The Lost Chronicles I: L'ultima Maga

di FreDrachen
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** capitolo 1:vita di tutti i giorni ***
Capitolo 3: *** capitolo 2:La stanza proibita ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3:il Libro Nero ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4:Il sogno ***
Capitolo 6: *** capitolo 5:Gedd ***
Capitolo 7: *** capitolo 6:confidenze ***
Capitolo 8: *** capitolo 7:lutto ***
Capitolo 9: *** capitolo 8: brandelli di verità ***
Capitolo 10: *** capitolo 9:Rapimento ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo


Una caverna illuminata da poche torce.
Diciannove uomini seduti intorno a un tavolo la attendevano.
Dall’ombra emerse una donna molto giovane sulla ventina, si sarebbe detto, con capelli ricci biondi, occhi di un verde magnetico e un accenno di efelidi intorno al naso. Era abbigliata di nero e avvolta in un mantello dello stesso colore.
Tra le braccia teneva una bambina, anche lei bionda, con grandi occhi verdi e con le orecchie che finivano leggermente a punta, dono di suo padre con sangue misto umano ed elfico, ma la bambina non sapeva chi era suo padre.
Lei aveva sempre vissuto a Makrat, lontana dalla sua famiglia, dal suo luogo di nascita ma soprattutto dal posto dove si scatenò l’inferno.
Un drappello di soldati irruppe nella grotta e li attaccarono ma gli uomini in nero capitanati dalla donna ebbero subito la meglio sui soldati con la loro sorprendente agilità nello schivare e attaccare finché qualcuno non ruppe una fialetta contenente sonnifero e ogni cosa si tinse di nero.
                                                                            

Ripresero i sensi abbastanza presto. Lì per lì non capirono dove si trovavano.
Ma la quiete e la vegetazione che regnavano in quel luogo fecero capire loro di trovarsi ancora nella foresta.
Un fruscio attirò la loro attenzione e dal folto della foresta emerse una donna sulla cinquantina. Aveva capelli lunghi raccolti in una coda che le scendeva fino a metà schiena, occhi neri che sembravano pozzi senza ritorno ed era vestita da uomo.
«Dubhe…» mormorò la donna bionda nel vederla.
Dubhe a sentire il suo nome si volse verso di lei e rimase di sasso. Non si era dimenticata di Lei dopo tutto quello che le aveva fatto passare.
«Non è possibile. Non può essere viva. È morta nelle Terre Ignote. Non può essere qui…» mormorò nel tentativo di convincere se stessa.
Volse lo sguardo da un’altra parte e osservò gli uomini che avevano appena catturato i suoi soldati. La divisa non tradiva. Erano i superstiti della Gilda degli Assassini.
Diede un solo ordine schietto e preciso:
 «Uccideteli tutti»esordì.
Un soldato si fece avanti: «Maestà, uno di loro è morto nella grotta. Ne devo far sparire il corpo? ».
Dubhe ci pensò su e rispose: «No. Lascialo lì. Tanto c’è poca gente che si avventura nella foresta. Non lo scopriranno mai».
Fece per andarsene quando il soldato la fermò: «Maestà un’ultima cosa. C’era anche lei con loro».
Le mostrò la bambina «cosa ne devo fare? ».
«Non la toccare Dubhe» disse minacciosa la donna bionda.
«E perché non potrei farlo? » domandò Dubhe con fare sprezzante voltandosi verso di lei.
«Perché lei è mia figlia e se tu proverai a toccarla dovrai fare i conti con me. Tu sai che sono forte». «Non mi sembra, visto com’è finita l’ultima volta... e come finirà adesso».
Prima che potesse dire altro, la donna con agilità portò le mani avanti.
 Brandì la spada e si gettò su di lei.
Ma non riuscì nel suo intento perché Baol, l’attendente della regina, la intercettò e la ferì profondamente a un fianco.
La donna si accasciò a terra in preda ai dolori.
Dubhe le mise un piede sul petto e mormorò: «è finita».
La donna bionda chiuse un attimo gli occhi e vide. L’ultimo regalo di Thenaar, il suo Dio.
«Bene. Ma lascia che ti dica una sola cosa Dubhe. « Unsere zeit wird wieder kommen! »
Dubhe brandì la spada e la trapassò da parte a parte. I suoi uomini la imitarono.
La Gilda degli Assassini aveva cessato di esistere portandosi con sé questa tremenda previsione. In elfico.
Il nostro tempo tornerà.

 
 
Angolo autrice:eccomi qui con una new story.
In verità questa l'ho incominciata circa cinque anni fa, poi però l'ho lasciata un po' in disparte.
Sarà divisa in tre storie:la prima in questa sezione, le altre nella sezione Ragazza Drago.
Spero vi piaccia:D
Buona lettura e alla prossima :D

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Capitolo 2
*** capitolo 1:vita di tutti i giorni ***


CAPITOLO 1

Vita di tutti i giorni

 
Il sole era già alto quando un’ancella andò a svegliarla.
«Sveglia principessa», la ammonì aprendo le tende.
La principessa tirò le coperte sul viso, coprendo gli occhi e mormorando, con la voce ancora impastata dal sonno: «Ma è presto... Torna più tardi».
«Vostra Altezza non vorrà far arrabbiare vostro padre, e trascurare i propri regali doveri. Suvvia, alzatevi: il mattino è già inoltrato».
Con uno sbuffo scivolò fuori dalle coperte piazzandosi davanti alla specchiera per lavarsi il viso.
Questo fu il modo in cui cominciò la giornata della principessa Nidafjoll, Nida per gli amici. Capelli lunghi e biondi, orecchie leggermente a punta, corpo snello e scattante. Aveva degli strani occhi, inquietanti. Erano di un verde splendente, ma uno era segnato da venature dorate, mentre l'altro da venature nere. Si contemplò allo specchio. Ne era fiera. Si sentiva un po' speciale.
Prima di tutto andò nella stanza da bagno. Attraversò un lungo corridoio pieno di tappeti ed enormi lampadari, che separava la sua stanza con il bagno. Appena aprì la porta, una nuvola di vapore l’avvolse. Si tolse la veste da notte, e rimase per un istante in piedi sul bordo dell’enorme vasca di marmo incastonata nel pavimento, con una piccola scaletta intagliata direttamente nel marmo, e circondata da colonne. Le ancelle scaldarono l’acqua in grosse pentole, che poi versarono nella vasca. Poi le intrecciarono i capelli. A operazione finita, la ragazza scese i gradini, e s’immerse nell’acqua fumante.
Poi fu la volta della prova degli abiti.
Con lo stomaco che brontolava per la fame.
Arrivò il sarto di corte, un uomo minuto e sottile come un giunco, con mani nervose e tremanti, tanto che, qualche volta, la pungeva con gli spilli.
«Ahi!»protestava Nida.
«Non vi preoccupate Principessa. Ho quasi finito»la rincuorava il sarto, con voce sottile. Alla fine, dopo un’ora abbondante, si ritirava per confezionare il nuovo abito, che si sarebbe aggiunto agli innumerevoli che aveva.
«Ma a cosa mi servono tutti questi vestiti? Ne ho a bizzeffe».
«Principessa per le cerimonie di rappresentanza. Ma ora dovete vestirvi. I vostri genitori vi attengono per la colazione»le rispose dolcemente l’ancella, indicandole il vestito steso sul letto.
Sebbene fosse un abito semplice, privo di tutti gli orpelli che era costretta a indossare nelle occasioni ufficiali, era comunque un vestito elaborato,di un violetto delicato, a mezze maniche.
L’ancella l’aiutò a stringere i lacci che percorrevano tutta la schiena, e a infilarsi i bracciali metallici con delle borchie. Poi le annodò i capelli in una morbida crocchia, e le fece indossare la corona. Quando ebbe finito, l’ancella la guardò, soddisfatta del suo lavoro.
«Ecco, siete bellissima».
Nida si contemplò allo specchio, che le restituì una ragazzina compita, elegante e graziosa, l’immagine perfetta di una figlia amorevole. Si lisciò la gonna.«Possiamo andare».
 
Non appena giunse nella sala da pranzo c’erano tutti. Sua nonna Dubhe le rivolse appena un’occhiata. A volte, a Nida, pareva soffrisse nel vederla, come se le ricordasse un incubo, o qualcosa del genere. Sua madre Fea le rivolse un’occhiataccia per il perenne ritardo, mentre i suoi fratelli, Amina e Kalth, cercavano di soffocare una risata. E infine suo padre Neor, che, non appena la ragazza prese posto accanto a lui, le diede un bacio sulla guancia.«Buongiorno»le disse dolcemente. Lei gli rispose con un caldo sorriso. La colazione fu un vero e proprio supplizio. Quando finì, fu ancora peggio.
«Padre, vado a volare con Ratatoskr»avvertì Nida i suoi genitori.
«E no, signorina. Tu ora vai a lezione del Maestro Oromis».
«Ma…»stava per controbattere, quando Neor intervenne.
«Fea, le abbiamo concesso un’ora da dedicare al suo amico. Lasciala fare».
«Lo sai quanto me che per lei quell’ora sono sempre due o tre. E sai anche quanto sia importante lo studio».
«Cercherò di arrivare puntuale a lezione»promise Nida, con sguardo supplice.
Fea alzò gli occhi al cielo, poi sospirò.«E sia. Puoi andare».
Nida era sul punto di abbracciarla, quando si ricordò dell’etichetta.«Grazie madre» disse. Le suonava falso l’affetto che aveva cercato d’infilarci, come se lei fosse lontana, una persona completamente estranea a quella parola.
Si catapultò nella sua stanza,e ordinò ad un'ancella di aiutarla a togliersi l'abito. La serva la guardò, stupita.
«Non posso cavalcare conciata così»disse, indicando l'abito.
L'ancella sospirò, ma ubbidì. Non appena fu libera dal vestito, indossò la sua tenuta d’allenamento:un corpetto viola con casacca e calzoni neri infilati in stivali neri anch’essi. Si contemplò allo specchio. "Ora si che si ragiona". Solo in quei panni si sentiva al suo agio.
 Si diresse verso la scuderia dei draghi. Andò speditamente verso lo scudiero, intento a riempire le carriole di carne fresca, destinate ai draghi. Non appena la notò, lo scudiero s'inchinò.«Principessa, la vostra cavalcatura sta ancora dormendo». Nida gli rivolse un segno d'assenso. Si diresse alla quinta nicchia a sinistra, dove riposava quello che ella chiamava il suo amore.
In realtà non era un drago: gli mancavano le zampe anteriori, e sembrava un serpente alato. Era una viverna nera come la notte,con una gemma viola nel mezzo della fronte.
Dormiva ancora, e questo le fece provare una tenerezza ancora più grande nei confronti della creatura.
“Sveglia pigrone. Non vorrai dormire tutto il giorno, spero” ,lo apostrofò ironicamente Nida con il pensiero.
“E va bene... Sono sveglio, sono sveglio!”,ribatté la viverna sbadigliando, per poi prenderla in giro: “Comunque,gradirei essere svegliato dolcemente, senza irruzioni improvvise nella mia mente da parte tua”.
La ragazza gli rispose: “Come sei permaloso,Ratatoskr”, aggiungendo: “Se vuoi che voliamo insieme, ti consiglio di sbrigarti. Sono già in ritardo”.
“Allora muoviamoci”.Detto questo, la viverna si erse in tutta la sua altezza ed esortò la ragazza a salire.
«Ticho, apri la volta»disse, rivolta allo scudiero. Questi annuì e sparì da qualche parte. Avvertì un forte cigolio e alzògli occhi. Il tetto sopra la nicchia si stava aprendo, muovendosi su due grosse ruote dentellate, fissate ai vertici delle pareti. Un cielo di un blu assoluto iniziò a occhieggiare dall'apertura. Ratatoskr gettò un ruggito al cielo. "Pronta?"domandò. «Pronta»rispose Nida, con convinzione.
Uscirono all’aria aperta e la viverna si alzò in volo.
“E’ troppo bello”,  pensarono contemporaneamente. Volare riportò nelle loro menti frammenti del loro passato….
 
Si erano conosciuti all’età di otto anni, nella foresta a sud di Salazar, nella Terra del Vento. La città era, in quell’anno, la sede di riunione del Consiglio, che si svolgeva annualmente in una delle Otto Terre; lì vi si radunavano tutti i sovrani del Mondo Emerso. Nida, quella volta, si era dimostrata particolarmente recalcitrante: la noia che un’occasione di quel genere, in cui c’erano solo adulti, dava a una bambina attiva come lei, era troppo grande da sopportare. Il re suo padre, tuttavia, l‘aveva costretta a venire.«Una principessa non può mancare a un’occasione così importante per il miglioramento dei rapporti con gli altri Regni». Quel giorno, i sovrani si erano fermati a discutere in una radura nella foresta, quando Nida, annoiata e irritata, si allontanò furtivamente dall’occhio vigile dei soldati posti a guardia del luogo, si addentrò nella vegetazione e si ritrovò faccia a faccia con Lui.
Era una strana creatura, assai simile a un drago ma con tratti più eleganti e delicati. Nida, benché fosse completamente sola, non ne ebbe paura, ma anzi percepì il timore di quell’esserino e, d’istinto, gli si avvicinò e lo toccò sul muso.
 Al contatto con la sua pelle squamosa si sentì travolgere da un’ondata d’energia. Da quel momento, Nida comprese che non avrebbe mai più voluto separarsi da Lui.
Ci volle molto per convincere i suoi genitori e i nonni a tenerlo. “Potrebbe essere pericoloso”, la ammonivano; maNida non li ascoltava. Il dolce pensiero di quel musetto cancellava dal suo animo ogni paura e diffidenza nei confronti della viverna. Sentiva che poteva fidarsi di lui.
Alla fine i sovrani si arresero alle suppliche della bambina, colpiti dalla sua perseveranza e persuasi dal coraggio che ella dimostrava prendendosi cura di quella creatura, che tutti osservavano con timore e diffidenza. Di lì a poco, Nida iniziò ad affezionarsi a Lui e, parlandogli mentalmente, gli trasmetteva i suoi pensieri. All’inizio la viverna era un po’ titubante, ma ben presto divenne il suo migliore amico, sempre disposto ad ascoltarla. Ma il cammino per la felicità non è mai privo di ostacoli.
Quel giorno, Nida aveva appena varcato la soglia della scuderia, come faceva ogni mattina da cinque anni, quando intravide il muso della sua adorata viverna dietro a delle sbarre. La ragazza tentò di liberarlo, ma la serratura della gabbia svolgeva bene il suo compito.
«Come mai è rinchiuso?», chiese allarmata.
Una delle guardie ribattè sgarbatamente con un’imprecazione: «Questa bestia è una maledizione! Non si lascia avvicinare da nessuno. Il bastardo ha quasi ucciso uno scudiero che ha provato a dargli da mangiare». Per un qualche inspiegabile motivo,Nida fu immediatamente certa che non fosse vero.
«Scoprirò cos’è successo veramente. E non usare questo tono con me e con lui! Chiedi subito scusa», ordinò. Poi rivolse un pensiero alla viverna: “ Stai tranquillo. Farò il possibile”.
L’episodio generò grandi difficoltà per la loro amicizia. I sovrani, appresa la notizia, proibirono alla figlia di recarsi ancora alle scuderie per fare visita alla viverna. Nida le tentò tutte: implorò, supplicò, espose le sue lamentele, mise il broncio e cercò di spiegare che la sua viverna non era pericolosa e, se aveva aggredito lo scudiero, lo aveva fatto solo per difendersi. Ma Neor, suo padre, non cambiò idea. Così la ragazza decise di andare alla radice del problema: lo scudiero.
Lo trovò nell’infermeria della servitù, con un’ampia fasciatura sul torace. Stava dormendo, e Nida ritenne che fosse il momento giusto per agire.
«Nyissameg a fejében»,mormorò. La sua mente si aprì a quella dell’uomo, rendendole possibile capire cosa fosse realmente accaduto. Poi, senza riuscire ad aspettare la luce del giorno, si precipitò negli appartamenti di suo padre. «Padre, io so quello che è successo. Ratatoskr è innocente», esclamò Nida, piombando ai piedi del letto del re.
«Che ore sono? E chi è Ratatoskr?» le chiese il padre, allarmato dal comportamento della figlia.
«La mia viverna, ma adesso non importa come si chiama. Importa che lo stiate tenendo imprigionato ingiustamente! Non è colpa sua. E’ colpa dello scudiero, che l’ha colpito, anziché dargli da mangiare, per irritarlo, e lui si è semplicemente difeso, com’è nella sua natura».
«Nida, stai colpevolizzando un uomo senza alcuna prova a sostenere la tua accusa…».
«Ma io ho le prove. Manda un mago a sondare i ricordi dello scudiero e vedrai che ho ragione».
 Dopo aver visto che la figlia era nel giusto, Neor si arrese alla sua volontà e, prima di tutto, fece rinchiudere lo scudiero colpevole nelle segrete. In seguito, a mente fredda, si chiese come la figlia avesse fatto a scoprire la verità.
«Avevi ragione», disse semplicemente a Nida. La ragazza si limitò a sorridergli.
Quello fu l’unico episodio negativo nel rapporto tra Nida e Ratatoskr, che divennero in poco tempo amici inseparabili. La viverna iniziò ad aprire il proprio cuore alla ragazza, raccontandole la sua vita prima del loro incontro e rivelandole il suo segreto.
 
Nida arrivò in ritardo alla lezione del maestro Oromis. «Sempre in ritardo, principessa Nidafjoll», la rimproverò l’uomo con la sua voce irritante.
«Mi dispiace. Domani arriverò puntuale», si scusò Nida, cercando di mostrarsi il più contrita possibile.
«Domani, domani…Tutti i giorni la stessa storia! Per punizione, per la prossima lezione ricopierai dieci volte l’ode di Baldwin Alla sera. E ora, siediti!». Detto questo, il maestro iniziò uno dei suoi noiosi discorsi sulla letteratura antica.  Nida sperò intensamente che quelle ore in balìa delle sue chiacchiere passassero rapidamente.
Ma il peggio doveva ancora avvenire.
 
Trovò la sua istruttrice di buone maniere già ad attenderla.
«Ben arrivata Principessa»la salutò Lady Kempten.
Nida represse una smorfia al pensiero di ciò che l'aspettava.
Infatti la donna batté le mani e dalla poeta i materializzò un ragazzo alto quasi due metri ma sottile come un giunco. Al suo fianco si sentiva bassa e goffa.
«Iniziamo con un lento».
Uno schiocco di dita e l'orchestra iniziò a suonare.
Cail,così si chiamava il ragazzo,cercava in tutti i modi di farla volteggiare come una lieve farfalla. Ma il risultato era che Nida gli finiva perennemente addosso dato che perdeva l'equilibrio pesandogli sempre il piede.
Lady Kempten si portò una mano davanti agli occhi esasperata.
«Siete un disastro»commentò. Come sempre.
Nida incassò il colpo ma non replicò.
Poi su la volta del ricamo. Se c'era qualcosa di peggio della danza era proprio il cucito.
A che serviva starsene seduti lì a intrecciare fili,dato che esistevano i sarti?
E Lady Kempten trovava sempre qualcosa da obbiettare.
«Lì dovevate passare solo una volta il filo».
«Cos'è quello scempio? Doveva realizzare un arazzo con l'emblema del vostro casato non quello...sgorbio».
Nida la fissava sempre male senza però proferire parola.
«Misericordia»mormorò asciugandosi il viso.
«Siete un disastro».
La congedò con un cenno della mano.
Nida con sollievo uscì di volata dalla stanza.
Era tardi pomeriggio. Il che significava una sola cosa.
Il suo sfogo abituale la stava attendendo.
 
Tiro, assalto, affondo. Tiro, assalto, affondo. Dopo una noiosa lezione sui poeti antichi e noiosissime lezioni di bon ton, non c’era niente di meglio di un po’ di scherma per svuotare la mente e rilassarsi.
«No, no. Non ci siamo. Devi mettere più energia in quelle gambe, quando salti», le urlò il suo maestro di scherma Democrito dall’altra parte del campo. La ragazza, sudata e affannata, annuì, eseguendo l’ordine con maggiore impegno.
La cena non fu meno noiosa. Dovette indossare panni nei quali non vi si ritrovava. E in più la rigida etichetta che sua madre Fea imponeva a tutti le impediva di lasciarsi andare ai suoi veri sentimenti con la sua famiglia.
La giornata trascorse monotona come tutte le altre. Prima di gettarsi sul letto, lanciò un'occhiata ai fogli di pergamena e la penna nel calamaio sopra la scrivania. Ah, si. La punizione del vecchio gufo.«Duplizieren»mormorò toccando con un dito il foglio, su cui apparve la poesia copiata per dieci volte, scritta in bella calligrafia. Nida si affacciò alla finestra della sua camera per ammirare la città illuminata, ma soprattutto il tanto amato cielo, con le sue due lune, alla ricerca di qualche stella cadente, finché, stanca e spossata, non s’infilò sotto le coperte, nell’attesa speranzosa che la sua vita diventasse più interessante.
 
*trad:duplicazione










Angolo autrice:ciao a tutti ^_^
Eccomi con il primo vero capitolo di questa storia.
Vorrei ringraziare magicadark007 e nihaltali99 per il loro sostegno( sarei impazzita da tempo ormai XD) e tutti voi lettori/lettrici silenziosi, a cui lascio(se volete)l'invito di dire la vostra :D
Alla prossima :)

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Capitolo 3
*** capitolo 2:La stanza proibita ***


CAPITOLO2

La stanza proibita

Circolavano strane notizie, in quei giorni, e la gente a palazzo era inquieta e spaventata. Nida non li aveva mai visti in quello stato, neanche quando c’era stata una forte epidemia di febbre rossa qualche anno prima.
Quel giorno decise quindi di far visita a Theana, una sacerdotessa di Thenaar, amica di vecchia data di sua nonna. Era una maga molto potente che, quando non era impegnata, le insegnava le basi fondamentali dell’arte magica.
«Ben arrivata, Nida», la salutò l’anziana sacerdotessa di Thenaar.
La ragazza sorrise. «Non vedevo l’ora di venire».
«Mi dispiace, ma oggi ho poco tempo da dedicarti. Sai, è a causa delle voci sulla strana malattia che sta flagellando la Terra dell’Acqua e la Terra del Vento. Devo controllare i rapporti che mi hanno mandato i sacerdoti che ho inviato sul posto», disse, indicando la pila di fogli sulla scrivania. Poi aggiunse: «Mah, forse qualche minuto riesco a dedicartelo… Ne approfitterò per insegnarti qualche incantesimo rapido che potrà tornarti utile: di’ blenden per abbagliare l’avversario; festhalten, per immobilizzare; stellung, per dislocarti da un luogo all’altro; heilen, per guarire le ferite…».
«Cos’è successo nella Terra dell’Acqua?» la interruppe improvvisamente la ragazza.
«Una nuova malattia che sta mietendo molte vittime… Stranamente, sono tutte umane. Neanche una ninfa. Questo fatto mi ha portata a ipotizzare che forse ci troviamo di fronte a una recrudescenza del conflitto tra i due popoli. Non sappiamo nulla di certo. In ogni caso, un Fratello della Folgore mi ha inviato questo» e le passò lo stralcio di pergamena che aveva ricevuto qualche giorno prima.
                                                                              
   Fratello della Folgore Damyre, Terra dell’Acqua.
                                                                                                              Venticinquesimo giorno del primo mese d’estate.
Analizzati due giovani sospettati di aver contratto una malattia sconosciuta. Raccontano di essersi imbattuti in un villaggio di questa terra, Cyrsio, i cui abitanti erano tutti morti per una strana malattia che causa febbri, delirio, sanguinamento prolungato e macchie nere sul corpo. Ho trovato i due sani. Richiedo autorizzazione per ulteriori indagini.
                                                                                                                                       Per la gloria di Thenaar.

Nida vi riflettè, poi infine parlò: «Dunque è per questo motivo che la corte è così inquieta. Avete trovato qualcosa che ne possa contrastare gli effetti? ».
«Niente, su tutta la linea» fu la risposta della maga.
«Ne avete parlato con mia nonna?»
« Dubhe ne era già al corrente. Anche due dei suoi uomini si sono imbattuti in un villaggio colpito dal morbo».
«Strano… Non me n’ha parlato. Di solito mi tiene aggiornata su quello che succede».
«Forse non voleva farti preoccupare. Sai, lei ti vuole bene».
«Sì, avete ragione».
Rimasero in silenzio per un po’, poi Nida disse: «Avete notizie di mio nonno? ».
«No, principessa, ma penso che tornerà tra breve dal consiglio a Nuova Enawar».
«Se la situazione è così grave, allora vi lascio lavorare».
Appena la ragazza fu sull’uscio, l’anziana maga la fermò. «Vedo che sei rimasta turbata da tutto questo. Vedrai, andrà tutto bene».
Nida si sforzò di annuire, benchè la rassicurazione della maga non avesse affatto placato il tumulto del suo animo.
 
Si stava allenando con la spada, quando la notizia le arrivò. Ancora impolverata, raggiunse i suoi genitori, che attendevano il re sotto il portico.
Suo padre Neor, con capelli biondi quasi bianchi e gli occhi di un colore intermedio tra quelli dei suoi genitori, era su una sedia a rotelle in seguito a una caduta da cavallo avvenuta quando lei era piccola. Sua madre Fea, uno gnomo con una chioma nera fluente e occhi azzurri come il cielo, invece, le scoccò un’occhiataccia per il suo ritardo. C’erano anche i suoi fratelli gemelli Amina e Kalth, con capelli neri tagliati corti e gli occhi verdi tendenti all’azzurro. Anche sua nonna era presente.
Attraverso l’azzurro luminoso del cielo, Nida notò in lontananza dei puntini che, via via, iniziarono ad avvicinarsi e a definirsi. La prima dei draghi ad atterrare fu Dragona, da cui scese Re Learco, un uomo dall’aspetto fragile, con lunghi capelli bianchi raccolti in una morbida coda appoggiata sulla spalla e occhi di un verde opaco.
Non appena il re posò i piedi a terra, Amina gli corse incontro.
«Amina. Quante volte ti ho detto di non essere così irruenta! », la rimproverò Fea, avanzando verso la figlia che cingeva le braccia intorno al collo del re.
Nida sorrise sotto i baffi. “E’ incorreggibile”. Fea, irritata, batté un piede a terra, afferrò Amina per un braccio e la tirò via dalla stretta del re, che invece sembrava divertito. «Avanti, Fea, lasciala fare, non sono ancora così rammollito».
«Non è per questo…» provò a controbattere lei, ma Amina e Learco già si sorridevano con aria complice.
Poco dopo arrivarono alcune guardie, che Nida conosceva di vista: Mira, ma soprattutto Amhal. Era lui ad esserle mancato di più, perché, tra tutti i ragazzi dell’Accademia, era l’unico che non disarmava in meno di trenta secondi.
Gli si accostò e, prima che lui potesse inchinarsi in segno di saluto, gli sussurrò all’orecchio: «Domani in arena». A queste parole, sorrise, e Amhal capì. Avrebbe rincominciato gli allenamenti con lei. Era la cosa che più gli era mancata durante la sua missione.
Dietro di lui avanzò una ragazza dall’aspetto insolito. La prima caratteristica che balzava subito all’occhio era la capigliatura, corvina con delle ciocche blu, come i mezzelfi, ma anche gli occhi erano particolari, uno nerissimo e l’altro viola intenso.
 “Ma chi è questa ragazza?”, pensò Nida con sgomento e una fitta di gelosia.
 
