avere Regina al suo fianco rendeva tutto molto più semplice.

 

**

 

Mentre raggiungevano Granny, Regina ripensò al sogno che aveva fatto, chiedendosi se fosse il caso di parlarne con Emma.

Lanciò un'occhiata alla bionda, e notò che il suo umore era leggermente migliorato dopo il tentativo di aprire lo scrigno. Decise di non preoccuparla ulteriormente con le proprie paranoie. In fondo, era stato solo un brutto sogno.

Ma una parte di lei, nel suo subconscio più profondo, non riusciva a darsi pace e la spingeva a mantenere una vigilanza costante.

«Regina!»

Regina sobbalzò. Lei ed Emma si voltarono e videro Robin correre verso di loro. Emma si sforzò di trattenere un'imprecazione.

«Ciao, Robin» lo salutò Regina.

«Mi stavo preoccupando» esordì l'uomo, quando fu davanti a loro. «Siete sparite per quasi due giorni. Credevo che vi fosse successo qualcosa».

«Due giorni?» esclamò Regina, guardando Emma.

La bionda alzò le spalle. «Avevamo del sonno arretrato» borbottò. «Vado a prendere la colazione».

Emma, anche se con riluttanza, entrò da Granny. Non le piaceva particolarmente l'idea di lasciare Regina e Robin da soli, ma al tempo stesso doveva lasciare che le cose facessero il loro corso. Aveva detto a Regina che l'avrebbe sostenuta qualsiasi fosse la sua decisione, e non doveva essere influenzata da niente e nessuno, nemmeno da lei.

«Stai bene, Regina?» domandò Robin, facendo un passo in avanti.

«Sto bene, grazie» rispose lei, sorridendo.

«Avete fatto dei progressi con la preparazione dell'incantesimo?»

Regina esitò. «Non molti» disse. «Ma stasera proveremo a recuperare un oggetto dal pozzo».

«Avete bisogno di qualcuno che vi guardi le spalle?»

Emma ritornò con due bicchieri e un sacchetto bianco.

Regina si irrigidì.

«No, grazie, ce la caviamo da sole» rispose, in fretta. «Buona giornata, Robin».

E si avviò velocemente, lasciando Robin ed Emma a guardarla interrogativi.

«Buona giornata» aggiunse Emma, con lieve soddisfazione. Poi seguì Regina.

La donna camminava velocemente, sbattendo i piedi a terra, senza nemmeno voltarsi quando Emma l'aveva chiamata.

«Regina, che ti prende?» Emma si infilò il sacchetto sotto braccio e afferrò quello della donna. «Stai bene?»

Regina si immobilizzò. «Sto bene» sbraitò, liberando il braccio dalla presa della ragazza.

Emma la guardò per qualche secondo, in silenzio.

«Scusami» disse Regina. «Sono solo nervosa».

La bionda non rispose. Si limitò a porgerle il sacchetto bianco. «Muffin?»

Regina guardò prima Emma poi il sacchetto. Sorrise. In un modo o nell'altro Emma Swan riusciva sempre a strapparle un sorriso. Afferrò il sacchetto e ripresero a camminare.

«Sai che se hai bisogno di parlare» iniziò Emma, ad un tratto. «Puoi farlo con me, vero?»

Regina sospirò. «Grazie. Ma non voglio assillarti».

«Ma non mi assilli» rispose Emma. Le lanciò un'occhiata. «Sei sicura che tra noi sia tutto a posto?»

Regina rallentò. «Certo. Perché me lo chiedi?»

Emma alzò le spalle. «Non lo so, è il mio superpotere che mi dice che qualcosa non va. Ti comporti in modo strano, sei silenziosa e... sfuggente».

Regina riprese a camminare normalmente. Forse Emma aveva ragione; si sentiva in colpa, verso di lei. Forse per le parole che le aveva detto riguardo l'aver abbandonato Henry, forse per il continuo intromettersi di Robin Hood. O forse c'era dell'altro, ma lei non riusciva ad ammetterlo.

«Sto bene» rispose. «Sono solo un po' confusa per tutta questa faccenda del bambino».

Emma aprì la bocca per parlare, ma si fermò subito. Era sicura che non avrebbe saputo dare un'opinione obiettiva a Regina. Avrebbe voluto che si lasciasse alle spalle Robin e tutto il resto, ma capiva che non era così facile.

«Forse devi solo portare pazienza fino a che non riusciamo a spezzare il sortilegio» disse. «Una volta che tutto sarà tornato alla normalità forse riuscirai a fare chiarezza e prenderai la decisione giusta. E in ogni caso, io ti sosterrò».

Regina guardò Emma, che tuttavia teneva lo sguardo davanti a sé. Guardò il suo profilo, i suoi capelli mossi appena dall'aria, il sorriso spontaneo. Pensò che era fortunata ad averla al suo fianco. Ma quel senso di tristezza non accennava minimamente ad andarsene.

 

**

 

Al tramonto, Regina ed Emma erano già arrivate al pozzo di Storybrooke.

Quando erano ritornate alla cripta, avevano tentato di aprire lo scrigno per estrarre il medaglione, ma ancora una volta non ebbero successo. Emma si sentiva sempre più irrequieta per il fatto che non riuscisse a usare la magia, e menre Regina cercava di rassicurarla dando la colpa alla stanchezza, alla poca concetrazione e a tante altre cose, Emma sapeva che qualcosa non andava. Ma non riusciva a capire cosa e si sentiva sempre più frustrata. Regina le promise che una volta recuperato il libro l'avrebbe aiutata ad esercitarsi, esattamente come avevano già fatto un tempo.

Quando si avviarono al pozzo era il tramonto. Attesero un po', ed era già buio quando un fiotto di luce apparve risalendo nel pozzo, portando con sé il libro di Henry.

Il grosso volume marrone rotolò sull'erba con un tonfo. Le due donne si avvicinarono, raccogliendolo da terra.

Emma lo sfogliò, aprendolo alla pagina in cui lei e Regina si tenevano per mano, a Storybrooke. Le sfuggì un sorriso.

«Ecco, è questo» disse la bionda, indicando la pagina. «E' questo il momento a cui vorrei tornare».

Emma alzò lo sguardo su Regina, che le sorrise.

«Anche se questo momento, tecnicamente... non lo abbiamo vissuto» proseguì Emma. «Pensi che dovremo usare un momento reale?»

Regina non rispose subito, ma prese il libro dalle mani di Emma, e lo sfogliò.

«Penso che vada bene» disse, incerta. «Alla fine, se attraverso l'armadio fossimo arrivate nell'epoca giusta, probabilmente saremmo arrivate alla torre dell'orologio».

Emma annuì. «Speriamo solo che la torre non copra la luna» scherzò.

Regina rise. «Troveremo il modo di farlo funzionare».

In quel momento, dal pozzo scaturì un altro fascio di luce e le due donne sussultarono, voltandosi di scatto.

«Che succede?» disse Regina, stringendo il libro come se potesse scivolarle dalle mani da un momento all'altro.

Emma spalancò gli occhi in direzione del pozzo e vide qualcos'altro uscire dalla luce.

«Ma cosa...» bisbigliò, correndo verso l'oggetto che era caduto sull'erba. «Ragazzino...» sussurrò tra sé e sé, raccogliendolo.

Regina le si avvicinò. «Ora sì che sembra tutto tornato alla normalità».

Emma arricciò le labbra in un ghigno spavaldo. «Ora sono pronta ad affrontare qualsiasi cosa» disse, infilandosi il giacchetto rosso.

 

**

 

Regina trasportò entrambe di nuovo alla cripta. Ma non appena entrarono si ritrovarono nel caos più totale.

Tutti gli oggetti che Regina aveva meticolosamente sistemato sulle pareti erano a terra, alcuni distrutti in mille pezzi. Il letto era rovesciato, anche lo specchio non era più sulla parete, e il baule era aperto, ed era evidente che qualcuno vi aveva frugato dentro.

«Ma cosa diavolo...?»

Regina corse all'entrata a controllare la porta. L'aveva sigillata con la magia, come faceva sempre, e infatti era ancora chiusa. Non c'era segno di scasso o di qualcuno che aveva provato ad aprila forzandola.

Ritornò da Emma, che intanto stava valutando la situazione.

«Qualcuno è entrato per rubare qualcosa, non c'è altra spiegazione» disse, raccogliendo lo specchio da terra e riposandolo al suo posto.

Non ci fu bisogno di aggiungere altro. Con uno sguardo, Emma e Regina capirono che cosa era stato rubato.

Squadrarono la cripta da cima a fondo per almeno un'ora, spostando gli oggetti, guardando sotto ai mobili, in ogni angolo. Ma dello scrigno non c'era alcuna traccia.

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Capitolo 13
*** Dodici giorni prima del solstizio d'estate. ***


Capitolo 13 
Dodici giorni prima del solstizio d'estate



 

«E' stato Robin».

Emma aveva pronunciato quella frase con voce gelida, quasi meccanica.

Regina sgranò gli occhi, guardandola allibita.

«Non dirai sul serio, vero?»

Emma si avvicinò a Regina, la prese per le spalle e piantò gli occhi nei suoi.

«Adesso dimmi cosa gli hai detto stamattina, mentre ero da Granny» gridò. «Dimmi che non gli hai detto cosa stavamo facendo. Dimmi che non gli hai detto che stasera saremmo andate nel bosco lasciando la cripta vuota. Se mi dirai questo crederò alla sua innocenza».

Regina non si mosse.

Si sentiva abbattuta, affranta. Avrebbe tanto voluto dire ad Emma che si sbagliava. Che Robin non sapeva niente, che era innocente, che non c'entrava nulla. Ma non poteva.

«Sì, lo sapeva» sussurrò, distogliendo lo sguardo. «Sapeva cosa stavamo facendo».

Emma ringhiò e come una furia si diresse all'uscita della cripta.

«Emma, fermati!» Regina la inseguì, ma la ragazza era già uscita, correndo nel parco. «Emma, maledizione, fermati!»

Regina scomparì, riapparendo davanti ad Emma, sbarrandole il cammino.

«Emma, mi vuoi dare ascolto?»

La bionda sbraitò. «No! Dovevamo fare a modo mio fin dall'inizio!»

«Abbiamo fatto a modo tuo» replicò Regina. «Hai voluto coinvolgere Robin nel piano per metterlo alla prova».

«Prova che, evidentemente, non ha superato!» Emma gridava più di quanto volesse. «Sapeva dei nostri piani e ha aspettato un momento di distrazione per sottrarci lo scrigno».

Regina non rispose subito. Non voleva crederci. Cercò velocemente una spiegazione logica, ma dovette arrendersi.

«Ammetto che sia sospetto» disse, infine. Lo disse più che altro per calmare Emma, non perché ne era convinta. «Ma piombare da Robin in piena notte accusandolo di averci derubato non serve a niente».

Emma lanciò un grido sommesso. «Abbiamo poco tempo, Regina. Mancano meno di due settimane al solstizio! Dobbiamo assolutamente recuperare lo scrigno, non sappiamo ancora nemmeno come aprirlo!»

Regina le posò una mano sulla spalla. «Emma, calmati».

La bionda, a quel contatto, si calmò appena. Cominciò a respirare a fondo l'aria tiepida di giugno, ispirando e rilasciando l'aria come se fosse rimasta per troppo tempo in apnea.

«Hai in mente qualcosa?» domandò Emma, dopo un po'.

Regina annuì. «Andrò da Robin, con una scusa. E cercherò in casa quel dannato scrigno».

«Non puoi sapere se l'ha nascosto in casa».

«Lo so, ma dobbiamo pur cominciare da qualche parte. E non sappiamo nemmeno se effettivamente l'ha rubato lui».

Emma stinse i pugni.

«Perché ti ostini a ignorare l'ovvio, Regina? Robin è un ladro!»

Regina si morse un labbro. «Emma, non c'erano segni di scasso sulla porta. Era ancora sigillata esattamente come l'avevo lasciata io. Robin non sarebbe potuto entrare, non senza l'aiuto...»

Emma inarcò le sopracciglia. «...della magia» terminò, al posto di Regina. Che annuì.

«Adesso, per favore, torniamo dentro» disse Regina, spingendola per le spalle verso l'entrata della cripta. «Dobbiamo pensare a cosa fare».

«Io so già cosa fare» sbraitò Emma, gesticolando freneticamente per liberarsi dalla presa di Regina. «Vado a dare a Robin un bel pugno in faccia!»

Regina alzò gli occhi al cielo, spazientita. «Emma, ti prego scusami».

Emma si bloccò. «Per cosa?»

«Per questo» e con un gesto della mano la fece addormentare, afferrandola prima che cadesse. «Scusami, cara. Ma sei un po' più gestibile mentre dormi».

 

**

 

Di nuovo nella cripta, Regina ne approfittò per ragionare su tutto quello che era successo negli ultimi giorni.

Non poteva credere che Robin fosse davvero colpevole e doveva trovare delle prove che lo scagionassero.

E' vero, lei gli aveva parlato di ciò che volevano fare e lui sapeva che quella sera non sarebbero state alla cripta. Ma a suo favore c'era il fatto che chiunque fosse entrato lì dentro aveva usato la magia, e lui non ne era capace. Ma se qualcosa fosse cambiato mentre erano lontani? Non sapeva niente di Robin, di ciò che aveva fatto a New York, del perché ora era lì.

Non è vero, si disse. Sapeva perché era lì, era lì per lei. Ma allora perché continuava ad avere quei dubbi?

Lanciò uno sguardo ad Emma, ancora addormentata sul letto. Possibile che fossero le sue parole a insinuarle tutti quei dubbi su Robin? Lei non poteva credere che fosse colpevole, ma allo stesso tempo dovette ammettere che non era del tutto convinta.

Poi si ricordò del sogno che aveva fatto, su Emma e sull'ombra. Quell'ombra che aveva visto anche lei al confine, l'ombra che avevano visto fuori dal negozio di Gold quando erano tornate per aprire il portale. Quell'ombra, qualsiasi cosa fosse, era magica. E se era magica, poteva essere potenzialmente pericolosa.

Si mise a cercare informazioni nei suoi libri di magia, ma più li sfogliava, più la ricerca risultava inconcludente. Stava leggendo un libro sulla magia oscura quando Emma si svegliò di soprassalto.

«Regina... cosa... cosa è successo?» gridò, rischiando di cadere dal letto.

«Ehi, Emma, tranquilla» la rassicurò Regina, mettendo da parte il libro per raggiungerla. «Stai bene?»

«Sì, ma cosa è successo?» chiese Emma, confusa.

Regina increspò le labbra in un lieve sorrisetto. «Sei caduta e hai sbattuto la testa».

Emma la squadrò da capo a piedi. «Ricordati che io so riconoscere qualcuno quando mente. Soprattutto se quel qualcuno sei tu» e le puntò un dito contro. «Non sono affatto caduta!»

Stavolta Regina rise di gusto. «Scusami, Emma, ma dovevi darti una calmata».

Emma alzò gli occhi al cielo, lasciandosi ricadere sul letto. «Sei assurda, Regina. Credi che questo mi abbia fatto cambiare idea su Robin Hood?»

«No» rispose pronta Regina. «Ma mi ha dato del tempo per riflettere».

Emma si rialzò, ma restò in silenzio e Regina proseguì.

«Ammetto che qualcosa non torna in tutta questa storia» disse, a malincuore. «Però non ho intenzione di andare da Robin e accusarlo di qualcosa di cui non siamo certe».

Emma cercò di protestare, visibilmente infastidita, ma Regina non glielo permise.

«Ecco la mia proposta» disse Regina. «Andrò da Robin e lo terrò d'occhio. Cercherò lo scrigno in casa, e se non trovo niente entro, diciamo...»

Regina si fermò, cercando di soppesare le parole. Ci sarebbe voluto tempo per cercare lo scrigno, ma non voleva concedersi più tempo di quello che effettivamente avevano. Mancavano meno di due settimana al solstizio e loro erano ancora in alto mare, senza contare che Emma avrebbe potuto dare di matto mentre lei era con Robin.

«Se non trovo niente entro tre giorni» azzardò la donna, «allora lo lascerai in pace».

Emma restò immobile e in silenzio per un secondo, per poi scoppiare a ridere. Soltanto quando si rese conto che Regina era seria, ritornò ad agitarsi.

«Pensi di stare a casa tua con Robin per tre giorni? Non ne se parla!»

Emma sospirò a fondo, quando finì la frase. Regina la guardò, confusa.

Nessuna delle due capì la reazione eccessiva di Emma. O meglio, entrambe la capivano, ma nessuna delle due lo ammetteva.

Non era solo una questione pratica, o di tempo. Emma, alla sola idea di Regina con Robin, si sentiva ribollire di rabbia.

«Emma, voglio capire se c'è davvero una possibilità che lui possa essere coinvolto» spiegò Regina. «Non posso credere che sia davvero così, devi almeno concedergli il beneficio del dubbio. Almeno fallo per me».

Emma sospirò.

«Conosco Robin» continuò Regina, e per la prima volta parlò a cuore aperto. «So che la situazione è complicata a causa di... di quello che c'è tra noi» un lieve rossore comparì sulle sue guance. «Ma Robin è una brava persona. Devi permettermi di capire come stanno le cose. Se scoprirò che è stato lui a rubare lo scrigno, allora ti permetterò di prenderlo a pugni».

Emma non rispose subito. Si alzò dal letto, facendo avanti e indietro un paio di volte.

Quello era già un passo avanti, pensò. Fino a pochi giorni prima, Regina era irremovibile sull'accusare Robin, mentre adesso almeno si era preoccupata di ascoltarla e prendere in considerazione le sue idee. Non poté fare a meno di chiedersi se Regina sospettasse davvero di Robin, o se si comportasse così solo perché si sentiva in colpa per la loro lite di qualche giorno prima. Lite che, secondo Emma, era ormai superata, ma forse per Regina non era così.

Decise, tuttavia, di non toccare l'argomento e accettare la proposta di Regina. «D'accordo, ma devo aggiungere una condizione».

Stavolta fu Regina a restare in silenzio per farla proseguire.

«Se entro tre giorni non scopri niente, gli dirai che abbiamo preso il libro e che stiamo per fare l'incantesimo».

Regina sbuffò. «Vuoi tendergli un'altra trappola?»

«A lui o chiunque possa esserci dietro al sortilegio» disse Emma. «Soltanto che stavolta noi saremo preparate».

Regina attese qualche secondo, poi porse la mano ad Emma. «Ci sto».

Emma guardò Regina poi la mano tesa, prima di stringerla.

«Comunque sappi che non ho intenzione di stare là» aggiunse Regina, tornando a sfogliare il libro che stava leggendo. «Tornerò qui, se vuoi».

Emma tirò un sospiro di sollievo. Le due non si guardarono. Ma entrambe sapevano che l'altra stava sorridendo.

«E mentre sei da Robin cosa dovrei fare, io?» ricominciò Emma, dopo un lungo momento di silenzio.

«C'è una cosa che potesti fare, ma devi promettermi di stare molto... molto attenta».

Emma restò in silenzio, dando la possibilità a Regina di proseguire.

«Dovresti cercare informazioni sull'ombra».

«Su quell'ombra che abbiamo visto?»

Regina annuì. «Credo che possa essere pericolosa. So che ora dirai che non sono obiettiva, ma chiunque sia entrato qui dentro possiede la magia, e Robin non è tra questi. Quell'ombra invece, qualsiasi cosa sia, ce l'ha. Era al negozio di Gold quando siamo andate a controllare il portale. Ed era al confine la sera che ci abbiamo portato Belle. Ci sta seguendo».

«E pensi che sia stata l'ombra a portare via lo scrigno? Un'ombra totalmente inconsistente e informe?»

«So che può sembrarti assurdo, ma lo è almeno quanto io trovo assurdo che ci sia Robin dietro tutto questo» Regina fece una pausa. «Quindi troviamo un compromesso. Io penso a Robin e tu all'ombra».

Emma dovette ammettere che il ragionamento e il piano di Regina aveano senso. Con un gran sospiro, accettò.

«Domani andrò in biblioteca a cercare informazioni» disse Emma, anche se con poco entusiasmo.

«Emma però devi promettermi che starai attenta» ripeté Regina, avvicinandosi verso di lei.

«Certo, starò attenta» disse Emma, socchiudendo gli occhi come per decifrare la sua espressione.

«Il fatto è che...» Regina le prese timidamente una mano. «Ho fatto un sogno che ti riguardava. L'ombra ti... attraversava, tipo. Non sappiamo di cosa possa essere capace, qualsiasi cosa sia, e io non voglio che ti accada niente».

Emma sorrise, abbassando lo sguardo.

«Regina Mills, sei estremamente tenera quando ti preoccupi per me».

Regina arrossì violentemente e le lasciò la mano con uno scatto.

«Falla finita, Swan».

Emma rise. «Agli ordini, Vostra Maestà».

 

**

 

Il mattino successivo Emma andò in biblioteca, come deciso.

Quando entrò cercò di non dare troppo nell'occhio e soprattutto evitò Belle, che come sempre era dietro la scrivania. Aveva paura che potesse ricordarsi di quello che era successo al confine, perciò decise di mantenere un profilo basso.

Cercò i volumi di magia che Regina le aveva consigliato, prendendoli dagli scaffali e impilandoseli su un braccio. Erano volumi vecchi e logori, piuttosto pesanti e impegnativi, ma comunque, si disse, aveva tempo. Doveva pur tenersi impegnata mentre Regina avrebbe passato il tempo con Robin.

Non sopportava l'idea che Regina e Robin potessero stare insieme sotto lo stesso tetto, non sopportava l'idea che Robin si avvicinasse a lei. Chissà, magari presa dalla situazione, gli avrebbe pure detto del bambino.

Non avevano affrontato la questione, ed Emma si sentiva una stupida. Avrebbe dovuto chiedere di nuovo a Regina se avesse avuto intenzione di parlare a Robin del bambino. Ma ora era troppo tardi, non c'era più tempo di parlare di quell'argomento, avevano questioni più urgenti da risolvere.

Si chiese se non fosse completamente accecata dalla gelosia, tanto da vedere in Robin il nemico. Poteva davvero essere lui, l'artefice del sortilegio? Non riusciva a darsi una risposta razionale, così smise di chiederselo.

Con quattro volumi – di almeno ottocento pagine l'uno, visto il peso – raggiunse il bancone.

«Una lettura leggera» le sorrise Belle, scherzando.

Emma le sorrise di rimando. Questo faceva ben sperare che Belle non si ricordasse niente.

Mentre Belle controllava i numeri e registrava i libri che Emma voleva portare via, sentì la campanella della porta tintinnare, ma non ci fece caso. Belle stava registrando l'ultimo volume quando una voce parlò alle sue spalle.

«Buon giorno amore mio».

Emma si immobilizzò. Conosceva bene quella voce.

«Buon giorno!» rispose Belle, raggiante.

Emma si voltò appena in tempo per vedere Killian avvicinarsi a Belle, con un bicchiere di caffè.

Si trattenne a fatica dall'emettere un'esclamazione di stupore. E cercò di cancellare quell'espressione scioccata che – ne era certa – le si era materializzata sul viso.

Belle le porse l'ultimo libro. «Ecco fatto».

Emma non reagì subito, era ancora piuttosto scossa da quella strana scoperta.

«Signorina?»

Killian la fissò, così come Emma fissava lui.

«Si, scusi» Emma afferrò maldestramente i volumi e li strinse a fatica tra le braccia. «Buon giornata» disse, uscendo.

Si voltò appena prima che la porta si richiudesse, in tempo per vedere Killian che si sporgeva verso Belle per darle un bacio sulle labbra.

