Not the same story - II: a servizio del Bene

di Ink Voice
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - Una nuova dimora ***
Capitolo 2: *** I - Prime insicurezze ***
Capitolo 3: *** II - Il vento del cambiamento ***
Capitolo 4: *** III - Il primo addio ***
Capitolo 5: *** IV - La rivelazione ***
Capitolo 6: *** V - Questione di stile ***
Capitolo 7: *** VI - Radioattività ***
Capitolo 8: *** VII - Frammenti di cielo notturno ***
Capitolo 9: *** VIII - Foresta di luce ***
Capitolo 10: *** IX - Il signor Enigma ***
Capitolo 11: *** X - Fiamme assassine ***
Capitolo 12: *** XI - Inaccettabile ***
Capitolo 13: *** XII - Il più doloroso dei cliché ***
Capitolo 14: *** XIII - Un barlume di speranza ***
Capitolo 15: *** XIV - Le mie guerre ***
Capitolo 16: *** XV - Il più grande ***
Capitolo 17: *** XVI - Il suo vecchio nemico ***
Capitolo 18: *** XVII - Nell'abisso ***
Capitolo 19: *** XVIII - I Comandanti anonimi ***
Capitolo 20: *** Extra II - Scelte ***
Capitolo 21: *** XIX - Fratture e tensioni ***
Capitolo 22: *** XX - A presto ***
Capitolo 23: *** XXI - Faccia a faccia ***
Capitolo 24: *** XXII - Fiamme di vita ***
Capitolo 25: *** XXIII - A servizio del Bene ***
Capitolo 26: *** XXIV - La Missione Leggendaria ***
Capitolo 27: *** XXV - Improvvisamente ***



Capitolo 1
*** Prologo - Una nuova dimora ***


NOT THE SAME STORY
II - A servizio del Bene

Prologo
Una nuova dimora

«Così è qui che si trova la base segreta dei nostri…» sussurrai a Chiara. Lei sbuffò, arricciando le labbra, poi annuì; scendemmo le scale ed entrammo in un’altra stanza. Spostai il mio sguardo sul nuovo spettacolo che ci si presentava alla vista.
Eravamo nel Monte Corona, in una delle sue sale più grandi, in cui la faceva da padrone un enorme lago sotterraneo. In realtà sapevamo tutto questo solo grazie a ciò che ci aveva detto Rowan, perché la stanza era totalmente riempita dalla nebbia; la presenza del lago la intuivamo dal frusciare delle onde che qualche pesce - o Pokémon, visto che eravamo all’interno delle barriere - smuoveva nuotando.
«Prof, non converrebbe usare Scacciabruma? Qui non si vede nulla ad un palmo dal proprio naso» disse una ragazzina, di cui non conoscevo il nome, che faceva parte del nostro gruppetto. Tremava infreddolita: lì dentro la temperatura era davvero bassa, nonostante fossimo a metà luglio, e lei, come tutti noialtri, indossava abiti estivi. Aveva ragione, ad ogni modo: nemmeno riuscivo a vedermi le scarpe. La nebbia nascondeva i dettagli delle varie figure e vedevo solo sagome sfocate e colorate. Ebbi la sensazione di essere diventata improvvisamente miope.
«Non ce n’è bisogno» rispose l’anzianissimo professor Rowan, pacato. «Siamo praticamente già arrivati. Ho bisogno solo di un Pokémon Volante che agiti le ali per dissipare la nebbia intorno a noi…»
Inarcai le sopracciglia e borbottai: «Direi che ci serve Scacciabruma eccome.»
«No, no, basta un po’ di vento… ah, tanto imparerete a sfruttare le capacità naturali dei vostri Pokémon prima o poi… peccato non ve lo abbiano già insegnato, è così importante. Eleonora, su, chiama la tua Altaria.»
Presi la Poké Ball di Altair in tasca e la aprii, senza lanciarla in aria - se non l’avessi ripresa al volo allora sì che avremmo avuto bisogno di Scacciabruma. La mia adorata Altaria, il primo Pokémon che avevo ricevuto appena arrivata nell’Accademia, uscì dalla sfera in un lampo di luce bianca e rossa che per un momento rischiarò la foschia, ma appena questo si dissolse le sagome del Pokémon e dei miei compagni tornarono confuse e sfumate.
«Altair, ehm… agita le ali…» dissi insicura, rivolta con il capo al punto da cui proveniva il suo verso melodioso. Emise un’esclamazione stranita, ma prima che potessi darle altre indicazioni iniziò a sbattere le ali morbide e cotonate - nel vero senso della parola - con una certa forza. La nebbia si dissipò intorno a noi in poco tempo. Prima che essa potesse riavvolgere le figure di Chiara, Camille, Gold, dei miei conoscenti Matt ed Allyn, dell’altra ragazza e del professore, quest’ultimo andò verso la parete rocciosa alla nostra sinistra e poggiò una mano sul muro. Poi chiamò qualcuno sul PokéGear, gli chiese di “aprire il passaggio” e riattaccò senza salutare.
Per un po’ tutto fu immerso nel silenzio più totale e per romperlo decisi di richiamare Altaria nella Poké Ball. Si udì poi uno strano rumore accompagnato da una vibrazione del suolo. La parete di fronte a noi si stava aprendo: lentamente entrammo nel buio corridoio nascosto e, quando l’ultimo della fila passò attraverso la “porta”, essa si richiuse. La roccia cozzò con un rumore piuttosto forte.
«Bene… se nessuno dei vostri Pokémon conosce Flash, è ora di tirare fuori le torce.»
«Il mio Emolga lo conosce!» esclamò la ragazzina dal nome a me sconosciuto. Il Pokémon uscì dalla sfera e, su ordine dell’Allenatrice, si illuminò come una lucciola - come un Volbeat o un Illumise. Volteggiando attorno alla testa di Rowan, il primo della fila, fece luce tutt’intorno a noi.
Le pareti di roccia erano strette, spoglie e anguste; il soffitto pure era basso - ma tanto nessuno del nostro gruppo brillava per altezza. Era terribilmente sgradevole camminare lì in mezzo, immersi nell’umidità che ci appiccicava i vestiti addosso e nella corrente fredda che ci faceva rabbrividire ad ogni passo. Probabilmente, appena arrivati, avrei abbracciato il corpo caldo di Altair per almeno mezz’ora.
Dopo alcuni minuti di camminata, in cui il silenzio l’aveva fatta da padrone, ci ritrovammo davanti ad un’altra porta. L’acciaio con cui era stata fabbricata era indistruttibile da mezzi comuni, a detta di Rowan: era stato infatti temprato con l’aiuto di qualche Pokémon. L’anziano professore digitò un lungo codice su una piccola tastiera a lato del portone. Pochi secondi dopo, una lucina verde sullo stipite lampeggiò due o tre volte e ci lasciò entrare.
Non avrei saputo dire se mi sarei mai adeguata all’ambiente della base segreta: così come avevo fatto l‘abitudine a vivere nell’Accademia, ora avrei dovuto chiamare quel posto la mia nuova casa. L’ingresso era una stanza ampia in cui si incrociavano sei corridoi; le pareti erano ricoperte da acciaio scuro, simili a quelle delle celle in cui il Victory Team aveva rinchiuso me, Chiara, Camille e Gold alla fine dell’anno all’Accademia e da cui eravamo usciti vivi solo grazie al sacrificio di Aristide - e all’aiuto di Lance, Rocco, Camilla e altri. Striscie azzurre e rosse tracciavano percorsi di linee spezzate lungo le pareti, e si illuminavano ad intermittenza: un momento il colore era vivido e spiccava sul grigio scuro del muro, un altro era praticamente spento. Sul soffitto, invece, delle semplici lampadine irradiavano l’ambiente con una timida luce bianca. Riuscii a scorgere nei corridoi buchi nell’acciaio da cui spuntavano cristalli dello stesso colore delle striscie luminose. Quelle pietre meravigliose mi piacquero subito: erano il marchio di fabbrica della base segreta nel Monte Corona.
L’ambiente mi ricordò vagamente la sala delle Poké Ball, all’ultimo piano dell’Accademia; dalle pareti scure, non molto grande, c’era un particolare tavolo a forma di spirale che la faceva da padrone, su cui venivano poste innumerevoli sfere. Al loro interno, in attesa di essere scelti dal loro futuro Allenatore, aspettavano pazientemente le più svariate specie di Pokémon. “Addentrandosi” nel tavolo, percorrendo la spirale, si dava un’occhiata a quelli disponibili e se ne sceglieva uno. Io avevo ottenuto, con quel metodo, Swablu, Ralts e Cranidos, e avevo catturato per conto mio uno Starly, una Shinx e una Budew. La mia migliore amica Chiara lì aveva preso Piplup, Pidgey, Mareep e Amaura; poi con un colpo di fortuna e tanto impegno aveva catturato un possente, grandioso Gyarados.
Però il tutto era molto diverso dall’Accademia in sé: avevamo detto definitivamente addio a Giubilopoli. La cosa mi rese malinconica: non eravamo più nella campana di vetro dell’Accademia, con la piacevole illusione di essere al sicuro dai pericoli del mondo esterno. Ora ci toccava lavorare e, soprattutto, combattere quella guerra.
Restammo in silenzio a contemplare il tutto per un po’, poi Rowan ci riportò alla realtà. «I dormitori sono uno nel terzo corridoio a partire da sinistra, che è quello per i maschi, mentre le ragazze devono andare nel terzo da destra. Sulle porte delle stanze troverete le indicazioni.»
Il dormitorio femminile era la prima porta sulla destra. Era una sala davvero enorme, ben illuminata stavolta, nonostante le pareti fossero omogenee - quindi scure - con il resto della base. Tre lunghe file di letti a castello occupavano tutta la stanza: dovevano essere stati almeno una sessantina di letti in totale, rigorosamente bianchi - il cuscino, le lenzuola, tutto era uniformemente di quel colore. Anzi, erano centoventi, siccome contavano sia quelli di sopra che quelli di sotto. Alcune brande erano già state occupate: le ragazze - e i ragazzi - più grandi, infatti, erano partite la sera e dovevano essersi già sistemate.
C’era Ilenia, una mia carissima amica e uno dei miei principali punti di riferimento, seduta su un letto in fondo alla stanza, sulla destra. Mollai le buste contenenti i miei averi - quel poco che avevamo comprato il giorno prima a Sabbiafine, dopo aver perso tutto con il crollo dell’Accademia - ai piedi del letto più vicino e corsi da lei. «Ehi, Ile! Va bene se mi metto qui sopra, vero?» le chiesi, arrampicandomi senza aspettare risposta sul letto a castello.
«Tesoro!» salutò lei, gentile come suo solito. «Certo che no! Ma qui vogliono che ci disponiamo in ordine…»
«Stai scherzando, spero» borbottai. «E secondo quale criterio?»
«Temo di no… hanno già messo i nomi per i letti. Comunque seguendo l’alfabeto.»
Scoprii che il mio posto era parecchio lontano dal suo. Accanto a me c’era Camille e sotto Chiara. In teoria io avrei dovuto occupare il letto in basso, ma Cynthia mi cedette quello di sopra. La bionda non mi stava propriamente simpatica, essendo piuttosto spaccona e fin troppo sarcastica e pungente, sicura di sé a causa della sua bravura con i Pokémon. Però era sempre meglio di avere qualcuna che non conoscevo.
Mentre aspettavamo altre indicazioni ci sistemammo. Camille si sciolse i codini, cosa che praticamente mai le avevo visto fare, e la sua bella e folta chioma di capelli lunghi, color carota, coprì buona parte del letto non appena si distese. Io mi cambiai i vestiti in uno dei cinque bagni presenti - pregai con tutto il cuore di non trovare mai nemmeno un accenno di fila - e poi liberai i miei Pokémon: Altaria, Gallade, June, Rocky, Diamond e Pearl.
Lo stesso fecero, o avevano fatto, le altre: il Charizard di Ilenia stava per sfondare il letto sopra il suo, quindi lo dovette richiamare giù. Nel frattempo lei coccolava Arcanine, che le teneva la testa in grembo, mentre i suoi altri Pokémon Tyranitar, Vibrava, Zebstrika e Rapidash se ne stavano accucciati intorno al suo letto. Empoleon e Ampharos, due dei Pokémon di Chiara, aiutavano la ragazzetta a scaricare disordinatamente i suoi vestiti sul letto. Il Delphox di Camille era nella Poké Ball così come altri suoi Pokémon, ma Meowstic e Flabébé erano seduti sul letto insieme a lei, esplorando il nuovo ambiente con lo sguardo.
Oltre a noi quattro, c’erano ovviamente Cynthia con i suoi Crobat e Weavile - si era distesa sul letto in compagnia delle sfere di Heracross, Floatzel, Toxicroak e Whirlipede - e altre ragazzine più o meno della mia età che conoscevo solo di nome o di vista. Altre invece avevano l’aspetto di adulte, quindi dovevano lavorare da tempo nella base segreta e terminato da anni gli studi all’Accademia: non le avevo mai viste.
Ci rilassammo aspettando che il dormitorio si riempisse ulteriormente. Certi letti erano liberi, almeno una ventina; alcune ne approfittarono per sistemarci momentaneamente le loro cose. Dopo un po’ arrivò la ex capopalestra di Evopoli, Gardenia, a chiamarci. Ci guidò fino ad una porta nello stesso corridoio, più avanti rispetto a quella nostra: era la mensa. Dava sia sul corridoio C, dove c’era il dormitorio maschile, che sul D: era davvero spaziosa. I ragazzi erano arrivati poco prima di noi. Riconobbi Daniel, Lorenzo, George, Gold e altri volti conosciuti, prima che Camilla e Bellocchio prendessero la parola.
«A quanto pare… ci siamo tutti!» esordì la Campionessa. «Come ben sappiamo, ieri il Victory Team ha distrutto l’Accademia in cui molti ragazzi si stavano allenando nell’attesa di iniziare a lavorare per le Forze del Bene, causando un terremoto con un vero e proprio esercito di Diglett e Dugtrio che ha fatto collassare l’edificio su sé stesso. Confermo che non ci sono stati decessi tra i ragazzi, anche se qualcuno si è fatto male. Essendo l’Accademia all’interno di un sistema di barriere che ingloba l’intero percorso tra Giubilopoli e Canalipoli, non sarà difficile ripulire la zona al riparo dagli occhi di coloro che non fanno parte della realtà Pokémon.»
Bellocchio annuì. «Esattamente: le barriere che dividono il mondo Pokémon da quello prettamente umano non sono state attaccate dai Victory e abbiamo la situazione sotto controllo. Ma la cosa più importante è che è ora di muoversi, e di farlo in fretta. Finora abbiamo sempre evitato un attacco diretto per svariate ragioni… ma se non ci sbrighiamo non riusciremo più a difendere né noi, né i Pokémon ancora liberi, né tantomeno il resto del mondo.»
La porta improvvisamente si spalancò. Sandra entrò come una furia muovendo passi pesanti come suo solito, dopodiché si stagliò di fronte alla folla di ragazzi con le mani sui fianchi. I suoi chiari occhi celesti, dello stesso colore dei capelli tenuti sempre corti, scrutavano la folla con durezza e severità. «Allora? Cominciamo?»
Se non avesse avuto sangue freddo e altrettanta pazienza, Bellocchio si sarebbe battuto il palmo della mano sulla fronte; ma era pur sempre lui uno dei vertici delle Forze del Bene, nonché un esperto e famoso agente della Polizia Internazionale; aveva un contegno da mantenere. Lance e Rocco avevano seguito la Capopalestra in silenzio; con molta imperturbabilità il primo la apostrofò: «Cara cugina, di preciso, cosa dovremmo cominciare?»
«L’addestramento di questi ragazzi, ovviamente» ribatté lei.
Rocco inarcò le sopracciglia e Lance proseguì con una certa freddezza: «Vogliamo dar loro qualche spiegazione in più, prima di buttarli in un covo nemico in pasto ai suoi capi?»
Sinceramente, nonostante non vedessi l’ora di iniziare ad allenarmi e di rendermi utile, oltre che migliorarmi, l’idea di dover fronteggiare di nuovo Cyrus mi intimoriva. La prima ed ultima volta che l’avevo incontrato ero ammanettata in una cella ed erano nella stessa situazione, in stanze vicine, Chiara, Camille e Gold. Mi aveva detto qualcosa di sospetto, rimasto imprecisato, sul mio conto - e su quello di Gold e Camille.
A quanto pareva, ero speciale. Proprio come gli altri due: Gold non sapeva nulla di ciò di cui aveva parlato Cyrus, ne sapeva quanto me - quindi niente, ma Camille nascondeva il segreto. Quel qualcosa di speciale in me aveva indotto il Victory Team ad abbassare le barriere che nascondevano il quartiere nord di Nevepoli, la nostra città natale, dove si trovavano la Palestra e il Tempio di Regigigas. Da più di nove anni i Pokémon erano costretti a vivere separati dagli esseri umani, dopo un periodo di pace in cui le due specie avevano collaborato in uno stretto, pacifico contatto, lavorando assieme.
Questo perché nove anni prima del mio ingresso in quella stessa base segreta, otto se si parlava di quello nella realtà dei Pokémon, il Victory Team aveva iniziato a dare segnali di vita e si era poi mostrato per quello che era: una macchina da guerra comandata da alcuni degli uomini peggiori che fossero mai esistiti al mondo, gli stessi che erano stati a capo delle organizzazioni criminali in ogni regione anni prima ancora.
Io e Chiara, ignare dell’esistenza dei Pokémon come gran parte del resto dell’umanità, eravamo entrate apparentemente per caso nel quartiere nord di Nevepoli, attirate dalla curiosità e dallo stupore nell’assistere alla sparizione del cosiddetto Monte di Nevepoli e chiedendoci perché nessuno se ne fosse accorto. L’immagine del Monte era offerta dalle barriere che dividevano la realtà Pokémon da quella umana per allontanare gli ignoranti dal quartiere nord celato oltre quello spettro di montagna, tanto ripida da non poter essere scalata. In ogni caso, chiunque si fosse avvicinato sarebbe stato indotto immediatamente a cambiare strada.
Avevamo incontrato Bianca, la Capopalestra emerita della città, che ci aveva raggiunte notando una presenza inaspettata nella zona; inizialmente ci eravamo rassegnate a togliere il disturbo vista la sua riluttanza a volerci dare spiegazioni. Ma poi, arrivate al Lago Arguzia per distrarci un po’, come per dimenticarci di quello che era successo, eravamo state attaccate da degli Snover arrabbiati e solo l’aiuto della donna ci aveva salvate. Dopodiché si era vista costretta a farci entrare in quel nuovo mondo. Eravamo partite per Giubilopoli, eravamo arrivate all’Accademia ed avevamo iniziato ad allenarci. Avevamo dovuto cambiare la nostra realtà, il modo di pensare, ciò in cui avevamo sempre creduto, persino noi stesse: eravamo maturate e cresciute, caratterialmente parlando; i Pokémon non ci facevano più paura e la lontanza da casa non era più un dolore lancinante al cuore.
I primi guai erano arrivati quando io, Chiara, Camille e Gold eravamo caduti in una trappola, semplice ma inaspettata, e un ragazzino infiltratosi nell’Accademia ci aveva teletrasportati via. Incarcerata in una cella di una base nemica, essendo stata separata dai miei compagni che erano stati confinati nelle stanze accanto, io avevo incontrato Cyrus, uno dei Comandanti. Aveva iniziato ad accennare qualcosa sul mio conto, sul fatto che, a parte Chiara, tutti i ragazzi che erano stati rapiti fossero diversi e per questo speciali, quando senza tanti complimenti i nostri salvatori avevano portato lo scompiglio necessario per trarci in salvo. La situazione era complicata, perché i Victory si erano comportati come se non fosse stato così importante trattenerci lì. Cyrus mi aveva promesso che ci saremmo reincontrati e che la situazione sarebbe cambiata: quella volta non avrebbero lasciato correre.
Io però ancora non sapevo cosa avessi di tanto speciale e perché fossi stata introdotta a forza in quel mondo, perché di questo si trattava. Mi dispiaceva aver trascinato Chiara con me, mi sentivo in colpa, perché lei era una ragazzina assolutamente normale che non meritava le crudeltà della guerra. E neanche io, in effetti, ma a quanto pareva la mia vera identità valeva più delle mie apparenze.
Avevamo trovato tanti amici e compagni di avventure lì all’Accademia, che altro non era che un posto al riparo dal conflitto e non una scuola nel vero senso della parola. Avevamo detto addio alla nostra famiglia, alla nostra casa, e avevamo dovuto trovare loro dei rimpiazzi. Ai miei genitori, a causa della mia identità, erano stati rimossi i ricordi di avere una figlia; era stato un brutto colpo e il pensiero mi doleva, ma soprattutto non mi negavo di bruciare d’invidia nei confronti di Chiara, che aveva potuto reincontrare i suoi genitori. I miei avevano cancellato i rapporti con l’intera città - non abitavano più a Nevepoli - e si erano fatti una nuova vita. 
Dopo essermi persa, come mio solito, in ricordi e pensieri tanto numerosi quanto confusi, riportai l’attenzione sulla scena in corso nella mensa. Lance aveva perso la pazienza - era difficile riuscire a mantenerla più di tanto, quando si trattava di dialogare con la testardissima Sandra - e si era messo a litigare con la cugina, mentre i ragazzi che fino al giorno prima erano stati all’Accademia - non erano presenti coloro che da tempo lavoravano nella base segreta - li guardavano attoniti. A quanto pareva non mi ero persa niente di troppo importante.
Bellocchio batté le mani e gli occhi di tutti tornarono su di lui e su Camilla, mentre i due Domadraghi si lanciavano occhiate eloquenti. «Ehm, come diceva Sandra… dovrete iniziare ad allenarvi più duramente e a tempo pieno, ma non subito. Prima dovrete decidere che ruolo volete avere nelle nostre fila, stasera passeremo nei dormitori a raccogliere le vostre idee e vi prepareremo all’addestramento. Avrete qualche giorno di tempo per schiarirvi le idee, ma mi spiace non potervi garantire di poter accontentare i vostri desideri: abbiamo bisogno di un buon numero di spie, combattenti e tecnici, ma il resto delle occupazioni deve essere adeguatamente coperto e non tutti possono avere uno dei ruoli sopracitati se ci saranno richieste eccedenti. È tutto per ora.»
In un trambusto di sedie spostate e ragazzi che si alzavano, tornammo tutti nei rispettivi dormitori.
«Tu hai già deciso?» chiesi a Chiara mentre ci sedevamo sui letti.
Fece spallucce. «Prima devo valutare le opportunità, non ho molte idee. E tu?»
Risposi lo stesso. In realtà ero abbastanza sicura di aver già fatto la mia scelta: il mio più grande desiderio, lo avevo capito poco tempo dopo essere arrivata all’Accademia, era lottare al fianco dei miei Pokémon. Le lotte, per quanto il mio livello non fosse ancora molto alto, mi attraevano enormemente e mi ritenevo perlomeno bravina.
Conoscevo solo alcune delle molteplici possibilità che ci sarebbero state offerte. Il ruolo di spia non mi ispirava affatto: non mi piaceva l’idea di dover agire nascosta essendo in costante pericolo - come se con gli altri lavori non si rischiasse la vita, d’altronde, ma erano molto diversi da quello. C’erano i tecnici, che lavoravano con i computer e si districavano tra codici, allarmi da disattivare, documenti importanti sottratti al nemico o altri trovati dagli esploratori, che andavano decodificati e interpretati. L’esplorazione non mi dispiaceva come possibilità, ma in confronto alla passione e al dinamismo della lotta Pokémon non era niente.
Mi sentii come animata da un fuoco vivo e potente che mi spingeva a dare il massimo e a prendere una volta per tutte la decisione di combattere. I secondi passavano e non facevo altro che pensare a quanto ardentemente desiderassi quel futuro per me: combattere insieme ad Altair, Aramis, June, Rocky, Diamond e Pearl. E, perché no?, qualche altro Pokémon, se avessi avuto la possibilità di prenderne altri.
Guardai Chiara e lei ricambiò, capendo che avevo preso una decisione. Sorrisi e le annunciai: «Io combatterò.»




Ti aspetteresti mai un simile cambiamento in te?





Prologo - Rivisto in data 25 settembre 2015. Addio Giubilopoli → Una nuova dimora.




Angolo ottuso di un'autrice ottusa
E così ho iniziato a rivedere anche questa seconda parte, avvantaggiandomi almeno un bel pezzo di essa. Purtroppo non era solo la prima parte, che ho riscritto completamente, ad essere parecchio disastrata: ho riletto stralci di questi primi capitoli e quasi mi buttavo dalla finestra. No, ma seriamente, devo lasciarvi pezzi di alcuni angoli ottusi che mi hanno fatta sbellicare - si ride per non piangere - insieme alle scene clou del capitolo che sono esilaranti e pietose. Ecco a voi, popolo di EFP (?)
“Dopo alcuni minuti di camminata, in cui il silenzio l’aveva fatta da padrone, ci ritrovammo davanti ad un’altra porta. L’acciaio di cui era costituita sembrava indistruttibile: probabilmente era stato temprato con l’aiuto di qualche Pokémon. Magari aveva usato, in qualche modo, Ferroscudo su di esso…” co… cosa
“-Abbiamo allestito in una notte i dormitori dove starete…” prima si dormiva sul pavimento
“In teoria io dovevo occupare il letto giù, ma Cynthia mi cedette quello sopra. Dopodiché mi diede un’energica pacca sulla spalla che mi fece sprofondare il naso nel cuscino.” così divertente che vorrei morire
“La gente crede che il crollo sia stato dovuto a causa delle fondamenta instabili e dei materiali da costruzione utilizzati. Speriamo solo che nessuno si faccia troppe domande, ma la vedo dura…” che bello aver riscritto la prima parte e aver messo l’Accademia in the ass del percorso tra Giubilopoli e Canalipoli (non ricordo il numero, abbiate pietà), tra l’altro nascosta da barriere, e non dover ripubblicare idiozie del genere. Ah, ops, le ho appena ripubblicate per sfottermi in allegria. Gioia!
Che poi il mitico Bellocchio, capo assoluto delle Forze del Bene, faceva certi discorsoni in questo prologo! Ben tre righe a battuta - in totale le battute erano due - di WOW questo sa il fatto suo.
“Questa storia sarà piuttosto piena di roba. Ve lo prometto.” pffff ahahahahahah okno in effetti avevi ragione zia.
Passando alle cose serie e smettendo di sputt- prendere in giro la me di un anno e mezzo fa circa, consiglio a chi vuole ripassarsi, in attesa dell'arrivo della terza parte, un po' di questa seconda, di rileggere i capitoli II, III, V - giusto perché la prima apparizione di Oxygen&bros è importante, VI, VII, IX, X e XII. Poi fate come preferite: fino al capitolo XII/XIII ci saranno le modifiche più sensibili, perché guardando velocemente i capitoli successivi, quelli mi sono sembrati messi bene. O almeno spero, sigh. Con calma modificherò tutto; oggi, lunedì 14 dicembre, ho appena finito di rivedere il capitolo VI, quindi ogni po' di giorni metterò la nuova stesura di un capitolo per volta.
Spero che chi ha letto questo prologo abbia avuto un'impressione positiva della storia, sia nel constatare i miglioramenti se già aveva letto la prima versione, sia che sia (?) un novello lettore. Fatemi sapere, magari ;u; A presto!
Ink Voice

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Capitolo 2
*** I - Prime insicurezze ***


I
Prime insicurezze

La prima settimana di permanenza nella base segreta la dedicai alla sua esplorazione. Nel frattempo, la prima sera, informai Sandra della mia decisione quando passò a raccogliere le iscrizioni. Sbuffò, quando glielo dissi, con una strana espressione in volto; non sapevo dire se fosse soddisfatta o se si stesse quasi beffando di me, che avevo scelto una via difficile come quella del combattimento; ma pensai che fosse contenta del fatto che volessi lottare, diventare una guerriera, visto un suo lieve sorrisetto quando si voltò - pensando di non essere vista. Altri che avrebbero combattuto sarebbero stati Daniel, Gold, Cynthia, Ilenia, Lorenzo e Matt - il cui amico Allyn si diede all’esplorazione. Chiara invece, come Camille, Sara e Melisse, aveva deciso di dedicarsi allo spionaggio, mentre Angelica aspirava alla carriera di hacker. O meglio, di tecnico.
Avevamo un mese intero di tempo per lavorare che sarebbe seguito a pochi giorni concessi per ambientarci e capire quale fosse il nuovo regime che ci aspettava. Mi adattai subito, senza sorprendermene, al nuovo aspetto del luogo in cui avrei vissuto per chissà quanti giorni a venire: i cristalli azzurri e rossi che impreziosivano le pareti, altrimenti spoglie, rivestite di quell’acciaio quasi nero; gli ampi corridoi attraversati, sugli stessi muri, dalle strisce luminose dello colore dei cristalli; la penombra diffusa in quasi tutte le aree della base… all’inizio fu un po’ soffocante, e per me in particolare lo sarebbe stato altre volte a venire. Ma poi iniziai a sentirmi al sicuro, lì dentro, con persone e Pokémon conosciuti, sapendo di poter trovare sempre un appoggio nei momenti di difficoltà.
Sgranai gli occhi quando, il primo giorno, ci venne comunicato che avremmo dovuto portare i nostri Pokémon come minimo al livello 50 o 60. L’indicazione data dal Pokédex, andando a vedere la scheda di un membro della propria squadra, era puramente approssimativa - non si poteva schematizzare così precisamente la crescita di una creatura, né sapere quando di sicuro avrebbe imparato una tale mossa o si sarebbe evoluta; ma mi preoccupai perché per i miei Pokémon la strada verso tale traguardo, per quanto generico, era assai lunga.
«Invece di lamentarti» intervenne Chiara quando esposi le mie preoccupazioni, «ti conviene iniziare a lavorare. Anche perché la maggior parte della gente qua dentro ha già tutti i Pokémon molto oltre il livello 50!»
«Questo perché o già lavorava qui, oppure frequentava uno degli ultimi due livelli all’Accademia.»
Eravamo in compagnia di Ilenia e Cynthia, le quali ci avrebbero guidate un po’ i primi giorni, nonostante anche loro fossero appena arrivate. La seconda propose una piccola lotta in doppio, il più equilibrata possibile, insieme a “me e Fiamminga”, come disse. L’altra fece una smorfia a metà tra il seccato e il divertito nel sentire il suo vecchio, solito soprannome, dovuto alla sua passione per i Pokémon Fuoco - nonostante la parola fiammingo non c’entrasse niente. «Sì, potremmo provare. Però al vostro livello sarebbe meglio confrortarvi al massimo con Sara e le altre…»
«Intanto facciamolo» insistette Cynthia con il suo solito sguardo beffardo e di sfida negli occhi grigi.
Non ero convintissima. Già faticavo, in una lotta in doppio con Chiara, a tener testa a Daniel e George. La sconfitta era assicurata, i nostri Pokémon non avrebbero resistito a più di un attacco da parte dei loro; ma alla fine accettammo la loro proposta. In un battito di ciglia, la bionda era pronta. I suoi occhi ci invitavano ad andare con lei e un sorrisetto audace era dipinto sul suo volto dalla carnagione chiara.
Girammo per i corridoi finché non trovammo un ex Capopalestra a cui rivolgerci. Gli chiedemmo informazioni per raggiungere una sala dedita all’allenamento Pokémon e lui ci indirizzò al corridoio A. Non avrei mai detto che una base del genere potesse essere effettivamente tanto grande. La stanza per le lotte ospitava almeno una dozzina di campi di battaglia, sufficientemente grandi anche per lotte in triplo o a rotazione. Il soffitto a volta, scavato nella roccia, sovrastava i combattimenti ed era sostenuto da imponenti pilastri d’acciaio, la cui funzione era anche di dividere i campi. Alcuni si stavano già dando da fare nelle lotte.
«Io prendo Chiara, tu vai con Eleonora.» Cynthia, come suo solito, prese in mano la situazione.
«Facciamo due Pokémon ciascuno!» proposi. Avrei fatto lottare i miei Pokémon migliori, Altair e Aramis, il mio amato Gallade; anche se Altaria non era un Pokémon adattissimo ai combattimenti, volevo che pure lei si facesse valere e dimostrare che le statistiche indicate dai Pokédex non erano tutto. Forse mandare Rocky, il mio Rampardos, o June - Roserade, sarebbe stato meglio; ma non m’importò. La prima lotta nella base segreta sarebbe stata combattuta dai miei primi due Pokémon.
«Io userò Vibrava e Rapidash» mi comunicò Ilenia, sorridente. Gli occhi verdi rilucevano decisi, come al solito pronti a brillare nell’ebbrezza della lotta. Annuii, ricambiando il sorriso.
Vedendo Chiara e Cynthia parlottare tra loro, chiesi alla mia compagna: «Ehm… come ci muoviamo?»
«Non stare troppo attaccata a Cynthia. Potrebbe seccarsi e scatenarsi, e allora sì che saranno dolori.»
«Dobbiamo evitarla?»
«No, questo no, sarebbe peggio ancora! Dobbiamo darle il contentino, un bersaglio su cui farla concentrare, dopodiché finirla con due colpi ben assestati. Capito?» Annuii e lei proseguì: «Tu affronta Chiara, a me lascia Cyn. Sai come combatte la tua amica e io so com’è la mia: ma non evitiamo del tutto né l’una, né l’altra.»
Ci pensai un attimo su, poi le risposi: «Sì, va bene. A proposito di Chiara… be’, non ha una vera tattica, come me d’altronde. È una di quegli Allenatori che prima si costruiscono un minimo difesa, ad esempio rallentando o causando un problema di stato agli avversari… poi passa all’attacco.»
«Immaginavo. Cynthia attacca e basta, con mosse con effetti secondari possibilmente… io sono una a cui piacciono quelle con alta potenza, come sai. E tu, Eleonora? Come ti comporti in battaglia?»
La domanda che temevo mi fu posta e io non seppi cosa rispondere. Io lottavo e basta, non seguivo alcuna strategia, sceglievo l’attacco più efficace e proseguivo il combattimento in relativa tranquillità. Non macchinavo alcuna trappola, non avevo secondi fini dopo aver concluso un’azione. Gli attacchi dei miei Pokémon erano mirati semplicemente a mandare al tappeto l’avversario, non servivano per alcuna tattica. Non mi piaceva perdere tempo, almeno questo era come la vedevo io, con mosse che aumentassero le proprie statistiche o abbassassero quelle dell’avversario. Dissi a Ilenia che mi credevo un po’ simile a Cynthia, perché prediligevo le mosse con effetti secondari, soprattutto problemi di stato e brutti colpi.
Cynthia interruppe Ilenia che stava per rispondermi, richiamandoci. «Voi due avete finito di chiacchierare?»
«Sei pronta?» mi chiese Ilenia. Non c’era nessun sorriso rassicurante sul suo volto, solo la sua bella serietà che precedeva uno scontro. Mi piaceva quel suo modo di essere.
Annuii, contenta di avere la ragazza come compagna di squadra. Mi fissò con intensità per altri istanti, poi i Pokémon di ognuna scesero in campo: Aramis e Vibrava contro Ampharos ed Heracross.
A Cynthia spettava la prima mossa. «Heracross, usa Aeroassalto contro Gallade.»
«Aramis, Psicotaglio!» esclamai istintivamente. Heracross fu colpito con successo. Il danno non fu quello sperato, ma lo rallentai abbastanza in modo tale che Gallade potesse accusare il colpo senza troppi problemi, nonostante fosse stato colpito: così almeno avevo ridotto la potenza dell’attacco.
Subito dopo Ampharos lanciò un Cottonspora contro il mio compagno; la sua velocità ne risentì altamente.
«Vibrava, usa Fossa» ordinò Ilenia, senza specificare chi fosse il destinatario, tanto era evidente.
Cynthia insistette con Aeroassalto su Aramis: sarebbe stato certamente colpito in pieno e per lui sarebbe stata la fine, se solo Vibrava non fosse emerso dal suolo e, anziché colpire Ampharos, attaccò Heracross. Non aveva riportato danni ingenti a causa della mossa molto poco efficace, ma fui riconoscente ad Ilenia per aver dato al mio Pokémon la possibilità di rimanere ancora in campo. «Aramis, di nuovo Psicotaglio!»
Gallade mosse il braccio in un movimento deciso che sferzò l’aria. Purtroppo il colpo indirizzato a Heracross fu rispedito al mittente, a causa dell’Energisfera a sorpresa di Ampharos, e il mio Pokémon fece appena in tempo ad abbassarsi per evitare di essere colpito da una lama lilla ed elettrificata che aveva l’aria di essere parecchio potente. Dovevo essere più veloce, ma Gallade era appesantito dallo spesso strato di piume e cotone.
Forse un modo per liberarsi c’era, dopotutto. Attaccando con Psicotaglio, le braccia di Aramis si erano scoperte, seppur minimamente. Tanto valeva provare: «Aramis! Usa Psicotaglio su te stesso!»
Chiara, dall’altro lato del campo, era attonita. Cynthia e Ilenia avevano capito, ma soprattutto Gallade sapeva cosa volevo che facesse. Le lame allungate sui gomiti si colorarono nuovamente di lilla. Sferzando più colpi, riuscì a liberare braccia e gambe dal piumino bianco che lo rivestiva, mentre Vibrava oppose Protezione al Megacorno di Heracross. Ordinai ad Aramis di usare Zuffa su Ampharos e Cynthia ne approfittò per attaccarmi con Aeroassalto: Gallade, messo K.O., lasciò a Vibrava la possibilità di usare Terremoto e mandare al tappeto pure Ampharos.
Sostituii Aramis con Altair mentre Chiara schierò il suo Empoleon. Ero abbastanza certa che sarei stata la prima a perdere, visti i Pokémon altrui sul campo: ma, ostinatamente, non avevo voluto sostituire Altair con un altro Pokémon. Cynthia provò ad attaccarmi, ma la interruppi a metà.
«Altair, usa Volo!» Al contempo Vibrava attaccò con un altro Terremoto, però Empoleon lo mandò al tappeto usando Surf. Anche Heracross risentì dell’attacco del compagno e Altaria non ebbe problemi a finirlo con Volo.
«Bah…» Nonostante cercasse di non darlo a vedere, Cynthia era evidentemente seccata. «Vieni, Scolipede.»
«Rapidash» chiamò Ilenia; i due Pokémon scesero in campo. L’unicorno agitò la criniera fiammeggiante e si avventò contro Scolipede con Fuococarica. Fu talmente veloce che a malapena riuscii a seguire la sua corsa fulminea. Subì un tosto contraccolpo a causa dell’attacco, ma il danno peggiore l’aveva subito Scolipede.
«Ah sì, eh?» ringhiò Cynthia. «Scolipede, Velenoshock!»
Rapidash, già avvelenato a causa di Velenopunto, l’Abilità di Scolipede, fu poi colpito da una mossa dalla potenza raddoppiata. Ilenia fece rispondere Rapidash con Ondacalda mentre l’avvelenamento mandava al tappeto il suo Pokémon e il suo attacco quello di Cynthia; in tutto ciò io e Chiara avevamo saltato il nostro turno, stupite dalla piccola battaglia tra le due che ci aveva completamente fatto distogliere l’attenzione dai nostri Pokémon.
“Bene, non ho manco mezza mossa avvantaggiata sul tipo di Empoleon e, che io sappia, nemmeno lui. Sarà una lunga storia…” pensai, poi ordinai ad Altair di usare Canto. Ma nel turno successivo, mentre il mio Pokémon era in Volo, Chiara si munì di una Sveglia e il suo Pokémon mi attaccò istantaneamente con Surf.
Alla fine la spuntò lei. Aveva “nascosto” di aver insegnato a Empoleon Geloraggio con una MT che le aveva prestato Rowan, e quindi dopo un paio di colpi la mia Altaria finì K.O., concludendo definitivamente lo scontro.
«È stata una bella lotta» commentai mentre eravamo in cerca dell’infermeria - che scoprimmo essere proprio accanto alla sala allenamento, «ma forse dovremmo allenarci ancora con quelli più al nostro livello…»
«O anche Sara, Melisse e Angelica.» Chiara alludeva a tre nostre amiche, che insieme a Ilenia, Cynthia, Lorenzo e Daniel costituivano il nostro solito gruppetto. «E poi non ci abbiamo mai lottato molto insieme!»
Quando mi distesi sul letto, a metà giornata, per riposare per almeno una mezz’oretta, ripensai alle parole di Ilenia. Mi ero fatta un esame di coscienza e avevo scoperto che il più delle volte agivo semplicemente d’istinto. A volte poteva aiutarmi in situazioni che sembravano senza via d’uscita, grazie ad intuizioni improvvise, altre mi attirava in tranelli organizzati dall’avversario, ben congegnati fin nei più piccoli e, apparentemente, insignificanti dettagli in ore passate a lottare e a fare esperienza. Io non ero fatta così: non avevo voglia di creare una tattica sì difficile da eludere, ma noiosa da organizzare e lunga da applicare. Per me le lotte erano “soltanto” momenti in cui l’Allenatore doveva dimostrare di essere in grado di gestire la forza e le abilità dei suoi Pokémon, far vedere l’impegno che ci metteva nell’allenamento e la prontezza e la flessibilità nel ragionare, nel cercare una soluzione ad un problema che si presentava senza che fosse minimamente aspettato. Questa, secondo me, era una lotta.
Mi ero poi ricordata di alcune parole che Daniel aveva pronunciato quando mi aveva battuta senza difficoltà, tempo prima, in una lotta. Io ci ero rimasta male per la sonora sconfitta, ma poi lui aveva detto una cosa che, come la domanda di Ilenia, mi era rimasta profondamente impressa nella mente. «La forza e la bravura di un Allenatore non si constatano solo in quanto sono forti i suoi attacchi, o in quanto tempo mette al tappeto l’avversario.»
E pensandoci mi confusi ancora di più: in cosa, allora, si sarebbe misurata la mia presunta bravura, sempre che essa esistesse? Non ne ero poi tanto certa. A meno che la stessa insicurezza non fosse il mio tallone d’Achille, non sapevo come avrei potuto mostrare di essere capace a lottare tanto bene da poter essere inserita in un gruppo di combattenti. Era da quasi un anno che facevo lotte Pokémon, qualche idea attuabile - quanto a strategie - in mente la avevo, ma non mi consideravo tanto acuta, intuitiva e furba da poter prevedere le mosse dell’avversario.
Non ero, quindi, una stratega; non avevo uno stile ben preciso per lottare; non avevo puntato a costruirmi una squadra con vari ruoli adatti a coprire gran parte delle possibili problematiche che avrei potuto incontrare, avevo scelto i Pokémon che più mi piacevano, inconsapevole pure, inizialmente, dei loro punti di forza e di debolezza. L’unica sicurezza che avevo, in quel momento, era che combattere mi piaceva e basta: mi aveva aiutata a formare il mio carattere, a rendermi meno timida e riservata, e per questo ero riconoscente a quella disciplina.
Sdraiata sul letto a rigirarmi la sfera di Altaria tra le dita, assorbendone il rassicurante calore, ascoltavo i battiti del suo cuore che riverberavano ritmici e tranquilli dentro la Ball, forse incuranti delle riflessioni che facevo in quel momento. Avevo bisogno di parlare con qualcuno, di trovare un aiuto in qualcuno che mi capisse e riuscisse a darmi una mano. E chi poteva aiutarmi meglio dei miei Pokémon? Infatti cinque minuti dopo ero da sola nella sala allenamento, determinata a trovare una risposta.
«Venite fuori…» Richiamai dalle rispettive sfere la mia squadra al completo: Altaria, Gallade, Roserade, Rampardos, Staraptor e Luxray. Ero già sicura, ad ogni modo, che avrei preso almeno un altro membro per il mio team: in fondo non c’erano più limiti per una squadra come ai tempi che avevano preceduto l’arrivo dei Victory. Se avessi voluto una squadra di dieci Pokémon avrei potuto costruirla, senza dover sostituire alcun mio compagno, troppo affezionata com’ero ad ognuna delle sei creature che mi accompagnavano il quel viaggio.
L’affetto era il primo passo per diventare un buon Allenatore, lo dicevano tutti quanti. Pensai: “Ma io non sono crudele con i miei Pokémon, non li tratto male, mi sembra anche di essere fiduciosa nelle loro capacità… o almeno credo. Non mi è mai piaciuta l’idea di rinunciare a possedere Pokémon che mi piacciono solo perché non sono forti secondo le statistiche del Pokédex. Forse questo mi ostacolerà nel mio percorso di combattente, che è quello che voglio fare? Forse dovrei essere più severa e non farmi condizionare così tanto? Il mio carattere è così…”
«Ragazzi… cosa mi manca come Allenatrice? Come posso fare? Vorrei tanto foste i migliori Pokémon di tutta la base segreta, e potreste diventarlo tranquillamente, ma io non so se riuscirò mai a crescere come vorrei…» sospirai, come ad aspettarmi che una risposta mi potesse essere data dai miei Pokémon e che io non fossi in grado di trovarla. Iniziavo a sentirmi a pezzi, stracciata dalla mia scarsa autostima: rinunciare a un futuro in cui avrei combattuto sarebbe stato inaccettabile e privo di senso, per me, perché era la sola cosa che avrei voluto fare in un avvenire triste e grigio come quello della guerra in corso. I miei Pokémon davano sempre il massimo, era nella loro natura e facevano di tutto per darmi soddisfazioni. «Ma io do soddisfazioni a voi?» chiesi loro.
Fui molto stupita quando Aramis mise la sua mano sulla mia spalla. Pearl, la mia Luxray, fece le fusa contro la mia gamba, rilasciando piacevoli scossette elettriche. Rocky ringhiò con il suo modo di fare allegroe Diamond sbuffò, agitando il ciuffo e accennando un sorriso. Altair cantilenò un motivetto dolce e rassicurante che mi ripetei per tutti i giorni a venire quando avevo bisogno di un po’ di conforto. I miei Pokémon erano con me e questa era la cosa più importante, senza ombra di dubbio. Mi avrebbero aiutata sempre, anche quando sarei stata giù di corda e avrei sentito il mondo crollarmi addosso.
«Autostima… forse è questo che mi manca per diventare una buona Allenatrice, insieme ad ulteriore esperienza e tanti miglioramenti che devo ancora fare!»
Sorrisi mio malgrado. I miei Pokémon mi strinsero in un abbraccio di gruppo. Avevo capito, perlomeno in parte: «Grazie. Davvero… siete i migliori in tutto e per tutto. La strada da fare è lunga ed in salita, come qualsiasi altra che avrei potuto prendere… i tempi sono quelli della guerra e ciò è inevitabile per chiunque sia chiamato a fare la sua parte» ragionai ad alta voce. «Ora che seguirò un corso in cui mi specializzerò, insieme a voi, nel combattimento, troverò sicuramente dei maestri che mi faranno capire se i miei problemi esistono o se mi sto abbattendo per niente… come mio solito, d’altronde. Ma comunque! Io soprattutto migliorerò per voi… lo voglio, lo prometto. Altrimenti la mia carriera finirebbe qui.»

Nei giorni seguenti lavorammo duramente. La base segreta, per i primi tre-quattro giorni di permanenza, si svuotò un po’. Molti erano alla ricerca di nuovi membri per la propria squadra: qualcuno poté farsi accompagnare in giro per Sinnoh, o in alternativa cercò un buon Pokémon nel Monte Corona stesso; altri aspettarono, come Chià - che non mi volle dire quale fosse il suo nuovo compagno di squadra - che un adulto della base segreta riuscisse a procurargliene uno.
Chiara, a parte il fantomatico nuovo membro del team, aveva un Empoleon, una Ampharos, un Pidgeot, Gyarados e un’Amaura. C’era Daniel che da tempo aveva una squadra completa - Swampert, Haxorus, Kadabra, Magmar, Electabuzz e Skorupi - mentre Sara, Angelica e Melisse ancora dovevano cercare qualche altro compagno. Ilenia e Cynthia, così come Lorenzo, avevano squadre di sei Pokémon. Non sapevo quale fosse il sesto di quest’ultimo, dopo Torterra, Salamence, Schyter, Breloom ed Excadrill; invece ricordavo bene i Pokémon posseduti sia da Ilenia che da Cynthia, che ammiravo e invidiavo per la loro forza.
Ma l’invidia iniziò ad affievolire, fino a sparire del tutto, quando i numerosi, lunghi ed estenuanti allenamenti iniziarono a dare i propri frutti. Negli ultimi tempi Diamond e Pearl, che avevo chiamati così in onore dei Dexholders di Sinnoh, erano rimasti un po’ indietro rispetto agli altri membri della mia squadra, che, dovevo ammetterlo, erano i miei preferiti. Però, con sessioni di allenamento la cui durata era indicativamente di un’intera mattinata e anche di buona parte del pomeriggio, nel giro di una settimana il livello medio della mia squadra - stando a quanto diceva il mio Pokédex - era cresciuto repentinamente. E quei due Pokémon, il terzo e la quarta che avevo catturato da quando ero arrivata nel mondo dei Pokémon, non fecero eccezione: pochi livelli li separavano da Rocky, che tra gli altri quattro era il “meno cresciuto”.
Comunque avevo definitivamente deciso di allenare tutti i miei Pokémon, senza che mi mettessi a cercarne di altri per costruire una squadra meglio bilanciata: mi andava più che bene così.
Per quanto riguardava l’addestramento fisico, avremmo potuto aspettare finché non avessimo cominciato il corso a cui si era stati assegnati. Fui molto contenta di questo: non solo perché la mia pigrizia era inversamente proporzionale alla mia atleticità, e quest’ultima era a livelli infimi, ma pure perché allenare i miei Pokémon era la cosa che più mi piaceva fare e mi dava tanta ispirazione. Inizialmente temetti di stremarli con tutta quell’attività a cui li sottoponevo, ma anziché stancarsi, i Pokémon si rafforzavano e basta; in più cresceva pure la loro competitività e la voglia di mettersi in gioco, di continuare a migliorarsi, che per me era una cosa bellissima e che ammiravo con tutta me stessa: avrei dovuto prendere esempio da loro, decisamente - e lo feci.
Mi allenavo spesso con Chiara anche se non era un’appassionata delle lotte - non per niente si dedicò allo spionaggio insieme a molte altre nostre amicizie. Ciò però non la esentava dall’obbligo di portare i propri Pokémon al livello che era stato stabilito dai dirigenti della base segreta, che dovevano essersi consultati con coloro i quali avrebbero gestito i vari corsi di addestramento. I suoi Pokémon, confrontando le schede presentate dai nostri Dex, erano di qualche livello inferiori ai miei: ma questo non significava nulla ed era in grado di tenermi testa. Nonostante il più delle volte fossi io a vincere, spesso mi faceva temere per l’esito della lotta.
Ma proprio la paura di perdere, cosa che mi avrebbe dato un enorme fastidio, mi spingeva ad allenarmi sempre più; così avevo modo di testare ogni situazione, sperimentare qualche piccolo trucco e quel po’ di strategia che ero in grado di costruire. L’allenamento rende perfetti, d’altronde, e le differenze iniziavano ad essere abissali tra me - e i futuri appartenenti al mio gruppo - e coloro per cui lottare non era la priorità.
Durante una delle prime lotte con Chiara iniziai a sperimentare le mosse combinate. Mi chiesi perché non ci avessero mai insegnato a lottare “veramente” all’Accademia, perché i professori si fossero sempre limitati ad uno schema di lotta piatto e regolare, quando invece le vere lotte non ammettevano tregue né turni. Se si aveva modo di attaccare più volte consecutivamente, era possibile farlo. Iniziava ad essere strano aspettare che l’avversario rispondesse ad una mossa: di solito era indice di insicurezza, chi lasciava attaccare l’altro magari era in difficoltà e si stava ancora facendo qualche idea sulla lotta, su come reagire. Non sempre pensare a lungo era il modo migliore per vincere: a volte affidarsi all’istinto era la cosa migliore.
«Usa Dragodanza mentre sei in Volo» ordinai ad Altair durante una lotta, appunto, con Chiara.
«Gyarados, aspetta che si avvicini e poi attaccala con Gelodenti!» Furono queste le disposizioni della ragazza.
Altair stava scendendo in picchiata su di lui ad altissima velocità: ma neanche il tempo di ordinarle di fare una finta che la mia compagna, in modo eccellente, agì come io avrei voluto. Si scostò in un istante dalla morsa dell’avversario, lasciandolo di stucco. Sogghignai, a dir poco soddisfatta, mentre il colpo subito successivo andava a segno con successo e la mia compagna si allontanava per schivare un altro attacco. Non era la prima volta in cui chiedevo ad un mio Pokémon di spostarsi per evitare di essere colpito, anzi, lo facevo il più possibile perché non mi piaceva che i miei subissero danni. Ero disposta a dilatare di molto i tempi di una lotta pur di far schivare un colpo avversario e i miei Pokémon avevano presto capito quella mia tendenza. Forse non era il massimo, anche perché spesso perdevo dei “turni” per consentire ai miei compagni di mettersi in salvo; ma fino ad allora riuscivo ad andare bene comunque.
«Mostra cos’è una vera Dragodanza, Gyarados; poi vai con Cascata!»
Scelse un attacco con più precisione, e fece bene, anche perché Altair non era in Volo. Lei cercò di allontanarlo con un Dragospiro, ma fu inutile e l’avversario la colpì. Quando fu messa K.O. ci pensò Rocky a vendicarla. Chiara sottovalutò l’esito della lotta alla vista di un Pokémon di tipo svantaggiato, ma ero sicura che un colpo sarebbe bastato per finire Gyarados, contando sulla potenza inaudita del mio Rampardos; le mie previsioni si avverarono. Partì alla carica con Cascata, ma fu bloccato da Cozzata Zen e poi messo al tappeto da un banale Forzantica. Sbuffai soddisfatta: in tutto ciò, Rampardos aveva risentito poco e nulla del colpo dell’avversario.
«Allora vediamo come lotta la tua Roserade, ché non l’hai mai fatta lottare contro i miei Pokémon… Guarda un po’ chi è arrivato da Kanto!» rise Chiara, mandando in campo un Arcanine bell’e evoluto: mi chiesi quando e come lo avesse allenato - ma anche con chi. Mi aspettavo che il livello, però, non fosse ancora molto alto: d’altronde un Growlithe si evolveva tramite Pietrafocaia, che di sicuro la mia amica aveva chiesto ad un istruttore.
«Col cavolo che mando June!» sbuffai.
«Eddai! Lei è ad un livello molto più alto di Arcanine, dammi solo la possibilità di assestare qualche colpo… in particolare i superefficaci!» ghignò. «Scommetto che un Fangobomba potrebbe bastare per mandare al tappeto il mio, di Pokémon; di che ti preoccupi? Hai paura?»
«No, carissima, ma ti consiglio di non dire cose del genere in presenza dei nostri Pokémon. Penso che Arcanine potrebbe iniziare a fare di testa sua e riuscirebbe a mandare K.O. June, ma poi tu faresti la sua stessa fine!»
Perciò accontentai solo in seguito Chiara, che vide la mia Roserade qualche giorno dopo. Intanto Rocky, senza troppi problemi, riuscì a finire Arcanine in un colpo solo: la mia avversaria aveva provato a fargli fare Fossa, ma il mio Pokémon sapeva usare benissimo Terremoto. Credevo che Chiara lo sapesse, o come minimo lo avesse intuito.
Contro Angelica, Sara e Melisse, io e Chiara ottenevamo risultati diversi. Io perdevo per definizione, ormai, solo contro Ilenia, Cynthia, Daniel e Lorenzo, che erano indubbiamente più esperti e anche più avanti di me con l’allenamento. Quando lottavo contro le tre ragazze ero spesso io a spuntarla, perché la prima avrebbe fatto parte della squadra di tecnici e le altre due sarebbero diventate spie, con ogni probabilità: così presto riuscii a pareggiare i livelli dei nostri Pokémon e, già più abituata io alle lotte di loro, non ebbi problemi a prevalere. Chiara invece aveva ancora molto su cui lavorare, non concentrandosi sulle lotte con la “scusa” che avrebbe frequentato il corso delle spie. Alla fine di agosto la mia migliore amica compì pure quattordici anni.
Continuai ad allenarmi per quel mese scarso che mi separava dall’inizio del corso di combattimento e di lotta Pokémon: mi era stato confermato che avrei potuto essere una guerriera - quel termine mi suonava un po’ troppo forte, perché lo ritenevo esagerato, almeno per me - e la cosa mi riempì di contentezza. Non avrei saputo cosa fare, altrimenti, perché dubitavo che un tipo aggraziato come me potesse infilarsi di nascosto nelle basi nemiche. La mia goffagine non era paragonabile a niente, tanto era grande.
Il giorno precedente l’inizio dell’addestramento ero preoccupatissima e in ansia, ma anche in trepidante attesa. Cosa avrei dovuto fare? Soprattutto, sarei stata capace di farlo? Sapevo solo che avrei dato il meglio di me stessa in tutto quanto, e non vedevo l’ora di dimostrare quanto valessi - o al contrario quanto fossi impacciata ed inesperta. Di voglia di mettermi in gioco ne avevo tanta, contagiata dal valore dei miei Pokémon, che in un mese si erano letteralmente trasformati, caratterialmente parlando. Erano diventati più attenti ai miei comandi, severi con sé stessi, pieni di spirito competitivo. Sembravano talmente umani che il rapporto che avevo con loro, grazie a quella maturazione, si strinse maggiormente - in particolare perché dipendevo totalmente da loro.
Immaginavo che quando sarei cresciuta anche io e mi sarei resa un minimo indipendente dalla loro protezione, grazie alle lezioni di difesa personale - e non solo - che mi aspettavano nel corso di combattimento, il rapporto si sarebbe rafforzato un’altra volta ancora. Invece mi sarei accorta, con stupore e malinconia, che sarebbe accaduto il contrario e che non avrei potuto fare niente per evitarlo, se non provare a compensare passando il tempo libero a coltivare l’amicizia che avevo con i miei Pokémon, la quale sarebbe diventata una semplice alleanza durante tutto il tempo di una lotta.
Ma avevo così tanti dubbi e domande per la testa che la sera, prima e pure dopo che spegnessero le luci, stetti a lungo con gli occhi aperti, continuando a rivolgermi domande e a non trovare altre risposte che non fossero tragicomici film mentali. Cercai di mettermi l’anima in pace ma fu difficile anche solo addormentarmi. Rivolsi una muta preghiera a chiunque fosse in ascolto: “Ti prego, fa’ che domani vada tutto bene. Fa’ che io sia in grado di superare qualsiasi prova, qualsiasi ostacolo a testa alta. Non voglio fallire… ma ho davvero paura…”
Trasalii nel letto mentre pensavo all’eventualità di risultare così scarsa da essere costretta a fare le pulizie della base segreta - tra l’altro male. Soffocai una risatina suscitata dal nervosismo e dalla penosità di quell’immagine: mi stavo preoccupando talmente tanto da ridurmi in quello stato… mi sentii ancora peggio e mi schiaffeggiai, solo mentalmente, nel tentativo di darmi un tono. Cercai di ricordarmi come si facesse a creare un po’ d’autostima e di orgoglio in me stessa, siccome entrambe le cose erano finite un’altra volta sotto le suole delle mie scarpe.
Presi la prima sfera che mi capitò a tiro tra quelle che avevo accanto al cuscino, dove avevo preso l’abitudine di tenerle. Una sensazione rasserenante di rassicurazione e tranquillità mi avvolse: riconoscevo i Pokémon nelle sfere tramite una sorta di sesto senso ascoltando le sensazioni che mi venivano trasmesse al contatto con la Ball di turno. Quella in particolare era June, che come gli altri aveva iniziato a lavorare sodo e a dare il meglio di sé. Il giorno dopo sarebbe toccato a me mostrare chi ero e quanto valevo.









Capitolo I - Rivisto tra il 28 e il 29 settembre 2015. Riflettere per migliorare → Prime insicurezze.



 
Angolo ottuso di un'autrice ottusa
Oh mio Dio. La ragazzina isterica si fa problemi su problemi perché non ha tutti i Pokémon al livello 100. Povera cara, speriamo che tu non venga consumata da un esaurimento nervoso. (Questo capitolo non mi piace ancora, nonostante la riscrittura... sigh...)
“Ilenia e Cynthia seguivano la conversazione incuriosite.” come non esserlo per le ragazzine che filosofeggiano sul fatto che il Pokédex non segni ancora livello 89 ad un qualsiasi loro Pokémon?
“La domanda mi lasciò un attimo perplessa. Che cosa significava? Io lottavo e basta. L’avevo detto, non seguivo alcuna strategia, sceglievo l’attacco più efficace e proseguivo il combattimento in relativa tranquillità. Non macchinavo alcuna trappola, non avevo secondi fini o scopi dopo aver concluso un’azione. Gli attacchi dei miei Pokémon erano mirati semplicemente a mandare al tappeto l’avversario, non servivano per alcuna tattica” questa è introspezione signori. Un attimo di introspezione.
“Dovevo essere più veloce… ma Gallade era appesantito dallo spesso strato di piume e cotone. Forse un modo per liberarsi c’era, dopotutto. Attaccando con Psicotaglio, le braccia di Aramis si erano, seppur minimamente, liberate…” la magia dei puntini di sospensione
(Nota di un paio di mesi dopo: ho notato che li seminavo un po’ dappertutto, parecchio a sproposito, per dare enfasi o il cielo solo sa cosa a una parola o una breve frase. Porca miseria! E io che mi credevo brava a scrivere)
“ripensai alle parole di Ilenia. Mi aveva lasciato molto su cui riflettere.” ma rifletti ‘sta min****chia
“I dubbi che mi sommersero in quei momenti mi logorarono” non stressarti troppo, tesoro, poi vengono le rughe. Credo di aver scritto qualcosa del genere solo per usare il verbo logorare, un po’ meno tera-tera rispetto al mio linguaggio dei tempi.
“-Diamine!- esclamai frustrata. Non riuscivo a trovare niente che mi aiutasse, ogni mio pensiero o opinione mi si rivoltava contro.” questi sì che sono problemi logoranti - per rimanere sulla stessa lunghezza d’onda
“-Ma io do soddisfazioni a voi?- chiesi loro.” a me non ne stai dando di certo *coff*
“Un episodio curioso fece ottenere a Chiara un Growlithe.” quanto trashume scrissi nelle righe a seguire…
“Il giorno precedente l’inizio dell’addestramento ero preoccupatissima e in ansia, in trepidante attesa” un’altra perla di introspezione
“Di nuovo le ansie e le preoccupazioni mi assalirono” MA BASTAAAA ESSERE ASSALITA DA COSE IDIOTE
“Il capitolo non è uscito fuori lunghissimo, ma spero che l’emozionalità della protagonista e le sue paure siano riuscite a renderlo abbastanza buono, abbastanza intenso e insomma… bello. Lo spero.” ma chi ti ha messo in mano Word quei giorni intorno al 21 luglio 2014 deve morire malCOSA. QUALE EMOZIONALITA’. NON LA VEDO, ILLUMINAMI.
“Stavolta voglio che i miei personaggi attraversino una crescita psicologica e voglio anche farli soffrire parecchio. Perché sì, ho bisogno di dare una scossa alla storia…” grazie al cielo la crescita psicologica c’è stata davvero, ma la me di quei tempi, se non fosse migliorata con la scrittura, non credo avrebbe mai immaginato quanto sarebbe cambiata nei mesi a seguire. Più rileggo questa riga, più mi chiedo dove fosse la maturità che tanto credevo di aver raggiunto; allora a questo punto cosa dovrei dire di me? - va be', ormai ho proprio smesso di dare opinioni su me stessa, perlomeno di farlo con toni assoluti, perché già so che l’estate prossima rileggerò questi angoli ottusi v2 e proverò di nuovo l’istinto di strangolarmi.
Niente, ho allungato anche troppo questo angolo ottuso per farvi vedere una minima parte delle schifezze che scrivevo all'epoca. No ma ero proprio convinta di essere brava a scrivere eh. Chiedo scusa al mondo per la mia nonsocomedefinirla dell'epoca. Ah giusto, stupidità :))))))))
Ci vediamo al prossimo aggiornamento di questa parte!
Ink

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Capitolo 3
*** II - Il vento del cambiamento ***


II
Il vento del cambiamento

Già prima di andare a dormire mi ero aspettata un sonno difficoltoso e un risveglio altrettanto sgradevole; le mie previsioni purtroppo si avverarono. Spalancai gli occhi turbati nel buio del dormitorio femminile e, presa coscienza del mondo attorno a me, ebbi subito un deja-vù. Ripensai alla notte precedente al primo giorno di lezioni all’Accademia, quando mi ero alzata presto non riuscendo a riaddormentarmi, tanto ero preoccupata. Sicuramente sarebbe andata così anche quella volta.
Non sapevo se dirmi in ansia o no. Avevo aperto gli occhi un po’ di colpo, non ero di certo il ritratto della pace interiore - come avrei potuto esserlo? Però non ero agitata. Le mie mani non erano in preda ad alcuna tremarella, al contrario delle mie aspettative. Sentivo un po’ freddo, quindi mi rannicchiai in una posizione fetale sotto le coperte - la temperatura nel Monte Corona, o nella base segreta perlomeno, era abbastanza stabile nel corso dell’intero anno e non era molto alta.
Accanto al cuscino di ogni letto vi era un contenitore per i vari strumenti, come il PokéKron, il Dex o la stessa cintura dentro la quale si riponevano le sei sfere della propria squadra. Presi il PokéGear e controllai l’orario; non era molto presto. Di lì a venti minuti, alle sette precise, sarebbe suonata la sveglia, uguale per tutti. Mentalmente ripassai la giornata che mi aspettava: alle otto l’intera giovane popolazione della base segreta avrebbe dovuto trovarsi nella grande mensa. Quelli come me arrivati da un mese dall’Accademia sarebbero stati divisi in cinque macro-gruppi, al cui interno esistevano svariate “specializzazioni” - su cui non mi ero informata: reclute, spie, esploratori, tecnici ed inventori.
Le spie erano state selezionate anche e soprattutto per la loro fisicità: i ragazzi più esili e agili avevano avuto la precedenza rispetto agli altri. A tal proposito Chiara, Camille e Sara erano perfette: tutte e tre erano davvero molto magre. L’ultima era snodatissima, Chiara invece avrebbe dovuto darsi da fare; di Camille non sapevo nulla. Gli esploratori lavoravano perlopiù insieme alle reclute: venivano inviati nei posti più disparati del pianeta per confermare un’attività nemica o controllare le condizioni di un luogo che, magari, era stato la residenza di un Pokémon Leggendario nel passato. I tecnici, tra i quali sarebbe finita Angelica, avevano la propria fissa dimora nei sotterranei della base, in cui non avevo l’autorizzazione per entrare, e avrebbero fatto le ore piccole davanti a computer con documenti dalla dubbia veridicità e codici indecifrabili.
E poi c’era il mio gruppo, che insieme alle spie era il più folto e quello a cui i più aspiravano. Guerrieri, ci chiamava qualcuno, ma io non mi sentivo affatto pronta a combattere. Se solo la faccenda si fosse limitata all’allenamento dei Pokémon che ci avrebbero difeso in ogni situazione… ma sarebbe stato troppo facile, ovviamente. Noi stessi ci dovevamo mettere in gioco e imparare a cavarcela, eventualmente, da soli. Quello era l’aspetto che più mi intimoriva: non ero certa di essere in grado di imparare un’arte marziale o altre tecniche di combattimento corpo a corpo. Men che meno avrei mai avuto il coraggio di maneggiare un’arma.
Cynthia, che come me sarebbe entrata in quel gruppo, mi aveva descritto molte delle cose di cui sopra. In particolare aveva parlato delle armi, accennando alla pistola ed al pugnale, con altri strumenti dalle più fantasiose funzioni. Laser, pistole dai raggi paralizzanti o soporiferi; “ce n’è per tutti i gusti”, aveva detto lei. Cynthia mi era sempre sembrata la classica dura che non si fa piegare da niente e da nessuno, che reagisce con forza e spavalderia senza temere le conseguenze delle sue azioni; eppure avevo notato una certa esitazione, come se non fosse convinta di quello che stava dicendo e che avrebbe dovuto vivere.
“È inutile credere di poter trattare i nemici con i guanti di velluto e avere comunque la meglio, Eleonora” dissi a me stessa. Non potevo sperare di non dover fare del male a qualcuno, magari anche ucciderlo, perché questo era quello che si prospettava nel mio futuro. Non ero una persona cinica, non ringhiavo quando qualcosa mi andava male, a malapena mi definivo una persona competitiva, se non in campi precisi: le lotte Pokémon, la corsa - disciplina in cui ero migliorata moltissimo proprio con gli allenamenti all’Accademia - e poco altro. Avrei dovuto rinunciare alla compassione e alla pietà per aspirare alla vittoria.
Non capivo bene la posizione delle Forze del Bene, a tal proposito. Ora che ero immersa nell’atmosfera cupa e rigida della base segreta, avevo iniziato a farmi qualche domanda in più che all’Accademia avevo messo da parte perché troppo scomoda, e non potevo permettermi, ovviamente, di rovinare le mie spensierate giornate per dei dubbi sulla mia fazione. Le Forze del Bene predicavano la pietà anche nei confronti del nemico o no? Dovevo obbligatoriamente perdere ogni riserva e imparare a tenere il sangue freddo? Lo avrei scoperto in quei primi giorni di allenamento e avrei dovuto impegnarmi a fondo per restare al passo.
“Ho un po’ di paura…” Cercai la Poké Ball di Altair per ascoltare il placido battito del suo cuore e calmarmi grazie alla sua stessa serenità. Appena la trovai, la presi tra le mie mani fredde e mi parve di sentirle subito più tiepide. Mi lasciai sfuggire un lieve sospiro. “In occasioni come questa bisogna mettersi a pensare. Ho ragionato molto la mattina del primo giorno di lezioni all’Accademia, e ora che la situazione è pressoché la stessa… direi proprio che qualche nuova domanda da porsi c’è. Sono pure tante…”
Però non ne trovai una precisa da cui cominciare, paradossalmente. Così, per rimediare, iniziai a ripassare chi facesse parte delle fila nemiche e vi fosse entrato inaspettatamente, avendo sempre combattuto i vecchi Team e dando l’idea di non voler tradire il bene. Già avevo affrontato quest’argomento in passato, con Sara e Ilenia soprattutto. Il potere, la speranza di rifarsi un nome dopo averlo perso con la divisione tra la realtà dei Pokémon e quella esclusivamente umana; ragioni di qualsiasi tipo potevano aver fatto preferire a questi uomini il Victory Team alle Forze del Bene, che magari ai tempi erano ancora in fase d’assestamento e non garantivano la stessa sicurezza del temibile nostro nemico.
“E così già sto provando a rispondere ad una delle domande che ho per la mente” pensai. “Cos’ha spinto così tante persone ad entrare a far parte dei Victory? Adriano, Nina, Pino, Vulcano, Omar… un conto sono persone come Malva e Sabrina, che un tempo sono state parte integrante, rispettivamente, dei Flare e dei Rocket… ma quelli che non hanno mai avuto a che fare con il nemico di turno, se non per combatterlo, perché stavolta hanno deciso di diventare dei Victory? Le persone e la loro mentalità cambiano, nel tempo, è inevitabile… ma sarà davvero solo per il potere e l’ambizione personale che hanno tradito le loro vecchie credenze? Se invece fossero stati costretti a giurare fedeltà in cambio della salvezza di qualcosa che stava loro a cuore, per esempio?”
Era davvero molto difficile parlare con me stessa e cercare risposte a domande che comprendevo a malapena. Cos’era il potere per me, anzitutto? Già così mi sentivo in difficoltà e non sapevo che definizione dare di quella parola, almeno secondo me. Se quel poco mi dava problemi tanto valeva lasciar perdere la ricerca di qualche motivazione alle azioni di persone tanto diverse e lontane da me, ed era pure inutile sperare di indagare e capire qualcosa di ciò che passava per le menti di Cyrus e gli altri Comandanti.
Soffocai un’esclamazione sorpresa quando sentii qualcosa tirare con forza la mia coperta. Mi affacciai e vidi che c’era la mano di Chiara. “Il deja-vù pare proseguire” pensai, ricordandomi di come, il primo giorno di lezioni all’Accademia, anche la mia migliore amica si fosse svegliata molto in anticipo, più o meno quanto me, rispetto all’orario a cui sarebbe suonata la sveglia.
«Buongiorno… come stai?» mi chiese in un sussurro. Se non fosse stato per il silenzio tombale nella grande stanza nemmeno sarei riuscita a sentirla. Il dormitorio era immerso nella penombra dell’alba ma un po’ riuscivo a vedere Chiara, anche grazie alla sua candida pelle; i capelli neri erano un tutt’uno con il resto dell’ambiente.
«Lo sai come sto.» Non seppi dire se avesse notato la mia smorfia di disappunto o no.
«Preoccupata, eh?» Annuii con poca convinzione. «Anch’io, da morire. Ti rendi conto veramente del punto a cui siamo arrivate? Con ogni probabilità diventeremo io una spia e tu una combattente…»
“… E rischieremo molto di più la morte in ogni secondo” mi dissi, lugubre. «Hai ragione. Speriamo almeno di cominciare con il piede giusto, perché non vorrei fare schifo fin dal primo giorno… la mia paura più grande è questa, di non riuscire a non essere totalmente incapace in tutto.»
«Tu almeno qualcosa sai fare! Le lotte Pokémon» precisò. «Hai già una base da cui partire. Per me sarà tutto nuovo, invece… però credo che avremo qualche corso in comune, anche se abbiamo scelto carriere diverse.»
«Lo spero. Non voglio ridurmi a parlarti solo la sera per mancanza di tempo» sospirai; lei sorrise. «Chià, io… i corsi per imparare ad usare un’arma li abbiamo entrambi, mi fanno una paura…»
«Sì» si rabbuiò la ragazza. «Ma verranno molto in là, quelle parti del programma.»
«Anzitutto devo preoccuparmi di non deludere i miei Pokémon…»
«Perché, gli esseri umani tuoi professori non sono di tuo interesse?» chiese con ironia. «Ele, accidenti se i tuoi Pokémon ti stanno dando parecchio a cui pensare. Parli solo di loro… e con loro, ormai.»
«Ma non è vero!» ridacchiai. «In parte sì, cioè. Sono una fonte di ispirazione, perché sono i primi a mettercela tutta in qualsiasi cosa e a non demordere mai, anche se perdono le prime battaglie, anche se la strada per avere successo è tutta in salita. Almeno a me, hanno insegnato un sacco di cose.»
Chiara stette in silenzio ad ascoltarmi. «Sai, a volte penso a quando eravamo ancora due ragazze del mondo normale. È passato tantissimo tempo… quasi non mi riconosco più.» Capivo come si sentiva: anche io avevo le stesse sensazioni. «Siamo sicuramente maturate e cambiate in meglio, abbiamo rinunciato a tante cose e abbiamo fatto tanti sforzi per arrivare a questo punto insieme ai nostri Pokémon… come saremmo adesso senza di loro?»
«Più vuote» risposi immediatamente. «Ci hanno trasmesso tante di quelle cose… è solo grazie a loro se adesso ho voglia di mettermi in gioco, di impegnarmi in ogni sfida - come fanno loro - e se la mia forza di volontà si è rafforzata… l’anno scorso ero una rammollita. Non mi andava mai di fare niente.»
Ridacchiò. «Sì… anche io ero così. Sono contenta di essere arrivata fino a questo punto, non tornerei indietro per nulla al mondo.»
Annuii distrattamente. Eppure di cose per cui chiunque sarebbe tornato alle origini ce n’erano. Avevo perso la mia casa e le mie abitudini, insieme pure alle mie passioni; la memoria dei miei genitori era stata ripulita da ogni traccia della propria figlia e quindi non potevo più dire di avere una famiglia, se non parlando dei miei carissimi amici… e dei miei Pokémon, effettivamente; le parole di Chiara che avevano voluto essere scherzose non erano del tutto surreali. Era vero che ero cambiata e che potevo vivere bene anche in quelle condizioni.
“Sei davvero sicura che non torneresti indietro in cambio della tua vecchia, serena realtà?”
Quella domanda sorse spontanea ed ebbi la sensazione di non essere stata io a formularla. Mi turbai molto e feci per aprire bocca, istintivamente; ma un trillo squillante che mi perforò le orecchie, già abituate al silenzio, si fece strada per la base segreta. Era la nostra sveglia e per un momento mi parve di dimenticare la questione che era nata nella mia mente. Sentii numerosi fruscii di coperte spostate e borbottii seccati. Mi chiesi se qualcuna delle ragazze avesse sentito la chiacchierata tra me e Chiara; era vero che avevamo parlato a bassissima voce, ma dato il silenzio assoluto del dormitorio, persone vicine come Cynthia, che stava nel letto sotto il mio, potevano averci udite. Arrossii al pensiero che qualcuna avesse origliato, magari involontariamente.
Le luci vennero accese e fui una delle prime ad andare in bagno per prepararmi; lo feci molto velocemente a causa dell’ansia. Pure quando andai nella mensa insieme a Chiara e altre amiche avevo un nodo che mi stringeva le vie aeree: mi pareva di essere in apnea. Avevo lo stomaco chiuso ma mi forzai di bere un almeno caffelatte che mi riscaldasse e mi infodesse un po’ d’energia. Qualche minuto dopo le otto tutti avevano finito di fare colazione da un pezzo e attendevano con impazienza, irritazione e preoccupazione l’arrivo dei maestri di turno, i quali erano puntualmente in ritardo.
Ma quando le prime parole polemiche iniziarono a levarsi sopra i mormorii, cinque persone più o meno conosciute entrarono nella grande mensa. Erano Koga, Sandra, Pedro, Anemone e Bellocchio. Il primo ormai non si poteva più considerare abbastanza giovane, le rughe sul suo volto mi parevano più scavate già dall’anno precedente, eppure era pronto per essere l’insegnante di uno dei cinque gruppi. Sandra era vestita diversamente dal solito: ero abituata a vederla con un look un po’ da motociclista, ma quel giorno indossava un bel mantello scuro sopra un completo aderente, di pelle. I capelli azzurri e corti brillavano meno dei suoi occhi. Pedro era un giovane uomo che di rado avevo visto all’Accademia, così come Anemone che aveva qualche anno in più di lui; una bella donna nel fiore degli anni il cui viso da bambina la ringiovaniva ulteriormente. Bellocchio sembrava lo stesso di sempre, vestito di nero e non troppo dritto con la schiena: lo sguardo severo scrutò a lungo la popolazione della mensa. Fu lui a prendere la parola, lui che era una colonna portante delle Forze del Bene.
«A quanti di voi non è stato detto nulla sul vostro ruolo, sappiate che la vostra richiesta di far parte di un certo gruppo è stata esaudita. I tecnici seguano me nei sotterranei dove incontreranno il signor Wilson, loro guida da oggi in poi. I futuri esploratori vadano con Anemone e gli inventori con Pedro, le reclute con Sandra e le spie con Koga. Ulteriori dettagli vi verranno comunicati durante l’addestramento. Buon lavoro a tutti.»
Il suo discorso si concluse lì; le parole fredde dell’uomo, pronunciate con un tono non molto alto, si spensero subito per far parlare lo spostamento delle sedie e i passi di noi ragazzi. Seguendo con lo sguardo Daniel e Ilenia, riuscii a districarmi tra la folla disordinata e trovai il gruppo di Sandra, che contava numerosi membri. Raggiunsi il mio migliore amico e Daniel mi diede una leggera pacca su una spalla; immaginai che volesse infondere forza e coraggio più a sé stesso che a me, perché appariva piuttosto preoccupato. I suoi occhi blu scattavano in ogni direzione, nervosamente, e i capelli castani erano parecchio spettinati, più del solito. Sembrava un po’ pallidino e persino la spruzzata di lentiggini sul suo naso dritto non pareva molto colorita, ma forse era mia suggestione.
Sandra ordinò seccamente di essere seguita e ci condusse nella sala per gli allenamenti, piena di campi per le lotte Pokémon. Durante il tragitto individuai quanti dei miei amici erano nel mio gruppo, a parte Daniel e Ilenia: Cynthia, Lorenzo, Gold e altre facce più o meno conosciute, ma non tanto quanto le loro, a cui ero enormemente affezionata. Ci disponemmo ordinatamente lungo il lato di un campo, creando più file, e Sandra iniziò a parlare camminando avanti e indietro per tutta la sua lunghezza.
«Aprite bene le orecchie. Non siete il primo gruppo di aspiranti reclute a cui mi tocca fare da professoressa, come se fossimo ancora in una banale Accademia, quindi mettetevi in testa che da ora le cose cambiano. Non mi piace ripetere le cose, immagino siate tutti in grado di capirmi al volo, quindi evitate di lasciar calare la vostra attenzione per qualcosa di tanto importante come il futuro di tutte le persone in questa base segreta! Non fatemi pensare che sia io quella che non si sa spiegare, perché finora i risultati che ho ottenuto non mi hanno ancora delusa e non vorrei che quel giorno arrivasse per colpa vostra!»
Avevo le sopracciglia leggermente aggrottate. “Una cosa che non capisco c’è; è perché Sandra dovrebbe quasi offendersi se non afferriamo subito qualcosa… ma a quanto pare è meglio evitare di dirlo, ho l’idea che sarebbe pronta a stendere chiunque con uno schiaffo…”
«Voglio farvi avere un’idea di cosa vi aspetta per tutti i mesi a venire, finché il vostro addestramento non sarà ritenuto completo da qualcuno più esperto e severo di me. Voi siete guerrieri da oggi in poi, a meno che non siate nati con la stoffa di chi vuole combattere; non fatevi chiamare reclute in modo così riduttivo, perché diventerete molto di più. A livello fisico, questo è il corso più impegnativo; a livello mentale è secondo solo a quello di spionaggio. Questi vostri colleghi presto rideranno nel sentirvi lamentare come bambini, “non riesco a mantenere il sangue freddo, se vedo un Comandante nemico mi viene la tremarella, al pensiero di dover tramortire un’altra persona quasi svengo!”» disse le ultime frasi con una vocina ridicola, ma nessuno rise. «Questo perché le spie che agiscono nell’ombra devono compiere un percorso complicatissimo su sé stessi.
«Ma voi potrete permettervi di ridere quando quelli si lamenteranno dei muscoli che dolgono a stare sempre in tensione, in posizioni scomodissime dentro spazi angusti. Sono pronta a scommettere che la metà dei ragazzi qui davanti a me non è in grado nemmeno di tirare un calcio mirando abbastanza in alto, alla faccia di un nemico più grosso di voi, mentre quelli sono stati scelti per la propria elasticità e l’agilità fisica. Voi dovrete lavorare molto di più, in tal proposito: imparerete a sviluppare e ad usare la vostra forza, presto sarete in grado di sentire ogni vostro muscolo, opportunamente allenato, e a farvi rispondere prontamente e con decisione dal vostro corpo, che sarà la vostra arma principale. Non fatevi venire l’idea assurda di far svolgere la maggior parte del lavoro alla vostra squadra di Pokémon, altrimenti la porta è da quella parte» fece un cenno con la testa e indicò il grosso portone d’acciaio che ci separava dal corridoio contrassegnato con la lettera A.
«Ricapitolando, vi toccherà fare il doppio del lavoro delle spie. Il vostro fine soprattutto è diverso e peggiore, se vogliamo vederlo da questo punto di vista, del loro; avrete capito che spie e guerrieri agiscono sempre insieme e che costituiscono le squadre migliori. Mentre loro si muovono nell’ombra con l’obbiettivo di rendersi invisibili, voi sarete la parte visivamente pericolosa dei gruppi in cui sarete divisi per le missioni. Le spie sono il pericolo non visibile, se non con mezzi adeguati; i guerrieri, se non dispongono di mezzi adeguati, devono farsi vedere e seminare il panico grazie alla loro forza. Qui non siamo in un film, allora!» alzò il tono di voce improvvisamente. «Non dovete combattere con lo scopo di non fare del male a nessuno se non per legittima difesa, non si lotta a fin di bene, non esiste! Se siete guerrieri, non avete più scrupoli, né scusanti per non alzare le mani contro qualcuno che rappresenta un pericolo per la vostra vita e, in misura maggiore, per le intere Forze del Bene!»
Ci fu una breve pausa. Guardavo Sandra con occhi spalancati: ero pervasa da paura, angoscia, curiosità e un profondo senso d’inadeguatezza che mi attanagliava le viscere. Avrei dovuto aspettarmelo e valutare con più attenzione cosa mi avrebbe atteso in quel gruppo: non ero in un film, come aveva detto Sandra, e non sarebbero stati i miei Pokémon a difendermi dai Victory. Sarei stata io la guerriera. Ma sarei davvero riuscita a diventarlo?
«Eppure non sempre vi toccherà affidarvi al vostro corpo per attaccare. Avrete un aiuto non indifferente, ma anche qui, per una mera questione di punti di vista, molti ritengono una cosa da assassini essere in grado di maneggiare un’arma mantenendo il più assoluto autocontrollo.»
Dicendo questo, Sandra aprì il mantello. Attaccato alla veste in pelle molto aderente, che metteva in risalto il fisico tonico e sufficientemente muscoloso, c’era quello che aveva l’aria di essere un marsupio abbastanza grande, la cui tasca era su un fianco della bella donna. Istintivamente chiusi gli occhi non appena due baluginii metallici brillarono inquietanti in entrambe le mani di Sandra. Riaprii le palpebre con enorme sforzo pochi, lunghissimi secondi dopo, e mi sforzai di non guardare l’insegnante, ma il pugnale e la pistola che aveva uno in una mano e una nell’altra. “A me scivolerebbero di mano, ne ho talmente paura che non riuscirei a stringerli.”
«Le armi non sono una cosa da Victory Team. Ricordatevi questa frase» disse con enorme serietà. «Avere un mezzo in grado di difendervi e di farvi attaccare è un’esplicita richiesta per ogni guerriero, sia egli di una fazione o dell’altra. Non esistono tutte le distinzioni che credete tra Victory e Forze del Bene.» Ah, quanto si sarebbero mostrate veritiere le sue parole nei mesi e negli anni a venire, eppure in quel momento mi parvero così dolorose e assurde… «Questa parte del programma è abbastanza avanti, prima di tutto dovrete sottoporvi a costanti allenamenti fisici e psicologici che vi prepareranno anche a quest’esperienza. È una delle più dure ed è comune a tutti i ruoli che è possibile assumere: guerrieri, spie, esploratori, pure i tecnici prima o poi imparano a usare le armi. Ma nessuno sarà in grado di maneggiarle bene e seriamente quanto voi. Nessuno dovrà essere in grado di superarvi!
«Ve lo dico un’ultima volta: qui non si combatte per legittima difesa sperando di non dover ammazzare o, come minimo, tramortire qualcuno. Non vi si richiede di diventare macchine da guerra spietate, né di perdere la vostra umanità, perché in questo punto la nostra fazione è molto diversa da quella nemica. Se dovremo tendere una mano a qualcuno di cui, di norma, tenderemmo a non fidarci… non è detto che non dovremo farlo, ma certo ci vorrà molto impegno da entrambe le parti. Ma ragazzi, vi chiedo per favore di prendere atto di cosa avete deciso di fare. Non siete più nell’Accademia di turno, io non sono una professoressa: sarò la vostra guida in un ambiente teso e voi farete l’abitudine al pensiero della guerra, ma soprattutto a quello della morte. Sono finiti i giorni degli allenamenti Pokémon, ora siete voi a mettere la faccia in uno dei giochi più micidiali, complessi e spaventosi che esista. La guerra è nascosta agli occhi del mondo, ma ciò non significa che essa sia meno terribile solo perché le nostre armi non risplendono alla luce del Sole.»
Dopodiché ci fu una lunga pausa di silenzio. A malapena volli credere alle parole di Sandra, che avevano risposto a tutti i miei interrogativi sulla carriera che avrei intrapreso da quel giorno in poi. Aveva risposto anche a domande che non mi ero fatta e mi chiesi perché non me le fossi poste. Mancava solo una questione per la quale attendevo un’ultima risposta, ma arrivò con le successive frasi della donna, che chiusero il suo lungo, intenso, mortificante e terrorizzante discorso.
«Se volete darvi ancora del tempo per capire dove siete e cosa avete fatto per finire dentro tutto questo casino, va bene. Un periodo di assestamento è ovviamente consentito, non siamo bestie e voi non siete robot privi di sentimenti, l’ho detto. Ma non impeditevi di non confrontarvi con la realtà per tutti i giorni a venire, perché nel momento in cui il mondo là fuori vi ferirà, il danno che riceverete sarà infinitamente più grande di quello che avrete se vi abituerete alla situazione in cui siamo. E badate, “là fuori” non ci sono solo i Victory e la guerra tra noi e loro. C’è tutto un mondo crudele e veramente spietato, sempre più disumanizzato, da cui dovete guardarvi le spalle, oltre ai nemici principali che abbiamo. Di modi per usare quel mondo come arma ce ne sono, e sia noi che i Victory li conosciamo. Ora però sto divagando» abbassò un po’ la voce. «Quindi vi devo porre alcune domande per farmi capire il livello di ogni singolo individuo e trovare quello generale di questo nuovo gruppo di guerrieri.»
Il gruppo si sciolse, sparpagliandosi per tutta la sala in gruppetti di amici. Il basso chiacchiericcio aveva decisi toni preoccupati, se non avviliti. La maggior parte delle persone, comunque, erano del tutto ammutolite, tra cui me, come c’era da aspettarsi. Trovai la confortante compagnia di Ilenia, Daniel, Cynthia e Lorenzo, ma la loro presenza familiare non servì a farmi stare meglio, tanto erano state laceranti le parole di Sandra.
«Adesso vi chiederò in maniera approfondita se avete buone conoscenze in materia di lotta!»
“Sentire ancora la sua voce mi sta seriamente straziando” pensai, “perché… eh sì, ormai la associo a quanto di crudo e terribile c’è in questa guerra, che per un anno intero ho finto di non vedere… e adesso? Mi darò ancora del tempo per ammettere e riconoscere la realtà, con il rischio di non riuscire mai a uscire dalla nuova campana di vetro nella mia testa… oppure mi sforzerò di accettare ciò che mi sta succedendo nel modo più veloce possibile, per quanto esso possa rivelarsi doloroso? Non lo so… ho ancora così tanta paura…”
Così Sandra fece il giro dei gruppi e chiese le stesse cose ad ognuno. Io, con un mormorio, risposi che non ero assolutamente capace a combattere, non avendo mai ricevuto lezioni, e questo bastò a farle capire il livello a cui mi trovavo - ovvero a nessuno. Daniel disse di aver praticato per parecchio tempo arti marziali e di aver fatto qualcosa anche all’Accademia, così come Lorenzo, che però le aveva esercitate molto più seriamente e a lungo; Cynthia era priva di qualsivoglia tecnica di combattimento ma, in compenso, aveva l’aria di possedere abbastanza forza in corpo per buttare a terra con un colpo ben assestato chiunque la infastidisse. Ilenia, come me, non aveva mai praticato nessuno sport che si avvicinasse ad una lotta corpo a corpo. “Almeno lei…”
Dopodiché Sandra esaminò i nostri Pokémon, operazione che le richiese il resto della mattinata e che proseguì nel pomeriggio, occupando tanto di quel tempo che ci liberò solo poco prima di cena.
«Una cosa che non vi ho detto è che ora potreste tranquillamente dare via il vostro Pokédex.» Lo disse con enorme serietà, anche se all’inizio credevo che scherzasse; ma Sandra, a quanto pareva, non era affatto il tipo che si preoccupava di alleggerire la tensione. «Non mi interessano, e non interessano nemmeno alle altre guide che avrete oltre a me, le sciocchezze che segna a proposito della vostra squadra di Pokémon. Livello, statistiche, punti esperienza… tutto questo è irrilevante. Un Pokémon, allo stesso modo di un umano, non si misura attraverso una tabella generalizzata per tutti quelli della sua specie. Non fatevi trarre in inganno dai limiti che il Pokédex vi impone, non esiste un dannato livello 100 dopo il quale finisce la crescita del Pokémon! Se non fosse per le utili descrizioni che fornisce su una specie, davvero sarei tentata di obbligarvi a buttarlo!»
“Angelica è andata a fare l’hacker dai tecnici, quindi posso chiederle di disattivarmi questa funzione” pensai distrattamente. «Così come» proseguì Sandra, «non esiste un limite di quattro mosse. Andiamo! Volete ancora pensare che in guerra bisogni attenersi a sole quattro mosse per Pokémon, come se si dovesse mostrare la propria abilità come Allenatori? Siete guerrieri e lo saranno anche i vostri compagni, che dovranno avere un’ampia gamma di mosse a disposizione. Ora basta con questi limiti artificiosi, non dovete andare a fare la sfilata alla Torre Lotta, dovete far fuori i Pokémon iperallenati dei Victory usando più di quattro mosse!»
Quello non mi dispiaceva affatto. La storia dell’amnesia momentanea dei Pokémon, che parevano dimenticare di aver saputo eseguire un attacco per sostituirlo con un altro, non mi aveva mai convinta del tutto, ed ero ben felice di poter annunciare alla mia squadra che finalmente potevano smettere di recitare quel teatrino per fare sfoggio di ogni mossa conosciuta. Quella fu, probabilmente, l’unica notizia positiva della giornata.
A pranzo stetti ancora con Daniel e gli altri. Parlottavano sommessamente e non cercai nemmeno di inserirmi nella loro conversazione, chiedendomi dove trovassero argomenti di cui parlare e pure come avessero voglia di farlo, tanto mi aveva turbato l’approccio al corso di combattimento - se quello era il preludio al corso, non volevo osare immaginare come avrebbero potuto essere le vere lezioni. Quella mattina avevo ammesso con me stessa di non avere il coraggio di chiamarmi “guerriera” e già ero costretta a farlo.
Probabilmente Cynthia e Lorenzo, con cui avevo meno confidenza rispetto agli altri due, finsero di non notare quanto fossi mogia e taciturna. Daniel ogni tanto mi lanciava occhiate eloquenti e capii che il suo sforzo di parlare era immane; Ilenia, prima che tornassimo nella sala dove ci aspettava Sandra per passare un intero pomeriggio con lei, mi fermò in disparte e mi chiese, retoricamente, se qualcosa non andasse.
Sospirai. «Mi sembra che vada tutto male. Sandra mi ha messa davanti alla realtà che ho sempre finto di non vedere. In questi giorni mi sono fatta parecchie domande sul destino della guerra e sui ruoli dei Victory e delle Forze del Bene, compensando il fatto che per tutta la permanenza in Accademia io non me ne sia posta nemmeno una, ingenuamente… lei ha risposto a tutte quante, ma dentro di me speravo che non fosse così forte questo inizio. Ho paura di tutto quello che potrebbe essermi richiesto di fare… a parte le armi, che sarà una fortuna se non scoppierò a piangere solo a toccare una pistola, ma con l’allenamento fisico io ho sempre fatto ridere, per quanto sono impacciata e… inetta. Non so nemmeno se andrò bene con i Pokémon, a questo punto.»
«Hai ammesso tu stessa che ora vedi tutto grigio. Ma non demordere quando ancora devi cominciare, Ele, non ha senso lasciar perdere senza nemmeno provare. Io ho meno paura di te perché ci sono degli anni a separarci e ho avuto il tempo di maturare il mio carattere ed il mio coraggio. Sono certa che Sandra sappia che molti di noi hanno paura anche solo di provare, credendosi totalmente inadatti al ruolo che per tanto tempo hanno sognato, e quindi farà di tutto per far capire a te, e a chi come te, che arriverete allo stesso livello di quanti, magari, hanno già un po’ di esperienza alle spalle. Penso che impedirà con tutte le sue forze che qualcuno si tiri indietro per paura. Ora però promettimi che metterai tutto il tuo impegno in ogni cosa e che ignorerai i tuoi timori!»
Riuscii a rispondere solo con un sorrisino impaurito all’espressione radiosa e comprensiva di Ilenia. «Va bene.»
Nel pomeriggio Sandra proseguì con i vari controlli alle squadre Pokémon. La aiutarono i suoi Dragonite e Kingdra a farlo: ognuno dei membri della mia squadra si misurò con i suoi draghi eccelsi, senza puntare al K.O. dell’avversario, mentre la donna si appuntava qualcosa su un blocco note. Mi chiesi cosa avesse scritto su di me e se fossi paragonabile agli ottimi livelli di Ilenia e degli altri. Fui tentata di lasciarmi sfuggire di nuovo un sospiro.

Le giornate passarono, inizialmente con immane lentezza, poi sempre più frettolosamente. Non mi incontravo più molto spesso con Chiara, ormai la mia compagnia era costituita dalla gente del mio gruppo e lo stesso valeva per lei, che stava per la maggior parte del tempo - anche fuori dagli orari del corso - con le altre aspiranti spie.
Furono l’ansia e la paura a rallentare la corsa delle lancette di ogni orologio per le prime settimane, eppure non potei fare a meno di riconoscermi non pochi miglioramenti. Avevo avuto moltissima paura a cominciare con la lotta corpo a corpo, sia perché temevo di fare brutta figura rivelando la mia inettitudine sia di fare del male a qualcuno, nonostante fossi la prima a dirmi che non ne sarei mai stata in grado. Almeno i ragazzi più grandi, che come me non avevano mai fatto alcuna esperienza nel campo, incontrarono maggiori difficoltà - tra cui Ilenia - a sciogliere il proprio corpo e a conoscere la forza che esso aspettava solo di riuscire a mostrare.
Con l’allenamento giornaliero, per lunghe ed estenuanti ore con pochissime pause, i miglioramenti erano forse inevitabili, e io fui ben felice di non rappresentare un’eccezione. Almeno un intero periodo della giornata per ogni dì mandato dal cielo era dedicato all’allenamento fisico, e quel periodo in genere superava abbondantemente le quattro ore. Non divenni agile e sciolta come una ginnasta ma non era quello a cui un guerriero doveva aspirare. Le cose che importavano veramente non erano quelle, ma saper assestare colpi precisi e sapersi pure difendere da un nemico più abile nel combattimento, aumentando di conseguenza le proprie capacità.
Rimpiansi, i primi tempi, di non aver mai praticato arti marziali da bambina, perché con l’adolescenza avevano iniziato a piacermi tantissimo e temevo di non avere più i mezzi per impararle. Alcune settimane dopo non provai più alcun rimorso, perché avevo recuperato tutto il tempo perso nel passato. Era sfiancante allenarsi ogni giorno, anche facendo cose ripetitive, noiose, stancanti; soprattutto se i primi tempi mi pareva tutto impossibile e la promessa dei miglioramenti la ritenevo irraggiungibile. Ma fui costretta a dirmi, non senza un bel po’ di compiacimento, che di progressi ne avevo fatti tantissimi, anche a forza di sentirmi strillare incitazioni non troppo delicate nelle orecchie da Sandra e compagnia.
Combattere mi piaceva davvero e non era più una cosa legata strettamente alle lotte Pokémon: migliorando le mie capacità, trovai anche del piacere nel confrontarmi con i miei compagni e a vedere quanto fossi diventata più temibile, in un certo senso. Ridacchiavo ancora con un po’ di imbarazzo, ma anche orgoglio, quando Daniel iniziò a dire di temere i miei scappellotti. Ogni tanto ero riuscita a mandarlo al tappeto, nonostante lui fosse teoricamente più bravo di me, e la cosa mi aveva resa molto orgogliosa.
La corsa e il combattimento divennero le mie discipline preferite: correvo per svuotare la mente e fare a gara con me stessa, sentendomi sospinta da un vento favorevole e ardente di voglia di mettermi alla prova; lottavo per misurarmi con le altre persone e faticavo a nascondere la gioia quando riuscivo a superare qualcuno. Lorenzo, che doveva essere stato cintura nera in qualche disciplina, e Cynthia, piena di forza e scattante come una molla, erano ancora un problema per me, perché non riuscivo a superarli - presi loro come esempi in particolare, ma molti altri dei miei colleghi guerrieri erano più esperti e bravi di me; comunque ero sicura che anche loro non mi sottovalutassero più, perché più volte avevo sogghignato nel vedere il viso di Cyn contrarsi in un’espressione seccata e, una volta tanto, seriamente impegnata nel cercare di capire le mie mosse. Poi magari poco dopo mi buttava a terra con uno spintone ben misurato, ma già era un buon risultato, per me, metterla in difficoltà.
Imparare ad usare le armi era ancora un obbiettivo lontano, fortunatamente, perché probabilmente quello sarebbe stato davvero un grande ostacolo nella mia crescita come guerriera. Prima dovetti imparare ad allontanare la soglia del dolore: ero sempre stata parecchio sensibile, ma a forza di ricevere pugni e calci durante i giornalieri combattimenti di lotta corpo a corpo, la pelle si indurì e mi vidi costretta a imparare a restituire il favore. Fu così che migliorai, oltre a ricevere gli insegnamenti di Sandra, mio punto di riferimento come maestra, e degli altri che ci allenavano. Quando incassavo un colpo più forte, mi salivano le lacrime agli occhi e mi sfuggiva un gemito, non essendo abituata ad essere attaccata in quel modo; la volta successiva facevo di tutto per impedire che venissi colpita una volta ancora a quel modo e mi costringevo ad assorbire il dolore come una spugna, fingendo di non sentirlo. Alla fine era più una questione psicologica che fisica.
Dopo qualche tempo decisi che non volevo più accontentarmi di mettere in difficoltà gli avversari e che volevo mirare alla vittoria in ogni occasione, senza pormi alcun limite. Feci di tutto per migliorare ancora, finché non divenni veramente brava e padroneggiai ogni mossa con sicurezza che mi era stata insegnata dai maestri, o dall’esperienza, imitando i miei compagni e misurando la mia forza.
Il mio umore fece un salto di qualità grazie alle soddisfazioni che stavo ricevendo: anche la mia squadra stava facendo progressi affatto indifferenti e, così come potei confrontarmi senza più avere paura dei ragazzi più grandi, come Cynthia e Lorenzo, con gli stessi potei dare prova di essere diventata anche una brava Allenatrice, oltre ad essere una vera guerriera - talvolta quel termine mi straniva ancora un po’, comunque. Accettai con naturalezza il fatto di essere in guerra e scoprii di voler combattere davvero, pur essendomi concessa un mese abbondante per farlo - lo stesso mese che mi ci volle per maturare la mia bravura e il mio carattere.
Divenni più spavalda e per certi versi scontrosa, non solo sfrontata, nel senso di non farmi più alcun problema a battibeccare con qualcuno per qualcosa e non temendo le conseguenze delle mie parole. A tal proposito però dovetti darmi una bella calmata, perché andava bene che fossi diventata più tosta e intraprendente, sicura di me e senza più bisogno dell’appoggio altrui per muovere un passo; ma dovetti smettere di stupirmi se, dopo qualcosa di indelicato detto da me, le occhiate che ricevevo non erano propriamente amichevoli.
Non mi definivo vivace né allegra, di certo non ero spensierata, perché di cose su cui rimuginare ne avevo in buona quantità. Essere diventata oggettivamente brava nel combattimento e con i Pokémon non significava che fossi sempre soddisfatta di come andavano le mie giornate. La pesantezza della guerra era onnipresente e pure questo mi dava molto su cui riflettere, anche se molto più spesso quel pensiero si trasformava in voglia di fare e di migliorare per dare prova al mondo che mi circondava di essere pronta ad ogni eventuale pericolo.
Eppure ricevetti una grossa delusione quando arrivò l’anno nuovo e gli allenamenti obbligatori finirono - quelli che sarebbero succeduti non sarebbero stati, per la maggior parte, a frequenza obbligatoria e i singoli individui potevano decidere se seguirli o meno. Io di certo l’avrei fatto almeno per non perdere la mano.
Ma prima di pensare a questo ero nell’ufficio di Bellocchio, pronta a sbraitare contro il vertice delle Forze del Bene, inviperita com’ero dopo aver ricevuto la notizia che la mia prima missione si sarebbe limitata al dover accompagnare un gruppetto di esploratori in cerca di una base nemica a Kanto. «Questo non è proprio giusto! Mi sono allenata per mesi interi e ho fatto certi miglioramenti che non mi si riconosce più! Se sono una guerriera non è fare una gita nel Monte Luna il mio obbiettivo, ma combattere con tutte le armi che ho!»
«Cos’è, fai i capricci?» chiese freddamente ironico Bellocchio, inarcando le sopracciglia poco folte. Mi morsi un labbro, indispettita. “Avrò pure esagerato con i toni, ma questa è proprio un’ingiustizia!” «Non hai abbastanza esperienza alle spalle per prendere parte ad una missione nel vero senso della parola. È la prima che fai e bada a non farla diventare l’ultima con i tuoi scatti d’ira. Se questa andrà bene e anche i prossimi allenamenti a cui prenderai parte faranno confermare ai tuoi insegnanti la tua bravura, allora presto otterrai nuovi incarichi… che spero saranno più soddisfacenti per te.»
Continuavo a guardarlo male, sapendo di essere insolente ed arrogante, troppo irritata per ciò che era successo e pure per i suoi toni, per me molto offensivi. «Comunque, se continui su questa lunghezza d’onda e nemmeno ti premuri di portare rispetto ai tuoi superiori, non c’è molto che si possa fare e ti verranno sempre affidate missioni di infima importanza, anche se è tutto relativo, visto che pure quella a cui prenderai parte potrebbe rivelarsi molto utile ai nostri fini. Soltanto perché non vai a menarti con qualche recluta Victory rischiando di rovinare tutto e di morire, Eleonora cara, non significa che il tuo ruolo sia stato sottovalutato. I progressi che hai fatto mi sono stati comunicati da Sandra e non sei stata l’unica del tuo gruppo a imparare a combattere decentemente partendo da zero. Ma almeno a nessun altro è partita la brocca perché non va a misurarsi con un Comandante.»
“Vallo a dire a qualcun altro che sa combattere perlomeno decentemente, ché se mi parte la brocca come dici tu allora sono dolori!” avrei voluto rispondere, ma continuai a mordermi il labbro inferiore - non mi sarei stupita se avesse iniziato a sanguinare - per trattenermi. “E poi perché continui a provocarmi? Speri di sentirti mandare a quel paese e di poter annullare la mia missione e tutta la mia carriera nelle Forze del Bene? Come se ti potessi permettere di perdere un elemento a cui affidare un incarico!”
«Con chi andrò?» chiesi con voce sorprendentemente atona.
Bellocchio mi guardò intensamente per un paio di secondi, forse sospettoso nel non vedermi irritata come prima, poi si degnò di rispondermi: «Il tuo capogruppo si chiama Lorenzo ed è un combattente anche lui. Ci sarà Gold, il tuo amico, e Camille, una spia. Infine un esploratore, Mark.»
Un po’ mi sorpresi di essere in un gruppo con tutte persone conosciute, a parte quel Mark. «Va bene» dissi.
«Partirete tra due giorni, quindi ti consiglio di ultimare i preparativi e di parlare anche con Lorenzo, che ha le redini della missione. Tu, lui e Gold siete i più abili del gruppo con i Pokémon, quindi dovrete fare da spalla agli altri due che completeranno la missione in sé, essendo più esperti nel campo dell’esplorazione e della ricerca. È tutto chiaro?» mi chiese. Mi parve un po’ meno freddamente arrabbiato per la mia insolenza.
«Sì, tutto chiaro. Scusi per prima.» Pronunciai quelle parole con enorme sforzo, solo perché volevo rimediare ai danni fatti per non impedirmi di avere in futuro la possibilità di partecipare a missioni un po’ meno relativamente semplici. Bellocchio non rispose niente in particolare, ma annuì, fortunatamente più rilassato, e mi congedò.
Uscita dalla porta fui tentata di sferrare un pugno contro la parete, mentre ardeva in me il desiderio di mostrare che ero un elemento valido e che non dovevo essere frenata con missioni di livello più basso. Di quello si trattava e la mia rabbia bruciava a causa di quello. “Quindi, Bellocchio, vuoi vedere se Sandra e compagnia hanno fatto un buon lavoro con me?” ringhiai nella mia mente. “Allora ti pentirai di non avermi inserita in un gruppo destinato ad una missione più importante, perché ti dimostrerò quanto io sia migliorata!”
Ero ferita nell’orgoglio e quella botta di egocentrismo non era il massimo, avrei dovuto decisamente darmi una calmata. Ma in quel momento nemmeno me ne accorsi, tanto ero presa dai miei pensieri. Bellocchio mi stava mettendo alla prova ma io ancora non potevo capirlo, e mi sentii molto ostile nei suoi confronti. Ero sempre stata ribelle quando si trattava dei rapporti con l’autorità di turno, e lui non avrebbe rappresentato, men che meno in futuro, un’eccezione.





Capitolo II - Rivisto nei giorni 8, 10 e 11 di ottobre 2015. Istinto naturale  Il vento del cambiamento. 




Angolo ottuso di un'autrice ottusa
Questo capitolo l’ho dovuto riscrivere daccapo, era fatto proprio male. Non so come descriverlo se non così, era brutto davvero e mi è dispiaciuto dovermi ricredere
 a proposito di questa seconda parte, le mie aspettative erano più alte. Trattava in maniera ridicola, tanto era superficiale, tematiche delicatissime ed emozioni forti per i personaggi che per la prima volta si confrontavano con esse. Sono contenta di aver deciso di dedicare del tempo anche alla revisione di questa parte, perché mi sono accorta di quanto io sia migliorata come autrice. Ricordavo molto più positivamente questi capitoli di NTSS2 ma ho capito quanto fossi ancora immatura e di strada ne avessi ancora da fare, molta più di quanta ne abbia adesso. Non so cosa penserò del mio attuale modo di scrivere tra un anno e altri mesi, più o meno lo stesso tempo che è passato dalla stesura di NTSS2 alla sua revisione. 
Comunque questo capitolo era talmente bestiale che dovrei ricopiarvelo tutto, ma sarò clemente e non vi vesserò. Solo questo: “Viva le vacanze che mi consentono di scrivere velocemente.” mannaggia alle vacanze che le (mi) permettevano di diffondere questi scempi
A presto!
Ink

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Capitolo 4
*** III - Il primo addio ***


III
Il primo addio
 
«Allora… ci siamo tutti? Siete pronti?»
Ero nell’ingresso della base segreta insieme al resto del gruppo. Lorenzo, il capo della spedizione, era visibilmente emozionato e preoccupato: dover badare a quattro ragazzi più piccoli doveva essere una grande responsabilità. Per terra c’erano svariati borsoni al cui interno erano piegati ordinatamente tende e sacchi a pelo: in teoria stavamo andando in campeggio al Monte Luna per un paio di giorni, in pratica dovevamo confermare la presenza di attività nemiche in quella zona.
«Bene» disse Lorenzo dopo aver ricevuto il consenso generale. «Allora andiamo. Preparate i vostri Pokémon.»
Percorremmo lo stretto, buio, umido corridoio che conduceva dall’entrata della base fino alla stanza piena di foschia del Monte. Ci spostammo a tentoni nella nebbia, poi tramite le altre sale arrivammo all’uscita dalla parte di Memoride. Accertandoci che nessun esploratore o montanaro curioso fosse nelle vicinanze, grazie a un dispositivo di rilevamento che Camille indossava come un orologio, ci librammo in volo: io su Altair, Gold sul suo Dragonite, Lorenzo su Salamence, lo sconosciuto Mark con un Unfezant e Camille con Talonflame. Ci avremmo impiegato parecchie ore solo per arrivare a destinazione ma non potevamo permetterci di spostarci più velocemente in aereo o in treno: eravamo però abbastanza fortunati, Sinnoh era appena più a nord di Kanto. Nei giorni precedenti, in cui ci eravamo dedicati ai preparativi, avevo fatto in modo che Altair e Diamond riposassero e fossero pronti per volare a lungo, come mai avevano fatto prima - avere due Pokémon Volante era spesso di grande aiuto. I borsoni li portavano Salamence e Dragonite, più forti e robusti, mentre i volatili si erano caricati gli zaini più leggeri.
Durante il viaggio fummo tutti abbastanza silenziosi, in tensione - era la prima missione per tutti, ma gli altri qualche parola se la scambiarono. Io non riuscivo a non mostrare la frustrazione di essere stata sottovalutata a quel modo, quando avevo dato il massimo pur di avere la possibilità di vedermi affidata una missione che fosse degna di portare quel nome, sprizzando da tutti i pori energia e combattività da quando avevo smesso di avere inutili preoccupazioni sulle mie abilità, che da scarse e quasi inesistenti erano diventate ottime, al pari di quelle dei miei “colleghi”. Ancora mi bruciavano le parole di Bellocchio - aveva detto che sapevo combattere decentemente.
Sbuffai seccata nel tentativo di buttar via con il respiro tutto il mio rancore, ma inutilmente. Altair era mogia e nei giorni precedenti anche Aramis si era dimostrato molto irritato per il mio atteggiamento. Sapevo di sbagliare, ma non riuscivo a mettermi l’anima in pace - nemmeno lo volevo, sinceramente. Ogni tanto chiedevo ad Altair se stesse bene, se avesse bisogno di fare a cambio con Diamond, ma mi rispondeva sempre con toni rassicuranti e tranquilli che per un po’ calmavano le mie emozioni negative. Ero comunque talmente indispettita e offesa che nemmeno ero in ansia per quella spedizione: non mi resi conto di starla sottovalutando, stupidamente.
«Ehi, Lorenzo.» Altaria si avvicinò a Salamence. «Tu sei un combattente. Hai esperienza come esploratore?»
«Un po’ sì» rispose, schiarendosi poi la voce roca: era molto teso. «Altrimenti non mi avrebbero affidato questa missione, immagino. Comunque Mark dev’essere preparato; così mi hanno detto. Sarà di grande aiuto.»
Non risposi, se non con un distaccato cenno d’assenso. Il viaggio proseguì senza intoppi e qualche nuvolaglia o banco di nebbia ci nascondeva alla vista di eventuali escursionisti o montanari - per tutto il tempo sorvolammo le montagne, che dopo essersi biforcate in due catene culminavano da una parte nel leggendario Monte Argento, dall’altra si riabbassavano fino al Monte Luna, che era poco più che una collinetta. Altaria sembrava non accusare nessuno sforzo e resistette fino a sera, quando ci accampammo sbrigativamente su una piccola cima laterale poco più a nord rispetto alla nostra meta. Con l’aiuto dei Pokémon accendemmo il fuoco e ci sentimmo abbastanza sicuri di lasciarli liberi di scorrazzare per il piccolo altopiano in cui ci trovavamo. Lorenzo decise di rompere il ghiaccio, conscio di quanto fosse palpabile la tensione nel gruppo. «Allora… come vi sentite?»
Sommessamente rispondemmo che eravamo piuttosto emozionati - Lorenzo mi scoccò un’occhiata eloquente, capendo che il tono con cui parlai non era affatto “emozionato”. Gold era impaziente di iniziare, voleva assolutamente sapere se ci sarebbe stato bisogno dell’intervento di noi combattenti, alché cercai invano di aggregarmi al suo sincero entusiasmo. Continuammo a chiacchierare per un po’ del più e del meno; quando iniziammo ad accusare la stanchezza e la scomodità del viaggio con poderosi sbadigli, Lorenzo decise di spiegarci nel dettaglio gli obbiettivi della spedizione prima di andare a dormire. «Come già saprete, in primis dobbiamo confermare la presenza di attività nemica nelle zone circostanti al Monte Luna, e per farlo abbiamo a disposizione degli apparecchi che sicuramente Camille e Mark conosceranno meglio di me» sorrise - in modo un po’ tirato.
Camille sorrise appena alla vista di una specie di tablet che Lorenzo aveva tirato fuori da uno zaino. «Questo rileva la presenza di persone tramite infrarossi, quindi se un nemico si è reso invisibile sarà possibile individuarlo. Vedete quella specie di fotocamera sul retro? È più grande di quella di normali tablet, infatti è grazie a quella che funziona. C’è anche un paio di occhiali, apparentemente da vista, con la stessa funzione. In quella borsa dovresti avere, tra le altre cose, anche un Ricerca Strumenti potenziato, molto preciso, in grado di trovare oggetti potenti o pericolosi. Potrebbe segnalarci, non so, cose come l’Adamasfera e la Splendisfera… Dobbiamo tenere gli occhi bene aperti e affidarci ad esso, il nemico potrebbe aver camuffato oggetti pericolosi e potremmo non accorgercene.»
«Capito» mormorò Lorenzo. Aveva tirato fuori dal suo zaino lo strumento di cui parlava lei, che somigliava ad una chiavetta USB. Camille gli disse di inserirlo in una delle entrate del PokéKron che aveva al polso e, appena lo fece, il ragazzo inarcò le sopracciglia piacevolmente sorpreso. «Non ho mai visto una mappa così piena di dettagli. Di sicuro troverà facilmente ogni cosa che eventualmente ci servirà…»
Camille gli diede istruzioni per gestire la funzione del Ricerca Strumenti e Lorenzo trovò la lista degli strumenti reperibili da quella cosina apparentemente insignificante. «Le iconcine sono comuni a più oggetti, poi però accanto ci sono sequenze di numeri che sono diverse per ogni cosa, credo. A giudicare dall’aspetto delle icone, saremo in grado di trovare sia sostanze sospette che oggetti dalla portata distruttiva - la generica sigla TNT mi sembra abbastanza chiara, ecco. Il raggio della mappa comprende numerosi chilometri attorno a noi.»
Seguì qualche istante di silenzio, poi Mark chiese: «E poi cosa dobbiamo fare? Oltre a dover rilevare la presenza nemica e, non ho capito, guardare se ci sono oggetti che ci insospettiscono?»
«No, non dobbiamo trovare niente. Semplicemente, se così si può dire, dobbiamo avere l’esatta posizione della base del Team e una descrizione accurata della sua struttura da inviare ai nostri, che poi procederanno con qualche piano per distruggerla o per mandare a monte tutti i loro progetti, almeno. Abbiamo tre giorni come minimo per fare tutto» rispose il capo della spedizione. Poi chiese: «Come stanno i vostri Pokémon? Sono in forma?»
Annuimmo tutti all’unisono. Gli descrivemmo un po’ le nostre squadre e indicammo i compagni più forti: io ero molto sicura delle capacità di tutti ma ero riluttante per Altair, che non volevo si stancasse troppo perché mi serviva per volare. Gold aveva Pokémon altrettanto forti - Dragonite, Blastoise e Typhlosion in primis. Camille contava su Talonflame, Delphox, Pangoro e Doublade e pure Mark era messo bene. I Pokémon di Lorenzo erano Salamence, Torterra, Scizor, Breloom ed Excadrill: davano l’idea di essere aggressivi e bellicosi ma in fondo erano dei bonaccioni. O almeno, quando non si lottava, altrimenti difficilmente si arrendevano all’avversario.
«Qual è il tuo sesto Pokémon?» gli chiesi. Non lo avevo mai visto in quasi un anno e mezzo che ci conoscevamo.
«Uno dei migliori sulla faccia della Terra» ammiccò lui. Inarcai le sopracciglia sorridendo in maniera beffarda, ma non insistetti. Ci sistemammo nei sacchi a pelo mentre facevamo rientrare i Pokémon nelle loro sfere.
Faceva davvero freddo, avevamo tutti talmente tanti indumenti addosso che i nostri movimenti erano goffi e impacciati. Dopotutto, erano i primi di gennaio: i dintorni erano sepolti da un manto bianco di neve, la quale ci aveva rallentato un po’ anche durante il viaggio. Lorenzo aveva comunicato i “progressi” della missione in un videomessaggio alla base segreta appena arrivati nell’altopiano. Gli altri si addormentarono quasi subito; io non ero più abituata alle temperature fredde da quando non vivevo più a Nevepoli e dormire all’aperto non mi era mai piaciuto, così mi ci volle un po’ per trovare la posizione adatta e la voglia di addormentarmi - quella spedizione si stava dimostrando sempre più una dannata costrizione e già non vedevo l’ora che finisse.
Mi svegliai nel cuore della notte, a disagio e ancora stanca, quando sentii un gelo pungente sul viso. Nevicava; i miei compagni si stavano nascondendo nel sacco a pelo fin sopra la fronte per proteggersi dai fiocchi fastidiosi. Il ricordo della mia città natale sfumò presto appena il mio viso cercò riparo nel sacco a pelo: ero veramente troppo occupata da altri pensieri per farmi rapire dalla nostalgia.
 
La mattina dopo Lorenzo ci svegliò di buon’ora. La nevicata ci aveva bagnato tutti i capelli e i sacchi a pelo e la cosa non fu esattamente un bel buongiorno. “Appena torno alla base segreta chiederò se è possibile rinunciare ad una missione per scegliersene un’altra.”
Lorenzo non era turbato come il giorno precedente. A turno ognuno di noi, prima di ricominciare la giornata, andò in un posticino appartato per sistemarsi e provvedere ai propri bisogni di ogni tipo, possibilmente in compagnia di un Pokémon Fuoco; io mi dovetti accontentare del timido Lanciafiamme di Altair, alla quale l’avevo insegnato solo perché ormai potevo lasciarle apprendere tutte le mosse che desiderassi.
Quando fummo tutti pronti, Lorenzo si mise a parlare. «Mark, tu hai studiato bene la struttura del Monte Luna come compito per questa spedizione. Devi metterti questo,» gli porse una specie di auricolare, «che sarà collegato ai nostri: tutti noi ne saremo provvisti ed ha un microfono piuttosto potente, anche se a vedersi non si direbbe» descrisse Lorenzo. Infilai l’auricolare e me lo tolsi subito quando la voce squillante di Mark rimbombò nel mio orecchio, facendomi sobbalzare, mentre affermava di aver capito. Con un telecomando tirato fuori dalla sacca in cui fino a poco prima erano contenuti pure gli auricolari, Lorenzo ci fece la gentilezza di abbassare il volume di tutti quanti. Proseguì: «Oggi entrerai nel Monte Luna insieme a Gold e Camille; tu e lei cercherete la base nemica, Gold vi proteggerà in caso di pericolo. Avrete una mappa cartacea del Monte e alcuni degli apparecchi che abbiamo visto ieri, tra cui il Ricerca Strumenti potenziato e il rilevatore ad infrarossi di presenze non visibili.
«Eleonora, io e te guarderemo le spalle a loro: per oggi ci limiteremo a fare questo. Saremo anche noi nel Monte ad una certa distanza da loro tre. Accorreremmo in aiuto in caso di bisogno. Tieni strette le sfere che ti servono ma evita di usare i Pokémon, potremmo dare nell’occhio e se fosse possibile non farlo sarebbe meglio.» Annuii. «Oggi ispezioneremo nel dettaglio la zona e ci toccherà farlo, sicuramente, anche domani. Per il terzo giorno speriamo di aver accertato la posizione della base nemica, così potremo tornare al Monte Corona e riportare le informazioni ottenute. Ad ogni modo, grazie a questi…» distribuì ad ognuno di noi sei braccialetti, «avremo modo di tenerci in contatto a distanza. Il primo tasto sul bracciale chiama me, gli altri, in ordine, Mark, Eleonora, Camille e Gold. I bracciali, che al loro interno hanno dei microfoni, sono collegati agli auricolari.»
Dopodiché prese altri strumenti, che avevano l’aspetto di mezziguanti. Sui dorsi erano posti degli schermini, sorprendentemente flessibili; cinque puntini rossi spiccavano sullo sfondo dal disegno impreciso, poiché conteneva solo la mappa del Monte Luna. Erano le nostre posizioni. «Come fanno a rilevarci?» chiesi incuriosita.
«C’è un microchip nei nostri auricolari» rispose prontamente Camille. Annuii con poco vigore. Le conoscenze della ragazza mi parevano eccezionali; io, che come Gold e Lorenzo avevo passato gli ultimi mesi a mettere duramente alla prova il mio corpo e i miei Pokémon, non capivo niente di quelle cose. Non mi stupivo più se vi era una divisione tra i vari gruppi: gli argomenti in comune erano quasi inesistenti.
«Allora, siamo pronti?» chiese Lorenzo dopo aver dato qualche altra spiegazione.
Rispondemmo affermativamente all’unisono. Salii su Altair per prepararmi ad un’altra oretta di volo. Ora non vedevo l’ora di cominciare: finalmente si iniziava a fare qualcosa e non stavo più nella pelle. Il mio stato d’animo era piuttosto confuso: ora che stavamo cominciando iniziavo ad essere inevitabilmente preoccupata ma, dall’altro lato del mio carattere, che in quei mesi aveva conosciuto la sfrontatezza e una certa voglia di ribellarsi e di farmi fare di testa mia, avevo voglia di mettermi veramente alla prova combattendo non con i miei amici nella stanza per l’allenamento della base segreta, ma contro una recluta nemica in un territorio pieno di trappole. Il rischio mi dava brividi sia di eccitazione che di paura, i quali si mescolavano turbolenti preparando una scarica d’adrenalina. Ero animata pure dalla voglia di mostrare il mio valore e le mie capacità. Avevo creduto che il malumore non mi avrebbe lasciata in pace tanto presto ma ora mi sentivo molto più propositiva, anche se pensando all’idea di farmi una passeggiata per il Monte solo per guardare le spalle ad altri tre ragazzi non ero esattamente soddisfatta.
A metà mattinata - incontrammo qualche difficoltà con un’altra nevicata - atterrammo nella piazzetta principale del Monte Luna, che ospitava un laghetto famoso per la rituale danza notturna dei Clefairy.
«Il Monte è diviso in tre piani, ma non butterei via l’idea di un quarto piano segreto» mormorò Lorenzo. Indicò una casetta diroccata vicina alla pozza d’acqua - poiché si poteva considerare il laghetto solo alla stregua di uno stagno: «Quella casa è ufficialmente abbandonata. Prima era un Market aperto da mattina a sera, ma ormai non c’è più nessuno. Ad ogni modo è vietato entrarci, almeno per noi delle Forze del Bene.» Il ragazzo si accertò che i nostri Pokémon fossero ancora in forma, parecchio premuroso da quel punto di vista, e informò la base segreta - un tecnico pure faceva parte del nostro gruppo, in effetti, perché seguiva i nostri spostamenti fin da quando eravamo partiti - che stavamo cominciando la missione. Confermammo tutti il loro buono stato. Lorenzo inspirò profondamente e poi disse: «Bene, allora abbiamo visto tutto. Andiamo.»
Non potei evitare un brevissimo mezzo sorriso, dovuto sia al nervosismo che all’impazienza di cominciare. Di nuovo si faceva sentire quello strano mix di emozioni contrastanti. 
Scendemmo nel percorso 4 facendo attenzione a non mostrare i Pokémon, ma la zona davanti al Monte era praticamente deserta. Un laghetto là vicino era quasi totalmente ghiacciato, o meglio lo era in superficie. In alcuni punti, infatti, si riusciva ad intravedere il movimento di piccole onde, frusciando mosse dal vento. Mi avvicinai; ero insieme a Lorenzo, gli altri tre erano già andati più avanti. Poi qualcosa mi stupì tanto da farmi trattennere il fiato, sorpresa. “Allora siamo già all’interno di barriere!” «Ehi, che ci fai qui?» chiesi sottovoce ad un Horsea che era emerso, rompendo il ghiaccio sottile, e mi fissava con occhioni espressivi, apparentemente curiosi.
Per tutta risposta il Pokémon mi colpì con un Pistolacqua e si immerse nuovamente, accompagnando la sua fuga con quella che doveva essere, sicuramente, una risatina malevola. Io stavo fumando dalle orecchie e il getto d’acqua mi stava facendo patire parecchio freddo. «Ah, la metti così, eh?!» sbottai, chiamando Altair, che con il suo Canto addormentò Horsea non appena la testa fece capolino oltre il buco che aveva fatto nello strato superificiale di ghiaccio. Gli lanciai una Poké Ball e subito riuscii a catturare l’esserino: controllai il Pokédex. Era una femmina.
«Bene, era da tanto che volevo un Pokémon di tipo Acqua…» borbottai.
«Possiamo proseguire, Eleonora cara?» chiese Lorenzo con ironia.
«Ah, sicuro. Ho solo dato il benvenuto a una Horsea nella mia squadra» ribattei.
«Tu hai l’abitudine di dare soprannomi, no? Come l’hai chiamata?»
«Ehm… in effetti non lo so! Hai qualche idea?»
Lui ci pensò su qualche momento. «Che ne pensi di Saphira?»
«Ma certo!» esclamai. «L’hai preso da un libro, vero? L’ho letto anche io qualche anno fa…»
Così iniziammo a parlare della saga di draghi che era piaciuta tanto ad entrambi, come se ci fossimo dimenticati di essere in missione; ma tenevamo il tono di voce basso, sia per non farci trovare da nemici che per non disturbare il resto del gruppo. I tre davanti a noi proseguivano con lentezza, cautamente. Mark e Gold mi erano sembrati molto zelanti - e preoccupati - a forza di sondare ogni centimetro del territorio attorno a loro.
«Lorenzo, tu sei contento di far parte di questa… spedizione?» chiesi poco dopo che calò il silenzio.
«Non ce la fai a chiamarla missione, eh?» sorrise lui. Scossi la testa. «Non ti facevo così, Eleonora, pensavo che avresti pregato per avere una missione lineare e tranquilla come questa!»
«Le persone cambiano» dissi seccamente.
Lui continuò, fingendo di non badare al mio tono: «Se mai ti verrà affidata una missione, vedrai che farai di tutto per non farti assegnare qualcosa che vada al di là dell’esplorazione. Ti posso assicurare, devi credermi, che avere la responsabilità di altri quattro ragazzi e parecchio più piccoli di te… non è affatto uno scherzo. Ieri avrai notato quant’ero preoccupato!» Annuii. «Comunque, “contento” non è un modo adatto per descrivere qualcosa del genere… sono soddisfatto che si siano fidati di me fino a rendermi capogruppo già dalla mia prima missione, che non è una cosa da poco. Ma poi devo far vedere che non mi hanno valutato male, e se come vostro punto di riferimento faccio schifo… per me già si avvicina la fine della mia carriera.»
«Capisco» mormorai. «In effetti hai ragione, non ci avevo pensato. Se fossi al posto tuo mi sentirei esattamente come te, ma ritrovandomi a controllare una spia e un esploratore che facciano il loro lavoro…!» non finii la frase.
Lorenzo scrollò le spalle. «Non potevano assegnarti una missione complessa fin da subito, Eleonora. Tu vuoi far vedere che saresti in grado di sostenerla, ma come puoi sapere che ci riusciresti? Se compiti di questo tipo non ti danno problemi, nel giro di qualche mese ti manderanno a malmenare qualcuno, se vuoi fare questo.» Ridacchiai leggermente. «Comunque non è escluso che troviamo pane per i nostri denti di guerrieri anche in questi giorni!»
Le parole di Lorenzo furono molto utili. Quella prima giornata fu dedicata all’esplorazione del Monte Luna e già Mark e Camille, confrontando le mappe fornite loro con la realtà, trovarono passaggi di recente costruzione grazie ad alcuni degli apparecchi in nostro possesso. Evitarono di infilarsi in posti dove erano certi che ci fosse qualcosa di artificiale, magari un’entrata secondaria, limitandosi ad aggiornare le carte, almeno per quel giorno.
Il successivo ripetemmo pressoché le stesse cose, ma stavolta Gold si diede il cambio con Lorenzo che aiutò Mark e Camille. Ci dovemmo nascondere frettolosamente non appena udimmo un vociare sommesso. Le lezioni di mimetizzazione e simili svolte in quei mesi avevano dato i propri frutti: nonostante sentissimo chiaramente i suoni ripetitivi di rilevatori, sia lo scudo offerto dai nostri apparecchi che i nascondigli che trovammo ci diedero modo di veder correre all’esterno del Monte due reclute Victory, senza che quelle si accorgessero di noi. Guardando le loro belle tute grigie, nere, rosse e bianche mi chiesi come mai noi delle Forze del Bene non avessimo una divisa che ci distinguesse; imitavamo, anzi, quelle dei nemici quando dovevamo infiltrarci in basi Victory, e pure noi ce ne eravamo portate alcune nel caso in cui si fossero rivelate necessarie.
Alla fine del secondo giorno le mappe cartacee di cui eravamo in possesso erano state totalmente corrette da Mark e Camille, i quali dedicarono la serata a ridisegnare, su un supporto elettronico, la struttura interna del Monte Luna. I Victory avevano fatto un gran bel lavoro, a detta loro, di creazione di passaggi sotterranei o quasi invisibili, magari nascosti all’interno di una parete di roccia che era stata poi lavorata alla perfezione, finché essa non era parsa di nuovo una lastra compatta e impenetrabile. Invece, magari, i muri erano stati buttati giù in gran quantità, quando le apparenze ci mostravano il Monte Luna così come era sempre stato conosciuto.
Ci eravamo accampati ad un paio di chilometri dal Monte, più vicini rispetto all’altopiano su cui ci eravamo fermati il primo giorno. Lorenzo, la mattina del terzo, ci avvisò: «Oggi i programmi sono un po’ diversi, ne ho parlato con il tecnico che ci sta seguendo. Ci mancano ancora, stando alle probabilità calcolate dalla base, pochi passaggi da trovare, tra cui l’entrata principale. Abbiamo esplorato tutti i piani, in questi giorni, e ne abbiamo pure scovato uno sotterraneo. Di certo non sono lì gli accessi nascosti, ci hanno detto di controllare con più attenzione i piano più alto. Oggi le squadre sono così: io, Eleonora e Camille andiamo dentro e ce la rischiamo un po’ di più per sondare meglio il territorio; come al solito, Camille fa gran parte del lavoro mentre io ed Eleonora le copriamo le spalle. Mark e Gold, non entrerete con noi: vi apposterete da qualche parte e aiuterete Camille a distanza, con la nuova mappa sarà più facile per voi che per lei tenere d’occhio tutta la struttura del Monte. Intesi?»
Lorenzo diede qualche altra istruzione ma già non lo stavo ascoltando più. “Questo è l’ultimo giorno che devo passare qui, credo. Non è andata male, anche perché non ho dovuto fare praticamente nulla, perciò ho qualche speranza di poter aspirare a missioni che mi piacciano di più - o almeno spero! L’altro giorno ci siamo nascosti magnificamente, a detta degli altri; oggi i rischi sono un po’ più alti, ma se la situazione si complicasse e riuscissi a tenere i nervi saldi e a comportarmi bene… allora non devo avere nulla da temere.”
Un’oretta dopo avevamo ultimato i preparativi e io, Lorenzo e Camille stavamo entrando dall’ultimo piano del Monte. Prima che ci mettessimo a fare qualsiasi cosa, però, la rossa mi porse un paio di occhiali: la montatura era piuttosto grande, lucida e nera. «Non credo di averne bisogno» replicai, ma li presi comunque.
«Invece sì, ma non sono da vista, occhio di falco. Sono gli occhiali ad infrarossi che abbiamo visto pure l’altro giorno. Mettiti questo, ora» aggiunse, mettendomi al polso, nascosto sotto la manica del giaccone scuro che stavo indossando, un orologio digitale. Ma poi disse: «Non è un orologio; o almeno, non è la sua funzione. È collegato agli occhiali: se riveleranno una massa, ovviamente non visibile, quello la esaminerà e capirai se si tratta di un nemico, di uno dei nostri o di qualcosa di estraneo.»
Ero stupita come al solito; li inforcai mormorando un semplice “wow”. I miei due compagni soffocarono le risate nel vedermi portare d’un tratto gli occhiali. «Che c’è?» sbuffai, prendendomela un po’. «Sto così male?»
«No, stai carina» ridacchiò Camille. «Non siamo abituati a vederti con gli occhiali. Sembri una professoressa!»
Borbottai qualcosa di imprecisato, pensando che non mi piaceva affatto sentirmi indicare come una maestrina. Trovai un bottoncino sulla stecca di destra che attivò la funzione ad infrarossi; fui tentata di spegnerla quasi subito tanto mi diede fastidio quella visione dei dintorni. «Puoi anche tenerli sulla testa per un po’, se preferisci» suggerì Camille, notando il mio disappunto. «Se trovano qualcosa di strano, l’orologio emetterà un suono mentre elabora i dati. Ovviamente per “strano” si intendono umani o Pokémon, qualsiasi essere animato, insomma.»
Iniziai a tenere gli occhiali per un minuto sì e uno no, sperando che fosse abbastanza tempo perché rilevassero, in caso, qualcosa. Subito l’orologio identificò Camille e Lorenzo - il “bip!” che emise ci fece sobbalzare tutti quanti - e li individuò come membri delle Forze del Bene. Avendoli riconosciuti, potei permettermi di guardare con grande attenzione ogni angolo della spaziosa sala in cui ci trovavamo senza preoccuparmi di sentire innumerevoli “bip” ogniqualvolta avessi avuto, nella mia visuale, la nuca di uno dei due miei compagni.
Ma un terzo suono arrivò dopo una decina di minuti che perlustravo le pareti della stanza, nonostante avessi già riconosciuto Camille e Lorenzo. Inizialmente mi irrigidii e anche i miei compagni si fermarono, voltandosi di scatto verso di me. La ragazza mi guardò l’orologio mentre io seguivo con lo sguardo una strana figura che non pareva nemmeno umana. «Victory» mormorò, digrignando i denti.
Chiamai June e le feci usare Fogliamagica verso un punto abbastanza vicino alla figura deforme. Quella subito si spostò, rapidissima, e sentii distintamente un frenetico battito d’ali; ma le foglie incantate della mia Roserade colpirono quel qualcosa, segno inequivocabile del fatto che non eravamo soli. June usò di nuovo Fogliamagica e, una volta intuita la posizione seguendo il percorso della mossa, attaccò con Fangobomba. La figura cadde a terra con un tonfo ed emise un lamento; Camille si precipitò verso di essa, accompagnata da Meowstic, e con un tablet parve scannerizzare il nulla. Invece smascherò, facendo calare il suo scudo d’invisibilità, un ragazzo Victory. Il suo Crobat era pronto per reagire ma il Delphox della ragazza lo finì con Psichico. Un Quagsire intrappolò la recluta nel terreno e solo un momento dopo capii che quello era il famoso sesto Pokémon di Lorenzo. “Da quando i Quagsire sono potentissimi?”
La testa del Victory emergeva dal suolo, in cui era stato scomodamente imprigionato grazie ad un attacco che mi parve essere un Terremoto in miniatura. Stava per mettersi ad urlare ma un Geloraggio di Quagsire gli fasciò la metà inferiore del viso. Ci avvicinammo a lui con aria minacciosa; tenevo le braccia conserte, avevo richiamato June nella sua sfera che però avevo stretta in una mano, pronta a chiamarla di nuovo a combattere se fosse stato necessario. Notai, guardando il prigioniero, che i suoi capelli erano stati tinti di nero. Si vedeva un accenno di ricrescita bionda nella sua chioma folta.
«Non azzardarti ad urlare. Siamo in grado di farti svenire con un colpo, sia fisicamente che grazie alle armi di cui siamo provvisti» l’avvertì Lorenzo freddamente, togliendogli la lastra di ghiaccio dal viso. Lui doveva avere pressappoco l’età mia e di Camille e tremava tutto, spaventato: i grandi occhi grigi erano pieni di sincero terrore, ma il caposquadra non si fece impietosire; fermamente gli domandò: «Chi ti manda e perché?»
«G-Gio… Giovanni» balbettò. «Dovevo fare un giro di ricognizione… sospettavano una presenza di nemici…»
«Avete una base segreta qua vicino?»
«Sì, in questa stanza del Monte c’è l’entrata principale…» disse il ragazzo. Mi chiesi se stesse dicendo la verità o se fosse davvero così spaventato da vuotare completamente il sacco. In tal caso ero certa che avremmo potuto fare qualcosa per non fargli passare una brutta esperienza prima con noi delle Forze del Bene e poi con i Victory.
«E come ci si arriva?» proseguì Lorenzo.
«Con una chiave o con un permesso speciale, bisogna portare con sé un certo pass che poi viene esaminato da un apparecchio nascosto sul muro, mimetizzato con la pietra.»
«Grazie per la collaborazione» disse seccamente Lorenzo. «Come mai, però, non abbiamo rilevato nulla?»
Il ragazzo parve capire le implicazioni della domanda e fece una descrizione non troppo accurata del sistema di difesa della base ospitata dal Monte Luna. Giustificò la vaghezza delle sue informazioni dicendo che non era quello il campo di cui si occupava, perché il suo compito era semplicemente di fare da sentinella una volta al giorno. Non si era mai accorto di noi mentre entravamo nel Monte; la cosa mi parve un po’ strana: “Esce una volta al giorno e non ci ha mai trovati? Saremmo pure bravi a nasconderci, ma non possono essere così inetti…”
Lorenzo lasciò lì il ragazzo Victory senza liberarlo, rispondendogli a malapena dopo le informazioni ricevute. Mi fece pena, tanto che mi trattenni qualche istante a guardarlo negli occhi pieni di lacrimoni, sorridendo appena, piuttosto amareggiata. «Mi dispiace» riuscii a dire, «ma siamo nemici, non è così?» Lorenzo e Camille si voltarono, notando che non li stavo seguendo e che mi ero interessata alle condizioni del giovane nemico.
«Ho paura di sì» sospirò lui affranto. Mi stupii di come riuscisse a sostenere il mio sguardo, quello di qualcuno della fazione avversa alla sua, con tanta sincerità e paura. Gli occhi plumbei erano molto belli, abbastanza grandi; aveva la pelle chiara e i lineamenti del viso erano affilati, aveva il mento appuntito.
«Ma perché sei dalla loro parte?» gli chiesi con molta serietà, riferendomi al nemico delle Forze del Bene. Era un dubbio che avevo da tempo e che dovevo togliermi: perché entrare a far parte dei Victory? Perché un ragazzino così piccolo era andato dalla loro parte?
Lui esclamò, dando prova di essere sollevato di potersi finalmente sfogare: «Io sono quello che meno di tutti vorrebbe stare dalla loro parte. Mi hanno portato via tutto, la famiglia, la casa, gli amici! A forza! Ero un ragazzino che doveva fare gli esami di terza media, non sapevo nemmeno cosa fossero i Pokémon; mi hanno fatto sparire dalla faccia di Kanto… se torno con un fallimento non voglio pensare a cosa mi faranno» ammutolì.
Qualcosa dentro di me si smosse. Era compassione per qualcuno che aveva vissuto le mie stesse esperienze, lui venendo chiamato dai Victory e io dalle Forze del Bene, quel lontano primo settembre di due anni addietro. E poi anche io avevo rischiato di diventare una recluta Victory, erano stati loro ad abbassare le barriere e non le Forze del Bene in cerca di nuovi membri. Perciò gli chiesi, spontaneamente, ignorando i borbotti di Camille che voleva che ci muovessimo, in cerca della fantomatica entrata principale: «Vuoi venire con noi?»
«Sei impazzita?!» sbraitò Lorenzo. «Ti sembra il caso di metterci nei guai in questo modo?»
«Non è metterci nei guai, io che ho vissuto praticamente le sue stesse esperienze posso capire come si sente ora, e per questo voglio aiutarlo. Come ti chiami?» chiesi al ragazzo, sorridendo, senza sapere veramente il perché.
«Lu… Luke» sussurrò lui, con la voce sopraffatta dalle emozioni che dovevano starsi rianimando in lui. Vedere i suoi occhi così espressivi rianimarsi, illuminati dalla speranza, valse tantissimo per me. Sentii una sensazione strana, nuova, crescere dentro di me; mi sentivo incredibilmente bene, sollevata al pensiero di poter salvare quel povero ragazzo, schiavo della crudeltà nemica, portandolo con noi delle Forze del Bene.
«Lorenzo, deve venire con noi!» mi rivolsi all’altro, tenendo le mani giunte come in preghiera. «Non possiamo lasciarlo in balia della tirannia di Cyrus, Giovanni o degli altri, sono certa che tu possa capire, è palese che questo ragazzo non abbia alcuna intenzione di combattere né noi né i Victory. Sicuramente ci ha già visti nei giorni scorsi in giro per il Monte ma non ha detto nulla! Potrebbe morire, non prendiamoci in giro!»
«Sai che sarebbe sbattuto fuori dai nostri non appena sarà visto con addosso la divisa nemica e che tutti diffideranno di lui, nel migliore dei casi…» mormorò. «Nemmeno io lo vorrei vedere tra i nemici, è vero che sembra assolutamente sincero, anzi; sono certo che la sua storia sia vera. Ma…»
«Io…» L’attenzione si spostò su Luke appena riuscì a spiccicare un’altra parola. «Ecco, sono, ehm… commosso… e se potessi venire con voi sarebbe meraviglioso…»
«Lo dici solo per adempiere ai vecchi ordini e farci rintracciare dai Victory, razza di bugiardo!»
Camille sputò quelle parole velenose e Luke parve rimpicciolirsi, assai intimorito.
«Ma che…! Vuoi vederlo morto?!» esclamai, noncurante del fatto che potevamo essere tranquillamente uditi dai nemici. Avevamo alzato parecchio i toni della voce da quando avevo proposto al ragazzo di venire con noi. Da un lato sapevo che Camille aveva ragione a non volersi fidare di un Victory; dall’altro però mi chiedevo perché tutti loro, magari ragazzi come Luke, dovessero essere visti come il ritratto del Male più assoluto. Un conto erano i Generali e quanti altri servivano i Comandanti come fossero divinità scese in Terra; ma non era detto che tutti coloro che erano stati inseriti nel Team, di per sé malvagio, fossero mostri di irrecuperabile crudeltà.
«Non mi fiderò mai di un Victory» mormorò lei con voce tagliente, tanto quanto il suo sguardo color ghiaccio. Le sopracciglia chiare erano corrugate e la sua espressione trasudava rabbia e disgusto. Era brutto guardarla, in quel momento: Camille era una bella ragazza ma, dal mio punto di vista, la spietatezza la rendeva molto brutta.
«Ma lui è diverso, è evidente! Dobbiamo fidarci» tentai di convincerla.
«Fai come ti pare» sibilò la rossa. «Io non ho alcuna intenzione di familiarizzare con uno come lui - con uno come i Victory. Abbiamo una missione da concludere, se te ne fossi dimenticata.»
Camille girò i tacchi e se ne andò a passi pesanti; Lorenzo mi lanciò un’occhiata spaesata, indeciso se dare retta a me o all’altra compagna. Alla fine seguì lei, dicendomi però che avrebbe cercato di rimediare.
Misi di nuovo le braccia conserte; stavo per dirne quattro sul conto di Camille, ma Luke mi fermò sul nascere: «Non dire nulla, ha ragione. Nemmeno io mi fiderei. Seguili, non pensarmi più… sono contento aver guadagnato la tua fiducia, però. Magari un giorno ci rivedremo» bisbigliò, sorridendo amareggiato.
Lo guardai con intensità, ma non ricambiava: fissava umilmente il pavimento. «Io non me ne vado. Chissà cosa potrebbero farti, hai bisogno di un po’ di protezione, in ogni caso…» decisi. “Non capisco come possa Camille dire che non si fida. Questo ragazzo dimostra in ogni suo sguardo di essere scontento della vita che fa, vorrebbe un’altra chance sul suo futuro e noi gliela potremmo dare! La odio quando è così ostinata… e ottusa.”
«Grazie, ma davvero, non dovresti… come ti chiami?»
«Speravo non facessi questa domanda» ammisi, spostando lo sguardo sul terreno. «Scusami, ma anche per me è difficile fidarmi totalmente nonostante voglia cercare di tirarti fuori dai guai… è così presto.»
«No no, tranquilla, capisco» cercò di rassicurarmi lui, «e fai bene.»
Non seppi cosa replicare. Ero un pochino imbarazzata a causa del silenzio che si era venuto a creare tra noi due. Volevo dirgli qualcosa per rassicurarlo ma mettersi a fare conversazione con un prigioniero, temendo una recluta nemica veramente pronta a combatterci, non era una scelta molto acuta.
Cercai una soluzione e la trovai un attimo dopo. Chiamai Rampardos fuori dalla sua Ball e gli ordinai di usare Terremoto per tirar fuori Luke. Non fece domande e pur mostrandosi dubbioso si affidò a me. Il ragazzo cercò di uscire dal buco nel terreno, ora più largo, ma le braccia indolenzite non aiutavano. Rocky rientrò mentre strattonavo Luke per farlo alzare. «Adesso consegnami i tuoi Pokémon» dissi con fermezza, e lui eseguì; mi diede tre sfere dopo aver richiamato il suo Crobat, che era rimasto a giacere, svenuto, per tutto il tempo accanto a lui.
«Sono Crobat, Mightyena e Zweilous…»
«Bene, ora girati.» Si voltò, quindi gli immobilizai le braccia dietro la schiena, unendogli i polsi all’altezza della vita con una mossa fulminea. Sussultò stupito e mi chiese pure se avessi fatto doppiogioco fino ad allora; ghignando glielo negai. «Prendo solo adeguate misure di sicurezza.» In tasca avevo delle manette che Lorenzo ci aveva distribuito in caso di emergenza: ci armeggiai un po’ e riuscii a chiuderle, impedendogli l’uso delle mani. Luke era un po’ abbattuto ma comprese il perché delle mie azioni.
«Adesso seguiamo gli altri, d’accordo? Ma ti avverto,» lo ammonii, «un passo falso e ti chiudo di nuovo in una buca nel terreno. Cerca di non farmi pentire di essermi fidata di te, va bene?»
«Va bene» rispose docilmente Luke. Lo afferrai per il braccio e mi infilai nuovamente gli occhiali ad infrarossi.
Se ne stette zitto per tutto il tempo. Contattai con Lorenzo, attraverso il braccialetto con il microfono, e raggiungemmo i miei due compagni pochi minuti dopo. Camille fece una smorfia di disappunto nel vederci e si voltò ad esaminare la parete di roccia, mentre Lorenzo mi chiese: «Cosa gli hai fatto?»
«Gli ho preso i Pokémon e l’ho ammanettato. Non corriamo alcun pericolo ma dubito altamente che avremmo rischiato anche prima» enfatizzai l’ultima parte della frase per farmi sentire da Camille, che per tutta risposta mi ignorò. Era da un sacco che non la frequentavo regolarmente soprattutto a causa del cattivo sangue che scorreva tra di noi, ma ogni tanto mi vedevo costretta a rivolgerle la parola, spinta da chissà cosa a sapere come stava.
«Luke, puoi darci una mano?» chiese Lorenzo. Il suo sguardo era sospettoso ma più dolce rispetto a prima.
«State sbagliando parete» rispose il ragazzo. Camille smise di esaminare il muro ma incrociò le braccia e restò a guardarlo, immobile, come se fosse di grande interesse. «Quella giusta è un’altra… seguitemi.»
Ci portò di fronte alla parete di un’altra stanza del piano. «Ecco qua… non si notano facilmente, soprattutto con la penombra, ma ci sono delle crepe dove si dovrebbe trovare il perimetro del cancello. Il sistema di difesa che vi ho descritto prima è penetrabile solo grazie a mezzi potenti, non credo che voi ne siate in possesso. La falla in questa entrata, se non è il rilevamento grazie ad appositi strumenti, è che non è perfettamente mimetizzata.»
«Sì, ci sono» confermammo io e Lorenzo. In effetti erano piuttosto difficili da vedere ma si potevano notare con un po’ d’impegno; le illuminammo con una torcia e anche il colore era differente, perché le crepe brillavano del colore dell’acciaio. Avevano fatto un lavoro quasi perfetto ma le spaccature erano troppo regolari e, se fossimi stati più attenti, ci saremmo accorti dello strano percorso inciso da esse.
«Grazie mille, Luke» aggiunsi, senza poter evitare un sorriso. Luke arrossì e mormorò un timido “Di niente”. Decidemmo di uscire per informare la base del “prigioniero” e descrivere la situazione pure a Mark e Gold.
Fu Lorenzo a parlare: «Ragazzi, questo è un pentito e si chiama Luke, credo che abbiate seguito la situazione e le conversazioni tramite gli auricolari. Torniamo all’altopiano del primo giorno, d’accordo? Non è più sicuro stare nelle vicinanze del Monte.» Luke non era parso infastidito né stranito nel sentirsi indicare come “pentito”.
«Che cosa sai di noi?» chiese Gold - la sua era una domanda retorica.
«Niente» rispose sinceramente Luke, «nemmeno i nomi. So solo che lavorate per quelli del Bene.»
«Molto perspicace» commentò tagliente Camille. Le rifilai un’occhiataccia di cui forse non si accorse.
Nel frattempo Lorenzo aveva messo mano al PokéGear e aveva chiamato la base segreta. «Spedizione numero tre» esordì, e proseguì facendo un resoconto delle nostre azioni e delle scoperte, parlando anche del ragazzo del Victory Team che stava, apparentemente, fuggendo da esso, in cerca di un’occupazione migliore. Il tecnico che ci seguiva dalla base segreta gli disse che ne avrebbe discusso con un suo superiore il quale avrebbe deciso il da farsi, sperando di sbrigarsela nel minor tempo possibile per farci tornare entro i confini di Sinnoh in giornata.
Passò un lungo quarto d’ora di silenzio. Furono gli sguardi a parlare: quello di Luke, ancora ammanettato, era sconsolato e vacuo; Mark non sembrava granché in forma, anzi, dava l’idea di essere parecchio stressato e di aver bisogno di un comodo letto, non un sacco a pelo, in cui riposare; Gold cercò più volte i miei occhi e trovò facilmente le sue occhiate ricambiate. Eravamo entrambi desiderosi di tornare a casa, se così si poteva definire la base segreta, io portandomi dietro il buon Luke e lui piuttosto interessato al ragazzo. Lorenzo aveva preso fin dall’inizio dei minuti di silenzio a mangiucchiarsi le unghie, nervoso, mentre Camille studiava diffidente le sue.
Il Gear del caposquadra squillò e Lorenzo lo prese fulmineo, dando prova per l’ennesima volta di essere non poco teso. Sobbalzò nel sentirsi rispondere - aveva attivato il vivavoce - da nient’altri che Bellocchio. L’ex agente della Polizia Internazionale si mise a parlare con “il pentito”, come lo definì pure lui, senza aspettare resoconti o altre parole sulla missione che in quel momento doveva apparire di infima importanza. Per fortuna non chiese di chi fosse stata l’idea di accollarsi il Victory di turno, altrimenti prevedevo una fine molto vicina della mia carriera.
«Ascoltate, ragazzi, se stessimo ad ascoltare tutte le reclute Victory troveremmo che i tre quarti di loro sono stati strappati alla loro quotidianità, quando forse quelli pronti a tradire il Team si contano sulle dita di una mano. Cosa dovremmo fare noialtri? Cosa vi aspettereste da una base segreta che si deve ritrovare ad accogliere una ex recluta che ha deciso di cambiare fazione?» disse dopo un po’; mi parve irritato.
«Non l’ho deciso, non ho mai potuto decidere nulla, non ho nemmeno mai voluto essere dalla parte di nessuno, né ho mai voluto entrare a far parte di quest’altro mondo!» quasi sbottò Luke, arrossendo per aver interrotto Bellocchio. «Mi hanno costretto, forse voi non mi crederete, anzi ne sono sicuro… ma è così. E visto che ormai ci sono dentro fino al collo, preferisco stare dalla parte dei giusti, almeno credo voi siate così, anziché dalla loro! Anche perché se adesso mi scoprissero non ci penserebbero più d’una volta a farmi fuori.»
Dopo un momento di silenzio, Bellocchio disse lapidario: «Ripartite immediatamente e tornate alla base segreta con il ragazzino entro domani sera; spero abbiate almeno portato a termine la missione.»
Bellocchio chiuse la telefonata e ci fu di nuovo un momento di imbarazzo. Lorenzo, rimasto con un palmo di naso quando aveva sperato che il capo fosse meno laconico e secco, capì di dover prendere in mano la situazione. «Eleonora, presta il tuo Staraptor a Luke.»
Annuii e chiamai Diamond a servizio del ragazzo, che fece un bizzarro mezzo inchino di riconoscenza. Subito dopo eravamo tutti in volo, diretti verso il Monte Corona. Non seppi dire se l’avessi individuato già da una tale distanza, ma vidi una cima talmente imponente che inizialmente non ebbi dubbi su quale fosse il suo nome. Luke rimase verso la coda del gruppo e decisi di tenergli compagnia, anche se solo con la mia presenza, decisa fino alla fine a non demordere con quel ragazzo. Mi aveva ricordato la mia entrata violenta e inaspettata nel mondo dei Pokémon, con l’unica, sostanziale differenza che io ero stata abbastanza fortunata da essere strappata alle grinfie del Nemico, mentre per lui non era stato possibile e aveva trovato una realtà terribile.
Gridai di sorpresa quando Altair poco dopo si voltò all’improvviso, rischiando di farmi cadere di sotto, e sferrò un Dragopulsar. Non fu l’unico Pokémon a farlo: pure il Talonflame di Camille sferrò un Ventagliente alle sue spalle, quasi colpendo me e Luke. Mi girai; appena capii il perché del suo attacco la incitai a continuare.
“Ci mancava solo questa!” Eravamo seguiti da reclute Victory, in volo sui propri Pokémon. “Ho capito! Sono stata una stupida ma Bellocchio deve averlo dato per scontato…!” Avrei voluto tirarmi uno schiaffo. Non mi ero accertata che Luke avesse addosso dispositivi di localizzazione e dovevano averci trovato molto facilmente. “Come ho potuto non far caso ad una cosa così importante? Possibile che fossi tanto presa dalla situazione?!”
«Ragazzi, portatevi avanti!» esclamò Lorenzo avendo capito subito cosa stava succedendo. Assumemmo una formazione diversa che lasciò a Salamence la possibilità di fermarsi e attaccare. L’enorme dragone spalancò le fauci e nella sua bocca una sfera blu crebbe sempre più di dimensioni, quindi con un poderoso ruggito alzò la testa e la sparò in aria. Per un attimo sembrò che si fosse volatilizzata ma mentre volavamo via, riprendendo a tutta velocità, notai una dozzina di meteoriti che si abbatté sui corpi e sulle teste dei Pokémon delle reclute nemiche, probabilmente senza preoccuparsi di non prendere gli esseri umani. Era un potentissimo Dragobolide.
Qualche nemico perse quota ma non ebbi il tempo di chiedermi come avrebbero potuto salvarsi; il principale problema in quel momento era ribattere a una ragazza, che aveva ordinato al suo Skarmory di usare Eterelama e pure Aerasoio contro Staraptor. «Diamond, corri via con Baldeali! Altair, blocca tutto con Dragopulsar!»
La ragazza, perso l’obbiettivo che era Luke, rivolse le sue attenzioni a me: «Attacco Rapido e Aeroassalto!»
La mossa combinata ferì Altair e temetti che la ragazza potesse ferirmi o cercare di uccidermi, essendomi fin troppo vicina. Ordinai alla mia Altaria di usare Canto ma non servì a niente; per fortuna Talonflame attaccò con Fuococarica lo Skarmory. Nonostante l’attacco di tipo Fuoco mentre era sul suo Pokémon, Camille non riportò alcun danno: i suoi occhi di ghiaccio brillavano tremendi, desiderosi di fare veramente del male al nemico.
Allora capii cosa potevo fare: dissi ad Altair di usare Aeroattacco. Quando si diresse ad altissima velocità verso Skarmory, l’aria intorno a noi si riscaldò incredibilmente: una gabbia di fiamme azzurre e blu, a sprazzi colorate di un rosso-arancio, avvolse i nostri corpi che divennero una sola figura. La cosa mi terrorizzò e allo stesso tempo mi diede una carica spaventosa, una voglia di attaccare anche io, se solo fossi stata in grado di farlo da sopra Altaria. Era la prima volta che sperimentavo qualcosa del genere e mi tenni stretta al corpo caldo della mia compagna, che aveva acquistato una velocità eccezionale. Il suo corpo doveva aver assunto una forma più aerodinamica, adatta a non fare attrito con quelle ali così grandi e cotonate, ma vedevo solo il collo della mia Altair e le bellissime fiamme colorate. Presto dovetti abbracciarmi a lei con forza sentendo l’impatto contro il corpo di Skarmory.
La mossa non era particolarmente efficace ma bastò a seminare il nemico. Sentii l’adrenalina scaricarsi e il fiato pesante sopraggiungere, come se l’eccitazione del momento fosse stata una corsa terribile che mi aveva sfinita. Ma non feci in tempo ad esultare che Diamond mi si affiancò con un grido. Luke non era sulla sua groppa.
Spalancai gli occhi in preda ad un sincero terrore. «Come… quando?» riuscii solo a balbettare sulle prime, non essendo in grado di formulare la domanda per intero - “Come e quando l’hanno preso? Perché non me ne sono accorta? Mi sembravano tutti fuori gioco, a parte l’ultima ragazza che abbiamo sconfitto…” «Lorenzo!» gridai poi.
«Dobbiamo andare, lascia perdere quel ragazzo!» sbottò di rimando, cercando di sovrastare le urla del vento.
«No! Voglio sapere cosa è successo!»
«Finiscila, Eleonora…!» strillò Camille, sfrecciando accanto a me. In un lampo cambiai destriero e mi affidai al più veloce Diamond, sperando che almeno lui fosse stato in grado di darmi una spiegazione a quella cosa.
«Non capisco, non è giusto» mormorai con gli occhi pieni di lacrime e non più la rabbia fiammeggiante nelle mie iridi grigioverdi. O forse quelle parole le pensai e basta.
“Come hanno fatto e perché nessuno degli altri si è opposto? Le reclute… erano almeno il doppio di noi, è vero. Ma Gold, Mark… e Camille… perché non hanno fatto nulla per salvare Luke? Perché? Lui era…”
Non riuscii a rassegnarmi al fatto che il ragazzo fosse stato, praticamente a mia insaputa, portato via. Volli sperare di vederlo sbucare alle mie spalle, magari insieme al suo Crobat. Ma a sera eravamo dentro i confini di Sinnoh: capii con dolore che a Luke avevo definitivamente detto addio.
 