Si ritirò subito dopo cena. Era felice per il ritorno di Amhal. Adesso aveva un valido avversario con cui allenarsi. Le balzò in mente il suo primo incontro con lui, e si addormentò cullata dai suoi ricordi.
                                                                       ***
Era la sua prima prova da quando era entrata in Accademia, quasi sei mesi prima. «Sfiderai il discepolo di Mira», le avevano detto indicando un ragazzo poco più grande di lei, con capelli castani lunghi e mossi, stretti in una breve coda appoggiata su una spalla. Era magro e pallido, ma la cosa che più la colpì furono gli occhi. Erano di un verde che, pensò Nida, non poteva esistere in natura.
Aveva passato tutto il pomeriggio ad esercitarsi con la spada là,  sul prato dove di solito si riposava Ratatoskr. Si stava allenando tra gli alberi di un piccolo boschetto lì vicino, quando sbagliò mossa e la spada, scivolatale di mano, andò a conficcarsi nel tronco di un albero. Provò a estrarla, ma senza successo. Tentò con tutte le sue forze, finché, con un contraccolpo secco, non si ritrovò solo l’elsa in mano e la lama incastrata. “E adesso? Sono senza spada, come farò per la sfida di domani?” pensò, angosciata. Poi le venne un lampo di genio. Mira. Sì, lui poteva aiutarla.
 Il giorno dopo lo andò a cercare e lo trovò nella sala delle asce, intento a lucidare la sua spada.
«Ho bisogno del vostro aiuto» senza lasciare il tempo al Cavaliere di salutarla. Gli mostrò l’elsa. «Ho bisogno di una spada per la sfida di oggi pomeriggio».
«D’accordo, seguitemi, vi mostro la sala delle spade». Nida non c’era mai stata, e ciò che le si aprì davanti la lasciò senza parole. Le pareti della stanza erano tappezzate di spade con forme varie e pugnali di ogni genere, dimensione e materiale.
La sua attenzione fu attirata da una spada custodita in una bacheca. Aveva una lama tagliente come un rasoio, scura nella parte inferiore e dorata sulla superiore che mostrava riflessi iridescenti. L’elsa aveva una semplice forma cilindrica ramata, rastremata verso il basso, e terminava con una protuberanza che ricordava una foglia. «Vorrei questa» disse rivolta verso Mira indicando l’arma. «Ottima scelta. Sapete questa spada era di un’assassina che, si diceva, se la nominavi il giorno dopo, eri bello che morto. Nessuno la sentiva quando agiva e gli unici che avevano visto il suo volto sono tutti morti. Beh, a dire il vero, quasi tutti… Comunque, come dicevo prima, è un’ottima scelta. Aspettate, ora ve la tiro fuori».
Non appena Nida la prese in mano, sentì che l’elsa aderiva perfettamente alla sua mano. Fissò su Mira uno sguardo ardente di coraggio: «Sono pronta! ».
L’arena era brulicante di persone. C’erano tutti gli allievi dell’Accademia, la famiglia reale e semplici curiosi.
Nida era agitata. Contavano su di lei. Fu chiamato Amhal, che le passò accanto e le mormorò: «Buona fortuna», prima di scendere in pista. Poi fu il suo turno. «Ce la posso fare», si disse, nel tentativo di calmarsi.
Si posero l’uno di fronte all’altra e la ragazza sguainò la spada. Sentì un’imprecazione dietro di lei, ma non ci fece caso. Doveva rimanere concentrata. Si misero in posizione, e Amhal cominciò subito con un affondo al quale Nida rispose scartando agilmente di lato. Ogni attacco di Amhal era seguito da uno scatto laterale della ragazza. Alla fine Nida, notando la stanchezza del suo avversario, iniziò a fare sul serio, incominciando a metterlo in difficoltà. Ecco l’occasione. Amhal aveva abbassato la guardia e Nida finse di volergli colpire la mano. Amhal cercò di ritrarsi, ma era proprio quello che voleva la ragazza. Roteando il polso riuscì a colpire la spada avversaria con forza, facendola cadere a terra . Tutti ammutolirono sorpresi, compresa Dubhe.
«Lo scontro è finito» disse puntando la propria lama contro l’avversario. Aveva vinto.
Dopo lo scontro, sua nonna la raggiunse. Nida pensò dapprima  che fosse lì per congratularsi con lei per la vittoria, ma: «Dove hai preso quella spada? » le chiese lapidaria con il viso terreo.
«L’ho trovata nella sala delle spade, all’ Accademia, dentro una bacheca».
«E ti sei chiesta per quale motivo fosse lì? ».
«No. In verità, no. Avevo bisogno di una spada, questa m’ispirava e l’ho presa» le rispose semplicemente Nida.
Si sarebbe ricordata per sempre anche la faccia che fece sua nonna, che non disse altro e la lasciò alla festante compagnia degli altri allievi dell’Accademia. Nida rimase imbambolata a ricevere le strette di mano dei compagni. Non sapeva se essere raggiante o imbarazzata. Turbata, se ne stava in piedi in mezzo alla massa dei suoi compagni d’armi, che continuavano a farle i complimenti.
Vide di sfuggita Amhal che sgattaiolava via. Con una scusa gli andò dietro. Lo trovò appoggiato al parapetto della terrazza mentre ammirava il profilo della città stagliarsi contro il cielo.
La ragazza lo colse di sorpresa. «Ma che bel cavaliere che sei. Non si lasciano le donzelle indifese in una situazione del genere», gli disse con un sorriso ironico.
Amhal arrossì e iniziò a balbettare, ma fu interrotto da Nida: «Non ti preoccupare, scherzavo! Volevo dirti che hai combattuto bene, oggi pomeriggio, in arena, perciò mi chiedevo se ti piacerebbe allenarti ogni tanto con me».
«Certo! ». La risposta gli venne fuori così immediata e piena d’entusiasmo che Amhal ne arrossì.
Nida gli sorrise con dolcezza. «Solo per divertirci un po’…»
«Sì, va bene. Altroché».
«Allora ci si vede in giro!».
Da quel giorno, uno sì e uno no, da quasi quattro anni, si incontravano dopo cena e incrociavano le spade al chiaro di luna.
                                                                   ***
Era mattina presto, quando si accorse che sua sorella era sgattaiolata di nascosto in camera sua per rubarle il suo pugnale, con la lama argentata e l’elsa rossa, da cui non si separava mai.
«Tanto non mi prendi», le urlava Amina in preda all’eccitazione. Nida la rincorse per tutto il palazzo, sotto lo sguardo sbigottito e divertito delle guardie.
La bambina raggiunse la camera di Sulana, loro bisnonna, in cui era vietato entrare.
“Ora non puoi sfuggirmi”, rise Nida sotto i baffi. Rimase tuttavia spiazzata nel vederla varcare la soglia. “Mi sa che mi tocca andare a recuperarla” pensò. Non voleva che Amina finisse nei guai.
«Amina, vieni fuori», la chiamò Nida con tono carezzevole, aggiungendo: «Se vieni fuori, ti prometto che ti farò usare il mio pugnale quando vuoi».
 Non ricevendo risposta, decise di entrare nella stanza, per trascinarla fuori.
Non appena mise piede dentro la stanza, la cosa che la colpì fu l’oscurità che regnava, ma soprattutto l’odore di chiuso che si respirava, come se per anni e anni nessuno avesse messo piede lì dentro.
Avanzò incerta verso il centro della stanza. Era così incuriosita dal quel posto così misterioso, che non si accorse che Amina aveva lasciato di soppiatto la stanza.
Nida scostò la tenda impolverata per illuminare la stanza, e davanti a lei si aprì la vista di una stanza con un enorme letto a baldacchino, una specchiera, tre quadri coperti da drappi e un grosso baule borchiato.
Presa dalla curiosità, scostò i drappi. Il quadro più grande presente raffigurava una ragazza poco più grande di lei, con lo sguardo serio e composto, e sotto di esso una targa recitava: Regina Sulana.
La mia bisnonna.
 Scoprì anche gli altri due quadri. In uno si ergeva un ragazzo dall’aria fiera, con capelli biondi quasi bianchi e occhi chiarissimi. Accanto a lui era ritratta una ragazza, con capelli ricci che incorniciavano un viso un po’ da bambina, con una spruzzata di efelidi sulle gote, e che indossava un vestito rosso fuoco, di fattura abbastanza semplice. Nell’altro quadro la stessa ragazza era abbigliata di nero, con due sole note di colore nel suo abbigliamento: i bottoni del corpetto, rosso sangue, e la cintura argentata. Al suo fianco, un ragazzino timido, dall’aria spaesata, anch’egli con arruffati capelli biondi chiarissimi  e occhi verde opaco.
Sotto il primo c’era scritto: “Re Dohor- Rekla”, mentre nell’altro: “Principe Learco- Guardia dei veleni, Gilda degli Assassini”.
“Questi sono il bisnonno e il nonno… Ma questa donna chi è? E che cos’è la Gilda degli Assassini?”pensò Nida.
D’un tratto, si ricordò che non poteva stare lì; fece per andarsene, quando andò inavvertitamente a sbattere con il ginocchio contro il baule che aveva notato poco prima. Era nero, con borchie argentate. Nida sollevò, non senza fatica, il pesante coperchio. All’interno trovò moltissime armi -coltelli da lancio, cerbottane, lacci e molti pugnali- e un libro vecchio e malandato. Decise d’impulso di portarselo con sé, vinta dalla curiosità, e tornò alla chetichella nella sua stanza.
 

 







Angolo autrice:ebbene si, eccomi con un nuovo capitolo di questa storia :D
Un nuovo mistero sta emergendo dalla vita di Nida XD
Ringrazio nihaltali99 e magicadark007 per il loro maxi sostengno(non so dove sarei adesso senza di voi), e tutti voi lettori silenziosi.
A presto <3

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Capitolo 4
*** Capitolo 3:il Libro Nero ***


CAPITOLO 3

Il libro nero

Lo aprì lentamente, come se fosse stata una reliquia. I fogli sottili scricchiolavano sotto il tocco leggero delle dita della ragazza. Dentro era scritto con una calligrafia minuta e ordinata. Nella prima pagina si leggeva: 

Yeshol, Suprema Guardia della Gilda degli Assassini.

 Nida diede un’occhiata veloce, ma si fermò quando trovò:

Lo spirito può essere vincolato a occupare spazi angusti.
Occorre qualcosa che sia appartenuto al corpo della persona. Capelli. Unghie. Frammenti anche piccoli. Raramente tessuti.
Fallimento, fallimento! Thenaar, fa’ che non tutto sia perduto!


Nida s’immerse profondamente nella lettura. Sudava freddo per la tensione.

Sto ancora cercando il pezzo più importante. Tutto sembra al proprio posto, ma l’ultimo tomo, quello che contiene la parte più importante del rito, quello che potrà mettere assieme i pezzi che fin qui ho così faticosamente raccolto, ancora non è stato trovato. Dohor ha sguinzagliato i suoi per tutto il Mondo Emerso, ma ancora non ha ottenuto niente. Thenaar, perché il nostro grande progetto deve dipendere così da un miscredente?
Non riesco più ad attendere. Thenaar perdonerà la mia ansia, tutto quanto faccio è solo per lui. Ho deciso di tentare anche senza conoscere a fondo il rito. Non è del tutto sicuro, ma io non temo per la mia incolumità. Essa può ben essere sacrificata per questo immane Progetto. È solo grazie a questa grande speranza che sono sopravvissuto in questi lunghi anni di esilio. Tenterò, è deciso. Io devo, DEVO sapere se le mie speranze sono vane, o se a tutto questo c’è fondamento.
Fallimento, FALLIMENTO!! Questo inutile servo non è riuscito nel suo scopo, Thenaar questo umile schiavo ti ha deluso, mio Signore. Mi dilanio nell’idea che tutto sia perduto, e per colpa mia e della mia fretta! Prego intensamente perché ci sia ancora speranza.
Continua a vagare sospeso tra questo mondo e l’altro. Lo sento che m’implora di dargli forma, di farlo tornare a noi perché finisca la sua grande opera. Ora finalmente posso. Dohor mi ha portato l’ultimo pezzo, il Libro Proibito. È straordinario. Non c’è limite al genio di Aster. Sto trascurando tutto per leggerlo, non esco più dal mio studio. Finalmente ogni cosa mi è chiara.
Ho dato ordine di cercare il mezzelfo. Ho notizie che esiste ancora, ma nessuno sa dove si trova. I miei Assassini lo rintracceranno, ne sono certo. Senza di lui, senza il suo corpo, non potrò dare inizio al rito. Era questo che mancava, un corpo. Ho fallito perché non ho dato allo spirito nulla in cui incarnarsi. Se penso all’angoscia dei mesi scorsi, alla mia poca fede, ho vergogna di me stesso. Avrei dovuto sapere, Thenaar, che tu provvedi tutto affinché i tuoi figli abbiano la vittoria.
La ricerca prosegue purtroppo infruttuosa. L’uomo che cerchiamo non si trova, non sembra aver lasciato traccia alcuna di sé. Le memorie della regina Aires però ne parlano. Non ci fermeremo finché non l’avremo trovato. Ogni sera scendo nella stanza sotterranea a vederlo, a vedere il suo spirito fluttuare, a bearmi della sua presenza di nuovo qui in mezzo a noi, anche se è una presenza fallace, non corporea. Presto lo sarà.


Nida rimase scioccata e sconvolta. Aster. Il Tiranno. Rabbrividì. Sapeva chi era e che cosa aveva fatto al Mondo Emerso, e lei aveva appena letto che questo tizio, Yeshol, voleva riportarlo in vita. Ma era riuscito nel suo intento? “No”, pensò Nida, “altrimenti il morbo sarebbe ben poca cosa, a confronto”.
Improvvisamente qualcuno bussò alla porta. Nida nascose il libro sotto le coperte. L’ancella aprì un istante dopo, e rimase stupita nel vedere la principessa già sveglia e vestita.
 
Fino all’ora di pranzo i suoi pensieri erano concentrati su quel libro, con i terribili segreti che nascondeva, ma soprattutto su quell’uomo, che sembrava adorare Thenaar. “Come il Supremo Officiante”. A pranzo, impaziente di saperne di più, chiese a tradimento a sua nonna: «Cos’era la Gilda degli Assassini? ». A Dubhe andò di traverso la birra che stava assaporando. Dopo che si riprese, visibilmente sconvolta, esclamò: «Come fai a sapere della Gilda? ».
«L’ho letto su un libro», rispose genericamente la ragazza, senza nominare il libro nero.
«Era una setta sanguinaria, votata a un culto deviato di Thenaar. E’ stata debellata quasi cinquant’anni fa…», spiegò esitante Dubhe, con fare evasivo.
«Cos’avevano a che fare con il Tiranno?». Dubhe era sempre più a disagio. «Non lo so», mentì laconicamente, e si chiuse in un ostinato silenzio. Nida capì che da sua nonna non poteva più ricavare alcun’altra informazione, anche se non riuscì a comprendere del tutto il perché della sua reazione.
 
Learco non poteva crederci. Erano passati quasi cinquant’anni. All’epoca quel ragazzino aveva solo dodici anni e, se si concentrava, il re poteva sentire ancora le sue spalle minute strette dal suo braccio. Non aveva prove che quell’uomo che era venuto a bussare alla sua porta fosse veramente San, ma in cuor suo sapeva che lo era.  Entrò nella sala del trono con il fiatone per la corsa che aveva fatto non appena saputo del suo arrivo. Al centro della sala c’era un uomo interamente vestito di nero, con le orecchie leggermente a punta, i capelli di una leggera sfumatura azzurrina e occhi viola, occhi da mezzelfo. Gli occhi di sua nonna Nihal.
«Sei davvero tu…», mormorò Learco, incredulo.
«Vedo che ti sei dato da fare, in mia assenza».
Learco lo strinse a sé con foga affettuosa, come avrebbe fatto un padre che avesse ritrovato un figlio. Dopo aver discusso molto, e aver appurato che fosse realmente San, Learco disse: «Manderò a chiamare gli altri. Hai diritto a un benvenuto con tutti gli onori ».
 
Bussarono alla porta. Il maestro Oromis era intento a spiegare “Le ultime lettere di Dabih”. Entrò una servetta molto agitata. Oromis le scoccò un’occhiataccia. «Spero che ci sia un valido motivo per questa interruzione…». «Sua Maestà richiede la presenza di Sua Altezza. Immediatamente». Il maestro, visibilmente seccato, mormorò rivolto alla ragazza: «Se le cose stanno così, potete andare».
Nida seguì la serva fino alla sala del trono, dove l’attendeva suo nonno. Erano quasi tutti presenti, mancava ancora Amina, ma tra loro c’era un uomo che non aveva mai visto. Era abbigliato di nero, avvolto in un mantello nero anch’esso, aveva una cintura di pelle alla quale era appesa una spada. Quella spada. La spada leggendaria di Nihal. Ma le cose che colpivano di più di quell’uomo erano i capelli con striature blu, gli occhi di un viola intenso e le orecchie leggermente a punta. “Halb-elfe“. Nida rimase stupita da questo pensiero che aveva fatto in elfico. Non ricordava di averlo studiato. I suoi pensieri furono interrotti da suo nonno. «Nidafjoll, ho l’onore di presentarti una persona di cui hai sentito parlare molto nei tuoi studi». L’uomo le si avvicinò, sul suo volto balenò un’espressione sorpresa, subito rimpiazzata da un sorriso aperto e sincero. Tese una mano cordiale. «Sono onorato di fare la vostra conoscenza». Nida si riscosse, come se in quegli attimi si fosse fermato il tempo.
«Mi presento», continuò l’uomo, «mi chiamo San. Penso che abbiate già sentito parlare di me».
Sì, sì, eccome se ne aveva sentito parlare. Era un eroe. “Sto stringendo la mano a una leggenda vivente”, pensò Nida in preda all’eccitazione. Poi si accorse di non essersi ancora presentata ma l’unica cosa che le venne in mente fu un sobrio: «Lieta di fare la vostra conoscenza».
Fu indetta una grande festa in onore del ritorno di San a cui parteciparono tutti i membri dell’Accademia e i nobili della città.
Nida dovette mettersi il vestito più elaborato del suo armadio, d'un blu cobalto. Il corpetto era tapezzato da ricami dorati elaborati. Si  mise un po’ in disparte, immersa nei suoi pensieri, pensieri che furono interrotti dall’arrivo di un ragazzo dall’aria misteriosa nella sala. La ragazza gli andò incontro e prima che Lui potesse proferire parola, gli sussurrò: «Vieni con me, fuori». Nida lo condusse nei giardini reali. Si fermarono in una terrazza, lontana dal caos della festa, che dava sulla città.
Nida si voltò verso il ragazzo. Aveva capelli ramati e corti, occhi di un azzurro così chiaro da sembrare bianco e un corpo asciutto, tonico ma non troppo muscoloso, da guerriero.
«Sei sicuro che non ti abbia seguito nessuno?», gli domandò Nida con tono preoccupato. «Sì, sì. Non c’era nessuno in giro» rispose Ratatoskr, poi notando la preoccupazione negli occhi della ragazza aggiunse dolcemente «Non ti preoccupare».
Nida si rilassò visibilmente, appoggiò la testa sul petto di lui, chiuse gli occhi e iniziò a concentrarsi sul battito ritmico del suo cuore mentre lui, che era più alto, appoggiò la testa su quella della ragazza. Si godettero un po’ il panorama di Makrat addormentata sotto i loro piedi finché Ratatoskr non ruppe il silenzio.
«Cos’hai oggi? Sei troppo silenziosa». Nida rispose con fare evasivo: «Niente, niente», si staccò da lui e lo guardò negli occhi.
«Ne sei sicura?», le chiese fissandola con i suoi occhi inquietanti.
«Sono solo emozionata per il ritorno di San, tutto qui», ma, notando l’espressione di Ratatoskr, che non aveva creduto a una sola parola di quello che aveva detto, aggiunse: «In verità, quando l’ho visto in volto, mi è parso… non so come dire… di averlo già visto in vita mia. Non su libri o quadri, ma di persona, di averlo già conosciuto. Ma questo è impossibile, vero?». Ratatoskr si limitò ad annuire.
Quando la festa terminò, ognuno si avviò verso i propri alloggi, tranne Ratatoskr, che si avviò verso le scuderie dei draghi.
«Buonanotte», sussurrò dolcemente all’orecchio di Nida, prima di sparire nella notte. Nida sorrise nel buio. “Buonanotte” gli sussurrò con il pensiero.

 
 


Angolo autrice:eccomi qui con il terzo capitolo XD
Nida fa conoscenza dell'esistenza della setta degli Assassini, che ripercusioni avrà nella sua vita?
Nel prossimo ho in mente una surprise :D

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Capitolo 5
*** Capitolo 4:Il sogno ***


Capitolo 4

Il sogno

Il profumo del mare. Un venticello che scompigliava i capelli. E un piccolo paesino, con una trentina di casette deliziose. Nida, incuriosita, si avviò verso le costruzioni e prese, per istinto, una via secondaria. Si ritrovò davanti a una piccola casetta a due piani, con un terrazzino al secondo piano e circondata da un giardino fiorito e molto curato.
All’improvviso urla agghiaccianti ruppero il silenzio e la tranquillità che regnavano in quel luogo. Venivano dall’interno della casetta. Nida si ritrovò ad attraversare il muro, come uno spettro, e rimase sconvolta.
C’era un uomo disgustosamente orribile, che stava picchiando una donna molto più giovane di lui. Rannicchiata in un angolo, c’era una bambina in lacrime, che si stava tappando le orecchie per non sentire le orribili cose che si stavano urlando i suoi genitori.
«Ti ho salvata dalla vergogna, quando ho accettato di sposarti! Nessuno ti avrebbe preso, ed io l’ho fatto, nonostante non m’interessasse nulla di te e di quella stupida bambina». Nida poteva sentire i pensieri che affioravano nella bambina “Non è vero, non è vero”.
«Io non l’ho mai voluta!» urlava la donna. «E non volevo nemmeno te! Sei stato tu a gettarti addosso a me». Tra un singhiozzo e l’altro, la sua voce era spietata. «Credi che non abbia provato ad abortire prima che fosse troppo tardi? Volevo risparmiarmi tutto questo, ma non ci sono riuscita! Che quel giorno sia maledetto! Che siate maledetti, tu e lei».
“Non è vero, non è vero”.Nida si mise a fissare la bambina con intensità e notò una certa somiglianza con la donna dei quadri che aveva visto nella stanza di Sulana. A un tratto vide la bambina brandire un lungo coltello, quello usato di solito per tagliare le verdure, e accanirsi contro suo padre. Vide l’uomo accasciarsi a terra senza un lamento, il volto stravolto dall’odio della donna colpita in seguito con un unico colpo alla gola e la bambina guardarsi con orrore e paura le mani sporche di sangue dei suoi genitori.
La bambina corse nella foresta e Nida la seguì. Si fermò solo quando trovò la bambina in compagnia di un uomo vestito interamente di nero. L’uomo le era scivolato alle spalle, senza fare rumore, e quando la bambina si era girata terrorizzata, lui aveva sorriso. «Tranquilla, non sono qui per tradirti».
 L’uomo diceva di essere un Vittorioso, e portava con sé un pugnale nero, con la guardia e l’elsa a forma di serpente, e aveva una miriade di altre armi.
«Io ti conosco,Rekla, e so tutto di te. So che hai ucciso i tuoi genitori, e so che ti piace l’odore del sangue».
La bambina arrossì e abbassò gli occhi, colpevole, ricordandosi dei suoi passatempi fino a quella mattina.
L’uomo le prese il mento tra le dita e le sollevò la testa. «Non hai nessuna ragione di vergognarti. Guardami negli occhi».
La piccola lo fece, titubante.
«Il tuo è un dono, Rekla, e quello che hai fatto è straordinario».
Rekla deglutì a fatica.«Io sono cattiva… Lo sanno tutti al villaggio».
L’uomo scosse la testa con vigore.«Tu sei speciale. In te scorre il sangue di un grande uomo. Ti andrebbe di conoscerlo?».
 Prima che potesse sentire la risposta, Nida si ritrovò catapultata in uno studio piuttosto ampio con due poltrone per gli ospiti davanti a una grande scrivania, dove c’era un uomo intento a scrivere su una pergamena. Era il classico uomo della Terra della Notte: pelle lattea, occhi azzurri chiari e penetranti, abituati dalla familiarità col buio a cogliere ogni più piccolo particolare, e corti capelli neri e riccioluti. Aveva una tunica rosso fuoco che gli scendeva lungo i bordi con fregi neri. Sentì bussare alla porta e l’uomo gracchiare:«Avanti».
Entrarono l’uomo in nero e la bambina. Dopo che l’uomo in nero fu congedato, fece accomodare la bambina su una delle poltrone.
«Benvenuta nella Casa,Rekla. Il mio nome è Yeshol, Suprema Guardia della Gilda degli Assassini».
Appena sentì il suo nome, Nida si sentì raggelare. Era l’uomo che voleva riportare Aster in vita.
«Perché mi avete portato qui?»,domandò la bambina con un filo di voce.
«Per affidarti ala tua vera famiglia. Vedi, io conosco tuo nonno e vorrei, appunto, portarti da lui».
Nida vide crescere negli occhi di Rekla un’intima esultanza. La Suprema Guardia la prese per mano e la condusse in un lunghissimo tunnel, che sbucò in un’enorme sala con un trono di cristallo nero. Lì seduto c’era un ragazzo, sui dodici anni, con capelli blu, ricci, orecchie a punta e occhi verdi. Indossava una tunica nera da mago con centro un occhio viola.
L’uomo s’inchinò e la bambina lo imitò.
«Benvenuta nella Rocca, nipote».
La bambina rimase di sasso. Il Tiranno intuì i suoi pensieri.«Tuo padre era mio figlio. Era nato prima che mi fosse imposto questo sigillo che mi ha ridotto a come mi vedi ora. Sapevo che aveva avuto una figlia, ti ho cercato a lungo e so cosa è successo. Da quanto mi hanno raccontato le mie spie, mio figlio era un’idiota e mai, mai mi sarei aspettato che non amasse la sua stessa figlia. In ogni caso, ora ha avuto ciò che si meritava e, adesso che sei qui, mi prenderò cura io di te». Detto questo, le porse la mano e la bambina gli buttò le braccia al collo.