 

**

 

Emma rientrò nella cripta sbattendo i pesanti libri a terra. Regina sussultò.

«Che ti prende?» la rimbeccò.

«Ho visto Killian» disse Emma.

Regina strinse le labbra. «Ah si? E' qui? Ti ha riconosciuta?» cercò di mantenere un tono di voce neutro.

«No, non mi ha riconosciuta» rispose Emma. «Sta con Belle. Si sono baciati in biblioteca».

Regina si alzò. «Ti senti bene?»

Emma non rispose subito.

Era rimasta sorpresa nel vedere Killian, nel trovarselo davanti, e nella sua espressione indifferente. Non l'aveva riconosciuta e l'aveva guardata come l'avevano guardata i suoi genitori. Ripensò all'immagine di lui e Belle che si baciavano, e si rese conto solo in quel momento che non stava provando niente.

Certo, era contenta di sapere che stava bene, ed era rimasta sorpresa nel trovarselo davanti perché non se l'aspettava. Ma non c'era niente di più. Anche se non era reale, l'aveva visto con un'altra, e per lei non faceva alcuna differenza.

Guardò Regina. Si chiese come fosse possibile che in così poco tempo quella donna avesse stravolto tutto il suo mondo, tutte le sue certezze. Si chiese come fosse possibile che quella donna, dopo tutto quello che avevano passato insieme, potesse essere davvero la persona che l'avrebbe resa felice per il resto della sua vita.

Ma, in fondo, si rese conto che l'aveva sempre saputo. Si rese conto che sin dal loro primo incontro, Regina aveva stravolto il suo mondo.

«Sto bene» borbottò la bionda. Sorrise. «Vorrei vedere la faccia di Tremotino se sapesse che Uncino ha di nuovo una tresca con la sua donna» scherzò.

Regina, tuttavia, non rise. Trovava strana la reazione di Emma, meccanica, fredda. Quasi indifferente.

«Sei sicura di stare bene?»

Emma annuì con la testa.

E si rese conto che stava bene davvero. Fu come se in un attimo le fosse stato tutto più chiaro.

«Allora, io vado da Robin» disse Regina, continuando a guardare di sottecchi Emma. «Mi raccomando, qualsiasi cosa tu faccia, non perdere di vista il libro e non avvicinarti all'ombra. Non so se riuscirò a contattarti oggi, nel caso comunque ci vediamo stasera, ok?»

«Ok» rispose la bionda, guardandola.

Poi Regina fece per uscire, ma Emma la fermò per un braccio. La mora si voltò e la guardò dritta negli occhi. Voleva dire qualcosa, ma restò in silenzio.

Emma, dal canto suo, non aveva proprio niente da dire.

La attirò a sé e la baciò. Regina, seppur colta alla sprovvista, si lasciò trascinare dall'energia di Emma, finché non si ritrovò ad accarezzarle i capelli e stringerla a sé.

«E questo per cos'era?» chiese Regina, piacevolmente sorpresa.

Emma sorrise. «Un piccolo promemoria. Per ricordarti che devi tornare da me».


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Buon caldo pomeriggio domenicale, team!
Come dicevo già nella mia raccolta "Delirio SwanQueen" (che vi ricordo, per chi non lo sapesse, la trovate qui: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3073107&i=1)  che sto partendo per le vacanze, ma non temete! Per le prossime due domeniche, che io non ci sarò, ho commissionato la mia Deary per pubblicare al posto mio, quindi avrete i capitoli come previsto. Pensavate che vi avrei lasciato soli? Assolutamente no! :D
E niente, spero che la storia continui a piacervi, ormai stiamo entrando nel vivo e i prossimi capitoli sono fondamentali. Grazie come sempre a tutti per seguirmi e recensirmi! Mi fa tanto piacere. :)

 

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Capitolo 14
*** Undici giorni prima del solstizio d'estate. ***


Capitolo 14
Undici giorni prima del solstizio d'estate 



 

Regina fu invasa da un milione di pensieri, mentre raggiungeva quella che una volta era casa sua.

Continuava a chiedersi cosa stava succedendo. Cosa stava facendo e come avrebbe fatto a uscire da quella situazione. Era combattuta; non voleva trovare lo scrigno da Robin, ma al tempo stesso avrebbe voluto trovarlo. Perché se non l'avesse avuto lui, sarebbero state in un vicolo cieco e ormai il tempo cominciava a scarseggiare. Poi cercò di essere onesta con sé stessa, e dovette ammettere una cosa che la distruggeva terribilmente.

Avrebbe voluto che Robin avesse lo scrigno per poterlo allontanare. Voleva una scusa per avercela con lui, per poterlo escludere dalla sua vita.

Era totalmente irrazionale, lo sapeva; portava in grembo il suo bambino, suo figlio. Non poteva escluderlo come se niente fosse. Ma non poteva farci niente se ormai non vedeva più un futuro con lui. Non poteva farci niente se ormai vedeva un futuro solo con Emma Swan.

Lei ed Emma avevano parlato a lungo sul da farsi. Anche se la ragazza aveva provato in tutti i modi di dissuaderla, attaccandosi ad ogni minimo dettaglio per farla desistere, alla fine le aveva dato degli ottimi consigli.

Per prima cosa, Regina avrebbe dovuto trattare Robin normalmente, come se non sospettassero di lui. Doveva essere esplicita e parlargli della scomparsa dello scrigno, perché se l'avesse rubato davvero lui, avrebbe trovato sospetto il fatto che non gliene parlasse. In secondo luogo, avrebbe dovuto essere cauta e non rischiare di sembrare troppo avventata.

Arrivò davanti al 108 di Mifflin Street con il cuore in gola. Alzò il braccio per bussare, esitante.

Poteva farcela, si ripeté. Doveva solo scacciare quel senso di disagio che ormai la attanagliava ogni volta che vedeva Robin. Era strano, era davvero strano come funzionava il cuore. Vedere Robin avrebbe dovuto farle provare nostalgia, rimpianto, mancanza. E invece, a parte lo stupore iniziale, non aveva provato altro che disagio.

Si decise a bussare. Era ora di pranzo, Robin poteva non essere a casa. Invece, pochi istanti dopo, sentì dei passi all'interno della casa e vide la porta aprirsi.

«Regina!» esclamò l'uomo, con sorpresa.

«Ciao, Robin» disse, abbozzando un sorriso. «Posso entrare?»

«Ma certo!» esclamò Robin, spostandosi di lato per far passare Regina.

La donna entrò, seppur con riluttanza, e cominciò a guardarsi intorno.

Era strano trovarsi lì dopo tanto tempo. Sembrava passato un secolo da quando era stata per l'ultima volta in quel salotto, invece erano passate solo poche settimane. Sentì l'impulso di correre in camera di Henry per vedere se era ancora come lui l'aveva lasciata. Sorrise, augurandosi che la prossima volta che sarebbe entrata lì sarebbero stati di nuovo insieme. E magari poteva esserci anche Emma con loro.

«Tutto bene?» Robin interruppe i suoi pensieri. «Hai bisogno di qualcosa? Stai bene?»

«Sto bene» disse Regina, mentre Robin le si avvicinava. «Volevo soltanto...»

Regina si bloccò. Lei ed Emma si erano organizzate su tutto, su ogni minimo dettaglio, e non aveva pensato all'unica cosa che in quel momento le serviva; una scusa per essere lì.

Robin la guardò interrogativo e lei sorrise. «Volevo passare un po' di tempo con te. Se a te fa piacere».

Robin la raggiunse e l'abbracciò. Regina ricambiò, seppur con freddezza.

«Ma certo che mi fa piacere» sussurrò Robin, al suo orecchio. «Vorrei che potessimo passare più tempo insieme».

Quando l'uomo sciolse l'abbraccio, Regina si ritrovò a pochi centimetri dal suo viso. I suoi occhi incontrarono quelli di Robin, che le rivolse uno sguardo dolce, caloroso, comprensivo.

«Pranzo» borbottò Regina.

Robin trasalì.

«Volevo invitarti a pranzo» aggiunse Regina, allontanandosi e liberandosi dalla stretta dell'uomo. «Dove ti piacerebbe andare?»

Robin sorrise. «Non abbiamo molta scelta, a dire il vero».

Entrambi risero.

«Direi che Granny va più che bene» disse Regina, e insieme uscirono dalla casa per raggiungere la tavola calda.

 

**

 

Emma non riusciva a concentrarsi.

Aveva sfogliato lo stesso libro, soffermandosi sulle stesse pagine per ore, senza concludere niente. Sapeva bene che così non era di alcun aiuto, ma non riusciva a smettere di pensare a Regina insieme a Robin.

La gelosia la stava divorando. Insieme all'ansia, alla rabbia, alla preoccupazione. Detestava lasciare Regina da sola. Non che non sapesse cavarsela, anzi. Ma aveva sviluppato un senso di protezione verso di lei talmente forte che non risciva a darsi pace, quando non erano insieme.

Sospirò, e decise di mettersi seriamente a leggere i libri. Controllò pagina per pagina, cercando indizi nella magia oscura che le permettessero di collegarsi all'ombra. Ci mise più di un'ora soltanto per il primo volume; erano davvero tante pagine, ma in nessuna trovò risposte.

Non fece una pausa nemmeno per pranzare, tanto aveva fatto un'abbondante colazione mentre andava in biblioteca. Il secondo volume fu più difficile da comprendere, perché alcune parti erano scritte in elfico. In quel momento avrebbe voluto sapere molte più cose sulla magia, sulla scrittura elfica, e su tutto ciò che avrebbe dovuto sapere ma che, per forza di cose, ignorava.

Poi la sua attenzione fu catturata da un paragrafo che parlava della magie delle ombre. Lo lesse ad alta voce.

«La magia delle ombre è formata da illusioni ottiche, veri e propri giochi di luci e ombre che possono essere controllati da oggetti magici. Questi oggetti, una volta usati come luogo di contenimento di tale magia, permetteranno alle ombre di diventare un'essenza vera e propria, dandogli la possibilità di rigenerarsi anche al buio».

Lo lesse e rilesse più volte. Poi fece un segno nella pagina per poterlo far leggere a Regina, quando sarebbe tornata.

Proseguì nelle pagine successive, in cui veniva spiegato come le ombre potevano agire. Lesse che queste ombre erano in grado di compiere azioni, e attraverso l'oggetto che racchiudeva la magia, potevano anche applicarla.

Si soffermò sulle ultime parole. Potevano applicare la magia. Quindi poteva essere stata l'ombra ad entrare nella cripta.

Ripensò al suo incontro con l'ombra, e cercò di memorizzarne ogni dettaglio; era una macchia nera, informe, inconsistente, e non le sembrava che avesse oggetti con sé.

Rilesse ancora una volta quella frase. Potevano compiere azioni e applicare la magia. Quindi potevano anche compiere azioni usando la magia.

Scattò in piedi. «Ma certo!» gridò.

Ripensò a quando erano state al negozio di Gold e avevano trovato il portale disattivato. L'ombra era lì, come era stata al confine. Quindi sapeva esattamente cosa fare.

Si guardò intorno, in cerca del libro di Henry. Lo afferrò, se lo mise sottobraccio, e uscì velocemente dalla cripta.

 

**

 

Regina e Robin avevano passato una bella giornata insieme. Dopo aver pranzato da Granny, avevano fatto una passeggiata nel bosco, avevano parlato e avevano riso insieme, come ai vecchi tempi. Robin le aveva chiesto come procedeva la loro operazione per spezzare il sortilegio, e lei aveva seguito alla lettera i suggerimenti di Emma. Aveva detto che lo scrigno gli era stato rubato, ma non aveva accennato al libro. Robin si era subito offerto di aiutarle a trovare chi l'avesse portato via.

Regina aveva sentito scemare quel senso di disagio che aveva provato le ultime volte che l'aveva visto, ma ogni volta che Robin cercava un contatto con lei, che fosse dal prenderle la mano o cercare di baciarla, si era di nuovo irrigidita. Robin l'aveva notato, ma aveva fatto finta di niente.

«Ho un'idea per la cena che sono sicuro ti piacerà» disse Robin, rientrando a casa.

Regina non rispose.

«Vado a fare la spesa e ti cucino qualcosa io, che ne dici?»

Robin sembrava raggiante, ma non fu quello che convinse Regina ad accettare l'invito. Sarebbe voluta tornare da Emma, ma Robin sarebbe uscito di casa per la spesa e quindi lei avrebbe avuto un buon momento per mettersi a cercare lo scrigno.

Sfoggiò un gran sorriso. «E' una bellissima idea» disse.

«Vado subito, allora» disse Robin. «Tu resta qui, torno tra un attimo e penso a tutto io».

«Fai pure con calma» disse Regina, mordendosi un labbro. «Mi trovi qui quando torni».

Quando sentì la porta sbattere, Regina aspettò ancora qualche minuto prima di mettere a soqquadro la casa.

Cercò dentro ogni cassetto, in ogni angolo, sotto ai letti, perfino nei posti che, lo sapeva bene, erano dei perfetti nascondigli per oggetti di valore. Lei conosceva quella casa meglio di chiunque altro, ovviamente, anche meglio di Robin. Dubitava che Robin potesse sapere che dietro lo specchio dell'ingresso vi era un nascondiglio, ma ci guardò comunque.

Poi raggiunse il suo studio. Lei avrebbe nascosto lì qualcosa di valore. Cercò nei cassetti della scrivania, tra i libri della libreria, guardò perfino sotto l'asse del pavimento che, da anni ormai, ospitava un piccolo sottosuolo.

Si rese presto conto che non aveva senso cercare alla cieca. Robin non conosceva quella casa, non avrebbe mai nascosto lì quello scrigno. O forse, sperò, non l'aveva proprio rubato.

All'improvviso sentì un rumore, così sistemò le poche cose che aveva toccato, e ritornò in salotto. Era convinta di trovarvi Robin, con le buste della spesa, ma invece non c'era nessuno. Vide la finestra aperta, così si guardò intorno, prima andare a chiuderla. Fuori tirava un sacco di vento, per essere una giornata di metà giugno.

Chiuse la finestra, si voltò, e si immobilizzò subito.

L'ombra era davanti a lei, ferma. Era esattamente come Emma l'aveva descritta; informe, senza sostanza, nera come la notte.

Regina trattenne il respiro.

«Che cosa vuoi?» gridò. L'ombra non aveva una faccia, quindi Regina si ritrovò a parlare con il nulla.

Fece un passo indietro ma si ritrovò con la schiena contro al muro. Quando vide che l'ombra le si avvicinava, alzò le mani e la spinse via, facendola fluttuare verso il soffitto.

Restò a guardarla per qualche istante, prima di dirigersi alla porta. Ma non fece in tempo a raggiungerla, che l'ombra le si parò di nuovo davanti, e lei ancora una volta dovette spingerla via usando la sua magia.

Era come se l'ombra volesse toccarla, o forse... attraversarla. Esattamente come aveva fatto con Emma nel suo sogno.

Ancora una volta l'ombra le si avvicinò, e lei dovette spostarsi di lato, rinunciando a raggiungere la porta. Poi guardò di nuovo verso la finestra, la spalancò con un gesto della mano, e non appena l'ombra le si parò davanti per la terza volta, la spinse verso la finestra aperta.

L'ombra non riuscì a fermarsi, fu sbalzata fuori dalla casa, e Regina subito richiuse la finestra. Sapeva che sarebbe potuta rientrare da un momento all'altro, ma sperò di averle fatto almeno un po' paura.

Regina era ancora impalata a controllare la finestra quando sentì la porta aprirsi. Si voltò, alzando le mani pronta a usare la sua magia.

«Regina!» Robin sussultò, e anche lei. «Che succede?»

«Nulla» Regina abbassò le mani. «Nulla, è solo che... sono un po' nervosa».

Robin la guardò, socchiudendo gli occhi. «Mi metto ai fornelli» disse, alzando le buste della spesa che teneva sotto braccio.

«Robin» lo fermò Regina.

L'uomo si voltò.

«Posso... posso fare una doccia?»

«Ma certo, che puoi. E' casa tua» Robin sorrise. «Ci sono ancora i tuoi vestiti, se vuoi cambiarti».

Regina sorrise. «E' perfetto. Ci metto un minuto».

«Fai pure con calma» e così dicendo, l'uomo raggiunse la cucina.

Regina si diresse alle scale, ma prima di farlo recuperò un foglio e una penna dal mobile dell'ingresso. Poi salì e raggiunse il bagno.

Si chiuse dentro e accese l'acqua della doccia, ma non vi entrò. Scrisse poche righe sul foglio, lo arrotolò, e poi raggiunse la finestra. Fischiò, e un uccellino arrivò sul davanzale.

Prese un elastico per capelli che si trovava sul mobile e legò il messaggio alla zampa dell'uccello.

«Trova Emma Swan».

L'uccellino sbatté le ali un paio di volte, prima di librarsi in volo.

 

**

 

Era il tramonto quando Emma raggiunse il confine di Storybrooke. Mentre camminava, aveva imprecato molte volte contro Regina, che non le aveva ancora insegnato a teletrasportarsi. Se ne fosse stata capace, sarebbe andata e tornata in pochissimo tempo, senza dover perdere quasi tutta la giornata.

Non sapeva neanche cosa si apsettava di trovare. Aveva pensato che l'ombra potesse avere disattivato il portale nell'armadio del negozio di Tremotino. L'avevano vista fuori dalla porta, inizialmente pensavano fosse l'ombra di qualcuno, ma Emma non era più sicura fosse così. Magari era quella stessa ombra che aveva toccato quella notte nel bosco, e magari era la stessa che Regina aveva visto al confine. E se era al confine, pensò, magari poteva aver fatto un incantesimo perché non potessero uscire da Storybrooke.

Quella era la prova che le serviva. Le coincidenze sarebbero state troppo evidenti per poterle ignorare, e lei avrebbe dovuto ammettere che Robin, forse, non c'entrava niente. La cosa positiva di tutto ciò era che almeno Regina avrebbe lasciato perdere con la sua missione sotto copertura e sarebbe tornata da lei.

Superò l'insegna di Storybrooke e raggiunse la linea del confine, attraversandola senza esitazioni. Ma non aveva nemmeno fatto in tempo a mettere un piede dell'altra parte che fu sbalzata all'indietro, e un muro di luce si materializzò sulla linea di confine, scomparendo in pochi secondi.

«Ma che diavolo è?» sbraitò Emma, rimettendosi in piedi.

Raggiunse di nuovo la linea, ma stavolta allungò un braccio, con cautela, per sfiorare quel muro di luce. Al suo tocco, la luce ricomparve come un lampo, attravesando tutto il confine, sparendo subito dopo. Ritrasse la mano velocemente.

«Sono un'idiota!» gridò, e la sua voce rimbombò con un'eco.

Si mise a correre nel buio, in quella fresca serata di giugno, stringendosi nel giacchetto rosso per proteggersi dal vento.

Doveva tornare da Regina e dirle che aveva sbagliato tutto, che Robin non c'entrava niente, e quell'ombra strana tramava qualcosa. Doveva smetterla di essere gelosa e mettere da parte i suoi sentimenti per capire come proteggersi dall'ombra e recuperare lo scrigno. Mancavano solo undici giorni al solstizio e non potevano perdere altro tempo.

Mentre correva sentì un cinguettio sopra la sua testa, ma non ci badò. Alzò la testa soltanto quando sentì quel verso sempre più insistente, e fu allora che vide quell'uccellino portare un messaggio legato alla zampa. Si fermò, e la creatura le si posò su una spalla.

Emma slegò il biglietto e lo srotolò. Lesse le poche righe scritte dalla calligrafia sottile di Regina.

"L'ombra è stata qui, vuole qualcosa. Scrigno non trovato. Torno appena posso. R."

Emma non si soffermò più di tanto sul biglietto. Quelle parole le avevano dato un motivo in più per ricominciare a correre.

 

**

 

«E' tutto meraviglioso, Robin» disse Regina, raggiungendo di nuovo il salotto.

Dopo aver mandato il messaggio ad Emma, aveva cercato lo scrigno anche in bagno – senza risultati – e poi aveva deciso di fare davvero quell'agognata doccia. Scese al piano di sotto dopo essersi messa dei vestiti puliti. Non era stato facile trovare, nel suo armadio, dei vestiti comodi. Dopo aver scartato vari vestiti, optò per un paio di pantaloni neri classici e una camicia bianca, una di quelle che usava sempre quando andava in ufficio, quando ancora era il Sindaco di Storybrooke.

«Sei un incanto» disse Robin, guardandola da capo a piedi. Poi si avvicinò a lei, con una scatolina in una mano. «Per te» disse, porgendogliela.

Regina la prese e la aprì.

«Robin, è...»

All'interno della scatolina c'era una catenina con un pendente.

«Ti piace?» Robin prese la catenina dalla scatola, e si mise alle spalle di Regina.

«Mi piace molto, sì» rispose la donna, mentre Robin le legava al collo il ciondolo.

«Sono contento che ti piaccia».

Robin la fece sedere, esattamente come facevano i gentiluomini, accompagnandole la sedia. Poi accese le candele che aveva sistemato sul tavolo e servì ciò che aveva preparato.

«Tagliata di manzo in crosta con salsa agrodolce».

Regina inarcò le sopracciglia. «Ma quando hai imparato a cucinare queste cose così prelibate?»

Robin si mise a sedere di fronte a Regina, dopo aver sistemato la pirofila al centro della tavola.

«A New York, io e Marian... abbiamo seguito un corso di cucina». Robin abbassò lo sguardo, colpevole. «Spero che ti piaccia» aggiunse, poi, servendo a Regina una porzione.

Regina non rispose al commento di Robin sul corso di cucina, ma si rese conto che non l'aveva toccata più di tanto. Poi Robin stappò una bottiglia di vino rosso, lo versò nei calici, e ne porse uno a Regina.

In quel momento, Regina si immobilizzò. Afferrò il calice, seppur titubante, e attese.

«Propongo di fare un brindisi» disse Robin, alzando il suo calice. «Non vorrei sembrarti affrettato, Regina, ma spero... spero che potremo avere una seconda possibilità. Perciò, a noi due».

Regina esitò. I due calici tintinnarono l'uno contro l'altro, Robin bevve un sorso, mentre lei restò a guardare incerta il liquido color porpora.

«Qualcosa non va?» domandò Robin, notando la sua espressione.

Regina alzò lo sguardo. «Va tutto bene» disse, posando il bicchiere.

«Non ti piace il vino, forse?»

«No, mi piace, è solo che...» esitò. «...non posso bere» poi si alzò di scatto. «Anzi, scusa, non posso neanche rimanere a cena. E' meglio che vada».

Regina si avviò alla porta, e Robin subito restò immobilizzato sulla sedia. La reazione di Regina l'aveva preso alla sprovvista, così impiegò qualche secondo prima di seguirla.

«Regina, ma che ti prende?»

Regina non si voltò nè si fermò. «Niente, ma devo andare».

Robin la raggiunse. «Ho fatto qualcosa di sbagliato?» domandò, afferrandola per un braccio. Erano a pochi passi dalla porta d'ingresso.

Regina cercò di liberarsi. «Robin, lasciami andare, ti prego».

Robin la prese per le spalle, ma lei distolse lo sguardo. Lui spalancò gli occhi, fissandola, e mosse la bocca in una smorfia.

«Regina, devo forse sapere qualcosa?»

Regina non riusciva a guardarlo. Non rispose, ma sapeva che il suo silenzio sarebbe stato una risposta sufficiente per Robin.

«Regina?»

Lei lo guardò, e nel momento in cui i suoi occhi incontrarono quelli di Robin, lui capì.

«Regina, sei incinta?»