 
 
 
 
Capitolo III - Rivisto nei giorni 15 e 19 di ottobre 2015. Il titolo è rimasto lo stesso.
 
 
 
Angolo ottuso di un'autrice ottusa
Costituzione del vecchio capitolo: 10% narrazione, 5 * 10-40% di descrizione - sì, la notazione esponenziale rende appieno l’idea - e una dose equivalente di introspezione; il resto? Dialoghi di mezza riga a battuta. Credevo di aver toccato il fondo con il precedente, che ho dovuto totalmente riscrivere facendo poco riferimento al testo originale… ma pure questo mi ha dato un bel po’ di gatte da pelare (?). Povere gatte.
Il nuovo capitolo è lunghissimo, piango, God only knows how much rompo le balle
“Era solo pieno di insignificanti Pietrelunari e Clefairy, ai miei occhi ancora più inutili.” ma ti prego
“-Scusa, amico- riuscii a dire -ma siamo nemici, non è così?” we nigga-- no va be’, “scusa amico” è epico. È come se dicesse yo man/sry man - e quindi perché la ragazzina parla come un camionista americano?
“mentre Luke arrossiva e mormorava, grattandosi la nuca, un timido “Di niente”.” ma le manette ???
Niente, mi sono armata di forza coraggio ché dopo aprile viene maggio per rileggere il capitolo e pubblicare. Ora è meglio che faccia il mio dovere: snobbare un altro po' i compiti di matematica e trovarmi un'occupazione che più mi aggrada :3
A presto!
Ink

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Capitolo 5
*** IV - La rivelazione ***


IV
La rivelazione
 
Il silenzio regnava su di noi indisturbato. Nessuno dava segno di volerlo rompere e io non sarei stata da meno: lacrime silenziose, durante il viaggio, provavano a scivolare lungo le mie guance, ma il vento le scacciava via con frustate d’aria taglienti all’inverosimile. Stavamo tutti cercando di sbrigarci per tornare il prima possibile alla base, ma il cattivo tempo ci colse come al solito impreparati. Lorenzo informò la base segreta del ritardo a causa delle intemperie - una fitta nevicata - non appena toccammo terra, a sera.
Appena arrivati entro i confini di Sinnoh cercammo un luogo riparato: abbandonammo l’idea di stare all’aperto e andammo in cerca di una grotta. Ne trovammo una abbastanza piccola, adatta alle nostre necessità. Ci riscaldammo mentre mangiavamo; le parole che gli altri si scambiavano erano poche, come a voler rispettare una sorta di religioso silenzio, la cui causa eravamo io e la perdita di Luke.
Sentivo su di me lo sguardo glaciale di Camille, che mi sedeva accanto. In quel momento davo a lei la colpa per tutto. I rapporti tra noi due stavano arrivando ad un punto di rottura: il suo carattere non era uno dei miei preferiti e, ad essere sincera con me stessa, mi tenevo molto lontana da lei perché la sua compagnia mi era molto sgradita; ma un po’ ci frequentavamo e riconoscevo che non stavamo proprio malissimo insieme. E poi la questione del segreto aveva due facce e non sapevo mai come comportarmi: se considerarla almeno una mia alleata verso cui provare comprensione e complicità o se odiarla per il suo ostinato silenzio.
Ero fin troppo arrabbiata per il suo comportamento. Gold e Mark avevano fronteggiato, con me e Lorenzo, le reclute nemiche; non che lei non l’avesse fatto, ma proprio quello era stato un problema: anziché aggiungersi a noi, che eravamo abbastanza, e lasciare scoperto Luke, avrebbe potuto difendere lui. Odiava senza operare distizioni i Victory e non aveva voluto neanche provare a vedere la bontà e la buona fede di quel ragazzo, che a quell’ora, sempre che non fosse già morto, doveva essere in pessime condizioni. Per lei erano tutti uguali, tutti da mandare a morire. Per me non era più così, era finito il tempo in cui vedevo il Nemico come una massa indistinta di persone senz’anima e senza cuore. Era finito anche grazie a Luke e alla sincerità dei suoi occhi plumbei.
Mi alzai in piedi all’improvviso. «Vado a farmi un giro» comunicai, lasciando tutti interdetti.
«Come? Un giro?» chiese Gold, anticipando gli altri.
«Sì, ne ho bisogno. Porto i miei Pokémon con me» risposi seccamente e voltai loro le spalle. Per fortuna non ebbero da commentare o da ridire e potei andarmene in relativa tranquillità. Scelsi la prima sfera che mi capitò sottomano e liberai Aramis. Il Gallade ne uscì e mi guardò con inaudita profondità, come se già sapesse cosa fosse accaduto - ma tanto sicuramente ne era a conoscenza, grazie al contatto tra me e i miei Pokémon. Mi sentivo quasi messa a nudo quando parlavo con loro, spesso avevo la sensazione che mi comprendessero molto meglio persino delle persone umane, perché il legame tra me e loro era fondamentale, molto più stretto che con gli altri. Forse era perché ero sempre a contatto con loro, portandomi ovunque la cintura con le Poké Balls; in ogni caso, in quel momento preferivo la compagnia di uno di loro a quella degli altri ragazzi.
«Aramis, come va?» chiesi. La mia voce era atona e all’apparenza appariva priva di emozioni. Girai appena la testa per ricambiare il suo sguardo cremisi, malinconico, poi lui fece un cenno d’assenso accompagnandolo con le spallucce. Capii perfettamente e sbuffai, con un mezzo sorriso amaro dipinto sul volto. «Che banalità, chiedere come stia la persona accanto a noi» dissi. «Tanto la risposta non sarà mai diversa. Finora ho sempre ricevuto, in risposta, solo un misero “bene”… però basta osservare con un minimo di attenzione l’altra persona per capire che quel “bene” è dettato dalla forza dell’abitudine. Basta… basta non fregarsene.»
Avevo un gran bisogno di parlare e distrarmi, di fare anche solo qualche stupida considerazione su ciò che mi stava intorno. Aramis sapeva ascoltare, non solo perché non era in grado di parlare, ma perché faceva attenzione a tutto ciò che gli si diceva o che gli accadeva e ne faceva tesoro. Era così che aveva costruito la sua forza. Stava in silenzio e faceva attenzione alle parole, agli avvenimenti in corso, sia in mia presenza che autonomamente.
Sospirai, cedendo al nulla la calma innaturale e la serietà che mascheravano moltissime emozioni che provavo in quel momento. Assunsi un’espressione lugubre, tanto ero quasi angosciata. Intanto continuavamo a camminare, inoltrandoci per un sentiero scosceso che illuminavo con una torcia. «A volte mi manca Nevepoli, sai?» Poi però scossi la testa: «No, macché a volte… tutti i giorni. Ah, mi sembra di mentire a me stessa!» sbottai d’un tratto. Aramis voltò la testa e mi fissò attentamente. «In questi mesi ho pensato molto, più di quanto non abbia mai fatto in vita mia. Eppure a malapena riesco a realizzare di aver perso i miei genitori, a cui per colpa… per colpa della mia identità sono stati rimossi i ricordi di avere una figlia… non potrò più tornare a Nevepoli, a casa mia, in condizioni normali. Vedi, è bellissimo stare con te e gli altri Pokémon, poi Daniel e tutti gli amici… ma credo sia altrettanto normale sentire il bisogno, impellente a volte, di ritornare alle origini. È così forte… a volte mi chiedo se la nostalgia possa essere davvero così dolorosa.»
Mi fermai, sia con la voce che con i passi non appena udii un fruscio alle mie spalle. Un’innaturale ondata di calma, non la prima della giornata, non mi permise di preoccuparmi di vedere un Hoothoot che mi fissava con curiosità. Aramis invece era piuttosto teso. Proseguimmo per la strada, mentre una nuova domanda mi salì alle labbra spontaneamente: «Secondo te perché oggi abbiamo visto addirittura due Pokémon?»
Lui emise un mormorio interrogativo. «Non pensavo fosse così facile incontrarli di questi tempi, no? Ma oggi ne abbiamo già trovati due. Questo Hoothoot e Saphira» battei due dita sulla Ball della Horsea. «Eppure i due mondi sono divisi dalle barriere. Che in questa zona si possano permettere di non averle? Al Monte Luna è quasi sicuro che ci siano, ma qui? Sono zone abbastanza frequentate, qui da scalatori esperti, lì da ogni tipo di escursionisti…» Aramis assentì, capendo dove stavo andando a parare. «Chi sa del mondo Pokémon si accorge facilmente della presenza di barriere. Adesso è come se fossimo nella realtà umana, non ho sentito niente. Lasciamo perdere il Monte Luna, ma qui? Se si può entrare in contatto con il vostro, anzi, ormai il nostro mondo, solo quando le barriere sono abbassate… forse questi muri divisori si stanno frantumando?»
Ci scambiammo un’intensa occhiata complice. Tornammo indietro quando controllai l’ora e vidi che si stava facendo tardi. Nel cielo le stelle osservavano i nostri movimenti, seguendoci perennemente. Il Piccolo Carro indicava il nord, dietro di noi, grazie alla Stella Polare, attorno alla quale tutte le altre costellazioni ruotavano in quella mistica danza apparente. C’era ancora Hoothoot, che non si era mosso di un millimetro. Chiamai Saphira fuori dalla sfera. Ci mise un po’ per tenersi in equilibrio su una specie di pavimento, non potendo sguazzare nell’acqua, ma la neve l’aiutò. «Saphira, usa Pistolacqua» ordinai con calma.
Eseguì non appena trovò il suo avversario, che colto impreparato volò via. Gli lanciai una Poké Ball; con grande precisione lo colpii ed essa si richiuse, tornando tra le mie mani come un boomerang. Forse mi ero solo tolta uno sfizio catturandolo, o forse avevo evitato un po’ di rogne a cui pensare ai nostri. Richiamai Saphira e misi le Balls di Hoothoot e della Horsea nella grande tasca interna della giacca.
Aramis ed io tornammo alla grotta senza più parlarci. Il fuoco si era abbassato notevolmente, poche fiammelle stentate si levavano dalle braci scure ormai non più in grado di offrire un piacevole calore, e tutti erano avvolti nel proprio sacco a pelo in cerca di un po’ di tepore per difendersi da quello spietato gennaio. Aramis rientrò nella sua sfera e mi cambiai in fretta e furia per essere pronta e vestita già il giorno dopo, rabbrividendo in ogni momento. Il sacco a pelo era caldo e asciutto. Mi addormentai in breve tempo, ma i sensi di colpa per non essere riuscita a salvare Luke mi attanagliarono per tutta la notte, facendomi rivivere più volte quella triste giornata.
 
«Eleonora.» Camille mi chiamò mentre eravamo in volo, diretti verso la base segreta con il favore del buon tempo: la nevicata della sera prima era stata intensa ma non duratura. Eravamo un po’ separate dal gruppo, appena più indietro, lei su Talonflame ed io su Staraptor. Il vento freddo le agitava con veemenza i lunghissimi capelli, come al solito stretti in due codini bassi. Lo stesso era per me, i miei capelli castani si impigliavano formando miriadi di nodi e già sapevo che alla base segreta avrei dovuto litigare con la spazzola per parecchio.
«Non mi parlare» fu la mia istantanea, gelida risposta.
«Attribuisci a me la colpa per quel ragazzino?» chiese lei, seccata ma allo stesso tempo stupita.
Annuii, mordendomi il labbro inferiore. «Forse, se fossi stata un po’ più altruista e soprattutto avessi provato un po’ più di compassione, ora io sarei in volo su Altair e Luke su Diamond» risposi con una furia malcelata. «Ma proprio non ce la fai ad immaginare un Victory che non ha mai voluto diventare tale, che non è cattivo, vero?»
«Non si tratta di questo, Eleonora. Non ci si può fidare di un ragazzino che può benissimo essere un attore, una spia pronta a pugnalarti alle spalle non appena gli hai dato fiducia. Puoi dire per tutto il tempo che vuoi che i suoi occhi erano sinceri, ma come puoi pensare che non si sia allenato per sembrare innocente?» Fece una pausa. «Non sta a noi capire chi deve essere tratto in salvo e chi finge solo di odiare i Victory, ma a persone più…»
«Quel ragazzo era innocente, lo so!» sbottai, interrompendola bruscamente. «Lo sai cosa penso del tuo passato, sai che ne parlo poco per non farti stare male, perché mi dispiace. Ma vedere Luke, a cui il nemico ha fatto tanto male quanto ne a noi … volevo aiutarlo perché anche a lui i Victory hanno portato via tutto!» rialzai la voce.
«Ma tu che ne vuoi sapere, eh?!» alzò il tono della voce. Sostenni il suo sguardo. Non stava per piangere ma una rabbia sconfinata era contenuta a malapena nei suoi occhi azzurri. «Almeno i tuoi, di genitori, sono ancora al sicuro. Sono vivi e sono controllati costantemente dalle Forze del Bene. Se vuoi sentire la mancanza di Nevepoli è assolutamente normale… ma non accetto le tue parole quando sostieni di capirmi! Le nostre situazioni sono radicalmente diverse e non puoi non riconoscerlo. Ma a parte questo… non sta a noi leggere l’anima di un nemico per capire se è buono o no. Quello che riguarda me e la mia vita è importante solo per me; a te non dovrebbe toccare, non parlarmene più. Non dovresti nemmeno esserne a conoscenza.»
Non ero sicura che le nostre due situazioni fossero tanto diverse. Prima o poi i Victory avrebbero potuto trovare i miei genitori e tentare un ricatto, tenendo in ostaggio la loro vita. Allora avrei capito appieno Camille; potevo arrendermi per quella volta ma presto l’avrei affrontata di nuovo, in cerca dell’agognata vittoria su di lei. La rossa smise di parlarmi. Staraptor e Talonflame, che si erano scambiati numerose, per me indecifrabili, occhiate durante quei minuti, si allontanarono l’uno dall’altro.
Lorenzo e Gold fecero una gara per vedere chi andava più veloce, e tutti stentammo a stare dietro a Salamence, che era incredibilmente veloce. Almeno, però, arrivammo con un po’ d’anticipo, sforzandoci di seguirlo, e riuscii a mettere da parte per un po’ la negatività dei pensieri di quei momenti interminabili, ridendo per il semplice gioco dei due ragazzi. Atterrammo presso l’ingresso che conduceva alla sala della nebbia da cui si arrivava alla base e facemmo rientrare nelle rispettive sfere i nostri Pokémon. Corricchiando varcammo l’entrata e andando a tentoni nella nebbia, solo con l’ausilio di qualche abilità dei Pokémon Volante. Dopo un pugno di lunghi minuti eravamo nell’ingresso della grigia - se non per i cristalli luminosi azzurri e rossi - base del Monte Corona.
«Andiamo a sistemarci» ordinò Lorenzo, «e appena avete finito ritroviamoci all’ufficio di Bellocchio.»
Dopo essere passate dal dormitorio giusto per posare zaini e bagagli vari, io e Camille andammo all’ufficio di Bellocchio. Lei decise di rompere il silenzio teso tra noi due prima di entrare. «Senti, mi dispiace per quello che è successo e… diciamo che mi sento in colpa per Luke, perché avrei potuto metterlo in salvo. Però…»
«Non ce l’avresti fatta» la interruppi. Mi ero messa anch’io, durante il viaggio, a rimuginare sulle parole che ci eravamo scambiate. «Non ce l’avresti fatta sia per il rapporto che hai con i Victory, molto peggiore del mio, che per il tuo stesso carattere, direi, conoscendoti.»
Sembrava un po’ titubante. «Non penso che mi perdonerai.»
Posai la mano sulla maniglia della porta. «Lasciar correre non è la stessa cosa di perdonare, no?»
Aprii ed entrammo. Dentro c’erano già gli altri, insieme a Bellocchio, che prese la parola: «Complimenti per il successo ottenuto, la missione era di per sé non difficile ma trovare un nascondiglio nemico è sempre un’impresa che porta via molto tempo. Non mi aspettavo che in tre giorni riusciste a tracciare più di una mappa superficiale del Monte Luna, molto cambiato dopo l’insediamento dei Victory; credevo che per trovare l’entrata principale avremmo dovuto mandare, in seguito, un altro gruppo. Siete i primi a tornare dall’inizio della settimana, che è quando sono partiti quasi tutti i gruppi. Di questo terrò conto per le prossime missioni che vi saranno affidate…»
Mi sentii a disagio a causa di quelle parole, che seppur velatamente sapevo benissimo che si riferivano a me. «Ehm, signor Bellocchio» non sapevo bene come rivolgermi a lui, «non è stato solo merito nostro se siamo riusciti a finire la missione… l’entrata segreta ci è stata indicata da quel ragazzo che si è pentito, ma è…»
«Sì, Eleonora, lo so» m’interruppe, «e sono stupito per il fatto che tu ti sia fidata così facilmente di quello che poteva essere benissimo un attore ben addestrato. Ora penso che tu abbia capito perché non ti ho mandata subito in un gruppo con una missione più complicata e rischiosa, quindi ti serva da lezione quest’esperienza.»
«Sì, signore…» mormorai. “Ho ancora tanti passi da fare… sono un po’ immatura, secondo lui. È vero, però…”
Bellocchio si fece raccontare da Lorenzo lo svolgimento della missione per filo e per segno mentre registrava il tutto sul computer che aveva sulla scrivania. Io intanto mi chiedevo: “Cosa mi spetterà la prossima volta? Mi faranno riprovare una spedizione del genere o mi daranno abbastanza fiducia da consentirmi di partecipare ad una missione più complessa e meno statica?”
Dopo alcuni minuti in cui Lorenzo aveva parlato ininterrottamente, il ragazzo giunse alla fine del resoconto delle nostre azioni e Bellocchio, all’apparenza soddisfatto, ci congedò. Non vedevo l’ora di buttarmi sul letto e riposarmi degnamente, dato che erano giorni che non lo toccavo e avevo accusato fortemente la mancanza. Un grandissimo acquario si trovava nel dormitorio, quindi ne approfittai per lasciarci Saphira a sguazzare con altri Pokémon d’Acqua. Ci nuotava in libertà, nascondendosi dietro alle rocce, alle alghe e alle piante acquatiche. La osservai per un po’, intenerita: era davvero carina, con quegli occhioni color cremisi così in contrasto con il corpicino azzurro. Mi pareva di non vedere da secoli, nella mia squadra, un Pokémon al primo stadio evolutivo.
«È un bell’esemplare» commentò Camille da lontano.
«Sì, è davvero molto carina… penso che abbia molta energia. Spero non sarà troppo difficile allenarla» replicai. «Mi chiedo chi sia al suo livello, però. Non sono molti i nuovi Pokémon di livello basso che entrano qua…»
Ci fu una breve pausa. «A proposito di allenamento, dopo ti va una lotta? Possiamo chiedere anche a Gold.»
«Non mi dispiacerebbe» dissi, facendo un mezzo sorriso per la proposta di Camille.
Ma Gold decise di non lottare. Era troppo stanco a causa dello stress causato dalla missione e dalla lotta con i nemici, però decise di venire comunque a vederci.
«Allora, cosa ti va di fare?» mi chiese Camille mentre prendevamo posizione sul campo.
«Non mi dispiacerebbe provare una lotta in triplo, non le faccio quasi mai! Va bene?»
«Sì, va be…»
«Eleee!» Un urletto cantilenante mi punse le orecchie e un momento dopo mi ritrovai Angelica avvinghiata al collo, mentre mi tempestava di domande sull’esito della spedizione. Avevo riconosciuto a malapena la sua voce a causa di quel particolare strilletto. «Com’è andata?» riuscii solo a cogliere.
Le risposi: «Bene, dai… magari dopo ti racconto. Se no possiamo lottare noi due più tardi, a meno che Gold…»
«Ma sì, dai.» Il ragazzo si alzò in piedi, scegliendo tre Poké Balls dalla cintura. «Angelica, ti va di fare una lotta di riscaldamento mentre anche loro la fanno? Scegli tu la modalità, per me è uguale.»
«D’accordo!» accettò l’altra gioiosamente, quindi Blastoise e Meganium iniziarono a fronteggiarsi nell’altro campo accanto a quello dove eravamo io e Camille. “Sarà una bella lotta” pensai. “La Meganium di Angie è in vantaggio di tipo. Ma Gold è molto più abile di Angelica, non solo grazie al corso di addestramento…”
Mi riscossi e scelsi tre dei miei Pokémon. Decisi di mandare in campo Aramis, June e Rocky e, rispettivamente, li disposi a destra, al centro e a sinistra. Lo stesso fece Camille con i suoi Dragalge, Delphox e Pangoro. Prima di cominciare ci prendemmo qualche minuto per pensare alla lotta: io non conoscevo affatto lo stile della rossa ma sapevo bene che non era molto brava con le lotte -  e quindi, ripensandoci, mi dissi che, salvo sorprese, non aveva uno stile. La prima mossa fu della Delphox che, com’era prevedibile, si avventò su June con Magifiamma.
«Blocca con Palla Ombra!» risposi. La pulsante sfera violacea colpì il fuoco che si ramificò senza più riuscire a colpire il bersaglio. La successiva mossa che ordinai fu Nottesferza di Aramis, che attaccò la starter di Camille. La rossa non ci pensò due volte e cercò di fermare il Gallade con Psichico, perciò mi rassegnai a vederlo colpito dalla mossa - senza però accusare molti danni. Subito dopo dissi: «Rocky, Zuccata su Delphox.»
«Pangoro, fermalo con Vitaltiro!» Camille aveva preso ad imitare la mia abitudine di bloccare i colpi. Io infatti facevo di tutto per prevenire i danni, anche a costo di allungare a dismisura le lotte. Altre persone lasciavano che i loro Pokémon venissero colpiti, misurandosi in una gara di potenza; forse avrei dovuto cominciare a farlo anch’io per evitare, almeno, che i miei compagni si disabituassero a resistere anche agli attacchi più forti.
Ordinai a Rocky di fermarsi e attaccare con Terremoto. Non avrei voluto colpire anche June ma fu inevitabile: però la potenza eccezionale del Rampardos mandò al tappeto, con quell’unico colpo, la Delphox. Camille non ebbe problemi ad esprimere il suo disappunto mentre Pangoro accusava il colpo.
Quasi mi ero dimenticata di Dragalge, il Pokémon più lento in campo. Mi sentii una stupida per non essere riuscita ad accorgermi nemmeno del fatto che stesse attaccando Aramis con Palla Ombra; mi giustificai a malincuore dicendomi che ero reduce da una giornata molto impegnativa e subito feci replicare il Gallade con uno Psicotaglio molto potente. Nonostante la stanchezza, Aramis assestò pure un brutto colpo. Gli allenamenti di quei mesi davano i loro frutti contro un’avversaria come Camille, che essendo una spia non era ai miei livelli.
Toccava ancora a me. «June… usa Laccioerboso contro Pangoro.»
Quello provò a saltare facendo forza sulle braccia possenti; ma le piante rampicanti evocate dalla Roserade si allacciarono repentinamente alle zampe posteriori dell’avversario e lo sbatterono a terra. Quello però non si arrese e Camille gli ordinò di usare Martelpugno, senza specificare chi fosse il destinatario dell’attacco. June lo attaccò con Energipalla quando ancora era sollevato in aria dopo aver spiccato un altro, altissimo balzo; Pangoro deviò il colpo con lo stesso Martelpugno e ne preparò un altro per Rocky. Il Rampardos fece per incassare il colpo.
«Zuccata!» esclamai mentre Pangoro era in picchiata sul mio compagno. Purtroppo Rocky riportò danni ingenti ma almeno neanche l’avversario se la stava passando benissimo.
Non commisi l’errore di ignorare Dragalge e, prima che potesse provare ancora con Palla Ombra, Aramis poté attaccare l’avversario con un altro Psicotaglio che fece dissolvere nel nulla la sfera di energia nera. Un altro colpo dello stesso tipo e Dragalge fu messo al tappeto. Mi imposi definitivamente come vincitrice, anche se l’esito della lotta era sembrato prevedibile da alcuni turni a quella parte, grazie a June e Rocky che con un attacco a testa fecero sì che Pangoro andasse K.O.. Camille scrollò le spalle, riconoscendo la bravura che avevo ottenuto dopo mesi interi passati ad allenare sia i miei Pokémon che me stessa senza mai avere un periodo di tregua - se non la domenica, che ci avevano abbonato come giorno di riposo.
Poco dopo finì anche la lotta tra Angelica e Gold, il quale riportò una vittoria schiacciante sulla ragazza. Anche lì si vide la differenza sostanziale tra l’essere un guerriero e l’essersi allenati per qualsiasi altra cosa; il mio amico aveva molta più tecnica e confidenza con le lotte, oltre a tutta l’esperienza fatta in quei mesi. Tornai nel dormitorio insieme alle mie amiche, salutando allegramente Gold - mi sentivo molto meglio, più in pace con me stessa e con il mondo, dopo quella bella vittoria riportata.
Passammo alcune ore di meritato riposo. Neanche Angelica aveva avuto una giornata facile nei sotterranei in cui lavorava insieme agli altri tecnici, che lì sotto avevano il loro “quartier generale” - così ero abituata a chiamarlo. Mi stavo alzando insieme alle altre due per andare a cenare quando la porta si spalancò e Chiara si precipitò dentro. Era insieme ad Ilenia e mi bastò un’occhiata a ciascuna per capire che qualcosa non andava.
«Chiara, tutto bene? È successo qualcosa?» mi preoccupai subito.
Lei scosse la testa soltanto. Ci pensò Ilenia a rispondermi, lo sguardo cupo e adombrato da qualcosa che non capivo: «Abbiamo dovuto darcela a gambe. Ci hanno scoperti… almeno abbiamo trovato quello che cercavamo.»
«Qualcuno è ferito o si è fatto male?»
«No, per fortuna, ci siamo tutti e stiamo bene… ma la scoperta che abbiamo fatto è stata…»
La porta si riaprì e lei s’interruppe. Era Camilla, la ex Campionessa, che invitò lei e Chiara a raggiungere i loro colleghi nell’ufficio di Bellocchio. Seppi cosa era successo solo un’oretta dopo, a cena, quando vidi quelli erano andati in missione con Chiara e Ilenia: di loro conoscevo solo Daniel, che senza salutarmi nemmeno sedette accanto a me e probabilmente scambiò la mia spalla per un comune cuscino. Gli altri ebbero più di contegno ma sembravano ugualmente distrutti. Chiesi di nuovo cosa fosse successo. Come prima fu Ilenia a rispondere.
«Nel nostro gruppo dovevamo infiltrarci in una base nemica a Kanto, una succursale piuttosto piccola, ma sai chi abbiamo trovato?» Scossi la testa. «Giovanni in persona. Si era dovuto assentare un attimo per andare al Monte Luna, dove eravate voi, ma l’abbiamo sentito chiaramente. Blaterava qualcosa a proposito di una rivelazione
«Vogliono rivelare al mondo intero l’esistenza dei Pokémon.» Daniel la interruppe con voce atona e piatta, arrivando al nocciolo della questione.
Per qualche istante mi persi nei miei pensieri ad assimilare la notizia. Un po’ imbarazzata dissi: «Ehm… non so dire se sia grave o no, la cosa. Non so quali problemi potrebbero presentarsi, anzi…»
Daniel rialzò la testa dalla mia spalla e ribatté: «Per quanto possa essere meraviglioso pensare di poter vivere in tranquillità almeno per quanto riguarda la presenza dei Pokémon, senza doverci nascondere… sicuramente il Victory Team ci presenterebbe al mondo come una minaccia da eliminare, se faranno questa mossa non siamo in grado di prepararci per rispondere, a meno che noi per primi non li anticipiamo.»
«La vedo dura» mormorai.
«Com’è andata la spedizione?» si interessò Ilenia, sforzandosi di esibire un sorriso sereno.
Scrollai le spalle. «Così così… siamo arrivati prima degli altri e l’abbiamo portata a termine con successo, non era troppo difficile comunque.»
«E allora cos’è quella faccia imbronciata? Dovresti esserne felice!»
«Il fatto è che la missione è stata completata con l’aiuto di un ragazzo nemico.»
Li ignorai quando trattennero teatralmente il fiato. «Voleva passare dalla nostra parte. Era stato strappato via alla sua vita normale e buttato in mezzo alla guerra. Molto peggio di quello che sarebbe potuto succedere a noi, che abbiamo avuto un anno di preparazione come minimo all’Accademia… volevo aiutarlo perché mi sono rivista in lui, solo che io sono stata molto più fortunata, non essendo caduta nelle mani dei Victory ma in quelle delle Forze del Bene. Però mentre lo stavamo portando con noi hanno scoperto tutto. Sono riusciti a riportarlo indietro, nonostante avessimo provato a combatterli… e sembrava li avessimo anche sconfitti!» La voce prese a tremarmi mentre stringevo i pugni. «E adesso sicuramente Luke è morto!»
«Ele, non dire così!» Daniel impedì che calasse il silenzio. Era preoccupato per me, era evidente, ma io scossi la testa. Ero arrabbiata con me stessa per aver fallito nella mia missione: salvare quel ragazzo sfortunato.
Non sapevo più dire di chi fosse la colpa, se mia o di Camille o di tutti noi in missione o dei Victory. La vicenda di Luke lasciò un segno profondo nella mia esistenza, una brutta ferita in effetti. Mi sentivo legata a quel ragazzo visto ciò che era successo a entrambi. Non riuscii a spiegarmi il motivo di tanta ostinazione da parte mia.
 
 
 
 
 
Capitolo IV - Rivisto il 2 novembre 2015. Il titolo è rimasto lo stesso.
 
 
 
Angolo ottuso di un'autrice ottusa
La cosa divertente di questo capitolo? La parola ripetuta più volte era empatia - che poi che rottura de cojones a parlare sempre di empatia, mi sono odiata - e, per essere sicura di non aver scritto qualcosa di cui non sapevo nulla, ho deciso di andare a controllare sul dizionario se la definizione fosse esattamente quella che pensavo. Ebbene, su nessuno dei due dizionari di italiano che ho e nemmeno su quello dei sinonimi e contrari è presente il lemma ricercato! Devo preoccuparmi?
“Scusate se riempio i capitoli con le lotte ma devo fare pratica per descriverle meglio, poi sennò questo veniva corto tre pagine e non andava -__-” magari se le lotte le avessi descritte decentemente, anche se dovevi ancora far pratica ti avremmo scusato, ma ora direi proprio di no :DDDDD
(E il prossimo è stato pure peggio da riscrivere, ndr(?) di qualche tempo dopo)
Ma poi che male c’è a fare almeno una volta ogni tanto capitoli brevi, vista la mia pessima tendenza a scrivere pure troppo?
Comunque questo capitolo non mi è piaciuto molto neanche dopo la riscrittura. In effetti finora l'unico che mi piace è il secondo, "Il vento del cambiamento", che penso sia venuto veramente bene. Non mi ricordo come sono i prossimi due capitoli che pubblicherò ma non vedo l'ora di arrivare al settimo!
Detto ciò vi saluto,
Ink

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Capitolo 6
*** V - Questione di stile ***


V
Questione di stile

Per parecchio tempo, fino a metà febbraio, la base segreta non incaricò molti di andare in missione, se non per piccolezze sbrigative come avvistamenti di Pokémon, da far confondere con animali normali - o interi eventi da rimuovere, nei peggiori dei casi, con le abilità dei Pokémon Psico, Spettro e Buio. Avevamo comunque tutti un po’ da fare, come continuare ad allenarci insieme ai Pokémon, e le Forze del Bene lo incentivarono con una novità: l’arrivo di maestri esperti in tattiche e stili di lotta, che ci avrebbero migliorati ulteriormente.
Il loro arrivo - erano tre ragazzi usciti da pochi anni da un’Accademia - era atteso con ansia da un po’ tutti, perché si sarebbero impegnati non solo per insegnare a noi guerrieri, ma a tutta la giovane popolazione della base segreta. Infatti l’allenamento Pokémon negli altri gruppi era quasi sempre messo in secondo piano: grazie ai nuovi istruttori si sarebbero potenziati dignitosamente - così disse lei, Chiara, piuttosto invidiosa di vedermi molto più esperta di lei nel campo delle lotte. D’altronde lei aveva preso a muoversi così silenziosamente che non riuscivo ad avvertire il suo passo felpato quando mi si avvicinava.
Gli insegnanti giunsero alla base poco dopo i primi di gennaio ed erano specializzati nelle lotte - poi ognuno dei tre aveva sufficiente esperienza nei campi dell’esplorazione, nello spionaggio e così via. Erano tre fratelli, fisicamente diversi all’inverosimile: solo nel mondo Pokémon poteva essere credibile, accettabile, la loro parentela. Ad accomunarli c’erano la fisicità e i lineamenti del viso - erano tutti e tre parecchio alti e un po’ magrolini. Si chiamavano Oxygen, Argon e Kripton.
Il primo era il più giovane, ed era… cristallino. Questo ne descrive abbastanza bene l’aspetto: la pelle chiarissima sembrava brillare e i capelli color acquamarina erano spettinati e appena ricciuti: mi fecero pensare fin da subito al modo di disegnare il vento in modo stilizzato, stereotipato. Era specializzato nel tipo Volante e una volta che lo seppi mi parve quasi ovvio, confrontando la cosa con il suo aspetto. Gli occhi, dal taglio leggermente a mandorla e dalle ciglia stranamente scure, erano del colore della volta celeste più limpida e serena; le sua labbra erano chiare e sottili e il lungo naso era appuntito. Vestiva elegantemente, molto più dei due fratelli.
«Sento puzza di tradimento…» non potei fare a meno di notare con un ghigno dispettoso e malizioso, con Ilenia e Cynthia, alla vista di Kripton. La pelle era scura, così come i capelli ricci e neri e i grandi occhi dello stesso colore.
«Chissà che ha combinato la madre con il maggiore dei fratelli» mormorò Ilenia.
Prima che ci richiamassero al silenzio, Cynthia riuscì a dire la sua: «Be’, si è riscattata con gli altri due.»
Infatti pure Argon aveva la pelle abbastanza chiara, anche se molto meno di Oxygen che era incredibilmente pallido - era un po’ inquietante ma alla fine ci feci l’abitudine. I suoi capelli erano grigi, ma mancava l’opacità che li avrebbe resi propri di un uomo anziano, e non erano sottili né sfibrati. Gli occhi invece erano marroni. Lui e Kripton vestivano in stile casual, il maggiore dei due con più cura dell’altro che pareva un po’ trasandato, a volte. Si giustificava dicendo che era molto pigro - in effetti si rivelò essere terribilmente svogliato.
Il primo giorno in cui li incontrammo mostrarono subito i loro Pokémon preferiti - i caposquadra, li avrei definiti io. Kripton aveva un Drifblim, Argon un enorme, inquietante Slaking e Oxygen un Braviary - ma mi mancò il fiato quando, la prima volta che lo liberò dalla sua Ball, scoprii che aveva un Altaria cromatico. Forse ero in compagnia di Altair in quell’occasione e lei quasi strillò, altrettanto sorpresa ed emozionata come me.
«Salve a tutti!» esordì Kripton, informale e allegro, quella mattina. Appariva il più aperto e spigliato tra i tre. «È un piacere essere qui per istruirvi sulle tecniche di allenamento Pokémon e per aiutarvi a trovare uno stile di lotta unico, in grado di mettere in crisi l’avversario… creare una propria tattica, un modo di pensare mai visto prima ed inimmaginabile, è il primo passo per avvicinarsi alla vittoria. Le lotte, tenetelo presente per il futuro, sono davvero una questione di stile. Io sono Kripton, il maggiore di noi tre, lui è Argon e lui Oxygen, il minore.» Oxygen dimostrava al massimo sedici o diciassette anni; Kripton sembrava sulla ventina.
Fummo divisi in tre gruppi. Io, Ilenia e Cynthia, tra gli altri, andammo da Oxygen.
«Allora, mi ripresento: sono Oxygen, un esperto del tipo Volante e, in condizioni normali, sarei un aspirante Capopalestra di questo tipo. In questi primi giorni devo conoscere meglio voi, i vostri Pokémon e soprattutto, se li avete sviluppati, stile e tecnica per lottare; perciò, prima di creare un programma di allenamento adatto al vostro gruppo, dovrò vedervi all’opera per almeno qualche giorno» concluse.
Nel frattempo qualche non bene identificata voce femminile dietro di me si chiedeva se Oxygen fosse o no il più bello fra i tre maestri. Già mi ritrovai ad alzare gli occhi al cielo. Qualcuna, dietro di me, ribatté a quelle che già si erano espresse che il ragazzo non era per niente bello e che i due fratelli avevano molto più fascino. Non avrei mai capito perché passassero da un estremo all’altro: Oxygen non mi sembrava carino, non eccessivamente perlomeno. Per i miei gusti era troppo magro e non mi piaceva molto il suo viso spigoloso, ma aveva davvero dei begli occhi - indossava, in più, gli occhiali - e un’espressività sincera e naturale.
Quindi, i primi due o tre giorni, il nostro nuovo maestro ci osservò lottare a lungo, prendendo appunti su tutti. Aveva l’aria del ragazzo diligente e studioso, e gli occhiali dalla montatura scura, abbastanza grandi, contribuivano a conferirgli quell’aspetto tipico dell’alunno intelligente sempre chinato sui libri.
«Allora, i tuoi Pokémon sono…?» mi chiese il giorno dopo il primo incontro.
«Altaria, Gallade, Roserade, Rampardos, Horsea, Staraptor, Luxray e un Hoothoot» risposi mentre scriveva su un bloc notes. Mi accorsi praticamente solo allora, nominandoli tutti, che avevo una squadra davvero numerosa. Indecisa, gli chiesi se volesse anche i soprannomi, ma lui scosse la testa.
«Chi è stato il tuo primo compagno?»
«Altair. Cioè… Altaria.»
«E l’ultimo?» Gli risposi che avevo catturato un mese prima Horsea e Hoothoot ma che il loro allenamento procedeva un po’ a rilento. Distrattamente, mentre scribacchiava fitto fitto sul suo quadernino, mi rispose che da allora in poi avrei avuto tutto il tempo per portarli al livello del resto della squadra. «Da quanto alleni Pokémon?»
«Sono arrivata all’Accademia quasi un anno e mezzo fa. E quando sono stata trasferita qui ad agosto, insieme a molti altri, avevo la squadra quasi uguale ad ora… mancavano Horsea e Hoothoot.»
«Mhm. E prima cosa hai fatto?»
«Prima dell’Accademia?» Annuì. «Niente. È stato allora che sono entrata nel mondo dei Pokémon.»
Lui si bloccò per un momento dallo scrivere. Mi guardò per un paio di lunghi secondi che non furono sufficienti a farmi capire la sua espressione. Distolsi lo sguardo e mi passai una mano tra i capelli, un po’ innervosita, chiedendomi se la cosa lo avesse potuto stupire così tanto.
«Ho capito. Grazie» disse poi, semplicemente, passando a fare domande ad un altro compagno.

Un mese passò e le mie giornate trascorsero tutte uguali. Avevo vissuto una routine davvero impegnativa fino alla fine di dicembre, poi con l’anno nuovo avevo avuto un breve periodo di pausa prima di partire in missione; poco dopo il mio rientro erano arrivati Oxygen, Argon e Kripton, e ora avevo di nuovo un programma da seguire quasi tutti i giorni. Di mattina o di pomeriggio, ogni due giorni, i maestri tenevano le loro lezioni con noi guerrieri - con gli altri gruppi un po’ meno di frequente.
Ci volle quasi un intero mese, appunto, perché i tre osservassero con meticolosa attenzione i gruppi che si erano formati e che erano sotto la loro guida. Inizialmente si erano limitati a dare suggerimenti sporadici mentre studiavano l’andamento di una lotta e cercavano di leggere lo stile di tutti noi, o di notare una mancanza di tattica. Quando i tempi furono maturi, Oxygen, nel caso del mio gruppo, passò a dare consigli e pareri meglio costruiti ed elaborati, facendo capire che era veramente un esperto. Aveva un grande spirito d’osservazione, per essere poco più grande di me: mi chiesi più volte dove avesse imparato tutto quello che sapeva sulle lotte. La preparazione dell’Accademia mi pareva del tutto insufficiente e superficiale, ora che mi ero abituata al regime della base segreta.
Ero un po’ preoccupata per il giudizio di Oxygen, quando venne a darmelo: non sapevo nemmeno se lo avevo, uno stile di lotta, o se il mio inaffidabile istinto fosse predominante. Le lotte che mi coinvolgevano direttamente, come guerriera, ormai erano impegnative solo su un fronte: intuire le intenzioni dell’avversario e superarlo in ogni modo. Conoscevo le mie capacità alla perfezione, sapevo come muovermi. Con i Pokémon era tutto diverso: dovevo capire i loro limiti, immedesimarmi e sapere quali erano i loro tempi. Era una lotta fatta per mezzo di altre “armi” che non erano il mio corpo e, nonostante allenassi Pokémon da quasi un anno e mezzo, ancora entravo in difficoltà e non sempre per la bravura dell’avversario, ma per fattori interni a me e alla mia squadra.
«Allora, Eleonora… è stato abbastanza facile capire come ti muovi in una lotta Pokémon» esordì Oxygen. Già con quel poco mi chiesi se fosse un bene o un male, il fatto che avesse capito facilmente i miei comportamenti in un combattimento. «Combatti in un modo piuttosto semplice, non impieghi tempo nell’elaborare una strategia di lotta per cercare di portarti subito in vantaggio. Le mosse di stato sembrano farti schifo…» Ridacchiai, annuendo. «Se sei tu a dover cominciare, parti subito all’attacco nel modo più efficace possibile, puntando sulla potenza. Se è l’avversario ad inaugurare il round, passi subito sulla difensiva. Il bello è che non lo fai con le mosse di stato, per l’appunto; dici sempre ai tuoi Pokémon di schivare, oppure, se hai l’occasione di farlo, ordini che ribattano con un colpo più potente di quello dell’avversario, cercando di neutralizzarlo.»
Smise di parlare. «E quindi?» chiesi io.
«E quindi dovresti puntare di più sulle mosse di stato, ma questo è secondario rispetto all’altro tuo problema: non puoi contare troppo sulla capacità dei tuoi Pokémon di schivare o di superare la forza dell’avversario. Perché non permetti che ogni tanto vengano colpiti? Non è un’assurdità, lasciar incassare qualche colpo, anche per evitare di tirare troppo per le lunghe la lotta. Se perdi tempo a prevenire ogni danno, i turni li perdi uno dopo l’altro.»
«Ah… ho capito» mormorai, un po’ delusa. Mi sembrava un giudizio molto negativo.
«I tuoi Pokémon hanno talento da vendere, soprattutto…» Controllò un’annotazione sulla sorta di registro che aveva; «Gallade, Roserade e Rampardos. I primi due, in particolare. Anche la tua Seadra se la cava più che bene, dovresti pensare a farla evolvere.» Saphira si era evoluta prima del previsto, grazie agli allenamenti quasi quotidiani a cui l’avevo praticamente costretta. Mi sarei procurata al più presto una Squama Drago, visto che Oxygen stesso me lo stava consigliando.
«Va bene… Quindi dovrei far colpire più spesso i miei Pokémon, anziché evitare che si procurino danni?»
«In poche parole, sì» ribatté Oxygen. «Puoi anche permetterti di non avere una tattica: per certi versi, è anche meglio essere imprevedibili. Qualcuno, come Kripton, crede che lo stile sia tutto e che per questo vada elaborato quasi alla perfezione. È un po’ pignolo. Però per rinunciare ad una tattica, che può sempre esserti d’aiuto come base da cui partire durante una lotta, devi imparare a lottare veramente tanto bene. Non è una cosa da tutti.»
«Oh… be’, mi metterò d’impegno.»
Siccome non sapevo da dove partire per creare una strategia e mi rivelai essere troppo orgogliosa per chiedere un aiuto ad Oxygen o ad un altro dei maestri, dovetti allenare, da quel giorno in poi, soprattutto il mio spirito di osservazione. Se volevo rinunciare ad una tattica, come aveva detto il giovane insegnante, dovevo imparare a lottare benissimo; il primo passo per farlo era studiare gli altri, vedere come si comportavano e come reagivano nelle situazioni di difficoltà. Smisi di chiedere ai miei Pokémon, ad ogni possibile attacco, di schivare la mossa dell’avversario. Pensai che in questo modo si sarebbero anche rafforzati, avrebbero imparato a resistere molto più a lungo in battaglia, abituandosi a stringere i denti quando venivano colpiti e a non cercare di fuggire.
Perciò, anziché cercare in ogni momento un nuovo avversario da sfidare, riservai parecchio del tempo delle lezioni allo studio dei miei compagni di corso. Mi resi conto che moltissimi miei amici, come Daniel, Ilenia e Cynthia, attaccavano ogniqualvolta si presentasse l’occasione di farlo, con i colpi più potenti che i loro Pokémon conoscessero. Altri, come Gold e Lorenzo, prima di scatenare la forza delle loro squadre, davano parecchie rogne agli avversari con mosse di stato o intrappolanti.
A me le mosse di stato continuavano a non piacere, quindi basai il mio stile - che non obbligava ad avere anche una strategia da attuare - su attacchi con effetti secondari, facendo allenare i miei Pokémon proprio perché essi subentrassero il prima possibile. Molto presto le mie mosse preferite di Aramis, quelle che potevano causare un brutto colpo, diventarono veramente temibili, tante erano le volte che causavano più danni del voluto; anche quelle di June, come Fangobomba, si rivelarono essere un’arma potente, soprattutto contro gli avversari più sensibili. Feci evolvere Saphira in Kingdra, scambiandola con il Magmar di Daniel perché entrambi passassero al successivo stadio evolutivo, l’ultimo, e divenne uno dei Pokémon più forti e versatili della mia squadra.
Proprio Altair, la mia prima compagna nel mondo Pokémon, era il membro del mio team meno adatto alla lotta, perché pure Diamond e Pearl avevano bravura e coraggio, in un combattimento, da vendere. Con lei dovetti lavorare in un modo un po’ diverso: la feci esercitare moltissimo con Canto, finché quella mossa non sembrò diventare infallibile, e con mosse, ahimè, che non erano d’attacco; la feci preparare sulla difensiva, anche su consiglio di Oxygen - che avevo consultato almeno per quella volta. Mi disse che pure il suo, di Altaria, era un Pokémon inadatto agli attacchi, ma come tutti i Pokémon, se ben allenata, la loro specie poteva diventare un asso nella manica e tradire le aspettative degli avversari che li sottovalutavano.
«Chissà quando e come ha catturato uno Swablu shiny» mormorai quando si allontanò, la mattina in cui me lo disse. Ero in compagnia di Altair e non sapevo dire se mi fossi rivolta a entrambe o solo a me stessa.
La Altaria esclamò qualcosa che rimase non identificato alle mie orecchie; le chiesi una spiegazione per quel piccolo strillo e lei rivolse il suo sguardo verso Oxygen, voltato di spalle. «Immagino tu sia emozionata per quel Pokémon» ridacchiai, e lei mi imitò. «Sarebbe interessante, lottarci, almeno una volta… sarebbe anche una piccola umiliazione, vista la leggera differenza di esperienza e di bravura, ma chissà.»
Altair gorgogliò qualcosa in risposta. «Se vogliamo sperare di lottare contro un maestro, dobbiamo allenarci ancora per parecchio tempo e impegnarci al massimo… vedrai che i risultati arriveranno.»
La voce di Daniel, proveniente da dietro di me, interruppe il semi-monologo di di incoraggiamento che stavo facendo più per me che per la mia compagna. «Senti, mia cara Eleonora, mi spiace darti fastidio durante la tua amabile chiacchierata con Altair…»
Mi girai, un po’ sorpresa di averlo sentito intervenire, e subito finsi di essere scocciata. «Ehi, qualche problema per questo?»
«Non chiederlo a me» ghignò lui, dandomi una leggera pacca sulla spalla, avendo capito che stavo recitando - e facendomi abbandonare quella maschera. «Però mi pare che quel tizio, Natural, non fosse proprio a posto con la testa… e di conversazioni con i Pokémon ne faceva fin troppe.»
«Non so di chi tu stia parlando, ma no, non posso lamentarmi di come ragiona il mio cervello.»
«Questo lo vedremo in una lotta.»
Capii subito cosa intendeva dire. Sorrisi con aria di sfida - anche se il più bravo con le espressioni beffarde e di scherno era sicuramente lui: «Allora aspettiamo che un campo si liberi.»
Per un po’ restammo in silenzio, guardando due ragazzi che combattevano gli ultimi round della loro battaglia. Stavamo appoggiati con la schiena al muro, una vicino all’altro. Non avevo mai fatto una vera lotta con Daniel, per un motivo o per un altro, anche perché, fino a relativamente pochi mesi prima, lui era molto più avanti di me con l’allenamento dei suoi Pokémon. La sua vittoria era sempre stata quasi scontata. Ora però mi ero certamente portata al suo livello e quel giorno gliel’avrei dimostrato, indipendentemente dal risultato del combattimento: anche se avessi perso, la vittoria gliel’avrei fatta sudare.
Alla fine non ci dicemmo niente, mentre aspettavamo. Il campo si liberò e lo occupammo noi prima che qualcun altro ce lo prendesse. Ci mettemmo d’accordo solo sulla scelta del Pokémon, che sarebbe avvenuta casualmente, e alla fine di un round non avremmo potuto sostituire il compagno in campo. Così i primi a fronteggiarsi furono il suo Drapion e Rocky. Il Rampardos scalpitava, ma la prima mossa, purtroppo, spettava all’avversario.
«Idrondata» ordinò Daniel, estremamente serio.
«Terremoto!» esclamai io, che, nonostante mi fossi ripromessa di non cercare di bloccare le mosse nemiche, non potevo evitare di farlo, almeno quando l’attacco era pericolosamente superefficace - in più, nel caso di Rocky, le sue difese erano per natura piuttosto basse.
Idrondata non colpì Rocky ma Drapion non sembrò risentire neanche troppo della mia mossa. Daniel disse al suo Pokémon di continuare con lo stesso attacco. Mi sforzai di tentare la sorte, se così si poteva dire, e lasciai che Rampardos venisse colpito; a quel punto ordinai un altro Terremoto. Rocky, non dovendo concentrarsi sullo schivare il colpo avversario, poté scatenare tutta la sua forza: stavolta Drapion soffrì parecchio per la mossa superefficace, ma mancava almeno un altro attacco perché lo potessi sconfiggere.
Drapion usò Velenocroce e Rocky lo bloccò con Forzantica.
«Allora usa Tossina!» Daniel cambiò strategia, e purtroppo funzionò. Il mio Pokémon mise K.O. Drapion con un altro Terremoto ma, iperavvelenato, sarebbe andato al tappeto nel turno successivo.
Il mio avversario schierò Swampert, il suo primo compagno, suo amico fin da quando era bambino - almeno, questo era quello che mi aveva raccontato. Usò Surf e mi arresi, senza cercare nemmeno di attaccarlo; senza alcuna esitazione scelsi June, sicura che avrebbe sconfitto l’altro Pokémon senza troppe difficoltà. Gli Swampert erano quasi obbligatoriamente degli attaccanti fisici e, colpendolo da lontano con le mosse speciali della Roserade, che si sarebbe tenuta fuori dalla sua portata, avevo parecchie possibilità di avere la meglio anche in quel round. Ma Daniel non mi deluse, per certi versi. Per altri si rese parecchio odioso.
«June, usa Energipalla.»
«Protezione» decise subito lui.
Le feci ripetere l’attacco appena la barriera difensiva si dissolse, ma rimasi basita quando, colpendo la sfera di energia con un Gelopugno, Swampert spedì sul soffitto la mia mossa. Avevo gli occhi sbarrati per lo stupore e Daniel se ne accorse pure dalla parte opposta del campo. Sentii la sua risata e mi innervosii.
«Tossina!» Adottai la stessa tattica che lui aveva usato poco prima con Drapion.
«Terremoto» disse semplicemente. Vedevo anche da lontano il suo sorrisetto di scherno.
Mentre Swampert attaccava, però, ordinai a June di colpirlo, non curandomi un’altra volta del fatto che dovessi far incassare ogni colpo ai miei Pokémon. Non volevo assolutamente perdere contro Daniel, ecco perché agivo in quel modo che mi dava più sicurezza, come avevo fatto fino a poco tempo prima.
June, colpita dal Terremoto, e pure Swampert si ritrovarono con pochissime energie a disposizione. Ma sia io che Daniel ci eravamo quasi dimenticati di Tossina, che sfinì il Pokémon d’Acqua.
Strinsi il pugno, preoccupandomi di farmi vedere dal mio avversario mentre esultavo per quel risultato. Sapevo di non dover festeggiare, però; infatti la sua scelta successiva fu Magmortar. Un’altra volta mi arresi - lo schema di quella lotta stava diventando piuttosto ripetitivo - alla sua prima mossa di tipo Fuoco, che mandò al tappeto June senza difficoltà. Decisi di mandare in campo Altair, anche perché ero curiosa di osservare come si sarebbe comportato Daniel vedendomi passare quasi totalmente sulla difensiva.
Prima di tutto, Magmortar creò un Giornodisole. Felicissima della sua scelta, ordinai ad Altair di usare Canto: la mossa andò a segno senza difficoltà. Ricordandomi che l’abilità dell’avversario era Corpodifuoco, Altaria prima di tutto continuò a non attaccare usando Cotonscudo; poi passò a Forza Lunare, che ridusse l’Attacco Speciale di Magmortar. Daniel appariva seccato. «Sei fin troppo fortunata!»
«No, sono molto allenata» ribattei, ridendo. «Usa Dragobolide!»
La potenza dell’attacco mise in crisi Daniel ma svegliò Magmortar. Attaccò subito con Fuocobomba ma non servì a molto: Altair lo mandò K.O. con un quasi banale Dragopulsar. La mossa era visibilmente debole, dopo la forza di Dragobolide che consumava molte risorse, ma bastò per far sì che Daniel dovesse cambiare Pokémon.
La sua scelta successiva fu Alakazam. Era molto più veloce e potente di Altair, in più, come avevo fatto prima io con June, si teneva molto lontano da lei, forte dei suoi colpi speciali che potevano colpire da grandi distanze. Già il primo Psichico ridusse bruscamente le energie della mia compagna, ma prima che fosse troppo tardi le ordinai di usare un altro Dragobolide, sperando che fosse sufficiente per facilitare il compito dei miei compagni successivi. Invece non servì a molto: la mossa era visibilmente debole a causa della stanchezza di Altair, che svenne dopo un altro Psichico. La situazione era nuovamente in parità: avevamo entrambi perso tre Pokémon. Lui aveva ancora Alakazam, Haxorus ed Electivire; io potevo contare su Aramis, Diamond e Pearl. Scelsi quest’ultima.
La prima mossa spettava ancora ad Alakazam e fin da subito si dimostrò molto più forte di Luxray, usando l’ennesimo Psichico. Inizialmente avrei voluto colpire con Scarica ma tentennai, valutando uno Sgranocchio. Alla fine non feci né l’una, né l’altra cosa: «Pearl, usa Tuononda!»
In tal modo mi assicurai la paralisi di Alakazam e Luxray lo poté colpire senza difficoltà con un superefficace Sgranocchio. Lo mandò pure al tappeto, con sorpresa sia mia che di Daniel, ma era sempre troppo presto per pensare di avere la vittora in pugno. Mi stupii quando la successiva scelta del mio avversario fu Electivire.
«Ti stai riservando Haxorus per il finale?» gli chiesi.
Quello scrollò le spalle e non rispose. «Usa Tuononda, Electivire.»
«Dovremmo smetterla di copiarci le mosse» esclamai quando Pearl venne paralizzata. Sia io che lui avevamo usato Tossina, ci tenevamo a distanza dall’avversario quando era necessario per cercare un vantaggio nello spazio, adesso lui mi aveva imitata con Tuononda… avevamo uno stile simile o lo stavamo facendo apposta? Solo con altre lotte con lui ebbi la risposta. Combattevamo in un modo piuttosto simile e questo metteva in difficoltà tutti e due, perciò non rinunciavamo, nelle battaglie tra di noi, alle mosse di stato che non piacevano a nessuno dei due.
«Pearl, usa Sgranocchio!» Electivire si lasciò colpire ma subito dopo Daniel gli ordinò un Gigaimpatto. Mormorai un “Eh?” strozzato per lo stupore e un momento dopo Pearl era al tappeto, esausta. Sentii le braccia cadermi. Non me lo ero aspettato per niente.
Dovevo decidere se mandare in campo Aramis o Diamond. Normalmente avrei scelto senza esitazioni il primo, ma poi avrei dovuto fare i conti con Haxorus e non ero certa che lo Staraptor fosse in grado di fronteggiarlo. Il mio Gallade, invece, aveva molte più possibilità di farcela. Perciò schierai Diamond.
«Usa Zuffa!» ordinai. Electivire si stava riposando dopo il Gigaimpatto e Staraptor lo colpì con piena potenza. Essendo pure più veloce dell’avversario, attaccò un’altra volta nello stesso modo e riuscì a mandarlo al tappeto. Ero in vantaggio. Non per molto, però: le difese di Diamond erano già basse di loro, Haxorus avrebbe sfruttato l’effetto di Zuffa per mandarlo al tappeto in un momento.
Daniel mandò il suo ultimo Pokémon e partì subito con Oltraggio. Aramis non avrebbe avuto vita facile, una volta sceso in campo; comunque, come avevo previsto, Diamond andò al tappeto con un colpo solo.
Il mio ultimo compagno di squadra scese in campo con fierezza, intento ad intimorire l’avversario. Haxorus già dava segno di non essere molto attento a qualsiasi cosa che non fosse la preparazione del suo successivo attacco. Oltraggio era una mossa pericolosa, sia per l’utilizzatore che per il destinatario. Ero indecisa se usare Protezione e riportare la situazione in uno stato di equilibrio, cercando di prendere tempo per decidere come attaccare il drago; l’alternativa, invece, era sopportare per almeno un altro turno la potenza spaventosa di Haxorus e aspettare che si confondesse. Era più rischiosa la seconda scelta ed era anche quella che mi ero imposta di fare tante volte. Ma tante volte non voleva dire tutte, e in quel combattimento avevo già infranto quella promessa in più di un’occasione.
Haxorus riprese con Oltraggio. «Aramis, Protezione!»
Interrompendo violentemente il suo attacco, Haxorus si riebbe: già da un po’ sembrava sul punto di entrare in uno stato di confusione. Ma a Daniel non importava e ripeté l’ordine di prima.
«Allora usa Zuffa, Aramis!» esclamai mentre il drago si avventava contro il mio compagno. Le due mosse si scontrarono e sembrò che l’impatto dovesse alzare scintille, ma dopo aver indietreggiato di parecchi metri e ripreso fiato, Haxorus attaccò una seconda volta. Aramis provò a ribattere con un’altra Zuffa senza che io gli avessi detto niente, e forse sarebbe stato meglio che non l’avesse fatto, visto che avevo già deciso di chiedergli una Protezione. Esclamai un “No!” preoccupato, ma non servì a niente.
Aramis fu colpito e il suo svenimento decretò la fine dello scontro. Neanche Haxorus stava messo tanto bene, ma la vittoria spettava a Daniel. Mi morsi la lingua, seccata: se Aramis non avesse fatto di testa sua, l’esito della lotta sarebbe stato ancora tutto da vedere.
Il ragazzo si avvicinò alla metà del campo e lo raggiunsi per stringergli la mano. «Ehi, cos’è quel muso?» mi chiese, abbracciandomi velocemente.
In quel momento l’ultima cosa che volevo era una sua stretta. Mi ero detta che la vittoria o la sconfitta non avrebbero fatto la differenza, invece il mio orgoglio aveva subito un brutto colpo. Eccome se mi importava di vincere! Ci tenevo, soprattutto contro Daniel; altro che filo da torcere, avrei dovuto avere meno riguardi nei suoi confronti, solo perché era il mio migliore amico. Gli risposi, evasiva: «Niente.»
«Guarda che hai lottato bene, mi…»
«E la prossima volta lotterò anche meglio!» feci, altezzosa, ma ugualmente ferita nell’orgoglio, voltandogli le spalle e lasciandolo sicuramente con un palmo di naso.
Combattemmo altre volte, ovviamente, e ci ritrovammo con un bilancio di vittorie-sconfitte praticamente alla pari. Ma quello non mi bastava e mi prefissi l’obbiettivo di superarlo. La mia competitività stava prendendo il sopravvento: in certe occasioni poteva essermi utile, in altre dovevo fare attenzione a non esagerare, esattamente come stava succedendo con la mia sfacciataggine e la spavalderia, che a volte degeneravano in scontrosità.
Cercai di riprendere i contatti con Chiara, in quel periodo, ma fu molto difficile. Ci vedevamo di sera e mattina; oltre a chiederci come andassero le cose e raccontarci qualche breve fatto divertente, la domanda “come stai?” si fece sempre più retorica e automatica. Non sapevo dire se fosse una cosa inevitabile o se, in qualche modo, prima o poi saremmo tornate ai vecchi tempi della nostra profonda amicizia. L’arrivo di Oxygen, Argon e Kripton costituì un elemento di chiacchiera che però si esaurì ben presto.
Fatalità, proprio un pomeriggio in cui entrambe eravamo libere ed eravamo riuscite ad incontrarci, la porta del dormitorio femminile - stavamo chiacchierando lì - si aprì e lei smise di parlare. Era Sara: anche lei non la vedevo da un po’. Si osservò un po’ intorno, perlustrando tutto il dormitorio con gli occhi celesti, e quando mi individuò si rivolse proprio a me. «Ciao, Ele. Dovresti venire con me» disse semplicemente, a bassa voce.
Salutai Chiara e la vidi fin da subito seccata per quell’interruzione. Mi salutò, già di malumore: la trovai una reazione un po’ esagerata.
«Dove andiamo?» domandai a Sara. Aveva tagliato i suoi capelli bianchi e azzurri: non arrivavano più sotto la vita, erano lunghi fino a metà della sua schiena.
«Nell’ufficio di Bellocchio. Ci hanno assegnato una missione.»
«Davvero?!» quasi strillai. Lei inarcò le sopracciglia e rise, un po’ nervosamente, per la mia reazione. «Non me lo aspettavo proprio… e cosa si fa? Chi altri c’è?»
«Non lo so.» Non sembrava troppo contenta della novità.
Entrammo nell’ufficio di Bellocchio e ci trovammo sia lui che Oxygen, con ulteriore mia sorpresa. Se la sua presenza significava che il maestro avrebbe partecipato alla missione, ero certa che si trattasse di un incarico complesso e pericoloso, il genere che da un mese e mezzo aspettavo con ansia, impazienza e pure paura. I due ci salutarono; l’uomo al vertice delle Forze del Bene sembrava un po’ teso.
Nel minuto successivo si unirono a noi Daniel, Ilenia e George - il migliore amico di Daniel appassionato di Pokémon di tipo Buio. Pensai che in quella giornata non avrei mai smesso di stupirmi: avrei partecipato con tutte persone conosciute, salvo George con cui non ero molto in confidenza - e Oxygen che era “soltanto” un maestro.
«Allora, ci siamo tutti. Voi sei prenderete parte a questa missione» esordì Bellocchio. Si schiarì la voce un po’ rauca e proseguì: «Questa missione è molto rischiosa e di fondamentale importanza, i preparativi sono ancora in corso e vi sarà data qualche settimana per prepararvi al meglio… in tutti i modi. Dovrete andare a Flemminia e spostarvi oltre le Rovine, come se foste diretti verso Rupepoli passando attraverso il bosco.»
Fece una pausa. Si passò una mano sul viso e aprì bocca, poi la richiuse. Aggrottai le sopracciglia, senza capire il motivo di tanta difficoltà nel parlare. Alla fine andò al nocciolo della questione, parlando in fredda, come se in quel modo potesse rendere la cosa più indolore: «Il vostro obbiettivo è chiudere la centrale nucleare che il Victory Team ha aperto anni fa poco lontano dalle Rovine e dalla Torre Memoria.»
Un lungo silenzio attonito accolse le sue parole. La mia mente, e probabilmente il mio cuore, ebbero un black-out: ogni mia capacità di pensare o di provare emozioni si spense nell’udire quelle parole. Per qualche momento dovetti pure smettere di respirare. Ripresi i contatti con la realtà quando George sbottò, senza usare mezzi termini: «Siete fuori di testa. Io a questa missione non partecipo.»
Bellocchio scosse la testa. «Non è grave come sembra…»
«Ah no?» squittii, con voce acuta a causa del terrore.
«Ragazzi, permettetemi di spiegarvi tutto. Non interrompetemi, se dovete fare domande le accetterò quando avrò finito, altrimenti riservatevele per quando arriverà il programma completo della missione.» Ci fu un silenzio-assenso che seguì le sue parole e l’uomo poté proseguire, sperando di non essere bloccato dalle nostre proteste: «Il Victory Team aprì la centrale circa cinque anni fa e la situazione, inizialmente, sembrava sotto controllo. Ma sono sorti due problemi: anzitutto, la contaminazione che ha interessato l’area di Flemminia, arrivando alle Rovine e alla Torre. Al di là della questione ambientale, la regione utilizza l’energia della centrale, seppur in minima parte - la sua esistenza è sconosciuta ai più. Questo perché, per ora, i Victory non si sono infiltrati nel governo di Sinnoh. Mi spiace aver detto per ora» precisò subito, con un sospiro. «Prima che la centrale diventi indispensabile per Sinnoh - i Victory faranno di tutto perché questo avvenga, per entrare nella gestione di questioni governative… per evitare che accada tutto questo, bisogna chiudere la centrale.
«Ora, voi vi chiederete: come farlo se i nemici la controllano? Ebbene, non la stanno controllando più in questo periodo. Il motivo è il problema ambientale: un certo periodo di tempo dovrebbe essere impiegato per la pulizia della zona contaminata e, grazie alle informazioni raccolte di recente, sappiamo che la risistemazione avverrà tra qualche settimana.
«Qui entrate in gioco voi. Porterete in salvo lo Spiritomb che abita il Pozzo Memoria, che i Victory non hanno ancora catturato poiché non sono in possesso della Roccianima, che vi fornirò io. Poi chiuderete la centrale, cioè dovrete spegnere il reattore, e metterete fuori gioco ogni nemico che cercherà di ostacolarvi. Ad ogni modo, dopo di voi arriveranno squadre intere per ripulire la zona dalla contaminazione del suolo, dell’aria e dell’acqua. La vostra permanenza in quella zona dovrà durare, necessariamente, solo qualche ora. Al resto ci penseranno, come ho già detto, gli esperti. Contatteremo elementi del governo di Sinnoh e lavoratori nel settore del nucleare per smantellare la centrale ed eliminare il predominio dei Victory su quella zona.
«Stiamo lavorando ad indumenti e strumenti che, indossati ed equipaggiati, vi possano difendere dalle radiazioni. Per fortuna nascondiamo un segreto di vitale importanza che ci consentirà di farvi svolgere questa missione in una relativa tranquillità. È la presenza dei Pokémon. I loro poteri non si fanno inibire dalla radioattività: grazie a loro, voi avrete difese affidabili contro la contaminazione; noialtri, poi, potremo risolvere il problema ambientale sorto con la nascita della centrale nucleare. Il povero Spiritomb che abita nel Pozzo Memoria non è in grado di difendersi da qualcosa di sconosciuto, molto più grande di lui, a cui non è stato addestrato: non avendo mai avuto un contatto umano e non essendosi mai allenato, in questo senso, è privo di difese. Qualcuno di voi si assumerà la responsabilità di trarlo in salvo.
«Perché, se la tecnologia è così avanzata, i Victory non si sono premurati di evitare tutti questi problemi? È assolutamente possibile, nella nostra realtà, costruire una centrale nucleare quasi perfetta, che non possa perdere radiazioni e simili. È una bella domanda e la risposta è molto triste: perché non è conveniente. Non lo è sotto molti punti di vista. Hanno risparmiato tempo, soldi e fatica per costruire un’arma del genere contro di noi, pur sapendo che prima o poi ne avrebbero pagato il prezzo… intanto, almeno per ora, sta a noi rimediare al danno fatto. Siamo sempre stati noi i destinatari di questa loro vecchia mossa.
«Avete domande da fare?» concluse.
In quel momento non mi sentivo in grado di chiedere alcunché, sconvolta com’ero; allo stesso modo dovettero reagire i miei futuri compagni di missione, considerando il silenzio che seguì al lungo discorso dell’uomo. Avrei aspettato di abituarmi, se fosse stato possibile, a quella terribile novità; dopodiché avrei dato sfogo a tutte le mie emozioni ed esposto i miei interrogativi.







Capitolo V - Rivisto nei giorni 17, 21 e 22 di novembre 2015. Il titolo è rimasto lo stesso.




Angolo ottuso di un’autrice ottusa
Ed Eleonora si ricordò che doveva aggiornare i capitoli di Ntss2 *rainbows*
Ho fatto dei tagli e ridotto la dose spropositata di dialoghi e lotte descritte in modo bovino (?). Non sapevo ancora, evidentemente, quanto fosse meno brutto narrare una lotta Pokémon senza riportare ogni esclamazione degli Allenatori - tra l’altro i dialoghi mi sono sembrati davvero tanto artificiosi, finora!
Ad essere sincera non mi piace molto nemmeno come ho riscritto il capitolo, però l'ho riletto ieri *now it's febbraio* e avevo un po' di febbre: non mi andava per niente di curarlo di più, scusatemi ;;
“Insomma, aspettate ancora un po' per i crolli e le morti, ma non fatemi sentire in colpa (?) perché non posso ammazzare tutti, sennò rimango senza personaggi...” qui vi chiedo per favore di giustificarmi. Purtroppo sono stata molto condizionata da modi di pensare che ora trovo assurdi: ero praticamente convinta che una storia come si deve dovesse contenere per forza morti e devastazioni a non finire, come dicevo là sopra. Le persone con cui mi frequentavo sembravano affermare questa cosa - o almeno, la me di allora la percepiva così; alla fine me ne sono convinta e sono arrivata a fare scelte che non avrei necessariamente dovuto fare. Ho inserito elementi nella trama solo per accontentare lettori che poi, alla fine della fiera, sono spariti. Not the same story non è una storia di guerra: il conflitto tra Forze del Bene e Victory Team non è una vera guerra. È una serie che racconta la vita di una ragazzina in crescita che si sente spesso fuori posto e ha tante paure, nelle quali non per forza rientra il crollo dell’Accademia ma, tanto per dirne una, il peso della sua identità sconosciuta.
Allora non lo avevo capito: tra qualche angolo ottuso vedrete una cosa ridicola, di cui mi vergogno tantissimo ma che penso sia giusto trattare, per capire in che condizioni fossi. Non volevo la mia felicità o essere contenta di quello che stavo scrivendo. La mia unica preoccupazione era scrivere il più possibile per ingraziarmi il pubblico abbastanza folto che avevo all’epoca: e ora chi è rimasto a guardare i progressi, a capire che nel giro di un anno c’è stata una rivoluzione del mio modo di scrivere? Un paio di persone o poco più, ad essere generosi. Ma non mi pento di scelte che ho fatto, sia nel mondo della scrittura che delle relazioni, perché sono felice di scrivere quello che mi piace e di farlo come voglio. Non perché ci sono quattro o cinque persone che vogliono leggere una storia piena di sangue. Not the same story sarebbe diversa, non avrebbe questa trama, non sarebbe una ragazzina come Eleonora - come me? - la protagonista, non sarebbe narrata in prima persona.
Non so se i ragazzi con cui mi frequentavo ai tempi fossero davvero così come li ricordo. Ero una ragazzina, adesso lo sono molto di meno per fortuna. La mia autostima mi arrivava sotto le scarpe e non ci voleva niente perché avessi paura di star sbagliando tutto, cercavo di rendere felice il pubblico, non me stessa. La scrittura è qualcosa di personale, a prescindere dal fatto che stia pubblicando su internet: la condivido perché desidero mostrarla a qualcuno nella speranza che apprezzi il mio lavoro e anche me. Sono convinta che bisogni parlare chiaro, anche a costo di apparire antipatici: questa sono io, questa è la mia storia, e alla fine rimarrò con persone che a me ci tengono e che amano quello che faccio.
Poi va be’, a parte tutto, ero del tutto incapace sia a descrivere che a narrare, per non parlare dei dialoghi - almeno per come la vedo adesso. Però influenze di quel tipo di certo non mi aiutavano a migliorarmi: ho capito solo qualche mese dopo che non dovevo concentrarmi sull’accontentare i lettori; la cosa veramente importante era capire dove stavo andando e come stavo scrivendo, se facevo effettivamente progressi o se me ne ero convinta soltanto io.

In parole povere: ecco la storia di come ho cominciato a scrivere capitoli che non finiscono mai. Piango
Chiedo scusa per questo papiro delirante, non penso che lo leggerà nessuno - così come non credo che qualcuno leggerà mai la revisione di Ntss2 :)))))) - ma l’ho fatto sempre per una questione personale. Mi sento a posto con me stessa, ora, e ne sono felice.
A presto!
Ink, più insopportabile che mai

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Capitolo 7
*** VI - Radioattività ***


VI
Radioattività

Qualche giorno dopo essere stata incaricata della missione alla centrale nucleare di Flemminia, venni svegliata, una mattina, da Sara. La sua pelle candida era ancora più bianca del solito e quasi subito capii cosa avesse. Mi ero svegliata stranamente in fretta, senza accusare i postumi del sonno, ed ero già reattiva.
«Ele…» esordì tetramente, ma io la interruppi subito.
«Sono arrivati dettagli sulla missione?»
Lei deglutì e annuì, poi scese rapidamente dalle scalette del letto a castello, lasciandomi sola. Mi preparai in fretta e la raggiunsi dopo pochi minuti di fronte alla porta dell’ufficio di Bellocchio, come se ci fossimo messe d’accordo sul punto d’incontro, tanto era prevedibile. Entrammo insieme: gli altri erano già tutti presenti. Daniel appariva molto nervoso, come sempre gli succedeva in situazioni di massima tensione, ed era assolutamente incapace di mascherare la sua sensibilità in quei casi; George sembrava semplicemente seccato, ancora furente per essersi visto assegnare una missione del genere. Oxygen era imperturbabile. Restavano la sottoscritta, Ilenia e Sara: immaginai che tutte e tre fossimo il ritratto dello sconforto.
«Eccoci qua» esordì Bellocchio informalmente. «Sono arrivate un po’ di novità riguardanti la vostra missione, sia dagli inventori che per quanto riguarda il programma stesso: i lavori sono andati avanti più velocemente del previsto. Quindi, in breve: stiamo mettendo a punto delle tute e delle varianti dei conosciuti Repellenti, che grazie ad alcuni poteri dei Pokémon, come vi ho già accennato qualche giorno fa, vi renderanno totalmente protetti dalle emissioni della centrale. Ma certo dovrete evitare di andarvene a passeggiare vicino al reattore, altrimenti non si può fare molto altro neanche con i nostri mezzi speciali.
«Per quanto riguarda la partenza: appena il vostro equipaggiamento sarà ultimato avrete qualche giorno per prepararvi. Portate con voi, al solito, tutti i vostri Pokémon, non limitatevi a una squadra da sei membri; ma ad ogni modo ricorrete a loro il meno possibile, anche se vi daremo strumenti difensivi anche per loro. Se avete bisogno di MT, rimedi o altro, c’è la sala apposita nel corridoio E, e nello stesso una stanza dove potrete chiamare il Ricordamosse o l’Esperto. Un’altra cosa importante… ecco a voi una mappa che comprende Flemminia, il Pozzo Memoria, la Torre, le Rovine e la centrale.»
Bellocchio distribuì delle cartine. Gettai un’occhiata a quell’insieme, per me estremamente confuso e illegibile, di stradine colorate, coordinate e altro; poi prestai nuovamente attenzione alle parole dell’uomo. «Per quanto riguarda il resto, siate come al solito cauti, passate inosservati agli occhi di chiunque, vestitevi pesantemente per il freddo e per nascondere al meglio le cinture con le Poké Balls, il PokéGear e qualsiasi cosa abbia a che fare con i Pokémon. Inoltratevi nel bosco passando per le Rovine, in modo tale da non farvi vedere. Sono inglobate nelle barriere e ospitano una delle nostre basi, non molto attiva in realtà, a causa della centrale nucleare stessa, perciò sono in pochi a lavorarci e sono presenti solo una volta ogni tanto; ci saranno quando andrete alla centrale. Se ne avrete bisogno, lì troverete sicuramente un valido appoggio.»
L’uomo proseguì con le solite raccomandazioni, quindi ci congedò dicendoci che appena possibile ci avrebbe dato nuove indicazioni. Neanche quella volta riuscii a spiccicare parola per fare domande o altro. Mi sembrava di avere le vie aeree imprigionate in una morsa micidiale, tanto che temetti di non riuscire più a respirare da un momento all’altro.
Tutti e sei occupammo lo stesso tavolo nella mensa, ignorando completamente il fatto che in quel luogo ci si ristorasse e che dovessimo fare ancora colazione - prendemmo al massimo qualcosa di caldo da bere. Tutti noi, anch’io che ero quasi sempre affamata, avevamo lo stomaco chiuso.
«Non sono molto convinta di quello che ci stanno mandando a fare…» mormorai dopo un po’.
«Non sei molto convinta? Ti sembra il momento di risparmiarsi con eufemismi?» ribatté George, seccato.
Il suo sarcasmo non mi era mai piaciuto e in quel momento di pressione e paura mi rianimò, tanto che riuscii a scoccargli un’occhiataccia. «A me non sembra il momento di fare i capricci» soffiai.
Lui fece per rispondere a tono, ma Daniel lo fermò mettendo una mano avanti, guardando male sia me che lui. Non avevo mai frequentato George, anche se era il migliore amico dei miei due migliori amici. Ancora non capivo cosa ci trovasse di tanto divertente Chiara nel suo carattere, che a me sembrava semplicemente irritante per il suo sconfinato sarcasmo. A Daniel dava un po’ fastidio quel suo modo di essere, me lo aveva detto più di una volta, ma si erano talmente affezionati l’uno all’altro - si erano conosciuti all’Accademia anni prima, appena arrivati - che non riusciva ad immaginare qualcun altro così vicino a lui, a parte me.
«Ehm… tensione a parte,» intervenne Oxygen, piuttosto imbarazzato, «qualcuno di voi ha già intenzione di far suo lo Spiritomb del Pozzo Memoria?»
Continuando a prendere di mira George, che era un appassionato di Pokémon Buio, alzai la mano. Non ero riuscita a sfogare in alcun modo, in quei giorni, le ansie derivate dalla notizia di quella missione suicida; senza farmi troppi problemi e senza sentirmi in colpa per la mia sfacciataggine, mi accanii sull’unica persona che in quel momento mi stava offrendo una valvola di sfogo. Il ragazzo mi guardò con malcelato astio e borbottò qualcosa tra sé, forse cercando di convincersi che di uno Spiritomb radioattivo non se ne faceva niente.
«Allora, se nessun altro se lo contende, sarai tu a catturarlo» disse Oxygen. Nessuno aggiunse nulla; come se fossimo ad un’asta, mi aggiudicai il Pokémon che i Victory avevano rovinato.
Annuii confermando la decisione presa e mi concentrai sul mio cappuccino, cercando di calmarmi, rivolgendo tutte le mie attenzioni al vortice creato dal cucchiaino che girava nella tazza mentre dozzine di dubbi e timori si facevano largo nella mia mente. Davvero esisteva un modo per restare immuni alle radiazioni e ai pericoli del nucleare? Forse sottovalutavo troppo le possibilità dei Pokémon, ma se anche loro erano soggetti ad eventuali malattie genetiche o che altro, certo non ero rassicurata. Dopo che Bellocchio aveva accennato ai trattamenti da fare anche sulle nostre squadre prima di andare, era evidente che nemmeno loro erano del tutto immuni.
Forse avevo provato più paura solo quando ero stata rapita dai Victory e mi ero ritrovata, sola, faccia a faccia con Cyrus. Se già in quel momento rischiavo una crisi di nervi, non volevo immaginare cosa mi sarebbe successo una volta arrivata nei pressi di Flemminia. Cercai di ricapitolare mentalmente le cose che ci aveva detto Bellocchio, sperando che il quadro generale avesse un senso e fosse, in qualche modo, rassicurante. Saremmo andati alla centrale nucleare per metterla fuori uso, o perlomeno per spianare la strada alle squadre di esperti che ci avrebbero dato il cambio. E già qui sorsero le prime domande, che non esitai ad esporre ai miei futuri compagni di sventura.
«Ma perché Bellocchio ha incaricato noi, che non siamo certo preparati per qualcosa del genere, di spegnere una centrale nucleare? Se ci sono persone che sanno come funziona, vuol dire che non c’è bisogno di mandare dei ragazzi a rischiare la morte. O no?» Non capivo cosa mi sfuggisse, cosa avesse fatto sì che Bellocchio e altri decidessero di metterci sulle spalle quella terrificante responsabilità.
Fu Oxygen, il caposquadra, a rispondere. «Perché aveva bisogno di persone preparate, brave nel loro lavoro, che non si trattenessero troppo a lungo ma che si limitassero ad aprire la via ai più esperti.»
«Non poteva chiedere ad Allenatori adulti, ex Superquattro o altri? Perché a dei ragazzi?» Daniel anticipò la mia domanda immediatamente successiva.
«Siamo stati l’ultima risorsa a cui ha pensato. Inizialmente voleva mandare persone come quelle che dite voi, ma a quanto pare nessuno era disponibile, chi per un motivo e chi per un altro. Persino Argon e Krypton sono occupati, si trovano in altre regioni…» disse. «Perciò noi siamo i più bravi nei nostri campi che lui conosca, a parte chi è proprio di competenza» aggiunse, mettendo in mezzo anche sé stesso, un maestro di lotte Pokémon.
«Da quando in qua Bellocchio mi crede una spia tanto esperta?» rise freddamente George. Era la stessa cosa che mi stavo chiedendo io: come poteva avermi scelta, il grande capo, per una missione così rischiosa e impegnativa? Ero pure riuscita a produrre qualche scintilla tra me e lui, all’inizio dell’anno, per essermi vista assegnare ad un gruppo che era poi andato a fare una banale spedizione. “Vuoi vedere che si sta vendicando?” borbottai mentalmente. “Mi sta mandando a morire per farmi capire cos’è una missione veramente impegnativa?”
Oxygen scrollò le spalle senza rispondere a George, che si irritò ancor di più vedendo l’aria quasi serena del ragazzo più grande. Per un po’ restammo tutti in silenzio, a rimuginare su cosa ci stava aspettando, ancora non del tutto convinti - a parte il giovane insegnante, che a quanto pareva riponeva la massima fiducia nelle decisioni dei piani alti delle Forze del Bene. Beato lui! Io ero più insicura che mai.
«A me sembra ancora che sia assurdo» dissi. “Andiamo in una centrale nucleare, va benone, apriamo la strada a chi è più esperto di noi e poi togliamo il disturbo… ma Bellocchio si rende minimamente conto di quanto questa cosa sia pericolosa? Sta mettendo in gioco la vita di sei ragazzi!” Non capivo come Oxygen si ostinasse a difendere la decisione presa dall’uomo. Non vedevo in alcun modo una giustificazione che convincesse anche noialtri della sicurezza, sempre e comunque relativa, di quella missione.
Il maestro sospirò. «Be’, è normale non vedere una via d’uscita in tutto questo. Decidete voi se prendere tutto come un atto di fede o se continuare a dubitare, ma, a mio parere, in questo modo rovinerete tutta la missione.»
«Come si fa a mandare dei ragazzi in una centrale nucleare che ha delle perdite incontrollate, tanto pericolose che pure i Victory l’hanno abbandonata?» continuò ad infervorarsi George.
«Non mi sembra il caso di…» esordì Oxygen, ma George non lo stava neanche ascoltando. Prese a sbraitare contro tutte le Forze del Bene e soprattutto contro Bellocchio, ribadendo che lui non voleva partecipare a quella missione neanche se gli avessero fornito le protezioni più efficaci, neanche se l’avessero pagato. Pensai che fosse una prova lampante dell’enorme paura che stava provando dal giorno in cui era stato assegnato a quella missione.
La mossa di Bellocchio era incomprensibile e ingiustificabile, almeno per come la vedevo io: il fatto stesso di mandare a morire dei ragazzi così giovani non ammetteva spiegazioni. Però ero altrettanto convinta del fatto che l’uomo avesse preso quella decisione dopo aver valutato fattori che a me, a tutti noi, non erano dati sapere. Non avevo idea di come avesse deciso che fossimo tutti astri nascenti, a parte Oxygen, nei campi dello spionaggio e del combattimento. Ero riluttante ad accettare l’idea che nessun altro si fosse reso disponibile, per chissà quali ragioni, per partecipare a quella missione così pericolosa. Saremmo andati a rischiare la vita per qualche ora, poi sarebbe arrivato il turno dei fantomatici esperti nel settore, che forse non potevano perdere tempo prezioso ad affrontare, se ci fossero stati, dei Victory: avremmo fatto sì che potessero lavorare in una relativa tranquillità, e quindi di sbrigare il proprio lavoro al meglio. Tutto quello bastava a giustificare Bellocchio? Non ero convinta.
Guardando i miei compagni di squadra, però, mi resi conto che eravamo davvero una squadra formidabile. Già la presenza di Oxygen mi motivò moltissimo: era un vero maestro che era riuscito a far migliorare, nel giro di due o tre settimane, una ventina di ragazzi come me, trovando e correggendo ogni errore nel loro modo di lottare con i Pokémon. Ilenia, poi, era senza dubbio tra i migliori del nostro gruppo, grazie alla squadra eccezionale che amava con tutta sé stessa; doveva essere anche più grande di Oxygen. “Lei ha diciotto anni… sa il fatto suo, sembra sempre pronta a confrontarsi con ogni ostacolo” considerai. “Questa missione l’ha un po’ scossa, nemmeno mi ha parlato molto in questi giorni, ma già mi sembra che stia riprendendo a sorridere più serenamente.
“Poi ci sono Daniel, George e Sara, che hanno tutti sedici anni.” Non ero sicura del perché mi fossi messa ad analizzare le età dei miei compagni, come se l’esito della missione dipendesse da quanto eravamo maturi in quel senso. “E io, misera quindicenne… che però, a quanto pare, sono un giovane talento nelle lotte.”
Probabilmente lo ero sia in quelle Pokémon che nei combattimenti corpo a corpo. Perché nasconderlo a me stessa? Avevo fatto progressi talmente strabilianti che, paragonandomi alla me del settembre di un anno prima, a malapena mi riconoscevo - e la persona ingenua e sensibile che ero stata mi imbarazzava un po’, a volte.
Gli allenamenti intensi e costanti alla base segreta che c’erano stati in quei mesi, comunque, non avevano rivoluzionato soltanto me stessa. Se per questo, facendo parte del gruppo di Ilenia e Daniel, avevo visto quanto si fossero impegnati per migliorarsi sotto ogni punto di vista. Ero sicura che Sara avesse fatto passi da gigante, e anche George doveva essere tra i migliori nel gruppo delle spie, altrimenti non ci saremmo ritrovati tutti e cinque, escludendo il maestro Oxygen, seduti a quel tavolo, pensando e ripensando alla missione tanto pericolosa che ci aspettava. Era una prova per i migliori e ce l’eravamo meritata - “Purtroppo”, pensai.
Non mi aspettavo, sinceramente, di essere nell’élite - o qualcosa del genere - del mio gruppo. Ero brava e in grado di affrontare pericoli che non molti potevano vantarsi di poter fare; ma mi trovavo addirittura, con Daniel e Ilenia, ad un livello tale da far pensare a Bellocchio che potesse impiegarci, riponendo in noi delle speranze? Un conto era essere brava a combattere in ogni modo e con ogni stile, un altro essere tra i migliori in un gruppo complessivo, quello dei guerrieri, che contava più di cento persone. Io, Ilenia e Daniel eravamo bravi quanto i nostri colleghi; forse lo eravamo anche di più?
«Adesso basta, George.»
Il tono severo e fermo di Oxygen mi riportò alla realtà. Mentre io avevo indagato tra me e me se fossi davvero, oggettivamente, tra i guerrieri più bravi, George non si era fatto problemi e aveva continuato, imperterrito, ad esporre il suo malcontento. Alla fine pure il paziente, sereno maestro aveva finito per essere esasperato. L’altro ragazzo ammutolì tutto d’un tratto, come se si fosse reso conto solo allora di avere cinque persone ad ascoltarlo.
«Non ti va di partecipare alla missione? Allora dillo a Bellocchio e fatti sostituire da qualcun altro. Coraggio.»
George si riprese subito e, con lo stesso fervore di prima, ribatté: «Oh, io vado subito! Voi andate pure a farvi ammazzare, ma io alla mia vita ci tengo… non come Bellocchio, che ci usa come strumenti!»
Quando si fu allontanato di qualche passo, Daniel si riprese dallo stupore e si alzò per andarlo a riprendere; ma Oxygen lo fermò. «Non ci andrà.»
«E che ne sai?»
«Penso che abbia tanta fiducia in Bellocchio quanta ne ho io - e spero tutti voi» aggiunse. Sospirò: «Sappiamo tutti quanti, lui compreso, che pur di non farci rischiare la vita, Bellocchio non ci manderà proprio e si costringerà ad aspettare il ritorno di qualcun altro a cui assegnare la missione. È più che normale avere paura e George, dopo questa sfuriata, riprenderà il suo sangue freddo e accetterà la decisione di Bellocchio.»
Daniel sembrava contrariato. «Conoscendolo, da Bellocchio ci andrà eccome.»
Oxygen scrollò le spalle. «E allora accetterà la missione dopo averci parlato.»

Il pomeriggio del giorno dopo me ne stavo seduta a riposare sul letto, con la schiena appoggiata alla testiera, reduce da un allenamento con Daniel che mi aveva vista trionfare su di lui: era talmente stressato per la missione imminente che non si era impegnato più di tanto per tenermi testa. Avevo spostato il cuscino davanti ai miei piedi scalzi mentre osservavo, da lontano, Saphira che nuotava nell’enorme acquario del dormitorio femminile. La mia unica compagnia al momento era June: teneva le due rose che erano le sue mani leggermente accostate, e tra di loro una sfera di energia, che riconobbi come un’Energipalla, emanava un tenue bagliore verde chiaro.
«Ehi, Eleonora» mi chiamò la voce di Cynthia. Non mi ero accorta del suo arrivo. La bionda era abbastanza alta per guardarmi in faccia senza salire le scalette del letto.
«Mmh?» feci senza prestarle troppa attenzione. La guardai per un paio di secondi, vedendola sogghignare come suo solito. Non era cambiata affatto dopo quasi un anno e mezzo di conoscenza, seppur superficiale.
«Sai che ho trovato un modo per arrivare sulla Vetta Lancia?» la sentii ridacchiare.
Le mie palpebre si spalancarono leggermente, mentre l’Energipalla su cui ero concentrata andava fuori fuoco. La mia espressione si fece vacua, isolata dalla realtà. «Ah sì?» chiesi, un po’ esitante un po’ quasi noncurante.
Cynthia mi spiegò più o meno come ci si poteva arrivare. La Vetta Lancia si trovava all’interno di ulteriori barriere ed era tra i luoghi più difesi dalle Forze del Bene: ogni attacco del Victory Team era fallito miseramente e da anni non ci provavano più. Se ci fossero dei segreti legati ai Leggendari che su quel luogo avevano costruito la loro mitologia, non era dato saperlo a nessuno, nonostante la curiosità si facesse insopportabile, alle volte.
Ma pareva che Cynthia avesse scoperto, tramite amici esploratori e tecnici, che c’era un passaggio segreto nell’ufficio di Bellocchio - il quale, ovviamente, aveva tutte le carte in regola per andare, quando voleva, alla Vetta. La strada nascosta si faceva strada nel monte: aveva la forma di una scala a chiocciola e sbucava in una delle ultime stanze attraverso le quali, per andare alla Vetta Lancia partendo da Cuoripoli, si arrivava a quella sorta di solenne, imponente santuario sulla cima del Monte Corona che ospitava l’accesso per le dimensioni dei Pokémon Leggendari Dialga e Palkia, i primogeniti di Arceus, guardiani del tempo e dello spazio, stando a sentire le leggende del mondo Pokémon. Non c’era l’entrata per il Mondo Distorto di Giratina, situata nella Fonte Saluto, protetta con ogni mezzo conosciuto per evitare che i nemici cercassero l’alleanza del Leggendario Ribelle.
Non riuscivo a credere alla mitologia dei Pokémon. Le religioni del Primo Mondo non erano pervenute fino a noi, se non con brevi descrizioni, perché pareva fossero state una delle cause principali dello scoppio della Terza Guerra Mondiale. Perciò non riuscivo ad avere fede in nulla, soprattutto non nei Leggendari, come moltissimi altri ragazzi. I Pokémon vivevano nascosti e la loro esistenza ci era stata rivelata, per chi non apparteneva a famiglie già integrate in quella realtà, nei modi più disparati: era più forte di me, più forte di tutti noi, rifiutarmi di credere in una religione completa. L’idea che l’equilibrio del mondo fosse in mano a creature così diverse da noi umani - non ero certa che ci fossero inferiori, anzi - non mi convinceva per niente, perciò non ci credevo e basta.
«Tu verresti?»
«Come?» Mi ero persa nei miei pensieri e venni riportata alla realtà dalla domanda di Cynthia, che aveva parlato con voce bassa e profonda, forse per imprimere una sorta di solennità alla sua proposta.
«Sulla Vetta Lancia. Te lo faresti un giro?»
Feci per dire subito “no”, ma esitando mi resi conto che la prospettiva di visitare quel luogo, a cui erano indissolubilmente legate misticità e tradizioni, mi attraeva moltissimo. La mia unica paura era di trasgredire le regole e non volevo proprio passare dei guai immensi con Bellocchio, che avrebbe ridotto in condizioni pietose, di sicuro, chiunque avesse osato avvicinarsi alla Vetta.
Alla fine risposi, senza nascondere una certa delusione e riluttanza a rifiutare, di no. Cynthia sembrava voler insistere, ma la porta del dormitorio si aprì e Ilenia e Sara mi chiamarono per andare nell’ufficio di Bellocchio.
Sulla scrivania, l’uomo esponeva oggetti sparsi che ci sarebbero serviti in missione. Molti erano simili a quelli che avevo già visto nella spedizione al Monte Luna, come il particolare ricerca strumenti, gli occhiali con funzioni tutt’altro che utili alla vista, eccetera; ma altri erano del tutto nuovi, sicuramente adatti all’insolito tipo di missione. Tra questi spiccava una tuta nera, aderente, da indossare sotto i vestiti normali, che avrebbe dovuto respingere le radiazioni; notai anche i repellenti che sarebbero stati altrettanto utili contro le emissioni nocive.
«La tuta è abbastanza resistente a vari tipi di forze, ma dovete vestirvi con indumenti morbidi che possano evitare di rovinarla. Ora, quali dei vostri Pokémon conoscono Teletrasporto?»
Io avevo Aramis, Daniel Alakazam e Oxygen uno Xatu - non potei fare a meno di chiedermi quanti Pokémon Volante allenasse. Ne erano sprovvisti George, Ilenia e Sara. «I Pokémon, pur con un notevole dispendio di energie, possono farsi carico di due persone alla volta. Perciò vi conviene, in linea di massima, dividervi in coppie per teletrasportarvi insieme. Fatelo in caso di estremo pericolo, ad esempio se la tuta non funziona più, e andate via in questo modo se portate a termine la missione: volare potrebbe essere comunque rischioso.
«Questo è un sensore» aggiunse mostrandoci quello che sembrava un microfono da attaccare agli abiti, «da mettere sulla tuta. Se potete, vicino al collo, così vi accorgerete subito dell’allarme che vi darà in caso di danni riportati da essa. Reagirà anche se andrete in una zona da cui la tuta e i repellenti non possono difendervi.»
Sfogliava rapidamente il programma della missione, che consisteva in un mucchio di fogli stampati e spillati. «Oxygen e Ilenia, voi sapete il percorso che dovete fare. George e Sara, state molto attenti, è una missione difficile e l’esito dipende dal lavoro di voi due spie. Eleonora e Daniel…» Ci guardò intensamente, come aveva fatto con gli altri. «Dovete dare una protezione adeguata alle spie, voi due che siete, insieme ad Ilenia, tra i migliori del vostro gruppo di guerrieri. Almeno voi non eravate impegnati in altre missioni, al contrario degli altri tra i più affidabili e forti della vostra categoria.» Ebbi così la conferma dei miglioramenti straordinari che avevo fatto, anche se non pensavo di essere oltre la media del mio gruppo. Non era modestia la mia, riconoscevo di essere brava, ma essere finita addirittura tra i migliori non era qualcosa che mi sarei mai aspettata.
L’uomo proseguì: «Appena arrivati lì, comunque, dovrete catturare lo Spiritomb del Pozzo Memoria. Vi sarà possibile farlo con questa.» Indicò una Poké Ball particolare posta sul tavolo, che prima quasi non avevo visto: la metà superiore era rossa, ma quella inferiore nera anziché bianca come quelle normali. «Imprigionerà le radiazioni e in questo modo, quando ci porterete Spiritomb, potremo porre rimedio al male che gli è stato fatto. Ma l’attenzione non è mai abbastanza: cercate di non far durare troppo a lungo la lotta. Ricordatevi di mettere il repellente sui vostri Pokémon, così non rischieranno il contagio.»
 Provavo pena per Spiritomb. Era diventato una sorta di rifiuto radioattivo che doveva essere trattato con dozzine di precauzioni, attenzioni e procedure di sicurezza; sicuramente era arrabbiato con coloro che gli avevano fatto del male, rendendolo così pericoloso per l’esistenza di chi lo circondava, di chi sarebbe venuto a contatto con lui. Sarei stata io ad accoglierlo nella mia squadra, farci amicizia sarebbe stata un’impresa: sperai di riuscirci.
«Chi di voi si è offerto per catturare Spiritomb?» chiese poi l’uomo. Alzai la mano e mi feci avanti quando mi porse la Roccianima; la presi e un brivido mi percorse l’intera spina dorsale. Per un momento fui tentata di rifiutarla, ma subito dopo le sensazioni negative si dissolsero nel nulla.
Bellocchio continuò con le ultime raccomandazioni, poi ci congedò augurandoci buona fortuna. Era cominciato il conto alla rovescia per l’inizio della missione.

Passarono cinque giorni e arrivò il momento di partire. Ci saremmo portati lo stretto necessario mettendolo in un paio di zainetti, che avrebbero portato Oxygen e Ilenia. Per le coppie dei teletrasporti, ci eravamo organizzati sommariamente: io, in caso di pericolo, avrei aiutato Sara; Oxygen sarebbe andato con George e Daniel con Ilenia.
La tuta contro le radiazioni, di un materiale che mi ricordò la pelle nera, era divisa in due parti: i pantaloni erano delle specie di calze, perché coprivano tutto dalla vita ai piedi; la maglia era a collo alto e le maniche terminavano con dei guanti che lasciavano scoperti solo le ultime falangi di pollice, indice e medio. Mi ero vestita in un modo simile agli altri, con un maglione, dei semplici pantaloni, stivali, giacca e sciarpa. Io avevo un impermeabile: in una delle larghe, profonde tasche c’erano sei delle mie Poké Ball - erano abbastanza piccole da starci senza problemi; nell’altra avevo messo quelle di Altair e Aramis e quella anti-radiazioni per Spiritomb.
Ci ritrovammo, come era stato fatto nella mia prima missione-spedizione, nell’ingresso della base da cui si diramavano i sei corridoi principali. Oxygen prese la parola e ricapitolò la situazione: Daniel e George erano sprovvisti di un Pokémon Volante per andare a Flemminia, quindi glieli avrebbe prestati il capogruppo. Questi si accertò che ognuno di noi avesse messo bene il sensore, chi sul collo e chi su un polso, e che fosse in funzione. Ricordò le coppie in cui ci eravamo divisi nel caso in cui si fosse reso necessario usare Teletrasporto e scambiai uno sguardo d’intesa con Sara, che fece un cenno d’assenso in mia direzione. Sembrava decisa ma non tranquilla.
Uscimmo dal Monte Corona ritrovandoci vicini a Memoride. Feci un respiro profondo prima di chiamare Altair fuori dalla Poké Ball, sentendo l’ansia crescere vertiginosamente ad ogni secondo che passava. Guardai gli altri: Sara era su Noivern, Oxygen sul suo Altaria cromatico, Ilenia su Charizard e Daniel e George avevano preso, rispettivamente, lo Swellow e il Pidgeot del capogruppo.
Spiccammo il volo in una gelida serata di metà febbraio, quando il cielo aveva perso i colori del giorno e del crepuscolo. La nostra unica compagnia era il silenzio. La tensione che ci accompagnò mi ricordò dolorosamente la perdita di Luke durante il viaggio di ritorno dal mio primo incarico. Non potevo permettere che accadesse un’altra volta qualcosa del genere: i sensi di colpa per non essere riuscita a difendere quel ragazzo dalla crudeltà dei Victory tornarono ad attanagliarmi le viscere. Non avevo idea di cosa comportasse una missione di quel tipo, se le tute ci avrebbero difesi davvero o se la nostra salute - e quella dei nostri Pokémon - sarebbe stata irrimediabilmente compromessa dalle radiazioni. Malattie, malformazioni improvvise, ferite: non avevo idea di cosa avrebbe potuto accaderci se le cose si fossero messe male. La paura di ciò che non conoscevo crebbe a dismisura e mi tenni stretta ad Altair durante tutto il viaggio, in cerca di conforto e di sostegno.
Quando atterrammo nei boschi a ovest di Flemminia ero in preda alla tremarella. Mi tormentai nervosamente le mani per minuti interi mentre Oxygen avvisava la base del Monte Corona che eravamo arrivati dopo un quarto d’ora di rapido volo - mi sentivo congelata dalla testa ai piedi, ma i brividi che mi attraversavano la schiena erano più di paura che di freddo: la temperatura era molto più sopportabile del terrore.
Oxygen chiese se ci fosse bisogno di qualcosa; era una domanda retorica a cui nessuno rispose. Si rivolse a me. «Sta a te catturare Spiritomb, Eleonora.» Annuii, per niente rassicurata dal suo tono calmo e gentile. «Daniel verrà con te per aiutarti in caso di pericolo. Noi staremo nelle vicinanze per qualsiasi necessità.»
Annuii un’altra volta e, insieme a Daniel, precedemmo di alcuni passi il resto del gruppo mentre ci spostavamo verso sud, diretti al Pozzo Memoria. «Non pensavo che avrei catturato Spiritomb in compagnia» mormorai.
Il mio migliore amico sbuffò e, con sincerità, disse: «Ti voglio troppo bene per lasciarti andare da sola.»
Arrossii vistosamente, percependo l’arrivo del calore da tanto desiderato, e lo ringraziai a bassa voce. Il ragazzo cercò la mia mano e continuammo a camminare in quel modo. Non volevo che fossimo di nuovo scortati dal silenzio, perciò gli chiesi: «Come pensi che si comporterà Spiritomb?»
«Credo che sia arrabbiatissimo» rispose, «quindi non dovrai limitarti ad una lotta tranquilla e regolata… attacca più volte che puoi ed evita i suoi colpi, non sia mai che i tuoi Pokémon ci rimettano.»
Gemetti e lui strinse un po’ più forte la mia mano. «Andrà tutto bene. Sono sicuro che ce la farai.»
«Lo spero davvero.»
Mi disse che, nonostante la sfera anti-radiazioni fosse una specie di Master Ball, era meglio andare sul sicuro e indebolire il più possibile Spiritomb: non potevamo permetterci di vedere distrutta l’unica possibilità di mettere in salvo sia il Pokémon contaminato che noi, altrimenti vulnerabili.
Arrivammo al Pozzo Memoria. La zona era completamente immersa nel buio, perché essendo all’interno di barriere, né le Forze del Bene né i Victory si erano premurati di mettere qualche fonte di luce. Mentre il gruppo dietro di noi si nascondeva, io lasciai Daniel indietro di qualche passo per andare a inserire la Roccianima in un incavo della costruzione in pietra. Era ridotta talmente male che mi stupivo del fatto che lo spazio in cui mettere la pietra avesse conservato la sua forma originaria, perfetta per lo strumento che avrebbe richiamato il mio prossimo avversario e compagno di squadra. Mi feci strada con la luce di una torcia e, prima di inserire la Roccia, notai che l’incavo era nel centro di una lastra lacerata da crepe, frammentata in almeno un centinaio di pezzi - non capivo come facessero a non scivolare via. Sopra c’erano delle scritte del tutto illegibili.
Dopo aver inserito la Roccianima, mi allontanai di fretta, continuando a studiare l’inquieto ed inquietante Pozzo, aspettando impazientemente che desse segni di vita. Mi sentii molto meno impaziente e desiderai avere più tempo a disposizione quando le scritte sulla lastra si illuminarono di bianco - pure le crepe furono percorse dalla luce - e i segni sulla Roccianima si tinsero di lilla e verde. Mi morsi con troppa forza il labbro inferiore, screpolato, e qualche goccia di sangue fece capolino dai taglietti che mi ero procurata.
La luce bianca avvolse la Roccianima ma subito dopo, lo vidi grazie alla torcia, si formò una nuvolaglia nera che si dissolse dopo lunghi secondi. La pietra, pulsante degli stessi colori di cui si era tinta all’inizio, si staccò dal Pozzo e si poggiò a terra, a qualche metro di distanza da noi. Passarono altri istanti e ci ritrovammo a fronteggiare Spiritomb: dalla Roccianima era nato un cerchio lilla dai bordi frastagliati e irregolari, vorticanti, che costituiva il corpo del Pokémon, chiazzato di verde. Il volto diabolico era dello stesso colore.
Mi feci coraggio e chiamai June a combattere. La Roserade non si fece intimorire dall’avversario, neanche quando si esibì in una risata crudele e dissonante: Spiritomb aveva una “voce” spettrale, ma allo stesso tempo piena di rabbia e, me ne accorsi in seguito, anche di tristezza. Il Pokémon smise di ridere quando June lo attaccò con Palla Ombra ed emise un gorgoglio indecifrabile dopo aver accusato il colpo.
«Non penso che si stia lamentando» mormorai. Daniel sussurrò qualcosa di imprecisato. «June, insisti!»
June scagliò un altro paio di Palle Ombra, ma i guai più seri arrivarono quando Spiritomb smise di sopportare i colpi e passò al contrattacco. Prima usò un Neropulsar che investì la Roserade e la fece indietreggiare fino ai miei piedi; la aiutai a rimettersi sulle sue zampe, sconvolta da quanto il suo corpicino fosse freddo. Doveva essere stato quel colpo a farla stare così male, ma di una cosa ero convinta: qualsiasi mossa avrebbe usato Spiritomb, sarebbe stata anormale. Ne ebbi la conferma un momento dopo.
Dei cerchi concentrici, giallo canarino, si espansero dalla base della Roccianima e, appena toccarono June, la mia compagna si addormentò. Inizialmente non capii cosa fosse successo; fu Daniel, folgorato da un’intuizione, a spiegarmi: «Questa è Ipnosi, e sono pronto a scommettere che sia infallibile.»
Lì per lì non gli diedi neanche retta. June non era in grado di continuare e, prima che Spiritomb continuasse ad attaccarla, la sostituii con Gallade. «Aramis, usa Danzaspada, e poi Nottesferza a ripetizione!» Mentre eseguiva, mi rivolsi a Daniel: «Credo che ci sia un altro bel problema. June è troppo allenata per aver procurato dei danni assolutamente indifferenti ad un Pokémon che non ha mai combattuto nessuno, che non ha alcuna esperienza in lotta. Questo è come dovrebbe essere uno Spiritomb normale.»
«Pensi che le sue capacità, le statistiche insomma, siano state alterate?»
«Non so in che altro modo spiegarmi la sua resistenza» gli risposi; sembrava sempre più preoccupato.
Ripresi a fare attenzione al combattimento in corso: Spiritomb tollerò un altro paio di colpi e poi usò di nuovo Ipnosi. Aramis spiccò un balzo per evitare i cerchi soporiferi, ma fu inutile: pur senza toccarli, era nel loro raggio d’azione, e quindi cadde addormentato.
Quando l’avversario lo attaccò con Incubo, sgranai gli occhi. «Un’altra anomalia.» Daniel non mi capì; gli dissi: «Spiritomb non può imparare Incubo. Le radiazioni lo hanno stravolto…»
«Con Incubo è finita» mormorò Daniel, «a meno che tu non abbia un Pokémon con un’abilità che…»
Mi insultai ad alta voce e lui mi chiese, sbalordito, cosa mi fosse preso. «O’clock!» esclamai.
«Eh?!»
«Il mio Noctowl! Ha l’abilità Insonnia!» Non lottandoci quasi mai, me ne ero completamente dimenticata, presa com’ero dalla situazione. Prima che le condizioni di Aramis si facessero critiche, lo richiamai. Spiritomb rise di gusto con i suoi toni dissonanti e non smise alla vista del nuovo avversario. «O’clock, usa Ipnosi!»
Spiritomb, sicuro di sé, non si premurò di evitare l’attacco e si addormentò quasi serenamente. Ignorai Daniel che mi chiedeva “Hai veramente avuto il coraggio di chiamare un Noctowl ‘O’clock’?!” e ordinai al Pokémon di usare Palla Ombra. Noctowl, purtroppo, non era molto forte, ma i suoi colpi sarebbero bastati.
Spiritomb si risvegliò quando avevo già tirato fuori la Ball rossa e nera. Daniel fu più esitante: «Ne sei sicura?»
«Sì» risposi io con fermezza, lanciando la sfera su Spiritomb, che fu imprigionato al suo interno. Corsi verso di essa senza aspettare che smettesse di dondolare, sicura che non ci fosse bisogno di una conferma della cattura effettuata. Daniel mi seguì, molto meno sicuro di me dell’esito di quella mossa.
Fortunatamente ebbi ragione io. La Ball smise di oscillare e si sigillò con un clic. La presi e la infilai in tasca senza esultare di gioia, nonostante dentro di me si stesse propagando un sollievo inimmaginabile: sia per noi che per Spiritomb, quella tortura era finita. In quel momento quasi dimenticai di avere ancora una missione molto più grande da svolgere.
«Non posso credere che ci sei riuscita» fece Daniel con un filo di voce.
«Avevo una specie di Master Ball, no?» ribattei con finta tranquillità.
«Non lo so… non so che dire.» Ridacchiai per il suo nervosismo.
Oxygen e gli altri smisero di starsene nascosti e ci corsero incontro. Presi il Pokédex che portavo sempre con me, nonostante il più delle volte fosse inutile, e lo diedi a Daniel; «Da’ un’occhiata alle statistiche e alle informazioni che la Ball ha trasferito sul Dex. Io intanto penso ad un soprannome.»
«A proposito, ma O’clock, di grazia…»
«La colpa è di Chiara» lo interruppi, alzando gli occhi al cielo al ricordo del giorno in cui la mia migliore amica, per scherzare, aveva apostrofato l’ancora Hoothoot in quel modo. Non ero più riuscita a disabituarlo da quel nome ridicolo; con Spiritomb avrei fatto di tutto per evitare che si ripetesse qualcosa del genere.









Capitolo VI - Rivisto tra il 13 e il 14 dicembre 2015. Il banale titolo è rimasto lo stesso.