 
Nida si svegliò di soprassalto. Il sogno le aveva messo addosso una strana inquietudine. Aveva scoperto chi fosse Yeshol- sempre che il sogno fosse in realtà una visione e dicesse la verìtà- e l’esistenza della nipote di Aster. Pensò alla donna dei quadri e la sovrappose alla bambina. Combaciava. Si alzò tremante dal letto e si affacciò alla finestra. Guardò le due lune del suo mondo in cielo splendenti come non mai, che stavano per lasciare posto a una nuova giornata. Gettò un’occhiata all’armadio e si ricordò del diario misterioso nascosto in uno dei cassetti inferiori, chiuso a chiave. Iniziò a sfogliarlo e si fermò quando trovò:

Esiste, nel Mondo Emerso, una lotta millenaria, che secolo dopo secolo si rinnova e si protrae. Ebbe inizio con l’origine dei tempi, e da allora avvolge nelle spire del proprio ciclo questo mondo, segnandone la storia e tracciandone il destino. Il primo fu un elfo, Freithar, il cui nome fu maledetto. Egli inventò la Magia Proibita, facendo entrare il male nel mondo. Contro il desiderio di vita, contro l’afflato al bene degli dei, egli opponeva la propria sete di distruzione. Perché se gli dei potevano creare e gli elfi no, egli allora voleva quanto meno avere il potere di distruggere. Venne detto Marvash, il Distruttore, e fu il primo. Davanti alla potenza del suo male, che minacciava di distruggere il Mondo Emerso, gli dei, Shevraar primo tra tutti, inviarono sulla terra Sheireen, la Consacrata, destinata a spegnere l’odio di Marvash, ad annientare la sua opera e ricacciarlo nell’ombra da cui proveniva. Il primo scontro condusse alla sconfitta Marvash. Ma la sua morte diede frutti oscuri. Non senza progenie egli si spense, e gettò un seme nel mondo, un seme di morte che avrebbe dato una messe nefanda. Le stagioni passarono, la pace si stabilì, ma il male non era stato sconfitto. Di nuovo dalle tenebre emerse un essere assetato di morte e distruzione, e rivendicò per sé il nome di Marvash. Di nuovo gli dei condussero nel Mondo Emerso Sheireen, e di nuovo la lotta tra i due scosse la terra fino alle radici. Fu il trionfo di Marvash, cui seguirono lunghi secoli di buio. Da allora, periodicamente, appaiono al mondo uno o più distruttori. Creature votate al male, dotate di straordinari poteri, esseri tenebrosi che godono della morte, che solo nella strage trovano il loro appagamento. Ad essi si oppongono le consacrate, Sheireen, ugualmente potenti, ma mosse dal bene, pervase da una benefica forza purificatrice. Eternamente lo scontro si ripete e l’esito è sempre incerto. Nelle varie epoche, a volte fu l’oscurità a vincere, altre la luce. L’unica certezza è la lotta stessa, il perpetuo rinnovarsi del ciclo del bene e del male.

Sheireen e Marvash. Il Bene e il Male. Sua nonna le aveva sempre detto che era solo una leggenda a cui credevano i fedeli di Thenaar. Lei invece ci credeva. Ci aveva sempre creduto, perché ogni volta che ne sentiva parlare si sentiva coinvolta come se la riguardasse da vicino.
 Guardò fuori dalla finestra. Il sole era già alto. Mise il libro al suo posto e si avviò verso la sala da pranzo, dove la attendevano i suoi genitori.
 
Si stavano allenando in arena. Era sera, e in teoria, vigeva il coprifuoco per entrambi, ma Nida era comunque una principessa e le guardie ci pensavano due volte prima di costringerla ad andare nella sua stanza. Amhal era inquieto. Erano settimane che non andava a trovare Adhara e quella sera, durante l’allenamento, sentì che il desiderio di vederla era molto prepotente.
«Come mai oggi sei così distratto?»,domandò Nida notando il suo sguardo assente.
«Niente, niente. Pensavo»,fu vaga la risposta.
Nida, notando il rossore delle guance di Amhal, disse con un sorriso: «Sicuro? La tua faccia dice tutt’altro. E quel tutt’altro è una ragazza, vero?». Non ricevendo risposta, pensò di averci visto giusto. «Dai, vai da lei. Se continui a combattere con la testa fra le nuvole, non serve a niente, e io non ci trovo più gusto».
«Non ti dispiace?»,domandò Amhal.
«Ma no, stai tranquillo. Tanto avevo già iniziato a sbadigliare alle ultime scoccate. E poi ho tutti i prossimi giorni per disarmarti senza pietà», rispose Nida facendogli l’occhiolino.
Amhal la ringraziò con un cenno di capo e si avviò nel buio.
 
Lo seguì di nascosto. Era proprio curiosa di sapere chi fosse la ragazza che piaceva tanto ad Amhal. Lo trovò in terrazza seduto su una panchina accanto a una persona. “Oh! Eccola”. Nida si avvicinò piano per non farsi scoprire e andò in un punto, dove poteva vedere senza correre il pericolo di essere scoperta. Si sporse. Ora la sua curiosità sarebbe messa a tacere. Appena vide la ragazza, rimase sorpresa. Era Adhara, la dama di compagnia di sua sorella, la ragazza che era arrivata a Makrat qualche mese prima con Amhal. Si avvicinò per vedere meglio ma fu attraversata da una corrente magica potentissima che la lasciò disorientata per un po’. Nida non riusciva a capire. Neppure Amhal aveva un tasso di magia così elevato, quasi pari al suo. E se fosse stata Adhara?
Di lei sapeva poco e niente, solo quello che le aveva detto Amina.
Li vide baciarsi sotto la luce delle lune e staccarsi dopo pochi secondi. Nida vide l’espressione di Amhal e raggelò. Vide la Furia, la stessa che accendeva alcune volte i loro duelli in arena.
Vide Amhal arretrare e correre in direzione dell’Accademia. Mentre Adhara rimase per un po’ a fissare le tenebre davanti a sé, per poi decidersi a prendere la via degli alloggi della servitù.
 
Furono le grida delle ancelle a svegliarla. Si vestì rapidamente e nel corridoio trovò sua madre a un passo dalla crisi isterica.
«Cos’è successo?», chiese Nida con preoccupazione.
Fu una delle inservienti a rispondere.
«Principessa, vostra sorella non è più nei suoi alloggi».
Dopo pochi minuti, arrivò Adhara. «Ho cercato dappertutto. Non è neanche nella casa sull’albero».
«Avete provato nel parco?», domandò Nida.
Tutte si girarono verso di lei.
«Ad Amina piace molto passare il suo tempo libero lì, soprattutto vicino alle fontane».
Infatti, come aveva previsto Nida, la trovarono vicino a una delle fontane, con una canna da pesca in mano, vestita con uno dei suoi abiti da gala e immersa fino alla cintola nell’acqua stagnante.
A quella vista, poco mancò che Fea svenisse. Nida trattenne a stento una risata.
Dopo che Amina si fu allontanata con la sua dama di compagnia, Nida dovette andare a lezione. Arrivò in ritardo, come al solito, e Maestro Oromis la rimproverò. «Principessa, sempre in ritardo. Dovrò prendere seri provvedimenti e…».
Non riuscì a terminare la frase, che Nida urlò: «Vergessen!». Oromis si guardò intorno smarrito e Nida né approfittò per uscire dalla stanza e andare da Ratatoskr.
Si fermarono su un prato. Nida appoggiò la schiena al torace dell''amico. All'improvviso ridacchiò.
"Che c'è?"domandò la viverna, colto alla sprovvista dalla ragazza.
«Mi è venuto in mente quello che è successo qualche mese fa. ti ricordi di Mufrid?». Al solo ricordo, anche la viverna scoppiò in una fragorosa risata.
 
Era stato qualche mese prima dell''arrivo di San a corte. A palazzo si era presentato uno degli innumerevoli aspiranti al trono e alla sua mano. Nida, seduta sul trono lo guardò, disgustata. Era un ragazzo brufoloso, ma tutto incipriato per mascherare, con scarsi risultati, l'acne. Aveva un'orrenda parrucca e l'aria altezzosa. Era il figlio del conte di Loos. Sua madre, come voleva l'etichetta, fu molto cordiale con l'ospite.
«Cosa vi piace fare, mio caro, nel tempo libero?».
«Vostra Maestà. Mio padve mi ha isvitto all'Accademia dei Cavalievi di Dvago Blu. Quando sono in licenza pvefeviscocavalcave il mio stallone».
Nida s'illuminò. Cavaliere di drago blu. Le venne un'idea.
Si alzò. «Mio caro Mufrid di Loos. Ho una proposta da farvi. Una prova. Se la supererete avrete la mia mano».
Fea la guardò con un misto di sorpresa e dubbio. Cos'aveva in mente da fare?
Il nobile, borioso, s'inchinò.«Ditemi, favò qualunque cosa voi desideviate».
«Vedremo».
 «Ditemi, di che si tvatta?».
Nida si girò verso la madre.«Potreste lasciarci soli?».
Fea la guardò, ma non replicò. Forse sua figlia si era decisa a scegliere qualcuno finalmente.
«Dovrete cavalcare la mia cavalcatura in arena»disse, non appena la madre se ne fu andata.
Mufrid sorrise tra sé e sé. Niente di più semplice.
Nida lo guardò di sottecchi. Ci era cascato.
Raggiunse con la mente l'interessato. Gli raccontò tutto, e gli illustrò il suo piano.
"Sicura che funzionerà?"domandò Ratatoskr, poco convinto.
"Sicura. L'importante è che tu sia mooolto convincente".
Nida condusse Mufrid in arena.
«Aspetta qui». Uscì dall'ingresso da cui erano entrati.
Dopo pochi minuti, uno dei pesanti portoni usati dai draghi per raggiungere l'arena, si aprì.
Mufrid iniziò a sudare freddo. Aveva una brutta sensazione. Dall'ombra emerse Nida, con un sorriso di trionfo dipinto sul viso. Teneva poggiata una mano su un addome nerissimo.
Mufrid alzò lo sguardo. Somigliava a un drago, ma privo di zampe anteriori. Lo guardava con occhi di fiamma.
«Mufrid, ho l'onore di presentarvi la mia vivernaRatatoskr. è lui che dovrete cavalcare per la mia mano».
Mufrid impallidì all'istante.
Ratatoskr lanciò un urlo lacerante al cielo.
Non poté sopportare altro. Scappò dall'arena, urlando a squarciagola terrorizzato. Perse la parrucca, e Ratatoskr la incenerì.
Nida scoppiò a ridere a più non posso.«Sei stato grande. Ora si diffonderà la notizia, e voglio proprio vedere se si presenterà qualcuno».
I suoi genitori e i suoi nonni non furono granché contenti.«L'erede al trono deve sposarsi e dare un erede per preservare il casato e la corona».
Nida non demorse.«Ho solo quattordici anni. Ho tutta la vita davanti per trovare qualcuno. Voi avete scelto. Perché io non posso? E comunque non mi sento ancora pronta a un passo simile». La sua logica era ferrea. Così Neor e gli altri accondiscesero al suo desiderio.
 
Era già notte inoltrata e Nida non riusciva a prendere sonno. Per questo sentì l’eco di passi nel corridoio davanti alla sua stanza. Quando aprì la porta si ritrovò davanti Galaga, una delle migliori spie di sua nonna.
«Cos’è successo?».
Galaga non rispose subito, poi si arrese alla curiosità della principessa, e rispose: «Abbiamo catturato un elfo in un vicolo di Makrat. Rantolava, e l’abbiamo portato in una cella sotterranea».
 Un elfo. Aveva letto molte cose sul loro conto e aveva sempre provato un’intima simpatia nei loro confronti.
«In quale cella?».
«Secondo piano, terza a sinistra». Tuttavia, Galaga dovette intuire qualcosa, perché subito dopo aggiunse: «Sua maestà ha dato ordine di non andare nei sotterranei».
«Va bene. Sia fatto il volere di Sua Maestà», mentì Nida.
Aspettò che Galaga se ne fosse andata, e si avviò spedita verso i sotterranei.










Angolo autrice:ta dan XD
Eccomi qui cari lettori/lettrici!
Ebbene si, Nida sarà partecipe di strani sogni  ;)
Nel prossimo entrerà un nuovo personaggio.
Buona lettura a tutti <3

Drachen

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Capitolo 6
*** capitolo 5:Gedd ***


Capitolo 5

Gedd

Scese la lunga scala a chiocciola che portava ai sotterranei.
Nida dovette fermarsi più volte per aggirare le guardie di turno.
Quando finalmente arrivò in prossimità della cella indicatale da Galaga, individuò subito tre maghi, dei quali uno, in particolare, era abbigliato come i Fratelli della Folgore .
Nida notò sua nonna, in piedi davanti alla barriera eretta dai maghi intorno alla cella dove era rinchiuso l’elfo. Sentì il dialogo tra i due acceso da una nota di odio da parte dell’elfo.
«Chi sei?».
Le rispose solo un respiro affannato. L’uomo la guardava fisso negli occhi con un odio profondo.
«Tacere non ha senso», proseguì Dubhe. «Sappiamo già molte cose di voi».
Il malato continuò a guardarla con lo stesso implacabile odio.
«Ad esempio sappiamo che sei un elfo. Sappiamo che ce ne sono altri come te nel Mondo Emerso, sappiamo che siete voi a portare la malattia».
Ancora silenzio ostinato.
Dubhe insistette. «Se anche non parli, il tuo corpo parla per te. Finirai dai sacerdoti, lo sai? Analizzeranno ogni centimetro della tua pelle, scaveranno in ognuna delle tue piaghe per capire come curare questo flagello. Non sarà piacevole. E, soprattutto, non potrai farci niente».
L’elfo sorrise spavaldo.
«Hai poco da ridere», aggiunse Dubhe. «Chi ti manda? Cosa volete?».
«Ordina pure che frughino tra i miei intestini», disse l’elfo. Parlava con un forte accento, e pronunciava ogni parola con disprezzo. «Tanto siete già tutti morti».
«Questo lo credi tu. Vi abbiamo scoperto in tempo».
L’elfo sogghignò. «Siete degli stupidi. E siete finiti. Come avrebbe dovuto essere secoli fa. Ma quei tempi torneranno».
La regina incalzò ancora. «Chi ti manda?».
L’elfo la guardò con sdegno, sussurrando: « Unsere Zeit kommt wieder », poi sputò a terra.
Dubhe digrignò i denti: «Chiamate il Supremo Officiante. Ditele che domani può venire qui e trovare le risposte che cerca. E non permettete a questo verme di ammazzarsi, è chiaro? Ci serve vivo». Si voltò per uscire. Nelle orecchie, quell’ultima frase che la fece precipitare negli oscuri meandri del passato.
Il nostro tempo sta per tornare.
Nida osservò la scena nascosta dietro una colonna, attenta a non farsi scoprire. Si stupì quando capì il significato delle parole dell’elfo.
Aspettò che sua nonna se ne fosse andata, per avvicinarsi furtivamente alle spalle dei maghi.
 «Geh schlafen!*» mormorò la ragazza. Un attimo dopo e tre corpi s’accasciarono a terra addormentati e la barriera scomparve.
Nida s’avvicinò, squadrando l’elfo.
Aveva la pelle bianchissima e diafana, coperta da un lieve sudore e segnata da orribili macchie nere. Le unghie erano rosse di sangue, così come il naso e le orecchie. Aveva capelli lunghi e verdi, raccolti in una morbida coda, orecchie appuntite e corporatura snella e filiforme. Sembrava assopito e respirava con difficoltà.
Nida gli si avvicinò e gli toccò una mano. A quel contatto l’elfo aprì gli occhi viola intenso. Nida si ritrasse per paura di vedere l’odio che aveva scorto in quegli occhi, fino a qualche attimo prima. Rimase sorpresa di non vederlo, anzi, nei suoi occhi lesse una leggera supplica. Nida si sentì trafitta da quello sguardo. Si abbassò e gli mormorò all’orecchio: «Non avere paura. Troverò il modo di salvarti». L’elfo parve tranquillizzarsi da quelle parole e richiuse gli occhi.
“Già, ma come?” pensò Nida.
Pensò istintivamente al libro nero.
«Torno subito» disse all’elfo assopito, pur sapendo che non l’avrebbe sentita.
Tornò pochi minuti dopo con il libro sottobraccio. Iniziò a sfogliarlo finché non trovò quello che stava cercando. Era una cartina della Casa, con un tunnel sotterraneo che la collegava ai sotterranei del palazzo. Dopo averlo scoperto, Nida l’aveva percorso, fino a sbucare in un corridoio pieno di porte con sopra un cartiglio con inciso nomi di vari tipi di Guardie, in elfico. Aveva scoperto, leggendo il Libro, che erano le cariche più importanti nella Gilda. Andò istintivamente alla porta con inciso “Guardia dei veleni”. Non appena ne varcò la soglia si ritrovò catapultata in un laboratorio da erborista. C’era un letto ampio, una cassapanca e un tavolo. In un angolo alambicchi e uno scaffale pieno di strani barattoli. Era abbandonato da tempo.
“È il posto giusto dove nasconderlo”.
Prima tentò di tirarlo su, ma scoprì che per lei era piuttosto pesante.
“Per trascinarlo fin là ci vorrà un’eternità”.
Poi le venne in mente un incantesimo che aveva appreso in una delle lezioni di Theana.
«Stellung**» mormorò, pensando intensamente alla stanza.
Aprì gli occhi e si mise subito all’opera.
Con tutta la delicatezza possibile, issò sul letto l’elfo privo di sensi. Ora non restava che cercare un antidoto per contrastare il Morbo.
Per un secondo pensò all’elfo come un nemico, ma scacciò quel pensiero. “Si fida di me”.
Aveva sentito parlare dell’immunità delle ninfe a quel malanno. Andò spedita verso lo scaffale, dove trovò una serie di boccette, tutte etichettate.
Trovò subito il sangue di ninfa in una boccetta piena fino a metà.
“Mi basterà”.
Poi pensò ai vari sintomi tipici del Morbo, quindi si concentrò a cercare le varie erbe capaci a contrastarli.
“Ecco che la mia anima di botanico viene a galla”.
Le era sempre piaciuto studiare i vari tipi di erbe, però doveva studiare di nascosto, perché sua nonna gliene aveva proibito la pratica, così come quella della magia.
Cercò un contenitore e si mise a mescolare i vari ingredienti. Sangue di ninfa, digitale, drosera, belladonna e un pizzico di foglia viola. Aveva letto, su un libro, che sia la belladonna, sia la foglia viola, se assunte in quantità massicce, potevano diventare un veleno.
Quando ebbe finito, pregò che fosse sufficiente. Tirò su il corpo dell’elfo, perché poggiasse la schiena contro la parete. L’elfo socchiuse lievemente gli occhi.
«Bevi. Ti farà bene», gli sussurrò Nida dolcemente. Accostò alle sue labbra la ciotolina, contenente l’antidoto. Glielo fece bere, lentamente, e ne caddero solo poche gocce.
Dopo aver finito, lo fece sdraiare e rimase un po’ a contemplarlo. Il suo respiro si era fatto più regolare e sembrava dormisse tranquillo. Decise di tornare nella sua stanza.
Chiuse dietro di sé l’uscio, ripercorse a ritroso il tunnel e si dislocò in camera sua. Era quasi l’alba e, sapeva, che l’avrebbero chiamata di lì a poco. Così chiuse a chiave la porta e sprofondò nel sonno.
                                                                                  ***
Era in una palestra piena di gente che si stava allenando con qualsiasi tipo di armi. Notò  una piccola stanza, un po’ discosta, con una porta socchiusa, da cui proveniva un rumore di spade. Nida scostò la porta e li vide. Una ragazza sui vent’anni, riccia e bionda, che s’avventava contro un uomo muscoloso, con il torso nudo, che, semplicemente, si limitava a parare le scoccate.
La ragazza perse l’equilibrio, cadde a terra e si ritrovò la lama avversaria a un millimetro dalla sua gola. «Sei troppo lenta», l’apostrofò l’uomo. La ragazza lo guardò con odio, poi si tirò su. Ora che la vedeva con chiarezza in viso, poté ricollegarla  alla donna dei quadri. L’uomo intercettò il suo sguardo. Sorrise.
«Se continuerai così, anche se sei la favorita di Sua Eccellenza, anche se sei la nipote di Aster, non riceverai mai l’incarico. Sono io a decidere se sei pronta o meno. Perciò non osare  più mancarmi di rispetto».
La ragazza fu tentata a controbattere, ma si limitò a mordersi il labbro inferiore e a stringere la mano a pugno. Stavano per riprendere l’allenamento, quando arrivò una donna, una sacerdotessa, a giudicare dall’abbigliamento, una lunga tunica rossa con dei fregi neri, stretta in vita da una cintura argentata. Aveva occhi azzurri, glaciali ed era rasata. S’inchinò davanti all’uomo.«Sua Eccellenza richiede la presenza della vostra allieva nel suo studio. Immediatamente».
L’uomo borbottò, infastidito dall’interruzione.«Potete andare».
Rekla seguì la donna fino allo studio della Suprema Guardia. Entrarono, incrociarono le braccia e si portarono i pugni al petto. L’uomo rispose al saluto.
«Potete andare» disse, rivolto alla sacerdotessa.
«Per quale motivo mi avete convocata?», domandò Rekla non appena furono soli.
 «Ho un importante incarico da affidarti».
Rekla lo guardò, stupita. Fino a pochi attimi fa credeva che non sarebbe mai arrivato.
 «Ma prima voglio presentarti una persona».
Detto questo, la condusse nella navata principale del Tempio, dove li attendeva una persona, che, notandoli, andò loro incontro. Era un ragazzo alto e robusto, con i capelli biondi quasi bianchi e occhi chiarissimi. Indossava un giustacuore in cuoio, una casacca nera e un paio di brache dello stesso colore. Sorrise. Il tempo parve fermarsi per Rekla, davanti a quel sorriso.
 «Rekla, voglio presentarti Dohor, sovrano della Terra del Sole e nostro nuovo alleato».
« È un piacere conoscere la nipote di una figura famosa come Aster».
La ragazza si riscosse davanti alla mano tesa di Dohor. Voleva rispondere al saluto, ma non trovava le parole. Per cui si limitò a un sobrio:«Lieta di fare la vostra conoscenza».
«Bene, ora che vi siete conosciuti, ti dirò quale sarà il tuo compito».
«Potrei dirglielo io?»lo interruppe Dohor.
«Prego».
Il ragazzo prese fiato. Doveva trattarsi di un discorso abbastanza lungo.
«Come sapete, sono diventato sovrano e vostro alleato qualche mese fa. Fin da bambino, ho sempre avuto il sogno di poter avere il controllo assoluto su tutte le otto terre del Mondo Emerso. E ora che sono re ho la possibilità di farlo. Ho progettato di conquistare la Terra del Fuoco tra, più o meno, una settimana. Non so se avete sentito le voci che Ido e Aires hanno messo in circolo, per cercare di screditarmi, rivelando la nostra alleanza… Ecco, qui entri in gioco tu», disse, rivolto alla ragazza.
 «Cioè?».
«Yeshol mi ha detto che sei promettente, la più silenziosa. Ho bisogno di te per assassinare la Regina Aires».
Rekla strabuzzò gli occhi. Era un incarico che andava ben oltre la sua portata.
«Non so… ecco… se ne sarei capace», borbottò.
«Ce la puoi fare», disse con determinazione Yeshol.
Alla fine Rekla sospirò. «Quando si parte?».
«Domani. Usa il tunnel che collega la Casa e il palazzo a Makrat. Tieni», disse,  porgendole un vestito rosso fuoco di fattura semplice. «Quando saremo là, non potrai andare in giro vestita da assassina».
Rekla annuì.
«E comunque», continuò il giovane re, «durante la missione sarai mia sorella e diremo che mia moglie non è potuta venire, per questioni importanti».
Rekla annuì di nuovo, con una scusa lasciò i due uomini, e si recò nella sua stanza. Non riusciva a crederci, eppure eccolo lì. L’incarico a lungo desiderato. Uccidere la regina Aires. Non aveva pensato così in grande quando fantasticava su esso. Poi, però ebbe una folgorazione. Le guardie. Come avrebbe fatto ad aggirarle?
Fu come ricevere un’illuminazione.
Andò spedita nella sala delle Piscine, e si fermò vicino al piede destro dell’enorme statua di Thenaar che incombeva su di esse. Lì abbassò un porta-fiaccola e si aprì una porta che portava agli alloggi delle Guardie. Si fermò solo quando trovò ciò che cercava. L’alloggio della Guardia dei Veleni, un uomo basso e tarchiato, con un aspetto inquietante che le ricordava suo padre, morto qualche anno prima, per mano sua. Per fortuna era fuori dalla Casa per portare a termine una missione. Rekla si fermò davanti alla porta d’ebano.
« Aufmachen!***», mormorò, e la porta si aprì, con un cigolio. Si ritrovò in una stanza ampia con un letto, un tavolo colmo di libri di Magia Proibita e uno scaffale pieno di boccette. “Assomiglia alla stanza dove ho nascosto Gedd”, pensò Nida, che non si era persa una sola mossa di Rekla. Vide la ragazza trafficare con i barattoli, richiudersi dietro la porta con aria soddisfatta e raggiungere il centro della stanza.
                                                                             ***
Nida si svegliò di soprassalto. Aveva sognato. Di nuovo. Non sapeva cosa significassero quelle immagini, ma soprattutto, cosa avevano a che fare con lei. Domande su domande a cui non riusciva a trovare una risposta.
 