Il cuore di Regina perse un battito. Distolse di nuovo lo sguardo, cercando di liberarsi dalla stretta di Robin. Strinse le labbra in una smorfia, prima che l'uomo non ripeté: «Regina?»

Lei lo guardò di nuovo.

«Sì» disse, in un sussurro.

Poi Robin la lasciò andare, sconvolto. Indietreggiò di qualche passo, appoggiandosi contro ad una parete.

Regina sarebbe potuta uscire, ma a quel punto c'era qualcosa che la tratteneva. Non poteva andarsene senza dare spiegazioni.

«Mi dispiace, volevo dirtelo...»

«E perché non l'hai fatto?» la interruppe Robin.

Regina sospirò. «Non lo so, tu... tu devi tornare dalla tua famiglia».

«Ma anche tu sei la mia famiglia, e anche questo bambino che...» Robin parlava con voce mozzata. «Regina, sei incinta. Di quanto?»

«Sei settimane, circa» rispose la donna. «Forse sette. Non ho avuto modo di fare... molti controlli...»

Robin le si avvicinò come una furia.

«Domani andremo a farne uno, subito» e le prese la mano. «Mi dispiace non esserti stato vicino. Da ora in poi ci sarò».

Regina fece scivolare la sua mano lontano da quella di Robin.

«Devi tornare dalla tua famiglia, Robin» ripeté. «Io non ho bisogno di te, starò bene».

Robin la guardò con occhi sgranati. «Regina, sei incinta di mio figlio. Non vi abbandonerò mai!»

«Ma non puoi abbandonare nemmeno Roland e Marian. Hanno bisogno di te!»

«E tu?» chiese Robin. «Tu non hai bisogno di me?»

«No» replicò Regina. E si rese conto che era vero. «Non ho bisogno di te. Tu tornerai dalla tua famiglia, e io dalla mia» aggiunse, come per rafforzare il concetto.

L'espressione di Robin vacillò appena.

«Ma com'è possibile? Cosa è cambiato per...»

«Amo un'altra persona!» gridò Regina, frustrata. «Amo un'altra persona e la mia famiglia è con lei».

Il silenzio calò in tutta l'abitazione.

Regina non parlò, le spalle che quasi toccavano la porta d'ingresso. Un solo passo e sarebbe potuta uscire.

Robin era distante da lei, anche lui con le spalle al muro, l'espressione sconvolta e confusa in viso.

Non si erano mai sentiti più distanti di così. Si guardarono, ma i loro occhi non si incontrarono mai.

Poi accadde qualcosa che Regina non si sarebbe mai aspettata. Sul viso di Robin comparve un ghigno che lei non riconobbe; quell'espressione non apparteneva al Robin che lei conosceva. L'uomo si mosse di qualche passo.

«Era proprio questo che mi serviva. Una confessione. La confessione del tuo amore per la Salvatrice».

Regina lo squadrò. Aveva parlato con voce fredda, meccanica, una voce che non era la sua. Così come non era sua quell'espressione e quegli occhi di ghiaccio.

«Robin?» borbottò Regina, sconvolta.

Robin rise, una risata che squarciò l'aria. «Non sono Robin».

Regina cercò di mantenere la calma. «Chi sei allora?» chiese.

Robin sogghignò, mentre i suoi occhi diventarono gialli e luminosi, privi di calore.

«Sono il tuo peggiore incubo».

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Capitolo 15
*** Undici giorni prima del solstizio d'estate. ***


Capitolo 15
Undici giorni prima del solstizio d'estate




«Chi sei allora?»

Robin sogghignò, mentre i suoi occhi diventarono gialli e luminosi, privi di calore.

«Sono il tuo peggiore incubo».

Poi tutto il corpo di Robin fu scosso da dei tremiti, e si illuminò, esattamente come avevano fatto gli occhi. Dalle braccia e dalle gambe fuoriuscirono fiotti di luce, finché quello che una volta era Robin scomparve in una nuvola di fumo nero, lasciando spazio a quella che Regina riconobbe come l'ombra che le aveva seguite.

L'ombra subito le andò incontro, veloce come un fulmine.

Regina alzò le mani verso di lei. «Non così in fretta!» gridò, ma capì subito che qualcosa non andava.

La sua magia, il fiotto di luce rossa che aveva emanato, non colpì l'ombra. Andò nella sua direzione, ma si fermò proprio davanti all'ombra e ritornò indietro, colpendola in pieno petto.

Regina non poté fare altro che chiudere gli occhi e preparasi all'impatto. Ma non sentì nulla. Ci mise qualche secondo prima di portarsi una mano sul petto, sorpresa. Fu così che capì.

La sua mano toccò il pendente che il finto Robin le aveva messo al collo. La sua magia si era depositata lì.

Se lo staccò con un gesto secco della mano, e lo lanciò a terra, sperando di spaccarlo. Ma l'ombra non si fece trovare impreparata.

Un momento prima che il ciondolo cadesse a terra, l'ombra lo attirò dentro di sé, per poi ritrasformarsi in Robin. Il ciondolo era nella sua mano, e Regina lo guardò ancora più sconvolta.

«Perché vuoi la mia magia?» sbraitò.

L'ombra non rispose. Robin aveva uno sguardo folle negli occhi, e un secondo dopo le sue mani si chiusero attorno al collo di Regina.

La donna gridò, mentre l'ombra la sollevava da terra, lanciandola dalla parte opposta e facendola sbattere contro il muro.

Regina cadde, e subito si portò una mano sul ventre. Inspirò a fondo.

«Senza la tua magia non sei nessuno, Regina Mills» Robin parlò con la stessa voce metallica che apparteneva all'ombra. «E' stato difficile, devo ammetterlo. Sei un'avversaria temibile. Non come la Salvatrice, con lei è stato un gioco da bambini. Così curiosa e ingenua, è bastato mostrarmi a lei per farla cadere nella mia trappola».

Regina chiuse gli occhi.

Ma certo, era logico. Emma non era riuscita a usare la sua magia per aprire lo scrigno, e non era stanchezza, o rabbia, non dipendeva affatto da lei.

«Hai rubato la magia anche a Emma?»

Robin rise, una risata gelida, agghiacciante. «Ho bisogno della vostra magia. Unita, la tua magia e quella della Salvatrice è la più potente del mondo. Mi serve per raggiungere il mio obiettivo».

Regina si rialzò. «E quale sarebbe il tuo obiettivo? Perché ci hai portato qui? Perché hai creato questo sortilegio?»

Robin non la sfiorò, ma Regina sentì una morsa stringerle nella gola.

«Voglio rigenerarmi» spiegò l'ombra. «Sono stanco di essere un'essenza, voglio ritornare ad essere sostanza, ad avere un corpo tutto mio. E per farlo ho bisogno di alcuni ingredienti importanti».

Regina sentì a poco a poco quella morsa aumentare contro la sua gola. Il respiro cominciò a mancarle, le gambe a termarle.

«Ho bisogno ancora della Salvatrice, e tu mi hai dato la chiave per poterla attirare qui. Il suo amore per te sarà la sua rovina».

Regina avrebbe voluto gridare, ribellarsi. Ma non ce la faceva. Stava soffocando, e tutto intorno a lei cominciò a farsi indistinto, vedeva soltanto delle macchie sfocate.

Poi udì qualcosa, un rumore in lontananza, un rumore di... vetri infranti.

«Giù le mani da lei!»

Emma aveva fatto irruzione nella stanza, spaccando la finestra del salotto e infilandosi dentro senza la minima esitazione. Non si bloccò nemmeno nel vedere Robin usare la magia, e usarla contro Regina. Non aveva tempo di farsi delle domande, doveva agire.

Emma colpì Robin con un pugno usando tutta la forza che aveva in corpo. Fu un colpo secco, deciso, assestato proprio sulla mascella dell'uomo che in un attimo cadde a terra, mollando la presa su Regina. Quest'ultima tossì violentemente, mentre ricominciava piano piano a respirare.

Robin era caduto a terra, e in un attimo si era dissolto, come aveva fatto pochi minuti prima. Emma corse da Regina, mentre guardava quel fascio di luce avvolgere Robin per poi ricomporsi in quella che era l'ombra che aveva già visto più volte. Il pendente con la magia di Regina cadde a terra, mentre l'ombra cominciò a fluttuare nell'aria.

«Regina, stai bene?» domandò Emma, prendendola tra le braccia.

Regina non rispose. «Il ciondolo, Emma...» e tossì.

«Ciondolo?» domandò Emma, confusa. «Che sta succedendo? Robin non era...»

«Non ho tempo di spiegarti» Regina si aggrappò disperatamente a Emma, per cercare di mettersi seduta. «Ha preso la nostra magia, Emma. Dobbiamo distruggere il ciondolo» e lo indicò.

Emma guardò nella direzione indicata da Regina. Vide il ciondolo col pendente a terra e l'ombra che fluttuava sopra di esso. Non esitò e corse per afferrarlo, ma quando si avvicinò l'ombra le andò incontro.

Un momento prima che Emma prendesse il ciondolo, l'ombra la invase in pieno petto. Regina gridò, o almeno ci provò, perché non aveva ancora aria nei polmoni per poterlo fare; il suo sogno – il suo incubo – si stava avverando proprio davanti ai suoi occhi.

Emma cadde sulle ginocchia, dimenandosi e contorcendosi, posseduta dall'ombra.

Regina raccolse quelle poche forze che le erano rimaste, e con uno sforzo disumano raggiunse Emma al centro del salotto. Il pendente era ai piedi di Emma, Regina cercò di afferrarlo ma l'ombra fu più veloce. Lo tolse dalla sua vista, facendolo sparire all'interno della sua oscurità, mentre un'altra parte di lei continuava a possedere la bionda i cui occhi erano ormai diventate due orbite vuote e prive di vita.

Regina fu colta dal panico e lanciò un grido sommesso, sentendosi impotente. Era vero, senza la sua magia non era niente. Senza la sua magia non avrebbe potuto salvare Emma. Il suo amore verso di lei l'aveva attirata lì, in quella trappola, e si stava dimostrando veramente la sua rovina.

Poi, improvvisamente, il suo cuore fece un balzo. L'amore. Se l'amore era la magia più potente del mondo, come le era sempre stato detto, forse avrebbe potuto salvare Emma.

La bionda si era appena accasciata a terra quando Regina si inginocchiò accanto a lei. Non sapeva cosa fare, non sapeva se avrebbe funzionato, ma avvolse Emma tra le sue braccia, stringendola più che poteva, cercando di sfiorare ogni singola parte del suo corpo, con il proprio.

«Non avrai Emma!» gridò, disperata. Le lacrime cominciarono a scendere sulle sua guance.

«Certo, che l'avrò».

Regina sussultò mentre l'ombra aveva parlato attraverso la bocca e la voce di Emma.

«No, non l'avrai!» urlò ancora Regina, stavolta più decisa. «Dovrai uccidermi, prima di arrivare a lei!»

Regina la strinse ancora di più e per un attimo il corpo di Emma vibrò più forte. Per un lungo, orribile momento Regina credette di averla persa. Poi l'ombra fu sbalzata fuori dal suo corpo, lasciandolo avvolto in una luce che in pochi istanti svanì. Emma ora era immobile tra le braccia di Regina, mentre l'ombra sparì, come neutralizzata da quella luce che proveniva dal corpo di Emma.

Regina ci mise un po' a realizzare cosa fosse accaduto. Poi Emma si svegliò, con la testa appoggiata sul grembo di Regina.

«Regina...» bisbigliò, con voce flebile.

«Emma!»

Regina la guardò, rivolgendole un sorriso radioso. Era felice di poter vedere di nuovo i suoi occhi verdi, lucenti come non mai.

La bionda sorrise. «Tu... Mi hai salvata».

Regina sorrise e si sporse verso Emma, posando le sue labbra sulle proprie in un bacio disperato, in cerca di rassicurazioni. Emma lo capì, sentendo le lacrime di Regina che si posavano sul suo viso, così le sfiorò una guancia con la mano, per asciugargliele. Entrambe sorrisero durante il bacio, stringendosi l'una all'altra.

«Tu stai bene?» le domandò la bionda, mentre Regina l'aiutava a mettersi a sedere. «Robin, cioè... l'ombra, o quello che era, ti ha fatto del male?»

«Sto bene, tranquilla» rispose Regina. «Tu, invece? Sei sicura che l'ombra non ti abbia fatto del male?»

Emma sorrise. «Sto bene, Regina. Mi hai salvata».

Regina annuì, incerta. «Ho avuto paura» ammise, mentre nuove lacrime iniziarono a scenderle sulle guance. «Non sapevo cosa l'ombra ti stesse facendo. Non sapevo cosa fare per fermarla. Ho avuto paura di perderti».

Emma si raddrizzò, mettendosi sulle ginocchia, e avvolse le spalle di Regina con un braccio.

«Anche io ho avuto paura» rispose, posandole poi una mano sul ventre. «Ho avuto paura che ti facesse del male, che ti... uccidesse. E' colpa mia, Regina, se non avessi insistito con la storia di Robin... avevi ragione tu. Hai sempre avuto ragione tu».

«Emma non dire sciocchezze» Regina posò la mano su quella che Emma teneva sulla sua pancia. «In un certo senso, avevi ragione anche tu. Non era il vero Robin ma... l'ombra era lui. Per questo sapeva le nostre mosse».

Emma sospirò. «Se ti avesse fatto del male...»

«Ma non l'ha fatto» la interruppe Regina. «Non devi incolparti di nulla, Emma. Sei arrivata al momento giusto e mi hai salvata. Per l'ennesima volta».

«No, stavolta sei tu che hai salvato me. Regina, io ti...»

Emma si interruppe.

Regina la guardò, con un mezzo sospiro che usciva dalle sue labbra.

«Ti ringrazio» disse poi, Emma. «Grazie, per avermi salvata».

Regina si irrigidì. «Purtroppo temo che non sei ancora al sicuro. Dobbiamo tornare alla cripta e capire cosa l'ombra voleva da te».

Mano nella mano, le due si rialzarono e si avviarono alla porta.

«Ho come l'impressione che tu sappia già la risposta» disse la bionda, mentre uscivano.

Regina le lanciò un'occhiata ansiosa. «Ho un'idea. Ma spero tanto di sbagliarmi».

 

**

 

Raggiunta la cripta, Regina si mise subito a cercare informazioni sull'ombra. Emma le fece vedere che cosa aveva trovato in uno dei libri della biblioteca, e le raccontò della sua scoperta al confine. Regina, a sua volta, le raccontò del suo dialogo con l'ombra.

Erano passate ormai molte ore quando Regina, finalmente, trovò il libro che cercava.

«La rigenerazione delle essenze» esclamò, soffiando via la polvere sull'enorme tomo color legno. Lo aprì decisa, fino a trovare la pagina giusta.

«Le essenze, gli spiriti, le ombre» cominciò Regina. «Possono prendere sembianze umane, trasformandosi in persone esistenti, ma non possono avere un proprio corpo. Possono acquisirlo soltanto attraverso la rigenerazione, processo molto oscuro ma facilmente praticabile con i giusti ingredienti».

«C'è scritto come funziona qusto procedimento?» domandò Emma, sporgendosi sopra la sua spalla per leggere. Ma Regina chiuse improvvisamente il libro.

Emma realizzò che la donna doveva aver già capito di cosa l'ombra aveva bisogno per portare a termine il suo piano.

«Regina?»

La mora posò il libro, prima di fissare i suoi occhi colmi di lacrime in quelli di Emma.

«Per terminare il processo della rigenerazione, l'ombra ha...» la voce di Regina era spezzata, tremante. «...ha bisogno di un cuore puro».

Emma trasalì.

«Quindi vuole questo da me?» chiese.

Regina annuì. «L'ombra vuole il tuo cuore, Emma».


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Buonasera team SwanQueen! Eccomi qui di ritorno con il nuovo capitolo, con un giorno di anticipo perché domani non avrei potuto pubblicare. Tra l'altro, questo è un capitolo molto importante per me, e penso anche per voi perché si capisce finalmente chi diamine c'è dietro al sortilegio, al furto dello scrigno, insomma... a tutte le sventure delle nostre SwanQueen!
Questo capitolo mi piace in modo particolare, non solo per la tenerezza di Regina e il suo gesto verso Emma, anche perché... ammettetelo dai, non vorreste vedere Emma stendere Robin con un bel cazzotto? XD Anche se non era il vero Robin... per me la scena è proprio epica. XD
Vi ringrazio ancora una volta per il vostro affetto, e stavolta vi lascio con un video. 
Essendo che questo cattivone che mi sono inventata non è tutta farina del mio sacco, vi lascio con il video a cui mi sono ispirata. Avete mai visto il classico Disney "La principessa e il ranocchio"? Ebbene sì, mi sono ispirata proprio a lui per creare quest'ombra maligna. E' un cartone non tanto conosciuto, ma io lo adoro e adoro questo viallin. Se non lo conoscete, guardate il video qui di seguito. A presto, team! :)


GUARDA IL VIDEO QUI:   https://www.youtube.com/watch?v=w22IsQI7GXw

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Capitolo 16
*** Cinque giorni prima del solstizio d'estate. ***


Capitolo 16
Cinque giorni prima del solstizio d'estate




Dopo il loro scontro con l'ombra, Emma e Regina erano riuscite a passare qualche giorno in tranquillità, senza però uscire mai dalla cripta, se non per andare a prendere da mangiare. Ormai non si separavano più l'una dall'altra; uscivano sempre insieme, e portavano con sé il libro per non rischiare che gli venisse portato via. Perché erano sicure che, anche se non si faceva vedere, l'ombra era lì a controllare ogni loro mossa, e loro attendevano il momento in cui avrebbe provato ad attaccarle di nuovo. Per questo avevano deciso di restare nella cripta, anche se la casa di Regina era libera; la cripta godeva ancora dell'incantesimo di protezione, e ora che entrambe erano prive della loro magia, era un luogo più sicuro.

Sapevano ormai che l'ombra voleva rigenerarsi, e per farlo aveva bisogno della loro magia e di un cuore puro. Probabilmente aveva lanciato il sortilegio per attirarle lì e tendere loro una trappola, e il fatto che avesse disattivato il portale e creato una barriera lungo il confine per non farle andare via, lo confermò. Ma nonostante tutte queste informazioni, loro si sentivano più vulnerabili che mai. Senza contare che l'ombra era in possesso dello scrigno contenente il medaglione, e senza quello non avrebbero potuto spezzare il sortilegio. Avevano creduto che, una volta scoperto chi aveva lanciato il sortilegio e perchè, sarebbero state in grado di mettere a posto la situazione; si resero conto solo in quel momento che non potevano sbagliarsi più di così.

I giorni stavano passando velocemente, e loro non potevano fare altro che aspettare che l'ombra facesse la sua mossa. Era strano che non le avesse più cercate, e le due donne capirono che potevano esserci solo due spiegazioni. O l'avevano indebolita a tal punto che aveva bisogno di tempo per riprendersi, oppure era a conoscenza del loro piano e quindi del poco tempo che era rimasto, e stava cercando di ostacolarle.
Entrambe si augurarono che la spiegazione giusta fosse la prima.

Regina non riusciva a chiudere occhio da giorni. Avevano cercato invano informazioni per contrastare l'ombra, avevano letto tutti i libri di magia presenti nella cripta, ma tutto sembrava portare a un buco nell'acqua. Continuava a tormentarsi per trovare una soluzione, visto che il giorno del solstizio era vicino, e nonostante non avessero per il momento una possibilità concreta di tornare a casa, la sua mente cominciò a vagare pensando a cosa sarebbe successo una volta che fossero tornate nella loro Storybrooke. 

Si voltò a guardare Emma, addormentata accanto a lei. Non avevano più parlato di quella notte in cui entrambe avevano abbassato le loro barriere e parlato dei loro fantasmi passati, quella notte in cui per la prima volta avevano dormito insieme. Non si erano più fatte domande a riguardo, semplicemente dormire assieme era diventata una cosa naturale.

Regina si ritrovò a sorridere. Forse avrebbe potuto parlare con Emma e dirle quello che provava. Non era mai stata brava a farlo, ma c'era qualcosa in Emma Swan che la spingeva ad aprirsi e a fidarsi.

Avrebbe voluto dirle che aveva parlato del bambino a Robin – il finto Robin – e che nel momento in cui ne aveva parlato, aveva capito che non gli importava più niente di lui, che non era lui la sua famiglia.

Aveva ripensato tanto a quello che Emma le aveva detto. "Tu e Henry siete la mia famiglia. Io non ho mai avuto una famiglia, sono sempre stata sola". Soltanto in quel momento comprese il motivo per cui aveva provato quel senso di tristezza, il motivo per cui si sentiva in colpa verso Emma, e si ripromise di darle ciò che in passato le aveva tolto. Voleva darle una famiglia, voleva essere lei la sua famiglia. Avrebbe voluto crescere quel bambino con lei.

Ma si rese subito conto del peso che quelle parole avrebbero avuto sulla bionda, così si limitò a girarsi su un fianco, dicendosi che ogni cosa sarebbe andata a posto con il tempo. Doveva lasciare Emma libera di prendere le proprie decisioni; non si era certo dimenticata che a Storybrooke la aspettava il Pirata, oltre che due genitori particolarmente invadenti.

Improvvisamente il pavimento della cripta cominciò a tremare e un boato si levò tutt'attorno.

Regina sussultò, rischiando di cadere dal letto dallo spavento, mentre Emma scattò in piedi, ancora addormentata ma pronta a difendersi.

«Che diavolo succede?» sbraitò, guardandosi intorno.

«L'incantesimo di protezione» disse Regina, alzandosi. «Sta cedendo!»

Restarono immobili, in attesa, finché non ci fu di nuovo silenzio e la terra smise di tremare.

«E' l'ombra...» sussurrò Regina. «E' qui».

«Siete molto perspicace, Vostra Maestà» rombò una voce, quella voce metallica, fredda, gelida, che apparteneva all'ombra.

Emma e Regina sussultarono, guardandosi freneticamente intorno. Ma l'ombra sembrava non essere da nessuna parte.

«Non mi troverete» continuò l'ombra. «La tua magia è piu potente di quel che immaginavo, Regina. Ma anche se non posso entrare, posso comunque riferirvi un messaggio».

«Quale messaggio?» domandò Regina, a gran voce.

«Voglio proporvi uno scambio».

Nè Regina nè Emma risposero, ma l'ombra continuò comunque.

«A voi serve lo scrigno. E a me serve qualcosa dalla Salvatrice. Penso che sia uno scambio equo».

Regina guardò Emma, muovendo la testa per dire no.

«Questo scrigno mi pare di capire sia un oggetto molto importante» continuò l'ombra. «L'unico modo per riaverlo è darmi in cambio qualcosa che, per me, ha lo stesso valore».

Regina sentì un bruciore alla bocca dello stomaco, pensando che ciò a cui l'ombra si riferiva era il cuore di Emma. La bionda, tuttavia, non sembrava altrettanto scossa.

«Va bene» gridò, all'improvviso.

Regina si tappò gli occhi con i palmi delle mani.

«Verrò a fare lo scambio personalmente, così puoi prendere quello che vuoi» continuò Emma. «Ma in cambio mi devi promettere che darai lo scrigno a Regina e la lascerai in pace. Sono stata chiara?»

Regina afferrò il braccio di Emma, attanagliandolo con tutta la forza che aveva per farle capire, senza dover usare le parole, che non era per niente d'accordo. Emma le fece segno di stare zitta, e si divincolò dalla sua presa.

L'ombra non rispose subito, ma fu come se riuscissero a captare un sorriso maligno e sinistro nell'aria.

«Affare fatto» disse, gelida. «Vediamoci al pozzo di Storybrooke tra cinque giorni. Al tramonto».