Angolo ottuso di un'autrice ottusa
Hello a tutti! ["tutti chi? Mitomane" cit.]
Non so come ho fatto a riscrivere un capitolo così difficile in solo due giorni. Davvero, non me lo spiego: spero almeno di aver fatto un buon lavoro, perché giustificare Bellocchio e muovere George, a cui non sono mai riuscita a dare abbastanza risalto, purtroppo - ragioni di trama, è stata davvero dura. Ora come ora ci penserei due volte a inserire un episodio del genere in una storia, ma con il senno di poi mi sembrava l’idea del secolo, una missione segreta in una centrale nucleare, quindi non ho esitato a scrivere due scemenze e sentirmi Dio. Immagino di essere stata spinta dal famoso "fai più casini che puoi perché altrimenti la tua storia fa schifo !!" di cui ho ampiamente parlato nel precedente angolo ottuso.
Rileggendo i capitoli trovo numerosi errori grammaticali, tant’è che mi stupisco che nessuno se ne sia accorto prima! Più che altro sono modi errati di esprimersi, di parlare. Esempio banale ma assai imbarazzante: “mi è venuto da farlo istintivamente” - che ritrovate anche poco più giù - che cashpio significa mi è venuto da farlo ???
Comunque, metto in chiaro le relazioni à la “migliore amico dei miei migliori amici” (?): George è il bf maschio di Chiara e Daniel, Eleonora è la bf femmina. Chiara e Daniel praticamente non si conoscono, nonostante questo. Allegra famigliola, yeah.
“Il macchinario per gli scambi sembrava non essere stato toccato da tantissimo tempo. La polvere era assente solo sui comandi più utilizzati, ma anche lo schermo era impolverato e, nell’insieme, l’apparecchio era tenuto piuttosto male. Soffiai sulla polvere, mossa molto… infantile, e infatti iniziai a tossire infastidita mentre Daniel si allontanava dalla nuvola grigia che si era sollevata.
-Ma perché l’hai fatto?- chiese quando la situazione tornò tranquilla.
-Non lo so, mi è venuto da farlo istintivamente…- mormorai mentre mi rigiravo la sfera di Saphira tra le mani.” ma non vi cascavano le Poké Balls a leggere pezzi assolutamente inutili come questo?
Eeee niente, evito di dilungarmi perché già l'ho fatto nel precedente angolo ottuso e non vi dico quant'è lungo il prossimo capitolo riscritto - e anche il suo angolo ottuso AHAHAHAH qualcuno mi uccida
A presto!
Ink

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Capitolo 8
*** VII - Frammenti di cielo notturno ***


VII
Frammenti di cielo notturno

«Porca…»
Daniel imprecò sonoramente mentre ci avvicinavamo al resto del gruppo, mentre studiava sul Pokédex i dati del mio nuovo compagno Spiritomb - che ribattezzai subito Nightmare, ispirata dalla mossa Incubo che poteva utilizzare siccome era stato contaminato dalle radiazioni. Il Pozzo Memoria era tornato ad essere un misero ammasso di pietra sfatta e scomposta, se possibile in condizioni ancora peggiori di prima.
Oxygen mi fece i complimenti per la cattura mentre mi passava alcuni rimedi per svegliare e far recuperare le energie ai miei Pokémon. Sorrisi e lo ringraziai, poi chiesi a Daniel: «Cosa dice in particolare?»
«Premettendo che quello che dice il Dex non è sempre affidabile…»
«E premettendo anche che questo Pokémon ha parecchio uranio in ogni cellula…»
Daniel fece una smorfia prima di continuare: mi ero notevolmente rilassata ed ero più a mio agio dopo la cattura di Spiritomb, nonostante il peggio dovesse ancora venire. «Come statistiche di base, indica seicento. Centocinquanta ad ogni Difesa e all’Attacco Speciale; al resto, cinquanta ciascuna. La sua Ipnosi è infallibile, già l’abbiamo capito, ed effettivamente conosce Incubo… in più, ha perso la debolezza al tipo Folletto.»
Avevo sopracciglia inarcate al massimo delle mie possibilità; George borbottò, teatralmente, un “Fischia”. Daniel non sembrava molto rilassato, anzi, mi restituì il Pokédex come se fosse stizzito, desideroso di non aver a che fare con quella faccenda. Constatai, subito dopo essermi ripresa dallo stupore: «In pratica è un Leggendario.»
«In pratica.»
«Va bene, adesso evitiamo di perdere altro tempo e mettiamoci al lavoro» ci richiamò Oxygen. «Anzitutto, bisogna contattare la base segreta per avvisare della cattura di Spiritomb, e soprattutto per sapere quando e come muoverci. Sara e George hanno imparato la struttura della centrale» le spie in questione annuirono, «e lo stesso abbiamo fatto io e Ilenia, a grandi linee ma per non essere del tutto sprovveduti.»
L’altra assentì. In quei giorni era stata parecchio silenziosa: pensai che avrebbe ripreso a parlarmi con serenità e spensieratezza una volta portata a termine la questione della centrale nucleare. Vederla così diversa dal solito mi ricordò che aver catturato Spiritomb non voleva dire essere a metà dell’opera, perché il lavoro era ancora tutto da fare; perciò il timore e l’ansia fecero dapprima soltanto capolino, poi si impadronì del mio stato d’animo. Ripresi così a mordicchiarmi la lingua e le labbra per il nervosismo.
Sara prese la parola. Cercando di mantenere un tono di voce tranquillo, illustrò la situazione anche a chi era ancora del tutto ignorante della struttura della costruzione - ovvero me e Daniel, che saremmo stati entrambi in compagnia, nelle coppie stabilite, di qualcuno che l’aveva studiata. «La centrale è su tre livelli. Il piano terra non è di nostro interesse: ci sono degli uffici e altre stanze che per il nostro obbiettivo sono inutili. Il piano superiore è quello a cui dovremo arrivare, ci sono i pannelli di controllo, i computer e gli indicatori. Infine, il piano sotterraneo, praticamente sullo stesso livello del reattore. Il piano terra e quello sotterraneo sono i più controllati, perciò dovremo essere rapidi e discreti. Passeremo da quello sottoterra per andare a quello superiore.»
Annuii distrattamente e lo stesso fecero gli altri. Oxygen, ringraziando Sara, contattò la base segreta. Premette un pulsante su quello che sembrava un tecnologico orologio da taschino e l’ologramma verde-azzurro di uno statico fu proiettato nell’etere. Dopo un paio di secondi, un suono quasi impercettibile preannunciò la risposta alla videochiamata: il viso di un giovane adulto dall’espressione seria, stranamente ben definito sull’ologramma, prese il posto dello statico. «Ciao, Oxygen. A che punto siete?» chiese subito.
«Abbiamo appena catturato Spiritomb, ora ci…»
«Oh, aspetta. Devo darmi il cambio con una collega per una faccenda da sbrigare, scusate» lo interruppe l’altro, lasciandoci non poco interdetti per il suo improvviso mezzo saluto. Per un po’ ci fu di nuovo lo statico; poi fummo indirizzati al contatto di una persona molto ben conosciuta - per lo meno da me e Sara.
«Sciaooo» cinguettò Angelica, come al solito solare, sorridente. Mi chiedevo come facesse ad essere sempre così ottimista, sveglia e chiacchierona, anche nelle situazioni peggiori. Metteva di buonumore tutti con la sua allegria contagiosa. Ma mi sembrava strano, quasi innaturale, vederla comportarsi in quel modo anche se la situazione era poco meno che drammatica. “Chissà se saluterebbe con lo stesso sciao pure se si trovasse al posto mio, ora…”
La salutammo quasi in coro, tutti ugualmente disorientati per il suo brio e tutti ugualmente sorridenti - con un’aria un po’ ebete, troppo stupiti per imitare decentemente la sua espressione allegra. «Allooora… vi devo dare alcune notizie, e non so se sono buone o cattive.» Oxygen la invitò a parlare e lei annunciò con una leggerezza disarmante:  «Dunque… la centrale è, in linea di massima, sotto la direzione di Plutinio… che però non c’è, la sua casa è abbandonata. A quanto pare è morto.»
Restammo nuovamente basiti, più per i suoi toni tranquilli e sereni che per la notizia. Daniel le chiese di ripetere, forse incerto di aver capito bene: anche io pensavo che una notizia del genere non fosse il caso di darla in tutta serenità, ma la ragazza continuò imperterrita, un po’ pensierosa: «Da quello che si è scoperto… sto dando un’occhiata sul pc… è stato ucciso su richiesta di Cyrus. Adesso vi dico i motivi… mhm, ecco qua. Sì, Cyrus l’ha… l’ha fatto uccidere perché non era poi tanto fedele, anzi! Sembrava stesse complottando contro lo stesso Victory Team… o Team Victory, boh, lo trovo scritto sempre diverso. Comunque, ora c’è questo cambio di programma. Plutinio avrebbe avuto addirittura qualche contatto con le Forze del Bene, tant’è che avrebbe promesso un sacco di informazioni sul funzionamento della struttura. Insomma, avrebbe dovuto essere un vostro alleato: avreste dovuto raggiungerlo alla sua abitazione, nei dintorni della centrale, e vedere il da farsi insieme ad alcuni degli esperti che interverranno dopo di voi sulla centrale; però hanno mandato poco fa la notizia che lo hanno trovato morto. Datemi un altro pochino di tempo che vi dico cosa bisogna fare ora…»
Riepilogai mentalmente la situazione: eravamo stati affidati alla guida di Angelica, la ragazza più dolce e ingenua del mondo, dall’aria perennemente innocente e allegra. Le cose le prendeva con estrema leggerezza, come la morte della persona che avrebbe dovuto, a meno che non fosse una trappola, collaborare con noi. Mi sentii d’un tratto abbandonata dal mondo e mi coprii il viso con le mani, cercando di infondermi sicurezza, pur essendo certa che nessuna delle persone attorno a me avesse idea di come mettere fuori uso una centrale nucleare.
«Ecco qua il nuovo programma!» esclamò Angie dopo un po’. Intanto noi avevamo avuto il tempo di scambiarci occhiate perplesse e di sospirare, pregando il cielo di far finire presto tutta quella storia, che sembrava sempre più, tristemente, una messinscena da quattro soldi. «Io e altri due che mi aiuteranno vi daremo istruzioni per raggiungere la sala di comando della centrale. Vi indicheremo l’interruttore per spegnere il reattore e…»
«L’interruttore?» sbottai, interrompendola.
«Sì, quello, e…»
Cercò di continuare ad illustrare il piano B, ma io non glielo consentii. «Mi stai dicendo che i reattori nucleari hanno gli interruttori
«Certo! Come vorresti buttar giù baracca e burattini, altrimenti?»
«Eh, mi immaginavo qualcosa di più… di più, ecco!» Non trovai parole per esprimermi. Mi rivolsi agli altri, più attoniti di me, e mi indispettii nel vederli scuotere la testa per le mie parole: «Non ditemi che voi lo sapevate! Sembravate tutti così inesperti e nemmeno vi siete degnati di avvertirmi che i reattori hanno gli interruttori?»
«Be’, come ha detto Angelica» mi fece Daniel, «come vorresti proseguire, allora?»
«Mica è così ovvio!» strepitai, delirante per il nervosismo e lo stupore. «Dirlo subito no, eh, né voi né Bellocchio, no, eh? Allora mica dobbiamo fare chissà cosa, tanto…»
«Tanto saranno gli esperti nel settore a sbrigare tutto il lavoro riguardante la centrale» mi fermò Oxygen, «ma sottovalutare una missione di questo genere per una delusione… non è affatto la cosa migliore da fare.» Arrossii, un po’ per l’imbarazzo della mia piccola sfuriata e un po’ per l’irritazione - che non sapevo veramente dire da dove provenisse; poi Oxygen continuò, parlando con Angelica: «Allora, si può sapere cosa dobbiamo fare?»
«Anzitutto, siete pronti per andare alle Rovine?»
Oxygen annuì e le disse che l’avrebbe ricontattata una volta giunti a destinazione. Lei accettò gioiosamente - ci mancherebbe altro! - e troncò la videochiamata. Riprendemmo il cammino alla volta di Flemminia, muovendoci velocemente e, finché fu possibile, all’interno delle barriere. Per un po’ entrammo nei confini della città, piccola e tranquilla - non c’era movimento notturno di giovani ragazzi o confusione proveniente dai pochi locali che erano presenti nel centro urbano.
Al più presto ci dirigemmo verso le Rovine. L’entrata era alla base di una spoglia, brulla collina divisa in due livelli: vi era un’uscita anche al piano di sopra.
«Va bene, ragazzi. Dobbiamo passare attraverso le Rovine, come ci ha detto Bellocchio, anche perché se vi serve qualcosa possiamo contattare la base che c’è dentro. Altrimenti procediamo con le indicazioni di Angelica e basta. Comunque, grazie ad un passaggio nel livello sotterraneo, arriveremo nelle vicinanze della centrale» aggiunse il capogruppo. Qualcuno di noi fece un cenno di diniego con la testa quando chiese se ci fosse bisogno di qualcosa.
Le Rovine avevano un’aria austera e spettrale: quando entrammo mi sentii stranamente osservata e rabbrividii. Mi chiesi cosa avremmo trovato all’interno: da quello che sapevo, oltre ad essere piene di Unown, c’erano anche parecchie iscrizioni, tutte molto antiche e interessanti, ovviamente già decodificate dai tecnici e dagli studiosi della materia. L’alfabeto Unown era più che semplice, e poi l’avevamo imparato tutti all’Accademia.
Eravamo muniti di torce già prima di entrare: l’oscurità si era fatta pesante. Quando varcammo la soglia, poi, si fece totale. Percorremmo un brevissimo corridoio che mi ricordò sgradevolmente quello per arrivare dalla stanza nebbiosa del Monte Corona alla base segreta principale di Sinnoh, a causa delle pareti strette e del soffitto basso. La stanza su cui si apriva non era molto grande ma le torce non riuscirono comunque ad illuminare la parete opposta: ci avvicinammo a quella su indicazione di Oxygen, anche se sulle prime non capii il perché. Mi fu tutto più chiaro quando la luce sovrastò l’oscurità che aveva avvolto il muro ed esso rivelò delle scritte in Unown. Si erano mantenute piuttosto bene, nonostante il tempo avesse dovuto fare il suo lavoro.
Mi avvicinai alla scritta prima degli altri e lessi lentamente: «In alto a destra… in basso a sinistra… in alto a destra, in alto a sinistra, in alto a sinistra… in basso a sinistra. Ma cosa…?»
«Indicano la strada corretta per arrivare fino al piano più profondo» mi rispose George.
«Ma non ci sono scale che portano in alto qua. Vanno tutte giù» obiettai.
«Non in alto nel vero senso della parola, intendono dire “più avanti”. Dall’entrata ci sono due rampe di scale a destra e una a sinistra. Per in basso si intende quella più vicina all’uscita, per in alto…»
Mormorai qualcosa di imprecisato in risposta. Scendemmo la rampa alla nostra destra: a parte me e Daniel, gli altri conoscevano il percorso da fare senza doversi necessariamente ricordare l’iscrizione in Unown. Prima di proseguire, però, ci concedemmo il lusso di farci accompagnare da alcuni Pokémon, per la precisione quelli che conoscevano la mossa Teletrasporto: il mio Gallade, l’Alakazam di Daniel e lo Xatu di Oxygen.
Notai parecchi Unown lungo il percorso, ma vedendo i nostri Pokémon non si avvicinarono più di tanto. I loro grandi occhi fissi e privi di iride mi inquietarono un po’ e mi misero a disagio: non mi distesi nemmeno vedendoli correre ai ripari appena la luce di una torcia si faceva troppo vicina. Ad ogni modo, arrivammo a destinazione nel giro di pochi minuti; l’ultimo piano sotterraneo era costituito di un’unica sala, molto più grande di tutte le altre. George e Sara si diressero verso la parete più corta più vicina a noi.
«Amicizia… tutte le vite toccano le altre, vite per creare qualcosa di nuovo e vivo» lesse George.
Restammo qualche istante a contemplare quelle parole. Le memorizzai, senza rifletterci al momento, mentre un brivido mi percorreva la spina dorsale. Mi voltai di scatto - mi sentivo continuamente osservata - ma non c’era nulla di strano dietro di me. In effetti non c’era proprio niente.
Oxygen andò davanti all’iscrizione. «Qui dovrebbe trovarsi il tunnel che porta alla centrale, vero? Ehm… Angelica…?» si rivolse allo schermo olografico della specie di orologio da taschino che portava con sé.
La ragazza tornò subito alla nostra vista, facendo sparire il solito statico. Indossava quello che aveva tutta l’aria di essere un pigiama di pile; i lunghi capelli castano chiaro, mossi, erano raccolti da un mollettone che lasciava libere alcune ciocche più corte ad incorniciarle il viso magro. «Eccomi, ci sono! Adesso vi sblocco l’entrata.»
La vedemmo pigiare alcuni tasti della tastiera che aveva davanti a sé. Ci chiese qualche istante di attesa, poi la parete di fronte a noi iniziò a muoversi. L’iscrizione fu risucchiata dal soffitto mentre il muro si ritirava dentro di esso con un rumore continuo e piuttosto fastidioso. Un tunnel del tutto immerso nell’oscurità ci si rivelò alla vista.
«Grazie, Angelica» mormorò Oxygen, aggiustandosi gli occhiali già in perfetto equilibrio sul naso a punta.
«Di niente!» esclamò lei, chiudendo la videochiamata.
La luce delle torce esplorava il buio del tunnel, scavato semplicemente nella terra scura e umida. Oxygen si inoltrò per primo nel passaggio. Tra lui e George c’era Xatu; lo seguimmo io e Sara, divise da Aramis, e lo stesso fecero Daniel e Ilenia dopo di noi con Alakazam. Nel silenzio riecheggiava, inquietante, il rumore dei nostri passi.
Più proseguivamo, più mi sentivo peggio. E magari si fosse trattato di claustrofobia! Non sarebbe stato niente in confronto alla missione, che si stava facendo sempre più concreta - già la cattura di Spiritomb iniziava a sembrare un ricordo lontano - e che stavamo per affrontare mettendo a rischio le nostre vite: stavamo andando a fronteggiare una centrale nucleare tremendamente pericolosa, davvero grande, pullulante di reclute nemiche - quando mai i Victory avrebbero lasciato campo libero alle Forze del Bene anche in una situazione di quel tipo? Quando mai avrebbero risparmiato frotte di reclute, senza curarsi di cosa sarebbe loro successo, dal momento che avevano ridotto la presenza umana alla centrale e noi eravamo palesemente intenzionati a muoverci per risolvere la questione? Forse ci sarebbero stati anche i Comandanti o i Generali da dover affrontare.
Mi chiesi se sarei stata in grado di gestire, nel mio piccolo, una cosa del genere; mi risposi subito che non lo ero e rischiavo davvero molto, forse più degli altri. Per me era una prova di dimensioni spropositate e avevo la certezza che i nervi non avrebbero retto. La missione al Monte Luna l’avevo sottovalutata fin dal principio e non era mai stato un problema mantenere il sangue freddo, anzi, se non fosse stato per il contrattempo causato da Luke, l’avrei definita una spedizione elementare. Ma ora non stavo per affrontare solo delle reclute Victory: il vero nemico era una nube radioattiva che aveva contaminato un’area fortunatamente non troppo grande, grazie agli interventi delle Forze del Bene con i Pokémon, ma stavo comunque respirando e camminando in una zona molto a rischio. Al di là di tutti i provvedimenti presi e della fiducia che riponevo in Bellocchio e negli inventori - non saremmo di certo partiti se non fosse stata accertata l’efficacia delle nostre protezioni, avevo sempre più paura ad ogni passo mosso verso la nostra meta.
Proprio mentre mi domandavo se non fosse il caso di salutare tutti, tornare alla base segreta e magari rischiare di non ricevere più alcun incarico, si sentì un rumore simile ad un tonfo e un’esclamazione di sorpresa di Oxygen. «Oh! Ragazzi, sono andato a sbattere contro un muro… siamo arrivati, direi.» Ero entrata in apnea appena qualcosa di diverso dal suono dei nostri passi aveva contaminato il silenzio: espirai quasi gemendo.
Contattammo Angelica che anche allora ci aprì la porta, ma stavolta essa scivolò di lato anziché ritirarsi nel soffitto. Una rampa di scale ci separava dall’uscita, chiusa da una botola affatto tradizionale: Oxygen dovette inserire un codice per aprirla, e mentre essa si spalancava qualche foglia e un po’ di neve caddero intorno a noi, segno che era stata coperta durante il passare degli anni.
La centrale era imponente: fu la prima cosa che notai appena misi fuori la testa. Un brivido mi percorse la spina dorsale mentre con lo sguardo esaminavo la struttura grigia e maltrattata, sporca e soprattutto pericolosa. Due grandi torri nascondevano gran parte del resto dell’edificio. Il contenitore del reattore, a forma di cupola, era dietro il trasformatore collegato alle torri e alla turbina: era piuttosto piccolo visto da fuori, perciò doveva trovarsi sul livello sotterraneo, come aveva effettivamente detto Sara. Tutte quelle cose le riconobbi grazie a degli studi che avevamo fatto in gruppo per riconoscere le varie componenti della centrale e capire almeno un po’ con cosa avevamo a che fare, almeno in superificie.
Oxygen ci chiese di dividere tra noi gli strumenti necessari per la missione, in modo tale da poter lasciare gli zainetti e non avere impicci. Ognuno si scelse un’arma, preferendo pistole congelanti o paralizzanti, anche se ero sicura che Ilenia e Oxygen si fossero presi la responsabilità di ricorrere a strumenti di morte. Io, come molti altri, dopo molti mesi di allenamento ancora non riuscivo a trattare con tranquillità le armi - anche per quel motivo mi aveva stupita che Bellocchio mi avesse assegnato una missione in cui avremmo probabilmente dovuto fare risco a mezzi drastici. Con mani tremanti separai la sfera di Aramis dalle altre: siccome conosceva Teletrasporto poteva servirmi in fretta, quindi avevo bisogno di tenerlo diviso dagli altri per averlo più a portata di mano.
Il Luxray di Sara ci guidò, grazie alla sua vista a raggi X, fino ad un’entrata non ben sorvegliata che Angelica ci aveva segnalato. Quando ci ritrovammo all’interno, Oxygen diede altre indicazioni. «Per il momento dividiamoci; ci ritroveremo tutti e sei nella sala dei comandi una volta che avremo disattivato il reattore. Daniel e Ilenia, guarderete le spalle a me, Sara, Eleonora e George, e dovrete sbrigarvi a raggiungerci in caso le cose si mettano male. Noi quattro arriveremo per primi e vedremo se dovrete raggiungerci, altrimenti ve ne starete a controllare i dintorni, standovene nascosti, evitando che ci raggiunga qualche persona indesiderata. I vostri dispositivi sono collegati ai microchip nei guanti di Sara e George, quindi registreranno il percorso e potrete seguirci senza alcun problema.» I due guerrieri in questione fecero un cenno d’assenso con la testa. «Tutti pronti?»
Nell’udire quelle parole sobbalzai; meccanicamente, come di sicuro fecero gli altri, annuii - non so dove trovai la forza anche solo per muovere la testa. Poco dopo, troppo poco tempo dopo, stavamo scendendo delle scale per il piano sotterraneo.
Con Sara scambiavo occhiate timorose e poco convinte, ma lei mi restituiva sempre sguardi seri e calmi. George e Oxygen ci precedevano di pochi passi, ma quando il capogruppo riconobbe di essere sempre più spaesato in quel labirinto di corridoi - non avendo studiato accuratamente come le spie - cedette il passo alla mia amica e si mise di fianco a me. I due davanti a noi, confrontandosi, erano sempre d’accordo sulla strada da prendere, e trovavano conferma pure su degli schermi leggermente flessibili presenti sul palmo di un guanto che indossavano - quello cui aveva accennato pure Oxygen. Era come se avessero un GPS sulla mano - Sara sulla sinistra, George sulla destra perché mancino. Io, a parte un’arma e pochi strumenti che il massimo che potevano fare era mettermi in contatto con la base segreta, non avevo nulla che potesse aiutarmi ad orientarmi, e d’altronde avere strumenti mi sarebbero stati parecchio d’impiccio.
Non un’anima viva girava per quei tetri corridoi: la totale immobilità dell’aria e del suono mi convinse del fatto che tutta la storia fosse molto più inquietante, in queste condizioni. Delle pallide lampadine emanavano una lucina fin troppo fioca, quel tanto che bastava per farci vedere dove i corridoi svoltavano. Le pareti erano semplicemente scavate nella roccia e non erano rivestite in alcun modo; talvolta erano attraversate da fili conduttori di elettricità che si infilavano, dopo un lungo percorso, nel soffitto.
Un’eco debolissima accompagnava i nostri passi. Le scarpe che avevamo ai piedi, stando a quanto ci era stato detto da Bellocchio, erano state ammortizzate e insonorizzate in modo tale da produrre pochissimo rumore e renderci particolarmente silenziosi anche nel caso in cui ci fossimo messi a correre; ma nel silenzio quasi assoluto che ci circondava era impossibile non sentire neanche il più timido suono.
«Ci siamo quasi» mormorò Sara.
Evidentemente adoperavamo parametri diversi per misurare le distanze, perché mi aspettavo che dopo due o tre minuti saremmo giunti a destinazione; invece ci fece fermare solo dieci minuti dopo. Mi ero costretta a non chiedere quanto mancasse all’arrivo ma il nervosismo mi aveva tormentata per tutto il tragitto.
Ci fermammo in un vicolo cieco. «È questo» sentenziò George a bassa voce, dirigendosi verso la parete.
Immaginai che ci fosse un passaggio nascosto, perché altrimenti arrivare in un vicolo cieco voleva dire finire in trappola e non trovare un modo per giungere alla propria meta. Non avevamo incontrato nessuno durante l’inquieta passeggiata nel labirinto sotterraneo: avevamo corso qualche rischio un paio di volte e ci eravamo dovuti nascondere in fretta, aspettando che un paio di reclute Victory in ricognizione passassero oltre - erano sempre Sara e George a decidere quando la via era libera, e non avevano mai sbagliato.
Comunque, ebbi ragione: Sara prese ad esaminare la parete mentre io e Oxygen, dando loro le spalle, facevamo da guardia al pezzo di corridoio in cui ci trovavamo. Le spie fecero di tutto per lavorare in silenzio, in modo tale che le nostre orecchie non fossero disturbate. Più volte guardai quello che era il mio maestro, che appariva assolutamente tranquillo e concentrato, e mi parve di essere in una situazione assurda - non mi sarei mai aspettata di andare in missione con un mio insegnante, a parte il contesto già di per sé fuori dal comune. Altre volte gettai uno sguardo a Sara e George che parlottavano frettolosamente e, lei con Lucario e lui con Bisharp, studiavano con attenzione la parete spoglia, uguale a tutte le altre. La ragazza, con i suoi capelli bianchi e celesti, la pelle diafana e gli abiti di colori chiari, spiccava nell’oscurità come fosse un’entità sovrannaturale splendente di luce; l’altro, che pure aveva una carnagione pallidissima, grazie ai capelli nero pece e alla tendenza a vestirsi dello stesso colore, non era in rilievo come lei sul resto dell’ambiente così ombroso e tetro.
Incontrai lo sguardo di Oxygen una volta sola. Il colore dei suoi occhi risaltava con grande intensità nonostante la poca luce. Erano veramente del colore del cielo. Feci un paragone con le iridi di Daniel, che invece erano di un profondo blu oltremare; ma gli occhi del maestro erano molto più belli, anche per il taglio leggermente a mandorla che mi piaceva tantissimo. In seguito pensai che mi fossi messa a fare tutte quelle considerazioni fuori luogo per divagare un po’ dal pensiero della paura di morire; distrarmi, insomma, dalla tensione paurosa a cui ero sottoposta. Poi in quel momento ero “semplicemente” di guardia, quindi fu pure più facile mettermi a rimuginare sulle cose più disparate e notare i dettagli più minuti della situazione - anziché stare costantemente all’erta.
Dopo aver scambiato quell’occhiata durata un secondo con Oxygen, gettai uno sguardo alla situazione di Sara e George. Fu in quel momento che Bisharp si accanì con Nottesfera sulla parete. Inarcai le sopracciglia e non potei fare a meno di borbottare: «Ma la discrezione di cui ci siamo raccomandati?»
«Per chi mi hai preso?» ribatté George a bassa voce, ma lo sentii perfettamente. «Come se i miei Pokémon non si fossero allenati per agire nel più totale silenzio.»
Effettivamente Bisharp sembrava non faceva troppo rumore, anche se stava sferrando parecchi colpi alla parete. Sbuffai abbastanza sonoramente per farmi udire dall’insopportabile ragazzo e Oxygen intervenne, stavolta senza mascherare una certa irritazione: «Quando avete intenzione di finirla?»
“Quando non mi ritroverò più con quel tipo nella stessa missione” fu la risposta che gli diedi nella mia mente, ma ovviamente né io né lui rispondemmo alla domanda retorica del capogruppo.
Dopo alcuni istanti una porzione della parete, abbastanza grande per far passare anche i più alti di noi quattro, cedette. Lucario intervenne tempestivamente con una mossa di tipo Psico per impedire che la roccia, cadendo a terra, facesse rumore: tenne sospese nell’aria le pietre in cui si era frammentato il muro e George, richiamando Bisharp, fu il primo a entrare. Io e Oxygen lo imitammo di corsa e dopo di noi entrò Sara; Lucario pure si infilò nel varco e sistemò alla bell’e meglio le rocce. Sperai che le reclute in ricognizione non si accorgessero del lavoretto poco accurato fatto in quel particolare vicolo cieco.
George, che guidava la fila, prese la sua torcia e la accese. Proseguimmo salendo una scala a chiocciola: i primi gradini erano ricavati nella roccia, poi diventarono di metallo. Oxygen ci informò poco dopo che gli altri due nostri compagni ci stavano seguendo.
La scalinata finì prima del previsto. Sara e George, sempre con l’ausilio di strumenti, si accertarono che sopra di noi non ci fosse nessuno: eravamo infatti ancora al disotto di una botola che avremmo dovuto aprire per ritrovarci direttamente nella sala comandi della centrale nucleare. George mormorò un “Tutto a posto” e chiamò Angelica. Il viso della ragazza apparì sullo schermino sul guanto che il ragazzo indossava. «Codice per la sala comandi?»
«Te lo passo subito» replicò allegramente Angelica, che prese a dettare una lunghissima sequenza di lettere e numeri. Il ragazzo la digitò su una tastiera a lato della botola - era molto comune, nel mondo Pokémon, richiedere l’apertura o la chiusura di un passaggio con quel metodo: l’avevo visto fare moltissime volte. Il meccanismo che teneva chiusa la botola si sbloccò ed emise un clangore metallico. George spinse semplicemente la porticina circolare posta nel pavimento dopo aver accertato un’ultima volta, con Sara, che non ci fossero Victory nei paraggi.
Appena la mia testa fece capolino nella sala comandi, non riuscii a trattenere un “Oh!” di stupore. La stanza era veramente enorme: notai per primi i finestroni su tre delle quattro pareti che sostituivano la maggior parte del muro, altrimenti rivestito con il solito acciaio scuro che avevo la sensazione fosse caratteristica fissa sia delle basi Victory che, d’altronde, di quelle delle Forze del Bene - infatti rividi nella mia mente la cella Victory in cui ero stata imprigionata nel giugno precedente e pure i corridoi del centro nel Monte Corona.
Sulle piccole porzioni di muro concesse dagli enormi finestroni erano stati installati i pannelli di controllo. Innumerevoli pulsanti, schermi grandi e piccoli, leve e indicatori si susseguivano e sembravano accerchiarci: rimasero del tutto non identificabili ai miei occhi. Il fatto che una sala così grande fosse “arredata” soltanto immediatamente a ridosso delle pareti, per quanto i pannelli e i computer fossero grossi, la faceva sembrare terribilmente vuota e, nonostante le dimensioni, angusta - anche a causa dell’oscurità in cui era immersa.
Su richiesta di Sara rimasi a fare da guardia alla botola, aspettando che Ilenia e Daniel ci raggiungessero - era questione di pochi minuti; Oxygen, invece, andò presso la porta che era l’accesso ufficiale nella sala comandi. Era molto grande e sicuramente si apriva con lo stesso metodo con cui si accedeva ad ogni stanza - inserendo un codice; infatti non erano presenti né una maniglia, né una serratura o altri sistemi. Il ragazzo non si preoccupò di chiamare un Braviary al suo fianco; anch’io mi feci affiancare da Aramis.
Mentre George chiedeva ad Angelica quale interruttore dovesse premere per mettere fuori uso la centrale e la ragazza cercava frettolosamente una risposta - la sua voce squillante si udiva perfettamente anche a metri e metri di distanza, sentii un discreto bussare alla botola su cui poggiavo i piedi. Mi spostai e Daniel la spalancò, quasi facendo sbattere addosso a me la porticina. «Mi manca l’aria» annunciò Ilenia a voce bassa, che uscì per ultima.
Feci per richiudere la botola, ma me lo impedì e mi disse di lasciar fare a lei, senza neanche fermarsi a riprendere l’aria che tanto aveva desiderato durante il giro nel labirinto sotterraneo e la scalata per arrivare alla sala comandi. Chiamò Charizard e il grosso drago usò Lanciafiamme sui bordi della botola. Io la aiutai con la mia Kingdra: Saphira usò una mossa di tipo Acqua e il metallo si solidificò all’istante, raffreddandosi di colpo e chiudendo efficacemente il passaggio. Non dovettimo aspettare molto prima che George si rivolgesse a tutti noi.
«Signori» esordì teatralmente, «vi comunico che questa missione sta volgendo al suo termine.»
Sbuffai sonoramente. Gettai un’occhiata ai dintorni: Daniel e Oxygen stavano a guardia della porta con Braviary ed Electivire, Sara assisteva George e io ed Ilenia, molto semplicemente, ce ne stavamo con le mani in mano aspettando che le spie ci chiedessero aiuto per farci riprendere a faticare. Dopodiché guardai dalle finestre. Era ben visibile, neanche troppo vicina, la cupola contenente il reattore; dovevamo trovarci dalla parte opposta rispetto a Flemminia, perché la piccola città non rientrava nemmeno nel campo visivo a più di centottanta gradi. Il bosco intorno alla centrale era del tutto immerso nell’oscurità: il cielo era terso e buio a causa della luna nuova.
George, dopo essersene uscito con quella battuta, pigiò con il palmo un interruttore più grande degli altri. All’istante molti schermi si spensero, così come le lucine di alcuni bottoni; si sentì quello che mi ricordò un calo di tensione, come se fosse appena arrivato un black out. Risparmiandoci l’esultanza solo per quando saremmo stati di rientro alla base segreta, ci riunimmo tutti presso il portone della stanza.
«E adesso?» chiesi.
«Adesso arriva il nostro turno» ridacchiò Ilenia, beffandosi della situazione ancora precaria, battendo un pugno sul palmo aperto dell’altra mano. «Ti ricordi l’altro obbiettivo principale della missione, no?»
«Spianare la strada a chi arriverà dopo» sorrisi, contagiata dal suo ottimismo e più sicura di me e del gruppo stesso, ora che avevamo portato a termine con successo gran parte del programma. Avevo preso Spiritomb e avevamo messo fuori uso la centrale; George, su consiglio di Angelica, fece distruggere l’interruttore che avrebbe potuto rimettere in funzione baracca e burattini al suo Bisharp; dovevamo “solo” cacciare ogni Victory presente.
«Quindi seminerete un po’ di scompiglio» intervenne Sara, anche lei più allegramente.
«Perché, voi due spie volete risparmiarvi il divertimento?»
L’unico che rimase serio e composto in quella situazione fu Oxygen, che fu anche l’unico a non dimenticare che la parte più divertente era, scherzi a parte, quella più difficile. Avevo già richiamato Saphira nella Ball e avevo ancora Aramis al mio fianco; gli altri Pokémon che avrebbero cominciato il lavoro “per guerrieri” erano il Charizard di Ilenia, l’Electivire di Daniel, il Bisharp di George, il Lucario di Sara e il Braviary di Oxygen.
«Allora, siamo pronti?» chiese il capogruppo.
«Scacceremo ogni Victory, ma con molta classe» ghignò Daniel.
«Be’, la discrezione adesso possiamo finalmente risparmiarcela!» ribattei, sempre sorridendo. L’eccitazione per quello che avremmo cominciato a fare - portare il panico nella centrale nucleare - aveva liberato in me una scarica di adrenalina che aveva totalmente cancellato ogni traccia di paura e nervosismo. Avrei dovuto fare attenzione a non abbassare la guardia per questo, ma in quel momento la cosa mi parve di infima importanza. “È scontato che si faccia attenzione” mi dissi ingenuamente.
«Buona fortuna!» cinguettò Angelica dagli schermi sui dorsi delle mani di Sara e George.
«Allora andiamo» disse Oxygen. Mi sembrava sempre più agitato e teso, nonostante noialtri fossimo inquieti per motivi ben diversi, indubbiamente più ottimisti ed eccitati.
«A me l’onore di aprire le danze!» rise Ilenia. Ci facemmo tutti da parte e i Pokémon non coinvolti crearono una fila di barriere usando tutti Protezione. «Char, usa Incendio sulla porta.»
Chiunque avrebbe considerato la cosa un’azione sconsiderata e pericolosa più per noi che per i nostri nemici, ma stranamente nemmeno Oxygen ebbe qualcosa da obbiettare. La porta esplose di colpo appena il drago sputò una palla di fuoco su di essa e neanche le difese erette da cinque Pokémon bastarono per attutire l’assordante rumore prodotto: pezzi d’acciaio schizzati ovunque presero fuoco e le parti superficiali si liquefecero. Charizard ruggì e usò subito Giornodisole; avanzammo e la sfera di fiamme che aveva creato ci seguì.
«Gli allarmi non sono scattati» considerò Sara, di nuovo seria.
Sapevo cosa significava: eravamo stati individuati dal momento in cui avevamo messo fuori uso la centrale intera, e i Victory dovevano già essersi mossi senza perdere tempo ad avvisare del fatto.
Aveva iniziato a fare davvero caldo a causa di Giornodisole. «Tanto se incontriamo qualche recluta ci tocca combatterla, no?» borbottai mentre, imitata dagli altri, mi toglievo l’impermeabile, che sarebbe stato d’ingombro nei movimenti in un scontro corpo a corpo. Ci eravamo messi tutti apposta pantaloni elastici per non avere difficoltà, sia nella corsa che negli eventuali attacchi.
Le prime reclute Victory, accompagnate da numerosi Pokémon, erano apparse dall’estremità opposta del lungo corridoio che conduceva alla sala comandi. Oltrepassammo la soglia dell’ormai andato portone e, lasciando che per il momento Electivire e Charizard si sfogassero per primi, osservai che c’erano altri i finestroni uguali a quelli nella stanza di prima, ma che ricoprivano sia i muri che il soffitto. Immaginai che lo scenario, una battaglia in una galleria dalle pareti di vetro, fosse parecchio interessante per lo scontro già iniziato.
«Aramis, hai campo libero» dissi al mio compagno, che annuì vigorosamente. Alcuni Pokémon e delle reclute avevano superato Electivire e Charizard, che tenevano comunque impegnati parecchi nemici, e miravano a me, Oxygen e ai nostri Pokémon. Indietreggiammo di qualche passo creando lo spazio necessario per una battaglia tra i Pokémon di ciascuno: Aramis si slanciò contro un suo simile e, ingaggiandoci una lotta serratissima, lo mise fuori gioco dopo qualche colpo di Fendifoglia e Psicotaglio.
Io, nel frattempo, avevo rivolto un sorrisetto ingenuo e tranquillo a una ragazza nemica, che prima di lanciarsi verso di me mi guardò con enorme severità, come se mi stesse accusando di qualcosa. Dal canto mio, tremavo dalla voglia di misurarmi con un nemico una volta per tutte, finalmente.
Lei mirò al mio volto con un pugno, che deviai con prontezza; mi vidi costretta a scansarmi quando riprovò dall’altra parte e scartai di lato appena cercò di colpirmi al collo. Dopo aver preso un po’ di distanza, evitai l’ennesimo suo tentativo di attacco e ricambiai con gli interessi: dopo averla messa in difficoltà la colpii sotto il mento e, approfittando del suo dolore, le tirai un calcio sulla bocca dello stomaco che la stese a terra. Doveva essere una ragazza della mia età, ma purtroppo apparteneva, volente o nolente, alla fazione avversa alla mia; e il mio lavoro non consentiva alcuna pietà con chi non fosse un compagno. Passai al nemico successivo e, prendendo spunto da Aramis che combatteva come una furia senza fermarsi un momento, aumentai l’intensità e la velocità dei miei colpi e dei miei spostamenti.
Combattei in modo simile con altre quattro o cinque reclute, senza vacillare e riportando soltanto vittorie: era la prima volta in cui mi confrontavo con veri nemici, eppure non avevo paura. La parte più difficile della missione era stata svolta - o almeno era questo che credevo - ed ora che ero nel mio ambiente naturale, quello del combattimento, mi sentivo forte, sicura e anche piuttosto sfacciata, sfidando ogni nemico che si fosse avvicinato troppo. Sembrava che avessi l’adrenalina nelle vene al posto del sangue: ad ogni colpo ben assestato mi sentivo ancora più brava e piena di forza, come se fossi stata un Pokémon la cui forza, velocità e precisione aumentavano di volta in volta. Anche i miei compagni avevano il loro daffare: giusto Sara e George non si immischiarono nei combattimenti corpo a corpo, preferendo aiutare i nostri Pokémon, in prima linea come noi.
Me la vidi brutta quando un ragazzo dei nemici mi puntò contro una pistola. Lì indietreggiai, esitando, ma subito mi dissi: “Cyrus o chi per lui non può aver dato l’ordine di uccidermi.” Infatti, la recluta puntò la pistola verso il basso. Mi aspettai di sentire il dolore lancinante di una pallottola conficcarsi nelle gambe o nei miei piedi. Ma ebbi quasi un moto di delusione quando vidi un raggio congelante immobilizzarmi i piedi: mantenni l’equilibrio e mi concentrai sul mio nemico, che, sicuro di avermi in pugno, senza esitazione cercò di colpirmi. Non fu molto furbo perché non mirò alle mie gambe bloccate, in quel caso sarei stata in difficoltà: cercò di sferrarmi un colpo all’altezza del viso, ma mi abbassai e gli afferrai il braccio, torcendoglielo. Strillò di dolore; lo strattonai verso di me e subito dopo gli mollai uno spintone, mandandolo a sbattere contro il vetro delle pareti. Nel frattempo Sara fu così gentile da mandare la sua Ninetales in mio soccorso, mentre chiedevo a June di tenere lontani da me i nemici finché non mi fossi rimessa a posto: la piccoletta, muovendosi velocemente e non facendosi vedere - soprattutto grazie alle dimensioni più che modeste - consentì a Ninetales di lavorare con calma.
«Come va, Aramis?» chiesi all’altro mio Pokémon, che da parecchio tempo infuriava sul campo - adesso aiutato dalla compagna di squadra. Nemmeno si curò di ribattere con qualcosa, continuando a cercare avversari da sconfiggere, segno che aveva ancora molta forza da impiegare: fu una risposta più che soddisfacente. “Certo che quando ci si mette, fa quasi paura” pensai. “È come se non riuscisse a fermarsi… eppure ha già mandato al tappeto un sacco di Pokémon. È impossibile che non sia un po’ stanco, Ilenia e Daniel hanno già sostituito Charizard ed Electivire con Rapidash e Magmortar…”
Ma Aramis continuò a combattere finché i pochi Pokémon rimasti dei nemici non smisero di avvicinarsi, alcuni già stanchi, altri sinceramente intimiditi. Le creature erano molte di più degli umani, ovviamente, perché ce n’erano almeno sei per ogni recluta per formare una squadra; ne era rimasta in piedi una dozzina dall’altro capo del lungo corridoio, in compagnia di tre o quattro ragazzi Victory.
«Adesso basta» mormorai rivolta ad Aramis. Il Gallade si voltò verso di me e, per un momento, i suoi occhi rossi mi parvero iniettati di sangue, tanto che trasalii; ma subito dopo quell’aspetto scomparve e mi augurai di essermelo solo immaginato. Lo richiamai nella Ball, così come June, e non fece storie. “Sarà stata l’oscurità a distorcere un po’ la visione della realtà” mi dissi. Le pareti e il soffitto dello spazioso, lungo corridoio, che difatti aveva solo il pavimento di un materiale che non fosse il vetro, erano attraversati da crepe non indifferenti. Le lotte tra Pokémon avevano procurato i danni maggiori, c’erano state piccole esplosioni - fortunatamente non eravamo stati assordati da qualcosa simile a quello che era successo alla porta della sala comandi - causate soprattutto dagli attacchi esplosivi di Charizard e dalla forza di Electivire, ma di sicuro anche Aramis, con i suoi colpi di spada.
«Cosa sta succedendo qui?!»
Fu una voce femminile piuttosto irritata a parlare. Le reclute all’estremità opposta del corridoio trasalirono - c’erano almeno cento metri a separarci: il nostro gruppo si trovava a metà della strada di vetro, avevamo guadagnato molto terreno; ma a battaglia finita avevamo smesso di avanzare, concedendo un po’ di tempo ai ragazzi Victory per decidere se darsela a gambe - sarebbe stato meglio per loro! - oppure se continuare a lottare.
Giovia, una dei Generali, fece la sua comparsa accompagnata da Saturno. “Se ci sono loro due, probabilmente verrà anche Martes” considerai. “E vista la gravità della situazione… anche Cyrus…”
Non feci in tempo a finire di formulare quel pensiero che i due scatenarono i loro Pokémon contro di noi: chiamai di nuovo June a combattere mentre sei creature nemiche si avventavano contro uno stesso numero dei nostri Pokémon. Oxygen intimò a Sara e George di mantenere un contatto stabile con la base segreta e di lasciarci campo libero. Se c’era da combattere era meglio che chi non era stato addestrato come noi guerrieri non si mettesse in mezzo: la differenza tra una battaglia condotta da noi e una da chiunque altro della base segreta era abissale.
June fronteggiò il Bronzong di Giovia. La giovane donna avanzava senza paura verso di noi; io e Oxygen ci ritrovammo ben presto a combattere una sorta di lotta in triplo contro di lei, mentre Daniel e Ilenia si occupavano di Saturno. Erano Roserade, Braviary e Pidgeot contro Bronzong, Skuntank e Crobat.
Mentre davo istruzioni alla mia compagna, cercai di fare attenzione anche a Giovia, che si stava rivelando, com’era facilmente prevedibile, un’avversaria molto più impegnativa delle reclute Victory fino ad allora combattute. Indossava una divisa simile a quella dei suoi sottoposti, un po’ più elaborata - meno di quella dei Comandanti - ma di uguali foggia e colori, ovvero bianco, rosso, nero e grigio. Non mi pareva di averla incontrata quando ero stata rapita e rinchiusa nella base Victory nel Monte Ostile, e infatti la donna, pur guardandomi intensamente, non diede segno di riconoscermi. O meglio, sicuramente sapeva chi ero e, di conseguenza perché non potesse puntarmi una pistola contro e uccidermi senza farsi troppi problemi; ma non cercò di provocarmi come se fossi stata una sua vecchia conoscenza, come se ci fossimo già parlate.
Non feci attenzione alla battaglia di Daniel e Ilenia contro Saturno, ma dovevano essere in una situazione simile alla nostra, dato che i due Generali erano sullo stesso livello. Passarono minuti interminabili durante il combattimento, Oxygen dovette pure sostituire Pidgeot con il suo Altaria cromatico: fu in quel modo che ottenemmo la vittoria - gli altri due guerrieri dovettero faticare ancora per qualche turno, grazie a quel Pokémon straordinario sia nell’aspetto che nella forza - anche se di norma gli Altaria non erano grandi attaccanti, anzi.
Giovia sorrise, anzi ghignò spudoratamente, alla fine della lotta: non mi aspettavo un comportamento diverso, ma mi irritò comunque moltissimo. «Come se battere me o Saturno significhi aver vinto questa battaglia! Sapete chi sta arrivando a punire i ragazzini che hanno osato immischiarsi in faccende che non li riguardano, vero?»
«Eccome se ci riguardano queste faccende, Giovia» disse Oxygen con mirabile freddezza. «Riguardano l’intera regione di Sinnoh, che avete intenzione di portare alla rovina così come il resto del mondo.»
«Ne sei così sicuro?»
«Ne sono più che certo.»
«Sei proprio cieco!» rise Giovia. «Non vedi niente all’infuori della via tracciata dai tuoi capi.»
«Si potrebbe dire lo stesso di voi» intervenni senza paura, «che obbedite ciecamente a uomini ancora peggiori.»
La donna aveva un sorriso tanto dolce quanto inquietante sul viso. «Attenta a come parli, ragazzina, perché anche tu sei chiamata dalla nostra parte. Altrimenti perché credi che Cyrus si prenderebbe il disturbo di venire?»
Desiderai fulminarla con lo sguardo, ma decisi di non rispondere. Fu Oxygen a farlo per me: «Continuate a far finta di non avere problemi, vedremo chi riderà quando vi sarete rovinati con la vostra stessa arroganza!»
«Giovia!» chiamò Saturno, interrompendo sul nascere la replica della donna. «Dobbiamo andarcene.»
L’altra annuì ma si ritrovò la strada sbarrata da Daniel, Ilenia e dai rispettivi Pokémon. Scoppiò a ridere un’altra volta. «Perché non vi preparate alla prossima battaglia, anziché stare tra i nostri piedi?»
«Se ne vadano pure» borbottai. «Tanto, qualunque cosa ci accada ora, loro hanno comunque perso.»
Oxygen mi guardò e io ricambiai la sua occhiata. Stettimo così per qualche secondo, mentre i due Generali si volatizzavano grazie al Teletrasporto di alcuni loro Pokémon - le altre reclute se n’erano andate via da un pezzo. “Si starà chiedendo cosa intendeva dire Giovia prima” immaginai. “Non penso riesca a spiegarsi le sue parole.”
George e Sara ci raggiunsero. Eravamo rimasti noi sei nel corridoio di vetro; i Pokémon presenti, ancora non richiamati nelle loro Ball, erano June, Altaria e Magmortar. Ilenia sostituì Rapidash con Tyranitar.
«E adesso?» chiese Daniel. Si riavviò i capelli, diventati un po’ lunghi; erano più spettinati che mai dopo la lotta serratissima con Saturno. Sembrava più tranquillo, come me d’altronde, dopo aver combattuto.
«Aspettiamo Cyrus.»
«Eh?!» esclamò il ragazzo, incredulo per la risposta di Oxygen; anche Sara e George erano contrariati. Io strinsi i pugni, perché non volevo proprio ardentemente rivedere il Comandante, e Ilenia aggrottò le sopracciglia.
«Non penso sia così difficile pensare che possa scattare una trappola che ci uccida tutti. Potrebbero farci esplodere o che ne so io! Non è sicuro stare qui: il nostro lavoro lo abbiamo fatto» obiettò Daniel.
“No che non ci faranno esplodere. Non so voi, ma dubito che possano ammazzare me” pensai, sicura che la mia identità segreta e speciale mi potesse difendere da qualsiasi cosa. Nel frattempo Oxygen, sempre serissimo, neanche si prese la briga di rispondergli: «Sara e George» chiamò, «controllate che non sia rimasto nessun Victory. La missione non è ancora finita: dobbiamo accertarci che gli esperti abbiano campo libero.»
«Non possiamo farlo, già ci abbiamo provato. Né noi né Angelica direttamente dalla base segreta. Hanno distrutto tutti i rilevatori, le telecamere e così via» sbuffò il ragazzo dai capelli neri. «Ma…»
«Niente ma. Scendiamo a controllare.»
«E nel frattempo arriva Cyrus! Dobbiamo andarcene.»
Oxygen fece un mezzo sorriso. «È per questo che ci tocca aspettarlo.»
Alzai gli occhi al cielo: non perché fossi seccata o altro, ma perché già immaginavo la piega che avrebbe preso la situazione e non mi premurai di continuare ad assistere alla conversazione. Mentre studiavo affascinata, concedendomi qualche minuto di pausa dalla realtà, il cielo che ospitava le costellazioni delle notti invernali, si decise che Oxygen e Ilenia, da bravi capigruppo, sarebbero andati a controllare al piano terra e, in caso di bisogno, ci avrebbero chiamati. Noi avremmo aspettato lì.
«Tanto poi ci chiederanno di controllare pure il piano sotterraneo» sbottò George.
«Non possiamo non fare il nostro lavoro» dissi, quasi con aria sognante, mentre continuavo a guardare le stelle.
«Ma per favore! Adesso contatto la base segreta e vedo il da farsi.»
Effettivamente era la cosa più giusta da fare. George fu parecchio irritato e deluso nel sentirsi dire da Angelica, che aveva domandato in diretta dalla videochiamata ai suoi superiori se dire al nostro gruppo di rientrare, che non potevamo tornare indietro finché non ci fossimo accertati che ogni presenza Victory non fosse stata eliminata.
 «Siamo rovinati» disse il ragazzo - in un modo un tantino più rozzo e volgare.
«Cyrus sta arrivando» mormorai.
«Sì, lo abbiamo già capito, gra…»
«No» lo interruppi. «Sta arrivando ora
Tutti alzarono lo sguardo, imitando me che da un bel po’ studiavo il cielo. Avevo avuto modo di osservare gli astri e riconoscere alcune costellazioni, le poche che conoscevo siccome non mi ero mai interessata in materia di astronomia; e così avevo notato la comparsa di qualcosa che non apparteneva alla notte, e che si era rivelato essere una coppia di Pokémon Volante - un Honchkrow e un Noctowl, li riconobbi chiedendo a Daniel di sfruttare in parte il fuoco di Magmortar per fare luce: così poterono vederli anche i miei compagni.
«Pensi che…» Sara, intimorita, non finì la frase; ma io annuii.
«Sono velocissimi» sentenziò Daniel.
«Protezione!» gridai; il mio ordine era rivolto a tutti e ogni Pokémon obbedì proprio a me, avendo capito quali erano le circostanze.
Honchkrow e Noctowl mirarono, in picchiata, al soffitto: lo sfondarono senza riportare alcun danno, mentre una pioggia di vetro si abbatteva su di noi, senza riuscire a penetrare le difese che i Pokémon avevano eretto. Immaginai che i due Pokémon, anziché preoccuparsi di schiantarsi contro il vetro, avessero usato una mossa per aprirsi la strada e venirci a ostacolare senza difficoltà.
I frammenti e i pezzi di vetro, di ogni dimensione, si polverizzarono al contatto con le barriere. L’unica luce presente era costituita dai fuocherelli appiccati qua e là da Magmortar: i vetri riflettevano il colore del fuoco e fu come se cadessero, a centinaia, lingue di fuoco e schegge di cielo, le une a tinte calde e le altre completamente nere.
I due volatili atterrarono a qualche metro di distanza da noi; indietreggiammo alla presenza di Cyrus, in compagnia, com’era prevedibile, di Martes. L’uomo si voltò con immane lentezza verso di noi e, dopo aver incontrato lo sguardo di ognuno, sorrise: la sua espressione era però indecifrabile - cos’aveva da sorridere? Avevamo messo fuori uso la sua centrale, sconfitto due Generali e, probabilmente, costretto alla fuga ogni recluta al lavoro in quel luogo, già infernale prima che arrivassimo noi. Martes si mise al suo fianco, serissima.
Cyrus riprese quasi subito a guardare me. «Te l’avevo detto che ci saremmo incontrati di nuovo, Eleonora.»
Sentii gli occhi di tutti puntarsi su di me. Mi sforzai di non farci caso e di controllare la mia voce, che non tremò nel rispondergli: «Non dovrebbe essere contento di questo, Cyrus.»
«Non penso di dovermi preoccupare di quattro ragazzini.»
«Di sei guerrieri, semmai.» Oxygen ricomparve nel corridoio, affiancato da Ilenia: dovevano essere accorsi non appena avevano udito il frastuono causato dalla pioggia di vetro - di lingue di fuoco e frammenti di cielo notturno.
«Sei ragazzini» ribatté Cyrus senza voltarsi verso i nuovi arrivati, «che quell’irresponsabile di Bellocchio ha mandato a combattere una battaglia al di fuori della loro portata.»
«Non è vero!» Mi voltai di scatto, sorpresa, verso Sara, che aveva quasi strillato quell’affermazione. Stringeva i pugni e tremava dalla testa ai piedi. Continuò, con meno sicurezza: «Lei non ha idea di chi sta parlando.»
«Sara, per l’amor del cielo, come pensi di potermi dire questo sicura di affermare la verità?»
«Perché…» mormorai, sempre più confusa, per poi completare il dubbio nella mia mente: “Perché l’ha chiamata per nome?” Spostai nuovamente lo sguardo sulla mia amica, che però non rispose alla domanda del Comandante Victory. Mi sembrò improvvisamente di essere in un sogno: rivedere Cyrus, lui che parlava con quella sorta di confidenza ad una ragazza sconosciuta, Martes che aveva un’espressione più confusa della mia dipinta sul bel viso e Daniel che continuava a fissare me, domandandosi ancora, sicuramente, perché l’uomo mi si fosse rivolto con certe parole… ma subito ripresi i contatti con la realtà, stupendomi di non avere tanta paura quanta mi aspettavo.
«Non penso sia il caso di continuare a parlare» intervenne Oxygen con sicurezza, avanzando verso il centro del corridoio in cui era in corso la rappresentazione di quella scena.
Ilenia lo seguì con più incertezza e trasalì appena l’Honchkrow di Cyrus si esibì in un Neropulsar, che l’Altaria del capogruppo bloccò con il corrispettivo di tipo Drago di quella mossa. Si creò una piccola nube che il vento, infiltratosi nel corridoio dal soffitto semidistrutto, spazzò via con calma, perché non era molto forte - anche se il freddo invernale non si risparmiava; e noi eravamo ancora senza giacche, essendoci stato bisogno di combattere.
«Io invece» Cyrus continuava ad essere rivolto verso di noi - verso di me? - senza degnare di uno sguardo gli altri due ragazzi delle Forze del Bene, «non amo combattere senza aver rotto il ghiaccio con una conversazione. E poi sono fermamente convinto che questo sia il momento buono per sapere se sono state prese delle decisioni.»
«Signore…» mormorò Martes.
Sovrastai la voce incerta della donna, esclamando: «Le decisioni sono state prese eccome, Cyrus!»
«Va’ a controllare che non ci siano reclute rimaste nella zona, Martes.»
«Eleonora, cosa…»
Daniel cercò di farsi dare spiegazioni, ma Cyrus, dopo aver impartito quell’ordine a Martes che levò il disturbo, riportò la sua attenzione su di me e, sorridendo, disse: «Mi auguro che tu ci abbia pensato a lungo, Eleonora.»
«Non è servito!»
Cyrus aspettò qualche secondo prima di rispondere. Scrollò le spalle e sospirò, sembrando improvvisamente, con quei gesti così innocenti, più ingenuo e dolce. «È davvero un peccato» replicò con voce tuttavia un po’ fredda. «Non mi piace l’idea di avervi come nemici, ma nessuno di voi si è liberato dal giogo delle Forze del Bene, temo.»
«Altaria, usa Dragobolide!»
All’ordine di Oxygen ne seguirono altri, da parte sia nostra che di Cyrus. Quando mosse di ogni tipo e potenza si incontrarono, partendo da lati diversi del corridoio - Dragobolide, Incendio, Tuono, Fangobomba e almeno altre due, ci fu uno scoppio tremendo, una vera e propria esplosione, e si alzò un polverone gigantesco. Sentii poi un terribile ruggito e un Gyarados, molto più grande del normale, sembrò diradare il fumo al posto del vento grazie al suo verso spaventoso. Crobat, il Pokémon che aveva ucciso Aristide l’anno precedente, schizzò via dalla nube a velocità supersonica. Istintivamente ordinai a June una Protezione, ma né Crobat né Gyarados, che stava al fianco di Cyrus come un terrificante guardiano, cercarono di attaccarci. Almeno, non sulle prime.
«Vi prego di ragionare!» esclamò Cyrus, ma nessuno di noi volle perdere altro tempo in chiacchiere con l’uomo.
“Qui l’unico che dovrebbe ragionare sei tu, come tutti i tuoi colleghi!” pensai, inferocita.
Appena altri sei colpi si indirizzarono verso di lui, Cyrus scosse la testa, apparentemente deluso. Un altro polverone si creò e si diradò: in tutto ciò Crobat era scomparso - volato chissà dove per evitare il colpo - e Gyarados non pareva essere stato colpito; lo stesso si poteva dire dell’uomo. Un baluginio vitreo rischiarò l’oscurità attorno a lui - avevamo ripreso a combattere al buio, salvo quando i nostri Pokémon attaccavano; alla fine Ilenia chiamò Charizard e ordinò un Giornodisole che ci rese le cose molto più semplici.
«Scusate, ma che io venga ferito non è nei programmi di questa battaglia. Non ci sono mezzi normali che siano in grado di uccidermi… ma le vostre intenzioni sono talmente evidenti che temo sia inutile parlare.» Ci fu una pausa in cui la tensione ci strinse in una morsa soffocante. «Gyarados, Crobat, vogliono essere nostri nemici.»
Bastarono quelle parole per scatenare i due Pokémon. Il pipistrellò colpì con una mossa di tipo Volante la mia compagna June, che cadde a terra con un lamento penoso. Strillando di paura, la presi tra le braccia, vedendo un taglio spaventoso squarciarle il minuscolo petto. La richiamai immediatamente nella Ball: era ancora cosciente e pregai che lì dentro trovasse un oblio che riuscisse a sospendere il suo dolore.
I miei compagni non se la dovettero passare molto meglio: Magmortar e Charizard stramazzarono a terra per un attacco di Gyarados, e lo stesso accadde al Tyranitar di Ilenia poco dopo. George, con Hydreigon e Bisharp, cercò di fare da scudo a Sara che avvisò la base segreta del pericolo imminente.
Un ruggito straziante, infernale, disumano, sferzò all’improvviso la notte e mi torturò le orecchie, tanto che mi accovacciai a terra in una posizione istintivamente difensiva, terrorizzata. La tensione mi stava facendo avere allucinazioni uditive? Perché avevo sentito un urlo così forte e così innaturale, che non poteva appartenere a nessuno dei presenti, né umani né Pokémon? Mi tappai le orecchie, ugualmente inginocchiata per terra in mezzo ai frammenti di cielo notturno e sola, senza avere il coraggio di sacrificare altri miei Pokémon in una battaglia già persa. La paura si era reimpossessata di me nel giro di pochi istanti; i miei nervi non avrebbero mai retto un’esperienza del genere. Infinite lacrime di terrore abbandonarono i miei occhi senza che me ne rendessi conto. Non riuscii a gridare: se ci fossi riuscita avrei chiesto aiuto. Ma a chi?
Sentii qualcuno arrivare vicino a me; spalancai gli occhi e smisi di tenermi la testa tra le mani, vedendo Daniel che mi strattonava. Un momento dopo riuscii finalmente a strillare, a sfogare l’angoscia e la paura, appena vidi una figura mostruosa oscurare il cielo. Per noi era la fine.
Fu quando vidi Cyrus che capii che qualcosa non andava. L’uomo era diventato il ritratto del terrore, molto più di quanto non lo fossi io, e questo istantaneamente mi fece perdere ogni emozione di quel tipo. Fissava con occhi sgranati, fuori dalle orbite, la sagoma che anch’io avevo temuto perché credevo fosse nemica: invece, dalla reazione di Cyrus, mi resi conto che, pur non essendo amica, era perlomeno un’alleata. Mi alzai in piedi con un po’ più di decisione, al contrario del Comandante Victory che incespicava nei suoi piedi, con gli occhi fissi sull’essere ancora non identificato, mentre camminava all’indietro, in cerca del suo Honchkrow - che stava cercando di sfuggire alla furia del Braviary di Oxygen.
«Cos’è?» chiesi con un filo di voce, riferendomi alla sagoma serpentina, volante, che continuava a strillare con una “voce” orribile, piena di odio e rabbia. La seguii con lo sguardo a lungo: sembrava intenzionata ad avvolgere tra le sue spire l’intero camminamento, quando si avvicinava pericolosamente alle pareti, ma si muoveva perlopiù lungo il soffitto e sotto il pavimento.
Non mi aspettavo una risposta, ma Daniel, che mi sorreggeva, mi disse con voce grave: «Quello è Giratina.»
Il mio cuore mancò un battito nel sentire quel nome. Daniel mi aiutò a spostarmi verso la sala comandi in cui, forse, saremmo stati al sicuro per teletrasportarci; ma facemmo solo qualche metro quando un urlo di Giratina, ancora più potente e terribile, si abbatté su di noi mandando in frantumi il resto dei vetri ancora integri. Non ci fu il tempo di tapparsi le orecchie, il preavviso sarebbe stato comunque troppo poco, e vista l’intensità di quel grido sarebbe stato assolutamente inutile farlo. Le mie orecchie non funzionarono a dovere per qualche secondo.
Ormai ci trovavamo su una semplice passerella d’acciaio pericolante. I vetri si erano letteralmente disintegrati dopo il secondo urlo di Giratina, diventando una polvere finissima che nemmeno ci aveva feriti. Potevo affidarmi solo ai miei occhi, davanti ai quali si susseguirono, velocissime, immagini sfocate e confuse: Cyrus che cadeva a terra, il gigantesco Leggendario Ribelle che si frapponeva tra noi e lui, Giratina stesso che, in un momento di stasi, rivolgeva le sue attenzioni a noi girando la testa, guardandoci negli occhi con le sue iridi cremisi, sfolgoranti anche in assenza di luce e squarciate da una stretta pupilla verticale. Il contatto visivo durò qualche secondo per ciascuno: quando fu il mio turno, sentii un vuoto nel petto che attribuii al mio cuore che si fermava, non riuscendo a sostenere la presenza dell’essere.
Le mie orecchie ripresero a funzionare, ma il silenzio si era fatto talmente grave che mi illusi di sentire il fiato pesante di Cyrus e quello corto di Daniel, che mi cingeva con le braccia - tremanti all’inverosimile - come a volermi proteggere. La figura di Giratina, che ci dava le spalle, sembrava di un colore ancora più scuro di quello della notte, perciò riuscii a distinguere i contorni del corpo e delle ali scheletriche. Il Giornodisole di Charizard si era spento fin dal primo urlo del Ribelle.
La situazione sembrava sempre più quella di un sogno - di un incubo, se fossi stata nella situazione di Cyrus. Era troppo buio perché riuscissi a capire cosa stava succedendo: Daniel stava mezzo abbracciato a me, forse più in cerca di sostegno che nel tentativo di proteggermi ancora, ma non avevo idea di dove fossero di preciso gli altri miei compagni o i nostri Pokémon. Avrei voluto chiedere perché Giratina stesse puntando Cyrus come sua preda, perché non eravamo anche noi destinatari della sua furia, come avesse fatto ad arrivare fin lì così all’improvviso e cosa toccasse fare a noi ragazzi, che, a quanto pareva, eravamo alleati del Leggendario. Non potevo davvero credere di essere al cospetto del sovrano del caos e dell’oblio, perseguitato per la sua sedicente violenza in tutti i racconti mitologici della regione di Sinnoh.
Alla fine c’era solo una cosa da fare: abbandonare Cyrus al suo destino e non interferire oltre con le intenzioni, almeno apparenti, di Giratina. Oxygen lo capì e ordinò un Teletrasporto, parlando a voce bassa ma venendo udito alla perfezione anche da noi che gli eravamo distanti. In qualche modo riuscii a trovare la Ball di Aramis e a ricongiungermi con Sara; pochi secondi dopo stavamo dicendo addio alla centrale nucleare ormai semidistrutta, al gelo di quella notte invernale - che era comunque sembrato sparire, una volta arrivato il Leggendario - e con ogni probabilità anche a Cyrus. L’ultima cosa che udii fu un altro ruggito di Giratina, poi Aramis attivò il Teletrasporto.





Capitolo VII - Rivisto tra il 14 e il 17 dicembre 2015 (e la revisione è stata a sua volta rivista a maggio 2016). L’interruttore → Frammenti di cielo notturno.

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Capitolo 9
*** VIII - Foresta di luce ***


VIII
Foresta di luce

Erano passati due giorni dal ritorno alla base segreta, eppure mi sembrava di aver svolto la missione alla centrale di Flemminia secoli prima. Ogni evento aveva ancora le fattezze di un sogno, in particolar modo l’arrivo di Cyrus e l’apparizione violenta e improvvisa di Giratina, che raggiungeva livelli di misticità ineguagliabili. Se i miei compagni non ne avessero parlato più di una volta, avrei iniziato a dubitare che fosse veramente accaduto.
Invece era tutto successo davvero, e soprattutto era successo a me. Più di una volta sentii il cuore venir meno per un momento al solo pensare: “Quando mai, anche solo un anno fa, avrei creduto di dover fare qualcosa del genere? Quando mai avrei creduto possibile essere mandata in una centrale nucleare malmessa, fronteggiare un Comandante nemico e scambiare uno sguardo con un Leggendario primordiale, dalla potenza spaventosa?” D’altronde non era passato neanche un anno e mezzo dalla mia entrata in quella nuova realtà; ero stata rapita sette o otto mesi prima e lì avevo avuto il mio primo, quasi traumatico faccia a faccia con Cyrus; poi lo avevo rivisto due giorni addietro in condizioni pietose, dopo l’apparizione di Giratina; e da neanche la metà di un anno ero in quella base segreta, in cui avevo trascorso quasi tutte le mie giornate ad allenarmi e a riformare il mio carattere, lasciando poche tracce della ragazzina ingenua e timida che ero sempre stata per quindici anni.
Me ne stavo a guardare Saphira che girovagava per il gigantesco acquario nel dormitorio femminile. Non ero il ritratto della spensieratezza e della tranquillità dopo la missione, ero stata segnata profondamente: il mio sguardo era vitreo e spento e Saphira si era rassegnata a non cercare più di attirare la mia attenzione, i suoi tentativi di distrarmi erano tutti falliti. In quei giorni ero molto taciturna e passavo ore intere a riesaminare, nella mia mente, i ricordi della missione. Ero in attesa che mi fosse restituito Nightmare, che doveva essere trattato e rimesso in sesto con sconosciuti mezzi che lo riportassero alla normalità, eliminando ogni stranezza dovuta alle emissioni della centrale. Avrebbe perso le statistiche eccezionali e l’immunità al tipo Folletto che si era ritrovato - solo Incubo e la particolare Ipnosi sarebbero certamente rimaste.
Mi era stato detto che presto sarebbe stato in grado di far parte senza problemi della mia squadra ed aspettavo quel giorno con una certa preoccupazione. Non mi era stato detto esplicitamente, ma avevo capito che lo Spiritomb non fosse bendisposto nei confronti dell’intera umanità, visto ciò che gli era stato fatto; avrei dovuto essere io, la sua futura Allenatrice, a insegnargli il quieto vivere quando non fosse stato più isolato dal resto del mondo, una volta diventato il membro di un team Pokémon.
Vidi Ilenia arrivare molto prima che si decidesse a rivolgermi la parola, grazie al riflesso nel vetro dell’acquario. Erano almeno due settimane che non ci parlavamo felicemente e in tranquillità: entrambe eravamo state molto impegnate mentalmente, per prepararci su ogni fronte per la missione. Siccome dal ritorno non ero stata granché disponibile per parlare, allucinata com’ero dopo la missione, fu lei a fare il primo passo. «Ehi, Ele. Come stai?»
«Ciao. Tutto bene, tu?» replicai meccanicamente.
«Eh, anch’io bene, dai. Dopo quello che abbiamo dovuto fare, qualsiasi cosa è meglio! Però tu mi sembri ancora piuttosto scossa, sicura che sia tutto a posto?»
Mio malgrado sorrisi per l’interessamento e per i suoi tentativi cauti di parlare. Mi rivolsi finalmente a lei, smettendo di fissare, senza vederlo realmente, l’acquario. «Be’, la missione mi ha turbata molto. Vedere Giratina e Cyrus nel giro di un quarto d’ora è stato veramente un colpo al cuore. E poi sono preoccupata per Nightmare.»
«Per Spiritomb?» Annuii. Lei proseguì: «Giratina ha spaventato moltissimo anche me, e pure quello con Cyrus non è stato un bell’incontro. Però…» Si morse il labbro inferiore. Inclinai la testa di lato, interrogativamente, chiedendole così di continuare. Sospirò e mormorò tutto d’un fiato: «Vorrei sapere cosa intendeva Cyrus quando ha detto che ti aveva già annunciato che vi sareste incontrati di nuovo.»
Ebbi subito un deja-vù di una conversazione con Daniel avvenuta il giorno prima e a malapena riuscii a trattenere un sospiro davanti ad Ilenia. Le risposi la stessa cosa che avevo detto a lui: «Non so cosa abbia voluto dire. Penso sia stata una provocazione… spero che sia stata la prima ed ultima volta in cui ho dovuto vedere qualcuno come lui.»
Daniel non aveva ceduto facilmente a quella spiegazione ed ero sicura che ancora non mi credesse; Ilenia invece si accontentò di quella risposta, ma bastò uno scambio di sguardi per farmi capire che nemmeno lei la accettò. I suoi sinceri occhi verdi mi misero un po’ in difficoltà, quindi distolsi lo sguardo per evitare di tradirmi irrimediabilmente - non ero capace a mentire ed ero sicura che non avrei mai imparato a farlo decentemente.
«Sicuramente i Comandanti non sono molto a posto con la testa» disse infine. Per poco non tirai un sospiro sollevato nel sentire quelle parole: ero fuori pericolo. «Comunque, Bellocchio mi ha chiesto di mandarti da lui. Appena hai finito ti va di vederci nella sala per gli allenamenti? Vorrei fare una lotta.»
Accettai volentieri e la salutai, avviandomi lentamente da Bellocchio, curiosa di sapere cosa avesse da dirmi. Non ci eravamo praticamente nemmeno visti da quando il gruppo era rientrato: Oxygen e Ilenia gli avevano fornito un resoconto della missione il giorno prima, ma niente di più. Il Teletrasporto di Aramis ci aveva portati tutti all’entrata del Monte Corona che dava su Memoride, poi il mio compagno era svenuto: non l’avrebbe mai ammesso, ma le battaglie continue nel camminamento di vetro l’avevano sfiancato, anche se una sorta di furia colma d’adrenalina lo aveva tenuto in piedi per tutto il tempo. Il colpo di grazia gliel’aveva dato il Teletrasporto, perché aveva dovuto farsi carico sia di me che di Sara. Eravamo corsi dentro e dopo una decina di eterni minuti, a mezzanotte passata, eravamo tutti e sei nell’ingresso della base segreta.
L’infermiera era subito venuta in nostro soccorso, anche se quasi inspiegabilmente - per lei - nessuno di noi era rimasto ferito. Non le era dovuta nessuna spiegazione: a parte qualche livido rimediato durante le lotte corpo a corpo con le reclute nemiche, entrambe le piogge di vetro erano state l’una neutralizzata da Protezione, l’altra ridotta in polvere dallo stesso grido di Giratina che aveva disintegrato quel materiale. “A proposito di Giratina, dovrei chiedere spiegazioni a Bellocchio” pensai, “sperando che me le dia. Non come ho fatto io…”
Non come avevo fatto io con Daniel e Ilenia. Non avevo mai raccontato a nessun amico, che non fosse Chiara, ciò che era successo agli inizi del giugno dell’anno prima: i primi tempi era stato per mia riservatezza, perché non mi piaceva parlare di qualcosa che mi aveva scossa così profondamente; in seguito me ne ero semplicemente dimenticata, e comunque pensavo fosse troppo tardi per raccontare quegli avvenimenti.
Mi aveva dispiaciuta moltissimo opporre resistenza al mio migliore amico. Dopo una mezz’ora in infermeria a sottoporci a controlli zelanti, con molta riluttanza da parte nostra, il ragazzo era corso da me e mi aveva subito chiesto: «Cosa significa quello che ti ha detto Cyrus?»
La risposta che gli avevo dato era stata quella che era e lui per parecchi minuti aveva insistito, ma inutilmente. «Ti ho detto che non so cosa volesse quell’uomo folle!»
«Non ti crederei neanche se me lo conferma Cyrus in persona! Da come ha parlato non mi è sembrato una persona fuori di testa, anzi… ci dev’essere un motivo se ti ha detto quelle cose!»
«Non lo so, ha spiazzato me per prima.» Lui aveva aperto bocca per ribattere ma l’avevo zittito nascondendomi la faccia tra le mani. «Ti prego, non insistere! Ti giuro che non so niente, è pazzo… non continuare a chiedermi cose che non so, sono stanca, sono distrutta!» mi ero quasi messa a singhiozzare. Quella era stata la mia unica recita fatta bene in tutti e quindici gli anni della mia vita, probabilmente.
Daniel, a malincuore, aveva smesso di pressarmi con le sue parole e mi aveva abbracciata, dicendomi che avrebbe smesso e chiedendomi di calmarmi. Ad essere sincera, stavo ancora peggio nel sentire così vicino a me il ragazzo a cui stavo mentendo spudoratamente. Lui poi mi aveva solo chiesto, con calma, di confidarmi con lui se lo avessi desiderato. Non ci eravamo parlati per l’intera giornata.
Arrivata a destinazione, bussai alla porta dell’ufficio di Bellocchio e lui stesso mi aprì la porta. Non riusci più a sedersi per il resto del colloquio: sembrava molto provato e nervoso. «Devo affidarti un incarico. Non è niente di impegnativo» disse subito. La notizia mi sorprese un po’: non mi aspettavo di essere mandata da qualche parte subito dopo l’esperienza alla centrale di Flemminia - dove ora erano al lavoro le squadre di esperti nel campo del nucleare, finalmente libere di operare indisturbate. «Tra qualche giorno partirai per Unima con una spia, anche se questa non è una missione e sarete semplicemente due ragazze che dovranno consegnare un messaggio a una persona. Sarete accompagnate da Anemone, che vi porterà in aereo.»
«Oh, va bene. Che messaggio dobbiamo dare?»
«Ve lo affiderò il giorno stesso della partenza.» Annuii e ci fu una breve pausa di silenzio. Poi lui mi chiese, stupendomi ancora di più: «Come ti senti dopo la missione?»
«U… un po’ scossa. Però sto bene.» Dopo qualche secondo continuai: «Cyrus ha…»
«Oxygen e Ilenia mi hanno già riferito ogni sua parola.»
«Sì, comunque… va be’.» Decisi di non insistere sulla faccenda della mia identità, sicura che non sarei arrivata da nessuna parte: al massimo avrei soltanto innervosito il mio capo. «Che fine ha fatto Cyrus?»
Bellocchio sospirò e capii che avrebbe preferito darmi una risposta diversa da quella che mi avrebbe comunicato subito dopo: «Martes si è sacrificata per lui, che è riuscito a fuggire. Non conosciamo i dettagli.»
Feci un lieve cenno d’assenso. Poi domandai: «Come mai è arrivato Giratina?»
«Ce lo abbiamo mandato noi.» Bellocchio lo disse quasi con noncuranza, ma non si sorprese quando mi vide sgranare gli occhi, rischiando di farmeli uscire dalle orbite. «Giratina… ha dei conti in sospeso con Cyrus da anni. È un nostro alleato… ovviamente non ci intratteniamo rapporti frequenti, ci mancherebbe pure che il Leggendario del Caos sottostia a degli esseri umani!… Comunque si è arrabbiato molto quando ha visto fuggire Cyrus e si è accanito su Martes, che lo aveva coperto. Poi si è chiuso nel Mondo Distorto e chissà quando ne uscirà.»
«Non pensavo che…» Ammutolii, non riuscendo a finire la frase. L’idea che le Forze del Bene fossero alleate con il Leggendario Ribelle mi aveva tolto l’uso della parola, quindi, non sapendo più che fare lì, tolsi il disturbo autonomamente, mormorando un mezzo saluto.
«Arrivederci. E… e grazie per il tuo aiuto» disse lui. Arricciai le labbra, tenendo gli occhi incollati al pavimento, e chiusi la porta.

Cinque giorni dopo, una settimana precisa dopo il rientro dalla missione alla centrale, mi ritrovai a decollare da una pista nelle vicinanze del Monte Corona - ovviamente protetta e nascosta anch’essa da innumerevoli barriere - in compagnia di Melisse, la spia con cui avrei consegnato il misterioso messaggio di Bellocchio a una persona altrettanto sconosciuta. L’unica cosa che ci era stata detta era che la nostra meta era Città Nera, l’unica zona neutrale nell’intero mondo Pokémon: lì, infatti, si erano trasferite tutte le persone che non avevano voluto prendere parte al conflitto; si difendevano, paradossalmente armati fino ai denti nonostante non fossero in guerra, sia dai tentativi dei Victory che delle Forze del Bene di portare qualcuno dalla loro parte.
Altro che “non è niente di impegnativo”: Bellocchio ci stava mandando in pasto ad un agguerrito neutrale che nemmeno si sarebbe preso il disturbo di aprirci la porta di casa sua, prendere il messaggio dell’uomo e scambiare due parole con noi. Molto più probabilmente avrebbe guardato dallo spioncino, visto due ragazzine sconosciute e avrebbe dato qualche altro giro di chiave alla serratura, lasciandoci con un palmo di naso.
Ma a Melisse l’idea di andare ad Unima non dispiaceva affatto; anch’io presi quell’incarico come una semplice, agognata vacanza, salvo la prospettiva di essere cacciata a calci nel sedere dal destinatario del messaggio di Bellocchio - contenuto in una piccola busta per lettere che l’uomo mi aveva dato. Dopo la missione alla centrale nucleare avrei comunque cercato di passare un periodo di pausa, quindi il viaggio nella regione oltreoceano non mi diede affatto fastidio.
Il fatto che sei ragazzi fossero stati inviati a Flemminia a sgomberare la zona di una centrale nucleare Victory, per di più difettosa, era passato completamente sotto silenzio. “D’altronde dove finirebbe la fama di Bellocchio e compagnia, se trapelasse una notizia del genere…?” pensai una volta appreso quel fatto. Però Daniel, che era in rapporti del tutto amichevoli con Melisse, aveva raccontato alla ragazza tutto ciò che era successo in missione.
«Guarda, ero troppo sconvolta per prenderlo in giro» mi disse quando eravamo in procinto di decollare. Ridacchiai: Melisse trovava molto divertente lanciare frecciatine a Daniel e vessarlo in quel modo da molto prima che io li conoscessi entrambi all’Accademia. A volte mi sentivo non poco gelosa nei confronti dei due, che se la intendevano parecchio, ma poi mi intimavo di starmene buona perché con Daniel ci consideravamo a vicenda migliori amici. In teoria non avevo nulla di cui preoccuparmi, ma spesso era più forte di me. «Però scusami, ma ci sono alcune cose che non ho capito.»
Dalle innumerevoli domande che mi pose mi ritrovai a pensare che non avesse capito proprio niente del resoconto del ragazzo, perché dovetti raccontarle per filo e per segno ogni minimo spostamento avvenuto dopo la cattura di Spiritomb - che avevo finalmente potuto prendere nel mio team il giorno prima della partenza, anche se ancora dovevo trovare il modo per dargli il benvenuto senza rischiare che mi sottoponesse a una tortura psicologica, siccome pareva proprio che odiasse l’intero mondo, con una mossa Spettro o Buio.
Melisse era una spettatrice eccellente, tratteneva teatralmente il fiato quando le cose si facevano più intense e preoccupanti - come l’arrivo di Cyrus o quello di Giratina - ed era molto partecipe. Anche troppo: pretese i dettagli di ogni mia emozione e di quelle di Daniel - lì mi seccai un po’, ma cercai di non darlo a vedere - durante la missione. Ne trassi come conclusione che Melisse non si accorgeva di essere molto invadente. Non era ingenua né sciocca: semplicemente non si rendeva conto che la sua curiosità fosse quasi morbosa. Gli unici momenti di pace durante il viaggio fu quando l’aereo decollò e atterrò. La calma era relativa, però: siccome era terrorizzata al pensiero di volare, in cerca di sostegno mi abbracciò stringendomi con tutte le sue forze. Avere i suoi capelli neri in bocca non fu tra le esperienze migliori della mia vita, per quanto fossero belli: lunghi, lisci e nerissimi, lucenti come seta. Non ebbi mai un attimo di tregua, perché per distrarsi mi costrinse a parlare durante tutto il viaggio.
«Invece come ti va sul fronte… sentimentale?»
Avevo appena finito di farle un rapporto completo della missione - aveva preteso più informazioni di quante ne dovesse aver chieste Bellocchio - e lei aveva commentato con qualche parola fatta. Lo capii facilmente, neanche lei era molto brava a recitare; ero contenta che fosse finalmente soddisfatta del racconto, ma quella domanda forse fu pure peggio di dover ripercorrere tutti gli avvenimenti di una settimana prima. Ringraziai il cielo che Anemone fosse intenta a pilotare l’aereo: mi sarei imbarazzata tantissimo se avesse sentito le nostre conversazioni.
Per andare sul sicuro risposi, schiva: «Nessuna guerra in corso, cara Mì.» Usai il suo soprannome più per farle un piacere che per altro, ma ero un po’ infastidita dalla sua parlantina interminabile. Almeno nessuna guerra si stava combattendo sul fronte sentimentale… ma forse era più una mia speranza che un fatto.

Facemmo scalo - per modo di dire - a Ponentopoli ma Anemone, su richiesta di Bellocchio, ci guidò subito, senza concederci di ambientarci e di sgranchirci le gambe dopo un lungo volo, fino alla Foresta Bianca, al cui interno era stata fondata Città Nera. Ci scambiammo tutte e tre un’occhiata perplessa per la fretta dell’uomo: persino Anemone pareva stupita.
La ex Capopalestra era una giovane donna molto bella, piuttosto formosa, che aveva vissuto per quasi tutta la sua vita ad Unima e ne conosceva i cieli alla perfezione. Ci affrettammo a partire: lei su Unfezant, Melisse su Honchkrow e io su Altair. La mia compagna aveva lottato molto poco, così come tutti gli altri miei Pokémon, durante la settimana trascorsa dal ritorno da Flemminia alla partenza per Unima: avevamo pensato soltanto a riposarci. Era però contentissima di spiccare il volo nei cieli di una regione sconosciuta. Il viaggio durò una buona mezz’ora, perché Unima era molto più grande di Sinnoh. Era una giornata serena ma comunque fredda: tutte e tre ben coperte da guanti e sciarpe, volammo in silenzio verso la nostra meta, conosciuta soltanto da Anemone.
Nemmeno mi accorsi dell’entrata nella barriera di illusioni che avvolgeva la Città Nera e la Foresta Bianca. Anemone ci ordinò di scendere di punto in bianco e all’improvviso, al posto di quella che sembrava un’autostrada perfettamente in regola, quasi finimmo tra le fronde di alberi immensamente alti. Altair strillò sorpresa e lo stesso facemmo io e Melisse. Anemone rise per la nostra reazione e ci gridò di atterrare per farci una passeggiata. Scambiai un’occhiata quasi preoccupata con la mia amica, che pure si stava riprendendo dalla brusca frenata che il suo Honchkrow aveva dovuto fare, come Altair, rischiando di finire tra i rami più alti degli alberi.
Mi parve di atterrare con inaudita grazia sul suolo della Foresta Bianca, ma pensai che fosse solo una sensazione dovuta alla meraviglia che il luogo suscitò in me. Non tutte le piante erano alte parecchie dozzine di metri, ma la maggior parte erano colossali, dal tronco massiccio e dalle ampie fronde. Somigliavano, per il colore chiaro della corteccia, a dei pioppi, ma cambiai subito opinione: i tronchi erano di un bianco puro e anche le foglie, che variavano di forma e dimensione per ogni albero, erano di un verde chiarissimo. I rami più lunghi nelle chiome più rigogliose dovevano misurare parecchi metri e su tutti crescevano innumerevoli foglie: se avessi prestato più attenzione durante il volo avrei potuto sicuramente avere l’impressione di sorvolare un tappeto candido che mi avrebbe ricordato la neve della mia città, Nevepoli: il battito del cuore accelerò momentaneamente.
La natura incontaminata, il cinguettio dei Pokémon Volante e lo spettacolo magnifico che offriva la Foresta era estasiante. I raggi del Sole sembravano essersi addirittura intensificati lì sotto: filtravano attraverso le fronde degli alberi e macchiavano di luce il sottobosco. Quando lo notai, Anemone sorrise con enorme dolcezza. «La Foresta Bianca è anche soprannominata Foresta di Luce. Oggi per fortuna è una bella giornata, quindi si può osservare il fenomeno… qui tutto sembra brillare quando splende il sole: i raggi passano attraverso le foglie, che sono di un verde chiarissimo, e il bianco della corteccia degli alberi fa sì che la luce riverberi in tutta la Foresta. Qualcuno dice che la conservi addirittura, e che quindi nelle giornate di maltempo, o addirittura di notte, la Foresta continui a sfavillare…» disse con trasporto. La sua passione nel parlare del luogo quasi mi fece venire la pelle d’oca.
Non riuscivo a credere che qualcuno avesse potuto costruire una città dentro quel paradiso, contaminandone la bellezza. Subito dopo però pensai che fosse ammirevole il fatto che i due ambienti convivessero alla perfezione e che la Foresta di Luce fosse comunque meravigliosa, nonostante la vicinanza con Città Nera. “In effetti non sembra per niente sofferente per il contatto così stretto… sembra comunque brillare di luce propria…” pensai.
«Oh! E tu che vuoi?»
Io e Anemone ci voltammo a guardare Melisse, che camminava qualche passo dietro di noi, all’apparenza ancora più rapita di me dallo spettacolo offerto dalla Foresta. Mentre stavamo costeggiando una zona d’erba alta, un piccolo Zorua era saltato fuori e stava sbarrando la strada alla ragazza. Non ringhiava, la fissava e basta, agitando a destra e a manca la coda folta. Melisse gli sorrise, un po’ in difficoltà. Ingenuamente chiese: «Se mi sposto mi salta addosso, secondo voi?»
«Oh, sicuramente darà del filo da torcere a Serperior se cerchi di difenderti» commentai con ironia riferendomi al Pokémon più forte della squadra della ragazza. Non sapevo di sbagliarmi di grosso.
Melisse provò a spostarsi e Zorua effettivamente continuò a sbarrarle la strada, silenzioso, quindi lei decise di seguire il mio implicito consiglio e chiamò Serperior in suo aiuto. Il volpino non batté ciglio alla vista del lucertolone, anzi si tese, all’erta, quasi saltellando sulle zampette. Iniziò a girargli attorno mentre il Pokémon di Melisse era indeciso se metterlo subito fuori gioco o dargli un’occasione per attaccarlo. Dopo un po’ sia lui che l’Allenatrice si stufarono di aspettare: la ragazza ordinò di colpirlo con Codadrago per porre subito fine alla lotta. La coda di Serperior frustò l’aria e si abbatté sul piccolo Zorua.
Con sorpresa della ragazza, invece di colpire lui Serperior prese il terreno. Zorua aveva spiccato un balzo, aveva graffiato la coda di Serperior e ci si era attaccato saldamente azzannandolo: Serperior, sibilando più per la seccatura di trovarsi quel moscerino sulla coda che per il dolore che un piccolo morso poteva avergli procurato, cercò di scrollarselo di dosso agitandosi e contorcendosi. Alla fine ci riuscì e mise a segno un Fendifoglia.
Zorua mugolò di dolore, tanto che mi fece un po’ pena. Me ne fece di meno quando la sua immagine si sgretolò all’improvviso e il Pokémon di Melisse fu colpito alle spalle con Finta. Serperior, se ne fosse stato in grado, avrebbe ruggito. Sibilò ancora, offeso, ferito nell’orgoglio, e senza aspettare un ordine di Melisse si avventò contro il piccolo avversario. Stavolta lo colpì davvero con Fendifoglia e Zorua era praticamente già esausto. Serperior sbuffò ancora indispettito, ritenendo sicuramente inaccettabile che un esserino di quel tipo lo avesse quasi messo in difficoltà.
Melisse sospirò e fece rientrare il primo Pokémon che avesse mai allenato, il maestoso Serperior, nella sua sfera, ma non fece in tempo a muovere qualche passo che il testardo Zorua saltò di nuovo fuori dall’erba alta, pieno di graffi affatto lievi. Ignorò il dolore, anche se ringhiò per sfogarsi almeno un po’, e si appese ad una sua gamba.
«Va bene, ho capito, sei nella squadra!» sbottò lei, prendendo dalla tasca del cappotto una Poké Ball vuota e colpendo la testa di Zorua.
Ci stupimmo tutte di sentire il clic della sfera che confermava l’entrata del Pokémon nel team di Melisse, perché non ci aspettavamo che si facesse prendere - si era fatto catturare, non era stato catturato. Con quell’atteggiamento e quella spavalderia, quella forza di volontà, sarebbe stato necessario molto più impegno per prendere uno Zorua che intendeva combattere ancora. Mi chiesi perché lo avesse desiderato così ardentemente.
«Be’, andiamo avanti? Manca poco a Città Nera.»
Anemone ci richiamò e proseguimmo. Il sottobosco di quel verde quasi bianco, coperto di un tappeto di foglie che non sembravano nemmeno crepitare sotto i nostri passi, si fece più libero dalle invasive radici degli alberi. Inizialmente nemmeno me ne accorsi, ma dopo un po’ davanti ai miei occhi non ci fu più uno sfondo di tronchi colossali e altri di dimensioni normali, tutti indistintamente bianchi. Questo colore si ritrovò a spiccare su uno sfondo nerissimo, tanto che non si poteva guardare le due tinte agli antipodi insieme: l’occhio doveva concentrarsi sull’una o sull’altra. Pian piano la luce fu costretta a cedere il suo posto all’oscurità.
Una schiera di palazzi, più simile ad una serie di mura che di abitazioni, si stagliava di fronte a noi. Ero sicura che dentro quella cerchia di condomini ed edifici fossero racchiusi grattacieli talmente alti da sfiorare le cime degli alberi della Foresta. I due luoghi erano in grado di convivere armoniosamente insieme ma avevo la sensazione che i palazzi e gli alberi gareggiassero per vedere chi arrivasse per primo a toccare le nuvole.
I cancelli della città, anch’essi rigorosamente neri, si spalancarono appena Anemone si avvicinò, precedendo me e Melisse che, dovevamo ammetterlo, eravamo un po’ intimorite. Non c’erano guardie a difendere la neutralità di Città Nera: immaginai che non fosse necessario. Gli abitanti del luogo erano disposti a tutto pur di non farsi mettere in mezzo nel conflitto. “Sono disposti a combattere una guerra per difendere la loro neutralità… ma che razza di controsenso…” pensai per l’ennesima volta, sentendomi molto più a disagio in prossimità di Città Nera. Stavamo entrando in un territorio di guerrieri forse addirittura peggiori dei Victory.






Capitolo VIII - Rivisto il 18 dicembre 2015 (e la revisione è stata a sua volta riguardata il 14 luglio 2016). La foresta segreta → Foresta di luce.

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Capitolo 10
*** IX - Il signor Enigma ***


IX
Il signor Enigma

Mossi dei primi, incerti passi sull’enorme viale che ci si era aperto davanti agli occhi dopo aver oltrepassato i cancelli di Città Nera. Anemone era molto più decisa di me - e anche di Melisse, che si trovava nella mia stessa situazione emotiva - e si inoltrò con una certa spavalderia lungo la stradona che a noi altre intimoriva non poco. Sulle prime non vedevamo altro che quel lungo corso davanti a noi, ma appena superammo le specie di mura costituite dagli stessi palazzoni neri, Città Nera si rivelò molto più piccola - ma ugualmente intimidatoria - di quanto avessi pensato all’inizio.
Era visibile, non lontana, una svolta del vialone, che si rivelò essere l’unica fino alla fine di esso - che conduceva da dei cancelli della città all’altra sua unica uscita. Il primo chilometro percorso fu poco interessante, perché sia sulla destra che sulla sinistra si affacciavano abitazioni. Sul lato esterno, a contatto con la Foresta Bianca, si trovavano i palazzi più alti. Formavano veramente una cerchia di mura imponente, anche se i veri grattacieli, in procinto di superare in altezza gli alberi della Foresta, si trovavano nel cuore della città. C’erano anche edifici più bassi, ma ebbi la stessa sensazione di pochi minuti prima, quand’eravamo nella selva: le costruzioni più piccole sparivano, insignificanti, al cospetto dei giganti dell’architettura che regnavano sovrani in quel luogo, allo stesso modo di come gli alberi più piccoli della Foresta erano invisibili se la si sorvolava dall’alto.
I palazzi che fungevano da mura erano una schiera priva di fessure: non vidi neanche un vicoletto o una stradina, un cortile né altro a creare degli isolati. Non che la situazione del resto della città fosse tanto diversa, perché le vie più grandi erano poche: i grattacieli sembravano attaccati gli uni agli altri, compatti come i palazzoni dei confini, quando in realtà erano separati tra di loro, ma da passaggi quasi insignificanti.
La cosa che mi rese più esterrefatta, dopo la stazza impressionante della maggioranza degli edifici, erano le persone che vivevano a Città Nera o che vi erano di passaggio. Qualsiasi fosse il motivo della loro presenza lì, erano molte più di quelle che avrei mai creduto. Inizialmente non me ne ero accorta, ma era bastato inoltrarsi un po’ per il vialone per essere poi costrette a fare lo slalom tra le centinaia di persone che correvano dirette chissà dove - pochi erano quelli che passeggiavano senza fretta. «Chi non corre è di passaggio» rispose Anemone a Melisse quando le chiese il perché di quel comportamento generale. «Come noi.»
«E dove corrono?» domandai io.
La Capopalestra scrollò le spalle. «Solo chi abita qui lo sa, immagino. Penso che Città Nera sia orribile.»
«Perché?» Mi stupii del suo tono di voce grave.
«Be’, ovviamente sono molto di parte, sono entrata nelle Forze del Bene appena sono state fondate, in pratica… ma la neutralità di quasi tutti gli abitanti di Città Nera è dovuta ad un egoismo spaventoso. Vogliono proteggere la propria vita senza combattere per un ideale che non porti a nessun guadagno materiale ed immediato. Questo è lo stile di vita di chi vive qui: compravendita di oggetti rarissimi, gioco - d’azzardo e non, impiego in uffici segreti e ovviamente lotte Pokémon. Tutto è usa e getta in questo luogo: appena uno strumento o un Pokémon sembra non essere più del tutto efficiente, viene sostituito. Non mi piace questa mentalità.»
Mi guardai intorno con un po’ di tristezza e delusione, sentendomi sempre più soffocata dalla frenesia - piena di negatività anche secondo me, se la giovane donna aveva ragione - di Città Nera. Anemone aggiunse: «Ovviamente non sono tutti così materialisti, pieni di sé e menefreghisti, gli abitanti… ma la maggioranza ha costruito questa stessa città, rendendola quello che è. Basta dare un’occhiata in giro per vedere che razza di passatempi hanno molte persone.» Alludeva ai casinò, ai negozi di compravendita di Pokémon e ad altre forme di divertimento affatto attraenti per me, o per qualsiasi ragazzo. Sicuramente gli uomini d’affare e le persone simili avevano tutto ciò che desideravano in quella città, ma personalmente, come anche Anemone, non mi sarebbe piaciuto vivere in un posto del genere.
«Chissà com’è la persona che incontreremo» mormorai.
«Proprio per questo non mi convinceva dover partire per questa missione» disse Anemone. «Non so quali siano le intenzioni di Bellocchio, ma anche conoscendolo poco come me dovrebbe avervi mandate da qualcuno che non è in una situazione irrimediabile come quella di cui vi ho parlato prima.»
Anemone non si incluse nell’appuntamento e pensai che si fosse semplicemente sbagliata. Individuammo un centro Pokémon - era la prima volta che ne vedevo uno in vita mia, in realtà - e accompagnammo Melisse che voleva curare il suo nuovo Zorua: quando glielo riconsegnarono pretese di star fuori dalla Ball e la ragazza si vide costretta ad accontentarlo, lasciandolo trotterellare accanto a lei.
«Dove dobbiamo andare?» chiesi quando arrivammo alla svolta del vialone principale.
«Dobbiamo proseguire per questa strada e arrivare più o meno agli altri cancelli. Chiunque dobbiate vedere abita in uno dei palazzoni che fanno da perimetro alla città.»
Usò un’altra volta il “voi” e lo fece in modo talmente esplicito che le dovetti chiedere, perplessa: «Noi? Perché, tu non ci accompagni?»
«Bellocchio mi ha detto di no» rispose Anemone scrollando le spalle.
Sia io che Melisse inarcammo vistosamente le sopracciglia, basite per quel dettaglio del programma che non ci era stato comunicato. «Non pensavo che dovessimo andare in due!» esclamai. «La persona che dovremmo incontrare potrebbe essere pericolosa, se il messaggio di Bellocchio la facesse arrabbiare o che ne so io… non è troppo rischioso mandare due ragazzine da sole da qualcuno che potrebbe essere ostile?»
«Inizialmente anche io ho protestato, mi sembrava una cosa veramente assurda» sospirò Anemone. «Ma ho parlato con Bellocchio e mi ha assicurato che è qualcosa che dovete fare voi due, e che non correrete nessun rischio. Ha detto di conoscere l’uomo con cui vi incontrerete… ma se ci pensate, era quasi scontato che non vi avrebbe mandate da nessuna parte se ci fossero stati dei pericoli. Tutto quello che dovrete fare è consegnare il messaggio di Bellocchio e andarvene, poi, quindi non correte alcun rischio.»
“A me sembra che stia cercando di farmi fuori: prima mi manda in una centrale nucleare difettosa, ora da una persona che potrebbe aggredirci se mettiamo a repentaglio la sua preziosa neutralità… mi sembra che Bellocchio stia esagerando!” mi dissi, dapprima con poca convinzione, arrivando poi quasi a fumare dalle orecchie per gli incarichi che l’uomo mi stava assegnando. “Va bene che ho fatto dei capricci quando mi sono vista inserire in un gruppo che avrebbe fatto una spedizione per disegnare la mappa di un territorio nemico… ma pensavo di poter prendere questo compito un po’ come una vacanza, invece sembra tutto sempre, ugualmente difficile!”
Proseguimmo la passeggiata quasi del tutto in silenzio. I pochi commenti che facemmo erano sulle persone che incrociavamo sulla nostra strada: ebbi la sensazione, come Melisse, che la maggior parte di esse si componesse di quelli che sembravano uomini d’affari, impiegati, tutti incravattati e vestiti quasi uniformemente con impermeabili o giacche, indumenti seri e di colori scuri, visto il freddo - ma mi sembrava che sia la Foresta Bianca che Città Nera fossero abbastanza calde rispetto al resto delle zone che avevamo attraversato, come se le solide barriere che le proteggevano le rendessero anche più indifferenti al gelo invernale. Mi accorsi solo guardando tutte quelle persone di corsa dell’assenza di macchine o altri mezzi, pubblici o privati.
Arrivammo ai cancelli nel giro di una buona mezz’ora, meno di quanto avessimo impiegato per l’altro pezzo di vialone percorso prima della svolta. Anemone ci guidò verso i palazzi alla nostra destra: aveva un po’ di difficoltà ad orientarsi, ostinata a non chiedere indicazioni ma non sapendo bene dove si trovasse l’edificio di cui Bellocchio le aveva dato l’indirizzo. Ci volle un altro po’, ma riuscimmo a trovare il condominio giusto: il portone era sprovvisto di usciere e si aprì con una nostra semplice spinta, così come i cancelli non avevano guardie e non erano chiusi: accedere a Città Nera era estremamente semplice. Mi ripetei che gli abitanti dovevano essere veramente degli ossi duri, sia nelle lotte Pokémon che nella loro irremovibilità quanto al fatto di essere neutrali, e che in questo modo sia le Forze del Bene che il Victory Team avevano lasciato perdere qualsiasi tentativo di appropriarsi della città e della foresta circostante. Mi chiesi se la Città si fosse mai vista attaccata dai Victory - davo per scontato che le Forze del Bene non ricorressero a certi mezzi per reclutare uomini che combattessero per loro - e, se sì, qual era stato l’esito di quell’eventuale battaglia. Pensai che i vincitori fossero stati gli abitanti di Città Nera.
«Va bene, ragazze. Io vi aspetto qui, a dopo. Fate presto» ci salutò Anemone. Sembrava un po’ preoccupata e anch’io non ero del tutto tranquilla, nonostante la giovane donna ci avesse rassicurate poco prima.
Una volta rimaste sole scambiai un’occhiata eloquente con Melisse. Quasi ci ritrovammo a sospirare all’unisono. «E io che credevo di andare in un posto calmo e di godermi un attimo di pace!»
«Spero che Bellocchio sappia davvero con chi stiamo per avere a che fare» replicò la ragazza.
L’interno del palazzo era tutto nero e piuttosto scarno, come da copione. «A che piano dobbiamo andare?»
«Al nono» rispose lei.
Tenevo le mani in tasca: sotto la giacca avevo la cintura con le Poké Ball, tra le quali spiccava quella di Nightmare, per cui avevo tenuto la sfera rossa e nera. Tra le dita della destra tormentavo la piccola busta per lettere, leggera come se fosse vuota. Fremevo dalla voglia di sapere cosa avesse da dire Bellocchio ad una persona neutrale e perché avesse scelto come mezzo due ragazze da mandare oltreoceano con una letterina, anziché usare un mezzo tecnologico più immediato. Quel metodo era sicuramente al riparo da intercettazioni, ma noi potevamo sempre essere attaccate.
L’ascensore ci portò al piano desiderato. Il condominio era perfettamente silenzioso ma, vista la quantità di persone riversata per le strade della città, di certo i palazzi non erano mezzi abbandonati - anche visto l’aspetto esteriore curato fin nei minimi dettagli. Erano ben tenuti, così come le vie. Sul pianerottolo si affacciava una sola porta, però. Sia io che Melisse eravamo perplesse - da quando eravamo arrivate non avevamo fatto altro che sorprenderci. Lei aveva un’espressione più ingenua sul viso, mentre io, con una certa acidità, commentai: «C’è un solo appartamento per ogni piano? Queste persone abusano della privacy o non riescono nemmeno a guardarsi in faccia tra di loro?»
Melisse ridacchiò un po’ nervosamente. «Almeno siamo sicure di non sbagliare.»
“Magra consolazione” pensai, andando a suonare il campanello.
I secondi passavano e nessuno rispondeva. Mi estraniai dalla realtà quando ebbi una specie di deja-vù: mi tornò alla mente il micidiale ricordo della brutta esperienza avuta a Nevepoli l’estate prima. Se nessuno mi avesse avvisata, quel giorno, del fatto che i miei genitori si fossero trasferiti chissà dove, avrei continuato imperterrita a suonare quel maledetto campanello senza sapere che non avrei mai ottenuto risposta. Mi portai una mano al viso, soffocando un gemito: quell’episodio mi aveva segnata profondamente e avrei potuto seriamente iniziare ad avere qualche problema con i campanelli e le attese troppo lunghe sulla soglia di una porta. Grazie al cielo non era una cosa che dovevo fare tutti i giorni, ma forse il problema stava proprio nel fatto che non fossi più abituata e che quello fosse il primo campanello che suonavo dopo mesi, il primo dopo quello di casa mia a Nevepoli.
Mi passai una mano sulla fronte, sperando che Melisse non notasse il mio disagio, e con enorme sforzo suonai il campanello una seconda volta, augurandomi che fosse l’ultima di tutta la giornata. Non ero sicura di sapere cosa avrei fatto se nessuno avesse risposto, se fossero successe le stesse cose accadute l’estate precedente, quando me n’ero tornata a Nevepoli ignara di ciò a cui le Forze del Bene avevano costretto i miei genitori, che erano stati obbligati a cambiare città, vita, a dimenticare me e il loro passato in cambio di ricordi fittizi.
Quasi trasalii quando lo spioncino della porta fece rumore, interrompendo il flusso dei miei dubbi pieni di ansia. La persona dall’altra parte della porta ci scrutò, a noi invisibile, per lunghi secondi. Lo spioncino si richiuse e per un po’ ci fu solo silenzio. Melisse esclamò: «Ehm… dovremmo entrare, abbiamo una lettera!»
«Non apro a delle ragazzine» fece la voce dall’altra parte. Era un borbottio burbero appartenente ad un uomo.
«Ma per favore» sbottai, sempre piuttosto acidamente, ancora innervosita dall’attesa. «Siamo venute da Sinnoh per conto di Bellocchio, vertice delle Forze del Bene. Non è nei nostri programmi tornare indietro a ma…»
Fui interrotta da un paio di giri di chiave, e la porta si aprì. Fummo onorate della presenza di un individuo sui sessant’anni, dalla pelle non chiara e nemmeno molto rugosa. Era molto alto e in gioventù doveva essere stato anche piuttosto magro, ma aveva una pancia di dimensioni non indifferenti, viziata con chissà quanti alcolici di qualità. Degli occhialetti tondi erano appoggiati sull’importante naso aquilino dell’uomo, attraverso i quali vidi degli occhi chiari, azzurri o verdi. Una certa calvizie aveva infierito sui capelli rossicci dell’uomo, mentre le sopracciglia dello stesso colore erano assai cespugliose.
«Entrate» disse a bassa voce, con tono piuttosto rassegnato. Pensai che avesse una bella voce profonda, in grado sicuramente di farsi autoritaria. Chiuse la porta alle mie spalle e ci seguì strascicando i piedi: la sua lunga vestaglia purpurea frusciava nel silenzio quasi totale del grande appartamento. Ci condusse nel salone e quasi mi sfuggì una maleducata esclamazione alla vista di una confusione eccezionale, che faceva invidia al disordine che io e Chiara eravamo state in grado di produrre ogni giorno nella nostra camera all’Accademia: una libreria occupava un’intera parete ed era riempita perlopiù con raccoglitori ad anelli e scartoffie di ogni tipo, affiancando una piccola quantità di libri - che avrebbero dovuto essere gli “abitanti” del mobile - e altrettanti CD. Numerose cartelle e fogli erano sparsi sul tavolino basso della stanza. “Almeno il divano e le poltrone sono agibili…”
L’uomo tirò le tende color argento e, con mio disappunto, mise al lavoro la luce artificiale. L’ambiente era pregno della puzza di fumo e di alcol. «Potete dirmi i vostri nomi o Bellocchio vuole che restiate in incognito?»
«Io sono Eleonora.»
«Io mi chiamo Melisse. E lei è…?»
Il signore fece un mezzo sorriso. «Chiamatemi Enigma. È così che mi sono sempre presentato. Allora, posso sapere il motivo della vostra visita?»
Tutto sommato la sua gentilezza lo rendeva simpatico, nonostante l’aspetto non gradevole - sia il suo che quello della casa. Ci aveva chiesto entrambe le volte il permesso di sapere qualcosa sul nostro conto: pensai che fosse vero che Bellocchio avesse saputo di aver mandato me e Melisse da una persona non ostile.
«Bellocchio ha un messaggio per lei» risposi, prendendo la busta per lettere e porgendola all’uomo, che si sporse in avanti dalla poltrona - vicina al divano su cui ci eravamo sistemate io e Melisse - e la prese.
Enigma, mentre la apriva, vide che eravamo tutte intente a guardare, sperando di essere rese partecipi del contenuto di essa. «Posso offrirvi qualcosa?»
«No, grazie» dissi all’unisono con Melisse, piuttosto delusa: il suo tono era stato più che decisivo nel farci capire che quella faccenda sarebbe rimasta una cosa in privato tra Enigma e Bellocchio. Continuai ad esplorare il salone con lo sguardo, anche se la confusione che regnava sovrana era stata una visione più che soddisfacente. Le pareti mi erano sembrate spoglie, a prima vista, ma capii che era stata un’impressione: erano talmente ordinate rispetto al resto della stanza che non avevo notato le numerose cornici appese.
Sfidai Enigma, che sembrava così tranquillo e bonario, a rimproverarmi quando mi alzai, intenzionata a farmi un giro per il salotto. L’uomo sollevò per un momento gli occhi dalla busta, che stava ancora aprendo, e l’intensità del suo sguardo mi fece vacillare: era profondo e penetrante; aveva capito benissimo le mie intenzioni senza che io gliele avessi annunciate. Tornò al suo messaggio e la sensazione di disagio sparì, così fui libera di farmi gli affari dell’uomo, anche per capire con chi stessimo avendo a che fare - a parte un sessantenne disordinato e amante del fumo e degli alcolici. “Ma come fa Bellocchio a conoscere una persona come lui?” non potei fare a meno di chiedermi. “Sono così diversi, a partire dall’età… che tipo di rapporto hanno?”
Non erano le carte e i documenti che affollavano la libreria e il resto della stanza ad interessarmi: a catturare la mia attenzione furono le cornici sulle pareti. Non erano quadri, ma fotografie. Qualcuna era stata sviluppata, artisticamente, in bianco e nero. Ritraevano quasi tutte, in linea di massima, un Enigma più giovane in compagnia della sua famiglia; individuai quella che pensai fosse sua moglie e mi chiesi dove fosse: era una bella signora, anche se Enigma non era, come già avevo appurato, di bell’aspetto. I bambini e i ragazzi catturati dall’obbiettivo dovevano essere i suoi figli.
Ma una foto tra tutte mi mozzò il fiato. «Questo è Bellocchio.»
Lo dissi con un filo di voce, e Melisse quasi mi assordò con un suo “Cosa?!”: corse accanto a me e trovò subito la foto che stavo contemplando. «Non ci credo, è lui! Oddio, com’è carino!» squittì emozionata.
Vedere il proprio capo più giovane faceva un certo effetto, soprattutto se sorrideva con sincerità e sembrava il ritratto della spensieratezza e della pace interiore. Melisse non riuscì a trattenere le sue esclamazioni intenerite mentre io mi ritrovai a sorridere come una scema rivolta al Bellocchio della fotografia, che mi stava veramente contagiando con il buonumore espresso in quello scatto. La sua bocca era un po’ aperta e gli occhi socchiusi in un’espressione sorridente: il suo aspetto non era molto cambiato, a parte il viso di un uomo più giovane - ma ad ogni modo il mio superiore non era molto avanti con l’età.
Nella stessa foto c’era Enigma, con un bel po’ di capelli in più e molta pancia in meno. Doveva essere stata scattata parecchi anni prima: c’era la signora che in altre foto avevo visto accanto all’ormai sessantenne, che avevo dedotto fosse sua moglie, e pure un’altra donna. Bellocchio le teneva una mano su un fianco e lei era mezza abbracciata a lui. L’unica vera bellezza tra i quattro era la signora molto vicina ad Enigma: quella vicinissima a Bellocchio era sì carina, ma il grande sorriso, ampio e sincero come quello di lui, la rendeva ancor più amabile, e lo stesso effetto aveva fatto sull’uomo al vertice delle Forze del Bene.
«Chi sono queste signore?» chiesi con tono sognante. Enigma non aveva fatto niente per ostacolare me e Melisse e il pensiero mi riportò con i piedi per terra. Mi voltai di scatto verso l’uomo, improvvisamente rossa in volto per l’imbarazzo, temendo solo in quel momento di aver esagerato. “Non avrei dovuto ficcanasare! Però… non potevo perdermi questa foto, Bellocchio è completamente diverso! Non pensavo fosse in grado di sorridere…!”
Ma Enigma se ne stava tranquillissimo seduto sulla poltrona, a gambe incrociate, con in mano il contenuto della lettera. Spalancai le palpebre nel vedere un misero fogliettino e Melisse ebbe la mia stessa reazione: fortunatamente non espresse la sua sorpresa ad alta voce. “Ho sopportato per ore ed ore le chiacchiere di Melisse per portare un bigliettino pietosamente minuscolo? Ma scherziamo?!”
L’uomo alzò lo sguardo, quegli occhi profondi e pieni di chissà quali e quanti ricordi ed altrettante emozioni. Il suo volto si distese in un sorriso incredibilmente malinconico, come se solo in quel momento si fosse accorto del perché Melisse avesse cacciato un urletto da ragazzina alla vista di una foto, come se non mi avesse sentito dire che avevo trovato una foto di Bellocchio. Mi parve che i suoi occhi si fossero fatti un po’ lucidi. Ero ancora stupita del fatto che non si fosse arrabbiato nel vedere che ci stavamo allegramente facendo gli affari suoi.
«Mia moglie e quella di Bellocchio» rispose semplicemente.
«Bellocchio è sposato?! Non penso di poter reggere questa notizia!» esclamò Melisse. Non aveva tutti i torti: pensai che fosse normale trovare sconvolgenti fatti come quello, avendo un’idea molto diversa della vita privata della persona in questione. Io non pensavo proprio che Bellocchio ne avesse una.
«Era» la corresse Enigma. «Lei è morta quasi dieci anni fa.»
Il sorriso trasognato che mi incurvava le labbra da minuti interi si spense miseramente. Smisi di guardare l’uomo, sentendomi all’improvviso in difficoltà, e tornai con gli occhi sulla fotografia; Melisse, teatralmente, portò una mano alla bocca. Il silenzio minacciava di scendere tra noi, ma Enigma sospirò con malinconia. «Anche mia moglie se n’è andata da qualche anno. Una malattia…» Scosse leggermente la testa. «Da quando non c’è più continuo a chiedermi a chi sia andata peggio, se a me o a Bellocchio.»
«Cos’è successo a sua moglie?» domandai, senza riuscire a nascondere un lieve tremito nella mia voce.
Enigma, con gravità, rispose: «Gliela portarono via i Victory poco dopo la fondazione delle Forze del Bene.»
Non seppi dire perché la notizia pesò sul mio cuore come un macigno. Eppure dopo aver sentito il nome dei miei nemici sentii qualcosa rompersi nell’equilibrio già precario, divenuto tale da quando avevo chiesto chi fossero le signore in compagnia dei due uomini. I sensi di colpa mi dicevano che avevo commesso un grosso sbaglio con quella domanda, che di certo sarebbe stato meglio se mi fossi fatta gli affari miei, nonostante Enigma non si fosse opposto quando mi ero alzata per studiare i soggetti ritratti nelle foto.
«Mi dispiace» mormorai.
Enigma capì a cosa mi riferivo e fece un altro mezzo sorriso, come poco prima. «È stato normale interessarsi. Un po’ indiscreto, ovviamente, ma normale. Chissà come vuole apparirvi Bellocchio ora…»
«Che rapporto c’è tra lei e Bellocchio?» chiesi.
«Prima che le Forze del Bene nascessero per opporsi all’ascesa del Victory Team e che quindi scoppiasse la guerra, io e lui lavoravamo nei servizi segreti della Polizia Internazionale. Eravamo due degli agenti migliori, a quanto pareva, anche se i passi più grandi li abbiamo fatti quando siamo diventati una squadra.»
Enigma infilò nella tasca della vestaglia il breve messaggio di quello che era stato, ai tempi, un suo collega. «Lui entrò nella Polizia Internazionale quando era giovanissimo, ed era veramente brillante. Capirete anche voi che non è da tutti essere candidati investigatori e agenti segreti quando si hanno sì e no venticinque anni, dopo essere stati sottratti agli studi universitari dalla Polizia stessa… la quale si vide ben presto costretta a promuoverlo di volta in volta, trasformando un agente semplice in uno dei punti di riferimento nei servizi segreti. Già da prima che ci conoscessimo avevo sentito il suo nome molto spesso. Quando lo incontrai per la prima volta nell’ambiente in cui io lavoravo da parecchio tempo e lui era stato da poco inserito, mi si presentò come Bellocchio.
«Io ero entrato nella Polizia Internazionale tempo prima di lui. Non nascondo di aver fatto anch’io progressi non indifferenti: dopo pochi anni fui promosso e rimasi un agente per il resto della mia carriera. Il giorno in cui ci incontrammo lui aveva quasi ventisei anni e io quasi trentotto. Me lo affidarono, per così dire, come se avesse dovuto fare un tirocinio: in teoria doveva essere il mio assistente. In pratica mi ritrovai a considerarlo un mio pari, e talvolta mi vidi costretto a chinare la testa dinanzi a lui.
«Aveva tanti punti di forza. Era sveglio e acuto, aveva uno stupefacente spirito d’osservazione e un intuito a dir poco invidiabile. Gli presentavo un problema da risolvere su cui io avevo già lavorato, giungendo anche ad una conclusione, e lui arrivava ai miei stessi risultati impiegando meno tempo di quanto ce ne fosse voluto a me. Dopo un po’ smisi di sorprendermi delle sue capacità. Iniziai a sentirmi incredibilmente motivato grazie a lui, e avevo la sensazione che pure la mia mente si fosse fatta più elastica, come se mi avesse trasmesso parte delle sue abilità. Ma la cosa più importante di cui Bellocchio era in possesso… ed è, immagino… è senz’altro il suo carisma. Anche la sua bravura nel parlare fu una delle chiavi del suo successo: senza questi due elementi, non avrebbe mai fatto tutta la strada che aveva percorso, o almeno non l’avrebbe fatta in così poco tempo.
«In linea di massima, tutti lo ritenevano eccezionale» continuò Enigma. Teneva le sue grandi mani dalle dita affusolate incrociate in grembo. «Già… intelligentissimo, carismatico, ottimista, solare… chi più ne ha…! I suoi principali difetti erano l’ambizione sfrenata, tanto che il più delle volte trascurava la sua vita privata, e la frenesia quasi febbrile con cui voleva assolvere i suoi incarichi. Accadde, ogni tanto, che fossi costretto a ricordargli che lavoravamo in due… già, avevamo iniziato a fare coppia fissa fin da subito. Amavo lavorare con lui, ma a volte quasi mi inquietavano i suoi modi di fare. C’erano tutti i segnali di un lupo solitario, diciamo così. Mia moglie e la sua compagna si erano conosciute e più volte mi disse proprio quest’ultima che Bellocchio sembrava disposto ad abbandonare lei e tutto il resto per amore del lavoro. Sembrò molto più felice, finalmente rassicurata, quando lui, maturando con il passare degli anni, le fece una proposta di matrimonio e smise di spendere tutte le sue energie per il lavoro. Non ebbero figli, non ne vollero. Visto quello che successe a lei, è stato meglio così.» Enigma sospirò. «Ma ancora ce ne voleva di tempo perché il Victory Team nascesse, e anche la sua comparsa era imprevedibile.
«Noi due non eravamo semplici amici» riprese dopo un attimo di pausa. «Anche definirci migliori amici mi sembra riduttivo, a volte: non c’era bisogno di parlarci per intenderci, spesso a entrambi fu detto che le nostre menti sembravano lavorare in sintonia, contemporaneamente!… Io consideravo Bellocchio come un fratellino: lui era molto più rigido di me quando si trattava di rapporti interpersonali, come avete già potuto immaginare dalle lamentele di quella che sarebbe diventata sua moglie. Faceva di tutto per non dimostrarlo, e a recitare era davvero bravo… ma a me teneva in una considerazione del tutto particolare, quindi non mi ponevo alcun problema. La differenza d’età sembrava essere insignificante per noi due. La mia maggiore esperienza lo guidava, anche se a volte poteva benissimo fare a meno di consultarmi, ma non poteva fare a meno di chiedermi conferma per ogni suo progetto. Io, da questo punto di vista, me ne stavo più per i fatti miei.
«E dopo questa lunga digressione sulla storia di Bellocchio e sulla mia, per cui mi scuso se è stata noiosa… immagino vi stiate chiedendo cosa è stato a dividerci. Io sono qui a Città Nera, con la sola compagnia di queste fotografie - e dei miei figli, che pur abitando lontano fanno di tutto per venirmi a trovare quando possono…» sorrise leggermente. «Mentre Bellocchio è uno dei vertici delle cosiddette Forze del Bene, per di più è stato lui stesso a fondarle, ben intenzionato a impedire al fantomatico Victory Team di farsi strada in questo mondo.»
Enigma smise di parlare. Capii che adesso era il nostro turno: talmente tante domande si erano affacciate alla mia mente che l’unica che riuscii a fare fu: «Perché cosiddette?» Quella parola mi aveva messa a disagio e cercavo di capire perché l’avesse usata per definire l’organizzazione del suo vecchio, carissimo amico.
«Chi è dalla parte della ragione e chi è in torto, in questo conflitto?»
La domanda spiazzò sia me che Melisse; la ragazza riuscì a dire solo un “come?”. Enigma si sporse verso di noi e mi sentii messa a nudo dai suoi occhi chiari, sempre più sicura che fossero in grado di oltrepassare le barriere del pensiero e di capire cosa ci fosse nella mente dell’interlocutore. «Secondo quali criteri giudicate malvagi i Victory?»
«I loro mezzi e le loro intenzioni…»
«Quali sono le loro intenzioni?»
«Dominare il mondo.» Enigma mi aveva interrotta, prima, ma diedi prontamente entrambe le risposte.
«E cosa significa dominare il mondo?»
«Eh? Per… i Victory…?»
L’uomo annuì. Aprii bocca per rispondere ancora ma Melisse mi precedette. Con una serietà inaudita rispose: «I loro obbiettivi sono tutte le sfere del potere. Economico e politico in primis. Poi anche sociale, ovviamente: visto il modo in cui appiattiscono le loro reclute, lo stesso destino potrebbe toccare ai civili, se nessuno li fermasse. Anche gli eserciti finirebbero tra le loro mani. I Comandanti sembra che non abbiano abbandonato i loro vecchi intenti, quando ognuno di loro comandava un Team diverso… sono giunti a dei compromessi e si sono divisi le rispettive sfere di influenza, anzi di comando, se riuscissero nel loro intento di dominare il mondo.»
Era una risposta molto più completa e matura di quella che avrei dato io e quasi arrossii pensando a come sarei apparsa se fossi stata io a dire qualcosa, frettolosamente e senza rifletterci. Ammisi con me stessa che volevo fare “bella figura” con Enigma, che era un uomo intelligente, saggio e che conosceva così bene Bellocchio - ma dovevo dire che non ritrovato completamente il mio capo nella descrizione che ci era stata fornita.
L’uomo sbuffò. «Certo che il modo in cui sono riusciti a mettersi d’accordo, sempre che sia successo davvero, è invidiabile. Non lo credete anche voi?»
«Be’, sì.» Melisse quasi balbettò.
«È innegabile» mormorai io con tono piuttosto lugubre.
«E ora ditemi: perché così tante persone, inizialmente schieratesi dalla parte di Bellocchio, hanno tradito le Forze del Bene preferendo stare tra i Victory? È una bella domanda, immagino che anche voi ve la siate posta più di una volta.» Annuii. «Insomma, cosa devono avere questi scellerati assassini sanguinari di così attraente, per aver richiamato dalla loro, senza andarle a cercare, tante persone insospettabili di un simile voltafaccia? Perché mai passare dalla loro, che sono così brutti e cattivi?» Enigma si mise quasi a ridacchiare.
«Di motivi ce ne potrebbero essere tanti» dissi, sentendomi sempre più a disagio. «Promesse di ricchezza, di potere, protezione e…»
«Ma ho detto» mi interruppe Enigma, «che i Victory non sono andati a cercare l’alleanza di nessuno. Avevano fin da subito i Comandanti, una gerarchia, uno stuolo di reclute adoranti e sufficienti fondi. Quindi di quali promesse mi vuoi parlare, cara Eleonora? Un conto è la protezione che possono offrire, tutt’altro il potere.»
Mi morsi il labbro inferiore e subito dopo ripresi: «Be’, evidentemente dovevano apparire così forti… devono» mi corressi a malincuore, «che molte persone hanno visto il Victory Team più solido e promettente delle Forze del Bene! E quindi, pensando ad un futuro nel conflitto, hanno ritenuto che, in caso di vittoria dei Victory» non feci molto caso al gioco di parole, «fosse più conveniente trovarsi dalla loro. Non ho esperienza in questo genere di cose, ma quali altre ragioni potrebbero esserci?»
«Solo un’altra, secondo me» disse Enigma, «ma anche questo è uno dei punti principali. Il Victory Team ha fin da subito dato prova di grande forza e solidità. Persino Bellocchio deve ammetterlo.»
«Allora qual è l’altra ragione?» chiesi.
«Evidentemente la prospettiva di un mondo dominato da Cyrus, Elisio, Giovanni e quant’altri non era così poco allettante, come la popolazione media delle Forze del Bene invece crede.»
“Sono parte della plebaglia delle Forze del Bene, secondo lui” borbottai mentalmente.
«Ma lei stesso, signor Enigma, ha definito i Victory degli scellerati sanguinari» obbiettò timidamente Melisse.
«E se ti rispondessi che il fine giustifica i mezzi?»
«Non mi sembra una spiegazione accettabile» quasi ringhiai.
Enigma mi guardò con aria divertita per il mio tono inviperito. «Ma gli uomini al comando del Victory Team sono sorprendentemente intelligenti. Ricordo come se fosse ieri… una riunione dei servizi segreti a cui partecipai anch’io, e ovviamente c’era pure Bellocchio. Non dimenticherò mai la sua espressione quando fu resa ufficiale, tra di noi, la nascita di questi Victory. E poco tempo dopo i suoi commenti già pieni di odio verso quegli uomini: “La guerra ancora non è cominciata e con poche mosse stanno mettendo alle strette la Polizia Internazionale.” Non era già così disperata la situazione, ma l’arrivo di questo nuovo nemico lo depresse in un modo preoccupante, rendendolo irriconoscibile anche ai miei occhi, a me che lo conoscevo come un fratello…!
«Bellocchio ora sa bene quanto il Victory Team sia attraente, ma ai tempi lo imparò a sue spese. Fondò le Forze del Bene senza venirmi a dire nulla: per la prima volta in vita sua non mi chiese una consulenza. Pensate come dovesse essere sicuro di sé, sicuro di essere nel giusto! Quando gli comunicai la mia posizione gli crollò il mondo addosso. Prese le distanze e non fui in grado di riavvicinarlo: me ne andai a Città Nera insieme alla mia famiglia, a malincuore, dopo che Bellocchio mi aveva detto implicitamente addio. Sua moglie fece di tutto per cercare di convincermi a rimanere, dicendomi che avrebbe cambiato idea… ma sia io che lei sapevamo benissimo che non l’avrebbe mai fatto, testardo com’era. Poco tempo dopo mi giunse la notizia che sua moglie era stata assassinata, in risposta alla creazione stessa delle Forze del Bene. Questo non fece che accrescere il suo odio.»
«Mi scuserà, Enigma» intervenni, approfittando di una sua pausa, «ma io non amo la filosofia “il fine giustifica i mezzi”. Quel che è successo a Bellocchio è assolutamente comprensibile, almeno per me.» “Per me… mi sono immedesimata così tanto in lui, pur non avendo idea di cosa abbia potuto provare alla morte della sua amata per colpa dei Victory… questa storia mi fa così tanta tristezza.”
«Liberissima di non condividerla, Eleonora» sorrise lui. «Ce ne sono tantissimi che la pensano come te. Peccato che Bellocchio, addestrato dall’élite della Polizia Internazionale e parte stessa di quell’élite, non dovesse in alcun modo lasciare che la sfera personale prendesse il sopravvento sulla ragione. È una persona estremamente emotiva, anche se sicuramente riesce a mascherarlo, adesso sarà pure più controllato… ma prima era molto volubile e timoroso di muoversi senza l’approvazione di qualcuno. Mi chiedo come si trovi senza di me, che ero un fratello maggiore per lui. Non ho idea di come sia il confronto costante con gli altri al vertice delle Forze del Bene…»
«Prova pena per lui?» domandai.
«Non oserei mai. Lo ammiro ancora con tutto me stesso, anche se ci siamo separati per una complessa questione di punti di vista.» Fece una pausa. «Spero abbiate capito cosa vi ho voluto dire e che ci ragioniate attentamente. Non commettete gli stessi sbagli che Bellocchio ha fatto, una volta ritrovatosi praticamente solo. Ha perso di vista ciò che era necessario fare e ciò che avrebbe voluto fare, ecco perché provo una certa preoccupazione per le sue condizioni attuali. Ma non voglio farmi gli affari suoi, non finché non si sentirà pronto per tornare.»
Mi chiesi se quel giorno sarebbe mai arrivato, o se quella di Enigma fosse solo una speranza intrisa di nostalgia.
Melisse ribatté: «Penso che sia stato illuminante, signor Enigma, anche se non condivido tutte le sue opinioni.»
«Il mondo è bello perché è vario.» La ragazza ridacchiò per il tono noncurante dell’uomo, che sorrise e rivolse le sue attenzioni a me. «Ti senti ostile nei miei confronti, Eleonora?»
Anche le mie labbra si curvarono. «Credo sappia già la risposta.»
«Ti aspetti troppo da un povero vecchio come me! Mi stai simpatica, tutto sommato. Anche te, ovviamente, cara Melisse» aggiunse, provocando un’altra risatina da parte della ragazza.
«Anche lei mi è simpatico» mormorai. “Col cavolo che sei un povero vecchio!”
«Be’, care ragazze, temo di avervi trattenute un po’ troppo. Chi vi ha accompagnate?»
«Anemone. La Capopalestra» precisai.
«Ah, Anemone! Chissà com’è diventata grande… la incontrai solo un paio di volte quand’era una ragazzina, poco più grande di voi, credo. Divenne Capopalestra prestissimo e ricevette una bella batosta da Touko…»
«Conosce anche lei?» domandò Melisse sorpresa.
«I Dexholders furono sempre tenuti d’occhio dalla Polizia Internazionale, consci o meno» ammiccò Enigma. «Dalle imprese di ognuno di loro sono passati più o meno vent’anni… sembra che il tempo sia volato via, detta così, invece i vari Team diedero parecchie rogne ai tempi. Fu una reazione a catena: arrivarono i Rocket, poi, quasi contemporaneamente, sorsero sulla stessa lunghezza d’onda i Galassia, i Magma e gli Idro, i Plasma e i Flare. Tutti non poco fastidiosi… Bellocchio si interessò particolarmente ai Galassia e ai Plasma.»
Melisse diede un’occhiata all’orologio, appeso alla parete come un intruso tra le numerosissime fotografie, e quasi sobbalzò. «Inizia a cercare una scusa per tutto il tempo che ci abbiamo messo, Ele! Dobbiamo andare!»
«Chiedo venia per avervi trattenute così a lungo» sorrise Enigma, «ma quando i poveri vecchi si mettono a raccontare… i ricordi tornano in vita e le parole sono sempre poche per descriverli.»
«Lei non è per niente un povero vecchio» mi decisi a dire mentre mi alzavo in piedi.
«Eh, magari! Non abbiate aspettative troppo alte» ribadì.
«Grazie per tutto, signor Enigma. Addio!» salutò Melisse, stringendogli la mano tutta emozionata. Faceva una strana impressione vedere la piccola mano di lei in quella grande dell’uomo.
«Addio» dissi, a voce più bassa di Melisse e con una nota molto malinconica. Mi ero sentita incredibilmente partecipe del passato tormentato e intenso di Bellocchio, e non poter vedere mai più Enigma avrebbe fatto finire quella specie di sogno così affascinante. Di certo non avrei più guardato il mio capo con occhi critici e distanti.
«Arrivederci» ribatté l’uomo. Gli sorrisi con più decisione per quel saluto: fu come se avesse sottinteso un furbo, eloquente “semmai”, e abbandonai casa sua con la speranza che quello non fosse l’ultimo nostro incontro.

«Mi sono preoccupata come poche volte in vita mia!»
«Scusa, Anemone, scusa… avevamo fame e il signore ci ha offerto qualcosa, è stato molto gentile ma abbiamo perso un sacco di tempo. Ci stavamo pure quasi dimenticando di dargli il messaggio di Bellocchio, figurati!»
Questa, in linea di massima, fu la giustificazione a cui Anemone si sforzò di credere. Ovviamente ci disse, come una mamma apprensiva, che non avremmo dovuto accettare niente da uno sconosciuto e che, se non avesse chiesto consiglio a Bellocchio, che le aveva detto di pazientare rassicurandola sul fatto che quella persona fosse del tutto inoffensiva, non si sarebbe fatta scrupoli e sarebbe venuta a cercarci.
Ce ne andammo da Città Nera quasi di corsa. Durante il tragitto cercai di non vedere soltanto uomini e donne acconciati come se fossero tutti in affari, ma feci più attenzione e notai numerose persone lanciarsi in sfide Pokémon. Tenevo la cintura con le Balls fuori: passai la mano su ognuna delle sfere e rabbrividii sfiorando quella di Nightmare, sentendolo più avverso che mai nei confronti del mondo intero. “Una settimana fa l’ho catturato e mi è stato reso soltanto ieri, dopo che hanno fatto tutti i dovuti accertamenti… una delle prime cose che dovrò fare, al ritorno nella base segreta, sarà farmelo amico. Penso che sarà più arduo che cercare di metabolizzare le parole di Enigma!”
Infatti i discorsi dell’uomo mi avevano scombussolata non poco. Non ce l’avrei fatta a discuterne con Melisse, non ancora perlomeno, ma il confronto con me stessa era inevitabile.  Capii ben presto di essere divisa in due: una parte di me era disposta a trovarsi d’accordo con Enigma sul fatto che i Victory, a parte i mezzi violenti e piuttosto sanguinari, non fossero una prospettiva tanto malvagia, se si trattava di governare il mondo. Questo perché nessuno mi assicurava che sarebbero stati pessimi e spaventosi, i Comandanti, anche se fossero saliti al potere nelle regioni per arrivare ad avere il mondo intero sotto il loro dominio. Sarebbe stata una dittatura, ma avrebbe fatto come tutte leva sul popolo, e sarebbe stata accettata dalla maggioranza. L’altra parte di me scuoteva la testa ad ogni affermazione di Enigma e preferiva il Bellocchio attuale a quello sorridente del passato.
Avevo la sensazione che l’uomo, con il passare degli anni, si fosse fatto più freddo, addirittura cinico, dopo tutte le delusioni e i voltafaccia che aveva dovuto affrontare. Che avesse perso, insomma, la sensibilità che per tanto tempo aveva accresciuto il suo odio incondizionato nei confronti dei Victory alla morte della moglie. Non riuscivo a non essere impietosita dalla sua condizione, molto più di quanto mi fosse dispiaciuto per ciò che era successo alla moglie di Enigma. Mentre osservavo gli abitanti frettolosi di Città Nera, arrivai a credere che egli fosse fuori posto in un luogo del genere. Sembrava volersi fingere solo un uomo sulla via dell’anzianità con alcuni vizi di troppo, magari nati in seguito alla perdita della sua donna, e del tutto solo se non per i figli a cui aveva accennato, che pur vivendo lontani da lui andavano a trovarlo ogniqualvolta potevano.
Ma scoprire il passato di Bellocchio, del mio capo, l’imperturbabile e gelido uomo al comando delle Forze del Bene… Bellocchio, che solo nel nostro ultimo incontro mi era sembrato più emozionato e quindi più vicino, più umano. Anche la prima volta in cui ci eravamo visti, all’Accademia, poco dopo il mio arrivo, non mi era sembrato un tipo molto riservato. Invece, stando a quanto aveva detto Enigma, sembrava intenzionato a fare di tutto pur di non mostrarsi debole e vulnerabile come era stato in passato. Che si pentisse di aver dato troppo credito alle emozioni e alle questioni personali? Sapeva bene che i Victory non erano così ripugnanti, se si accettavano i mezzi con cui agivano; e, pensandoci, finché non si è coinvolti in un omicidio - o in un altro tipo di reato - e si lascia il lavoro sporco a qualcun altro, sono poche le persone che rimangono non intenzionate ad accettare tale metodo, anche se le motivazioni possono essere giuste.
“Ma è una cosa estremamente ipocrita” pensai con disapprovazione. “Se riesco a non sporcarmi le mani, a non avere rimorsi dalla coscienza, allora mi va bene tutto, basta che siano gli altri a sbrigare faccende che non mi piacciono, ma per il resto che m’importa dei mezzi del mio schieramento!… Questo modo di ragionare mi fa veramente schifo. Non riesco nemmeno a realizzare come si possa accettarlo!
“Ma d’altronde” obbiettai poco dopo con un certo disagio, “se io non fossi membro delle Forze del Bene, e se non fossi, soprattutto, una quindicenne quasi innocua… se non fossi così legata all’organizzazione che si è sempre presentata come mia protettrice dalle grinfie del Nemico, allora ripudierei ancora i Victory?
“Rischio di farne una questione personale come Bellocchio” capii quasi all’improvviso. Chissà quali ombre di espressioni balenavano sul mio viso in quei lunghi minuti di riflessione: mi adiravo contro i miei nemici e subito dopo mi mortificavo pensando che non avessero tutti i torti, mi impensierivo, quasi mi mettevo a scuotere la testa in momenti di disapprovazione… “I Victory mi hanno strappata alla mia realtà, quel primo settembre di un anno e mezzo fa. Li odio perché per colpa loro è cominciata questa storia terribile e sono finita nel vortice di una guerra, sono costretta a vivere nel silenzio, e se non fosse per la mia identità, avrei ancora una famiglia. I miei genitori si ricorderebbero di me, così come i miei amici e i miei parenti. È vero che ho trovato tante persone meravigliose in questo nuovo mondo, ma a che prezzo…! E di chi è la colpa di tutto ciò, se non loro?
“Non so più cosa pensare… dire che Enigma mi ha confusa è un eufemismo! Ho bisogno di schiarirmi le idee, devo parlarne con qualcuno… ma perché non è più facile scegliere? Perché le Forze del Bene si oppongono al Victory Team, che tanto male non è? Devo confrontarmi con qualcuno. Daniel, Ilenia… e Chiara! Non l’ho vista praticamente per niente in questa settimana, anche se eravamo tutte e due nella base segreta… è da tanto che non ci facciamo una chiacchierata come si deve… però pure Daniel e Ilenia non sono stati granché, da questo punto di vista, dopo la missione a Flemminia.”
Infatti Ilenia era sembrata occupata su chissà quali fronti e mi aveva degnata di pochi saluti e attenzioni in quei sette giorni di pausa. L’avevo vista spesso in compagnia di Cynthia e Lorenzo e avevo ipotizzato che fossero stati inseriti tutti e tre in un gruppo per una missione imminente, altrimenti non sapevo come spiegarmi il fatto che la ragazza, che in quei mesi di addestramento per noi guerrieri era diventata un punto di riferimento, una sorella maggiore, si fosse allontanata tutto d’un tratto. Ci eravamo fatte quella breve chiacchierata prima che lei mi dicesse che Bellocchio desiderava parlarmi, e già lì avevo dubitato che avesse avuto davvero intenzione di parlare, semmai che il capo le avesse chiesto di mettermi in contatto con lui. In effetti era da quando eravamo state assegnate a quella missione che mi era sembrata sempre più occupata in chissà cosa.
Daniel, poi, dopo aver insistito tanto, inutilmente, per farsi spiegare cosa significassero le parole di Cyrus nello scontro alla centrale di Flemminia, era quasi del tutto sparito. Sulle prime avevo pensato, indispettita, che stesse mettendo il broncio perché non gli avevo dato una spiegazione; poi mi ero detta che, essendo lui il mio migliore amico, avrei dovuto raccontargli parecchie cose che gli avevo taciuto per mesi, come il rapimento dei Victory e la perdita dei miei genitori, entrambi gli eventi di estrema importanza ma che non ero mai riuscita a raccontargli, per un motivo o per un altro. Ma mi ero anche accorta di quanto il suo sguardo si fosse fatto diverso, più distante. I sorrisetti di saluto che mi aveva rivolti in quei giorni, le poche volte in cui ci eravamo incontrati senza poi dirci nient’altro, erano molto meno decisi e beffardi di quanto fossi abituata con lui. Sembrava essersi fatto più serio e silenzioso, non pareva più disposto a fermarsi a scambiare due chiacchiere con la sua migliore amica… che d’altra parte si comportava male, davvero male, siccome non gli parlava mai di nulla che la riguardasse e manteneva, senza un vero motivo, troppi silenzi.
“Mi sembra di aver intrattenuto contatti più vivaci con Oxygen, il che è tutto dire…” pensai: avevo seguito poche lezioni del giovane maestro e non ci eravamo rivolti quasi mai la parola.
Mi resi conto di aver paura di star perdendo le persone per me più importanti. E la colpa nella maggior parte dei casi di chi era, se non mia? Con Chiara non stavo facendo niente per mantenere dei contatti costanti da quando i corsi di addestramento per guerrieri mi avevano totalmente assorbita, e avevo la sensazione di aver vanificato, quasi senza rendermene conto, ogni tentativo della ragazza per cercare di ricordarmi che eravamo migliori amiche e che la stavo trascurando parecchio. Era come se dessi per scontato che fosse una delle persone che mi stavano più a cuore e che mi erano più vicine, e che la lasciassi in secondo piano sicura che non sarebbe mai successo niente che avrebbe rovinato il nostro rapporto.
Lo stesso rischiava di accadere con Daniel, se non mi fossi decisa a parlargli con chiarezza di cosa era successo nell’estate precedente e del tipo di rapporto che avevo con Cyrus. Con i Victory stessi, casomai: già sentivo di dovermi confrontare con lui sulle parole di Enigma, che avevo memorizzato con un’attenzione che non avevo mai dimostrato, per non dimenticarmene mai più. Poi c’era la questione della mia presunta identità speciale che mi aveva resa uno degli obbiettivi preferiti dal Team nemico.
“Chissà come reagiresti, Dani” mi dissi con un tono mesto. “Cosa mi dirai quando ti avrò detto tutto ciò su cui ho fatto silenzio, dopo un anno che ti considero il mio migliore amico? Ti arrabbierai, già sto male così, al pensiero di rivelarti tutto e doverti affrontare… è molto egoistico… ma spero tu possa perdonarmi. Non so perché non riesco a parlare con te, mi è così difficile. Ma me lo prometto ora - e farò di tutto per tenere fede a questo” strinsi i pugni, “mi prometto e ti prometto che appena ti rivedrò, qualsiasi sia la situazione, ti racconterò tutto ciò che non sai su quello che mi è successo.”
Dopo un po’ mi domandai, cambiando discorso con me stessa, per poi rispondermi subito dopo: “A Bellocchio dovrò riferire tutte le parole di Enigma, rivelargli che il suo vecchio collega e sorta di fratello maggiore mi ha raccontato praticamente tutta la sua carriera e fatto capire com’è il suo carattere?… Ma vedrò, magari insieme a Melisse. Penso che farò finta di niente, sulle prime… e se tirerà in ballo il discorso gli accennerò qualcosa. Anzi, proprio no: solo se mi metterà alle strette e mi vedrò costretta a vuotare il sacco! Sono argomenti troppo sensibili e non so come affrontarli. Già non so più in che modo guardarlo in faccia, dopo le cose che ho scoperto… dopo la pena che provo per lui, sinceramente… sono tasti troppo dolenti per parlarne con il diretto interessato. Nonostante abbia saputo molte cose su di lui, rimane un perfetto sconosciuto con cui non posso permettermi di parlare a tu per tu, anche perché sarà sicuramente cambiato dopo dieci anni in cui non si vede con Enigma…
“E mannaggia a lui, mannaggia a te, Enigma!” sbottò all’improvviso la voce dei miei pensieri. “Ti fai credere un povero vecchio che ha rassegnato le dimissioni dal suo lavoro cent’anni prima, che è rimasto vedovo e solo e che si è appassionato un po’ troppo al fumo e all’alcool, ma porca miseria se sei riuscito a mettermi in una brutta situazione! Se me la vedo brutta con Bellocchio sarà soltanto colpa tua!”
Per parecchio tempo mi dedicai a strepitare mentalmente nei confronti dell’ex agente segreto, anche se esternamente non mostravo niente che non fosse un volto di quindicenne leggermente corrucciato, mentre ero occupata ad augurare qualche accidente poco serio alla persona che poteva avermi messa in seria difficoltà nei rapporti già complessi che ogni uomo ha con il proprio capo. “Sono una ragazzina, per l’amor del cielo, non dovrei ritrovarmi a quindici anni con problemi di questo tipo… Enigma, se ci rivedremo…”
Sia io che Melisse e Anemone fummo silenziose per parecchio tempo. Ritrovammo l’uso della parola, chi per un motivo e chi per un altro, solo quando ci librammo in volo sui nostri Pokémon Volante una volta abbandonata la spaventosa, opprimente Città Nera, e messo piede nella ben più confortevole e piacevole Foresta Bianca.
Ci mettemmo poco ad arrivare a Ponentopoli, ed eravamo pronte per ripartire dopo un veloce pranzo - anche se, nella bugia che avevamo raccontato alla Capopalestra, io e Melisse avevamo già mangiato. Fu nel momento in cui ci stavamo avviando per salire sull’aereo che Anemone ricevette una chiamata da parte di Bellocchio.






Capitolo IX - Rivisto a dicembre 2015 e di nuovo a luglio 2016. Il titolo è rimasto lo stesso.