Scelse la notte. Era l’idea più sensata. Subito dopo cena, Nida si produsse in convincenti e fragorosi sbadigli, quindi annunciò ai suoi genitori e ai suoi nonni che andava a letto. E così fece, ma rimase sveglia, in allerta.
Quando fu sicura che tutti fossero a letto e che le guardie fossero lontane, sgattaiolò fuori dalla sua stanza e corse in cucina, dove prese un po’ di pane nero, carne secca e una brocca di acqua.
 « Stellung », mormorò, e si trovò nella stanza dove l’aveva nascosto.
L’elfo sembrava stare meglio. Aveva smesso di perdere sangue e sembrava meno pallido del giorno precedente. Nida lo contemplò al lungo. Aveva caratteri filiformi ed eleganti e dimostrava, si e no, venticinque anni. Gli si sedette accanto. L’elfo aprì gli occhi e li richiuse infastidito dalla luce delle fiaccole appese al muro.
«Ti danno fastidio? Vuoi che le spenga?», domandò Nida, con tono preoccupato.
«No,no. Ora mi abituo»sussurrò l’elfo.
Detto questo, provò a mettersi seduto con scarsi risultati. Nida lo agguantò per le spalle e lo costrinse a letto.
«Sei debole, adesso. Così rischi di peggiorare le cose», disse. «Ti ho portato del cibo e dell’acqua», aggiunse poi.
L’elfo divorò tutto e in fretta. Sembrava che non mangiasse da giorni.
«Chi sei?», le chiese quando ebbe finito, con un forte accento.
«La tua salvatrice. Mi chiamo Nidafjoll», gli rispose, porgendogli la mano.
«Io sono Gedd».
Nida vide nei suoi occhi sospetto, ma non se ne curò.
«Dove siamo?», domandò Gedd, guardandosi attorno.
«Nel sottosuolo di Nuova Enawar, nella Grande Terra. Al sicuro, se lo vuoi sapere», poi aggiunse: «Come ti senti?».
«Bene. Perché, come mi dovrei sentire?».
«Come uno scampato dal morbo». Gli raccontò tutto, di come l’avesse portato via dalla cella nei sotterranei e di come l’avesse curato.
L’elfo rimase in silenzio, perso nei suoi pensieri. Quando Nida ebbe finito, tra loro calò un silenzio tombale. A romperlo fu Gedd. «Perché mi dovrei fidare di te? Per colpa di quelli come te ho rischiato di morire».
A queste parole, Nida si infuriò tantissimo. «È questo il tuo ringraziamento per averti salvato la vita? Come puoi pensare una cosa simile dopo tutti i rischi che ho corso?». Anche quando notò il viso perplesso di Gedd, continuò: «Se mi avessero scoperto, anche se sono la principessa, mi avrebbero punito. Ma ho sorvolato su ciò che sei e ti ho salvato. E questo è il tuo ringraziamento. Mi sa che ho fatto male a salvarti».
Detto questo, Nida si volse dall’altra parte, e prima che si potesse alzare, la mano segnata da profonde macchie nere di Gedd strinse la sua.
«Scusa. Non volevo offenderti. E’ che ero scosso, per quello che è successo. Mi perdoni?».
Nida lo guardò con un mezzo sorrisetto. « Ich vergebe dir****». Notando l’espressione stupita di Gedd, scoppiò a ridere: «Ho studiato un po’ di elfico». Mentiva. Non l’aveva mai studiato, le veniva naturale parlarlo, e la cosa la inquietava un po’.
«Per ora starai qui finché non avrai recuperato le forze. Ti porterò cibo tutti i giorni. Intanto cercherò un modo per farti tornare dai tuoi simili».
Girò sui tacchi, ma appena appoggiò la mano sul pomello sentì un sussurro dietro di lei.
«Grazie».
Nida si girò e gli sorrise.
Si dislocò nella sua stanza, si buttò direttamente sul letto vestita e si addormentò all’istante.
 
* addormentatevi
** dislocazione
***apriti
****ti  perdono









Angolo autrice:ciau a tutti :D
Eccomi con un nuovo capitolo!
Abbiamo fatto conoscenza di un nuovo personaggio(lo avete riconosciuto?è una comparsa del "Il destino di Adhara" XD)
E abbiamo assistito a un nuovo pezzo del sogno...che ne pensate?
Ringrazio tutti voi che segute la storia...questo è molto importante per me :')
A presto <3

Drachen

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Capitolo 7
*** capitolo 6:confidenze ***


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 Capitolo 6

Confidenze

Vivere una vita normale era un’impresa, dopo tutto ciò che succedeva. Il mondo era cambiato. E anche le persone. Nida pensò istintivamente ad Amhal. Era migliorato a vista d’occhio sul campo, era più difficile da battere, ora che usava anche la magia. Tutte le volte si chiedeva come facesse, dato che, fino a poche settimane prima, inorridiva al pensiero di usarla.
E in più, si aggiungeva la quarantena. Da quando vigeva, le era proibito uscire dal palazzo. Così niente lezioni di magia con il Supremo Officiante. Nida si accontentò di leggere qualche libro di magia in biblioteca, di nascosto.
L’unico momento in cui lasciava il palazzo era quando andava a trovare Gedd.
L’elfo migliorava a vista d’occhio, grazie alle cure amorevoli della ragazza.
«Presto potrai tornare a casa» disse una sera Nida, anche se le dispiaceva ammetterlo. Si era affezionato a quel ragazzo. E poi era l’unica libertà che le era rimasta.
L’elfo era, però, di tutt’altra idea.«Non vedo l’ora di tornare, per riabbracciare Shyra».
Nida ebbe un moto di gelosia. «È la tua ragazza?».
«Si… Cioè no…è solo una ragazza che mi piace. Tutto qui» tagliò corto Gedd arrossendo fino alla punta dei capelli.
 «Ma gliel’hai detto?».
«Cosa?».
«Che ti piace».
«No!» rispose Gedd viola come una melanzana.
«Perché no?».
«Perché… ecco… boh… Mi riderebbe in faccia. Lei è uno spirito libero, non le frega niente dell’amore».
«Hai così poca stima di te stesso?».
«A quanto pare si» replicò Gedd, con tono amaro.
«Male. Dovresti confessarle il tuo amore nei suoi confronti» disse, vergognandosi della gelosia che provava. «Comunque dovrebbe ritenersi fortunata» aggiunse a mezza voce.
«Perché?».
«Ha uno come te, che le vuole bene».
Nonostante il divieto di Dubhe di uscire da palazzo, ma soprattutto di avere a che fare con la botanica, decise di far visita a un amico. Si chiamava Tori, ed era uno gnomo proprietario di un’ erboristeria. L’aveva notato una volta a palazzo, perché era il rifornitore di veleni per i Guerrieri Ombra, il corpo di spie di sua nonna. L’aveva avvicinato e lo aveva persuaso a darle qualche lezione. In segreto. Lo gnomo aveva accettato senza problemi.
«Principessa, non mi sarei aspettato una vostra visita. Pensavo vigesse il coprifuoco», disse non appena la ragazza varcò la soglia.
Nida gli sorrise. «Un semplice coprifuoco non può placare la mia voglia di sapere».
«Ben detto principessa. Allora mettiamoci al lavoro».
Ci stette quasi tutto il pomeriggio. Aveva ancora un po’ di tempo prima dell’allenamento con Amhal.
Fu proprio in quel momento che le venne in mente.
Nida indugiò davanti a quella porta. Aveva bisogno di sfogarsi, di provare un po’ di libertà. Per questo pensò ad un azzardo. Un bel tatuaggio. I suoi non l’avrebbero presa molto bene. Poteva sempre tornare indietro. Scacciò quel pensiero. Entrò, e andò spedita verso il tatuatore, un uomo basso e tarchiato, pieno di tatuaggi in tutto il corpo.
«Desiderate?» chiese l’uomo, osservandola con occhi porcini e un sorriso sghembo e divertito.
Nida si tolse il cappuccio del mantello, mostrandogli il suo volto. Non appena l’uomo la riconobbe cambiò atteggiamento.
«Cosa posso fare per voi Vostra Maestà?» domandò, con voce untuosa.
Nida fu tentata ad andarsene, ma si trattenne.
«Vorrei fare questo tatuaggio» gli mostrò un pezzo di carta con disegnato un doppio pentacolo rosso e nero, con al centro due serpenti degli stessi colori, attorcigliati tra loro. L’aveva trovato sul Libro Nero. Non sapeva di cosa si trattasse, ma aveva catturato subito la sua attenzione.
«Qui sul braccio» aggiunse mostrando l’avambraccio inferiore sinistro.
Iniziò il dolore non appena l’uomo iniziò a incidere la pelle con i suoi attrezzi.
 
Uscì di lì con il braccio dolorante ma felice. Si accorse che era l’ora dell’allenamento, così si avviò verso l’arena.
Appena arrivata, fu accolta da Amhal, che notò che teneva una mano sul braccio tatuato.
«Che hai?» domandò, preoccupato.
Nida si guardò attorno. «Sai mantenere un segreto?» domandò a mezza voce.
Il ragazzo annuì e Nida gli mostrò il tatuaggio. Si accorse troppo tardi del Fratello della Folgore che le passò vicino e che, non appena notò il doppio pentacolo, soffocò un urlo e gli occhi si dilatarono, colmi di terrore.
Prese Nida per le braccia e le sussurrò dolcemente come i suoi genitori quando era malata: «Va tutto bene».
Nida lo guardò senza capire.
Quest’uomo è pazzo.
«Sei sicura di Riuscirla a controllare?».
Sta delirando alla grande.
Fu scortata dall’uomo, nella sua stanza, seguita da un Amhal confuso e sorpreso.
«Avvertite il Supremo Officiante. Ditele di venire qui. È un’emergenza» ordinò l’uomo a una guardia di servizio che corse subito a recapitare il messaggio. Nida continuava a guardare l’uomo. Ma cosa stava succedendo?
Qualche minuto più tardi arrivò Theana, visibilmente sconvolta. Prese dal suo tascapane un rametto di betulla e un contenitore pieno di polvere scura. Nel frattempo arrivò sua nonna che, nel vedere il tatuaggio, poco mancò che svenisse.
Theana iniziò a disegnare strani disegni sul braccio nudo della ragazza visibilmente sconvolta. Durò tutto una manciata di minuti. La donna tirò un sospiro di sollievo dopo aver finito.
«Allora?» domandò Dubhe, a un passo dalla crisi.
«È un semplice tatuaggio. Non è quello che pensiamo noi».
«Cos’ha il mio tatuaggio che non va?».
Theana si voltò verso di lei. «Questo è il simbolo di un sigillo molto potente e pericoloso».
Nida si fece subito attenta.«Come fate a saperlo?».
«Perché…»si bloccò vedendo lo sguardo di Dubhe, che pareva dicesse “Non una parola”.
«L’ho visto su un libro» minimizzò.
Nida fece una faccia delusa. Finiva sempre così. Ogni volta la stessa storia. Perché non le davano le risposte che cercava? La sua testa era un guazzabuglio di domande senza risposta.
 
Fu una sera che li scoprì. Stava tornando dall’arena, unico posto accessibile fuori dal palazzo, quando li vide. San e Amhal.
 Nida aveva provato immediata simpatia per quell’uomo. Decise di seguirli. Li vide fermarsi in una radura nascosta nel bosco poco fuori Makrat, estrarre le spade e iniziare l’allenamento.
Nida non aveva visto niente di simile. Gli allievi dell’Accademia erano per lei troppo lenti e ottusi per la carriera militare. Loro invece, soprattutto San, si muovevano con una certa agilità ed eleganza. Incantata com’era neanche se ne accorse quando mise un piede sulle foglie a terra, facendole scricchiolare.
«Damn!» imprecò a mezza voce, quando vide San e Amhal voltarsi verso di lei.
Nida, imbarazzata, iniziò a balbettare. «Mi spiace…non volevo disturbarvi…è che combattevate così bene che sono rimasta incantata…».
«Fa niente, fa niente» la consolò San, che poi aggiunse: «Learco mi ha detto che sai combattere bene. Mi piacerebbe metterti alla prova».
«Mettermi alla prova?» domandò Nida dubbiosa, certa di non aver capito bene.
«Certo. Mettiti in guardia», e si mise in posizione d’attacco.
Nida sentì solo un leggero spostamento d’aria, provocato dall’arma avversaria in rapido avvicinamento. Lei, fulminea parò il colpo, seguito da un affondo. Nida scartò di lato e incrociò la sua lama a quella avversaria. Il combattimento durò svariati minuti finché tutti e due, stanchi e spossati,si sedettero a terra.
«Mai visto niente di simile. Ci sai fare».
Nida arrossì fino alla punta dei capelli però felice del complimento, soprattutto fatto da un eroe come San.
«Però» continuò San «vorrei proporvi un secondo scontro».
Nida lo guardò senza capire le sue intenzioni, ma accettò. Non era da lei rifiutare una sfida.
Lo scontro riprese. Parata, attacco, affondo, tondo. Ancora e ancora. San la guardava con un sorriso sinistro, finché Nida non riuscì a metterlo all’angolo. Un’ondata d’eccitazione l’avvolse. Alzò la spada per puntargliela alla gola e segnare la fine del duello, quando la sua arma s’infranse contro una barriera argentata. Nida perse l’equilibrio e San ne aprofittò. Le fece lo sgambetto, facendola cadere a terra. Infine fu lui a puntarle la lama contro.
«Be’ in battaglia tutto è permesso no? E la magia è un’ottima alleata» disse San con un sorriso che pareva un ghigno.
«Finché non ti si rivolta contro» ribatté la ragazza con un sorriso, toccando la lama avversaria che iniziò a diventare incandescente. San mollò la spada e Nida fulminea la intercettò al volo.
«Fine dei giochi».
San la guardò sconcertato.
«Neanche gli elfi saprebbero fare una cosa simile» disse, pentendosi subito di quelle parole.
«Ma allora li avete incontrati gli elfi». Gli occhi di Nida brillavano.
San si guardò attorno. Non c’era nessuno.
«Sai mantenere un segreto?».
«Si» rispose di getto la ragazza.
«Ebbene, sì. Dopo un lungo pellegrinaggio ho raggiunto la costa, dove vivono. Comunque li ho visti solamente da lontano, non ho mai avuto contatti con loro. Mio nonno me le aveva descritte come creature spietate, quindi ho preferito tenermi a debita distanza». In fondo non era una totale bugia, però, notando gli occhi della ragazza scintillare, fu tentato di dichiararle la verità, ma qualcosa lo bloccò. Lei in fondo era una di loro, un nemico. Meno cose sapeva, meglio era per l’esito della missione.
San diede un’occhiata al cielo. Le due lune erano già alte.
« È tardi. Devo andare».
«Anch’io. Ho il turno di guardia» disse Amhal che, fino a quel momento aveva seguito la scena in silenzio.
«Allora vi lascio andare». Detto questo, Nida li salutò, si dislocò nella sua stanza e si addormentò all’istante.
 
Qualche giorno dopo, in arena, Nida aspettò con impazienza l’arrivo di Amhal.
Stava seduta sugli spalti, tenendo d’occhio il portone d’ingresso.
Una mano sulla spalla la fece sussultare. Era San.
«Non verrà» disse semplicemente l’uomo.
«Chi?».
«Amhal. È stato confinato nel suo alloggio».
«Perché? Cos’è successo?» domandò allarmata Nida.
«Durante il suo turno di pattuglia sulle mura, qualche sera fa, ha fermato un ragazzo che stava cercando di entrare a Makrat».
«Cosa c’è di così grave? Ha fatto il suo dovere».
«Per fermato, principessa, intendo ucciso».
Nida rimase pietrificata.
«Non è possibile. Non può aver fatto una cosa simile» mormorò con un filo di voce.
San rimase in silenzio. Capiva lo sgomento della ragazza.
«Come mai lo volevi vedere? Non c’entra niente l’addestramento?».
«No, non c’entra. Volevo confidargli una cosa».
«Ne vuoi parlare?»
 «Mi ascolterebbe veramente?».
«Si, ma smettila di darmi del lei, dammi del tu. Siamo amici».
Nida prese fiato. Gli raccontò dei sogni, che aveva iniziato a fare e delle strane sensazioni che provava. Gli raccontò della donna inquietante che per qualche motivo le era familiare, di Yeshol, ma soprattutto della Gilda degli Assassini.
«Ho provato a chiedere a mia nonna qualcosa su di loro, ma lei non mi ha detto niente, anzi sembrava sconvolta non appena l’ho pronunciata».
«La Gilda degli Assassini era una setta che praticava il culto di Thenaar. Il vero Thenaar».
«Ma», lo interruppe Nida, «il Supremo Officiante e i Fratelli della Folgore pensano che sia il loro il vero culto».
«Loro non conoscono la vera storia. Thenaar è il dio della guerra e della distruzione. Il loro culto è vicino a Phenor, la dea della vita. In realtà Thenaar e Phenor sono legati: dove Thenaar distrugge, Phenor crea».
« E Nihal? Lei era consacrata a Thenaar, eppure ha contribuito a salvarlo il mondo, non a distruggerlo».
«Lo ha salvato versando il sangue dei suoi nemici. Comunque, tornando alla Gilda, era una setta che credeva nell’assassinio come forma di glorificazione di Thenaar. Si dice che sia andata distrutta cinquant’anni fa, ma pochi sanno che ci sono stati dei superstiti che poi però, quasi quindici anni fa, sono stati uccisi».
Poi, però, aggiunse:«Ma scusa, come fai a sapere di Yeshol senza conoscere la Gilda?».
«Perché ho trovato il libro» rispose la ragazza, scrollando le spalle.
«Quale libro?».
«Il Libro Nero».
«Me lo mostreresti?».
Appena giunti nella stanza, Nida lo tirò fuori e lo porse a San.
Lo sfogliò un po’ prima di fermarsi nel capitolo in cui Yeshol parlava della possessioni delle menti.

Le anime sono strettamente connaturate al corpo.
 Vi sono sacerdoti che hanno sempre sostenuto il contrario, affermando che l’anima è in vari gradi
indipendente dalla materia, giungendo persino ad asserire la totale disgiunzione tra carne e spirito. Sono solo dottrine fallaci che i sacerdoti mentitori usano per attrarre a sé il popolo, legandolo con la forza della superstizione e della credulità. Solo la magia, lo studio accurato e sistematico dell’essenza dello spirito e della materia, può giungere alla verità. Lo spirito è influenzato dalla materia, e ad essa rimane connessa fino alla morte, che separa artificiosamente ciò che Thenaar creò legato.
L’animo di una donna è ben diverso da quello di un uomo, e il sesso è materia che più di ogni altra imprime il proprio sigillo sulle realtà spirituali. Rehasta provò a disgiungere lo spirito di una donna dalla sua carne e provò a insufflarlo nel corpo vuoto di un uomo morto, ma l’esperimento non giunse a buon fine, e l’anima impazzì, lasciando per sempre questo mondo.
Vi sono diversi gradi di intolleranza tra materia e spirito. Uno spirito femminile non sopravvive nel corpo di un uomo, ma lo spirito di un bambino può in certa misura sopravvivere nel corpo di un vecchio. Le unioni di questo tipo sono però sempre fallaci; in breve tempo lo spirito perde la voglia di vivere e il corpo si deteriora in fretta, così che la morte sopraggiunge dopo poche ore. Le razze, per conto, non si tollerano tra loro, e lo spirito di uno gnomo mai potrà sopravvivere nel corpo di un uomo o di una ninfa. Gli spiriti dei mezzelfi, invece, poiché sono in parte umani e in parte elfi, possono per breve tempo trovare ricetto anche in corpi umani, ma la sopravvivenza è comunque fallace, e dura non più di qualche giorno. Ma, per le possessioni più veloci si usa la formula:« Seine eigene Meinung».


“Questo può tornarmi utile” . ma i suoi pensieri furono interrotti da Nida.
Gli mostrò anche il tatuaggio che si era fatta qualche giorno prima.
                                                            http://im2.freeforumzone.it/up/22/0/395214100.jpg
«L’ho trovato su questo libro sia sulla copertina, sia all’interno, dove, però, viene descritto in modo superficiale. C’è scritto solamente che si tratta di un sigillo potentissimo. Me lo sono fatta tatuare perché aveva un certo non so che, che m’ispirava. Ma avessi visto la faccia di mia nonna. Era a un passo dall’infarto».
«Lo credo». Si bloccò subito. Aveva parlato troppo. Dubhe era stata chiara a riguardo.
«Non deve sapere niente della Gilda»gli aveva detto, la sera prima.
«Se posso essere indiscreto, perché non può sapere la verità?»domandò San, incuriosito.
«Non lo sa nessuno, a parte Learco e Neor, e non intendo farlo sapere ad altri».
Così si affrettò ad aggiungere:«è un sigillo che risveglia la parte più oscura di una persona, facendola emergere, finché la Bestia, così si chiama la parte oscura, e la vittima non diventano una cosa sola».
 «Forse c’è dell’oscurità in me, dato che mi ha suscitato interesse».
«In tutti c’è dell’oscurità, ma, per fortuna c’è la luce a contrastarla».
«Tranne che nei Marvash».
San volse lo sguardo verso la finestra, e fissò intensamente l’orizzonte, come se contenesse le risposte.«Anche nei Marvash ci può essere un barlume di luce».
Nida non trovò nulla da obbiettare. Cambiò argomento.
«Parla anche dei Marvash, soprattutto di Aster. Dice che i Marvash sono stati creati per cancellare con il sangue i peccati per permettere di ricominciare e per sopportare il peso dei peccati altrui. È così?».
«In un certo senso si».
Continuarono a parlare, finché San non si accorse che si era fatto tardi.
«Devo andare. Ho il turno di guardia».
«Grazie» disse Nida, quando San giunse sulla soglia.
Si girò. «Per cosa?»
«Per avermi ascoltata» disse con un sorriso.
San le sorrise di rimando e se ne andò.
 
La mattina dopo venne svegliata da una servetta agitatissima e prossima alle lacrime.
«Principessa è successa una cosa terribile. Il Cavaliere Drago Mira è stato colpito da un dardo avvelenato».
«Dove si trova?».
«Nella sala di rappresentanza della Regina Sulana».
Nida si precipitò subito nella stanza indicatale, in preda all’ansia.
 

ciau^^
finalmente aggiorno questa fic...anche se il capitolo è a sedimentare nel pc da secoli(ehm...non esageriamo XD)
Spero vi sia piaciuto :D
Come avrete senz'altro notato la storia sta procedendo seguendo a grandi linee gli avvenimenti del Destino di Adhara...ebbene questa cosa andrà così diciamo fino al decimo capitolo, poi non seguirà più nulla...infatti è una storia che dovrebbe sostituire >Figlia del Sangue e Gli ultimi Eroi XD
Boh, dopo questa precisazione vi lascio.
Ci sentiamo...spero presto ^^

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Capitolo 8
*** capitolo 7:lutto ***



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Capitolo 7
Lutto

Trovò tutti fuori dalla porta. C’era anche Amhal, con il viso funereo.
Nida fece per entrare, quando Dubhe la fermò.
«Non si può entrare. Dentro c’è il Supremo Officiante. Sta cercando di salvarlo».
«Potrei provarci io. Se sapessi di che veleno si tratta, potrei preparare un antidoto»s’interruppe subito. Si era tradita.
«E tu che cosa ne sai di veleni?»domandò Dubhe, con faccia indecifrabile.
Nida fu tentata di rivelarle i suoi incontri segreti con Tori, ma tacque. Non le sembrava il momento giusto, e poi, era sicura che le avrebbero impedito di continuare gli studi.
«Ho letto qualcosa su dei libri»rispose vagamente. In realtà non era una bugia vera e propria. Passava molto del suo tempo libero in biblioteca e aveva letto molti libri su quell’argomento.
«Non basta leggere libri. Lascia che se occupi un’esperta».
Nida si arrese. Notò in un angolo Amina in compagnia di Adhara. La sorella sembrava caduta in una specie di trance.
Continuava a mormorare ripetutamente:«Non ho sentito niente… Mi volevo solo divertire, nient’altro…».
Sentiva anche Adhara, che insisteva:«Non è colpa tua. È stato un agguato».
Non appena si avvicinò, Adhara s’inchinò. Nida le rispose con un cenno di capo.
«Eravate con lui, quando è successo?».
Fu Adhara a rispondere.«Si».
«Raccontami».
Adhara non avrebbe voluto. Ricordare, pensare a se stessa come un automa dispensatore di morte. Fu scarna, essenziale, cercando di soffocare le emozioni. Le raccontò di come Mira fosse caduto a terra privo di sensi, dopo essere stato colpito dal dardo avvelenato, di come si fosse frapposta tra Amina e l’assassino intercettando, con il pugnale un secondo dardo e di come l’avesse ucciso alle spalle. Le uniche reazioni da parte di Nida furono un lungo sospiro e una piccola lacrima dall’occhio destro.
La porta si aprì nel primo pomeriggio. Un cigolio lento, che sapeva di resa. Theana ne uscì pallida, stremata. Tutti fecero campanello intorno a lei.
«Il veleno ha avuto la meglio poco fa. Non si è più ripreso. Ho fatto tutto il possibile»
Un paio di gemiti, sospiri, e un rumore sordo, rimbombante. Nida volse lo sguardo verso l’origine del suono. Era Amhal che aveva colpito con violenza la porta con un pugno. E un altro, un altro ancora, mentre stringeva gli occhi con violenza.
«Amhal… Va tutto bene»sussurrò Nida dolcemente, trattenendo le lacrime.
Ma Amhal non l’ascoltava. Urlò al cielo il suo “perché”disperato e colmo d’ira. Poi si chiuse nella stanza in cui il suo maestro era morto.
Sentì il grazie sentito dei suoi genitori ad Adhara.«Non fosse stato per te nostra figlia adesso sarebbe morta. Non hai idea di quanto ti siamo riconoscenti». Vide lo sguardo pieno di gratitudine dei suoi nonni.«Ti dobbiamo la vita di nostra nipote». Ma soprattutto, sentì la conversazione tra Adhara e Amina.
«Io ti devo la vita e tu sei stata fantastica. Ho visto come ti sei battuta, sembrava che ballassi». Mentre parlava, mimava le mosse precise.
«Non è stato un gioco»le aveva risposto Adhara.
«E chi sta dicendo che lo è stato. Ti sto dicendo invece che sei stata…eroica»
«È morto un ragazzo».
Vide Amina sgranare gli occhi.«Un ragazzo? Quello mi voleva uccidere».
Nida non volle sentire altro. Il giorno dopo era andata a vederlo, nell’obitorio dove lo avevano portato. In fondo si trattava di Jalo, un suo compagno d’armi e spia al servizio di sua nonna.
Già sua nonna. Nida si chiese come l’aveva presa la scoperta che l’assassino di Mira era uno dei più fidati collaboratori. Ma soprattutto si chiese cosa avesse spinto uno come lui a compiere un atto simile. Lo avevano pagato? O forse era stato semplicemente un gesto di pura follia? Ancora domande, pesanti come macigni.
E poi c’era Amhal. Era semplicemente scomparso. Era rimasto chiuso nella stanza con Mira per tutta la notte. Ne era uscito solo la mattina, senza degnare di uno sguardo nessuno, neppure lei. Si era rintanato in Accademia e passava dalla sua stanza alla sala in cui si allenava. Non voleva vedere nessuno, neppure lei. Era emerso alla luce una volta soltanto, il giorno del funerale del suo maestro. C’era tanta gente. Vide Amhal in disparte, gelido e silenzioso. Da una parte aveva Adhara, dall’altra San. Nida avrebbe tanto voluto avvicinarsi, abbracciarlo e cercare qualcosa che potesse alleviare un poco il dolore, ma davanti al suo volto scavato e ai suoi occhi gonfi e cerchiati, non trovò nulla da dire.
Parlò il re, il Supremo Generale, parlò suo padre. Per lei erano solo parole sparse al vento, parole inutili che non potevano descrivere totalmente ciò che era stato Mira. Poi la processione delle torce. Amhal fu il primo, silenzioso e composto. Portò la fiamma, poi tornò al proprio posto a contemplare il fuoco che dilaniava una parte della sua esistenza.
Nida, appartenendo alla casa reale, era obbligata a partecipare a quel rito, ma in fondo lo faceva per quel suo amico che l’aveva sempre sostenuta in ogni occasione. Tornò al suo posto e gli scoccò un’occhiata. Lui continuava a guardare davanti a sé il corpo del suo maestro che piano, piano, diventava cenere, che si disperdeva al vento. Non l’aveva mai visto così lontano.