Poi ci fu di nuovo lo stesso boato, lo stesso terremoto, che in pochi minuti cessò. Emma e Regina capirono che l'ombra se n'era andata ma comunque restarono in silenzio per un lungo momento.

«Ma sei impazzita?» sbraitò Regina, lasciando un respiro che sembrava avesse trattenuto per ore.

«No, non sono impazzita» rispose Emma, calma. «Ci serve lo scrigno. E' l'unico modo per riaverlo».

«Il tuo cuore non vale il rischio» disse Regina, afferrandole un polso con la stessa presa salda di prima. Emma la guardò. «E poi, pensi davvero che ci ridarà lo scrigno? Non vedi come è stata furba a non farci capire che cosa volesse da te? Si sta prendendo gioco di noi».

Emma si liberò dalla sua presa e si girò, dandole le spalle, pensierosa. «Dobbiamo trovare un modo per liberarci di quell'ombra, prima dell'incontro».

«Abbiamo consultato tutti i libri che ho. Non so più come fare per...» Regina si interruppe, sospirando.

Emma si voltò a guardarla, comprendendo cosa stava pensando. Si scambiarono un'occhiata seccata.

«Lo so» borbottò, alzando gli occhi al cielo. «Lo so che è l'unico modo. Ma detesto dover chiedere sempre aiuto a Tremotino».

Regina arricciò le labbra in un sorriso rassegnato. «Lo capisco, ma purtroppo non abbiamo altra scelta. Tremotino è la nostra ultima possibilità. L'ombra vuole fare lo scambio tra cinque giorni. Ed è...»

Emma annuì. «E' il giorno del solstizio».

 

**

 

«Dimmi, ragazzino» iniziò Emma, salutando Henry che, nonostante fosse mattina presto, aveva risposto al loro appello. «Com'è la convivenza col Signore Oscuro?»

Regina le tirò una gomitata, ed Emma rise di gusto.

«Ti dirò» iniziò il ragazzo. «A volte sa essere anche gentile».

«Ma non mi dire!» esclamò Emma, tra le risate. «Stiamo parlando dello stesso Tremotino che conosco io?»

«Emma...» Regina la ammonì. «Potresti aspettare a fare queste battute quando ci avrà aiutate?»

Emma non rispose, ma continuò a ridere.

Dopo aver salutato Henry, Tremotino comparve sulla superficie liscia dello specchietto. Regina gli spiegò per filo e per segno dell'ombra, di ciò di cui era capace, di ciò che voleva fare, e Tremotino ascoltò tutto quanto impassibile.

Fu soltanto dopo un lungo momento di silenzio che si decise a parlare.

«Ditemi una cosa. Quando siete state nel mio negozio, avete per caso toccato qualcosa che non avreste dovuto toccare?»

Emma e Regina si lanciarono un'occhiata.

«Non mi sembra» rispose Emma.

«Quando abbiamo attraversato l'armadio, da Arendelle» aggiunse Regina. «Abbiamo distrutto la teca delle pozioni, sbattendoci contro. Per il resto, io ho cercato la pergamena, e basta».

«Non avete per caso visto un vaso, molto simile a un barattolo? Non l'avete per caso... aperto?»

Regina sbuffò. «Tremotino, ci spieghi dove vuoi arrivare? La comunicazione potrebbe interrompersi da un moment...»

Emma si alzò di scatto.

Regina trasalì. «Emma?»

«C'era un barattolo!» esclamò la bionda. Regina la squadrò. «Regina, quando siamo andati a prendere la pozione localizzante, prima di partire... ho urtato quel barattolo, ricordi?»

Regina annuì, ricordandosi dell'accaduto. «C'era quella polvere nera... ma l'abbiamo rimessa dentro».

«Quella polvere nera, mie care» intervenne Tremotino. «Era l'ombra. E voi l'avete liberata».

«E perché mai tenevi l'ombra dentro quel barattolo?» gridò Regina, visibilmente infastidita.

Tremotino sbuffò. «L'avevo catturata, ovviamente».

«E ovviamente tenevi il barattolo nel bel mezzo del negozio alla portata di tutti!» sbraitò Emma, pestando i piedi a terra. «Un posto più sicuro no?»

«Emma, calmati» disse Regina. Emma si allontanò, camminando avanti e indietro nella cripta. «Quindi dobbiamo recuperare quel barattolo e rinchiuderla di nuovo?»

«Esattamente» rispose Gold. «Quel... barattolo, come lo chiamate voi, è uno degli oggetti più potenti che esistano al mondo. E' il Vaso di Pandora».

Regina trasalì. «Scherzi? E lo tieni davvero alla portata di tutti?»

Tremotino fece una smorfia. «Prego, non c'è di che» disse, acido.

Regina lasciò perdere, sbuffando.

«Tremotino, abbiamo bisogno di un'altra informazione» continuò Regina. «Forse non avremo molte altre occasioni per contattarvi, quindi vorrei una spiegazione su come aprire lo scrigno e come applicare l'incantesimo».

«Lo scrigno lo si può aprire con la magia» rispose Tremotino. «Ci vuole una magia potente, e per vostra fortuna, mie care, voi disponete di questa magia».

Regina lanciò un'occhiata ad Emma, che ancora girovagava per la cripta, arrabbiata. Era inutile spiegare a Tremotino che in quel momento entrambe erano senza magia, avrebbero rischiato di allarmare Henry e basta. E poi, se c'era una cosa di cui Regina era sicura, era che non avrebbe lasciato quella strana Storybrooke senza la sua magia.

«Per applicare l'incantesimo» proseguì Tremotino. «Al tramonto dovrete recarvi nel luogo in cui dovreste tornare, in base al momento che avete scelto. Da lì dovete cercare la giusta angolazione, in modo che la luce della luna possa illuminare il libro, ma mi raccomando... deve essere nell'esatta pagina. La luce della luna deve illuminare proprio quella pagina».

«Va bene, che altro?»

«Quando la luna ha illuminato la pagina, dovete azionare il medaglione, aprendolo. A quel punto si aprirà una scia di luce, e tutto il resto verrà da sé».

Regina sospirò. «Ti ringrazio, Tremotino».

L'uomo non rispose e si allontanò dallo specchietto. Subito dopo ricomparve Henry.

«Problemi?» domandò il ragazzo.

Regina cercò di sorridere. «Niente che non si possa risolvere, tesoro».

«Mi mancate» bisbigliò Henry, malinconico.

Regina sentì un groppo alla gola. Emma la raggiunse, cercando di guardare il viso di Henry dallo specchietto.

«Anche tu ci manchi» disse la bionda. «Ancora qualche giorno e saremo di nuovo insieme».

Henry annuì.

Quando si salutarono e chiusero la comunicazione, Regina non riuscì più a trattenersi e scoppiò a piangere. Emma non disse nulla; si limitò ad abbracciarla e offrirle una spalla su cui piangere, esattamente come aveva fatto la bruna per lei molte altre volte.

 

**

 

«Tu resta qui e fammi da palo».

Emma era davanti alla porta del negozio di Gold. Senza la magia, avrebbero dovuto ricorrere ai vecchi metodi per entrare, ma con il rischio di essere beccate dallo Sceriffo.

«Ma cosa intendi con "palo"?» domandò Regina, a pochi metri dalla porta.

Emma sbuffò. «Devi fare la guardia. Se vedi qualcuno arrivare, avvisami».

Regina annuì, guardandosi intorno.

Emma infilò una forcina nella serratura e cercò di farla scattare. Era sempre stata piuttosto brava in quel genere di cose, ma in quel momento sembrava che la porta non volesse collaborare. Fu solo dopo qualche minuto che sentì un sonoro clack, e la serratura scattò.

«Ci sono» disse a Regina, che subito le si avvicinò. «Credo che una delle due dovrebbe restare fuori a fare la guardia».

Regina alzò una mano, come per offrirsi volontaria. «Ormai sono diventata un'esperta nel fare il polo».

«Palo...» specificò Emma, ridacchiando. «Senti, se vedi arrivare qualcuno, intenzionato ad avvicinarsi o... qualsiasi cosa ti sembri sospetto, dai un colpo alla porta. Così da dentro io so che devo muovermi».

«Un colpo alla porta?»

«Si, ma con disinvoltura. Fai finta di sbatterci contro accidentalmente. Così...»

Emma fece finta di stiracchiarsi, per poi colpire la porta con un pugno, mostrando una finta disinvoltura. Ma la mora la guardò perlpessa.

«Dai, Regina, è facile! L'ho insegnato anche a Henry!»

Regina corrugò la fronte. «E perché avresti insegnato a Henry certe cose?»

Emma sbuffò. «Ascolta, resto io a fare il palo. Entra tu. Se senti bussare, sai che devi sbrigarti ad uscire».

Regina non parve convinta, ma capì che sarebbe stato più facile per lei cercare il Vaso, piuttosto che fare la guardia. Emma fece qualche passo avanti e indietro, davanti alla porta, per controllare la situazione.

Regina restò dentro al negozio per quella che sembrò un'eternità. Emma continuò a guardarsi intorno freneticamente, mentre gli abitanti -sconosciuti- di Storybrooke procedevano con la loro vita normale.

Emma sospirò a lungo, pensando al momento in cui sarebbero tornati nella loro Storybrooke, tutti e tre insieme, e finalmente sarebbero potuti essere una famiglia. Però c'era anche la sua, di famiglia, e fu la prima volta che Emma si rese conto di cosa le aspettava, una volta tornate a casa. Ora che erano sole, nonostante tutti i problemi con l'ombra e il sortilegio, era come se fossero chiuse in una loro realtà, una specie di bolla di sapone rosa e ovattata. Ma questa bolla si sarebbe inevitabilmente rotta una volta che Mary Margaret, David e soprattutto Killian si sarebbero trovati davanti alla nuova situazione.

E la nuova situazione, ormai Emma lo sapeva bene, era che lei e Regina, seppur non se lo dicessero, stavano insieme. Pensò che glielo avrebbe dovuto dire, almeno prima che succedesse qualcosa di irrimediabile. Perché affrontare l'ombra non sarebbe stato semplice, il suo cuore era a rischio, lo sapeva bene. E se lo avesse perso aveva paura che avrebbe potuto dimenticare quei sentimenti che stava provando. Quei sentimenti che ormai non voleva più dimenticare. La loro bolla di sapone rischiava di potersi rompere molto prima del previsto.

«Signorina Swan!»

Emma sussultò. Si voltò in direzione di chi l'aveva chiamata e non fu sorpresa di vedere suo fratello Neal, scendere dall'auto della polizia.

«Mi vuole arrestare di nuovo, Sceriffo?» disse Emma, con un sorriso furbo sul viso.

Dentro di sé si sentiva terribilmente stupida per essersi distratta, ma forse poteva ancora rimediare. Facendo finta di stiracchiarsi, allungò una mano contro la porta e cercò di fare più rumore possibile, gesto che però non passò inosservato a Neal.

«Me lo dica lei» rispose il ragazzo, avvicinandosi. «Le piace proprio questo negozio, non è vero?»

«In realtà non sono una grande esperta di antiquariato» replicò Emma, cercando di non farsi prendere dal panico. Era proprio davanti alla porta, cercando di nascondere alla vista di Neal un qualsiasi spiraglio per guardare all'interno. Avrebbe voluto voltarsi e guardare cosa Regina stava facendo, ma non era prudente. «Sai, non sono un tipo così sofisticato. Preferisco cose come i fumetti, le serie tv...»

Neal sorrise. «Abbiamo gli stessi gusti, allora».

Emma annuì, cercando di prendere tempo.

«Quindi cosa ci fa qui?» continuò il ragazzo.

«Sto...» Emma esitò. «Sto aspettando una persona».

«Si fermerà molto qui in città, signorina Swan?»

Emma rise. «Ti interessa saperlo per qualche motivo in particolare, o solo perché speri che ti onori della mia presenza ancora un po'?»

Neal rise a sua volta, una risata che Emma notò molto simile alla sua. «Direi la seconda» rispose, sporgendosi un po' verso di lei. «Mi sono quasi abituato alla sua presenza qui, sa?»

Emma sentì che la conversazione stava prendendo una brutta piega.

«Sta aspettando qualcuno, come ad esempio... un uomo?» chiese cauto il ragazzo.

La conversazione stava decisamente prendendo una brutta piega.

Emma si morse l'interno delle guance, tesa. Si guardò intorno, sospirando per prendere tempo e cercando una soluzione per uscire da quella conversazione ambigua. Certo che aveva un talento naturale nel mettersi nei guai, pensò.

«Ehi, scusa il ritardo!»

Regina comparve alla sua destra, apparentemente dalla strada. Emma sgranò gli occhi, ma al tempo stesso cercò di non mostrare la sua sorpresa.

«Scusami, è molto che aspetti?»

Regina le si avvicinò, prendendole la mano, intrecciando le proprie dita con le sue. Le rivolse un'occhiata rassicurante, facendole tacitamente capire che doveva stare al gioco.

«No, non... non aspetto da tanto» balbettò. Strinse un po' la mano nella sua, sorpresa dal gesto.

Neal lanciò uno sguardo alle due donne, curioso.

«Vi lascio alle vostre occupazioni, signorine» disse, salutandole con un gesto della mano. E così come era arrivato, se ne andò, a bordo della sua auto da Sceriffo.

Quando l'auto svoltò l'angolo, Regina lasciò andare la mano di Emma che, tirando un sospiro di sollievo, subito si voltò verso di lei.

«Ma come hai fatto a...»

Emma non finì la frase, perché Regina le diede un colpo dietro la nuca.

«Ahia!» si lamentò la bionda. «Ma che ti ho fatto?»

«Sono uscita dalla finestra del retro, e tu...» le puntò un dito accusatorio contro. «Ci stavi provando! Ci stavi provando con tuo fratello

«Regina, è disgustoso!» replicò Emma, con una smorfia. «Io non ci stavo affatto provando. Era il contrario, piuttosto! Se non fossi arrivata tu mi avrebbe probabilmente chiesto di uscire...»

Un altro schiaffo, che stavolta Emma prontamente schivò.

Emma ghignò. «Smettila di essere gelosa e dimmi se hai preso il Vaso di Pandora!»

Il viso di Regina si colorò di rosso. «Certo che ho preso il Vaso, è nella borsa. E non sono gelosa. Adesso andiamo».

Regina si incamminò, ed Emma, con un largo sorriso sulle labbra, la seguì.

 

**

 

«E questo sarebbe l'oggetto che può contenere tutti i mali del mondo? Sembra un barattolo di caffé».

Emma si rigirava il Vaso di Pandora tra le mani, squadrandolo da cima a fondo. Era cilindrico, argentato, un piccolo barattolo dietro alla cui apparenza nascondeva un enorme potere.

«Tremotino l'ha camuffato per fare in modo che passasse inosservato» rispose Regina, ma quando si voltò e vide che Emma lo teneva in bilico sul proprio palmo della mano come un giocoliere, le si avvicinò e lo afferrò. «Stai attena, maledizione!»

Emma sussultò per il gesto repentino di Regina. «Ma è vuoto, quindi è innocuo».

«Lo so, ma non voglio correre rischi. Conoscendoti, potresti anche romperlo».

Emma sbuffò. «Non penso che si possa rompere così facilmente, e ti ricordo che non ho più la mia magia per fare danni».

Regina rise, posando il Vaso di Pandora su una mensola. «Finché non affronterò l'ombra non dobbiamo mai perdere di vista questo oggetto, esattamente come il libro».

Emma annuì, prima di rendersi conto delle parole che Regina aveva usato. «Aspetta un momento... hai detto "affronterò"?»

Regina si bloccò. «Ho detto...»

Emma fece qualche passo per ritrovarsi faccia a faccia con lei. «Regina, non starai pensando di andare da sola».

Si guardarono per un lungo momento, in silenzio.

Regina sospirò, socchiudendo gli occhi. «Vuole il tuo cuore, Emma».

«Non mi importa» rispose la bionda, con fermezza. «Non ti lascerò andare da sola».

Regina fece un passo verso di lei, trovandosi a pochi centimetri dal suo viso.

«Emma, ascolta...»

«No» la interruppe, alzando le mani in un gesto deciso. «Non mi importa, qualsiasi cosa dirai ho preso la mia decisione. Avevo promesso a Henry che mi sarei presa cura di te. Che ti avrei protetta. Ed è quello che ho intenzione di fare. Io sono la Salvatrice!»

Emma gesticolava freneticamente con le braccia; Regina capì che era agitata, così la afferrò per i polsi, bloccandoglie le braccia a mezz'aria. I suoi occhi scuri si piantarono in quelli chiari della bionda che, per un solo breve istante, si rilassò.

«Emma» disse Regina, in tono grave. «A volte... anche la Salvatrice deve essere salvata».

Emma restò immobile, riflettendo sulle parole di Regina. Poi scossò la testa.

«Non andrai da sola» disse, di nuovo. «Se fosse una trappola anche per te? Se ti facesse del male? Se ti...»

«Ok, ok» la interruppe Regina. «Se proprio vuoi venire, dovrai però farlo alle mie condizioni».

Emma restò in attesa, guardandola curiosa.

«E sarebbero?»

Regina lasciò i polsi di Emma, poi fece qualche passo avanti e indietro nella cripta, senza guardarla. Emma, invece, non le toglieva gli occhi di dosso.

«Una delle poche cose che mi ha insegnato mia madre» iniziò Regina. «E' quella di non portare mai il proprio cuore, in un duello tra streghe. Bè, penso che questa regola si possa adattare anche alla nostra situazione».

Emma trasalì. «Vuoi dire che...»

Finalmente Regina la guardò. «Se sei d'accordo, sì».

Emma si morse un labbro, pensierosa. Guardò il pavimento, riflettendo.

Farsi estrarre il cuore non era certo una delle sue attività preferite, ma doveva ammettere che era una buona soluzione. Regina l'avrebbe messo al sicuro, e lei sarebbe potuta andare con lei e proteggerla.

Così acconsentì. 

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Capitolo 17
*** Un giorno prima del solstizio d'estate. ***


Capitolo 17
Un giorno prima del solstizio d'estate





Il giorno prima del solstizio la tensione nella cripta aveva raggiunto livelli insopportabili.

Emma e Regina avevano creduto che in cinque giorni avrebbero avuto abbastanza tempo per ideare un piano per contrastare l'ombra e riuscire a spezzare in tempo il sortilegio, ma la realtà era stata molto diversa.

Dopo vari ragionamenti e continue ricerche, avevano realizzato che dovevano affidarsi alla fortuna; la tempistica non era dalla loro parte, non potevano sapere quanto ci avrebbero messo a rinchiudere l'ombra nel Vaso di Pandora, e il loro incantesimo si sarebbe attivato soltanto con la luna in una determinata posizione.

Quella sera, come nelle precedenti, le due donne erano alla Torre dell'Orologio a studiare la sua posizione.

La pagina del libro che avevano scelto, e cioè il luogo e il momento in cui sarebbero dovute tornare, era proprio alla Torre dell'Orologio, così avrebbero dovuto applicare l'incantesimo lì. Fortunatamente per loro, la torre non copriva la luna e da diverse posizioni potevano catturarne la luce.

Erano piuttosto scoraggiate, però, ricordandosi che non avevano nè la magia, nè il medaglione e senza quello non sarebbero riuscite nel loro intento.

Regina non lo avrebbe mai ammesso, ma senza la sua magia si sentiva vulnerabile e inutile. L'ombra aveva ragione, dicendole che senza la magia non era nessuno. Al tempo stesso, tuttavia, si sentiva anche in colpa verso Emma; se c'era qualcuno che rischiava la propria vita, quella era Emma, che era incredibilmente più tranquilla di lei, e le faceva forza quando invece doveva essere proprio lei a rassicurarla, essendo il suo cuore a rischio.

«Non sono affatto preoccupata, Regina» rispose Emma, dopo l'ennesima volta che Regina le aveva chiesto come facesse a essere così positiva. «Il nostro piano funzionerà. In fondo siamo pronte, ci manca soltanto il medaglione».

Regina, appoggiata con la schiena alla porta della biblioteca, raccolse la borsa che aveva posato ai propri piedi. Guardò il libro e il Vaso di Pandora all'interno di essa, sospirando. «Hai ragione, Emma. Stai solo dimenticando la parte in cui l'ombra cercherà di rubarti il cuore».

La bionda sospirò a sua volta, avvicinandosi a Regina per parlarle all'orecchio. Non sapevano dove l'ombra potesse essere, per quel che ne sapevano poteva anche essere lì a spiarle. Così era sempre meglio essere caute.

«Non preoccuparti neanche per quello» bisbigliò, alludendo al loro piano per evitare che ciò accadesse.

Regina, anche se per niente rassicurata, annuì.

«Quando torniamo nella cripta procediamo con... tu sai cosa» disse Regina, decisa.

Emma trattenne per un attimo il respiro. «Quindi, vuoi...» e d'istinto si portò una mano al petto.

«Sì» confermò Regina, decisa. «Dobbiamo trovare un posto sicuro per nasconderlo, e il tramonto di domani arriverà presto. Non voglio farmi trovare impreparata...»

Emma la fermò, prendendola per mano. «Forza, andiamo» disse. «Credo che tu abbia bisogno di rilassarti un po'».

Regina non fece in tempo a rispondere, che Emma la stava già trascinando verso la cripta. Ma una volta arrivate, la bionda non vi entrò, ma vi girò intorno fino a trovarsi dalla parte opposta all'entrata.

«Emma, cosa vuoi fare?» domandò Regina, perplessa.

La bionda si fermò. Prese la borsa dalla spalla di Regina e la posò a terra, per poi sedercisi accanto. Si tolse il giacchetto rosso, restando in canottiera, e lo mise a terra accanto alla borsa. Poi guardò Regina, sorridendole e facendole segno di sedersi accanto a lei.

La bruna, titubante, obbedì. Emma si diestese, portandosi le braccia dietro la testa e Regina la imitò, pur non capendo quali fossero le sue intenzioni.

«Quindi...» iniziò Regina, ma Emma la zittì.

«Resta in silenzio, e osserva» sussurrò.

Regina inarcò un sopracciglio, anche se Emma non poteva vederlo perchè erano al buio.

«Osservare cosa?» domandò.

«Il cielo» rispose semplicemente Emma. «La luna, le stelle. Guarda che spettacolo».

Regina alzò lo sguardo e restò sorpresa di non averlo notato prima.

Il cielo era limpido e luminoso, ricco di stelle che brillavano e donavano uno spettacolo incantevole. Erano state diverse notti a guardare la luna per studiarne le posizioni e non si erano mai rese conto della meraviglia che scintillava sopra le loro teste.

«Hai ragione» sussurrò Regina. «E' davvero uno spettacolo meraviglioso. Non so come abbia fatto a non notarlo prima».

Emma non rispose subito, ma cercò nel buio la mano di Regina.

«Sei solo nervosa, Regina» rispose Emma, calma. «Abbiamo avuto altre cose a cui pensare in questi ultimi giorni, non abbiamo avuto tempo di rilassarci e godere di queste piccole cose. Ma quando torneremo a casa sarà diverso».

Regina annuì, voltandosi a guardare la bionda che tuttavia continuava a guardare il cielo.

«Ci pensi mai a come sarà?» domandò Regina, in tono vago.

Emma si voltò a guardarla. «Come sarà cosa?»

«Tornare a casa».

Emma rimase sorpresa dalle parole di Regina. Non perchè non si aspettasse quel discorso, era piuttosto normale che Regina ci pensasse. Ma era strano che ci pensasse proprio in quel momento, quando solo pochi giorni prima anche i suoi pensieri erano rivolti al ritorno a casa.