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Capitolo 11
*** X - Fiamme assassine ***


X
Fiamme assassine

Nel giro di dieci minuti eravamo già in volo, dirette non verso casa - la base segreta - ma alla Torre Dragospira. Bellocchio aveva parlato di una situazione di emergenza e noi eravamo l’unico gruppo che si era reso disponibile entro i confini di Unima.
La Torre Dragospira si trovava a nord di Mistralopoli e nell’antichità era stata considerata un luogo sacro, al pari delle due Torri di Amarantopoli, a Johto, o della Vetta Lancia sul Monte Corona di Sinnoh. Pareva che lì si concentrasse un’enorme energia di entità sconosciuta, ma quasi tutti erano concordi nell’attribuirla alla forza dei Leggendari, in particolare al potere di Reshiram e Zekrom.
La nostra meta si trovava oltre una foresta che la separava da Mistralopoli. Era stata costruita in una depressione del territorio che nel tempo si era riempita d’acqua, fino a trasformare l’avvallamento in un lago profondo solo alcune decine di metri. Ciononostante, buona parte della Torre era stata sommersa, ed era stato costruito un nuovo accesso quasi sul pelo dell’acqua, collegato alla terraferma tramite un ponte. Era invisibile grazie alla presenza di barriere solide quanto quelle che inglobavano i luoghi legati ai Leggendari, come la sommità del Monte Corona. Mi chiesi, in un momento di silenzio totale tra me, Anemone e Melisse, se Cynthia fosse riuscita a raggiungere la Vetta tramite il passaggio segreto di cui mi aveva parlato tempo prima.
Anemone sapeva come effettuare un atterraggio d’emergenza perché lei potesse venire insieme a noialtre, ma la foresta che circondava la Torre era talmente fitta che la ricerca di una radura adatta all’occasione fu solo una perdita di tempo prezioso. Bellocchio non ci aveva detto qual era il problema che si era presentato e la sua fretta era stata una prova ulteriore del fatto che si fosse verificato un incidente, che ci fosse una vera emergenza.
«Temo ci sia solo un modo per aiutare Iris e la sua squadra» disse, manifestando difficoltà e preoccupazione. Mi parve di sentire la mente di Melisse elaborare pensieri sconnessi e disperati: quel che avremmo dovuto fare era prevedibile, bastava poco per farsi un’idea di che ci sarebbe toccato. Entrambe pregammo perché la Capopalestra non proseguisse ulteriormente, ma la decisione era forse inevitabile, data la situazione. «Dovete andare da sole.»
«Eh?!» strillò Melisse.
«Nei dintorni c’è solo foresta e non so dove atterrare. Dovete uscire dalle porte dell’aereo e andare con i vostri Pokémon Volante fino alla Torre.» Ci indicò le porte per cui potevamo uscire senza troppe difficoltà - forse.
Avevo già considerato seriamente la possibilità di doverci letteralmente buttare giù dall’aereo, ma questo non mi consentì di non preoccuparmi. Non seppi darmi una spiegazione ma mi sentii pervadere dall’ebbrezza e dall’adrenalina, che distolsero la mia attenzione da ogni pericolo e da ogni incidente che poteva capitarci, nel figurarmi me che mi lanciavo nel vuoto, per essere recuperata da Altair dopo infiniti secondi di precarietà, dopo essere stata colpita aspramente dalle impetuose correnti invernali. Improvvisamente ero eccitata e desiderosa di fare quella follia prima di andare ad affrontare un problema che si prospettava grave e delicato.
Di certo Melisse, con la sua paura di volare, non stava considerando la situazione come me, che mi sentivo più che mai elettrizzata - non capii bene cosa mi stesse succedendo, perché non fossi neanche un po’ impaurita. La ragazza, mentre slacciava la cintura di sicurezza, balbettava ininterrottamente mescolando ingiurie, preghiere, imprecazioni e domande. Alla fine riuscì a chiedere ad Anemone: «Dobbiamo spiccare il volo con i nostri Pokémon Volante ed entrare nella Torre… come facciamo a ritrovarci con te?»
«Cercherò di mantenermi nei dintorni. Evitate di far stancare i vostri Pokémon Volante.»
«Non è che finisci il carburante o che ne so io, vero?»
«Ci ho già pensato!» quasi sbottò la Capopalestra, esasperata e già in tensione senza che ci si mettesse pure Melisse con le sue ansie e fobie - che io, entusiasta com’ero, non riuscivo a capire. «Dovete andare, ora: buona fortuna! Nel caso qualcosa vada storto, fuggite. Non fate stupidaggini.»
Salutai con un “a dopo” che risultò quasi allegro, invece Melisse non proferì parola. Ci dirigemmo verso l’uscita; Anemone ci aveva detto come aprire la porta, ma ora il problema era non cadere all’istante giù dall’aereo appena fossimo state investite dalla corrente, perciò prendemmo subito le sfere di Altair e Honchkrow. Aprii la via per il vuoto premendo un bottoncino che mi indicò Melisse con mano piuttosto tremante, mentre la mia fu decisa. Fui meno sicura di me non appena il vento fortissimo mi investì come una slavina e per poco non persi l’equilibrio.
Guardai Melisse con un’espressione a metà tra lo stupito e il divertito. «Sei pronta?» Lei ovviamente scosse la testa e decisi di non perdere ulteriore tempo. Trattenni il fiato come se dovessi tuffarmi nel mare, mi feci avanti appena con la testa, tremando da capo a piedi per il freddo. Sporsi le punte dei piedi come su un trampolino e, appena smisi di tenermi con le mani sui lati della porta, capii che mi stavo lasciando andare.
La sensazione fu incredibile e non deluse le mie aspettative. Avevo voglia di urlare, sia per l’adrenalina sia per un po’ di paura che era inevitabilmente sopraggiunta, ma la voce mi morì in gola, soffocata dal vento che mi invadeva le narici, le orecchie e anche la bocca aperta. Mi sentivo respinta dal suolo e allo stesso tempo attirata da esso, con la forza di gravità e le temibili correnti che duellavano per decidere cosa fare di me. Mi sembrava di essere in un film. La colonna sonora che suonava nella mia mente era meravigliosa.
Presto fu chiaro che la forza di gravità avrebbe comunque avuto la meglio, perciò mi decisi a recuperare il controllo di me stessa, impedendo alle emozioni e all’epicità del momento di avere la meglio. Premetti il bottone della sfera di Altair, che stringevo in una mano con tutte le mie forze, come un’ancora a cui mi stessi aggrappando; uscì dalla Ball gridando spaventata, ma si riprese appena vide le mie condizioni precarie. Mi tagliò la strada e atterrai sulla sua morbida schiena, ma ciononostante quello scontro fu abbastanza doloroso per entrambe. Avere un dorso ricoperto di piume e cotone non costituiva chissà quale vantaggio, in quei casi.
Lo stesso nel frattempo avevano fatto Melisse e Honchkrow. I nostri due Pokémon non si fecero intimidire dal vento che ci sballottava, che cercava di farci sbandare o di disarcionare me e la mia compagna. Scambiai uno sguardo con Melisse e non potei fare a meno di stupirmi nel vederle negli occhi una luce molto più decisa e reattiva, ora che non era più sull’aereo e si riteneva al sicuro sul suo amato Honchkrow.
Altair e Honchkrow si districarono tra le correnti, puntando la Torre Dragospira a poche centinaia di metri da noi. Dovevamo trovare un modo per entrare senza dover scalare tutti i piani e perdere ulteriore tempo. Volammo in tondo attorno all’antica costruzione e individuammo una parete crollata molto tempo addietro, proprio all’ultimo piano, che era perfetta per accedere: proprio l’ultimo piano era famoso per le apparizioni più o meno fugaci di Reshiram e Zekrom, che i testimoni affermavano spiccassero il volo, per andarsene, passando attraverso quella parte di parete non più esistente.
Honchkrow era più veloce di Altair e Melisse arrivò prima di me, ma questo non fece alcuna differenza: già da lontano avevo notato qualcosa che mi aveva fatto venire un brutto presentimento, e purtroppo fu confermato dalla presenza di fumo che si levava da quell’apertura come un torrente nero in piena.
Sbiancai alla vista delle fiamme che divoravano l’interno della Torre. Colonne di quel fumo fuoriuscivano dalle finestre di ogni piano, da qualsiasi fessura o da ogni parete che avesse subito lo stesso destino di quella all’ultimo piano. Il rischio che la Torre stava correndo era altissimo.
«Melisse! Che succede? Come facciamo?!» gridai alla mia compagna di squadra, che mi si era affiancata, non osando proseguire da sola. Non proferì parola: era inorridita appena aveva visto il fumo.
“Fantastico” commentai con sarcasmo tra me e me. Stavo andando a morire per la seconda volta nel giro una settimana. “Grazie, Bellocchio, grazie davvero.” Lo ringraziai soprattutto perché non ci aveva dato nessun tipo di descrizione dell’emergenza in corso: chi aveva appiccato l’incendio e perché, anche se era facilmente intuibile - chi altri se non il Victory Team? Se il gruppo di ragazzi delle Forze del Bene lì in missione ancora non era fuggito, doveva esserci un altro pericolo per noi ancora invisibile, che si trovava oltre il muro di fumo che fuoriusciva dalla parete crollata dell’ultimo piano e ci divideva dai nostri colleghi, impedendo loro di scappare. Le volute nere erano dense all’inverosimile e non riuscivamo a vedere niente.
«Dobbiamo portare gli altri in salvo senza mettere piede nella Torre» dissi a Melisse.
«Cioè?» Il vento sospinse il suo sussurro terrorizzato alle mie orecchie.
«Io ho altri due Pokémon in grado di volare, a meno che in questo gruppo non ci siano troppe persone sprovviste di tipi Volante dovremmo farcela senza difficoltà! Prima però dobbiamo diradare il fumo, in qualche modo… ma non so come, Scacciabruma qui non servirebbe a niente!»
Non riuscii a sentire la sua risposta, ma mi bastò vederla indicare sé stessa e una sua Poké Ball per capire che aveva sentito i miei piani e che ci avrebbe pensato lei. Il vento mi stava rendendo le orecchie praticamente inutilizzabili, ma purtroppo riuscivo ancora a cogliere il suono lacerante di qualche urlo e il ruggito delle fiamme che non davano tregua alla Torre Dragospira.
Melisse chiamò fuori dalla sfera che stringeva in mano un Mismagius, il quale prese a fluttuare accanto a lei in attesa di un comando, affatto intimorito dalla situazione. Gli impartì un ordine che non afferrai, siccome aveva parlato a voce abbastanza bassa, ma capii che si trattava di un Neropulsar quando ne scagliò un paio in direzione del muro di fumo: le ondate di energia violacea si colorarono di nero e fu come se assorbissero, fungendo da spugne, il fumo. Dopo un po’ la quantità si ridusse abbastanza perché potessimo avvicinarci e capire meglio cosa stesse succedendo, e soprattutto quali fossero le vite in pericolo e chi aveva messo i nostri compagni alle strette.
Trovammo un gruppo di quattro ragazzi che dava le spalle all’uscita - che era possibile considerare anche come l’entrata per l’altro mondo se non avessero fatto attenzione: poco dietro di loro c’era il vuoto, dozzine di metri che si sarebbero trasformati in una caduta mortale se non fossero scappati. Ma perché ancora non l’avevano fatto? Chi aveva potuto metterli in condizioni tanto disperate da non riuscire neanche a fuggire? Ma forse era l’obbiettivo della missione, troppo importante per essere abbandonato, ad averli costretti a non fuggire, a meno se le cose fossero precipitate ulteriormente. Poteva davvero andare peggio?
Riconobbi con un gemito la figura esile di Gold e i suoi capelli blu un po’ troppo cresciuti. Il suo Blastoise stava cercando in tutti i modi di respingere le fiamme con delle mosse d’acqua, e lo stesso facevano i due suoi compagni di squadra: uno di loro era George, con uno Sharpedo, l’altra una ragazza che non conoscevo, con un Gastrodon. Ogni loro tentativo era però vano: l’incendio continuava a espandersi come fosse stregato, nonostante la furia e l’impegno ammirevoli con i quali i tre cercavano di respingerlo. C’era una quarta figura, che sulle prime non identificai, che non stava lottando con le fiamme ma con qualcos’altro - o qualcun altro: evidentemente c’era qualche problema in più del fuoco.
Io e Melisse ci avvicinammo ulteriormente, malgrado la paura. Il mio cuore era impazzito e avevo il fiatone, tanto era accelerato il battito cardiaco. Riuscii a vedere nuvoloni plumbei, carichi di pioggia, che sovrastavano quasi impotenti l’incendio: erano stati evocati probabilmente da una Pioggiadanza, che anziché sconfiggere il fuoco stava letteralmente evaporando a causa del suo calore elevatissimo. Alcune lingue di fuoco erano nere, altre violacee: di rado avevo assistito ad uno spettacolo tanto angosciante. Sentii mancarmi il fiato per alcuni secondi.
Mi resi conto che la quarta figura del gruppo delle Forze del Bene era Iris, che stava combattendo contemporaneamente contro tre uomini, vestiti come ninja, tutti in nero. I draghi della Campionessa stavano lottando contro tre Chandelure. Melisse esclamò, riferita ai tre individui: «Sono il Trio Oscuro!»
Avevo sentito il loro nome di tanto in tanto, ma in quel momento la loro identità era l’ultima cosa che mi interessasse. Dovevamo trovare un modo per far indietreggiare almeno momentaneamente le fiamme, ma se tre ragazzi non erano riusciti, in chissà quanto tempo, a fronteggiarle, come potevamo sperare di riuscirci noi? Anche perché io avevo solo Saphira in grado di aiutarmi, Melisse non possedeva neanche un Pokémon d’Acqua.
Allo strillo di quest’ultima si erano voltati tutti meno che Iris; i tre ragazzi, vedendoci, gridarono disperati implorando aiuto. La prima cosa che feci fu chiamare a gran voce Diamond e Noctowl, che uscirono dalle proprie Balls autonomamente e parvero capire subito che si trattava di un’emergenza.
«Vi aiuteranno loro a scappare, dobbiamo andarcene!» urlai rivolta ai tre ragazzi. «Chiamate Iris!»
Nemmeno il tempo di finire la frase che la vidi venir colpita da una Palla Ombra e poi rovinare a terra, scivolando sul pavimento dissestato fino a sfiorare con la testa il limite tra il terreno e il vuoto. Ero abbastanza vicina alla Torre per inorridire alla vista delle numerose, gravissime ustioni sul suo corpo. I suoi vestiti erano stati lacerati ed erano sporchissimi di polvere, terra ma soprattutto di sangue. Il volto della giovane era mortalmente pallido: non pareva nemmeno nelle condizioni di rimettersi in piedi. I tre Chandelure, intanto, stavano avendo la meglio sui suoi Pokémon Drago, che erano in una situazione fisica precaria quanto quella dell’Allenatrice: se non avessimo portato in salvo tutti in tempo non ci sarebbe stata più alcuna speranza per loro. Ma Gold e gli altri non sembravano voler smettere di accanirsi invano contro l’incendio.
«Smettetela di insistere! Dobbiamo andare!»
«Non ancora» ribatté Gold.
Inspirai profondamente, cercando di calmare i nervi e il cuore, e chiesi ad Altair di farmi scendere; subito dopo Melisse mi imitò. Mi inginocchiai accanto ad Iris e cercai di ricordare le nozioni che mi erano state date per salvare una vita in pericolo, ma non sapevo cosa fare in una situazione del genere e la confusione mi offuscava la mente, peggiorandone le condizioni. Altair andò a dare manforte, per quel poco che poteva fare avendo me in groppa, agli altri Pokémon, così come Honchkrow. Melisse mi raggiunse, tremando più di me. Atterrammo e scendemmo, avvicinandoci agli altri, incerte se sacrificare i nostri Pokémon per aiutare - sempre che potessimo fare qualcosa.
Gold si arrischiò a lasciar lavorare da solo Blastoise per venire da me e dirmi, balbettando per l’emozione: «Il mio Dragonite non può volare nemmeno, per come l’ha ridotto il Trio Oscuro, e anche Xatu non riesce a fare niente. La ragazza nel nostro gruppo ha rischiato di cadere nel vuoto mentre cercavamo di andar via perché… perché hanno quasi ucciso, davvero, quasi ucciso il suo Pokémon. Neanche l’Hydreigon di George può volare.» Spalancai gli occhi, un po’ terrorizzata un po’ basita. Lui proseguì: «Hanno mirato a tutti i Pokémon che avrebbero potuto aiutarci a scappare, noi avevamo chiamato quasi tutta la squadra a combattere, ma non siamo riusciti a tener loro testa neanche con dieci Pokémon contro i loro tre…»
«Ma perché avete impiegato per combattere i Pokémon Volante, scusa?!»
«Credi che gli altri non siano stati risparmiati?» gridò lui, scaldandosi di colpo. «Te l’ho detto, quei tre hanno i Pokémon più insidiosi del mondo, soprattutto perché sono tutti tipi Spettro!»
Feci per ribattere, non capacitandomi di come Gold, bravissimo nelle lotte Pokemon, non fosse riuscito a tener testa al pericolo; ma qualcuno mi strattonò la manica. Pensai fosse Melisse, invece era Iris, che tossiva senza avere un attimo di tregua; un rivolo di sangue si affacciò all’angolo della sua bocca e iniziò la discesa verso i suoi capelli.
«Iris! Iris, non ti preoccupare» balbettai io, «adesso ti aiutiamo noi, Anemone è…»
«Andate… ah… v-via…»
«No!» quasi strillai. Alzai la testa e cercai di chiamare i tre ragazzi - Gold era tornato ad aiutare loro - che ancora cercavano di impedire al fuoco di divorare quanto rimaneva dell’ultimo piano.
All’improvviso una macchia nera sporcò la mia visuale e quasi mi ritrovai faccia a faccia con un membro del Trio Oscuro. Era alto e smilzo, aveva capelli argentei ma, a giudicare da quella piccola porzione di viso visibile, non nascosta da un fazzoletto tirato fin sopra il naso e una fascia nera sulla fronte, non sembrava molto vecchio. Cercai  di allontanarlo con un colpo, ma lo schivò in un modo che non riuscii a capire: fu come se avessi totalmente sbagliato mira.
Melisse doveva essersi paralizzata dalla paura, perché il ninja riuscì ad avvicinarsi indisturbato al mio orecchio e a dirmi, gelido: «Vi conviene fuggire, se non volete fare la sua stessa fine.»
Si allontanò di scatto: nel giro di un secondo eravamo separati da parecchi metri. Fu in quel lasso di tempo che trovai le parole per controbattere e ringhiai: «Vorrei sapere perché non attacchi anche noi!»
Fu come se avessi dato un ordine ad Altair: la mia compagna gridò e un improvviso, potente Dragobolide colpì uno Chandelure, mandandolo al tappeto. Fu immediatamente sostituito da un Dusknoir.
«Perché Gechis si è raccomandato di non toccare le persone come te.» Sentii di nuovo la voce dell’uomo che poco prima mi aveva parlato: fu un sussurro fulmineo sempre vicino al mio orecchio. Quasi mi pietrificai, non aspettandomi che avesse capacità che avrei definito sovrumane: sembrava capace di teletrasportarsi, fino a una frazione di secondo prima lo stavo guardando con rabbia, ora lo vedevo riprendere il suo posto dopo essersi disturbato di rispondermi.
«Strano. Pensavo fossi di grande importanza. Una priorità» mormorai, sicura che mi potesse sentire.
Quella seconda volta non mi stupii di sentire un bisbiglio nell’orecchio: «I programmi sono altri. Due sarebbero stati meglio di una sola, ma stavolta si sono difesi bene.»
«Cio… cioè?» mi confusi, senza capirlo.
Non udii più quella voce in vita mia. Ebbi di nuovo modo di rivolgermi a Melisse e ad Iris: la mia compagna di “missione” aveva capito fin da subito che non ce l’avremmo fatta. Non se avessimo cercato ancora di portare in salvo la giovane Campionessa, perlomeno, né i suoi Pokémon. Solo due dei suoi draghi erano ancora in piedi e non avrebbero resistito ancora per molto: uno spasimo mi sconquassò le membra nel figurarmi la fine che potevano aver fatto gli altri Pokémon, magari buttati in pasto alle fiamme perché non erano riusciti a fronteggiare gli spettri del Trio Oscuro.
«Melisse, cosa…»
«Eleonora.» La voce della ragazza era incredibilmente ferma, tanto che trasalii. I suoi occhiali erano sporchi di fuliggine e cenere ma gli occhi neri sembravano brillare di risolutezza anche attraverso le lenti annerite. «Sai anche tu che non c’è niente che possiamo fare.»
«No, Melisse, un modo ci deve essere!»
«Iris non riesce nemmeno a respirare» esclamò, «e le ustioni la uccideranno comunque mentre cercheremo di fuggire! Non possiamo permettere che Anemone si distragga durante il volo, cerca di…»
«Chiama Honchkrow, ti prego, fa’ qualcosa!» strillai io. Diamond e Noctowl avevano preso l’uno sia Gold che George - erano entrambi abbastanza magri da poter sopportare il loro peso, l’altro la ragazza che non conoscevo.
«Il Trio Oscuro è andato via» annunciò con voce grave George.
Guardai di nuovo Iris, ferita e ustionata talmente tanto da fare impressione. Le afferrai una mano, anch’essa bruciata e sporca di terra; il calore delle ferite dovute alle fiamme era in netto contrasto con il freddo che già sembrava averla pervasa. Risalii al polso, rimasto illeso se non da qualche graffio, e lo tastai.
Quando rialzai lo sguardo su Melisse le mie guance erano rigate di lacrime. Iniziai ad ansimare come se non sapessi più regolare il mio respiro, come se avessi disimparato a prendere fiato e rilasciarlo correttamente, e mi sfuggì qualche gemito e singhiozzo. Mi portai le mani al viso: i miei occhi, nonostante le palpebre fossero spalancate, erano del tutto offuscati dalle lacrime.
«Andiamo, Eleonora.» Melisse dimostrò un autocontrollo invidiabile in quei momenti, tanto che in seguito mi chiesi come mai non riuscisse a gestire la paura di volare ma fosse in grado di affrontare situazioni del genere. Mi fece alzare e chiamò Altair al posto mio, che ero troppo impegnata a cercare di soffocare un pianto sconvolto - la realizzazione di aver toccato la morte con mano mi investì con violenza inaudita.
Altair era stanchissima e vedermi in quelle condizioni non le fu d’aiuto, ma si appellò a tutte le sue forze e seguì Honchkrow che già aveva spiccato il volo con Melisse. Le fiamme sembravano aver finito di avanzare verso di noi mentre si decideva del destino di Iris: gettai un’occhiata alle mie spalle e le vidi aggredire il cadavere della Campionessa, trasformando in cenere il suo corpo, dopo aver fatto lo stesso con i suoi Pokémon.

Nell’aereo di Anemone regnava il silenzio. Ero riuscita a smettere di piangere ma sbattevo di rado le palpebre, perché i miei occhi erano spalancati da un’espressione alienata, siccome non sapevo come riprendere i contatti con la realtà tangibile. Alla fine anche Melisse si era concessa qualche lacrima, mormorando “Mi dispiace, mi dispiace” ripetutamente, come se la morte di Iris fosse stata colpa sua. Avrei dovuto dirle che effettivamente non c’era stata più possibilità di salvezza per la ragazza da molto prima che arrivassimo noi, ma il pensiero si spense nella mia mente e tornai nel mio mondo astratto, non in grado di proferir parola.
Iris era stata in condizioni pessime, fisiche e psichiche: portarla con noi sarebbe stata una tortura per tutti. La ragazza aveva perso i suoi draghi, che erano stati i suoi compagni di squadra, i suoi amici e alleati: anche se fosse rimasta in vita - ma comunque sarebbe stato improbabile, il dolore l’avrebbe distrutta fino ad ucciderla davvero, forse. Era stata incredibile nella lotta contro il Trio Oscuro, aveva fronteggiato tre formidabili nemici da sola. Era inevitabile che venisse poi sopraffatta, ma aveva resistito fino all’ultimo, molto più di tantissime altre persone che si sarebbero arrese pur di non soffrire ancora. Iris era una vera Campionessa: le Forze del Bene non avrebbero dovuto perdere una come lei. Era sempre stata solare e disponibile con tutti, si comportava come una sorella maggiore.
La Torre Dragospira era crollata su sé stessa. Era stata consumata dal fuoco che magicamente si era spento dopo aver preso con sé Iris - pensai che quelle fiamme avessero volontà propria. Ma ormai era stata distrutta, di essa non rimaneva che un mucchio di rovine. Uno dei maggiori santuari del mondo Pokémon non esisteva più. Di chi era la colpa, se non del nostro nemico?
Mi tornarono alla mente alcune parole di Enigma: “E se ti rispondessi che il fine giustifica i mezzi?”, e pensai che fosse veramente inaccettabile dare una simile spiegazione ai reati che da dieci anni commettevano senza che si riuscisse ad impedirglielo: le loro azioni erano per me imperdonabili, non ero d’accordo con la filosofia di Enigma. I Victory seminavano distruzione e morte, come si poteva cercare del buono in tutto ciò?
Strinsi i pugni: quei pensieri innescarono un moto di rabbia in me che mi ridestò e riuscii a riprendere i contatti con la realtà. Melisse, che evidentemente mi guardava da un po’, prese le mie mani tra le sue e cercò di fare un sorriso. Dal suo tentativo uscì una smorfia tirata, innaturale e brutta, a causa dello sforzo che stava facendo lottando contro gli angoli delle labbra, per evitare che si curvassero in un’espressione di tristezza.
Dalla cabina del pilota giungevano quelli che sembravano i sommessi singhiozzi di Anemone. Abbassai il capo, non potendo nemmeno lontanamente immaginare quanto fosse doloroso perdere un’amica come era successo alla Capopalestra, che era stata in ottimi rapporti con Iris.
“Il fine giustifica i mezzi. Il fine è il dominio del mondo. Il dominio del mondo può realizzarsi solo attraverso la violenza. Chi si oppone alla violenza soccombe… a meno che non ne produca altra per contrastare chi vuole raggiungere il proprio fine… ma cosa stiamo combattendo? Perché non lasciamo che i Victory prendano possesso di questo mondo, augurandoci che Enigma abbia ragione, che uomini intelligenti come i sei Comandanti possano rendere la società migliore? Perché dobbiamo proprio lottare, perché…”
«Ragazzi» chiamai, rivolta a Melisse e agli altri tre - questi ultimi se ne stavano per fatti propri con occhi vitrei a contemplare il vuoto. Dovetti far risuonare la mia voce per interrompere il filo ininterrotto dei pensieri che stridevano nella mia mente, impedendomi così di ritrovarmi a pregare perché le Forze del Bene - cosiddette, come mi avrebbe corretta Enigma - trovassero un modo indolore per far finire quella guerra, perché nessuna delle due fazioni seminasse più distruzione. «Perché non siete scappati subito dalla Torre?»
«Dovevamo prendere questi» rispose subito George con la sua classica aria scocciata, che in quel momento non riuscì ad irritarmi. Mi mostrò un sacchetto di tela, chiuso da un cordoncino sottile, di colore rosso. Lo presi tra le mie mani con delicatezza; Melisse sbirciò da sopra la mia spalla mentre lo aprivo. Ne tirai fuori due pietre della grandezza di una Poké Ball - quindi un palmo della mano, all’incirca. Una era bianca, l’altra nerissima. Entrambe erano lucide e lisce.
«Cosa sono?» domandai ancora. Melisse invece trattenne il fiato per l’emozione appena le passai la pietra nera, poi presi tra le mani quella bianca. Sembrava emanare calore. Un’emozione sconosciuta, come di enorme familiarità, mi investì e mi riscaldò: mi sentii improvvisamente meglio, meno depressa per ciò che era successo.
«Sono il…»
«Chiarolite e lo Scurolite.»
Improvvisamente interruppi Melisse. Sembrava intenta a trattenere un gridolino, ma ammutolì nel sentire il mio tono di voce sorprendentemente grave e le mani, tra le quali teneva lo Scurolite, smisero di tremare per l’emozione - stavano mettendo a rischio l’incolumità di esso. Non mi spiegai il perché, ma l’identità dei due oggetti, che non avevo mai visto né in qualche libro né nel breve arco della mia esistenza, mi fu d’un tratto chiara, proprio un attimo dopo essere entrata in contatto con il Chiarolite. Ebbi la sensazione che qualcuno mi avesse suggerito i loro nomi, ma continuai a non capacitarmi di un qualcosa di strano che mi pervadeva l’animo. «Le pietre sacre a Reshiram e Zekrom» aggiunsi con voce atona.
“Ma io che ne so di queste cose? È la prima volta che ne sento parlare, che le vedo… ho come la sensazione che sia stato lo stesso Chiarolite a dirmi cos’è, perché mentre chiedevo di questi oggetti non sapevo davvero nulla… poi ho dato a Melisse lo Scurolite e ho preso l’altra, e mentre cercava di rispondermi… non so come, ma l’ho interrotta.” La ricostruzione dei fatti mi convinse, stranamente, anche se tutto mi pareva assurdo. “Possibile che Reshiram stesso mi abbia suggerito? Ma se non mi si mostra non vuol dire niente…”
«Non proprio. Il Chiarolite è Reshiram e lo Scurolite Zekrom» mi corresse George. «Assumono questa forma per gran parte della loro vita: ogni tanto la abbandonano, ma smetteranno di assumerla definitivamente quando incontreranno i rispettivi Eroi. Bellocchio ci ha mandati a recuperarle per iniziare le ricerche di queste due persone destinate a combattere al fianco dei Leggendari.»
«E il Trio Oscuro vi ha attaccati?» domandò Melisse.
«Gechis li ha mandati alla Torre Dragospira per ostacolarci.»
«Non avete idea di cosa abbiamo dovuto fare» sospirò, affranta, la ragazza del gruppo. «Siamo entrati regolarmente dalla porta alla base della Torre. Ad uno degli ultimi piani abbiamo avuto un brutto presentimento e ci sentivamo costantemente osservati e seguiti, poi siamo stati attaccati dal Trio Oscuro e da alcuni Pokémon Buio e Spettro. Ci siamo divisi: io e George siamo andati all’ultimo piano e abbiamo trovato le pietre di Reshiram e Zekrom, mentre Gold e Iris cercavano di farci guadagnare tempo. Ci hanno raggiunti e abbiamo provato a scappare tutti e quattro: sembrava che ce la stessimo facendo… ma è stato inutile: non abbiamo potuto allontanarci più di tanto e siamo stati costretti a combattere le fiamme, i Pokémon e quegli uomini.»
«Non sembrano veri umani» mormorò Gold, «viste le loro capacità.»
Di nuovo il silenzio prese il sopravvento. L’obbiettivo della missione era stato soddisfatto, al prezzo della morte della Campionessa di Unima. George borbottò che le fiamme sembravano aver voluto attaccare seriamente solo Iris e notò che pure l’altra ragazza del gruppo era stata presa di mira più volte, mentre lui e Gold “se l’erano vista molto meno brutta”, come disse.
Mi chiesi se le Forze del Bene sarebbero mai state in grado di rintracciare gli Eroi dei Leggendari di Unima. Sarebbero stati spaventosamente utili, forse si sarebbero rivelati una delle chiavi per piegare il Victory Team. Ma in quel momento c’era qualcosa che mi premeva molto più di qualsiasi altra congettura: capire le parole di Enigma e, di conseguenza, rendermi conto se valesse la pena combattere quella guerra oppure no.








Capitolo rivisto a luglio 2016.

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Capitolo 12
*** XI - Inaccettabile ***


XI
Inaccettabile

Ero sicura che il rientro alla base segreta sarebbe stato in qualche modo turbolento, travolgente: dopo le ore di silenzio trascorse in aereo, spezzate solo dalla conversazione riguardante la missione di Gold, George e dell’altra ragazza, mi aspettavo che ogni mormorio mi arrivasse alle orecchie con una forza a cui avevo rapidamente perso l’abitudine. Invece il covo del Monte Corona era tranquillo come suo solito. D’altronde era quasi mezzanotte, e il coprifuoco scattava tutte le sere alle dieci e mezza.
Anemone si era calmata e ci aveva accompagnati da Bellocchio, ma se n’era andata senza nemmeno salutare il capo, sconvolta com’era da quello che era accaduto ad Iris. La morte della ragazza mi sembrava già l’eco remota di un ricordo talmente assurdo da non sembrarmi reale, da non sembrarmi mio. Eppure si era svolto tutto nell’arco della stessa giornata: eravamo arrivate alla Foresta Bianca poco dopo l’ora di pranzo, io e Melisse eravamo andate a parlare con Enigma e prima delle quattro del pomeriggio già eravamo di ritorno a Ponentopoli. Poi era arrivata la chiamata di Bellocchio ed era successo quel che era successo alla Torre Dragospira. Sembravano fatti avvenuti secoli prima, invece eravamo rientrati a sera inoltrata il medesimo, freddo giorno di metà febbraio. La mia testa si rifiutava di ripensare ai discorsi di Enigma, allo scontro sulla Torre e al contatto con il Chiarolite, perché altrimenti sarebbe scoppiata per la tensione e la stanchezza.
Bellocchio congedò soltanto me e Melisse, rinviando il colloquio con noi due alla mattina successiva. Scambiai qualche parola con la ragazza mentre andavamo al dormitorio e ci salutammo prima di entrare, muovendoci nel massimo silenzio per non disturbare nessuno. La poca luce prodotta dalle strisce rosse e celesti sulle pareti fu sufficiente per guidarci fino alle nostre brande. Non mi aspettavo di fare sonni tranquilli, invece dormii pesantemente.
Ignorai del tutto la sveglia alle sette meno un quarto e Chiara, sicuramente informata da Melisse, venne ad alzarmi più di un’ora dopo; non mi filai più di tanto neanche lei. Avevo un aspetto orribile: nonostante avessi dormito tantissimo e profondamente, mi sentivo più stanca che mai, soprattutto prospettandomi una chiacchierata con Bellocchio riguardo ciò che ci aveva detto Enigma. Mi pizzicai le guance per darmi un po’ di colorito e per svegliarmi ulteriormente. Solo in quel momento mi degnai di salutare Chiara, trovandola fortunatamente ancora nel dormitorio. «‘Giorno» le borbottai, senza neanche sporgermi dal letto.
«‘Giorno» replicò la sua voce.
«Hai visto Melisse?»
«Ti aspetta davanti all’ufficio di Bellocchio.»
«V-vaaa bene…!» dissi mentre mi stiracchiavo. «Grazie, Chia’…»
«Prego» ribatté e, senza salutare, uscì - mi parve frettolosamente - dal dormitorio.
Mi preparai con più calma di quanto avrei dovuto, ma per una volta non me ne curai. Trovai Melisse ad aspettarmi praticamente davanti all’ufficio di Bellocchio ed entrammo senza bussare. L’uomo, seduto alla scrivania come di consueto, ci fece accomodare sulle sedie davanti ad essa.
«Anzitutto, di nuovo bentornate» salutò a bassa voce. «Sono veramente scosso per quello che è successo ieri alla Torre Dragospira, per le cose che avete dovuto sopportare… se fosse stato possibile avrei mandato squadre di soccorso diverse, ma siccome eravate a Ponentopoli e già in procinto di partire, il vostro aiuto era l’unico che poteva arrivare tempestivamente. Siete riuscite a trarre in salvo tre ragazzi e il Chiarolite e lo Scurolite con loro, e questo vi fa onore; purtroppo la perdita di Iris è stata inevitabile. Nessuno di noi avrebbe mai creduto che il Trio Oscuro potesse mettere alle strette un’Allenatrice come lei e altri ragazzi molto preparati. Non voglio parlare di un errore di valutazione perché non ci aspettavamo assolutamente il loro arrivo, dato che la Torre Dragospira avrebbe dovuto essere monitorata da membri delle Forze del Bene.»
Sembrava un po’ nervoso e a disagio, anche se adottò la sua solita distaccata sicurezza. Avevo l’impressione che, com’era sua abitudine, si fosse preparato un’introduzione per rompere il ghiaccio, parlando con un tono che per me era sempre stato piuttosto sgradevole. Mi chiesi se sospettasse minimamente il genere di discorsi fatti con Enigma e mi augurai che si immaginasse tutt’altro: non mi ero messa d’accordo con Melisse su qualche bugia da propinargli, se la situazione si fosse fatta scomoda. In effetti non avevamo nemmeno discusso tra di noi delle parole dell’uomo. Ci eravamo presentate del tutto impreparate.
Bellocchio sospirò, rilassandosi un pochino. Si alzò e finse di interessarsi ad un qualche fascicolo riposto negli scaffali della parete alla nostra destra. «Spero che il vecchio Enigma abbia per lo meno accettato il mio messaggio.»
«Sì» risposi con poca convinzione.
«Anemone era piuttosto preoccupata perché pare che vi abbia trattenute a lungo. Cosa avete tratto dall’incontro con lui? Si è presentato o non avete idea di chi sia?»
Melisse, approfittando del fatto che ci stesse dando le spalle, mi fermò quando ero lì lì per dare una risposta e mi chiese, con uno sguardo eloquente, di lasciarla parlare. Annuii, anche se non ero convinta che fosse in grado di ingannare un uomo del calibro di Bellocchio. Come se d’altronde io ne fossi in grado. Spiegò: «Si è presentato come Enigma e ci ha detto che era, come lei, un agente segreto della Polizia Internazionale.»
«E vi ha spiegato perché è andato a vivere in un ambiente come la Città Nera?»
Scossi impercettibilmente la testa quando Melisse mi guardò in cerca di appoggio. Così rispose: «No, ha preso il biglietto e ha passato un po’ di tempo a guardarselo. Ci ha fatto domande del tipo se sapevamo cosa dicesse il messaggio, si è interessato al nostro ruolo nell’organizzazione… praticamente abbiamo chiacchierato.»
«Avete chiacchierato.» Bellocchio, le mani dietro la schiena, annuì impercettibilmente, mentre continuava a tenere gli occhi su un punto fisso dello scaffale. Mi mordicchiai il labbro inferiore e sentii dei brividi d’ansia lungo la schiena capendo quanto poco fosse disposto a crederci - e a ragione. In fondo, chi era tra noi tre la persona che più conosceva Enigma, che anche dalle poche parole di Melisse poteva intuire se gli stessimo raccontando delle menzogne, se non lui? Il suo vecchio collega poteva davvero mettersi a chiacchierare con delle ragazze di quindici e sedici anni sulle loro occupazioni nelle Forze del Bene? Mi ritrovai a sperare che gli anni di lontananza l’uno dall’altro avessero fatto il loro lavoro sulla memoria di Bellocchio, che quindi prendesse in considerazione il tempo passato separati e valutasse di crederci. Avrebbe mai immaginato che la sua vita privata venisse raccontata a due ragazzine che sembravano capitate per caso nell’abitazione del suo vecchio collega?
Bellocchio non sembrava intenzionato a riprendere la conversazione per un po’, e anche Melisse si era chiusa nel silenzio dopo aver sentito il tono eloquente, assai preoccupante, con cui l’uomo aveva ripetuto le sue parole. Mi azzardai a parlare per prima: «Perché ha mandato noi due da Enigma e non qualcun altro? Degli adulti, magari, che se la potessero cavare meglio in terra straniera e in un luogo ostile come Città Nera?»
L’uomo si voltò. «C’era Anemone con voi. Non se la sarebbero mai presa con due ragazze, ma chiunque non sia una recluta come voi sarebbe stato riconosciuto e cacciato dalla città stessa.»
«Allora perché ha mandato pure Anemone?»
«Perché è l’unica Capopalestra di Unima, quindi era un passo in avanti il fatto che sia connazionale di quella gente, l’unica che non si sia inimicata mezzo mondo, grazie al suo carattere mite e alla sua preferenza per le missioni che siano il meno aggressive possibile. Preferisce esplorare e spostarsi, quindi le affido sempre questo tipo di incarico. Era essenziale che vi proteggesse e al contempo non attirasse l’attenzione di nessuno.»
Annuii semplicemente. Passati alcuni momenti in silenzio, Bellocchio tornò a sedersi alla scrivania; intrecciò le dita delle mani davanti la bocca, continuando a non guardarci. Dopo un po’ disse: «Be’, quasi mi dispiace che Enigma sia stato così poco utile. È un neutrale, ma è un vecchio amico e molto saggio, ma forse ho sperato troppo che si mettesse a dare consigli a due ragazze. Avrei potuto mandare Anemone da sola e non sarebbe cambiato nulla, immagino… sono veramente dispiaciuto.»
Melisse abbassò lo sguardo, mentre io studiavo, senza vederle davvero, le mani dell’uomo. Lo rialzò appena si sentì chiamare: «Melisse, ti ringrazio ancora per tutto. Puoi andare. Eleonora, con te vorrei scambiare due parole.»
Feci un cenno d’assenso, mentre la ragazza, un po’ titubante, salutava. Ero perplessa quanto lei, che però non doveva di certo essere preoccupata come me, ora che era fuori dalla portata del capo. “Se avesse qualcosa da ribattere su quello che abbiamo detto riguardo l’incontro con Enigma, l’avrebbe fatto quando c’era anche Melisse” cercai di rassicurarmi. “Dovrà dirmi senz’altro delle cose diverse…”
Bellocchio portò le mani intrecciate sotto il mento e si degnò di guardarmi prima di rimettersi a studiare la scrivania, quasi del tutto sgombra. L’espressione dei suoi occhi era piuttosto neutra, se non per una nube quasi di sconsolazione che si espandeva sul suo viso. «Dal tuo punto di vista com’è andata la chiacchierata, Eleonora?»
«Bene» dissi lentamente dopo un momento di esitazione.
«L’hai trovata utile?»
Inizialmente non risposi, bloccata dalla prospettiva di mentirgli - che mi avrebbe di certo messa in una brutta posizione - e al contempo da quella di dirgli la verità, che non mi sentivo di rivelargli. Pormi una domanda di quel genere significava che non credeva neanche a un briciolo della versione di Melisse, perché una chiacchierata con toni amichevoli non poteva tornare utile in alcun modo. Alla fine mormorai, cautamente, un semplice “sì”.
Bellocchio fece un piccolo cenno affermativo. «Mi auguro di poter credere almeno a te.» Mi guardò negli occhi, che io puntualmente evitai mentre arrossivo leggermente. «Come mai Melisse non ha voluto raccontare di cosa avete discusso… anzi, chiacchierato con Enigma?»
«Abbiamo parlato delle Forze del Bene e del Victory Team, ed eravamo entrambe piuttosto scosse dopo aver ascoltato il suo punto di vista. Ci ha lasciato molto su cui riflettere. Non ho mai sentito l’opinione di qualcuno che non fosse delle Forze del Bene, perciò…» Mi fermai, senza sapere se e come sarei stata in grado di concludere.
«Enigma è sempre stato bravo a insinuare il dubbio nelle persone. Non è difficile credere che ci sia riuscito con voi due.» Un angolo delle sue labbra si curvò appena. Si sistemò più comodamente sulla poltrona girevole. «Per quale motivo credi che ti abbia mandata da lui, Eleonora?»
Le mie sopracciglia si corrugarono e la mia schiena si drizzò, mentre le palpebre si socchiudevano leggermente. «Vuole dirmi che Melisse serviva soltanto a farmi da compagnia?»
«No, no. Non potevo mandare solo te a consegnare il messaggio, che era il vostro incarico primario.» Avrei voluto chiedergli anche del biglietto insignificante contenuto nella sua lettera, ma mi trattenni.
Bellocchio non aggiunse altro e aspettai invano che parlasse, ma aprì le mani come a voler dire che non aveva nient’altro da dire. Scossi la testa, abbassando lo sguardo, e la mia voce si fece più alta del dovuto a causa di un sempre più definito senso di disagio e frustrazione. «Perché mi avrebbe mandata da qualcuno che poteva soltanto confondermi le idee? Perché non mi ha fatto avere rassicurazioni sull’andamento dell’organizzazione e sul fatto che sia un bene che io mi ci trovi, che sia valsa la pena addestrarmi minimo dieci ore al giorno e continuare a farlo per il resto dei miei giorni in questa guerra assurda? Mi spiace, Bellocchio, ma non ne ho idea! Non so come posso averne, è lei che conosce Enigma, è lei che mi ci ha mandata. Non mi aspettavo nemmeno che sapesse fin da subito di cosa ci avrebbe parlato, non ho idea di come abbia fatto ad aspettarselo!»
I miei occhi pregavano quelli distaccati dell’uomo di fare chiarezza. In quel momento non sapevo se fosse lui che trovava ovvio qualcosa che non lo era affatto o se ero io a non vedere niente ad un palmo dal mio naso. Ma lui continuava a rimanere ostinatamente in silenzio, facendomi così sentire ancora peggio. Restammo a guardarci così per qualche secondo, poi, come se la sua espressione vagamente sconsolata me l’avesse suggerito, mormorai: «Vuole mettere alla prova la mia fiducia, Bellocchio?»
Curvò un’altra volta lo stesso angolo della bocca. «Il tuo carattere si è rivelato più ribelle di quanto credessi in passato. Mi è stato riferito spesso dai tuoi istruttori, e non hai mancato di darne prova anche con me.» Per poco non alzai gli occhi al cielo: tutto quel tempo e quel disagio per sentirmi rimproverare! Bellocchio vide che mi stavo puntualmente scaldando e si sporse verso di me. «Sì, Eleonora, ho sentito il bisogno di mettere alla prova la tua fiducia. Nei confronti dell’organizzazione, s’intende, perché Enigma poteva fare solo quello…»
«Spero che su quel biglietto non gli abbia scritto di esaminarmi» lo interruppi.
Bellocchio rise brevemente, ma un sorriso ancor più falso riuscì a rimanergli sulle labbra. «Assolutamente no, ma conoscevo Enigma abbastanza bene da essere piuttosto sicuro che avrebbe messo alla prova le sue ospiti. Allo stesso modo in cui mise alla prova me, quando senza esitare mi opposi al Victory Team appena nato: non si sarebbe lasciato sfuggire l’occasione di ripetersi con qualcun altro della mia stessa fazione.» La sua espressione non tornava seria e imperturbabile come suo solito: non riuscivo a sostenere più di tanto il suo sguardo in quel modo. «Ad ogni modo, come dicevo, Enigma poteva soltanto mettere alla prova la tua fiducia in quello che le Forze del Bene stanno facendo. Quanto alla lealtà, direi che la riservi sia nei confronti dell’organizzazione che in me. Ma a me manca la tua fiducia.»
Mi agitai leggermente sulla sedia. Il suo sorriso si spense e stavolta il suo volto si fece terribilmente serio. «Non credo di poter parlare di fiducia con una persona che non conosco. La mia lealtà è il massimo che posso darle.»
Temevo che l’uomo sapesse addirittura che Enigma mi aveva raccontato la sua storia, e che affermare che non lo conoscevo gli desse uno spunto per farmi confessare anche quella parte della conversazione avuta con lui; ma Bellocchio non era a tal punto onnisciente. «La tua fiducia è di vitale importanza nella nostra collaborazione, Eleonora. Non potremo mai proseguire per molto se ti rifiuti di riporla in me: io devo, devo avere la certezza che il tuo spirito ribelle sia dettato da un lato del tuo carattere che può essere corretto, non da una mancata fiducia nei miei confronti che può portarti anche ad essermi ostile.»
«La mia fiducia se la deve guadagnare, Bellocchio» dissi a denti stretti. «Non la otterrà mai se continua a fare misteri con me. Se davvero la vuole, mi dica cos’è che ha spinto i Victory a cercare di prendermi con loro. Perché Cyrus continua a dire che sono speciale.»
L’uomo restò interdetto per un momento, poi si fece quasi offeso: sulla sua faccia arrivò una rabbia gelida che mi fece vacillare, ma non riuscii a pentirmi di quel che avevo detto. Inizialmente non trovò le parole, ma appena ci riuscì il suo tono risultò più freddo e controllato di quando mi aspettassi. «Non sei nelle condizioni di ricattarmi, Eleonora. E non aggiungere nulla, perché non ce n’è alcun bisogno!» scattò appena le mie labbra fecero un minimo movimento, che non era neanche per parlare. Mi tirai indietro, sorpresa. «Hai deciso non solo di negarmi la tua collaborazione, ma anche di metterti contro di me. Questo non migliorerà la tua situazione, anzi, ti avverto che avere un nemico all’interno della stessa organizzazione che servi è il peggio che ti potesse capitare. Ringrazia solo che io non sia così stupido da prendermela per i capricci di una ragazzina, e che abbia di meglio da fare che cercare di accattivarmi la tua simpatia e starti appresso tutto il giorno. Se ti senti così adulta, così intelligente da poter pensare di sfidarmi fino a questo punto, allora ti auguro di divertirti quando ogni tua richiesta, ogni tua parola che arriverà a me rischierà di ritorcersi contro di te. È la libertà che cerchi comportandoti così? Allora questa base segreta ti starà così stretta che ti sentirai in prigione.»
Parlò quasi senza pause, scaldandosi via via. Non si impietosì, come promesso, davanti alla mia espressione esterrefatta e sempre più colpevole, anzi sembrava che lo ispirasse a dire cose sempre peggiori. «Forse hai creduto di poterti permettere qualsiasi cosa perché sapevi che ti avrei sempre trattato con i guanti di velluto, ma ci hai visto male» proseguì. Il suo tono, dopo una pausa, era tornato più controllato. «Puoi credere che ti lascerò in pace, che è quello che, ho avuto l’impressione, ti sia cercata. Ma appena verrò a sapere che, credendoti libera da qualsiasi vincolo, avrai fatto qualcosa che non mi piacerà, che sia contro di me o contro l’organizzazione stessa, allora non perdere tempo a immaginare le conseguenze.»
Per alcuni lunghi secondi mi guardò negli occhi senza aggiungere altro. I miei avevano la forza di ricambiare solo perché il cervello non voleva capire la gravità delle sue parole e delle mie condizioni.
«Puoi andare» disse infine. Le parole mi arrivarono alle orecchie lentamente, e ci misi un po’ ad elaborarle. Bellocchio non mi mise fretta, mantenne il contatto visivo finché non mi riscossi una volta per tutte. E allora la mia espressione si fece addirittura offesa, non più colpevole, come se mi fosse stato fatto un torto: mi alzai bruscamente dalla sedia e uscii senza salutare. Lasciai la porta aperta: se mi fossi preoccupata di richiuderla, avrebbe fatto talmente tanto rumore da mettere in allarme tutto il corridoio su cui l’ufficio dell’uomo si affacciava.
Con piedi pesanti mi diressi verso il dormitorio femminile, senza sapere bene se ci sarei entrata o no, né cosa avrei fatto in seguito: nella mia testa risuonavano senza darmi tregua gli aspri rimproveri dell’uomo, e davanti ai miei occhi sembrava materializzarsi in continuazione il suo volto freddamente incollerito. Mi sentivo mancata di rispetto ed ero convinta di non essere dalla parte del torto: si era cercato la mia fiducia e io gli avevo detto il suo prezzo, tra l’altro sicura che mi dovesse il segreto sulla mia persona già da tempo, perché era un mio diritto, e che non sarebbe mai stato necessario arrivare a cercarmelo con un ricatto.
Invece lui era giunto a tanto pur di non dirmi niente sulla questione della mia identità - perché di questo si trattava, di cos’altro se no? Non riuscivo a immaginare cosa ci potesse essere di tanto grave da renderlo così tanto ostinato a non dirmi nulla, a trattarmi in quel modo dopo che avevo cercato di ottenere quelle informazioni tanto agognate, o anche una descrizione scarna, ma almeno essenziale, della mia situazione. Dopo aver reclamato un mio diritto mi vedevo trattata così! Se anche avessi sbagliato il modo - in quei momenti sentivo solo di aver subito un’ingiustizia - era comunque da mesi che aspettavo, senza sapere quando o se mi sarebbe stato detto qualcosa.
Se il mio passo si faceva sempre più carico di rancore e orgoglio, la mia vista si annebbiava per gli stessi: non me ne accorsi finché non mi scontrai contro qualcosa, anzi qualcuno. Una voce femminile lanciò un’esclamazione che non identificai mentre mettevo da parte la rabbia nei confronti di Bellocchio per qualche momento, nel tentativo di capire da dove fosse spuntata quella persona che non avevo visto arrivare. Notai che ero giunta ad un bivio del corridoio - non sapevo più nemmeno in quale mi trovassi - e che lo sfortunato individuo altri non era che Chiara: così come io avevo tutt’altri infuriati pensieri per la testa, anche lei aveva perso la sua tra le nuvole.
«Ah, ma eri tu! Che ti prende?» esclamò quando mi riconobbe. Non notai l’espressione che fece ma sentii il suo tono offeso e arrabbiato appena mi vide proseguire per la mia strada, ignorando bellamente lei: «Prego, eh!»
«Lasciami in pace, non è un buon momento!» sbottai di rimando senza voltarmi.
«Fai pure!»
Solo quando compresi quanto le mie orecchie avevano raccolto mi fermai. Mi girai di scatto, improvvisamente pentita per come avevo trattato Chiara: si era allontanata di pochi metri ma il suo passo era sempre più veloce. «Chia’! Scusami, non…» Mi interruppi quando vidi che non si girava. «Chiara! Chiara!» provai di nuovo, anche con un tono piuttosto severo e duro, ma fu inutile: la ragazza tirò dritto senza dar segno di avermi udita. Sospirai esasperata e per qualche secondo guardai la sua figura sottile, nera di capelli e di vestiti, allontanarsi lungo il corridoio; dopodiché mi riscossi e tornai a rimuginare su Bellocchio, riprendendo il mio vagabondaggio senza meta per la base segreta.
Mi bloccai solo una volta arrivata all’ingresso, la stanza circolare su cui si affacciavano i sei corridoi e l’imponente portone che conduceva all’esterno, nel vicolo umido e angusto scavato nella roccia che sbucava nella sala piena di nebbia. Non c’era nessuno nei dintorni: a quell’ora, a mattino inoltrato, tutti erano al lavoro occupando le stanze più disparate del covo. I miei occhi si fissarono proprio sull’unica via d’uscita, almeno stando a quanto ne sapevo io, della base segreta - c’era Cynthia che affermava di sapere come arrivare sulla Vetta Lancia, ma non ero più sicura se darle credito o meno. Le parole di Bellocchio mi tornarono alla mente dopo qualche secondo di distrazione: “Puoi credere che ti lascerò in pace. Ma appena verrò a sapere che, credendoti libera da qualsiasi vincolo, avrai fatto qualcosa che non mi piacerà, che sia contro di me o contro l’organizzazione stessa, allora non perdere tempo a immaginare le conseguenze.”
Subito dopo pensai: “Vediamo se arriverai a mettermi qualcuno alle calcagna.” Aprire il portone dall’interno era molto più facile che dall’esterno: bastava premere un pulsante - grande quasi quanto il palmo della mia mano - a lato di esso. Più silenzioso di quanto ci si potesse aspettare da un portone di quelle dimensioni, mi mostrò la via per sfidare Bellocchio a farmi pagare le conseguenze del mio comportamento. Mi inoltrai da sola nel passaggio, in cui l’oscurità divenne totale appena i grossi battenti si chiusero alle mie spalle; chiamai in mio soccorso Pearl, che con Flash mi aiutò a vedere dove mettevo i piedi senza che procedessi a tentoni. La tenni con me anche per uscire dalla stanza piena di nebbia: i suoi occhi illuminarono la zona come i fanali di un’automobile. Proseguii senza incontrare ostacoli, e senza alcun pensiero particolare in mente, se non una strana contentezza per aver messo alla prova Bellocchio, per la sala successiva che portava nei pressi di Memoride. Prima di uscire lentamente, assaporando ogni passo verso l’esterno, feci rientrare la Luxray nella sua sfera.
L’emozione di essere finalmente fuori sopraggiunse solo quando mi ritrovai veramente all’esterno del Monte Corona, quando potei vedere una cittadina non troppo distante con i miei occhi e sentii il gelo invernale arrivare a tormentarmi appena messo piede fuori dalle mura di roccia, che circondavano una delle più importanti roccaforti delle Forze del Bene. Non mi sembrava vero di essere sola e relativamente fuori dalla portata di Bellocchio: un sorriso involontario mi fece schiudere le labbra. Mi liberai di ogni senso di oppressione e mi sentii così leggera e felice che per qualche secondo dimenticai anche il freddo spaventoso, che non potevo certo combattere con un maglione, dei jeans e un paio di stivali, per quanto tutti e tre fossero pesanti.
«Aramis» boccheggiai rientrando, sentendo una differenza di temperatura spaventosa tra le grotte del Monte e le parti esterne: mi sembrava di non sentire più neanche uno spiffero proveniente dall’uscita. Il Gallade uscì dalla Poké Ball appena sentì che l’avevo chiamato. «Usa Teletrasporto per l’entrata vicina a Cuoripoli.» Lui non reagì, e appena lo guardai vidi come mi scrutava con aria di rimprovero. «Fallo e basta!» sbottai esasperata.
Un momento dopo l’interno della sala svanì in un vortice, che per l’istante successivo si illuminò di luce bianca; il mondo riprese il suo posto e il tempo il suo corso appena ci ritrovammo accanto all’ingresso del Monte Corona più vicino alla città di Cuoripoli. Senza esitazione mi fiondai all’interno, avvertendo solo per poco il freddo, lancinante come puro dolore. Il mio fiato pesante si condensava in calde nuvolette che invano mi sfioravano il naso cercando di restituirgli sensibilità: provai ad arricciarlo ma ci riuscii a malapena. Aramis mi seguì con calma, senza staccare i suoi occhi da me, ma io non ricambiavo, sapendo che avrei trovato solo disapprovazione da parte sua e che avrei finito per prendermela anche con lui.
Lo feci rientrare senza dire nulla, cambiando un’altra volta compagno. Scelsi Altair; neanche ebbe il tempo di materializzarsi del tutto nel mondo reale che si ritrovò stretta nel mio abbraccio. Cinguettò dolcemente, intenerita, ma appena alzai la testa dalla soffice matassa di piume e cotone che le copriva, fino a farli sparire, il corpo e le ali, non mancai di farle sapere: «Sei calda.» Lei brontolò e io ridacchiai, poi tornai seria. Mi guardai intorno in cerca di un varco, e lo trovai su un piano rialzato che era raggiungibile con Scalaroccia. Quella parte del Monte era protetta da barriere: c’era un altro percorso più accessibile sul lato opposto della grande stanza, che pensai fosse riservato alle persone normali, che di certo non avevano Pokémon con Scalaroccia. «Voliamo là.»
In tal modo mi risparmiai di chiamare Saphira per fare Surf sui laghetti che costituivano parte del tragitto e Rocky per usare proprio Scalaroccia, e così raggiungere la porta scavata nella roccia per la stanza successiva. Altair si infilò direttamente nella grande apertura e mi fece scendere, posandosi a terra, solo una volta entrate. Mi guardai intorno vagamente incuriosita: la stanza, piuttosto grande, si costituiva di dislivelli e depressioni del terreno roccioso. Mi incamminai senza fretta, guardandomi intorno con aria interessata, con la mia Altaria a farmi compagnia mentre svolazzava silenziosa per la stanza.
Prima ancora di arrivare all’uscita avevo notato qualcosa per terra nei pressi del passaggio per la sala seguente, e una volta giunta lì mi fermai a guardare. Mi chinai per terra e raccolsi una pietruzza, uno dei frammenti tra i molti pezzi più grossi buttati per terra: confrontai il tipo con quello circostante che costituiva il pavimento e le pareti, e mi resi subito conto che era completamente diversa, più liscia, regolare e chiara. Guardai nuovamente il varco e immaginai che quel tipo di roccia avesse formato una volta un unico blocco, magari che avesse nascosto la porta. Lasciai cadere la pietra, che ruppe per un momento il silenzio tombale, ma persino l’eco sembrò essere assorbita dall’assenza di suono. Altair ed io proseguimmo, inoltrandoci in una lunga sala che, insieme a scalinate artificiali, fungeva da corridoio verso uno spazio aperto sul Monte Corona.
Uscii senza pensare e immediatamente tornai sui miei passi, raggelata dal vento e dal freddo di cui mi ero praticamente dimenticata mentre ero dentro le sale del Monte, in cui la temperatura era più alta. Dopo che mi fui ripresa, anche e soprattutto grazie ad un altro abbraccio scroccato ad Altair, mi guardai intorno chiedendomi distrattamente cosa potessi fare. Poco dopo mi domandai pure se la zona fosse videosorvegliata e se qualcuno fosse sulle mie tracce, ma i minuti passavano e sembrava che Bellocchio non avesse sguinzagliato nessuno per riportarmi indietro. “Ma perché? L’ho sfidato un’altra volta, adesso di proposito, non come prima. Ma lui non fa niente… forse finché mi limito a girare per il Monte Corona non se la prenderà.”
Quasi a malincuore notai che la rabbia nei confronti dell’uomo era sbollita. Se ripensavo a come ero stata trattata e all’ostinazione di Bellocchio, che non voleva dirmi nulla a costo della vita sul mio conto, sentivo sì molta frustrazione e altrettanta ostilità verso di lui, ma dentro di me non ardevano più le fiamme del rancore e della collera. Andare a spasso per il Monte Corona poteva rivelarsi molto soddisfacente e forse le cose con Bellocchio si sarebbero risistemate, in futuro, anche grazie a lui, se avesse sentito il bisogno di venirmi incontro. Non era affatto una prospettiva brutta o deludente: in quel momento ero più interessata a infilarmi una giacca e un cappello e proseguire nell’esplorazione della montagna, anziché escogitare un modo per far infuriare il mio capo.
Infilai i pollici nelle tasche dei jeans, lasciando le altre dita fuori. Nel farlo sfiorai la cintura con le Poké Ball, e in particolare la mia mano sinistra si avvicinò pericolosamente - così pensai in quel momento - alla sfera rossa e nera in cui era chiuso Nightmare. Un formicolio mi fece tremare le dita e rabbrividire come fossi ancora sofferente per il freddo; spostai di scatto l’intero braccio, quasi con il timore che quella Ball e la creatura al suo interno potessero farmi del male. Smisi di camminare e Altair atterrò su una sporgenza rocciosa, sopra di me, della parete accanto alla quale mi stavo spostando.
Mi ci volle qualche lungo secondo per decidermi a prendere la sfera speciale per lo Spiritomb che aveva sofferto le perdite della centrale di Flemminia. Non senza esitazioni e ripensamenti, ritirando il pollice indietro, arrivai infine a premere il bottoncino e a liberare il Pokémon: fu quasi confortante vedere che il lampo con cui si materializzò era normalmente rosso, e non avere l’ennesima prova che mi ricordasse di quanto fosse pericoloso il soggetto con cui mi stavo confrontando.
Nightmare si presentò a pochi metri di distanza e mi guardò con il suo fisso ghigno terrificante, poggiato a terra con l’unica parte corporea che la sua entità possedesse - cioè la stessa Roccianima. Passò del tempo prima che emettesse il suo verso altrettanto spaventoso, dissonante; fortunatamente fu una battuta breve che non mi mise troppo in difficoltà. Poi si alzò da terra di una manciata di centimetri per avvicinarmisi, arrivando così a un metro, se non di meno, da me.
Restammo a guardarci negli occhi per un po’: penso che mentre lui, forte dei suoi poteri in grado di penetrare l’animo di umani e Pokémon, studiava le mie emozioni e quel che mi passava per la testa senza che me ne potessi accorgere, io cercassi un modo per andargli incontro e convincerlo di avere buone intenzioni, di voler essere sua amica, di volerlo portare in un mondo in cui sarebbe stato al pari degli altri del suo genere e avrebbe conosciuto l’affetto mio, dei suoi compagni di squadra, di altri Allenatori e dei loro stessi Pokémon. Volevo insegnargli a lottare sportivamente e ad apprezzare l’ebbrezza e l’adrenalina dei combattimenti.
Decisi per prima cosa di inginocchiarmi a terra: se Nightmare si fosse mostrato ostile o aggressivo, Altair non avrebbe esitato a colpirlo, e gli avrebbe fatto abbastanza male da mandarlo K.O. ora che le sue capacità difensive si erano ridimensionate, grazie ai trattamenti contro le radiazioni. Non interruppi, non osai, il contatto visivo: l’unica pupilla dello Spiritomb, nell’occhio a sinistra e peraltro a forma di spirale, mi seguì mentre studiava ogni minimo mio movimento. Posai le mani sulle ginocchia, cercando di rilassarmi pensando che la sua immobilità non preannunciasse niente di grave. Ciononostante dovetti farmi forza per farmi uscire delle parole di bocca.
«Ciao, Spiritomb» esordii con evidente incertezza. «Io sono Eleonora. Siccome ti ho catturato, sono diventata la tua Allenatrice, e ti ho… ribattezzato. Sei uno Spiritomb che risponde al nome di Nightmare.»
Feci una pausa, un po’ perplessa dalla scarsezza di reazioni da parte del mio speciale interlocutore. In qualche modo mi aspettavo che mi rispondesse, o che facesse una sorta di cenno d’assenso. «Adesso che sei parte della mia squadra e che vivrai al mio fianco» ripresi, «comincerai ad allenarti per prepararti alle lotte tra Pokémon. Non sarà facile, perché gli obbiettivi prefissati dai nostri superiori sono abbastanza alti. Ma per me sarà comunque un piacere.» Abbozzai un sorriso. «Voglio che tra noi due ci sia fiducia e anche affetto, è su queste due cose che baso il rapporto tra me e i miei Pokémon. Altair è una dei tuoi, uhm… otto compagni di squadra.»
Sentendosi tirata in ballo, la Altaria scese dal posticino di vedetta che si era trovata a qualche metro di altezza e atterrò al mio fianco. La pupilla a spirale di Nightmare si spostò su di lei, e tornò su di me appena l’altro Pokémon terminò un breve cinguettio, che suonò estremamente rassicurante alle mie orecchie.
«Il nostro è un rapporto alla pari, Nightmare. Non mi sono mai dimenticata di trattare la mia squadra come degli esseri umani da quando ho imparato a conoscere i Pokémon. Mi auguro davvero che, al mio fianco, la tua vita subisca una svolta positiva, che non rimanga più traccia dell’odio che provi nei confronti dei miei simili. Anche se non sei da biasimare. Io combatto le persone che ti hanno fatto del male, e ho bisogno di farlo anche con te. Ma non voglio che in te continui ad esserci un desiderio di vendetta.»
Lentamente allungai una mano, senza sapere bene come avrebbe fatto Spiritomb a prenderla: nella mia mente c’era l’idea di una stretta che sigillasse una sorta di patto tra di noi, un primo passo nel cammino che avrebbe portato Nightmare, così speravo, a volermi bene e ad essere felice di avermi come Allenatrice. Qualsiasi comportamento non aggressivo sarebbe andato bene come risposta. Il Pokémon non fece nulla, sulle prime, ma non smisi di tenere il braccio teso verso di lui.
Si avvicinò mentre nel silenzio della stanza risuonava una specie di risatina, che tuttavia non mi fece venire i brividi: il suo verso in genere produceva sempre quell’effetto su di me. Inaspettatamente lasciò che la mia mano affondasse letteralmente dentro di lui, e mi fece capire che voleva delle carezze. Non fu un’esperienza piacevole quando ritirai il braccio, ma inizialmente non ci pensai, troppo intenerita dal fatto che lo Spiritomb si comportasse come un animale domestico, come un Pokémon docile considerato di compagnia. Non riuscii a non preoccuparmi quando la mia mano, una volta fuori dal corpo etereo di Nightmare, si fece tutta tremante e fredda: la circolazione era rallentata in modo spaventoso, forse arrivando quasi a fermarsi. Lui ridacchiò e gli lanciai un’occhiataccia che non lo fece smettere, anzi lo fece ghignare ulteriormente.
Mi alzai e lo richiamai nella sfera: lui mi lasciò fare. Mi abbandonai ad un sospiro liberatore che sembrò gettar fuori di me la tensione provata durante il faccia a faccia con Nightmare, che si era rivelato più affabile del previsto. Ero veramente felice che mi fosse a tal punto riconoscente per averlo tratto in salvo dai Victory. «Chissà che non riveli un cuore tenero» borbottai poi tra me e me. Feci come per accertarmi che non ci fosse nessuno all’infuori di me ed Altair nella stanza e invitai la mia compagna a riprendere la via per la base segreta.
La questione con Bellocchio mi sembrò meno importante, dopo che avevo sistemato la faccenda riguardante Nightmare. Mi bastava essere uscita nel Monte Corona e, finché non mi avesse dato motivo per arrabbiarmi ed arrivare a disobbedirgli in modo ancora più grave, mi sarei limitata a far quello: non sarebbe stata di certo l’ultima volta in giro per quelle ampie, misteriose sale. La mia mente, offuscata dalla presunzione di poter sfidare Bellocchio senza alcun timore, non sfiorò l’ipotesi di una punizione già in arrivo, e continuò a convincermi di avere ogni diritto per far valere i miei desideri e i miei capricci.
Una volta uscita dal Monte e tornata nel breve percorso che conduceva a Cuoripoli, cercai un posto riparato da cui far partire un Teletrasporto di Aramis. Altair era già tornata nella sua sfera; chiamai il Gallade che, senza farmi mancare un’altra occhiata carica di disapprovazione che ignorai senza difficoltà, attivò i suoi poteri psichici e ci riportò di fronte all’entrata nei pressi di Memoride.
«Grazie» gli dissi, pur sapendo che non c’era niente che potessi fare per fargli abbandonare i suoi pensieri di rimprovero. Non rispose in alcun modo, infatti, al mio ringraziamento, e preferii fare il percorso di ritorno da sola anziché al suo fianco, tanto mi era sgradita la sua presenza in quel momento.
Arrivata nella sala della nebbia, feci uscire per l’ennesima volta Altair dalla sua Poké Ball; usò Scacciabruma e mi accompagnò fino al punto in cui doveva trovarsi, approssimativamente, il passaggio per la base segreta. Solo in quel momento mi si presentò il problema di come rientrare: avevo bisogno di contattare qualcuno all’interno che mi consentisse di entrare, ma non avevo portato con me nessuno degli apparecchi elettronici, neanche il PokéGear che di solito avevo sempre in tasca, per chiamare una persona in grado di aprirmi la “porta”.
Non feci in tempo ad andare nel panico più totale per essere rimasta chiusa fuori e a insultarmi senza pietà che le mie orecchie colsero, con indicibile sollievo, il suono di un meccanismo che si sbloccava e la melodia ancora più dolce, in quel momento, di roccia che strusciava contro altra roccia e si ritirava all’interno della parete. Mi augurai di non dover ringraziare Bellocchio per quella cortesia, sarebbe stato a dir poco sgradevole e probabilmente avrebbe rivelato qualche problema con lui. Feci rientrare Altair nella sfera e mi avviai.
Giunsi davanti al portone di metallo e dopo pochi secondi mi ricordai che potevo benissimo entrare da sola: lo schermino al lato di esso riconobbe l’impronta della mia mano intera e mi fece passare oltre. Non c’era nessuno, nel bene e nel male, ad accogliermi nell’ingresso della base segreta: mi guardai intorno con aria di circospezione, come se Bellocchio dovesse spuntare all’improvviso da uno dei sei passaggi ed aggredirmi, ma non successe nulla del genere. Imboccai il corridoio per andare al dormitorio: non mi nascosi di avvertire una certa paura di ogni mio superiore, oltre Bellocchio, che avrebbe potuto punirmi per ciò che avevo fatto. Iniziai a chiedermi addirittura perché nessuno venisse anche solo a sgridarmi: gli istruttori e le persone di competenza che incrociai lungo la via pensavano ai fatti loro e, se mi degnavano di un’occhiata, non erano affatto ostili. Alcuni di quelli che conoscevo meglio e vedevo più spesso mi sorrisero, come loro solito, in segno di saluto.
Mi domandai se, dopotutto, Bellocchio avesse intenzione di dire a qualcuno delle condizioni in cui si trovava la nostra già prima abbastanza complessa relazione. Forse voleva gestirsela da solo, o sarebbe stato talmente abile che mi avrebbe controllata senza che io me ne rendessi conto, tramite qualcuno incaricato direttamente da lui. Non volli saperlo e mi costrinsi a non pensarci: cercai di dirmi che finché la situazione non fosse peggiorata ancora non me ne doveva importare, ma era chiedere troppo a me stessa. Continuai a pormi le stesse domande: “Quali sono le vere intenzioni di Bellocchio? Quali i mezzi? Perché non fa un passo per venirmi incontro e ottenere veramente la mia fiducia?”
Quand’ero a pochi metri dalla porta del dormitorio femminile, essa si aprì e ne uscì nient’altri che Chiara. Era sola, e in quel momento eravamo in due da sole nello stesso corridoio. Felice di vedere una faccia ben conosciuta, la salutai: «Ehi, ciao Chia’!»
Guardò chi l’avesse chiamata e addirittura corrugò le sopracciglia, in un moto di disappunto: non mi rispose. Proprio quand’era sul punto di avviarsi, cambiò direzione, palesemente intenzionata a non incrociarmi. Ci misi poco a passare da una faccia leggermente stupita a una a dir poco esterrefatta.
«Ma? Chiara? Chiara!» sbottai, similmente a come avevo fatto poco prima, quando l’avevo incontrata prima di decidere di andarmene a fare una passeggiata per il Monte Corona. Mi precipitai appresso a lei e poco ci mancò che non si mettesse a correre per sfuggirmi: le afferrai un braccio e si scrollò la mia mano di dosso con un colpo secco e stizzito, guardandomi con i suoi grandi occhi scuri con aria di accusa, come se le avessi arrecato un danno o l’avessi offesa. Non disse nulla: si morse le labbra per impedirsi di parlare.
«Che hai?» chiesi, la voce ridotta a poco più di un sussurro per quanto ero basita.
«Non sono affari tuoi» rispose soltanto, duramente, facendo subito per andarsene. Non mi dovetti impegnare per superarla e sbarrarle la strada, constringendola a un confronto. La cosa comunque non costituì un problema per lei, perché esclamò: «Spostati!»
«Mi dici cosa succede?! Perché ti comporti così?»
«Falle a te stessa queste domande. Vedrai che la risposta la trovi, se non sei così presuntuosa da credere che il problema sia mio» disse, con voce più bassa ma anche decisamente più fredda.
«Non capisco cosa stai dicendo» mormorai.
«Non mi riguarda comunque. Con te non ci voglio parlare, soprattutto se non riesci proprio a capire.» Continuò a tenere i suoi occhi fissi sui miei, poi fece per andarsene.
«Chiara, no!» Si girò, suo malgrado trattenuta dal mio tono estremamente preoccupato, quasi spaventato. «Ti prego, dimmi che hai. Cosa ti ho fatto?»
«Proprio niente, Eleonora. È questo il punto» rispose. Mise le mani sui fianchi, ma poco dopo cambiò idea e le incrociò al petto. «Non hai fatto proprio niente per continuare a coltivare la nostra amicizia, le uniche volte che ti rivolgevi a me mi trattavi come uno straccio. Ti servivo soltanto nei momenti di bisogno, il resto del tempo eri sempre assente. Non mi piace questa situazione, quindi la voglio chiudere qui.»
Se avesse aggiunto un “con te” alla fine, probabilmente non avrei trovato la forza di ribattere, per un vuoto che avrei sentito all’altezza del cuore. Non che non si stesse già propagando un orribile sentimento di abbandono per il mio animo. Mi sforzai di non pensare a quelle parole mancanti ed esclamai, con una voce che la pregava di non rivolgermisi in quel modo: «Non puoi smettere di parlarmi!»
«Tu hai smesso di parlare a me da settimane, Eleonora!» quasi sbraitò, esasperata. «Se non da mesi!» La mia espressione ferita e sconvolta le fece capire che non riuscivo a vedere il problema. Fece un respiro profondo, come se stesse perdendo la pazienza, e cercando di mantenere un tono più calmo disse: «Non penso che sia io quella che ti deve rinfrescare la memoria. Sicuramente pretendi di non aver fatto niente di male, ma grazie al cielo non sei stupida e puoi provare a farti un esame di coscienza. Ti sto chiedendo di ripensare alle poche volte che mi hai trattata decentemente da quando siamo in questa base segreta, da quando abbiamo scelto due strade diverse per metterci a lavorare per le Forze del Bene. Hai smesso all’improvviso di considerarmi, hai mandato all’aria ogni mio tentativo di recuperare i contatti. Ti sei concentrata al massimo sui tuoi Pokemon e sui tuoi compagni di corso, e a me hai degnato di attenzioni minime, a volte neanche buongiorno e buonasera. Non so perché tu abbia sentito il bisogno di trovarti nuovi amici con cui sostituirmi, ma dopo mesi a cercare di capire perché ti fossi allontanata e a provare inutilmente a ricordarti che per anni siamo state migliori amiche, che avevamo costruito un rapporto invidiabile da chiunque…» Scosse la testa. «Non voglio più spendere il mio tempo a cercare di riparare qualcosa che non ho rovinato io, lo trovo inaccettabile da parte tua e senza senso da parte mia. Pensaci tu, se vuoi: secondo me se sei arrivata a un certo punto vuol dire che non c’è bisogno di tornare ai rapporti di prima. Ognuna per la sua strada, insomma. E vada come deve andare. Ora scusami.»
Non incontrò difficoltà per voltarmi le spalle anche fisicamente e allontanarsi. Privata di tutte le mie energie, la guardai inoltrarsi per il corridoio, impotente e incredula. La mia testa si rifiutò di accettare che Chiara mi avesse abbandonata, tentò di convincermi che la mia migliore amica - non poteva smettere improvvisamente di esserlo, dannazione! - avesse frainteso, che si fosse sentita messa da parte senza motivo, che addirittura fosse in cerca di attenzioni da parte mia. Arrivai pure a pensare, al colmo della confusione e dello smarrimento, che Bellocchio l’avesse ingaggiata per mettermi in difficoltà, che quella fosse la mia punizione per averlo sfidato più volte, arrivando ad andarmene da sola a vagare per il Monte Corona.
Ma contemporaneamente riaffiorarono i ricordi dei miei pensieri mentre io e Melisse tornavamo a Ponentopoli dopo aver incontrato Enigma. Il peso dei sensi di colpa arrivò a gravarmi anche sulle spalle, non fu soltanto un masso che precipitava nel petto fino a schiacciarmi il cuore, devastato già da prima. Non avevo forse ammesso io per prima, con me stessa, in un moto di onestà, che mi ero spaventosamente allontanata da Chiara?
Le palpebre spalancate, la bocca schiusa, le braccia abbandonate lungo i fianchi: dalla postura all’espressione del viso dovevo sicuramente fare una gran pena a chiunque mi avesse vista così sconvolta. Eppure, ad accrescere la sensazione di completa solitudine, nessuno decise per quei minuti di inoltrarsi proprio in quel corridoio, lasciandomi sola al centro di un palco vuoto e spoglio, con la forza soltanto di bisbigliare: «No…»









Capitolo rivisto a luglio 2016.



Angolo ottuso a caso
So che gli ultimi capitoli non hanno angolo ottuso, ma boh, non mi andava di scriverlo e mi sembrava di parlare a nessuno. Siccome c'è la speranza di essere di nuovo degnata di attenzioni, potrei seminarne qualcuno per i capitoli a venire, e se avrò voglia scriverò qualcosa anche per i precedenti :D
Credo di aver fatto una delle più difficili revisioni/riscritture del mondo @__@ non so quanti si possano ricordare dello scontro con Bellocchio e della separazione da Chiara, ma entrambi si comportavano in modo tanto assurdo e ingiustificabile da essere osceno. Ci ho messo quasi una settimana per trovare dei motivi per far litigare seriamente Eleonora e Bellocchio, mi ci è voluto più tempo a scrivere quella parte del capitolo che tutto il resto, per dare un minimo di verosimiglianza e credibilità alle ragioni di lui. Ringrazio Eleonora e il suo caratterino ahahaha, senza di lei a far perdere le staffe a Bellocchio questo capitolo sarebbe rimasto un gigantesco WTF?!
Siccome sono una brutta persona e sono consapevole del fatto che la mia dignità l'abbia persa da quando ho cominciato a mettere insieme le prime parole, vi lascio entrambe le discussioni con Bellocchio e Chiara, con tanto ammore~ tranquilli, sono brevi, ai tempi credevo di scrivere tanto ma sono soltanto dialoghi privi di personalità e di già citata verosimiglianza!

"-Eleonora, aspetta. Con te non ho finito.
Mi paralizzai, proprio mentre stavo voltando le spalle per andarmene, delusa dal suo comportamento. Melisse, stupita e preoccupata, salutò con un timido e poco udibile “Arrivederci”.
Anche quella volta, Bellocchio parlò appena la porta sbatté piano. -Bene. Eleonora, sai o puoi immaginare quanto io sia in difficoltà? No, certo che no- proseguì senza aspettare una mia risposta. -Non ho intenzione di credere ad alcuna parola di quelle che avete detto tu e la tua amica poco fa, sono sicuro che siano tutte bugie. Ma per tener fede a una promessa che ho stretto con me stesso, di cui Enigma non può avervi parlato, non ti chiederò la verità. Mi costa molta fatica, ma non voglio costringerti né voglio tradirmi.
A testa bassa, ascoltavo senza reagire in alcun modo. Le sue parole mi arrivavano addosso, sbattevano contro di me, entravano a forza nelle mie orecchie, mi facevano male. Mi chiesi cosa mi aspettasse, come mi avrebbe punita - o ci avrebbe punite, a me e a Melisse - per avergli mentito.
-Sono in una strana situazione…- mormorò, seduto composto alla scrivania.
Azzardai un’occhiata e vidi che aveva lo sguardo rivolto anch’egli verso il basso. Perciò lo imitai come stavo facendo poco prima.  -Questa è la terza missione che ti ho affidato in poco più di un mese. Contiamone anche quattro, visto ciò che è successo con Iris e l’intervento che ho richiesto. Quindi prenditi una pausa, direi per parecchio tempo. Allenati, esplora, fai quello che preferisci, credo che tu sia in grado di gestirti autonomamente, alla luce delle tue piccole imprese da piccola eroina- sibilò con disprezzo.
Alzai la testa, smarrita e basita, chiedendomi come avesse fatto a sputare così tanto veleno tutto in una volta. Non mi sembrava nemmeno lui. Incontrai il suo sguardo, i suoi occhi color buio, così espressivi ma così misteriosi.
Proseguì: -Spero solo che Enigma ti abbia insegnato qualcosa. Non solo sul mio conto, ma anche sul tuo e su quello del mondo. È sempre stato bravo in questo genere di cose. Ora lo sai anche tu, no?"

"-Eleonora, ti devo parlare- mi chiamò lei.
Sicura che stesse per raccontarmi il perché del suo strano comportamento, mi accomodai sul letto di fronte al suo, incoraggiandola ad andare avanti senza parlare.
Sospirò e guardò altrove, tormentando con le mani pallide e screpolate la coperta, anch’essa bianca. La serietà sul suo volto mi preoccupò molto, tanto che decisi di dirle almeno due parole: -Che ti è successo? Mi sembri…
-Che ti sembro?- mi interruppe lei improvvisamente, piuttosto aggressiva. Oh, grandioso, aveva ritrovato la parola e faceva pure la feroce. Inarcai le sopracciglia, stupita, mentre aprivo bocca per finire di parlare, ma non me lo consentì. -Piuttosto cosa sembri tu!
-I… io?- balbettai sorpresa.
-Sì, mia cara, tu. Mi sono stancata di essere la tua migliore amica solo sulla carta. È da quando siamo arrivate qui, in questa dannatissima base segreta, che mi hai lasciata perdere in favore di Ilenia, Daniel e tutti quelli che fanno i guerrieri, quelli del tuo corso, insomma…
Non potevo crederci.
-Che poi vi sentite tutti stocazzo, ma questo è un altro discorso. L’ho detto, è da quando ci siamo separate di corso che non parliamo più di tanto. Poche parole la sera e la mattina, buongiorno e buonanotte, ma finisce là. Non mi racconti più niente, non ci credo che non hai tempo perché stai sempre a bighellonare, proprio come oggi, sei venuta a gironzolare per il Monte credendoti libera ed esente dai divieti di Bellocchio. Prima dicevi di volermi raccontare cosa ti era successo in missione, spero che Melisse sia un’amica-spia migliore di me, comunque!…
“No, per favore, no.”
-Invece di avvicinarti a me te ne sei stata tutto il tempo con il tuo amatissimo Daniel, lo conosci da un anno o poco più e già ti sei affezionata a lui più di me. Non voglio più vivere questa situazione, la tua amicizia era fantastica e perfetta prima che ti dedicassi solo ed esclusivamente a fare la combattente, a passare le giornate ad allenarti anziché a stare un po’ con me. Ultimamente facevi tutto tranne che dedicare un poco di tempo al nostro rapporto. Forse lo sai già, ma eri un’amica meravigliosa, mi ascoltavi e ogni momento lo impiegavi per me…
“Non può essere vero.”
-… e ancora adesso fatico a credere che tu abbia perso quella specie di talento che avevi. Davvero, sapevi fare l’amica come pochi, tanto che spesso mi imbarazzavo al pensiero di non riuscire a ricambiare tutto l’affetto che mi dimostravi. Ma sei anche stata bravissima a mettermi in secondo piano rispetto a tutti gli altri. E questo è stato inaccettabile. Non resisto più, basta così.
Chiara si alzò. Mi parve di vivere tutti quei momenti al rallentatore, mentre fissavo il punto esatto dove fino a pochi secondi prima era seduta. Le sue parole successive, “Ora scusami”, risuonavano nella mia mente in continuazione. Lo stesso faceva il rumore della porta che sbatteva e che mi lasciava sola dentro il dormitorio."

(Non mi sono minimamente resa conto di aver scritto "buongiorno e buonasera/buonanotte" nello stesso contesto e dette dalla stessa persona con lo stesso significato!!) (Quell'"Ora scusami" l'ho ripetuto apposta, invece)
Dopo averli letti mi faccio un po' schifo... credo che questo sia stato il capitolo più brutto di tutta la seconda parte, o comunque uno dei più brutti. Vi risparmio una parentesi pietosa a sfondo filosofico (filosofico con mille virgolette) e l'introspezione e le descrizioni brutte, semplicemente brutte, di quando la signorina se ne va a deprimersi per il Monte (sì, nella prima versione accusava un po' peggio le parole di Bellocchio, ma ormai è diventata parecchio nervosetta). Veramente, non c'era un paragrafo che si salvasse di quel capitolo.
Incrociamo le dita per il prossimo, ne ho un ricordo abbastanza positivo, ma dubito che sia in gran parte salvabile...

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Capitolo 13
*** XII - Il più doloroso dei cliché ***


XII
Il più doloroso dei cliché

 

“Eleonora, dobbiamo comunicarti una notizia… che non è affatto buona…”

L’ufficio di Bellocchio era immerso nella penombra. Le fioche lampadine al neon incastonate nel soffitto di roccia erano impotenti contro l’oscurità naturale trasmessa dall’arredamento scarno e scuro. Fissavo un punto impreciso della scrivania, seduta al cospetto del proprietario della stanza, di Oxygen e di Bianca.
Ero stata sorpresa nel mezzo di una lotta con Ilenia che stava volgendo a mio favore, perciò avevamo dovuto interromperla forzatamente. Mi aveva dato piuttosto fastidio, adesso desideravo solo tornare a lottare e dimenticare ciò che era successo. Anzi no, non dimenticarlo. Cancellare gli eventi che mi erano stati comunicati dal tempo, solo quello sarebbe andato bene davvero. Non sarebbe stata la stessa cosa altrimenti.
Chissà come doveva apparir loro il mio sguardo, in quel momento. Nemmeno adesso riesco a descriverlo, non so come definirlo. I miei occhi grigi dovevano essersi persi da qualche parte, in una dimensione sconosciuta anche a me e a loro. Un po’ come la mia voglia di vivere, che pian piano andava scemando, di pari passo con un vuoto divoratore che mi stava lacerando l’anima.
Un grido disperato di aiuto rimbombava nella mia mente, anch’essa sommersa dalla semioscurità quasi uguale a quella dell’ufficio. Il buio era rischiarato appena da quella richiesta urgente e da domande su domande che la mia voce, ormai mortami in gola, non poteva esprimere. L’urlo a tratti s’interrompeva per piangere drammaticamente, supplicando la realtà di mostrarsi falsa o chiedendo che le parole appena pronunciate dalla Capopalestra di Nevepoli fossero uno scherzo, uno scherzo orribile.

“Abbiamo perso le tracce dei tuoi genitori.”

Bianca aveva iniziato e Bellocchio aveva completato la frase. Lei aveva la testa bassa, incurvata da una tristezza che mi fu comprensibile subito dopo.
Una tristezza troppo comprensibile.
L’uomo era stato veloce, era andato dritto al punto: la cosa un po’ mi fece male da morire, un po’ fu meglio di girarci intorno per una vita. La sua terribile chiarezza mi aveva sconvolto con poche parole che sulle prime mi risultarono assurde. Doveva essere un sogno. Un incubo, semmai, mi corressi.
“Non accadono mai cose del genere” avevo pensato. “Solo nei film in cui i genitori del protagonista vengono rapiti dai cattivi di turno e poi liberati dal loro figlio o figlia, che si rivela il grande eroe o eroina della storia… non nella realtà, non a me…”
Bellocchio era stato spietato allora e anche mesi prima, quando mi aveva offesa dandomi della piccola eroina. Ora ero più che mai consapevole di quanto fossi debole e incapace di poter fare alcunché contro l’imponenza degli eventi, quel mare di morte psicologica e mnemonica nel quale stavo affogando. Non c’era alcun bisogno di specificare che erano rimaste poche speranze quanto alla loro vita. Forse già li avevano fatti fuori, spegnendo qualsiasi piccolo e insignificante barlume di speranza che poteva essere rimasto.
Mamma e papà. Mi sentii una bambina.
Nella mia testa si dipinse una piccola immagine di questa ragazzina sola. Lo spazio non era definito, era sola nel vuoto che sempre più velocemente si stava appropriando delle mie facoltà, immersa in questa nebbiolina bianca e grigia. Ma non fu quel vuoto a dare una risposta, a reagire alle parole di Bellocchio e di Bianca. No, ancora peggio: impedì alla mia voce di tornare, al mio cervello di formulare pensieri, una qualsiasi cosa più o meno sensata, un segno che mi avesse resa conscia del mio essere ancora viva.
La Capopalestra era pallidissima, ma a vedermi paralizzata dall’orrore e dall’incredulità arrossì. Lo notai dopo che le mie palpebre sbatterono e gli occhi ripresero a vedere non più la mia immaginazione distorta dalle emozioni, ma la realtà cruda che mi stavano proponendo gli eventi. Essi si spalancarono, rivelatori della distruzione che stava operando indisturbata dentro di me. Spostai lo sguardo dalla ragazza a Bellocchio, che ovviamente non lo ricambiò.
Solo dopo mi resi conto di star odiando quell’uomo.
Poi fu il turno di Oxygen, che sinceramente sembrava capitato lì per caso. Sulle prime non riuscii a collocarlo in quel contesto, mi chiesi cosa c’entrasse e mi diede un po’ fastidio vederlo, anche se di norma lui mi rassicurava: ciò perché avevo paura che i miei fatti personali venissero sbandierati ai quattro eventi. Lo fissai con occhi pavidi da cerbiatto, probabilmente. Lo implorai silenziosamente di scoppiare a ridere e di rivelare il pesce d’aprile in ritardo di tre o quattro mesi. Ma dopo esserci guardati per pochissimo, per poco più di un secondo, abbassò anche lui la testa.
Non lo fece.
Non svelò alcuno scherzo di pessimo gusto.
Allora risi io. Una risata talmente nervosa, falsa, orripilata, agghiacciata e disperata che mi fece venire la pelle d’oca. E probabilmente non solo a me.
-No, è impossibile. Scherzate.
La mia voce era acuta e allo stesso tempo roca. Orribile. Tutto in me, dal tremare incontrollato delle mie mani strette a pugno come a volermi impedire di piangere alle lacrime che pian piano si affacciavano agli angoli dei miei occhi, tutto manifestava uno sconvolgimento che se fosse stato una forza della natura avrebbe fatto piazza pulita di tutta la regione. Avrei preferito solo del nemico, ma con ogni probabilità non sarei riuscita a contenermi.
Il fatto che stringessi le mani con così tanta forza da conficcare le unghie nei palmi e lasciar tagli, seppur  superficiali, su di essi… non poteva essere. Era forse segno che quella era la realtà? Il dolore anche fisico che iniziava a farsi sentire mi voleva avvertire che non era un incubo?
No, non lo avrei accettato. I miei genitori non erano stati portati via dal nemico, erano ancora a casa, nella nostra villetta a Nevepoli, un po’ più vuota e silenziosa da quando io me n’ero andata. Sì, doveva essere così, assolutamente! E se non lo fosse stato… non volevo nemmeno pensarci.
-Ditemi… no, vi prego, no- implorai, sempre con quel sorriso addolorato che deformava i tratti del mio viso, teso e sofferente. Bianca si lasciò sfuggire quello che mi parve un mugolio.
-I tecnici tenevano d’occhio le case delle famiglie da cui provengono i nostri ragazzi- spiegò atonamente Bellocchio. -Oxygen ci ha fatto sapere che casa tua è rimasta vuota per troppo tempo…
-Ma potrebbero… essere and… vacanza…
Nemmeno riuscivo a finire le parole, a legare tra loro spezzoni di frase; il petto e l’intero mio corpo sussultavano senza controllo. Tentavo di soffocare i pianti, i singhiozzi che mi avrebbero fatta crollare definitivamente. Il risultato era un forte tremore e i denti, scoperti in quel ghigno di orrore e dolore, battevano come se facesse freddo. Eppure eravamo ai primi giorni del mese di agosto.
-No, Eleonora, non potrebbero…- sospirò Bellocchio. Azzardai un’occhiata, mentre il “sorriso” svaniva e il mio volto quasi perdeva espressione. L’uomo stavolta ricambiò lo sguardo e notai una sorta di pena e compassione nei suoi occhi, nella sua voce. Ma poi tornò freddo e apatico come prima, tanto che ripresi a detestarlo.
-Perché?- domandai semplicemente. Oxygen inarcò un sopracciglio color acquamarina, stupito della mia calma.
La verità era che stavo cercando di impedirmi di provare dolore. Solo apparendo immune da tutto e tutti mi sarei autoconvinta di stare, tutto sommato, tranquilla. Non sapevo quanto sarebbe durata quella finzione con me stessa. Non molto di certo. Non ero una di quelle persone in grado di mascherare le proprie emozioni e sensazioni, esternarle in qualche modo era la mia tipica reazione. Cosa avrei fatto appena quella fasulla apatia sarebbe crollata?
-Abbiamo, ehm… hanno trovato un messaggio- disse Bellocchio.
Solo allora mi accorsi di un biglietto che si stava rigirando tra le mani da minuti interi, ormai sgualcito. Me lo porse. Lo presi, non tremavo più. Mi pareva di essere entrata in uno stato di trance a causa della messa in scena che avevo allestito per non mostrarmi mentre crollavo. Impotente di fronte alla gravità di tutto e del destino che non avevo scelto.
“Il destino non esiste” mi ricordai. “Devi aver sbagliato qualcosa. Se non lo avessi fatto non sarebbe successo, no? O forse è colpa di qualcun altro. Tutto ciò è dipeso dalle scelte e dalle azioni di qualcuno. Se le cose fossero andate diversamente, ora staresti continuando la lotta con Ilenia, e magari l’avresti vinta.”
Avevo iniziato a pensarla così. In quell’attimo in cui presi il biglietto tra le mie mani, riuscii a pensare mille motivi e a ricordare mille situazioni che avrei potuto modificare per impedire ciò che era successo.
Una silenziosa lotta si combatteva dentro di me. Chissà chi avrebbe vinto. E intanto subivo, proprio come la Torre Dragospira era stata costretta ad essere teatro della propria distruzione.
Lessi il foglietto velocemente.

“Cara Eleonora,
le circostanze in cui ti verrà recapitata questa breve lettera non saranno delle migliori, ma sono certo - anzi, siamo certi che sarai disposta a collaborare.
La posta in gioco è molto alta e lo sai. Non fare sciocchezze, pertanto. Sei una ragazza intelligente e troverai la strada migliore da seguire per stare meglio. Dopo queste poche parole saprai certamente con chi doverti alleare.
Potrai rivedere, riabbracciare i tuoi genitori appena abbandonerai le fila nemiche ed entrerai nel Victory Team. Non è un’alternativa da non prendere in considerazione. Non esiteremo a metterti in una posizione di comando, data la tua innata abilità e il grande feeling con i tuoi Pokémon. Saresti grandiosa, sicuramente lo sai già.
Lo stesso discorso vale per altri tuoi compagni quali Camille, Gold, Sara, Daniel e Ilenia, e non solo loro. Siete l’élite delle vostre cosiddette forze del bene. Lo sareste anche tra noi, ma con qualche vantaggio in più. Cosa potreste chiedere di più? Dove vi trovate ora siete limitati.
E, cara Eleonora, davvero vuoi continuare a domandarti chi sei? Qual è il segreto che Bellocchio e molti di quelli che tu consideri amici, ma che si ostinano a tenerti all’oscuro della tua vera identità?
Tu sei speciale. Non puoi non sapere niente di ciò che ti riguarda fin nel profondo di te stessa. Devi essere messa a conoscenza di chi e cosa sei. Del tuo vero Io. 
Confido in una scelta responsabile e giusta, in particolar modo verso di te.
A presto,
Cyrus
Comandante del Victory Team

-Allora le cose stanno così… è un grandissimo ricatto- mormorai.
-Non devi cedere. Stiamo già cercando di sistemare tutto. Abbiamo…
Non ascoltai le successive parole di Bellocchio. Mi soffermai su alcune particolari frasi, che purtroppo avevano fatto il loro bell’effetto su una mente ormai fragile come la mia.
“La posta in gioco è molto alta. Non fare sciocchezze… la tua innata abilità e il grande feeling con i tuoi Pokémon… davvero vuoi continuare a domandarti chi sei?… Tu sei speciale…”
Quelle parti spezzavano la delicatezza di una sottile lamina di ghiaccio quale la mia mente, l’infinitesimale spessore di un foglio di carta e perciò la sua quasi inesistente resistenza.
-Chi sono io?
Pronunciai quelle parole con spontaneità, esprimendo forse involontariamente quella domanda che già da tempo mi interrogava e mi scherniva quando non riuscivo a trovare una risposta.
Vidi Bellocchio irrigidirsi. Gli altri due lo guardarono: non sapevano, almeno loro erano ignoranti come me. Non mi volevano nascondere nulla. Al contrario dell’uomo, che continuava a nascondere e a mentire a tutti.
Un sentimento di repulsione e ulteriore odio verso quella figura montò dentro di me. Aggrottai le sopracciglia, socchiusi gli occhi in una smorfia di rabbia. -Voglio la verità.
Lui chiuse gli occhi. E poi scosse la testa.
-Perché no?!- gridai, scattando in piedi. La sedia si rovesciò alle mie spalle. Bianca trasalì.
-Non è il momento.
-Non è il momento?! Ho sedici anni e ancora vengo trattata come una bambina, credevo riponessi un po’ di fiducia in me, dopo che mi hai quasi uccisa in quella missione alla centrale di Flemminia e alla Torre Dragospira! Io devo, voglio sapere ciò mi riguarda! Sono io!- esplosi. Mi fermai a riprendere fiato
Ma lui era ancora imperturbabile, freddo. Gli occhi neri e gelidi si aprirono lentamente. -È meglio che tu non sappia. È pericoloso, davvero. Se possiamo evitare di farti del male troppo presto, aspetteremo. Anche per sempre, se sarà necessario; sarà la cosa migliore per tutti…
-Farmi del male? Come se con questo- sventolai il biglietto firmato dal mio arcinemico -io non sia stata già distrutta! Un dolore in più, uno in meno, adesso mi sembra di non sentire più nulla o di sentire anche troppo!- strepitai. Ma non mi fermai. -Non mi interessa più niente, ormai mi è chiaro. Non fa più differenza, per me, stare dalla tua parte o da quella dei Victory, Bellocchio. Siete tutti uguali, cambiano solo i patti.
Quello lo fece sobbalzare. L’avevo colpito. -Cosa…?!
Prima che riprendessi, ordinò imperiosamente agli altri due ospiti di lasciarci soli. Non li degnai di uno sguardo; per me ora c’era solo Bellocchio e la lotta verbale che stavamo combattendo. Stava per proseguire, ma non gli diedi tempo. Ero un’attaccante spinta dalla rabbia.
-Enigma mi ha aperto gli occhi. Mi ha insegnato molto, proprio come tu speravi. Mi ha insegnato che il nemico non è poi così terribile e che il tuo esercito di ragazzi non è puro, perché tu stesso non lo sei…
-Stai dicendo tutto ciò perché sei deviata da interessi personali! Tu non la pensi così, Eleonora, io lo so!
-Pretendi di conoscermi?- gli domandai freddamente. -Avevo iniziato a fare congetture e ipotesi su di te, ma mi sono fermata capendo che non era qualcosa che spettava a me. Tu dovevi rimanere un mistero, Enigma ha scelto solo alcuni dei tuoi lati da svelare a me e all’altra mia compagna, Melisse. Non voglio e non penso che tu conosca qualcosa di me. Ma sai troppo e io so troppo poco- gettai un’occhiata al fogliettino, cercando una citazione -“del mio vero Io”. Questo non mi sta bene. Ripeto: voglio la verità!
Bellocchio si accasciò sulla poltrona. -Ed io voglio che tu sappia che hai ragione su questo, ma ci sono motivi per i quali ora è meglio che tu non conosca la parte più profonda e arcana di te stessa. Te ne prego, Eleonora- prese a supplicarmi. Indietreggiai di un passo, basita da quel suo atteggiamento che mi fece pietà. -Cerca di capire. Non lasciare che i Victory ti ammalino con promesse probabilmente false. Non farti trasportare dalla curiosità malata che ora provi, di questo si tratta e lo sai…
Non sapevo cosa pensare. Niente aveva più senso. Non volevo stare né dalla parte dei Victory, né da quella di Bellocchio. Magari me ne sarei andata a Città Nera tra quelli “neutrali”, loro avevano davvero ragione. Che anche a loro fosse successo qualcosa di così terribile, che li aveva spinti ad abbandonare tutto?
Forse ero accecata dai miei interessi, sì, ma davvero potevo essere biasimata per questo? Bellocchio diceva di capirmi, mi dava ragione, ma insisteva nel volermi tenere nascosto il mio segreto.
-Io… io non…- improvvisamente iniziai a piagnucolare, vergognandomi di quella debolezza di fronte alla figura che stavo detestando. -… non ce la faccio più… NON CE LA FACCIO!
L’ultima frase fu un grido arrabbiato, accompagnato da un automatico scatto repentino. Presi la Ball di Gallade, sentii il battito frenetico del suo cuore per pochissimi istanti, capendo che era dalla mia parte. Non aveva bisogno di ordini, uscì dalla sfera e con la forza psichica bloccò il mio nuovo nemico. Bellocchio non riuscì a difendersi, lo colsi impreparato; fui intimamente felice di ciò. Non poteva liberarsi dalla magica stretta del mio compagno.
-Se Cynthia aveva ragione, qui nell’ufficio nascondi qualcosa…- ridacchiai malevolmente. In seguito, ripercorrendo con la mente quei terribili istanti, non mi riconobbi e mi feci un po’ schifo, a dir la verità.
Aramis mi chiamò. Aveva ottenuto qualcosa da Bellocchio: mi indicò il soffitto, poi un libro su una mensola. Per arrivarci salii sulla sedia che avevo buttato a terra. Presi il volume che mi aveva detto il Pokémon e un foglio cadde da esso. Lui emise di nuovo il suo verso e capii che era ciò che mi serviva.
Sul foglio vi era un disegno, fatto palesemente di fretta e con poca cura. Erano due triangoli sovrapposti a formare una stella. Nell’esagono formato dall’unione dei due era inscritto un cerchio. Non capii a cosa servisse, Aramis stava per spiegarmelo in qualche modo ma non ci riuscì.
Da una Poké Ball - nascosta non vidi dove - si liberò un Honchkrow che si scagliò contro il mio Pokémon. Aramis perse la concentrazione e cadde a terra dopo essere stato colpito dal volatile. Bellocchio fu liberato dalla sua morsa psichica e iniziò ad ansimare come se avesse appena corso per chilometri.
Alzò la testa poco dopo, per sentirmi esclamare rivolta più ad Honchkrow che a lui: -Non ho paura di te! Possiamo lottare se ci tieni tanto!
L’uomo infilò una mano nella tasca dei pantaloni neri e tirò fuori la Ball di quel Pokémon. Lo fece rientrare, mentre Aramis si rimetteva in piedi e indietreggiava, mettendosi vicino a me.
Bellocchio cambiò improvvisamente espressione non appena si riprese. Squadrò glaciale me e il mio compagno. -Il tuo Pokémon. Dammi la sua sfera.
-Cosa?!
-Posso perdonarti, forse, per il tuo scatto d’ira. Sei stata spinta da sentimenti forti e non voglio criticarti, perché in un certo senso ti capisco e so come ti senti, davvero. Ma non tratterò altrettanto bene il tuo Gallade. È indisciplinato e aggressivo…
Scoppiai a ridere dal nervosismo e dalla falsità di quell’affermazione. -Indisciplinato e aggressivo? Aramis non è così. Ha capito come mi sentivo e ha deciso di aiutarmi. È il Pokémon più riflessivo e calmo che abbia mai incontrato, se ha agito così vuol dire che la… “situazione” è grave… Non può prendersi il mio Pokémon!- sbottai infine, perdendo quel poco di autocontrollo che pensavo di aver finalmente trovato.
Bellocchio era furente, ma palesemente indeciso sul da farsi. Decisi di continuare, approfittando della sua esitazione. -Se davvero capisci cosa provo, se pensi di sapere cosa mi sta succedendo dentro, allora non dovresti minacciarmi di portarmi via Gallade. Ho già perso troppo… i miei…
Non riuscii a continuare. Le mie emozioni erano altalenanti e andavano dall’arrabbiato, al disperato, al deciso.
E lo stesso valeva per Bellocchio: da freddo e controllato che era, si era spaventato, arrabbiato, di nuovo le sue parole si erano fatte gelide quando voleva togliermi Aramis… e adesso sembrava stanco. -Ok, ok, ritieniti fortunata che sei in una buona posizione…- fece cercando di essere sprezzante, ma la sua voce s’incrinò per lo stress. -Non ti toglierò il tuo Gallade perché, essendo tu una recluta e lui un ottimo Pokémon, non dovete essere separati. Ma questo strappo alla regola sarà l’unico, tienilo a mente! E non voglio vederlo mai fuori dalla sua Ball dentro la base. Questo te lo proibisco.
-Le farò cambiare idea, Bellocchio- ribattei. Ripresi a rivolgermi a lui con più rispetto, dandogli del lei, ma comunque ero ancora offesa, arrabbiata e devastata. E molto altro.
-Avrà la possibilità di riscattarsi, concedo anche questo- disse con un tono gelido che sembrava voler esprimere con ironia tutta la sua clemenza e bontà. -Ma per ora questi sono i patti. Non ti converrà fare la ribelle e…- ammutolì.
-Allora ha capito che non devi infierire ancora! Già mi hanno distrutta i Victory, ora mi lancia pure frecciatine per sua pura soddisfazione personale? So che tra noi due non scorre buon sangue, anzi, io faccio fatica ad accettarla come capo e lei per farmi complimenti e ammettere il fatto che io sia una brava Allenatrice e combattente…
Avrei tanto voluto urlare tutte quelle frasi e altre ancora, ma non ci riuscii. Mi sedetti, abbassai la testa, docilmente chiesi scusa da parte mia e di Aramis perché pensai fosse la cosa più sensata da fare. Bellocchio mi imitò, invitò dentro Oxygen per chiedergli di portarmi un bicchiere d’acqua che mi potesse tranquillizzare. Ovviamente mi avrebbe calmata solo sapere che i miei genitori erano a casa sani e salvi, ma forse avrei preteso troppo…?
Bellocchio cercò ugualmente di rassicurarmi, anche se le sue parole non mi toccarono granché. Centellinavo l’acqua nel bicchiere che Oxygen mi aveva dato come se la stessi prendendo con un contagocce. Qualche lacrima silenziosa si confuse con le bollicine, ma i due fecero finta di non vederla, più o meno preoccupati per me.
-Le stiamo provando tutte. I tecnici stanno cercando di scoprire qualcosa con le telecamere nascoste, vedrai che presto ne sapremo di più. Intanto Bianca si è diretta di nuovo verso Nevepoli e sta cercando altri indizi utili, ha intenzione di chiedere anche alla famiglia della tua amica Chiara. Qualsiasi cosa, anche minima, ci può essere molto utile… Eleonora, non compiere azioni sconsiderate, ne andrebbe della tua vita oltre che di quella dei tuoi genitori e non possiamo permetterci assolutamente di perderti.
Alzai lo sguardo. Non potevano perché ero speciale, giusto? E quindi dovevano tenermi al sicuro e fare attenzione che non passassi dalla parte “sbagliata”, che però mi tentava offrendomi la verità.
Ero combattuta: un lato di me sapeva bene che il mio posto era insieme a Bellocchio e alle forze del bene, ma l’altro mi pregava in ginocchio di immobilizzare di nuovo sia lui sia Oxygen e di scappare. Cercare Cyrus e chiedergli la verità. Certo che avrei dovuto prestare attenzione ai suoi comportamenti da maniaco, che mi inquietavano non poco… ma si trattava della mia identità. Se c’era un prezzo da pagare… l’avrei fatto. Ero disposta a tutto.
Nemmeno feci caso a quel “la tua amica Chiara” e non cercai di correggerlo. Chiesi, lievemente ironica, stupendomi di quel mio tono: -I miei genitori sanno di questo mio arcano segreto?
Bellocchio scosse la testa. -No. Dovremmo esserne a conoscenza solo noi, in realtà. Non capisco come mai i Victory sappiano qualcosa e come hanno fatto.
-Magari fingono- si azzardò Oxygen incerto. Fu un po’ ingenuo.
L’altro scosse la testa. -Abbiamo le prove. Sanno anche troppo.
“Ed io troppo poco” borbottai seccata tra me e me.
-Dobbiamo tenerti al sicuro- mi disse Bellocchio. -Adesso è meglio che tu vada a riposare, ne hai molto bisogno. Quando vorrai, io sarò qui per qualsiasi cosa. Ti manderò a chiamare, comunque, appena avrò notizie. Intanto tu fa’ quello che vuoi, come al solito insomma. Ok?
Feci un cenno affermativo con la testa. Senza aspettare un suo saluto, mi alzai e me ne andai. Fuori dalla porta esitai un istante per individuare la direzione da prendere per il dormitorio, poiché mi sembrava di aver cancellato tutte le informazioni e i ricordi per far spazio ad altri che credevo di aver perso e a moltissime emozioni.
Quel momento di attesa fu sufficiente a Oxygen per raggiungermi. Mi mormorò il suo sincero dispiacere, parlava in una maniera incredibilmente veloce e confusa, tanto che faticai per stargli dietro. Però fu carino e dolcissimo. -Davvero spero si risolva tutto per il meglio non vorrei mai che potesse succedere ai tuoi genitori qualcosa di brutto e soprattutto a te perché penso non me lo perdon…
-Grazie!- lo interruppi. Mi sentivo stranamente meglio, se così si poteva dire. Più che altro mi faceva piacere sapere che… ci tenesse, o qualcosa del genere. Sapevo di star sorridendo e di avere le guance arrossate, un po’ come lui. -Sei gentilissimo a preoccuparti, non… non me lo aspettavo. Ti ringrazio.
Abbassò la testa. -Non sto facendo nulla.
-E cosa potresti fare, d’altra parte?
Non rispose. Restammo un po’ in silenzio, imbarazzati. Era una strana situazione.
-Io… devo andare- sussurrai piano e, forse, a malincuore. Lui annuì e fece un cenno di saluto con la mano. Fu il primo a girare i tacchi, andando in una direzione diversa da quella che avrei preso io. E intanto me ne stavo lì in piedi con le mani in mano, mentre Altair si agitava nella sua sfera.

Al dormitorio incontrai Chiara. Quasi scoppiai nuovamente a piangere quando mi scoccò un’occhiata fredda e distaccata. Nemmeno si preoccupava per me, non si dispiaceva di ciò che mi era successo: nulla, assolutamente nulla. Non potevo credere che fosse diventata così insensibile.
E infatti non lo era diventata. Bellocchio non aveva fatto trapelare la notizia e l’unica che ne era a conoscenza era Angelica, perché lei stessa e pochi altri si stavano occupando di cercare ovunque i miei genitori.
Quando mi vide la prima volta dopo gli spiacevoli eventi mi abbracciò stretta. Ero sorpresa di non vederla ridente e allegra ma sinceramente comprensiva e abbattuta. Non si smentì del tutto, comunque: infatti anche quella volta infuse un po’ d’ottimismo nelle sue parole, cosa che per me sarebbe stata impossibile. -Ci mancano ancora tantissime stanze in tantissime basi nemiche, quindi non buttarti troppo giù, vedrai che li troveremo!
Le sorrisi. -Grazie, Angie. Conto su di te.
-Sinceramente… fai bene!- ridacchiò lei.
-Puoi farmi il favore di non dire niente a nessuno, comunque? Sarebbe piuttosto scomodo, ecco, non so se capisci…
-Non ti preoccupare. Già me l’aveva chiesto Bellocchio. Pochissime persone sanno qualcosa a proposito di ciò che è successo- replicò.
Annuii. “Be’, meno male” mi dissi. “Sarebbe scomodo davvero.”
Non mi sarebbe piaciuto per niente stare al centro dell’attenzione, soprattutto per una ragione del genere. Ricevere parole di conforto da tutti mi avrebbe mandata in confusione, così come essere osservata in ogni mio movimento. Di certo, poi, non tutti sarebbero stati sinceri o per lo meno davvero dispiaciuti. Avevo la netta sensazione che qualcuno mi avrebbe fatto subito le sue condoglianze come se tutto fosse stato già perduto, buttandomi ancor più giù di morale.
Dando retta alle parole di Cyrus, i miei erano ancora vivi, ottimi ostaggi per costringermi a passare dalla loro. Ma era davvero così? Solo Angelica e gli altri avrebbero potuto scoprirlo, forse.
Ormai tutti i miei pensieri erano accompagnati da dubbi, da quegli odiosi forse.
O forse non sarebbe stato così, come pensavo. Nessuno si sarebbe interessato più di tanto e si sarebbero voltati non per Eleonora, la povera quasi-orfanella, ma per Eleonora, una delle più abili Allenatrici delle forze del bene. O almeno credevo di esserlo. Ero sempre stata restia a farmi complimenti o a riconoscere le mie abilità.
Fatto stava che passavo metà delle mie giornate ad allenarmi o girovagare per la base - avevo abbandonato l’idea di andarmene in giro per il Monte Corona - e l’altra metà a leggere. O a piangere nei momenti peggiori, di solito prima di addormentarmi o appena sveglia. Ci avevo fatto l’abitudine, tanto che a volte nemmeno mi accorgevo dei rivoli umidi che si venivano a creare sui miei zigomi. Il cuscino veniva bagnato molto spesso, almeno una volta al giorno.
Ogni tanto mi tornavano alla mente alcune scene di svariati film, mentre sognavo ad occhi aperti come sono sempre stata solita fare. Tutte riguardavano l’assassinio dei genitori di un personaggio, il loro rapimento o qualsiasi cosa che mettesse a repentaglio le loro vite o quelle del figlio.
Mi rendevo conto che la mia situazione altro non era che un banale cliché, il più doloroso che potesse esistere. Non era così speciale la mia perdita - o la mia prossima perdita. Sicuramente era già successo a tantissimi ragazzi nelle forze del bene, forse a qualcuno dei Victory, e di certo era accaduto lo stesso a molti del “mondo reale”.
Provai a dirmi spesso frasi che volevano essere ottimiste, sull’esempio di Angelica, ad esempio: “Andiamo, va tutto bene. Ci stanno provando. Non è detto che li abbia persi. Guarda il lato positivo: se i nemici vogliono tenerti sotto scacco hanno bisogno di ostaggi in vita, no?”
“E se così fosse, comunque non saprò mai che li avranno uccisi finché non andrò di persona a fronteggiare Cyrus e a chiedergli la verità. Di vedere i loro volti o le loro bare.”
Tutto ciò mi faceva stare ancora peggio però. I pensieri positivi non convincevano nemmeno me.
‘Non sei l’unica, reagisci, sii forte!’
“No, non ce la faccio.”
‘Sì che ce la fai! Ne hai la forza, ma devi trovare anche il coraggio!’
“È davvero troppo per me.”
Quasi invidiavo gli eroi dei giochi, salvare il mondo con le loro avventure sembrava così semplice.
Non che io non stessi facendo nulla; era pur sempre il mio mondo ad essere in pericolo, anche se infinitamente più piccolo e inutile rispetto al pianeta che noi tutti stavamo cercando di salvare e alle sue esigenze. Ma in quei momenti mi parve una sciocchezza lottare fisicamente con il nemico, i mezzi per farlo li avevo.
Era ciò che mi stavano facendo dal punto di vista psicologico che era troppo grande, troppo al di fuori della mia portata. I Victory avevano rapito i miei ricordi. Li avrebbero annientati, ora, o forse l’avevano già fatto.

I giorni si susseguivano tutti uguali, la routine mi dannava.
L’unico passatempo che riusciva a distrarmi per un po’ era, ovviamente, lottare. Ma durò per poco tempo. Non mi appassionava più come prima combattere sempre con gli stessi Pokémon e Allenatori, conoscevo alla perfezione i punti di forza e deboli dei miei compagni, non avevo più niente da scoprire. Hoothoot, O’clock, mi aiutò: per qualche tempo mi ci dedicai, ma quando finii anche con lui mi ritrovai davvero senza niente da fare.
Aspettavo che mi incaricassero di qualche missione ma non arrivava mai nulla. Non avevo voglia di andare da Bellocchio a implorarlo di trovarmi qualcosa da fare, anche perché mi avrebbe certamente detto “No, devi riposare”. E così avrebbe liquidato ogni mia richiesta.
Quanto avrei resistito ancora? Mancava poco.
Una mattina mi svegliai, pronta per riprendere la ricerca di un passatempo più o meno piacevole, che però non riuscivo a trovare. Ma stranemente sentii qualcosa di duro sotto la testa, sotto il cuscino. Il dormitorio era mosso dalla frenesia delle ragazze che si preparavano per andare in missione.
Un foglietto accartocciato nascondeva malamente una pietra sferica, semitrasparente e colorata. Non la riconobbi subito, ma bastò leggere il messaggio per capire cosa fosse.
“Questa è una Galladite. Spero servirà a te e al tuo compagno. Vieni in ufficio appena ti è possibile. B.”






Angolo ottuso di un'autrice ottusa
BUON ANNO A TUTTI! CE L'HO FATTA!
Ho scritto in tempo questo capitolo, sto ancora a quota "due al mese", non siete contenti?! No, ma vabbè, io sì! E' stato lungo e difficile scrivere questo capitolo, anche perché ho avuto poco tempo e sono stata impegnata su tutti i fronti, perciò-
Ok, non ve ne frega nulla. Scusate se sto distruggendo la protagonista, davvero. Ma se il capitolo vi è piaciuto, nonostante la depressione e le sgradevoli novità - a proposito di novità, ho usato termini un po' poco comuni, credo. Sto cercando di ampliare il mio vocabolario (?), ditemi se vi sta piacendo! - lo prendo come presagio di un buon anno per quanto riguarda la scrittura, ho deciso.
​Tra quattro giorni festeggio un anno su efp e avrò modo di farvi partecipare. AuraNera, la mia adorata Sarr, dovrebbe sapere a cosa mi riferisco. Ma essendo lei una "con la memoria da merluzzo morto", essendo quindi una merluzza, non so quanto posso fidarmi di lei.
Ah, sì, prima di finire devo aggiornarvi su MDS e la raccolta di Natale.
Il nuovo capitolo di Minaccia dallo Spazio sarà pronto a breve, può darsi che aspetti il 15 per pubblicare di nuovo, continuando a fare un capitolo al mese ahahaha
Invece la raccolta dovevo aggiornarla "quasi giornalmente"
SEEEEEEEEEEH VE PIACEREBBE
Mi spiace, vi ho mentito.
Ancora buon anno e che il 2015 ci riservi tante gioie! E che lo faccia anche per la poraccissima protagonista!
Un abbraccio!
Quella che ormai ha cambiato nickname in Ink Voice

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Capitolo 14
*** XIII - Un barlume di speranza ***


XIII
Un barlume di speranza

 

Corsi subito da Bellocchio, tanto precipitsosa ed allarmata che per poco non mi dimenticai di cambiarmi il pigiama.
La Galladite nella mia tasca mi infondeva strane sensazioni. Sicurezza e disponibilità ad aiutare e a sostenere, ma al tempo stesso quella freddezza e inespressività di cui era capace di dimostrarsi Aramis, in particolare quando lottava o giudicava un mio comportamento, soprattutto quando non lo approvava.
Spalancai la porta dell’ufficio di Bellocchio interrompendo la sua discussione con un ragazzo che non conoscevo. -Ci sono… novità?- ansimai, sfiancata dalla corsa non molto lunga ma eccessivamente frettolosa, che a quell’ora della mattina metteva a dura prova la mia pigrizia e scarsa resistenza.
-Oh, eccoti. Aspetta ancora qualche minuto, appena esce lui vieni dentro- rispose Bellocchio. L’espressione sul suo viso esprimeva una certa serenità che su a lui poche volte avevo visto.
Attesi con impazienza ed ansia che il suo ospite se ne andasse. Il fatto che fosse così tranquillo e non freddo stava sicuramente a significare che era successo qualcosa di bello, che c’erano buone notizie. “Hanno scoperto dove sono i miei genitori” pensai “oppure… oppure… qualsiasi altra cosa positiva che li riguarda, come che sono ancora vivi… o li hanno ritrovati a casa, sì…”.
Il rumore della porta che si apriva mi informò che potevo finalmente trovare una conferma alle mie parole o una risposta alle domande. Mi precipitai dentro.
-Allora?- chiesi immediatamente, sedendomi di fronte a Bellocchio.
Bellocchio impiegò qualche momento per rispondere, sistemando alcuni fogli comparsi sulla scrivania mentre parlava con quel ragazzo. -Non mi aspettavo di avere risultati positivi in così poco tempo, sono passati solo  pochi lunghi giorni, vero?- mi chiese poi con un sorriso sghembo. Annuii, immaginando già dove volesse andare a parare e insultandolo per star prendendo tempo senza motivo. Qualsiasi istante per me era diventato estremamente prezioso e poteva cambiare qualsiasi cosa.
-Bene, abbiamo notizie più o meno positive- proseguì.
-Più o meno?- lo interruppi subito inarcando le sopracciglia.
-Non sono uno che gioisce molto spesso e soprattutto subito, dovresti saperlo- ribatté. -E dovresti anche sapere che la situazione è precaria, basterebbe un niente per sconvolgere l’equilibrio che...
-Ok ok, ho capito, vada avanti per favore- lo fermai nuovamente, esasperata.
-... Credo di aver raggiunto- continuò inesorabilmente. -Difatti abbiamo individuato i tuoi genitori. Ma ancora non è detto che riusciamo a liberarli, anche perché non sappiamo ancora come muoverci e abbiamo bisogno di qualche accertamento ulteriore.
Mi costrinsi a non saltare sulla sedia dal sollievo e dalla felicità. Inspirai profondamente, suscitando un po’ d’ilarità, seppur appena accennata, nel caro Bellocchio. -Ehm... Bene!- esclamai sorridendo in maniera fintamente distaccata. -E quando verrò a conoscenza delle informazioni che avete trovato e delle vostre prime intenzioni?
-Anche subito- fece Bellocchio con leggerezza. -Ma prima dobbiamo aspettare la tua amica Angelica.

-Di qua si va per i sotterranei- cinguettò la mia guida. Altri non era che la stessa Angie ovviamente.
Aveva fatto irruzione nell’ufficio di Bellocchio praticamente subito dopo che lui mi aveva detto di aspettarla, senza nemmeno bussare alla porta e saltandomi letteralmente addosso non appena mi aveva individuata. Aveva esclamato: “Li ho trovati, Ele! Devi venire subito assolutamente ti prego ti prego ti-”
Così più o meno si erano svolti i cinque minuti successivi all’arrivo della ragazza, più allegra e ottimista che mai.
-Ma quindi ci sono buone probabilità che...?
-Oh, sono vivi, su questo non c’è alcun dubbio. Adesso dobbiamo solo trovare un modo per infiltrarci e riprenderli- mi interruppe lei, intuendo ciò che stavo per dire.
“Solo?” Pensai ironicamente, ma non me la sentii di ribattere.
Angelica mi portò al corridoio F, nel quale quasi mai avevo avuto l’occasione di entrare, se non per farmi un giretto random. Mai ero arrivata alla fine, verso cui invece la ragazza mi stava conducendo.
Le pareti accanto a noi possedevano sempre quel loro fascino inquieto, che a me trasmetteva una certa sicurezza poiché le associavo a un posto che ormai ero abituata a chiamare casa, ma che sicuramente intimorivano ospiti indesiderati. Le lampadine sul soffitto, che diffondevano una timida luce bianca non molto forte, impedivano che l’unica fonte di chiarore per tutta la base segreta fossero soltanto i bellissimi cristalli colorati incastonati nella roccia. Quelle magiche pietre illuminate di azzurro e rosso, i due colori erano presenti in tutte le loro sfumature, erano collegate a linee che decoravano le lamine d’acciaio sulle pareti, le attraversavano e si incontravano incrociandosi e mescolandosi. Era davvero un bello spettacolo, seppur in parte artificiale. Non che ciò intaccasse la sua bellezza, certo!
Non avevo mai visto un corridoio così lungo nella base, nonostante stessimo camminando da alcuni minuti e piuttosto velocemente. Le porte si susseguivano l’una dopo l'altra, non c’era niente che le distinguesse dalla precedente o dalla successiva. Evitai di chiedere ad Angelica cosa si facesse lì dentro perché mi aspettavo che nemmeno lei sapesse qualcosa a riguardo, e poi non ero molto interessata poiché in quel momento ero concentrata solo su una cosa.
I miei genitori.
Davvero li avevano individuati già con tanta precisione? Credevo di dover aspettare giorni e giorni ancora fino allo sfinimento, invece no. Mi ritenni abbastanza, anzi molto fortunata: c’era chi non sapeva proprio che fine avessero fatto i propri genitori, chi li aveva visti morire davanti ai propri occhi sconvolti dalla disperazione, chi veniva costretto a sottostare ad un ricatto. Io no, avevo i miei genitori ancora vivi che aspettavano solo di essere strappati via dalle grinfie del nemico.
Victory Team. Che nome odioso.
Ripensai alle scenate fatte davanti Bellocchio pochi giorni prima e mi sentii in colpa, uno schifo, mi feci anche abbastanza schifo. Guidata dalla furia delle emozioni, troppo impetuose perché io riuscissi a sostenerle o ad affrontarle razionalmente, avevo ordinato ad Aramis di bloccarlo per i miei comodi. Non che non avessi, in fin dei conti, ragione: ma mi ero comportata troppo male anche per una situazione del genere, lo riconoscevo ora a mente lucida e pronta ad esaminare con attenzione ciò che era successo e avevo fatto.
Sospirai impercettibilmente, Angelica non lo notò. Era già da un po’ che riuscivo a vedere la fine del corridoio e ci avvicinavamo finalmente all’ingresso dei sotterranei. -Angie, di preciso, c’e qualcosa che dovrei sapere prima di entrare o è tutto nella norma?- domandai schiva.
-Che io sappia va tutto bene, perché?- chiese stupita.
Scossi la testa. -Così- dissi semplicemente.
La verità era che stavo diventando - anche se per fortuna non lo ero ancora - orribilmente paranoica e avevo una paura matta ad entrare in qualsiasi stanza, temendo un pericolo in agguato dietro ogni angolo.
Arrivammo quindi alla porta. Angelica aveva allacciato alla cintura dei jeans, oltre a una borsa con le Poké Ball, un mazzo di chiavi abbastanza povero. Ne scelse una tra le tre o quattro che aveva a disposizione e la infilò nella serratura, che si aprì subito… rivelando un’altra porta. Inarcai le sopracciglia: ok la sicurezza, ma una porta che dava su un’altra non l’avevo mai vista, nemmeno nei migliori film di spionaggio.
-Questa si apre solo riconoscendo l’impronta digitale- mi spiegò lei. Uno schermino si trovava in basso al posto della serratura. Lei vi poggiò il dito e dopo pochi istanti un bip gentile ci annunciò che eravamo ammesse nei sotterranei.
Ci accolse una scala a chiocciola che alla sola vista mi fece girare la testa, poiché annebbiata dalle emozioni ero molto più sensibile del solito. In realtà non era troppo lunga - o almeno, mi aspettavo di peggio - e quando me ne resi conto mi sentii piuttosto meglio. Scendemmo, Angelica con molta più disinvoltura e velocità rispetto a me, abituata a fare su e giù per quelle scale tutti i giorni mentre io me ne andavo a spasso per Unima a consegnare lettere e veder bruciare torri.
Arrivammo quindi al pianerottolo che dava su un altro pesante cancello d’acciaio.
-Anche questo nasconde un’altra porta o ne devi aprire solo uno?- chiesi acidamente, stralunata dai troppi portoni che avevo varcato e dalle eccessive rampe di scale. Mi tremavano le gambe a causa di quei tre-quattro minuti buoni passati a scendere nei sotterranei.
-Solo uno- replicò lei tranquilla senza notare la nota ironica che avevo messo nella voce.
-Che aspetto hanno i sotterranei?
-Sono piuttosto labirintici. Non tanto per la struttura in sé, ma per la quantità parecchio consistente di uffici, stanzine e ripostigli, nonché una sala enorme che monitora… molte cose- mi spiegò lei.
-Del tipo?
-Anni fa, molto tempo prima che nascesse il Victory Team e scoppiasse questa specie di guerra, il Pokémon alieno Deoxys si nascose in un meteorite, diciamo così a grandi linee- fece vagamente -e lo comandò. Sai verso dove?
Scossi la testa, senza capire perché mi stesse raccontando quello, e lei riprese: -Verso la regione di Hoenn. Stava per entrare nella nostra atmosfera e non avrebbe incontrato alcun ostacolo: dal centro spaziale di Verdeazzupoli tenevano d’occhio la situazione, interrogandosi su cosa fare e come. Si risolse tutto con l’aiuto di Rayquaza, ma quello che voglio dirti è che il nostro ruolo è simile a quello di chi lavorava al centro spaziale.
-Quindi osservate gli eventi in corso sul pianeta e pensate anche a ciò che potrebbe fare o escogitare il nemico?
-Esatto- confermò lei. -Teniamo d’occhio ciò che sta succedendo nel mondo. Ora più che mai siamo concentrati sulle attività nemiche e facciamo quasi solo quello, anche se un gruppo di persone si dedica ad altro. Non so dirti bene cosa, è top-secret e io mi occupo del nemico e di cose così.
Angelica era diventata particolarmente, stranamente seria mentre parlava. Forse quell’argomento la interessava ed assorbiva talmente tanto che quando ci pensava non riusciva a mostrarsi di buonumore o credeva di non averne motivo. Non sapevo se preferirla così o quand’era più allegra: in quel modo mi riusciva più facile relazionarmi con lei poiché a volte la sua intaccabile gioia era un po’ irritante, ma quando si mostrava felice e sorridente era una vera e propria botta di vitalità e di buonumore nelle situazioni più tristi: riusciva a farti star bene con poche delle sue belle parole.
Intanto la ragazza aveva tirato fuori nuovamente il mazzo di chiavi e aveva aperto il cancello. Borbottando molto rumorosamente quello pian piano si aprì, concedendoci l’onore di entrare nella zona off-limits - o qualcosa del genere - della base segreta.
Appena misi ufficialmente piede sul suolo dei sotterranei decisi che non mi piacevano. Era tutto assolutamente piatto e spento: non c’erano i bei cristalli che illuminavano di luce colorata l’ambiente al “piano di sopra” e la luce bianca delle lampadine era molto più forte di quelle nell’ambiente della base che conoscevo. Erano talmente forti che mi parvero quelle che gli investigatori utilizzano per gli interrogatori, che ti confondono e mettono angoscia.
Era proprio così che mi sentivo mentre camminavo lentamente con Angelica, dirette verso chissà dove. Ero davvero in soggezione, rabbrividivo dal freddo - la temperatura, nonostante fosse estate, era bassa - e mi guardavo attorno sentendomi osservata costantemente. Capii la ragione alla vista di telecamere che ci seguivano, concentrate su di noi che in quel momento eravamo l’unica “cosa” in movimento.
Un’altra sensazione sgradevole che quel posto mi trasmetteva era la grande somiglianza con la cella in cui ero stata rinchiusa quando i Victory mi avevano fatto la bella sorpresa di rapirmi insieme a Chiara, Camille e Gold. Le pareti di roccia rivestite in acciaio scuro, il pavimento fatto dello stesso materiale che amplificava il ticchiettio dei nostri passi e produceva un’eco inquietante, quel suono fastidioso ci seguiva ovunque andassimo. L’aria viziata là dentro subito mi fece venire un forte mal di testa.
Feci l’ennesima domanda alla mia compagna: -Ma non ti dà fastidio stare tutto il tempo qua dentro?
-In che senso?- replicò sorpresa.
-Be’- storsi il naso all’idea di star respirando più anidride carbonica che ossigeno -qua praticamente non circola aria. Ci sono i condotti, sì, e d’altronde al piano superiore non stiamo messi molto meglio… però io non sopporterei dover stare qua dentro per la maggior parte del mio tempo. Mi verrebbe voglia di uscire.
“E di vedere un po’ di luce del sole” pensai osservando il pallore sgradevolmente ingiallito della pelle di Angelica e poi quello di un isolato passante, che salutammo a bassa voce. La figurina scarna di lei era una sofferenza a vedersi, non avrei mai voluto essere al posto suo viste quelle condizioni.
Angelica sospirò e cambiò espressione: avevo toccato un tasto dolente. -Hai ragione. È una vita che non mi faccio una passeggiata e qua dentro c’è anche chi sta messo peggio di me. So che ti faccio una brutta impressione…
-No, Angie!- la frenai subito, mortificata. -Non volevo assolutamente dir…
-Ma lo so che non volevi offendermi né dire niente del genere… però non posso mentire a riguardo: noto le occhiate storte che molti del “piano di sopra” lanciano a noi. Ci trattano un po’ come debolucci che non sono buoni a lottare né a difendersi o peggio ancora come topi di biblioteca. Forse hanno ragione, anzi, sicuramente… ma non possiamo fare proprio altrimenti. Il nostro lavoro è qui ed è davvero importante, anche se quasi nessuno se ne rende conto. Quindi non possiamo proprio andare per cavoli nostri e ignorare gli ordini. Siamo noi a diffondere le notizie, noi a passare le notti in bianco per seguire movimenti sospetti… ma tanto non mi aspetto più niente.
Si fermò un attimo mentre io cercavo invano la forza per ribattere, qualche parola per tirarla su di morale. -Ma ormai comunque ci ho fatto l’abitudine. Anzi, ci abbiamo fatto tutti l’abitudine. Non ci sono molte persone come te, Ele. La maggior parte di voi reclute sono degli snob senza fine e se la tirano solo perché hanno Pokémon particolarmente forti e ben allenati. Sono sicura che tu non sia mai stata arrogante nei nostri confronti, vista la tua gentilezza con me…
Arrossii. In effetti non mi era mai passata per l’anticamera del cervello l’idea di sentirmi superiore agli altri, ma a dirla tutta non mi ero mai nemmeno particolarmente interessata ad Angelica e non ricordavo alcun episodio in cui mi dimostravo tanto disponibile. Non aspettandomi un simile complimento riuscii a balbettare solo un imbarazzato: -Ti ringrazio molto, Angie…
Lei fece spallucce. -Immagino che nemmeno per te sia facile gestire le missioni e la tua squadra.
-Bah, sono mesi che la cosa più animata che faccio è ronfare più forte del normale quando dormo- borbottai. -Mi manca molto uscire e provare quei brividi di ansia e impazienza quando la situazione si fa estremamente delicata… e mi mancano anche la paura e l’adrenalina. Il prezzo da pagare però è davvero alto, basti pensare alla fine che ha fatto Iris e ai rischi che corro ogni volta che metto piede fuori la base segreta… o a ciò che hanno fatto ai miei genitori.- Appena lo dissi strinsi i pungi istintivamente.
Angelica all’improvviso mi prese una mano e me la strinse senza forza. Quasi sussultai per quel contatto, mi pareva di non averne uno del genere da secoli. -Non avere paura, va tutto bene- disse dolcemente, sorridendo. -Te lo garantisco.
-S… sì. Grazie- balbettai ancora tutta rossa in viso. Lei ridacchiò.
Nemmeno mi accorsi che intanto eravamo arrivate. Angie, sorridendo pensierosa, digitò l’ennesimo codice sull’ennesimo schermino della giornata, che per l’ennesima volta accettò la nostra - ennesima - richiesta di entrata.
La porta si aprì su un enorme stanzone, di dimensioni seriamente spropositate. La sala era evidentemente contenuta in quel blocco di ferro abbracciato dai principali corridoi dei sotterranei. La sistemazione e l’aspetto di essa era molto simile a una stanza del Centro Spaziale di Verdeazzupoli: file e file di scrivanie scendevano verso il fondo seguendo l’andatura di una scala che finiva in uno spiazzetto, una specie di pianerottolo. Esso dava su dei grandi schermi, alcuni che elaboravano formule a me assolutamente incromprensibili, altri che caricavano qualcosa oppure che mostravano delle immagini provenienti da svariati posti imprecisati nel mondo. La maggior parte delle postazioni alle scrivanie erano davvero disordinate, con torri di cartelle e fogli che per poco non finivano sopra i computer. I monitor erano accesi, tutti, senza alcuna eccezione. Una dozzina di persone si aggirava per quell’antro tecnologico.
Rimasi ovviamente a bocca aperta, sconvolta da un tale ammasso di tecnologia e matematica allo stato puro. Era un’atmosfera angusta e nella penombra come il resto dei sotterranei, ma la mia reazione non fu di fastidio come era stata fino ad allora. Piuttosto ne fui basita e anche un po’ ammirata: al posto di chiunque altro là dentro io mi sarei certamente persa, anche solo per capire quale fosse il mio posto.
-Questo però è forte, vero?- ammiccò Angelica, prendendomi per il polso e trascinandomi letteralmente giù per le scale. Guardavo ovunque meno che dove stavo camminando, perciò più volte rischiai di inciampare nei miei stessi piedi.
-Io… è… oddio- balbettai sentendomi piccola piccola, annichilendo al cospetto del severo sguardo dei megaschermi. -E tu lavori qua dentro?
-Più o meno, ma non è che stia sempre qua. Giro abbastanza spesso per i sotterranei e anche per il piano di sopra…
-Tu sei Eleonora?
Una voce maschile mi chiamò. Mi girai più volte e finalmente individuai un sorridente vecchietto che mi porgeva la mano. -Sì- mormorai dandogli la mia -sono io, piacere.
-Non lo si può dire a una persona che non si conosce, non si può sapere se sarà un piacere! Ahahah!- rise il signore, mostrando una dentatura poco invidiabile e nemmeno completa, palesemente ingiallita e rovinata da anni e anni di fumo accanito. -Io sono uno dei direttori di questo posticino. Sono il dottor Wilson, e be’, a questo punto non mi resta che sperare che sia un piacere davvero!
L’anziano, smilzo e ricurvo su sé stesso, continuava a ridere di cuore alitando in faccia a me e ad Angelica tutto il suo fetore di fumo. Parlava con un fortissimo accento proveniente da Unima, meno forte di quello già riconoscibile di Anemone che invece era praticamente assente nel parlare di Enigma.
Cercando di resistere, gli mollai la mano e provai a ridere, ma dal mio tentativo ne uscì fuori un grugnito schifato dal puzzo di sigaro, che sperai di tutto cuore non si riconoscesse. -Ehm… sì… allora cosa…?
-I tuoi genitori…- si fece improvvisamente serio -Sono sicuro che stiano bene, ne abbiamo le prove. Perciò nessuno ti vieta di sperare, ma…
“Ovvio, il ma ci deve essere sempre comunque e dovunque…”
-Abbiamo ovviamente bisogno di ulteriori accertamenti e conferme. Credo tu possa immaginare comunque che, se e quando sarà ora di andarli a recuperare, tu non potrai partire- proseguì.
Io per tutta risposta esclamai: -Cosa?!-, sgranando gli occhi sconcertata.
-Ele, hai presente i medici che hanno in famiglia qualche parente malato?- cercò di spiegarmi Angelica. -La situazione è simile. Loro non possono curare i propri familiari perché le emozioni giocano brutti scherzi e se andasse male si può immaginare come andrebbe a finire. Tu come ti sentiresti se non riuscissi a liberare i tuoi?- Non risposi e lei poté continuare: -Diciamo abbastanza male da sentirti perseguitata in eterno. Ora, tu come chiunque altro ci servi sana di mente e al meglio delle tue prestazioni. Le situazioni personali non dovrebbero intaccare il tuo lavoro.
Pensai un’altra volta all’accesa discussione con Bellocchio. Lui in fin dei conti aveva accettato il mio comportamento, seppur esagerato e mosso dalle emozioni. Però ciò che avevo fatto rimaneva una cosa assolutamente inaccettabile: me ne resi conto e puntualmente mi sentii in colpa. -Ho capito- mi sottomisi mio malgrado, -va bene. Cosa devo sapere?
-Che i tuoi genitori sono prigionieri qua a Sinnoh in una base segreta minore. Purtroppo, però, ora che sono lì la sorveglianza è stata aumentata e ci riuscirà difficile liberarli. Non impossibile, ma molto molto difficile. Capisci?
-Sì, capisco benissimo.
-Per coprire l’assenza dei tuoi genitori abbiamo inscenato una vacanza, l’abbiamo fatto un po’ a sorpresa. ecco. In ogni caso Bianca sta controllando e gestendo la situazione come può, sta facendo un ottimo lavoro dal basso delle sue poche possibilità.
Quante volte avrei dovuto ringraziare la Capopalestra per i suoi aiuti? Troppe. E non riuscivo mai a trovare le giuste occasioni per dimostrarmi riconoscente come dovevo e come ero.
-Quindi- riprese Wilson -la situazione ti è chiara e la cara Angie provvederà per tenerti informata sui fatti salienti. Tu non cacciarti nei guai e non provare a lanciarti in un’impresa suicida per liberare i tuoi genitori, perché non ce la faresti mai e l’unico risultato sarebbe rimetterci la tua vita e quella dei tuoi. Ok?
Annuii. Non mi sembravano grosse novità, mi aspettavo qualcosa di più. Ma forse in una situazione del genere quel poco doveva bastare e avanzarmi pure.
-Ele…- mi chiamò Angelica timidamente, a voce bassa. Mi voltai verso di lei, interrogativa. -Per caso vuoi vedere il posto in cui sono rinchiusi?
Ci pensai su, presto preda dell’indecisione. Trascorsero eterni momenti prima che le potessi rispondere: -Credo di no. Non me la sento e forse starei anche peggio.
-Saggia scelta!- rise ancora Wilson, tirandomi una manata che evidentemente voleva essere amichevole sulla spalla. Sobbalzai emettendo una specie di guaito sorpreso, che fece arrossire Angie e ridere ancor più sguaiatamente il vecchio professore. Imprecai mentalmente desiderando di lasciare la sua sgradita presenza.
-Allora siamo d’accordo- balbettò Angelica che voleva riportare un po’ d’ordine. Poi pronunciò le parole che stavo aspettando di sentire da minuti interi: -Possiamo andare?
-Certo, certissimo! Spero di rivederti presto, Eleonora, perché in quell’occasione arriveranno buone notizie!- ci salutò energicamente l’arzillo vecchietto, saltellando via come un personaggio dei cartoni animati.
Sbuffai trattenendomi dall’urlare al mondo l’alleluia. -E tu riesci a sopravvivere con un capo del genere?- chiesi alla mia compagna. Eravamo entrambe mezze sconvolte.
-Più o meno…- mormorò lei. -Quel tizio è lunatico come non so cosa. Hai visto? Passa dal serio e professionale al più stupido e immotivato divertimento! Per non parlare della puzza di fumo: capisci che si sta avvicinando a te quando sta a metri di distanza solo per quel dannato odore. Rende l’aria irrespirabile.
-Più di quanto non sia già così?- ribattei inarcando le sopracciglia.
Angie sospirò con aria rassegnata. -Già.
-Ehi, ehi, ehi! Aspettate!
Wilson tornò sui suoi passi e ci corse incontro, inciampando impacciato per le scale.
“Oh no, ancora lui…” Mi diedi una pacca sulla fronte e poi trasformai il gesto di stizza in un modo per ravviarmi i capelli. Poi rivolta a lui feci: -Sì?
-Bellocchio mentre stavate arrivando mi ha dato un messaggio per te, Eleonora. Ha detto di allenarti un po’ mentre noi lavoriamo per andare a recuperare i tuoi genitori, perché potrebbe chiamarti presto per una missione.






Angolo ottuso di un'autrice ottusa
Ehi, chi si vede! Sono tornata su Not the same story! Non mi aspettavate neh?
Avrei dovuto pubblicare due volte come al solito questo mese, ma purtroppo mi sono ritrovata nel bel mezzo di un blocco. Senza ispirazione né voglia né niente, ho abbandonato NTSS a sé stessa come se potesse scriversi da sola... bah, magari però tornava l'ispirazione nel frattempo.
L'importante è che io sia qui (?)!
Piccola novità: siamo all’incirca a metà storia. Contando sia l’extra che il prologo, la metà ufficiale sarà il prossimo capitolo. Spero di riuscire a completare la storia entro quest'estate, per riscrivere durante le vacanze la prima parte e poi partire in autunno con la terza e ultima parte.
E udite udite! L’ultima pagina di questo capitolo è la 99esima del file della seconda parte, yayyy ahahaha, chissà che non arrivi a 200 pagine per la fine! XD
Bene, penso di aver detto tutto.
Ah no! Vi avviso come al solito di tener d'occhio le uscite del Soulwriters Team: io personalmente ho in corso sia la long maggiore H.O.P.E. che il Giornalino Arcobaleno con la mia carisssssssima Aura. Intorno al 15 febbraio invece ci vediamo come al solito su Minaccia dallo Spazio.
Poi vari ed eventuali, pian piano sto anche riprendendo a recensire.
Detto ciò fatemi sapere se il capitolo vi è piaciuto, a presto!

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Capitolo 15
*** XIV - Le mie guerre ***


XIV
Le mie guerre

 

-Charizard, usa Solarraggio!
Il lucertolone sputafuoco obbedì istantaneamente al comando di Ilenia. Grazie all’effetto di Giornodisole attivo riuscì a caricare la mossa nel minor tempo possibile: Altair fu investita in pieno dal fascio di abbagliante luce color prato e, già stancata da una lotta che andava avanti da troppi minuti con un esito poco prevedibile, barcollò e si abbassò di quota.
Iniziavano a piacermi abbastanza le lotte aeree, peccato che avessi solo due Pokémon a disposizione per provarle. Lo stesso valeva comunque per Ilenia che aveva Charizard e Flygon: il secondo era andato K.O. dopo aver battuto Diamond, il mio Staraptor, grazie ad un unico colpo di Altair. Adesso mi ritrovavo a combattere una lotta assolutamente alla pari.
-Trespolo- borbottai tra i denti. La mia compagna scese a terra appena udì il mio ordine e si riposò, recuperando un po’ di energie. Charizard ne approfittò, non per attaccarla ma per creare l’ennesimo Muro di Fumo, che aveva fatto fallire la maggior parte degli attacchi di Altair. Mi ero dovuta affidare all’infallibile ma inefficiente Aeroassalto che al mostruoso rettile aveva fatto poco meno del solletico. D’altra parte pure l’avversario con i suoi attacchi poco efficaci non era granché avvantaggiato nemmeno ora.
Ilenia notò il mio sguardo, che in quel momento era un misto tra l’annoiato, il seccato e lo stanco. Mi piacevano le lotte aeree, questo sì, ma non stava a significare che quella battaglia mi stava soddisfacendo. Scosse la testa e richiamò Charizard nella sua Poké Ball. Io la imitai senza lamentarmi, dichiarando dentro di me che quella era l’ennesima parità. L’avversaria me lo confermò con un tono di voce giù di corda.
-Quanto mi piacerebbe vincere seriamente una volta tanto…- sbuffai mentre andavamo insieme all’infermeria.
Lei annuì con poco vigore. -Già, peccato che ormai siamo tutti allo stesso livello, noi “guerrieri”… saranno mesi che vinco solo per fortuna con quelli del nostro corso, altrimenti si tratta di sole parità. Altrimenti perdo per un soffio. Con gli altri vinco quasi sempre, almeno…
Per altri intendeva ovviamente le spie, i tecnici e via dicendo chi si trovava nella base e non apparteneva al nostro gruppo di reclute.
-Lo stesso vale per me- ribattei aprendo la porta dell’infermeria. La conversazione cadde nel silenzio mentre le sfere dei nostri Pokémon venivano affidate alle cure dell’infermiera, che ce li avrebbe restituiti di lì a poco di nuovo in forze.
Ci sedemmo sui divanetti rossi. Sentivo lo sguardo di Ilenia addosso a me, un formicolio fastidioso sulla mia fronte abbassata mi informava dello studio accurato che i suoi occhi verdi stavano effettuando sulla sottoscritta. Non riuscivo però a trovare né la voglia né la forza di ricambiare le sue occhiate sospettose, quindi me ne stavo in silenzio in attesa che le preziose Ball di Altair e Diamond tornassero tra le mie mani, la testa infossata nelle spalle e rivolta verso il basso. Ingobbita com’ero non dovevo essere un bello spettacolo, ma tant’era.
-Ele, tutto ok?- riuscì a domandarmi dopo avermi esaminata abbastanza a lungo.
Feci spallucce. -Sto bene. Semplicemente sono molto annoiata dalla routine- risposi più o meno sinceramente, parlando a denti stretti e muovendo appena le labbra. Lei a malapena mi sentì.
-A dir la verità credo che tu non sia proprio in forma- insistette. -Puoi parlarmene se vuoi, penso che sarebbe anche un buon momento per farlo.
Alzai la testa e la guardai. Il suo viso rifletteva un’espressione di seria sincerità ed era visibilmente dubbiosa, nonché preoccupata. -Mi sembra che tutti mi stiano voltando le spalle- sospirai dopo un po’. -Chiara all’improvvisto mi ha abbandonata senza darmi alcuna spiegazione o una possibilità di parlare e rimettere a posto le cose, dimostrandosi per la persona immatura qual è, ma che non volevo riconoscere nella mia migliore amica. Bellocchio non mi fa capire cosa voglia da me e quasi tutti i miei amici se ne fregano del fatto che io sia sempre mogia e annoiata. È come se fossero ciechi, proprio non vedono il mio stato d’animo. Capisci?
Fu Ilenia ad abbassare lo sguardo stavolta. -Forse è perché abbiamo tutti un po’ da fare… gli allenamenti sembrano non finire mai e ci sono sempre corsi diversi, spesso obbligatori, ogni volta si pretende che miglioriamo sempre più. Poi magari siamo impensieriti dalle missioni…
-Vorrei esserlo anche io, ma nonostante mi abbia detto che potrebbe chiamarmi a breve per una missione, Bellocchio non mi ha ancora assegnato nulla- borbottai. -Poi ho una Galladite e non so che farmene perché dice che il Megabracciale o qualsiasi cosa del genere devo meritarmelo… senza che mi dia il modo di mostrarmi “degna di esso”, ovviamente, logico com’è dovevo aspettarmi una prova del genere.
-Mi dispiace, ci sarà un motivo dietro tutto ciò…
-No- sbottai seccamente. -Bellocchio è solo terribilmente incoerente, se non infantile. E lui deve essere il mio - il nostro capo! Mi regala la Megapietra, bene, mi hai fatto credere a una tregua tra noi due e pensavo che volessi aggiustare i rapporti con una recluta che a quanto pare ritieni piena di potenziale… e poi? La tengo in tasca per bellezza, questa biglia colorata? Ma ti sembra normale?
-Non proprio, ma non credo sia giusto accusarlo così pesantemente, dopotutto… se lui è il capo saprà cosa sta facendo, no?- fece lei timidamente. Avrei voluto risponderle no.
Me lo impedii ricordandomi di tutto ciò che mi aveva raccontato Enigma, quindi tenni a freno la lingua sulla quale si stavano accumulando dozzine di insulti e critiche. Ero ormai sicura che Bellocchio fosse diventato il capo solo perché da lui era partita l’idea dell’opposizione al nascente Victory Team, perché avrei potuto elencare tantissimi altri comandanti più validi tra Capipalestra, Superquattro e Campioni. Chi era lui? A quanto pareva non possedeva nemmeno Pokémon, quell’Honchkrow che l’aveva difeso dagli attacchi di Aramis era stato allenato da qualcun altro e messo a sua difesa - lo sapevo perché mi era stato raccontato tempo prima.
-Non so che dirti- dissi infine -ma lui non mi piace per niente.
Prima che lei potesse aggiungere qualcosa, l’infermiera ci chiamò e, sorridendo, ci porse le Ball dei nostri Pokémon. -Ele, allora…
-Devo scappare, ho bisogno di fare una cosa, ci vediamo- la interruppi correndo via, lasciandola sola con un palmo di naso.