Rekla imboccò il tunnel indicatole poco prima dalla Suprema Guardia, per raggiungere in poco tempo Makrat. Era agitata. In fondo era la sua prima missione da assassina, non doveva fallire. Emerse nei sotterranei del palazzo reale, e imboccò la scalinata che portava ai giardini reali.
Giunta alla meta indicatole, c’era Dohor ad attenderla, con lo stesso sorriso stampato in faccia del giorno precedente.
«Ansiosa di cominciare?»
Rekla, davanti a quei magnifici occhi, non trovò niente da dire. Il re la condusse nel piazza letto dove c’era una magnifica carrozza, di fattura semplice ma finemente elaborata. Le aprì la portiera, dove c’era impresso il marchio della Casa Reale, un cerchio di rubino con attorno a una parte di essa, tre foglie di ferro.
«Possiamo andare»disse rivolto al cocchiere.
Dohor decise di tagliare per la Grande Terra, per raggiungere il più velocemente possibile Assa. In quell’arco di viaggio, nella carrozza regnò il silenzio finché:«Possiamo fermarci un momento?». Dohor acconsentì, e non appena il veicolo si fermò, Rekla scese immediatamente, guardandosi intorno. Era ancora là, come l’aveva lasciata l’ultima volta.

Quando l’aveva vista crollare, mattone dopo mattone, era con Yeshol. Stavano studiando insieme antichi tomi elfici, quando sentirono una terribile scossa. Rekla vide il volto dell’uomo, era una maschera di puro terrore. Yeshol ricordò le ultime parole del suo maestro, prima di lasciarlo allo scontro contro la mezzelfo superstite al massacro dei suoi simili.«Porta mia nipote lontano da qui. Non so se la vittoria sarà mia o della Sheireen, quindi prenditi cura di lei». Yeshol fece per andarsene quando Aster lo bloccò:«Un’ultima cosa. Dille che le voglio bene, che gliel’ ho sempre voluto da quando è venuta a vivere qui».
Yeshol la prese per un braccio, e la trascinò per un corridoio che portava all’esterno.
«Cosa sta succedendo?»domandò Rekla, ancora tredicenne, che non riusciva a capire la situazione in cui si trovavano, o almeno cercava di non pensarci.
«Hanno attaccato la rocca. Dobbiamo andare via».
«Ma il nonno…»ma la frase le morì in gola. Sapeva cosa stava accadendo, e la risposta di Yeshol le gelò il sangue. «È finita. Sheireen è venuta a compiere ciò che tuo nonno aveva sempre temuto» e le riferì ciò che gli aveva detto qualche ora prima.
«Non è vero. Non è morto. Non può essere morto»urlò la ragazza, tra le lacrime.
Appena furono fuori raggiunsero una collinetta poco distante, non controllata dai nemici. Solo allora Rekla si volse e vide la Rocca, la sua casa diventare un cumulo di polvere.
Fu allora che urlò tutta la sua disperazione.

«Brutti ricordi?». Dohor la riportò nella realtà. Rekla rimase in silenzio, e raccolse un po’ di quella terra, dove un tempo sorgeva imponente la sua casa. In mano si ritrovò solo della comunissima terra venata da sottili paiuzze di cristallo nero, tutto ciò che era rimasto della Rocca.
«Dobbiamo rimetterci in marcia. Altrimenti non arriveremo ad Assa in tempo»disse Dohor, a disagio. Non voleva violare l’intimità della sua compagna di viaggio. Ripresero il cammino.
Solo quando la terra brulla della Grande Terra, Dohor si decise a parlare:«Mi dispiace». Sapeva la sua storia, gliel’aveva raccontata Yeshol, e aveva sentito il suo dolore come proprio. Rekla gli rispose con una scrollata di spalle.
«Ne vuoi parlare?».
Rekla sorrise tristemente.«Non capiresti».
«Dammi almeno una possibilità».
Rekla lo guardò,e vi lesse un sincero interesse e una sincera preoccupazione. Poi, con un sospiro si arrese davanti alla sua ostinazione e gli raccontò tutto. Lei sapeva che la sua vita gli era già nota, eppure gli raccontò tutto sin dal principio, dalla morte dei suoi genitori alla distruzione della Rocca.
«Io c’ero e l’ho vista radersi al suolo. Ma ciò che mi brucia di più sono le urla di gioia lanciate dall’esercito nemico. Loro non sapevano chi fosse veramente colui che chiamavano Tiranno, non sapevano che avrebbero provocato dolore. A loro interessava solo il proprio obiettivo, distruggerlo.». Dohor rimase in silenzio. Non c’erano parole che potessero allietare il dolore che portava nel cuore.

Arrivarono ad Assa dopo tre giorni di viaggio, forzando le soste.
Erano lì perché Dohor voleva screditare le voci che circolavano sul suo conto, almeno fino a quando la Terra del Fuoco non fosse stata nelle sue mani .
Vennero accolti dalla Regina Aires in persona.
Rekla rimase di sasso. Si aspettava una vecchia, invece si ritrovò davanti una donna sulla trentina, con lunghi capelli neri, raccolti in una morbida treccia, che le arrivava fino a metà schiena, occhi nocciola e fisico morbido, ma allo stesso tempo asciutto da guerriero. Fu allora che si ricordò di lei. Aveva guidato la rivolta in quella terra nello stesso periodo della Battaglia d’Inverno, cioè quando aveva perso suo nonno. “Ecco uno dei colpevoli della sua fine”pensò Rekla, con rabbia.
«Benvenuti ad Assa»li salutò cordialmente la regina, con un sorriso fasullo.
«Lieti di essere qui»rispose al saluto Dohor.
«Chi sarebbe questa donna che ti porti appresso? Non sembra vostra moglie Sulana»chiese Aires, squadrando Rekla con occhio critico.
La ragazza sentì la rabbia aumentare senza che potesse farci nulla, davanti a quello sguardo indagatore. Stava pensando se fosse una buona idea sguainare il pugnale che teneva nascosto nello stivale e squarciarle la gola, quando Dohor s’intromise:«è mia sorella. Mia moglie è dovuta rimanere a Makrat per questioni urgenti».
Aires non aggiunse altro e li condusse personalmente negli alloggi preparati appositamente per loro.
«Vi lascio il tempo di ambientarvi un po’ nel mio palazzo. Ci vediamo all’ora di cena». Detto questo, la regina girò sui tacchi, e seguita dai ministri, che fino ad allora erano stati in silenzio,lasciò soli gli ospiti.
Appena furono lontani, Dohor si accostò all’orecchio di Rekla.«Inizia ad ambientarti, e a trovare la camera da letto della regina, perché abbiamo poco tempo».
La ragazza annuì e imboccò il corridoio, che poco prima avevano preso la regina e i due ministri. Attraversò corridoi identici tra loro, e ben presto perse l’orientamento.
“E poi mi lamento della Casa. Questo posto non è molto meglio”pensò con un moto di stizza.
Prese dei cunicoli a caso. Si bloccò. La regina Aires uscì da una delle porte dell’immenso corridoio in cui era finita. Rekla rimase di sasso. Lassù qualcuno l’amava. Appena Aires se ne fu andata, Rekla si precipitò dalla porta, da cui l’aveva vista emergere. Aveva la fortuna dalla sua. Aveva trovato la stanza che stava cercando. Sorrise tra sé e sé. Ritornò sui propri passi finché non trovò Dohor, nella stanza che gli era stata assegnata.
«L’ho trovata»disse semplicemente.
«Ora non mi resta che studiare i turni e le abitudini delle guardie, e il gioco è fatto»aggiunse.
«Sapevo di poter contare su di te. Ottimo lavoro»le rispose Dohor, con un sorriso.
Rekla gli sorrise di rimando, ma furono interrotti da un paggio della regina.
«Sua Maestà vi attende nella sala da pranzo».

Trovarono Aires seduta ad un capo di un lunghissimo tavolo.
«Prego, accomodatevi»li invitò cordialmente la regina.
“Filthy Schlange!*”.
Consumarono il pranzo in silenzio. Rekla notò che Aires le riservava sguardi indagatori, a cui rispondeva con sguardi di fuoco. Sentì un’intima esultanza nell’uccidere quella donna.
“Non è che l’inizio. Presto riuscirò a uccidere tutti i colpevoli della morte di mio nonno”.
Durante tutto il pasto, Rekla si concentrò su questo pensiero. Sapeva che era meschino Ma se lo meritavano, e, giurò a se stessa, avrebbe fatto di tutto per portare a termine il suo desiderio.

La loro permanenza ad Assa durò tre giorni. Ogni notte Rekla studiava ogni comportamento delle guardie, davanti alla porta della stanza reale, fino a sapere tutto sul loro comportamento. Erano sempre due, a cui veniva dato il cambio ogni tre-quattro ore. Le prime erano le più vigili e attente ad ogni singolo e minimo rumore, mentre le altre, per la maggior parte del tempo sonnecchiavano, una addirittura ronfava. E la mattina tornavano le prime, forse per far credere alla regina la loro serietà sul lavoro. Doveva agire quando c’erano le guardie meno sveglie. Le avrebbero facilitato il compito.
«È un peccato che dobbiate andarvene via così presto»disse la regina, davanti al cancello reale.
«Le questioni politiche chiamano»rispose Dohor.
«Spero di rivedervi presto». Aires rivolse a Rekla un sorriso fasullo.
«Altrettanto»sibilò la ragazza cercando di non far trapelare il suo odio.
Non appena fuori dalla città, si fermarono in un boschetto. Dohor si volse verso Rekla.
«Adesso tocca a te».
«Ti dispiacerebbe uscire dalla carrozza?».
«Perché?». Dohor la guardò senza capire.
«Non penserai mica che agisca conciata in questo modo?!»ribatté Rekla, con tono ironico, indicando il vestito rosso che indossava.
Dohor ubbidì e scese dalla carrozza, ancora dubbioso. Rekla né uscì pochi minuti dopo. Dohor ebbe un tuffo al cuore. Era abbigliata come il giorno in cui l’aveva incontrata, e la trovava bella. Molto bella. Fu Rekla a riportarlo alla realtà.
«Allora, niente “Buona fortuna”, niente di niente?».
«Ah…si… Buona fortuna». La vide inoltrarsi nella vegetazione. Dohor non se la sentì di lasciarla andare così.
«Aspetta!». Rekla si girò verso di lui. Si ritrovò davanti il suo viso, i suoi occhi che brillavano di una luce tutta loro. Gli mancarono per un attimo le parole.
«Fa attenzione»le disse semplicemente. La ragazza gli rispose con un sorriso schietto e sincero e si incamminò verso Assa. Dohor sospirò, e pregò Thenaar o gli altri dei, se mai esistevano, di fare in modo che non le accadesse nulla.

Rekla si calò completamente nella missione. Riuscì ad aggirare facilmente le guardie all’ingresso della città e del palazzo reale. All’interno del palazzo fu più difficile. Dovette fermarsi più volte per non farsi scoprire dalle guardie. Arrivò, finalmente, nel corridoio dove si trovava la stanza di Aires. Come aveva previsto, c’erano le guardie giuste. Nell’ombra, Rekla tirò fuori due fialette. Le stappò, ed attenta a non respirarne il contenuto le fece rotolare vicino alle guardie ancora sveglie, che si accasciarono a terra senza un lamento, russando rumorosamente. La ragazza, in punta di piedi, entrò nella stanza, e trovò la sua vittima a letto. Dormiva, inconsapevole di ciò che le stava per accadere. Rekla sfoderò il pugnale, ma lo stridio, prodotto dall’arma a contatto con la pelle del fodero, svegliò la regina. La guardò, e Rekla vide montare il terrore nei suoi occhi. Non ebbe il tempo di dare l’allarme, che Rekla la colpì alla gola, facendone uscire un lamento soffocato. La ragazza, come voleva il rito, raccolse un po’ del suo sangue, e come prova decise di prendere l’anello appartenuto da generazioni ai regnanti di quella terra. Si girò per lasciare quel palazzo e raggiungere Dohor, ma ciò che vide la raggelò. Sull’uscio della porta c’era una guardia, che osservava con occhi sgranati la sua regina con uno squarcio alla gola. Lanciò un urlo, subito spento da un colpo al petto da parte di Rekla. Ma ormai l’allarme era stato dato. Rekla si chiuse la porta dietro di sé, raggiunse la finestra e guardò fuori. Il cornicione le parve troppo piccolo per poterlo percorrere. Sentì uno scalpiccio fuori dalla porta.
“No, non ora!”.
Appoggiò le palme delle mani sul muro. Si trovava a un’altezza davvero notevole, ma doveva tentare. Le venne in mente l’incantesimo che faceva al caso suo.
«Stellung»mormorò, e si ritrovò fuori dalle mura della città.
Senza rallegrarsi dello scampato pericolo, corse a perdifiato verso la radura, dove l’attendeva Dohor, che, nel frattempo, aveva contattato Forra, che si trovava nelle vicinanze. Non appena scorse Rekla arrivare, mandò un messaggio magico, con l’ordine di attaccare. Quando Rekla si fermò, senza fiato a pochi passi da Dohor, questi d’impulso l’abbracciò.
«Ce l’hai fatta, ce l’hai fatta! Sapevo che ci saresti riuscita». Si accorse subito dopo ciò che aveva fatto, e si ritrasse subito.
«Vieni. Osserva il risultato della tua opera»disse, per uscire dall’imbarazzo che si era creato tra i due. Al limite del boscetto, Rekla vide i soldati di Dohor avanzare, attaccare e conquistare quella terra e quella città, che da neanche un ora, aveva perso la sua regina. Sentì lo stridore delle spade, l’urlo agghiacciante degli abitanti di Assa. Il combattimento durò poco, e solo dopo che calò il silenzio, Dohor decise di entrarvi.
Radunati nella piazza principale c’erano i pochi abitanti rimasti della città, che rabbrividirono alla vista di Dohor.
«Cittadini di Assa. Oggi la vostra regina è morta, e io, Dohor re della Terra del Sole proclamo il mio potere su questa terra. Non voglio creare allarmismi, vivrete come avete fatto fino ad oggi, ma se vi ribellerete farete compagnia alla vostra regina defunta».
Forse spinta dalla paura, la folla iniziò, prima piano, poi sempre più potente a urlare:«Lunga vita a Re Dohor!». Fu indetto un banchetto per la conquista di Assa.
«Ho mandato i miei uomini a conquistare il resto della terra»disse Dohor a Rekla«il tuo lavoro qui è finito. Puoi tornare a Casa. Ma non sarà l’ultima volta che ci vedremo. Promesso»aggiunse, facendole l’occhiolino. Lei gli sorrise, mentre saliva sulla carrozza che doveva portarla a casa. Rimase a contemplare la città, finché non scomparve all’orizzonte, nascosta dalle nuvole di zolfo, tipiche di quel luogo.

Arrivò alla Casa dopo due giorni di viaggio. Ad attenderla sulla soglia del tempio, c’era Yeshol che, nel vederla, incrociò al petto le braccia in segno di saluto, tipico degli assassini.
«Ben ritornata. Hai portato a termine la missione che ti è stata affidata, per la gloria di Thenaar?».
«Per la gloria di Thenaar, ho liberato questa terra alui sacra, Da un perdente» completò il rito Rekla.
«Sono felice che tu ce l’abbia fatta»disse Yeshol con dolcezza.«Vieni, andiamo a versare il sangue della tua vittima nelle piscine».
Non appena entrarono nella sala dei sacrifici, con due piscine stracolme di sangue delle loro vittime ai piedi di un enorme statua di Thenaar in cristallo nero, videro venirsi incontro un assassino prossimo al collasso.
«Sua Eccellenza; è successa una cosa terribile! È morta la Guardia dei Veleni, Alioth»riprese fiato. «Ero in missione con lui. Le guardie di servizio ci hanno preso di soppiatto. Erano in tre: una l’ha uccisa lui, ma non si era accorto dell’altra dietro di lui, che l’ha colpito. Io ho ucciso i rimanenti, ma è una fortuna che io sia ancora vivo. E ora siamo senza Guardia dei Veleni».
Rekla si ricordava di Alioth. Basso, grasso, scontroso, tre aggettivi per descriverlo. A nessuno sarebbe mancato. Ma…
«Ora chi preparerà i veleni di ci abbiamo bisogno per gli omicidi?»domandò Yeshol, con fare preoccupato.
«Nessuno Vostra Eccellenza. Alioth non aveva voluto allievi. Tutti noi assassini conosciamo solo i principi base, che no bastano».
Rekla si illuminò. Era arrivata la sua occasione.
«Posso farli io»disse, e i due si voltarono verso di lei, con fare interrogativo.
«I veleni, intendo»aggiunse.
«Tu?»chiese con fare canzonario l’assassino.
«Si, io. Ho letto tutti i libri di botanica della biblioteca, e penso di essere in grado di produrli». Si voltò verso Yeshol«Mettetemi alla prova, che non vi deluderò».
«D’accordo»concesse alla fine Yeshol.
Condusse Rekla nell’alloggio della ex Guardia dei Veleni. In un angolo c’era un letto con le lenzuola ammassate in fondo e un tavolo pieno di boccette e contenitori vari. Là dentro regnava il caos assoluto.
«Qui c’è tutto ciò che ti serve. Prova a creare un veleno ad effetto immediato e un altro ad azione lenta. Se li creerai bene, vedrò di farti diventare la nuova Guardia dei Veleni. Buon lavoro»girò sui tacchi, e lasciò Rekla al suo lavoro.
La ragazza si mise subito all’opera«Per l’immediato mischio un po’ di olio essenziale di salvia,con estratto di fiori di arnica e un pizzico di cumino. Per la lenta un po’ di belladonna… ma come faceva Alioth a capire i contenuti delle boccette in questo caos»borbottò tra sé e sé.
Dopo circa due ore si presentò alla Suprema Guardia con le due boccette.
«Ecco i veleni che mi avete chiesto».
Yeshol fece un breve segno d’assenzo.
«Bene. Li testeremo subito». Chiamò due assassini, a cui Rekla sfuggiva il nome. Il loro compito era vedere se funzionavano.
Tornarono dopo circa quattro ore. Sul volto avevano dipinta una faccia sorpresa.
«Allora?»domandò Yeshol, con fare impaziente.
Rekla incrociò le dita.
«È stato…incredibile! Alioth non sarebbe mai riuscito a produrre una cosa simile».
« Quindi funzionano?».
«Eccome, eccome se funzionano. Non abbiamo mai visto nessuna delle nostre vittime dibattersi e morire in quel modo».
Yeshol si rivolse a Rekla.
«Vedo che hai superato energicamente la prova. Vieni con me». La condusse nella ex stanza di Alioth.
Yeshol tirò fuori dalla cassapanca una divisa.
Rekla non poteva crederci. Era identica a quella che indossava, ma aveva due note di colore:una cintura argentata e i botton rosso sangue del corpetto.
«Da oggi appartiene a te». Gliela consegnò«Sapevo che questo sarebbe stato il tuo destino. Da questo momento in poi, non sarai più una normale assassina. Sarai la nuova Guardia dei veleni».



Aveva sognato. Di nuovo. Non le piacevano questi sogni, erano tutti così misteriosi e non ne capiva il loro significato. Urgeva una lunga chiacchierata con San. Era l’unico che le potesse dare delle risposte.


*lurida serpe




Angolo dell'autrice:
eccomi qui con il capitolo 7(ancora mi chiedo cosa mi passava per la testa sei anni fa? Boh ^^')
Spero vi piaccia ^^
A presto <3

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Capitolo 9
*** capitolo 8: brandelli di verità ***


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Capitolo 8 :Brandelli di verità
Lo andò a cercare subito dopo pranzo. Lo trovò che si allenava con la spada, in una stanza dell’Accademia separata dalle altre, usate di solito per gli addestramenti.
«San»chiamò la ragazza.
San si girò, stupito.«Nida, cosa ci fai qui?».
«I sogni»disse semplicemente.
San rinfoderò la spada, e si sedette su una panca.«Vieni. Siediti, e raccontami».
La ragazza fu novizia di particolari. Mano a mano che andava avanti con il racconto, gli occhi di San s’illuminarono.
Non appena la ragazza terminò,disse:«Credo di sapere di cosa si tratti. Questo sogno che mi hai raccontato, non è un sogno qualsiasi. È una visione».
«Ma che differenza c’è tra un sogno, vero e proprio, e una visione?»lo interruppe Nida.
«La visione è un contatto, mettiamolo in questi termini, che un morto cerca di instaurare con un vivo. Questa ragazza di cui mi hai parlato, è esistita veramente. È stata l’assassina più letale e pericolosa che abbia mai calcato su questa terra. Quello che hai sognato questa notte è stato il suo primo omicidio, il primo di una lunga serie».
«Questa donna, quando è morta?».
San si rabbuiò. Ma durò solo un attimo. Sorrise tristemente e tornò l’uomo di sempre, l’uomo di cui Nida si fidava.«Circa cinquant’anni fa».
«Ma allora perché la sogno? Insomma, lei è morta mezzo secolo fa. Cos’ha a che fare con me?».
«Non lo so. I contatti, che un morto vuole instaurare con un vivo, sono imperscrutabili». Fece una piccola pausa.«Vorrei averne uno io di questo tipo di contatto»aggiunse a mezza voce.
Nida lo guardò interrogativa. San sorrise amaramente.«Con mia moglie. È morta circa quindici anni fa. E forse anche con mia figlia».
Nida rimase a bocca aperta.«Hai una moglie e una figlia? Perché non me l’hai mai detto?».
«Avevo una moglie. È stata uccisa, ma non ho ancora scoperto chi è stato, ma soprattutto perché l’ha fatto. E lo stesso vale anche per mia figlia. Forse.».
«Forse? Che intendi dire con forse?».
«Non ho nessuna prova che sia morta. Mentre di mia moglie, ho ritrovato il cadavere, di mia figlia no. Tuttora, sto vivendo con la speranza che un giorno possa riabbracciarla».
San si guardò intorno.«Non dirai a nessuno di questa confessione. Promesso?».
«Promesso»disse Nida, intenerita.
Continuarono a parlare, del più e del meno.
«Parto»disse San, improvvisamente.
A Nida morì il sorriso, sulle labbra.
«Lo faccio per Amhal. Dice che questo posto gli parla di Mira, e che vuole distrarsi da tutto ciò che gli ricorda il suo maestro. Andremo a Damilar, una zona infetta».
«È pericoloso. Non puoi andartene». Il suo tono tradiva la preoccupazione che aveva.
San pensò istintivamente alla boccetta, che gli era stata consegnata, qualche mese prima, da un suo contatto, in una locanda a Nuova Enawar. Si sentì a disagio.
«È per il bene di Amhal».
La ragazza stette in silenzio, per un periodo che sembrava un’eternità.
«Quanto starete via?»chiese, infine, con un filo di voce.
«Un mese. Poi torneremo a Makrat». Si sentì male all’idea di dirle una bugia, ma non poteva rivelarle la verità. Non poteva però lo stesso, lasciarla così.«Tornerò, te lo prometto»le disse con un sorriso sincero, a cui Nida rispose, incertamente.

Adhara resistette qualche giorno appena.
«Che hai?»le chiese Amina una mattina. Lei si riscosse, come se si fosse appena svegliata, e la guardò senza capire.
«Stai bene? Sono un paio di giorni che sei…assente»disse preoccupata la principessa.
Adhara sentì di non proseguire oltre. «È andato via»disse, e le raccontò tutto. La ragazzina fece del suo meglio per consolarla, ma Adhara sapeva che non c’erano parole capaci di colmare quel vuoto che si sentiva dentro. Era di Amhal che aveva bisogno. Le aveva menzionato la Foresta del Nord. E allora decise.

Quella sera Kalth era in biblioteca. Gli piaceva molto studiare, era un modo per capire il mondo in cui viveva. Stava leggendo “Le Cronache”di Sennar, il suo preferito, quando vide Adhara fare capolino dalla porta. La salutò, con un sorriso amichevole.
Adhara rimase immobile, a tormentarsi le mani.«Come si raggiunge la Foresta del Nord?»gli chiese d’impulso, tutto d’un fiato.
Kalth la guardò dubbioso.«Perché t’interessa?».
«Sai che San è stato distaccato là?».
Il ragazzino annuì.«Sai dove di preciso?».
Kalth era sempre più perplesso.
“Cosa sto facendo?”si chiese Adhara.
«No. Mia sorella Nida sa l’ubicazione. Dovresti chiederlo a lei. Ma Adhara che hai? Perché lo vuoi sapere?».
Lei prese coraggio.«Ci devo andare».
«Non si può uscire dal palazzo. Lo sai».
«Si, ma io ci devo andare comunque». E gli raccontò tutto.
«Giurami che non lo dirai a nessuno»disse, non appena ebbe finito.
«È una follia».
«Lo so. Ma non dirlo lo stesso a nessuno».
«E Amina?».
Adhara ebbe un tremito.«Con lei me la vedo io».
«Non capirà, e sinceramente avrebbe ragione…».
«Non è per sempre. Tornerò»affermò con convinzione.«Dove posso trovare tua sorella?».
«A quest’ora, di solito è in Accademia ad allenarsi, ma da quando è partito San, ho notato che passa molto tempo sulla terrazza che dà sulla città, vicino ai giardini».
«Grazie».
«Non l’abbandonare. Ti prego non abbandonare Amina. Spiegale, e cerca di tornare».
«Lo farò»disse con convinzione, e uscì dalla biblioteca.