Si ritrovò a sorridere, rendendosi conto che pur non parlandone, lei e Regina condividevano gli stessi dubbi, le stesse preoccupazioni, gli stessi desideri. Strinse un po' di più la mano di Regina nella sua, e lei le sorrise.

«Ci ho pensato» rispose. «Ci ho pensato molto negli ultimi giorni, e...»

Emma si fermò, lasciando la frase in sospeso. Avrebbe voluto dire a Regina che erano una famiglia. Loro due, insieme a Henry, e anche... anche il bambino che portava in grembo. Emma sapeva che i suoi pensieri erano folli, perchè quel bambino aveva un padre, Robin. Ma non le importava niente di Robin, nè di Killian, nè dei suoi genitori. Regina ed Henry erano la sua famiglia, e quindi anche quel bambino. Avrebbe potuto crescerlo come se fosse suo, anzi voleva crescerlo come se fosse suo. Ma come poteva dirlo a Regina?

C'erano così tante cose da risolvere, una volta tornate, che si chiese se avrebbero mai potuto assaporare un momento di serenità.

Forse, pensò, era meglio fare un passo alla volta. Forse era meglio iniziare con l'esternare i propri sentimenti.

«Anche io ci ho pensato» disse Regina, all'improvviso.

Emma si aspettava che dicesse qualcos'altro, ma Regina restò in silenzio.

Entrambe erano bloccate dalla paura di esporsi, di ammettere ciò che provavano, nonostante sapessero che prima o poi avrebbero dovuto affrontare il discorso. Ma forse non era ancora il momento.

Rivolsero entrambe il loro sguardo di nuovo alle stelle, restando in silenzio per parecchi minuti, le dita ancora intrecciate.

«Cosa diremo a Henry?» domandò Emma, spezzando il silenzio.

Regina, di nuovo, si voltò a guardarla. La domanda di Emma era vaga, ma era inutile fingere che non sapesse a cosa si riferisse.

«Gli diremo la verità» rispose, semplicemente.

«E quale sarebbe, la verità?»

Ed eccola lì, la domanda a cui entrambe non volevano rispondere. La domanda che avevano evitato fino a quel momento, per paura di ammettere cosa stava succedendo. Emma l'aveva posta con talmente tanta naturalezza che subito si pentì di non averci riflettuto. Poteva solo sperare che Regina non si tirasse indietro e che avesse più coraggio di lei nell'affrontare l'argomento.

E l'aveva. Regina Mills aveva abbastanza coraggio di affrontarlo, anche se a modo suo.

Non disse nulla, si limitò ad avvicinarsi ad Emma che, ancora col naso all'insù, restò sorpresa di trovarsi Regina così vicina. Si guardarono negli occhi per un secondo, riuscendo a distinguerli anche al buio, poi Regina accarezzò la guancia di Emma e la baciò.

Regina non era mai stata brava ad esternare i propri sentimenti, ma era ciò che stava cercando di dimostrare ad Emma attraverso quel bacio. Un bacio che doveva rappresentare il loro futuro insieme.

Le mattine in cui avrebbero fatto tardi a lavoro perché volevano rimanere a letto un po' di più.

La torta di mele appena sfornata, il cui profumo avrebbe riempito tutta la casa.

Le scarpe di Emma in mezzo al salotto perchè, Regina ne era convinta, era sicuramente disordinata.

La cioccolata calda con cannella a colazione, anche se Regina la odiava.

Il ritorno a casa dopo una giornata di lavoro e il ritrovarsi tutti insieme, e mai più soli.

Il futuro, per Regina, non era mai stato più chiaro di così. Per una volta, solo per una volta, Regina Mills forse poteva abbattere quel muro che si era costruita intorno per non soffrire. Ma sapeva di essere un fardello ingombrante, in quel momento. Emma forse aveva scelto lei, ma avrebbe dovuto scegliere anche il bambino che portava in grembo. Il bambino di Robin.

Quel bacio delicato ben presto divenne intenso e insistente, entrambe si lasciarono trasportare dai loro sentimenti e dalle emozioni che si provocavano l'un l'altra. Le loro lingue lottavano fameliche per ottenere il controllo, le loro mani si mossero in automatico sul corpo dell'altra esplorandone ogni centimetro.

Senza rendersene conto, Regina portò le mani ad accarezzare le braccia e le spalle di Emma, portandovi anche le labbra in modo da poter baciare la pelle candida della bionda.

Emma trasalì. Portò una mano tra i capelli di Regina, in un gesto disperato che chiedeva di più. Poi la bruna si spostò sul suo collo, lasciandole una scia di caldi baci che la fece tremare.

Poi si ritrovarono di nuovo occhi negli occhi, Emma ancora tremante, Regina col respiro mozzato dall'emozione. Si baciarono ancora.

Le loro mani continuarono a vagare incerte, quelle di Emma andarono a slacciare i primi bottoni della camicia di Regina in un gesto improvviso e spontaneo, quelle di Regina si infilarono sotto la canottiera di Emma, accarezzandole il ventre piatto e tonico.

Ma Emma, all'improvviso, si fermò. Si allontanò da Regina, prima che perdesse completamente il controllo.

«Non possiamo» balbettò, incerta.

Il suo respiro era affannato e irregolare, ed Emma si portò una mano al petto, sospirando a pieni polmoni.

«Non possiamo» ripeté. «Non adesso, non qui. A casa, dobbiamo... io devo...»

Regina annuì, consapevole. «Devi parlare con Uncino».

«Sì. Devo prima parlare con lui, devo risolvere quella situazione. Solo così dopo potremmo...»

Si bloccò.

Stare insieme, voleva dire.

Ma non lo disse.

«Hai ragione» disse Regina, mettendosi a sedere. Si riabbottonò la camicia, in imbarazzo. «Hai ragione, scusami. Non dovevo...»

Le parole non uscirono. Si alzò, raccolse la borsa da terra e restò qualche secondo immobile.

«Scusami».

E si avviò verso la cripta.

Emma si alzò a sua volta, ma non la seguì, non subito. Restò a guardarla allontanarsi, chiedendosi come fosse possibile che riuscisse a incasinare tutto anche quando bastavano due semplici parole per essere felice.

 

**

 

Regina era in piedi davanti allo specchio, quando Emma entrò nella cripta.

Aveva passato l'ultima mezz'ora a cercare il coraggio di parlare a Regina, ma non si aspettava di trovarla ancora sveglia al suo rientro.

La donna sentì dei passi alle proprie spalle, e si voltò.

«Ah, sei qui» disse, con un tono che non lasciava trapelare nessun emozione. «Sei pronta per...» e le indicò il petto.

Emma non disse nulla, e la guardò perlpessa. Aveva dimenticato che era arrivato il momento che Regina le togliesse il cuore dal petto, avrebbe preferito che potessero continuare il discorso che avevano lasciato in sospeso. Sperò di non averla fatta arrabbiare col suo comportamento.

«Va bene» disse poi, in un sussurro.

Regina si avvicinò, mettendosi di fronte a lei.

«Farà male?» domandò Emma, incapace di trattenere quella stupida domanda.

«Un pochino» rispose Regina. «Ma una volta estratto il cuore, non noterai la differenza».

Emma annuì, con un sospiro. Regina alzò una mano, soffermandola all'altezza del petto di Emma.

La bionda chiuse gli occhi, chiedendosi come sarebbe stato non avere il cuore nel petto. Probabilmente si sarebbe dimenticata di tutte quelle emozioni che la stavano travolgendo, si sarebbe dimenticata anche dei sentimenti che provava per Regina. Ma era davvero pronta a dimenticarsene? Come poteva separarsi dal suo cuore senza aver detto a Regina quello che provava per lei?

D'istinto, afferrò la mano che la bruna le stava inserendo nel petto.

«Aspetta».

Regina si fermò a guardarla.

Un groviglio di emozioni pervase Emma, tra le quale spiccò la paura. Ma si fece coraggio. Non poteva più aspettare, non poteva più rimandare quel momento.

«Prima che tu lo faccia» iniziò. «Voglio dirti una cosa. Magari non ne avrò più occasione...»

«Emma, non devi neanche dirlo».

«Lasciami parlare, ti prego».

Silenzio. Emma piantò i suoi occhi in quelli di Regina, e viceversa. Il braccio della mora era ancora teso verso Emma, che lo teneva saldo nella sua mano, come a non voler interrompere quel contatto.

«So che ti avevo detto che sarei stata dalla tua parte, qualsiasi decisione avresti preso riguardante il bambino, però... non posso più fare finta di niente».

Regina sbatté le palpebre, col cuore in gola, senza però smettere di guardarla.

Emma inspirò a fondo, cercò di mantenere la calma e prendere coraggio, prima di pronunciare quella frase che, sapeva, le avrebbe potuto cambiare la vita.

«Vorrei crescere questo bambino con te, Regina» disse, tutto d'un fiato.

Il cuore di Regina si fermò, o forse cominciò a battere talmente forte che non riusciva nemmeno a rendersene conto.

«So che Robin sarà sempre suo padre e io non voglio mettermi in mezzo. Se lui dovesse tornare e decidesse di prendersi cura del bambino, io mi farò da parte. Ma lui non è qui, adesso. Mentre io si e... so che è folle, e so che tu non avresti bisogno di nessuno perché sei stata una madre straordinaria per Henry. Se è il ragazzo che è diventato, è solo per merito tuo, e farai un lavoro meraviglioso anche con questa creatura...» e le posò una mano sul ventre. «Ma se vorrai, se me lo permetterai... vorrei poterti stare vicino».

Una lacrima rigò il viso di Regina, che abbassò lo sguardo. Emma a stento dovette trattenere le sue.

«Lo so che è folle» ripeté Emma, vedendo Regina stare in silenzio. «Ma abbiamo già un figlio insieme, dopo tutto. E quando torneremo vorrei... vorrei che potessimo essere...»

«...una famiglia» Regina terminò la frase per lei, ed Emma sorrise, nervosa, capendo che Regina voleva le stesse cose che voleva lei.

«Devo dirti una cosa anche io» sussurrò Regina, alzando lo sguardo sulla bionda.

Emma restò in attesa qualche secondo, mordendosi l'interno della guancia, tesa.

«Io... io non sono brava in queste cose» iniziò Regina, titubante. «Volevo dirtelo anche prima, quando eravamo distese fuori, ma ho avuto paura. E ho paura anche adesso...»

«Se può consolarti, io sono terrorizzata» intervenne Emma, con un sorriso nervoso. Regina ricambiò. «Bè, quello che vorrei dirti, Emma...» riprese. «E' che... Robin, il finto Robin, sapeva del bambino. Cioè, gliel'ho detto mentre eravamo insieme...»

Regina esitò, cercando di decifrare l'espressione di Emma, la quale si sentì improvvisamente insicura di tutto. Fece un passo indietro.

«Il fatto è che in quel momento ho capito» continuò Regina. «Ho capito che non volevo lui. Ho capito che la mia famiglia è con te, nonostante tutti i problemi che incontreremo. Ma sono pronta ad affrontarli... se tu sarai con me».

Stavolta fu il viso di Emma ad essere rigato dalle lacrime. Si sentì improvvisamente sollevata; credeva che Regina le stesse per dire che avrebbe cercato Robin, che non voleva una famiglia con lei, e invece sentì una sensazione di calore riempirla nel profondo.

«Penso che ormai sia inutile fingere» aggiunse la bruna. «Continuamo ad essere evasive sulla situazione, su ciò che proviamo, ma penso che ormai sia inutile. Quando torniamo a casa, Emma, e avrai sistemato le cose con Uncino, vorrei anche io che fossimo...»

«...una famiglia» intervenne Emma.

Poi entrambe sorrisero. Si strinsero in un abbraccio durante il quale sentirono i loro cuori battere frenetici uno contro l'altro. Si resero conto che avevano fatto tanta strada da quando Emma aveva bussato la prima volta alla porta di Regina, da quando si facevano la guerra e litigavano continuamente per avere Henry. Ora erano lì, entrambe con il desiderio di avere una famiglia insieme.

E in quel momento, un altro pensiero invase la mente di Regina, un pensiero prepotente che non l'aveva mai abbandonata, quella consapevolezza che la rendeva triste e la faceva sentire in colpa verso la ragazza che stringeva tra le braccia.

Sciolse l'abbraccio, rivolgendo il proprio sguardo in un punto imprecisato sul pavimento.

Emma notò il cambiamento di Regina, così le afferrò un polso e lo strinse per attirare la sua attenzione.

«Va tutto bene?» domandò.

Regina alzò lo sguardo colpevole su di lei. «Credo di dovermi scusare con te, Emma».

La ragazza la guardò senza capire. «Per cosa?»

Regina abbassò per l'ennesima volta lo sguardo. «E' colpa mia. Tutto ciò che hai dovuto passare è colpa mia. Se non avessi lanciato il sortilegio, tu non ti saresti dovuta separare dalla tua famiglia. Se hai passato un'infanzia orribile, se non sei potuta crescere insieme ai tuoi genitori, è stata sempre e solo colpa mia».

«Regina, non è vero» rispose Emma. «E' per quello che ti ho detto, vero? Non voglio che continui a pensarci, sono stata una stupida a dire quelle cose, non le penso davvero...»

«Perché non mi odi?» le chiese Regina all'improvviso, alzando lo sguardo su di lei. «Perché non mi odi per quello che ti ho fatto?»

Emma fu colta alla sprovvista da quella domanda, e lasciò la presa sul polso di Regina.

«Dovresti odiarmi per quello che ti ho tolto» incalzò la bruna, ormai decisa ad accettare qualsiasi cosa Emma le avrebbe potuto dire. «Dovresti odiarmi e invece mi stai accanto, mi proteggi, ti preoccupi per me».

Emma continuò a fissarla, ma non provò rabbia nei suoi confronti. Ci aveva pensato tante volte a come sarebbe stata la sua vita se fosse rimasta coi suoi genitori, ma in quel momento si rese conto che non era colpa di Regina. Si rese conto che le parole che le aveva detto erano dettate soltanto dalla rabbia.

«Io ti conosco, Regina» rispose, con calma. «Ti ho conosciuta come il Sindaco di Storybrooke, l'autoritaria madre di Henry, ma so che quella era solo una facciata».

Regina restò ad ascoltarla, mordendosi le labbra.

«Ho sempre visto in te un disperato bisogno d'amore» proseguì. «Tu volevi a tutti i costi una famiglia, qualcuno che ti amasse. Sono certa che anche nella Foresta Incantata era così, e che le tue azioni erano state guidate dalla paura della solitudine, non di certo dall'odio. Volevi distruggere la felicità degli altri perché pensavi che non potessi avere la tua. Forse non ti odio proprio per questo, perché so che in realtà non hai mai voluto causarmi intenzionalmente quella sofferenza».

«Questo però non mi giustifica» rispose Regina.

«Forse no, ma ormai è passato» disse Emma. «Mi dispiace per le cose che ti ho detto, non avrei dovuto dirtele, soprattutto in quel modo. Anche perché, su una cosa ho certamente sbagliato. Se tu non avessi lanciato il sortilegio e i miei non mi avessero messo nella teca, io probabilmente non avrei mai incontrato Neal, e non ci sarebbe Henry, e noi non saremmo qui...»

Regina sorrise. Emma fece lo stesso, imbarazzata.

«Si, insomma» proseguì la bionda. «Alla fine va bene così. Non voglio più pensare alla famiglia che avrei potuto avere, ma a quella che possiamo costruire insieme».

Regina le sfiorò le labbra con un veloce bacio. Lo sguardo di Emma si posò sulla cicatrice.

«Non sai quanto è importante per me tutto questo, Emma. È come se mi stessi dando la possibilità di... di rimediare. A ciò che ti ho fatto».

«Regina, non...»

«Emma» la donna le posò un dito sulle labbra. «Ti ho tolto la possibilità di avere una famiglia, da bambina. Ora voglio dartene una. Io, Henry e questo bambino... saremo la tua famiglia».

Sul viso di Emma si allargò un enorme sorriso, e lei sentì nel suo cuore un'immensa felicità. Baciò Regina con forza, come a volerle dimostrare con quel gesto quanto fosse felice. Quanto lei la stesse rendendo felice.

Poi Regina infilò una mano nel petto di Emma, che sussultò, un po' per il dolore, un po' per lo spavento.

«Regina!» gridò, appoggiandosi a lei.

«Scusa» disse, con un sorriso sghembo. «Fa meno male, se non te l'aspetti».

E con un colpo secco estrasse il cuore di Emma, mentre le grida di quest'ultima rimbombavano in tutta la cripta.

Emma si calmò soltanto pochi minuti dopo che Regina le ebbe estratto il cuore dal petto. La mora lo teneva saldo nella mano, mentre Emma, appoggiata a lei, cercava di recuperare un respiro regolare.

«Va meglio?» chiese Regina, accarezzandole la schiena.

«Sì» rispose Emma. «Sì, va meglio».

Poi Regina le porse il suo cuore.

«No, non lo voglio» disse Emma, allontanandosi da Regina e dal cuore. «Tienilo tu. Saprai metterlo al sicuro nel migliore dei modi».

Regina lanciò un'occhiata la cuore che pulsava nella sua mano, prima di guardare Emma. «Sei sicura?».

Emma le si avvicinò, le prese la mano e gliela strinse intorno al suo cuore.

«Il mio cuore è comunque tuo, Regina» disse, con un sorriso. «Ormai ti appartiene. Quindi sì, sono sicura».

Regina sentì un brivido lungo la schiena davanti alla naturalezza disarmante con cui Emma aveva pronunciato quella frase. Si chiese se la Salvatrice fosse consapevole di ciò che quelle parole avevano significato per lei.

Emma Swan le stava donando il suo cuore, in tutti i sensi in cui fosse possibile. Si fidava di lei, e sapeva che per Emma era difficile fidarsi di qualcuno.

Improvvisamente capì che stavolta era suo compito proteggere Emma, doveva mettere il suo cuore al sicuro in modo che non gli succedesse niente. E sapeva esattamente come fare. 


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Hello everybody!
Chi dire? So che in molti aspettavate questo capitolo. So che non c'entra niente a livello di svolta con la questione-ombra, però mi serviva di inserirlo perchè... bè, a parte il fatto che ERA DANNATAMENTE ORA CHE QUESTE DUE SI DECIDESSERO AD ESTERNARE I PROPRI SENTIMENTI. Ma a parte questo, penso che ci voleva un chiarimento, un VERO chiarimento tra Emma e Regina. 
Perchè voi non ve lo chiedete mai? Per quale motivo Emma non odia Regina per il sortilegio e tutto quello che ne è derivato. Insomma, alla fine è totalmente colpa di Regina se Emma ha passato una vita d'inferno. Poi che l'abbia fatto per più o meno buoni motivi, è un altro discorso. Io volevo dare un senso anche a questo, ma non so se ci sono riuscita. 
Probabilmente Emma avrebbe dovuto rispondere "Non ti odio perchè ti amo dal primo momento che ti ho vista" ahahah ma mi sembrava un po' eccessivo! Sappiamo tutti quanto la Salvatrice sia... come dire, schiva nel dire quelle due magiche paroline. Idem Regina, quindi insieme fanno proprio una bella coppia e ci manderanno al manicomio.
Anyway, mi sto dilungando troppo, quindi in definitiva spero che il capitolo vi piaccia e che lo apprezziate. Avrete capito che ormai manca poco alla conclusione, mancano 3 capitoli soltanto. 
Ringrazio tutti quanti, ognuno di voi, per l'affetto che mi dimostrate ogni giorno, non solo tramite le vostre recensioni ma anche in pagina. A proposito della pagina, è iniziato il rewatch della quarta stagione di Once, condividerò i momenti più belli di Emma e Regina. Se volete farlo con me, vi aspetto qui:   https://www.facebook.com/pages/SwanQueen-I-cattivi-non-hanno-mai-un-lieto-fine-ma-Regina-ha-Emma/1587931868117207?ref=bookmarks

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Capitolo 18
*** La notte del solstizio d'estate, parte 1. ***


Capitolo 18

La notte del solstizio d'estate
-Parte 1-  

 




La tranquillità di Emma cominciò a calare nel momento in cui cominciarono a intravedere in mezzo agli alberi il Pozzo di Storybrooke. Era il tramonto, e il cielo era lievemente tinto di rosso, ma nessuna delle due riusciva a fare caso al panorama.

Regina aveva una borsa a tracolla contenente il libro e il Vaso di Pandora. La stringeva a sé, sfiorando con le dita la superficie liscia del Vaso e la copertina del libro, per assicurarsi che fossero ancora lì. Aveva come la sensazione che l'ombra avrebbe trovato un modo per portarglieli via.

Una volta raggiunto il Pozzo, l'ombra non si fece attendere a lungo. Il sole si spense all'improvviso, anche se non era ancora tramontato, e l'aria intorno a loro si fece gelida almeno quanto il suono della voce dell'ombra, che ormai conoscevano fin troppo bene. Sentirono intorno quell'inquietante presenza, anche se non la vedevano, sapevano che era lì.

Regina lanciò uno sguardo preoccupato ad Emma, che cercò di mostrarsi tranquilla, e le rispose con un sorriso incoraggiante. Poi, all'improvviso, quel sorriso svanì. I suoi occhi diventarono gelidi e vuoti, e il suo corpo cominciò ad essere scosso dai tremiti.

Regina trasalì, guardandosi intorno alla ricerca dell'ombra.

«Dove sei?» gridò, con tutta la voce che aveva.

Regina ebbe la tentazione di prendere il Vaso di Pandora e intrappolare l'ombra, ma doveva attenersi al piano. Doveva prima recuperare lo scrigno, ma vedere Emma in quelle condizioni le faceva perdere la lucidità.

«Dammi lo scrigno!» gridò, cercando di ricacciare indietro la lacrime. Non doveva cedere. «Avevamo un accordo!»

«Dovresti saperlo, Regina Mills».

Fu la prima volta che l'ombra parlò, e Regina capì che non si sarebbe mai abituata a sentire quella voce gelida parlare attraverso Emma. La donna deglutì a vuoto, cercando di nascondere la paura che si stava impadronendo di lei.

«Dovresti saperlo, che gli accordi non si infrangono».

Regina ringhiò. «Dammi lo scrigno!»

«E tu dammi il cuore della Salvatrice».

Regina sapeva che, non appena l'ombra si fosse impossessata di Emma, si sarebbe resa conto che il cuore non era al suo posto. Sperava solo di avere più tempo per recuperare lo scrigno.

«Ti darò il cuore di Emma, soltanto quando mi avrai dato lo scrigno» disse, ferma, una mano già infilata nella borsa. Estrasse un piccolo sacchettino di stoffa. «Il cuore è qui dentro. Lo scrigno dov'è?»

Emma, improvvisamente, si immobilizzò. La ragazza cadde in ginocchio, per poi accasciarsi a terra, e Regina si mosse in avanti per afferrarla, ma si immobilizzò. Ora doveva mantenere la concentrazione, doveva restare attenta.

Si voltò, e si ritrovò faccia a faccia con quella macchia nera e indefinita che era l'ombra. Da quest'ultima scaturì qualcosa di ancora più nero, e cominciò a fluttuare nell'aria sopra di loro; lo scrigno.

«Dammi il suo cuore, Regina Mills» le intimò l'ombra.

Regina esitò. Guardò lo scrigno come se potesse attirarlo a sé con la sola forza del suo sguardo e nel frattempo strinse ancora di più il sacchetto con il cuore.

Poi sentì qualcosa passarle accanto e un secondo dopo vide Emma scaraventarsi contro l'ombra. Emma colpì lo scrigno, che sfuggì dalla presa dell'ombra e iniziò a rotolare nell'erba. Regina approfittò di quel momento per estrarre il Vaso di Pandora.