Chiusi alle mie spalle con accortezza la porta della biblioteca. L’eco di quel pallido suono riverberò nel silenzio e ad esso si aggiunse il ticchettio dei miei passi frettolosi sul pavimento.
Avevo scoperto la biblioteca quasi per caso, prima dell’inizio del nuovo anno, sbagliando la strada per il posto in cui ero diretta.
Ciò però mi aveva fruttato la scoperta di un luogo magico e meraviglioso: più volte dopo essere uscita mi era stato detto che odoravo di carta, segno delle ore che passavo là dentro, e che avevo gli occhi stralunati e pieni di storie che appannavano il mio sguardo rivolto alla realtà. La cosa non mi dispiaceva affatto, anche perché era l’unica attrattiva che in quel periodo riusciva a distrarmi e farmi stare meglio - o per lo meno farmi dimenticare di tutte le cose che non andavano, ed erano davvero tante.
La biblioteca era grandissima, era più o meno il doppio dell’insieme dei due dormitori. Le straordinarie dimensioni erano dovute al fatto che quello era anche un posto di lavoro, oltre che di svago, per decifrare documenti antichi oppure consultare qualche tomo utile. Inoltre le conoscenze della vera Storia, gli scritti e le opere riguardanti essa, e non le falsità che erano state somministrate al mondo prima di iniziare la guerra, erano oggetto di contesa tra le due fazioni nemiche: molte le avevamo noi ma tante altre erano invece tra le mani dei Victory, che probabilmente avevano intenzione di modificarle e manipolarle per i loro ciclopici progetti.
Ciò che interessava a me però erano i romanzi: essi erano a disposizione di tutti, poiché la maggior parte non servivano a particolari studi sulla Storia o su che altro si combinasse nel retro della biblioteca. “Tanto meglio” mi ero detta quando l’avevo scoperto, poco prima di fiondarmi a leggere il primo libro interessante che mi capitasse sotto gli occhi.
Salutai la vecchina all’ingresso, un’affabile bibliotecaria inchiodata dai reumatismi su una scomoda sedia di plastica, ma un poco esagerata quando si trattava di curare quei volumi vecchi e polverosi. I capelli bianchissimi parevano brillare nella penombra del posto, così poco illuminato. Si riusciva a leggere bene, lì dentro, solo sedendosi ai larghi e spogli tavoli sui quali si trovavano le classiche lampadine da scrivania.
I libri non potevano essere spostati dagli scaffali né portati fuori anche solo per il minimo tempo possibile. Si poteva stare dentro quanto si voleva, ovviamente non durante il coprifuoco, e quando si andava via si chiudeva il libro e lo si rimetteva al suo posto. Se si doveva continuare nella lettura ci si segnava da qualche parte la pagina e il capitolo, poiché il segnalibro non poteva essere usato. Guai inoltre a fare l’orecchio alla pagina alla quale si era arrivati, che il libro si rovinava irrimediabilmente!
Io quel giorno come tanti altri mi rifugiavo volendo un po’ di pace dalla routine, alla ricerca di un’avventura diversa da quella semi tragica che stavo vivendo io e che potesse impegnare per un po’ la mia immaginazione. Magari una storia più tranquilla della mia, o addirittura più movimentata e meno drammatica, assolutamente: ne avevo le tasche piene di tutti quei dispiaceri. Mi sarei fatta ispirare come al solito da un titolo qualunque che avrei trovato così, casualmente, semplicemente scorrendo con lo sguardo i dorsi delle varie copertine sgargianti.
Così sceglievo i compagni che sarebbero stati con me per gran parte dei giorni successivi. Spaziavo tra generi vari e autori di cui non molto spesso ricordavo il nome: preferivo concentrarmi sulle vicende del libro e quasi mai, scegliendo il titolo, mi veniva in mente di scoprire chi fosse l’autore, e nemmeno mi curavo di conoscerlo a lettura finita. Il volume tornava sul proprio scaffale un po’ meno impolverato di prima, in attesa che qualcun altro si accorgesse di esso. A volte mi sfuggiva anche il titolo, ed era un peccato: quando volevo parlarne a qualcuno era una vera impresa tornare in biblioteca a cercare quel volume.
Così anche quella tarda mattinata girovagavo per i corridoi piuttosto bui della biblioteca, della quale apprezzavo tanto l’odore di carta e di legno, così vivo e forte in contrasto con il freddo acciaio e ferro che almeno lì si assentava quasi del tutto. Silenziosamente giravo la testa a destra e a manca in cerca di un titolo affascinante e di un colore che mi attraesse, per quanto poco fossero visibili i colori là dentro e ogni copertina apparisse di sfuggita sempre nera o blu notte. Solo facendo più attenzione si rivelavano essere color prato, bordeaux, porpora, rossicce, marroncine o azzurro polvere, erano una gamma cromatica infinita e varissima che era una gioia per gli occhi.
Sfilai da uno scaffale di chissà quale sezione un libriccino dal titolo e dal nome dell’autore sbiadito, quasi illeggibile. La copertina era ingrigita dal tempo e anche nelle sue condizioni migliori doveva essere stata un colore tenue e sensibile. Non sapevo dire cosa mi avesse attratto per scegliere quel cosino anonimo e piccino.
Non mi preoccupai di decifrare i caratteri recanti quelle informazioni a mio parere abbastanza superflue e, facendo attenzione a non produrre troppo rumore, spostai una sedia dal tavolo vuoto che divideva due lunghe file di scaffali e, con una lampadina là sopra, iniziai a leggere. La carta era particolarmente delicata e fina; quando voltavo una pagina suonava più del normale con rumorini accartocciati, che sospiravano quanto quel libriccino vetusto fosse stato maneggiato e sfogliato più o meno accuratamente.
Le mie palpebre automaticamente si abbassarono di qualche millimetro mentre scorrevano veloci ogni parola, calme e confortate dalla tranquillità del luogo. Assorbivo ogni frase avida di sapere, intanto la vicenda stessa assorbiva me e il tempo scorreva via senza che io ci facessi granché caso. In alcuni momenti avevo dei cali di attenzione, di solito nelle pause tra un capitolo e l’altro, quindi controllavo l’orario sul PokéGear e ripensavo alla lotta di quella mattina presto. Si avvicinava l’ora di pranzo ma io non accennavo a volermene andare, quindi finché il mio stomaco non avesse iniziato ad insultare il libro, avrei continuato imperterrita a leggere.
All’improvviso qualcosa turbò la nuvola di magica ovatta che mi separava dalla realtà, ma inizialmente non ci feci granché caso. A malapena mi accorsi di questo fastidioso qualcosa, lo ignorai bellamente continuando a leggere: ormai il libro si era fatto leggere fino a oltre la metà. Probabilmente era la voce della bibliotecaria che mi intimava di andarmene a pranzo perché doveva chiudere per un’oretta la stanza. E invece la voce apparteneva a qualcun altro.
Mi vergognai davvero tanto pensando di aver fatto una figuraccia, colta così di sorpresa mentre leggevo tutta assorta nella trama del libro, talmente tanto da essermi estraniata dal mondo reale. Infatti un ragazzo aveva cercato di salutarmi, sorpreso di trovarmi lì, forse, e ancor più sorpreso di non sentirmi rispondere.
-Ehm… ehi? Eleonora…?
Mi voltai grugnendo un “Mh?” distratto per ritrovarmi poi ad arrossire violentemente, a chiudere di scatto il libro che schioccò sonoramente, annunciando alle mie povere orecchie che ero tornata sul pianeta Terra.
Oxygen mi osservava con la testa un poco inclinata su una spalla, dubbioso e forse poi un po’ divertito dalla mia reazione improvvisa. Cercando di ritrovare un po’ di contegno e fallendo miseramente come c’era da aspettarsi, balbettai ancora tutta rossa: -C… ciao.
-Mi sa che il libro ti aveva presa parecchio- commentò sorridendo di sbieco. -Ti avevo salutata qualche altra volta prima…
-Oh sì, è piuttosto interessante e intrigante, mi piace molto come si sta svil… vabbè. Che, eh che fai?- chiesi dopo un poco, appoggiando il gomito sul tavolo e nascondendo una guancia con la mano, nel tentativo di non far vedere che ero diventata color Magby.
-Stavo cercando un libro che ho letto parecchi anni fa. Mi era piaciuto e mi è tornato in mente prima, ricordandomi di una scena che mi aveva colpito…
-E l’hai trovato? Come si chiama?
-Credo sia il libro che stavi leggendo tu, ho riconosciuto un’illustrazione…- ridacchiò lui grattandosi la nuca.
Feci una faccia indescrivibile, comica e ovviamente imbarazzata. Le mie emozioni in quel momento erano piuttosto esaltate e fuori controllo.
Glielo porsi con un movimento veloce, quasi sbattendoglielo sul petto stretto. -Tieni, tieni pure. Ah ah ah…
-Cosa? Ma lo stavi leggendo!- replicò lui sorpreso.
-Non fa niente davvero ho tanto tempo per leggere sto qui quasi sempre quindi appena finisci lo riprendo io- ribattei io. Le parole mi uscivano dalla bocca a velocità supersonica e si accavallavano l’una sull’altra, rendendo il tutto appena comprensibile. Mi ricordai di quando pure lui aveva fatto una cosa del genere mentre mi parlava e la mia faccia divenne ufficialmente perfetta per cuocere un uovo all’occhio di bue. Inoltre si trasformò di nuovo in un caldissimo color Magmar.
Oxygen prese il libro indeciso e imbarazzato. Nella penombra i suoi occhiali riflettevano la luce della lampada ed essa mi informò che anche lui, un pochino, era arrossito. Lo stadio successivo, il color Magmortar, stava arrivando molto velocemente.
-Allora, be’… grazie. Leggerò solo il punto che mi interessava, te lo riporto il prima possibile.
-Sì sì, certo- cercai di rallentare le mie parole. -Fai con comodo, sul serio.
Lui annuì senza sapere cos’altro aggiungere. Lo stesso facevo io, storcendo le labbra per impedirmi di ridere nervosa o battere i denti. Ero un caso perso.
-Ehm… ti piaceva davvero, comunque, il libro?- ritentò lui con mia sorpresa, quando ormai credevo che la conversazione fosse bella che finita.
-Oh, sì. È un po’ pieno di descrizioni e non è molto scorrevole, ma la trama è molto appassionante e stranamente i protagonisti mi stanno abbastanza simpatici. Di solito parteggio per i “cattivi” o per i personaggi secondari- commentai. -E poi c’è un’introspezione niente male…
-Già, è vero… descrive molto bene le emozioni dei personaggi, senza eccezioni…
-Forse anche troppo.
Lui sorrise appena. Io iniziai a tamburellare con le dita sul tavolo cercando di fare piano, nella speranza di prolungare ancora un po’ la scarna chiacchierata. Ero però scoraggiata dal fatto che lui non accennasse a volersi sedere e perciò timorosa che, nonostante tutto, volesse solo andarsene. “E poi, perché mai dovrebbe restare qui con me?” pensai in un borbottio rassegnato. “Probabilmente sta aspettando che…”
In quel momento un PokéGear iniziò a squillare. La suoneria era al minimo, ma si udiva comunque benissimo nel silenzio di tomba della biblioteca. Era il suo, e fatalità interruppe il mio pensiero: “che qualcuno lo chiami per qualcosa o comunque ha un impegno tra poco”.
-Oh, non così presto…- borbottò a mezza voce. Mi guardò per un istante, risentito ed imbarazzato. -Mi dispiace moltissimo, ma Kripton mi ha chiamato per preparare un corso che dovremo tenere, che poi, tra l’altro, non siamo nemmeno troppo sicuri di poter aprire… ma vabbè, ci proveremo.- Sorrise appena e abbozzò un cenno di saluto non troppo pronunciato. -Ci vediamo, allora.
-Sì. Ciao, a presto- soffiai quando lui subito si era voltato e frettolosamente andava via, svoltava l’angolo portando con sé il bel libro che speravo di finire a breve.
Chissà se gli dispiaceva davvero.
Intanto la voce seccata della bibliotecaria risuonava per tutti i corridoi, minacciando di una morte atroce il proprietario dell’aggeggio elettronico che aveva turbato la quiete del luogo.
Lo stesso pomeriggio passeggiavo in tondo, senza meta, per la base segreta, aspettando un’illuminazione che mi mostrasse qualcosa di bello e interessante da fare. Mi sarei accontentata anche di qualcosa per lo meno decente, comunque, che mi impegnasse per qualche oretta in attesa dell’ennesima lotta con qualcuno. Avevo le cuffiette nelle orecchie ma non facevo caso alle canzoni che la riproduzione casuale stava scegliendo.
No, facevo la cosa che meglio mi riusciva: pensare. Come al solito, d’altronde. Avevo sempre qualcosa per la testa e non riuscivo proprio a svuotare la mente, mai. Difficilmente non ero impegnata ad elaborare qualcosa su qualunque argomento. Onestamente, pensavo anche troppo, tanto che il confine tra la mia mente e la realtà si assottigliava proprio come quello tra lo stesso mondo reale e quello di un qualche libro.
Questo non faceva che allontanare la Eleonora che viveva giorno per giorno un anno e mezzo circa prima, con i compiti da fare per il giorno dopo all’Accademia e preoccupata per una piccola Swablu che cresceva di livello con immane lentezza e un maschio di Kirlia, mezzo autolesionista, che non accettava il suo femminile gonnellino.
Sospirai. “Non c’è più niente da fare, temo” pensai, non rattristata ma un po’ nostalgica. “Quei giorni sono ufficialmente finiti ormai. Non tornerò mai più la Eleonora di quei tempi, perché anche quei tempi se ne sono andati. Credevo di poterci riuscire qualche mese fa, ma adesso sono successe davvero troppe cose… è cambiato tutto, sono cambiata io in primis. Immagino siano fasi della crescita, fatto sta che ora sono più…”
Com’ero?
“Più matura, sì, indubbiamente; più esperta, anche più riservata, meno ridente e spensierata come mi ero invece ripromessa di essere tempo fa” ripresi nella mia mente, “e non so bene se sia un bene o un male, questa maturità che è aumentata tutto d’un tratto… quando ha cominciato? Forse con la morte di Iris, nonostante io mi fossi detta di essere più felice, ho iniziato a capire quanto sia effimero un istante e come la vita sia fragile? Penso alla Torre Dragospira e al fuoco, a quanto poco ci sia voluto per uccidere sia lei che la Campionessina. È lì che è cominciato tutto? Non ne sono molto sicura…
“No, non è da quel momento che ho iniziato a crescere più velocemente. Non sono state nemmeno le parole di Enigma di poche ore prima, così potenti e profonde e piene dell’esperienza di chi il mondo lo conosce… neanche la paura alla centrale nucleare di Flemminia, dove in ogni momento rischiavo di morire o di essere contaminata irrimediabilmente, o alla vista di Nightmare mentre cercavo di catturarlo e non potevo riuscire a immaginarne la sofferenza. Deve essere stato qualcosa successo a me in prima persona, che mi ha toccata tanto… ah.”
Gli allenamenti di preparazione alle missioni. Da lì, dapprima con lentezza e poi sempre più speditamente, la piccola Ele iniziava a sbiadire.
“Già, sicuramente sono stati quelli” affermai con decisione e anche un poco di riluttanza. “Ho iniziato ad allenare non solo il corpo, ma anche il carattere e… no, addirittura lo spirito no; ma il mio carattere è profondamente mutato, non so se in meglio o in peggio, a partire addirittura da lì, così presto. Sì, mi basta pensare alla reazione sconvolta alla vista delle armi che avrei dovuto adottare, il coltello e la pistola, e nonostante inizialmente mi rifiutassi categoricamente di toccare quelle due cose… prima che iniziasse l’estate gli allenamenti si sono fatti sempre più vari e frequenti…”
Ero arrivata nel dormitorio. Mi arrampicai sul letto e mi sdraiai sopra di esso, cercando di ignorare il vociare di un gruppetto di ragazze poco più lontano. Evitavo di pensare il più possibile a tutti i manichini che avevo infilzato anche con lanci da lontano o con spari più o meno precisi.
Si iniziava con la pistola. I primi tempi la mano, anzi, l’intero braccio tremava a stringere un contatto così stretto con essa, e i colpi erano imprecisi e impauriti. Non ero stata l’unica a entrare in crisi durante i primi allenamenti o a sbagliare completamente mira a causa del tremore, il quale faceva sì che alcuni spari andassero addirittura verso il terreno, non solo molto ai lati del bersaglio.
Alla fine i toni rabbiosi e concitati di Sandra e di altri “professori” imponevano una certa freddezza, un buon autocontrollo - quasi spontaneo, a dir la verità - e anche una precisione non indifferente. Involontariamente ci si impegnava perché non si riusciva più a sentire sempre le stesse critiche strillate nell’orecchio, ci si decideva a farla finita con quei continui fallimenti e errori ripetuti. Si familiarizzava con l’impressionante piccola esplosione che lo sparo produceva nella grossa stanza degli allenamenti e che riverberava mille volte dentro chi aveva premuto il grilletto, con un’eco infinita alla quale l’immaginazione abbinava immagini scandalose di un corpo morto, che chi aveva sparato aveva reso tale con quella maledetta arma.
Ma ci si faceva l’abitudine. I maggiorenni o comunque coloro che erano ritenuti più esperti e responsabili ne portavano una sempre con sé, anche perché spesso uscivano precipitosamente dalla base segreta per più giorni per qualche missione importante e urgente. Io per fortuna non ero costretta a vivere in simbiosi con quella cosa.
Il gradino successivo era il coltello. Dopo un allenamento a pranzo io e tutti gli altri evitavamo di toccarlo e tagliavamo tutto con la forchetta, sempre che avessimo ancora appetito. Quando si iniziava a maneggiarlo l’impatto dell’arma tra le tue mani era ormai stato superato, quello strumento micidiale che le circostanze ti imponevano di riuscire a padroneggiare era ormai dentro di te.
Nonostante ciò, le sensazioni erano molto diverse. Si aveva il coltello dalla parte del manico, già, faceva sentire potenti quando si capiva come usarlo al meglio. Ma io davvero i primi tempi avevo la sensazione che qualsiasi parte di esso fosse offensiva e potesse farmi male. Le mani non tremavano più al pensiero dell’arma, però dopo aver visto ciò che accadeva ai poveri manichini e aver viaggiato giusto un pochino con la mente, umanizzandoli al massimo, qualcuno del gruppo lottava per scappare dalla stanza e andare a piangere dai propri Pokémon o amici in cerca di rassicurazioni. In cerca della mamma, forse.
Eravamo costretti a studiare i punti deboli dell’essere umano, arrivando a ingoiare buona parte dei tomi di anatomia per sapere alla perfezione dove colpire e come. Agli inizi, agli allenamenti di quasi un anno prima, io lo facevo per autodifesa e nella lotta libera mi tornavano molto utili quei saperi. All’idea di rispolverare tutto quanto non per difendermi o per mettere momentaneamente fuori gioco l’avversario, ma per ucciderlo davvero, mi sentii piuttosto male. Così non eravamo tanto diversi da assassini, non sapevo più nemmeno se le nostre fossero buone cause e non riuscivo a perdonarmi per quello che stavo facendo.
“A saperlo mi facevo rinchiudere nei sotterranei insieme ad Angelica” pensai rigirandomi tra le mani la Poké Ball di Altair. Il battito che percepivo era regolare e tranquillo come al solito.
Mi raggomitolai su un fianco e mi ritrovai a pensare a Oxygen.
Ormai non potevo più nascondermelo, quel ragazzo con il tempo - e non ci aveva messo neanche troppo - aveva sortito una fortissima impressione su di me. Senza costringermi a troppi giri di parole, ero come minimo cotta di lui. “Innamorata” era una parola che riuscivo ad accettare a malapena, non sapevo cosa significasse né che si provasse quando lo si era realmente. Forse con questi presupposti non avrei mai capito cosa fosse l’amore vero perché mi sarei aspettata sempre qualcosa di più, ma ero ancora “piccola” per capire, almeno allora. “Se la guerra non mi vorrà togliere di mezzo troppo presto” pensai, “lo capirò, me lo prometto. E stavolta terrò fede.”
Già durante le prime lezioni mi aveva colpito quel suo aspetto così delicato e i suoi modi di fare, era pacato e gentile ma ci sapeva fare come insegnante, sia perché era un ottimo Allenatore, sia perché individuava subito gli errori che commettevamo un po’ tutti. Sapeva dare consigli, era un vero esperto, ma non biasimava duramente come invece faceva quel menefreghista antipatico di Argon.
Quindi già come professore mi piaceva molto e aspettavo ogni volta con ansia le sue lezioni; poi scoprire che aveva un Altaria cromatico mi aveva ancor di più impressionata, e quello aveva segnato un punto di non ritorno da quella duratura simpatia. Altair invece, stranamente, se l’era fatto passare, quell’interesse alla vista di un Pokémon della sua specie tanto particolare.
Mi piaceva Oxygen perché era una bella persona, dentro e secondo me anche fuori. Non mancavano le prese in giro che le ragazze rivolgono a tutti i professori, nessuno escluso, perciò a volte mi ritrovavo costretta ad ascoltare, furente, le critiche sul suo naso un po’ aquilino, sulla pelle chiara da albino e sugli occhiali troppo grandi che, a detta loro, coprivano metà del suo bel faccino “spigoloso”. Cosa avesse di spigoloso io non lo avevo ancora capito: forse intendevano dire che essendo fisicamente mingherlino aveva il volto molto magro, ma a me non pareva affatto un motivo plausibile per scherzarci sopra.
Già, per me non esisteva alcuna ragione per prendere in giro qualcuno che mi piaceva così tanto. Ero innamorata della sua cortesia e sensibilità, del suo tatto e di quegli occhi azzurri, chiari e limpidi: mi mandava in confusione qualsiasi sua occhiata, leggermente vitrea e all’apparenza sempre persa nel vuoto. “Starà guardando me? È così? Che devo fare?” mi chiedevo dubbiosa ed emozionata. Quando mi si avvicinava di poco, anche per poi passare oltre per aiutare qualcuno durante una lezione, mi comportavo in maniera innaturale ed ero tesissima. Mi domandavo cosa convenisse dire e fare in sua presenza, per suscitare una buona impressione e fare in modo che la mia immagine, della quale ero tanto insicura, rimanesse impressa nella sua mente almeno per un po’. Che non si dimenticasse di quella Eleonora che come lui aveva un’Altaria e che amava lottare, che pur di rimanere in un grande gruppo di persone simili e diverse da lei, in cui potesse sentirsi utile a qualcosa e nel quale si sentiva almeno un minimo realizzata, aveva sopportato lezioni con armi e altre mille faccende sgradevoli.
Perché non sempre ero contenta e soddisfatta di ciò che mi toccava fare, no, anzi: la maggior parte delle volte ero costretta a stringere i denti e cercare di convincermi che, tanto, in altri ruoli mi sarei sentita inadeguata e poco capace. Che magari agli altri andava anche peggio e che, in fin dei conti, era meglio sopportare la fredda esplosione dentro me stessa all’udire lo scoppio dello sparo di una pistola, anziché ridurmi a un esserino accartocciato e ingiallito che non vedeva mai la luce del Sole, come Angelica nei sotterranei.
Quel giorno mi aveva salutata e aveva voluto parlare un po’ con me: era un buon segno o, siccome stava aspettando la chiamata dal fratello Kripton, doveva solo perdere del tempo in giro e io ero stata l’unica a capitare al momento giusto? Non sapevo dire se fosse stata interessante, per lui, la conversazione. La maledetta penombra della biblioteca non mi aveva permesso di vedere bene i suoi meravigliosi occhi, solo quel poco di rossore sulle sue guance, che poteva benissimo essere dovuto all’imbarazzo visto il mio comportamento impacciato. Ero davvero così visibilmente in fibrillazione ogni volta che lui si avvicinava? O la sorpresa di essermelo ritrovato al fianco mi aveva fatto quasi saltare dalla sedia e arrossire come una bambina?
“Non ho autocontrollo…” mi lamentai tra me e me, schiacciandomi buffamente il cuscino sul naso.
Potevo pensare a mille momenti in cui sembrava interessato e al contempo poteva benissimo non fregargliene nulla di me. E poiché non solo mancavo di autocontrollo, ma anche di autostima, non accettavo alcuna idea del tipo “Ehi, ma ti ha guardata parecchio a lungo senza un vero motivo! Forse qualcosa sotto sotto inizia a provarlo pure lui! Magari un po’ gli interessi, ti sei fatta notare!”.
Quando qualche pensiero del genere si insinuava nella mia mente da depressoide pessimista cosmica - mi facevo un po’ pena per questo, lo ammettevo senza problemi sentendomi ancora peggio - mi veniva da ridere e mi rispondevo: “Sì, come no. Sono una persona così piena di qualità, nevvero?”.
Dovevo avere qualche serio problema, ero giunta a questa conclusione da tempo. Mi serviva qualcuno che mi rassicurasse, mi mostrasse qualche mio punto di forza del quale potevo andar fiera e che mi rendesse in grado di riprendere a camminare a testa alta, non desiderando di passare inosservata e di essere lasciata in pace.
Iniziavo a credere che fosse anche una sorta di forma di egocentrismo il mio, quel bisogno di isolarmi da tutti, nella speranza però che qualcuno si ricordasse di me e notasse che avevo bisogno di qualcuno e qualcosa. Non capivo cosa mi stesse succedendo, ero cambiata davvero così in peggio?
Ormai ero scoraggiata, mi chiedevo se fosse ancora possibile tornare indietro e recuperare la spensieratezza di un solo anno prima. Ma poi una voce profonda, grave e soprattutto triste mi rammentava che no, potevo provarci quanto volevo, ma era evidentemente una battaglia persa. Tanto valeva arrendermi e risparmiarmi pesanti dispiaceri - come se non ne avessi già abbastanza.
Nonostante tutto ci provavo, silenziosamente e timidamente dentro di me, continuavo a cercare uno straccio di ingenua felicità che potesse farmi sorridere per ore e non per pochi istanti isolati. Da qualche parte doveva essere, ben nascosto dalla voce che mi consigliava di lasciar perdere tutto.
Ero una combattente anche in questo, non era solo un lavoro il mio ma anche un modo di essere. Peccato che anche la me contro cui lottavo fosse una potentissima guerriera, irremovibile e ben radicata nel mio essere, ormai. Ero diventata terribilmente cocciuta e ostinata.
Una cosa per me era certa: stavo combattendo troppe guerre e non sapevo dire quale fosse la più dura. Erano tutte onnipresenti e non potevo allontanare i miei pensieri da una sola di esse neanche per un secondo, i miei sonni erano agitati dalla fredda e rauca risata di Cyrus, dalla voce dentro di me che mi intimava di arrendermi e dallo sguardo tranquillo e cauto di Oxygen. Ero stanca, le occhiaie deformavano la mia espressione e mi sentivo un guscio vuoto tra le mani di Bellocchio, il mio burattinaio.
Strinsi i pugni. Non c’era bisogno di ricordarmi quanto fossi stanca, annoiata, irrimediabilmente triste e anche parecchio frustrata. Ero anche innamorata, arrabbiata e traballante sulle mie gambe.
La guerra contro i Victory mi faceva infuriare, mi riempiva del più puro odio e disumano desiderio di vendetta, che mai avrei creduto fosse possibile provare in prima persona. La cosa però non mi stupiva più, mi ero resa conto di queste emozioni che provavo nei loro confronti e mi convincevo che era questo ciò che avevo dentro, non potevo e non volevo negarmelo. Mi avevano portato via una vita felice e senza rischi, la mia casa, i miei genitori, gli amici di Nevepoli; anche la perdita di Chiara era una conseguenza dell’impegno che mettevo per combattere contro di loro. Non ero sicura che aver trovato i Pokémon e la mia squadra fosse una sufficiente consolazione a ciò che mi toccava sopportare.
Quella con me stessa mi stava distruggendo. Ero sul sottile confine che divide la voglia di lottare ancora e l’arrendersi all’evidenza, alla battaglia già persa che testarda mi ostinavo a continuare, non facendo altro che ferirmi ulteriormente e provocando in me ulteriori dispiaceri e problemi. Ero una stupida che si aggrappava alla speranza che ci fosse ancora la vecchia sé stessa, migliore di quella di quel periodo. Forse lei si sarebbe sostituita alla Eleonora peggiore e avrebbe fatto sì che le proprie qualità emergessero, che Oxygen si innamorasse di lei e che la rendesse ancor più felice.
Già, Oxygen. Un’altra guerra…
“Oxygen, tu verrai a salvarmi?”





Angolo ottuso di un'autrice ottusa - del quale non ricordo il colore, spero di averlo azzeccato.
Oh sono tornata! Non mi aspettavo di pubblicare questo mese, ma mi sono fatta forza e diciamo che mi sono sbloccata. Ma è tutto da vedersi ancora. Ho intenzione di allungare ulteriormente i capitoli tanto per darvi noia per migliorare alcune cose che credo ci sia bisogno di affinare.
E vabbè niente, la nostra Ele è innamorata follemente di Oxygen ma è troppo testarda per ammetterlo, lui invece è ambiguo e Bellocchio non si capisce cosa voglia. Spero vi piaccia questo quadretto poco felice che si svilupperà ulteriormente nei prossimi capitoli :P
Siamo al quattordicesimo capitolo, ufficialmente a metà storia, credo, contanto anche il prologo e l'extra che arriverà tra qualche capitolo. A breve cambierò un'altra volta l'impaginazione della storia perché questa non mi entusiasmava già prima molto, ora ne ho trovata una migliore - simile a quella della mia nuova bio - che mi piace di più, perciò quando non mi sveglierò pigra la cambierò.
Credo di aver finito. A presto!
Ink

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Capitolo 16
*** XV - Il più grande ***


XV
Il più grande

Strani mormorii correvano per i corridoi della grigia base segreta agli inizi di settembre. Era ormai passato ufficialmente più di un anno dal mio arrivo lì, dal crollo dell’Accademia e quant’altro. Il tempo alle volte non mi aveva dato tregua e aveva lasciato scorrere via i giorni senza che me ne accorgessi nemmeno, in altri periodi gli orologi, per la mia percezione almeno, si arrestavano o rallentavano bruscamente la loro camminata in tondo.
Queste voci che giravano liberamente di bocca in bocca, modificandosi a seconda dei gusti della persona che le riceveva, segnarono l’inizio di un periodo che scivolò via dalle mie mani con estrema velocità e l’inverno tornò presto - non che ci fosse tanta differenza con l’estate, chiusi dentro la base segreta: cambiavano i comportamenti delle persone e il loro abbigliamento quando uscivano per una missione, questo sì, ma per il resto si conduceva sempre la solita vita e le abitudini rimanevano immutate. Inizialmente pensai che quel periodo fosse iniziato schifosamente, tanto per cambiare la mia eccezionale vita; poi però qualcuno da lassù decise di concedermi un po’ di respiro e mi donò una piacevolissima ventata d’aria fresca, quella che aspettavo da tanto tempo. Avrei dovuto aspettare ancora un po’, però avvertii un presagio che mi fece tantissimo piacere.
L’unica cosa che c’era di sicuro nelle voci di corridoio era che a breve alla base segreta sarebbe arrivato un ospite nuovo, speciale. Non mi curai assolutamente di saperne il nome, perché tanto ognuno lo cambiava in quello che più lo aggradava, perciò mi accontentai di sapere che la novità c’era e che il resto sarebbe arrivato da sé. Non rinunciai a parlarne, però, con le amiche più o meno strette, come Ilenia, Sara, Camille e Cynthia. Molti altri come Daniel avevano deciso, come me, di ignorare i nomi proposti e aspettare. Avanzarono, tutte abbastanza insicure, i nomi di qualche grande Dexholder o altri a me sconosciuti ma potenti Allenatori. Qualcuno mi pareva plausibile, altri no. Ma proprio la persona, proposta da Ilenia, che più mi pareva impossibile vedere lì alla base segreta, ci degnò di una visita sorprendentemente lunga e utile.
Bellocchio addirittura pareva allietato dell’arrivo di questo ospite. Il suo umore migliorò visibilmente e io lo insultai con pesantezza per il suo crogiolarsi nella sua contentezza, mentre io continuavo la solita deprimente vita, in attesa che lui si risvegliasse e mi desse qualcosa da fare: ero scocciata come non mai, avevo bisogno di uscire e provare qualche emozione. Siccome però passavano i giorni e lui non mi faceva sapere nulla, né a proposito del Megabracciale per la Galladite, né per quanto riguardava le missioni, decisi di prendere in mano la situazione e mi feci avanti. Durante le prime ore del pomeriggio, un giorno, bussai con impazienza alla porta del suo ufficio e, nonostante sentissi un attutito vociare proveniente da esso, nessuno mi invitò ad entrare. Prima di aprire la porta senza farmi problemi, riprovai a battere più forte sulla porta di ferro e quella si aprì.
Bellocchio, stranamente, aveva abbandonato il suo trono e si era alzato per farmi entrare. Non parve sorpreso né turbato di vedermi così all’improvviso, ma nemmeno mi salutò veramente: stava infatti parlando ancora con il suo interlocutore e la conversazione, evidentemente, doveva interessarlo. -… sì sì, entra- mi disse soltanto con una vaghezza che mi risultò ovviamente fastidiosa, per poi riprendere: -E quindi che stavo dicendo? Ah, ecco! Se hai bisogno di qualcosa puoi chiedere a chiunque, anche a lei, la base segreta la conosce benone- diede una pacca poco energica sulla mia spalla mentre io, con un’espressione interrogativa, mi chiedevo chi fosse la persona con cui parlava e che cosa c’entrassi io così all’improvviso. Infatti quello che doveva essere un ragazzo, vista la grande quantità di capelli castani arruffati sulla testa e l’abbigliamento giovanile, era seduto sulla poltroncina davanti la scrivania di Bellocchio. Non si interessò della nuova arrivata che ero io.
Il mio amatissimo capo mi bisbigliò all’orecchio con fare confidenziale: -Aspetta un attimo qua in disparte, per favore-, poi tornò dall’ospite. -Non so quanto tu abbia intenzione di restare qui, ma sai che la tua presenza è assolutamente ben accetta e più vorrai rimanere, meglio sarà per tutti noi. Sarai sicuramente una scarica di motivazione e forza in tutti i presenti nella base, te lo garantisco!
-Sì, immagino- replicò semplicemente il ragazzo, con voce annoiata, alzandosi e voltandosi.
Non era molto alto ed era piuttosto magro: mi impressionò il suo volto pallido e leggermente incavato, non da persona malata però. La sua espressione era del tutto particolare e non riuscii a descriverla, non l’avevo mai vista sul volto di nessuno. Le palpebre calarono un po’ sugli occhi nocciola appena incontrarono la mia figura, per studiarmi velocemente e poi tornare a posarsi su Bellocchio. Abbassai un attimo lo sguardo e mi accorsi che c’era uno zaino per terra, accanto alla sedia su cui sedeva fino a poco prima. L’abbigliamento casual composto da jeans e giacchetta di pelle nera, molto fuori moda, gli dava un’aria sbarazzina che però non riconoscevo nel suo fisico, che avrei definito malandato. Inoltre la sua particolare espressione non era quella di un ragazzo, anche se i suoi vestiti suggerivano un’età attorno ai diciott’anni massimo. A guardarlo meglio mi stupii molto di ritrovarmi a fronteggiare un adulto in tutto e per tutto, con la barba giusto un poco lunga e tagliata con poca cura, irregolare. Doveva essere sui trent’anni ormai. E dire che mi aspettavo un ragazzetto.
-Grazie mille, Bellocchio- disse dopo avermi lanciato un’altra breve occhiata. -Puoi dirmi dove devo andare per sistemare la mia roba?
-Ti aiuterà lei! Si chiama Eleonora- mi presentò Bellocchio, senza però dirmi come si chiamasse quell’uomo. -Sai dove si trovano gli alloggi dei Capipalestra, vero?
-Sì, nel corridoio B, se non sbaglio…
-Non sbagli. Appena hai bisogno sai dove trovarmi!- proseguì lui rivolto all’ospite.
Cercai di fermarlo prima che ci sbattesse fuori dalla porta: -Aspetti, Bellocchio, volevo chieder…
L’uomo gentilmente ci spintonò fuori dal suo ufficio e si chiuse dentro di esso.
-Siamo sempre alle solite…- brontolai non poco seccata. Mi girai di trecentosessanta gradi ma scoprii di essermi persa il mio turista. Attonita e preoccupata di sapere dove si fosse cacciato, aguzzai lo sguardo e lo vidi prossimo a sparire nella penombra del corridoio, diretto verso l’ingresso. -Ehi! Aspetta!- lo richiamai.
Lui nemmeno si girò, ma gli corsi dietro e lo raggiunsi subito. -Che cosa pensi… pensa, di fare?- decisi di dargli del “lei” visto che doveva avere quasi due volte la mia età. -Dove sta andando?
-Al corridoio B- ribatté lui seccamente.
-Sa dov’è…?
Lui mi rivolse l’ennesima occhiata indecifrabile. La cosa che mi seccava era che non era nemmeno, appunto, seccata, ma totalmente inespressiva. -Ci sono scritte le lettere dei corridoi all’ingresso- rispose.
-Ma non c’è una sola porta per ogni via. Ad esempio, il B ha anche la biblioteca e altre stanze riservate, essendo tutte uguali non è impossibile non sbagliare…
Non sentendo alcuna risposta né il formicolio dei suoi occhi privi di emozione su di me, capii che non aveva intenzione di parlare ancora. Sospirando il più rumorosamente possibile, proseguii: -Comunque, io sono Eleonora, Bellocchio glielo ha già detto. Lei invece è…?
-Strano incontrare una persona che non mi conosce in questo mondo…- fece lui vago. Iniziava ad essere presuntuoso, il tipo. Prima che potessi replicare aspramente, lui proseguì: -Sono un Allenatore e dovrò rimanere qui per aiutare sia voi “allievi”, sia l’organizzazione stessa. Sarò una specie di maestro e alleato.
-Oh, ehm… io volevo sapere il suo nome.
Lui mi guardò stavolta. Ricambiai la sua occhiata e mi venne da pensare che non avesse voglia di rispondere. Ero in realtà un po’ imbarazzata da questa sua resistenza e perciò mi chiesi se non fossi un po’ indiscreta. Non sapevo proprio se sentirmi io invasiva o considerare lui uno scemo - anche perché gli avevo semplicemente chiesto il nome, non mi sembrava niente di che. Era un personaggio strano e anche abbastanza odioso. Decisi di lasciarlo perdere, quindi, e dargli le ultime direttive a voce per potermene andare. Volevo tornare da Bellocchio per parlare finalmente di ciò che mi interessava. -La porta giusta- gli dissi quindi, fermandomi -reca il numero quattro, è sulla destra. Immagino che per il resto potrà farsi aiutare dai suoi nuovi colleghi- conclusi con ferma acidità. Mi stava dando abbastanza sui nervi e volevo informarlo della mia antipatia. -Arrivederci.
Lui annuì senza salutare. Mentre giravo i tacchi e lui si avviava, però, disse: -Io sono Rosso.
Ci misi qualche secondo a realizzare quelle parole, che arrivarono alle mie orecchie come a rallentatore. Sulle prime quel nome non mi disse niente; poi, tempo pochi secondi, rividi nella mia mente Ilenia che con un gridolino eccitato esclamava: “Secondo me l’ospite speciale è Rosso! Solo lui può essere!!”.
-Tu sei il Campione Rosso…!- esclamai voltandomi di scatto verso di lui, già pronta a corrergli incontro per un motivo che non sapevo nemmeno io. Forse me lo immaginai, ma mentre la porta si chiudeva ancora prima che partissi, mi parve di sentire un secco e annoiato: -Sì, sono io-. Non presi a bussare né a gridare come una ragazzina isterica “Esci subito fuori da lì!!” perché non avevo nemmeno un vero motivo per vederlo ancora un po’. Piuttosto corsi da Bellocchio come avevo intenzione di fare già da prima, ma dimenticandomi completamente delle mie vecchie intenzioni e desiderosa di sapere di più su quel Rosso. Volevo capire cosa lo avesse spinto ad abbandonare il suo amato Monte Argento, sul quale a quanto pareva era stato benissimo per anni e anni di solitudine. E perché era proprio lì, con centinaia di ragazzi pronti ad assalirlo pur di toccargli i vestiti o quel po’ di barba mal rasata, o rubargli le Poké Ball dei suoi potentissimi Pokémon?
Era del Campione per eccellenza che si parlava, il più forte in assoluto, il più famoso al mondo. La sua figura intanto era diventata poco meno che leggenda: esiste davvero, chi è davvero lui, ci sarà morto alla fine sul Monte Argento? A quanto pareva no, era vivo - forse un po’ poco vegeto, con quell’aspetto emaciato e malaticcio - ed era anche alla nostra base segreta per… sarebbe stato il nostro insegnante! A malapena ci credevo: era il più grande, Rosso, il migliore! Avremmo avuto l’onore di ammirarlo in battaglia, con il suo famoso Pikachu, a quanto pareva più forte del normale tra quelli della sua specie, e il resto della sua squadra con gli starters di Kanto e gli altri membri dalla dubbia identità. Mi pareva così impossibile! E mi era pure parso antipatico…
“Oh. No.”
Mi bloccai e arrossii fino al collo. Cercai di proibirmi di prendere a testate il muro, ma niente m’impedì di tirare un pugno alla parete. Impegnata com’ero ad insultarmi non mi preoccupai del dolore, che comunque non era forte - sicuramente non più delle imprecazioni che mi stavo rivolgendo, quelle sì che facevano male. Che razza di impressione dovevo avergli fatto con quelle mie parole, stizzite dal suo atteggiamento? Ero stata molto chiara nei miei comportamenti e doveva aver capito senza troppi problemi che mi stava ampiamente sui cosiddetti. Mi stavo inimicando Rosso, il più potente Maestro Pokémon, mostrandogli il lato più permaloso e polemico di me. Ero stata così stupida, potevo cercare di fare buon viso a cattivo gioco; invece ora mi toccava fare di tutto al più presto per rimediare, altrimenti mi avrebbe dato filo da torcere, ne ero sicura. Quegli occhi marroni mi davano l’idea di una personalità che non la fa passare liscia quando si commette uno sbaglio. Bene, alla prima lezione - se di questo trattava la sua presenza - sarei stata un’ottima candidata da umiliare, molto probabilmente.
Bussai alla porta dell’ufficio di Bellocchio con calma rabbiosa, intimandomi di stare calma e di non esplodere. In quel momento mi sembrava un po’ difficile. La voce del direttore mi invitò a entrare, ma quando i suoi occhi scoprirono che ero io ad aver bussato, la sua espressione mi chiese calorosamente di evaporare.
-E tu che ci fai ancora qui?- chiese con un filo di voce a causa dello stupore. Probabilmente la mia faccia furente non aiutava. Si agitò sulla poltrona squadrandomi perplesso.
-Rosso.- dissi a bassa voce. -Rosso, Rosso- ripetei più volte, ogni volta aumentando di volume il tono della voce. Inutile dire che mi ritrovai ben presto a strepitare il suo nome, mentre Bellocchio studiava attonito quell’eccesso di rabbia. -Perché non me l’ha detto prima, Bellocchio?! Che aveva in testa quando era il momento di avvertirmi che, oh, quel tizio antipatico come pochi è l’Allenatore migliore del mondo…
Bellocchio aveva palesemente capito che il mio amabile caratterino non si era contenuto nemmeno in presenza di quell’ospite speciale. -Ma la colpa- feci improvvisamente calma, ma imperiosa, intuendo i suoi pensieri -non è mia. Se lei mi avesse avvertita mi sarei comportata meglio.
-No, non credo l’avresti fatto- replicò lui con stupita tranquillità.
-Invece sì!
Lui sospirò prima di proseguire: -Tanto si sarà già dimenticato di te, non è proprio tipo che si preoccupa di portare rancore o serbare vendetta. Non credo gli interessi granché dei suoi futuri allievi, visto che se n’è fregato del mondo per vent’anni…
Strabuzzai gli occhi incredula. -Vent’anni addirittura?!
Bellocchio annuì con serietà. -Ha il doppio della tua età. Almeno trentadue anni insomma. Quando ha iniziato il suo viaggio per Kanto era un bambino, aveva dieci anni da poco compiuti, e dopo neanche un anno ha sconfitto l’altro Allenatore prodigio della sua regione, il suo rivale Blu, che prima di lui era arrivato alla Lega e aveva conquistato il titolo di Campione. Sul più bello però ha deciso di non rinchiudersi all’Altopiano Blu, ma di andare a esplorare il temibile Monte Argento, famoso per la gran quantità di Pokémon molto forti. Era un luogo rinomato tra i grandi Allenatori perché era un ottimo posto in cui perfezionarsi e potenziarsi ulteriormente…
-… ed è rimasto isolato lì- completai io il discorso -fino a poco tempo fa. Da quando aveva poco più di undici anni, non ha più visto nessuno né si è fatto vedere. Giusto?
Bellocchio me lo confermò con un cenno del capo.
Mi lasciai cadere sulla sedia. -Ma è inconcepibile!- esclamai.
-Lo so, anche per me è assurda l’idea di fare l’eremita sulla cima di un Monte in mezzo a una bufera perpetua- disse l’uomo. -Ma a dire la verità, trovo addirittura più incredibile che abbia deciso di andarsene per venire tra di noi, vuole aiutarci davvero. Conoscendo un personaggio come lui, solo per la sua storia ovviamente poiché non l’ho mai incontrato prima, mi aspettavo che le voci che lo riguardavano pian piano sparissero, insieme a lui stesso d’altra parte, con la sua stessa morte. Ero sicuro che non sarebbe sopravvissuto a lungo…
-Infatti, come ha fatto a sopravvivere là sopra…?
-Non chiedermelo, Eleonora, perché non ne ho idea. Ma il fatto che sia qui, che abbia lasciato la sua vecchia vita per noi, per venire in nostro aiuto in una guerra che non finisce mai…
Bellocchio era visibilmente compiaciuto, se non eccitato dalla presenza di Rosso. Mi tornarono in mente per l’ennesima volta le parole di Enigma e le riconobbi nel suo comportamento. Bellocchio era una persona ambiziosa e incoerente, iperattiva, impossibile da soddisfare: ora che nei suoi piani, nella sua organizzazione, si era fatto vivo Rosso, qualcosa in lui era rinato. Le cose in quei momenti gli andavano per il meglio ed era pieno di buonumore. Mi resi conto che dovevo approfittarne per le mie richieste, che solo allora mi ricordai.
-Sento che grazie a lui, tutto questo finirà a breve.
-Lo sento anche io- replicai, cercando di arruffianarmelo un po’.
Stupito, continuò: -Davvero? Ne sei sicura?
Annuii con esagerata convinzione, tanto lui era troppo emozionato per farci caso. Parlammo per un po’ della grandezza di Rosso e delle sue abilità che entrambi conoscevamo - che io esaltai giusto perché mi faceva comodo, manco le conoscevo - e lui mi confessò che da tanto sperava nel suo arrivo, perché credeva che solo lui fosse capace di poter combattere il Victory Team anche con poche armi, anche colpendo direttamente al suo cuore, senza prima indebolirlo come stava tentando di fare da anni.
“Rosso sarà la sua arma preferita” pensai. “Ed è quella che stava cercando da tempo.”
Quando mi resi conto che la conversazione si stava avviando verso una conclusione, mi decisi a parlare, sicura che ormai Bellocchio non ci vedesse più dalla contentezza. Gli chiesi con un tono e un’espressione che avevo prima esercitato, nella speranza che risultassero convincenti e irresistibili, se avesse in mente per me qualche missione e se fosse il caso di mettermi alla prova decisivamente - e finalmente - per ottenere il Mega-qualcosa, che aspettavo da tanto per poter usare la Galladite che mi aveva dato. Il buonumore lasciò poche tracce sul suo volto quando capì le mie intenzioni. Dopotutto non era uno stupido e non dovevo sperare troppo, perché nonostante fosse molto emozionato era pur sempre un preparatissimo agente della Polizia Internazionale.
-Per quanto riguarda la tua prossima missione, è vero che sei ferma da troppo tempo- ammise suo malgrado. -È molto difficile incastrarti in qualche spedizione, sto cercando di fare la scelta migliore per ciò che ti devo assegnare… Ho intenzione di essere assolutamente sincero con te. Di esplorazione non se ne parla, devo farti fare qualcosa in cui puoi dimostrarmi un’altra volta la tua lealtà. In questo modo otterrai anche il tuo Megabracciale.
Annuii. Approfittando di una sua pausa, gli proposi: -Non posso scegliere io tra qualche missione?
Lui inarcò impercettibilmente le sopracciglia fin troppo folte. -Non saprei. L’idea non mi piace, ma è una delle poche scelte che ci rimangono.
-Pensa di non potersi fidare di me, Bellocchio?
Alzò lo sguardo. -Non lo so.
In seguito a quella risposta annuii un’altra volta, non sapendo cosa aggiungere, sorridendo amaramente. Rimanemmo in silenzio per un po’, titubanti. Volevo andarmene, adesso che sapevo che iniziava a muoversi. Però mi sembrava che mancasse qualcosa al suo discorso, quindi mi costrinsi a restare ancora.
-C’è qualcosa che potrei farti fare…- mormorò dopo aver sfogliato uno dei suoi innumerevoli taccuini, rilegato in pelle rossa e scritto fitto fitto in blu o nero. -Tra dieci giorni farò partire tre ragazzi per Kalos e sto cercando un quarto membro, e magari anche un quinto, per una missione molto importante. Se accetti e le cose vi andranno particolarmente male, ve la dovrete vedere con Elisio, uno dei comandanti del Victory Team. Che te ne pare?
-Non so in cosa consista questa missione, ma accetto- dissi con fermezza. -Avrò il tempo di assistere a qualche lezione di Rosso prima di partire?
-A una sola, temo, che ci sarà poco prima della missione. Sarà lui stesso a fissare il giorno e l’orario, perciò tieni d’occhio il programma all’ordine del giorno come al solito.- Richiuse con uno schiocco secco il taccuino e intrecciò le dita delle mani davanti la bocca, a mo’ di preghiera. -Era da tanto che aspettavi?
-Anche troppo- replicai mentre mi alzavo.

Come Bellocchio aveva promesso, la prima lezione tenuta da Rosso ebbe luogo cinque giorni prima della mia prossima, agognata missione. Era rivolta solo alle reclute, in altre occasioni avrebbe aiutato anche le altre categorie - o per lo meno si sarebbe presentato. Non credevo fosse preparato in altre cose oltre la lotta e l’esplorazione, e difatti non lo era. Meglio per noi, insomma.
Quella lezione mi ricordò molto anche la prima tenuta da Oxygen, Argon e Kripton, in cui più che altro i tre si presentarono e fecero qualche domanda sullo stile di lotta di ognuno. Rosso aveva ottenuto proprio da loro un’analisi più o meno dettagliata di ogni studente e dei comportamenti durante una lotta. C’ero anche io in quell’elenco e Oxygen stesso si era occupato di scrivere qualcosa su di me, visto che era stato lui a farmi quella specie di intervista… il solo pensiero mi emozionava. Mi portava a chiedermi se si ricordasse di me e la risposta si sdoppiava: in una depressa “Certo che no, perché mai dovrebbe?” e in una più ottimista, che avrei definito degna di Angelica: “Credo proprio di sì, cara!”. O qualcosa del genere.
Perciò quella mattina eravamo tutti riuniti in un angolo della stanza, Rosso era schiena al muro a sfogliare quei fascicoletti con la sua tipica aria disinteressata. Le persone dietro spintonavano per poter vedere meglio, in preda a una famelica emozione, il Campione che avrebbe tenuto la lezione. Quelli davanti ovviamente non si smuovevano di un millimetro e a noi nella fascia centrale toccava subire. Dopo un po’ Rosso si accorse che doveva tenere una lezione e che non poteva far finta di leggere le descrizioni di ogni suo futuro studente. Perciò chiuse di scatto il libriccino e si alzò in piedi. La piccola folla iniziò a fremere di eccitazione, come c’era da aspettarsi. Credo che ci avesse scrutati tutti più o meno attentamente, o forse si limitò a chi era nelle prime file. Io però avevo la visuale coperta e potevo solo immaginare che si muovesse, o come minimo respirasse.
-Chi si offre volontario?
Quella domanda dapprima fece fremere ancor di più gli animi già caldissimi, che finalmente sentivano la voce profonda e virile del grande Campione. Ma poi spiazzò.
“Che razza di domanda è?” mi chiesi. “Volontario per cosa? Che si deve fare?”. Sì, era proprio un ottimo modo per iniziare la lezione.  Mi domandai se ci fosse qualcuno tanto spavaldo che si riteneva anche all’altezza della situazione, che poteva sostenere i primi momenti al fianco, forse, di Rosso. Spalancai gli occhi quando vidi alzarsi una mano tra le prime file e rimasi a dir poco basita quando qualche mormorio mi informò che quella mano pallida apparteneva a Daniel. Non seppi più cosa diavolo pensare di quel ragazzo.
Rosso ordinò alla folla di disperdersi lungo il perimetro di uno dei campi di lotta della sala d’allenamento in cui ci trovavamo. In silenzio eseguimmo e io mi trovai un posticino verso la metà del campo. I due presero posto come in una lotta: cercai di guardare attentamente il mio amico, ma era troppo lontano anche solo per vedere la sua espressione e cercare di riconoscerla. Però era dritto con la schiena, il petto in fuori, orgoglioso e pronto. Non me lo aspettavo proprio un portamento del genere in quel momento.
Il maestro prese una delle sue Poké Ball dalla cintura e da essa si liberò un Charizard. Osservandolo per lo più durante la lotta, poiché da lontano non lo vedevo, trovai in quell’esemplare una serie di tratti distintivi, non solo fisici ma anche nel suo comportamento. Era stato ovviamente temprato da quei lunghissimi anni di isolamento sul Monte Argento, poteva benissimo costituire una specie a parte. Anche Daniel automaticamente prese una Ball. Mi aspettavo che scegliesse Swampert, un po’ per sognarsi qualche speranza di vittoria, ambizioso com’era, un po’ perché poteva rivelarsi un’interessante battaglia tra starters. Invece da quella sfera fuoriuscì il suo potente e allenatissimo Haxorus. A questo punto ci sarebbe stata un’interessante battaglia tra draghi anziché tra Pokemon “iniziali”. Chissà cosa ci avrebbe mostrato Rosso.
Il più veloce, come c’era da aspettarsi, era Charizard. La cosa assurda fu che l’allenatore non impartì alcun ordine al suo compagno, quello si mosse da solo. Era una cosa che anche a me succedeva, un po’ a tutti forse: se il proprio Pokémon capiva cosa doveva fare dopo un po’, iniziava ad attaccare come meglio credeva, risparmiando tempo e attaccando meglio, istintivamente, con più potenza. Ma almeno all’inizio una mossa si impartiva: Rosso non lo fece. Il suo sguardo mi pareva perso da qualche parte sul campo di battaglia.
Charizard si alzò in volo e Haxorus, lui su ordine di Daniel, si nascose sotto terra con Fossa. Il drago rosso non si scoraggiò e lanciò una Fuocobomba dentro il rifugio che l’altro si era creato: rifugio che si rivelò una trappola. -Usa Protezione!- gridò Daniel ormai visibilmente preoccupato, cercando un modo per evitare che il suo compagno si ferisse. E probabilmente Haxorus lo creò uno scudo, ma esso fu infranto dall’eccezionale forza dell’avversario.
Il drago fu scottato e uscì molto malridotto dalla buca. Charizard non si placò e inflisse un altro colpo, un Dragartigli. Non risultò inaspettato né a me né ad altri vedere il Pokémon dell’Allenatore più giovane già al tappeto. Avevo dato per scontato, e a ragione, l’esito della lotta. Qualcuno si era ostinato a credere in Daniel, che era un Allenatore promettente, uno dei migliori. Ci rimase ovviamente malissimo: ma già dal fatto che Rosso non desse ordini, ma semplicemente lasciasse fare al suo Pokémon, si capiva che non si stava fronteggiando un avversario come tanti. Forse era proprio quel legame con i suoi compagni a renderlo il Master.
-Puoi andare- disse Rosso a Daniel.
Il ragazzo inizialmente era molto scosso, ma anche lui capì che la lotta non poteva andare diversamente, che forse doveva ritenersi fortunato ad essere resistito due turni. Ritrovò quindi l’atteggiamento fiero di poco prima e uscì dal campo a testa alta. Lo ammirai molto per questo.
-Qualcun altro?- chiese il maestro.
Decisi di aspettare prima di farmi avanti, perché ovviamente anche io volevo la mia lotta con il Campione. Sempre che quella si potesse chiamare lotta: più che altro era un’umiliazione scontata, ma vabbè. Mi sarei fatta avanti solo per provare il brivido di star affrontando il migliore, di avere finalmente davanti qualcuno che non mi avrebbe regalato l’ennesima parità, ma una sonora, meravigliosa sconfitta. Perciò osservai Ilenia, tranquillissima, offrirsi in una lotta Charizard contro Charizard e resistere più a lungo del previsto, con cinque o sei turni in cui ebbe l’onore di procurare qualche graffio all’avversario insistendo con Dragartigli.
Poi fu il turno della temeraria Cynthia, che ghignando mandò in campo il suo Crobat. Il pipistrello dapprima confuse l’altro Pokémon con la sua altissima velocità e strappò un comando a Rosso, ma poi Charizard capì come doveva contrastare l’avversario e lo fece fuori con un turbinio di Fuocobomba che incendiarono il campo. Crobat, che era poco resistente, svenne quasi subito dopo. Un altro paio di ragazzi si fecero avanti e come era previsto furono battuti senza difficoltà. Io esitavo a offrirmi e tantissime altre persone mi passavano avanti, ero mio malgrado intimorita dalla potenza spaventosa del drago. Chi avrei potuto mandare poi?
Mi sembrava presuntuoso far lottare Rampardos o Kingdra, i cui tipi erano in vantaggio. Era inutile, sì, tanto Rosso mi avrebbe fatta fuori in breve, ma loro subito li misi da parte. Ovviamente non avrei mandato nemmeno Roserade. Scartai anche Staraptor e, un po’ esitante, Altaria, che nonostante fosse la caposquadra non era tra i più forti del team. Rimanevano Gallade, Spiritomb e anche Luxray, che nonostante fosse anche lei in vantaggio mi sembrava più adatta alla lotta. Alla fine però restavo indecisa tra i primi due.
Aspettai ancora un po’ mentre valutavo le abilità dei due. Con chi avrei resistito di più? Aramis o Nightmare? Il primo che era un forte attaccante o il secondo con buone difese e mosse che forse avrebbero dato del filo da torcere a quel Charizard? Ipnosi poteva aiutare, poi avrei attaccato con Incubo e…
-Charizard, rientra- furono le parole inesorabili di Rosso che mi costrinsero a rivalutare l’intera situazione. Sulle prime temetti che volesse fermarsi con le dimostrazioni, definibili altresì con umiliazioni, ma invece non ne aveva abbastanza e cambiò semplicemente il Pokémon con un Blastoise gigantesco.
Su di lui riconobbi le stesse particolarità di Charizard. I corpi di entrambi - anche il guscio nel caso dello starter Acqua - erano ricoperti di graffi cicatrizzati, sembravano essere stati stropicciati dalla bufera del Monte Argento fino a renderli apparentemente di cartavetro. Il drago nonostante la stazza inverosimile - era molto più grosso del Charizard di Ilenia, nonostante fossero entrambi maschi molto allenati - si muoveva leggiadro e veloce nell’aria, sferrava colpi precisi e potenti. Anche Blastoise, scoprii, ne era in grado, nonostante fosse poco aggraziato. Quella grossa tartaruga, testuggine o qualsiasi cosa fosse, era anche più temibile di Charizard: i primi due Pokémon che lo combatterono persero molto miseramente. Il motivo era che aveva annacquato il campo con una violentissima Pioggiadanza - ed eravamo stati annacquati anche noi spettatori. Quella pioggia era tanto potente da essere dannosa: Blastoise, l’unico che non ne risentì, abbatté gli avversari in breve tempo.
Appena la seconda lotta finì mi feci avanti. Rosso parve non riconoscermi: era sì troppo distante da me per poterlo vedere bene, ma non mi aspettavo niente di che, comunque. Avevo cambiato totalmente idea, rivalutando la situazione, e quindi portai con me la cara Saphira. I suoi attacchi di tipo Acqua avrebbero tratto energia da Pioggiadanza e il suo doppio tipo Acqua/Drago avrebbe dovuto conferirle un po’ di resistenza in più. Le mie aspettative comunque erano bassissime. Mi sarebbe piaciuto restare in campo almeno un paio di turni, il che era tutto dire. Ovviamente speravo in qualche bella sorpresa come mio solito, tipo di riuscire a infliggere un minimo di danni a Blastoise, ma mi sarei accontentata di poco stavolta, come tutti gli altri. Non per questo, però, non mi sarei impegnata semplicemente perché sapevo di non avere speranze.
Il campo era diventato un pantano e la pioggia proseguiva imperterrita. Blastoise la ricaricava appena finiva senza dare tregua all’avversario, riuscendo a combinare la danza con una mossa d’attacco. Saphira sguazzava in quella specie di stagno poco a suo agio, perciò prima di cominciare rese la sua metà campo migliore con un bel po’ di Surf. A Rosso non diede fastidio e gli spettatori parvero comprendere.
Toccava a me cominciare per prima. Avevo ragionato a lungo sul da farsi ma ancora ero molto indecisa: usare Protezione sarebbe stato inutile vista la potenza spaventosa dei Pokémon di Rosso, mentre un attacco d’Acqua sarebbe stata sfruttata a suo vantaggio in qualche modo. Dovevo perciò attaccare con una mossa Drago, l’unica chance che mi era rimasta. Un’altra alternativa poteva essere una mossa di stato, ma in quel momento mi parve inutile. Perciò ordinai, cercando di controllare la mia voce emozionata: -Dragopulsar!
Blastoise reagì bloccando il colpo con Idropompa: prima che potesse colpire di nuovo, Saphira si inabissò con Sub in quell’acqua sporca di terra e sabbia che era la sua metà campo. L’Idropompa impattò l’acqua e creò delle onde che arrivarono fino ai miei piedi, ma non me ne curai.
“E due turni li abbiamo fatti… adesso inventiamoci qualcosa che ce ne garantisca un altro paio ancora, dai…” -Saphira!- chiamai. Lei mi segnalò che era pronta con un Bollaraggio diretto verso la superficie. -Geloraggio!
Sentii qualcuno scoppiare a ridere per quel comando. Sia io che Saphira però avevamo in mente non di colpire Blastoise, ma il pavimento su cui si muoveva con tutta la sua mole. La mia compagna quindi gli congelò le zampe, incollandole al terreno con il ghiaccio: lui ovviamente si liberò senza problemi, ma mi aveva dato il tempo che mi serviva per usare la mossa più potente che conoscesse Saphira.
-Dragobolide!
Sapevo che la battaglia era destinata ad essere persa, che l’Attacco Speciale di Kingdra avrebbe risentito molto di quella decisione e che quello avrebbe decretato ufficialmente la mia sconfitta: ma volevo togliermi lo sfizio di usare quella mossa tanto potente, nella speranza che un po’ di danni li infliggesse. Perciò la Kingdra gridò e dal nulla si materializzarono meteoriti, che parevano vere palle di fuoco. Lo schianto con il terreno e con Blastoise sollevò un polverone. Senza farmi vedere da nessuno, poiché tenevo le mani in tasca, incrociai le dita.
Inutilmente. Blastoise fu colpito ma si risollevò subito, arrabbiato. La sua stazza si intravedeva già attraverso il muro di polvere. Altrettanto presto mi arresi all’Idrocannone che travolse Kingdra scaraventandola vicino i miei piedi. Spalancai gli occhi in preda a un terrore che non sentivo dentro di me da tantissimo tempo.
“Controllati” cercai di dirmi mentre tremavo come una foglia e mi inginocchiavo accanto a Saphira, svenuta sul colpo. “Lei sta bene, è resistente. È un Pokémon. Non dare di matto.”
Fu difficile ma dovetti rassegnarmi. Una specie di insensibilità si impadronì di me e impedì all’ira di prendere il suo posto. Toccai la testa di Saphira con la Ball e quella la rinchiuse dentro di sé. Mi alzai e tornai al mio posto. Fui l’ultima sfida di Rosso quel giorno, per fortuna. Tutti erano abbastanza attoniti dalla potenza terrificante dei suoi Pokémon, che mai si era vista negli altri esemplari della loro specie. Erano più grossi del normale, segnati dalle intemperie del Monte Argento che aveva lasciato una serie di cicatrici e graffi sui loro corpi, più determinati. Forse anche più cattivi, senza pietà. Era questo che ci aspettava nelle lezioni di Rosso?
La risposta arrivò poco dopo, quando il maestro ci fece riunire di nuovo in uno degli angoli della sala. La sua voce non era alta e dovettimo sforzarci tutti per sentirla. Stavolta mi mantenni verso le ultime file, insicura di ciò che avrei fatto se mi fossi ritrovata davanti quell’uomo non a distanza di sicurezza.
-Io sono Rosso e sono definito il Master di tutti gli Allenatori del mondo. Siamo rimasti in pochi, non è che sia tanto difficile ormai.
Questo fu il suo esordio: poi proseguì con una specie di racconto.
-Quando iniziai il mio viaggio per Kanto, affrontai centinaia di Allenatori tutti diversi tra loro, per categoria e stile di lotta. Ma una cosa è certa: i tempi sono cambiati. Non lo dico perché siamo in un clima di guerra né perché il tempo passa così, per una legge di natura. Ciò che voglio dire con questo è che la nuova generazione di Allenatori quali siete voi è per la gran parte deludente.
Mi aspettavo che si sollevasse del chiacchiericcio arrabbiato e vergognoso in seguito a quelle parole. Invece, se possibile, il silenzio si fece tombale. Con la coda dell’occhio osservai i volti dei ragazzi che mi stavano accanto e li vidi impallidire mortalmente nel giro di pochi secondi. Io cercavo di rimanere indifferente.
-Non siete in sintonia con i vostri Pokémon. Dovete collaborarci con una mente sola, non devono dipendere dai vostri lenti comandi. Devono essere loro stessi i padroni della lotta, devono imparare a riconoscere la tipologia degli attacchi e lo stile dell’avversario, i suoi punti deboli, devono neutralizzare i suoi punti di forza. È questo che spero di riuscire a insegnarvi in questi mesi, ma purtroppo ai miei occhi apparite poco meno che come incapaci. Vi do tempo fino alla fine dell’anno per imparare a lottare per lo meno decentemente, e a partire dal prossimo primo di gennaio non voglio più udire, quando vi faccio lezione, le vostre voci. L’unica musica che ascolto è quella prodotta dall’impatto di una mossa contro l’avversario, dalle vibrazioni presenti durante la sua preparazione. E solo quella ho intenzione di ascoltare per il resto della mia vita.
Strinsi i pugni nella speranza che avesse finito, ma continuò a insistere su questi punti.
-Non mi aspettavo davvero un livello così basso, e di Allenatori pessimi nella mia vita ne ho visti tanti. Se siete riusciti a contrastare più o meno bene questo fantomatico Victory Team, temo che andando ancora avanti con il tempo si perderà il lato migliore delle lotte. Spero di poter impedire tutto questo facendovi rendere conto della bruttezza più nera dei vostri comandi, che è l’unico modo in cui riesco a descrivere il vostro stile. E se davvero i vostri maestri Kripton, Argon e Oxygen vi hanno migliorati molto, non voglio proprio pensare a quanto male dovevate lottare prima. Probabilmente questa specie di guerra ha costretto i nuovi Allenatori a un cambiamento nello stile, ma certo non credevo in peggio. Anzi, mi aspettavo che il legame tra l’Allenatore e la sua squadra si rafforzasse ulteriormente per fronteggiare un nemico che i Pokémon li droga, li rovina, li sfrutta e ci sperimenta sostanze terrificanti usandoli come cavie. Nella speranza che non sia troppo tardi per migliorare, io vi lascio. Ci vediamo qui tra una settimana esatta, alle otto del mattino. Portatevi il pranzo.

-Non me lo aspettavo così…- mormorò Ilenia.
La lezione era finita da poco ed eravamo a pranzo. Avevo già raccontato alle due di aver fatto da guida a Rosso la settimana prima e loro non erano state affatto invidiose, proprio come mi aspettavo dopo l’umiliante batosta che ci aveva dato. Infatti tutti avevano dipinta in faccia la vergogna e anche la rabbia più nere. Il pensiero comune era: “Sì, va bene, è senza ombra di dubbio il migliore sulla faccia della Terra… però questo non significa che debba piombare qua dentro all’improvviso per il gusto di insultarci!”.
-Nemmeno io. A dirla tutta non sapevo proprio come aspettarmelo- replicai.
-Secondo me- intervenne Cynthia -non ha torto a dire che i tempi sono cambiati e che sicuramente le nuove generazioni di Allenatori saranno sempre più diverse da quella che ha conosciuto lui. Ma resta il fatto che noi, in ogni caso, siamo reclute bene addestrate e che molti di noi riuscirebbero a tener testa ai Comandanti nemici. Può anche atteggiarsi a fare il Master fighetto- come al solito infilò nel suo discorso qualche critica o frecciatina gratuita -ma intanto siamo stati noi a combattere per tutto questo tempo senza il suo aiuto! Siamo forti! Chiunque diverso da lui sarebbe incapace ai suoi occhi, soltanto perché non sarebbe proprio lui stesso!
Sia io che Ilenia annuimmo. Eravamo solo noi tre al tavolo, eravamo andate abbastanza presto per discutere senza impedimenti dell’arrivo e della malcelata simpatia del Campione. Viva l’ironia. -Comunque avete lottato molto bene contro di lui- commentai con sincerità.
-Grazie. Anche tu, Ele. Come sta Kingdra?- chiese Ilenia, piuttosto preoccupata.
Feci spallucce. “Credo di aver sofferto più io per quell’Idrocannone che lei…” pensai, ma evitai di esternare un pensiero così imbarazzante e forse un po’ infantile. -Sta bene, come al solito. È stato un duro colpo, ma i Pokémon chi li ammazza?- sbuffai. -Anzi, adesso è addirittura tutta elettrizzata per la lotta. Penso che da tempo non temesse un avversario così forte… è addirittura contenta per essere stata battuta…
-Credo che Crobat la capisca- ghignò Cynthia. -Comunque, nonostante il caro Rosso sia niente di più e niente di meno di uno stronzetto, non vedo l’ora di assistere seriamente a una sua lezione e di imparare a pensare con una mente sola insieme ai miei Pokémon. È questo che fa, no? Ero un po’ troppo arrabbiata per ascoltarlo prima. Ma mi piace quello che fa, devo ammetterlo.
L’altra ridacchiò e la informò delle intenzioni di Rosso, imitando una voce virile e ridicola che il maestro non aveva e che fece scoppiare a ridere me e Cynthia. -“Dovete collaborare con una mente sola, i Pokémon non devono dipendere dai vostri lenti comandi. Devono essere loro stessi i padroni della lotta. A partire dal prossimo primo di gennaio non voglio più sentire le vostre voci.” La prossima volta, quando entra, mettiamoci ad adorarlo. Penso che sarà contento, l’uomo dall’ego smisurato altresì conosciuto come Rrrosso.
-Amen!- ribatté Cynthia; di nuovo tutte e tre giù a ridere. Poi la bionda si girò un secondo per controllare la situazione agli altri tavoli e ci informò dell’arrivo del grande sfidante - “Lo discepolo del Sensei Rrrosso!” aveva commentato Ilenia continuando a ridere sguaiatamente.
Si trattava di Daniel, di chi altri se no? Il ragazzo si avvicinava con le mani in tasca, totalmente dimentico del bell’atteggiamento fiero che aveva esibito in presenza del Campione. Era addirittura un po’ ricurvo su sé stesso. Gli altri ragazzi gli gettavano un’occhiata veloce senza aggiungere commenti e lui parve rilassarsi non sentendo la pressione di quelle dozzine di sguardi su di sé. Era diretto proprio verso il nostro tavolo.
-Ma buongiorno- lo salutò Cynthia sorridendo con furbizia. -Come va la vita? Haxorus è in riabilitazione?
-Sei sempre così simpatica, Cyn, così tanto che il tuo Crobat avrà staccato la spina alla macchina dell’infermeria pur di non sentirti più parlare- replicò lui aspramente, beccandosi uno scappellotto sulla nuca coperta dai capelli castani da quella che ormai era una donna, anche se da poco, e non più una ragazza estremamente matura.
-Si scherzava, ragazzino. La sconfitta brucia a tutti, ma tra amici non si porta il broncio- disse lei.
Ilenia mi lanciò un’occhiata veloce e io abbassai lo sguardo facendo una smorfia imbarazzata.
-Comunque complimenti per il coraggio, Danielino- proseguì Cynthia continuando a prenderlo un po’ in giro. -Credo che la folla aspettasse solo te per darsi un incipit e provare a lottare con Rosso.
-Già, dopo essere stato umiliato pubblicamente tutti avranno pensato “Non andrò tanto peggio di lui!”, visto che sono quello che è resistito di meno in campo- brontolò il ragazzo. Era molto abbattuto.
-Ti… ti aspettavi un risultato diverso?!- ribattei io, un po’ esitante nel parlare.
Lui mi guardò per un lungo istante prima di aprire bocca - e comunque dopo non smise di osservarmi: -Avrei solo voluto rimanere almeno qualche altro turno in campo. Invece mi ha fatto subito fuori.
-Non sei stato quello… che è durato di meno, comunque- continuai. -C’è anche chi è stato sconfitto all’inizio del primo turno, figurati. Secondo me… penso che tu sbagli a pretendere di più. E poi… e poi eri il primo!
“Perché non riesco a parlare?”
-Tu almeno sei riuscita a colpirlo!
-Sì, ho lasciato Saphira scoperta per essere quasi uccisa dall’attacco di quel mostro, figurati!- mi scaldai. Sentii gli occhi grigi pungenti di Cynthia su di me e anche quelli sorpresi di Ilenia.
Daniel invece inarcò le sopracciglia. -Non è che ti stai preoccupando un po’ troppo?
-Sì, è probabile- dissi con una ferma aria di sfida. Lui sostenne il mio sguardo. Siccome non accennava a desistere, fui io ad arrendermi. Mi alzai annunciando ai tre che avevo finito e che me ne sarei andata un po’ in biblioteca, tanto per cambiare. Salutarono e a passo svelto io uscii. Decisi di cambiare rotta e andarmene nella sala per gli allenamenti a provare quella specie di telepatia che Rosso pretendeva, ma prima che affrettassi ancora di più la mia camminata mi sentii afferrare per il polso. Sorpresa mi voltai. Era ancora Daniel.
Ora che lo osservavo meglio notavo quanto fosse cambiato. Ora aveva quasi diciassette anni, la barba già aveva invaso il suo volto da molti mesi a questa parte e lui non pareva molto capace di rasarsela al meglio. Perciò osava passare il rasoio solo lontano dalla bocca, anche se ogni tanto era costretto a tagliare anche quei baffi infantili e la barbetta sul mento appuntito. Era pallido come suo solito, se non di più: le lentiggini spiccavano sulla carnagione bianca come dello sporco terriccio gettato su una coperta di neve. Anche le occhiaie risaltavano pesantemente sul viso. I suoi occhi blu sembravano piuttosto spenti e doveva tagliarsi assolutamente i capelli, che iniziavano ad essere troppo lunghi. Mi sembrava anche molto dimagrito. Mi ricordava sgradevolmente Rosso.
No, non era simile a lui. La verità era che era diventato come me. La cosa mi fece sussultare più della sorpresa di essermi ritrovata il braccio stretto da lui. Mi fissava intensamente e ciò mi mise molto a disagio. -Dani…
-Posso sapere cos’hai che non va?- chiese serissimo.
-Non credo che questo sia il luogo adatto per parlarne, e nemmeno il momento! E… e comunque- aggiunsi precipitosamente -non ho nessun problema. Tu invece… tu non mi sembri molto in forma.
Inarcò di nuovo le sopracciglia scure e poco folte. -Infatti non lo sono. E se il posto ti dà tanto fastidio, possiamo andare da un’altra parte. Magari proprio nella tua amata biblioteca.
-Non ce n’è alcun bisogno, gra… grazie per… l’interessamento.- Cercavo di darmi un contegno e un’aria sicura e di superiorità, ma forse risultai solo ridicola e impacciata.
-Eleonora, fammi il piacere- replicò lui, che invece riusciva tanto bene nella sua serietà da farmelo addirittura temere, in un certo senso. -Sono mesi che non mi parli di persona, se non per stupidaggini come le lotte Pokémon e la rabbia di non vedere insieme le tue coppie preferite nei libri che leggi. Devo essere sempre io a iniziare a parlarti e quando lo facciamo… come dire?- sbuffò, mollando il mio polso e riavviandosi con la stessa mano i capelli.
-Senti, per favore, se proprio non vuoi lasciarmi perdere non possiamo andare da qualche altra parte?- lo pregai abbassando la testa, arrendendomi un’altra volta. Perciò ce ne andammo nella sala per l’allenamento.
Lì riprese il suo discorso. -Quando ti parlo o mi rispondi balbettando oppure sei sempre laconica e breve. Ti dà fastidio stare con me, per caso?
-No, assolutamente…
-Ma allora perché? Se sono davvero il tuo migliore amico, vorrei parlarne chiaramente con te, senza che cerchi di scappare dai problemi… E non dire- mi interruppe proprio mentre aprivo bocca per ribattere -che non ne hai. Perché non ti riconosco più da così tanto tempo, Eleonora!
-E tu, invece?!- scattai all’improvviso, perdendo ogni inibizione a quelle parole, che alle mie orecchie davano la sensazione che mi stesse accusando. -Avrò anche tutti i problemi di questo mondo, ma tu ti sei visto allo specchio? Sei ridotto così…! Sei come me! E io non voglio che tu lo sia, perché…!
Mi bloccai troppo presto. Gli lanciai un’occhiata veloce, ma distolsi subito lo sguardo quando lo vidi fissarmi sconcertato. -Mi… dispiace- gli chiesi scusa. -È solo che… sì, è vero, di problemi ne ho e sto cercando di superarli, in qualche modo di toglierli di mezzo, altrimenti. E be’, io vado spesso a vedere il mio riflesso nello specchio. È orribile, ma non riesco a smettere di studiarmi, come se questo potesse cambiarmi… capisci?
Lui annuì automaticamente. Aveva perso le redini della discussione e non sapeva più come comportarsi. Io non credetti a quel “sì”, ma decisi di proseguire, sapendo che avrebbe insistito a dirmi che capiva. -Non so nemmeno io cosa mi stia succedendo. Io sto… aspettando una persona che mi possa aiutare- mormorai. Stavo pensando a Oxygen ovviamente. Aspettavo lui ogni volta che mi capitava di incrociarlo per i corridoi o mi passava accanto durante una lezione, intanto che il mio cuore batteva subito più velocemente.
Daniel disse: -Ci sono io. Sei la mia migliore amica da più di un anno e non ho mai avuto dubbi su questo. Se ti serve qualcosa, io sono qui. Lo sai, vero?
Gli sorrisi amareggiata. -Lo so benissimo, Daniel, e non so come poterti ringraziare appieno per questo. Non mi hai mai dato motivi per dubitare della nostra amicizia. Ma è un’altra persona quella che sto aspettando e, se permetti, non me la sento di parlare con nessuno di questo, perché è una cosa molto… intima. Però, vedi…- prima che potesse mettersi a fare congetture, proseguii: -Non l’ho detto a nessuno questo, ma il Victory Team ha… ha rapito i miei genitori qualche tempo fa. E quello è stato un punto di non ritorno.
Daniel sgranò gli occhi basito. -Perché non me l’hai detto?! Mio Dio, è una cosa gravissima! Non posso venire a saperlo così, renditene conto…!
-Lo so, lo so, ma stavo male! Sto male!- La sala d’allenamento era vuota e cercavo di controllare il tono della voce, ma quella dell’altro era già aumentata molto di volume. -Mi sono isolata, è vero, non sei stato l’unico che ho lasciato indietro in questi tempi…
-Quello che più mi dà dispiacere è il fatto che tu non mi abbia mai cercato in tutto questo tempo- mi interruppe lui. -Se davvero sai di essere la mia migliore amica e che io ci sono sempre per te, o almeno cerco di esserci, perché non ne hai approfittato? Invece sei così, con le occhiaie mille volte più profonde delle mie e… e lo sai che stai messa molto peggio di me.
Abbassai la testa. Seguirono lunghi istanti di silenzio in cui tutti e due guardavamo da un’altra parte, in cerca di un nuovo inizio per la conversazione, per non farla finire così. Anche perché sentivo che, lasciando il discorso così in sospeso, il rapporto sarebbe stato rovinato e forse la storia del migliore amico sarebbe finita. Non lo volevo, perché solo lui mi rimaneva. E quindi capii che lui aveva ragione e che avrei dovuto cercarlo quando ne avevo bisogno, perché non si sarebbe mai stancato di starmi vicino.
-Sono una stupida, è tutta colpa mia.
I nostri sguardi si incrociarono di nuovo. -Sì, sei una stupida- confermò lui -ma forse, e dico forse, capisco il perché del tuo comportamento. Non è affatto facile parlare, immagino.
-No, infatti. E tu, Daniel? Ora che sai più o meno i motivi dei miei problemi, posso sapere cos’hai invece tu?
Lui scosse la testa e disse parole che mi turbarono non poco: -La tua è davvero una bella domanda. Qualcosa non va per niente bene, ma non riesco a capire cosa né perché io sia sempre di malumore. Sono continuamente insoddisfatto, niente è più come prima. È una frase molto alla Rosso, lo so… ma credo che anche tu abbia avuto la stessa sensazione. Mi sono perso mentre crescevo e ora non so più dire chi sia il vero Daniel: se quello di due anni fa o poco meno o quello di adesso.
-Esattamente quello che provo io- mormorai meravigliata.
Invece lui non se ne stupì. -Un po’ tutti, credo. Questa situazione sta facendo del male a ognuno di noi. Se vedi qualcuno che non è avvizzito come noi due, allora indossa una maschera.
Ripensai ad Angelica e al suo sorriso così dolce, poi a quanto mi stranisse vederla anche solo poco più seria e concentrata, spensierata com’era nell’idea che avevo di lei. E le altre? Camille di maschere ne indossava a dozzine e sperai di poter toglierne qualcuna dal suo viso durante la missione che avrei fatto con lei; Ilenia sembrava la stessa di sempre e anche Cynthia, forse perché loro erano già “grandi” quando la guerra aveva aumentato la pressione su di noi e quindi avevano saputo mantenersi. Sara anche era rimasta immutata e le altre persone che conoscevo, be’, ormai non potevo più dire di sapere davvero bene chi fossero.
Mi ero persa un sacco di amici e conoscenti. Gold non lo vedevo più e Melisse neanche, George e Martha, anche se li conoscevo poco e ad essere sincera li ricordavo a malapena, non li incrociavo da mesi… erano tutti scomparsi? O io non riuscivo a vederli, persa com’ero nel mio mondo?
-Dobbiamo svegliarci- diceva intanto Daniel, la cui voce mi arrivava come filtrata da uno spesso pannello di vetro. -Non possiamo più continuare su questa linea. Sei d’accordo con me?
-Sì- sussurrai meccanicamente.
Mi ritrovai stretta nel suo abbraccio e quasi non me ne accorsi.






Angolo ottuso di un'autrice ottusa
Ciao a tutti! Eccomi di ritorno, stavolta carica e con l'intenzione di fare faville (?). Niente, ho già iniziato il capitolo successivo, che conto di scrivere abbastanza velocemente e di pubblicare presto, e ho trovato qualche idea niente male per Minaccia dallo Spazio - che cambierà nome - che me la sta facendo apprezzare molto di più. Sì, insomma, sto bene per quanto riguarda le fanfiction, anche se vi tocca aspettare un po' come al solito.
Spero che vi piaccia la nuova impaginazione, un po' più elegante - numeri romani are the way :P mi sto facendo condizionare troppo dai libri di Tolstoj, per quanto riguarda lo stile grafico e non solo. Ma con questa storia cercherò di mantenere il solito stile, certo con il desiderio di migliorarlo e maturarlo mano a mano che essa andrà avanti; però mi devo ancora abituare all'idea che la protagonista abbia già sedici anni e sto tipo "no aspe' ma quand'è che t'ho fatta cresce così di botto", un po' confusa insomma ahahah
Per quanto riguarda le recensioni - Asciura parlo soprattutto con te - NON C'HO VOGLIA. Niente "rimettiti in pari altrimenti ti busso alla porta di casa per martoriare i tuoi amatissimi libri" perché tanto non riuscirei a rimediare. Eh, sono una ragazza impegnata ahahah
A presto! Ci vediamo tra il 15 e il 17 per, finalmente, il nuovo capitolo dell'altra long dal nuovo nome, che metterò quando aggiornerò!
Ink

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Capitolo 17
*** XVI - Il suo vecchio nemico ***


XVI
Il suo vecchio nemico

Camille era di pessimo umore il giorno della partenza. Questo stava a significare che sarebbe stata silenziosa e schiva, se non scorbutica, durante tutta la permanenza fuori dalla base segreta. Non provai nemmeno a parlarci per capire cosa avesse, perché con lei era una battaglia persa fin da subito. Eravamo a Kalos ormai da tre giorni; effettuati i dovuti accertamenti, ci toccava trovare un modo - anche e soprattutto grazie ai consigli e alle direttive che ci venivano date dalla base segreta - per intrufolarci in uno dei vari nascondigli nemici sparsi per la regione.
Insieme a me e a Camille erano partite altri due ragazzi che non conoscevo, abbastanza grandicelli, e che mi pare si chiamassero Charles e Adrien. L’altro a farci compagnia era il buon vecchio Gold, purtroppo sempre più pallido, magrolino e riservato. Nessuno ormai era ridotto tanto bene quanto ad aspetto fisico. Al momento ci trovavamo nella capitale, Luminopoli, che in tutto il suo elegante splendore metteva duramente alla prova il nostro senso dell’orientamento a causa delle sue dimensioni. Era sera, ma essendo ai primi giorni di settembre la Torre Prisma non era illuminata poiché il Sole era ancora presente nel cielo.
I Victory si erano ingegnati per bene: adesso dovevamo andare in uno dei percorsi adiacenti alla città. Stavamo aspettando che ci dicessero di muoverci: nel frattempo passeggiavamo presso l’uscita per il percorso 14, il Sentiero Romantopoli come era conosciuto altrimenti. Effettivamente quella era una zona perfetta per creare una base.
Era una specie di palude, ogni stradina era impantanata e se non si faceva attenzione a dove si mettevano i piedi ci si sarebbe ritrovati a sguazzare nella poco gradevole melma. Pioveva spesso lì, e anche adesso un temporale estivo si scorgeva in lontananza a sovrastare il boschetto già colorato d’autunno del percorso. La cosa migliore era che non avremmo dovuto avere alcuna paura di essere visti da persone estranee al mondo Pokémon e avremmo potuto girare in assoluta libertà con i nostri compagni. Infatti quel percorso era stato chiuso poco dopo lo scoppio della guerra, appena i Victory vi si erano insediati, con la scusa che la palude stesse espandendosi e che i lavori di bonifica avrebbero distrutto un’area naturale che conteneva moltissime specie diverse di insetti e animali. Era stata quindi costruita una strada alternativa non contaminata dalla palude che collegava Luminopoli e Romantopoli. Le guardie forestali che si occupavano di preservare quella zona erano ovviamente affiliate al Victory Team, che lì dominava indisturbato, perciò più di tanto liberi e spensierati non potevamo essere.
Potevamo portarci appresso un Pokémon piccolo: io avevo June e Camille Meowstic. Gli altri preferirono non liberare nessuno per passare inosservati. Il percorso però pullulava di Pokémon selvatici impauriti dalla presenza del nemico, e quelli più arrabbiati ci avrebbero attaccati: June o Meowstic li avrebbero abbattuti senza problemi.
Questo ovviamente lo avremmo fatto appena entrati nella strada-palude: nel frattempo eravamo ancora a gironzolare per Luminopoli in attesa della chiamata da parte della base segreta. Adrien e Charles erano piuttosto taciturni e parlavano quasi solo tra di loro un po’ in francese un po’ in italiano. Io e Gold ogni tanto scambiavamo qualche parola vuota per dare fiato alla bocca; Camille non partecipava a nessuna conversazione e stava in capo al gruppetto. A lei sarebbe arrivato l’avviso che ci avrebbe detto di muoverci.
-Sinceramente- risposi alla domanda di Gold “Che te ne pare della città?”, -se davvero Luminopoli è un po’ lo specchio di tutta Kalos, mi sembra tutto troppo… pomposo e all’antica. Non so, sarà che sono abituata alle città di Sinnoh più piccole e tradizionali… in questa regione poi hanno unito la tecnologia con la storia di tremila anni fa, non so se mi piace o no questo accoppiamento.- Questa critica abbastanza negativa mi fece guadagnare una tremenda occhiataccia da parte di Charles e Adrien, che erano di Kalos come Camille, ma finsi di non vederli.
-Sì, in effetti è un po’ strano qui- disse Gold. -Ci sono questi viali larghissimi e palazzoni tutti decorati che poi vengono accostati alla Torre Prisma o alle aziende che hanno le loro sedi principali qui…
-Sono molto carini i bar, comunque- replicai. Eravamo stati in parecchi locali e l’atmosfera lì dentro era molto carina, caratteristica. Si distaccava da quell’aria barocca mista alla rivoluzione tecnologica e per me era una gioia.
-Sì, è vero- confermò Gold. La conversazione cadde inevitabilmente nel vuoto. Per fortuna poco dopo arrivò l’attesa chiamata dalla base segreta: non servirono spiegazioni per capire che dovevamo iniziare a muoverci.
Ero davvero tanto emozionata di tornare finalmente in missione. Pensavo che Bellocchio si fosse dimenticato di me, invece adesso ero pronta a fare qualcosa di buono - ero stranamente sicura delle mie capacità. E come premio avrei ricevuto la Pietrachiave che avrebbe consentito ad Aramis di megaevolvere: era diventato impaziente su questo e la sua antipatia per il mio capo non aiutava. Eravamo molto simili, io e lui, in questo.
Imboccammo l’uscita per il percorso 14 facendo lo slalom tra la solita fiumana di turisti che, nonostante la ripresa dell’attività lavorativa appena finita l’estate, non si facevano intimidire e si godevano Luminopoli colorata dal tramonto. Avrei tanto voluto farlo anch’io e aspettare che calasse la notte per la missione, osservare la Torre Prisma splendente come suo solito e solo allora ricordarmi che c’era qualcosa di importante da fare. La missione consisteva nel rubare dei dati imprecisati sull’organizzazione e sulla sua struttura, solo Camille, la capogruppo, ne sapeva qualcosa in più. Forse era quello a renderla tesa e intrattabile; fatto stava in quei giorni mi pareva di essere tornata a delle giornate in Accademia, in cui quella ragazza mi incuriosiva molto e mi stava anche antipatica.
Usciti dai confini di Luminopoli, entrammo ufficialmente nel percorso 14. Inizialmente si presentò come una distesa di boschi nemmeno paludosi, ma mosso qualche altro passo presero vita davanti ai nostri occhi larghissime pozzanghere piene di fango, salici piangenti e nuvoloni, pronti a riversare sulle nostre teste un potente temporale di fine estate. Più o meno ero abituata a quei cambi repentini di scenario. -Leonore, Camille- chiamò Charles con forte accento francese -chiamate i vostri Pokémòn. Ragazzi, togliamoci i pantaloni per non sporcarci.
L’ambigua frase del ragazzo era giustificata dal fatto che sotto i vestiti normali indossassimo aderentissime tute impermeabili, le quali avrebbero dovuto proteggerci dallo schifo della palude e che in qualche modo lo avrebbero addirittura respinto, in modo tale che rivestendoci completamente non avremmo puzzato troppo né si sarebbero sporcati i nostri vestiti. Uno dopo l’altro, indecisi e tentennanti sui nostri piedi, chiusi in delle specie di galosce, ci immergemmo fino alle ginocchia dentro la prima pozza che eravamo costretti ad attraversare. Arriccciai il naso a causa del tanfo e scacciai via una zanzara che aveva palese intenzione di banchettare con la sottoscritta. Nel senso che la sottoscritta sarebbe stata il suo banchetto, e l’idea non mi piaceva proprio per niente.
-Che schifo- borbottai contrariata, mentre Adrien ci indicava la via migliore da percorrere per non immergerci fino all’inguine nelle pozze. Avremmo camminato ai lati di esse dove il “fondale” era più basso. Chiamarlo così dava molto l’idea di quanto quelle cose orribili paressero laghetti repellenti. Gold annuì con vigore, approvando le mie parole. Ci facemmo tutti forza e iniziammo a camminare; tenevo in braccio June, che si godeva beatamente il trasporto senza doversi sporcare i suoi floreali piedini. -Approfittatrice- brontolai, facendola ridacchiare.
-Silenzio, voi due- ordinò Camille con voce molto più alta dei miei mormorii.
Fortunatamente uscimmo da quella pozza abbastanza presto, ma sentii le gambe sgradevolmente scivolose e anche appiccicose. Roserade saltò a terra e con lei Meowstic. Ci guardammo attorno mentre Camille gettava un’occhiata alla mappa potenziata che aveva sul PokéKron al polso: essa mostrava dettagliatamente ogni anfratto della palude. -Si può arrivare alla base nemica passando per la casa verso la fine del percorso. Dovremo entrare là dentro e disattivare i soliti codici e le misure di sicurezza, le indicazioni ce le hanno già date.
-La casa del percorso 14? Non è famosa per essere stregata?- chiese Gold che era appassionato di storie paurose. Me lo immaginai leccarsi le labbra pregustandosi un’avventura da… da brivido, o qualcosa del genere.
-Fammi il piacere, Gold- sbottò Camille irritata. -Un po’ di serietà almeno quando sei in missione.
Il ragazzo restò non poco perplesso dal suo tono e anche io non fui da meno. -Si può sapere che ti prende? È da quando siamo partiti che mi pare ti parta un po’ troppo facilmente la brocca, sai?- ribatté lui indispettito.
-Prova tu a stare al posto mio, voglio proprio vedere come conduci una missione del genere!
-Possiamo fare a cambio subito, se è questo che vuoi!
-Ragazzi!- esclamammo praticamente in coro io e i due più grandi. Ripresi: -Vi pare il momento opportuno per cominciare a bisticciare? Coraggio, non è successo niente e per questo ci conviene anche sbrigarci, altrimenti questa base nemica fanno in tempo a trasferirla. Vogliamo proseguire ora?- I due si guardavano in cagnesco. -Devo proprio insistere o farvi un discorso noiosissimo come se foste due ragazzini?- dissi inarcando le sopracciglia.
-Non ce n’è bisogno, grazie- sibilò Camille riprendendo a farsi strada nella pozza successiva.
Lanciai un’occhiata a Gold e quello mi restituì lo stesso sguardo rassegnato. Il ragazzo non era un tipo che portava rancore o cose del genere, subito dopo sarebbe stato più che mai disponibile nei confronti dell’altra, il cui comportamento però era parecchio strano. Mentre riprendevamo lui mi sussurrò: -Tu sai cosa abbia?
-No. Quando è così intrattabile preferirei aspettare un’altra settimana pur di non andare con lei in missione…
Proseguimmo in silenzio temendo un’altra sfuriata della ragazza. Lo sciabordio fangoso e sgradevole delle varie pozze che eravamo costretti ad attraversare si impose nelle nostre orecchie come un ronzio fastidioso. Ogni tanto Camille si bloccava - lei era in testa al gruppo - e noi la imitavamo: lo faceva temendo la presenza delle guardie forestali che pullulavano in quel posto, ma nel frattempo eravamo stati tanto fortunati da non incontrarne alcuna. June intanto giocherellava con un’Energipalla che aumentava e diminuiva di dimensioni, era così pronta a scagliarla contro un’eventuale nemico. Meowstic se ne stava appollaiato sulla spalla sinistra della capogruppo.
Notai la famigerata casa stregata soltanto quando andammo a sbatterci il naso contro. Era avvolta nell’ombra dei salici più alti che fino ad allora avevamo incontrato sui nostri passi. Le fronde degli alberi nascondevano la facciata, che un tempo doveva essere stata verniciata di bianco ma che adesso era tutta scrostata e ingrigita, più o meno fino all’altezza della sontuosa porta in legno che una volta doveva essere stata lucidissima, ma che ai nostri occhi si presentava rosicchiata dagli insetti e dai Pokémon abitanti della palude e consumata da tutto il tempo che aveva passato abbandonata a sé stessa. I vetri delle finestre, che esaminammo piuttosto velocemente inoltrandoci tra il fogliame dei salici, erano rotti in dozzine di scaglie taglienti che per la maggior parte si stavano nascondendo sotto il terreno fangoso. Per terra c’erano anche numerose tegole, molte delle quali spezzate.
Aspettammo che Camille si decidesse a smettere di analizzare la facciata di questa villetta a due piani. Quando si voltò di scatto spezzò il silenzio surreale che era venuto a crearsi, semplicemente frustando l’aria con i soliti codini bassi che raccoglievano i suoi lunghi capelli color carota. Rapidamente scambiò uno sguardo con ognuno di noi e quando incontrò il mio, per ultimo, annuì soffermandosi un attimo in più su di me. La cosa non mi stupì e intesi che era ora di entrare. Perciò spingemmo la porta socchiusa: il suo cigolio inquietante ci diede il benvenuto insieme a una nuvola di polvere che andò a depositarsi sui nostri vestiti - e nella gola di Gold, che prese a tossire.
Tirammo fuori le torce imitando la capogruppo e l’ambiente si rivelò in tutto il suo tetro splendore. Avevo la netta sensazione che molto tempo prima quella casa dovesse essere stata molto bella e accogliente. I mobili, ormai riversi per terra e corrosi dal passare degli anni, rispecchiavano uno stile vintage ed elegante. Il parquet scheggiato rivestiva abbastanza bene il pavimento, insieme ad un grande tappeto rosso stinto mezzo arrotolato e strappato. Divani e poltrone nel salotto oltre l’ingresso mostravano le molle saltate e parecchia imbottitura arresasi alla rovina del tempo che inesorabilmente era trascorso per tutto e tutti e che era stato molto severo con quella stanza. Le pareti erano mezze distrutte e le cornici di svariati quadri, che non presentavano alcuna tela, penzolavano precariamente su chiodi pericolanti incastonati nel muro, anch’esso poco stabile. Un caminetto in mattoni era più nero che mai e il tutto metteva davvero molta ansia. Era una perfetta casa degli orrori e le porte semichiuse che davano su un paio di corridoi vicini al nostro gruppo non promettevano proprio niente di buono.
Camille mi fece trasmettere gestualmente un messaggio molto chiaro: fare silenzio. Nel frattempo lei controllò sul PokéGear qualcosa: intravidi un numero di telefono e poi sullo schermo si materializzò l’odiosa faccia del capo. I due si scambiarono brevemente qualche parola, che io non udii poiché parlavano attraverso gli auricolari, finché lui non passò la parola a un uomo che avevo già visto del tempo prima, il vecchio dottor Wilson che presiedeva abbastanza spesso ai sotterranei. Rischiammo per qualche minuto fermi, in balia del silenzio e dei mille pericoli acquattati dietro le porte socchiuse, senza capire nemmeno le poche parole di Camille che riuscivamo a sentire.
Sobbalzai sorpresa quando il mio auricolare si attivò e sentii la voce di Bellocchio nell’orecchio. Prima che gli potessi dire qualcosa lui prese la parola: -Non spiccicare parola durante questo contatto, nessuno deve sapere che ti sto parlando.- Fece una breve pausa e un mio schiarirmi la voce gli diede la conferma che ero in ascolto. -Questa missione è molto complessa, non tanto dal punto di vista strategico ma da quello emotivo. Camille è… diciamo che è in pericolo, a tal proposito. Ha insistito per andare ma temo che la sua sia stata una mossa azzardata. Quindi tu l’accompagnerai durante la missione da quello che ho capito vi conoscete abbastanza… incontrerete un ragazzo dei nostri, un infiltrato, che Camille riconoscerà. Si unirà a voi due mentre gli altri tre controlleranno la situazione. Non fare cose avventate tu, mi raccomando, e fai moltissima attenzione a lei. Se credi che qualcosa non vada per il verso giusto, prendi le redini della missione: se controlli nella tasca del tuo giacchetto…
Infilai una mano nella tasca del giacchino di jeans. -… troverai un telefonino piuttosto arcaico, un vecchissimo modello ancora funzionante. Premendo il tasto con l’asterisco avvertirai me direttamente. A quel punto entrerò in contatto con te e attraverso l’auricolare mi spiegherai la faccenda. Spero sia tutto chiaro. Buona fortuna.
La comunicazione si interruppe con un inudibile bip e, mentre aspettavamo che Camille e Wilson concludessero la loro conversazione, ripassai mentalmente tutte le istruzioni. 
Finalmente Camille concluse quella lunghissima chiacchierata. A mezza voce riuscì a sussurrarci, temendo che qualcuno potesse sentirla: -Avete presenti quei film di spionaggio e di azione, quando i protagonisti si devono infiltrare in una base nemica, il cui ingresso è nascosto da qualche parte nel luogo in cui si trovano… e appena muovono un passo scatta l’allarme e appaiono tutte quelle linee rosse luminescenti?
Capii subito dove volesse andare a parare e lo stesso fu per gli altri. Annuimmo all’unisono e lei proseguì: -Be’, davanti a noi c’è un reticolato di laser. Una striscia passa a circa sei centimetri dal naso di Eleonora.
Inarcai le sopracciglia e mi chiesi se non fosse il caso di indietreggiare, ma preferii rimanere ferma in silenzio e aspettare qualche altra novità più piacevole da parte di Camille. Gold chiese: -E come riusciremo ad entrare?
-Fammi indovinare- mormorai osservando Camille in maniera distaccata. -Quegli occhiali ti consentiranno ti vedere la ragnatela di raggi laser che costituiscono l’allarme, vero? 
-Ma come sei perspicace, mia cara- ribatté Camille.
Sbuffai. -Non pensi sarebbe più comodo disattivare l’allarme in qualche modo, anziché giocare a fare i contorsionisti e rischiare a ogni minimo movimento di farci scoprire?
-Lo penso. Sto aspettando che dalla base ci arrivi qualche novità, altrimenti tu per prima farai la contorsionista.
-Stai scherzando, vero?- sbottai perplessa senza ottenere alcuna risposta. I suoi occhi azzurro ghiaccio erano celati dal nero degli occhiali e la parte visibile del viso come al solito rifletteva un’espressione di totale indifferenza e imperscrutabilità, come al solito d’altronde. Erano stati pochi e brevi i periodi in cui l’avevo vista più o meno sorridente e quello in corso era senza ombra di dubbio uno dei peggiori, per quanto riguardava il suo umore.
Aspettammo quindi ancora qualche minuto. Ero piuttosto insicura sul fatto che quello fosse il modo migliore per attendere novità, starsene in piedi in silenzio e quasi sprovvisti di Pokémon in attesa di nuove indicazioni. Mi sentivo sgradevolmente osservata e una vocina nella mia testa faceva il conto alla rovescia dei secondi mancanti all’arrivo delle guardie forestali Victory pronte a fare piazza pulita degli invasori. Fortunatamente il caro Wilson si risvegliò dopo non troppo tempo e si accorse che un modo per eludere l’allarme c’era. Lo comunicò a Camille che abbastanza soddisfatta si tolse gli occhiali e ci informò su come evitare di combinare guai.
-La fonte dei raggi laser è quel pendolo lì accanto al caminetto- Ci indicò un comunissimo pendolo di legno di fronte a noi. Il legno ammuffito e scheggiato gli dava lo stesso aspetto inquietante di tutta la casa, così come il vetro del grande orologio con i numeri romani che era stato spaccato. Le lancette erano assenti. Camille riprese: -Se riusciamo a colpire il centro del quadrante beccheremo anche la sorgente dell’allarme, che così si disattiverà. Avete idee su come poterlo prendere? Tenete conto che lo spazio tra un raggio e l’altro è di una quindicina di centimetri, in media, perché qualcuno è molto più stretto. Allora? Non sapete come fare?- insistette dopo aver lasciato passare qualche secondo in silenzio mentre noi cercavamo una strategia.
-Un’idea forse ce l’ho…- mormorai socchiudendo gli occhi. Camille mi invitò a proseguire. -June può creare una piccola Energipalla. Il problema è direzionarla precisamente verso il pendolo, soprattutto se il percorso da fare è irregolare e bisogna che si sposti. Quindi… non so, Meowstic potrebbe comandare la sfera con una mossa Psico.
-Proprio quello che pensavo io.
Camille quindi approvava la mia idea. Ci scambiammo un’occhiata veloce mentre June e Meowstic scendevano a terra e la mia Pokémon subito dava vita a una piccola sfera di energia verdognola e luminescente, che incantava lo sguardo prima di rivelare la sua forza con un forte colpo. I contorni di essa si illuminarono di una luce lilla e violacea, così come gli occhi di Meowstic quando usò Psichico. Ora June doveva solo far sì che l’Energipalla non si esaurisse e lasciare all’altro il comando per quanto riguardava lo spostamento attraverso la rete di raggi.
La capogruppo inforcò nuovamente gli occhiali e a bassa voce prese a dare indicazioni al suo Meowstic mentre quello, concentratissimo, collaborava con Roserade per non far scoppiare la sfera come una bolla di sapone, che con ogni probabilità avrebbe toccato i laser e fatto scattare l’allarme. Allora sarebbero stati grandi dolori.
Nel frattempo, mentre Energipalla si avvicinava sempre più alla fonte dei raggi, osservavo la nuca di Camille, sempre scoperta dai capelli raccolti, chiedendomi di cosa parlasse Bellocchio. Aveva detto che la ragazza era in pericolo “dal punto di vista emotivo”, si era quindi cacciata in una faccenda più grande di lei e probabilmente ne sarebbe stata sopraffatta. Quello sarebbe stato l’ennesimo suo segreto che chissà quando sarei riuscita a scoprire, sempre se ne fossi stata in grado - se non mi voleva rivelare quel mistero che avvolgeva me, figurarsi i suoi fatti personali. Pensando alla severità di Bellocchio mi stupii del fatto che l’uomo avesse acconsentito a mandare Camille in missione. Mi chiesi quanto lei avesse dovuto insistere per partire e se fossero volate parole pesanti e cose che non si doveva conoscere - più o meno quello che rischiava di accadere ogni volta che io ero costretta o meno a parlare con lui, e davvero poco ci mancava a una mia reazione fuori controllo. Avevo oltrepassato decisamente il limite alla scoperta del rapimento dei miei genitori: mi ero ripromessa di non ripetermi mai più.
Chissà cosa passava per la testa della rossa. Non eravamo amiche, nonostante ne avessimo passate di avventure insieme non avevamo mai creato un rapporto che potesse definirsi di amicizia. Le nostre brevissime chiacchierate riguardavano per lo più argomenti che implicavano le future missioni e l’allenamento dei Pokémon. Mai avevamo affrontato un discorso serio, non sapevo che opinione avesse lei di Bellocchio o dei Victory. Ormai eravamo diventate entrambe abbastanza mature e io, che la consideravo più intelligente di me, che tra l’altro avevo avuto bisogno dell’aiuto di Enigma, ero abbastanza sicura che potesse ragionare a mente lucida sui nostri nemici.
Ora che però il capo aveva accennato a questo pericolo emotivo, questa instabilità psicologica, non ero più tanto certa del fatto che Camille fosse immune ad influenze personali nel giudicare il Victory Team. Io li odiavo e non facevo più fatica ad ammetterlo, lei invece? In cosa era coinvolta per essere tanto a rischio in quella missione? E il segreto mio e suo riguardava proprio i nemici? Avevo vagato per notti intere con la mente, fantasticando sulla natura di questo nostro mistero, che ci legava e allo stesso tempo ci separava. Però non avevo mai preso davvero sul serio le mie supposizioni, spesso abbastanza infantili e fin troppo surreali e fantasiose.
“Camille, sei una persona assurda” pensai mentre stringevo i pugni. “Forse per te non sono una persona molto minacciosa o pericolosa, ma ho imparato e sto ancora imparando come renderti i rapporti con me un inferno. E sappi che averti come vicina di letto potrebbe facilitarmi le cose.” Pensavo in questi termini feroci spinta da una forte rabbia di fondo per il suo silenzio e l’impassibilità seccante. “Non mi importa se il tuo viso imperturbabile è privo di emozioni, molto più del mio. Ma non posso perdonarti di starmi ferendo ogni giorno con la tua decisione di tenermi nascosto qualcosa che mi riguarda, così come non posso perdonare Bellocchio. Io non ti odio, Camille, perché preferisco concentrarmi su un nemico molto più terribile di te… chissà che in altre condizioni io non riesca a provare sentimenti simili per una come te… Ma forse ti trovo così inferiore rispetto ai Victory che non potrei-
I miei pensieri aggressivi furono interrotti da uno scoppio troppo sonoro e da esclamazioni di contentezza poco ben contenute. I miei occhi si alzarono dal punto in cui fino a poco prima si trovava la nuca di Camille - ora più o meno guardavo le sue scarpe infangate - e localizzai il pendolo da cui proveniva il rumore. Il vecchio quadrante dell’orologio era rotto e una nuvoletta di fumo nero fuorisciva dal suo interno. La capogruppo si tolse gli occhiali annunciandoci che i laser erano scomparsi all’istante e che avevamo campo libero.
Senza perderci in chiacchiere, camminando con moltissima cautela e discrezione e dopo aver socchiuso la porta d’ingresso alle nostre spalle, ci dirigemmo verso il fondo del grande salotto imitando Camille. Ci ritrovammo a fronteggiare il caminetto di mattoni: subito intuii che nascondeva qualcosa di importante. Ad esempio la via di accesso alla base nemica che da interi minuti aspettavamo. In effetti il tempo trascorso era una quantità più che accettabile durante una missione, cinque o sei minuti scarsi dall’entrata nella casa, ma il silenzio e i miei pensieri a riempirlo lo avevano dilatato in una maniera eccezionale. Camille comunque non si fece alcun problema a posare con sicurezza una mano sul camino, per farla poi scendere fino a toccare il focolare coperto da polvere e cenere. Soffiò appena e quello bastò a dar vita a una nuvoletta grigia che si alzò verso la canna fumaria per poi discendere.
-Che ne pensate?- chiese. -La canna fumaria è di forma circolare.
-Se sai già dove si trovi l’entrata, perché ci chiedi un’opinione?- ribatté Gold secco.
-Quando mai ho detto di saperlo?
Questa risposta-domanda fece ammutolire il ragazzo che dava per scontata la cosa. Siccome lo immaginavo anche io, insistetti: -Camille, sarò io la persona ansiosa e tutto, ma abbiamo già perso troppo tempo per i miei gusti e non vorrei proprio farci beccare dalle guardie Victory a curiosare qua dentro.
-Cercavo solo un po’ d’appoggio- replicò lei stizzita. Senza sporcarsi le mani, ordinò a Meowstic di trasferire la polvere e la cenere altrove; dopodiché si sedette sul focolare e si alzò in piedi, infilandosi dentro la canna fumaria che la coprì fino alla vita. Sentimmo però un tonfo e un suo gemito di dolore ci informò che aveva sbattuto la testa. Di conseguenza capimmo che lì dentro era celato qualcosa di molto interessante. Camille tastò il basso soffitto e ci annunciò di aver trovato un’interessante botola, ovviamente chiusa a chiave. -Appena la apriremo sapremo se si tratta dell’entrata o se è un trucco dei Victory. Nel primo caso dopo essere entrati ci divideremo.
-Hai qualche idea su come aprire la botola, Camille?- chiesi.
-No… è di legno e c’è una catena. Niente password o codici da inserire, stavolta ci tocca lavorare manualmente- disse lei. -Nel peggiore dei casi ci converrà sfondarla, ma usiamola come ultima risorsa.
-June, tieniti pronta- borbottai alla Pokémon che aveva deciso di farsi riprendere in braccio. Quella per risposta creò un’altra Energipalla, più grande delle precedenti.
L’inquietante cigolio della porta ci fece scattare sull’attenti e i tre ragazzi misero mano alle loro Poké Ball, ma essa si aprì giusto di qualche centimetro e pensammo che fosse opera del vento. Tirammo un sospiro di sollievo.
Io intimai mentalmente a Camille di sbrigarsi. La ragazza stava smanettando con la botola munita di comuni, utilissime ed affidabilissime forcine che aveva tirato fuori da una tasca quasi invisibile dei pantaloni aderenti: non si era rivestita con i jeans, nessuno di noi lo aveva fatto. Tra l’altro quelle tute non erano autopulenti e immaginai che Wilson e la sua compagnia si fossero divertiti a prenderci un po’ in giro. Ci eravamo rimessi a lucido alla bell’e meglio, togliendo giusto il necessario per non lasciare tracce quando saremmo entrati nella base nemica. In ogni caso, gli altri tre ragazzi avevano ciascuno in mano una Ball pronti a liberare i propri Pokémon appena ce ne fosse stato bisogno. Decisi di tenermi stretto anche Aramis, abbastanza veloce per potermi stare dietro.
Quel cigolio mi aveva messa abbastanza ansia e non ce la facevo più ad aspettare. I miei occhi vagavano da una parte all’altra della stanza in cerca di qualcosa da osservare: le cornici vuote non sortivano ovviamente alcun interesse, del pendolo ne avevo abbastanza, il pavimento rivestito in parquet muffito e semidistrutto non era certo uno dei migliori oggetti di studio… Quando il mio sguardo passò vicino ai piedi di Camille avrei ripercorso di nuovo tutta la stanza, se solo qualcosa non avesse attirato sgradevolmente la mia attenzione. Un baluginio vitreo e metallico, esistente solo grazie alla luminosità di Energipalla, altrimenti impercettibile ed invisibile.
Sgranai gli occhi immaginando di star scambiando uno sguardo troppo a lungo con il nemico. -Camille, fatti da parte!- sbottai allarmanta, afferrandole un lembo della maglietta e buttandola sul focolare. Fui abbastanza precisa da farle coprire per bene la visuale della telecamera nascosta. Batté il sedere ma oltre un’esclamazione di sorpresa fu abbastanza svelta a capire che qualcosa non andava, soprattutto quando June ripetutamente prese a colpire la botola. Purtroppo gli attacchi Erba poco potevano con un ferro affatto vecchio e arrugginito come quello della catena, che appariva terribilmente lucida e incolume, immune al passare del tempo. “Forse perché da quando è stata messa non sono trascorsi poi tanti anni” pensai.
-Aiutatemi!- strillai innervosita, mentre chiamavo anche Nightmare che rincarò la dose a suon di Palla Ombra.
-Adrien, Charles, tenete d’occhio la zona!- mi aiutò Camille. Il tono della sua voce era freddo, determinato, serissimo. -Gold, tu aiutaci, coraggio!
Fu necessario un Incendio da parte dell’allenatissimo Typhlosion del ragazzo, dopo istanti troppo lunghi di tentativi andati a vuoto. La catena si sciolse e i pezzi di legno scintillanti di fiamme caddero sul focolare per poi spegnersi grazie all’intervento rapido e abbastanza accurato del suo Blastoise. I due colossi e tutti gli altri Pokémon furono fatti rientrare nelle proprie Ball mentre io salivo delle scalette a pioli a una velocità per me inaspettata, dovuta dall’adrenalina e dalla paura di essere scoperti. Non trasalii nemmeno al sentire la voce di Bellocchio, in quel momento allarmata, che risuonava nel mio orecchio e probabilmente in quelli degli altri.
-Complimenti per aver trovato l’entrata, ma da adesso la missione dovrete farvela correndo! I Victory hanno nascosto quella telecamera sotto la cenere, ben sapendo che avrebbe inquadrato qualcosa solo nel momento in cui qualcuno si fosse avvicinato all’entrata. Le basi nemiche hanno due accessi, uno segreto ben sorvegliato e uno conosciuto da tutte le reclute tenuto d’occhio ancora meglio. Si saranno mobilitati in molti vedendo che lo schermo della telecamera non era più nero… Comunque! Camille, Eleonora, trovate il ragazzo come vi avevo detto. Adrien, Charles e Gold, voi coprite loro le spalle. Alla fine vi toccherà scambiarvi di ruolo: il gruppo di testa fronteggerà il nemico, in cui sicuramente vi imbatterete, e quello dietro recupererà le informazioni. Tutto chiaro?
-Cristallino- ringhiai a denti stretti mentre lui aggiungeva un poco convinto “Buona fortuna e sbrigatevi”.
La seconda botola della giornata mi si parò davanti agli occhi e ci pensò un dispositivo che mi passò Camille a risolvere il problema quando le dissi che mi serviva un codice. Dei latrati canini giungevano alle mie orecchie e sovrastavano un continuo suono acuto dell’apparecchio, che piantato sullo schermino su cui inserire il codice di accesso trovò nel giro di qualche secondo la password corretta; la inserì e dopo pochi frenetici attimi eravamo tutti fuori. L’ultimo emerso, Gold, non fece in tempo a richiudere la botola che una colonna di fiamme quasi lo investì in pieno viso. “Houndoom” pensai, giudicando quei versi terribili appartenenti a loro.
Indietreggiando spaventati ci guardammo attorno. Eravamo in quella che sembrava in tutto e per tutto una soffitta, e in effetti la villetta poteva benissimo esserne provvista. Mentre i ragazzi si davano da fare in cerca di una possibile uscita nascosta, io e Camille individuammo una finestra che dava sul tetto. Anch’essa chiusa tanto accuratamente quanto la prima botola nella canna fumaria, il Delphox di lei imitò ciò che aveva fatto Typhlosion liquefacendo il vetro e le catene con ripetuti Lanciafiamme anziché con il più stancante Incendio. Mi affacciai senza problemi - il soffitto era talmente basso che dovevamo camminare chinati, perciò non dovetti arrampicarmi su sedie e comodini impilati l’uno sopra l’altro per dare un’occhiata all’esterno. Individuai dalla parte opposta della facciata della villa una struttura che, nascosta dai salici e da qualcos’altro di più elusivo e potente, era stata a noi invisibile fino a quando eravamo entrati. -Ragazzi- chiamai con il fiatone - a quanto vedo siamo di certo all’interno di un’altra barriera, oltre quella in cui è contenuto il percorso stesso. C’è questa specie di grossa caserma, le sue pareti esterne sono meravigliosamente nere… e c’è anche una porta- descrissi brevemente.
Stavolta con l’aiuto di una sedia, misi piede sul tetto della casa. Le fronde dei salici mi nascondevano agli occhi dei nemici che strillavano dal piano terra. Sentii Camille parlare a una qualche persona dall’altra parte del suo auricolare e sperai che fosse qualcuno che potesse aiutarci, la situazione non mi piaceva. Il tetto poco spiovente e mezzo sprovvisto di tegole, le poche rimaste pericolanti, non diedero problemi a nessuno per arrivare alla vera porta d’ingresso della base nemica, correndo sullo spigolo spianato che divideva il tetto in due uguali metà. Le fiamme degli Houndoom non avevano intaccato la sua struttura e questo fu un bene, perché non crollò.
-Delphox, distruggi la porta!- Camille mi fermò agguantandomi per un braccio e con l’altra mano liberò il suo Pokémon, che istantaneamente mi passò avanti e ridusse a un mucchietto di cenere e di metallo fuso grazie a un paio di Fuocobomba estremamente potenti. Dalla nuvola di fumo che venne a prodursi fuoriuscì una recluta che gridò il nome della capogruppo e ci lanciò una sua Poké Ball, facendoci capire che era dei nostri. Camille afferrò al volo la sfera e la restituì al suo padrone. Il muro di fumo intanto si era dissipato. Cercando di recuperare fiato, aspettammo che si intravedesse meglio l’interno, preparandoci eventualmente a una lotta.
-C’era un’altra recluta con me a fare la guardia, ma è scappata ad avvisare il capo- ci informò il ragazzo. Il suo viso era nascosto dalla visiera di un casco nero. -Non so chi sia, fra parentesi. E oltre l’ingresso c’è questo lungo corridoio che conduce alla stanza principale. È una sola. La base è davvero piccola, ma molto utile e ben difesa.
-Andiamo!- esclamò Camille, passando in testa al gruppo.
Decidemmo di non correre e scaraventarci all’interno della struttura per evitare guai, mentre l’infiltrato diceva a Camille tutte le informazioni di cui avevamo bisogno. Seguiti ognuno da un proprio Pokémon - io avevo Luxray - facemmo ufficialmente irruzione nella base nemica. Ci venne incontro una dozzina di reclute nemiche stranamente ben addestrate, ma noi lo eravamo di più. I Victory puntavano sul fattore numerico, ma ciò che i “maestri del Bene” insegnavano a noi era più che sufficiente a contrastare un buon numero di avversari. Perciò i vari Crobat, Houndoom e Raticate finirono al tappeto e i giovani nemici furono messi con le spalle al muro.
-C’è qualcosa che dovremmo sapere?- chiese freddamente Camille.
-Non riveleremo nu…- L’ostinazione di un ragazzo Victory, la cui voce matura indicava probabilmente che era il maggiore del gruppo, impallidì di fronte alla pistola che la rossa non si fece problemi a puntargli al cuore. Ricordai che Camille era stata una dei primi a comprendere con quale freddezza bisognasse attaccare tramite un’arma. Ben presto si era liberata dei corsi ottenendo l’approvazione di Sandra e dei vari maestri, nonché i loro complimenti per la sua decisione spietata, che in quel caso era più che positiva e utile ai nostri.
Il suo tono fermo non tradiva alcuna nota di paura quando disse: -Non ho paura di farvi fuori uno per uno e la pistola è pronta per essere usata. Quindi cantate.
Un modo elegante per insinuare “Vuotate il sacco, altrimenti vi strozzo con le vostre stesse budella”. “Perché questi pensieri schifosamente comici mi vengono in mente proprio durante le missioni?” mi rimproverai.
-C… c’è Elisio nella stanza principale… Ha aperto la porta e dice di starvi aspettando… se lo batterete otterrete tutte le informazioni necessarie, o almeno credo…
-Non penso che ce le concederà- borbottai scrutando la visiera di ognuno dei nemici, come se potessi vedere i loro volti, che però erano invisibili. -A meno che non usiamo le maniere forti.
-E non ci faremo problemi ad utilizzarle- ringhiò Camille, tenendo stretta la pistola e avanzando verso la fine del corridoio, senza temere alcuna trappola.
La visione di lei che si comportava così mi risultava parecchio strana. I codini rossi, che parevano non crescere in lunghezza, ondeggiavano in maniera innaturale mossi da una corrente che non esisteva, seguendo i suoi passi un po’ troppo pesanti nella loro determinazione piena di rabbia. Così come i suoi capelli mi parevano rimanere sempre identici anche con il passare dei mesi - e a questo contribuiva il fatto che portasse quasi sempre la stessa pettinatura - anche il suo viso mi dava l’idea di essere rimasto immutato nel tempo. Ogni tanto quegli occhi color ghiaccio erano contrastati dal violento nero di una matita o di un eye-liner, la frangetta minacciava costantemente di far sparire le sopracciglia sottili che faticavano a farsi vedere sulla pelle piuttosto abbronzata, che contribuiva a far spiccare ancor di più le iridi chiare e azzurre. Era cresciuta molto in altezza, sì, ma non aveva sviluppato curve né niente, era rimasta piatta ed esile come quando l’avevo conosciuta circa un anno e mezzo fa all’Accademia.
Lei non era mai cambiata, cosa che invece era toccata a me. Si era conservata come la ragazzina dai capelli rossi misteriosa, silenziosa, impavida, alle volte scaltra e anche pesante. Un po’ la invidiavo per questo.
Tutto il gruppo la seguiva, eccezion fatta per Adrien e Charles, a cui Bellocchio aveva ordinato di badare alle reclute. I loro Trevenant e Emboar fissavano minacciosi i giovani nemici, la cui tensione arrivava fino a me. Se non fossero stati così… così Victory, forse avrei provato pena per loro. Ma erano troppo simili a Cyrus, con quelle divise bianche, rosse e nere. La voce del ragazzo che aveva tentato di opporsi risuonava nella mia testa, infastidendomi. Ebbi l’improvviso bisogno di vederlo per lo meno tramortito. Non rabbrividii come mio solito per quel pensiero.
La porta della stanza in cui si trovava Elisio, uno dei comandanti nemici, era socchiusa. Camille la spalancò con malagrazia ed essa, che era d’acciaio, sbatté violentemente contro il muro di cemento, provocando un frastuono esagerato che però a malapena fece accorgere l’uomo dei suoi ospiti inaspettati. Mentre lentamente si voltava noi lo avevamo già accerchiato, anche insieme ai nostri Pokémon. Camille non aveva esitato a puntare la pistola anche contro di lui, le palpebre socchiuse in una smorfia di concentrazione. Però stavolta le mani le tremavano.
Il mio primo pensiero fu che non ci avrebbe fatto una bella figura a farsi vedere così spaventata di fronte al nemico; il secondo fu che non potevamo permetterci di ucciderlo. Quell’ordine ci era stato impartito praticamente appena arrivati alla base segreta.
Spostai il mio sguardo su Elisio ed ebbi una sgradevolissima sensazione. I capelli rossi e corti dell’uomo, così come quel poco di barba che faceva crescere sul mento a mo’ di pizzetto; gli occhi azzurro ghiaccio; il fisico alto e slanciato… Tutti questi elementi mi ricordavano tantissimo Camille. “Non farti strane idee e concentrati!…”
-Ma tu guarda chi mi sta minacciando con un’arma assassina- mormorò lui.
“Sicuramente è perché è solo una ragazzina a puntargliela addosso… mica per altro, no…” pensai mentre si preparava per proseguire, appoggiandosi al muro della parete opposta. Grandi finestroni del tutto identici a quelli della centrale di Flemminia offrivano una bella vista sul bosco del percorso paludoso e anche su Romantopoli, più in lontananza. -Cosa vi ha detto di rubare il vecchio Bellocchio?
-Pensaci tu alla missione- dissi a Camille senza preoccuparmi di non farmi sentire. -Di lui mi occupo io.
-No.
La sua risposta mi lasciò interdetta. -Come?
-Chiedi a Bellocchio cosa prendere. Sarò io a combattere- rispose lei, tenendo la pistola puntata contro Elisio.
-Camille, non fare la stupida, tu non sei stata addestrata per combattere ma per portare a termine questo tipo di missione- ribattei, tornando a studiare il nostro avversario, che giocherellava con una Ball che teneva in mano.
-Ho detto no…!
-Non mi sembrate molto in sintonia- intervenne sbuffando divertito Elisio. -Qual è il problema?
-La tua presenza qua dentro è il problema!- esclamò Camille che per un momento mi parve sull’orlo del pianto.
Elisio inclinò la testa da un lato e liberò dalla sua Ball un Pyroar, che ringhiando subito individuò la mia Luxray e Delphox. Iniziava già a scalpitare e la cosa non mi piaceva per niente, per non parlare dei capricci di Camille.
-Per l’amor del cielo, non costringermi a chiamare…
-Ti conviene farlo!- gridò lei.
Il rumore di uno sparo echeggiò nell’aria. Mi parve di vedere a rallentatore la pallottola sparata dalla ragazza avvicinarsi micidiale ad Elisio, per infrangersi contro un muro protettivo invisibile che la fece dissolvere nell’aria.
-Pyroar, Fuocobomba.
-Pearl, Protezione!- L’attacco del Pokémon avversario fu neutralizzato e io ne approfittai per spintonare Camille lontana da me. Mi aiutò l’infiltrato, il ragazzo che non conoscevo, il quale mi affidò l’arma di lei e la trascinò di peso verso un punto della sala che doveva essere l’obbiettivo. Le mie orecchie ignorarono gli strilli di Camille.
-Bellocchio, prendo il comando- mormorai all’auricolare appena eseguii la procedura per mettermi in contatto con il capo, dopo aver ordinato a Pearl di attaccare con Tuono. Lo spazio a disposizione per cercare di evitare il colpo era talmente poco che Pyroar fu investito in pieno. -Camille ha cercato di disobbedire e di uccidere Elisio.
Non sentii la sua risposta perché le parole del nemico mi attirarono. -Così tu sei Eleonora, eh?- chiese mentre Pearl e Pyroar lottavano. -Cyrus ha parlato di te spesso. Gli è dispiaciuto vederti sfuggire dalle sue stesse mani…
-Immagino- ribattei freddamente. -Qual è la sua relazione con Camille, Elisio?
-Ma come sei beneducata a darmi del lei- ridacchiò l’uomo. -Be’, diciamo pure che siamo molto intimi.
Gold mi chiese se avessi bisogno di aiuto, tornato un momento dal controllare che a Camille stesse andando tutto bene lì al computer. -No- risposi, per poi rivolgermi di nuovo a Elisio: -Perché non cerchi di fermarci?
-Perché ritengo le informazioni che cercate superflue. Anche se così non fosse non mi è stato detto di cercare di bloccarvi con tutte le mie forze, e poi ci sono cose più importanti a cui pensare che impedirvi di sapere come sia organizzato internamente il Team. Mi interessa molto di più parlare con te, visto che Camille è così silenziosa.
“Qui va a finire che cercano di nuovo di portarmi dalla loro, dicendomi che riveleranno il mio segreto…” -Dove sono i miei genitori?- ribattei senza rispondere. La voce mi tremò un po’.
-Stanno ancora bene. Non preoccuparti per loro. E tu invece come stai?
Inarcai le sopracciglia. Quella domanda mi stupì molto più di quanto mi aspettavo potesse fare. Per prendere tempo per calmarmi diedi a Pearl l’ordine necessario per far fuori una volta per tutte Pyroar, i cui potenti ruggiti davano non poco fastidio alle mie orecchie. Un Tuono fu sufficiente. -Non c’è male. Grazie per l’interessamento.
-Le bugie hanno le gambe corte, Eleonora- sussurrò Elisio mellifluo. -Comunque sei davvero forte come si dice. Chissà che non sia merito di qualcun altro a cui tu sei molto… legata, diciamo così.
-Abbiamo fatto!- esclamò l’infiltrato.
-Ah, di già? Davvero?- Elisio finse stupore.
-Sì, davvero!- sbottai lanciando in aria la Ball di Rocky: il corpo pesante del Pokémon impattò il pavimento con la forza di un magnitudo in miniatura. Quello mi diede l’ispirazione per la mossa successiva. -Terremoto!

I vetri infranti dei finestroni furono un’ottima via di fuga prima per Elisio e poi per il nostro gruppo, che fuggì dalla base nemica abbandonando al proprio triste destino le reclute e la villa “stregata”, guardandola collassare su sé stessa. I ragazzi avevano lasciato sole me e Camille, intimandomi che io che la “conoscevo” meglio dovevo cercare di capire cosa avesse e chiederle perché si fosse comportata in quel modo, disobbedendo.
Il volto della ragazza era rigato dalle lacrime. Dietro di me Rocky faceva la guardia, ignorando lo stato pietoso in cui lei si trovava. Tra le mani tremanti stringeva un dischetto, che era l’obbiettivo della missione. Aveva la testa abbassata, era seduta su un masso. Io mi dondolavo su una gamba e sull’altra. Avevamo messo in salvo i nostri Pokémon e tutti quelli del gruppo stavano bene, anche se Adrien e Charles si erano beccati qualche pezzo del soffitto addosso a causa del Terremoto evocato dal mio Rampardos. -Perché non mi hai fatto lottare?
La domanda della ragazza mise in moto dentro di me il meccanismo di una fredda apatia. Risposi con un’altra domanda: -La somiglianza tra voi due è straordinaria. Elisio è tuo padre, non è così?
La vidi annuire impercettibilmente. -Lui… lui violentò mia madre, rimasta incinta giovanissima. Il matrimonio riparatore tra i due gli convenne molto perché si era imparentato, senza saperlo, con una potente famiglia di Kalos. Poi la abbandonò, lasciando me e lei alle cure dei miei nonni, per collaborare con i Victory, facendoci credere di essere fuggito con un’altra donna. Quando scoprì il mio segreto- la mia apatia sparì a queste parole, divenendo un’emozione che non riuscii ad identificare, -capì di aver fatto un grosso sbaglio a lasciarci, immagino. E cercò di riprendere me, che gli potevo essere utile, devastando casa mia… la mia famiglia… Allora arrivai all’Accademia.
Fece una lunga pausa. Avevo il viso alzato al cielo plumbeo, in attesa delle prime gocce di pioggia.
-E tu… tu mi hai impedito di vendicarmi!- strepitò Camille scattando in piedi. Il dischetto cadde a terra nello stesso momento in cui una prima goccia impattò sulla mia guancia. -Non ti perdonerò mai per questo, Eleon…
Il mio schiaffo repentino che desideravo mollarle da tempo raggiunse il suo viso, inaspettatamente per lei, che indietreggiò guardandomi stralunata. Non l’avevo mai vista così. -Camille. Tu non mi piaci per niente, ma qualcosa che riguarda entrambe, questo nostro segreto che ti ostini a non volermi rivelare, purtroppo mi lega a te. Dico purtroppo perché è proprio insopportabile, così come tu sei per me estremamente insopportabile.
Le parole mi uscivano di bocca con una facilità impressionante, riflettendo sonoramente i pensieri che da tanto mi frullavano nella testa e che riservavano parecchio disprezzo e rancore verso di lei. -Considera questo colpo come un avvertimento. Spero tu non ti sia abituata a vedermi come la ragazzina di due anni fa, perché al contrario tuo sono radicalmente cambiata. Sono esasperata per il tuo odioso silenzio e ti trovo così simile a Bellocchio che mi viene il voltastomaco. Picchiami pure, se vuoi. Non mi interessa di chi sei figlia né perché. Tu rimani ciò che sei diventata per me durante questi anni e questi mesi. E il tuo nome significa tante cose terribili per me.
“Camille è la carceriera di una verità che mi riguarda. Forse lei non mi perdonerà per averla sottratta alla lotta con suo padre, ma io non la perdonerò mai per i danni che mi sta provocando.”
-Bellocchio… vuole solo evitare che tu impazzisca- rispose Camille dopo un po’ con calma innaturale. -Perché io, a dire la verità, sono diventata pazza per questo. Ed è davvero brutto confinare la tempesta che ho in me senza potermi sfogare. Non pensare che io sia indifferente e impassibile perché sia il mio carattere, mi sto difendendo. Hai idea di quanto sia terribile tutto questo? Vedila come vuoi. Noi vogliamo… proteggerti…
-Non ho bisogno della vostra assistenza, se permetti. E ti chiedo per favore di non dimenticare le mie parole. Quindi regolati di conseguenza, Camille, e non dimenticare che forse togliermi questo chiodo fisso dalla mente mi aiuterebbe. Sarebbe carino se tu e Bellocchio prendeste in considerazione la cosa.
-L’abbiamo già fatto, e i risultati su di me non sono stati affatto buoni.
-Ma io sono esattamente l’opposto di te, cara Camille- scoppiai a ridere nervosamente.
-Tu credi davvero?- mormorò lei. Il suo sguardo eloquente mi fece preoccupare mio malgrado.
Chissà che non fossi l’opposto soltanto della sua maschera di ghiaccio. Il pensiero mi inquietò e la guardai interrogativamente. Incontrai i suoi occhi stranamente non imperturbabili ma pieni di una tristezza che riuscii a comprendere pienamente solo in seguito. Quella ragazza per me era un mistero e con ogni probabilità lo sarebbe stata molto a lungo. Però non potevo non vedere l’ora di scoprire i miei - e i suoi - segreti, per quanto essi fossero pericolosi. Forse questa curiosità mi avrebbe rovinata, ma non riuscivo a pentirmene.






Angolo ottuso di un'autrice ottusa
Ciao gente! Se avessi avuto il tempo materiale di pubblicare in uno dei due giorni precedenti l'avrei fatto, ma purtroppo non è stato così e sono riuscita a mettere mano sul pc solo oggi - tra l'altro di corsa.
Non ho nessun commento da fare, se non che il prossimo sarà il capitolo più lungo di tutta la seconda parte. Sono a metà più o meno e adesso arriva il pezzo difficile da scrivere... per quanto sia lungo è incentrato solo su due eventi e quindi il resoconto della missione e molte altre cose arriveranno solo in seguito.
Detto ciò spero che questo vi sia piaciuto e a presto! Cercherò di pubblicare entro Pasqua il prossimo capitolo!
Ink

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Capitolo 18
*** XVII - Nell'abisso ***


XVII
Nell’abisso

Trascorsero due mesi di relativa tranquillità dopo il rientro dalla missione capeggiata da Camille. Infatti le due missioni minori alle quali dovetti partecipare furono abbastanza tranquille e funsero per lo più da assaggio per le nuove reclute che dovevano abituarsi al clima della base segreta e all’atmosfera pressante delle missioni.
La prima delle due consisteva nell’aiutare e soprattutto nel proteggere alcuni guerrieri, piccoli ma promettenti. Più che altro feci da assistente a Ilenia, che doveva badare e fare attenzione che tutto andasse bene, oltre che sbrigare il lavoro sporco - cosa in cui ovviamente fui coinvolta io mentre i cuccioli di recluta riposavano. Infatti ci toccò muoverci di notte dopo aver allestito un nascondiglio abbastanza lontano dal nostro obbiettivo che tenesse al sicuro i ragazzini. Ora che avevo sedici anni tutti mi sembravano piccoli e indifesi. Per questo a malincuore lasciai Rocky a far loro da guardia insieme alla possente Flygon di Ilenia, pregando perché non succedesse niente. Più che altro perché avrei avuto qualcuno sulla coscienza e la mia fedina penale si sarebbe irrimediabilmente sporcata.
La fantomatica missione, oltre a portare in campeggio i ragazzi e farli abituare al mondo esterno, pieno di pericoli che io e la mia compagna avevamo sventato prontamente senza dir loro nulla - per tenerli all’erta e far sì che dessero il meglio di sé credendo di star facendo qualcosa di importante e rischioso - la missione consisteva essenzialmente nel piazzare un paio di videocamere all’interno di una base nemica. Essa era troppo vicina al covo dei nostri per i gusti di Bellocchio, perciò l’uomo aveva ritenuto opportuno tenerli d’occhio meglio del solito. Si trovava infatti presso una grotta nel percorso che conduceva dal Monte Corona a Cuoripoli.
Le telecamere erano contenute negli occhi di minuscoli Joltik robot-giocattolini. Erano piccolissimi, lunghi - sarebbe meglio dire corti - tre o quattro centimetri a malapena, ed erano anche color roccia in modo tale da mimetizzarsi alla perfezione con le pareti o il soffitto della base nemica. In totale erano una dozzina scarsa. I tecnici li avrebbero telecomandati portandoli in un angolo che offrisse una buona visuale e lì si sarebbero spenti, lasciando attive solo le telecamere. Dopo aver appiccicato tutti i Pokémon-spia sulla borsa piuttosto larga di una recluta che ci passava vicina per caso, non accorgendosi di noi, io e Ilenia ci dichiarammo “missione compiuta” e verso l’una di notte tornammo sui nostri passi, sbadigliando per la noia.
Invece durante la seconda provai il brivido di essere io a capeggiare una missione. Inizialmente avrei dovuto partire con Sara, Melisse e due ragazzi che non conoscevo, ma uno dei due si era preso un febbrone passeggiando incautamente per le pendici innevate del Monte Corona - non ero l’unica a farmi giretti in solitudine, quindi - ed era stato sostituito, quando lo scoprii ebbi un tuffo al cuore, da Oxygen. Dovevo aspettarmelo.
“Andiamo, la missione è nelle tue mani. Dai il meglio di te e farai una buona impressione” mi ripetevo durante il viaggio, in volo insieme ad Altair. Dietro di me c’erano il diretto interessato con Swellow e Sara con Noivern. “Mostrati sicura di te, pronta a tutto e anche abbastanza temeraria, ma non ricadere nella freddezza antipatica di quell’odiosa di Camille... e tutto andrà bene in entrambe le missioni.”
Dovevamo raccogliere qualche altro dettaglio prezioso per Bellocchio sull’organizzazione dei Victory, più utile e preciso delle poche cose trovate a Kalos, nascosta in una base minore sull’Isola Ferrosa. Forse i nemici speravano che così fosse meno in vista e quindi non in pericolo per razzie di informazioni. -Illusi!- aveva commentato con una risatina acuta Melisse quando, durante il viaggio, avevo spiegato quale fosse il nostro compito. Sorridendo avevo annuito a ciò che aveva detto la ragazza e avevamo continuato il viaggio più o meno nel silenzio.
Più o meno, perché per qualche ragione che mi ostinavo a non capire Oxygen mi si era avvicinato a un certo punto, quando eravamo in vista dell’Isola, e mi aveva chiesto: -Com’è comandare una missione?
-Devo ancora scoprirlo- avevo ribattuto.
Sbuffando ironicamente il ragazzo si era accorto che effettivamente non eravamo ancora in una situazione che potesse definirsi con la parola “missione”. Ero stata così intelligente da troncare a metà una conversazione, quindi mi affrettai nel tentativo di rimediare: -Però tu lo sai… cosa si prova ad essere a capo di una spedizione.
Alla fine ero riuscita a parlare con lui fino all’arrivo all’Isola Ferrosa, insistendo - non solo da parte mia, sperai - sugli argomenti relativi alle missioni. All’atterraggio le mie guance erano belle colorite e avevo detto agli altri, che mi fissavano incuriositi per le mie gote improvvisamente rosate, che il vento forte produceva questo effetto su di me. Già, e quale vento poteva riuscirci meglio, se non un ragazzo così carino e gentile esperto in Pokémon di tipo Volante*…? Avevo avuto anche la sensazione che mentre mi scusavo per il mio rossore lui mi fissasse… Forse era una mia impressione dovuta all’emozione e mi facevo troppi film mentali come al solito.
In ogni caso la missione si era svolta nella più totale tranquillità, quelle poche reclute di ronda erano state derubate dei propri mezzi di comunicazione per evitare di chiamare rinforzi, le loro intere squadre erano state messe al tappeto e noi placidamente eravamo arrivati in una sorta di quartier generale. Era un altro casermone simile a quello trovato a Kalos, nascosto da altre due o tre barriere che poi rivelavano stanze e corridoi segreti. Ci eravamo arrivati grazie alle gentili indicazioni di quelle disponibilissime reclute.
Era stato interessante il breve incontro con Saturno, uno dei generali Victory. -Siete arrivati tardi- ci aveva accolto. La sua voce era annoiata e strascicata, mi stava già dando i nervi. Poi aveva proseguito tranquillamente: -Le informazioni che state probabilmente cercando sono state trasferite, e in ogni caso non so come potessero…
-Meno chiacchiere e fatti da parte, Saturno- lo avevo interrotto giocherellando con la ball di Nightmare. -O forse preferisci lottare? Per me non fa alcuna differenza, sarà ugualmente facile.
-Se la metti così…- aveva ghignato lui. Ne era seguita una lotta in singolo che aveva dato il tempo necessario a Sara e Melisse di smanettare con i computer, a Oxygen di guardarsi le unghie e all’altro ragazzo del gruppo di fare da sentinella, anche se non ce ne era stato alcun bisogno. Saturno era più forte di quanto mi aspettassi ma non per questo era stato tanto difficile batterlo. Nightmare aveva resistito con più Pokémon ed era stato poi sostituito da Rocky, finché le due ragazze non avevano ottenuto ciò che ci serviva e ce ne eravamo andati indisturbati.
Avevo espresso le mie perplessità a Bellocchio al riguardo di questa accondiscendenza generale da parte del nemico di lasciarci prendere senza opporsi con vera forza ai nostri furti di informazioni. La risposta che avevo ricevuto era stata abbastanza enigmatica per gli standard dell’uomo, ma avevo capito il senso: -I tasselli a nostra disposizione del puzzle che stiamo componendo sono ancora molto pochi, i Victory questo lo sanno.
In parole povere, il Victory Team era sicuro - e purtroppo aveva ragione - che ciò che sapevamo sul suo conto non fosse abbastanza per prenderci seriamente: non dava lo stesso peso che invece attribuivamo noi a quello che volevamo trovare, quindi non si preoccupava di qualcosa ritenuta una sciocchezza. La cosa mi aveva infastidita perché mi aveva dato una forte e sgradevole impressione: mi pareva di star lavorando per niente. Nel giro di due-tre mesi avevo partecipato a due missioni e quel numero, per gli standard della base, era molto alto. Per questo mi ero chiesta cosa ci mancasse, quali tasselli essenziali di quel puzzle ci servissero per schiarirci le idee e iniziare a crearci qualche carta da giocare, con la sensazione di non star brancolando nell’oscurità. Solo molto in seguito mi permisi di porre questa domanda a Bellocchio, che sicuramente era scottante e sgradita.