 Il freddo la prese alla gola. Makrat si stendeva ai loro piedi. Il nero della sua skyline era punteggiato da una miriade di luci, prodotte dalle fiaccole. A fianco, l’Accademia incombeva lugubre in quella fredda nottata. Nida era appoggiata al parapetto, avvolta in un mantello nero, che la faceva sembrare un’ombra tra le ombre. Le si avvicinò piano, titubante, il vento gelido, che le scompigliava i capelli.
«Tutto bene?». Nida l’aveva intravista, mentre guardava il profilo della città. Si limitò ad annuire.
«Sai dove hanno distaccato Amhal e San?»le chiese a bruciapelo.
«In un accampamento alle pendici dei Monti di Rondal, si chiama Damilar».
«Come posso arrivarci?».
Nida la guardò senza capire.«Son quattro giorni di cammino, fermandosi solo la notte»iniziò. E continuò a darle tutte le informazioni necessarie.«Perché lo vuoi sapere?»aggiunse.
«Ci devo andare».
«Non si può uscire, lo sai. Vige il coprifuoco».
«Ma io ci devo andare». E le raccontò tutto, come aveva fatto con Kalth.
«Ti capisco»disse Nida, non appena Adhara smise di parlare.
Adhara la guardò, stupita.«Mancano anche a me. Soprattutto San. Da quando è partito, non so più a chi confidare i sogni che faccio».
«Quali sogni?».
«Quelli sulla Gilda» rispose stancamente. Notando la sua aria smarrita, aggiunse:«Era una setta sanguinaria, che praticava il culto di Thenaar».
«Ne vuoi parlare?».
Nida la guardò. Di San si era fidata istintivamente. Con lei, invece, era titubante. Aveva un che d’inquietante.
«Non capiresti. È legato al sogno che ho fatto qualche giorno fa».
«Ci proverò».
Iniziò a raccontare.
                                                                               ***
Non c’era stata tregua per Rekla, dopo essere diventata Guardia dei Veleni. Dato che la maggior parte degli omicidi avevano bisogno dei veleni, non c’era giorno in cui non ci fosse qualcuno a chiederglieli. Fu così che quando venne convocata da Yeshol nel suo studio, lo prese per un miracolo. Meglio, molto meglio la missione. Si fermò sull’uscio, sorpresa. Non poteva crederci. Era passato un anno dall’ultima volta che l’aveva visto.
«Dohor». Gli si avvicinò.«Ma cosa ci fai qui?».
Il giovane re rise di cuore.«Che accoglienza ». si fece serio.«Sono venuto qui per affidarti una missione ».
Rekla alzò gli occhi al cielo.«Ma non riesci a combinare niente senza di me».
Dohor le sorrise.«Sembra proprio di si».
« Chi dovrò uccidere questa volta?».
«Non sarà facile. Dovrai assassinare Ido».
Ido. Il traditore. Se lo ricordava bene. Il fratello di Dola. Le sarebbe piaciuto conoscere Dola, ma era morto pochi mesi prima del suo arrivo alla Rocca. Di Ido sapeva ciò che le avevano detto suo nonno e Yeshol. Sapeva anche che era stato il maestro d’armi di Nihal, la vera responsabile della morte di suo nonno. Sentì la rabbia montare, senza che potesse fare nulla.
“L’ho giurato a me stessa un anno fa. Ora che mi si presenta un occasione del genere, non me la lascerò sfuggire” pensò.
«Quando si parte?».
«Ansiosa di uccidere, una vera assassina. Ci vediamo domani nello stesso luogo dell’altra volta».

Si presentò in anticipo nei giardini reali. Si era portata tutte le sue armi, coltelli da lancio, da una parte con la punta avvelenata, dall’altra no,la cerbottana con il sacchettino con gli aghetti avvelenati. E poi ancora il laccio strangolatore, un pugnale e la spada. La sua spada. Aveva una lama tagliente come un rasoio, scura nella parte inferiore e dorata sulla superiore che mostrava riflessi iridescenti. L’elsa aveva una semplice forma cilindrica ramata, rastremata verso il basso, e terminava con una protuberanza che ricordava una foglia. “La mia spada” pensò Nida, che, come sempre, assisteva come uno spettatore ai fatti. Lì regnava una grande varietà di fiori. C’era anche il suo fiore preferito:la rosa blu.
«Ti piacciono?». Dohor apparve improvvisamente, beccando Rekla che accarezzava assolta i petali vellutati delle rose. Rekla ritrasse istintivamente la mano.«Si»rispose, con un leggero rossore che si faceva strada sulle sue guancie. Cambiò improvvisamente argomento.«Allora, partiamo?».
Dohor si permise una risata.«D’accordo, d’accordo».

Arrivarono nell’accampamento nei pressi di Lar, nella Terra del Fuoco, dopo cinque giorni di viaggio. Durante il viaggio, discussero.
«La situazione è tragica»iniziò Dohor.«Dopo la morte di Aires, Ido dopo che l’ho scacciato dall’Ordine dell’Accademia, è riuscito a creare un esercito. E ora sono mesi che ci attacca senza sosta, e, inoltre, è appoggiato dalla popolazione locale. Non so più che fare».
Rekla scosse la testa, divertita.
Il re la guardò dubbioso.«Che c’è?».
«Niente. Mi diverte il fatto che finisci sempre nei guai».
«Ma ci sei tu a toglier mici». Dohor le sorrise con affetto. Ora iniziava a guardarla con occhi diversi, e tutte le volte che le era accanto, sentiva le farfalle nello stomaco. Le era mancata in quell’anno che non l’aveva vista.
«Ti accompagno nella tenda che ti ho fatto preparare». Era abbastanza ampia, con un letto, a vederlo comodo, e un tavolo al lato opposto.
«Posa pure la tua roba. Poi, se vuoi, puoi fare un giro per l’accampamento, così, per ambientarti».
«Va bene».
Dohor arrossì, senza motivo.«Va bene…ora vado a …ecco…a pensare alla strategia per le battaglie»balbettò, e se ne andò.
Rekla fece un piccolo giretto per l’accampamento. Si fermò incuriosita a vedere i soldati, che per un po’sarebbero stati i suoi compagni, rilassarsi, o almeno tentavano. Rekla leggeva chiaramente la tensione nei loro occhi. Poi tornò nella sua tenda, e si dedicò alla pulizia della sua spada. Gliel’aveva fatta forgiare suo nonno, per il suo tredicesimo compleanno, e da allora, le aveva dedicato una cura maniacale. Continuò finché, stanca morta, si buttò a letto, vestita, e si addormentò all’istante.


Si svegliò di soprassalto. Sentì il ruggito di un drago, seguito poi da urla di gente terrorizzata. Brandì prontamente la spada e scostò la tenda. Ciò che vide la raggelò nel profondo. Metà dell’accampamento era in fiamme, persone che correvano da una parte all’altra, chi per combattere, e chi era stato colto dal panico che cercava una via di fuga. E poi Lui, seduto sul suo drago rosso. L’avrebbe riconosciuto ovunque. Ido. Il traditore. Rekla sentì montare la rabbia. 
“No, non ancora. Presto avrò tutto il sangue che voglio”.
Si gettò rapida sui nemici, la spada in mano, il pugnale nell’altra. Neppure si fermò a guardarli. Sapeva dove doveva andare. Tra i corpi abbattuti, pioggia e fango, corse fino alla tenda di Dohor. Non c’era. Rekla s’illuminò. Dagon, il drago di Dohor. Poteva usarlo per combattere contro Ido. Lo raggiunse che scalpitava, ansioso di combattere. Era un drago di terrificante bellezza. Era nero come la notte, con ali possenti, e occhi rossi come tizzoni di brace. Il drago la riconobbe subito, e si abbassò, per permetterle di salire sulla sua groppa.
S’alzarono in volo. Era sopra di lei, illuminato dai lampi di quella notte tempestosa.
Fece rallentare Dagon e invertì la direzione. Ora il nemico era dritto davanti a lei. Si guardarono per un breve momento. Era nella solita tenuta da guerra:una corazza di cuoio, la sua spada con grattato via il giuramento al Tiranno, un semplice mantello con il cappuccio mezzo calato sul volto, ma non abbastanza da coprire il candore spettrale della cicatrice che gli attraversava una buona metà della parte sinistra del volto. A Rekla sembrò che Ido ridesse. Un grido furibondo le salì alla gola. Si avventò su di lui ma Vesa, il drago di Ido le vomitò addosso una vampata rosso sangue. Dagon schivò la fiamma con una brusca virata e Rekla partì all’attacco. Ancora una volta il guerriero eluse il fendente. I suoi colpi andavano a vuoto uno dopo l’altro, mentre quelli vibrati dal suo avversario erano vigorosi e rischiavano di disarcionarla ogni volta. Quell’uomo era dotato di una forza tale che Rekla dovette afferrare la spada a due mani per poterla contrastare. Rekla iniziava a essere stanca ed era sempre più furiosa. Perché non riusciva a colpirlo? Lo gnomo non si scomponeva, ribatteva a ogni fendente con una mano sola. Rekla sguainò il pugnale  a sorpresa mosse il braccio in un affondo. Ido lo schivò arretrando di poco. 
«Fai sul serio»le disse Ido, minaccioso.
«Anche a costo di morire».lo colpì a un fianco, e, quando vide il sangue del suo nemico uscire copiosamente, si permise una risatina di scherno.«Non ci avresti mai creduto se qualcuno ti avesse detto che saresti morto per mano della nipote di Aster». 
Ido la guardò, stupito.«Non è possibile»mormorò.
 «Si Ido,è possibile. Rekla della Terra del Mare. Ricordati il mio nome, perché sarò io a ridurti a brandelli». Lo colpì.  Quando la sua lama riuscì a scalfire la corazza, Rekla urlò di gioia, ma il grido le morì sulle labbra quando sentì un dolore lancinante al fianco. Non si accorse neppure di cadere all’indietro e scivolò nel buio più assoluto.

Non riusciva a muovere nessun muscolo. Non capiva dov’era né cosa stesse accadendo. Sentiva indistintamente una specie di litania. Un senso di calore al fianco. Poi vide solo luce. Nient’altro.

 «Come sarebbe a dire che è tutto inutile?». 
Il mago si sfregava nervosamente le mani. Aveva paura. “E fa bene”pensò Dohor.
«Mio signore, ha una ferita molto profonda. Anche usando gli incantesimi di guarigione più potenti, c’è poca possibilità che si riprenda». 
Dohor prese per il bavero il mago .«Allora tenta l’impossibile. Se lei non si salverà, la seguirai nell’oltretomba». Assaporò l’effetto delle sue parole.
 Il mago deglutì.«Farò tutto ciò che è di mio potere». Dohor lo lasciò andare, e il mago, con un inchino, si congedò. Dohor si sfregò la faccia. In mente un unico pensiero. “Ti prego salvati”.

Era l’alba quando Rekla si risvegliò. Una luce fioca filtrava dalla finestra vicino al suo giaciglio. Non riusciva a ricordare quasi nulla. Cercò di voltare la testa. Vide qualcuno seduto al suo fianco. Si sforzò di guardare meglio per distinguerne il volto, perché aveva la vista annebbiata. Infine lo riconobbe.
«Rekla, sei sveglia».
Dohor era pallido,e aveva due profonde occhiaie. Avrebbe voluto fargli delle domande, ma dalla gola non le usciva nessun suono.
«Shhh. Sei nella mia tenda, non c’è nulla da temere. Cerca di riposare, parleremo quando starai meglio». Allora Rekla chiuse gli occhi, e scivolò in un sonno senza sogni che durò tutto il giorno e la notte. Quando la mattina dopo aprì gli occhi, il sole era già alto. Rekla ne guardò la luce, e le sembrò stranamente pallida. Poi capì. Nell’aria c’era l’odore acre, e il cielo era completamente offuscato da nubi di fumo denso, dovuto all’incendio provocato da Vesa. Dohor era ancora accanto a lei.
«Come va?».
«Non lo so»rispose Rekla, e si meravigliò di quanto fosse flebile la sua voce.
«La ferita era molto grave. Avevi un fianco squarciato. È un miracolo che tu sia ancora viva». Le raccontò tutto. Rekla rimase ad ascoltare in silenzio.
Quando Dohor ebbe finito, chiese:«Quanto tempo sono rimasta incosciente?».
«Tre giorni Rekla. Tre giorni senza dare segni di ripresa». Dohor fece una pausa, e la guardò negli occhi.«Ho avuto davvero paura che tu morissi. E poi, Yeshol non me l’avrebbe mai perdonato. Ma la cosa importante è che tu sia viva».
Rekla trascorse i quattro giorni seguenti in compagnia delle cure amorevoli di Dohor. In tutta la sua vita non era mai stata così coccolata. Trovava dolce il modo in cui Dohor le faceva compagnia. Una volta le aveva portato una rosa blu, e si era sentita sciogliere il cuore.
«Tra qualche giorno potrai tornare alla Casa»le disse una sera Dohor.
«Perché? Non mi vuoi qui?».
 Dohor fu tentato di dirle si, ma gettandole un’occhiata, vedendola ferita per mano di quel bastardo, si trattenne.«Non voglio che tu rischi di morire per mano di Ido».
 «Eravamo molto vicini quando mi ha colpito. Ha avuto tutto il temo di prendere la mira, non poteva sbagliare il colpo»disse la ragazza.«Sai cosa significa?»insistette, ma lui si ostinò a tacere. «Dohor, rispondimi: mi ha risparmiata?».
«Non ha importanza».
«Per me ne ha, invece. Ha ferito Dagon e si è fatto beffe di me, così come ha fatto con mio nonno». Rekla alzò la voce.«Mi ha lasciata in vita per questo. Per dirmi che per lui non significo niente, che non sono neppure un pericolo!». 
Una fitta al fianco la costrinse a tacere.
«Si, ti ha risparmiata!»sbottò Dohor.«E allora? Ringrazia il cielo di essere ancora viva».
«Ma…». Per Dohor la discussione terminava lì. Lasciò la tenda. Andò in quella che era diventata sua dopo che la precedente l’aveva lasciata a Rekla. Si gettò sulla branda, fissò il soffitto. Era giusto mandarla indietro?

La ferita le faceva ancora male, ma constatò di poter sostenere un breve viaggio a dorso di un drago. Sgattaiolò dalla tenda a notte fonda, avvolta nel mantello, con tutte le armi lucidate e pronte all’uso. Andò da Dagon, che a quell’ora dormiva. Al solo contatto il drago si svegliò.
«Te la senti di venire con me in missione?». Il drago abbassò la testa, per farla salire.«Come farei senza di te»disse Rekla, con un sorriso.
Si alzarono in volo, e si diressero a settentrione, verso l’accampamento nemico. Rekla fece atterrare Dagon in un boschetto poco distante.«Resta qui. Torno subito»disse, e s’innoltrò nella vegetazione.
Si fermò in prossimità del bosco. Nell’accampamento c’erano delle luci accese, e riecheggiavano urla e risa sguaiate. Rekla attese che tutte le luci si spegnessero, e che nell’accampamento regnasse il silenzio. Poi agì. Mormorò:« Geh schlafen!»ad ogni tenda che incontrava e, sperò, che l’incantesimo durasse per tutta la durata della sua missione.
Uno scricchiolio attirò la sua attenzione. Si volse verso l’origine del rumore, e rimase di sasso. Davanti a lei c’era Ido con la spada in pugno, il cappuccio mezzo calato sul volto. Si riconobbero a vicenda. Rekla vide balenare nell’occhio sano odio puro. Rekla ricambiò l’occhiataccia.«Sono qui per te Ido»disse, mentre la rabbia le esplodeva in petto.«Sono venuta a prendere la tua testa»aggiunse minacciosa.
Il guerriero restò fermo per un istante.«Sei resistente ragazzina. E stupida»ribatté, con voce sprezzante.
«Questo lo vedremo,bastard»mormorò Rekla. Sguainò la spada, e quel semplice gesto scacciò il desiderio di morte. L’esultanza del suo cuore, il desiderio di vendetta, tutto. In lei rimase solo la gelida e spietata determinazione dell’assassino. Ido roteò in aria per un istante la spada. Rekla pensò che stesse saggiando la presa, e, invece, all’improvviso, si vide arrivare dall’alto un fendente. Lo schivò, ma perse l’equilibrio e cadde.«Bé, tutto qui?»la schernì lo gnomo, e tornò alla carica. Rekla si rimise in piedi con un salto, e iniziò a combattere con foga. Ido non si scompose. Il suo modo di battersi era stupefacente: stava quasi fermo, e schivava raramente con lievi spostamenti laterali, muovendo solo la mano che stringeva l’elsa. La sua arte era tutta lì: tirava con precisione, giocando con la lama avversaria, stuzzicandola, colpendola. Poi al momento giusto partiva l’affondo inaspettato. Rekla provò con un affondo a sorpresa. Per quanto frettolosa, la parata dello gnomo fu efficace, ma la ragazza non si scompose. Sguainò il pugnale, e colpì di taglio il fianco di quel maledetto gnomo con tutta la forza che aveva. La lama riuscì a penetrare la dura corazza, e infine raggiunse la carne. Ido reagì con un fendente laterale, ma Rekla fu agile a sottrarsi. Guadagnò la distanza di sicurezza.
«È avvelenata»sogghignò la ragazza, feroce.
«Davvero?»replicò lui con sarcasmo, pensando si trattasse di uno scherzo.
Rekla abbassò la guardia, e questo le costò caro. Ido preparò un affondo a cui lei si scansò per un pelo. Ma fu subito pronta a contrattaccare. Si lanciò contro di lui, ma i suoi colpi erano meno precisi, aveva la vista annebbiata e il dolore le toglieva il fiato. Duellarono ancora al lungo, mentre il suono stridulo delle lame che s’incrociavano, riecheggiava nel silenzio dell’alba. Anche Ido sembrava accusare la stanchezza. Prese ad arretrare. Sbagliò una parata, poi un’altra ancora. 
“Colpiscilo ora! Colpiscilo!”. 
Lo gnomo non ebbe il tempo di vedere il fendente in arrivo. La lama lo centrò al ventre. Fu allora che Rekla sentì un “No” colmo di disperazione. A urlare era stato un ragazzino sui diciassette anni, che le si avventò contro armato di spada. Era bravo a sgattaiolare fuori dalla portata dei suoi affondi, ma non abbastanza. Rekla finse un affondo all’alto. Come aveva previsto il ragazzino si preparò a contrattaccare, ma all’ultimo momento fu veloce a deviare il colpo, e lo colpì alla gola. Il ragazzo cadde a terra, senza un lamento. Trovò ancora Ido disteso a terra, in una pozza di sangue, che la fissava con occhio di fuoco. Rekla alzò la spada e la conficcò nella spalla dello gnomo, inchiodandolo al suolo. Il suo grido le sembrò un canto melodioso. Solo allora si tolse il cappuccio. Ido accennò un sorriso beffardo.«Dunque avevo visto bene. Ci rincontriamo». Rekla fu accecata dalla rabbia.«È finita. Guardami bene in faccia, perché sarò io a toglierti la vita». Gli svelse la spada dalla spalla, e gliela puntò alla gola. Ce l’aveva fatta. Stava per vendicare suo nonno. Ma…
 «Ferma dove sei»l’intimò una voce.
Rekla si girò di scatto, stupita. A parlare era stato Mevern, uno dei Cavalieri Drago dell’accampamento, che la teneva di mira con la spada. Piano, piano si avvicinarono altri soldati armati chi di spada, chi di lancia, che si chiusero a cerchio intorno a lei. Rekla provò a sguainare un coltello da lancio, ma il comandante capì le sue intenzioni.
«Se ci provi t’ammazzo subito».
Rekla sentì montare il panico. Era già giunta la fine? Gli dei erano dalla sua parte perché, all’improvviso sbuccarono gli uomini di Dohor, che si lanciarono sui nemici. C’era anche il giovane re, che non degnò di uno sguardo i corpi dei soldati. Volò verso la ragazza, e la strinse forte al petto.
«È tutto a posto, è tutto a posto. È finita». Rekla si sciolse a quell’abbraccio.
Solo allora Vesa piombò giù dal cielo, artigliò i nemici mentre il suo padrone gli saliva in groppa. Rekla lo guardò allontanarsi. Si sarebbero rivisti, e per quell’occasione l’avrebbe finalmente ucciso. 

L’accampamento venne conquistato rapidamente, e senza troppe perdite. Rekla, però, non riuscì a evitare una solenne lavata di capo.
«Avete ragione, ho sbagliato. Però ora abbiamo inferto un duro colpo a Ido, se non sbaglio». “Che se l’è svignata” aggiunse mentalmente. Quella bravata valse a Rekla un salto in avanti nella stima di Dohor che, poco a poco, iniziò a considerarla un elemento indispensabile per la buona riuscita delle missioni. Con Ido sconfitto, nel giro di pochi mesi, la Terra del Fuoco cadde sotto il dominio totale di Dohor. Il successo fu festeggiato con esultanza a Makrat. Rekla decise di indossare il suo vestito rosso, usato durante la sua prima missione. Si sentiva spaesata tra tutti quei nobili boriosi e pieni di arie. Il suo posto non era lì, ma nella Casa, dove tutti venivano trattati alla pari. 
Rekla prese in disparte Dohor.«Ti devo parlare». Il re la condusse nei giardini reali. Si fermarono in prossimità del parapetto. Da lì si aveva una visione mozzafiato.
«Cosa dovevi dirmi?».
Rekla l’abbracciò.«Ti devo ringraziare, per avermi salvato la vita».
Dohor la strinse a sé. La mano di lui risalì lentamente lungo il profilo della sua schiena, e si fermò all’altezza del collo. Poi si staccò, le prese il volto fra le mani, piano, come se fosse una cosa delicata, e avvicinò le labbra alle sue. Il tempo rallentò fin quasi a fermarsi. Non ci fu spazio per pensare, ma solo per sentire:la morbidezza delle sue labbra, il ritmo appena affannato del suo respiro. E quel calore in fondo al petto e nella pancia, terribile e meraviglioso, come cadere in un abisso al rallentatore. Ogni cosa scomparve all’orrizzonte della sensazione dolce che gli inondava il cuore, e ogni cosa perse consistenza. Si staccò appena.«Ti amo»le mormorò. Poi le loro labbra si toccarono di nuovo, e Rekla si godette ogni secondo, con la mente pacificata. Si abbandonò a quella sensazione tenera e avvolgente, desiderando che non finisse mai. Poi, però, tornò in sé, e si staccò con violenza.
«Non possiamo»disse semplicemente.
Dohor la guardò senza capire.«Perché?».
«Tra noi due non può nascere nulla, e questo tu lo sai». Gli indicò le finestre della Camera Reale. «Là c’è la tua vita, tua moglie…».
«Non sono d’accordo»la interruppe Dohor. C’era una tale decisione nelle sue parole, che per un attimo Rekla si lasciò andare alla tenerezza di quel pensiero. Ma fu un istante solo.
«È stata una pazzia»sibilò infine.
Dohor le prese il mento fra le dita, e la costrinse a guardarlo negli occhi.
«Perché?»le richiese.
Rekla non gli rispose, corse via. Via dai dolci baci e abbracci di Dohor. Ma soprattutto via dalla serenità che al lungo aveva cercato.

Rimase confinata nel suo laboratorio per una settimana dopo il bacio. L’unico tragitto che faceva era quello verso la mensa, dove teneva la testa china sul piatto. Rekla non lo voleva vedere e, sapeva, che sarebbe venuto a cercarla. E lei non aveva voglia di vederlo. Al sesto giorno del suo isolamento, qualcuno bussò alla porta. Era Yeshol.
«Posso entrare?».
Rekla non rispose, e si limitò ad aprirgli la porta, che aveva chiuso a chiave.
L’uomo le posò una mano sulla spalla.«Io lo so che ti succede»disse a bruciapelo.
Rekla si sciolse dalla presa, e si voltò verso la parete.
«Ti manca?».
La ragazza si limitò ad annuire.«Da quando non lo vedo, è come se si fosse aperta una voragine, qui, nel cuore». Si portò una mano al petto, dove il suo cuore non ne voleva sapere di calmarsi. «Quando ero con lui mi sentivo protetta. I miei dubbi, le mie incertezze erano sparite all’orizzonte. Non mi ero mai sentita così pacificata».
«Sai Rekla, anche lui prova sentimenti simili, e, ora, senza di te sta soffrendo molto». Si avviò verso la porta.«Fossi in te, andrei da lui»disse prima di chiudersi dietro l’uscio. Rekla rimase seduta sul letto ancora un istante. Poi decise.

Lo trovò seduto su una panchina, nei giardini reali, intento a strappare petali a una margherita. Rekla si avvicinò silenziosamente, facendo attenzione a non provocare il minimo rumore. Le piaceva contemplare la persona che, solo ora, aveva capito di amare. Dovette mettergli una mano sulla spalla perché si accorgesse della sua presenza. Il ragazzo ebbe un lieve sussulto. Si volse verso di lei, e si aprì in un sorriso dolce.
«Devo parlarti». Dohor le fece segno di sedersi.
Rekla sentì il suo cuore battere a mille. Si avvicinò a Dohor, e lo baciò. Come la prima volta il tempo parve fermarsi. Poi si staccò, e lo strinse forte.«Non lasciarmi mai. Io senza di te non esisto». Dohor la strinse tra le braccia.«Non accadrà, mio piccolo Demone Nero». Rekla lo guardò senza capire.«Sarà il tuo appellativo con cui i nemici ti conosceranno».«» «» «» «» «»
                                                                             ***
 «E poi mi sono svegliata». Nida terminò il suo racconto. Adhara rimase pensosa, non sapeva come consolarla. 
«Non so come spiegartelo, ma sembra che questi sogni abbiano un significato. Però non riesco a capire. E comunque, tornando al discorso di prima, è una follia! Il mondo là fuori è piombato nel caos, è sull’orlo dell’abisso. Rischi di non tornare più. È questo quello che vuoi?».
«Tornerò. te lo prometto».
Nida le lanciò un′occhiata indecifrabile.«Voglio crederti».
La mattina dopo, Nida and; da sua sorella. Sapeva che Adhara aveva lasciato il palazzo quella notte, e, sicuramente, Amina se n′era gi' accorta. la trovò seduta sulla sponda del suo letto, con le lacrime che scendevano copiose sulla pergamena, che Adhara le aveva lasciato, spiegandole le ragioni della sua fuga. Amina si voltò verso di lei. Si alzò, e le corse incontro, affondando il viso nel suo petto. Nida la strinse a sé, accarezzandole i capelli, e cercando di consolarla.
«Andrà tutto bene. Ci sono io, e ti prometto che non  ti lascerò sola».
Amina tirò su con il naso.«Davvero? Me lo prometti?».
 Nida annuì. rimasero abbracciate finché non arrivò una serva visibilmente sconvolta.«Vostre Maestà è successa una cosa terribile. Il re sta male».