L'ombra ringhiò. «Ti pentirai di questo, Salvatrice!»

Emma ghignò, prima di rialzarsi e correre verso lo scrigno. Regina fece per scoperchiare il Vaso di Pandora, ma si bloccò.

Tutt'attorno cominciarono a fluttuare delle ombre, che danzavano intorno a loro, avvolgendole e togliendo loro la vista. Diventò tutto buio; Emma si fermò a mezzavia dal raggiungere lo scrigno, Regina allentò la presa sul coperchio, usando il braccio con cui ancora teneva il cuore per cercare di scacciare quel fumo che la stava avvolgendo.

Poi accadde qualcosa di sinistro, qualcosa di inaspettato. Regina sentì la terra sotto ai propri piedi diventare sempre più morbida, finché non sprofondò in quella che sembrava... acqua. Improvvisamente si ritrovò a dover restare a galla, scalciando i piedi e cercando di non affogare. Il Vaso di Pandora le scivolò di mano, mentre d'istinto si strinse il sacchetto con il cuore al petto. Si guardò intorno, spaesata.

«Emma?» gridò, ma la sua voce le si spezzò quando l'acqua le arrivò alla gola.

Si rese conto che la magia dell'ombra era estremamente potente. Razionalmente sapeva che era tutta un'illusione, ma le sembrava di star per annegare da un momento all'altro.

Trattenne il respiro, quando un'altra ondata la invase e la coprì fin sopra la testa. Nuotò verso l'alto, cercando di risalire in superficie, il cuore ancora stretto a sé. Quando riuscì a tornare a galla, respirò a pieni polmoni, guardandosi ancora intorno.

«Emma?» gridò di nuovo, nuotando in avanti. Non vedeva Emma da nessuna parte. Intorno a lei c'era soltanto acqua e buio. E disperazione.

Emma comparì pochi istanti dopo, afferrando Regina per un braccio, trascinandola verso di sé appena prima che un'altra ondata le facesse sprofondare.

«Regina! Stai bene?»

Regina fu come riportata alla realtà. «Emma!» esclamò, poi si protese verso di lei per abbracciarla.

Emma la strinse, continuando a scalciare per mantenere entrambe a galla. «Che sta succedendo, Regina?» domandò. «Dove siamo finite? Da dove arriva tutta quest'acqua?»

Regina si allontanò quanto bastava per guardare Emma negli occhi. «Non lo so, Emma» ammise. «Credo che questa-»

Ma dovette interrompersi, perchè un'altra ondata le ricoprì interamente, e furono costrette a trattenere ancora il respiro.

«Tutto questo non è reale, Emma» gridò Regina, una volta riemerse.

La bionda la guardò, sconvolta. «Ma come... come è possibile?»

«Non lo so» rispose Regina. «Dobbiamo trovare il modo per-»

Finirono di nuovo sott'acqua, e rimersero pochi istanti dopo; entrambe poterono vedere distintamente sul volto dell'altra il terrore e la consapevolezza che non sarebbero riuscite ad uscire vive da quella situazione.

«Regina» bisbigliò Emma, avvicinandosi a lei. «Cosa... cosa possiamo fare?»

Regina non rispose, e il suo silenzio fu sufficiente. Si guardò intorno, disperata, rassegnata. Quando si voltò a guardare Emma, la bionda le sorrise.

«Regina» iniziò, in tono grave. «Se non dovessimo farcela, vorrei che sapessi...»

«No, Emma» Regina la interruppe, spalancando gli occhi, tenendo la presa salda sulle spalle della bionda. «Ce la faremo. Non puoi arrenderti, devi spezzare il sortilegio. Henry e i tuoi genitori contano su di te. E anche io».

Emma la guardò per un secondo, rivolgendole un'occhiata stanca, atterrita.

Regina proseguì. «Tutto questo non è reale. Ci deve essere un modo per-»

Improvvisamente furono avvolte da un vortice che le trascinò in basso. Emma afferrò il braccio di Regina prima che venissero risucchiate, e la attirò a sé, anche se non fu un'impresa facile perchè le acque cercavano in tutti i modi di dividerle. Regina strinse il cuore a sé, non lo avrebbe mai lasciato andare per nessun motivo. Vennero trascinate ancora più in profondità, Regina che cercava disperatamente un appiglio, Emma che continuava a calciare per poter riemergere. Ad un certo punto, smise di nuotare, smise di provare a salvarsi, e si lasciò trascinare dalle acque. Regina, con la mano stretta in quella di Emma, si rese conto che il respiro le stava venendo meno sempre di più, e lo stesso doveva star succedendo anche ad Emma che improvvisamente perse i sensi.

Se non si fossero trovate sott'acqua, delle calde lacrime sarebbero scese sul viso di Regina, che non poté fare altro che avvinghiarsi ad Emma e stringerla a sé.

Poi, ancora una volta, accadde qualcosa di strano e inaspettato. Le acque intorno a loro iniziarono a vorticare più velocemente e si aprirono, lasciando intravedere una striscia di terra.

Regina ed Emma furono sbalzate da due parti opposte, separandosi violentemente, finché non caddero a terra. Sputarono acqua per parecchi minuti, inalando l'aria nei polmoni finché non riuscirono ad avere di nuovo il respiro regolare.

Quando tutto il buio si dissolse, le due donne si ritrovarono faccia a faccia con qualcuno che non avrebbero mai voluto vedere in quella situazione.

«Henry!» gridò Regina, sgranando gli occhi.

Emma trasalì. «Ragazzino...»

Il ragazzo era immobile davanti a loro, esattamente in mezzo tra le due donne che da una parte e dall'altra lo osservarono esterrefatte. Finché, in un attimo, non cominciò a tremare.

«No!» gridò Emma, alzandosi e correndogli incontro.

Regina, dall'altra parte, gridò a sua volta. «Emma, fermati! Non è reale!»

Emma si bloccò a pochi metri dal ragazzo. Regina si guardò intorno, individuando il Vaso di Pandora in mezzo all'erba.

Henry fu avvolto completamente da un'ombra scura, che lo sollevò da terra, stringendolo per la gola. Si dimenò, portandosi le mani alla gola, nel tentativo di liberarsi, tossendo e rischiando di soffocare.

Emma cercò lo sguardo di Regina.

«Non è reale» disse Regina, raccogliendo il Vaso di Pandora.

«Guardate il ragazzo soffocare» gridò l'ombra, ghignando. «Vostro figlio sta morendo».

Regina fu invasa dal panico, e stavolta fu lei a cercare coraggio nello sguardo di Emma. Quando lo incrociò, capì che la ragazza stava provando le stesse sue sensazioni. Aveva uno sguardo terrorizzato negli occhi, si agitava sul posto, tentata dal buttarsi verso Henry e salvarlo. Ma entrambe sapevano che quella era solo un'illusione.

«La pagherai!» gridò Regina, decisa. Poi scoperchiò il Vaso di Pandora e lo tese verso l'ombra.

Emma e Regina restarono con il fiato sospeso, ma non accadde niente di ciò che si aspettavano.

L'ombra scomparì, mentre Henry cadde a terra, svenuto, davanti ai loro occhi. Regina non sapeva come funzionasse il Vaso di Pandora, ma era certa che non stava risucchiando l'ombra dentro di sé.

«Ma cosa...» Regina guardò il Vaso confusa.

Henry si rialzò, con un ghigno malvagio. «Ti facevo più furba, Regina Mills» disse, con la voce metallica dell'ombra. «Quell'oggetto non funziona finché sarò in forma illusoria. Funziona solo con la mia vera essenza. Finché avrò questo aspetto non potete fare niente contro di me».

Regina contrasse le labbra in una smorfia. Incrociò lo sguardo teso di Emma, alle spalle di Henry.

La bionda si voltò, cauta, a cercare lo scrigno. Giaceva ancora a terra, e provando a non farsi notare, corse verso di esso per prenderlo. Ma prima che potesse arrivarci, l'ombra lo attirò a sé, e subito fu nelle mani di Henry.

Una risata gelida sferzò l'aria.

«Non siete niente senza la vostra magia».

Emma si lasciò scappare un grido frustrato. Regina richiuse il Vaso di Pandora e lo posò a terra.

«Datemi il cuore della Salvatrice!» gridò il finto Henry.

Regina lo stringeva ancora tra le mani. Lo sapeva che sarebbero arrivati a tanto, lo sapeva che avrebbe dovuto dargli quel cuore.

Poi Emma la raggiunse. «Regina, dagli il mio cuore» le disse, afferrandole le spalle.

«Emma...» iniziò Regina, ma la bionda la interruppe.

«Tu prendi lo scrigno, spezza il sortilegio e torna a casa. Non importa cosa accadrà a me».

Regina avrebbe voluto dirle tante cose, ma si limitò ad allontanarsi da lei, stringendo il sacchetto con il cuore.

Raggiunse Henry, che ghignava, un sorriso maligno che stonava con il suo viso dolce. Regina chiuse gli occhi; non poteva vederlo così.

Allungò la mano con il cuore verso il ragazzo. «Eccolo».

L'ombra lo afferrò, lasciando cadere lo scrigno a terra.

«Si» gridò l'ombra, soddisfatta.

Poi il corpo di Henry scomparì, lasciando spazio alla macchia nera che era l'ombra, il pendente con la magia di Emma e Regina che fluttuava sopra di essa.

«Ora ho tutti gli ingredienti e potrò avere una forma umana» gridò.

Estrasse il cuore dal sacchetto, che cominciò a fluttuare accanto al pendente. Lo espose alla luce della luna, e una scia luminosa colpì i due oggetti e poi l'ombra.

Emma guardava la scena, sentendo un enorme vuoto nel petto, mentre Regina aveva raccolto lo scrigno e l'aveva raggiunta di nuovo.

«Emma, ascoltami» iniziò Regina, agitata. «Prendi il Vaso di Pandora e intrappolala. Soltanto così riusciremo ad avere il pendente, e riavremo la nostra magia».

Emma la guardò confusa. «Regina, non possiamo più intrappolarla, sta tornando in forma umana».

Regina fece un sorriso malinconico. «Non tornerà in forma umana» disse.

«Regina, cosa...» non ci fu bisogno di finire la frase, Emma capì subito cosa aveva fatto Regina. «Non avrai...»

Regina non fece in tempo a rispondere che si accasciò a terra, tremante, gridando dal dolore. 


________________________________________________________________________________________________________

Buonasera team SwanQueen!
Eccomi qui con il terzultimo capitolo di questa ff. Ormai stiamo raggiungendo la fine, e so che voi tutti aspettavate questo momento che è lo stesso che avete letto nel prologo. Spero che ora abbiate un po' più chiaro ciò che è successo, però comunque vi chiedo: cosa pensate abbia fatto Regina? La risposta penso sia chiara a tutti quanti, ma non si sa mai. :P
Quindi, come sempre, vi ringrazio per le recensioni, le visite, i commenti, tutto. Siete nel mio cuore, tutti quanti, ad uno ad uno, e sono molto contenta che tra una recensione e un'altra sono riuscita a conoscere delle belle persone come voi. 
Alla prossima settimana con il penultimo capitolo! <3

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Capitolo 19
*** La notte del solstizio d'estate, parte 2. ***


Capitolo 19 
La notte del solstizio d'estate
-parte 2-



 

«Regina!»
Emma la prese tra le braccia, un attimo prima che cadesse a terra. I suoi occhi si riempirono di lacrime. «Perché l'hai fatto?»

Regina la guardò. Infilò una mano nella borsa che ancora aveva a tracolla, ed estrasse un secondo sacchettino, contentente il cuore di Emma. Lo prese e con un colpo secco lo rimise nel petto della bionda che si ritrovò a stringere i denti per non urlare.

«Il processo di... rigenerazione non... non si... compirà» Regina parlò, scossa dai tremiti, con voce flebile e spezzata. «Prendi il Vaso di Pandora e intrappola l'ombra. Recupera il pendente...» si ritrovò a sospirare debolmente. «...spezza il sortilegio».

Emma si asciugò le lacrime, poi guardò di fronte a sé.

«Salverò anche il tuo cuore, Regina» disse. «Fosse l'ultima cosa che faccio».

Con un enorme sforzo si decise a lasciare Regina stesa a terra, per cercare il Vaso di Pandora. Lo individuò, in mezzo all'erba, così corse a prenderlo, cercando di tenere a freno la propria paura.

L'ombra, intanto, era ancora avvolta da quel fascio di luce proveniente dalla luna, ma il processo, come Regina aveva intuito, non si stava compiendo.

«Ma che succede?» gridò l'ombra, confusa.

Emma le si parò davanti. «Succede che non hai fatto i conti con qualcosa di più grande di te e dei tuoi poteri».

Emma urlò, con la stessa forza con cui scoperchiò decisa il Vaso di Pandora.

L'ombra ringhiò, un momento prima che iniziasse a essere risucchiata dal Vaso. Lentamente, l'essenza dell'ombra cominciò a sparire e tutti i suoi tentativi di resistere, di trasformarsi, di scappare, furono vani. Il pendente con la loro magia cadde a terra ed Emma vide anche il cuore di Regina.

La ragazza posò il Vaso a terra e si tuffò in mezzo all'erba, per afferrarlo prima che cadesse. Lo prese con entrambe le mani e lo strinse al petto, mentre l'ombra scompariva completamente nel Vaso di Pandora. Emma si rialzò subito per andarlo a chiudere.

L'ombra era finalmente in trappola. Sospirò. Avrebbe voluto accasciarsi a terra e piangere, o vomitare, o forse entrambe le cose, ma non si lasciò andare.

Corse da Regina, distesa a terra, priva di sensi. Con un gesto deciso le infilò di nuovo il cuore nel petto e un tremito percorse il corpo della donna.

«Regina!»

Emma prese il viso di Regina tra le mani, attendendo qualche secondo, ma l'ansia si impadronì di lei nel vedere che Regina non dava segni di vita.

«Regina...» ripeté, in un sussurro.

Le mani andarono dal viso al petto di Regina, e automaticamente la presa di Emma si strinse sulla sua giacca. Le lacrime iniziarono a scendere sulle sua guance, mentre con rabbia stringeva i pugni e cercava di scuoterla per rianimarla.

«Non puoi morire!» gridò, con rabbia. «Non te lo permetto, Regina, non puoi...»

Singhiozzò. Con i pugni ancora stretti, si accasciò sul suo petto, piangendo.

«Non posso...» disse, con la voce spezzata. «Non posso vivere senza di te».

Pianse per quelle che sembrarono ore, appoggiata sul petto di Regina, sentendosi impotente e insignificante. Non poteva credere che fosse morta, non lo poteva accettare. Avrebbe dato qualsiasi cosa per salvarla, avrebbe dato anche la sua vita. L'unica cosa che desiderava era sentire di nuovo il cuore di Regina battere.

E fu in quel momento che lo sentì. Il suo orecchio, premuto contro al petto della donna, captò quello che sembrava un piccolo battito. Emma trasalì, chiedendosi se se lo fosse solo immaginato. Così smise di singhiozzare e restò in silenzio, ricevendo la conferma che aspettava.

Il cuore di Regina batteva ancora. Era il suono più bello che avesse mai sentito.

Con gli occhi colmi di lacrime, alzò la testa.

«Swan...» borbottò Regina, aprendo gli occhi.

Emma sorrise, di un sorriso che avrebbe potuto oscurare il sole e la luna.

«Sei pazza!» gridò, appoggiandosi di nuovo sul suo petto. «Perché l'hai fatto? Saresti potuta morire...»

«Lo sai perché» rispose Regina, debolmente, portando una mano ad accarezzare la testa di Emma. La bionda alzò di nuovo lo sguardo, e Regina le sorrise caldamente. «Le persone fanno sempre cose pazze... quando sono innamorate».

Il cuore di Emma fece una capriola, e fu strano per lei sentirlo di nuovo vivo dentro al petto. Sorrise e la strinse forte a sé, e in quel momento più che mai si rese conto di quanto quei sentimenti fossero reali.

Era come se Regina si fosse, lentamente, annidata dentro di lei, in ogni singola parte del suo cuore e della sua anima. La stava riempiendo di qualcosa che non aveva mai avuto per tutta la vita; l'amore.

Ed era esattamente quel tipo di amore che entrambe cercavano da sempre e che non credevano di meritare.

Era quel tipo di amore che ti travolge quando meno te lo aspetti, quando lo smetti di cercare.

Era quel tipo di amore che non si può spiegare a parole, ma soltanto coi gesti. E Regina l'aveva appena dimostrato, salvando il suo cuore. Ed Emma fu sicura che avrebbe passato il resto della sua vita a dimostrarle la stessa cosa.

 

 

**

 

 

Emma e Regina, avvolte dentro un vortice scuro, si strinsero l'una con l'altra nell'attessa di raggiungere la loro destinazione.

Quando riaprirono gli occhi, si ritrovarono sotto la Torre dell'Orologio, esattamente come un momento prima che quel vortice le risucchiasse. Il libro era aperto davanti a loro, la catena del medaglione le avvolgeva entrambe.

Avevano fatto tutto esattamente come Tremotino aveva spiegato loro, quindi l'unica cosa che ora potevano fare era controllare che fossero arrivate nel posto giusto. D'istinto, alzarono gli occhi verso l'orologio, che indicava le otto e un quarto di sera.

Il tramonto era passato da un pezzo, nella Storybrooke del futuro, ma l'immagine del libro le ritraeva esattamente lì dov'erano, esattamente al tramonto. Forse per una volta era andato tutto come previsto.

Emma si tolse la catena del medaglione dal collo e andò a raccogliere il libro.

«Devo trovare i miei genitori» disse, decisa.

«Aspetta, Emma» la fermò Regina. «Dobbiamo andare al negozio di Tremotino. Dobbiamo andare a prendere Henry».

Emma porse il libro a Regina. «Prima dobbiamo assicurarci che siamo tornate nel posto giusto».

Iniziò a correre verso il loft dei suoi, con l'adrenalina che le saliva nelle vene e lo sguardo stranito di Regina che, anche se con passo più lento, la seguì.

Arrivata, Emma salì i gradini a due a due, mentre Regina la seguiva col fiato grosso.

«Emma, per favore, rallenta...»

Ma Emma stava già bussando furiosamente alla porta.

Mary Margaret aprì, tenendo il piccolo Neal tra le braccia. Un ampio sorriso si materializzò sul volto di Emma nel vedere sua madre di nuovo giovane, di nuovo sé stessa; senza rughe, senza capelli bianchi, semplicemente quella che lei aveva sempre conosciuto.

«Emma!» esclamò, sorridendo. «Sei tornat-»

Emma strinse Biancaneve in un abbraccio, mentre Regina la raggiunse sulla porta. Poi prese il piccolo Neal e lo baciò, lo abbracciò, gli fece fare anche l'aeroplanino facendolo ridere.

Mary Margaret la guardò confusa ma felice di quell'inaspettato gesto d'affetto. «Emma, stai bene?»

«Sono solo felice che non abbia vent'anni!» gridò la bionda, senza togliere gli occhi di dosso al suo fratellino.

Biancaneve si voltò verso Regina, che la guardò comprensiva. «Ha esagerato con il ruhm» scherzò.

«Eravamo in pensiero per voi» disse Mary Margaret, chiudendo la porta, una volta che Regina fu entrata. «Non abbiamo vostre notizie da giorni! Ma dov'è Henry?»

«E' una storia un po' lunga» spiegò Regina. «Henry sta bene, dobbiamo andare a prenderlo».

Mary Margaret parve piuttosto confusa. «Andare a prenderlo? Dove?»

«E' una storia lunga, mamma» rispose Emma. «Ti spiegheremo tutto una volta che abbiamo preso Henry».

Regina fece un passo verso Emma. Sorrise, alla vista della bionda che cullava il bambino, immaginandosi quando ci sarebbe stato il bambino che portava in grembo tra le sue braccia.

Scacciò quel pensiero, cercando di restare impassibile. «Se vuoi posso andare da sola a prendere Henry. Se preferisci rimanere qui».

«No, vengo con te» rispose Emma, avvicinandosi a Biancaneve per ridarle il bambino.

La donna sembrava piuttosto frastornata. «Emma, ma... cosa è successo? Sei appena tornata e già te ne vai».

«Lo so, ma dico davvero, ti spieghiamo tutto dopo».

Le due donne erano già con un piede fuori dalla porta quando Biancaneve le fermò di nuovo.

«Emma, dovresti chiamare Killian».

Sia Emma che Regina si immobilizzarono sul pianerottolo.

«Era preoccupato per te» continuò Biancaneve. «Sono giorni che si fa in quattro per cercare un modo per trovarti».

Regina abbassò lo sguardo, incamminandosi lungo le scale. Era come se si sentisse un'estranea in quella conversazione, come se non avesse il diritto di origliare.

«Puoi chiamarlo tu?» disse Emma, sbrigativa. «Non ho il telefono e adesso non ho proprio tempo, dobbiamo...»

«Andare a prendere Henry, si» la interruppe sua madre. «Ma sta bene? E' successo qualcosa?»

«Mamma non preoccuparti» disse. «Ti spiego tutto più tardi» e scese la scale nello stesso modo in cui era salita, facendo i gradini due a due.

 

**

 

Raggiunsero il negozio di Tremotino, dove una Belle piuttosto sorpresa la salutò con un gran sorriso.

Distrutto il sortilegio e l'ombra stessa, le sue azioni erano state annullate, perciò l'Armadio era di nuovo funzionante. Avevano contattato Henry tramite il frammento di specchio per dirgli che poteva attraversare il Pozzo dei Desideri. Il ragazzo sapeva che quella sera le sue mamme avrebbero cercato di spezzare il sortilegio, quindi si era recato al Pozzo come deciso e aveva pregato che tutto andasse per il verso giusto.

Quando ricevette la chiamata sentì un senso di sollievo invaderlo completamente. Finalmente avrebbe potuto riabbracciare le sue mamme.

Quando comparve dal fascio di luce dell'Armadio si lanciò letteralmente tra le braccia di Emma e Regina.

«Mi siete mancate!» gridò il ragazzo, entusiasta.

«Lo avevamo capito, ragazzino» scherzò Emma. «Ce l'hai ripetuto solo un milione di volte!»

Tutti e tre risero.

«Ma adesso è tutto finito» aggiunse Regina. «Finalmente siamo a casa».

Quando Henry si sciolse dall'abbraccio, guardò prima Emma e Regina, poi Belle.

«Non sono sicuro di aver fatto la cosa giusta» cominciò il ragazzo. «Ma c'è qualcuno con me» e si voltò verso l'armadio.

Emma e Regina guardarono Belle, mentre Tremotino compariva dal fascio di luce scaturito dall'armadio.

Belle trasalì.

Tremotino la guardò. «Ciao Belle».

La ragazza non si mosse. «Cosa ci fai tu qui?»

Tremotino non rispose, ma furono Emma e Regina a rispondere.

«Tremotino ci ha aiutato a tornare a casa» disse Regina.

Emma annuì. «Non saremo qui se non fosse per lui».

Fu la prima volta che videro Tremotino rivolgere loro uno sguardo riconoscente.

Belle non disse nulla, mentre lei e Tremotino continuarono a scambiarsi uno sguardo indecifrabile. Poi Regina, Emma ed Henry li lasciarono soli, uscendo nelle strade di Storybrooke, la loro Storybrooke, il ragazzino stretto in un caloroso abbraccio da entrambe le sue mamme.

 

**

 

Emma e Regina furono piuttosto evasive alle domande di Henry su ciò che era successo in quei giorni che erano stati separati.