Agli inizi di novembre cadeva il diciassettesimo compleanno di Daniel. Un modo per festeggiare non esisteva lì alla base e ne avevo avuto la prova quando, compiuti sedici anni, solo gli amici più stretti mi avevano rivolta la parola per farmi gli auguri. Memore dell’esperienza all’Accademia, quando ogni compleanno si festeggiava con tantissima contentezza e allegria, ci ero rimasta un po’ male per poi rassegnarmi appena avevo capito - o meglio, realizzato per l’ennesima volta - come funzionassero lì le cose.
Però in qualche modo volevo far sì che la giornata del mio amico fosse un po’ più speciale del solito, volevo che ricevesse la giusta differenziazione dalla routine quotidiana come si meritava. Per fortuna in quel periodo Daniel non era fuori per qualche missione e avevo campo libero per stare un po’ con lui. Sentivo di dovermi sdebitare per la sua disponibilità e gentilezza, che mi aveva dimostrato più di una volta in quei mesi senza ottenere un vero contraccambio da parte mia: quello era il momento giusto per fargli vedere che c’ero e che avevo apprezzato molto i suoi sforzi, che di certo non sarebbero stati inutili perché mi avevano tirata su di morale in molte occasioni.
“Di regali non ne riceverai neanche stavolta, Dan,” pensai nei giorni precedenti al piccolo evento, “ma spero che un po’ di attenzioni da parte della tua migliore amica ti facciano piacere. È da tanto che non mi degno di… essere alla tua altezza, ecco. Mi dispiace, ma è ancora così difficile…”
Quindi la mattina del giorno del suo compleanno mi svegliai di buon’ora, anche per rendermi per lo meno presentabile ai suoi occhi in quel dì particolare. Era da un po’ che non facevo attenzione a me stessa e impiegai un po’ di tempo per riprenderci la mano, mi pareva strano dedicarmi all’aspetto esteriore. Feci spallucce e abbozzai un sorrisetto furbo, che come al solito non si estese ai miei occhi. -Meglio di niente, dai. Ma facciamo progressi, nevvero, Eleonora?- chiesi al mio riflesso nello specchio del bagno, ridacchiando per quella scenetta.
Chiara, che era sveglia da prima di me, tutto sommato si stupì di vedermi un po’ meno trasandata del solito. Ovviamente non mi degnò di una parola e io non cercai di avvicinarmi, ma quell’occhiata di sbieco che mi aveva lanciata quasi casualmente mi infastidì un po’, senza che sapessi nemmeno bene il perché.
Fui sorpresa di scoprire che Daniel non era nella base e nemmeno in missione. Incontrai George quasi per caso e sapendo che i due erano molto amici gli chiesi che fine avesse fatto, poiché lo cercavo da un buon quarto d’ora.
-Sai che è uscito a fare una passeggiata sul Monte? Ci siamo svegliati come al solito abbastanza presto e quasi subito dopo avergli fatto gli auguri è praticamente scappato- disse, anche lui sorpreso di quella cosa. -Non è la prima volta che esce dalla base per un giretto, ma non mi aspettavo che lo facesse anche oggi. Tu sai…?
-No, appunto per questo ti chiedevo dove fosse, nemmeno sapevo che fosse uscito- lo interruppi. -Be’, vorrà dire che andrò a cercarlo. Di giretti nel Monte Corona me ne sono fatti decisamente più di lui!
-Va bene, ciao ciao- mi salutò lui ammiccando. -Digli di tornare presto, ho bisogno della solita lotta mattutina.
-Certo, ci vediamo- replicai. Avvisai Bellocchio della mia uscita e lui acconsentì senza problemi, come al solito seduto irrequieto nel suo ufficio scegliendo tra qualcuna delle sue faccende da sbrigare.
Il clangore mettalico del portone della base che si chiudeva alle mie spalle mi annunciò che ero ufficialmente fuori. Qualcosa mi diceva che Daniel si trovava sul percorso che portava alla Vetta Lancia, perciò mi rassegnai a dover fare il giro lungo da Cuoripoli, altrimenti Altair o Diamond si sarebbero congelati a volare con quel freddo. Tra l’altro mi pareva passato un sacco di tempo da che non stavo un po’ sola con la mia Altaria: momenti passati insieme in solitudine ce n’erano stati parecchi, questo sì, ma era da tanto che non volavamo insieme. Quando ero rientrata nella base segreta dalla missione a Kalos avevamo volato abbastanza a lungo fino all’aeroporto che ci avrebbe riportati tutti “a casa”, ma si trattava di due mesi prima, mentre il - relativamente - breve tragitto dal Monte Corona all’Isola Ferrosa non lo consideravo proprio per la piccola distanza tra le due zone. E adesso dovevamo volare per un tratto brevissimo, ma nonostante ciò pensai che quel poco insieme sarebbe stato molto meglio dei viaggi di gruppo, in cui non avevamo un momento disponibile per “chiacchierare” indisturbate.
Nel giro di pochi minuti ero fuori dai labirintici corridoi del Monte e intravedevo la piccola Memoride come al solito sommersa dalla nebbia, caratteristica della città e dei percorsi adiacenti. -Tanto meglio- dissi a bassa voce. La visuale di Altair durante il volo poteva non essere eccezionale, ma almeno nessuno ci avrebbe viste. Uscì dalla sua sfera silenziosamente. Ogni volta mi ricordavo di quanto era una Swablu, dei forti schiamazzi che emetteva in qualunque momento, poi di quanto detestasse starsene nella Ball e invece adorasse appollaiarsi sulla mia testa. Ma con l’evoluzione era stata costretta a smettere di muoversi come quando era un esserino minuscolo e batuffoloso. Ci scambiammo un’occhiata veloce e io sorrisi, né amaramente né per un qualche motivo allegro.
-Anche tu sei cambiata, nevvero?- le sussurrai abbracciando il suo corpo morbido e caldo. Altair canticchiò dolcemente un mormorio a me incomprensibile che interpretai come una semplice, tenera dimostrazione d’affetto. Non avremmo mai parlato la stessa lingua ma non ce n’era bisogno in momenti come quello. L’intesa era forte. Non tanto quanto avrebbe voluto Rosso, i cui allenamenti erano estenuanti, ma in quegli attimi di dolce solitudine mi sentivo fusa con lei, che era stata il mio primo Pokémon e anche la prima vera conoscenza in quel mondo.
“Lei è così importante” pensai mentre le salivo sopra. Come al solito era subito pronta per spiccare il volo. “Mi pare di non riuscire a concepire quanto lei sia fondamentale per la mia stessa esistenza. Non voglio pensare a cosa  mi succederebbe se la perdessi. Quando sono con Altair mi sento così al sicuro e proprio questo mi porta a chiedermi cosa farei senza di lei… Purtroppo come succede con molti altri, c’è sempre per me, mentre io sono così poco presente per lei. Sarà abbastanza? Oppure vorrebbe di più da me? C’è qualcosa in cui sbaglio, che magari ci farà arrivare a un livello ancora superiore quando mi correggerò? Chissà che in quel momento io non riesca a fare esattamente come Rosso, a diventare come lui, non avere bisogno di altro… raggiungere la vetta…”
Durante il breve viaggio raccontai ad Altair qualcosa di più o meno futile e interessante. Lei non rispose mai, ma sbirciando per vederle gli occhi notai uno sguardo attento che mi riempì di fiducia e orgoglio, perché potevo notarlo solo quando parlavo io e lei era interessata. -Sai che sono cotta pazzamente di Oxygen, il ragazzo con quel bellissimo Altaria cromatico?- le dissi con estrema naturalezza e spensieratezza.
Lanciò un piccolo strillo di stupore che mi fece ridacchiare. -Non mi dire che non te l’ho raccontato! E va avanti pure da un sacco di tempo, a dire la verità. Andiamo, è impossibile che non te l’abbia detto!- insistetti quando la vidi scuotere la testa con decisione. Un’altra esclamazione da parte sua, ben diversa da quella di prima, mi fece capire che era il momento di atterrare. -Va bene, forse mi sono dimenticata, però non era così difficile farci caso- borbottai, giusto per farla indispettire. Lei per vendicarsi fece un atterraggio più brusco del solito.
-Ma che modi!- sogghignai mentre la facevo rientrare nella Ball.
Ero precisamente davanti l’entrata per l’interno del Monte Corona, l’altra strada che conduceva alla Vetta e non a Nevepoli. Replicai il percorso che tante volte avevo fatto, che nonostante lo scarso senso dell’orientamento ormai conoscevo praticamente a memoria; quindi con una certa sicurezza mi incamminai. Ciò che più mi premeva era sapere cosa fosse preso a Daniel per scappare lontano dal resto della gente nella base tanto da spingerlo a uscire così presto, tra l’altro per andare a passeggiare sulle pendici perennemente innevate di un Monte impervio come quello di Sinnoh. “Avrà uno dei suoi momenti no, oppure vuole solo pensare un po’, isolato da tutti” mi convinsi. “Magari vuole imitare Rosso, scrutando l’orizzonte sull’orlo di un precipizio… mmh, non è una buona idea.”
Decisi di rimandare tutte quelle congetture, perché avrei scoperto tutto al momento opportuno. E poi mancava poco al mio arrivo, ero già uscita dalla prima parte del percorso interno alla montagna. Rabbrividii all’ondata di gelo che arrivò dalla distesa di neve, colorata qua e là da sprazzi d’erba alta. Mi guardai intorno, tenendomi le ciocche più fastidiose di capelli con una mano per evitare che il vento me li mandasse negli occhi. Conoscendolo doveva essersi spinto molto più in là, probabilmente fino a dove le barriere imposte a difesa della Vetta Lancia glielo avessero concesso. “Perciò gambe in spalla e raggiungiamolo, pregando perché il mio istinto di amica - o qualcosa del genere, mi abbia mandata nel luogo giusto e non mi sia ingannata seguendo i miei gusti…”
Già, perché se c’era una cosa che mi piaceva era proprio la zona del Monte Corona più vicina alla Vetta Lancia, luogo mistico e misterioso che ci era vietato conoscere e che per questo attirava come una calamita la mia curiosità. Incrociai le dita nelle tasche del giaccone e proseguii, continuando a sperare di essere nella giusta direzione.
Ci avevo preso in pieno e la cosa non poté non soddisfarmi un po’. Daniel si era spinto davvero fino al limite imposto dalle barriere, quello sul quale ero praticamente andata a sbattere con il naso molto spesso, animata dalla convinzione di poter proseguire fino in fondo. Il ragazzo era seduto su un masso che aveva ripulito dalla neve e contemplava l’orizzonte nebbioso. La vista di parte di Sinnoh era imbiancata proprio dalla densa foschia e quindi non mi soffermai molto su quello scenario, sicura che il fischiare insistente e potente del vento teso nelle orecchie non avesse fatto sentire a Daniel i miei passi, che smuovevano indelicatamente la neve.
Cercai una frase d’effetto che non rendesse me impacciata e il momento irrimediabilmente rovinato, ma in quel momento riuscii a dire solo un misero: -Auguri, Daniel.
Il ragazzo si voltò sorpreso. Quando mise a fuoco la mia figura e riconobbe il mio viso si rilassò e si lasciò sorridere, rassicurandomi. -Grazie mille, Eleonora… non mi aspettavo di incontrarti qui.
-In realtà nemmeno io, credevo di poterti fare gli auguri nella base segreta anziché qui. Ma comunque questo posto mi piace molto di più, quindi non mi lamento affatto. Posso?- ribattei avvicinandomi a lui.
-E me lo chiedi pure?- Daniel mi fece posto sul masso e io mi sedetti.
Restammo in silenzio per un po’, cercando qualche parola da dirci. Alla fine io sospirai: -Perché sei qui?
Lui alzò le spalle e si mise più comodo appoggiandosi con la schiena alla parete di roccia. Poco lontana da noi c’era la porta che conduceva a una delle ultime stanze prima della Vetta Lancia. -Prima di far partire la giornata… non so, avevo voglia di starmene un po’ qui. È un posto che mi piace molto e mi attira, ogni volta che posso vengo qui per… Diciamo pensare, stare solo con me stesso. Capisci, no?
-Certo- dissi, chiedendomi cosa avesse da dirsi quando se ne stava lì in solitaria.
-Non pensi che sarebbe meraviglioso arrivare sulla Vetta?- chiese lui. Prima che continuasse lanciai una breve occhiata all’espressione del suo viso, stupendomi di riscontrare un’estatica voglia di sapere, di scoprire. Non era curiosità, era qualcosa di molto più forte, come un’attrazione incredibile che non riuscivo a spiegarmi: io anche ero affascinata da quel luogo inaccessibile - e glielo dissi con un “sì” poco convinto a causa dell’accurato studio che stavo svolgendo su di lui - ma i suoi occhi erano seriamente persi in un paradiso meraviglioso a quel pensiero.
-Quando ero piccolo- prese a dire con trasporto, -i miei genitori mi raccontavano spesso le leggende di Sinnoh come il mito della creazione, con Arceus, il Trio dei Draghi e il Trio dei Laghi, tutti i Leggendari… da allora tutto questo mi interessa tantissimo, è sempre stato la mia curiosità maggiore. Adesso, come molte altre volte, sono qui… e non mi è permesso visitare la Vetta Lancia, il luogo da cui tutto è nato, secondo la leggenda. Spesso mi dà fastidio ridurre tutto a un mucchietto di parole sull’evoluzione della specie e sulla “vera” nascita del mondo- sbuffò dopo un cambio di espressione, diventando pensieroso. -So che è stupido, ma è come se volesse cancellare la leggenda in cui io credo fermamente, a cui mi sento legato perché è la prima che io abbia mai conosciuto.
Stetti un po’ in silenzio prima di rispondere con qualcosa, tanto che lui gettò un occhio sul mio stato per capire se fossi ancora presente in quel mondo. -Non lo trovo tanto stupido, in realtà- sentenziai infine, accennando un sorrisetto. -E se da una parte mi stranisce questo tuo attaccamento a un luogo e ad un mito, dall’altro… dall’altro lo trovo abbastanza comprensibile. In un certo senso posso capirti…
-Tu hai qualcosa o qualcuno con cui sei così intima?
-Mmh… be’, è una domanda difficile…
-Oh, ma non fa niente- cambiò improvvisamente tono e ridacchiò come a voler dire “Che razza di discorsi sto facendo il giorno del mio compleanno?”. E in effetti disse più o meno quello subito dopo: -Forse è un po’, diciamo, forte come argomento. E poi… hai tutta la vita davanti per trovare qualcosa del genere.
“Già, sempre che questa maledetta guerra mi consenta di sopravvivere abbastanza a lungo” borbottai tra me e me, per poi scacciare all’istante quei pensieri funesti. Chiacchierammo ancora un po’ di cose più leggere e senza dubbio più “stupide”, ad esempio come passasse in genere i suoi compleanni e roba simile.
-Com’è invece trascorrere una giornata del genere così?- gli domandai curiosa. -Cioè, almeno io ero abituata a tutt’altra atmosfera quando era il mio compleanno… quindi quando quasi nessuno si è accorto che per me era una giornata diversa dalle altre ci sono rimasta parecchio male. Anche se ormai lo trovo comprensibile.
-Le mie aspettative per fortuna erano, e sono ancora, sotto lo zero. Infatti mi ha sorpreso molto vederti arrivare qui, non pensavo che mi avresti raggiunto- sorrise. Ricambiai un po’ imbarazzata. -Come hai fatto a trovarmi?
-Istinto- risposi con semplicità.
Lui annuì pensieroso, mordicchiandosi il labbro superiore, screpolato e semicoperto da quel po’ di baffi che si ritrovava. Non proseguì su quel discorso e cambiò nuovamente argomento. I suoi occhi blu che tendevano a socchiudersi, ombreggiati da un velo di profonda sensibilità, mi informavano che quel giorno il ragazzo era in vena di discorsi seri e che con ogni probabilità mi toccava sottostare ai suoi desideri. Difatti, collegandosi al tema del compleanno, prese a dire sorridendo tranquillamente: -Credo di aver fatto bene a non aspettarmi nulla da questa giornata. Apprezzo tanto vederti qui, molto più di quanto avrei fatto se invece mi fossi detto “vorrei tanto che qualcuno mi facesse una sorpresa e mi venisse a trovare anche qua”.
-Era il minimo che potessi fare- mormorai.
Daniel stette di nuovo un po’ in silenzio, finché non mi chiese: -Secondo te cos’è il tempo?
-Il… il tempo?- Ero abbastanza spiazzata da quella domanda, che non mi aspettavo da uno come lui. Perché per quanto fosse bravo, buono e senza dubbio anche bello, l’avevo sempre visto come uno un po’ superficiale, che non si poneva domande del genere, pensando che fossero troppo filosofiche - o almeno lui avrebbe detto così. A meno che non stesse scherzando e si riferisse a quello meteorologico, allora mi sarebbe sembrato più sé stesso.
Annuì, invitandomi a rispondere. Io inarcai le sopracciglia, mai avevo pensato a cosa fosse, perché esistesse e così via. Come tutte le cose naturali che esistono al mondo, mi pareva un meccanismo perfetto e onnipresente che perciò passava inosservato alla mia percezione. -Mi cogli alla sprovvista…- ribattei senza avere la più pallida idea di cosa potergli rispondere.
Sbuffò. -Non te lo sei mai chiesta?- Scossi la testa e lui proseguì: -È da un po’ che ho iniziato a pensarci. Il tempo è relativo, questo lo sanno tutti, ma quando ho realizzato le prime volte questa cosa… Insomma, basti pensare al fatto che per ognuno il tempo scorre a una diversa velocità. Magari per me che sto parlando i minuti vanno via velocissimi, tu che mi devi ascoltare invece non vedi l’ora che finisca e continui a guardare l’orologio in attesa che sessanta secondi svaniscano subito… È un fattore così soggettivo, mi attira moltissimo per questo, e mi chiedo se non esistanto leggi in attesa di essere scoperte che lo rendano uguale e terribile per tutti. Nasconde chissà quanti segreti, il tempo… mi sembra un evento misterioso, ma continuamente attivo e sempre presente. Inesorabilmente prosegue per la sua strada, si lascia indietro generazioni, secoli ed ère, nessuno riesce a starci al passo. E per questo non è più così soggettivo, diventa appunto una legge uguale per tutti. Nessuno può sfuggire al tempo ed è terribile quando quello ti risucchia dentro di sé…- Fece una pausa.
Io lo ascoltavo senza sapere se le sue parole fossero quelle di un uomo, che inizia a vedere come funziona il mondo, o di un bambino che si chiede quali leggi e quali fattori governino l’universo che non riesce a concepire, su cui può solo fantasticare. Il suo discorso era partito in un modo poco convincente, ma poi mi aveva parecchio stupita per le sue parole. “Sembra che stia parlando della morte, più che del tempo” riflettei.
-Il tempo… sarà davvero nelle mani di un Pokémon? Come ti senti, dimmi la verità, a sapere che il suo funzionamento è regolato da una creatura altrettanto misteriosa e pericolosa?- chiese poi.
-Parli di Dialga?
Lui annuì. Io alzai le spalle e lo guardai con un mezzo sorriso, intristita dal doverlo contraddire. -Daniel, a dirti la verità, visto che è quello che vuoi, non posso proprio credere che l’universo e il suo Creatore siano nati da un Uovo Pokémon. È una cosa che non riesco ad accettare per la sua poca credibilità, almeno per quanto mi riguarda. Men che meno mi convince l’idea di essere soggetta al volere di questi esseri, che saranno sovrumani e potenti quanto vuoi tu… ma addirittura pensare che l’ordine dell’universo rientri nei loro compiti e nelle loro abilità!
-Ma perché no?- ribatté istantaneamente. -L’hai detto anche tu, sono molto più potenti degli esseri umani! Noi siamo sprovvisti dei loro mezzi, loro che hanno tantissimi tipi diversi e facoltà incredibili… questo è il motivo principale per cui io mi ostino a crederci. Forse mi riterrai uno stupido o un bambino, un infantile, ma non riesco a smettere di pensare che tutto questo- fece un gesto vago che comprendeva l’orizzonte e tutto ciò che ci attorniava -sia stato affidato al caso, all’evoluzione e alla selezione naturale. Tu perché non ci credi?
-Non c’è un vero motivo, semplicemente mi sembra inconcepibile. Sarà perché sono entrata in questo mondo molto più tardi di te, che ci sei nato, mentre io sono stata strappata alla realtà di Nevepoli e via dicendo… ma che i Pokémon gestiscano tutto questo? No, assolutamente no.
-Credi che io ne stia facendo una religione?
-Le religioni non esistono più- sorrisi amaramente. -Con la rinascita del mondo e la sua riorganizzazione sono state abolite, lo sai…
-Lo so, lo so, ma la riorganizzazione è stata opera dei Pokémon!- Gli occhi di Daniel brillavano.
-Questo non significa che loro abbiano dato vita a tutto- risposi. -Abbiamo detto prima pure questo, i poteri che hanno e che ancora dobbiamo scoprire sono più che sufficienti anche per mettere in scacco l’umanità.
Lui stesse un po’ in silenzio e infine sospirò. -Immagino che non cambierai idea- si rassegnò.
-No, non così facilmente, almeno.
-… Be’, forse dovremmo smetterla di parlare di queste cose!
Daniel scoppiò improvvisamente a ridere di cuore, grattandosi la nuca con aria innocente e sbadata.
-Finalmente l’hai capito!- replicai allietata da quell’improvviso accesso di risa. -Anche perché ero venuta qui per chiacchierare in tranquillità, mica per questi discorsi!
-Sì, hai ragione- confermò, passandomi un braccio attorno al collo e stringendomi a sé in un abbraccio.
La mia faccia si colorò di un rosa vivo e mi ritrovai a pregare perché tornassero al loro normale colorito. “Aiuto, ma perché reagisco sempre così…!” -Parlando di cose davvero serie, te lo sei trovata un ragazzo, nanetta?
“E ti pareva che non iniziava a parlare di questo…” borbottò una vocina permalosa nella mia testa mentre mi facevo ancora più rossa. Daniel rise senza ritegno per la mia reazione e io lo spintonai indispettita. -Nanetto sei tu!- protestai balbettando e inciampando su ogni sillaba. -E comunque no…
-Mmh, ho capito. Ma l’hai fatto un pensierino su qualcuno?
-Diciamo pure che ho di meglio, per ora, a cui pensare- sbuffai incrociando le braccia e guardando da un’altra parte - più che altro per non farmi vedere mentre mentivo, cercando di darmi un contegno.
-Dai, rispondi bene. Allora?
Stetti muta per lunghissimi secondi finché lui non fece capolino nella mia visuale. Aveva un’espressione tanto divertita che mi veniva voglia di prenderlo a schiaffi. -Anche se fosse non te lo direi.
-Ma come!- Era a metà tra lo stupito e l’ilare. -Io ti direi tutto di me, invece.
-E allora fallo. Sei riuscito a piacere a qualcuna, caro?
Un ghigno furbo si dipinse sul suo viso. -Ebbene sì, cara.
Inarcai le sopracciglia, ero sinceramente sorpresa da quella risposta, che di certo non mi aspettavo. Proseguì: -E ti dirò di più, ricambio i suoi sentimenti. A quanto pare, da quello che ci siamo detti presto, era da un bel po’ che ci giravamo attorno e alla fine io ho fatto il primo passo, com’è giusto che sia.- Sembrava compiaciuto.
-Ma che gentiluomo, che cavaliere. E chi è la fortunata?
-Se non sbaglio siete amiche… è Melisse.
Annuii piuttosto pensierosa, distogliendo lo sguardo da lui e sentendo risuonare mille volte nella mia mente il suo nome. Inizialmente fui ancora più stupita ma poi realizzai che un po’ me l’aspettavo, soprattutto da quella premessa “siete amiche”. Avevo esaminato nel giro di mezzo secondo tutte le mie conoscenze e non avevo scartato il viso di Melisse subito dalla mia immaginazione. -Oh, lei è molto carina. Sia dentro che fuori- mormorai. In effetti era così, aveva una bella pelle piuttosto scura e lunghi, lisci capelli neri, che rilucevano come i suoi grandi occhi nerissimi. Era molto gentile, disponibile, simpatica. Insomma, aveva anche un discreto successo.
-Sì…- Il tono di Daniel era del tutto particolare.
Lo guardai di sfuggita e sul suo volto trovai riflessi tanti di quei sentimenti dolci e innamorati che mi confusi e mi imbarazzai, sentendomi come estranea al rapporto che si era venuto a creare tra quei due. -Da quanto… da quant’è che state insieme?- chiesi più o meno interessata.
-Oh, non molto. Più o meno due settimane.
-Attento a non scordarti il mesiversario. Tatuati sul polso la data del gran giorno.
-Credo che questo consiglio sia molto utile- rise Daniel riassumendo la posizione più o meno sbracata sul masso di poco prima. -Comunque non sto scherzando, sono davvero felice. Anche perché non mi aspettavo proprio che in una situazione come quella che stiamo vivendo fosse ancora possibile instaurare rapporti di amicizia, figurarsi d’amore. Quindi ogni volta che la penso mi stupisco della fortuna che ho avuto, chissà quanti sono costretti a vivere separati dal proprio amore a causa della guerra oppure non possono stare insieme con lui per impedimenti imposti da qualcuno, o semplicemente perché, come hai detto tu prima, si hanno altre cose a cui pensare.
-Forse proprio perché la realtà in cui viviamo è così dura cerchiamo qualcuno che ci capisca, con cui stare bene insieme- dissi, mettendomi anche io più comoda accanto a lui. -Sai, Daniel, credo che gli amori e i rapporti affettivi più in generale che nascono ora siano i più sinceri, perché hanno la forza di emergere anche quando la guerra e la solitudine vorrebbero sopprimere la loro stessa esistenza. La trovo una cosa grandiosa…- mormorai così a bassa voce che lui dovette farsi più vicino per sentire meglio. Per questo subito dopo esclamai con un sorriso: -Quindi sono così contenta per te e Melisse! Sono sicura che insieme starete benissimo, davvero! Mi fa tanto piacere!
Mi diede l’impressione di essere stupito da questa mia reazione piena di entusiasmo, ma poi anche lui sorrise e mi abbracciò. E per l’ennesima volta in quella giornata mi disse grazie.
Daniel tornò dentro la base segreta poco dopo proprio per cercare Melisse e stare con i suoi amici. Io decisi di aspettare ancora un po’ là fuori, dicendogli che quel posticino mi piaceva.
Con un sorriso furbo lui mi prese in giro: -Hai da pensare al fidanzatino, eh?
-Vattene- lo liquidai, lanciandogli un’occhiata di finta seccatura. Lui mi salutò un’ultima volta con la mano quando era ormai voltato di spalle, pronto a ripercorrere i suoi passi per rientrare. Continuai a fissare imperterrita e senza vederla davvero la parete rocciosa dietro al quale il ragazzo era scomparso, mentre più e più volte la mia mente mi proponeva l’immagine del suo gesto di saluto e l’ultimo millimetro appartenente alla sua figura svanire, risucchiato dal confine tra cielo e montagna che si stagliava davanti a me. Solo allora mi abbandonai ad un sospiro di sconforto e mi raggomitolai su me stessa, portando le ginocchia al petto, abbracciando con le braccia le caviglie e nascondendo il naso tra le gambe in cerca di un po’ di confortevole calore. Gli occhi si socchiusero malinconici.
Mi chiesi se fosse quello il momento di esternare interamente le feroci invidia e gelosia che iniziavano a rodermi l’anima. Prima di pensare a quello esaminai la mia performance con Daniel e decisi che avevo recitato abbastanza bene la parte dell’amica felice e contenta della coppia appena sbocciata, concedendomi solo qualche momento di lotta interna che avevo opportunamente trasformato in momenti pensierosi e ingenui. “Quindi brava te! Adesso è ora di far fuori la ragazza del tuo amico!” esclamò malignamente divertita la familiare vocina nella mia testa.
Sbattei il dorso della mano contro il masso su cui sedevo trattenendo a fatica un pugno di sfogo, consapevole delle brutte condizioni in cui l’avrei ridotta se avessi incontrato in maniera troppo ravvicinata la roccia gelida.
-Sbaglio o ti piaceva il dolce e riservato Oxygen, cara Eleonora?- sussurrai dando appena fiato alla mia voce.
La situazione sentimentale che stava venendo a crearsi non mi ispirava per niente, ci mancava solo che mi ritrovassi divisa tra due fuochi, entrambi attraenti e che desideravo con tutta me stessa: da una parte il ragazzo che mi ostinavo a considerare il mio migliore amico ma che evidentemente speravo fosse qualcosa di più, dall’altra quello che avrebbe dovuto essere e rimanere per sempre il mio maestro di allenamento Pokémon, ma per il quale avevo preso una sbandata piuttosto seria. -Spiegami perché adori così tanto complicarti la vita.- Il fatto che parlassi rivolta a me come un’altra, seconda persona mi dava da pensare alla mia instabile situazione psichica. 
Per quanto provassi a dire con insistezza a me stessa che il buon vecchio Daniel era stato solo una misera cottarella, passeggera ed adolescenziale, a forza di arrossire e balbettare in sua presenza quando non mi preparavo una bella traccia, da seguire come un copione durante una conversazione, capii. Mi divenne chiaro come non mai che in tutti quei mesi, se non quegli anni passati insieme in cui avevo cercato di convincermi che eravamo solo amici, il mio pazzo cuoricino aveva fatto di testa sua e aveva tenuto un posto per lui che non si era mai liberato. Oxygen si era preso un’altra poltrona tutta per lui e questo non faceva che peggiorare le cose.
“In aggiunta a tutto questo sono andata a scegliermi proprio le due persone migliori” pensai ironicamente. Già, ero innamorata di un ragazzo fidanzato e di uno che doveva stare lontano da me per un rapporto di livello molto differente quale quello allieva-maestro. E invece ero là, con gli occhi un secondo socchiusi e due serrati in cerca di un po’ di pace che non riuscivo a trovare, rannicchiata in quella triste posizione che speravo mi desse un po’ di conforto, a contatto con il calore del mio corpo, attenuato dal gelo che tormentava il Monte Corona.
Ma com’era possibile che riuscissi a farmi piacere due persone contemporaneamente? Proprio io che quasi mi imponevo regole sulle persone da amare, dicendomi che dovevo conoscerle bene e apprezzarle, che non dovevano essere amici per rovinare i rapporti né in posizioni sconvenienti, che avrebbero reso complicato il rapporto. Viva la coerenza, proprio: questo mi faceva arrabbiare con me stessa, perché andavo a infilarmi in situazioni più grandi di me come mio solito. Non avevo mai voluto tutto questo, eppure qualcosa mi aveva spinta in quel casino di troppe emozioni e sentimenti che faticavo a riconoscere e tentavo di riordinare, per poi ritrovarmeli tra i piedi quando credevo di essermene finalmente disfatta e tornare a una situazione peggiore delle precedente.
Mi alzai in piedi all’improvviso e meccanicamente, dopo lunghi minuti passati a pensare continuamente a tutto quello con il solo risultato di sentirmi ancora peggio, mi avviai verso la base segreta convincendomi che non avevo alcun motivo per continuare a ghiacciarmi le mani lì, su quel masso freddo, addosso alla parete di roccia.
Rientrai nella base segreta accogliendo con piacere la sensazione sulla mia pelle di calore, perché nonostante lì dentro non facesse tanto caldo, la differenza era comunque parecchia. Sospirai lievemente mentre toglievo sciarpa e guanti e mi dirigevo verso il dormitorio femminile, alla disperata ricerca del mio letto per un po’ di conforto.
Prima di arrivare, però, mi imbattei forse casualmente in Melisse. Era vestita e acconciata particolarmente bene quel giorno e non faticai a capire perché. Mi chiese con una nota ansiosa che tradiva un tono che voleva essere il più disinteressato possibile: -Ciao, Ele! Per caso hai visto il tuo amico Daniel?
Non riuscii a trattenere un sorrisetto. -Il tuo ragazzo, intendi?- domandai, sicura che non ci fosse nessuno altro ad ascoltare. Anche qui faticai a non ridere nel vedere la sua faccia divenire di un vistoso color rosso imbarazzo. -Sì, l’ho incontrato e gli ho fatto gli auguri. Ma non so dirti dove sia ora, ad essere sincera.
-O… ok, non importa, lo cercherò. Grazie, comunque…- balbettò. Mi pregò di non dire niente a nessuno e io feci finta di cucirmi le labbra, quindi corse via salutandomi ancora tutta colorita.
Daniel aveva aggiunto durante il discorso che avrebbe aspettato Melisse nella sala per l’allenamento, ma non avevo alcuna voglia di indirizzarla tanto facilmente verso il loro appuntamento. Perciò, fingendo ignoranza, andai finalmente ad abbracciare il mio amato cuscino, non potendo evitare di immaginare che al suo posto ci fosse un Oxygen o un Daniel libero dalla sua ragazza. La quale, in quel momento, mi risultò abbastanza seccante: volevo bene a Melisse, questo lo sapevo benissimo, ma non potevo nascondermi di essere più che gelosa di lei. Questo mi portava a esasperare sentimenti negativi che non provavo nei suoi confronti. Mi sentivo in colpa quando riflettevo su questo, ma appena la incrociavo quelli di nuovo di facevano vivi e per me incontrastabili.
Molto più forti erano, però, le emozioni che scoppiavano con forza nel mio petto quando Oxygen si mostrava a me, che fosse per caso o perché io lo avevo cercato. Oppure, realizzai in seguito, perché lui aveva cercato me.

Appena tornate dalla missione a Kalos, io e Camille non avevamo avuto un attimo di respiro ed eravamo state immediatamente convocate da Bellocchio. La prospettiva di un incontro fatto così presto non mi attirava affatto, in particolare perché dovevo sorbirmela con una ragazza che mal sopportavo, ma avevo fatto buon viso a cattivo gioco e, vestendo una maschera impassibile che faceva invidia a quella dell’altra, mi ero presentata con lei.
Appena entrate avevamo visto Bellocchio giocherellare con il tappo di una penna e mordersi il labbro inferiore, pallido e screpolato, che a malapena ci aveva invitate ad entrare quando avevamo bussato alla porta. Subito aveva lanciato un’occhiata d’accusa terribile a Camille, che per un momento fece vacillare la mia espressione fredda poiché mai lo avevo visto così deluso e arrabbiato. La ragazza lo aveva sfidato ricambiando lo sguardo con più ira e presto mi erano stati chiari i rapporti tra i due, non tanto diversi da quelli tra me e lui.
-Camille, ciò che hai fatto è stato imperdonabile!- l’aveva rimproverata abbandonando la penna sulla scrivania. -Grazie al cielo Elisio aveva una buona difesa, se l’avessi ucciso avresti scombussolato tutti i nostri piani!
-Oh, sicuramente avere un capo nemico estremamente pericoloso in meno a cui pensare sarebbe stata una cosa terribile!- aveva ribattuto lei furente. Qualcosa però mi diceva che sapeva di aver commesso un grosso errore.
-Ebbene sì! Camille, il gioco della guerra ha bisogno di essere svolto con mosse precise: queste richiedono molto spesso anche una certa forza dell’avversario, che è possibile sfruttare a proprio piacimento ottenendone vantaggi non indifferenti. Tu questo gioco non lo stai giocando.- Bellocchio rischiava di sbottare con veemenza, aveva le guance appena arrossate dalla concentrazione. -Non conosci le regole e le leggi, quindi devi obbedire e basta.
-Ma…
-Tu non sei nessuno in questa vicenda!- aveva gridato all’improvviso lui. La mia maschera ormai era scomparsa e iniziavo ad avere paura delle conseguenze: Bellocchio era scattato in piedi e Camille era trasalita, mostrandosi per la prima volta, ufficialmente, inferiore. -Quindi smettila di ragionare con la tua mente da pazza, che non sa rifiutare le proprie emozioni e scegliere cosa è meglio per un progetto più grande, che non si conosce! Ti conviene fare l’abitudine al tuo stato di… di debolezza, come è giusto che sia e come tutti, tranne te, hanno capito!
Era vero. Da un pezzo io avevo capito che non contavo niente in tutto ciò che stava accadendo, individui presi singolarmente come noi ragazzi del Bene non eravamo nessuno e non avevamo alcuna forza. Insieme potevamo muovere guerra, forse, contro i Victory: ma l’azione di Camille era stata azzardata, mossa dall’impulso di rabbia e rancore verso una persona che le aveva fatto del male. Io non potevo biasimarla perché se avessi avuto davanti a me Cyrus non avrei saputo dire quali sarebbero state le conseguenze, e proprio per questo cercai di convincermi a fare tesoro di questa esperienza sgradevole per non dover avere un colloquio simile con Bellocchio.
L’uomo faceva davvero paura. Se noi singoli non avevamo forza, lui da solo in quel momento pareva in grado di distruggere solo con la propria volontà l’intero Victory Team. Forse era stata quella forza incredibile a dargli la possibilità di creare un’organizzazione con l’intento di contrastarlo: se così fosse stato, non volevo saperlo, perché in quelle condizioni Bellocchio mi intimoriva non poco. Camille aveva rinunciato da un pezzo a ricambiare il suo sguardo buio e irato, mentre lui continuava a fissarle la fronte come se con gli occhi potesse spaccargliela a metà.
-Devo ancora decidere cosa fare di te. Anzitutto, non potrai avere più contatti con lei- aveva accennato a me con la testa, la voce ancora tremante di rabbia ma più controllata. Io nemmeno mi ero chiesta il perché di quella cosa, nel mio intimo ero abbastanza sicura di saperlo. -Guai se vengo a sapere di chiacchierate sconvenienti tra voi due, vi avviso. Adesso vattene fuori- le aveva ordinato, rimettendosi finalmente a sedere.
Senza neanche cercare di darsi un contegno, Camille era uscita a testa bassa e aveva chiuso la porta dietro di sé con inaspettata delicatezza. Bellocchio aveva tirato un sospiro liberatorio e sembrava sull’orlo di una crisi di nervi. -Cosa devo fare, Eleonora? Dimmelo tu. Dimmi che hai una risposta. Io non so più come devo trattarla.
-Mi spiace, capo, ma io ne so meno di lei- avevo replicato, insinuando qualcosa sul segreto mio e di Camille che lui all’apparenza non aveva colto. -Anche se ho saputo che Elisio è suo padre. Come mai…
-L’ho lasciata partire? Ho scommesso troppo sul suo conto. Ora ho avuto la prova che lei non è ancora pronta per missioni così forti- lui aveva completato la mia domanda e dato una risposta. Poi si era alzato, aveva rovistato nei cassetti di un comodino all’angolo della stanza e mi aveva porto un grosso bracciale grigio scuro, solcato da linee più tendenti al nero, che io avevo infilato senza esitazione al polso destro, intuendo cosa fosse.
-Ecco a te il tuo agognato Megabracciale- aveva fatto un sorriso tirato, ma sembrava più rilassato. -Te lo sei meritata, lo ammetto senza problemi. Hai svolto un’ottima missione e quindi ti farò fare qualcos’altro appena mi sarà possibile infilarti in qualche spedizione…
Mentre lui continuava a parlare io avevo infilato la Galladite nel Megabracciale. Non avevo provato nessuna particolare, mistica sensazione, ma nonostante la delusione iniziale non mi ero persa d’animo e mi ero detta: “Dai, quando la proverò si mostrerà in tutto il suo potere.” Intanto Bellocchio parlottava più tra sé che rivolto a me delle due missioni a cui poi avrei partecipato in seguito, quella all’Isola Ferrosa e quella con Ilenia.
Così dopo qualche lungo minuto di convenevoli io me ne ero fuggita, impaziente di provare con l’avversario che per primo mi sarebbe capitato sotto il naso la Megaevoluzione di Aramis. Richiusa la porta con poca grazia mi ero accorta, con una successiva mancanza di una serie di battiti del mio cuore, che Oxygen era lì. Con la schiena appoggiata al muro e gli occhiali in bilico sulla punta del naso aquilino, il ragazzo era scattato sull’attenti e senza esitazione mi aveva rivolto la parola. -Ehi, ciao!- Aveva alzato la mano per salutare, appariva disinvolto.
Io stavo rischiando davvero un infarto e l’ultima cosa che mi sarei aspettata era vederlo lì. Ero appena tornata da una missione - il fatto che non volessi andare a dormire, fregandomene dell’orario, e che volessi una lotta era ben strano per i miei standard - e l’unica cosa che desideravo era trovare una ragazza della compagnia e provare con Aramis la Megaevoluzione. Quindi ero stata abbastanza colta alla sprovvista. In quei momenti i miei pensieri erano tutti più o meno: “Ma i miei capelli sembrano una giungla e devo gridare al miracolo se per caso non sono sudata per la paura, perché Bellocchio faceva davvero sudare freddo con la sua reazione!”
-C… ciao- un balbettio era uscito con timidezza dalla mia bocca. -Non… non mi aspettavo di trovarti qui.
-Oh, be’, avevo sentito da Bellocchio che stavi per ricevere la tua Pietrachiave ed ero curioso di sapere, tutto qui- Quel “tutto qui” mi aveva fatta vacillare sulle mie fragili convinzioni, nate dalle dozzine di film mentali che mi ero fatta nello spazio di qualche secondo. -Che Megapietra hai?
-La Galladite. Ma quindi Bellocchio aveva già deciso di darmi il Megabracciale?
-Megabracciale, eh? Posso vedere?- Avevo alzato il polso e lui l’aveva preso tra le mani con il pretesto di toccare la Pietrachiave. Ero trasalita e non riuscii a nasconderlo, ma forse lui non ci aveva fatto caso. Le mani magre che accarezzavano la mia pelle mi facevano battere il cuore all’impazzata, anziché fermarlo come temevo. Invece in quegli istanti la mia unica preoccupazione era non scoppiare o non sciogliermi in una valanga di cuoricini. -Hai intenzione di provarlo ora?- aveva chiesto, tracciando con un dito il percorso di una linea che incideva il Bracciale.
-Sì, infatti volevo andare nella sala d’allenamento. Prima però volevo trovare qualcuno che lottasse con me- era stata la mia risposta, mentre mi chiedevo - dopo che lui aveva mollato la mia mano e il mio polso - se non fosse il caso, forse, chissà, di chiedergli di essere il mio avversario.
Non ce ne era stato bisogno. -Se vuoi… possiamo provarlo noi due. D’altra parte sono il tuo, ehm, maestro… quindi penso sia più che lecito il fatto che io ti controlli, no?- Sembrava un po’ confuso e impacciato ora.
Mi aveva fatto un po’ tenerezza vederlo in quello stato, ma poi la vocina mi aveva detto: “E allora lui che dovrebbe dire di te, che tremi come una foglia e non riesci a controllarti?”
-A me sta benissimo!- avevo esclamato tutta rigida per l’incredulità. Già, perché mi sembrava impossibile che lui avesse fatto per primo la proposta.
Così, dopo aver scambiato qualche battuta che mi era servita a tranquillizzarmi e sciogliermi, ci eravamo diretti insieme verso la sala per gli allenamenti, che per fortuna era vuota. Mi aveva informata di possedere anche lui una Pietrachiave, che avevo notato solo quando me l’aveva indicata: era una spilla, che lui teneva in tasca quando non gli serviva immediatamente o che altrimenti indossava come un comune accessorio. Lui aveva una Altarite.
-Sarà una lotta praticamente alla pari- aveva detto quando i nostri Pokémon erano in campo.
Ridacchiando avevo risposto: -Be’, non direi proprio, tu sei il maestro in ogni caso! Sei molto più forte.- Aveva fatto spallucce e prima che replicasse io, eludendo qualche possibile complimento che mi avrebbe fatta scoppiare a piangere dalla gioia e dall’imbarazzo, avevo proseguito: -Come si deve usare?
In breve mi aveva spiegato la procedura e quindi come prima mossa a entrambi toccava far megaevolvere il proprio Pokémon. Prima mi aveva fatto vedere la spilletta con un sorrisetto furbo dipinto sul viso pallido, poi aveva semplicemente toccato la Megapietra dentro di essa. Una volta fatto quello, raggi di luce che vorticavano turbolenti intrecciandosi tra loro, colorati d’arcobaleno, avevano dapprima scombinato i capelli già spettinati del ragazzo e poi erano andati a formare una sfera degli stessi colori che aveva avvolto Altaria. Poi era esplosa in centinaia di scintille colorate dopo essere aumentata di dimensioni e aveva liberato MegaAltaria.
-Va bene, proviamo- avevo mormorato un po’ intimorita scambiando un’occhiata con Aramis. Il Pokémon era palesemente impaziente e io terribilmente insicura. Presi fiato.
-Le prime volte è una strana sensazione, ma poi ci si abitua, fidati!- aveva detto Oxygen per rassicurarmi.
Annuendo avevo alzato il polso davanti al mio viso, coprendo la figura di Aramis, e prendendo fiato un’altra volta mi ero fatta forza e avevo sfiorato, la mia volontà concentrata in quell’operazione, la Galladite.
Di nuovo il cuore aveva battuto più velocemente e avevo sentito una forte corrente investirmi da dietro. Avevo ammirato stupita i raggi di luce passarmi accanto quasi a volermi imprigionare come stavano per fare con Aramis, allo stesso modo di come avevano fatto con la Megaevoluzione di Altaria, materializzandosi dal nulla.
La strana sensazione di cui aveva parlato Oxygen era stata probabilmente sentire un’esplosione di potenza dentro di me, che mi aveva fatta sentire in grado di cambiare il mondo con poche mosse e pochi strumenti, che riconobbi solo quando riuscii a non stupirmi più di fronte a quella valanga di luce e colore. La sfera che prese forma intorno al mio compagno aveva impiegato molto più tempo per liberarlo, probabilmente perché era la prima volta che megaevolveva. A malapena realizzavo quello che stava succedendo: Aramis si stava trasformando per diventare enormemente più forte e temibile di quanto non fosse già, probabilmente era il Pokémon più potente e versatile che possedessi e adesso sarebbe addirittura migliorato… era da tantissimo che aspettavo di vederlo in quella nuova, meravigliosa forma, e quando la sfera di luce lo aveva liberato non ero rimasta delusa.
Al suo aspetto si erano aggiunti dettagli eleganti ma non scomodi, che quindi non lo avrebbero rallentato nella lotta. Un Pokémon bello e forte era l’obbiettivo di ogni Allenatore e io sono sempre stata sicura che lui possedesse entrambe queste caratteristiche, tanto da rendermi fiera di lui. Quasi quasi mi commuovevo, già.
La lotta che ne era seguita era stata ovviamente vinta da Oxygen, che riusciva a contrastare senza difficoltà ogni mio attacco mostrandomi anche un’intesa tra lui e Altaria degna di quella tra Rosso e i suoi Pokémon, che non avevano bisogno di parole per comunicare. Ma la potenza di Aramis era per me inaspettata, stentavo a riconoscere il mio vecchio compagno in quella forma che sprigionava pura forza da tutti i pori. Era eccezionale. Per questo non me l’ero affatto presa per il risultato e quando Aramis era tornato in forze mi aveva mostrato quanto fosse felice di avere la possibilità di essere ancora più potente. Probabilmente era più contento di me, e a ragione.
Non avevo potuto evitare - anzi, le mie guance facili all’imbarazzo non avevano potuto evitare i complimenti di Oxygen, che mi era parso sincero. Senza sapere come fare avevo abbozzato un inchino con la testa per ringraziarlo, per poi correre via domandandomi se dovessi pensare che, neanche troppo in fondo, qualcosa forse c’era e che le mie non erano tutte illusioni, ma speranze con un buon fondamento. Pregai il Dio che non avevo perché fosse così.
Gli incontri con Oxygen si erano fatti più frequenti dopo il ritorno dalla missione con lui e gli altri. La maggior parte delle volte ci incrociavamo per caso, per lo più nei corridoi o nella sala d’allenamento, accompagnati quasi sempre da amici, quindi più di qualche sguardo non riuscivo a gettargli poiché ero concentrata in altre faccende. Purtroppo ogni volta che io lo osservavo fugacemente lui era impegnato o voltato rispetto a me.
Quando c’erano le sue lezioni io ero una sua comunissima allieva sullo stesso piano degli altri, ma questa la ritenni una fortuna poiché vederlo più concentrato su di me che sui ragazzi del suo gruppo, cosa che sarebbe stata probabilmente notata - a meno che lui non fosse stato un attore eccezionale, mi avrebbe messa molto in difficoltà e non avrei saputo come reagire. Ero molto confusa, non riuscivo a capire se lui provasse qualcosa o no, perché se in più occasioni mi pareva particolarmente attento a me, soprattutto quando eravamo soli, altrettante volte sembrava che io non esistessi nemmeno. A consolarmi c’era il fatto che non lo vedessi mai in presenza di ragazze, e questo mi rassicurò parecchio, anche perché io ero sempre in giro e non vederlo con altre prometteva bene.
Perciò in quel periodo, intorno al compleanno di Daniel, mi concentrai proprio su quest’ultimo: non per far lasciare lui e Melisse, non ne sarei mai stata capace nemmeno volendolo davvero, nemmeno per far colpo su di lui in qualche modo o cose del genere. Al contrario mi intimavo di farmi passare quei sentimenti per lui, più forti di due anni prima, quando lo avevo conosciuto in Accademia. Se lì mi vergognavo anche solo ad essere in sua presenza, adesso se non ero perfettamente calma mi impicciavo con le parole e ogni suo complimento - fatto ovviamente da amico, senza sapere quale effetto producesse su me - mi distruggeva i pochi neuroni rimasti incolumi dal disordine sentimentale di quel periodo, che ne aveva fatti fuori già un bel po’.
Solo che non ci riuscivo e questa cosa in alcuni momenti mi faceva imbestialire, in altri al contrario mi buttava giù. Passavo quindi dalla rabbia contro me stessa alla tristezza a una certa delusione per lo scarso autocontrollo che mi ritrovavo. Non avevo parlato a nessuno di tutto questo perché non avevo nessuno con cui confidarmi, ne avevo di persone da considerare amiche ma nessuna mi ispirava la fiducia che a lungo avevo provato con Chiara, la quale tanto per cambiare sembrava essere proprio scomparsa dalla mia vita. La incontravo di rado e ogni volta lei evitava il mio sguardo, il più delle volte smarrito e che in tono supplicante chiedeva ancora ostinato: “Perché?”
Forse se avesse saputo quello che passava per la mia testa e per la mia esistenza sarebbe tornata, sentendosi parte di quello schifo che stavo vivendo e magari desiderosa di rimettere le cose a posto. Ma come avrei potuto dirglielo? A meno che non lo avesse scoperto da sola e si fosse sentita davvero in colpa per quello, io non avevo intenzione di andare da lei a pregarle di tornare da me e di rivelarle che ero sola e bisognosa d’aiuto. Il mio era probabilmente, anzi sicuramente orgoglio, ma non me ne importava. Lei mi aveva abbandonata e lei per prima sarebbe dovuta tornare da me, io non avrei mai cercato di rimettere le cose a posto per una questione di principio. Forse mi sarei fatta del male così, ma mi sarei sentita molto peggio ad abbassare la testa e ammettere errori che non riuscivo a trovare in ciò che avevo fatto. Delle circostanze più grandi delle mie possibilità mi avevano imposto di starle di meno appresso, di non frequentarla più come prima, ma lei dava la colpa a me per questo.
La verità era che nessuno aveva più il tempo di coltivare amicizie sincere, a quanto pareva tranne Daniel che mi aveva ricordato gentilmente di essere il mio migliore amico. Questo perché il clima della guerra aveva distrutto la fiducia da riporre nel proprio prossimo e non si aveva più nemmeno alcuna voglia di cercare qualcuno che potesse aiutare anche in quell’atmosfera pesante. Daniel mi diceva praticamente tutto quello che accadeva nella sua vita ma io non riuscivo proprio a ricambiare. Mi dispiaceva, ma non potevo fare altrimenti, non riuscivo a fare in altri modi. Era davvero brutto, ma era la realtà in corso. Quasi tutti la stavamo vivendo alla stessa maniera.
Oxygen però sarebbe stata la mia eccezione, così come il mio amico lo era per la situazione generale. Sentivo che a lui avrei detto tutto se solo me lo avesse chiesto e non avrei mai tenuto segreti. Certo, i sentimenti per Daniel sarebbero rimasti una cosa tra me e me, ma per il resto mi sentivo disposta a tutto. Dovevo fare attenzione, perché se per caso lui non fosse stata la brava persona che io mi ostinavo a vedere…
Scossi la testa mentre lo pensavo, seduta a uno dei tavoli nella biblioteca. “Questi discorsi me li farebbe mamma alla scoperta che mi piace qualcuno” pensai chiudendo di scatto il libro tra le mie mani. Ero là dentro nel tentativo di distrarmi e allontanare i soliti pensieri che mi tormentavano da tantissimo tempo, ma da un’ora ero ferma sulla stessa pagina dello stesso libro. Ero andata avanti di qualche riga finché la mia vista non era andata fuori fuoco e la mia mente aveva ripreso il suo ennesimo viaggio alla scoperta del già scoperto amore diviso a metà. Sembrava che stessi leggendo, quindi, ma in realtà fissavo la medesima parola da parecchio tempo senza vederla realmente.
Poi però la sua voce raggiunse le mie orecchie, che da tanto aspettavano di sentirla quando eravamo da soli.
-Ehi Eleonora, scusa il disturbo- disse Oxygen sorridendo tranquillo.
-Ciao. Non disturbi, non ti preoccupare- ribattei cercando, e forse riuscendoci stavolta, di mantenere la calma.
-Ma… tu prendi sempre i libri che mi interessano o mi servono!- continuò indicando il volume che avevo io.
Ridacchiando imbarazzata e balbettando qualche incomprensibile parola di scuse, chiedendomi se fosse mai possibile una cosa del genere che mi pareva parecchio teatrale, glielo porsi senza che lui me lo chiedesse. Mi disse che avrebbe guardato solo una nota alle ultime pagine che gli interessava, anche perché era di fretta. Infatti corse via appena scorse velocemente ciò che gli serviva, salutandomi e restituendomi il libro.
Io lo riaprii controllando le note di cui parlava e fui molto stupita di non trovare neanche una pagina con esse, controllai anche l’indice ma senza successo. Però un bigliettino che non avevo visto prima scivolò via quando aprii leggermente lo spazio tra l’ultima pagina e la copertina rigida interna. Cadde a terra e io lo raccolsi incuriosita, non mi ero accorta che ci fosse prima. Capii la ragione appena lessi con il cuore in gola quello che c’era scritto, incredula nel vedere un numero di PokéGear e una domanda scritta con una grafia disordinata e impaziente.
“Ti andrebbe di vederci domattina alle dieci, al limite dei confini della Vetta Lancia?”

Stavolta non mi ero fatta alcun problema, sicura che quel bigliettino non fosse stato scritto per un’altra persona e che lui lo avesse infilato nel libro per sbaglio. Era una coincidenza troppo assurda perché potesse essere tale, proprio come il fatto che a lui servisse quel libro; e, se in condizioni normali mi sarei ostinata a pensare che non fossi io la destinataria di quell’invito, ero certa che stesse per succedermi qualcosa di eccezionale, a lungo atteso ma allo stesso tempo inaspettato. Ero davvero impaziente, addirittura spaventata.
Avevo riletto più e più volte quella breve frase e mi ero segnata all’istante il numero sul PokéGear, salvandolo ovviamente con “Oxygen”. Ogni volta che i miei occhi ripercorrevano il tragitto segnato da quelle parole l’euforia in me si faceva sempre più evidente e incontenibile. Avevo sentito il mio petto pronto a squarciarsi per liberare il cuore impazzito, ero mezza caduta in ginocchio per terra e mi ero ricordata solo quando stavo per uscire dalla biblioteca che avevo abbandonato il libro, l’anonimo libro di cui non ricordai mai più il nome ma che per questo fu importantissimo per me, sopra il tavolo dal quale ero corsa via, trattenendo a stento grida di gioia.
E adesso il vento forte delle pendici del Monte Corona fischiava forte nelle mie orecchie. Stringevo il bigliettino di Oxygen e lo guardavo semplicemente, domandandomi per l’ennesima volta cosa mi aspettasse quella mattina. Ero molto vicina al luogo in cui mi ero incontrata con Daniel un paio di settimane prima, ma invece di essere quasi nascosta dalla parete di roccia come l’altra volta, mi fermai in un punto un po’ più visibile, in un passaggio obbligatorio per arrivare alla Vetta in modo tale da non creare equivoci.
Non mi ero preparata diversamente dal solito, mi ero sistemata un po’ più accuratamente di quanto avevo fatto il giorno del compleanno di Daniel, ma senza coprire la me che probabilmente aveva attirato, miracolosamente per come la vedevo io, le attenzioni di Oxygen. Non avevo nemmeno scritto alcun messaggio a quel ragazzo, troppo indecisa su quello che avrei potuto dirgli e chiedendomi anche se non fosse il caso di aspettare, perché magari le mie rosee aspettative erano più fantasiose della verità. Una parte di me, quella che distruggeva senza farsi troppi problemi la mia autostima, si ostinava a ripetermi che sicuramente c’era un errore e che quell’invito era, come temevo, per un’altra persona. L’altra, a cui davo più credito, mi rassicurava dicendomi che stava per succedermi qualcosa di fantastico, finalmente, che mi potesse recuperare dal baratro di tristezza in cui ero caduta da tempo.
Ogni tanto lasciavo perdere il bigliettino, lo infilavo nella tasca del cappotto e osservavo l’orizzonte. La sciarpa rossa che avevo da anni tentava di fuggire dal mio collo e di assecondare il volere del vento, che evidentemente voleva strapparmela via. I miei capelli, come al solito sciolti, si muovevano meno di quanto mi aspettassi. Pochi attimi dopo aver iniziato lo studio di un panorama che avevo visto più volte prendevo il bigliettino e lo rileggevo.
-Allora sei venuta.
Un mormorio sfidò il suono del vento proprio mentre scorrevo una volta ancora la frase del messaggio. Mi girai più di scatto di quello che avrei preferito e notai Oxygen che silenziosamente era arrivato - non che ci volesse tanto impegno per non farsi sentire, con tutta quell’aria. Riposi il bigliettino in tasca e lui si avvicinò dopo che ci fummo scambiati uno sguardo veloce, ma lui non cercò di abbracciarmi né altro. Ben dritto si fermò accanto a me, a poca distanza, e anche lui scrutò l’orizzonte come io avevo fatto fino a poco prima. Adesso invece guardavo per terra, temendo ciò che forse stava per succedere e sfiorando con il naso la sciarpa, i cui movimenti si erano acquietati.
-Avevo pensato di non essere io l’invitata- sussurrai con sincerità.
Sentii i suoi occhi su di me e lo confermai con un’occhiata veloce. Mi fissava stupito e la cosa mi imbarazzava ancora di più. -E perché mai?- chiese. La serietà di prima era scomparsa in favore di quella perplessità.
-La mia autostima l’ho persa più o meno appena nata- confessai con un sospiro rassegnato: non avevo problemi ad ammettere quella cosa, che avevo detto spesso e a parecchie persone. -Quindi ho avuto tantissimi dubbi, per moltissimo tempo… anche se sono abbastanza sicura di sapere cosa… ehm…- mi interruppi. Stavo ammettendo l’esistenza di una cosa della quale, finché non fosse avvenuta, non sarei mai stata completamente certa.
-Ah, ho capito- ribatté lui pensieroso. Poi però aggiunse, sbuffando: -Fossi in te mi crederei una stupida.
-Per… per questo?
Lui annuì e mi guardò di nuovo, ma io evitai di farlo, troppo intimidita. Trascorsero lunghi istanti di silenzio finché lui non prese la parola: -Piuttosto, io ho pensato che tu non avessi visto il biglietto.
-Perché non ti ho scritto, dici?
-Già… sarebbe stato un bel problema.
-Io… è che non sapevo cosa scrivere- replicai.
Oxygen ridacchiò, un po’ nervosamente forse. -Sì, immagino. Ti ho colta di sorpresa?
-Sì…- “Decisamente” avrei voluto aggiungere, ma non riuscii più a spiccicare parola.
La conversazione che stavamo cercando di avviare era difficile e in quel momento quasi impossibile da iniziare, perché io non riuscivo a parlare più di tanto e mi bloccavo dopo qualche misera frase. Lui non era più a suo agio ma era sicuramente in grado di gestirsi meglio. Questo mi fece pensare a quanto poco lo conoscessi davvero e mi convinsi definitivamente che quello era un vero e proprio colpo di fulmine.
-Oxygen, tu quanti anni hai?- chiesi.
-Ne ho quasi diciotto. Tu sedici, vero?
Annuii. “Non ci siamo mai parlati davvero, se non per cose riguardanti i Pokémon…” Perciò espressi questo pensiero con un sospiro, facendomi forza per pronunciare quelle parole. -Senti, io…- esordii incertissima, senza riuscire ad andare avanti per qualche secondo, cosa che lo portò a guardarmi un’altra volta, mettendomi ancora più a disagio. -No, non io, tu. Non ci conosciamo, e nonostante la cosa… non mi crei problemi, ecco… perché io?
Finalmente l’avevo detto. Alzai la testa timorosamente e lo vidi distogliere lo sguardo e arrossire non appena i miei occhi incontrarono i suoi, ma armata dell’espressione come quella che mi ritrovavo, che forse poteva essere definita una dolce ansia e paura, insistetti nell’osservarlo fin nei minimi dettagli come mai avevo potuto fare prima di allora. Alla luce del giorno e soli, finalmente, non chiusi nella buia base segreta o senza la possibilità di stare per conto nostro perché c’era qualcun altro insieme a noi. Mi fece tenerezza anche quella volta, e per molto tempo a seguire finché non mi abituai, perché era raro non vederlo sorridente nel tentativo di mostrarsi spavaldo.
Restò in silenzio per un po’. “Andiamo, ora che ha fatto per tutto questo tempo il principino azzurro non può tirarsi indietro…!” pregò la vocina dentro di me disperata, se non angosciata da quell’attesa.
Poi però la sua espressione indecisa sparì mentre scrutava l’orizzonte e, con una voce stranamente ferma che mi rassicurò molto, disse: -Sei l’unica persona che sia riuscita finora ad attirare tanto la mia attenzione. Ti ho vista lottare con tutte le tue forze in moltissime occasioni e ti ho osservata mostrarti decisa come mai mi sarei aspettato, avevo imparato a vederti come una ragazza timida e facile all’arrossire. Però sono stato presente nei momenti peggiori e lì ho visto un altro tuo lato, quello debole e bisognoso d’aiuto. Erano scomparse, in quei momenti, sia l’Allenatrice talentuosa che la persona introversa, imbarazzata per ogni cosa. Forse è stato quello…
Da un momento all’altro si girò e mi abbracciò, lasciandomi senza fiato per la sorpresa - nonostante me lo stessi aspettando da tantissimo tempo - e rendendomi tesa, impreparata. Sussurrò con la bocca vicinissima al mio orecchio, sovrastandomi di parecchi centimetri: avevo la testa sul suo petto e a malapena arrivavo al suo mento; -Tu credi serva un motivo particolare per innamorarsi? Secondo me anche questa è una cosa così stupida…
-No, non lo penso- replicai con voce tremante.
-Posso dirti mille motivi che includono tuoi pregi e difetti, se è questo che vuoi sapere- proseguì con sicurezza, -ma non credo proprio sia così importante ora.- Si staccò un po’, tenendomi per le spalle e guardandomi fissa negli occhi attraverso le lenti degli occhiali, in perfetto equilibrio sul naso appuntito. Quelle iridi chiare, celesti, mi facevano perdere la cognizione del tempo e la capacità di pensare: avrei potuto scambiare quello sguardo con lui in eterno. -Sai che hai dei bellissimi occhi grigi, Eleonora?
Sentirlo pronunciare il mio nome mi fece rabbrividire piacevolmente. -Quando ero piccola erano verdi- dissi con estrema semplicità, senza sapere come rispondere altrimenti. Un grazie sarebbe stato vuoto in quel momento.
Sorrise intenerito, forse dalla visione di me piccola e paffutella con due grandi occhi verdi. -Sono cambiati?
-Sì, più o meno quando ho scoperto dei Pokémon. Quasi da un giorno all’altro. La mattina erano di un colore, poi a seconda della luce cambiavano, lo facevano in continuazione. E alla fine ha vinto il grigio, ma se vedi un po’ di verde è rimasto- raccontai, lasciandomi trasportare da quelle parole senza senso e senza motivo.
-Lo vedo- confermò Oxygen.
Quella frase mi fece capire quanto quel momento fosse reale, stavo vivendo davvero tutto ciò, che credevo fosse possibile realizzare solo nei miei sogni. La conversazione, il suo atteggiamento, lui stesso era degno di una storia d’amore e non del racconto di una guerra. Allora mi tornarono alla mente alcune parole che avevo detto a Daniel, era proprio in quell’atmosfera tesa che i sentimenti veri, più forti, riuscivano a emergere e non lasciavano che sciocche cottarelle prendessero il sopravvento. Se mi stavo permettendo di amare Oxygen e a quanto pareva lui ricambiava… Daniel perse totalmente importanza in quel momento.
Esisteva solo il ragazzo che avevo di fronte a me, lui e i suoi occhi celesti che continuavano a scrutare dentro i miei, senza che io riuscissi a interrompere quel contatto troppo prezioso. Non volevo farlo. Aspettavo che dicesse le parole che da tanto attendevo di sentire. “Ti prego, non metterci tanto.”
Lentamente si avvicinava mentre le sue mani continuavano a tenermi le spalle, come se temesse di vedermi andare via. Io avevo un braccio lungo il fianco e con la mano dell’altro cercavo la forza di toccarlo, di sentire sotto le dita i suoi vestiti intrisi del profumo tenue e naturale che sovrastava l’odore del prossimo inverno.
-Non ci ho messo molto- disse quando ormai avevo chiuso gli occhi, -a imparare ad amarti…

Non ricordo affatto bene cosa successe di preciso. Forse le mani di Oxygen scivolarono via dalle mie spalle per andare a toccare la mia schiena e le braccia, forse io non mi feci scrupoli a stringermi al suo petto, ma l’emozione provata quando lui mi baciò la ritrovai in ogni nostro incontro, rendendola così indimenticabile. Era un senso di pace turbato solo da una travolgente felicità che ne faceva una delle sensazioni più belle mai provate da me.
In seguito ridacchiavo al pensiero di quanto fossi stata impacciata durante quel primo bacio, un breve tentativo, un approccio forse, a cui poi ne seguirono altri più seri ed impegnativi che confermarono i profondi sentimenti reciproci, legandoci indissolubilmente l’uno all’altra. Quello che per me era sempre stato un sogno e un desiderio, ovvero l’amare ed essere amata, era ora la mia realtà. E la cosa migliore era che il nostro rapporto era stabile, sempre pieno d’affetto e mai vacillante.
Era proprio vero che la guerra faceva sopravvivere solo i più forti, e noi allora stavamo addirittura vivendo.
Se in precedenza rischiavo di cadere nel baratro della disperazione, avendo perso il lato di me che ritenevo il migliore, i miei genitori, molti amici e tante realtà che preferivo mille volte a quella del combattimento contro i Victory, adesso ero cullata insieme - o da - Oxygen in un dolce oblio, dal quale mai avrei voluto uscire. Stavo così bene, sola con lui, a chiacchierare di sciocchezze e non, per poi ringraziare ed apprezzare il silenzio dei nostri baci che ci impedivano di parlare. Ma così ci raccontavamo i nostri sentimenti senza parole, in un modo migliore.
Quasi nessuno seppe di noi, se non le persone con cui decidemmo di confidarci, che furono davvero poche ed erano le uniche delle quali eravamo sicuri che non avrebbero parlato di noi ad altri. Daniel fu più o meno il primo a venirlo a sapere da me: per niente imbarazzata, ma dolcemente felice, glielo dissi qualche giorno dopo l’incontro sul Monte Corona. Lui aveva un’espressione di comica meraviglia sul viso e quindi scoppiai a ridere.
-Non credevo mi ritenessi così repellente da non poter attirare neanche un ragazzo!- mi finsi indispettita.
-No no, per carità, ma… Oxygen! Porca…!- si trattenne per poi farsi una bella risata come me. -Che carina, la coppietta insegnante-allieva… però certo che non me lo aspettavo. Wow!
-“Wow”? Che mi rappresenta questo wow?- gli chiesi.
Lui placò le risate. Eravamo al nostro solito posto, il masso ai confini delle barriere per la Vetta Lancia sul quale tante volte ci incontrammo per chiacchierare. Oxygen non lo conosceva e io volevo tenermi anche quella cosa per me, per condividerla unicamente con il mio maledetto migliore amico.
Sorridendo tranquillo rispose: -Quando ti ho raccontato di essermi fidanzato con Melisse, tu mi hai detto che eri davvero felice per me, credevi che il nostro amore fosse sincero, e devo dire che è così. Ma tu e lui avete superato i limiti imposti dal rapporto tra maestro e studente, quindi niente, ne sono parecchio stupito. E ti invidio, perché per questo motivo credo che ciò che provate l’uno per l’altra sia più forte…- ammutolì.
Sentendomi piena di allegria e bandendo totalmente il malumore o qualsiasi cosa simile dalle conversazioni con chiunque, gli ammollai una pacca sulla spalla e lo rimproverai: -Ma tu sei proprio scemo allora! Fammi il piacere, Daniel, sei davvero uno stupido se la pensi così! Allora se Oxygen fosse stato uno del nostro gruppo e ci fossimo amati lo stesso- non mi imbarazzava più pronunciare la parola “amore”, cosa che invece a malapena riuscivo a fare i primi tempi -allora sarebbe stato un sentimento meno forte? Scommetto che avresti fatto lo stesso se Melisse fosse stata la tua professoressa o viceversa!
Questo discorso lo convinse e gli tirò su il morale. Mi ringraziò molte volte per le numerose rassicurazioni che gli davo. Ora che anche io ero fidanzata - un po’ clandestinamente - non ero più gelosa di lui e non provavo alcun istinto più o meno omicida nei confronti della dolce Melisse. Anzi, ero sempre più contenta per loro.
In quel periodo mi sembrava tutto assolutamente perfetto e grazie ad Oxygen avevo ritrovato la forza. Non gli sarei mai stata abbastanza riconoscente per questo.






*ogni tanto una battuta squallida ve la devo mettere, rassegnatevi. Spero invece che qualche cosa più simpatica vi strappi un sorriso (tipo i neuroni assassinati della protagonista).

Angolo ottuso di un'autrice ottusa
AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAH
NON POSSO CREDERE DI AVERLO FATTO DAVVEROOOOOOOOO
LI HO MESSI INSIEME OH MAMMA MIA CARISSIMA OMMIODDIO WAAAAAAAAAAAA
Calma.
Buongiorno a tutti e buon inizio delle vacanze pasquali, in cui conto di riuscire a scrivere tanto e bene (?) che poi devo ancora iniziare il nuovo capitolo di Ribellione e sono in ritardo come al solito ma shh
Vi aspettavate qualcosa di romantico tra Eleonora e Daniel? Ecco a voi una sorpresa firmata Oxygen, signori. E so che la situazione pareva partita di merda per lei, ma altra sorpresa, finalmente una soddisfazione direi!! vederla più fortunata di me con i ragazzi quando lei è solo un ammasso di pixel mi fa sentire una merdina sfigata ah ah ah DATEMI UN OXYGEN
So di aver messo gli incontri tra i due precedenti al grande primo passo alla rinfusa, volevo dare un effetto particolare che in effetti è quell’abisso del titolo: lei è ormai bella che caduta dentro il baratro dei suoi sentimenti, che la comandano a loro piacimento - pensate all’odio che prova per i Victory, e quindi ho immaginato gli incontri frammentati, una scena di uno che si alterna a una dell’altro, come in un film. Una battuta a cui segue uno sguardo pieno di parole, un’altra battuta e poi un’azione, in un continuo alternarsi che il lettore deve ricostruire nella sua immaginazione in attesa che i discorsi divengano di senso compiuto. Ovviamente non potevo rendere la cosa anche nel testo, quindi vi tocca lavorare un po’ di fantasia! Spero di aver reso bene l’idea, per lo meno, descrivendovela qua (?).
Stavolta ho tralasciato alcuni dettagli e avvenimenti - anche perché il capitolo era già enormemente lungo… - nonostante per certi versi sia anche un punto di riepilogo di alcuni fatti avvenuti, ad esempio alcuni passi della vera trama e gli allenamenti con Rosso, che arriveranno con i prossimi capitoli. Sono riuscita a infilare per miracolo un minuscolo resoconto della missione, che poi mi serviva per infilarci Oxygen, ma vbb. Ci saranno meno salti temporali, quindi i prossimi tratteranno avvenimenti in un solo periodo di tempo - i due mesi circa di tranquillità di cui si parla all’inizio del capitolo e poi quello successivo, nel quale saranno compresi la maggior parte dei prossimi capitoli. Tra l’altro a breve ci sarà anche l’extra di questa parte, che come al solito si distaccherà dalla narrazione in prima persona.
Va bene. Io sinceramente la vorrei smettere di parlare, anche perché è il capitolo più lungo che abbia mai scritto - 13 pagine circa, e non vi dico quanto sono larghi i margini del foglio di Word e piccolo il carattere - e non vorrei fare anche l'angolo autrice più lungo della mia vita.
Ma porca porchetta come ho fatto a scrivere una cosa del genere? Quasi non ci credo.
Allora, sentite, il Giornalino Arcobaleno questo mese salta, purtroppo; Ribellione arriva verso il 16-17 e poi spero di poterla pubblicare due volte al mese anche quella; me ne uscirò con più one shot del solito in questo periodo, credo. Io intanto vi auguro una felice Pasqua, mangiate tanto cioccolato mi raccomando! A prestissimo!
Ink Voice

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Capitolo 19
*** XVIII - I Comandanti anonimi ***


XVIII
I Comandanti anonimi

Nel buio risuonava l’eco di un alternarsi di passi stanchi, pesanti, i quali si dirigevano verso una fonte di luce sconosciuta e misteriosa. Un ansimare continuo ma tenue faceva da sottofondo alla camminata arrancante, le mani toccavano la parete di fredda roccia e tremavano disperatamente, chiedendo un aiuto che non sarebbe arrivato.
I passi si fermarono quando ormai mancavano pochi metri all’arrivo, la luce era pronta a sopraffare il buio, ma essa era stranamente più minacciosa dell’angosciante oscurità. Il fiato purtroppo era ancora pesante e sicuramente sarebbe rimasto così molto a lungo, perché una diffusa e penetrante stanchezza avvolgeva tutto l’ambiente, come a volersi sostituire all’aria. La forza per andare avanti non c’era; proprio ora che il traguardo era così vicino un terribile fallimento stava per abbattersi su tutto, cancellare ogni cosa o scaraventarla in un abisso di afflizione.
Le orecchie percepirono improvvisamente un rombare in lontananza e proprio in quel momento il respiro si trattenne, in attesa di ciò che stava per arrivare. La visuale cambiò, la luce non c’era più e forse allora sarebbe stata preferibile la presenza di quel biancore accecante e pauroso anziché dell’enigmatico buio. Per fortuna una nuova luce si accese in lontananza, colorata d’arancio e di azzurro; fortuna che si rivelò una terribile sventura quando si trasformò in fuoco. Un mugolio terrorizzato seguì la spaventosa scoperta e l’immobilità della visuale si confuse in abbinamento ad un folle passo di corsa, impotente però se paragonato all’impeto delle fiamme divoratrici.
E mentre sentivo i miei talloni scalzi lambiti dal fuoco temibile mi risvegliai di soprassalto, respirando a fatica e scattando subito a sedere. Soffocai qualche colpo di tosse isolato mentre cercavo di far circolare aria nei polmoni, cosa che mi riuscì difficile per interminabili secondi. A giudicare dal buio doveva essere notte fonda e un rapido controllo sul Gear, che tenevo accanto al cuscino, me lo confermò: erano le tre di notte passate da poco. Riuscii a prendere una profonda boccata d’aria per poi sospirare. Il cuore mi batteva ancora velocemente, ma nel complesso mi stavo tranquillizzando. Una mano stringeva con forza decrescente la coperta bianca, finché non la mollò per passare in mezzo ai miei capelli, spettinati e anche un po’ sudati. Erano bagnati di freddo: rabbrividii appena e scossi la testa un paio di volte, rivedendo quelle immagini disturbanti davanti ai miei occhi chiusi.
Nonostante avessi osservato la scena in prima persona, mi sentivo estranea alle sensazioni che avevo “provato”, come se avessi impersonato qualcun altro e le emozioni mi fossero arrivate filtrate. Non erano particolarmente forti, più preoccupante era invece la situazione catastrofica, con il fuoco e anche un deciso tremare della terra.
Mi ricordai di un dettaglio visivo che aveva preceduto il mio risveglio: due occhi. Erano un color grigio chiaro, quasi bianco, vitrei e spettrali. Mi avevano messa addosso un’ansia dalla quale mi liberai ore ed ore dopo, perché non mi pareva di aver visto pupille in mezzo alle iridi incolori. Le palpebre erano socchiuse, come sul punto di addormentarsi, e ricordavo lunghe ciglia chiare, appartenenti a qualcuno con i capelli biondi. Nonostante l’ambiguità e l’inquietudine che trasmetteva, avrei giurato che quello sguardo fosse femminile, lo sentivo. Ed ero sicura di aver già incontrato quegli occhi da qualche parte. Non erano umani e lo sapevo, molto probabilmente erano frutto della mia immaginazione e magari li avevo sognati più di una volta senza ricordarmelo. Fatto stava che avevo la netta e terribile sensazione di aver già scambiato un’occhiata con la proprietaria - o il proprietario - di essi, ed ero anche certa che la situazione non dovesse essere stata delle migliori quando tutto ciò era avvenuto.
Già, ma quando e perché avevo visto quegli occhi disumani? Non ne avevo idea, dovevo aver rimosso il sogno in cui li avevo notati. Mi convinsi infatti dell’impossibilità di averli potuti incontrare nella realtà perché l’assenza di pupille e la lucentezza fantasma che possedevano non erano ammissibili nel mondo. Nemmeno in quello dei Pokémon, nel quale si aveva una libertà eccezionale nella scelta del proprio look e si potevano acquisire alcune caratteristiche fisiche incredibili. “Magari era un sogno sui Pokémon” tentai di dirmi mentre mi gettavo sdraiata sul letto: il cuscino accolse morbidamente la mia testa e l’incontro produsse un rilassante tonfo, che mi costrinse a chiudere gli occhi e avere di nuovo sonno. “Sì, dai, sicuramente era sui Pokémon. Forse stavo lottando contro una qualche avversaria sconosciuta molto forte con quello sguardo da spettro… Perché no? È possibile…”
Sbadigliai vistosamente e tornai a dormire, un po’ rassicurata da quell’ipotesi. Mi impedii di pensare a quegli occhi e riuscii ad evitare una notte insonne tenendo in una mano la Poké Ball di Altair, come al solito calda. Quello mi tranquillizzò più di ogni altra cosa, allontanò la mia mente preoccupata dal ricordo del sogno - o dell’incubo - e mi consentì di riaddormentarmi. Mi svegliai qualche ora dopo insieme alle altre ragazze, ovviamente la sveglia era uguale per tutti nella base segreta. Con la luce del giorno - che non arrivava veramente nel Monte Corona, ma ora ci accontentavamo di poco - non ebbi più tanta paura di quegli occhi e ben presto li dimenticai.
Ci fu un’altra cosa che però ricordai all’improvviso, mentre ero in bagno a darmi le ultime sistemate per poi uscire, circondata da altre ragazze più o meno chiacchierine. Agli inizi fu solo una sensazione, anzi il ricordo di essa: la forte angoscia provata durante il sogno l’avevo già sentita in una situazione simile. Sì, doveva trattarsi di un altro ancora, e ci misi poco a ricordare quella sottospecie di incubo, dal quale mi ero risvegliata solo grazie all’aiuto di Chiara.
In quell’altro sogno la terra tremava e la furia di più elementi voleva travolgermi, mentre traballante cercavo di non cadere nelle voragini sempre più profonde e ampie che venivano a crearsi intorno a me. Il vento infuriava, si sentiva in lontananza una tempesta o un temporale, non ricordavo bene; e poi il fuoco, fiamme infernali che fuoriuscivano dalle spaccature del terreno o che arrivavano anche da altre parti intorno a me. Era una situazione insostenibile, solo questo mi ritornò alla memoria, non cosa stessi facendo durante quella specie di Apocalisse che mi pareva di star vivendo. Forse c’erano anche due o più animali, mitologici o Pokémon, ma a parte i loro strilli non riuscii a ricordare nulla di essi.
La cosa non mi preoccupò in quel momento. Mi era successo molte volte di fare sogni surreali - d’altra parte un po’ tutti lo erano - o che al risveglio mi lasciavano una sensazione di ansia o addirittura un po’ di suspence, facendomi chiedere “cosa sarebbe successo se non mi fossi risvegliata?”. Perciò un sogno, o incubo che fosse, un po’ fantasy che arrivava ad angosciarmi, non mi allarmò affatto anche grazie alla mia innata scetticità.
Essa però si piegò alla vista di Camille, che come me stava allo specchio a sistemarsi e a legarsi nei suoi soliti due codini bassi i lunghi capelli color carota. Lei. Lei sapeva qualcosa, sì. Quando eravamo stati portati via dalla base nemica due anni addietro, dopo l’incontro, aveva chiesto a me e Gold se avessimo fatto sogni che ci avessero turbati, preoccupati o addirittura sconvolti, se erano stati tanto impressionanti. Essi evidentemente potevano essere la chiave per il segreto che ci stavamo portando appresso senza poter sapere cosa fosse, erano essenziali per arrivare a comprendere cosa gravasse sulle nostre spalle. Proprio per questo Camille era stata molto vaga e si era solo accertata che noi ne avessimo fatto almeno uno, anche se la cosa poteva essere soggettiva. Magari non era vero che eravamo noi i diretti interessati, sogni così capitavano a tutti.
Scossi la testa impercettibilmente mentre sbattevo la porta del bagno alle mie spalle. Sapevo benissimo che la faccenda non poteva riguardare altri che me, oltre Gold ovviamente e Camille stessa. Le parole di Cyrus erano state molto chiare in più occasioni, qualcosa che mi interessava direttamente mi era nascosto e per il momento non mi era dato sapere cosa fosse, a meno che non mi fossi arruolata dalla parte nemica. Ma davvero Cyrus e la sua compagnia avrebbero mantenuto la “promessa” fatta? Io non potevo passare dalla parte del Male, come era definito, solo per una curiosità che forse non era così essenziale sapere e che magari sarebbe rimasta solo un’illusione. Non dovevo lasciarmi sfiorare da questi pensieri.
“Con Camille non posso parlarci” pensai mentre me ne andavo dal dormitorio. “E non sono sicura che le chiederei qualcosa su quel sogno se invece Bellocchio non ci avesse proibito di avere contatti. Anche perché mi aspetto già il tipo di risposta che darebbe e non mi va di raccontarle i fatti miei per nulla.” Quindi misi definitivamente i miei pensieri e le mie preoccupazioni a riposo, decidendo di conservarle per altri momenti.
Adesso avevo altro a cui pensare, come la lezione di Rosso, che con la sua pesante tensione abituale addirittura superava i problemi che mi stavo facendo, impegnandomi la mente molto di più. Quell’uomo faceva paura. Le sue lezioni demolivano l’autostima di tutti noi suoi allievi e, appena finivano - purtroppo duravano ore ed ore ciascuna, ce ne andavamo con il cuore alleggerito da numerosi sospiri liberatori, che lasciavano fluire via l’ansia, la quale inevitabilmente la faceva da padrone nella sala d’allenamento per tutte quelle lunghissime ore.
Ormai si era diffuso lo strano silenzio a cui nessuno riusciva ad abituarsi durante una lotta. Non risuonavano più molti ordini nell’aria, solo ogni tanto qualcuno si lasciava sfuggire qualche consiglio o comando, come ad esempio di evitare una mossa o attuare una qualche strategia. Lo faceva solo chi non era intenzionato a perdere la lotta e per questo correva in aiuto del suo Pokémon, al prezzo però di una dura occhiataccia di Rosso che si mostrava silenziosamente deluso. Era fastidioso partecipare a quei maledetti allenamenti e sentirsi abbandonati a sé stessi, ma al contempo costantemente osservati dagli occhi marroni e annoiati del cosiddetto Master. Infatti l’uomo non ci aveva dato alcuna dritta su come combattere in silenzio, su come rafforzare l’intesa tra Pokémon ed Allenatore: voleva vedere come riuscivamo a cavarcela e poi, forse, ne avrebbe tratto delle conclusioni.
Io non sapevo come fare. Stavo in silenzio durante le lotte e prima di cominciare dicevo qualche parola rassegnata al Pokémon che sarebbe sceso in campo per me, poi assistevo allo scontro e vedevo un mio compagno perdere contro la forza del nemico o ingannarlo con un po’ di furbizia. Mi rendeva fiera vedere la mia squadra così autonoma e mi rassicurava: se fossi stata in difficoltà, loro sarebbero riusciti a difendermi e ad aiutarmi.
Ma allo stesso tempo mi infastidiva non poco guardare e basta, non mi sentivo partecipe come invece era per me prima, durante una lotta. Sentivo che l’intesa di cui parlava Rosso non c’era tra me e i miei Pokémon: non perché non fossimo legati, perché c’era tensione o non c’era affetto, ma semplicemente quello che io volevo fosse fatto non era eseguito dai miei amici come invece, a quanto pareva, succedeva a Rosso e alla sua squadra. Spesso i miei Pokémon si lasciavano ingannare quando io impotente li guardavo perdere, senza vedere attuata la strategia che mi ero programmata in quei pochi secondi in cui mi era concesso pensare prima che l’avversario sorprendesse Altair, Aramis, June o gli altri con una mossa.
“Ma cosa pretende quello,” mi chiedevo abbattuta riferendomi al maestro, “telepatia? Oppure va bene già così? Ma alla fine dovremmo pensare le stesse cose… quindi è davvero telepatia?” Poi sospiravo mentre guardavo un po’ corrucciata, sicuramente parecchio impensierita, la lotta che stavo indirettamente combattendo.
Argon, Kripton od Oxygen a turno osservavano l’andazzo delle lezioni, senza intervenire troppo per non seccare il suscettibile Rosso. Egli infatti ci teneva, o almeno così diceva, a farci scoprire quel nuovo lato delle lotte e del rapporto con la propria squadra. Sottovoce davano consigli a ognuno, facendo il giro della sala abbastanza lentamente. Oxygen si comportava come suo solito, non era cambiato niente rispetto a prima, quando non stavamo insieme. Però quando mi parlava era particolarmente affettuoso, anche perché nessuno poteva sentirci se parlavamo sottovoce e abbastanza velocemente. Era quello che dovevano fare i tre maestri con i ragazzi, erano ormai banali assistenti del Master, quindi non avevamo problemi.
-Come va?- mormorava gentilmente ogni volta che mi si avvicinava.
Io facevo spallucce. Agli inizi pensavo di star andando bene e di far progressi, era un po’ strano per i Pokémon abituarsi all’idea di dover fare tutto da soli, ma dopo un po’ acquisivano naturalezza nei movimenti e non avevano più la forte preoccupazione di deludere il proprio Allenatore.
Invece quella volta borbottai, desiderosa di sfogarmi: -Non capisco cosa devo fare per pensare con una sola mente con i miei Pokémon.
-Non sei l’unica ad avermelo detto. Lo so, è un bel problema…
-Tu però ci sei riuscito- mormorai di rimando. -Quando lotti non parli, proprio come Rosso. E vabbè, ormai nemmeno io parlo più, ma tu ottieni esattamente l’effetto e la reazione desiderati?
-La maggior parte delle volte- rispose lui facendo spallucce. -È una cosa che verrà con il tempo, te lo assicuro, e Rosso lo sa meglio di tutti.
-Tu dici?
Lui mi sorrise di sfuggita. -Amore, tieni presente che lui ha avuto vent’anni per imparare tutto questo alla perfezione. Non pretende che voi diventiate come lui in così pochi mesi, ormai manca poco anche alla fine dell’anno. Devi stare più tranquilla, Eleonora. Va bene?
Anche io sorrisi, un po’ meno convinta, ma sicuramente più rassicurata rispetto a prima. -Va bene.
-Una parolina dolce ogni tanto puoi dirmela, eh! Mica mi offendo- si finse indispettito.
Mi mordicchiai il labbro inferiore nel tentativo di non ridacchiare. -Adesso puoi andare, caro.
-Ah!, quanto mi fai soffrire, donna…- Guardando altrove mimò una pugnalata al petto con poco vigore per un immane dolore e mi diede un pizzicotto sul braccio, per poi allontanarsi verso qualcun altro lasciandomi sola con le risatine che cercavo di soffocare.
Alzai lo sguardo e incontrai quello di Daniel. Ammiccò maliziosamente e io arrossii imbarazzata: lui sapeva, sì, e se ero conscia della sua presenza mentre parlavo con Oxygen ero sempre un po’ tesa. Ormai iniziavo a rilassarmi in presenza del mio ragazzo, che agli inizi faticavo a chiamare così. Ogni occasione era buona per il mio amico per fare qualche battuta o massacrarmi di frecciatine che volevano essere irritanti, ma per le quali non riuscivo a prendermela: sapevo che lui era contento e così come mi lanciava molto spesso le suddette frecciatine, altrettante volte mi ripeteva che era felice per me e che da tempo desiderava vedermi così allegra.
-Vedo che ve la intendete, eh?
-Stupido.
-Aah, l’amore, cosa non fa.
-Proprio.
-Gliel’hai mica già data?
E lì al posto della mia voce si sentiva un sonoro scappellotto, uno di quelli che atterravano il proprio interlocutore e che lo lasciavano a metà tra le risate incontenibili e un certo dolorino. Erano battute che non mi offendevano, si facevano per scherzare e anche io avevo il mio bel daffare a ribattere con cosette anche più imbarazzanti. Lo facevo quando non avevo voglia di alzare le mani per rimproverare la sua ignobile nuca.
Quella volta fece per avvicinarsi sempre per sferrare una battutaccia delle sue, ma scossi la testa lanciandogli un’occhiata eloquente che lo fece ridacchiare e rinunciare al suo obbiettivo. Poco dopo arrivarono altre lotte a distrarmi dal pensiero dell’imminente frecciatina che mi avrebbe lanciato appena possibile. Nel frattempo ogni volta che potevo - tanto non facevo niente per lottare - lanciavo un’occhiata a Oxygen che gironzolava da una parte all’altra della sala, in cerca di allievi bisognosi d’aiuto. Quando incontrò il mio sguardo abbozzò un sorrisetto, ricambiato dalla sottoscritta, la quale tornò ad ammirare il suo Nightmare che abbatteva l’avversario.
Rosso nel frattempo, come ogni volta, camminava lungo il perimetro della sala con una lentezza tanto immane da risultare seccante, osservando con i suoi occhi glaciali ogni lotta e senza dire nulla a nessuno. Non appena passò accanto al mio campo, in cui lottava ancora Spiritomb, lo guardai abbastanza a lungo: mi permisi di farlo perché fino ad allora il mio compagno non dava alcun segno di cedimento e dava filo da torcere ad ogni Pokémon che scendeva in campo per fronteggiarlo, che quasi prevedibilmente cadeva al tappeto nel giro di qualche turno.
“Devo dire che Nightmare… nonostante sia l’ultimo arrivato in squadra, è quello che mi soddisfa di più in queste lotte silenziose” osservai: appena Rosso se ne andò io posai il mio sguardo nuovamente sul campo, pronta per sforzarmi a non intervenire. “Ma non ce n’è mai bisogno quando lotta lui” mi contraddissi; “Ogni mossa che mi viene in mente, la immagina anche lui e la attua. Notiamo le stesse cose, gli stessi dettagli che poi portano alla vittoria… Mi chiedo perché ci sia la fantomatica intesa tra me e lui, ma non tra me e Altair o Aramis.”
Per me tutta quella roba rimaneva comunque un mistero. Non capivo in maniera accettabile come funzionasse il legame che bisognava stringere tra Allenatore e Pokémon per pensare con una sola mente.
-Secondo me ‘sto Rosso ha fatto un patto con il diavolo- borbottai con un filo di voce tra me e me, mentre il caro Nightmare mandava K.O. l’ultimo dei Pokémon avversari e mi si avvicinava, strisciando sul terreno, in attesa di qualche complimento. Era sgradevole fare carezze a quella nuvoletta lilla: dopo aver passato la mano dentro la sommità della sua testa, essa mi tremava tutta per lunghi minuti ed era innaturalmente fredda. Ma gli concessi un po’ di coccole quella volta, nonostante il suo ghigno terrificante non si modificasse per ringraziarmi.
-Com’è che hai detto?
-Ah, eccoti, mi chiedevo quando saresti arrivato- borbottai in risposta a quella voce.
Daniel sogghignò e mi disse che la mia mano tremava come una foglia, ma era una cosa che già sapevo. -Be’, allora, cos’è che hai detto prima, quando è finita la lotta con quel ragazzo?
-Che, a mio modestissimo parere, il nostro Master ha fatto un patto con il diavolo.
-Oh, sono assolutamente d’accordo.
-Non prendermi in giro!- capii subito che lo stava facendo. -Però non capisco che diamine voglia da noi. Cos’è l’intesa di cui parla? Io non la sento quasi mai. Solo con Nightmare!- esclamai indicando il Pokémon. Sentii una specie di spettrale mormorio, a cui seguì una risatina diabolica. “Mi fa piacere che ogni tanto si diverta…”
-Con lui?- Inarcò le sopracciglia, sinceramente stupito.
Annuii con vigore. -Te lo assicuro. Invece Altair e Aramis, i primi due che mi vengono in mente quando penso a Pokémon a cui sono molto legata… mi sorprendono anche loro, a volte cadono in tranelli degli avversari o si fanno fregare mentre preparano una mossa, quando magari potrebbero evitare benissimo entrambe le cose. Ecco cosa non capisco. Credevo che un legame del genere si costruisse con il tempo, e invece…
Sospirai, senza concludere la frase.
-Ancora non capisci come si fa?- completò lui. Annuii così lui poté proseguire: -Be’, se ti può consolare, non ci riesco nemmeno io. Nessuno dei miei Pokémon fa quello che spero succeda durante una lotta, mi sorprendono sempre e spesso nel peggiore dei modi. Ma Rosso ci ha categoricamente vietato di parlare loro dicendo “ehi, se ti ritrovi ad affrontare un avversario così, così e così allora fai questa, quella e quest’altra cosa”. Lo ha fatto a ragione, non si costruirà mai un rapporto come si deve se con un Pokémon si fa così, ma almeno dirci qualche esperienza sua personale avrebbe aiutato!- sbuffò, mettendo le mani sui fianchi e osservandomi rassegnato.
-Chissà cosa gli passa per la testa…- mormorai, guardando altrove.
-Sai qual è la cosa strana? A quanto si dice in giro lui non ha mai fatto praticamente niente, davvero niente, mentre era sul Monte Argento. Non ha lottato tanto quanto possiamo credere con dozzine di Pokémon selvatici, ognuno diverso dall’altro, che possano aver abituato la sua squadra a cavarsela per conto proprio. No! Se n’è stato i giorni fermo a scrutare l’orizzonte, al massimo con il suo Pikachu. Ma non ne sono nemmeno troppo sicuro.
-Oxygen…- esordii, aspettando che il mio amico mi ammiccasse prima di proseguire, -… mi ha detto che lui non pretende nulla da noi. Ma la cosa mi ha confusa ancor di più, avrei preferito deluderlo a questo punto, magari poi si sarebbe deciso a spiegarci qualcosa in maniera decente. Invece ci manca solo che se ne freghi, vada avanti così e che continui a stare zitto. E intanto noi ci scervelliamo su cosa voglia.
-Rimarrà un mistero- rise Daniel, alzando le mani e arrendendosi definitivamente.
-Ehi, voi due!- ci richiamò Oxygen. Arrossii fino al collo e Daniel mi lanciò una certa occhiata per poi scoppiare a ridere. -Basta chiacchierare e mettetevi al lavoro.
-Agli ordini- mormorò il castano, sicuramente non rivolto a lui. -Be’, cara Eleonora, non vorrei far ingelosire il tuo cavaliere. Quindi meglio che mi cerchi un altro compagno per la prossima sfida!
-Codardo! La verità è che hai paura di perdere!
-Certo, certo…
-Mi hai sentito? Prima o poi dovrai lottare di nuovo con me e allora…
Ma lui ormai mi aveva abbandonata e se n’era andato da un altro ragazzo, un suo amico che non conoscevo. Sospirai abbattuta e mi guardai intorno, aspettando che qualcuno mi invitasse a lottare o cercando una persona libera con la quale fare l’ennesima prova di battaglia muta.

-Di questo passo darò di matto, Ilenia. Sto entrando in crisi.
Fu questo il mio annuncio a quella che ormai consideravo la mia migliore amica, mentre occupavo un letto non mio accanto al suo. Nonostante non facessimo niente praticamente per tutto il giorno durante le “lezioni” del caro Master, la pressione che esse mettevano era parecchia e tornavamo nei nostri dormitori tutti sfiniti, in cerca di un letto morbido e accogliente che ci sollevasse dalle nostre afflizioni. Anche perché Rosso sembrava star escogitando qualcosa in ogni momento, mentre si stuzzicava la barbetta mal tenuta e ci osservava più o meno con attenzione, per questo ci domandavamo cosa stesse macchinando nella sua mente chiusa al pubblico.
-Come mai?- chiese lei innocentemente.
-Lo sai il perché- ribattei. -Il tuo Rrrosso, come ti diverti a chiamarlo, è semplicemente pazzo. Sì, sono arrivata a questa conclusione, e sono sicura che voglia far ammattire pure noi con i suoi comportamenti assurdi!
-Ma ci siamo arrivati tutti prima di te, cara- mi prese in giro lei, ridacchiando. Storsi le labbra e poi risi anche io, lievemente. -Non capisco il perché di tutta questa ansia durante le lezioni di Rr… va bene, va bene, di Rosso. Cioè, sono fantastiche. Non devi fare un beneamato… nulla- si trattenne da qualche uscita rozza degna di Cynthia, -non devi fare niente, dicevo. Basta stare a guardare il tuo Pokémon e sperare che non se ne esca con qualche cretinata.
-So che mi stai prendendo in giro e che detesti fare così durante le lotte.
-Ma come mi conosci bene- brontolò lei continuando a sorridere. Si mise a testa in giù sul letto a castello mentre si passava entrambe le mani tra i voluminosi capelli rossicci, pieni di riccioli. Le sorrisi buffamente intanto che lei provava quel nuovo punto di vista. -Sai cosa dovremmo fare? Ci ho pensato oggi mentre il mio Tyranitar lottava. Lui sì che sa come va gestito l’avversario, non si smentisce mai.
-Lo stesso si può dire per Nightmare. Spiritomb- puntualizzai. -Comunque, cosa dici che dovremmo fare?
-Chiedere a qualcuno di altri gruppi come vanno le loro lezioni con il Master. Lui non passa quasi mai da loro, molto meno che da noi, il che è tutto dire. Però sono curiosa di sapere cosa fa con loro.
-Non ci ho mai pensato! Hai ragione!- esclamai.
-Mmh… sì, io ho ragione la maggior parte delle volte.
-Mi sembra di star parlando con Cyn. Passi decisamente troppo tempo con lei, sei diventata grezza e altezzosa- la rimproverai; lei in risposta mi fece una grossa linguaccia. -No, seriamente: come mai tanta sicurezza in te? Ti è successo qualcosa di bello, mia carissima?
-Non direi, niente di speciale- grugnì lei. -Ma vado a giornate, capiscimi.
-Capiscoti.
Il mio tentativo di dire qualcosa di divertente fallì miseramente, neanche a precisarlo. Io scoppiai a ridere provando pena per me stessa mentre Ilenia fingeva di imbracciare un fucile, prendere la mira alla mia tempia e farmi fuori. -Problema risolto- disse soddisfatta, soffiando sull’immaginaria bocca dell’arma.
Sbuffai senza aggiungere nulla e lei continuò: -Invece a te sta andando molto bene sotto molti punti di vista, a giudicare dalle numerose informazioni che mi sono state passate.
-Spero per questi terzi che non abbiano aperto bocca e che le “numerose informazioni che ti sono state passate” provengano solo da una fonte autorevole… quale la sottoscritta!- replicai. Lei rise, giurando che nessuno sapeva nulla e che nemmeno Daniel le aveva parlato, temendo che andassi in escandescenza probabilmente. Proseguii: -Davvero sono tante le cose che ti ho detto su me e sull’elemento della tavola periodica?
-Sono diventata diabetica per colpa tua. La maschera di ferro che indossi si trasforma in miele per le cose da romanzetto rosa di quarta categoria che ti escono dalla bocca.
-Oggi sei proprio in vena di battute, eh?- borbottai.
-Vuoi la verità? Ti devo tirar fuori con le pinze anche le più piccole, insignificanti cose. Sei davvero riservata! Secondo me Oxygen si danna perché non gli dici mai neanche una parolina dolce.
-Sì, probabile- risi imbarazzata. -Ma lo hai praticamente detto anche tu: non sono una persona dolce. Parlare di certe cose mi mette in difficoltà, è più forte di me! Non sono brava a parlare…
-Quaaanto sei tenera, piccola Ele!- Allungò una mano verso la mia guancia, probabilmente per stritolarmela e sballottarmi la testa di qua e di là come se fossi una comunissima bambolina. Non ci arrivò: ghignai soddisfatta. -Malefica. Basta, ci rinuncio. Complimenti, Maschera di Ferro, è tutta colpa tua!
-Ma cosa?!- sghignazzai.
Continuammo a cazzeggiare per qualche minuto, ignorando le altre ragazze presenti nel dormitorio, che ci lanciavano occhiate perplesse e che probabilmente progettavano di chiedere a Bellocchio di buttarci in un qualche manicomio estremamente sicuro. Il senso dell’umorismo di Ilenia non era poi un granché, ad essere oggettivi, ma io non potevo fare a meno di essere contagiata dalla sua bella risata. Mi divertivo con poco in sua presenza.
-Piuttosto! Ho una cosa serissima da dirti!
Lei inarcò le sopracciglia, mostrandosi incuriosita - ma era anche pronta a non prendermi troppo sul serio, in particolare per la mia espressione. Esponevo il labbro inferiore e sbattevo ripetutamente le ciglia, cercando di avere un’aria triste e pietosa, ma volutamente esagerata e infantile per farle capire che no, non ero affatto seria.
-Temo che Oxygen mi tradisca.
-Io ne sono certa. Sicuramente lo fa con Rosso.
-Stronza!!
Scoppiammo a ridere senza ritegno, ancor più rumorosamente di prima. Quella battuta non me l’aspettavo da parte sua e annaspai nel tentativo di riprendere fiato, sicura che fosse giunta la mia ora: decisamente stavo morendo dal ridere, non riuscivo a respirare per quanto lo facevo sguaiatamente, e lo stesso era per lei. Dopo qualche minuto riuscimmo ad isolare risatine di sfogo per poter parlare di nuovo con un po’ di decenza.
-Come mai dici che ti tradisce?
-Perché… senti, non ridere, ma diciamo che è passato dalla parte di Rosso!- Mi tappai la bocca subito dopo aver detto questo e lei mi imitò: ci volle qualche altro secondo di pausa, ma riuscimmo ad evitare un’altra scena simile alle precedenti e, più o meno serie, ebbi l’occasione di andare avanti: -Adesso anche lui, Argon e Kripton non ci fanno parlare durante gli allenamenti, non possiamo dare ordini nemmeno con loro, ecco perché mi tradisce. Anzi, tradisce tutti noi, ecco. Lui e i suoi fratelli sono passati al Lato Oscuro.
-Perché al Lato Oscuro hanno i biscotti!
Non ce la facevamo a scambiarci un paio di parole senza ficcarci in mezzo qualche cavolata. Inevitabilmente riprendevamo a ridere, ma quella volta ci sforzammo di riprenderci prima, così lei riuscì a rispondere con serietà, cosa che in quel momento ritenevo quasi impossibile. Mi faceva, anzi ci faceva bene passare un po’ di tempo così, a scherzare e basta ridendo per le cose più banali, svuotando la mente da eventuali preoccupazioni. Era decisamente rilassante, anche se i crampi alla pancia dopo quelle dolorose risate erano abbastanza imbarazzanti.
-Va bene, stavo dicendo? Ah, non avevo nemmeno cominciato… comunque! Per quanto mi piacerebbe fare una lotta con i comandi e tutto, vanificherebbero il lavoro che Rosso sta facendo.
-Perché, Rosso sta lavorando?- inarcai le sopracciglia. -Non me ne sono mica accorta.
-Waaah…!- emise uno strano verso mentre si stiracchiava e finalmente si rigirava, rendendosi conto che troppo sangue al cervello non aiutava. -Ho intenzione di chiudere ‘sta storia, non perché non mi piaccia prenderlo in giro con te, il caro Rrrosso, ma perché lo sto mal sopportando e non vorrei nemmeno sentirlo nominare. Se ci riterrà degni di scoprire il suo metodo allora lo farà appena sarà finito quest’anno. Altrimenti chi se ne frega, dovrebbe rimediare lui stesso a quel punto con un altro modo per insegnarci a lottare “dignitosamente”- mimò le virgolette con le dita. -E se si ostina a fare il Master invincibile ho già reclutato Cynthia per sbatterlo fuori dalla base.
-Mi aggiungo anche io per…
La mia voce fu sovrastata, con mia sorpresa, da quella di qualche Capopalestra femmina che non riuscii ad identificare, distorta con qualche programma che la rendeva irriconoscibile. Io e Ilenia interrompemmo ogni tipo di contatto visivo mentre una misteriosa comunicazione veniva annunciata nell’intera base segreta.
-Tutti i membri all’interno della base sono convocati nei sotterranei per un’urgenza. Si prega di non bloccare i passaggi nei corridoi e di dirigersi ordinatamente verso il luogo concordato, di non accalcarsi presso una qualsiasi entrata o uscita che potrebbe bloccare altre persone. Tra dieci minuti saranno chiuse le porte dei sotterranei per una riunione generale segreta.
Quando la comunicazione terminò io ed Ilenia ci lanciammo un’occhiata veloce. Senza dire niente capimmo più o meno la stessa cosa: non dovevamo evacuare né niente, non c’era un’invasione, un’infiltrazione o qualsiasi altra cosa sulla stessa lunghezza d’onda, perché altrimenti avremmo sentito suonare gli allarmi e si sarebbero attivati i numerosi teletrasporti. Le cabine di teletrasporto erano nascoste anche a noi ragazzi, per evitare che all’improvviso facessimo per scappare per una qualunque ragione, ma ognuno aveva una mezza idea su dove si trovassero. Io ero abbastanza sicura che fossero dietro le testate dei vari letti nei dormitori - e se così non fosse stato, rimaneva che la mia era una bella fantasia, senza ombra di dubbio. Ma non si aprì nessuna porticina segreta per i teletrasporti.
Quello fu l’ennesimo invito a sbrigarci per andare a vedere di che trattasse quella riunione improvvisa. Io ed Ilenia scendemmo dai letti e, già pronte per uscire, a passo di marcia ci dirigemmo non molto ordinatamente verso la porta, come era stato invece richiesto, insieme alle altre ragazze. Nessuna appariva spaventata, le espressioni di tutte erano curiose: qualcuna delle più grandi era addirittura annoiata, forse aveva già avuto esperienze di simili convocazioni che alla fine si erano rivelate una sciocchezza.
Non avevo mai visto i corridoi tanto affollati. Un lieve brusio, che però non disturbava con strilli o chiamate a gran voce di gente dall’altra parte della base, percorreva l’intera fiumana di ragazzi e adulti che si incanalava verso il corridoio F. Stringevo il polso di Ilenia, che si faceva strada davanti a me ed era la mia guida in quel momento. Per questo ero ben decisa a non mollare la presa, attaccandomi a lei come una bambina che teme di perdersi. Curvai le labbra appena una scena simile si fece strada nella mia mente.
-Ile’- la chiamai quando ormai stavamo scendendo le scale a chiocciola che, metri e metri più giù, portavano al livello dei sotterranei. -Secondo te cosa dovranno dirci in questa riunione?
Lei fece spallucce. -Ho idea che si tratti di qualche scoperta sul conto del nemico. Ma forse è solo una speranza mia, visto che non si viene a sapere mai nulla di quello che fanno i Victory… speriamo bene.
La mia amica era estremamente intuitiva e spesso le sue premonizioni si rivelavano esatte. Era stata lei a dire che forse l’ospite d’onore alla base segreta sarebbe stato Rosso e io allora non le avevo dato retta, ritendendola una cosa assurda. Ma stavolta mi fidai, perché anche se - in un modo tristemente comico - mi sembrava impossibile che stessimo addirittura facendo progressi - pensai ironicamente, decisi di fidarmi di lei. E feci bene.
La riunione si sarebbe tenuta nella sala principale dei sotterranei, quella in cui avevo incontrato Wilson per sapere se ci fossero stati progressi per la faccenda dei miei genitori. Era quel’enorme stanzone pieno di computer sempre accesi sulle numerose scrivanie, che per certi versi sembrava un’aula universitaria ma che sinceramente appariva più come un’inquietante scatola d’acciaio. I grandi schermi sul fondo sottolivellato della stanza avevano una luminosità talmente bassa che era impossibile leggere i codici scritti a caratteri piccoli accanto alle immagini che mostravano - probabilmente volevano evitare che qualcuno li leggesse per questioni di sicurezza, ma in ogni caso non potevano permettersi di spegnerli neanche un attimo e quei supercomputer lavoravano tutto il giorno.
Lì davanti agli schermi si stagliavano la figura ricurva di Wilson e quella più fiera e severa di Bellocchio, che si grattava sul mento la barbetta di qualche giorno. C’era una donna seduta a un pc accando a loro, ma voltata di spalle, che però se ne andò a un cenno del capo lasciandogli il suo computer. La sua espressione era corrucciata e lo stesso valeva per quella dell’anziano, che mi ricordavo più ridacchiante con la sua bocca provata dal fumo.
Bellocchio alzò lo sguardo gelido appena si sentì una specie di boato quando le grandi porte d’acciaio della sala si chiusero, segno che eravamo tutti lì. Mi guardai intorno senza prestare attenzione all’introduzione dei due e mi resi conto di quanto fosse popolosa la base segreta anche senza essere al completo: mi rassicurai sul numero delle nostre forze pensando che almeno tre o quattro volte tanto, sparsi per il mondo, c’erano nostri alleati in altre basi. E lì, nella sede centrale di Sinnoh, eravamo almeno qualche centinaio. Contando che erano pochi i prescelti a sapere dell’esistenza di un mondo Pokémon, quelle cifre erano impressionanti.
Il capo stava blaterando qualcosa sommessamente proprio sul fatto che non tutti fossero lì riuniti, ma che ogni membro delle forze del Bene era stato avvisato o stava per scoprire le stesse cose che lui ci avrebbe rivelato.
Il tono della sua voce si fece più determinato e deciso, segno che stava per dire qualcosa di molto importante. -In questi lunghi anni di guerra, entrambe le fazioni hanno combattuto duramente e hanno mutato sé stesse pur di mettersi al sicuro dalla minaccia del proprio nemico, trasformando le loro gerarchie per evitare che l’altro minasse alla sua sicurezza. Ebbene, è proprio della struttura nemica ciò di cui vi informerò- annunciò Bellocchio. -I documenti che riusciamo a sottrarre al nemico sono sempre e indistintamente protetti, anche per le cose più insignificanti abbiamo bisogno di mesi e mesi per decifrare codici, trovare password, e spesso tutte queste azioni sono rallentate da altri impegni e preoccupazioni più urgenti. In questi giorni, il team di tecnici ha aperto un prezioso contenitore di informazioni, che non vi mostreremo nel dettaglio ma di cui vi informeremo.
Wilson si schiarì la voce, tossendo da bravo fumatore, e si scambiò un’occhiata d’intesa con Bellocchio. Questi annuì e gli lasciò la parola. -Abbiamo catturato delle telecamere da una delle basi nemiche principali ed esaminati i loro nastri in questi due o tre giorni. Siamo rimasti non poco sorpresi dal loro contenuto e questo- agitò una mano che stringeva un fascicolo di fogli scribacchiati a mano, -è il resoconto dei filmati che abbiamo visto.
Lo porse a Bellocchio, informandoci che lo avrebbe letto lui, ma prima di cominciare il capo fece una premessa: -Questi filmati riprendevano una riunione tra i Comandanti nemici, per intenderci gli ex capi dei vari Team sparsi per le regioni tra dieci e quindici anni fa. All’appello mancava solo Giovanni, il boss del Team Rocket che aveva la sua influenza sulle regioni di Kanto e Johto… dopo questa lettura, però, saremo costretti a rinominare i ruoli dei vari Comandanti, e inizieremo a chiamare così altre figure.
Spalancai gli occhi e scambiai una veloce occhiata con i miei vicini. Cosa significava che avremmo rinominato le cariche di Cyrus e compagnia? E chi erano gli altri Comandanti allora?
-“Le seguenti registrazioni riprendono alcuni minuti compresi tra le ore sei e le ore sette antimeridiane del giorno xx del mese yy, anno corrente”- enunciò dapprima Bellocchio con voce chiara e tonante. -Queste riprese riguardano una breve riunione, come già detto, del cui contenuto non siete tenuti ad essere messi a conoscenza. Le parti essenziali e delle quali dobbiamo parlarvi sono… “M. e I. stanno in silenzio per l’intera durata della ripresa e gli unici a parlare sono gli altri tre, ovvero C., G., ed E.. Si riflette su un attentato a Luminopoli, capitale di Kalos, e su uno alla stazione del Supertreno di Fiordoropoli; i due saranno praticamente simultanei e C. commenta con un secco ‘per la gioia dei boss’. G. si lascia sfuggire una risatina ed E. prende la parola, ribattendo alle parole di C. con un’informazione, secondo la quale l’ordine dell’attentato provenga ‘dall’alto’.”
Bellocchio fece una pausa prima di continuare. Io non potevo credere a quello che stavo sentendo e speravo di non star capendo quelle parole ambigue, ma che purtroppo mi parevano chiare e precise.
-“C. dice che è stato comandato loro di agire con troppo poco margine d’anticipo e che questi attentati, se avrà voglia di attuarli, saranno preparati male e i loro piani saranno pieni di falle. Segue una gelida discussione tra l’ex comandante del Team Galassia di Sinnoh e tra quello del Team Flare a Kalos. C. indica i cosiddetti boss con un nomignolo ironico, ‘i due signorini’. E. insiste nel dire che i Comandanti sanno quello che fanno, hanno programmato già tutto… e che se sono diventati loro i Capi del Victory Team ci sarà qualche motivo.”
Bellocchio ripiegò il fascicolo e lo restituì a Wilson, il quale aveva abbassato la testa pensierosamente. La fronte rugosa del vecchio era corrugata in un tripudio di preoccupazione, e nonostante la mia non fosse corrucciata come la sua, i miei occhi aperti più del normale parlavano da soli.
“Abbiamo risparmiato le vite delle persone sbagliate” realizzai, rivedendo vividamente nei miei ricordi lo sparo di Camille contro il padre, Elisio, e desiderando ardentemente che quella barriera protettiva contro la quale si era infranta la pallottola non fosse mai esistita, immaginando il volto rabbioso ma esultante della ragazza nel vedere l’uomo che le aveva dato e rovinato la vita morto a terra. Morto.
Bellocchio confermò i peggiori dubbi di tutti gli spettatori nella sala. -A quanto pare il Victory Team è diretto da qualcuno molto più in alto e molto più potente degli uomini che facevano parte degli altri Team. E questi sono sempre stati, con ogni probabilità, loro marionette per non sporcarsi le mani, mentre agivano nell’ombra e davano direttive all’intera organizzazione. Forse è per questo che C., o meglio Cyrus, li chiama “signorini”.
Fece una pausa prima di andare avanti nelle considerazioni che tutti avevano già fatto. -Non sapevamo dell’esistenza di un vertice ancora più alto del Victory Team e non abbiamo traccia di questi due capi da nessuna parte. In seguito, Cyrus continua a fare ironia sull’identità di questi due e arriva a chiamarli “gli Dèi”. Nonostante il suo tono non sia serio, a giudicare da quello di Elisio e poi anche da un breve intervento di Gechis, gli altri sono molto seri da questo punto di vista e non accettano di buon grado i toni dell’ex comandante del Team Galassia. In ogni caso, da adesso- si apprestava a concludere, -il più delle nostre forze sarà impiegato nella ricerca di questi due misteriosi Capi, dei veri Comandanti del Victory Team.
Il suo sguardo buio percorse tutta la folla attonita, che non voleva credere a tutti gli errori commessi fino ad allora, sicura che il vero nemico fosse qualcuno già conosciuto in passato. Invece dietro alla nascita del Victory Team c’era qualcun altro, qualcuno di molto più potente a quanto pareva, che aveva liberato i vecchi capi dalle loro varie prigioni ed era addirittura riuscito ad ottenere la loro fiducia e la loro devozione, facendoli alleare sotto il proprio controllo. Era temibile il fatto che non si ribellassero a loro, che solo Cyrus si permettesse di fare un po’ l’arrogante menefreghista degli ordini che arrivavano dall’alto. Significava che esercitavano un potere di una forza spaventosa per intimorire tanto degli uomini già terribili di loro.
Mi riusciva difficile credere a qualcosa del genere e probabilmente lo stesso valeva per tutti i ragazzi, troppo atterriti dalla scoperta inaspettata per chiedere qualcosa in più a Bellocchio e Wilson sulle parole dei sottoposti ai signorini, come avrebbe detto il mio acerrimo nemico. Io di domande ne avevo, e anche tante, insieme a non poca rabbia nello scoprire che gran parte dei miei sforzi e dei miei impegni erano stati resi vani da quella scoperta. Ma preferii aspettare un momento più propizio, magari quando mi sarei trovata da sola con Bellocchio, nella speranza di non incollerirmi - rischio che correvo altamente.
I due uomini videro che l’effetto prodotto dalla scoperta aveva fatto ammutolire la folla, abbattendola oltre le loro aspettative. Ci congedarono senza sapere che fare altrimenti, ma io aspettai un po’ prima di andarmene. Mi interessava guardare le espressioni dei miei amici per poi confrontarmi con loro: vidi di sfuggita Daniel, serio come poche volte lo avevo visto in vita mia. Ilenia e altre ragazze avevano le sopracciglia corrugate a causa di una profonda preoccupazione e anche dalla disapprovazione nei confronti di tutto ciò che le circondava.
Mossi i primi passi verso l’uscita quando sentii qualcuno darmi una gomitata. Seccata mi voltai di scatto verso la direzione da cui quel colpo proveniva, per poi spalancare gli occhi alla vista di Camille che, senza guardarmi e continuando a camminare, superandomi, mi mormorò qualcosa con una calma che mi lasciò interdetta.
-Io me ne vado.

Avevo la netta sensazione che quell’affermazione volesse significare molto più di quello che pareva. “Io me ne vado” non poteva riferirsi solo all’uscire dalla riunione convocata nei sotterranei, Camille non avrebbe avuto alcun motivo di avvertirmi che se ne tornava al piano superiore, a meno che non avesse voluto incontrarmi. Ma per il giorno successivo evitò accuratamente il mio sguardo interrogativo e fuggì la mia presenza, finché non la vidi più in giro. Inizialmente pensai che fosse in missione, ma i giorni passavano e la faccenda si faceva troppo strana.
Mi feci un’idea a tal proposito, chiedendomi ripetutamente cosa significassero le parole della ragazza e non restando indifferente al suo sguardo lunatico: in alcuni momenti appariva arrabbiata, come al solito gelida, però solo quando non si accorgeva di me. Quando poi ci incrociavamo, s’intristiva improvvisamente e quasi arrossiva, abbassava lo sguardo e cercava una scusa per andarsene. Non che io volessi parlarle, d’altronde; probabilmente si era pentita di avermi detto quella cosa, pensai, anche se poi scoprii che non fu affatto così.
Camille sparì dalla circolazione e mi parve strano il fatto che nessuno se ne fosse accorto. Tutti proseguivano con allenamenti che mi parevano sempre più futili e privi di senso, di utilità: a che serviva allenarsi ancora? Quali livelli dovevamo raggiungere? Ero più demotivata che mai: avevo come minimo altri due nemici da combattere, che non conoscevo e che non volevo nemmeno conoscere. Sarà stata codardia, vigliaccheria, ebbi davvero paura in quel periodo al pensiero che esistessero persone ancor più spaventose di Cyrus e compagnia, più potenti di uomini che già davano parecchio filo da torcere ai nostri. E poi all’improvviso si scopriva che c’era pure di peggio.
Non mi andava affatto bene tutto ciò, per niente. Ero stanca di quegli allenamenti che non avrebbero portato da nessuna parte: presto smisi di frequentare le lezioni di Rosso per giorni, quando ormai si erano fatte più regolari, suscitando dapprima la preoccupazione, poi la disapprovazione, infine anche la rabbia di Oxygen. Voleva che mi allenassi ancora, perché di cose da migliorare ce n’erano ancora e neanche poche, lo sapeva lui che era inferiore a Rosso. Ma me ne fregai altamente dei suoi desideri e alla fine si arrese, dandomi carta bianca e lanciandomi un deluso, rassegnato “Peggio per te” che non mi toccò minimamente.
-Che senso ha continuare così?- gli avevo chiesto quella volta.
-Che senso ha non continuare, allora?
-Oxygen, dammi una motivazione valida per la quale io possa convincermi ad allenarmi ancora, ti prego. Così non ce la faccio, smetterò definitivamente, o almeno finché Bellocchio lo tollererà.
-La motivazione è che il nemico è più forte di quello che abbiamo sempre creduto e quindi…
-E quindi dovremmo continuare ad allenarci?!- avevo esclamato all’improvviso, scaldandomi. -Tanto nessuno di quelli che tu e i tuoi colleghi state allenando andrà a combattere davvero, non è mai stato combattuto niente, non ho mai sentito parlare di una guerra che potesse essere definita tale durante questi anni. Se dobbiamo andare ancora a tentoni per poi scoprire che molti dei giochi di Bellocchio sono stati inutili, tanto vale lasciar perdere.
-Ma che cosa stai dicendo?- aveva ribattuto lui basito. -Non mi sarei mai aspettato niente del genere detto da te.
-Io non mi sarei mai aspettata, due anni fa, di arrivare a un punto simile! Non è possibile che Bellocchio ci impegni in missioni sconclusionate, giusto per tenerci impegnati e non farci pensare a quanto tutto questo sia assolutamente inutile! Come puoi non darmi ragione, Oxygen? Cosa c’è di buono in quello che è stato fatto finora?
-Ma che vuoi che ne sappia io? Il mio compito è quello di allenarvi e prepararvi alla minaccia nemica, che come saprai è sempre presente! Non si tratta solo di andare a combatterci per sconfiggerli, ma nel caso in cui le cose si mettessero ancora peggio per noi, dovremo pur darvi un minimo di mezzi per difendervi da soli e i Pokémon sono l’unica scelta che abbiamo. Gli allenamenti non finiranno mai, Eleonora, se non quando terminerà la guerra. Cosa c’è che non va? Qual è il tuo problema con Bellocchio, visto che lo odii tanto?
-Ne avessi solo uno di problema con lui, ma a te non te ne può fregare di meno di questo…
-Oh, bada a come parli!
-… e se dovremo aspettare il termine della guerra- ero andata avanti, ignorando il suo rimprovero, -allora direi che passerò la mia vita a potenziare sempre di più Altair e la sua compagnia, per poi vedere i miei sforzi vanificati dall’intervento di qualcun altro. Questa guerra avrà un eroe che la terminerà, sia egli dalla parte del “Bene” o da quella dei Victory. Allora non mi rimarrà più niente, se non una squadra…
-Ma allora non capisci!- mi aveva interrotta. Avevo ricambiato il suo sguardo con un’occhiata furente e seccata da tutto quello che non andava in ciò che stava succedendo, quando per tutta la conversazione avevo sentito i suoi occhi su di me mentre io guardavo da tutt’altra parte. -Non devi guardare solo al futuro, ma anche al presente! Se durante una missione ti ritrovassi improvvisamente sola contro Cyrus, cosa faresti? Avresti bisogno di Pokémon in grado di superare i suoi, ed è questo quello a cui mira Bellocchio… Lo hai detto anche tu spesso, andiamo!
-Cos’è che avrei detto, scusa?
-Sai meglio di me che non siamo altro che pedine- mi aveva ricordato, calmandosi all’improvviso. Si era un po’ rattristato nel sentirmi dire quelle parole velenose nei confronti del capo, mettendo da parte la rabbia suscitata dai miei discorsi. -Noi non abbiamo voce in capitolo, non possiamo fare nient’altro che sottostare ai suoi ordini e a quelli di qualcun altro che ci comanda, magari sopra Bellocchio ci sono altri capi, proprio come per il nemico.
-Non capisco dove tu voglia andare a parare.
-Invece lo capisci- aveva replicato lui, scuotendo la testa. -Se hai intenzione di farla finita con gli allenamenti, posso dirti solo peggio per te, perché hai ancora da migliorare. Ma spero che tu non ti inventi niente di stupido per la rabbia, Eleonora, perché io sono sicuro che da adesso i nostri si daranno una mossa. Sono arrivate molte proteste in questi giorni, Bellocchio è nervoso ma sa che bisogna iniziare a fare qualcosa di più concreto…
-Oxygen, tu non hai capito, o forse non la conosci, la mia posizione in questa guerra. E all’inizio non la capivo nemmeno io, ma ormai mi è fin troppo chiara!
-Perché, qual è la tua posizione?
Mi ero morsa il labbro, sentendo di aver parlato troppo. Quella cosa era un altro segreto tra me e me stessa, non volevo dirlo a nessuno. Nemmeno ad Oxygen, nonostante lo amassi, perché era fin troppo fedele a Bellocchio per i miei personalissimi gusti. Quindi avevo scosso la testa e gli avevo detto di lasciar perdere.
-No, adesso mi dici che ti prende.
-No che non te lo dico!- avevo sbottato all’improvviso, buttando fuori l’aria dai miei polmoni con veemenza. Il ragazzo mi aveva guardata intensamente, perplesso dai miei comportamenti, ma io in quel momento vedevo tutto infuocato dalla rabbia. -Per favore, lasciami sola. Ne ho abbastanza di questa conversazione, che non ci porterà da nessuna parte, perché io sono fin troppo ferma sulle mie posizioni.
-Ho qualche speranza di sapere quali esse siano?- mi aveva chiesto lui.
-Pensa solo che è stato difficile per me sperare di scoprirle- avevo ribattuto, chiudendo la discussione. Oxygen se ne era andato scuotendo la testa, disapprovando totalmente le mie parole.
Io però mi sentivo sicura nel mio pensiero sulla cosiddetta guerra, ma sinceramente non volevo più definire tale un simile teatrino in cui io facevo la comparsa. Forse non lo sarei più stata, se Bellocchio si fosse deciso a dirmi quel dannato segreto che mi riguardava e che mi faceva fare gli incubi la notte: forse allora mi sarei sentita meglio, mi sarei sentita più forte e speciale, come aveva detto spesso Cyrus. Invece non sapevo nemmeno cosa aspettarmi da questo segreto, che magari mi avrebbe davvero condotta alla follia, come aveva fatto con Camille.
Camille era scomparsa e se io non avevo imitato la sua fuga dalla base segreta era solo perché non avevo altri posti in cui andare. In alcuni momenti di debolezza l’offerta del nemico mi sembrava terribilmente allettante, forse ero così importante da poter entrare a contatto con i vertici del Victory Team e collaborare con loro… il dominio che volevano imporre sul mondo forse non era poi una cattiva idea, d’altra parte erano tutti uomini intelligenti che conoscevano le regole del governo e le leggi che facevano girare il mondo, sia Pokémon che normale.
Fu così che iniziai a trovare facilmente comprensibili le teorie di Enigma, le sue parole: chi era il Bene e chi il Male? Aveva senso logorarsi così, senza andare a finire da nessuna parte? Io non sapevo chi fosse la fazione meno peggiore, ormai. Non aveva senso no, niente aveva più motivo. Combattevo per modo di dire, perché mi veniva detto di fare così e perché era una cosa che più o meno mi riusciva. Ma era pure vero che non avevo mai realmente fronteggiato Cyrus o Elisio, i due capi nemici che avevo incontrato fino ad allora.
Però non riuscivo a inquadrarmi tra le fila nemiche, esperienza che più volte ipotizzai di sperimentare. Perché no, mi ero chiesta, perché non andare da qualcuno che riuscirà a trovarmi un’occupazione in questo conflitto così dannatamente silenzioso ed inutile? Perché non scoprire cosa riguardasse quel segreto che avevo e che nemmeno io conoscevo? Che problema c’era ad andarsene dai nemici e iniziare a chiamarli alleati?
Ma poi mi paralizzavo dallo spavento al pensiero di quel perverso di Cyrus e del suo ghigno terrificante, che tanto a lungo aveva infestato - e a volte infestava ancora - i miei sogni. No, non potevo, davvero no: era assurda la visione di Eleonora che all’improvviso scappava e se ne andava dall’altra sponda. Ormai ero troppo abituata a vedermi alleata con Bellocchio e la sua fazione, non riuscivo ad immaginare di stare con gli altri. Anche se forse sarebbe stato meglio così. Magari avrei incontrato tutta la corruzione del mondo e anche la cattiveria più cieca; non avrei trovato la pietà e la comprensione dei miei amici, che erano disponibili e altruisti, pieni di buone intenzioni.
O forse sì? Il marcio c’era anche nelle forze del Bene, non erano pochi i ragazzi menefreghisti, che si isolavano dal mondo ed erano davvero marionette mosse dalle mani poco esperte di Bellocchio. A loro non importava nulla del prossimo, se i loro compagni erano in difficoltà li lasciavano a cavarsela da soli, pur di salvarsi la faccia oppure per portare a termine una missione, un incarico. Sì, c’erano soggetti davvero terribili tra di noi.
Allora perché tutti i Victory avrebbero dovuto essere semplicemente cattivi? Se anche i capi e i Comandanti lo fossero stati, chi mi diceva che invece Bellocchio era puro e assolutamente buono? E le reclute nemiche erano tutte così corrotte? No, mi bastava pensare a Luke, il ragazzino che non conosceva i Pokemon e il loro mondo, che era stato sottratto dalla sua famiglia e dalla sua realtà per andare a servizio dei Victory. Lui era “buono”, sempre che la bontà fosse esistita a quel mondo… ma allora io chi ero?
-Basta, basta…!- mi intimavo, prendendomi la testa tra le mani, straziata da tanta confusione.
Io chi ero? Le mie intenzioni quali erano e cosa avrei fatto?
Sapevo solo che improvvisamente desideravo con ardore tornare bambina. Allora avrei visto solo una netta divisione nel mondo, quella bianca del Bene e quella nera del Male. Non avrei conosciuto l’esistenza di un lato buono nell’oscurità e di uno terribile nella luce, di conseguenza avrei ben saputo tra cosa scegliere. Bianco o nero? Ovviamente una bambina si sarebbe diretta verso la prima opzione. Invece era tutto così dannatamente grigio.
E poi - non avrei mai finito di tormentarmi con tutte quelle riflessioni - cosa era successo in dieci anni? Cosa poteva giustificare l’estrema lentezza delle operazioni sconclusionate ed inutili del mio schieramento? Non mi sarebbero mai state sufficienti le misere parole di Bellocchio: “Abbiamo bisogno di mesi e mesi per decifrare codici, trovare password. Spesso tutte queste azioni sono rallentate da altri impegni e preoccupazioni più urgenti”. Quali erano queste preoccupazioni tanto importanti, se non la lotta contro quello che veniva indicato come il Male? Solo Bellocchio avrebbe potuto rispondermi con completezza. Per questo andai a chiederglielo.
Una mattina mi alzai di buon’ora, non riuscivo a dormire, tormentata dal bisogno di schiarirmi le idee su quello che ero io nella “guerra” e su quello che stava succedendo. Mi diressi con apparente disinvoltura verso l’ufficio di Bellocchio, come al solito abitato dal suo proprietario, che era sgradevolmente sorpreso - come al solito - di dover vedere la mia faccia anche la mattina presto di un giorno a caso. Probabilmente credeva che gli avrei chiesto di mandarmi in missione, magari voleva rimproverarmi perché non seguivo più nessuna lezione.
Ma non volevo più mettermi in gioco con una missione, poteva anche dimenticarsi di me mentre io cercavo una risposta alle mie domande e decidevo che fare della mia condizione. Non me ne fregava niente delle lezioni, stavo bene così per quel che mi riguardava, Oxygen poteva rimproverarmi quanto voleva. E poi iniziavo anche a farmi valere, a dargli del filo da torcere durante le lotte che ogni tanto facevamo.
Saltai puntualmente i convenevoli che avrebbero dovuto esserci tra me e il mio capo, e lo stesso fece lui. Mi chiese subito cosa volessi, dopo aver premesso che non era affatto contento della mia condotta e che il periodo di equilibrio che credeva di aver visto in me si era spezzato. Feci spallucce in risposta e, con voce ferma, glielo dissi.
-Voglio sapere con estrema precisione cos’è successo in dieci anni di “guerra”.






Angolo ottuso di un'autrice ottusa
Macciaoggente! Non sono in ritardo manco per niente stavolta, e verso la fine del mese pubblico l'extra. Tra l'altro verrà lungo come minimo come questo capitolo, preparatevi. Però è interessante, o almeno credo. Continua sul tema già trattato dal capitolo "Bene o Male? Bianco o nero?", spero vi piacerà. (Ah, Xy ed Ele non si molleranno per così poco, mi spiace molterrimo)
A presto allora! nella speranza di non fare tardi rido
Ink

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Capitolo 20
*** Extra II - Scelte ***


Extra II
Scelte

Ormai converrebbe distinguere due differenti realtà venutesi a creare sulla Terra nel corso del tempo, l’esistenza delle quali è dovuta a un concatenarsi di eventi che non hanno lasciato alcuna scelta agli umani, se non quella di adeguarsi a una tale distinzione e decidere che fare della propria vita, irrimediabilmente spaccata a metà e purtroppo irreparabile almeno per moltissimo tempo. In ogni caso è stato decisivo per la loro nascita, senza ombra di dubbio, l’avvento del Victory Team; un’alleanza la cui fragilità non è data a vedere - ma che si sta facendo strada ovunque, pian piano - e che sfrutta le forze combinate dei vecchi Team, i quali si trovavano uno su ogni regione - ai tempi senza influenzarsi in alcun modo.
A chi è più spaventato, se non terrorizzato da questi Victory, l’organizzazione appare come una potenza totale, in grado di agire su ogni forma di governo e con la stragrande maggioranza dei mezzi conosciuti, oltre che delle armi “segrete”, la cui elaborazione è più o meno ancora in corso - se non già segretamente completata.
Le due realtà parallele nate in seguito all’avvento del Victory Team sono l’una il mondo umano, che non conosce l’esistenza di creature denominate Pokémon ed è tecnologicamente più arretrato, l’altro quello che oltre gli umani comprende anche questi esseri potentissimi, sovrannaturali, e silenzioso ma onnipresente governa grazie a una fitta rete di conoscenze anche la realtà esclusiva degli umani, la più debole nei fatti. I due mondi però non sono nettamente separati e il fatto che uno s’insinui, in un modo o nell’altro, negli affari del secondo, è una delle prove che in alcuni punti i confini non sono così definiti, anzi sono molto confusi.
Un’altra prova è la situazione ai limiti dell’assurdo che diviene esistente alla morte di qualcuno appartenente al mondo dei Pokémon. È quasi impossibile isolarsi totalmente e non entrare in contatto con la vita dell’altra realtà, poiché si hanno rapporti anche - e soprattutto, a volte - con chi si trova “dall’altra parte”. Per questo motivo la maggior parte di questi Allenatori, Professori, Campioni eccetera, ha l’onore di possedere due tombe: l’una nel mondo umano, l’altra oltre le barriere che consentono l’accesso al lato nascosto, quello della realtà Pokémon. È il caso dei primi tre Capipalestra di Kalos, ovvero Violetta, Lino e Ornella. Tre ragazzi giovanissimi le cui cause della morte sono differenti a seconda del mondo in cui ci si trova ad esaminare la loro storia, la loro lapide.
Nel cimitero di Yarantopoli, nei sotterranei della Torre Maestra, la doppia tomba di Ornella riceve visite da entrambi i mondi, che la ragazza ha imparato a conoscere benissimo grazie al suo buon carattere e alle sue due passioni principali: lo sport e i Pokémon. Molti ammiratori della grande pattinatrice, eccellente anche in molte altre discipline, lasciano davanti la sua foto incastonata nella lapide dozzine di fiori, quasi ogni giorno. Invece coloro che hanno conosciuto la Ornella Capopalestra, una dei custodi delle Megaevoluzioni, meno frequentemente hanno la possibilità di imitare i fan dell’altra realtà; ma quando trovano l’occasione giusta per rendere omaggio a quella ragazza esemplare, lo fanno con tantissimo calore e affetto. La famiglia di Ornella non si è mai abituata a questa differenza e sempre con qualche perplessità va a trovare la loro cara, scomparsa non per un infarto ma per un assassinio, che è la mera verità sul suo triste caso. Lo stesso destino è capitato agli altri due Capipalestra - e quindi alle loro famiglie, che con enorme difficoltà hanno assimilato la notizia della fine della loro vita.
Violetta, Lino e Ornella sono morti senza una vera ragione, troppo giovani e lontani dalla principale base segreta delle “forze del bene” per partecipare attivamente ai piani di chi vuole contrastare la forza terribile dei Victory. Quest’organizzazione, indicata comunemente come il Male più oscuro e potente, li ha eliminati con l’unico scopo di seminare il panico tra chi la combatte, che in verità ogni giorno ascolta notizie simili e trema di paura al pensiero che lo stesso destino potrebbe capitare a ognuno di loro, uno per volta.
È una situazione insostenibile, terrificante, e tutto questo porta a chiedersi: qual è il vero obbiettivo di questo nemico misterioso? Sarà davvero il dominio del mondo o è addirittura qualcosa di più? Chi è che ne fa parte e quali motivi, soprattutto, hanno spinto tante persone a diventare membri del Victory Team?