Al terzo giorno fu chiaro. Era il morbo. Learco rantolava nel letto, non per un malanno passeggero o un attacco di febbre rossa. Il suo corpo piano, piano, si coprì di macchie nere. E, intanto tre servi diedero segni di malattia. Fu il caos. Un'intera ala del palazzo venne chiusa, e gli appartamenti reali spostati in un'area isolata. La Regina Dubhe si murò dentro con il marito.
Nida, nella penombra della sua stanza ascoltava le ultime notizie.
«Sua Maestà ha perso conoscenza stamattina. Da allora sembra non essersi più ripreso. Il Supremo Officiante sta spendendo tutta se stessa, ma le cure non sembrano sortire alcun effetto».
"Se solo mi ricordassi della cura". Eh, si. Il giorno dopo che aveva preparato l'antidoto non ricordava più gli ingredienti che aveva usato. Un mistero. Un vero mistero.
«Mia nonna?»chiese, con tono preoccupato.
«Per ora sta bene».
Nida trattenne le lacrime.«Puoi andare»disse, con un filo di voce.
Pensò a suo nonno, e a tutto ciò che avevano fatto insieme. Ricordò quando era caduta dall'altalena all'età di cinque anni, e lui l'aveva presa in braccio per consolarla. Oppure quando non riusciva a dormire perché aveva paura del buio, e lui le raccontava delle storielle buffe per farla addormentare. C'era stato, e l'aveva sostenuta, anche quando voleva entrare in Accademia. Ma soprattutto quando aveva scoperto di avere dalla sua la magia.

Aveva dodici anni. Era stato all'ennesima provocazione del Maestro Oromis.«Principessa Nidafjoll».
Nida era scattata in piedi. Davanti a lei, il maestro la guardava rosso di rabbia. Si era persa per l'ennesima volta, a contemplare fuori dalla finestra l'orrizzonte, fantasticando e sognando di volare via.
 «La smettete di distrarvi? Dovete starmi a sentire se vorrete diventare regina».
Oromis batté sul tavolo la mano aperta, facendo sobbalzare il libro. Nida lo guardò, infastidita.
«Avanti. Ripetetemi quanto stavo dicendo».
Nida gli rivolse uno sguardo di sfida.«Non lo so».
«E ve ne vantate?».
«L'avete detto anche voi che ero distratta, perché mi chiedete cose che non posso dirvi?».
Le labbra di Oromis si fecero sottili, gli occhi grandi di rabbia.
«Una futura regina deve avere dietro di sé anni di studi. Deve avere una mente acuta e aperta. Non sarà facile per te…».
Non poté sopportare altro.«Basta!»urlò Nida picchiando con un pugno il tavolo, che prese fuoco. Inorridita, gettò uno sguardo fugace alla sua mano. La trovò infuocata. Ma il fuoco non la bruciava, anzi, lasciava un piacevole torpore. Oromis la guardava impietrito, in preda al panico. Solo dopo un minuto buono si decise a dare l'allarme. Del tavolo non era rimasto altro che ceneri, e le fiamme avevano minacciato la libreria, che sarebbe andata perduta se non fosse intervenuta il Supremo Officiante, in visita a palazzo.
«Ausschalten»aveva mormorato, e le fiame si spensero.
Poi si era rivolta all'uomo, appoggiato alla parete, bianco come un cencio.«Cos'è successo?».
«Ha dato fuoco a tutto! Per poco non mi ammazzava. è un pericolo, un mostro!»sbraitò.
"Un mostro". Queste parole riecheggiarono nella mente di Nida, ancora scioccata. Guardò Oromis. La guardava con un misto di terrore, sospetto e odio.
Si guardò le mani, inorridita.
«Nida…»provò a dire la sacerdotessa. Non poté tollerare altro. Uscì velocemente dalla stanza, e corse fino alla scuderia dei draghi, da Ratatoskr. Gli salì in groppa, come faceva sempre quando era giù di morale o arrabbiata. La viverna, per tutelare l'isolamento del suo cavaliere proibì a chiunque, con ruggiti assordanti e piccole fiammate, di avvicinarsi finché non si fu calmata.
Il primo e unico che ebbe il coraggio di avvicinarsi fu Learco.
«Tutto bene?».
Nida lo guardò.«Io non volevo. Maestro Oromis mi ha fatto arrabbiare, ed è successo tutto all'improvviso».
«Non devi avere paura. La magia è bene. Può essere usata per far del bene agli altri».
«Sul serio?»Chiese la ragazzina, asciugandosi una lacrima col dorso della mano.
Learco annuì. Insieme andarono da Dubhe, per far in modo che approvasse un addestramento alla magia. Ma la regina fu irremovibile .
«No, no, e poi no. La magia è male, è distruzione».
«Non tutti i maghi sono malvagi. Pensa a Sennar».
«Ah si? Visto che siamo in vena di esempi, che mi dici del Tiranno?». 
La discussione era andata avanti per ore, finché Learco non cedette. Nida, fuori dalla porta, aveva sentito tutto. Forse Maestro Oromis aveva ragione. Era un mostro.
Ci fu un altro incidente. Stavolta ad andare a fuoco fu una delle pesanti tende rosse nella sala del trono. C'erano voluti molti servi, armati di secchi con acqua per domare l'incendio.
Fu allora che Nida decise.
Si era diretta al tempio di Thenaar, sede del Supremo Officiante. Theana l'aveva accolta con affetto. Sentiva in lei una strana aurea, così simile al suo dio, oppure non era altro che la simpatia che le suscitava, essendo la nipote di Dubhe.
«Dimmi Nida, a cosa devo la tua visita?».
Nida le raccontò tutto nei minimi particolari.
«Vorrei che mi insegnaste a controllare questi poteri»terminò.
Theana si accarezzò il mento, con fare pensoso.«Dubhe non sarà d'accordo. Ma se non faccio qualcosa, non so cosa potrebbe rimanere del palazzo. per cui…»lasciò la frase in sospeso. L'anziana maga scrutò il viso impaziente della ragazza.«…ti insegnerò la magia. non preoccuparti per tua nonna, so come prenderla». Nida si aprì in un sorriso così grande, che mancava poco che uscisse. «Si inizia da domani. Un giorno si, uno no».
«Ci sarò». 

I suoi pensieri furono interrotti da una serva. S'inchinò.«Il principe , vostro padre, ha dato ordine di prepararvi per Nuova Enawar».
«Ma…i miei nonni? Loro che fine faranno? Non possiamo lasciarli qui!».
La serva la guardò ancorata.«Mi spiace mia Signora». Se ne andò, chiudendo la porta.
Nida rimase al centro della stanza, piangendo tutte le sue lacrime. Non avrebbe rivisto più suo nonno. Fu tentata di andare nella sua stanza, ma si trattenne. Non poteva. Lei doveva rimanere sana. Per Amina. Preparò il suo bagaglio. Poi aprì l'armadio, dove aveva nascosto il Libro Nero. L'aveva letto tutto. L'aveva sconvolta una previsione, che Yeshol aveva scoperto. "L'ultimo scontro è imminente. Una Sheireen una discendente nera, condannerà o salverà il mondo". Lo lasciò lì, ben nascosto da occhi indiscreti.
L'ultimo pensiero andò a Gedd. Se ne era già andato.
«Ora sto meglio, posso tornare dalla mia gente»le aveva detto.
Nida abbassò lo sguardo.«Quindi è un addio?». Non avrebbe potuto reggerlo. Si era abituata alla sua presenza, non voleva che partisse.
Gedd, notando il rammarico nella sua voce, non se la sentì di lasciarla.«Non è un addio. Sono sicuro che ci rivedremo».
«Lo prometti?».
«Si lo prometto».
Si chiuse dietro di sé una vita, che le sembrava lontana anni luce.

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Capitolo 10
*** capitolo 9:Rapimento ***


Capitolo 9
Rapimento
Passò tutto il viaggio, in groppa a Ratatoskr; da Makrat a Nuova Enawar sognando…
                                                                             ***
Dopo anni e anni di esperimenti e fallimenti ci era riuscita. Aveva creato il filtro della giovinezza. E quello per risuscitare i morti. Rekla sorrise al ricordo delle facce sbigottite di Yeshol e Dohor, che non volevano crederci.«Così sarò, fino alla morte, letale come vi servo»gli aveva detto. Si sentiva piena di vita. Ricordava anche i volti degli assassini, che aveva incontrato nei corridoi. Stupore.
La conquista del Mondo Emerso continuava inesorabilmente. Dohor era in possesso di quasi metà continente, e le guerre contro le terre libere continuavano sempre più violente. Rekla era sempre lì in prima fila a mietere vittime, e a condurre alla vittoria l'esercito di Dohor. Si fermò alla nascita del secondo figlio di Dohor. L'avevano chiamato Learco come il primo figlio morto qualche anno prima di febbre rossa. Learco fu presentato al popolo. Suo padre l'aveva sollevato sulla folla, che aveva levato al cielo un grido d'esultanza. Rekla pensò quanto fosse stupida Sulana a rifiutare un bambino così adorabile. Ma sapeva la verità. Sulana odiava Dohor, e considerava il piccolo Learco solo figlio di suo padre. Per questo accettò senza pensarci la possibilità di crescere il principino come il figlio che tanto avrebbe voluto avere. Per Rekla fu come rinascere. Certo era vicino alla sua fine, ma se Dohor le aveva ridato la vita, Learco ne era diventata la ragione. Così, ogni giorno andava da lui a coccolarlo, e quando diventò più grande a usare la spada e il pugnale.
Non andava da lui solo quando la missione lo esigeva. Una delle ultime fu seguire nel suo primo omicidio un ragazzo di circa quindici anni di nome Sarnek. Non poteva immaginare che quel ragazzo avrebbe sconvolto la sua vita per sempre. Lo incrociò qualche anno dopo di notte, che si muoveva furtivo seguito da una sacerdotessa. Quando Sarnek la vide sbarrò gli occhi, terrorizzato. Le raccontò tutto. Tara, la sacerdotessa, non poteva più avere figli, e che di lì a poco l'avrebbero uccisa.
«So che sono solo un comune assassino, e che per voi non valgo niente, ma vi prego lasciateci andare»la implorò il ragazzo, con uno sguardo di supplica. Rekla gli lesse negli occhi tutta la sua determinazione di cui era capace. Lo capiva. Se fosse stata nella sua situazione avrebbe fatto la stessa cosa con Dohor.
«Se riesci a evitare i due assassini di guardia puoi uscire dalla porta principale. Dirigetevi verso la Terra dell''Acqua o del Mare, che sono ancora libere. Appena uscirete di qui cambiate i vostri nomi, e costruitevi una nuova vita».
Sarnek la guardò commosso.«Grazie. Se mai ci prendessero, non rileveremo il vostro coinvolgimento in tutto questo».
Rekla gli rispose, con un cenno di capo, e li vide allontanarsi nel corridoio buio, verso la libertà.
 
Fu svegliata da un fracasso tremendo, fuori dalla porta. Si stiracchiò, si vestì velocemente e aprì la porta.
Fermò Fenula, la Guardia degli Incantesimi, una ragazza sulla ventina con capelli marroni ricci e occhi azzurri  e spietati.«Cos'è successo?».
«Stanotte uno dei nostri e una sacerdotessa hanno tentato la fuga. Sarnek, l'assassino, è riuscito a fuggire. Mentre Tara, la sacerdotessa, è stata recuperata e portata nella Sala delle Piscine, dove verrà giustiziata. Stavo venendo da voi. Sua Eccellenza vuole voi a compiere il rito».
Rekla rimase raggelata. "No".
Venne condotta nella Sala. Tara era con mani e piedi legati da una robusta corda, con i piedi immersi fino alle caviglie nella piscina stracolma di sangue dei Postulanti. Yeshol l'accolse. Poi si rivolse agli altri assassini, che si erano riuniti sulle gradinate attorno.«Questa donna ha provato a fuggire sotto gli occhi di Thenaar. Che punizione merita?».
«La morte!»si levò al cielo l'esultanza degli assassini.
Yeshol annuì, soddisfatto.«Ti benedica Thenaar che ti ha scelto per questo grande compito, e quindi la tua mano nel sacrificio»disse, porgendo a Rekla il pugnale rituale, il pugnale che aveva spento moltissime vittime.
Rekla lo brandì, rassegnata. Si avvicinò alla ragazza, e guardò il suo volto. Era terrorizzata.
"Non posso, dannazione, non posso".
Il pugnale le tremò tra le mani, ma si riprese subito. Chiuse gli occhi e colpì. La trapassò da parte a parte. La ragazza ebbe un lieve spasmo, poi si accasciò a terra.
"Cos'ho fatto?"pensò, guardando le sue mani sporche di sangue della ragazza. Per un istante tutto si fermò. La folla esplose assieme al sangue, che iniziò a sgorgare nella piscina. Fu il delirio. Attorno a lei gridavano di gioia. Ma Rekla non si unì a loro. La sua mente era da tutt'altra parte.
"Sarnek potrai mai perdonarmi?".
 
Erano passati pochi anni da quel gesto, che quasi l'aveva fatta sprofondare nel senso di colpa, quando venne convocata da Yeshol.
«Ho bisogno di un sigillo forte che possa portare, alla fine la sua vittima nella follia più totale».
«Consideratelo già fatto».
 Restò rintanata nel suo laboratorio per una settimana. Ne usciva solo per i pasti. Alla fine i suoi sforzi furono premiati. Su un tomo elfico aveva trovato quello di cui aveva bisogno. il sigillo prevedeva il risveglio della parte più oscura e selvaggia della vittima, che sarebbe stata indotta a uccidere. Più omicidi, più si rafforzava il sigillo, che poco a poco prendeva possesso del corpo, divorarlo dall'interno, mentre la vittima piombava nella follia più totale. "Non vorrei essere nei suoi panni" pensò.
Sentì bussare alla porta. Era un ragazzo sui diciotto anni. S'inchinò, incrociando le braccia al petto.
«Sua Eccellenza mi ha mandato qui per il sigillo».
Rekla gli porse l'ago sul quale l' aveva impresso.«Non toccarne la punta, mi raccomando».
Lo vide scomparire nelle tenebre del corridoio. Non lo rivide più.
Rimase sorpresa quando esattamente un mese dopo fu riconvocata da Yeshol.
«Ti affiderò una nuova Assassina che dovrai addestrare al nostro culto. Avrai di certo sentto parlare dell''allieva del traditore».
Rekla annuì.«Bene. Ma prima prepara una buona scorta di antidoto da usare contro il sigillo che hai creato».
«Ma…»lo interruppe Rekla«la Bestia non può essere contrastata da una semplice mistura».
«Non ho detto di eliminarla, ma semplicemente di tenerla sotto controllo. In fondo l'allieva che ti affiderò è quella a cui è stata imposta la maledizione».
Il cuore di Rekla perse un battito.
«Ora è nella Cella di Purificazione. Tra pochi giorni uscirà,e tu potrai iniziare ad addestrarla . Non sarà facile. Il traditore ci ha descritto come un gruppo di folli, ed è così che ci vede. è tuo compito portarla sulla giusta via».
«Non vi deluderò».
Uscì dallo studio. Si sentì male. Le sembrava un tradimento nei confronti di Sarnek.. gli aveva tolto Tara, e ora la sua allieva.
Ma quello che le dispiaceva di più era che non poteva vedere tutti i giorni Learco. E Dohor.
Quel giorno decise, appunto, di andare dal ragazzo. Usò il tunnel che in quegli anni aveva usato parecchio per raggiungere il palazzo. Lo trovò, in una stanza d'armi che si allenava con la spada.
«Learco»lo chiamò.
Il ragazzo si voltò. Aveva capelli ondulati e arruffati, di un biondo chiarissimo, occhi verde opaco, e fisico asciutto da guerriero. Le sorrise. Le corse incontro, e l'abbracciò.
«Come va, mamma?».
Pur sapendo che lei non fosse la sua vera madre, sin da bambino aveva preso l'abitudine di chiamarla così. E a lei faceva piacere. Perché sapeva che Learco era la sua ragione di vivere. La sua infanzia era stata priva di tutto, un brancolare nel buio alla ricerca di un sollievo impossibile. Da quando, invece c'era Learco, sapeva che, in fondo a ogni sofferenza  c'era lui, e sempre ci sarebbe stato.
«Tiro avanti». Non aveva il coraggio di dirglielo.«Senti Learco, per un po' di tempo non ti potrò venire a trovare».
«Un'altra missione per mio padre?».
«No. Mi hanno affidato un'allieva»disse Rekla, con un sorriso. Notò che il volto di Learco si rabbuiò. Gli scompigliò i capelli, affettuosamente.«Guarda che non è per sempre. Cercherò di ritagliarmi un momento per venirti a trovare».
«Lo prometti?».
«Si».
 
Arrivò il giorno dell''Iniziazione della sua protetta. la vide entrare nella Sala delle Piscine, sorretta da due assassini muscolosi. Vide i lievi spasmi che le attraversavano il corpo. Piccole gocce di sudore le solcavano il viso, e aveva il respiro affannoso. Per tutta la durata del rito, fu tentata a portare la ragazza nel suo laboratorio, e liberarla dal sigillo. Ma non poteva. Si calmò non appena vide Yeshol darle l'antidoto.
La trovò poco dopo in infermeria, assopita. Si sedette accanto al letto, sul quale era stata adagiata la ragazza. La contemplò. Capelli castani tagliati durante sicuramente la Purificazione, un volto infantile, pallido e olivastro. Si riscosse non appena vide gli occhi della ragazza aprirsi. Erano grandi pozzi neri. La gvide guardarsi attorno, smarrita. Capì che era arrivato il suo turno.
«Ben svegliata».
La ragazza si voltò verso di lei, stupita.
«Chi sei?».
«La Guardia che ti insegnerà la vita dei Vittoriosi, Rekla, ma per te semplicemente la tua Guardia».
«Cos'è questo posto?».
«L'infermeria. Sei stata condotta qui dopo la tua iniziazione».
Yeshol era stato chiaro a tal proposito. Non doveva provare pietà nei suoi confronti, e doveva essere ferrea.
Tirò fuori dalla tasca dei suoi calzoni un'ampolla, e gliela mise sotto il naso.
«La vedi? Si dà il caso che io sia la Guardia dei Veleni. Questa è la cura per la tua maledizione. Questo liquido è la sottile linea che ti separa dalla follia».
Rekla ripose la boccetta, quindi guardò di nuovo Dubhe.
«Sarò la tua ombra per molti giorni. Tu non sai niente del culto di Thenaar, se non le poche cose he ti ha detto la Guardia degli Iniziati. Ci sono molte cose che devi sapere, e devi anche allenare il tuo corpo fiaccato dai vizi dei Perdenti alle tecniche dei Vittoriosi». Si alzò.«Tornerò stasera. Ora riposa».
 
Tornò alla sera. Si avvicinò al letto ancora sorridente. «Ti senti pronta? Seguimi».
La portò prima di tutto nel suo alloggio, lo stesso che aveva avuto lei quando non era che una normale Assassina. Poi le fece vedere la mensa, le terme e la palestra. Al suono lugubre della campana si diressero in mensa, dove consumarono la cena, che finì rapidamente.
Rekla stava già muovendosi, e Dubhe fu costretta ad accelerare il passo per raggiungerla. «Riconosci la strada?».
«Due volte sono poche per ricordarsi di un percorso così complicato»ribatté la ragazza riferendosi agli angusti corridoi che avevano attraversato.
Sul volto di Rekla si disegnò un sorriso beffardo.
«Un Vittorioso non ha bisogno di inutili ripetizioni. Un Vittorioso memorizza un percorso compiendolo una sola volta. Non sarà facile per te, ragazzina…»
«Non sottovalutarmi:io almeno mi sono fatta una fama nel Mondo Emerso come ladra. Il tuo nome invece non lo ricorda nessuno.»
Dubhe non ebbe quasi il tempo di finire la frase che l’altra la sbatté contro il muro piegandole un braccio dietro la schiena e piazzandole il proprio coltello a un soffio dalla gola. «Sono la tua Guardia, non osare ancora rivolgerti a me con quel tono o ti sgozzo e offro il tuo sangue a Thenaar».
La lasciò di colpo gettandola a terra, e Dubhe si ritrovò china sul freddo pavimento del corridoio.
«Ricorda, sono la Guardia dei Veleni, la tua sopravvivenza è nelle mie mani. Niente boccetta, e la maledizione ti squarterà. E ora alzati».
Dubhe,piena di rabbia si alzò e seguì la donna a testa bassa.
Giunte sulla soglia dell’alloggio di Dubhe, Rekla le consegnò le chiavi e una mappa.«Domattina verrò a svegliarti. Per allora conoscerai a memoria metà dell’estensione della Casa». Sorrise feroce, e Dubhe le strappò dalle mani la mappa.
«Non dubitare…»sibilò.
«Non dubito. La paura può molto, e ti assicuro che se non seguirai i miei ordini assaporerai la paura in tutte le sue forme». Si voltò e se ne andò senza attendere risposta.   
 
 Il giorno dopo, terminata la colazione, andarono nel tempio.
«Inginocchiati».
«Io non credo in Thenaar».
Rekla si girò lentamente.
«Ogni tuo inutile atto di ribellione, ogni tua parola di troppo significano sofferenza. Tu ora non te ne accorgi, perché sei gonfia di pozione, ma ricordati la sera in cui sei stata iniziata, ricorda le tue urla disumane. Lo rivivrai, Dubhe, se non ti inginocchierai».
Dubhe strinse i pugni, ma si inginocchiò.
Le insegnò la preghiera. «Potente Thenaar, dio del fulmine e della lama, signore del sangue, illumina il mio cammino affinché giunga a compimento dell''omicidio, e possa offrirti sangue di Perdente».
Poi la invitò a ripetere.
S'incupì nel sentire l'irritazione e l'odio nella voce della sua allieva.
 
Appena ebbero finito si sedettero a uno dei banchi. Rekla cominciò a erudirla. Le insegnò ciò che Yeshol le aveva insegnato molti anni prima. Iniziò, parlandole dell’umanità divisa in due:da una parte gli eletti di Thenaar, i Vittoriosi, e dall’altra i Perdenti, uomini comuni che non hanno mai ucciso, o che lo fanno in guerra, per volere degli altri. I Vittoriosi sono gli omicidi, gli Assassini della Gilda.
 «Noi non siamo come i soldati, che ammazzano per l’odio altrui, e neppure come un semplice sicario che uccide per soldi e vende la nobile arte dell’omicidio per poche monete. Noi uccidiamo per la gloria di Thenaar».
Dopo pranzo l’affidò a Sherva, la Guardia delle Palestre.
 
Una notte venne svegliata da Fenula, agitatissima«La Bestia»riuscì solo a dire.
«Dove l’avete portata?».
«In infermeria».
Stava per dirigersi in infermeria, quando Yeshol la fermò.
«Non lasciarti impietosire. Non darle la pozione».
«Se non gliela darò finirà in una strage, lo sai»ribatté Rekla. Non aveva detto una bugia vera e propria. La verità era che le sembrava un affronto nei confronti di Sarnek. Ma non poteva disubbidire alla Suprema Guardia, anche se era la nipote di Aster.«Non credo. Tienila rinchiusa in cella per un giorno, giusto perché non si scordi chi comanda». Rekla portò i pugni al petto«Farò come desiderate, Vostra Eccellenza». 
 
Non appena fu in infermeria la tenne a tiro di spada, sorridendo tranquilla.
«Cosa mi hai fatto, maledetta?».
«Non hai contato i giorni? Ne sono passati otto dall’iniziazione…».
Tirò fuori la boccetta contenente la pozione.
«Dammela».
«Mi hai mancato di rispetto una volta di troppo, e continui a farlo ancora… te l’avevo detto, no? Per i bimbi cattivi che non fanno il proprio dovere c’è una punizione…».
 «Dammela»ripeté Dubhe urlando«Sto male, dannazione, e se non me la dai finirà in una strage, lo sai!».
Rekla scosse la testa.
«Non credo proprio»e chiamò due Assassini che la portarono in cella, dove vi rimase per un giorno solo.
 
Passò quasi un anno. Dopo quell’episodio Dubhe si fece più remissiva, eppure sapeva che tramava qualcosa. Lo sentiva, lo percepiva nel suo comportamento. Eppure provava disgusto per se stessa. Sapeva quale morte la aspettava, e ne aveva paura. Fu una notte che decise. Avrebbe rotto il sigillo e l’avrebbe lasciata libera, tanto sapeva che non si sarebbe mai adattata a quella vita.
Arrivò davanti all’alloggio di Dubhe. Fece per bussare quando notò la porta aperta. La spalancò. Dentro non c’era nessuno. Dove era andata a quell’ora della notte?. Un dubbio le balenò nella mente. No. Impossibile. Oppure si?
Attraversò i cunicoli a tutta birra, e si diresse al portone principale. Notò i due assassini di guardia assopiti, con accanto una boccetta. Lanciò l’allarme, ma sapeva che era tutto inutile. Fu un flash. Si ricordò dei due che aveva incontrato quando si stava dirigendo all’alloggio di Dubhe. Soffocò un grido di rabbia e frustrazione. “Come ha potuto? Ed io che volevo liberarla”.
Fu convocata da Yeshol. S’inginocchiò, con il capo chino.«La situazione è grave. Ti sarà giunta la notizia della sparizione del Postulante e di Dubhe». Rekla annuì, furente di rabbia.
«Temo che abbiano scoperto segreti, che possono mettere a repentaglio la vita dei nostri alleati».
Rekla tirò la testa su di scatto.«Vi riferite a Dohor?». Se gli fosse capitato qualcosa, non se lo sarebbe perdonato. Ma la risposta di Yeshol la raggelò.«Non solo, anche Learco». La rabbia crebbe. Quella piccola serpe aveva messo in pericolo la vita delle persone che amava.«Mi offro volontaria a riportarvi la traditrice e il postulante».
Yeshol sorrise. Un sorriso diabolico.«Non avevo dubbi. Trovati due assassini che ti accompagneranno in missione». Rekla convocò Kerav e Filla, due assassini molto giovani, ma molto promettenti.«Mi aiuterete a catturare la traditrice e il postulante scomparsi»disse senza preamboli. I due chinarono il capo, in segno di ubbidienza.«Siamo pronti».
 