Sapevano perfettamente che il loro figlio era un ragazzo sveglio e non si riferiva soltanto all'ombra e al sortilegio appena spezzato. Henry si era sicuramente accorto che qualcosa tra loro due era cambiato, ma entrambe pensavano che non fosse il momento giusto per parlargli. Erano in mezzo alla strada, diretti di nuovo al loft, dove le attendevano altre spiegazioni che avrebbero dovuto dare. Avrebbero preferito aspettare e parlarne a Henry con calma, ma il ragazzino non era dello stesso avviso.

«Glielo avete già detto?»

Sia Emma che Regina, strette intorno a lui, lo guardarono a lungo, dopo essersi scambiate un'occhiata silenziosa.

«A chi?» domandarono.

«Al nonno e alla nonna» rispose Henry, in tono ovvio. «Se prima siete state al loft, avrete sicuramente parlato».

«Parlato di cosa, Henry?» domandò Regina, cercando di sviarlo.

Ma il ragazzo rivolse a entrambe un sorriso furbetto. «Di voi due».

Emma e Regina arrossirono, distogliendo lo sguardo. Henry rise.

«Dai, potete dirmelo» le spronò. «Tanto io lo sapevo già. Si vedeva lontano un miglio che qualcosa stava cambiando tra voi due».

Il ragazzo si divincolò dall'abbraccio, soddisfatto, mettendosi a camminare all'indietro per poter guardare in faccia le sue mamme.

Emma e Regina erano visibilmente imbarazzate. Si scambiarono un'altra occhiata, sorridendo.

«Eravamo un po' preoccupate della tua reazione» iniziò Regina, con sguardo comprensivo.

«Già, non sapevamo che cosa pensassi a riguardo» aggiunse Emma.

Henry sorrise. «Sono molto felice» rispose, tranquillo. «Però ho una domanda da fare».

«Tutto quello che vuoi, tesoro» lo spronò Regina.

Henry sospirò, immobilizzandosi. Poi si rivolse proprio a Regina. «Mamma, tu sei incinta» cominciò.

Regina annuì.

«E il figlio è di Robin».

Regina annuì di nuovo.

«Cos'hai intenzione di fare con lui?»

La donna prese un grosso sospiro prima di rispondere. «Robin è a New York con la sua famiglia» inziò, cauta. «Per quanto so che forse non è corretto nei suoi confronti, tenerlo all'oscuro di tutto, non posso neanche andare là e strapparlo alla sua famiglia, alla sua nuova vita» fece una pausa. «Abbiamo deciso di separarci settimane fa, all'inizio è stata dura, è vero, ma adesso...» si voltò verso Emma, che le sorrise caldamente. «Adesso le circostanze sono cambiate. Io e tua madre ne abbiamo parlato, e abbiamo deciso... di crescere questo bambino insieme. Come se fossimo una famiglia».

«Henry, voglio che tu sappia che non voglio prendere il posto di Robin, nella vita del bambino» s'intromise Emma. «Non sarebbe giusto. Lui sarà sempre suo padre, e se dovesse tornare, o se Regina decidesse di parlargliene, io non mi metterò in mezzo. Ma voglio starle accanto. A lei, a te, e anche a questo bambino».

Henry sembrò inizialmente perplesso, poi annuì. «Lo capisco» disse. «Quindi lascerai Uncino?»

Emma non si aspettava quella domanda così presto, ma non ebbe nemmeno bisogno di pensarci, la risposta uscì spontaneamente dalle sue labbra.

«Sì. Lo lascerò stasera stessa».

Regina si voltò a guardarla. «Puoi prenderti del tempo, se vuoi. Non sei obbligata a parlargli subito, sarai stanca...»

Emma, all'improvviso, intrecciò le dita alle sue. Henry sorrise davanti al gesto, restando anche un po' sorpreso.

«Sono pronta» rispose Emma, con un sorriso. «Non sono mai stata tanto sicura di una cosa in vita mia».

Regina le sorrise a sua volta, poi entrambe si voltarono di nuovo verso Henry.

Tutti e tre si guardarono per qualche secondo, cercando di decifrare quel silenzio, cercando di capire cosa pensassero gli altri due.

Fu di nuovo Henry a parlare.

«Siete felici? Per me l'importante è questo».

Emma e Regina si guardarono, ancora mano nella mano, e si chiesero come il loro figlio potesse essere così maturo già alla sua età. Parlava come un adulto, un adulto che aveva compreso perfettamente la situazione.

«Lo siamo» risposero.

Henry rivolse loro un sorriso caloroso e riprese a camminare.

«Spero comunque che sia un maschio» disse, dopo un po'. «Altrimenti vado in netta minoranza».

Tutti e tre scoppiarono a ridere, e non smisero finché non raggiunsero il loft.

Mentre salivano le scale, i tre riuscirono a distinguere perfettamente diverse voci provenire dall'appartamento, ed Emma riconobbe tra tutte quella di Killian.

Immaginava di trovarlo lì, al suo ritorno. Biancaneve probabilmente l'aveva chiamato, così come aveva chiamato suo padre. Si chiese se fosse stata davvero pronta ad affrontarlo e non seppe darsi una risposta; ma non serviva a niente prendere del tempo e rimandare quella conversazione. Doveva affrontarlo. Lo doveva a Killian, lo doveva a Regina, e lo doveva soprattutto a sé stessa.

Quando entrarono, un coro di saluti si levò dal tavolo intorno a cui erano seduti Mary Margaret, David e Uncino. Quest'ultimo camminò a grandi passi verso Emma, abbracciandola talmente forte da sollevarla da terra.

Regina distolse lo sguardo, incapace di sopportare la visione di Emma tra le braccia di Uncino. Sapeva perfettamente di essere dalla parte del torto, perché se c'era qualcuno che era di troppo in quel momento, quella era proprio lei. Lei si era intromessa nella relazione tra Emma e Killian, non il contrario. Ma nonostante questa consapevolezza, non riuscì a scacciare quella fitta allo stomaco.

David salutò sia lei che Henry, per poi andare da Emma che si separò da Uncino per salutare suo padre. Regina si mise a sedere al tavolo con Biancaneve, mentre quest'ultima salutava il nipote.

Emma e Uncino erano rimasti in piedi accanto alla porta, e l'uomo le stava sussurrando qualcosa che Regina non riuscì a sentire. Ancora una volta, fu costretta a distogliere lo sguardo e distrarsi, anche se in quel caso la sua distrazione era Biancaneve che farfugliava qualcosa sulla speranza e sul fatto che tutto sarebbe andato bene, insomma tutte quelle scemenze che Regina non aveva mai tollerato.

«Che ne dite se ce ne andiamo tutti da Granny a festeggiare?» propose David, all'improvviso.

Regina sospirò. «Per l'amor del cielo, no» gridò. «Ogni volta che andiamo da Granny a festeggiare, finisce che ci ritroviamo attaccati da un mostro, o un nuovo sortilegio, o chissà cos'altro».

 

**

 

Emma si sentiva terribilmente in colpa.

Già aveva fatto aspettare Uncino il tempo di farsi una doccia, che aveva appositamente reso più lunga per prendere tempo e decidere cosa dirgli.

In più, mentre addentava il suo hamburger, seduta comodamente ad un tavolo del Rabbit Hole, si sentiva in colpa perché le sembrava di starsene approfittando di lui anche in quell'occasione che lo stava per lasciare.

Ma lui aveva insistito per portarla fuori e lei stava davvero morendo di fame, ecco perché si ritrovarono lì, uno di fronte all'altra. Henry e Regina erano rimasti al loft coi suoi genitori, ed Emma era ulteriormente dispiaciuta di aver lasciato Regina da sola a rispondere all'interrogatorio dei suoi.

Uncino era completamente ignaro di ciò che Emma stava per dirgli, continuava a farle domande sul suo viaggio, le rivolgeva grossi sorrisi, e le ripeteva che le era mancata.

Ed Emma non poteva certo dire che ricambiava, e si sentì ancora più in colpa per questo.

Quando prese l'ultimo boccone di hamburger, divorandolo letteralmente, Uncino la guardò, divertito.

«Sembra che non mangi da giorni» disse, ridendo.

Emma sorrise. «In un certo senso, non facciamo un pasto decente da non so quando. Sono stati giorni un po' impegnativi...»

«Sono contento che sei tornata» disse Killian, allungando la sua unica mano per prendere quella di Emma. «Quest'ombra di cui parlavi, da dove pensi fosse venuta?»

Emma sospirò. «In una parola? Tremotino».

Uncino alzò gli occhi al cielo. «E figuriamoci se non c'entrava il coccodrillo».

Emma bevve un sorso d'acqua dal suo bicchiere, ritraendo la mano che Killian le stringeva. Il ragazzo notò il gesto, e la guardò.

«C'è qualcosa che non va?» le domandò, cauto.

Emma non riuscì a guardarlo negli occhi. «In effetti, dovrei parlarti di una cosa».

Uncino si irrigidì all'istante, rivolgendo ad Emma uno sguardo sospettoso. Spostò il peso all'indietro, sulla sedia, appoggiandosi allo schienale.

«E' successo qualcosa?» chiese. «Si tratta forse del sortilegio o di quest'ombra che avete affrontato?»

«No» rispose Emma, con un gran sospiro. «Il fatto è che... ecco, sono successe molte cose mentre eravamo via».

Emma alzò lo sguardo, trovandosi in quello di Killian. Era evidente che l'uomo cercava di decifrare il suo comportamento, non capendo cosa stava succedendo.

«Swan, mi stai facendo agitare» disse lui. Si sporse di nuovo verso di lei, prendendole dolcemente la mano. «Se l'ombra ti ha fatto del male, o se il coccodrillo sta tramando qualcosa...»

«Non è niente del genere, Killian» lo interruppe Emma, ritirando ancora una volta la mano. «Il fatto è che non possiamo più stare insieme».

Uncino sussultò talmente forte che quasi gli si mozzò il respiro. Il ragazzo strinse il pugno nella sua unica mano, che ancora era appoggiata sul tavolo.

Emma abbassò lo sguardo, colpevole, per poi rialzarlo quasi subito. Uncino si meritava almeno che lei lo lasciasse guardandolo negli occhi.

«Mentre eravamo via, io, Henry e Regina abbiamo... abbiamo vissuto dei momenti... intensi. Particolari. Belli» un sorriso le si dipinse in volto, ma cercò subito di scacciarlo. «Ne abbiamo passate tante, tra la Foresta Incantata, Arendelle, il trio delle cattive che ci ha attaccato e poi l'ombra... il viaggio nel futuro...»

«Arriva al punto, Swan» sibilò Uncino, con un misto tra rabbia e tristezza.

«Siamo una famiglia, Killian» disse Emma, contorcendosi le mani, nervosa. «Io, Henry e Regina siamo una famiglia. Io sento... sento di voler passare con loro le mie giornate, i momenti belli, i momenti brutti. Sento che devo stargli accanto, che devo proteggerli. Lo capisci?»

Uncino mosse la testa. «No, non lo capisco» disse, drizzandosi di nuovo. «Sono anni che tu e Regina condividete un figlio insieme. Come mai proprio ora ti rendi conto che siete una famiglia e che devi proteggerli?»

«Perché...» Emma si bloccò. «Ecco, il fatto è che...»

Emma sentì il cuore batterle frenetico. Ammettere a voce alta quello che provava per Regina era una cosa nuova per lei, e questo rendeva quel sentimento molto più reale di quanto già non fosse.

«Vedi, Killian...» balbettò. «Il fatto è che... mi sono innamorata».

Killian si immobilizzò, sgranando gli occhi. «Swan...» bisbigliò. Ma non disse altro.

Emma sorrise tristemente. «Mi dispiace, Killian» ripeté. «Mi sono innamorata di Regina».

Per un lungo momento, Emma e Uncino si guardarono negli occhi, finché la ragazza non distolse il suo, incapace di continuare quella sfida silenziosa. Sapeva che Killian non se lo meritava, sapeva che non era colpa sua e che l'uomo si era sempre comportato bene con lei. E fu anche per questo che si decise ad essere onesta fino in fondo; Uncino si meritava sincerità e onestà, e queste erano le uniche cose che lei poteva offrirgli.

Uncino restò in silenzio per parecchio tempo, e quando Emma lo guardò, vide uno sguardo ferito, quasi disperato, negli occhi del pirata.

«Killian...»

«Quindi finisce così?» chiese, con una voce carica di rancore. «Mi stai lasciando per stare insieme a Regina, è così?»

«Bè... sì».

Quelle furono le uniche due parole che Emma riuscì a dire. Lei e Regina non avevano mai parlato di quella possibilità, ma Emma sapeva bene che non avevano bisogno di dirselo. Sapevano che sarebbero state insieme, prima o poi, era quello che entrambe desideravano.

Uncino, stranamente, rise. «Lei almeno ricambia i tuoi sentimenti?»

Emma non rispose subito. La rabbia di Uncino era più che comprensibile, e se ora parlava in quel modo non poteva biasimarlo. «Sì, li ricambia. E' quasi morta per salvarmi. Mi ha dimostrato che mi ama in più di un'occasione».

«E io non te l'ho mai dimostrato?» Uncino, con uno scatto, si sporse lungo il tavolo per avvicinarsi ad Emma.

La ragazza tremò appena, sorpresa da quel gesto inaspettato.

«Certo che me l'hai dimostrato» rispose. «E mi dispiace molto farti questo, ma non posso... non posso continuare a stare con te se... se amo un'altra persona».

Ancora una volta, i due si guardarono negli occhi, ma stavolta fu Killian a distogliere lo sguardo per primo. Si alzò dalla sedia, in un gesto lento, quasi pesante, come se si sforzasse di trascinare il suo corpo lontano da lì, lontano da lei.

«Killian» ripeté Emma, alzandosi a sua volta, ma sapeva benissimo che non c'era niente che poteva fare.

L'uomo le rivolse l'ennesimo sguardo carico di tristezza, dove Emma scorse anche della rabbia, rabbia che Uncino stava trattenendo soltanto a causa dei sentimenti che provava per lei. Ed Emma sentì un nuovo senso di colpa opprimerla.

«Non mi arrenderò così facilmente, Swan» fu l'unica cosa che Uncino le disse, prima di voltarsi e dirigersi alla porta.

Emma non provò a fermarlo; aveva fatto la cosa giusta, ed era sicura che presto anche Uncino se ne sarebbe reso conto. Non poteva continuare a stare con lui quando il suo cuore apparteneva ad un'altra persona.

 

**

 

A Emma mancava il suo maggiolino.

Avevano deciso di riposarsi qualche giorno per poi tornare a New York a riprendere le proprie cose. Ma in quel momento, in cui Emma si sentiva stanca come non mai, avrebbe tanto voluto avere la sua macchina per poter tornare al loft più velocemente.

Mentre camminava, si chiese se Henry e Regina erano ancora là, o se erano tornati a casa. Sapeva che doveva dare delle spiegazioni ai suoi, ma in quel momento l'unica cosa che desiderava, oltre che un letto caldo in cui potersi riposare, era passare del tempo con la sua famiglia. Passare del tempo con Regina.

Fece una deviazione, e si diresse al 108 di Mifflin Street per controllare. Se fosse andata al loft, non sarebbe più riuscita a liberarsi dei suoi genitori. Se Henry e Regina erano già a casa, avrebbe potuto parlare coi suoi la mattina successiva.

Fu estremamente felice di trovare le luci accese nella casa. Sorrise, mentre percorreva il vialetto e bussò alla porta.

Quando Regina le aprì la porta, fu piuttosto sorpresa di trovarla lì.

«Emma» esclamò.

«L'ho lasciato» rispose la bionda, senza dire nient'altro. Nel momento in cui lo disse, si sentì incredibilmente più leggera.

«Oh» sussurrò Regina, restando in piedi davanti alla porta. Per qualche minuto le due donne si guardarono senza dire niente, poi Regina aggiunse: «Stai bene?»

Emma sorrise. «Sto bene».

Regina abbassò lo sguardo, ma Emma riuscì a vedere le sue guance arrossarsi appena. «Allora...»

Emma tramburellò le dita su una gamba, nervosa. «Mh...»

Henry fece capolino dietro Regina.

«Perché non resti qui con noi, mamma?» chiese, sorridente.

A tutti e tre sembrò di vivere un dejavù.

Ma stavolta Henry non cercò l'approvazione di Regina, perché sapeva che non ce n'era bisogno. Non c'era imbarazzo, non c'erano dubbi, ed Emma e Regina non riuscivano a togliersi gli occhi di dosso, a differenza dell'altra volta che invece evitavano accuratamente di guardarsi.

Henry sorrise. Era davvero felice.

«Mi farebbe davvero piacere se restassi» disse Regina, sorridendole.

Emma ricambiò il sorriso. «E a me farebbe davvero piacere rimanere».

Così Regina le fece spazio per lasciarla passare, ed Emma entrò nel 108 di Mifflin Street senza neanche voltarsi indietro.


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Buonasera team SwanQueen! Siamo arrivati al penultimo capitolo di questa ff, che è un po' più lungo degli altri, ma spero lo apprezziate ugualmente! Ho anche rubato una citazione da un famosissimo film disney che spero voi tutti conosciate. Chi sa dirmi quale citazione e di quale film si tratta vince una Lana Parrila da portare a casa. No, non è vero, se l'avessi me la terrei io ahahahah. Spero anche che notiate che il finale di questo capitolo è un richiamo a uno dei momenti della prima ff che ho scritto. Sapevatelo. Un'altra cosa che direi si nota, è che io sono anche una Rumbelle shipper abbastanza accanita. Eh già. Ecco perché ho deciso di far tornare Tremotino a Storybrooke.
Comunque, il capitolo finale arriverà puntuale domenica prossima insieme al ritrono del nostro amato telefilm! Infatti l'attesa sta finendo, e io sono molto contenta di avervi tenuto compagnia in queste settimane e sono ancora più contenta che voi l'abbiate tenuta a me! Perché l'attesa per la quinta stagione è stata tanta, ma insieme a voi è stata almeno sopportabile!
Quindi vi ringrazio infinitamente uno ad uno, come sempre. Vi aspetto domenica prossima per l'ultimo capitolo e per darvi una notizia che spero apprezzerete. Vi invito come sempre a seguirmi anche in pagina dove sto facendo il rewatch della quarta stagione!
Un abbraccio a tutti!

 

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Capitolo 20
*** Circa sette mesi dopo il solstizio d'estate. ***


Capitolo 20
Circa sette mesi dopo il solstizio d'estate




Il maggiolino sfrecciò tra le strade di Storybrooke che, Emma notò, non erano mai state tanto affollate come quel giorno. Tra un colpo di clacson e un'imprecazione, Emma riuscì a raggiungere la propria meta, frenando talmente all'improvviso che quasi si ritrovò con la faccia spiaccicata contro il vetro.

Abbandonò il maggiolino nel parcheggio, senza nemmeno preoccuparsi di come l'aveva parcheggiato, ed entrò nell'ospedale con il cuore in gola. Fu estremamente felice che quell'ospedale fosse piccolo e con pochi corridoi, niente a che vedere con quello di New York, per fortuna. E fu ancora più felice che la prima persona che incontrò fosse sua madre.

«Mamma!» gridò, correndole incontro.

Mary Margaret si voltò. «Emma! Meno male che sei arrivata».

Emma si fermò davanti a sua madre, posando le mani sulle ginocchia per poter riprendere fiato. «Dove...» tentò di dire, tra un respiro e l'altro. «Dov'è?»

Mary Margaret la prese per le spalle, aiutandola a rialzarsi. Poi le indicò la porta di fronte a sé.

Emma si sarebbe dovuta fiondare aldilà della porta, ma improvvisamente le proprie gambe sembrarono non sopportare più il suo peso. Si appoggiò un momento a sua madre, approfittando di quel contatto che Mary Margaret aveva stabilito.

La donna sembrò capire cosa stesse provando la figlia, e la strinse nelle spalle. «Forza, bambina mia» le sussurrò all'orecchio. «Puoi farcela».

Emma annuì con la testa, mentre il respiro le stava tornando a poco a poco regolare.

Biancaneve le fece un sorriso caldo e incoraggiante, così Emma si decise a superare quella porta che l'avrebbe condotta alla sala parto.

Mary Margaret restò a guardarla, finché la figlia non sparì dietro la porta, e subito si ritrovò ad asciugarsi una lacrima.

Era emozionata. Era veramente emozionata per sua figlia e per Regina, che stavano per diventare di nuovo mamme, che stavano allargando la loro famiglia.

Certo, quando Emma e Regina avevano informato lei e David di quegli avvenimenti erano rimasti entrambi pietrificati e sorpresi. Ma Emma era felice, e niente era più importante per loro della felicità della loro figlia.

In un attimo Biancaneve si ritrovò a sorridere, cullata dai ricordi di qualche mese prima.

 

**

 

Emma e Regina raggiunsero il loft di Mary Margaret e David, e la mora posò una mano incerta sulla spalla della bionda.

«Non sono sicura che sia una buona idea» bisbigliò, con voce tremante.

Emma le rivolse un sorriso incoraggiante. «Andrà bene. Fidati di me» e le prese una mano, intrecciando le dita con le sue.

Regina sorrise lievemente, stringendo la mano di Emma, che intanto bussò alla porta.

Il cuore di Regina cominciò a batterle freneticamente nel petto, in quei secondi di attesa.

«Le faremo venire un infarto» disse, sospirando.

Emma si voltò di nuovo a guardarla. «Regina, sei un po' pallida. Stai bene?»

Regina annuì, lasciando la mano di Emma, mentre Mary Margaret apriva la porta.

«Emma, Regina...»

Mary Margaret non fece in tempo ad aggiungere altro che Regina vomitò sul pianerottolo.

 

**

 

«Regina, ma ti sei fatta controllare?» domandò Mary Margaret, porgendole una tazza di thé caldo.

Regina era seduta al tavolo accanto a Emma, David era di fronte a loro e Mary Margaret stava armeggiando in cucina, portando anche per Emma e David una tazza di thé.

«Sì, mi sono fatta controllare» rispose Regina, stringendo la tazza e la mano di Emma sotto al tavolo. Le due si scambiarono un'occhiata nervosa. «Appunto per questo, sono qui per dirvi una cosa».

Regina si raddrizzò sulla sedia, lasciando la mano di Emma e avvolgendole entrambe intorno alla tazza fumante.

David la fissò preoccupato. «Che succede, Regina? Qualcosa non va?»

Mary Margaret si mise a sedere accanto a lui, guardando Regina con altrettanta preocupazione.

«Sto bene, davvero» li rassicurò subito la donna, vedendoli così preoccupati. «E' solo che... sono... sono incinta».

I coniugi Charming trasalirono, spalancando la bocca.

«Regina... tu...»

Mary Margaret borbottò qualcosa di indefinito, mentre David prese la parola.

«Regina, è una notizia bellissima! Un po' inaspettata, ma... devi esserne felice».

Fu solo in quel momento che Emma si raddrizzò a sua volta sulla sedia, assumendo la stessa posizione di Regina, e intervenne.

«Non è tutto» disse, decisa. Si scambiò un'altra occhiata con Regina, che capì che Emma voleva vuotare il sacco prima che perdesse quel poco coraggio ottenuto.

La bionda sospirò. «Io e Regina stiamo insieme» disse, tutto d'un fiato.

Per la seconda volta, David e Mary Margaret sussultarono sulla propria sedia, ma stavolta fu un gesto talmente improvviso che la tazza di Mary Margaret si rovesciò espandendo il liquido su tutto il tavolo.

«Oh, accidenti!» sbraitò Biancaneve, alzandosi di scatto.

Emma, come un riflesso involontario, si alzò a sua volta, senza neanche sapere perché.

«Scusate, faccio io».