 
§

-Vulcano! Fermati, Vulcano!
Corrado corre sotto la pioggia battente di fine estate che si riversa da ore su Arenipoli. La città però non si accorge della sua figura quasi solitaria che disperatamente cerca di raggiungere il suo amico, o quello che si era abituato a considerare tale. La distanza tra i due si riduce sempre più: il giovane Capopalestra si è permesso di star fermo troppo a lungo, impietrito dall’affermazione - a cui non riesce a credere - che l’altro ragazzo ha detto poco prima. Quindi Vulcano si è allontanato placido e calmo da lui, finché questi non si è riscosso per ribattere.
Appena è raggiunto sulla spiaggetta di Arenipoli devastata dalla pioggia e dal mare burrascoso, l’Allenatore di Pokémon Fuoco si volta e studia la figura conosciuta di Corrado, ansante, piegato sulle sue ginocchia e afflitto dal fiatone della corsa repentina che ha fatto. Il più piccolo tra i due non osa toccarlo, inizia a temere seriamente le conseguenze che una simile azione potrebbe produrre, ora che l’altro gli ha detto qualcosa del genere. Stenta a crederci, ma nemmeno riesce a rifiutare quella che pare essere la verità. -Dimmi perché… ti prego…
Vulcano lo guarda severamente e risponde solo quando Corrado alza lo sguardo. La sua espressione è contrita dalla corsa e dalla pioggia che cerca di chiudergli le palpebre, continuando ad andargli negli occhi. -Non dovresti giudicare le azioni che hanno intenzione di compiere come malvagie solo perché sono uomini che hai conosciuto come “cattivi” a metterle in atto. Non è una cosa matura.
-Stai parlando di un uomo che voleva distruggere la nostra regione e il mondo intero per crearne uno a sua immagine e somiglianza!- sbotta Corrado, riferendosi a Cyrus, l’ex capo del Team Galassia che è entrato a far parte del famigerato Victory Team, nato da poco più di un anno. -Come puoi pensare che non sia cambiato, quello lì, che si crede un Dio? Quella gente vuole solo la propria felicità personale e la vuole ottenere con mezzi terribili!
-Se Bellocchio desse le informazioni così come sono realmente- ribatte Vulcano gelido, -allora sapresti che le azioni finora realizzate dai Victory sono tutt’altro che crudeli. Conosci Ghecis, il vecchio comandante del Team Plasma che agiva sul territorio di Unima? Ebbene, ha detto di voler donare il nuovo ordine mondiale ai Pokémon. Non ha solo scopi personali da perseguire, ma anche molto altruismo da mostrare.
-Se tu ascoltassi le informazioni di Bellocchio, assolutamente vere e provate- ringhia Corrado rabbioso -allora sapresti delle sperimentazioni che stanno eseguendo sui Pokémon, usandoli come cavie da laboratorio!
Il Superquattro pare immune all’effetto fastidioso della pioggia che si intensifica sempre più. -Bellocchio non sempre dice le cose come stanno. Potrebbe essersi inventato tutto. Io non mi fido di lui.
-Cosa ti fa credere che lui sia un bugiardo?!
-Ho i miei motivi e so anche di svariati episodi sgradevoli risalenti a quando era nella Polizia Internazionale.
-Fammi indovinare- Corrado si alza in piedi correttamente. È molto più basso dell’altro. -Hai già racimolato qualche informazione dai Victory, non è così? Sei già passato dalla loro parte, quindi?
-Esatto. E faresti bene a svegliarti anche tu- gli consiglia Vulcano.
-Non ti ascolterei nemmeno se vedessi in te il mio vero amico!- grida Corrado, sull’orlo del pianto per la rabbia, la tristezza, l’incredulità, la paura. Si prende la testa tra le mani. I suoi occhi riflettono disperazione e Vulcano cerca di non farci caso. -Tu… non posso credere che tu sia lo stesso Vulcano che ho conosciuto, non ci voglio credere, non puoi essere sempre tu. No, no, è impossibile!
-Calmati, fai pietà in questo stato- mormora il Superquattro.
-Ah sì, eh?! Perché tu, che ti allei con dei pazzi da sbattere al fresco e buttare la chiave della loro cella, sei mille volte meglio!- ribatte Corrado, troppo spiazzato dalla decisione del suo vecchio amico perché quelle parole velenose lo possano offendere. Anzi, a malapena le ha sentite.
-Non ho voglia di perdere altro tempo con te se non hai intenzione di collaborare. Ti ho dato i miei motivi…
-No, non è vero. E se pensi che quelle poche parole che mi hai detto possano costituire le tue ragioni, allora sei pazzo anche tu!- esclama il Capopalestra, i cui capelli biondi sono appiattiti sulla sua fronte corrucciata a causa della pioggia. -Sì, devi essere proprio impazzito per fare una cosa del genere!
-Sicuramente sono pazzo, già- conferma Vulcano freddamente, -ma tu sei solo uno stupido.
Corrado finalmente riesce a sentire la sentenza dell’altro e si rende conto, terrorizzato, che non ha più alcuna possibilità di riportarlo alla ragione. Lo fissa negli occhi, stavolta ignorando l’acqua che continua a tormentarlo, e non trova più il caro amico di un tempo. Lo ha perso, quel Vulcano conosciuto da bambino è morto, è scomparso, è introvabile ed irrecuperabile. Una prova è la freddezza della sua espressione, così decisa nella sua scelta ormai immutabile, così in contrasto con il tipo Pokémon che ha sempre amato e allenato.
-Allora è finita- sussurra con voce rotta il più piccolo. L’altro annuisce senza farsi problemi, poi fruga nella tasca dei pantaloni - le sue mani, stranamente, non vi sono infilate dentro in quella posa casual che lo caratterizza - e tira fuori una piccola Ball. La getta a terra e Corrado la raccoglie quasi sconvolto: nella semisfera rossa, appena appena trasparente, vede l’Infernape del Superquattro, che lo guarda pregandolo di riportarlo alla ragione.
-Mi stupisci, lo ammetto, perché mi aspettavo di dover combattere una lotta con te- dice Vulcano osservando la scena con apatia spietata. -Avrei usato Infernape, ma in aggiunta l’ho sentito indisposto a schierarsi al mio fianco. Nella speranza che gli altri non si siano instupiditi come lui, te lo lascio. Puoi anche liberarlo per quanto mi riguarda, ormai non me ne importa più nulla. Ho preso la mia decisione.
Corrado è il primo a fuggire via, stringendo con forza immensa la Ball dello starter e senza nascondere le lacrime che gli bruciano gli occhi e si confondono con la pioggia sul suo viso. Vorrebbe urlare mentre corre e perdere tutto il fiato che ha nei polmoni, forse vorrebbe morire pur di non vedere il proprio migliore amico, che ha sempre considerato un fratello, tradirlo in questo modo. Vulcano è diventato per lui non solo un pazzo, ma anche un assassino, degno delle atrocità peggiori che i Victory saranno in grado di compiere.

 
§

Uno schiaffo sonoro raggiunge la guancia di Nina, la quale certo non si aspettava una simile reazione da parte del padre. -Ma che cazzo ti salta in mente, papà?!- sbotta, non temendo le conseguenze del suo linguaggio sconveniente e indelicato che Koga le ha imposto fin da bambina di non imparare, di non conoscere.
-Potrei fare a te la stessa domanda- dice lui con fredda collera. I pugni stretti, abbandonati lungo i fianchi, tremano dall’ira che le parole della figlia hanno fatto nascere in lui. -Pensieri del genere… dovrebbero stare lontani dalla tua mente. E invece ti permetti addirittura di giudicare il mondo quando non sei nemmeno un’adulta consapevole!- grida poi, incapace di controllarsi. -Tu che hai votato la tua vita all’allenamento e ai Pokémon, da quando in qua sai distinguere cosa è giusto e cosa no?!
-Da quando tu mi hai tolto ogni libertà- risponde Nina, se possibile più arrabbiata del temibile genitore. -Ti ringrazio per il colpo, padre, ma non sarà questo a farmi cambiare idea.
Schiva con prontezza un altro schiaffo, materializzandosi alle spalle di lui, che la scruta furente capendo che non è il caso di insistere in quel modo. Sono le parole a cambiare qualcuno o qualcosa, e Koga lo sa bene. -Io non ti ho tolto la libertà, razza di stupida. La stessa arte ninja insegna cosa sia la libertà! Ma a quanto pare tu hai scelto la strada della fama e del potere anziché quella del bene, che è più impervia e difficile da praticare!
-No, non credo proprio. Io non voglio ottenere niente passando dalla parte dei Victory e speravo che tu non mi credessi capace di qualcosa del genere, ma a quanto pare ne sei in grado- ribatte Nina, calma ma delusa. -Il potere che cerco io è puramente personale, è la voglia di mettermi alla prova e di oltrepassare i miei limiti. E ovviamente di superare te, imparando qualcosa dai grandi Allenatori di questo nuovo, grandioso Team!
-Mi renderebbe fiero vederti superarmi, so che ne sei in grado- ammette Koga, studiandola dall’alto in basso. -Ma che tu voglia farlo con crudeltà, che è l’unica cosa che i Victory ti insegneranno… mi disgusta. È l’unico sentimento che riesco a provare in questo momento, oltre la rabbia che cerco di contenere.
-E che non riesci a fare- sibila Nina mettendo mano alle Poké Ball nella cintura.
Il padre non dà ulteriori segni di rabbia, continua a mostrare l’ira gelida che ha adottato. -Non ti ho insegnato nulla, a quanto vedo. Non so se sia io il genitore pessimo o tu la figlia squilibrata, ma di una cosa sono sicuro: non ho più intenzione di riconoscerti come parte della mia famiglia.
Nina trasalisce ferita, ma decisa a non dargliela vinta. È la sua battaglia, sta per raggiungere la libertà, ed è sicura che quella decisione del padre le faciliterà la fuga verso il suo obbiettivo. -E dire che pensavo di poter passare dalla parte dei Victory insieme a te, che eri così fedele a Giovanni ai tuoi tempi d’oro!
-Le persone cambiano. Io e te ne siamo la prova.
-Allora dimmi perché l’hai fatto. Perché adesso sei così buono come ti definisci.
-Io non sono buono, Nina. Io sono una delle persone più orribili sulla faccia della Terra: mi sono macchiato di colpe a cui non posso porre rimedio, troppo gravi per potermi cambiare. Non dimenticherò mai questo. Ma conoscere tua madre mi ha riportato alla ragione e mi ha reso consapevole degli errori commessi nel mio passato, e preferisco soffrire sapendo di essere stato un mostro piuttosto che essere rimasto tale.
La ragazzina certo non si aspettava che la conversazione prendesse una piega simile e vacilla sulle sue forze, che le parole del padre più esperto e saggio mettono alla prova, rendendola fragile. -Mia madre…
-Anna era una donna eccezionale- sospira Koga, reso triste dal ricordo della moglie defunta. -Non conosceva il mio stile di vita e non sapeva dell’esistenza del male. Ma lei viveva pura, giorno per giorno, viveva per gli altri e per fare del bene. Io avevo perso la forza di andare avanti, non avevo più un capo da seguire, era stato sconfitto e non sapevo che farmene della mia vita rovinata. Lei mi ha salvato, mi ha donato l’amore anche quando conobbe il mio passato orribile. Mi manca come l’aria, Nina. È stato così difficile riprendere a respirare quando Giovanni, che a quanto pareva non era morto come si diceva e non era così lontano da me, me l’ha portata via. L’ha uccisa, Nina. Uno degli uomini con cui vuoi allearti ha ucciso tua madre!- La ragazzina è mortificata e indecisa se pentirsi delle sue azioni o se perseverare nella sua decisione, ma ci pensano le successive parole del padre a scegliere per lei.
-Vattene, sei una delusione, nemmeno tua madre ti accetterebbe più!- Le spalle di Koga tremano violentemente. -Non so in cosa io o lei abbiamo sbagliato, ma tu che come il vecchio me sei così facile alla corruzione… no, non posso accettare un secondo di più la tua presenza in questa casa!
Nina pare sull’orlo del pianto. Crobat è uscito dalla sua sfera ed è pronto a portarla via appena lei glielo chiederà, ma non sembra in grado di parlare. Invece il padre non riesce a smettere di farlo.
-Io e te da adesso siamo nemici, ragazzina, e se Giovanni non avrà ucciso anche te per allora, quando ci ricontreremo vedrai che non sarai riuscita e mai riuscirai a superarmi, soprattutto con ideali del genere!
Urla anche quando Crobat è volato via con Nina, che silenziosamente piange non più sicura delle sue decisioni.

 
§

Lo specchio riflette la bella figura di Adriano. L’uomo attende con una certa impazienza il ritorno della sua amata compagna, Alice, e intanto lui si studia allo specchio. Mentre giocherella più o meno distrattamente con il colletto della camicia candida, il suo sguardo si sposta dai suoi capelli tagliati corti e ordinati, che tanto gli fanno rimpiangere la pettinatura di quando era più giovane, di quando era Campione e Coordinatore; si sposta evitando gli occhi azzurri per scorrere velocemente il fisico snello e ben vestito.
Però le sue stesse iridi sono attratte da quelle catturate nello specchio. E Adriano vede le sue pupille ristrette, non solo dalla luce, ma da qualcos’altro che gli ronza nella testa da molto tempo. È anche ora di confidarsi con Alice, per quanto sia difficile farlo, ben sapendo la disapprovazione basita che incontrerà. Ma lei lo ama, questa carta potrebbe aiutarlo a vincere la discussione, portando lei con sé. Altrimenti sa qual è il prezzo da pagare per le proprie scelte, gli è stato già detto in un incontro a cui preferisce non ripensare.
Ma inevitabilmente vede davanti a sé, al posto del suo riflesso nello specchio, una persona che si è abituato molto presto a non considerare più amica. Rocco. L’ex Campione che lasciò il proprio posto alla Lega per lui. Appena è venuto a sapere delle sue dimissioni di qualche giorno prima è corso alla Lega, sperando di trovarlo ancora là, ma si era dovuto fermare prima. Lo aveva incontrato presso l’entrata della Via Vittoria.
Adriano ovviamente aveva pensato ad una sua visita e si era preparato, anche per farsi trovare con più facilità. Aveva voluto mettere fine alla chiacchiera pesante dell’Allenatore di Pokémon Acciaio, in un modo o in un altro. Ma già aveva immaginto le risposte e le posizioni irremovibili della persona che aveva avuto di fronte, la quale aveva seguito il copione che si era programmato alla perfezione.

-Che storia è questa?- Il tono di Rocco era tremendamente controllato. I suoi occhi di ferro cercavano di incontrare le iridi sfuggenti di quello che da pochi minuti a quella parte era l’ex Campione in carica di Hoenn, che se ne era andato dicendo addio a tutti senza dare alcuna spiegazione, rifiutando le domande di chiunque e gli sguardi attoniti che gli venivano lanciati.
Adriano sorrise beffardo. -Tu speri che sia solo una storia, non è così?
-Ne sono certo- lo sfidò con ostinazione l’altro.
L’Allenatore di Pokémon Acqua scosse la testa quasi divertito, ma suo malgrado lo fece tristemente. Era una dura via quella che aveva intenzione di percorrere da quel momento per il resto della sua vita. -Ho lasciato la carica di Campione definitivamente- esordì, per poi pronunciare le parole più terribili: -perché ho intenzione di unirmi al Victory Team.
Si voltò, cercando di apparire disinvolto e continuando a sorridere, ma sul suo volto c’era solo un ghigno già contaminato dall’influenza dei Victory. Un tenue venticello soffiava e smuoveva il suo mantello.
-Guardami, razza di codardo.- Sbatté più volte le palpebre, Adriano, e si girò a fronteggiare quello che era solo un vecchio amico. Si rese conto di non averlo guardato per tutto il tempo, perché aveva paura dei suoi occhi. “Io non sono, non posso essere un codardo” pensò cercando di mantenere la calma, profondamente turbato dal suo sguardo, pieno di una furia implacabile e allo stesso tempo terribilmente silenziosa. “Non l’ho guardato perché… perché… perché non l’ho guardato?”
-Hai qualcosa da dirmi?- Ma Adriano recitò divinamente anche quel ruolo.
-Fosse solo qualcosa!- sbottò Rocco, digrignando i denti. Era furioso più d’ogni altra volta in vita sua.
-Che ti prende? Ho i miei motivi, non pensare che l’abbia fatto così, tanto per.
-Purtroppo sei una persona troppo intelligente per prendere una decisione come questa “tanto per”- ringhiò l’altro. -Ma mi chiedo quali possano essere questi motivi. Temo di aver riposto troppa fiducia in te.
-E come mai?
-Rispondi!- gli ordinò Rocco, irato per la sua recita ridicola.
Adriano sospirò, ancora ghignante, e mise mano alla Poké Ball di Swanna, che da poco aveva catturato ma che aveva già allenato quasi alla perfezione. -Io sono una persona incontentabile, Rocco, lo sai bene anche tu. Il potere che riceverò non appena metterò piede sul territorio della mia nuova fazione sarà mille volte più sorprendente di quello che posso avere stando chiuso in una stanza e aspettando Allenatori che si fanno sempre più rari. Non mi sembra una cosa così terribile, penso che se tu fossi stato al posto mio avresti trovato ugualmente seccante la mia noiosissima posizione.
-No, Adriano. Non lo avrei mai fatto- negò Rocco.
-Ah! E te ne sei pure andato prima di me- lo prese in giro l’altro.
-Avrei preferito non conoscerti mai, se le cose stanno così- mormorò l’Allenatore di tipo Acciaio, turbando ancora di più Adriano, che cercava di mostrarsi in tutt’altro modo. -Non avrei dovuto lasciarti il posto di Campione. Avrei dovuto capire, invece, che la tua era un’anima facile alla corruzione… probabilmente è colpa mia.
Adriano non poteva crederci, si stava rassegnando. Aveva rinunciato a riportarlo alla ragione che credeva di possedere.Se Rocco non riconosceva più lui, la cosa era reciproca. Dov’era la sua determinazione, che sempre aveva visto viva e combattiva anche nelle situazioni più vicine alla morte stessa? Cosa era successo al suo vecchio amico? C’era qualcosa che non sapeva, che era successo e di cui non era venuto a conoscenza? -Allora ti arrendi- sibilò poi. Tolse la spilla che chiudeva il Mantello e lo gettò a terra, incurante dello sporco che lo avrebbe aggredito. Non era più roba sua, d’altronde, e nemmeno di Rocco.


“Rocco se n’è andato senza combattere quando io avrei preferito lottarci.”
È stato questo, molto a lungo, il pensiero di Adriano. E lo è ancora, è presente mentre stringe i pugni con una certa collera provata nei confronti del Campione che lo ha preceduto, che come si è aspettato non ha affatto tollerato le sue decisioni apparentemente improvvise. Proprio perché se lo è immaginato non è stato questo a farlo vacillare sulle sue convinzioni, non ha praticamente dato importanza alla disapprovazione di Rocco. Piuttosto se l’è presa molto con lui per quello che considerava un gesto codardo e offensivo.
Adriano si sente offeso, sì, perché Rocco lo ha praticamente considerato un caso perso, e questo lo fa davvero imbestialire. Le unghie delle dita stanno per graffiare il palmo della sua mano, perciò l’Allenatore la rilassa. Non ottiene lo stesso effetto sul suo stato d’animo turbolento, che si sente offeso dalle azioni e dalla resa di Rocco, il quale non lo riteneva capace di un tradimento. “Avrò anche fatto un terribile voltafaccia per quanto riguarda quelle che si fanno chiamare le forze del Bene” pensa, “ma lui mi ha ferito, mostrandosi per l’incompetente… pazzo… stupido… per quello che è…” Digrigna i denti ed evita di guardarsi ancora allo specchio, sente nella sua mente le auliche parole che costituiscono il giuramento di fedeltà al suo nuovo padrone, il Victory Team, che seducente gli ha promesso il potere da lui a lungo cercato. “Non m’interesso dell’opinione degli altri, non mi importa sapere cosa ne pensa la gente di quello che sto facendo. Sarà anche sbagliato, ma è un fatto mio, e poi il mondo scoprirà di cosa è capace il Team e del benessere che porterà ad ogni suo ammiratore.”
Trasalisce e i suoi occhi si incontrano inevitabilmente con quelli riflessi nello specchio appena sente la porta di casa aprirsi, dopo il sonoro rumore prodotto dal girare della chiave nella toppa. La melodiosa voce della sua Alice gli raggiunge le orecchie e si chiede perché si trovi lì, perché abbia deciso di vederla prima di andarsene, consapevole del fatto che lei non accetterà mai la sua scelta e che gli impedirà in ogni modo, al contrario di Rocco, di andar via da lei per passare dalla parte di quelli che lei considera malvagi. Ha paura di Alice, ha paura dell’amore che prova per lei e teme che non sarà la sua fidanzata a seguirlo dai Victory, ma che sarà lui costretto a rimanere dalla parte di Bellocchio pur di non lasciarla.
-Amore!- lo chiama la giovane donna. I suoi lunghi capelli lilla fanno capolino dalla porta della stanza dei due prima del suo stesso, bellissimo viso. I grandi occhi azzurri gli sorridono più delle labbra e Adriano non può che ricambiare quell’espressione, nella speranza che il suo sorriso tirato non sia notato troppo da lei.
-Oggi ti devo pregare per darmi il bentornata a casa, eh?- ridacchia avvicinandoglisi, abbandonando la borsa per terra e andando subito a cingergli le spalle con le braccia magre. -Tutto bene? Come va, amore mio?
-Tutto bene- ripete Adriano. -E tu?
-Sono stanchissima!- si lamenta Alice con un tenero sospiro, sedendosi sulle ginocchia del compagno. -Sono stata metà giornata a parlare con Bellocchio, ultimamente è davvero nervoso. Ma come biasimarlo? Questi dannati Victory riescono a eludere ogni attacco che l’organizzazione prepara, è davvero assurdo se penso a quello che mi ha raccontato. Non basta trovare password e raccogliere informazioni, anche perché molte cercano sicuramente di confonderci le idee- racconta con trasporto, -e intanto siamo sempre punto e a capo. Non concludiamo nulla.
“Dannati Victory. Bellocchio. Organizzazione.” Le parole di Alice fanno capire velocemente ad Adriano che lei è fermamente dalla parte dell’ex investigatore della Polizia Internazionale, e che sarà quasi impossibile convincerla ad abbandonare tutto per passare da una parte più sicura. -Dannati Victory- ripete Adriano sovrappensiero.
Alice nemmeno lo sente e continua a parlare: -Come vorrei che tutto questo non fosse mai successo tutto questo! Così all’improvviso si sono rifatti vivi Cyrus, Giovanni e Gechis, che pareva fossero stati imprigionati o fossero morti da qualche parte. E sai la novità, caro? Max e Ivan si sono alleati! Quasi non ci credevo quando l’ho scoperto!
-Come Team promette bene.
Le parole di Adriano ammutoliscono per un momento Alice, che poi va avanti: -Sicuramente sono più potenti di prima, anche grazie all’unione di tutti i loro poteri. Hanno un seguito foltissimo, non me lo sarei mai aspettata.
-Cosa credi abbia spinto tanta gente ad unirsi a loro?- mormora Adriano. I suoi occhi fissano il vuoto, vitrei.
-Io… non lo so, è una posizione troppo lontana dalla mia concezione di Bene e Male per poterli capire. Per me, i Victory rappresentano la malvagità più assoluta e pericolosa, che andrebbe estirpata al più presto. Bellocchio è un grand’uomo, è stato molto coraggioso a riunire così tante persone sotto il suo comando, non è una cosa in cui in molti sarebbero riusciti, com’è facile immaginare. Lo ammiro molto per questo e sono felice di lavorare per lui.
-Bellocchio è solo uno stupido…- Anche stavolta Alice si stupisce di ciò che dice un Adriano che appare sempre più turbato, estraneo alla realtà, perso nei suoi silenziosi pensieri. Timorosamente gli chiede di ripetere.
Ma lui aggiunge anche le spiegazioni a tutto ciò. -Sì, Bellocchio è uno stupido, si oppone a persone che hanno il potere di poter unificare il mondo. Sai cosa significa questo, Alice? Sai cosa vorrebbe dire un mondo unito? Non m’importa delle loro azioni passate, loro sono in grado di uniformare il pianeta sotto un unico governo, imparziale e pronto ad operare sempre e solo secondo la giustizia. Max, Ivan e tutti gli altri sono persone intransigenti, non accetteranno mai azioni sbagliate o contrarie alle loro idee. Sono loro il Bene, Alice.
La donna ha gli occhi sbarrati. Sente l’impulso di fuggire dalle braccia fino a poco prima confortevoli del suo amato, che ora è semplicemente spaventoso, se non pazzo. Le si gela il sangue nelle vene appena sente l’ultima, fatidica frase: “Sono loro il Bene”. Com’è possibile che uomini del genere lo siano?
-Perché ti ostini a non volerlo capire, Alice?- Il suo nome da lui pronunciato la terrorizza. Perché conosce il suo nome? -Bellocchio vuole mettere i bastoni tra le ruote a persone assolutamente competenti, pronte a fare di questo mondo un’utopia. Sono intelligenti, preparati, sicuri di sé, pronti a tutto… non mi interessano i loro mezzi, Alice, saranno anche violenti e sbagliati, ma è così che si costruisce il potere. Solo così, e anche Bellocchio sarebbe pronto a sfuttare i loro stessi metodi, se non fosse così stupido. Sono loro il futuro, Alice. I Victory sono il nostro futuro.
-Nostro…
-Ti prego, cerca di capire e di ragionare. Se ci pensi attentamente è così che deve andare, con la vittoria di un Team che non a caso si fa chiamare Victory, perché è troppo potente per essere anche solo sfidato. Bellocchio e chi con lui andranno incontro a morte certa, ma a ragione. Io non voglio che per un paradigma infantile, basato sul Male che non può trasformarsi in Bene e sul Bene assolutamente puro, tu vada via da me. Non voglio perderti.
Il silenzio segue le sue parole. Adriano è stato stranamente sicuro di sé durante tutto il suo discorso, ma quella terribile assenza di suono lo mortifica. -Alice- la chiama, più incerto adesso.
-Vattene.- L’ordine di Alice, la sua voce ferma tradita da una nota di profonda, viscerale tristezza, è come una condanna a morte per Adriano.
-Sapevo che questa sarebbe stata la tua prima reazione- cerca di insistere lui, terribilmente sicuro che quella conversazione non andrà a buon fine. -Ma non sarai mica non disposta a pensarci, Alice? Perché…
-Ti ho detto vattene- ripete lei con un filo di voce. Si alza di scatto dalle sue ginocchia su cui era seduta, le braccia di Adriano che le cingevano la vita vanno ad appoggiarsi inerti sulla poltrona. -Non ti conosco. Non so chi tu sia dal momento in cui hai preso una simile decisione. Sei solo un pazzo assetato di potere.
-No, Alice, non dire così- la prega lui, sull’orlo di una crisi.
-Via- mormora lei, iniziando inevitabilmente a singhiozzare. -Vai via… esci da questa casa… è casa mia…
-Alice, ti prego…- “Non considerarmi un caso perso anche tu…”
Uno strillo disperato segue l’ultima preghiera dell’ex Campione. La donna gli molla un ceffone e poi un pugno che lo fanno mugolare per la sorpresa, più che per il dolore. Intanto lei ha aperto la finestra e, dopo aver chiamato Altaria fuori dalla Poké Ball, vola via lontana da Adriano. Alla fine è stata lei ad andarsene per prima.

 
§

-Essere… non essere
Narciso cammina avanti e indietro per la sala a lui riservata alla Lega di Kalos. Numerosi sospiri intervallano la specie di nenia che continua a ripetere. -Questo è il dilemma.
Si ferma finalmente, capendo che continuare a dire sempre le stesse parole gli darà alla testa.
Sono giorni che si pone lo stesso problema, la medesima questione lo turba da relativamente poco tempo, pochissimo se confrontato con l’anno e passa che è già trascorso dall’inizio della cosiddetta guerra. Il tempo è volato via e lui da un momento all’altro ha iniziato a chiedersi, nel vuoto della Lega Pokémon abbandonata ormai anche da alcuni colleghi - non solo da ogni possibile sfidante, quale posizione convenga prendere e quale invece sia la più giusta. Le pareti in pietra su cui l’acqua ha smesso da molto di scorrere, quell’acqua che annunciava agli Allenatori quale fosse il tipo di Pokémon da affrontare in quella sfida, mandano un silenzio deprimente in risposta ai celebri versi che lui recita di tanto in tanto, trovandoli così tristemente adatti alla sua situazione.
Essere o non essere?
Narciso deve operare una scelta tra due fazioni, una definita il Bene e l’altra figlia del Male, che però inizia a sembrare a molti una prospettiva promettente. Quei molti un tempo erano solidi servitori di coloro che tentavano di combattere le organizzazioni criminali che volevano imporsi sulle varie regioni. Queste si sono fuse nel fantomatico Victory Team, un nome parlante il suo, il quale si presenta sotto aspetti tutti diversi tra loro ma uguali nella loro natura: l’essere ammaliante e attraente. Promette obbiettivi che ben presto, grazie però solo all’aiuto di molti, saranno ben presto realizzati; promette anche un futuro migliore per tutta la società, per un mondo che comprenda anche i Pokémon. Già, i Pokémon, che vengono sfruttati come cavie da questi uomini per esperimenti scellerati che potrebbero essere benissimo evitati; la prova ne è Bellocchio con la sua squadra di scienziati di prima categoria, la quale ha risolto non pochi problemi legati a quelle creature, creatisi nel tempo con l’intervento umano. Invece i Victory non hanno capito che è possibile far mutare la natura di un Pokémon con mezzi che non siano esperimenti scientifici, che violano i diritti di questi esseri tanto amati da Narciso.
Il Superquattro però continua a camminare avanti e indietro per la piattaforma rialzata su cui si trova la specie di trono a lui riservato, quel trono che lo fa sentire come un re. Ma la sua unica area di governo è semplicemente sé stesso, ed è già difficile così mantenere il potere. Sospira rumorosamente. A difesa dei Victory si dice che siano sbagliati solo i loro mezzi, e gli duole ammettere che forse hanno ragione.
Non ha mai conosciuto il “famoso” Bellocchio, una delle punte di diamante della Polizia Internazionale, ma molti lo criticano per la sua esagerata volubilità e per i suoi tentennamenti, le sue riflessioni troppo lunghe, le quali non sempre portano al successo. È stato informato, Narciso, delle numerose missioni da lui organizzate che spesso si sono rivelate inutili perdite di tempo, a causa dell’innata capacità di trasformarsi dei Victory e dei misteri che aleggiano sulla loro organizzazione. Un’organizzazione di cui si conoscono a malapena i capi, che molto spesso danno l’idea di rispondere a comandi di qualcun altro e che anche per questo non sono più gli ex Comandanti dei vari Team di una volta. Sono cambiati, sono diversi, sono quindi più pericolosi.
-Ci rinuncio.- È da molto tempo che Narciso desidera poter pronunciare con sicurezza queste parole e finalmente ha trovato la forza per farlo. È fermo, si tiene la testa teatralmente tra le mani e ha gli occhi chiusi, ma ha preso una decisione. Almeno questo rende meno triste e compassionevole la sua figura, che fino a pochi istanti prima è stata oggetto di tormento da parte di così tanti dubbi; ma ora che si è tolta un peso dal cuore è più leggera.
-Me ne vado a Città Nera!- esclama al vuoto, consapevole del fatto che qualcuno, però, lo sta ascoltando. E la cosa non lo intimorisce. -Città Nera sarà la mia nuova patria, nella quale sarò accolto come perfetto disinteressato quanto a questa stupida guerra. Sarò assolutamente neutrale, è questa la mia scelta: non ho intenzione di lacerare me stesso e i miei Pokémon schierandomi da una o dall’altra parte. Io non sono un codardo, non rifiuto lo scontro: chiunque abbia da ridire su questa mia decisione, venga a parlarmi a Città Nera! In ogni caso sarò irremovibile!

 
§

L’Isola Cannella ha perso il suo fascino da molto tempo. O almeno è così che la vede Blaine, che passa le sue giornate ad allenarsi in attesa della chiamata dell’organizzazione che combatte il Victory Team, il cui nome presuntuoso è risultato odioso alle orecchie dell’ex Capopalestra fin da subito, dalla prima volta in cui l’ha sentito nominare. È ben felice di prendere parte, dal basso delle sue modeste capacità, a una guerra che promette sangue e fatiche, dolori, crisi; ma lui vuole tutto questo, vuole riscattarsi da un errore commesso in passato.
Non lo dice con cattiveria nei suoi confronti, pur sapendo che lui è molto suscettibile e sensibile quando si tratta della sua esistenza. Accarezza la sua Poké Ball distrattamente con due dita, come al solito nella tasca del camice che è un po’ il marchio di fabbrica dell’uomo. Ma sa che presto dovrà abbandonarlo per adottare abiti più semplici e anonimi, consoni al lavoro che sta andando a fare e che lo costringerà ad uno stato di quasi invisibilità. Dovrà essere silenzioso e non rintracciabile quando sarà ufficialmente dalla parte di Bellocchio.
Ma intanto sta aspettando qualcun altro. Non può nascondere una certa ansia derivata da questa attesa, perché non sa cosa riserva per lui il futuro prossimo. La conversazione che seguirà sarà decisiva per la sua storia, Blaine è certo di questo. D’altra parte è di uno dei più grandi uomini di quel tempo di cui si sta parlando; non sa come e quando di preciso arriverà, però sta per farlo, glielo dice il suo sesto senso. E una certa agitazione dell’abitante di quella particolare Poké Ball gli conferma che manca davvero pochissimo.
L’uomo sorride appena sente dei passi dietro di sé e smette di fingere di studiare la composizione delle pendici del vulcano, ormai esploso e apparentemente inattivo. La sua vecchia conoscenza è giunta dal mare.
-Allora, Enigma, che si dice di nuovo?- gli domanda affabile, voltandosi, sinceramente sollevato dall’arrivo del suo amico e non più turbato. Davanti ai suoi occhi, sullo sfondo di un mare pacato e di un cielo sereno, a dispetto dei tempi burrascosi che vanno profilandosi all’orizzonte, si staglia la figura alta e anziana di Enigma, un intimo collega di Bellocchio. O meglio, quello che è stato un intimo collega dell’uomo; ha dato le dimissioni subito dopo l’inizio del conflitto tra Victory Team e “Forze del Bene”, lavandosene le mani per quanto riguardava la guerra.
Ma Blaine, pur disapprovando la sua neutralità da fervido sostenitore di Bellocchio qual era, non ha potuto mai biasimarlo per questo, sapendo che certe scelte sono indiscutibili - o almeno, si dice ridacchiando per la sua stessa incoerenza, lo sono finché non si entra tra le fila dei Victory. Ora rivede l’amico, più giovane di lui senza ombra di dubbio - Blaine sa di essere un vecchio coi fiocchi, vestito in maniera trasandata e parecchio ingrassato rispetto ai ultimi tempi. La pancia si è gonfiata d’alcol, non smentisce il suo passato di appassionato “intenditore di vini” e così via. Se è riuscito a contenersi durante gli anni di lavoro, è sicuro che ben presto inizierà a lasciarsi andare.
-Mah, di nuovo non c’è niente- replica Enigma vago e, secondo Blaine, sornione, sorridendo in modo altrettanto affabile. -Ormai Bellocchio deve avermi detto addio per sempre, e mi dispiace. Ma sono passati mesi e mesi, ci ho fatto l’abitudine… anche se mi preoccupa non sapere come stia; tu hai sue notizie, piuttosto?
-L’ho sentito giusto l’altro giorno, l’ho contattato io. Come saprai già, ho deciso di lavorare per lui.
-Oh, siete talmente tanti ad andare dalla sua parte che non fa più differenza sapere chi stia con lui e chi no. Ma c’è una bella concorrenza, da quello che sento dire a Città Nera; non pochi Capipalestra, Superquattro, persino dei Professori sono andati dai Victory. Paradossalmente- sospirò Enigma, mutando il suo sorriso in uno amaro, -trovo che Città Nera sia molto più vuota rispetto ad anni fa, quando davvero non c’era nessuno. Non so perché, o forse sì?, ma vedere solo qualche persona neutrale di tanto in tanto… la città mi sembra più vuota e grigia. Non nera…
-Dimmi che non era una battuta, ti prego- borbotta Blaine.
-Non lo era, non ti preoccupare. Ma hai capito quello che intendo? Voglio dire- Enigma capisce subito di aver confuso non poco il buon vecchio Blaine, -ho passato periodi della mia vita a Città Nera molto prima della guerra, quando magari lavoravo per la Polizia Internazionale. Ebbene, la sensazione di vuoto e desolazione è molto più accentuata ora, più popolata di prima indubbiamente, che nei tempi scorsi. Gira poca gente per le strade, è vero, ma nonostante essa sia molta più di quella di anni fa… l’ho detto, Città Nera sembra ancora più vuota.
-Sei rimasto il solito chiacchierone di sempre, Enigma, e puzzi di alcol e fumo in una maniera rivoltante. Che ne dici di disintossicarti? Ti confondi con le tue stesse parole in una maniera imbarazzante, amico mio, non succedeva mai che il Grande Enigma dovesse spiegare ciò che diceva- lo critica Blaine, consapevole del fatto che l’altro non lo prenderà mai sul serio. Infatti si esprime in una risatina rauca che si dissolve subito, senza lasciare tracce sul suo volto, stropicciato dalle rughe e da qualche macchia cutanea. Una barbetta incolta non aiuta il suo misero aspetto.
-Proprio tu mi dici questo, caro Blaine? Sai che sono un intenditore…
Blaine scuote la testa e sorride pensierosamente. Alché Enigma decide che bisogna smettere di chiacchierare in termini simili e che è ora di capire perché l’altro lo abbia chiamato. -Cosa volevi dirmi?
La risposta si fa attendere per qualche secondo di silenzio. Solo il mormorio sommesso del mare e gli strilli dei gabbiani, che un tempo erano stati cacciati via da Wingull e Pelipper vari, si odono in quegli attimi di attesa.
-Non posso partire per la guerra senza prima mettere in salvo un caro amico e compagno, la cui esistenza è dovuta ad alcuni esperimenti terribili condotti da me e da altri scienziati anni ed anni fa, quando eravamo alleati con il Team Rocket. Non posso permettere che gli venga fatto del male, ha sofferto fin troppo in tutto questo tempo. Non mi interessa se è il Pokémon o uno dei Pokémon più potenti al mondo, non merita di subire altro male, non merita di vedere ulteriormente la capacità umana di ferire, fare del male, distruggere.
Fa una pausa. Enigma non è sicuro di sapere a quale Pokémon si riferisca Blaine: non ha mai avuto grandi contatti con i Pokémon, non è mai stato un Allenatore, solo un agente di Polizia più o meno segreto. Né lui né Bellocchio hanno mai avuto a che fare con casi riguardanti i Pokémon, sono sempre stati ignoranti in materia.
Blaine riprende: -Purtroppo lui si sente colpevole per la sua stessa esistenza. Lui è un doppione mal riuscito, in teoria, di un Pokémon già esistente; in quanto tale non sarà mai in pace con sé stesso e avrà sempre il rimorso di esistere, semplicemente di essere stato messo al mondo. È stato creato da umani, è il Pokémon più umano che sia al mondo e possiede molti dei suoi difetti: lui odia, lui porta rancore, risolve problemi con la violenza. Ma allo stesso tempo non vuole essere così terribilmente umano; ed è lo stato che spero possa raggiungere non entrando a contatto con una realtà tanto spaventosa, come quella della guerra in corso.
-Io non so di chi tu stia parlando, non conosco i Pokémon- risponde subito Enigma, -ma non credo che tenere il tuo compagno lontano dalla guerra sia il modo giusto per insegnargli il “bene”. E se comprendesse come fare del bene al prossimo proprio sul campo di battaglia, soccorrendo feriti e bisognosi?
-No, Enigma, non posso prendere una decisione del genere. Sono convinto che gli nuocerebbe combattere, lo fa già con sé stesso ogni giorno della sua esistenza, che potrebbe non avere mai fine, forse.
-Ho capito. Ho capito tutto- mormora Enigma. -Tu vuoi affidarmi il tuo compagno, confidando nella mia irremovibile neutralità, per tenerlo lontano dalla violenza e dalla morte seminate dalla guerra.
-Esatto- conferma Blaine. Infila una mano nella tasca in cui è contenuta la Poké Ball più preziosa che possieda; la metà rossa lascia intravedere una creatura dall’aspetto forse felino, un po’ umanoide. La parola corretta è alieno, figlio di esperimenti di laboratorio, ma Enigma non può classificarlo come tale, non conoscendolo.
Blaine glielo presenta; una terribile serietà rende il suo anziano volto di pietra. -Il suo nome è Mewtwo. È stato clonato da Mew, uno dei Pokémon Leggendari per eccellenza. È un tipo Psico e ha poteri spaventosi, pochi della sua specie riescono a tenergli testa, nessuno se togliamo i Leggendari. Preferisco non farlo uscire dalla Ball, ora. Io odio gli addii e temo non riuscirei a cedertelo se lo vedessi qui, davanti a me…
Gli porge la sfera tendendo il braccio. Dopo un attimo di esitazione, Enigma la prende e osserva la figura del temibile Mewtwo, che pare addormentato e ignaro di ciò che sta succedendo, del suo destino che sta cambiando.
-Enigma, promettimi che ci sarai sempre per lui, che imparerai a conoscerlo e che farai di tutto per il suo bene- lo prega Blaine con la voce ridotta ad un mormorio. -Insegnagli a vivere come io non riuscirò mai a fare, colpevole come sono di avergli donato un’esistenza tanto terribile. E tu imparerai da lui molte cose, te lo garantisco.
-Mewtwo…- dice Enigma impensierito. -La sua è una triste vita, una vita che forse avrebbe fatto meglio a non esistere, da quello che ho capito, perché lui odia sé stesso per il suo stato e gli uomini per averglielo dato. Sì, hai ragione, Blaine: lui è il Pokémon più umano che esista, capace di provare odio e commettere violenza. Io non sono un Allenatore e non so proprio come gestire un Pokémon, questo lo sai bene, e proprio per questo motivo, Blaine, ti assicuro che farò di tutto per rispettare il compito che tu mi hai affidato. Se mi sarà possibile, darò a Mewtwo un motivo di esistere, che gli donerà la voglia di esistere e la forza di andare avanti. Magari di amare.
Blaine è immancabilmente commosso dalla promessa così forte e significativa di Enigma. Sorride, il suo sorriso non è più sfumato di tristezza, amarezza o corrotto da qualche pensiero turbolento e intimo; sorride perché questo addio darà a lui la possibilità, forse, di redimersi, combattendo l’uomo che l’ha costretto a rovinare la vita di Mewtwo, semplicemente creandola. E darà al Pokémon una possibilità, la possibilità di vivere davvero.
-Grazie di cuore, amico mio.

 
§

Fragorosamente la cascata del percorso 47 si tuffa nel mare, ruggendo in tutta la sua potenza ed erodendo la roccia dietro di essa che cade a strapiombo sulla distesa acquatica. Questa riflette il colore del tramonto, o meglio, i colori numerosi che possiede; frammenti d’acqua blu oltremare sono tinti d’arancio, sono cremisi, sono d’oro. E perché no, anche porpora: se si sposta lo sguardo verso la volta celeste si nota anche questo colore.
È quello che fa Crystal, seguita dal suo Arcanine che prontamente la imita, incuriosito dalla sua stessa curiosità. In realtà la ragazza è semplicemente impensierita, come tanti appartenenti alla parte del mondo che conosce e che ama i Pokémon, dai tempi che corrono. Lei sa già cosa fare della sua carriera da Allenatrice, non le è mai passato per la testa e mai le passerebbe per essa l’idea di allearsi con i Victory, che anni addietro - pur non conoscendo la grande maggioranza dei loro capi, erano stati i suoi più grandi nemici. -Oh…- sospira, prendendo ad accarezzare il pelo folto e caldo di Arcanine, che accetta di buon grado le coccole, -perché sono tornati? Come hanno fatto a riunirsi, nonostante tutte le divergenze tra di loro? Persino i Magma e Idro si sono uniti… come hanno fatto?
Arcanine ringhia sommessamente qualcosa di imprecisato, troppo rintontito dalle coccole magiche di Crystal.
-Loro sono il Male. È davvero così attraente, il Male? Perché io riesco a rifiutarlo con energia e senza alcun ripensamento, mentre altri lo adottano come loro Credo? Perché tutto questo, Arcanine?
Lancia un’occhiata ad Arcanine e vede che è completamente in estasi grazie alle sue carezze, quindi sbuffando indispettita lo fa rientrare a malincuore nella Ball. È arrivata a un lungo ponte che collega il percorso 47 al 48 e poi alla Zona Safari. Ma stranamente qualcuno è sul ponte, in una zona che di solito è sempre deserta, soprattutto a quell’ora e in quel periodo. Crystal non impiega molto a ricordare che a partire dal percorso 47 in poi, l’accesso a quell’area è consentito solo ai conoscitori del mondo Pokémon: dev’essere un potente Allenatore o un turista che viene da una regione lontana, perché di comuni aspiranti Allenatori non se ne trova più alcuno in giro.
Indecisa, temendo che possa essere un nemico, Crystal si avvia verso di lui, rassicurata solo dalla certezza di avere una squadra di Pokémon al completo, preparata e pronta a correre in suo soccorso. Impiega poco tempo a capire che quello è un uomo, anche a giudicare dalla stazza: Crystal non saprebbe dire se egli sia muscoloso o semplicemente grasso. Non è interamente vestito, indossa un paio di pantaloni blu e, questo la stupisce non poco, una maschera. Proprio questo la porta a riconoscere il Capopalestra Omar in persona. Subito la ragazza si chiede come mai sia proprio lì, nei pressi dell’abbandonata Zona Safari.
-Mi scusi?- fa incerta. Omar trasalisce ma, voltandosi di scatto verso di lei, le dà la conferma della sua identità. -Lei è Omar di Pratopoli?- Lui sbatte un paio di volte le palpebre, confuso: si intravede quel momento attraverso i grandi buchi nella sua classica maschera, che mostrano all’interlocutore gli occhi piccoli e chiari dell’uomo.
-S… sì, sono io- mormora poi dopo qualche istante di silenzio. -Tu invece… tu chi sei? Che ci fai qui?
-Io… ehm…- Crystal tentenna, non sapendo se Omar sia dalla parte dei Victory o meno. Si mordicchia il labbro inferiore e poi, con più determinazione possibile, esclama: -Prima delle presentazioni, visti i tempi che corrono, voglio una prova del fatto che lei, Omar di Pratopoli, non è alleato con il Victory Team!
Punta un dito accusatore contro di lui e arrossisce lievemente, sentendosi improvvisamente dentro un anime e immaginando la scena con i tratti di un cartone animato. Omar inarca le sopracciglia e ironicamente le dice: -Io mi chiamo solo Omar, puoi evitare di ripetere ogni volta “Omar di Pratopoli”…
-Non è importante!- ribatte la ragazza, che probabilmente agli occhi di quell’uomo di mezza età appare come una ragazzina con i codini non poco infantile. -Allora, Omar? Ha delle prove?
Segue un imbarazzante silenzio, al quale segue un triste sospiro da parte del Capopalestra. -Non credo di averne, mi spiace, ragazzina. Ho solo moltissima voglia… di rendermi utile per le forze che vogliono abbattere il Victory Team, perché ho qualche conto in sospeso con Cyrus e con i suoi amici, più in generale…
Il tono di Omar è così sconsolato che Crystal dubita parecchio della sua sincerità. -Mi spiace, ma io non posso crederle se lei dice così. Ho bisogno di prove reali, tangibili: solo allora potrò dirle chi sono. Può darmele?
Omar fruga nella borsa da viaggio che ha ai piedi e ne tira fuori, sospirando nuovamente, un PokéGear vecchio di non pochi modelli. Ci armeggia per qualche secondo, pigiando sulla tastiera indelicatamente, poi lo porge a una sempre più curiosa Crystal. -Ecco qua. Se tu hai il numero di Bellocchio, e penso che sia proprio così perché ritengo improbabile che tu sia un’alleata dei Victory, allora puoi controllare. Sono messaggi che ci siamo scambiati tempo fa, parlo di qualche mese o poco meno- le descrive, sempre con quel tono basso e triste.
-… Quindi Bellocchio ti ha chiesto di entrare nella sua organizzazione, tu sulle prime hai rifiutato perché volevi badare alla situazione di Pratopoli e non volevi abbandonare la tua città, pensando che potesse essere scoperta per qualche attacco dei Victory, e nonostante le sue insistenze tu hai detto che ci avresti dovuto pensare perché, pur essendo totalmente contro di loro, non volevi che Pratopoli diventasse un obbiettivo facile per i nemici… ho capito bene?- riassume, immaginando ogni momento della breve discussione come una chiacchierata a tu per tu tra due uomini seri e misteriosi. Omar annuisce e Crystal controlla i numeri: coincidono. Ne controlla anche altri nella rubrica del PokéGear e sbircia nelle chat con i Dexholders di Sinnoh, che ha avuto modo di conoscere anche lei.
-Va bene, Omar. Mi fido- decide infine. -Cosa ci fa qui?
-Ehi, ragazzina, devi prima dirmi chi sei- le ricorda lui.
-Ah sì, giusto! Io sono Crystal. Sono un’aiutante del professor Oak e sto completando il Pokédex.
-Oh, anche tu una Dexholder- la interrompe Omar con scarsissimo, anzi, inesistente entusiasmo. -Ho fatto la conoscenza di due o tre ragazzi come te, incaricati dall’amico di Oak, il professor Rowan. Hanno ottenuto con una facilità non indifferente la Medaglia della mia Palestra, si vedeva proprio che erano ad un altro livello. Comunque, io sono qui… a rilassarmi prima di partire per la mia personalissima missione- aggiunge infine.
Crystal si fa più attenta. -Lei è in missione? Ma non è mica a…
-A servizio di Bellocchio e compagnia? Lo so, lo so. Crystal, ho deciso di rimanere fedele alla fazione che io giudico come il Bene quasi assoluto: ho conosciuto Bellocchio e, nonostante le accuse rivolte nei suoi confronti, lo stimo profondamente anche solo per il suo coraggio. Lui è abile, è intelligente e furbo, ma sta sfidando un nemico che lo è molto più di lui. Per questo ho deciso… di fingere di passare dalla parte dei Victory.
Crystal trasalisce. -La scopriranno subito. È una missione suicida- replica all’istante, sbiancando dalla paura.
Omar fa spallucce. -Sì, è probabile. In più aspetterò il momento opportuno per rivelarmi, e purtroppo esso sarà solo quello in cui giungeranno gli alleati di Bellocchio per liberare il mondo dall’oppressione del Victory Team. Sarà la missione finale che lui organizzerà e che deciderà le sorti del pianeta: quello sarà il momento migliore per cercare quelli che chiamerò sempre amici e ai quali rivelare tutto ciò che saprò sui Victory.
A Crystal, sinceramente, non pare un grande piano. Ma ascolta ciò che Omar ha da dire fino alla fine. -Io non sono un grande Capopalestra, nonostante la mia età non sono affatto uno dei più utili sul campo. Ma ho qualche asso nella manica che i Victory non rifiuteranno, e che mi spiace, ma non posso rivelare nemmeno a te, Crystal.- Sorprendentemente le sorride. -Nonostante noi due non ci siamo mai parlati prima, hai fatto davvero una grande impressione su di me, con la tua positiva ingenuità e la voglia di conoscere. Crystal, io indosso una maschera per non mostrare il vero me, ma sappi che gli aspetti di noi che vogliamo nascondere non hanno bisogno di un attrezzo del genere per essere celati agli altri. Nessuna delle persone che incontrerai non indosserà almeno una maschera, e con questa certezza tu puoi sapere di non poter mai conoscere il vero prossimo.
Le parole di Omar, pronunciate finalmente con entusiasmo e trasporto, sono quasi incomprensibili per Crystal. Ma lui continua, sicuro che prima o poi le capirà appieno: -Tutti noi indossiamo maschere per adattarci a ogni situazione, proprio come fa l’acqua, malleabile e in costante cambiamento. La maschera di cartone che ho in volto non è altro che un simbolo, uno stupido simbolo che rappresenta lati di me che solo io conosco tutti - sempre che sia possibile conoscersi, perché ogni altra persona vede un lato differente di me. Il gioco delle maschere è affascinante, ma purtroppo associato alla slealtà ed è sfruttato dai maligni per i loro comodi, per i loro stessi giochi di potere, non mostrando i veri sé stessi neanche allo specchio e perdendo inevitabilmente la propria identità… Dimmi, Crystal, tu quante maschere indossi, sapendo che nessuno è immune ad esse?
Crystal balbetta qualcosa di impreciso, presa alla sprovvista, ma l’uomo continua sorridendo calorosamente: -Per me è il momento di andare, ma prima devo chiederti una cosa. Io voglio che tu diventi potente come l’acqua, ma capace di rinfrescare il cuore delle persone. Mi raccomando! Crystal dalla maschera meravigliosa!

 
§

L’orizzonte tempestoso è contemplato in assoluto silenzio dall’unico abitante del Monte Argento. Rosso sta ben dritto con la schiena piantato sui suoi piedi, lo strato di neve che gli arriva alle caviglie, le braccia incrociate al petto e una fredda severità diffusa nella sua espressione e nella sua postura. Un Raichu finge di dormire acciambellato tra i suoi piedi appena divaricati, ma in realtà i suoi piccoli occhi scuri, che hanno perso lo scintillio vispo di un tempo, sono socchiusi e imitano il suo Allenatore nello scrutare l’orizzonte.
Come ogni giorno Rosso osserva i confini più impervi di Johto e di Kanto sepolti da uno spesso strato di nuvole cariche di tormente, talvolta anche di temporali. Quello che ormai è un uomo sfida quotidianamente il freddo, lo ha fatto fino a diventarne totalmente immune e non sentire più i brividi torturare il suo corpo di ragazzo.
Il suo viso è più imperturbabile e privo d’emozioni, ormai, della stessa bufera perpetua che frustra la cima del Monte Argento. Lui ha superato il vento, la neve e le tempeste che quando era più giovane hanno osato tentare di piegarlo, spezzarlo, di fargli mostrare la propria debolezza. Ebbene, sta avendo di dì in dì la propria vendetta, tratta il tempo come un proprio inferiore e riveste alla perfezione il ruolo di invincibile, come lo chiamano in molti.
D’altronde, lui è il Master. E proprio questo suo ruolo lo porta a ripensare alle sorti della guerra che pare non avere fine. Il professor Oak, molto invecchiato, lo aveva raggiunto otto anni prima allo stremo delle forze, non abituato alla bufera che già all’epoca Rosso non sentiva più così fredda e terribile. In quell’incontro gli aveva detto dell’alleanza tra i capi nemici, la nascita di questa organizzazione oscura e misteriosa, terrificante a causa dei mille volti e mille ruoli che possiede sia nel mondo Pokémon sia in quello esclusivamente umano.
-Bellocchio è riuscito a mettere in piedi da solo un muro per contrastarli: vorremmo che tu e la tua incredibile squadra collaboraste- gli aveva detto con il fiatone. -Forse la prospettiva per te non è delle migliori, ma abbiamo bisogno del tuo aiuto. Te lo chiedo a nome di tutte le forze del Bene: alleati con noi.
Il giovane uomo era voltato di spalle come suo solito anche quella volta e il professor Oak non riusciva a vederlo in viso. Si chiedeva quanto fosse cambiato, se in meglio o in peggio, se fosse ancora così forte e soprattutto perché non se ne andasse da quel maledetto Monte.
La sua risposta era arrivata fredda e senza tradire alcuna emozione. -Non ho intenzione di farlo.
-Rosso!- Oak aveva esclamato pieno di risentimento. -È per il bene del mondo intero, cerca di capire! Ricordati l’anno del tuo viaggio per Kanto e le imprese incredibili che tu, un ragazzino di dieci anni a malapena, sei riuscito a compiere! Hai battuto Giovanni e ora il tuo nemico si è alleato con altri uomini terribili, i capi dei vecchi Team, per dare vita a questa organizzazione… perché non vuoi collaborare?
Qualche attimo di silenzio era seguito a quelle parole disperate. -Giovanni non è più il mio nemico. Ora non ho più rivali e non devo temere nessuno. Ho imparato a considerare mia nemica questa bufera… ma l’ho sconfitta. Ho superato il vento e la tempesta- aveva detto, voltandosi. -Direi che non sono più affari che mi riguardano.
Oak lo guardava negli occhi ma Rosso sembrava non vederlo. Non ritrovava più il suo sguardo ardimentoso e pieno di vitalità, coraggio e voglia di mettersi alla prova. Non vedeva nemmeno emozioni negative come rabbia o odio, e ad essere sincero avrebbe preferito fronteggiare sentimenti come quelli anziché parlare con una persona che pareva aver perso il proprio cuore. Lui aveva imparato a conoscere quello che un tempo era stato un bambino eccezionale e pieno di potenziale: vederlo in quello stato gli procurava immenso dolore. Quasi non credeva alla trasformazione, sperava che Rosso stesse solo recitando e che poi gli saltasse al collo per abbracciarlo e dirgli che avrebbe impiegato tutte le sue possibilità nel tentativo di distruggere il nemico.
-Sei diventato così egoista- era stata la triste sentenza di Oak.
Aveva creduto di vederlo accennare a una risata. -Anche voi del “Bene” non siete da meno, devo dire.
-Perché lo credi?
-Il mio mito è finito quando altri ragazzi, a quanto pare al mio livello, hanno iniziato a percorrere i miei stessi passi e voi professori avete affidato a loro il Pokédex, nella speranza che qualcuno riuscisse finalmente a completarlo perché io avevo fallito, per un motivo o per un altro. Quindi eccomi qua, solo sul Monte Argento. Lo ripeto: ho superato la natura e posso affermare di essere io e solo io il Master. La mia non è presunzione- aveva aggiunto. -Anche lei sa che è così. Tutto il mondo lo sa e lo saprà per sempre.
-Il mondo è cambiato, non è più come credevi di conoscerlo. Ora c’è un mondo per gli umani normali e uno per quelli che sanno dei Pokémon. Rosso, se è questo che vuoi, la tua leggenda è viva e vivrà per sempre tra chi saprà dell’esistenza dei Pokémon. Fino alla fine della loro gente sarai ricordato come il più grande. Ma allora lasciati dire, ripeto, che se è questo che vuoi, e non posso non disapprovarlo…- Oak pareva sforzarsi per mantenere un tono non alterato. -Combatti come solo il Master può fare. Non hai bisogno di altre ragioni.
Un imbarazzante silenzio aveva seguito quella frase, ma Rosso non avrebbe mai ceduto, lo sapeva. Perché mai avrebbe dovuto confondersi tra Allenatori che avevano come unico obbiettivo raggiungere la splendente fama, la fama che li avrebbe resi immortali nel tempo ma che li avrebbe portati a morire prematuramente? Lui la gloria già la possedeva, ma aveva anche abbastanza voglia di vivere finché il suo corpo glielo avesse consentito. Se era riuscito a sopravvivere sul Monte Argento allora combattere i Victory avrebbe dovuto essere uno scherzo; ma non aveva alcuna intenzione di farlo. Non aveva più risposto a Oak, che se ne era andato pieno di delusione e tristezza.
E adesso Rosso rivaluta le risposte date in passato. Ha impiegato dieci anni per rielaborare le sue decisioni, che all’epoca era stato sicuro fossero irrevocabili e immutabili; ma ha qualcosa da perdere andando a fare quello che ha sempre amato, lottare? Ora che la gloria la possiede, ora che numerosissime leggende circolano sul suo conto e lo rendono una figura praticamente mitologica, che senso ha continuare ad essere così inumano? Perché non cercare di ritrovare il Rosso dei tempi andati, il ragazzino sprizzante vitalità e pura energia da ogni poro della sua pelle candida, che adesso è diventata a dir poco cadaverica?
“Perché no?” è il pensiero che lo sta piegando. -Perché no?- ripete a bassissima voce.
“Dieci anni fa era una questione d’orgoglio. Lo è anche oggi. Ma all’epoca era la voglia di essere una leggenda, di perdere la propria mortalità diventando il Master più grande mai esistito. Adesso è la voglia di riprovare, di intraprendere un’altra avventura, di far rivivere il Rosso di venti anni fa, in un certo senso. Non gli lascerò prendere il sopravvento su ciò che sono diventato ora, perché altrimenti perderei il me stesso più vero, più reale e sincero. Ma direi che è proprio ora di tornare nel mondo dei comuni mortali…”
Rosso stringe i pugni. -Raichu, andiamo.
Il Pokémon squittisce a dir poco sorpreso e segue il padrone, che a grandi falcate si dirige verso l’interno del Monte Argento. Per poi arrivare all’uscita.






Angolo ottuso di un'autrice ottusa
HEY HO HEY! Ho fatto appena in tempo a pubblicare entro la fine del mese, già: sono le nove di sera e io ho appena compiuto l'impresa titanica di rileggere circa dodici pagine di capitolo. Ecco a voi il mitico extraaaa *coriandoli*
Spero vi sia piaciuto, a me ha fatto molto piacere descrivere di situazioni tanto diverse e spero di essere riuscita nel mio intento senza risultare noiosa! Ho preso i personaggi più diversi e le situazioni più disparate per mostrarvi come i Victory abbiano incrinato l'equilibrio non solo di Bellocchio, di Capipalestra senza nome e senza identità, ma di vere realtà - come quella tra Nina e Koga o la parte su Alice ed Adriano.
Le cose da dire sarebbero tante, ma cercherò di non esagerare e di mettere solo le parti più importanti - se avete dubbi o domande sul testo (?) ditemelo!:
- Non ditemi che avete preso a shippare la CorradoxVulcano, vi prego
- Piuttosto, dite che ho esagerato con gli Allenatori di tipo Acqua? :P Come vedete ognuno di loro rappresenta la differenza che c’è tra persone che, in teoria, dedicandosi ad uno stesso elemento, dovrebbero essere uniformi nelle loro scelte. Invece c’è Adriano che passa dai Victory, Narciso che se ne frega della guerra e Omar che pur di aiutare si finge alleato del Nemico. È la capacità di adattamento e di trasformazione dell’acqua, un elemento che si presenta sotto mille aspetti diversi e che cambia sé stessa come più le conviene. (L'anonimissimo e praticamente inesistente, nei giochi, Omar l’ho inserito per le frasi dette al giocatore in HG e SS, che ritrovate lì, proprio alla fine.)
- Nel manga, Blaine ha collaborato alla creazione di Mewtwo, perciò gliel'ho affidato per far avere a Enigma il suo primo Pokémon.
- Mi sono ispirata a qualcosina per la parte di Rosso... è un po' il problema di Achille, che ha dovuto scegliere se vivere per sempre nella storia grazie alla sua fama e morire presto, oppure vivere felicemente e a lungo, morendo vecchio e sereno. Be', per quanto abbia poi detestato morire, facciamogli i complimenti, perché ancora oggi si parla di lui.
- Come vedete il tema ricorrente in ogni spezzone di coloro che passano dalla parte dei Victory è “non ti riconosco più, dov’è finito il lato di te che avevo conosciuto e amato?", ma ancor di più l'indecisione della parte dalla quale stare che poi Narciso risolve nella neutralità. Abbiamo visto questa stessa indecisione nello scorso capitolo con la protagonista che inizia a valutare l'ipotesi di passare dai Victory, ma che non riesce proprio a decidersi.
Va bene, ho finito di scassare, vi lascio in pace e ci rivediamo non so quando.
Salutozzi.
Ink

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Capitolo 21
*** XIX - Fratture e tensioni ***


XIX
Fratture e tensioni

Come c’era da aspettarsi, Bellocchio disapprovò la mia richiesta e il mio comportamento in merito a tutto ciò che essa comprendeva. Ma dopo qualche prima scintilla iniziale, che spensi con successo inaspettato, l’uomo si espresse in un sospiro rassegnato e si mostrò più disponibile al dialogo.
-Spiegati meglio, anzitutto- mi chiese.
-Cosa dovrei spiegare?- inarcai le sopracciglia dicendo questo. -Non so, Bellocchio, un resoconto di tutto ciò che è successo finora. Un elenco, scritto se non ha tempo di parlare ora.
-Cioè ti sentiresti più soddisfatta e tranquilla leggendo qualcosa del genere?
Scrollai le spalle con aria disinteressata, annuendo. Lui parve iniziare a scaldarsi, ma restò più o meno tranquillo e, pur trattenendo a fatica toni poco gradevoli, disse: -Non capisco come questo possa farti piacere…
“Le spiego io come può farmi piacere, razza di…” La vocina sarcastica e pungente che ogni tanto mi faceva compagnia continuò con una valanga di insulti, ma cercai di rimanere seria e mi concessi solo un’espressione un po’ indispettita. -Diciamo che non è stato proprio il massimo scoprire che dei nemici che credevamo di conoscere in realtà sono assoldati ad altri personaggi, dei quali non si ha traccia né altro. Da questo poi non è difficile realizzare che tutte le missioni che hanno messo a rischio la mia vita, oltre a quelle di tutti gli altri ragazzi nella base segreta, sono state inutili sotto ogni punto di vista!- Alla fine rischiai di sbottare. Strinsi i pugni come a voler scaricare la tensione. Ero seduta davanti a Bellocchio, che si girava di pochi gradi sulla sua poltrona girevole.
Ovviamente evitava di guardarmi. “Immagino sia più facile parlare senza vedere in faccia la verità” pensai ringhiando, sicura di aver ragione e di aver messo in difficoltà l’uomo. Come potevo non essere nel giusto? Ogni cosa che facevo si rivelava essere un’immancabile delusione, probabilmente anche quella conversazione lo sarebbe stata. Mi chiesi addirittura cosa stessi facendo lì, perché stessi perdendo tempo con Bellocchio.
Dopo qualche lungo secondo di silenzio, tempo di cui approfittai per mettermi comoda sulla sedia assumendo una posizione arrabbiata, incrociando gambe e braccia, finalmente rispose: -Io per primo sono in enorme difficoltà quando qualcosa va male, per primo ci rimetto e per primo ci rimango male. Se qualcosa va storto, la colpa è mia e di nessun altro; non credere, Eleonora, che io sia un totale menefreghista quando i fatti iniziano a complicarsi, non ne sono immune, anzi. Per questo, ti prego, non pensare che io sia tranquillo dopo le recenti scoperte.
-Non lo penso- replicai subito, -e non ho mai creduto che lei non ci rimetta la faccia in queste cose.- “O forse sì?” -Ma la risposta che volevo è un’altra, se permette. Posso avere questo resoconto o no? Ho bisogno di sapere.
-Dovrei fornirlo a tutti, se lo dessi a te- ribatté lui.
Inspirai profondamente e mi impedii di alzare gli occhi al cielo. -Non può fare uno strappo alla regola con una persona speciale come la sottoscritta?
-Ancora con questa storia?- Cambiò repentinamente atteggiamento. Alzò gli occhi e ricambiò il mio sguardo, che però non avrebbe vacillato. -Sicura di non essere qui solo per ottenere informazioni prettamente personali?
-Be’, in effetti ero venuta qui con le intenzioni che le ho detto prima. Ma se volesse mettermi a conoscenza di qualcos’altro, qualcosa che mi farebbe davvero piacere sapere, non avrei niente da ridire- dissi con tono ironico.
-No, Eleonora, non ti farebbe piacere per niente. Quante volte devo ripeterti, io insieme a chiunque altro sappia di te e della tua compagnia, che se è possibile evitare di parlare di qualcosa del genere allora lo faremo? Per una volta, fidati! Non lo facciamo con l’intento di ferirti o di farti stare male, è per il tuo bene!- esclamò.
-Io non credo proprio che tutto questo sia “per il mio bene”, e mi chiedo ancora perché non dovrei sapere quel che mi riguarda!- replicai con gli stessi toni di lui. -Camille un giorno mi disse che sarei impazzita, ma dopo tutto quello che mi è successo e che sta succedendo… non credo proprio che qualcosa anche di forte possa mettermi più in difficoltà o a disagio di così. Ma va bene, va bene così!- sbottai prima che lui potesse interrompermi. -Però credo che, se mi ritroverò un’altra volta a fronteggiare Cyrus, il mio segreto verrà a galla e si decideranno molte cose.
-Eh?- Sgranò gli occhi al sentire la mia predizione. -Cosa significa?
-Quello che ho detto. Non ho forse ragione, Bellocchio?
Probabilmente si trattenne da urlare qualcosa del tipo: “Senti un po’, tu, cartomante dei miei stivali…” o con varianti più volgari. -No che non hai ragione! Neppure Cyrus si permetterebbe di fare qualcosa di simile, neanche se da questo dipendesse il tuo passaggio al Victory Team: persino un pazzo come lui saprebbe come gestire questa faccenda, che su di te avrebbe un effetto non indifferente e che comporterebbe, probabilmente, le decisioni di cui tu parli. Quindi adesso smettila, ti prego; anche tu hai detto che va bene così, prima!
Ad essere sincera temetti che lui potesse prevedere un mio possibile “cambio di sponda”, perché volevo che una cosa simile rimanesse un segreto con me stessa, che nessun altro avrebbe dovuto conoscere - anche perché il capo sapeva troppe cose su di me di cui io invece non sarei stata mai, forse, messa a conoscenza. -Allora, Bellocchio, questo resoconto?- aggrottai le sopracciglia, cambiando argomento e ricordandogli il perché io fossi lì.
Sbuffò e si alzò dal suo trono, che ormai doveva aver assunto la forma del suo fondoschiena e delle spalle per tutto il tempo che passava lì. “In effetti” realizzai, stupendomi per qualche istante, “ogni volta che lo cerco lo trovo qui, precisamente e puntualmente. Ma quindi non esce mai o sono solo ‘fortunata’, se così si può dire…?”
Il silenzio che seguì fu arricchito solo dal frusciare di fogli e scartoffie, che Bellocchio sfogliava alla ricerca di qualcosa che fosse adatto alle mie richieste. Dozzine, se non centinaia, di fascicoli erano infilati strettamente negli scaffali che coprivano due delle pareti della stanza, in modo tale che c’entrassero più o meno tutti. Ma l’uomo faticò a toglierne qualcuno dal suo posto, impegnandosi per evitare che qualcuno cadesse a terra, trascinato da ciò che invece stava cercando di prendere. -Ora che ci penso- disse dopo un po’, fermandosi, -forse ho qualcosa che ti piacerebbe da qualche parte. Dovrebbe essere la lista di ogni azione nostra e nemica riconosciuta.
“Non ho mai apprezzato tanto in vita mia gli elenchi di roba” pensai soddisfatta.
Ci mise qualche minuto buono a trovare quello che cercava; nel frattempo scrissi qualche messaggio veloce in risposta a un paio di amiche che mi avevano contattata, chiedendomi che fine avessi fatto. Vediamoci nella sala per gli allenamenti tra una mezz’ora, dissi a entrambe, mentre Bellocchio mi porgeva un foglio scritto su entrambe le facce, posandolo sulla scrivania davanti a me. Il carattere era minuscolo e capii che la biblioteca, con il buio diffuso che regnava là dentro e le misere lucine sui tavoli, non sarebbe stata il luogo adatto per decifrarlo.
-Ecco a te. Devo aspettarmi che tu mi dica qualcosa, quando avrai finito di leggerlo?- mi chiese con ironia.
Impiegai qualche secondo buono a rispondere, mentre leggevo le prime parole. “Anno Primo.” -Non saprei- risposi freddamente, sovrappensiero. -Buona giornata, Bellocchio. E grazie…

“Anno Primo. Il Victory Team dopo una settimana dalla sua nascita, stando a quanto i suoi Comandanti dicono, annuncia alla Polizia Internazionale della sua formazione e rivela le identità di alcuni suoi membri: i massimi capi sono gli uomini che, negli anni scorsi, hanno guidato i Team che si credevano ormai estinti. I vecchi Generali e i vari gradi minori delle loro organizzazioni sono stati quasi tutti arruolati, o in alternativa uccisi per motivi ignoti. L’agente Bellocchio subito oppone resistenza e cerca di rispondere ai Comandanti, i quali però interrompono ogni tipo di comunicazione e impediscono qualsiasi intercettazione, chiudendo tutti i canali possibili. Perciò l’agente inizia ad arruolare e organizzare, in una centrale quasi abbandonata della Polizia Internazionale, una squadra che possa in breve tempo spegnere le prime scintille dei Victory Team. Le missioni iniziali portano a successi che non sempre, di questo si è sicuri, si riveleranno essere tali.
Anno Secondo. La riunione di tutti gli oppositori dei Victory si è rivelata e si sta rivelando più ardua del previsto. Non pochi Capipalestra, Superquattro e anche Campioni, oltre che Professori o Assi dei Parchi Lotta, hanno accolto benevolmente, chi prima chi più in ritardo, le proposte del Nemico: le promesse più diffuse sono di potere, di sicurezza, di affermazione sia personale che nella propria carriera. In molti tradiscono una fazione o l’altra per passare da quella a loro nemica fornendo molte informazioni; mentre si cerca un modo per trasformarsi in modo da non farsi cogliere impreparati dai nemici, si prova a sferrare un attacco il prima possibile per poter per lo meno indebolire l’avversario.
Anno Terzo. Situazione di stallo, il nemico non si conosce e non si riesce a capire come funzioni la sua struttura, che pare in continuo cambiamento. Iniziano le ricerche: i Victory ancora non hanno cominciato a rintracciare i S. L., ma stanno cercando di catturare e sfruttare i Leggendari. Il problema creerebbe danni quasi irrimediabili.
Anno Quarto. Arrivano i primi due S. L., finora se ne sono trovati quasi una dozzina sparsi per le regioni. Molti non sanno nemmeno dell’esistenza dei Pokémon, hanno subito la cancellazione di tutte le memorie del passato come la maggioranza della popolazione terrestre. Le ispezioni sul Nemico non riportano alcuna traccia di S. L. tra le loro fila, si esclude che i Comandanti possano essere tali. Non si è più sicuri nemmeno del nome dell’organizzazione, alla quale si inizia a riferirsi semplicemente come “Team Nemico”; si trovano numerosi documenti falsi o che si beffano della scarsità di informazioni finora raccolte, le quali vengono puntualmente smentite in qualche altra occasione. Decisamente non si è in una guerra.
Anno Quinto. Il Nemico rivela di possedere non poche informazioni sui S. L., le quali vengono poi raccolte ed esaminate e mandano avanti le ricerche, facendo trovare altri S. L. e anche assorbendoli nelle Forze del Bene. È un duro colpo per i Nemici, che si riprenderanno dopo qualche mese, mostrandosi capaci di attentati organizzati molto velocemente sia ad edifici pubblici nel mondo umano, sia a basi segrete delle Forze. Pochi successi con i Leggendari dalla parte degli ex - o forse no - Victory.
Anno Sesto. Vengono aperte le prime cosiddette Accademie per riunire più giovani possibili disposti ad ottenere un futuro nel conflitto in corso, o nelle quali vengono accolti ragazzi che più o meno casualmente sono sottratti al mondo esclusivamente umano a causa di qualche trappola Victory. Le barriere vengono abbassate in parecchi punti e bisogna agire al più presto per ripristinarle grazie a qualche tecnica con mosse Psico, Spettro, Buio e altri elementi, necessari a seconda dell’ambiente. Bisogna istituire delle squadre che possano ritrovarsi al più presto possibile sui luoghi necessari per riparare i danni.
Anno Settimo. Si svolgono battaglie, tutte della durata di tre mesi circa - per gli standard di questa “guerra” è fin troppo tempo - in svariati luoghi del mondo: il Monte Camino a Hoenn, le cascate Tohjo al confine tra Kanto e Johto, presso la Baia di Spiraria a Unima. A rischio, in particolare, la Vetta Lancia a Sinnoh, sulla quale si concentrano le barriere e svariati turni di guardia di grandi Allenatori. Il tasso dei morti è aumentato a dismisura per entrambe le parti; i più anziani sono ormai scomparsi, non pochi giovani hanno lottato fino a cadere. Per i mesi successivi non si hanno contatti o scontri di alcun tipo.
Anno Ottavo. Arrivano due S. L.. Il Nemico ne ha assorbiti, finora, molti meno di quelli che le Forze del Bene hanno dalla loro. Non si hanno più tracce di quelli dei Victory, le missioni aumentano di numero ma i successi riportati sono pochi da entrambe le parti. I tradimenti contati fino a questi momenti non hanno ancora avuto alcun effetto visibile, se non molta agitazione e paranoia da parecchi individui. In un periodo di pochi mesi si hanno maggiori suicidi da entrambe le parti.
Anno Nono. Un tentato rapimento di alcuni allievi dell’Accademia di Sinnoh si è verificato alla fine del cosiddetto anno scolastico. Non è il primo episodio del genere ad accadere; inoltre esso ha confermato che il nome del Victory Team è rimasto immutato in questi anni, nei quali si sono diffusi pseudonimi per creare confusione. La stessa Accademia, una delle più grandi tra quelle delle varie regioni, è stata rasa al suolo da un attentato dei Victory poco prima degli inizi di un nuovo “anno scolastico”. Il trasferimento dei ragazzi avviene nella base segreta principale della regione e in altre succursali. Sono messe in allarme tutte le strutture simili, ma almeno si hanno più persone per poter attuare le missioni, che negli ultimi tempi mancavano di gruppi composti da un numero adeguato di partecipanti.
Anno Decimo. Gli ex capi dei vari Team non sono i veri Comandanti dei Victory; qualcuno di cui non si conosce il nome, l’identità, né tantomeno si sapeva della sua esistenza, agisce nell’ombra sfruttando i volti di quegli uomini. La scoperta ha sconvolto tutti gli aderenti alle Forze del Bene ed è stato immediatamente espresso un grande malcontento per la cosiddetta incompetenza dei dirigenti, che si sono ritrovati spiazzati dalla notizia allo stesso modo degli altri. Molte proteste provenienti dalle più svariate basi, sparse per il mondo, e alcuni hanno addirittura abbandonato le Forze. Altri sono stati motivati da questa scoperta e spingono per missioni più mirate ai Vertici e ai segreti nascosti del Victory Team. Il periodo di assestamento in seguito a questa notizia è ancora in corso.”


“E ti credo che è ancora in corso” pensai perplessa. “Questo resoconto delle cose più importati sarà stato fatto l’altroieri.” Non era proprio quello che desideravo, perché mi sarebbe piaciuto qualcosa di ancor più dettagliato. Ma era già qualcosa che Bellocchio avesse ceduto e mi avesse dato un elenco del genere - fingendo di essersi dimenticato della sua esistenza, ma tralasciando questo…
Mi chiedevo quante missioni fossero state effettuate in quei dieci anni di guerra, quali informazioni, sbagliate e non, avessero portato e come Bellocchio e compagnia le avessero potute sfruttare, sapendo che ogni cosa andava trattata con le pinze. Quel documento era la prova dell’instabilità e dell’insicurezza in cui ci ritrovavamo “noi” delle Forze del Bene, mentre ci domandavamo se anche i Victory avessero tanti dubbi sul nostro conto o se stessero solo aspettando di distruggerci nel momento più opportuno.
E poi che roba erano quegli “esse elle”? Erano oggetti o soggetti? Perché entrambe le fazioni li stavano cercando e a cosa potevano essere loro utili? La mia mente si riempì di domande del genere senza che io realizzassi, tanto lo credevo ovvio, che la risposta non potevo averla dall’elenco così scarno, né tantomeno dalla mia fervida immaginazione. No, l’unica risposta vera poteva averla Bellocchio, e già intuivo che non mi avrebbe detto niente, magari sbattendomi fuori dal suo ufficio intimandomi di farmi gli affari miei.
Sospirai e mi passai una mano tra i capelli. Ormai la mezz’ora che avevo stabilito per l’appuntamento con Sara e Ilenia stava per passare, quindi decisi di stare un po’ con loro per distrarmi e andare a parlare con Bellocchio solo in seguito, quando avrei avuto voglia di innervosirmi. Oxygen era fuori da un paio di giorni per una missione di cui non sapevo niente e, per evitare che qualcuno dei tecnici intercettasse messaggi poco convenienti, ci eravamo rassegnati a non sentirci finché non fosse tornato. “Speriamo stia andando bene” pensai. Ero un po’ apprensiva quando si trattava di lui, anche se quelli che sapevano di noi credevano che fossi fin troppo fredda.
Sia Sara che Ilenia sapevano della nostra “relazione clandestina”, come l’aveva definita spesso Daniel, che dal canto suo era in un idillio d’amore con la carissima Melisse. La prima non aveva fatto commenti, silenziosa come suo solito. L’altra invece era fin troppo scherzosa a volte, come a voler recuperare tutte le chiacchierate che con la ragazza dai capelli bianchi e blu non facevo mai.
Le trovai nella sala per gli allenamenti a parlottare a bassa voce; appena mi videro mi avvicinai corricchiando. -Non credevamo che avessi dato appuntamento a tutte e due!- disse subito Ilenia. L’albina - o qualsiasi cosa fosse - mi salutò con uno dei suoi timidi mezzi sorrisi.
Feci spallucce. -Mi avevate contattata tutte e due e quindi ho deciso di incontrarci qua, insieme.
-Come mai proprio qui?- chiese Sara.
-È stato il primo posto che mi è venuto in mente…
-Allora, già che ci siamo, facciamo una lotta- disse ancora lei. Un po’ mi sorprese, perché una proposta per una lotta me la aspettavo più da Ilenia che da lei. -Saranno giorni che non alleno i miei Pokémon, nel corso per noi spie facciamo poco e niente a tal proposito. A meno che tu non abbia qualcos’altro in mente, o da dirci.
Scossi la testa. L’idea della lotta però mi piaceva, era da tanto che non ne facevo una con le mie amiche e soprattutto non per allenarci durante una delle lezioni di Rosso. -Lotta in doppio, no? Chi va da sola?
-Io!- Come c’era da aspettarsi, Ilenia si offrì, e io e Sara ci ritrovammo a decidere tre Pokémon ciascuna per quella che si prospettava essere una lunga battaglia. La mia compagna scelse Lucario, Froslass e Vaporeon, mentre io chiamai Rampardos, Roserade e Staraptor. Ilenia aveva Pokémon con una potenza invidiabile, ma viste le scarse difese non sarebbe stato così difficile sconfiggerla.
-Posso vedere come vi insegna a lottare Rosso?
-Sara, sei una guastafeste- borbottai mentre Ilenia prendeva a ridere.
La ragazza, disorientata, mi chiese perché l’altra stesse ridendo. -Diciamo che non è proprio sicura del fatto che Rosso ci stia insegnando qualcosa, e io sinceramente non posso biasimarla.
-Come mai…?
-Non si può parlare durante le sue lezioni. Nel senso che non si possono dare ordini ai Pokémon, che nelle lotte devono gestirsi l’avversario da soli mentre noi guardiamo e speriamo che non facciano niente di stupido.
Diamond, il mio Staraptor che era in campo, si voltò indispettito e io gli risposti con una linguaccia.
Sara era non poco stupita. -Stai scherzando? A noi non fa fare niente di simile!
-No, cara- intervenne Ilenia, -purtroppo non sta scherzando. A voi che fa fare?
Era sa tempo che volevamo chiedere a qualcuno degli altri gruppi cosa facesse fare loro Rosso. -Be’, è già raro che tenga qualche lezione con noi… e a quanto ho capito, visto che parla pochissimo, deve ricominciare dalle basi. Insomma, stiamo messi proprio male secondo lui…
-E ti pareva- brontolai. -Secondo lui stiamo messi tutti male.
-Su, adesso facciamo qualcosa di più serio e lottiamo! Sara, noi due siamo costrette a star zitte, tu fai come meglio credi- intervenne Ilenia.
-Va… va bene.
Erano Staraptor e Vaporeon contro Flygon e Tyranitar. “Buona fortuna a noi contro ‘sti due colossi” brontolai mentalmente. -A voi l’onore!- esclamò Ilenia beffarda.
-Non sottovalutarci, carissima!- ribattei. -Allora vai, Diamond.
Lo Staraptor si lanciò a tutta velocità contro Flygon, iniziando con un Aeroassalto che voleva essere più un approccio e un avvio alla sfida che un tentativo di fare qualche danno. Infatti il drago incassò il colpo senza farsi affatto male, si capiva a vista d’occhio; replicò con un Pietrataglio che fu deriso bellamente da una Protezione di Vaporeon, la quale corse a fare da scudo al mio Pokémon. Ringraziai Sara, che ridacchiò sommessamente: non aveva ordinato nulla alla sua compagna di squadra, che aveva capito all’istante come avrebbe dovuto lottare.
Tyranitar chiuse il turno con un Rocciotomba, che Diamond riuscì a schivare quasi del tutto, rimediando un po’ di fastidiosi graffi, ma che procurò non pochi danni a Vaporeon. Il Pokémon usò Acquanello e subito dopo, senza aspettare che toccasse di nuovo a lei, si esibì in un poderoso Surf che colse impreparato l’offensore, mentre Flygon  e Staraptor si libravano in aria evitando l’onda anomala. “Complimenti” pensai, rivolta alla volpe d’acqua.
-Vapu! Ma che fai?- Sara era basita. -Così è sleale!
-No che non lo è!- ridacchiò Ilenia. -Io sono il Victory della situazione! Su, distruggetemi!
-Agli ordini!- ghignai, mentre Diamond e Flygon si buttavano nella mischia, tentando di ferirsi l’uno con Zuffa e l’altro con Dragartigli. Ben presto si aggiunse anche Tyranitar, mentre Vaporeon cercava di attaccare chiunque capitasse a tiro con Surf o con Geloraggio - mossa che procurò non pochi danni a Flygon. Qualche colpo lo subì anche Diamond, che faceva di tutto per attaccare sia l’uno che l’altro avversario.
Tyranitar fu il primo a cedere, stancato dalle continue mosse speciali, a cui non riusciva ad opporre la resistenza che invece poteva mostrare contro gli attacchi fisici di Diamond. Ilenia fu molto contrariata e non esitò a mandare in campo il suo Zebstrika, che a suon di Scarica abbatté i nostri Pokémon quasi contemporaneamente. Poco dopo la situazione si trasformò con uno Zebstrika in splendida forma al contrario del compagno e Froslass e June.
Le due erano piccoline, ma veloci e potenti: Flygon fu messo al tappeto dal Pokémon di Sara mentre Roserade si occupava di dare filo da torcere a Zebstrika, che cercava di danneggiarla con Nitrocarica. Ma lei lo teneva a distanza con Energipalla e Palla Ombra vari, che lo facevano indietreggiare costringendolo ad attaccare con mosse speciali di tipo Elettro che a lei procuravano ben poche perdite di energia. Oppure lo faceva inciampare con Laccioerboso. Ad affiancare Zebstrika arrivò, com’era prevedibile, Charizard: il dragone fu subito messo alle strette con un Fulmine a sorpresa di Froslass, che se possibile era anche più veloce e autonoma di Vaporeon.
I Pokémon di Ilenia però si erano stancati di quella situazione, quello di tipo Elettro stava cedendo, ma non voleva darla vinta. Mi piaceva molto il suo atteggiamento, in questo senso, perché apprezzavo molto i Pokémon combattivi e purtroppo non tutti i miei lo erano. Mi piacque di meno quando tentò un Nitrocarica su Roserade che sulle prime giudicai inutile, ma che servì solo per offrire su un piatto d’argento la piccola June, distratta nel tentativo di evitare l’attacco, a un Lanciafiamme del drago che la mise all’istante al tappeto.
-Piccina mia!- esclamai rattristata, mentre mandavo in campo Rocky. Ruggì in risposta alla provocazione vocale di Charizard e subito si slanciò contro di lui con una Zuccata, mentre Froslass teneva impegnato Zebstrika fino a sfinirlo con Geloraggio. L’altro, mentre veniva aiutato da Arcanine, usò Volo per evitare Rocky, ma quando cercò di colpirlo dall’alto con la combinazione Giornodisole e Solarraggio, il mio compagno si difese con Protezione e, ringhiando, lo sfidò a fronteggiarlo non da lontano, ma con un dignitoso corpo a corpo.
Charizard accettò l’invito e scese in picchiata verso di lui, caricando un Dragartigli. Nel frattempo Froslass ed Arcanine avevano abbandonato l’idea di un combattimento per conto loro e andarono ad aiutare l’una il mio Pokémon, l’altro il suo alleato. Non poche fiamme, scintille e persino scariche elettriche volarono nei primi istanti, facendoci allontanare tutte, di riflesso, di qualche passo; poi una mossa più potente delle altre che non riuscii ad identificare sollevò un polverone, o forse fu l’incontro-scontro di più attacchi.
Fatto stava che alla fine si salvarono giusto Arcanine e Rocky. Froslass fu sostituita da Lucario e Charizard, che avevo visto essere stato colpito con Zuccata dal mio Pokémon, da Rapidash. Avevamo tutti l’ultimo Pokémon, ma a meno che non fosse stato incredibilmente abile e fortunato, Rocky sarebbe andato K.O. dopo poco, a causa dei danni riportati dal contraccolpo di Zuccata. Charizard non aveva resistito nemmeno un momento dopo quel colpo superefficace e anche terribilmente forte, ma anche i danni fino ad allora riportati dal mio amico erano parecchi.
Arcanine non si azzardava ad usare Fossa, probabilmente aveva intuito che il mio Pokémon sapeva utilizzare Terremoto e anche piuttosto bene. A Lucario non piacevano affatto i due avversari di tipo Fuoco e lanciò una veloce occhiata a Rocky. Chissà cosa si dissero con quei fugaci sguardi. Nel frattempo il Pokémon di Sara decise di sferrare una rapidissima e potente Forzasfera, che non poteva essere evitata da nessun tipo di nemico; fu la sua mossa preferita per tutto il tempo della battaglia, più o meno, mentre Rocky si occupava di spianargli la strada facendogli da scudo con Protezione o tentando qualche Zuccata.
Proprio quello spinse i due avversari a dargli il colpo di grazia, mandandolo al tappeto con un paio di mosse. Sospirai, i risultati non erano quelli sperati, ma non importava: stavo andando bene, più o meno. Rocky secondo me aveva ancora da lavorare su molti atteggiamenti e molte tattiche, ma gli altri due erano stati bravi.
La lotta finì con la sconfitta di Lucario, che non riuscì ad eludere le mosse di fuoco degli avversari. -Non a caso ci chiamiamo Victory! Illuse, stolte ragazzine, prostratevi ai miei piedi e idolatratemi ora subito immediatamente!- esclamò Ilenia ghignando, andando ad accarezzare i suoi allenatissimi compagni. Sospirai ma, com’era ormai consuetudine, strinsi la mano alla mia alleata, che dal canto suo era estasiata, poi anche alla nostra avversaria.
-Credo di non aver mai fatto una lotta più interessante ed emozionante di questa!- esclamò Sara infatti.
Io avrei corretto la frase, se avessi avuto bisogno di farlo, con “Credo che i miei Pokémon non abbiano mai fatto una lotta più interessante ed emozionante di questa”, visto che ero rimasta tutto il tempo a guardarli. Ma non volevo rovinare la contentezza di Sara, che di rado avevo visto sorridere tanto ampiamente e sinceramente. Aveva davvero un bel sorriso, ma forse era troppo timida e riservata per mostrarlo.
A giudicare dall’espressione di Ilenia, anche lei avrebbe voluto modificare le parole della ragazza come me. -Adesso datemi i vostri Pokémon, devo farci esperimenti agghiaccianti.
-Ilenia, sei pessima- borbottai, facendo un mezzo sorriso.
-Ma no che non lo sono!- Continuammo a battibeccare - o più semplicemente chiacchierare facendo finta di discutere - per interi minuti, con la sala per gli allenamenti a nostra disposizione totalmente vuota.
Ma poi si fece sentire la stessa voce femminile che aveva chiesto alla popolazione della base segreta di scendere nei sotterranei l’altra volta, perché Bellocchio e Wilson potessero darci l’avviso della gerarchia ormai finalmente conosciuta dei Victory. Ripeté esattamente le stesse cose e, lanciandoci un’occhiata abbastanza stupita, noi tre ci dirigemmo insieme verso i sotterranei, proprio come l’altra volta.
Nella mia permanenza alla base segreta, di annunci così ne erano passati un paio forse, ma fatalità proprio quando stavo fuori per una missione e non avevo avuto modo di sapere come certe cose potessero essere divulgate a una moltitudine di persone. Ne era stato fatto uno persino quando ero a zonzo per il Monte Corona. In quei casi si era trattato di qualche resoconto neanche troppo importante, ma che passassero due segnalazioni a una così ravvicinata distanza di tempo credo fosse un evento a cui nemmeno i veterani erano abituati.
“Sarà per l’appunto un resoconto” pensai. “Magari Bellocchio ha deciso di raccontare a tutti come sono andate le cose per dieci anni, visto che con me l’ha fatto. Oppure, ancor più semplicemente, vuole parlare dell’ultima scoperta, mettendo in chiaro le cose. Non sarebbe affatto male.” Esclusi completamente la possibilità che ci fosse addirittura un’altra novità sul Nemico, scoprendo poi di aver fatto un errore.
La situazione nei sotterranei, nello stanzone dalle pareti d’acciaio, era la stessa dell’altra volta ma più ricca di malumore, in ricordo delle ultime esperienze passate là dentro per la maggior parte dei presenti. Stavolta Wilson non c’era e Bellocchio era solo a fronteggiare una massa di sguardi fissi su di lui, in parte ostile, in parte curiosa.
-Altre novità sul Victory Team- annunciò freddamente, andando subito al sodo, sorprendendo la folla. -Stavolta sono gradite: volgono a nostro favore. È un passo in avanti verso la scoperta della fragilità di questo Nemico che per troppo tempo è apparso come invincibile. Ma la fragilità di cui abbiamo parlato è sempre stata evidente da un punto di vista come l’alleanza tra persone con obbiettivi, più personali che di altro genere, tanto diversi e con caratteri ugualmente differenti. Per quanto questi uomini siano psicologicamente quasi indistruttibili, per quanto sia difficile capire cosa passi per le loro menti, per quanto sia difficile stabilire se siano completamente pazzi o se le loro azioni siano consapevoli, pur essendo dettate da qualcun altro… alla fine è impossibile resistere quando c’è la possibilità che i propri obbiettivi di una vita possano essere mandati in fumo. Soprattutto quando si credeva di essere a un passo dalla loro realizzazione. È quello che è successo a due Generali dei Victory.
Fece una pausa dopo il suo lungo discorso. Il silenzio era carico d’attesa, e se la mia intuizione andava ancora abbastanza bene, sapevo dove stava cercando di andare a parare. Ebbi la conferma subito dopo.
-Gli antipodi per eccellenza all’interno del Team, Max e Ivan, hanno abbandonato i Victory.
La folla trattenne teatralmente il respiro, ma subito Bellocchio sedò le prime scintille di festeggiamenti che in quel momento erano fuori luogo. -Da quello che abbiamo saputo- riprese l’uomo, -nessuno dei due è rimasto non appena l’altro ha ceduto, ritirandosi probabilmente a vita privata o alla ripresa delle redini del suo vecchio Team. Le posizioni dei due ci sono ignote, ma una cosa è certa: le loro vite sono in pericolo, adesso. Nel caso in cui uno dei due bussasse alle nostre porte, chiedendoci aiuto… come dovremmo reagire? Dovremmo respingere una vita che, se lasciata senza protezioni, morirà nel giro di breve tempo?
La mia mentale risposta era un “sì” abbastanza indifferente. Mi trattenni dall’esplicitarlo.
-Quella di adesso è una situazione delicata, tutti noi abbiamo molto a cui pensare sul conto di Max e Ivan, che di certo hanno commesso un’azione del genere essendo ben consapevoli delle possibili conseguenze. È la prima frattura evidente all’interno di un Victory Team scosso da quest’evento, in tensione, finalmente insicuro su quello che il proprio prossimo potrebbe pensare. Sono stati traditi da persone di fiducia e ora vacillano sulle convinzioni costruite in dieci anni. Max e Ivan hanno stretto i pugni per tutto questo tempo, ma era impensabile che due caratteri, due personalità, due tipi come loro due potessero sopportarsi ancora per molto.
-Notizie del genere ci motivano, ci danno più forza e più voglia di combattere un Nemico che ci sta mostrando il lato più debole di sé. È ai rapporti tra i vari Generali che bisogna mirare, se le cose stanno così: abbiamo visto in più occasioni non poche tensioni e ostilità tra Cyrus ed Elisio. Gli unici che finora non hanno dato alcun segno di cedimento o di fastidio per un qualunque motivo sono stati Giovanni e Ghecis, l’uno silenzioso e riservatissimo anche con i suoi colleghi, l’altro che dà continuamente l’idea di essere folle.
“Andiamo, chi di loro non è folle?” borbottai mentalmente, pur sapendo che forse era proprio solo Ghecis il pazzo della compagnia, visto che gli altri obbedivano totalmente agli ordini “dei signorini”. Io la consideravo una cosa da persone fuori di testa, questo sì, ma se loro ne erano consapevoli allora nessun problema.
-Due novità tanto forti nel giro di poco tempo- continuò Bellocchio, -sono importantissime e inaspettate. Quasi mai durante dieci anni di conflitto abbiamo avuto un periodo simile, in cui il Nemico si trasformava in qualcosa che a noi dava un grosso vantaggio o ci semplificava le cose. Nessuno di noi può dire se questo sia un augurio per un successo che arriverà a breve o soltanto l’inizio di cambiamenti da entrambe le parti, che non si riveleranno essere positivi come crediamo al momento. Be’, direi che non ci resta che sperare per il meglio, come al solito, e dare sempre tutti noi stessi per la nostra causa e per la sconfitta del nostro Nemico.
Non mi presi la briga di ascoltare gli ultimi convenevoli, con cui Bellocchio ci intimò gentilmente di sgomberare la zona e di lasciar lavorare i tecnici. Sara fu sottratta a me e ad Ilenia dalla sua banda di spie, composta anche di Melisse e qualche altra ragazza, mentre a noi due si unì Cynthia, che da qualche giorno non incrociavo.
-Ma buongiorno. Che si dice?- chiese.
Feci spallucce. -Soltanto a me è risultata indifferente la notizia?
-Mh, non credo. Detta così non fa un grande effetto nemmeno a me, quindi credo a nessuno. Però andando avanti nel tempo credo ci sarà molto utile qualcosa del genere. Come ha detto Bellocchio, se dobbiamo mirare a qualcosa, le relazioni tra i Fantastici Quattro sono i punti deboli che finora sono a nostra disposizione.
Risi sinceramente appena chiamò gli ultimi rimasti dei vari Team “Fantastici Quattro”.
-Ma sì- intervenne Ilenia, -aspettiamo e vediamo come andrà avanti la situazione nel tempo. Che poi è la cosa che facciamo sempre in attesa che succeda qualcosa di strabiliante e che stravolga l’ordinario, ma dettagli.
-Voi provereste compassione nei confronti di Max e Ivan?- chiesi con serietà.
Cynthia sbuffò. -Devo proprio essere sincera?
-No, turberesti le orecchie dei minori- rispose Ilenia, fingendo di tapparmi le orecchie. Protestai sonoramente, colta di sorpresa dall’ennesimo gioco della ragazza. -Scherzi a parte, è davvero difficile: sono i tuoi acerrimi nemici quelli in difficoltà, vorresti solo vederli fuori combattimento, ma come reagire nel caso in cui si presentassero alla tua porta, magari feriti, oltre ad essere costantemente minacciati dai loro vecchi alleati?
-È lo stesso problema che mi sto ponendo io- dissi a bassa voce. -E a contribuire all’indecisione c’è il fatto che io non conosca per niente Max e Ivan. Se si trattasse di Cyrus o anche di Elisio, che ho incontrati entrambi, allora non avrei poi tanti dubbi su quello che vorrei succedesse loro…
Avevo la sensazione che Cynthia mi stesse fissando. Poi disse: -Io non sono pietosa a prescindere. Non fa differenza, sono tutti dei Victory che ci stanno rovinando la vita. Potevano pensarci prima di allearsi con loro.
-Ma se fossero stati costretti dai vertici? Da quelle persone che non conosciamo?- insistetti.
-Non hanno opposto resistenza, perché se l’avessero fatto sarebbero morti- rispose lei con freddezza. -Quindi in loro è racchiusa la malvagità che, in un modo o nell’altro, si manifesta sempre e comunque. Che sia tramite un Team di potenti che salva la loro faccia o con un’organizzazione che fa capo proprio a loro, si fa vedere. Come si può pensare di risparmiare le vite di due persone, oltre che di una società, che porterà il mondo al collasso?
Cynthia aveva ragione. O almeno era quello che speravo, perché avevo seri dubbi su quello che diceva e su ciò che pensava. Sì, forse Max e Ivan - non potevo dirlo, basandomi sul fatto che non li conoscessi - erano due tra gli uomini peggiori sulla faccia della Terra, due ex membri, anzi, capi di un’organizzazione che avrebbe dato vita ad un’era di buio e di paura nel caso terribile e sventurato in cui fosse riuscita ad imporsi.
Ma come aveva detto Enigma, chi garantiva che quegli uomini fossero semplicemente pazzi assetati di potere? I loro ruoli erano sempre più in dubbio, quindi avevo iniziato a chiedermi: “E se loro svolgessero i ruoli dei cattivi per i comodi dei Comandanti, che al momento opportuno si sbarazzerano di quelle marionette crudeli? Se fossero anche loro a conoscenza del loro squilibrio e della loro malvagità, e se ne approfittassero per non sporcarsi le mani agendo in prima persona, ma costruendo un mondo che c’è la possibilità sia davvero utopico?
Era questo che mi domandavo insistentemente: c’era la probabilità, l’avevo realizzato in qualche tempo, che ci fosse una specie di teoria del complotto dietro tutto questo. Perché no? In fondo non sapevamo niente “sugli Dèi” che comandavano a bacchetta Cyrus e la sua sfoltita compagnia. Poteva trattarsi di qualsiasi cosa, tutto era così possibile, realizzabile, che mi mandava in confusione per l’ennesima volta sulle mie posizioni. Se avessi scoperto che i progetti dei vertici dei Victory fossero stati per me ideali, se mi fossero piaciuti, allora sarei passata dalla loro parte? Oppure no? C’era in gioco la mia vita ma anche la mia identità, che forse continuando a stare con le Forze del Bene non mi sarebbe mai stata chiara. Era un motivo egoistico ma terribilmente forte.
Volevo saperne di più, volevo che le cose apparissero più nitide e che fosse tutto più facile. Magari tutto no, per essere corretti; ma avrei voluto conoscere almeno le decisioni da prendere, la parte dalla quale stare, le intenzioni di entrambe le fazioni. Già, e se anche gli obbiettivi di Bellocchio fossero stati nascosti? Se anche lui fosse stato una marionetta di qualcun altro? Come avrei reagito in quel caso?
In quella marea di insicurezza sapevo solo di dover rimandare ai giorni dopo la chiacchierata con Bellocchio sugli “esse elle”, che sicuramente mi avrebbe riservato altre cose più o meno interessanti ed importanti.






Angolo ottuso di un'autrice ottusa
Oh la là ma quanto ho fatto presto! Bah neanche troppo.
Per un po' i capitoli saranno un po’ più corti, ve ne sarete accorti anche con questo; dopo la sequela di capitoli lunghi 10(+) pagine meglio una pausa di qualche chapter un minimo più breve, che dite? XD
Allora niente, io scappo. Ci vediamo il 10 con il Giornalino e negli stessi giorni con Ribellione.
Valete.
Ink

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Capitolo 22
*** XX - A presto ***


XX
A presto

 
Esse elle.
Quella sigla incomprensibile, per la cui decifrazione non avevo alcun indizio, era onnipresente nei miei pensieri da tre giorni e passa. Bellocchio se n’era dovuto andare via in un’altra base segreta in cui c’era bisogno di lui - che tipo di aiuto potesse dare non lo sapevo. Quindi ero rimasta sola con le mie ipotesi, tutte inverosimili e per gran parte prodotto di un attacco di nervosismo momentaneo che mi portava a scrivere sul foglio delle mie proposte le prime baggianate che mi venivano in mente. Ed erano davvero tante.
Non ero proprio sola, Oxygen era tornato e io ero contentissima di averlo di nuovo tutto per me. O quasi: le lezioni sia sue che di Rosso interferivano con il nostro rapporto, ma ringraziavo il cielo anche per quei pochi ma assicurati minuti della giornata che potevo passare a contatto con lui, oltre alle orette scarse in giro per il Monte Corona, incuranti di tutto e messi in ogni caso al sicuro dai nostri Pokémon.
Quando ero da sola e non avevo niente di meglio da fare riprendevo ad aggiornare la mia lista di ipotesi sugli esse elle. Lo facevo nel silenzio della biblioteca - sicuramente anche per esercitarmi a non sbraitare contro l’elenco di traduzioni che avevo davanti - ed erano uscite cose più o meno interessanti. Rileggendo si aveva un comico e pietoso climax, perché andavo dalle congetture più credibili ad altre che rasentavano l’assurdo.
“Sciocchi Lamentosi. Soggetti a Leucemie. Stupidi Lecchini. Sorpresi a Limonare. Sommo Lavaggio.”
Erano queste le ultime supposizioni che avevo fatto e una era più insensata dell’altra. Nei primi due o tre giorni quella sigla era stata una vera e propria ossessione; mi appuntavo ogni parola incontrata che iniziasse per S o L e cercavo una combinazione funzionante. Poi però avevo deciso di darci un taglio e avevo ripreso ad aspettare il ritorno di Bellocchio, anche se sicuramente non mi avrebbe detto nulla sul conto di essa.
Ma non avevo niente da perdere ed era meglio farlo, un tentativo. Magari si sarebbe lasciato sfuggire qualcosa. “Come se quelli della Polizia Internazionale fossero degli sprovveduti” mi dicevo subito dopo contrariata, ben sapendo infatti che Bellocchio, pur essendosi rivelato poco competente sotto alcuni aspetti, quando si trattava di mantenere un segreto e di starsene zitto era meglio chiedere informazioni ai cristalli multicolore che decoravano la base segreta. A proposito, quella bella parolina “segreto” inizia per S; era meglio tenerla in considerazione.
Il capo tornò con un paio di giorni di ritardo e, solo dopo essersi liberato di impicci vari che avevano la priorità, acconsentì a parlare un po’ con la scomoda Eleonora. Ma doveva rassegnarsi, io non demordevo. -Ero sicuro che saresti venuta a chiedermi qualcosa sul resoconto- disse ironicamente quando capì il motivo della mia visita.
-Be’, sì…- Esitai un momento. -E poi dovevo restituirglielo.
Mentre prendeva quel foglio stropicciato che gli porgevo, gli chiesi con schiettezza: -Chi sono gli esse elle?
-I S. L.- corresse lui automaticamente, forse non accorgendosi di avermi dato un certo aiuto. “Il campo di ricerca della parola si restringe!” pensai. Grazie, Bellocchio. -Sono quelli come te.
Fu a dir poco diretto, tanto che tentennai prima di ritrovare l’uso della parola; inizialmente emisi un timido e quasi inudibile “Oh”, poi borbottai: -Allora non posso sapere niente di loro… cioè, di noi.
-Eh no- confermò Bellocchio, affatto interessato alla conversazione: stava mettendo a posto la scrivania, come al solito ingombra delle più svariate scartoffie, cartelle e anche apparecchi elettronici. -Quindi, passando alle cose più serie: sei soddisfatta di questo elenco di eventi?- chiese poi, distrattamente.
-Abbastanza- feci in maniera volutamente disinteressata, poiché ero indispettita per il fallimento che non aveva tardato ad arrivare. -Però ancora mi stupisco che, con tutte le missioni organizzate in questi anni, si sia saputo così poco dei Victory per così tanto tempo. Insomma, qualche informazione veritiera dovrebbe pur essere arrivata.
-Alcune informazioni sono state veritiere solo per un certo periodo di tempo, finché il Nemico non ha cambiato qualcosa e ha distrutto ogni progresso fatto fino ad allora. La sai questa storia, no?- Notai che era più ironico del suo solito. Non era freddo e scocciato come la maggior parte delle volte. -Oppure i Victory hanno falsato senza troppi problemi le informazioni che poi sarebbero state raccolte dopo poco. Da molto tempo noi delle Forze del Bene non ci stupiamo più se qualcosa che credevamo di sapere poi viene smentito da un’altra scoperta, finché non ci siamo migliorati; finché loro non hanno iniziato a mostrarsi più deboli del solito era quasi una consuetudine rinvenire documenti, registrazioni e quant’altro che poi distruggevano ogni convinzione.
-E “noi delle Forze del Bene” siamo stati in grado di mettere il Victory Team un minimo in difficoltà o hanno fatto gli invincibili per fin troppo tempo?- chiesi con la stessa ironia.
-Non ti preoccupare, Eleonora, ci siamo fatti valere anche noi- rispose lui inarcando le sopracciglia, lanciandomi una veloce occhiata eloquente. Mi dissi che ne avevo abbastanza di quella scarna chiacchierata e decisi che era ora di andarmene un po’ per fatti miei, sperando di non dover più incontrare il brutto muso del capo per giorni.
Quasi subito dopo aver sbattuto la porta del suo ufficio dietro le mie spalle, mi arrivò con tempismo perfetto un messaggio da parte di Ilenia. Mi stupii abbastanza del suo contenuto, perché diceva di dovermi parlare. Dovevo raggiungerla fuori, all’esterno del Monte Corona; cosa ancora più strana poiché non sapevo che anche apprezzasse anche lei starsene in giro per il Monte e che, soprattutto, scegliesse le sue pendici perennemente innevate come luogo di un appuntamento in cui doveva comunicarmi qualcosa, a quanto pareva, di importante.
Non esitai a raggiungerla. Contrariamente a quello che facevo di solito, ovvero andarmene senza dire niente a nessuno, aprii con uno spiraglio la porta di Bellocchio e gli dissi che me ne sarei andata un attimo a spasso. Lo vidi rimanere un po’ perplesso, più per la mia comunicazione che per il suo contenuto; richiusi la porta e subito misi mano alla Ball di Altair, pronta a chiamarla per volare da Ilenia, che mi stava aspettando. Ripetemmo il percorso che ormai ci era così familiare per arrivare e, corricchiando per le vuote, ombrose e anche piuttosto lugubri stanze del Monte Corona, prima del solito mi ritrovai fuori da esso.
La ragazza era lì, non dovevo nemmeno cercarla da altre parti: si era fatta trovare facilmente alla prima uscita. La chiamai cercando di sovrastare il vento e lei si voltò. Le venni incontro: era seduta su una roccia che affiorava da un mare di erba alta, resistente anche a quel clima rigido, nivale. Restai parecchio perplessa per l’espressione che aveva, che quasi mai le avevo vista sul volto. Era infatti malinconica, se non addirittura triste. Gli occhi verdi della giovane adulta, che solitamente brillavano di allegria e arguzia, sorridenti e ironici, sembravano scendere in giù per quella tristezza diffusa anche nella sua postura ingobbita e nelle sopracciglia sottili.
-Ciao, Ele- salutò, talmente a bassa voce che faticai a sentirla. Tolsi un po’ di neve dalla roccia e mi sedetti anche io, proprio come avevo fatto con Daniel qualche tempo prima. -Come va?
-Io… non c’è male, direi. Tu invece hai una faccia…- risposi.
Arricciò amaramente le labbra rosee. -Già, ho un bel problema… che mi rende molto triste.- Le chiesi cosa stesse succedendo, perché stesse così male. Sospirò prima di parlare. -Devo partire per una missione.
-E allora? È difficile?- chiesi, non capendo come potesse una come lei avere l’umore abbattuto da qualcosa di simile. Insomma, Ilenia era sempre pronta a tutto, non si faceva problemi a lottare con il Nemico e nelle missioni sembrava a proprio agio anche quando era sola con la sua squadra di Pokémon. Per questo non riuscivo a capire come potesse essere triste per qualcosa che amava fare: le piaceva rendersi utile, pur sapendo che difficilmente il suo impegno sarebbe stato ripagato con qualche passo in avanti verso il successo sui Victory.
Lei finalmente ricambiò il mio sguardo insistente. Ero mortificata per il suo malessere, lei era la mia migliore amica e la mia sorellona. Per questo mi sentii ancora peggio quando in quegli occhi che conoscevo così bene, in cui mi piaceva specchiarmi perché mi sembrava che il mio lieve riflesso sorridesse insieme a loro, trovai una vera e propria nostalgia. Evidentemente non aveva alcuna voglia di partire in missione, ma perché?
-Devo andare a Johto, sai… è proprio una bella regione- esordì. -Ho sempre desiderato visitarla, fin da quando ero bambina mi raccontavano dei miti che circolavano su di essa ed ero affascinata da quel territorio esotico, pieno di storia e di luoghi da visitare. Be’…- Ridacchiò. Era un risolino falso e nervoso che le fece buttar fuori da sé stessa un po’ di ansia, se non di afflizione - qualunque cosa negativa provasse. Riprese: -Ecco, avrò tutto il tempo che vorrò per visitarla, anche se dovrò lavorare in ogni momento. Hanno deciso di farmi trasferire lì. Stabilmente.
-No…!
Esclamai più forte del previsto e battei le mani sulla roccia per la sorpresa. Ilenia aprì un po’ meglio gli occhi, stupita per la mia reazione, forse lusingata visto ciò che essa significava.
-Stabilmente? Vuoi dire che non tornerai più qui?- chiesi, stavolta con un filo di voce.
La fissavo pregandola con lo sguardo di dirmi che stava scherzando, che voleva solo vedere se ci tenevo a lei. E ci tenevo eccome. La mia sorellona non poteva andarsene così, non poteva lasciarmi sola nella base segreta: avevo bisogno della mia migliore amica, di una persona più grande ed esperta alla quale fare riferimento. Avevo bisogno del calore che solo il suo sguardo benevolo e gentile, scherzoso e pacato, poteva darmi nella freddezza della base segreta. Non mi interessava, in quel momento, di Oxygen e Daniel.
-Ele, mi dispiace così tanto…- mormorò, sorridendo di nuovo amaramente, ma più intenerita.
-Perché devi andare via?- la interruppi. Parlava troppo lentamente.
-Bellocchio si è finalmente accorto delle mie capacità come Allenatrice, a quanto pare. Gli è stato detto che sono una dei migliori nel gruppo di noi combattenti e ha verificato di persona. La spinta decisiva gliel’ha data Rosso, che ha confermato: sono uno degli elementi più promettenti. Per questo devo andare. Lì, inoltre, mi aspetta una cosa molto importante da fare, che sarà in un certo senso la mia prima missione.
Quando le chiesi in cosa consistesse, lei disse che non lo sapeva ancora. Le era stato accennato qualcosa ma le era anche stato imposto il silenzio, e non poteva proprio dirmelo. Quella volta non m’importò di sapere qualche segreto, volevo solo che lei trovasse un modo per non lasciarmi lì, nella penombra della base del Monte Corona. I messaggi sul PokéGear o qualche telefonata isolata non potevano colmare il vuoto che la sua partenza avrebbe lasciato, anche perché di rado saremmo riuscite a sentirci: già era difficile vederci di persona.
-Eleonora, non sai quanto io ti ringrazi per il tuo affetto- sorrise dopo minuti interi di conversazione, in cui io la pregavo di dirmi se esisteva una possibilità che lei potesse rimanere con me. -Ma non posso rifiutare, lo sai anche tu, e forse toccherà anche a te partire, un giorno, perché le tue capacità saranno richieste altrove.
-Allora chiederò di andare a Johto.
Lei ridacchiò e arrossì un pochino. -E che mi dici di Oxygen? E di Daniel?
Distolsi lo sguardo da lei. -Ilenia, con te è diverso. Non voglio fare distinzioni di sesso, ma tu sei una ragazza e sei mia sorella maggiore. È totalmente differente dal rapporto che ho con loro due. Uno è il mio fidanzato e per questo ho sempre paura di fare qualcosa che non vada bene per noi due, ho paura che mi giudichi e che disapprovi le mie azioni. Lo ha già fatto, ma per cose che per la nostra relazione erano poco importanti. L’altro è sì il mio migliore amico, però… te l’ho detto, lui è un maschio ed è più difficile parlarci che con te.
-Capisco- bisbigliò lei. Mi passò un braccio attorno alle spalle e io mi appoggiai su di lei, godendo quel contatto dolce e amichevole che andavo sempre cercando. -Ho deciso. Facciamo un patto.
-Un patto?- domandai sorpresa.
-Sì. Tu mi devi promettere che supererai le tue paure con Oxygen e che cercherai di renderlo felice, perché quel pover’uomo riceve troppa poca dolcezza da te, bimba.
Arrossii. -Insisti troppo su queste cose, Ile…
-Cerca di capirmi, io vi shippo. Siete la mia one true pairing!
-Mio Dio, Ilenia!- Scoppiai a ridere, seguita subito da lei. Era una risata sincera, finalmente, e la sua era bella e contagiosa. Anche quando finimmo sul suo bel viso rimaneva l’ombra di un sorriso dolce, piacevole da guardare.
-D’accordo. Te lo prometto, romanticona. E tu cosa farai?
Mi abbracciò con decisione, cogliendomi un po’ di sorpresa, ma mi fece piacere. Ricambiai e fui invasa di nuovo da una profonda tristezza, che pareva essere stata cancellata per qualche istante dalla risata di vero divertimento che lei aveva scatenato in me. Sentii improvvisamente il bisogno di piangere sulla sua spalla, di affondare il naso nella morbida sciarpa di lana che le avvolgeva il collo esile e lungo. Forse piangendo lei sarebbe rimasta.
No. Mi sentii infantile al pensiero. Le lacrime non sarebbero servite a nulla, se non a sfogare i sentimenti che in quel momento mi stavano opprimendo. Allora era meglio non mostrarmi debole davanti a lei, che era così forte e coraggiosa e sempre pronta ad affrontare ogni ostacolo con anima e corpo, impegnandosi insieme alla sua squadra di Pokémon. Lei era il fuoco che bruciava e che animava lo spirito del suo prossimo.
Io invece cos’ero? Volevo essere fuoco come lei. O meglio, volevo tornare ad esserlo, perché prima che in me avvenisse il drammatico cambiamento che non ero riuscita ad impedire, di cui non mi ero accorta finché esso non mi aveva travolta, prima anche in me ardeva quella fiamma di vitalità e di energia che spingeva ogni mia azione.
-Io ti prometto che ci rivedremo. Ci ritroveremo presto.
Sciogliemmo quella stretta affettuosa. Non riuscii più a trattenere qualche lacrima, che quasi gelò per il freddo dell’inverno che stava arrivando, quando vidi il suo volto totalmente bagnato. Sorrideva.

Ilenia partì quella stessa mattina. Fu la prima ad andarsene dal Monte Corona con la scusa del doversi ancora preparare, ma probabilmente non riusciva più a sostenere il peso della conversazione che avevamo conclusa e dei miei occhi quasi spaventati alla vista delle sue lacrime. Non avrei mai immaginato di poterla vedere piangere.
Ma era umana anche lei. La consideravo l’immagine umana del fuoco, ma doveva aver accumulato in anni di addestramento più dolori e ferite di quelli che avevo provato io sulla mia pelle, nel mio cuore. Probabilmente pure a lei era stato portato via qualcosa dai Victory; forse la famiglia come era successo a me, forse un Pokémon a cui si era affezionata, forse il diritto a vivere una vita da normale Allenatrice, aspirante Capopalestra di Fuoco. Era quello il suo desiderio, voleva aprire una sua Palestra o magari succedere a grandi come Blaine, che era morto da anni e che nessuno aveva rimpiazzato, o Fiammetta. Oppure Vulcano, il Superquattro, che però era dei Victory.
Ilenia aveva avuto ogni diritto di lasciarsi andare, di piangere per la rabbia, la tristezza, il dolore che per così tanto tempo aveva tenuto dentro di sé pur di apparire agli altri come una giovane donna spensierata, piena di vita e di energia da offrire, di allegria da regalare e di sorrisi meravigliosi. Eppure neanche quella volta si era concessa di gridare la sua frustrazione, piangendo in silenzio e subito scappando via, dicendomi definitivamente addio.
Forse era “solo” un arrivederci. Ma che la mia sorellona se ne fosse andata per me equivaleva ad un mero addio raddolcito dalla speranza, non del tutto spenta, che prima o poi saremmo tornate insieme. Ci saremmo abbracciate e l’una avrebbe detto all’altra quanto le era mancata per quelle settimane, mesi, anni che erano state separate. Mi mancava così tanto anche solo a partire dal giorno dopo. La base segreta sembrava vuota senza di lei.
Iniziai a parlare di più con Sara, ma la sua riservatezza mi impediva di costruire un rapporto che mi aiutasse a superare la perdita, fosse essa momentanea o no. Mi aiutarono molto Oxygen e Daniel. Il mio amico lo fece con gli scherzi e la vitalità che somigliava così tanto a quella di Ilenia e che mi fece ritrovare un po’ di lei nel mio amico, che subito divenne molto più speciale di quanto avevo deciso fosse fino ad allora. Anche lui aveva un po’ di fuoco in sé e sicuramente anche lui aveva bisogno di piangere per qualche motivo, ma si ostinava a non farlo e dava il meglio di sé per mostrarsi sicuro, stabile e disponibile. Gli avrei voluto consigliare di sfogarsi appena avesse voluto, magari anche con me, perché avrei tanto voluto essere anche io il calore del fuoco rassicurante e vivido.
Oxygen invece aveva la gentilezza e la dolcezza di lei. Quando me ne resi conto mi parve di amarlo ancora di più e decisi di impegnarmi a fondo per mantenere la promessa fatta a Ilenia. Cominciai a chiamarlo senza farmi alcun problema amore mio, fui più dolce e amabile in ogni occasione e persino lui che iniziava a sembrare un po’ rigido - probabilmente perché io ero stata abbastanza fredda - si sciolse nuovamente. Ci impegnammo di più per ritagliare un po’ del nostro tempo per stare insieme, per parlare, e ritrovando in lui parte della mia sorellona non ebbi più alcuna riluttanza a parlare. Fui più naturale, più determinata. Migliore, almeno in questo.
Un giorno di inizio dicembre Bellocchio mi mandò a chiamare. Era da un po’ che non lo incontravo e quella convocazione sapeva di missione. Non sbagliai.
-Partirai insieme a Sara, Lorenzo…- fece altri due nomi di due ragazzi che dimenticai praticamente subito. Ma rivedere Lorenzo mi faceva piacere: era un ragazzo simpatico ed ero andata in missione con lui solo una volta, era stata la mia prima in assoluto. Gli incontri da allora erano stati molto radi ma avevamo mantenuto i contatti, un po’, grazie a delle amicizie in comune. Partire con Sara, invece, mi infondeva una certa sicurezza. Mi fidavo di lei.
-La missione si svolgerà entro i confini di Sinnoh- continuò lui. -Andrete nella base nemica più grande di cui abbiamo grosso modo individuato la posizione. Si trova all’interno di Via Vittoria ed è abbastanza complicato raggiungerla, per questo motivo la vostra squadra conta eccezionalmente di due esploratori. Ti voglio avvisare subito, Eleonora, nella speranza che almeno tu sia preparata. Con ogni probabilità incontrerai Cyrus.
Trasalii. Che almeno io fossi preparata… si riferiva sicuramente a Camille e alla sua reazione inaccettabile sotto ogni punto di vita. Subito dopo disse, turbandomi ancora di più: -Avrei voluto riprovare a mandare Camille in missione, approfittando della tua presenza che avrebbe dovuto tenerla a bada, ma non riesco a rintracciarla.
Riprese senza approfondire ulteriormente la questione della ragazza a illustrarmi i dettagli della missione, che io ignorai quella volta. Me li sarei fatti ripetere da Sara o Lorenzo, avevo qualcos’altro adesso a cui pensare. Come era possibile che Bellocchio sorvolasse tranquillamente, quasi con leggerezza, il fatto che Camille non si trovasse da nessuna parte? Poteva pure aver iniziato a fregarsene di lei, ma possibile che non indagasse sulla sua sparizione improvvisa? Era troppo difficile da credere, qualcosa non andava. Eppure lui non mi chiese nulla.
-Tutto chiaro?- domandò distrattamente alla fine del suo racconto.
Ci misi qualche secondo a ritrovare la voce. Lui subito disse che comprendeva il mio turbamento, che rivedere Cyrus doveva essere per me un brutto colpo, ma voleva mettermi alla prova anche perché, mi confidò, era sicuro abbastanza che io riuscissi a controllarmi e che Rosso - il quale, a quanto pareva, consultava spesso - lo aveva informato di grandi passi in avanti fatti da me e che gli dispiaceva non vedermi più a lezione. Anche questo mi parve impossibile, ma in quel momento avevo un’altra preoccupazione.
-Ho capito- risposi alla domanda di prima, interrompendolo. Era abbastanza chiacchierone quel giorno. -Mi scusi, Bellocchio, ma c’è una cosa che non mi è molto chiara.- Mi fece cenno di proseguire. Mi sporsi in avanti e, dopo una breve pausa ad effetto, gli sussurrai guardandolo negli occhi: -Dov’è Camille?
Sulle prime lui parve agitarsi e boccheggiò, comprendendo qualcosa di grave. Ma poi si spense e mi rispose con un semplice “Non lo so” che mi lasciò a bocca aperta. Insistetti ma notai che c’era qualcosa che non andava affatto. Sembrava sul punto di addormentarsi, addirittura di cadere in trance. Aveva gli occhi vitrei e il tono di voce basso.
Uscii, quindi, chiedendomi cosa gli prendesse così all’improvviso.





Si ringrazia cortesemente l'illustr(at)issima collega AuraNera_ per il suggerimento "Sommo Lavaggio".

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Capitolo 23
*** XXI - Faccia a faccia ***


XXI
Faccia a faccia

Saremmo partiti dalla Vetta Lancia. Lo avremmo fatto in via del tutto eccezionale, perché com’era risaputo da ogni individuo all’interno della base segreta, quella era una zona altamente sorvegliata a cui era vietato accedere. Solo da lì, infatti, saremmo riusciti a individuare con relativa facilità la posizione di Via Vittoria, sommersa da un banco di nebbia che persisteva da anni: altro non era che una barriera che separava quel luogo, pullulante di vari Pokémon e di Allenatori - Victory e non, dal mondo “comune”. Non avevo chiesto a Sara o a Lorenzo quale fosse il nostro obbiettivo, che non avevo afferrato dalle parole di Bellocchio, concentrata sul suo strano comportamento.
Oxygen non era contento di vedermi partire per una missione tanto rischiosa. Sapeva bene del rapporto di odio incondizionato tra me e Cyrus e mi chiese se mi sentissi pronta per qualcosa del genere, se fosse il caso di andare a fronteggiare una persona che mi avrebbe fatta impazzire. Non lo disse esplicitamente ma dal suo tono si capiva che pensava questo. Non aveva tutti i torti: la voce rauca e freddamente divertita del Generale mi infastidiva e mi irritava fino a farmi perdere il controllo della rabbia. Magari gli avrei dato una lezione in una lotta Pokémon.
-Come sei apprensivo!- borbottai alla sua ennesima preoccupazione. Eravamo fuori dal Monte Corona; io ero seduta sulle sue gambe e appoggiavo la mia schiena sul suo petto.
-Non posso non preoccuparmi se devi fare qualcosa del genere- mormorò lui. Mi cinse la vita con le braccia e un piacevole brivido emozionato mi percorse da capo a piedi; posai una mano sulle sue, le cui dita erano intrecciate.
D’altra parte sapevo bene che quella missione lo impensieriva quasi quanto lo faceva con me. Il fatto che tenesse tanto a me mi faceva arrossire per l’imbarazzo e il piacere. Non era passato molto tempo da quando ci eravamo messi assieme, ma sembravano trascorsi mesi per tutta la fiducia che riponevamo l’uno nell’altra - da parte mia quasi improvvisa, dovevo anche mantenere la promessa fatta ad Ilenia, che più che altro mi aveva aperto gli occhi su quanto mi dovessi impegnare come ragazza. Probabilmente tanto affetto era dovuto alla guerra: ci obbligava a legarci il più possibile a qualcuno su cui sapevamo di poter contare, e non mostravamo più riserve.
-Allora vieni anche tu. Mi sentirei molto più al sicuro se ci fossi.
-Ci ho provato, amore, davvero. Ho chiesto a Bellocchio di potervi accompagnare nel caso in cui la missione si fosse rivelata troppo difficile senza un accompagnatore più esperto. Ma lui ha detto che la squadra andava bene così e che, a parte Cyrus, non c’era niente che non si potesse fare senza l’aiuto di un maestro.
Sbuffai contrariata. Se non avessi avuto il collo avvolto dalla sciarpa, avrei sentito il suo respiro sulla pelle: il naso di Oxygen sprofondava nella lana. Lui aggiunse: -Mi ha pure dato un incarico che devo svolgere con Argon e Kripton. Speriamo che non duri troppo, la tua missione ti farà stare via solo un giorno.
-Già, proprio una toccata e fuga. Meglio così- commentai. Gli avevo tolto gli occhiali poco prima e quando gli avevo chiesto cosa vedesse, mi aveva detto due striscie, i cui contorni erano confusi, una bianca e una rossa. Rispettivamente il mare di nebbia sull’orizzonte e la mia sciarpa. Avevo iniziato a ridacchiare come una cretina e continuavo a giocherellare con i suoi occhiali, mettendomeli e togliendoli dopo qualche frazione di secondo per il mal di testa che già mi stavano procurando. Mi ero fidanzata con una talpa.
-Spero che non sia domani, visto che io devo andar via per qualche giorno da dopodomani.
-Lo spero anch’io- sorrisi, abbassando la voce. Lui grugnì qualcosa e mi lasciò continuare; il mio tono di voce mutò istantaneamente, facendosi più forte: -Piuttosto, cos’è ‘sta storia che Rosso mi considera uno degli elementi migliori del nostro gruppo?- gli chiesi, mettendo gli occhiali sui miei capelli.
-Io te lo avevo detto che non pretendeva miracoli, scema.
-Sì, ma che così di punto in bianco io scopra che alla fine gli vado bene non mi piace. Insomma, poteva dirmelo prima!- protestai. -E già che c’è, potrebbe spiegarmi cos’è l’intesa di cui parla. La situazione con alcuni della mia squadra sta migliorando e Nightmare è il Pokémon ideale, ma ancora non ci arrivo.
-Chiediglielo, no?
-Tu credi davvero che mi risponderebbe?
-Tanto vale provarci. In fondo nessuno di voi gli ha mai chiesto nulla, ve ne siete stati tutti zitti a insultarlo in altri momenti per il suo caratteraccio. Magari qualcosa te lo direbbe.
-Forse hai ragione- mormorai dopo qualche secondo. Gli restituii i suoi amati occhiali e lui mi mollò un bacio sulla guancia per ringraziarmi. -Però mi chiedo se non si sia sbagliato. Magari crede che io abbia trovato l’intesa con i miei Pokémon e invece non è così, spesso non mi va bene quello che fanno.
-Può darsi che tu sia semplicemente il meno peggio nel gruppo- disse lui con aria disinteressata. Immaginai che stesse sorridendo e gli diedi una leggera gomitata. -Dopo la missione riprenderai ad allenarti, vero?
Sapeva che molto probabilmente l’avrei fatto. Era meglio continuare ad esercitarsi piuttosto che lasciar perdere tutto e fingere di non avere bisogno di nulla. Però feci la sostenuta per non dargliela vinta. -Solo se qualcuno mi spiegherà cos’è la famosa intesa e se vedrò qualche progresso sia in me, sia nei miei Pokémon!
Continuammo a ciarlare di questo per un po’, finché le parole per l’argomento non si esaurirono e ci toccò trovarne un altro. Senza un vero motivo, gli chiesi: -Secondo te per cosa potrebbe stare la sigla esse elle?
-Esse… elle?- Annuii. Lui stette un po’ in silenzio a pensare. -Al momento non mi viene in mente nulla…
-Mmh, immagino- dissi facendo spallucce.
-Perché me lo hai chiesto?- Gli raccontai del resoconto ricevuto da Bellocchio e di quelle lettere puntate per le quali non trovavo neanche un significato convincente. Non gli dissi del fatto che anche io fossi una esse elle. -Oh, bene. Se riguarda Bellocchio allora è meglio lasciar perdere, tesoro.
-Ma io voglio sapere cosa sono “i” esse elle…
-Stai diventando una vecchia impicciona.