Dopo la fuga di Dubhe andò a Marva, villaggio della terra dell’acqua, nella marca delle paludi. Aveva mandato un messaggio magico a Dohor e Learco, che li avvertiva sulla sua missione dell''ultimo minuto.
Si diressero da un pescatore,Bhyf.
«Buonasera»sorrise garbata.
«Desiderate?».
«Solo qualche informazione».
 «Se è qualcosa che so…».
«Sono passati di qui un giovane mago e una ragazza vestita da uomo?». Bhyf annuì.
«Sono ancora nel villaggio?».
L’uomo scosse la testa.
«E quando sono andati via?».
«Ieri, hanno preso un imbarcazione».
«Dove erano diretti?».
«Io non so niente. Chiedete a Torio, sono stati ospitati da lui».
Rekla, in compagnia dei suoi due compagni si diresse verso una casupola, vicino a una piattaforma dove c’era Torio, intento a riparare la rete.
«Siete voi Torio?».
«Si».
«Sappiamo che avete ospitato un mago e una ragazzina minuta, vestita come un uomo. Dov’erano diretti?».
«Vi hanno detto male».
Rekla s’accovacciò al suo livello e lo guardò intensamente.«non ti conviene fare il furbo con noi…».
«da me non c’è stato nessuno, ve lo ripeto, e…».
Non fece in tempo a finire. La ragazza alzò semplicemente una mano, e i due dietro di lei l’afferrarono in un lampo, spingendolo dentro casa.
La ragazza gli premette con violenza lo stivale sulla bocca.«Dicci dove sono andati quei due».
La ragazza sorrise feroce.«forse non hai capito la situazione in cui ti trovi!». E si aprì il mantello«vedo che ci riconosci»disse lei con un ghigno inquietante.
Rekla tirò fuori il pugnale dalla cintura, si inchinò fino all’altezza della faccia di torio e gli spinse la punta della lama su una guancia.
«non so nulla di loro»
«mi eri sembrato più intelligente»
Lo colpì violentemente.
«sappiamo che la barca gliel’hai data tu. Dove erano diretti?»
«a nord…alle cascate»
«non ci siamo… non ci siamo proprio. Credi che non sappia riconoscere una bugia?». All’alba un corpo scivolò nell’acqua della palude.
Aspettarono con impazienza il drago che li avrebbe condotti nelle Terre Ignote.
«Finalmente, dannazione».
Era un drago verde smonto, e occhi gialli. Aveva enormi ali membranose nere come il torace. A cavalcioni c'era uno gnomo dall'aria volgare.
«Era ora. Ce ne hai messo di tempo»lo aggredì Rekla.
Lo gnomo scese lentamente.«Ci ho messo il tempo che ci vuole»disse straffotente.
«Vediamo almeno di sbrigarci adesso»disse spazientita.
Aveva visto le loro tracce, sul greto. Erano passati di lì da almeno due giorni, un tempo infinitamente lungo.
«Saremo in quattro, e il mio drago si affaticherà. Non potremo volare a grandi altezze, e neppure molto veloci».
Rekla soffocò un gesto di stizza.
«Saremo comunque più veloci di loro»fece notare Kerav.
«Già»disse lei poco convinta.
Il drago ci mise molto ad alzarsi in volo. Le batté  più volte, sollevando nugoli di polvere. Proprio come aveva detto lo gnomo, viaggiarono poche braccia sopra il pelo dell''acqua. Ogni tanto perdevano quota.
Bastarono semplicemente poche ore per raggiungere la sponda opposta.
«Dobbiamo atterrare»disse Rekla.
«Non sembra facile…»osservò lo gnomo.
La riva iniziava con un greto di terra e fango, però quasi subito la terra scompariva mangiata da una spessa linea di alberi, che si estendevano oltre l'orizzonte.
«Accostati alla riva, poi troveremo un modo per scendere»ordinò allo gnomo.
«Ma il drago è sfinito. Deve riposare!».
«Dopo. Avanti fa come ti ho detto»insistette Rekla, brusca.
Lo gnomo sbuffò rumorosamente, ma si apprestò comunque a ubbidire. Sapeva chi era la donna a cui stava dando questo passaggio. Il Demone Nero, il braccio destro di Dohor.
Il drago cercò di attingere alle ultime forze che gli erano rimaste.
Improvvisamente l'intera ala venne trascinata giù, tra i ruggiti disperati dell''animale. Solo lo gnomo riuscì a restare in sella. Rekla e i suoi vennero scaraventati in acqua.
Fu allora che lo videro.
Una testa gigantesca emerse dall'acqua. Le sue forme sproporzionate sembravano un incrocio tra quelle di un cavallo e quelle di un serpente, la bocca aperta su una spaventosa chiostra di denti. Era coperto da squame verdi che sul ventre diventavano bianche, là dove, a intervalli regolari, si innestavano pinne di un giallo vivo.
Rekla si mise a nuotare verso la riva con tutte le sue forze.
"Non ora, non prima di aver messo le mani su Dubhe".
Le ultime bracciate le sembrarono infinite.
Si aggrappò a una radice sporgente, si issò sulla sponda del fiume e fu salva. I suoi compagni raggiunsero la riva poco dopo di lei. E intanto continuava a guardare il mostro. C'era un luccichio che proveniva da uno dei suoi occhi. Era lontano, ma i contorni erano inconfondibili. Non poteva essere che un pugnale, un pugnale che aveva accecato l'animale. C'era solo una persona che poteva aver fatto una cosa del genere.
«Sono passati di qua».
Filla e Kerav si girarono, i volti ancora sconvolti dall'orrore, il fiato grosso per la nuotata. Rekla invece aveva già dimenticato la paura. L'odio le aveva infuso nuovo vigore.«Dubhe è passata di qua».
 
Camminarono al lungo, senza sosta. Fu qualche giorno dopo il loro arrivo in quel posto selvaggio, che si scatenò un violento temporale.
«Continuiamo a cercare». Si bloccò di colpo. Orme fresche. Sorrise da sotto il cappuccio.
 «Sono passati di qui. E sono entrati qui dentro»disse Rekla, indicando una piccola grotta.
Si abbassò per entrarci, e altrettanto fecero gli altri due, uno per volta, in silenzio.
« Erde bewegen»sentì urlare. fu come se la terra fosse risucchiata verso l'apertura della grotta. Rekla fulminò con lo sguardo il ragazzino, prima che l'ingresso della grotta venisse interamente  ostruito.
 
Il funerale fu sbrigativo. Rekla e Filla scavarono un a buca profonda quanto bastava e ci buttarono dentro il corpo esamine di Kerav. Se l'erano vista brutta, là sotto, avevano rischiato di morire per asfissia. La grotta era piena di uno strano gas, proveniente dalle radici che dominavano nella grotta . Rekla aveva capito subito cosa bisognava fare, ma la testa aveva preso a girarle. Anche lei risentiva gli effetti del veleno. Solo con la forza della sua determinazione riuscirono a trovare una via d'uscita. Con il corpo che si piegava per le convulsioni, si era messa a cercare sotto la pioggia gli ingredienti per l'antidoto. Impacco di cerfoglio e infuso di verbena. Alla fine i suoi sforzi erano stati premiati. Aveva salvato se stessa e Filla. Per Kerav invece era già troppo tardi. La fine almeno era stata rapida e indolore. Il ricordo del mago, che si era infiltrato presso di loro, la fece avvampare di rabbia.
Dubhe l'avrebbe uccisa con calma, l'avrebbe dissanguata nella piscina, ma il ragazzo sarebbe stato un divertimento che si sarebbe concessa lì, nelle Terre Ignote.
 
Ripresero il cammino. Dopo due giorni li trovarono. Thenaar lassù li amava.
Bloccò, con presa ferrea, la bocca di Dubhe, che riuscì a sottrarsi, e a urlare il nome del compagno di viaggio. «Lonerin!»
Dubhe riuscì a divincolarsi dalla sua stretta e fece per correre verso Lonerin, ma un calcio in piena faccia la fece cadere a terra. Cercò di portare la mano ai pugnali, ma Rekla le premette uno stivale sul petto, togliendole il fiato.
«Niente scherzi»sillabò, minacciosa. La colpì alla spalla con il pugnale.«Hai voglia di giocare, Dubhe? D'accordo, ci penserò io a farti divertire». La tirò su con forza facendo presa sul corpetto, poi con un gesto rapido e fluido riuscì a legarle assieme i pols e le caviglie con una fune.
«Goditi lo spettacolo. Tu ci servi viva, ma lui no».
«Festhalten! »urlò Lonerin. Rekla lo colpì con un pugno potente alla mascella. Lo guardò divertita.«Pensi sul serio che questi giochetti possano bastare? Mio nonno Aster e Yeshol mi hanno insegnato, e mi hanno fatta diventare così come sono, tu non sei nulla in confronto a loro!».
Il ragazzo la guardò stupito un secondo di troppo. Lanciò un coltello da lancio, e lo colpì alla spalla. Si girò verso Dubhe, atteggiando le labbra in un ghigno soddisfatto.
«è lunga la strada verso la tomba, per uno che ha cercato di uccidermi»disse Rekla, a Lonerin.
«Non ti prenderai anche me»disse lui, tra i denti.
Poi le afferrò la caviglia, e si gettò nel vuoto, trascinandola con lui. Rekla gli assestò un calcio al petto, e fu libera. Prontamente afferrò una radice sporgente.
«Mia Signora».
 Guardò su. Filla. Gli afferrò la mano, e lui l'aiutò a  salire.
Finalmente Dubhe era nelle loro mani. La guardò. Dalla ferita che le aveva inflitto, usciva copiosamente sangue.
«Bisogna curare la ragazza, o rischia di non arrivare viva alla Casa»obbiettò Filla.
«Lo faremo stasera!»sbottò Rekla.
Si misero subito in cammino. Si fermarono solo al tramonto, dopo una marcia a tappe forzate.
Fu Filla a insistere.«L a ferita potrebbe infettarsi, e allora sarebbe un bel guaio».
Rekla accondiscese con rabbia. In fondo al cuore sapeva di volere la morte di quella ragazza. Era un desiderio che riconosceva con vergogna.
Si sedettero sotto la luce pallida della luna. Il bosco era silenzioso. Rekla tirò fuori il cibo. Filla la guardò dubbioso.
«Prima noi, poi lei. Hai idea di cosa ci ha fatto passare? Kerav è morto per colpa sua, è fuggita dalla Casa per preparare la nostra distruzione, ricordatelo! è giusto che soffra un altro po'».
Solo quando entrambi ebbero finito di mangiare, Rekla si occupò delle medicine per Dubhe.
Tirò fuori l'occorrente dal tascapane. Era la prima volta che preparava una medicina per un nemico, e la cosa le fece uno strano effetto. Sarebbe bastata una goccia in più di mandragola, e Dubhe sarebbe morta tra atroci dolori. La sua mano tremò nel dosaggio, ma non sbagliò.
 Con malagrazia porse la medicina a Filla.«Fallo tu».
Le preparò anche una mistura per calmare lei e la Bestia.
Andò avanti così per pochi giorni. Finché…
Quando s accorse dei sassi dentro la borsa, la testa le girava ancora. Vide le corde tagliate sparse poco più in là, e capì. Con un calcio rovesciò l'ampolla piena del sonnifero che Dubhe le aveva lasciato accanto e scattò in piedi. Il contenuto si disperse a terra e i fumi si dissolsero nell'aria. Filla era appoggiato a un tronco, e il suo respiro era pesante. Benché l'ampolla fosse lontana da lui, l'effetto era stato maggiore, e faticava a prendere conoscenza.
«Adesso ci metteremo all'inseguimento, e non ci fermeremo finché non l'avremo trovata».
Filla annuì.
Lei lo squadrò ancora un attimo, poi gettò uno sguardo alla bisaccia. La pozione dell''eterna giovinezza era perduta. Sarebbero bastati pochi giorni perché le rughe le deturpassero il viso e la carne si raggrinzisse sulle ossa. Strinse i pugni per quell'ennesimo affronto che Dubhe le aveva fatto. Non le importava. Avrebbe ucciso Dubhe proprio lì, nelle Terre Ignote.
 
«Dobbiamo fermarci, mia signora».
Rekla non prestò attenzione alle parole di Filla e continuò imperterrita a camminare davanti a lui, le spalle ingobbite, il passo a volte incerto. Era già inciampata due volte, e la seconda si era spaccata il labbro inferiore.
«Mia signora!».
Filla le afferrò un polso fermandola. Sentì le ossa fragili sotto la sua presa, la pelle raggrinzita.
«Non mi toccare!»urlò lei, liberandosi dalla sua stretta.
La vecchiaia sembrava averla aggredita partendo dal basso. Il suo aspetto era ora quello di una donna  di settant'anni, la sua vera età. Il volto era solo in apparenza più giovane, le rughe si arrampicavano già sul collo, raggrinzendolo come un frutto avizzito, e la sua pelle aveva perso lucentezza. Le guance erano scavate, gli occhi coperti da un lieve velo. I capelli erano bianchi alle punte e biondi verso le radici. Filla la tenne stretta a  sé.
«Vi dovete riposare, o non arriverete abbastanza fresca per il combattimento».
Aveva ragione. Rekla gliene doveva dare atto.
«Lasciate che vi porti io»propose di slancio il ragazzo.
Lei lo guardò stupita.
«Sarò le vostre gambe e, vi giuro, correrò». Ci volle un po', ma, alla fine si arrese.
 
«Eccoli». Rekla fece un cenno a Filla, che si fermò. La fece scendere, delicatamente. Si sporsero entrambi dal crinale e li videro. Dubhe e Lonerin stavano percorrendo uno stretto camminamento di roccia lì sotto.
«Sono in due, il mago è di nuovo con la ragazza»osservò Filla.«Non è possibile…»
«In fondo non abbiamo mai trovato il suo corpo»sibilò sarcastica.
Filla sospirò. Era stremato, e lei era indebolita dalla mancanza di pozione.
«Io mi occuperò del ragazzo, a voi Dubhe».
«Non se ne parla nemmeno, tu non  sei in grado. Ti sei stancato troppo durante la traversata».
«è soltanto un mago, è alla mia portata. Dubhe è vostra. è il premio che meritate per vendicare la vostra sofferenza».
A quelle parole, Rekla si commosse.
«Vinci anche per me»le sussurrò, e scappò via.
Fecero scrollare grossi macigni sulle loro vittime. Il mago riuscì a scansare Dubhe dalla traiettoria dei sassi. Proprio come voleva. Tutto secondo i piani.
Si ritrovarono faccia a faccia.«» «»«» «» «»
«il mio aspetto ti impaurisce forse?»
« Guarda bene questa faccia. È così che sarei veramente senza i miei filtri che tu hai disperso. Cosa credevi di fare con quel gesto?pensavi che mi avresti sconfitta?pensavi che mi sarei arresa?».
 Dubhe cercò spasmodicamente i coltelli da lancio con una mano, ma Rekla la bloccò subito con il braccio. La lasciò andare di colpo, e mentre cadeva in ginocchio, l’altra la colpì con un ampio fendente al petto. Dubhe cercò di brandire un coltello da lancio, poi sentì una fitta lancinante alla mano. Il pugnale di Rekla l’aveva trapassata da parte a parte e la bloccava a terra. Divelse il pugnale con violenza, ma la sua avversaria si riprese velocemente. Vide un coltello da lancio avversario ferirle la spalla sinistra. «come hai osato…»ringhiò.
Fu fulminea. Si gettò contro di lei, sbattendola a terra. Quando le fu sopra, la pugnalò a una spalla.«sono stata una sciocca a lasciarti libera di frugare tra le cose di Yeshol, avrei dovuto catturarti non appena sei fuggita con quel postulante! Ora pagherai per quello che hai fatto!».
Si sentì spingere violentemente dal corpo di Dubhe, e cadde a terra.«neppure la Bestia può uccidermi illusa». Dubhe attaccò rapidissima più volte, poi l’afferrò per il collo e la gettò contro la parete di roccia. Rekla reagì d’istinto colpendo alla cieca ma con estrema agilità il corpo mutato dell’avversaria. Si sentì sollevare in alto, e iniziò ad essere colpita da quella macchina di morte. Urlò sempre più disperata, finché non sentì le forze venir meno, finché tutto non si tinse di nero. “Learco”. Fu l’ultima cosa a cui pensò, prima di scivolare nell’oblio.
 
 
Nida si svegliò di soprassalto. Ma perché capitavano a lei sogni simili?
 
Stabilirsi a Nuova Enawar non era stato facile. Era accaduto all’improvviso, e l’arrivo della corte aveva gettato nel panico gli addetti del Palazzo del Consiglio. Avevano dovuto preparare in fretta le stanze, trovare posto per tutti. Poi la vita era ripresa con una parvenza di normalità. Ma erano in esilio, e a casa avevano lasciato parenti e amici in pericolo di morte.
Nida sentì voci sul fatto che la malattia aveva invaso Makrat. Vedeva il corpo di suo padre divenire più sottile. Sentiva sua madre: «Devi riposarti». persino lei era cambiata;il dolore aveva strappato tutti i veli che frapponeva tra sé e egli altri, aveva fatto piazza pulita della sua ossessione per l’etichetta e aveva lasciato una donna sola e spaventata. «Non posso. Il mio riposo è la morte di molti uomini»le rispondeva Neor.
E poi giunse il giorno. Un servitore venne a chiamarla. «Mia Signora, avete visite nei sotterranei». «Chi è?»chiese Nida, perplessa.
«Il supremo Officiante».
Si diresse verso i sotterranei. Lei era dietro una barriera sorretta da due maghi. «Lasciateci sole»disse rivolta alle ancelle che l’accompagnavano.
La guardò. La veste in disordine, il volto tirato, lo sguardo spento. Ma nessuna macchia scura sulla pelle.
 «Come vi sentite?»le chiese.
 «Per ora bene. Ma potrei essere infetta. Per questo ho chiesto due maghi»rispose indicandoli.
Andò subito al sodo. «Quando è successo?».
 «Otto giorni fa».
 «Perché non me l’avete detto prima?».
 «Volevo essere io a portare la notizia. Ha perso conoscenza quando siete partiti, e non si è più ripreso».
Nida pianse senza ritegno la morte di suo nonno. Le sarebbe mancato terribilmente.
 «E mia nonna?»chiese non appena si fu calmata.
 «Si è ammalata tre giorni dopo di lui. Però la malattia è meno virulenta che in tuo nonno. Quando l’ho lasciata, sembrava in via di guarigione».
Poi Theana si fece più seria. Nida capì che non aveva ancora finito. «Che c’è?».
«Avevo lasciato da parte le indagini per l’uccisione di Mira. Non mi sembrava la cosa più importante». «Avete scoperto qualcosa di nuovo?».
 «A suo tempo feci analizzare il corpo dell’assassino dai miei. Me lo aveva chiesto tua nonna. Lei non ha mai creduto al tradimento, e la pista della follia improvvisa non è francamente plausibile». «Ebbene?».
 «La sorella incaricata nell’indagine aveva scoperto qualcosa di strano, che non era riuscita a spiegarsi. Pensai allora di mandare qualcuno più esperto di lei, un mago molto potente dei nostri. Qualche giorno fa ho trovato i suoi appunti».Riprese fiato.«Esiste una Magia Proibita, ideata da Aster, che permette di controllare i gesti e la volontà delle persone. La versione che si può applicare agli umani è una forma molto complessa, un sigillo che solo un mago molto potente può evocare. Lascia una cicatrice nei pressi della gola, una traccia difficile da identificare. Questo perché serve il sangue appena uscito dal cuore della vittima;in genere se ne prende un po’ dalla carotide. È un’operazione rischiosa, che solo i maghi molto esperti riescono a condurre a termine senza uccidere. Si usa poi questa cicatrice, che è il simbolo fisico dell’incantesimo, e un nome. La spia di tua nonna aveva la cicatrice. Inoltre, magie del genere lasciano un’aura che un bravo mago era in grado di percepire. Sulla spia quest’aura era molto potente ».
 «Ma chi può essere stato?».
«Secondo vostro padre è stato San. Ma lui ha solo questa percezione. Inoltre, San è più potente della maggior parte dei maghi che conosca. È uno dei pochi che potrebbe aver fatto una cosa del genere».
« Es ist nicht wahr! Ist unschuldig!». Theana la guardò stupita. Ma Nida non se né curò. «Non può essere stato lui. Che motivo avrebbe avuto?».
 «Non so. Tuo padre non cambierà idea»mormorò la maga.
«Ci proverò».
 
Nida si precipitò nella stanza che era diventato lo studio di suo padre. Lo trovò che stava consultando i messaggi da parte dei Cavalieri Drago al fronte. La ragazza si accomodò sulla sedia degli ospiti. L’occhio le cadde su una pergamena il cui messaggio era frammentato, come se non fosse riuscita la magia.
Diede un’occhiata veloce. “…Saar…elfi…confine della Terra dell’Acqua…inizierà da lì…pericolo…”. I suoi pensieri furono interrotti da suo padre. «Come mai qui?».
«Perché?»chiese semplicemente la ragazza.
Neor la guardò senza capire.
«Perché hai fatto arrestare San?».
Neor guardò sua figlia negli occhi e ne lesse una determinazione che sembrava non appartenerle. «Per l’omicidio di Mira».
«Questo già lo so. Ma con quali scuse?».
«Non sono tenuto a dirtelo». Non poteva dirle che era solo per puro istinto che l’aveva sbattuto in cella.«Adesso vai nei tuoi alloggi. È tardi».
«Padre, permettetemi almeno di parlargli».
«No»rispose il re lapidario.
«Ma…». non aggiunse altro. Non era riuscita a convincerlo dell’innocenza di San in tutta quella caotica situazione.
Ci pensò tutta la sera e tutta la notte. Al mattino prese la sua decisione. Gli avrebbe parlato e avrebbe provato a suo padre l’estraneità di San in tutta la faccenda.
A metà strada incontrò sua sorella,ancora in camicia da notte, seguita da Adhara, appena arrivata in città.
Afferrò Amina per un braccio.
«Amina cos’è successo?».
«Stanno per liberare San, e nostro padre è là sotto con lui. Dobbiamo andare a salvarlo!».«Lo sappiamo già»si fece avanti una guardia. Amina rimase senza parole. Nida si fece strada tra i soldati. E li vide. San, come una furia, preceduto dalla sua spada nera, abbatteva i nemici a uno a uno, come fossero fantocci. E Amhal dietro di lui, tra le braccia il corpo magro di suo padre, con il pugnale puntato alla gola. Il suo corpo agì da solo. Sguainò la spada e provò un affondo dall’alto a cui Amhal rispose scartando di lato. Ma non fu abbastanza veloce e la lama della ragazza lasciò un taglio superficiale da cui iniziò a colare sangue trasparente, tipico delle ninfe.
«Lascialo. Subito»l’ammonì minacciosa Nida.
«Ho finito a prendere ordini. Ora sono libero. Libero da te e dalla mediocrità, libero di lasciare che i miei poteri si esprimano in tutta la loro forza». Lasciò cadere il Re a terra e s’avventò su di lei. Il combattimento fu violentissimo. Nida notò lo sguardo assente di Amhal, che durò pochi secondi. Cercava di spingerla verso il muro per limitarle lo spazio per combattere. Così Nida fece qualcosa che non aveva mai fatto. All’affondo di Amhal, saltò più in alto che poteva, come le aveva insegnato Maestro Democrito, fece un salto mortale, oltrepassò Amhal e gli atterrò dietro le spalle. Fulminea attaccò il ragazzo. Ma il suo colpo non arrivò perché qualcuno le aveva bloccato il braccio. San. Agilmente le tolse la spada di mano, rimettendola nel fodero, le legò le mani e le puntò il pugnale alla gola. Si rivolse alla folla.«Non avvicinatevi o l’ammazzo ». Poi rivolto ad Amhal:«Forza, aiutami a salire sulla viverna e andiamo».«No…»mormorò a mezza voce Neor, e prima che potesse finire la frase, Amhal affondò la lama nella sua gola, poi la tirò via con uno strappo, e il sangue sgorgò dalla ferita, caldo e dolcissimo. Il corpo di Neor ebbe  un solo, lieve sussulto. Poi giacque senza vita a terra. E mentre il sangue colava a terra, tra le urla dei sudditi, le grida di Amina e l’urlo disperato di Nida, Amhal sorrise di beatitudine. Aveva scelto. Era finita.« Es brennt! Vernichten!»iniziò a mormorare mentre un globo argenteo si ingrandiva tra le sue mani. I soldati si fecero dappresso, armi in pugno. Amhal fece per lasciarla andare quando Nida urlò: « Festhalten ». Amhal si immobilizzò all’istante, e il globo si rimpicciolì fino a scomparire. I soldati gli si gettarono contro ma le loro armi rimbalzarono su una barriera dai riflessi argentei evocata da San, che esplose facendo cadere a terra i soldati. Nida venne caricata sulla viverna di San, con polsi legati, e un bavaglio sulla bocca. Spiccarono il volo. Nida notò una figura nera immensa in rapido avvicinamento. Ratatoskr. Dovette notarla anche San perché si voltò e urlò:« Es brennt! Vernichten!». La viverna non riuscì a scansarsi in tempo. Un’ampia bruciatura lo attraversava su tutto il fianco destro. Ratatoskr lanciò un grido di dolore, e perse lentamente quota. Nida lo vide precipitare,e si sentì il cuore in gola. Diede uno strattone alle corde. Voleva tornare indietro, da lui. Ma qualcuno le mise una benda sugli occhi, e tutto si tinse di nero.





Angolino autrice:eccomi qui ^^
Spero di non aver preso troppo del libro originale, se è così…perdonatemi ^^" Dunque, qui terminano i sogni sul passato di Rekla XD
Ma credetemi, il meglio deve ancora avvenire XD
Ringrazio tutti voi che seguite la story :3
A presto <3

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