Biancaneve si diresse al lavello, prese uno straccio umido e cominciò ad asciugare il thé versato sul tavolo.

«Faccio in un secondo, scusatemi, sono maldestra...»

«Mamma».

Emma posò una mano su quella di Mary Margaret, bloccando il movimento che stava facendo per asciugare. Solo in quel momento le due donne si guardarono direttamente negli occhi.

«Mamma, hai sentito cosa ho detto?»

Mary Margaret non rispose. David, che in tutto quel tempo era rimasto fermo immobile con la bocca aperta, posò una mano sulla spalla di sua moglie e la fece di nuovo sedere.

Regina si sentiva in imbarazzo, a disagio. Distolse lo sguardo; era incredibile come avesse potuto guardare Biancaneve negli occhi dopo tutti i crimini e le sofferenze che si erano causate a vicenda senza provare la minima vergogna, e ora invece era lì, di fronte a lei, con il desiderio di scomparire dalla faccia della terra.

All'improvviso, Mary Margaret si portò una mano alla bocca, soffocando un grido.

«Emma, mi stai dicendo che...» e indicò prima sua figlia, poi Regina, spostando lo sguardo velocemente da una all'altra. «Voi due... insomma, tu l'hai...»

Emma e Regina la guardarono confuse.

«Non pensavo che fosse... che fosse possibile che due donne... sì, insomma, la magia è potente ma... un bambino... Emma, come hai...?»

«Santo cielo, no!» gridò Regina, e finalmente ritrovò quella forza e quella determinazione che la contraddistinguevano. «Il bambino è di Robin».

Mary Margaret tirò un sospiro di sollievo e David si rilassò visibilmente.

«Oh» bisbigliò Biancaneve. «Per un attimo avevo creduto che...»

«La magia non può fare certe cose» confermò Regina. «E immagino tu sappia come si concepisce un bambino. Ne hai avuti due. Oppure vuoi che ti faccia un disegno?»

«Certo che lo so!» rispose Mary Margaret, portandosi una mano al petto, evidentemente colpita dalla sottile accusa di Regina. «La situazione era facilmente fraintendibile!»

«Facilmente fraintendibile?» sbraitò Regina. «Quale persona sana di mente poteva pensare che Emma mi avesse messa incinta?»

«Ok, basta» intervenne Emma, leggermente rossa in volto. Le pareva impossibile di star assistendo a una conversazione come quella tra Regina e sua madre.

La risata di David rieccheggiò in tutta la stanza, mentre Biancaneve era arrossita, imbarazzata.

«Possiamo concentrarci su quell'altra cosa, adesso?» incalzò Emma, cercando di decifrare l'espressione dei suoi genitori.

«Certo» rispose David, agitandosi un po' sulla sedia. «Tu e Regina...»

«Già» disse Emma, fissando suo padre. «Stiamo insieme».

Calò il silenzio. David prese un sorso di thé, giusto per avere qualcosa da fare. Regina distolse di nuovo lo sguardo, ed Emma oscillò il proprio da suo padre a sua madre, aspettando una reazione.

«Potete dire qualcosa?» li spronò la Salvatrice.

David e Mary Margaret si scambiarono un'occhiata stupita.

«Ecco, è... è una sorpresa» iniziò David. «E' per questo che Uncino non si vede più in giro da diversi giorni?»

Emma si aspettava una domanda del genere. Sospirò. «Sì, quando siamo andati a cena insieme, la sera del nostro ritorno... l'ho lasciato».

Di nuovo silenzio.

«E come... come è successo?» chiese Mary Margaret.

Emma si fece coraggio e prese la mano di Regina. Biancaneve e il Principe guardarono quel gesto, sorpresi e confusi allo stesso tempo.

«E' successo e basta» rispose Emma.

«Mentre eravamo via» aggiunse Regina. «Abbiamo passato molto tempo insieme, con Henry, come una famiglia. E abbiamo capito che quello che abbiamo è davvero... speciale. Cercavo risposte sul mio lieto fine senza rendermi conto...» Regina guardò Emma, che le sorrise. «...che ce l'avevo davanti agli occhi».

«Ma cosa farai col bambino?» domandò Biancaneve. «Robin lo sa?»

Regina si aspettava quella domanda, e sentì Emma stringerle la mano un po' di più, come incoraggiamento.

«No, Robin non lo sa» rispose la mora. «Ho pensato tanto se cercarlo e dirglielo, ma mi sono detta che lui... lui una famiglia ce l'ha già. Se ne è andato con loro e io non ho intenzione di scombinare di nuovo la sua vita».

I Charming annuirono, comprensivi, ma dal loro sguardo si intravedeva che non erano del tutto convinti. Regina seppe che era solo questione di poco e presto sarebbe scattata anche l'altra domanda. Ma Emma evidentemente la pensava come lei, perciò li anticipò.

«Io crescerò questo bambino con Regina» disse, tutto d'un fiato. «So che può essere difficile da comprendere, ma siamo una famiglia e questo bambino... o questa bambina... ne fa parte. Io ho scelto Regina, e ho scelto anche il bambino. Ho scelto la nostra famiglia».

Regina sentì delle lacrime annidarsi agli angoli degli occhi, ma cercò di ricacciarle indietro, deglutendo.

Emma cominciò a sudare freddo; i suoi genitori avevano ascoltato le sue parole senza nemmeno sbattere le palpebre, a bocca spalancata e occhi sgranati. Voleva spronarli a dire qualcosa, ma si bloccò; non era sicura di voler sentire le loro ramanzine.

Poi Mary Margaret fece qualcosa che non si aspettavano. Si alzò, fece il giro del tavolo e si parò davanti a loro che, a loro volta, si alzarono in piedi. Biancaneve guardò Emma negli occhi, poi Regina, e inaspettatamente avvolse entrambe in un caloroso abbraccio.

Regina, inizialmente, si irrigidì. Lei e Biancaneve avevano vissuto talmente tante cose insieme che era estremamente difficile ora lasciarsi andare a quell'abbraccio. Ma quando la mano di Biancaneve, e subito dopo quella di Emma, sfiorarono la sua schiena, Regina seppe che la donna era sincera, e che quello era un gesto dettato dal cuore. Senza rendersene conto abbracciò quella donna che, attraverso sua figlia, le aveva inconsapevolmente donato il lieto fine che tanto desiderava.

 

**

 

Non appena spalancò la porta diretta alla sala parto, Emma si ritrovò in mezzo a medici e infermiere che correvano da tutte le parti. Fermò un'infermiera e le chiese di Regina, la donna subito la accompagnò in sala parto e le diede un camice e una cuffietta da mettersi in testa. Emma indossò tutto alla velocità della luce e seguì l'infermiera che finalmente la condusse da Regina.

La donna era distesa sul lettino, con il camice bianco addosso. Lei le arrivò da dietro e vide la testa di Regina agitarsi dallo sforzo e sentì le grida che riempivano la stanza.

«Emma, Emma Swan... chiamate Emma Swan!» gridava Regina. «Emma... ho bisogno di Emma!»

Il cuore di Emma si fermò e le sue labbra si incresparono in un largo sorriso. Sospirò e si avvicinò al letto, affiacandosi a Regina che quando la vide sorrise a sua volta.

«Emma!» gridò, contorcendosi dal dolore. «Emma, i bambini... i bambini stanno per nascere!»

Emma rise. «Lo so, tesoro» disse. «I bambini stanno nascendo e io sono qui con te».

Avvolse la mano di Regina tra le sue, sorridendole per infonderle coraggio.

«Signorina Swan, è un piacere averla qui con noi» intervenne il dottore che era seduto di fronte al letto. «La signorina Mills non è stata molto collaborativa, fin'ora. Aspettavamo lei».

«Adesso sono pronta» disse Regina, stringendo la mano di Emma.

«Sono lieto di sentirlo, perché vedo già la testa del primo bambino».

 

**

 

«Emma?»

Regina si rigirò nel letto, cercando con i suoi piedi quelli di Emma. Quando li trovò, un brivido percorse la sua schiena sentendo quando fossero freddi.

Al tocco, la bionda si mosse appena e mugugnò qualcosa di indefinito.

«Emma? Lo so che stai dormendo, ma devi sentire una cosa».

Emma si girò verso di lei e, siccome erano avvolte nel buio, allungò una mano cercando quella di Regina.

Quando le loro mani si trovarono, Regina condusse quella di Emma sul suo grembo ormai leggermente tondo, visto che era quasi al quinto mese di gravidanza.

Emma era ancora mezza addormentata, ma trasalì immediatamente quando sentì dei calci prepotenti contro il ventre di Regina.

Regina sentì Emma agitarsi nel letto, e capì che stava cercando di mettersi seduta, senza però staccare la mano dalla sua pancia. Sorrise, posando una mano su quella di Emma. I bambini calciarono ancora, e ancora, e ancora.

«Regina, è...» Emma inspirò a fondo, scossa dall'emozione. «E' una sensazione bellissima».

Il cuore di Emma stava facendo letteralmente i salti mortali, e così anche quello di Regina.

«Lo so» rispose la mora. «Scusa se ti ho svegliata, ma dovevi sentirlo...»

«Scherzi? Non mi sarei mai voluta perdere i loro primi calci!»

Entrambe risero. Poi Emma si accoccolò accanto a Regina, che allungò un braccio per abbracciarla, le loro mani ancora posate sul grembo della mora e i bambini che scalciavano come matti, provocando loro delle emozioni che mai avevano provato prima.

 

**

 

«E' bellissima».

Emma non riusciva a smettere di ammirare la creatura che teneva tra le braccia, una bellissima bambina dagli occhi scuri come quelli di Regina.

La bruna, distesa a letto, teneva in braccio il maschietto e lo cullava dolcemente, per farlo addormentare.

«Sì, sono... sono stupendi» disse Regina, scoppiando a piangere.

Emma sorrise. Conosceva bene le crisi post partum, ne aveva avute tante dopo aver avuto Henry. E lei non aveva nessuno che la confortasse, anzi, era chiusa in prigione. Regina, per fortuna, avrebbe avuto tante persone intorno, prima tra tutte lei.

Si distese accanto a Regina, passandole il braccio libero intorno alle spalle, per permetterle di accoccolarsi vicino a lei. In quel momento Emma provò una sensazione intensa. Regina era fragile e bisognosa di protezione, e mai come in quel momento si rese conto che avrebbe fatto di tutto per proteggerla e renderla felice.

La strinse. «Ehi» bisbiglilò, accarezzandole una guancia. «Va tutto bene. So come ti senti, è normale. Ma io sono qui con te. E ci sarò sempre».

Regina non rispose, si limitò a sorriderle grata per quello che aveva detto ma soprattutto per la sua presenza rassicurante. Quando aveva Emma al suo fianco, Regina si sentiva sempre protetta.

La porta della stanza si aprì e comparve Henry, accompagnato da Mary Margaret e David. Regina ed Emma gli rivolsero un sorriso caloroso.

«Vieni, tesoro» lo incoraggiò Regina. «Vieni a conoscere tuo fratello e tua sorella».

Henry si avvicinò. Guardò con occhi curiosi quei due fagottini che le sue mamme tenevano tra le braccia. La bambina spalancò gli occhi, e Henry poté rivedere gli stessi occhioni scuri di sua madre.

Sorrise. «Posso... posso tenerla?»

Emma annuì, mentre con delicatezza posava la bambina tra le braccia di Henry.

Poi Regina guardò Biancaneve, sorridendole. «Allora, vuoi tenere in braccio tuo nipote?»

Mary Margaret trasalì, stringendo la mano di David. Si avvicinò al letto e a Regina, allungando le braccia per prendere il bambino.

Non si rese conto se fosse più emozionata nell'avere per la prima volta il bambino tra le braccia o se lo fosse per la gentilezza con cui Regina le aveva parlato.

Guardò il bambino che dormiva tranquillo, poi Henry ed Emma che sorridenti coccolavano la bambina. Sua figlia era radiosa, sorrideva come mai l'aveva vista prima.

Quei bambini, nonostante tutto, Emma li amava già come fossero figli suoi. David e Mary Margaret si sentirono estremamente orgogliosi della propria figlia e di quella famiglia che, anche se un po' particolare, era riuscita a crearsi.

 

**

 

«E se Robin dovesse tornare?»

Mary Margaret alzò lo sguardo su Emma, mentre quest'ultima pur di tenere le mani impegnate, continuava a passare la spugna su delle stoviglie già ampiamente pulite.

«Non puoi tormentarti così, tesoro» replicò.

«Ma è una possibilità» ribatté Emma. «Potrebbe tornare a cercare Regina, e io non posso sapere come reagirà lei».

Biancaneve prese un gran sospiro, radunando i piatti dal tavolo per portarli al lavello. «Regina ti ama. Ormai ha superato la storia con Robin».

«Si ma quei bambini sono sempre figli suoi» replicò di nuovo la bionda, voltandosi per guardare sua madre. «Se lui vorrà far parte della loro vita, io chi sono per impedirglielo?»

Mary Margaret, carica di piatti, raggiunse Emma al lavello. «Non glielo devi impedire. Ma tu sei stata vicina a Regina per tutta la gravidanza, e starai con lei anche dopo, qualsiasi cosa accada. Quindi, farai sempre parte della loro vita. Anche se Robin dovesse tornare».

Emma sospirò, senza dire nulla. Biancaneve lesse nei suoi occhi una sincera paura per tutta quella situazione, e capì di non averla rassicurata.

«E se non fossi in grado di fare la madre?» chiese, in seguito.

«Sei già una madre, Emma. Hai Henry...»

Emma non la guardò, ma continuò a fissare la pentola che stava lavando. «Non è la stessa cosa. Henry mi ha trovata che aveva già dieci anni. Regina l'ha cresciuto, non io. Non ho idea di come si faccia con un neonato. Figuriamoci con due!»

Biancaneve posò una mano sul braccio della figlia, bloccandoglielo.

«Questa è già abbastanza pulita» disse, prendendo la pentola e asciugandola.

«Scusa...» disse Emma, con un sospiro.

«Non scusarti» replicò Biancaneve. «E' normale che tu ti senta insicura. Anche io mi sentivo così quando ero incinta di te, e mi sentivo così... bè, anche quando è nato tuo fratello. Io ti ho trovata che eri già adulta, esattamente come Henry ha trovato te che era già grande...»

Mary Margaret fece una pausa, e solo in quel momento Emma comprese che la sua situazione era molto simile a quella passata dai suoi genitori. La guardò. Sua madre si era messa a lavare i piatti al posto suo, e per questo teneva lo sguardo basso.

«Non si impara mai a fare il genitore» continuò la donna. «Ogni giorno è come un'avventura, come una continua scoperta, e non c'è nessuno che possa dirti cosa è giusto e cosa è sbagliato. Non c'è una regola che insegni a fare il genitore. Tu puoi soltanto lasciarti guidare da ciò che senti dentro di te».

Biancaneve alzò lo sguardo incrociando quello di Emma, che non l'aveva distolto durante tutto il discorso. Sorrise.

«Cosa senti dentro, Emma?»

Emma sospirò. Sentiva tante cose, tante emozioni constrastanti che sbattevano l'una contro l'altra, provocando in lei tanti dubbi e tanta insicurezza. Ma oltre questo c'era qualcos'altro, un'emozione, un sentimento che spiccava sempre sopra tutti.

«Amore» borbottò Emma, con un sorriso. «Amo Regina, anche se non sono brava a dirglielo. Amo Henry, e amo i bambini che stanno per nascere. Amo la nostra famiglia, e voglio proteggerla. Voglio essere una brava madre».

Biancaneve sorrise. Si asciugò le mani e ne posò una sopra a quella di Emma. «Questo è ciò che serve, tesoro. Non importa quante volte dirai loro che li ami e che gli vuoi bene, dimostraglielo lasciando che l'amore guidi le tue azioni».

«Ho sempre pensato che le azioni dicessero molto di più delle parole» intervenne Emma, distogliendo lo sguardo.

«Ed è così» confermò Mary Margaret. «Emma, essere una buona madre non significa non sbagliare mai. Tu sbaglierai, come sbaglierà Regina, come ho sbagliato e sbaglierò io. Ma se continuerai ad agire per il bene dei tuoi figli, se continuerai a dimostrare loro amore e comprensione, se li proteggerai e saprai stargli accanto sempre e comunque... allora sarai una buona madre».

Una lacrima rigò il viso di Emma.

«Grazie, mamma» disse soltanto, mentre Mary Margaret si sporgeva verso di lei per stringerla in un abbraccio.

 

**

 

«Eccoci a casa!»

Regina spalancò la porta del 108 di Mifflin Street, permettendo a Henry, che portava la culla con il suo fratellino, di entrare, e subito dopo entrò anche Emma con la bambina tra le braccia.

Regina rise. «Emma, se non le togli gli occhi di dosso sbatterai contro qualcosa».

Emma alzò lo sguardo e rise a sua volta. Regina si perse in quegli occhi brillanti e sorridenti, percependo tutta l'emozione che Emma provava in quel momento.

«Hai ragione, scusa» rispose la bionda, percorrendo il corridoio, ma nel farlo riprese a guardare la bambina, come se non avesse neanche sentito le parole della mora.

Regina salì al piano di sopra a fare una doccia, e un quarto d'ora dopo scese di nuovo, trovando Henry ed Emma in salotto. Si soffermò un momento a guardarli, senza che loro se ne accorgessero; Emma aveva messo i bambini uno accanto all'altro sul divano, ed era inginocchiata davanti a loro, proteggendoli usando le sue braccia come sponde. Henry aveva preparato della cioccolata calda, portando tre tazze su un vassoio insieme a un barattolo di panna e il diffusore della cannella. Regina sorrise; da quando Emma viveva con loro la cannella non mancava mai, e lei si era ormai abituata a sentire quel dolce odore in tutta la casa. Era il suo odore, l'odore di Emma.

Regina non avrebbe mai creduto di poter amare qualcuno in quel modo. Non avrebbe mai creduto di poter amare così ancora una volta. E il fatto che quel qualcuno fosse Emma era ancora più incredibile.

Emma era entrata nella sua vita come un uragano, l'aveva letteralmente travolta, e anche se all'inizio le cose erano state difficili e molto complicate, adesso non riusciva più a immaginare la propria vita senza quell'uragano dai capelli biondi. Ci avevano messo tanto e forse la strada era ancora lunga, ma stavano costruendo una famiglia e per la prima volta dopo tantissimo tempo, Regina Mills provò una sensazione che aveva quasi dimenticato: felicità.

Emma alzò lo sguardo all'improvviso, e quando vide Regina le sorrise. «Ehi, vieni, ti aspettavamo».

Regina provò una fitta allo stomaco; il sorriso di Emma era così spontaneo, i suoi occhi erano così allegri, che il suo cuore fece un doppio salto mortale a quella vista.

Si avvicinò, sedendosi sul divano accanto ai bambini, mentre Henry, seduto sul tappeto a gambe incrociate accanto ad Emma, cominciò a versare la cioccolata nelle tazze.

«Che ne dite se quando i bambini cominceranno a prendere il biberon, mettessimo la cannella nel latte?» esclamò il ragazzo, ridendo.

Emma rise. «Mi piace come idea!»

Regina la fulminò con lo sguardo. «Emma...»

Emma ed Henry risero di gusto, e Regina capì che la stavano prendendo in giro, così rise insieme a loro, mentre il ragazzo le porse una tazza di cioccolata colma di panna montata e cannella.

Ne porse una anche ad Emma, che la alzò.

Henry e Regina la guardarono.

«Vuoi fare un brindisi con la cioccolata calda?» disse Regina, cercando di trattenersi dal ridere, mentre Henry non si trattenne per niente. Scoppiò in una fragorosa risata.

Emma rivolse loro una linguaccia.

«E' ovvio che preferirei fare un brindisi con lo champagne, ma tu» e indicò Regina «non puoi ancora bere, e tu» e stavolta indicò Henry, «sei minorenne. Quindi l'unica che può bere sono io ma come vedete sono impegnata a badare i bambini, quindi è meglio se rimango sobria...»

«Ho afferrato il concetto» la interruppe Regina, alzando anche la sua tazza. «La cioccolata è perfetta per un brindisi».

Emma sorrise compiaciuta, mettendosi in ginocchio per raddrizzarsi, mentre Henry avvicinò la tazza alle loro. Le fecero schioccare l'una contro l'altra.

«A Ingrid e Fred» disse Emma, sorridente.

Regina sorrise, guardando sognante i bambini. «Benvenuti a casa, piccoli». 


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E' l'una di notte e tutto va bene! 
Che dire, amici. Eccomi qua, sono arrivata alla fine anche di quest'avventura. Per prima cosa spero che il capitolo non vi abbia deluso. Seconda cosa, so che forse a questo punto avrete tante domande da fare, su questi sette mesi che sono trascorsi dal loro ritorno fino al parto di Regina. Io stessa mi sono chiesta: ma quando sono andate a fare la prima ecografia e come hanno reagito quando hanno scoperto che sono due gemelli? E poi, come hanno scelto i nomi dei bambini? Come sarà stato il loro primo appuntamento come una coppia normale? Come hanno deciso che Emma andasse a vivere con loro? 
Queste sono solo alcune delle domande che io (e spero anche voi) mi sono posta. Ebbene, questo mi porta a parlarvi del mio prossimo progetto, che si intitolerà: Cosa accade quando la Regina Cattiva trova il lieto fine e la Salvatrice viene salvata?   Sì, avete capito bene. Inizierò una nuova raccolta di OS legate a queste due long, che saranno appunto una serie di Missing Moment di questi sette mesi, e magari perché no? Anche qualcosa dopo la nascita dei bambini. Insomma, voglio illustrarvi come nella mia piccola testolina si svolge la vita quotidiana di Emma e Regina e family. Senza mostri, sortilegi, ombre varie... soltanto loro due e la quotidianità. 

Se siete arrivati a leggere fino qui vi ringrazio infinitamente. Spero di avervi tenuto compagnia in questi mesi di assenza di OUAT, voi di sicuro l'avete tenuta a me. Oggi è il 27 settembre e alle due di stanotte andrà in onda la Season Premiere, finalmente. A chi è interessato, io farò la diretta stanotte e potete seguirmi live sulla pagina (che vi ricordo è questa: https://www.facebook.com/SwanQueen-I-cattivi-non-hanno-mai-un-lieto-fine-ma-Regina-ha-Emma-1587931868117207/timeline/) dove commenterò la diretta nella speranza di riuscire a non essere totalmente demenziale come lo sono nei commenti del rewatch della quarta stagione xD

Vorrei dire tante altre cose, ma penso che mi fermerò qua. E vi ringrazio di nuovo se siete arrivati a leggere anche fino alla fine di questa pappardella. Vi ringrazio per avermi recensito, apprezzato, anche solo seguito in silenzio. Per avermi fatto compagnia in questa lunga attesa e ringrazio soprattutto quelle persone che sono state vicine ai miei scleri e mi hanno supportato.
Alla mia dolce Deary, che mi ha dato consigli preziosi e ha anche fatto le mie veci quando io non potevo;
A Silvia Mills, che spesso ha letto i capitoli in anteprima e mi ha convinto che non erano un disastro totale;
Ad Alli, Diana, Fran, Pingus e Carmen, semplicemente perché ci sono;
e infine, alla mia JMo personale che so per certo che leggerà, perché si è divorata le mie due fanfiction in una notte, anche se so che odia leggere e odia le fanfiction. Quindi, insomma, grazie. 

E grazie ancora a tutti voi. Buona Season Premiere a tutti! Possa la buona sorte essere sempre a nostro favore (?) si dai lo sapete che non riesco a non dire cavolate per troppo tempo, passo a chiudo! xD

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