Ero sinceramente rasserenata dalla presenza di Sara e Lorenzo, me ne convincevo in ogni momento che passava durante il viaggio alla volta di Via Vittoria. La ragazza volava sul suo fidato Noivern, l’altro su Salamence: tanto per essere in tema con il tipo Drago, decisi di farmi portare da Altair anziché da Diamond. Gli altri due anonimi ragazzi erano dietro di noi e parlottavano tra di loro; si facevano sentire solo se interpellati o se c’era qualcosa di importante che Lorenzo doveva dire loro. Era a lui e Sara che Bellocchio aveva formalmente affidato la missione.
Cercai di distrarmi il più possibile e grazie a loro ci riuscii quasi del tutto, ma il fatto di poter incontrare Cyrus una volta arrivati infestava i miei pensieri e nei momenti di silenzio ero sola con quell’angoscia. Ancora non ero sicura di aver trovato una spiegazione plausibile alla paura che quell’uomo mi faceva: forse perché era il lato più malvagio e oscuro dei Victory, forse perché essendo stato il primo nemico incontrato era l’unico a cui non avevo fatto “l’abitudine” - visto che Elisio non mi aveva fatto una grande impressione; oppure perché conosceva il mio segreto e avevo paura che lo sfruttasse nei modi peggiori, perciò mi sentivo costantemente minacciata.
Probabilmente avevo paura di lui per tutti questi motivi, nessuno più importante rispetto agli altri e nessuno meno, ma ogni tanto avevo qualche dubbio sulla provenienza di quest’emozione.
Sara sorrideva pacatamente con gli occhi cangianti velati di quella solida e solita malinconia. Lorenzo sembrava un po’ agitato ma dopo un po’ riuscì a rilassarsi sul comodo dorso del suo drago, poi scattò all’erta e divenne terribilmente serio quando Via Vittoria si fece intravedere attraverso il banco di fitta nebbia.
La luce del pallido Sole autunnale c’investì quando attraversammo le barriere che la separavano da gran parte di Sinnoh. Una cascata di dimensioni spropositate era l’ultimo ostacolo per arrivare ad essa dopo chilometri e chilometri di mare. La maestosa sede della Lega Pokémon, nel grande castello realizzato in uno stile simile al gotico, appariva tetra e priva di cure a causa del grigiore dei muri esterni. Le vetrate sgargianti parevano scolorite e in più punti il vetro si era frantumato, non necessariamente per un intervento umano.
-È abbandonata- mormorai rabbuiata tra me e me. La mia constatazione era poco meno che ovvia ma mi dispiaceva vedere il palazzo della Lega ridotto in quelle misere condizioni. Me lo sarei aspettata più sontuoso e ben tenuto, ma effettivamente chi mai si sarebbe sognato di rimanere in quel luogo isolato in tempi simili?
Iniziammo la nostra discesa verso l’entrata di Via Vittoria. Atterrammo davanti all’ingresso, un’apertura nella parete di roccia piuttosto grande. Era sovrastata da una piccola Poké Ball incavata nella pietra che le intemperie avevano reso stilizzata e quasi indistinguibile, se non si conosceva quel simbolo.
Come c’era da aspettarsi non incontrammo alcun Pokémon selvatico. Era un peccato, oltre a vivacizzare la zona e a darci un motivo di distrazione mi sarebbe piaciuto combattere contro i numerosi esemplari che lì vivevano e che nei libri dell’Accademia erano sempre descritti come molto forti e furbi. Camminavamo in silenzio, ogni tanto ci scambiavamo delle occhiate insicure o d’intesa a seconda della persona con cui uno lo faceva; il sorriso calmo e cauto di Sara era scomparso e ora la ragazza sembrava severa. I suoi passi erano i più felpati del gruppo, le sue scarpe - ballerine vecchio stile, a discapito del clima freddo - parevano non produrre alcun suono.
Il nostro problema era che non avevamo idea di dove si trovasse l’entrata per la base nemica, così come l’altra volta con la missione con Camille. Attraverso di noi - non sapevo bene come avrebbero fatto, quelli alla base segreta avrebbero analizzato l’ambiente circostante: se ci fosse stato qualcosa sospettato come porta d’accesso nel territorio nemico, ce lo avrebbero comunicato e saremmo andati a controllare tutti insieme.
Ma fummo costretti a rivedere i nostri piani. Girammo praticamente a vuoto per il piano terra di Via Vittoria e, quando Lorenzo lo comunicò alla base segreta, subito ci fu ordinato di dividerci per ispezionare il piano superiore e quello inferiore. Il ragazzo mandò me e Sara con uno dei due che non conoscevo e lui sarebbe andato con l’altro. La loro coppia se ne andò di sopra; noi li accompagnammo per un pezzo finché non ci dividemmo.
Scendemmo una rampa di scale umide e scivolose, scavate nella roccia, e ci ritrovammo in una delle stanze più strane di cui Via Vittoria fosse composta. Era disseminata di laghetti intervallati da striscie di terra che non mi sembravano granché stabili; molto numerosi erano i fiumiciattoli, originati da sorgenti che sbucavano dalle pareti di roccia, e c’era qualche cascatella che produceva un inquieto fruscio, il quale fungeva da sottofondo alla nostra esplorazione. A occhio e croce - il terreno era in depressione in alcuni punti, perciò dalla zona sopraelevata su cui ci trovavamo si poteva vedere abbastanza bene - il percorso e la disposizione dei torrenti sotterranei era una specie di strada a senso unico che alla fine portava sempre allo stesso punto: quello di partenza nel quale ci trovavamo.
Mettemmo mano alle Poké Ball dei nostri Pokémon d’Acqua. Mi pareva passato tantissimo tempo da che non facevo uscire dalla sua sfera Saphira, la mia Kingdra; Sara si affidò a Vaporeon e l’alleato sconosciuto a un Lapras. Non parlavamo tra di noi e la cosa, seppur sgradevole, al momento era necessaria per non farci individuare dal nemico. Quando ci era possibile usavamo i gesti per indicare la direzione. Probabilmente girammo in tondo seguendo il medesimo percorso per tre volte, ma dalla base segreta non ci arrivava alcuna notizia.
Ci dicevano di aspettare perché stavano controllando e ci consigliarono di procedere con maggiore lentezza per analizzare meglio la zona: forse, anzi, sicuramente ci avevano appiccicato delle telecamere addosso perché noi fossimo i loro occhi e potessero dirci dove provare ad entrare. -Secondo voi quale potrebbe essere una possibile entrata?- La voce del nostro compagno risuonò sopra lo scrosciare delle cascatelle. Il suo tono mi parve beffardo.
-Non ne ho idea- risposi abbastanza distrattamente. -Perché, tu hai qualche proposta?
-No, certo che no. Però se voi aveste avuto un’idea sarebbe stato più semplice, no?- replicò.
Prima di spostare il mio sguardo su di lui, lanciai un’occhiata a Sara. Il suo viso concentrato e corrucciato e il suo ostinato silenzio in quella breve discussione valevano più di mille parole, anche se sulle prime non riuscii a capire cosa la turbasse, perché palesemente qualcosa secondo lei non andava: rispose con uno sguardo sfuggente color ghiaccio al mio e si mordicchiò le labbra sottili. Forse era solo preoccupata per i giri a vuoto che stavamo facendo accompagnati dai nostri Pokémon Acqua, che placidamente facevano Surf.
Poi girai un po’ la testa per guardare in faccia il compagno. Pensai che fosse solo una mia impressione o una paranoia, ma l’ombra di un sorrisetto sul suo viso magro e affilato confermava la precedente sensazione: un tono eccessivamente beffardo della sua voce acuta. Non ricambiava il mio sguardo insistente.
-Qual è il tuo nome?- gli chiesi.
-Jules.- Annuii in risposta e mi voltai. Peccato che non mi ricordassi dei nomi che Bellocchio ci aveva dato, perché quel tipo mi pareva poco affidabile. Mi sentivo la schiena, le spalle e soprattutto i miei movimenti e quelli di Saphira costantemente osservati, e il fatto che lui stesse più indietro rispetto a noi non mi faceva piacere. Perciò, senza che mi preoccupassi delle impressioni che sarebbero sorte, lasciai Sara in testa al gruppetto e Kingdra rallentò per portarsi accanto a Lapras. -Se tu fossi il nemico, in una stanza del genere dove fonderesti la tua base?
Jules inarcò leggermente le sopracciglia e mi lanciò un’occhiata di traverso, come a considerarmi stupida per la domanda che gli avevo posto. -Cos’è, uno scherzo?- fece scorbutico. Io scrollai le spalle, sorridendo gentilmente, e lui disse: -In un luogo del genere c’è solo l’imbarazzo della scelta.
-Creeresti un ingresso sott’acqua?- insistetti.
Quella volta non mi guardò. Sperai ardentemente che i suoi occhi si fossero spalancati per quella frazione di secondo non solo per una mia impressione, ma veramente. -Non è male come idea- fece a bassa voce.
Poi aspettai che fosse lui a riprendere la parola. Vidi Sara girarsi una volta a guardarmi e in quel momento capii che nemmeno lei, come me, era del tutto convinta di quel tipo.
-Sai, nemmeno io ricordo il tuo nome. Come ti chiami?
Sorrisi impercettibilmente e dissi: -Francesca.
Lui invece ghignò vistosamente. -Bugiarda.
-Sei tu quello che mente.- L’intervento brusco e repentino di Sara fece ammutolire sia me che il diretto interessato, che a quanto pareva o voleva prenderci in giro, o aveva qualcosa da nascondere - come avevamo pensato sia io che lei. Però era tutto ancora molto in dubbio e forse stavamo andando ad accanirci su qualcuno che aveva semplicemente voglia di alleggerire la tensione, pur facendolo in un modo parecchio sospetto. Per come eravamo fatte noi due, con molta difficoltà ci saremmo fidate e avremmo lasciato correre.
-Perché dovrei star mentendo?- fece lui simulando ingenuità. I nostri Pokémon si erano fermati e Sara si era girata a fronteggiarlo. Saphira e Vaporen scrutavano accusatoriamente il Lapras che sorrideva bonario.
-Perché i vostri nomi, il tuo e quello dell’altro compagno, me li ricordo bene- ribatté lei in sussurro gelido. -Tu sei Michael e lui James. Io e Lorenzo abbiamo controllato i profili di tutti prima di partire, di noi due capigruppo e di lei compresi- aggiunse rivolgendo un gesto secco con la testa verso di me.
Un breve silenzio seguì le sue parole. Presi la sfera di Altair nel caso in cui si fosse rivelata utile. Poi Michael, in un sibilo appena udibile, fece: -Non credevo che Bellocchio vi lasciasse fare indagini così accurate…
-E invece ce le ha fatte fare proprio per i sospetti numerosi sul tuo conto- disse con fredda fermezza Sara.
In un momento Michael si ritrovò sospeso a mezz’aria, afferrato per le spalle dalle zampe di Altair. Gli artigli di lei non erano affatto taglienti né minacciosi ma andavano bene per procurargli un certo dolore, nonostante la pesante giacca invernale simile a quella che noi indossavamo. Il falso alleato lanciò un gridolino sorpreso.
-Per essere del nemico non sei particolarmente furbo- commentai, gelida proprio come la mia amica, mentre Saphira abbatteva Lapras grazie all’aiuto di Vaporeon. -Cosa ce ne facciamo di lui?- domandai a Sara.
-L’essenziale è che non raggiunga gli altri Victory. Bellocchio ha assicurato che non c’era possibilità che fosse già in contatto con i suoi all’interno della base segreta: è arrivato da noi un paio di mesi fa e gli è stato tolto tutto, hanno fatto ogni tipo di controlli e hanno accertato che avrebbe trasmesso le informazioni… oggi, probabilmente.
-Cioè appena gli fosse stato possibile ricongiungersi ai suoi?
La ragazza annuì, continuando a guardare Michael che si dimenava pietosamente e lanciava imprecazioni. Ci lanciò un’occhiata di sdegno e ci maledisse più volte, ammettendo che se non fosse stato in acqua sarebbe scappato facilmente appena l’occasione si fosse presentata. Feci spallucce e replicai che era troppo stupido e incapace di suo e che le sue prestazioni di fuga non dipendevano da dove si trovasse.
-Stai zitta!- sbraitò. -Tu, invece, capogruppo dai capelli di un’ottantenne! Come fa Bellocchio e la sua squadra di idioti a credere che io non fossi già in contatto con i Victory?!
-Io mi fido di Bellocchio- mormorò Sara. Be’, io non proprio, ma per quanto riguardava quegli argomenti chiudevo un occhio sperando che lei facesse bene a riporre le sue speranze nel capo.
-Potresti anche ammetterlo ora, tanto ridotto in uno stato simile non puoi fare molto- dissi.
-Ti ho detto di sta…- Un improvviso Dragospiro di Altair gli bruciacchiò qualche ciuffo dei suoi capelli castano scuro: fu lui ad essere zittito. Nel frattempo Sara contattava sia Lorenzo che la base segreta chiedendo istruzioni.
Eravamo rimaste in due. Non mi stavo agitando, o meglio: il cuore aveva preso a battere più velocemente non appena avevo avuto la conferma dell’identità malvagia di Michael e avevo paura che avesse già trasmesso qualche informazione di troppo ai Victory. Si era un po’ calmato grazie alle parole di Sara e avevo deciso di imitare la sua freddezza per mantenermi, almeno in apparenza, controllata e pronta al peggio. Ero più che altro impaziente di agire per capire cosa farcene del traditore. Ma Sara spalancò gli occhi e capii che qualcosa non andava.
-Sta arrivando qualcuno- mormorò. -Lascia cadere Michael in acqua, Lapras è fuori gioco.
Le mani le tremavano visibilmente e iniziai ad avere paura anche io. Mai l’avevo vista così. Feci rientrare Altair nella sua Ball e Michael con un grido cadde in acqua; si aggrappò alla roccia, terrorizzato e infreddolito, mentre noi tornavamo sulla terraferma e chiamavamo Pokémon più adatti a un combattimento via terra.
-Chi… chi arriva?- esclamò il ragazzo. Non ottenne risposta. Il Lucario di Sara e Aramis guardavano nella direzione opposta alla nostra, rivolta allo specchio d’acqua nel quale sguazzava miseramente Michael il traditore.
Entrambi i nostri Pokémon esclamarono confusamente qualcosa e noi ci voltammo allarmate, in tempo per vedere due Gyarados infuriati emergere da un altro lago sotterraneo. Ci bastò un’occhiata per riconoscere le divise firmate Victory che i nemici indossavano e un altro sguardo per riconoscere Giovia e Saturno, due Capitani del nemico. Digrignai i denti e mi preparai allo scontro: meglio loro che Cyrus, d’altra parte.
-Ah! Due delle prede preferite!- ghignò la donna dai capelli viola. -Vi siete divisi in gruppi in un modo pessimo, lasciatevelo dire. Che avevate in testa quando vi siete separati?
“Sicuramente non la segatura che hai tu al posto del cervello” ringhiai mentalmente nel sentire la sua odiosa risata ottusa amplificata dall’insistente eco. Lucario e Aramis scattarono, correndo lungo i punti delle pareti di roccia meno ripidi che potessero trovare. In alcuni momenti lanciavano attacchi a distanza che distraessero i Gyarados e li costringessero ad avvicinarsi alla terraferma dalla riva opposta alla nostra; i Capitani si fecero accompagnare dai loro Honchkrow sulla striscia di terra su cui ci trovavamo io e Sara e, ridendo malevolmente, ci attaccarono quando non avevamo fatto nemmeno in tempo a chiamare altri rinforzi.
Scartammo di lato per evitare i due uccelli e quasi cascammo in acqua; Diamond e Noivern accorsero in nostro aiuto e nella lotta aerea furono i nostri Pokémon ad avere la meglio. Forse i gradi più alti dei Victory erano degli ossi duri ma non si poteva dire che gli altri potessero essere presi sul serio. Cattiveria ne avevano, però come Allenatori erano abbastanza fallimentari. La sconfitta però non pareva turbarli, il che non mi piaceva.
Le coppie di Gyarados e Honchkrow furono messe al tappeto. Aramis e Lucario tornarono nelle rispettive sfere e restammo soli, per qualche minuto, a fronteggiarci. Giovia per un po’ si interessò dei suoi lunghi capelli bagnati mentre Saturno se li riavviò e si rese disponibile alla conversazione. -Il motivo per il quale siete venuti?- chiese.
-Come se ve lo venissimo a dire- ribattei.
-Mi ricordo di voi due- intervenne poi la donna distrattamente. -Avete spento la centrale di Flemminia. Cyrus ci teneva a farvi i complimenti per la missione suicida a cui avevate preso parte, è stato uno dei colpi peggiori che noi Victory abbiamo incassato, economicamente parlando. Ma non per questo ci avete procurato qualche ferita.
Già iniziavano a provocarci: era evidente che volevano prendere tempo. Per questo Sara decise di sbrigarla in fretta. Noivern si scagliò contro di loro, più per spaventarli e metterli in fuga che per far loro del male, ma come c’era da aspettarsi si ritrovò a combattere contro il Toxicroak di Saturno, che spiccava salti ammirevoli per cercare di ferirlo. Diamond dovette difendermi dal Bronzong di Giovia, che si rivelò essere più forte di quanto mi ero abituata a considerare i suoi Pokémon. Le sue difese non indifferenti mi costrinsero ad uno svelto cambio con Nightmare, il quale riuscì a fronteggiarlo e ad abbatterlo con successo.
-Spiritomb, eh? Vai, Golbat!- Il fatto che Giovia e Saturno dessero ordini a voce alta dava la possibilità ai nostri Pokémon, allenati nel silenzio delle lezioni di Rosso, di intercettare facilmente le loro intenzioni e di sconfiggerli con poche mosse. Nightmare riuscì a costringere Golbat a posarsi a terra e lì lo colpì con la sua Ipnosi dai cerchi concentrici, per poi rimettersi in sesto e contemporaneamente batterlo grazie ad un unico Mangiasogni.
Più o meno tutti gli scontri andarono avanti così. Noivern alla fine cedette e Nightmare completò l’opera al suo posto, ma lo Spiritomb era riuscito a conservare quasi tutte le energie anche grazie a Mangiasogni.
-Siete state allenate bene, ma questo basterà?- ghignò Saturno. Qualcosa mi diceva malignamente che non ero desiderosa di sapere per cosa potessero bastare i nostri allenamenti, anche se mi ero già fatta un’idea.
Mi voltai verso di Sara aprendo bocca, ma lei si accorse del brusco movimento che avevo fatto in preda ad una crescente agitazione: portò il dito indice davanti alla bocca dalle labbra sottili e perennemente screpolate, appena appena visibili a causa del pallore che le fondeva con la pelle diafana. Non dovevamo parlare né parlarci. Non avrei mai creduto che evitare qualcosa del genere potesse essere tanto difficile.
Dovevo stringere i denti; d’altra parte ero stata allenata per questo e non dovevo farmi prendere dal panico in un momento simile. Il presentimento che Cyrus fosse in arrivo, però, metteva duramente alla prova il mio fragile autocontrollo. Non ero sicura di essere pronta a tutto come invece sembrava la mia gelida, seria compagna.
Gli occhi di Sara fissavano i nemici senza mai perderli di vista. Per la prima volta li vidi cambiare colore da un momento all’altro: il celeste chiarissimo delle iridi si macchiò visibilmente di rosso e il colore dilagò per la superficie di esse. Ebbe una strana reazione: strinse i pugni e digrignò i denti, chiamando nuovamente Lucario e ordinandogli di attaccare, senza specificare il bersaglio. Era però intuibile che l’obbiettivo fossero i due Capitani: si difesero dalle Forzasfera del Pokémon con Skuntank e il Golbat di Saturno. La aiutai con Aramis e in breve anche loro finirono K.O.: le nostre forze erano nettamente superiori alle loro.
Ricevetti una chiamata sul PokéGear da Lorenzo, che evidentemente aveva preferito non disturbare l’altro capo della squadra. -Abbiamo appena sconfitto Martes- disse, sensibilmente turbato. -Da voi che succede?
-Stiamo finendo di battere Giovia e Saturno- mormorai con voce tremante. -Sbrigatevi ad arrivare. Cercherò di mandarvi un segnale della nostra posizione nella sala.
-Michael che sta facendo?
-Abbiamo provato che è un traditore.- Poi mi voltai, assicurandomi che il ragazzo fosse ancora lì. A quanto pareva non sapeva nuotare o aveva troppa paura dell’acqua per staccarsi dalla parete di roccia a cui si aggrappava come ad un’ancora di salvezza, poiché era rimasto esattamente nella stessa posizione di prima e guardava mestamente il combattimento. -In questo momento è inoffensivo- dichiarai al mio amico, sempre con voce flebile.
-Per il resto? Va tutto bene almeno? Avete trovato qualcosa sulla base?
Risposi negativamente mordendomi un labbro. -Cosa sta succedendo allora?!- sbottò lui per il nervosismo.
-Credo che Cyrus stia arrivando- replicai senza nemmeno lasciarlo finire di parlare.
Al silenzio che seguì risposi chiudendo la chiamata. Pronunciare quelle poche parole aveva avuto uno strano, brutto riscontro su di me: nemmeno riuscii a provare un moto di disgusto per la risata odiosa di Giovia e per il ghigno di Saturno. I miei occhi erano fissi su di loro, spalancati ma vacui, e non riuscivano a realizzare ciò che stavano vedendo. Ero andata in tilt, il mio corpo non rispondeva ad alcun comando.
Perché sapevo che stava per accadere, Cyrus stava arrivando. Perché mai avrebbe dovuto lasciarsi sfuggire una simile occasione, perché mai non avrebbe dovuto incontrarmi quella volta? Era da tempo che non ci vedevamo. E come aveva detto Giovia, c’erano due delle prede preferite - anche se non sapevo ancora cosa c’entrasse Sara.
Solo in quel momento mi parve di realizzare la gravità della situazione e la paura che stavo provando. Cyrus si stava avvicinando ogni momento che passava e io ero sempre più confusa, spaventata, tremante. Non volevo che la sua voce si facesse di nuovo viva alle mie orecchie, avrei preferito che essa rimanesse un ricordo, seppur terribile e che sarebbe stato preferibile dimenticare. Ma non volevo incontrarlo, non sarei riuscita a reggere, probabilmente sarei andata nel panico e mi sarei sentita male, anzi, sicuramente sarebbe successo.
Perché avevo preso parte a quella missione? Cosa mi era saltato in testa? Perché Bellocchio mi aveva chiesto di parteciparvi e perché Oxygen non era stato mandato con noi? Avevo bisogno di lui, avevo bisogno anche di Daniel e Ilenia, pure di Chiara che, ne ero sicura, in un momento del genere sarebbe tornata. Lei avrebbe capito, loro lo avrebbero fatto. Invece la presenza di Sara mi sembrava sempre più distante e riluttante ad aiutarmi, soprattutto da quando i suoi occhi avevano inaspettatamente cambiato colore. Un’onda anomala di sensazioni negative mi aveva investita e non ero sicura di volere quella ragazza accanto a me. Non era più rassicurante.
-Svegliati, Eleonora, e aiutami.
Proprio la sua voce mi raggiunse e io non riuscii a riscuotermi come invece mi aveva chiesto lei, con quella impassibile freddezza che mi risultava tanto sgradevole e che mi era assolutamente impossibile accettare, perciò non ero riuscita a imitarla per più di qualche minuto. Un vento freddo iniziò a soffiare accompagnando le parole di Sara e rabbrividii leggermente: fu il primo movimento che riuscii a fare dopo interi minuti di stasi e di terrore.
“Non ce la faccio,” pensai, “non posso farcela se arriva Cyrus. Ho troppa paura.” Queste erano le poche frasi di senso compiuto che riuscivano a spiccare nella mia mente sconvolta.
Provai a chiamare Aramis per dargli un solo ordine, solo una volta, a pronunciare il suo nome, ma l’unica cosa che fuoriuscì dalla mia bocca - sempre che non fosse frutto della mia immaginazione - fu un balbettio pronunciato con un filo di voce. Iniziai ad agitarmi: apparentemente Giovia e Saturno erano impegnati ad assistere i propri Pokémon nella battaglia contro Sara, quindi sperai che non mi guardassero e ridessero di me per il mio stato.
Sussultai troppo visibilmente quando sentii qualcosa posarsi sulla mia spalla. Mi girai di scatto, sentendo il sangue fluire via dal mio viso, rendendolo spaventosamente pallido. Era Aramis e inizialmente ebbi paura anche di lui, ma nel giro di qualche secondo i suoi occhi di quel caldo, amichevole ma serio sguardo rosso e il suo volto così sinceramente dispiaciuto per me riuscirono a farmi ritrovare almeno la voce, pur non calmandomi.
-Aramis, Aramis, cosa faccio? Come lo faccio?- sussurrai guardandolo con occhi imploranti aiuto.
Lui ricambiava mestamente il mio sguardo. Quanto doveva essere impietosito da me? Se non l’avevo già fatto, stavo perdendo il controllo. Non avevo preso abbastanza sul serio quello che ero andata a fare.
Il Pokémon mi posò nuovamente una mano sulla spalla, più vicino rispetto a prima. Era più alto di me e questo contribuì a farmi percepire la sua presenza come quella di un fratello. Mi morsi il labbro inferiore per impedire alle prime lacrime di paura e di pena per me stessa di sgorgare e di farmi crollare definitivamente. Abbassai la testa.
-Ehi, qual è il tuo problema? Hai bisogno di mamma?- Era stato Michael a parlare. La mia prima reazione fu di irrigidirmi e mi sentii in colpa per aver abbandonato Sara a sé stessa e per starmi lasciando trasportare dalla paura. Poi un moto di rabbia mi fece stringere i punti e scoprire le labbra a mostrare i miei denti digrignati; mi voltai di scatto verso Michael che impallidì ancora di più quando Aramis, senza che io gli chiedessi alcunché, sferrò uno Psicotaglio che gli strappò la manica della giacca e della maglia sotto di essa, lasciandogli un taglio doloroso, che insieme a un grido di paura e sofferenza da parte sua mi fece considerare il ragazzino sistemato.
Mi voltai verso Sara. -Vai, Aramis. Conserva le energie per dopo- ordinai al mio amico, che annuì e scattò in avanti. Grazie al suo aiuto, nel giro di qualche scarso minuto Giovia e Saturno furono definitivamente sistemati.
Nel frattempo io chiamai Pearl fuori dalla Ball. La Luxray mi guardò intensamente, mano a mano facendosi più triste di pari passo con il ritorno della paura e la scomparsa della mia determinazione.
-Scusami, Pearl- sorrisi tristemente. Fui costretta a passarmi il dorso di una mano sugli occhi per asciugare le lacrime sull’orlo delle palpebre. -Lancia un Fulmine verso l’alto ogni tanto. Dobbiamo farci vedere da Lorenzo.- E da Cyrus, probabilmente. Ma abbassai la testa appena il primo Fulmine squarciò verticalmente la stanza di Via Vittoria, accompagnando con la sua voce tonante un presentimento che con ogni probabilità era reale. Al momento non seppi dire né come, né perché lo pensassi o perché avessi avuto ragione, ma forse il mio istinto fu d’aiuto.
-Tanto Cyrus è già qui, no?- mormorai mentre il mio sorriso si ampliava. Non perché ci fosse qualche motivo per sorridere, nemmeno il nervosismo spiegava quel mio comportamento: era volto a impedirmi di piangere, oppure semplicemente non sapevo come reagire e la tristezza e la paura deformavano la mia impressione in quel qualcosa di troppo penoso per essere anche solo lontanamente un sorriso. -O meglio, sei già qui- mi corressi.
Alzai la testa appena Pearl iniziò a ringhiare. Vidi Aramis voltarsi verso di me e spalancare gli occhi, lo stesso fece Sara con il suo Lucario. La ragazza corse verso di me, il suo bel viso dai tratti delicati e orientali era finalmente espressivo. Provava paura e preoccupazione, era palese. Ma più veloce fu il mio Gallade, che scattò e venne a frapporsi tra me e la persona a cui davo le spalle. Sara mi affiancò. Era arrivato il mio turno per voltarmi.
Prima voltai di novanta gradi la testa e confermai la mia precedente intuizione. Poi mi toccò sforzarmi per girare tutto il corpo e fronteggiare per intero la figura di Cyrus, che come c’era da aspettarsi sorrideva.
Non era cambiato nulla in lui. O comunque, io non lo notai, troppo concentrata a scambiare un lungo sguardo con i suoi freddi occhi azzurri. La sua espressione, questo lo capii dopo poco, era diversa da quella che ricordavo: non sorrideva in maniera perversa e non voleva prendersi gioco di noi. Risultava addirittura amabile. Era anche sornione, questo sì, comesempre, ma non avere l’esatta copia dell’uomo dei miei incubi davanti a me mi aiutò a non dare di matto subito; il vero nemico era diverso e quell’espressione sconosciuta sul suo volto mi aiutò.
Probabilmente l’espressione del mio viso non era proprio quello che si dice essere il ritratto della sicurezza e dell’equilibrio interiore, ma almeno il tremore delle mie mani e delle gambe era abbastanza lieve da risultare quasi invisibile. Un nemico sconosciuto per chiunque sarebbe stato mille volte peggiore di qualcuno di cui, in linea di massima, si potevano prevedere i comportamenti e le azioni: io però ero solo sollevata del fatto che l’immagine corporea della mia paura più nera non si trovasse davanti a me. Cyrus ordinò con un gesto secco del capo ai suoi sottoposti di andarsene e loro eseguirono diligentemente, nel silenzio più totale.
-Complimenti al tuo intuito- esordì. Pure la voce sembrava meno terribile. Cos’era successo e perché non mi pareva tanto simile? Erano passati due anni dal nostro ultimo incontro, ma un uomo ormai formato come lui non poteva cambiare sé stesso. Non pronunciò il mio nome; anche questo mi lasciò tranquilla.
Un teso silenzio seguì le sue parole. Io non avevo intenzione di parlare se non fossi stata interpellata, troppo preoccupata nel cercare di capire perché Cyrus fosse così diverso. O forse era solo una mia impressione data dal turbamento emotivo in cui ero coinvolta. Fatto stava che bastarono le poche battute successive scambiate tra lui e Sara prima per farmi temere quel lato di lui sconosciuto, poi per far tornare colui che infestava i miei incubi.
-Dall’ultima volta è passato molto tempo, quasi due anni se non vado errato, giusto? Eravate tutte e due alla centrale di Flemminia. Ci fece visita anche Giratina, probabilmente sguinzagliato da Bellocchio…
-Da Bellocchio?- Sara non poté non stupirsi.
Non mi interessavano le parole di Cyrus, piuttosto i suoi comportamenti. Non potevo fare a meno di studiarlo attentamente, cercando qualcosa che mi facesse capire cosa non andasse nel mio nemico che io non riuscivo a ritrovare nell’espressione distesa e amabile, nella postura tranquilla ed eretta dell’uomo. Perché non mi appariva spaventoso e temibile come avevo creduto di ritrovarlo? Cosa c’era di diverso in lui che non riuscivo a capire?
Non trovavo niente di strano, niente di insolito. Forse era rimasto lo stesso e non me ne stavo rendendo conto, ma allora la domanda diventava: perché io non riconoscevo Cyrus in quello stato?
-Credo proprio di sì, che motivi potrebbe aver avuto per uscire dal Mondo Distorto altrimenti?- Le parole poco serie, per me, di Cyrus furono interrotte dal silenzio, a sua volta intervallato dai lamenti di Michael. Poi lui riprese: -A proposito di Bellocchio, come mai ha voluto mandare proprio voi due qui?
Non poteva aspettarsi qualche risposta da noi, sarebbe stato troppo stupido da parte sua e Cyrus non poteva permettersi di non essere intelligente e furbo; mi era impossibile, non sapevo perché, credere che lui non avesse un cervello di tutto rispetto. Pearl e Lucario ringhiarono e lui sospirò: quella fu la prima crepa che attraversò la mia fragile “tranquillità”. Quel sospiro bastò a farmi sgranare gli occhi e a bloccarmi il respiro per un attimo.
-Già, la classica lotta… spero siate pronte, Giovia e Saturno sarebbe meglio dotarli di Pokémon più capaci- fece con simulata noncuranza. Prese due Poké Ball che liberarono Crobat e Weavile.
“E se…” La battaglia iniziò. In teoria noi avremmo dovuto essere in vantaggio, almeno basandoci sui tipi; ma capimmo che, soprattutto grazie alla loro straordinaria velocità, l’avversario era più temibile di quanto potessimo credere. Dovemmo sopportare la vista dei nostri compagni al tappeto prima di capire come attaccare quei due Pokémon, che mi parevano stranamente familiari - come se li avessi già visti lottare in precedenza, ma non era possibile: alla centrale di Flemminia Weavile era stato messo al tappeto con un colpo superefficace di Aramis, non avevo avuto modo di studiare i loro comportamenti in battaglia prima di allora.
“E se lo trovassi diverso perché in precedenza ho rivalutato i Victory e le mie posizioni?”
Le nostre successive scelte ricaddero sulla Ninetales di Sara e su Rocky, che pur con delle sofferenze riuscirono a sconfiggere Weavile, subito sostituito da Gyarados. Fu un duro colpo per i nostri Pokémon, soprattutto a causa di Gyarados che con pochi Surf, inevitabili dai nostri Pokémon - soprattutto da Rocky, li mandò al tappeto
“Se trovassi Cyrus e la sua mostruosità, che si riflette nella violenza inaudita dei suoi Pokémon, diversi se non inesistenti proprio perché le Forze del Bene non mi piacciono più come alleate e perché sono indecisa sulla parte dalla quale essere schierata? Che sia questo il motivo?”
I successivi furono Luxray - quella della mia compagna - e Kingdra. Anche Crobat alla fine fu messo al tappeto e sostituito da Honchkrow, ma non senza un notevole spreco di energie da parte dei nostri. Credevo di avere qualche speranza ma fui smentita: i suoi Pokémon, senza ricevere ordini dal proprio padrone, agivano sveltamente, con decisione e furia, cogliendoci tutti di sorpresa. Più volte guardai Cyrus e incontrai il suo sguardo; pian piano, insieme alle mie ipotesi, stava tornando quello di sempre, l’uomo di cui avevo paura e che per me era la rappresentazione umana del male e il lato peggiore del Victory Team.
“D’altra parte è l’unica spiegazione che ora riesco a darmi. Se faccio più attenzione…” Se facevo più attenzione riappariva l’espressione diabolica e perversa che troppe volte avevo rivisto nella mia immaginazione, le rughe intorno agli occhi chiari e freddamente divertiti da qualcosa che avrebbe spaventato ogni comune essere umano. Se facevo attenzione rivedevo il Cyrus che conoscevo e di cui avevo paura. Spalancai gli occhi in seguito a quella realizzazione. Nuovamente il respiro si mozzò e fui invasa dal terrore, che cercai di mantenere silenzioso. Sentii gli occhi glaciali di Sara fissi su di me quando si accorse del mio stato d’animo e non potei fare a meno di desiderare che se ne andasse, o che come Cyrus fingesse di non vedermi e si concentrasse sulla lotta.
Gyarados fu battuto da Leafeon e Diamond nel round successivo e sostituito da Houndoom, il quale insieme all’uccellaccio del malaugurio quale era Honchkrow si mostrò uno degli elementi più violenti e aggressivi che Cyrus avesse nella sua squadra di Pokémon. Aramis fremeva per lottare ma io avevo paura a mandarlo in campo, così come non volevo che Altair incontrasse il nostro più terribile nemico. Non volevo che succedesse loro qualcosa che li potesse danneggiare o che facesse loro male. Mi rimanevano tre Pokémon ancora illesi.
Honchkrow stava per andare al tappeto: non sapevo ancora dire perché, ma aveva fatto di tutto per sventare anche gli attacchi rivolti al suo alleato che aveva rimediato solo pochi danni. Era stremato ma, pur dovendosi sacrificare in più scontri, sconfisse i nostri Pokémon. Fu poi battuto da Nightmare, che subito dovette difendersi dall’attacco vendicativo e repentino di Houndoom, ma eravamo alle strette. Sara non aveva più nessuno da mandare in campo e guardava di sottecchi sia me che il mio Pokémon.
“Ti prego, Nightmare, finisci in fretta” pregavo, ripetendo infinite volte quella stessa frase nella mia mente per cercare di non pensare alla mia alleata e al mio nemico che mi stavano studiando insistentemente. Io cercavo di far finta di niente osservando il mio Pokémon ma la mia postura protesa in avanti, tremante, e gli occhi spalancati non avevano difficoltà a far intendere quanto fossi in crisi. “Mandalo al tappeto, non far lottare anche Altair e Aramis. Ce la puoi fare, ce l’hai sempre fatta contro ogni nemico, sei sempre stato il mio asso nella manica… Ti prego…”
Abbassai la testa, strizzando gli occhi per impedirmi di vedere la scena, quando Nightmare lanciò un grido spettrale che non avevo mai sentito da parte sua. Non era di quelli quasi belluini con cui intimidiva il suo avversario di turno prima di infliggergli l’ultimo attacco, quello decisivo, né una delle acute risate da far venire i brividi. Questi ultimi li sentii ovunque, sempre più amplificati, quando quel grido segnò la sua sconfitta. Il nemico, Houndoom, lo aveva straziato con le sue fiamme infernali e i tipi delle mosse di Spiritomb erano stati poco efficaci.
-Nightmare…- riuscii a mormorare, riaprendo appena gli occhi. Lo richiamai nella Ball senza guardare le parti del suo corpo etereo e proveniente da qualche parte nell’oltretomba bruciacchiate, annerite, segno che nemmeno il suo essere un Pokémon effettivamente privo di corpo lo rendeva immune o comunque resistente ad attacchi fisici.
-Eleonora, manda in campo Altaria o Gallade. Dobbiamo farla finita qui e se possibile continuare la missione.
“Come fai a pensare alla missione ora?!” avrei voluto gridare a Sara mentre nella mia mente infuriava un fiume in piena di parole contro di lei, contro i suoi Pokémon che si erano fatti mettere tutti al tappeto e avevano lasciato i miei da soli. Ma non riuscii a dire niente, se non a guardarla implorante.
-Qual è il problema, Eleonora?- si aggiunse puntualmente Cyrus. I miei occhi scattarono, ancora sgranati, e si incantarono nel senso negativo del termine a guardare il suo sorriso che, neanche troppo lentamente, da amabile e quasi gentile riprendeva ad essere il ghigno con cui lo dipingeva la mia realistica immaginazione.
“Tu sei il problema, Cyrus! Siete tutti voi il problema, tutti, nessuno escluso…!” Le grida della mia mente non trovavano alcun modo per uscire da essa e riversarsi su di loro, cancellarli dalla realtà e lasciarmi finalmente sola. Probabilmente solo stando da sola con i miei Pokémon mi sarei sentita in pace, sollevata, al sicuro, proprio come mi era successo circa un anno prima quando stavo quasi più con loro che con gli esseri umani.
E poi perché mi ostinavo a crearmi alleati e nemici? Perché chiamavo Sara alleata quando non avrei voluto più vedere in vita mia i suoi occhi cambiacolore ma sempre indistintamente freddi? Perché dicevo che Cyrus era mio nemico se forse sarebbe stato meglio essere sua alleata? Nonostante la cosa mi inquietasse era sicuramente meglio essere in buoni rapporti con una persona pericolosa, intelligente e controllata come lui.
I miei unici alleati erano i miei Pokémon e non potevo permettere che rischiassero ulteriormente. Per questo motivo scossi la testa: nonostante la mia risposta fosse in ritardo, Sara capì che non avevo intenzione di lottare. O meglio, di farli lottare al posto mio per darmi una protezione che sentivo di non meritarmi. -Eleonora, ti prego…
-Mi sento in dovere di chiedervelo di nuovo: avete idea del perché Bellocchio vi abbia mandate qui?
Cyrus la interruppe. Evitai di guardarlo e strinsi i pugni come a voler chiudere ermeticamente la Poké Ball di Aramis, che fremeva per uscirne e combattere. Sara non gli rispose. Fui io, con mia stessa sorpresa, a farlo.
-Forse anche lui vuole che io scopra il mio fantomatico segreto.- Ero però più rivolta a me stessa che agli altri.
L’uomo ghignò. -Vedo che la pensiamo allo stesso modo.- Io non continuai, già stremata da quelle poche parole che ero riuscita a pronunciare a mezza voce, e lui proseguì: -Siete fortunate ad avere un capo carismatico, potente e influente come Bellocchio, ma altrettanto sfortunate a causa della sua volubilità. È perennemente stressato ma non dagli impegni. Piuttosto, direi dal suo passato e dai brutti colpi che ha ricevuto nella sua carriera.
Houndoom ringhiava sommessamente: a me sembrava che stesse ridendo di noi.
-Però è anche molto intelligente, c’è da dire: è stato un brutto avversario ai tempi del Team Galassia, sembrava trovarsi ovunque nel momento per noi sbagliato, per la Polizia Internazionale perfetto. Credo che finalmente si sia reso conto, quindi, che ostinarsi a volerti proteggere - e a voler proteggere quelli come te, c’era poco e niente da guadagnare. Tu che sei tormentata dal tuo stesso segreto, Eleonora, sei arrivata a detestarlo e a considerarlo il tuo personale nemico all’interno della vostra base. Credo che, stanco della tua ostilità e dei continui fallimenti a cui sta andando incontro, abbia deciso di renderti finalmente consapevole. Non è quello che volevi?
“Non lo so, Cyrus. Non so se voglio saperlo qui, ora… e da te.” -Io…- esordii. A fatica riuscii a dire, più o meno con completezza: -Sono anni che aspetto di sapere cosa mi riguarda. Non ho mai avuto paura al pensiero di questo terribile mistero che mi avvolge, solo curiosità e desiderio di sapere. Ma ora…- feci una pausa. Abbassai la testa e guardai Aramis attraverso la trasparenza della Ball, che sbraitava per uscire. -Non sono più tanto sicura.
-Be’, prima o poi dovrai saperlo, no?- replicò immediatamente lui. Invidiavo il suo tono sicuro e tranquillo.
Annuii miseramente mentre Sara, furente, esclamava: -Cyrus, finiscila con questi discorsi, non sono cose che tu puoi sapere e soprattutto che ti riguardano! Stai per essere sconfitto, vattene!
Quello scoppiò a ridere. Una risatina nervosa mi sfuggì e accompagnò le sue fragorose, gelide risa. -Certo che le so, Sara. E credo sia impossibile definirmi sconfitto viste le condizioni della tua amica, non è in grado di mandare i suoi amati Pokémon in campo. Perché tu invece non dici a Eleonora chi è, o meglio, chi siete?
Qualcosa si spezzò nell’aria. Forse la tensione, forse la mia fiducia nella ragazza, rotta dall’affermazione di Cyrus. Mi voltai verso di lei con immane lentezza. La mia espressione in quel momento non era di sconforto, ma accusava Sara tramite i miei occhi, spalancati in tutta la follia del momento. Provai uno strano piacere a vederla finalmente mostrare qualche emozione umana: si sentiva in colpa, era evidente, le sopracciglia erano contratte e la fronte corrugata; boccheggiava nel tentativo di trovare una giustificazione che non poteva semplicemente esistere.
-Tu sai. Hai sempre saputo per tutto questo tempo.
Provò ad articolare un “sì, ma…” per cominciare, ma non riuscì a dire nulla. Mi voltai verso di lei senza avere idea di quello che avrei potuto fare, o farle. Non sentivo nulla, forse la rabbia e la fiducia che era stata tradita, ma in quel momento poco m’importava di sapere cosa stesse succedendo in me.
-Sì, lei ha sempre saputo- ghignò Cyrus. Sentii l’ululato di Houndoom lacerare il silenzio e mi voltai verso il Pokémon insieme a Sara. La sua bocca si riempì di fuoco e la spalancò, riversando quel torrente infernale verso di noi. Le fiamme erano sempre più vicine: quei miseri secondi parvero durare anni, scorrendo come a rallentatore. Stavano per divorarci, forse stavamo per morire: era un Pokémon nemico e poteva ucciderci tranquillamente. Era così che finiva? Ma perché Cyrus voleva ucciderci in quel modo, se eravamo tanto preziose per lui?
Allungai un braccio, proteso avanti a me come a volermi difendere, pur sapendo che stavo per essere inghiottita dal fuoco. Ma le fiamme screziate di buio si fermarono davanti al palmo della mia mano, che impediva loro di avanzare. Non avevo idea di quale fosse la mia espressione in quel momento, mi sembrava di star vivendo tutto quello in terza persona. Ma ero io a non volere che proseguissero fino a noi. E loro non lo fecero.







Angolo ottuso di un'autrice ottusa
Programma del mese: pubblicare altre due volte, oltre a oggi, NTSS e anche Ribellione. Bene, la scuola sta finendo e non avendo nulla da fare dalla mattina alla sera - i compiti possono aspettare per un po', posso anche pensare di farcela, ma penso proprio che sarà dura e farò le ore piccole pur di gestire tutto.
Ma si sta entrando nel vivo della situazione, signori, e si avvicina il gran finale! Quindi, animata dalla vivacità della situazione pericolosa e pressante, dovrei riuscire ad avere una certa ispirazione che mi renderà tutto più facile. Curiosi di sapere cosa sta succedendo? Tra una settimana avrete alcune delle vostre risposte!

Ink

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Capitolo 24
*** XXII - Fiamme di vita ***


XXII
Fiamme di vita

Furono secondi di stasi, incertezza e di equilibrio precario. Non avevo idea di cosa stesse succedendo attorno a me, cosa stessero facendo Cyrus e Sara, la quale era dietro di me, o quale fosse l’espressione del mio viso. Neanche ero sicura di star vivendo davvero quella situazione al limite della realtà, del sovrannaturale. Ero ferma, un po’ instabile e tremante mentre tenevo il braccio proteso avanti a me; le fiamme di Houndoom accarezzavano il palmo spalancato della mia mano senza osare andare oltre.
Percepii uno strano suono dentro di me, un suono mai più sentito, breve e indescrivibile, difficile da riportare alla memoria. Quell’unica nota secca, senza alcun’eco o sviluppi, segnò l’inizio di qualcosa di diverso dalla realtà che avevo sempre conosciuto e di una mia nuova, personale, intima era, condivisa solo da “quelli come me”. Sentii che non ero più io a rispondere delle mie azioni: qualcuno mi stava guidando.
Lentamente chiusi la mano e le fiamme diminuirono fino a spegnersi del tutto quando l’unica cosa a frapporsi tra me, il terrorizzato Houndoom e un inespressivo Cyrus fu un pugno. Ero rimasta mezza inginocchiata fino ad allora, piegata dalla pressione della situazione e non dal fuoco così docile e leggero. Recuperai una statura eretta e corretta e di nuovo ebbi quella sensazione di non essere io a muovermi, ma di assistere a ciò che stava accadendo in terza persona - anche se dall’interno di me. Era come se qualcun altro avesse preso controllo di me e mi avesse lasciato il solo compito di respirare mentre questo qualcuno mi comandava al posto della mia volontà. No, non era come se fosse tutto questo: era proprio così, quelli erano i semplici fatti.
Passarono altri lunghi secondi di silenzio mentre eravamo in attesa che uno di noi ponesse fine all’attesa. Cosa stessimo aspettando non lo sapevo: avevo abbassato lo sguardo sulla mia mano, la destra, che aveva fermato le fiamme e le aveva spente su ordine di qualcuno estraneo a me, ma che sentivo dentro me stessa. Era una presenza non ostile e in quei momenti mi fece addirittura piacere averla, mi diede una certa sicurezza oltre a un grande aiuto, agendo al posto mio e guidando ogni mia azione, ed essa non mi risultava scomoda né era motivo di paura. Stavo meglio, mi sentivo più forte e più coraggiosa. Alzai di scatto la testa come mi disse quella presenza.
Allungai di nuovo il braccio di prima avanti a me, con il palmo della mano rivolto verso il basso. Una pista di fiamme partì dall’ombra di esso sul pavimento di roccia e si diramò in più punti, costringendo Houndoom - non mi interessai, per il momento, di Cyrus - a saltare da una parte all’altra per schivarle. Ma fu inutile: i serpenti di fuoco si sollevarono da terra e lo afferrarono per le zampe, sbattendolo malamente sul terreno accidentato.
La cosa più bella di quella triste situazione - perché c’era da amareggiarsi alla vista di tutto quello che stava succedendo in brevi minuti, ma amplificati e dilatati - era il colore del fuoco, prova schiacciante della verità dietro quegli eventi della quale, al momento, non mi curai. Nonostante le fiamme da me evocate, nate dal mio volere, fossero per gran parte del loro colore naturale - ovvero un arancione e un’altra sua sfumatura vicina al giallo, oltre ad altre parti colorate in un tenue azzurro, alcune parti di esse erano di un rosso violento, innaturale; altre erano colorate di viola e porpora, di blu, verde, o ancora erano indaco. Quel fuoco aveva i colori dell’arcobaleno.
Il Pokémon pareva più spaventato che indebolito e per questo motivo ribatté con un altro attacco. Quando le fiamme nere e rosse furono abbastanza vicine le spostai con un movimento noncurante della mano. Guardando negli occhi Houndoom mi concentrai su di lui, sulla violenza spietata del suo fuoco impuro a causa di una vita a servizio di un malvagio e del suo stesso terribile carattere. Eseguii un’altra mossa con le dita, stavolta più elegante come a voler accarezzare uno strumento a corde, per poi chiuderle lentamente. Sentii l’elemento che ardeva in Houndoom, irrimediabilmente contaminato, spegnersi quasi del tutto e il Pokémon svenne per il brutto colpo ricevuto: non doveva essere il massimo sentire la propria fonte di energia venire meno tutto d’un colpo.
O forse fu la presenza dentro Eleonora a fare tutte quelle piccole ma preziose azioni con il suo corpo, con le sue mani, e ad evocare il fuoco, mentre io mi facevo da parte e di riflesso mi arrivava tutto quello, attutito e morbido. Quando Houndoom fu fuori gioco la presenza fece un passo indietro e mi riappropriai della mia forza di volontà e della mia responsabilità, tornando con i piedi per terra. L’aria ora era molto più pesante rispetto a prima, quando mi era bastato osservare la scena neanche troppo incuriosita, sicuramente passiva. Non mi era dispiaciuto esserlo per quel po’ di tempo, sapendo di essere difesa da quell’entità benevola che mi stava aiutando.
Cyrus guardava altrove. Allora feci caso alla mia espressione. Ero seria e determinata, ferma, sicura di me per la protezione che stavo ricevendo. Non dovevo tremare, ero più forte io in quel momento. Non mi servivano i miei Pokémon per combattere perché, lo realizzai definitivamente, il fuoco era ai miei comandi.
-Il piano ha funzionato- commentò l’uomo freddamente.
-Hai allenato duramente Houndoom e lo hai protetto fino alla fine- sentenziai con una certa solennità, -perché potesse mettermi in difficoltà e mi costringesse a rivelare questi poteri.- Alzai una mano e accesi una fiammella multicolore, tenendola sul palmo della mia mano: guizzava e scintillava vivacemente.
-Sì, è così- confermò Cyrus riprendendo a guardarmi. Nessuna emozione lo tradiva. -Avevo bisogno del fuoco per sbloccare la tua pirocinesi e, pur essendo cosa rischiosa, sapevo che il piano avrebbe avuto un esito positivo.
Prima che potessi ribattere qualcosa Sara si fece avanti. Si mise tra me e lui e fece una piroetta: l’ampia gonna del suo vestito vecchio stile si sollevò alla richiesta di un gelido vento che aveva preso a soffiare da una parte imprecisata della stanza di Via Vittoria. Appena tornò alla posizione di partenza, ovvero rivolta verso Cyrus, la ragazza si inginocchiò leggermente, tenendo le braccia attorno al viso in una posizione elegante, e dalle sue mani si sprigionò un turbine che investì il Victory e lo sbatté addosso alla parete di roccia dentro di lui. Abbandonò gli arti lungo i fianchi ma subito dopo li alzò verso l’alto: degli enormi cristalli di ghiaccio intrappolarono il nemico, ingabbiando gran parte del suo corpo. Solo la testa, le mani e i piedi rimasero veramente liberi - come se potessero servirgli a qualcosa nelle condizioni misere in cui si trovava.
Però non sembrava turbato e nemmeno io mi stupii tanto, al momento, dei poteri della ragazza. Subito feci per avvicinarmi a lui ma quella mi bloccò con un braccio che mi impediva di avanzare. -Stai ferma lì e non giocare con il fuoco. Lascia che io interroghi Cyrus e possa in qualche modo portare a termine questa missione.
-No. Voglio aiutarti, ora che ci sono- ribattei.
Seguì un secondo di indeciso silenzio, poi annuì e ci affiancammo a lui. Sara mi fece un cenno secco con il capo e intesi al volo: riutilizzai il fuoco e creai un pugnale, la cui lama fiammeggiante partiva dal lato della mano del mignolo. La punta del coltello era pericolosamente vicina a un punto del collo di Cyrus non coperto - in quel caso era meglio dire non protetto, dal ghiaccio. Egli sbuffò appena. -Tsk… come se questo potesse farmi vacillare.
-Ovvio che no, Cyrus, bloccato come sei è impossibile muoverti- dissi con leggerezza. Sara non poté fare a meno di lanciarmi uno sguardo eloquente e un po’ di disapprovazione, come se stessi rovinando il momento.
-Simpatica, lei!- esclamò l’uomo, evitando accuratamente gli occhi delle sue aguzzine. Poi borbottò: -Chissà che a mandarti questa botta di spirito non sia…
Sul più bello Sara sovrastò la sua voce bassa con un tono fermo e glaciale, proprio come il ghiaccio che aveva comandato prima. -Cyrus, io non so quanto tu possa essere fedele al tuo Team fino ad essere disposto a morire per la loro causa. Ma estorcerti qualche informazione preziosa non sarà così difficile, fidati.
-Come se vuoi due ragazzine foste in grado di commettere un omicidio qui e ora!- la bloccò. -L’unica cosa che ho da dire a Bellocchio è di smetterla con questa buffonata, noi Victory possiamo fare di tutto e, in particolare, possiamo diventare di tutto. Le informazioni che otterrete da me tra qualche giorno non saranno più valide.
-Anche Elisio ha applicato questa filosofia- mormorai.
-Sì, lo so- disse Sara, -ma non credo ci metterebbero altrettanta nonchalance nelle loro parole se le informazioni che stiamo cercando riguardassero le radici della loro organizzazione, ciò che non può cambiare.
Cyrus impiegò qualche momento per rispondere qualcosa. -È ai massimi vertici dei Victory che ti riferisci.- Era un’affermazione. La ragazza annuì e quello scosse un paio di volte la testa, tenendo gli occhi chiusi come a volersi concentrare o per ricordare qualcosa. -Sapete, qualcuno in passato disse che noi vecchi Comandanti dei vari Team fummo liberati dalle nostre prigioni da gruppi di fanatici, che ci fecero risorgere. Be’, sinceramente, non credo che i signorini si possano definire fanatici dei Team antagonisti ai Dexholders e alla Polizia Internazionale.
Non potevo credere che stesse parlando così facilmente. Era impossibile che si spingesse avanti più di tanto, in qualche modo era controllato dai famosi signorini, o dagli Dèi come li chiamava altrimenti. I suoi capi, insomma, i Comandanti del Victory Team. Se ci teneva alla vita non avrebbe tradito i suoi con tanta noncuranza e disinteresse. Non dovevamo riporre tanto facilmente troppe speranze nella sua apparente avversione nei loro confronti.
Sinceramente non sapevo chi o cosa guardare durante quei minuti interminabili. Cyrus era ovviamente da escludere, meno notavo, anche solo con la coda dell’occhio, i suoi occhi così gelidi nella loro inespressività o i suoi assurdi capelli azzurri, meglio era. Nei confronti di Sara ero ancora diffidente, sentivo la mia fiducia tradita e non avrei mai creduto che anche lei c’entrasse qualcosa con il mio segreto. Proprio come Camille e Bellocchio si era ostinata per tutto quel tempo a stare in silenzio, neanche si era mai interessata alla mia sospetta identità, facendo al contrario di loro l’amica e cercando di mantenere dei buoni rapporti - o almeno, così la vedevo io. Proprio come le altre volte non mi importava se era stato necessario nascondermi il tutto: se era stata davvero mia amica per tutto quel tempo, se non aveva avuto contatti con me solo per ordine di Bellocchio, allora al contrario di Camille - con cui non ero affatto in rapporti di amicizia - avrebbe potuto essere sincera e dirmi qualcosa.
Le alternative rimaste erano due: le pareti, il soffitto o il pavimento della stanza oppure i cristalli di ghiaccio che ingabbiavano Cyrus. Optai per quelli, oltre che per il pugnale di fuoco colorato che tenevo acceso. Era davvero bello da guardare. Non avevo idea di cosa mi stesse succedendo, del perché avessi sviluppato così all’improvviso un simile potere: riguardava il segreto, questo sicuramente, ma non era abbastanza per rendere tutto chiaro.
Le fiamme arcobaleno, però, potevano appartenere solo a qualcuno, questo lo sapevo anche io. Non avevo idea, poi, del contesto generale, ma qualche riflessione non troppo lontana dalla realtà la stavo facendo. A quanto avevo visto invece da parte di Sara, lei aveva i poteri del ghiaccio - forse anche dell’acqua - e del vento, elementi che si rispecchiavano nel suo aspetto: era sempre stata praticamente albina, trasparente come essi. Forse quel che rientrava nel nostro segreto si era rafforzato talmente tanto in lei che aveva influenzato addirittura il suo aspetto.
Inizialmente non mi resi conto della discussione in corso tra Sara e Cyrus finché la ragazza, alzando la voce con furore, non mi riportò con i piedi per terra. -Chi sono i tuoi capi, Cyrus? Chi c’è dietro il Victory Team?!
-E ti aspetti che te lo venga a dire?- fece lui freddamente.
Aumentai un po’ la portata delle fiamme e l’uomo rabbrividì sentendo il pugnale di fuoco lambire la pelle del suo collo. -Eppure non sembri molto contento dei signorini- soffiai. Cyrus restò in silenzio e decisi di spegnere il pugnale rovente. -Allora sono stati loro a riunificare voi ex Comandanti e a fondare i Victory?
-No. Prima crearono il Team insieme ai fanatici delle organizzazioni ormai distrutte e restarono sempre e comunque nella loro ombra, dando a loro il merito di ogni azione ma essendo loro due a impartire gli ordini. Non so dire se si stessero nascondendo, perché con la loro potenza, con quella dei loro Pokémon, non avrebbero dovuto temere alcun nemico.- Fece poi un’altra pausa prima di continuare il suo racconto.
-I risultati iniziali, senza i loro personali interventi - ovviamente camuffati, non si rivelarono essere un granché. Avevano bisogno di qualcuno di più potente, rinomato per il suo carattere e per le azioni compiute in passato: gli unici che rispondevano a questi requisiti e che non erano dalla parte di Bellocchio, che subito si era schierato con la sua Polizia Internazionale contro di loro, eravamo proprio noi dei precedenti Team. Qualche Capopalestra e dei Superquattro già erano entrati nei Victory ma non era abbastanza. Necessitavano di uomini come noi, che non avevano più niente da perdere e che si erano dimostrati capaci di agire senza esitare anche nel male.
-Ovviamente dal vostro punto di vista del male- precisò Cyrus, -perché noi avevamo le nostre motivazioni e se qualcuno ci ha seguiti, se siamo stati cercati per le nostre imprese, dei motivi che non si limitino alla follia ci sono. Non siete d’accordo?- ci provocò. Esitai: come faceva a sapere degli intimi contrasti tra me e le Forze del Bene? O aveva solo tirato a indovinare? E cosa ne sapeva lui di quello che mi riguardava quando aveva accennato al rapporto di antipatia che c’era tra me e Bellocchio? Invece Sara cosa c’entrava?
Scossi impercettibilmente la testa: erano tutte mie paranoie. Cyrus non poteva sapere quelle cose perché erano sempre rimaste tra me e me. Ero solo molto turbata dai miei dubbi sulla parte dalla quale stare e su cosa avrei dovuto fare, soprattutto ora che il mio segreto stava per essermi svelato.
-Sì, sono d’accordo- risposi con leggera aria di sfida, quel poco che riuscii a mettere nel tono della mia voce mentre finivo di ragionare su quelle cose. Cyrus sbuffò: non avevo idea se fosse perché mi credeva ironica o se avesse capito che qualcosa non andava. In quel caso mi toccava preoccuparmi seriamente.
-In ogni caso, qualcuno arrivò a prenderci- proseguì. -Fui tirato fuori dal Mondo Distorto e mi parve di sentire Giratina giurare di ritrovarmi. Ma la gioia di essere nuovamente libero e di potermi rimettere al lavoro, non mi importava se per conto di qualcun altro stavolta, mi fece subito dimenticare della sua voce…
-Come ha fatto Giratina a parlare?- non potei fare a meno di chiedere stranita.
Cyrus alzò la testa e mi sorrise freddamente. Non riuscii a non rabbrividire: nonostante potessi fargli del male, o addirittura ucciderlo, grazie al fuoco che avevo in mio potere, la sua espressione puramente malvagia - almeno dal mio punto di vista, come diceva giustamente lui - mi spaventava. -Tra non molto anche tu avrai idea delle infinite capacità dei Leggendari. E poi anche tu lo stai sperimentando adesso, no? Il tuo…
-Vai avanti- gli intimò Sara, che accuratamente lo interrompeva non appena stava per parlare troppo.
Forse faceva bene, non sarebbe stato il massimo venire a sapere qualcosa da Cyrus. Mi morsi un labbro. Allora era davvero così, era proprio come stavo pensando io. Le fiamme arcobaleno solo a un Leggendario potevano appartenere e quel Pokémon aveva già dato prova di essere in grado di “entrare” in me e di guidarmi. Anche solo questa era una delle infinite capacità, assolutamente degna di rispetto.
-E cosa dovrei dire ancora?- chiese ironicamente l’uomo.
-Qualsiasi cosa sul conto dei Victory e sui Comandanti andrà benissimo- ribatté lei.
L’altro sbuffò. -Furono liberati anche Giovanni e Ghecis e gli altri tre furono rintracciati. Richiamammo i nostri vecchi Generali e la maggior parte di loro si interessò alla nostra nuova causa, qualcuno si rifiutò di collaborare e con ogni probabilità fu ammazzato, se non venne messo sotto l’ala protettiva di Bellocchio, alla disperata ricerca di qualcuno che lo aiutasse a combatterci. Poi cominciammo a lavorare. Fine della storia.
Scambiai un’occhiata eloquente con Sara. Lei insistette: -Decisamente non è il momento di scherzare, Cyrus, ma per te è ora di parlare chiaramente, a meno che…
-A meno che cosa, carissima?- la interruppe lui ridendo. -Davvero due ragazzine come voi due sarebbero in grado di uccidermi? Potete avere tutti i poteri che volete, io non mi sono mai interessato di queste faccende, anche perché i poteri dei Leggendari sono stati limitati ai signorini, che se li prenderanno tutti per loro. Ma comunque non avete abbastanza carattere né preparazione psicologica per commettere un omicidio, ve ne rendete conto? I Leggendari possono aiutarvi quanto volete ma non influenzare le vostre paure, le emozioni e il vostro carattere.
-Ne sei sicuro?- sibilò Sara dopo un momento di silenzio. Le dita della sua piccola, candida mano si rivestirono di ghiaccio e con quegli artigli affilatissimi sfidò la pelle del collo dell’uomo, che tornò immediatamente serio.
-Sì, ne sono certo- replicò.
-Allora sbagli di grosso.
Strinsi i pugni. Se avessero continuato con quei discorsi sui Leggendari di cui io ancora non sapevo nulla allora avrei dato di matto: persino io, così desiderosa di saperne di più, riconoscevo che quello non era certo il momento adatto per la completa rivelazione del segreto. Per questo motivo, facendomi forza, intervenni: -Perché non ti vanno a genio i tuoi Comandanti?- chiesi a Cyrus. Mi ero infatti accorta che non si era preoccupato di ribattere nulla quando gli avevo detto che non pareva gli andassero tanto a genio.
Quello mi lanciò un’occhiata severa ma interrogativa. -Ma che stai dicendo? Cosa te lo fa pensare?
-Abbiamo saputo tutto da alcune registrazioni e il tuo tono non è passato inosservato per la sua arroganza nei confronti dei vertici dei Victory- spiegai. -Cosa c’è che non va in loro, secondo te?
Ci mise un po’ per rispondere e quando lo fece sentivo che stava mentendo, voleva solo aggirare lo scoglio. -A me non piace portare rispetto a nessuno, credevo fosse chiaro. Nonostante io riponga la massima fiducia nei miei Comandanti non ho intenzione di cambiare il mio tono solo per loro, lo sanno bene e non gliene importa.
Scossi la testa, corrugando le sopracciglia e guardandolo con insistenza, accusatrice. -Stai mentendo.
-Come fai a dirlo?- sorrise appena lui. Sentii che la presenza di prima stava riprendendo il sopravvento e che proprio essa mi aveva ordinato di non credere alle parole dell’uomo.
Chiusi gli occhi, sentendo un leggero mal di testa mentre alcune parole non mie mi affioravano alla mente e la mia bocca le pronunciava: -La verità è che tu vorresti essere al posto loro e che odii sottostare ai loro comandi, Cyrus. Non hai mai accettato di ricevere ordini da qualcuno al di sopra di te e sei molto infastidito dal fatto che siano persino molto più giovani di te… ti mancano i vecchi tempi, quando tu eri al centro del tuo mondo e quando i progetti del Team Galassia erano a tua immagine e somiglianza. Ora invece sei costretto a sottostare e a farti carico delle azioni di qualcun altro, azioni che molto spesso non ti piacciono e che eviteresti… perché sei uno schiavo e sai di esserlo, sei in cerca del potere e presto scoppierà la tua personale ribellione.
Cadde un pesante silenzio quando finii di parlare: ebbi un piccolo capogiro ma mi ripresi subito dopo un breve, impercettibile lamento. Quasi non mi ero resa conto delle cose che avevo detto, avevo bisogno di riascoltarle e di schiarirmi le idee, ma l’espressione e gli atteggiamenti di Cyrus erano più importanti in quel momento.
L’uomo inizialmente doveva avermi guardata mentre lo smascheravo - o meglio, qualcuno lo faceva tramite me - perché lo avevo visto girare la testa e tornare a fissare il pavimento. Poi scosse la testa, sorridendo come se fosse amareggiato e tenendo gli occhi chiusi. Li riaprì poco dopo e sembrava davvero deluso da qualcosa. Sicuramente non poteva continuare a sorridere freddamente come prima, ora che i suoi piani erano stati messi in chiaro.
-Gli occhi rossi della tua amica sembrano quasi intonati al resto del suo aspetto così singolare- commentò riferendosi a Sara, -e nemmeno ci si stupisce del fatto che cambino colore, proprio come cristalli di ghiaccio colpiti dalla luce del Sole… ma che una ragazza dall’aspetto comune, addirittura anonimo come il tuo, Eleonora, da un momento all’altro riapra gli occhi svelando un paio di iridi sanguinarie… tu te lo aspetteresti?
Sgranai proprio quegli occhi che avevano cambiato colore, irrigidendomi tutta per la sorpresa. Allora anche io mi stavo trasformando o qualcosa del genere? Oppure era solo una cosa momentanea come stavo sperando?
-Cyrus, non sviare dalle domande che ti sono state fatte- lo rimproverò l’altra ragazza.
-Basta con i tuoi interventi, Sara- ribatté, apparentemente tranquillo, il Generale Victory. -Io credo fermamente che Eleonora sia molto più interessata di scoprire cosa la riguarda che di saperne di più sugli Dèi…
-Non è vero.
La mia risposta secca travolse Cyrus che certamente non si aspettava una mia opposizione. -Ma come? Sono anni che aspetti di sapere cosa ti riguarda e proprio ora che sto per dirti tutto vuoi tirarti indietro?
-Non ho intenzione di ascoltare la tua voce un secondo di più, a meno che non si tratti delle informazioni per le quali siamo venute- insistetti, retrocedendo di qualche passo. Muovendo le braccia seguendo percorsi sinuosi al livello del mio viso, creai nuovamente quei serpenti di fuoco, quelle fruste che tornarono a minacciare l’uomo. Lo guardavo con fermezza, forte e addirittura serena grazie alla presenza rassicurante dentro di me. -Non è da te che voglio sapere cosa mi riguarda, non da un bugiardo voglio sentire pronunciare il mio nome- continuai. -Quindi, se non hai intenzione di parlare a proposito dei tuoi Comandanti, dillo subito e lascerò che il fuoco sia guidato da qualcun altro verso di te, se non sarò in grado di essere io la prima a…
-Ma fammi il piacere, ragazzina!- ringhiò Cyrus.
Curvai le dita e le fruste iniziarono ad avvolgersi attorno al ghiaccio di Sara, ma senza scioglierlo. Non erano a contatto con la pelle di Cyrus però lo avrebbero attaccato non appena lo avessi deciso. -Decidi- gli ordinai.
-Cosa vorresti farmi con le tue fiamme di pura essenza di vita, Eleonora?- rise lui. -Sono praticamente innocue!
-E se volessi ferirti con questo fuoco?
-Come se fossi già abbastanza abile da poterlo fare!- replicò veemente. Non aveva paura, era evidente, e la cosa mi infastidiva: strinsi i pugni, offesa, e le fiamme si spensero. Dopo un attimo di sorpresa per il mio cambio di idea - abbastanza immotivato, in effetti, dovuto solo al fatto che fossi indispettita per le sue parole, il Generale continuò velenosamente: -Per quel che mi riguarda potete anche andarvene!
-Basta così.
Era stata Sara a parlare. Fece sparire in una nuvola fumosa i cristalli di ghiaccio e Cyrus cadde ginocchioni a terra. Sia io che l’uomo la guardammo straniti, senza capire perché lo avesse liberato: era nuovamente pericoloso, sempre che non lo fosse stato anche intrappolato nel ghiaccio. Aveva l’aderente divisa dei Victory mezza strappata in più punti e si era procurato alcuni graffi.
Sara però lo bloccò di nuovo, ammanettandogli i polsi con puro ghiaccio. -Vattene, Cyrus. Io non ho paura di ferirti- disse. -Forse non sono ancora in grado di commettere un omicidio come hai giustamente detto, hai ragione e lo sappiamo tutti qua dentro. Ma non mi farò scrupoli a renderti difficili i prossimi giorni di vita se ci seguirai o cercherai di ostacolarci, e sicuramente nemmeno lei si risparmierà.
-Al massimo curerà i tuoi stessi colpi- ghignò Cyrus, continuando a prendermi in giro.
Non fu la presenza dentro di me a chiedermi di agire ma io mi stavo davvero scaldando. Rabbiosa come il fuoco attaccai: una freccia fiammeggiante, dai colori cangianti, partì dal mio indice rivolto verso lui e gli graffiò un fianco. Era sì un taglio superficiale, ma la mia offesa era stata abbastanza minacciosa da fargli scappare uno strillo acuto. Soprattutto non era inoffensivo. -Ripetilo, Cyrus- sibilai. -Ripeti che queste fiamme sono innocue e curative.
-Basta, Eleonora- mi richiamò Sara. Mi voltai di scatto verso di lei e parve sconsolata. Poi lanciai un’occhiata di sdegno al fianco del Generale Victory: pareva sfrigolare nel silenzio quasi totale di Via Vittoria. -Andiamocene- aggiunse dopo una pausa, durante la quale io e Cyrus ci scambiammo una lunga occhiata.
Il mio era puro odio nei suoi confronti e sentii di voler infierire ancora grazie ai poteri che avevo ricevuto, pur sapendo che non era giusto, almeno non ora. Ero però troppo arrabbiata nei suoi confronti. Dal canto suo, Cyrus ricambiava arrogantemente il mio sguardo, profondamente irato per gli attacchi ricevuti.
Poi disse qualcosa che in quel momento rasentava l’assurdo. -Gli Dèi agiscono per il piacere di qualcun altro. Lo fanno per la felicità e per il benessere di una persona alla quale tengono molto, ma non è quest’individuo a dare gli ordini. Nessuno all’interno dei Victory sa chi sia questa terza persona, solo loro due stessi.
Girai i tacchi fregandomene altamente di quella preziosissima informazione. Per questo motivo non appena mossi un passo Sara mi bloccò, afferrandomi per un gomito. Era basita.
-Stai scherzando, Cyrus?- chiese con un filo di voce. -C’è qualcuno ancora più in alto?
L’uomo ghignò. -Esatto. Non è un’informazione di vitale importanza, soprattutto perché sugli Dèi voi delle Forze del Bene non sapete nulla… quindi sul loro protetto cosa potrà mai uscir fuori?
-Perché ce lo hai detto?- mormorai. Avevo le sopracciglia severamente corrugate, interrogative. Non potevo immaginare quali parole sarebbero venute dopo.
-Per preparare soprattutto te, mia cara Eleonora- fece mellifluo, facendomi venire il voltastomaco, -a una novità molto peggiore. Ultimamente sembra che te ne ne sia un po’ fregata di loro, ed è un peccato, perché non credo che ai tuoi ormai andati genitori abbia fatto piacere essere stati messi nel dimenticatoio. Di’ loro addio. Sono morti.
Non aveva neanche completato quelle frasi che già nella mia mente erano esplosi strilli di negazione, disperati fin dall’inizio del suo annuncio. In un certo senso già avevo capito dove Cyrus avesse voluto andare a parare ma non volevo che lo facesse - ormai che lo avesse fatto.
Ero così turbata e confusa che non sapevo se ferirmi prima per le accuse dell’uomo, ovvero di aver dimenticato i miei genitori e non aver chiesto più nulla su di loro a Bellocchio e compagnia, oppure se semplicemente mettermi a piangere per la notizia appena ricevuta e sperare di morire lì dopo aver dato fondo a tutte le riserve d’acqua nel mio organismo. Perché forse morendo sarei stata liberata da tutte le pesanti, logoranti catene che mi tenevano in quel mondo di delusioni e di ferite; forse in quel modo avrei potuto ritrovare i miei genitori.
Spesso avevo riflettuto sulla morte ma mai avevo avuto realmente intenzione di andarmene per sempre. Essa mi faceva paura, soprattutto per la sua vicinanza in quel periodo di guerra. L’unica volta in cui avevo perso la mia voglia di vivere era stato proprio quando mi era giunta notizia del rapimento dei miei genitori, ma non avere più voglia di vivere non coincideva esattamente, almeno secondo me, con la morte.
Quindi allora cos’era? La disperazione di un momento, di un’intera vita, poteva quindi spingermi a compiere un’azione drastica come poteva essere il suicidio? Mi sarei portata quel peso appresso per tutta la vita, era vero, ma non c’era un modo per alleviare un po’ quelle sofferenze in modo tale da poter continuare a vivere veramente? Non pretendevo di sorridere ogni giorno o di vedere il buono in ogni cosa, ora che la malvagità dei Victory si era definitivamente abbattuta anche su di me, ma forse potevo essere ancora d’aiuto e potevo trovare io stessa aiuto. Sicuramente c’era qualcuno disposto a darmelo, sì. O forse no? Forse era meglio morire?
Proprio quella Morte doppiogiochista mi stava mandando in crisi. Quella Morte che in un momento appariva come l’unica cura al mio dolore e ai miei problemi, che era una liberazione da quelle catene che mi tormentavano; ma subito dopo mi ricordavo che quella stessa Morte mi aveva sottratto i miei genitori, legandomi ad un’altra di quelle catene e facendomi stare ancora peggio.
Davvero potevo pensare di cedere? E se qualcun altro fosse stato terribilmente male per la mia scomparsa così come io lo ero per quella dei miei genitori? Potevo permettermi di lasciar perdere tutto e di accettare l’invito della stessa causa di gran parte della mia tristezza, così pericolosamente vicina alla depressione?
Ma poi ero stata davvero in grado di dimenticarli? Era vero, non avevo chiesto più nulla di loro, sicura che se ci fossero state novità mi sarebbero state dette e impegnandomi di più su altri fronti che mi avevano preoccupata, come la partenza di Ilenia o il rapporto con Oxygen. Ma non ero mai stata in grado di lasciarli perdere come aveva invece insinuato Cyrus; le sue erano quindi solo provocazioni, visto che non trovavo modo di sentirmi in colpa anche per quella cosa che non consideravo vera? Allora perché mi stavo tormentando anche per quello?
Tutti questi pensieri, tutto questo riempì quei miseri secondi di silenzio che erano seguiti alle parole decisive di Cyrus. Sara doveva essere attonita a causa di quella nuova rivelazione che stava mandando tutto in fumo, sia la missione sia l’equilibrio che, fino a prima di partire per la missione, credevo di aver trovato. Si stava chiedendo come rimediare a ciò che stava succedendo e come farsi carico di una persona sconvolta e gestire la situazione.
I miei occhi - forse erano ancora rossi o forse no - fissavano il vuoto. O meglio, a me sembrava di star studiando quello: in realtà era il volto stesso di Cyrus che guardavo ma non riuscivo neanche a realizzarlo. Vedevo il suo ghigno crudele senza capire che espressione fosse né perché ci fosse, probabilmente nemmeno mi interessava. L’unica cosa che in quel momento esisteva, per me, era la pesantezza della Morte che sentivo alle mie spalle, oltre che su di esse. E solo io esistevo, solo io, perché tutti gli altri in qualche modo se n’erano andati: chi morti come i miei genitori, chi di inesistente rilevanza come Sara. E Cyrus, il mio personale messaggero di morte.
-E adesso a chi chiederai aiuto?- continuò a infierire lui. -Al tuo caro, prezioso Leggendario…
-Cyrus…!
Sara tentò di coprire il resto della frase, ma io in quel momento stavo facendo troppa attenzione a quello che l’uomo stava dicendo. Poco prima non mi importava niente di lui, del fatto che stesse parlando, non era altri che un’insignificante persona che si atteggiava ad essere la causa di ogni mio male personale. Ma tirando in ballo l’argomento preferito, che mi riguardava strettamente, che in quel momento era la mia unica ancora rimasta di salvezza, non potei non ascoltare. Ero pur sempre io la diretta interessata, come potevo ignorare anche quello che poteva aiutarmi? Era un Leggendario come avevo immaginato, quindi, ad aiutarmi e forse anche a vegliare su di me, a proteggermi? Perciò non bastò la sua esclamazione a non farmi udire ciò che aggiunse subito dopo.
Volevo sentire quel nome, non mi importava se a pronunciarlo fosse stato Cyrus o qualcun altro.
-… Ho-Oh?
Come se i miei sensi fossero stati amplificati - anche se era mera suggestione, mi parve di sentire l’infinitesimale scricchiolio delle ossa della mano di Sara quando la ragazza strinse i pugni; e poi fu come se da qualche passo di distanza non mi arrivasse più, in lontananza, il suo respiro, gelido proprio come il vento che la ragazza evocava e come il ghiaccio che poteva comandare. E io che c’entravo con l’aria e il fuoco di Ho-Oh?
Perché mi era stato “assegnato” uno dei Leggendari di tipo Fuoco più potenti, se non il più forte? Perché uno di tipo Volante se mi sentivo indissolubilmente costretta al terreno dalle catene da cui non trovavo liberazione?
Che la presenza di Ho-Oh in me potesse aiutarmi a ritrovare almeno la speranza? Si era finalmente rivelato e in questo modo aveva confermato di essere al mio fianco, di voler aiutare la sua protetta o qualsiasi cosa fossi? Cosa ci legava e perché? Anche lui aveva qualche catena che collaborando avremmo spezzato insieme alle mie?
Se era la collaborazione che mi serviva in quel momento, bloccata com’ero dalla notizia della morte dei miei genitori tanto da non riuscire nemmeno a piangere, allora non avrei aspettato un secondo di più. Non capivo come potessi riuscirci in quel momento, ma mi misi a ridacchiare. Quelle risa poi si intensificarono sempre di più, pazze, sfiorando la folle disperazione che provavo in quel momento, terribili. Ma non mi importava perché ridessi quasi con la testa rivolta verso l’alto e le braccia spalancate in un culmine di inevitabile egocentrismo e narcisismo, forse perché insieme a Ho-Oh mi beffavo dell’infimità di Cyrus e del mondo attorno a me.
Appena mi fermai a riprendere fiato cercai lo sguardo dell’uomo. Con sadico piacere notai che era imbarazzato dalla mia reazione inaspettata; forse aveva creduto che scoppiassi davvero a piangere e mi mostrassi per l’essere debole e umano che ero, ma con l’aiuto di Ho-Oh non avevo intenzione di cedere, di abbassarmi al suo livello. Io non ero veramente umana, questo mi stava dicendo la presenza della fenice, e di lì a poco avrei scoperto come e perché - e se non me lo avesse detto qualcuno lo avrebbe fatto lui, me lo promise.
-Sì, Cyrus, proprio così- gli risposi ghignando. -E tu cosa puoi fare ora contro me e Ho-Oh?
Neanche il tempo di finire la frase che sentii un’innata agilità nascere in me e, beffandomi dei vestiti pesanti che impedivano molti miei movimenti, senza realizzarlo veramente - poiché il Leggendario stava di nuovo guidando le mie azioni - feci quella che doveva essere una ruota senza mani. Molta spinta me la diede l’aria che anche Ho-Oh poteva comandare. Dal percorso tracciato dalle mie gambe in rotazione nacque il fuoco colorato d’arcobaleno, quelle fiamme di vita disprezzate da Cyrus che erano pronte, però, a fargli del male se solo lo avessi voluto.
Quell’arco, precisamente un quarto di circonferenza, si allungò verso di lui cercando di afferrarlo e di ferirlo. Visto lateralmente appariva come un muro di fuoco in crescita, furioso ma bellissimo da guardare per i suoi colori: quell’elemento era più vicino a un prisma che a qualsiasi altra cosa. Cyrus scartò goffamente di lato a causa del grosso impedimento datogli dalle manette di ghiaccio, ma girandomi appena lacerai per obliquo l’aria davanti a me con una mano e quell’arco di fuoco stavolta lo raggiunse.
Non riuscii a sentire bene il grido di dolore dell’uomo, purtroppo, perché mi sentii strattonare da dietro e mi voltai di scatto, indispettita e seccata per quella seccatura. Era Sara, ovviamente doveva rovinare tutto. -Ora devi fermarti, andiamocene, non abbiamo più motivo di insistere qui- mi intimò. Era preoccupata. -Lorenzo e…
-Vai pure, tu, a me non importa nulla di quei due e di te!- ribattei furiosa, facendola trasalire mortificata. -L’unica cosa che voglio ora è sistemare Cyrus, solo in questo modo risolveremo!
-No, non rimedierai a nulla, neanche ai tuoi problemi. Non essere egoista, ti prego, so che è dura e che in questo momento ti importa solo del tuo mondo personale, e ne hai ragione; ma…
-Non esistono ma! Ti ho detto di andare se è questo che vuoi e se non hai intenzione di aiutarmi!
Prima di continuare dovetti sbattere Cyrus contro il muro grazie a una folata di vento, perché quel codardo stava tentando la fuga ora che le cose iniziavano a mettersi seriamente male per lui.
-Ti prego, è andata benissimo finora; non continuiamo, non ne abbiamo motivo!
-Vattene subito, Articuno.- Era stato Ho-Oh a dire questo attraverso di me; il resto, pur con il suo aiuto e la sua spinta, era stato frutto della mia sola rabbia. -Vai via e lasciaci qui ad eliminare definitivamente la minaccia quale è Cyrus- continuò, parlando sia per me che per lui. Sara si morse le labbra: lei non pareva avere distinzioni dal suo Leggendario, come invece aveva deciso Ho-Oh marcando la nostra divisione utilizzando il “noi”.
-No, io non andrò- disse poco fermamente. -Dovete capire entrambi, dal momento che attualmente siete due personalità differenti. Eleonora, ti prego, senza l’ira di fiamme di Ho-Oh tu non diresti così, non agiresti così; e per quanto lui sia in grado di guidarti e anche di prendere il sopravvento su di te, mettendo da parte la vera te stessa, se tu non vuoi che il comando passi a lui, capirà. Non è detto che quello che fa un Leggendario sia assolutamente corretto, te lo dico per esperienza. È meglio che ora tu lasci da parte la furia, ti conosco e non sei mai stata fuoco e proprio ora non devi esserlo, non è il momento- mi pregò poi.
In quel momento la presenza di Ho-Oh si ritrasse, capendo che quella decisione spettava solo a me. Lui sapeva di poter dare sfogo alla mia rabbia e di aiutarmi in quel senso, ma sapeva anche che le vere prese di posizione, le mie, di Eleonora, stavano a me e non doveva interferire più di tanto. Solo io non avevo capito quella cosa, o meglio non lo avevo saputo - come avrei potuto capirlo? Strinsi i pugni, indecisa sul da farsi.
L’unica scelta che mi sentivo di fare in quel momento era rimandare tutto e probabilmente era la cosa migliore. Lasciar spegnere il fuoco e calmare le acque, confrontarmi sia con Sara che con Ho-Oh e molto probabilmente con Bellocchio. E magari degnarmi di piangere i miei genitori senza lasciarmi guidare dalla rabbia.
-Va bene, andiamo- mormorai con un filo di voce. Sara annuì e mi precedette girando i tacchi. Prima di seguirla mi girai a guardare Cyrus, al quale avevo dato le spalle fino ad allora per poter fronteggiare la ragazza.
Adesso era lui a guardarmi non arrabbiato, non freddamente, ma in stato di puro odio. Io invece ero sconsolata, perché non sapevo in quale modo presentarmi altrimenti, sfiancata com’ero dalle emozioni impetuose che avevo vissuto nell’ultimo lasso di tempo. La scoperta del tradimento della spia Victory, la sconfitta di gran parte della mia squadra, l’incontro con Cyrus, Sara, le fiamme, i miei genitori, Ho-Oh. Tutto ciò era stato un crescendo di gravi pesi che mi stavano facendo vacillare pericolosamente. Non dovevo svenire o cadere, però.
Per questo innalzai una barriera di fiamme arcobaleno, brillanti e rassicuranti, a dividere me da Cyrus. Quella sorta di prisma fiammeggiante mi aiutò a sentirmi lontana dalla minaccia di quell’uomo. Scuotendo la testa e accogliendo le prime, silenziose lacrime, alle quali sarebbero seguiti i pianti più terribili che mi avrebbero fatto gridare dal dolore e dalla paura, seguii Sara. Dovevamo vederci con gli altri due fuori da Via Vittoria.

Arrivammo all’uscita di Via Vittoria dopo lunghi minuti di cammino in totale silenzio. Né io né Sara avevamo idea di cosa poterci dire, se potevamo riprendere a parlarci dopo quello che era successo. Mi sentivo in colpa per la mia esperienza inesistente in quella situazione, lei sembrava una veterana a giudicare da quello che aveva detto e da ciò che faceva, doveva aver conosciuto il suo Articuno molto tempo prima. Forse in un secondo momento sarei riuscita a chiederle qualcosa di più sulla sua personale storia con i Leggendari.
Intanto, però, preferivo starmene in silenzio a rimuginare tra me e me e a chiedermi dove fosse Ho-Oh: la sua calda, rassicurante presenza era scomparsa. I suoi comportamenti mi parevano incostanti e mi dispiaceva che se ne fosse già andato, avevo bisogno di lui e del fuoco che poteva far luce sulle mie emozioni e aiutarmi, ma in seguito mi sarebbe stato spiegato tutto anche da lui stesso… il mio Leggendario. Ma che storia era quella? Poco e nulla era chiaro, tante invece erano le domande ed i dubbi per i quali aspettavo una risposta. Avevo un po’ paura di quello che poteva starmi aspettando ma non riuscivo neanche a sfogarmi seriamente per quanto ero turbata. Numerose erano state le lacrime che avevo pianto durante il tragitto fino all’uscita ma erano state quasi inutili.
A giudicare dalle espressioni di sorpresa e sollievo degli altri due ragazzi, dovevano essere da molto in attesa. Ci corsero incontro ma quasi non li notai; piuttosto mi incantai senza alcun motivo a contemplare la maestosa cascata che ci separava dalla Lega Pokémon. I suoni mi arrivavano attutiti, non sapevo cosa si stessero dicendo gli altri tre e non avevo idea di come Sara potesse parlare quasi normalmente dopo ciò che era successo. La ragazza era visibilmente scossa ma la sua ansia poteva spiegarsi tranquillamente con l’incontro avuto con Cyrus.
Mentre lei descriveva ai due gli eventi trascorsi e loro ricambiavano, io nelle orecchie della mia mente udivo soltanto la voce del Generale Victory e percepivo in lontananza la presenza di Ho-Oh. C’era o no? Se sì, perché non tornava a darmi la forza per reagire e per parlare animatamente con Lorenzo e gli altri? E poi, sarei mai stata più la stessa dopo quella scoperta? Sarei cambiata nuovamente? Sarei impazzita come Camille o avrei trovato il modo di reagire e di andare avanti, anche e soprattutto grazie alle fiamme di vita che Ho-Oh poteva far ardere in me?
-Eleonora, tutto bene?- Era stato l’altro capogruppo a parlare, probabilmente preoccupato dal mio insistente silenzio. Mi voltai verso di lui, abbassando la testa da che l’avevo leggermente alzata nel fingere di studiare la cascata, nuovamente persa nei miei turbolenti e stanchi pensieri. Sia lui che l’altro ragazzo trasalirono appena scambiarono uno sguardo con me: non mi ci volle molto tempo per intuire il motivo.
-Perché i tuoi occhi…- Lorenzo fece una pausa prima di continuare, boccheggiando molto intimidito, in cerca di un qualche eufemismo per rendere l’idea. Andò dritto al punto, non avendo avuto successo: -Perché sono rossi…?
Seguì un breve silenzio imbarazzato da parte degli altri. Io non avevo alcuna intenzione di proferire parola, lo fece Sara al posto mio: -Sono lenti a contatto.- Si inventò qualche futile scusa per zittirli e poi ci dirigemmo verso la Lega Pokémon, all’interno della quale saremmo stati accolti in una base segreta.
Io e Sara ci scambiammo un’ultima occhiata prima di varcare la soglia e di seguire i due ragazzi. Aspettavo che fosse lei a parlare. Con un sospiro cedette. -Lo so, Eleonora. È il momento che tu scopra chi sei veramente.







Angolo ottuso di un'autrice ottusa
Premessa rivolta a qualcuno in particolare: spero che il capitolo abbia lasciato un pochino con il fiato sospeso durante la sua lettura. *scuoricina*
Buonciao gen- non c'è praticamente nessuno... vabbè...
Qualche appunto veloce:
- prima che qualcuno mi denunci per plagio - o qualcosa del genere - della storia della mia illustr(at)issima collega AuraNera_, sappiate che la roba dei Leggendari venne decisa dalla sottoscritta tanto di quel tempo fa che nemmeno immaginate (?). Tra l’altro la sottoscritta lo fece in compagnia dell’esimia collega sopracitata, alla quale mascherò uno spoiler gigantesco - ormai è chiaro che quello è, nevvero, Sarr? Quindi la carissima è a conoscenza di questa roba, anche se la faccenda è ormai molto diversa da quella che era in origine, ovvero una scopiazzatura bella e buona che il suo buon cuore non mi ha mai fatto pesare ahahah
- in teoria non avrei dovuto rivelare di Ho-Oh prima del prossimo capitolo, ma penso sia meglio così. Anche perché altrimenti non avrei saputo come continuare, e in ogni caso era evidente il fatto viste le fiamme arcobaleno...
- qualcuno più in alto dei signorini?! Eh bien oui!
- mancano altri tre capitoli e questa parte è finita. Nell'angolo ottuso dell'ultimo capitolo vi illustrerò i progetti futuri, perché no, non partirò subito con la terza parte, mi dispiace per chi ci tiene :P
- il titolo del capitolo è una specie di contrasto con "Fiamme assassine" (e te lo credo!)
- il prossimo aggiornamento ci sarà verso il prossimo weekend, prima che io vada in vacanza per più di due lunghe settimane, e negli stessi giorni Ribellione, che conto di poter aggiornare più volte per portarla a termine entro la fine dell'anno - ma non si sa mai (?).
A presto!
Ink

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Capitolo 25
*** XXIII - A servizio del Bene ***


XXIII
A servizio del Bene

Oltrepassammo la soglia del portone della Lega Pokémon solo quando Lorenzo fece cenno a me e Sara, mentre lui era andato avanti con l’altro ragazzo, di raggiungerli. Tra me e la ragazza era sceso un silenzio imbarazzato da parte sua, naturale e necessario da parte mia. Mentre lei cercava di prepararsi un discorso che spiegasse la mia situazione in maniera plausibile e tranquilla, che non mi facesse dare di matto come avevano temuto Bellocchio e Camille, io ero sicura che qualsiasi cosa mi fosse stata detta non sarebbe stata poi così male.
In fondo avevo appena perso i miei genitori. Cosa poteva esserci di peggio? Ricevere l’aiuto di Ho-Oh mi dava solo piacere e sicurezza. Era come se non stessi aspettando altro che il suo arrivo, certa che grazie a lui avrei potuto guardare in faccia senza paura il nemico, perché avevo la sua protezione. Avrei potuto sfidare un’altra volta Cyrus senza tremare come una bambina impaurita dal buio, magari avrei potuto ferirlo.
Mi impedii di formulare pensieri più gravi e forti, addirittura peccaminosi. Non capivo da dove provenisse tutta questa violenza che mai avevo pensato nei confronti di qualcuno. Pensando all’elemento del fuoco mi arrivò la risposta. Nonostante le fiamme di Ho-Oh fossero di vita, come aveva detto per prendermi in giro - senza sapere di star giocando, appunto, con il fuoco - Cyrus, ero in grado di renderlo l’elemento divoratore e di distruzione che era per natura e per eccellenza: qualcosa sulla filosofia degli elementi lo avevo letto in biblioteca.
Il fuoco non si frena davanti a niente, se c’è un ostacolo lo aggredisce e lo elimina tra le sue spire incandescenti. Ai suoi antipodi ha l’acqua, che con esso condivide l’inquietudine e l’imprevedibilità, ma che è l’unico elemento in grado di placarlo, spegnendolo e lasciando di esso solo tracce di fumo, che poi si dissolveranno insieme ai ricordi di un incendio o di una misera fiammella che avrebbe potuto evolversi e costituire una minaccia.
Trovai buffa quella simbologia che io sentivo così poco appropriata per me. Fino a un’ora prima non avevo idea di poter ottenere il potere del fuoco e soprattutto che esso potesse trovarsi in una come me, che tutto possedeva meno che l’energia, la volontà, la rabbia e la vitalità di quell’elemento. Forse non era importante. Poteva darsi che fosse rimasto nascosto dentro di me e che Ho-Oh potesse farmelo tirare fuori. Pur credendo che qualche anno prima, all’Accademia, avessi avuto la passione per la vita che gli apparteneva, non ero mai stata una persona aggressiva - se non in qualche episodio isolato quando la rabbia aveva preso il sopravvento. Ma chi mi diceva che anche quello non fosse merito di Ho-Oh, che senza farsi sentire mi avesse donato un po’ di forza e di impeto?
Forse Sara avrebbe potuto dirmelo. Le lanciai un’occhiata di traverso chiedendomi cosa - e soprattutto quanto - lei sapesse di me e del Leggendario dell’Arcobaleno. La fenice aveva detto che lei era unita ad Articuno ma volevo sapere perché lei fosse un individuo unico con quel Leggendario e io no con il mio.
Alzai gli occhi sui due ragazzi del gruppo. A giudicare dalle loro espressioni quando ricambiarono lo sguardo di attesa che avevo, dovevano essere ancora rossi. Quando sarebbero tornati grigi, del loro colore naturale?
-Si entra per di qua nella base segreta- disse Lorenzo, indicando l’entrata per la stanza del primo Superquattro della Lega, Aaron, che a volte ci era capitato di vedere all’Accademia. Inserì una lunga password su un pannello attaccato alla grande porta chiusa, che gli era stato detto sicuramente da quelli della base segreta. Quella si aprì ed entrammo, ritrovandoci in un corridoio fiocamente illuminato.
Ci fece cenno di entrare in uno stretto ascensore, la cui entrata era ben mimetizzata con il muro - anche grazie al buio, in cui stavamo tutti e quattro a malapena. Sentivo il respiro freddo, al contrario degli altri, di Sara alle mie spalle e, sfiorando con la mia mano quella di Lorenzo, un suo lieve tremore. Soffocai a fatica un sorrisetto ed una risatina, che la situazione inevitabilmente suscitava in me: quel ragazzo era davvero tenero. Mi dispiaceva, dovevo ammetterlo, non averlo potuto conoscere meglio, perché da quel poco che sapevo aveva un cuore d’oro. Avevo anche riconosciuto l’altro ragazzo: era la stessa spia con cui ci eravamo ricongiunti a Kalos in missione.
Non avevo idea di quali tasti ci fossero nell’ascensore quasi immerso nell’ombra e quale avesse premuto il ragazzo, a che piano stessimo andando. Avevo qualche dubbio anche sulla loro esistenza, probabilmente era stato creato solo per condurre a un altro piano - superiore, poiché stavamo salendo - che contenesse la base segreta nella Lega Pokémon. Dovevo immaginare che non fosse del tutto abbandonata, non poteva essere certo lasciata in balia dei Victory. Forse conteneva qualche preziosa informazione o tesoro e quindi qualcuno la sorvegliava.
All’uscita dall’ascensore ci ritrovammo in una stanza che assomigliava in tutto e per tutto alla grande sala dei sotterranei nel Monte Corona, un gigantesco parallelepipedo in acciaio arredato con scrivanie, computer e con gli immancabili megaschermi che recavano codici incomprensibili ed illustravano le zone più disparate del mondo, senza che io capissi a cosa servissero e cosa stessero sorvegliando. Mi fece un effetto sgradevole trovare quella sala nel palazzo gotico, perché se era magnifico immaginarla nascosta dentro il Monte Corona, era brutto pensarla oltre le meravigliose pareti esterne della sede della Lega Pokémon, così in discordia con l’atmosfera che trasmetteva.
Ovviamente se mi mettevo a dare simili giudizi era solo perché avevo altri due argomenti sui quali riflettere in alternativa: la morte dei miei genitori e la faccenda con Ho-Oh. Probabilmente il fuoco che ardeva timidamente in me, un rimasuglio della presenza del Leggendario, mi stava impedendo di crollare subito e rimandava lo sfogo che avrei poi avuto presto, appena la situazione si fosse stabilizzata - per quanto tutto quello potesse giungere ad un equilibrio. Mi sembrava quasi impossibile vista la faccenda sovrannaturale che stavo vivendo.
Accorse ad accoglierci Camilla, come suo solito vestita di nero. I lunghi capelli biondi erano raccolti in una crocchia, qualche ciocca più corta le era sfuggita. Inizialmente il suo viso era serio e imperturbabile ma appena notò che eravamo tutti tolse la maschera di ghiaccio che indossava: sospirò sollevata e sorrise appena. -Allora manca solo il traditore, il ragazzo dei Victory?- chiese subito.
Annuimmo e Lorenzo e Sara le descrissero velocemente com’erano andate le cose. Il tono di lui era frettoloso, parlava a voce alta e preoccupata, un po’ confusamente. Lei fu più tranquilla e lenta ma era inevitabilmente scossa e timorosa. La sua voce era flebile e sentivo che era a disagio.
L’ex Campionessa alzò lo sguardo su di me e sull’altro ragazzo e sussultò sorpresa appena incrociò i miei occhi, che mi affrettai a distogliere, improvvisamente imbarazzata per la presenza dell’adulta. -Eleonora, ti sei messa delle lenti a contatto…?- domandò perplessa.
Non riuscii a non lasciarmi sfuggire un sorrisetto timido e amareggiato. Le risposi affermativamente e lei, con uno strano sorriso, chiese il motivo. Continuando ad evitare i suoi occhi plumbei, le dissi: -Magari in questo modo potevamo intimorire un po’ Cyrus…
La donna sgranò gli occhi. Lorenzo e Sara non erano ancora arrivati a parlare degli scontri con i Capitani dei Victory e con il Generale. Quando finirono di descriverle tutti gli scontri avuti, Camilla inspirò profondamente e ci guardò con grande serietà. -Vi metto in contatto con Bellocchio, che sta aspettando di potervi parlare di persona- ci disse. -Potrete informare lui di tutte le scoperte fatte a cui avete accennato, intanto riposatevi un po’. Vi porto in un altro posto, qui non potete rimanere.- Accennò con la testa ad alcuni uomini, giovani e non, che stavano seduti ai computer a lavorare. Qualche faccia l’avevo incontrata di sfuggira nella base segreta principale.
Camilla ci condusse in due stanze separate, due salottini angusti arredati con un paio poltroncine e poco più. Io e Sara sedemmo ben separate da un metro di spazio sul divano usato molto spesso - una prova ne erano alcuni graffi e qualche piccolo strappo sulla pelle visibilmente vecchia. Non avevo intenzione di parlare e continuavo a osservare e studiare l’ambiente, avvolto nella penombra come la base principale nel Monte Corona, per impedirmi di sommergere Sara di domande o di lacrime - a seconda se le avessi chiesto di Ho-Oh o se mi fossi disperata per i miei genitori. Aspettavo che fosse lei, se avesse voluto, a rompere il silenzio teso e sgradevole.
Infatti fu la ragazza a parlare per prima. Esordì con un sospiro sconsolato e le lanciai un’occhiata di sbieco. -Mi spiace, ma dovremo aspettare Bellocchio prima di raccontarti tutto- disse con la sua voce dolce, triste e flebile.
-Va bene- replicai secca, non assumendo alcun tono in particolare. In un moto di pena per la sua tristezza che mi faceva, mio malgrado, dispiacere, le chiesi: -Come faccio a far tornare i miei occhi grigi?
-Ci vuole uno specchio e un po’ di allenamento- rispose. -Sai… il mio vero aspetto non è questo.
Feci quel sorriso amaro in cui mi stavo specializzando e che mi riusciva terribilmente facile in quei momenti, in quel periodo. -Lo immaginavo. Avere i capelli bianchi senza tinta e gli occhi cambiacolore non è da tutti.
Lei ricambiò la mia espressione, ma le sue labbra appena inarcate esprimevano come una profonda malinconia e non l’amarezza che stavo provando io nei confronti di tutto ciò che mi circondava. Forse nel suo caso si trattava addirittura di nostalgia. Girai la testa, interrompendo il contatto visivo che aveva resistito per pochi attimi. Stavo per confidarmi con lei delle cose che avevo pensato su lei stessa e Cyrus dentro Via Vittoria. Forse sarebbe stato meglio rimandare a dopo, successivamente alla scoperta della mia vera identità, ma non ce la facevo più a tenermi tutto dentro e volevo parlarne un po’ con lei. Dopotutto poteva capirmi.
-Dopotutto tu puoi capirmi- dissi infatti con un lieve sospiro. -Sara, tu sei come me e non me lo hai mai detto. Io ho paura di arrabbiarmi per questo. Mi è bastato qualche pensiero per realizzare che tu, Camille, Bellocchio e chiunque fosse a conoscenza del mio… del nostro segreto- mi corressi, -non mi teneva tutto nascosto per cattiveria, ma effettivamente per proteggermi. Camille diceva che sarei potuta impazzire.
Sara mi ascoltava con la sua espressione triste e nostalgica, subito colpita dalle confidenze che le stavo facendo.
-Ho paura di arrabbiarmi perché non penso di poter impazzire per questa cosa- continuai. -Se me la prenderò sarà perché da mesi, da anni aspettavo qualcosa con cui risollevarmi. Mentre per Camille, non so come la veda tu, il segreto che condividiamo tutte noi è un peso terribile… sentire Ho-Oh dentro di me è stata una delle più belle sensazioni che io abbia mai provato in vita mia.- Sorrisi più serena mentre i miei occhi fissavano il vuoto, vacui; si perdevano nei piacevoli ricordi di emozioni provate poco prima e che non vedevo l’ora di riavere non appena Ho-Oh fosse tornato. -Io non mi sento molto simile all’elemento del fuoco, che è energia e vitalità, passione e rabbia. Forse, in passato, un po’ all’aria del tipo Volante, perché è libertà e leggerezza e io ho perseguito queste due cose, pur avendo perso da tempo la seconda, afflitta dalla pesantezza di continui dispiaceri e pochi successi.
Feci una pausa e ritrovai il coraggio di guardare Sara. -Forse la faccenda dei Leggendari è pericolosa per la mia mente e per la mia vita, forse sono già a rischio, sto silenziosamente impazzendo senza che me ne stia accorgendo. Può darsi che anche questa mia tranquillità e la felicità di avere la protezione di Ho-Oh sia una forma di pazzia, o di stupidità e ingenuità da parte mia… non conosco la situazione, d’altra parte… ma non posso fare a meno di essere felice di avere finalmente un alleato. Adesso non sento Ho-Oh…- portai una mano al mio cuore, che batteva come di consueto. -Ma sono sicura che appena avrò bisogno, tornerà. Capisci quello che intendo, Sara?
Lei annuì. -Non sei molto lontana dalla realtà delle cose- disse. -Mentre alcuni di noi sono spaventati e hanno la sensazione di essere sottomessi dal loro Leggendario, altri come me e te non possono che essere felici di averli.
-Anche per te è così?
-Sì, Eleonora. Ti ricordi quel che raccontò Angelica all’Accademia? La mia storia? Ero una trovatella, un’orfana che a malapena riusciva a vivere, aiutata dalla benevolenza di qualche passante impietosito che talvolta mi donava qualcosa. Magari per loro erano piccoli gesti quasi senza senso, mi offrivano cose per loro inutili, ma io li ringrazio in ogni momento per avermi aiutata… Devo tutto ad Angelica e ai suoi genitori che mi accolsero presso di loro, diventai come una sorella per quella bambina, una figlia unica che tanto aveva desiderato una come me.
-Il punto è che non passò solo un pomeriggio quando non riuscirono a ritrovarmi, a rintracciarmi, ma un’intera giornata. Angelica non se lo ricorda bene. In quella giornata io conobbi Articuno. Ero stata attirata da un gruppo di bambini che giocavano e che, non appena mi fui avvicinata, mi avevano invitata a stare con loro. Passammo qualche ora felicemente, insieme, ma arrivarono alcuni malintenzionati…- Strinse i pugni delle piccole mani bianche, distogliendo lo sguardo dal mio. Anche le sue iridi erano ancora cremisi. -Non so cosa ci avrebbero fatto se Articuno non fosse intervenuta. Ci salvò tutti. I bambini scapparono per la paura, non riconoscendo l’aiutante, e qualche Leggendario fece loro dimenticare dell’avvenimento.
-Solo io rimasi, incantata da Articuno. Non sapevo perché intervenne né perché volle aiutarci, forse era impietosita dalla situazione di noi ragazzini e non voleva che quegli uomini ci aggredissero. La verità era che non poteva permettere un simile trauma alla sua Legata e quindi non le restò che rivelarsi. Restai tutto il giorno con lei fino alla sera successiva. Tornai a casa diversa… appena arriverà Bellocchio ti spiegherò il perché.
-Niente spoiler- commentai distrattamente. Il racconto di Sara mi aveva catturata ed i miei occhi si erano persi nuovamente nel vuoto mentre immaginavo le scene velocemente descritte.
La ragazza rise di cuore, io sorrisi. -Già, niente spoiler…- continuò a ridacchiare lei.
-Articuno è femmina?
-Diciamo di sì. I Leggendari non hanno sesso, è vero, ma possono sceglierne uno per presentarsi agli umani e non metterli in difficoltà- rispose. Non poté fare a meno, questo lo capii subito, di chiedermi: -Tu come percepisci Ho-Oh? Come un maschio o come una femmina?
-Non vorrei sbagliare, ma a me è sembrato una figura paterna. Mi ha guidata e rassicurata per tutto il tempo mentre mi lasciavo guidare da lui ma è stato anche molto… gentile.- Ero un po’ in difficoltà mentre cercavo di descrivere il Leggendario e di parlare di lui. Era più facile farlo di me.
La ragazza annuì. -Be’, questo non significa niente. La conferma la avrai quando lo incontrerai.
Quell’affermazione, detta da lei con una leggerezza incredibile, mi fece irrigidire. Forse lei se ne accorse ma non poté dirmi nulla, non avendo idea del perché all’improvviso mi stessi preoccupando. Preferii non pensarci.
-Un po’ mi sto dispiacendo di aver accusato tanto a lungo Bellocchio…- mormorai. -Me la sono presa per anni interi con lui e con Camille per avermi nascosto tutto questo. Il fatto è… è che odio quando mi viene nascosta la verità. Soprattutto se è qualcosa che mi riguarda io ho il bisogno impellente di saperlo.- Nuovamente imbarazzata - non capivo cosa mi stesse succedendo quel giorno, con un altro slancio di coraggio guardai Sara per cercare di capire cosa esprimesse il suo viso. Era interessata dalle mie parole e comprensiva.
-Mi dispiace così tanto…- sussurrai stringendo tra le mani la stoffa dei miei jeans e riabbassando gli occhi.
-Ma per cosa, Eleonora?- disse lei ugualmente a bassa voce, avvicinandosi e prendendo una delle mie mani tra le sue. Mi sorprese sentirle calde e soprattutto fui stupita del contatto, che non mi aspettavo di avere.
Mi morsi le labbra; poi riuscii, non so con quale forza e con quali aiuti da parte di chi, a non far tremare la mia voce. -Sara, mentre eravamo dentro Via Vittoria io ero così arrabbiata con te… proprio come ho pensato di odiare Bellocchio e Camille, stava succedendo lo stesso con te- dissi quasi tutto d’un fiato. Dovevo parlare con chiarezza, lei che provava le stesse cose nei confronti della sua Leggendaria poteva capirmi e aiutarmi. -Ed è successo perché anche tu mi hai nascosto tutto… E prima che Cyrus dicesse che tu eri come me e mi facesse infuriare per pochi ma lunghi istanti, avevo paura di te e non riuscivo a definirti mia alleata. Ero spaventata da tutto e tutti, da Cyrus che è il mio incubo e da te per la tua freddezza, ti sentivo così distante e sconosciuta che…
-Calmati, Eleonora- sussurrò lei. Pure con la sua voce bassa riuscì a bloccare il fiume in piena delle mie parole. Avrei potuto continuare all’infinito a descrivere le emozioni che avevo provato e mano a mano la portata di quel minaccioso corso d’acqua sarebbe aumentata, probabilmente insieme alle lacrime che sarebbero arrivate.
Di scatto la guardai ma non incontrai i suoi occhi. C’era solo la parete d’acciaio scuro davanti a me e una parte del mio campo visivo era occupata dai lunghi capelli bianchi striati d’azzurro e di blu di Sara. Questo perché mi stava abbracciando, dolcemente ma anche con decisione, come se non volesse lasciarmi andare. Stava bloccando le parole che avrei potuto dire e che subito vennero cancellate dalla mia memoria grazie al suo gesto. Sincero affetto e comprensione: ecco quello di cui avevo bisogno in quel momento.
Dopo qualche secondo di sorpresa la strinsi anch’io, più timidamente di lei che aveva le braccia letteralmente gettate al mio collo. Poggiava la testa sulla mia spalla, sentivo il suo respiro sul mio collo. Era caldo e umano, non era quello di Articuno ma quello di Sara. Evidentemente anche loro in alcuni momenti si separavano.
Essendo lei più alta non riuscii a posare il mento sulla sua spalla magra come faceva lei con me senza che quello mi risultasse scomodo. Mi accontentai di sfiorarla con il naso; i suoi capelli mi stuzzicavano le narici. -Posso capire la paura che hai provato e ciò che ti è successo- mormorò. -Ma io sono tua alleata, oltre che tua amica, e non si tratta di solidarietà. Io ti voglio bene, Eleonora. Promettimi che non te ne dimenticherai mai e che ti ricorderai sempre di me come… una persona che prova affetto nei tuoi confronti.
Stavo per commuovermi come una bambina. -A… anche io ti voglio bene…- balbettai.
Quella volta lo dissi con indecisione, ma presto capii quanto Sara e la sua situazione così vicina alla mia fossero speciali per me. E quel bene che credevo di aver provato solo superficialmente per lei, che mai mi pareva di aver davvero conosciuto, si trasformò in vero affetto. Bastò quell’abbraccio a farmi sentire al sicuro anche senza sapere davvero tutto di lei, senza conoscerla veramente bene come invece era successo con Ilenia e Chiara.
In seguito mi parve estremamente facile indovinare il suo stato d’animo, i suoi pensieri, tutto. Era un po’ come se fossimo diventate migliori amiche anche se sapevo che non si trattava affatto di questo.
-I tuoi occhi sono di nuovo grigi- mi rivelò, sorridendo serenamente, quando sciogliemmo la stretta.
Passò una mezz’ora che riempimmo parlando tranquillamente di tutto, persino accennando a qualche cosa sui Leggendari che in situazioni normali mi avrebbe inquietata e messa duramente alla prova - di certo non erano comuni argomenti di conversazione. Fummo interrotte dall’arrivo di Bellocchio.
Capimmo che era giunto tanto tempestivamente grazie ad un Teletrasporto quando - dopo aver bussato alla porta del nostro amabile salottino, averci condotte fino a una stanza simile a un ufficio più grande del suo e aver ordinato agli altri due ragazzi della missione di tornare nel Monte Corona - posò sul tavolo della scrivania, sulla quale si era seduto ignorando bellamente la poltrona, una Poké Ball nella cui metà superiore semitrasparente si intravedeva un Alakazam dagli occhi vigili. Noi restammo in piedi poco distanti dalla porta.
Si tolse il lungo impermeabile nero, rimandendo con un maglione da cui fuoriusciva il colletto azzurrino della camicia. Ci guardò entrambe e fortunatamente non era imperturbabile. Proprio come con Sara potevo finalmente almeno provare a decifrare le emozioni che il suo volto, corrucciato dalla preoccupazione, dalla rassegnazione e dalla stanchezza, comunicava. Forse fu proprio a causa di quelle tre cose che esordì con un sospiro e chiedendo quasi inutilmente se fosse proprio necessario parlare.
“A parte che sei stato tu a mandarmi in pasto a Cyrus, dovevi aspettarti che scoprissi qualcosa… chi ti capisce è bravo. Mah, comunque…” -… Avendo creato dal nulla e comandato fiamme arcobaleno dopo aver fermato il Lanciafiamme infernale dell’Houndoom di Cyrus perché l’idea di essere colpita non mi entusiasmava, mettendo non tanto stupidamente una mano avanti a me che ha fermato il fuoco rosso e nero, avendo fatto una ruota senza mani aiutata da qualcosa di simile all’aerocinesi, avendo visto Sara creare dal nulla ghiaccio che pareva cristallo e dominato anche lei l’aria…- Mi fermai un momento a riprendere fiato, mentre guardavo le dita alzate della mia mano che avevano contato gli avvenimenti ironicamente riportati. -Be’, sì, direi che è proprio necessario finire di fare chiarezza sulla situazione- conclusi. Sara si lasciò sfuggire un sorriso imbarazzato.
Bellocchio inarcò le sopracciglia: non doveva essere il massimo sentire tanta ironia da una ragazzina che aveva appena saputo di aver perso i propri genitori. E in effetti, sinceramente emozionata di star per sentire le parole che da tanto tempo volevo conoscere, avevo deciso di mettere da parte la tristezza anche per non mostrarmi debole e indifesa davanti al mio capo. Non potevo lasciarmi sfuggire quell’occasione. Chiesi mentalmente perdono ai miei genitori prima di riportare la mia attenzione sul momento, cercando di ignorare una dolorosa fitta nel petto.
-Allora, da dove dovrei cominciare?- sbuffò poi. -Ti è già chiaro di essere invischiata in una stretta relazione con un Leggendario, proprio come lo è anche Sara. Nel tuo caso si tratta di Ho-Oh, il Pokémon dell’Arcobaleno e della vita, una fenice detta di tipo Fuoco e Volante. Ormai bisogna parlare di elementi, poiché i tipi non sono altro che un modo di definire essi in una maniera più comune, meno mistica e adatta ai Pokémon normali. Difatti ormai si parla propriamente elementi solo nel caso dei Leggendari, che li hanno mantenuti vivi dentro di sé. Il Leggendario di Sara è invece Articuno, a quanto pare una femmina… quindi sovrana dei ghiacci e dei venti del nord.
-Le relazioni strette tra un Leggendario e un essere umano sono detti Legami; un umano può sostenerne solo uno. Sono paragonabili a dei contratti in cui viene messa in discussione la vita di entrambi i contraenti. S.L. sta per Soggetti Legati o per Soggetti con Legame- rivelò. -Un Legame si stabilisce alla nascita di un individuo da parte del Pokémon, per questo il ruolo dell’umano è detto di contraente passivo. Non può mai essere un umano a crearne uno se non in casi eccezionali… quanto macabri. Questa relazione può essere rivelata dal Leggendario in ogni momento: fin da bambini negli umani si possono presentare certe caratteristiche fisiche, caratteriali e pure comportamentali che riconducono facilmente a un certo Leggendario. Così come si può sempre essere influenzati per tutta la vita dal Legame ed esserne a conoscenza, si può morire senza sapere di averne posseduto uno.
-Non è chiaro il criterio con il quale un Leggendario crea un Legame e nemmeno ci spetta saperlo. È un evento quasi eccezionale, sono poche le relazioni di questo genere attestate attraverso la Storia e coincidono sempre con dei periodi burrascosi, di guerre tra umani o tra Pokémon. In alcuni scontri tra i soli Leggendari, questi fecero lottare e intervenire i propri Legati, condannandoli praticamente alla morte. Altre volte i Pokémon creano un Legame quando temono di poter morire a causa di una certa minaccia, questo perché in ogni caso a rimetterci la vita sarà l’umano. Se quest’ultimo perde la vita, il Legame si spezza e torna al Leggendario, che può scegliere se crearne subito un altro o no; se per un qualsiasi motivo è il Leggendario a morire, il Legame si fonde con l’essere umano che lo sta portando e questi si trasforma nel Pokémon.- “Questo è abbastanza terribile.”
-I Legami sono attestati da un oggetto che reca un simbolo- proseguì lui. Sara ascoltava in silenzio e annuiva ogni tanto come a voler confermare le sue parole. -Dentro questo oggetto che può essere di qualsiasi tipo, ad esempio un braccialetto o una collana, vengono custodite l’essenza e l’anima del Leggendario. L’umano non può separarsi dalla forma materiale della relazione con il suo Pokémon. Perciò nel caso in cui quest’ultimo morisse, il corpo dell’uomo verrebbe trasformato in quello del Leggendario e l’anima dell’individuo scomparirebbe; dentro il nuovo corpo del Leggendario andrebbe ad abitare ciò che è custodito nella forma materiale del Legame.
Bellocchio fece una pausa e poi invitò Sara a mostrare il suo. La ragazza abbassò il collo alto del lungo vestito che indossava e tirò fuori da sotto di esso una semplice collana, che però subito sortì un effetto di attrazione, quasi magico, su di me. Al filo di seta azzurra era appeso un fiocco di neve grande quanto il tappo di una bottiglia. Sara mi disse di toccarlo e, oltre ai brividi nel percepire la presenza misteriosa di Articuno, sentii che nonostante le grosse dimensioni quel fiocco di neve era vero, punzecchiava i miei polpastrelli. Un cristallo azzurrino, scintillante di una luce che non c’era, era incastonato nel cuore del fiocco.
Ritirai la mano, ammirata. -Ma io non ho la forma materiale di un Legame. O almeno, non so di averlo.
Fu Sara stavolta a spiegare. -Per ottenere la forma materiale del Legame bisogna incontrare l’altro contraente. Dall’incontro verrà a crearsi quest’oggetto che sarà consegnato all’essere umano. Se uno dei due muore prima di incontrarsi, non cambia nulla: il Leggendario sfrutta comunque il corpo dell’umano e la “forma astratta” del Legame. Quindi tu, per ottenere l’oggetto che simboleggia Ho-Oh e il tuo Legame con lui, devi incontrarlo.
Annuii, nuovamente preoccupata all’idea di dover avere un confronto con un Leggendario al quale ero tanto… Legata, per l’appunto. -E dove si trova Ho-Oh? Quando dovrei incontrarlo?
Nonostante il Leggendario abitasse sulla cima della Torre Campana, la mia domanda era lecita poiché avrebbe potuto spostarsi da essa o cambiare la sua dimora effettiva in ogni momento.
-Prima di tutto devi imparare a conoscere i tuoi poteri- riprese Sara. -Ti aiuterò io: senza la presenza di Ho-Oh a comandarti al posto tuo e a dare vita ai poteri che possedete, sarà un po’ più difficile e ti dovrò insegnare qualcosa sulla teoria degli elementi. Non sarebbe male che tu imparassi qualcosa pure dal punto di vista fisico…
-Tipo quella ruota senza mani? Scordatelo.- Scossi la testa. -Sono negata per queste cose.
Ripresi a guardare Bellocchio, il quale mi studiava in cerca di qualcosa che tradisse i miei comportamenti così relativamente spensierati - almeno rispetto alla situazione. Feci un mezzo sorrisetto. -Sapere di avere l’aiuto e la protezione di un Leggendario è una delle cose più belle che siano successe nella mia vita.
Corrugò le sopracciglia, indeciso. -Sì, posso immaginare… ma spero tu sappia che…
-Sono sicura che lei e Camille siate rimasti in silenzio in buona fede- lo interruppi. -Ecco, esatto: ci ho pensato per un po’ di tempo e ho capito che non avevate nessuna colpa. Per questo, nonostante mi sia arrabbiata tante volte per la verità che mi avete tenuta nascosta… in un certo senso, adesso posso capirlo. Ma io non sono come Camille e lei si è misurato solo con quella ragazza, che a quanto pare non sopporta il suo Legame.
Com’era prevedibile, Bellocchio evitò di continuare a parlare di lei per qualche strana ragione. Però avevo fatto qualche supposizione sul perché lui sembrasse non ricordarsi della ragazza e non ero andata troppo lontana dalla realtà dei fatti. L’uomo disse distrattamente: -Be’, è davvero bello sentirti parlare così. Non posso negare che mi faccia piacere sapere che tu abbia accolto tanto positivamente la notizia, non me lo aspettavo.
-C’è una cosa, tra le altre, che mi preme sapere. Prima ha detto che la presenza di un Legame coincide con un periodo della Storia burrascoso, probabilmente di guerra- esordii. -Però lo scontro scoppiato tra Forze del Bene e Victory Team è successivo alla nascita mia, di Sara e credo di molti altri Legati. Allora perché Ho-Oh, Articuno e altri Leggendari hanno creato dei Legami se all’epoca non era ancora in corso nessun conflitto?
Bellocchio sbuffò, riprendendo l’espressione precedente a quella sognante non appena si pronunciava il nome di Camille. -Questa è la domanda che tutti noi ci stiamo ponendo. Non abbiamo idea del perché si siano creati dei Legami prima del tempo di guerra; l’unica ipotesi plausibile… è un conflitto già in corso tra Leggendari, del quale non abbiamo alcuna informazione. Forse proprio voi Legati potrete darci una risposta. Anche perché non credo che Pokémon come Ho-Oh e Articuno debbano temere qualche minaccia mortale.
Avevo tantissime altre domande e chiesi prima il permesso di poterle fare tutte subito. Bellocchio me lo accordò sbuffando che tanto, ormai, non c’era più niente da nascondere. -Ogni Leggendario deve forzatamente creare un Legame quando è necessario oppure può tirarsi fuori dal conflitto? Se così fosse potrebbe anche darsi che qualcuno abbia stabilito delle regole in merito. Forse uno stesso Leggendario. Se fosse proprio questo Pokémon a dare direttive e a scegliere gli umani che devono ottenere un Legame?
La mia mente correva e la mia fantasia mi suggeriva tutte quelle domande; ne facevo una dopo l’altra, anche le più semplici o assurde, sapendo di aver diritto ad una risposta. Bellocchio mi fermò per un primo momento.
-Tutte queste cose noi non le sappiamo, Eleonora, e finora nemmeno i Legati hanno ottenuto risposta. O peggio ancora, hanno avuto delle risposte che gli è stato proibito divulgare. Non possiamo far altro, noi comuni mortali, che affidarci alla vostra forza, ai vostri poteri sovrannaturali e alla relazione con i Leggendari. Siamo totalmente a vostro servizio, qualsiasi cosa vi serva, perché siete i soggetti che decideranno le sorti della guerra.
Ebbi l’impulso di stringere i pugni quando Bellocchio pronunciò quelle parole. “Loro sono a nostro servizio ma noi, a nostra volta, dobbiamo eseguire i loro comandi… è un equilibrio fin troppo fragile.”
-C’è un’altra cosa che non ho capito. Il Legame si stabilisce alla nascita ma può darsi che l’individuo umano non scopra mai di possedere una simile relazione con un Leggendario. Quindi dipende tutto dal Pokémon che deve decidere di rivelarsi o no e può farlo in qualsiasi momento? Se lo fa come è successo a me, da un momento all’altro nell’umano si risvegliano i poteri che ha ottenuto dal Legame, ma se decide di non mostrarsi mai, l’umano vive nella normalità, “comune mortale” come tutti gli altri. È così?
-Esatto- confermò Sara.
-Quando il Leggendario si rivela iniziano ad apparire nell’essere umano i suoi tratti fisici, comportamentali e caratteriali?- chiesi subito dopo, elencando le parole precedentemente dette da Bellocchio. -Se invece non si mostra dentro di lui, l’umano cresce come avrebbe dovuto normalmente, così come gli dice di fare il suo DNA?
Sara annuì. -Il mio incontro con Articuno è stato veloce. Nel giro di un giorno ho ottenuto il Legame e quindi il mio aspetto è mutato praticamente subito. Tu, non avendo ancora incontrato Ho-Oh ma avendo sentito solo la sua presenza dentro di te, hai avuto gli occhi rossi come i suoi per un po’. Lo stesso succede a me: quando lascio che intervenga anche Articuno, le mie iridi diventano rosse. Altrimenti sono di altri colori.
-Perciò quando incontrerò fisicamente Ho-Oh cambierò aspetto anche io?- Sara confermò. -Ma c’è la possibilità di tornare alla propria forma originaria?- domandai ancora. La ragazza annuì un’altra volta e subito desiderai chiederle perché lei mantenesse la forma più simile ad un cristallo di ghiaccio che ad un essere umano normale.
-Un’altra cosa. Da tutto quello che è stato detto… è come se si fosse dato per scontato che i Leggendari vivono sempre liberi, al massimo si avvicinano un po’ al nostro mondo grazie ai Legami. Eppure anche loro possono essere catturati e a quel punto l’unico legame che hanno con un essere umano è quello di Allenatore-Pokémon. Un Leggendario che viene catturato ma che possiede un Legame con qualcun altro cosa deve fare? O meglio, cosa deve fare il Legato al Leggendario che gli è stato, in un certo senso, portato via?
Bellocchio socchiuse le palpebre. -Da dove proviene questa domanda, Eleonora?
Mi mordicchiai un labbro prima di rispondere. -Sto pensando continuamente ad ogni eventualità. E poi non è vero che i Victory vogliono catturare i Leggendari? Se lo facessero e il Legame persistesse, potrebbero arrivare a sapere chi è l’umano Legato? Oppure è possibile spezzare il Legame durante la vita di entrambi i contraenti per salvare almeno l’individuo umano, nel caso in cui il Leggendario provasse un po’ di pietà per la sua vita?
Ci fu una lunga pausa. -Non so se è possibile spezzare un Legame perché è un segreto tra i due contraenti. Sara non può dirlo a nessuno, neanche a te. Se ti interessasse dovrai chiederlo tu stessa a Ho-Oh. Per quanto riguarda i Victory, non si sa quanti Soggetti Legati abbiano tra di loro; pochi, credo, e quindi pochi sono i Leggendari a loro servizio. Di una cosa sono certo: non sono riusciti a catturare alcun Leggendario prima della scoperta dei Soggetti con Legame. Per questo non ho idea di cosa potrebbe succedere altrimenti.
Annuii impercettibilmente. Avevo voglia di andarmene e iniziare subito gli allenamenti a cui aveva accennato Sara, o comunque gli studi sulla teoria degli elementi; però c’era un’ultima cosa, l’ultima davvero - se avessi avuto altre domande le avrei fatte a Sara - che volevo chiedere anche a Bellocchio.
-Prima lei, Bellocchio, ha accennato all’individuo Legato che vive come comune mortale se il suo Leggendario non si rivela,- esordii insicura, -ecco… diceva sul serio? Pur avendo poteri cinetici e potendo trasformare in nostro corpo in quello di un Pokémon in caso di necessità… per il resto la nostra vita è diversa? Viviamo più a lungo, non invecchiamo, si sviluppano altri poteri?- domandai infine.
Bellocchio ci mise un po’ a rispondere. -Be’, il mio prima era solo un modo di dire. È anche vero, però, che basta a farvi uscire dalla categoria “comuni mortali” solo il fatto di possedere i poteri degli elementi che vi vengono trasmessi dal Legame con un certo Leggendario, e soprattutto di avere un corpo in grado di trasformarsi. Non solo nel Pokémon che ha contratto per primo il Legame, ma anche poter cambiare quasi a piacimento il vostro aspetto fisico - poi Sara ti spiegherà come. In ogni caso, ogni Legato ha una caratteristica simile a quella dei suoi predecessori, ovvero da chi ha avuto prima di lui una relazione con lo stesso Leggendario, e differente dagli altri Legati. Da quello di cui ci informa la Storia, i Legami con Ho-Oh conferiscono all’umano…
-Questo glielo posso dire io- lo interruppe Sara. -Dopo, quando avremo già guardato le cose più importanti e di cui ha immediatamente bisogno. Ovvero la teoria degli elementi e di conseguenza come utilizzare i suoi.
Sara aveva questa brutta abitudine di interrompere le persone sul più bello. Stavo pendendo dalle labbra di Bellocchio per sapere quali fossero i miei poteri peculiari e lei, non si capiva il perché, lo aveva fermato. Persino l’uomo apparve un po’ stranito, ma annuì e mi chiese se avessi finito con le domande. Feci spallucce come a voler dire che credevo di sì. Egli annuì e poi sospirò un’altra volta, l’ennesima della giornata.
-È veramente un sollievo che tu abbia accettato con tanta facilità la tua identità… speriamo sia così per tutta la tua vita- si augurò - forse mi augurò. -Non farti sopraffare dal peso delle responsabilità, Eleonora. Cerca sempre di condividere i tuoi problemi e le responsabilità stesse, tutto ciò che ti affligge insomma, con gli altri Legati e con il tuo Leggendario. A te è capitato uno dei più potenti e imprevedibili, Ho-Oh è difficilmente disposto anche solo a solcare i cieli del mondo umano e trova sempre un modo per nascondersi quando deve farlo. È quasi irrintracciabile ma tu puoi trovarlo senza problemi. Però, Eleonora, pur avendo un Legame con lui, un Pokémon dai poteri misteriosi ed eccezionali… non sentirti in dovere di fare tutto da sola. Fatti aiutare.
Mi facevano piacere le sue raccomandazioni, evidentemente ci teneva al mio equilibrio mentale; be’, era già qualcosa. Per uno come Bellocchio, con cui avevo avuto rapporti tanto difficili, era addirittura carino da parte sua chiedermi di non essere cattiva con me stessa, rifiutando l’aiuto degli altri e credendomi l’eroina di turno.
-Grazie, Bellocchio- mormorai sorridendo con sincerità.
L’uomo arrossì un po’ e per poco non mi misi a ridere. -Be’, dovere- borbottò, con l’aria di uno che ha ripetuto le stesse cose ad ogni Legato che gli è capitato sottomano. Poi riprese la sua severa espressione abituale. -Dico sul serio, Eleonora. Fa’ attenzione e non montarti la testa, con uno come Ho-Oh e con un elemento come il fuoco è a dir poco facile credersi più importanti e forti degli altri. E forse è così, di sicuro sei superiore ai Legati alle Bestie Leggendarie comandate dal tuo Pokémon, ma nessuno può sperare di sconfiggere i Victory da solo. Bisogna essere umili e in questo modo si apriranno per te tutte le porte di questo mondo. Ma non dimenticare mai chi sei.
Mi ci volle qualche momento per memorizzare ciò che aveva detto e annuire semplicemente in risposta, non sapendo quali parole sarebbero andate bene. Uscimmo tutti e tre e le nostre strade si separarono. Io andai con Sara non sapevo dove, ma sicura che praticamente subito avrei iniziato a fare conoscenza con il mio Legame.
La nostra meta era una biblioteca e la cosa, effettivamente, mi parve abbastanza scontata. Prima però decisi di porre altre due domande a Sara - non ne avevo mai fatte tante a nessuno in vita mia, probabilmente. -Perché hai interrotto Bellocchio?- le domandai.
Lei scrollò le strette, magre spalle. -Credo sia meglio non mettere tanta carne al fuoco. Prima di conoscere i tuoi poteri peculiari è meglio che impari a padroneggiare i tuoi elementi con sicurezza, senza rischiare di incendiare la base segreta o di sferrare correnti d’aria quando sbuffi.- Non riuscii a non mettermi a ridere. Lei mi guardò un po’ imbarazzata, un po’ divertita. -Dico sul serio, potrebbe succedere! A me è capitato.
-Di sospirare e coprire di brina il tuo interlocutore o congelare quello che avevi davanti?
Lei arrossì lievemente e capii che le era successo. Continuai a ridere ma dovetti farlo il più silenziosamente possibile quando entrammo nella biblioteca di quella base segreta.
-A volte i Leggendari fanno questi scherzi…- bisbigliò con tono confidenziale. -Non c’è mai da fidarsi troppo.
Annuii vigorosamente come se la stessi prendendo in giro o non le credessi. Di sicuro non era facile pensare che i Leggendari, “persone serie” come erano, potessero mettersi a giocare in quel modo con i propri Legati.
-Ma se devo imparare a gestire fuoco ed aria, perché stiamo andando in biblioteca?
-Per la teoria, Eleonora. Io non conosco tanto bene il fuoco.
-In effetti, ora che ci penso… i nostri poteri sono quasi opposti. Insomma, fuoco e acqua sono agli antipodi, ma lo stesso può dirsi per il ghiaccio, giusto?
-Più o meno…- mormorò lei.
-Ma com’è possibile che riusciamo ad andare d’accordo pur essendo così differenti secondo i nostri Legami?
Sara mi guardò intensamente. -Solo perché possediamo un Legame non significa che questo influenzi con tanta pesantezza il nostro vero essere. È vero, più viviamo a contatto con loro…- Indicò la collana con il fiocco di neve di cui ormai faceva bella mostra, che le arrivava appena sopra il seno poco pronunciato. -… più cambiamo noi stessi; d’altra parte siamo più sensibili, i Leggendari al contrario non assorbono niente di noi. Però, nonostante io abbia i capelli bianchi e azzurri come ghiaccio e tenda a vestirmi con abiti lunghi e pesanti, di colori chiari, nonostante io abbia la pelle bianca e un carattere distante, che mi fa preferire la compagnia dei Pokémon a quella degli umani…
Sospirò. Ormai ci eravamo fermate accanto ad uno scaffale alto e traboccante di libri; io la ascoltavo rapita, non riuscendo a comprendere la metà delle cose che diceva, nuova com’ero a tutto quanto. Riprese: -L’influenza di Articuno è forte ma non ha cancellato del tutto la mia umanità, la mia identità di Sara. So che è difficile da capire e anche sgradevole, se ci si pensa, perché affidandosi troppo ad un Leggendario si rischia di perdere i veri sé stessi. Però tu ancora non hai incontrato Ho-Oh e senza la forma materiale del Legame è difficile contattarti. Deve aver impiegato molte delle sue forze per aiutarti quando eravamo in Via Vittoria.
-In poche parole, Eleonora, prima o poi anche tu cambierai. A partire dal colore dei capelli, da quello delle tue iridi e dal tuo fisico in generale; il tuo carattere, il tuo modo di pensare e di agire, persino di camminare; le abilità che svilupperai, l’agilità innata che da un momento all’altro ti farà fare cose per te fino ad allora inimmaginabili… ma ancora non è il momento che ti succeda questo. Prima dovrai incontrare Ho-Oh e ottenere l’oggetto del Legame in cui lui si chiuderà, pronto ad accompagnarti in ogni momento della tua vita. Ma fino ad allora lui non potrà esercitare più di una leggera influenza su di te, magari donandoti la vitalità e la voglia di mettersi alla prova del fuoco o lo spirito libertino dell’aria. Fino ad allora tu non cambierai i tuoi atteggiamenti con i Legati che hanno poteri concordi o discordi rispetto ai tuoi. A meno che per te non sia un problema già da ora relazionarti con una come me che ha l’elemento del ghiaccio. In tal caso… bisogna rivalutare la potenza di Ho-Oh.
Quando finì restò immobile per un secondo, poi un sussulto la tradì e abbassò la testa.
-Queste cose…- Arricciai leggermente le labbra. -Te le ha suggerite Articuno?
Lei incrociò le braccia, a disagio. -Non proprio…

-Il fuoco è uno dei quattro elementi essenziali descritti nella più importante e più conosciuta filosofia degli elementi. Ai propri antipodi ha l’acqua.
Dopo due ore di studio stavo ripetendo a Sara, chiuse nella biblioteca - fortunatamente più illuminata di quella nella base segreta principale, ciò che avevo imparato. In realtà era la terza o quarta volta che descrivevo il fuoco e l’aria ma lei insisteva perché continuassi e assorbissi tutte quelle parole. Dovevo farle diventare mie, diceva.
-Il fuoco è energia allo stato puro, viene anche presentato come l’elemento della passione e dell’eccitazione, sessuale e non…- Il mio tono disinteressato fece ridacchiare la ragazza. -Simbolo delle azioni e dell’impulso, è collegato all’età della giovinezza. Assimila nelle sue caratteristiche più aspetti, non tutti positivi; se da una parte c’è la voglia di vivere, la vitalità, il coraggio e la determinazione, talvolta la forza stessa, dall’altra ha un ruolo decisivo nella composizione simbolica del fuoco la rabbia. Essa è spesso accompagnata dall’irruenza e pure dalla vergogna: sentimenti vivaci, scottanti. In natura la rappresentazione primordiale e più evidente del fuoco è il Sole, esattamente opposto alla Luna che accompagna l’acqua. Il fuoco divora e cancella ogni problema che trova sulla sua strada e riduce tutto a cenere, fumo e polvere; è un implacabile distruttore. Al contrario suo l’acqua, appunto, è metamorfica e in grado di adattarsi ad ogni situazione, aggira gli ostacoli e in questo modo trova la sua forza, proprio piegando ciò che la circonda imponendo le sue leggi.
-Al fuoco appartiene la coscienza delle cose e unito all’aria dà origine allo spirito. È caldo e secco e queste sono le sue caratteristiche principali- conclusi così la lezione sul fuoco.
Sara annuì approvando le mie parole. -Sembri un po’ stanca di ripetere.
-Lo sono- borbottai, -ma tanto vale finire con l’aria e poi passare ad altro. Me lo hai promesso.
Così, dopo un suo sorrisetto furbo, iniziai a parlare dell’aria. -Un altro membro dei quattro elementi è l’aria. Sfuggente ed invisibile ma irrimediabilmente essenziale. Misteriosa, impalpabile, fluida e onnipresente, ad essa sono associati il cielo e il respiro quando si tratta di cercarne una forma in natura. Che poi si trova ovunque, ma vabbè, dettagli- sbuffai, facendo nuovamente ridacchiare Sara. -L’aria è simbolo di libertà ma non per questo di ribellione o di tentata fuga; l’unica forma di questa voglia di fuggire che possiede è quella dal suolo, dalla terra che è ai suoi antipodi. È leggera e collegata all’intelletto, alla mente, ed è simbolo degli ideali, delle ipotesi e del pensiero stesso, nonché della comunicazione. Possiede le caratteristiche di calda e umida, con il fuoco origina lo spirito e con l’acqua l’anima. Avere il potere dell’aria non conferisce l’abilità di volare e nemmeno di levitare; per la prima si ha bisogno di ali, la seconda è più propria di un potere legato alla mente, alla psiche.
Sara annuì. -Bene, le basi le hai. È importante conoscere, poi, gli elementi agli antipodi dei tuoi per conoscere meglio i tuoi poteri e individuare anche i punti in comune, che ti assicuro, ci sono. Per esempio, aria e terra sono entrambi elementi di viaggio, acqua e fuoco di… be’, di morte. E poi devi imparare anche un terzo potere.
-Cioè?
-Vedi, i Pokémon hanno al massimo due tipi, ma questo non è propriamente valido per i Leggendari. Pure loro sono registrati con due tipi - o uno, a seconda dei casi. Ma ne possono possedere un terzo o un secondo.
-E qual è il terzo potere di Ho-Oh?- chiesi, piuttosto emozionata.
-Ho-Oh ha anche il tipo Psico, o comunque quello della mente. Grazie a quel potere sei stata in grado di leggere le vere intenzioni di Cyrus e sempre grazie ad esso ti è più facile, rispetto alla media, riconoscere le emozioni che il prossimo sta provando e sentire una forte empatia con lui. Nel mio caso, invece, Articuno ha una certa influenza sull’acqua, quindi non per forza deve creare ghiaccio dal nulla ma può trasformare i liquidi in solidi. Continuando con gli esempi, anche Lugia ha imparato a controllare l’acqua vivendo nelle Isole Vorticose e nascondendosi sui fondali marini, tanto che a molti sembra che il suo tipo Psico gli serva solo per levitare. Moltres e Zapdos invece si completano a vicenda, avendo sviluppato in misura minore i poteri l’uno dell’altro. Suicune può controllare l’aria e qualcosa del ghiaccio, Entei dei vulcani la terra e un po’ il metallo, questo per il magma; Raikou ha l’acciaio.- Così completò il quadro dei due Leggendari principali della mitologia di Johto e dei trii che capeggiavano.
-Adesso- si alzò in piedi, -andiamo a vedere cosa sai fare.
-Cosa so fare in che senso?
-A livello di abilità fisiche. Con la corsa dovresti cavartela benissimo, visti i tipi del tuo Leggendario.
E così fu. Sara testò le mie capacità di resistenza, velocità e soprattutto di scatto; con la velocità non ero messa affatto male e notai che andavo meglio del solito, probabilmente grazie all’influenza non del tutto affievolitasi di Ho-Oh. Quanto alla resistenza avevo ancora molto su cui lavorare - e gli scatti più che dignitosi non mi salvavano, anche perché il regime che Sara mi stava imponendo non mi ispirava già dai suoi albori.
Stava scendendo la sera e dopo un pomeriggio passato ad assimilare informazioni sui Legami - oltre ad aver scoperto di possedere una simile relazione con un Leggendario, e a studiare quel po’ di cose che dovevo sapere sulla teoria degli elementi era stato sfiancante. Non vedevo l’ora di finire.
Ci era stato detto che dopo una settimana saremmo tornate alla base segreta principale, nel frattempo Bellocchio aveva dato ordine che nessuno ci disturbasse e che iniziassimo e, magari, portassimo a termine i miei allenamenti e l’istruzione su tutto ciò che riguardava i Legami in maniera più approfondita. Eravamo comunque tenute d’occhio ma era stato vietato a chiunque ci garantisse un po’ di protezione e sicurezza di ascoltare i nostri discorsi, osservare e studiare quello che facevamo e, in linea di massima, farsi gli affari nostri. Così passò la prima giornata, correndo e studiando. Le altre persero la corsa esercitata per troppo tempo al giorno - Sara mi vietò ogni orologio e aggeggio addetto alla misurazione del tempo, sostenendo, ferrea, che avrebbe potuto distrarmi - in favore di altri allenamenti fisici ma ugualmente distruttivi. Lei però era gentile, nonostante le misure prese molto restrittive, ed era talmente preparata che in alcuni momenti il confine tra amica e maestra si confondeva.
La sera di quel primo giorno - che, dopo avermi concesso quella lunga chiacchierata con Sara e Bellocchio in cui avevo sfogato tutte le mie domande, mi aveva tenuto la mente impegnata grazie alla sfiancante corsa e allo studio intensivo, e mi aveva distratta dalle altre che mano a mano nascevano o da altri dubbi e problemi - io e la mia “professoressa” scoprimmo che ci era stata rifilata una stanzetta tutta per noi; era piccola ma non mi dispiaceva chiudermi là dentro con quella ragazza che non sarebbe potuta sfuggire ai miei fiumi di domande.
Ce n’era una che ancora non le avevo fatto e riguardava Bellocchio e le sue stranezze quando si accennava a Camille. Le posi la questione, lei era molto incuriosita ed interessata: le parlai di come gli occhi del capo si facessero vitrei e sembrasse andare con la testa tra le nuvole, o in alternativa impensierirsi ed estraniarsi per un po’ dal mondo, non appena veniva pronunciato il nome della ragazza. -Credi ci sia qualcosa sotto?- mi chiese alla fine del mio resoconto Sara. -Comunque ho notato anche io il cambiamento temporaneo di Bellocchio questo pomeriggio, e in effetti coincideva con il momento in cui si è parlato di Camille.
-Sì, lo credo. Secondo me ha fatto qualcosa grazie al suo Legame, un incantesimo o non so che…
Sara ridacchiò, sembrava intenerita. -Non si tratta mica di magia, Ele!
-Era un modo di dire- borbottai.
-Comunque- riprese lei, -ho parlato con Camille lo stretto necessario ad assicurarmi che fosse Legata a qualcuno e, dopo un po’ di resistenza, mi ha rivelato il suo Leggendario. È Xerneas, che più volte si è Legata - secondo lei è una femmina - a qualcuno della sua famiglia, come saprai molto potente soprattutto in passato. È andata disgregandosi nel tempo e il cognome di Camille passa inosservato ai più ma fino a qualche generazione fa la sua famiglia deteneva il potere da parecchi punti di vista, quelli economico e politico in primis.
-Xerneas… ma non mi sembra somigliasse così tanto a lei. Non ha ancora ottenuto il Legame?
-Prima di andarsene mi scrisse un biglietto, informandomi che andava proprio in cerca della sua Leggendaria. Però non ha accennato a nessuna censura di sé stessa, che mi sembra sia la cosa che è accaduta.
-Quindi è tornata a Kalos?
Sara annuì. -Grazie al tipo Folletto, piuttosto vicino allo Psico, non dovrebbe aver avuto difficoltà a farsi dimenticare almeno da Bellocchio. Camille ha passato un lungo periodo nel tuo stato attuale: sapeva di avere un Legame e riusciva a dominare i propri poteri in maniera non indifferente, pur essendo tanto lontana dal suo Leggendario. Inizialmente non credevo ai miei occhi, era davvero brava per essere una che avrebbe dovuto saper creare qualcosa solo con tanta concentrazione o con il proprio Pokémon. Però non era molto brava a nascondersi.
-Nascondersi?
-Vedi, tra i Legati c’è una forte attrazione. In un modo o nell’altro è facile rintracciarsi a vicenda perché si percepisce la presenza di un altro Legame e in questo caso non importa se i Leggendari, o uno solo dei tanti, si sono rivelati. Non è il caso di parlare di anime che si attraggono ma è come se, da questo punto di vista, i Legami funzionino anche senza che il Pokémon si attivi. Con un po’ di esercizio mentale si riesce a nascondere le tracce, l’aura di un Legame, e a me non è dispiaciuto non essere mai cercata da voialtri- ammiccò la ragazza.
-Quindi è per questo motivo che i primi tempi, quando Camille arrivò all’Accademia, io ero praticamente ossessionata da lei?- Ero sorpresa dalla scoperta. Ecco perché la ragazza aveva subito fatto un grande effetto su di me e come spiegazione non erano stati sufficienti i suoi grandi occhi azzurri che spiccavano sulla pelle abbronzata, o i bellissimi capelli di quel rosso naturale che parevano tendere al biondo - soprattutto per i riflessi della luce.
Sara confermò. -È più facile schermare l’aura del Legame grazie al proprio Leggendario, anzi, nel mio caso è proprio Articuno ad aiutarmi. Lo fa lei al posto mio e a me non resta che non mostrare mai la collana del Legame.
-Comunque! Io non voglio essere da meno rispetto a lei- ribattei con aria di sfida dopo qualche attimo di silenzio riservato alla riflessione. -Quand’è che posso cominciare a fare qualcosa con il fuoco?
Gli occhi azzurri di Sara scintillarono. -Anche adesso, se vuoi provare. Certo che la calcoli tanto l’aria, eh?
Il suo tono era altrettanto di sfida e mi lasciò interdetta per un momento: non mi aspettavo che potesse concedermi di esercitarmi praticamente lì, sotto le coperte del mio letto. Inarcai le sopracciglia e le chiesi se fosse seria. Annuì vigorosamente, ridendo serena, e si mise a sedere sul suo letto invitandomi a stare in piedi.
-Ovviamente farai qualcosa di piccolo. Sempre se vuoi provare proprio ora.
Non potevo tirarmi indietro, ero già emozionata al pensiero di creare da sola la mia prima fiammella arcobaleno. Scesi dal letto, ignorando i brividi che il misero pigiamino che mi avevano prestato mi lasciò sentire a causa del freddo del prossimo inverno. -Cosa devo fare?- chiesi tutta eccitata.
-Be’, già la tua voglia di fare è un ottimo punto di partenza! Comunque tieni bene a mente una cosa che ti servirà in ogni momento in cui vorrai usare un tuo potere: non basta desiderare di comandare un certo elemento. Devi essere in grado di sentirti parte di esso e di poter separare un po’ di te stessa per dar vita a una folata di vento o accendere un fuoco. Tu devi diventare per prima aria e fuoco, la tua mente deve concentrarsi su ciò che hai imparato sui tuoi elementi… ed essere in grado di replicare il tutto, trasformandolo in un elemento naturale.
-Sentirmi un tutt’uno…- ripetei. -Devo essere in grado di sentire la vitalità, l’energia, la passione e la determinazione del fuoco come se fossero mie stesse caratteristiche? Ma se ho passato i sedici anni e mezzo della mia vita a cercare di contrattare con tutto e tutti e ad aggirare ogni problema! Mi sento così… acqua.
-Non credere così fermamente in questo, Ele. E se può aiutarti, l’acqua che tanto a lungo sei stata può condividere alcuni lati con il fuoco. Fidati, poi, sei stata una ragazzina sprizzante energia e voglia di vivere da tutti i pori soprattutto all’Accademia, quando per te era tutto nuovo e da scoprire, e poi anche alla base segreta prima che ti chiudessi in te stessa e nei tuoi stessi Pokémon. Ora siamo in una situazione simile, vedo che hai tanta volontà di imparare a gestire i tuoi poteri da sola e di imparare a conoscere questa tua identità… e questo sarà di grande aiuto non solo a ciò che ora sei in grado di fare, ma a te stessa.
Ero un po’ imbarazzata. Frettolosamente cambiai discorso: davvero ero così volenterosa di scoprire altro su di me? Non me ne ero nemmeno accorta. Che anche quelle distrazioni dovute all’eccitazione e alla curiosità del momento fossero sinonimi di fuoco? -Come faccio a pensare a tutti questi atteggiamenti ed emozioni di fuoco?
-Non devi pensare a niente, solo sentire. Essere concentrata è importante ma non devi iniziare a formulare pensieri, non devi sentire la voce della tua mente parlare, solo individuare l’essenza di ciò che compone il fuoco e sentirla tua. Detta così sembra difficile, lo so, ma prenditi il tempo che vuoi e prova a sentire il calore piacevole del fuoco dentro di te. Ricorda le sensazioni di sicurezza che hai provato quando Ho-Oh ti ha guidata e ha creato, tramite te, quelle fiamme arcobaleno che potevano essere sia curative che offensive. Concentrati sul fuoco di Ho-Oh, sul calore che ti ha trasmesso e sulle sensazioni di potere che hai sentito… non è così?
-Sì- confermai con decisione. -Grazie a lui mi sono sentita in grado di fare qualsiasi cosa.
Sara sorrise benevolmente e mi incitò a provare. Inspirai e sollevai una mano, tenendo il palmo rivolto verso l’alto: lì avrei creato la mia fiammella personale. Continuai a pensare al mio respiro: mantenendolo regolare sarei riuscita a concentrarmi e ad assimilare dentro di me le emozioni, le sensazioni e pure le rappresentazioni del fuoco. Chiusi gli occhi e subito evitai di sentirmi una scema a stare in piedi in una stanza semibuia, con la mano semiaperta come a voler farsi consegnare qualcosa, tenendo gli occhi chiusi e respirando profondamente.
Vidi i ricordi del fuoco arcobaleno, vidi le fiamme di Ho-Oh scintillare vivaci, colorate e brillanti nel buio che avevo imposto alla mia mente, ma soprattutto percepii il calore di esse e la sicurezza che mi avevano trasmesso: mi ero sentita guidata da Ho-Oh e dal suo fuoco. Non mi interessavano, in quel momento, le emozioni di rabbia che componevano quell’elemento: ero in cerca della serenità che mi arrivava al ricordo dell’aiuto del mio Leggendario. Quelle fiamme erano sinonimo di vita e non avevo intenzione di essere irrispettosa nei confronti della fenice, per questo decisi di concentrarmi unicamente sulla determinazione e sulla familiarità, la sicurezza del suo fuoco.
Espirai con più forza di quanto stessi facendo al momento, emozionata da quelle sensazioni e da quei ricordi - che forse potevano essere la chiave per comandare i miei elementi. Quel respiro più forte mi fece sentire subito un bel po’ di calore nei pressi delle narici e spalancai gli occhi. Vidi delle fiammelle colorate spegnersi davanti al mio naso; di riflesso mi ritirai, rendendomi conto che avevo letteralmente sbuffato fuoco.
Sara rideva come una scema. -Cosa ridi, tu?!- strepitai, ma ero divertita anch’io. -Hai detto che è normale non avere tanto controllo sul proprio potere i primi tempi! Poi ridi tu, che sei un refrigeratore ambulante!
Quando riuscì a trovare un po’ di respiro per parlare, replicò: -Sì, sì… è così… ma è stato così assurdo…!
Be’, in effetti la visione di sbuffafuoco era più appropriata a un drago che ad una fenice. Sorrisi: ero soddisfatta, nonostante l’inconveniente del naso ero riuscita a produrre una fiammella. Più sicura di me e delle mie capacità, rialzai la mano e in un attimo accesi un falò in miniatura che levitava a pochi centimetri dal centro del mio palmo.
-Per le fiamme più forti e grandi ci vorrà allenamento. Ma comunque ti faccio i miei complimenti, Legata a Ho-Oh- disse Sara, sorridendo anche lei e battendo le mani.

La ragazza aveva avuto ragione: i due giorni successivi li impiegai per sviluppare vere e proprie colonne di fuoco, che all’inizio si spegnevano miseramente raggiungendo i due o tre metri di lunghezza. Ma poi arrivarono a sfiorare le pareti opposte della specie di palestra che ci avevano riservato e in cui la prima sera passata in quella base segreta avevo corso lungo il suo perimetro per molto, troppo tempo.
In alcuni momenti Sara mi lasciava da sola per andare a prendere qualche libro che potesse aiutarmi, dandomi ispirazione soprattutto per le mosse, che altrimenti ero costretta a inventare. Mi divertiva fare giochetti con il mio elemento, creavo mulinelli di fiamme vorticanti che poi trasformavo in spirali o in serpenti di fuoco. Quegli stessi mulinelli potevano essere piccoli, quindi potevo reggerli sulla mano e ammirare i colori dell’arcobaleno rovente, oppure ero costretta - quando li facevo crescere un po’ troppo - a scagliarli davanti a me e a guardarli turbinare, in un vortice ipnotico e bellissimo, prima che facessi estinguere le fiamme chiudendo la mano che li aveva sferrati.
Se con il fuoco avevo scoperto molta familiarità, lo stesso non si poteva dire per l’aria. Al contrario delle mie aspettative, ovvero di essere più vicina all’aria che al fuoco, riuscii a sviluppare le prime folate di vento solo focalizzandomi sul suo spirito libertino e sulla sua fluidità, che mi aiutò a rendere meno rigide le fruste di fuoco simili a serpenti o qualsiasi cosa che volesse un po’ più di scioltezza per essere fatta bene davvero.
Così come l’aria aiutò il fuoco, quest’ultimo aiutò l’altra: evitai accuratamente la parte dell’allenamento che prevedeva proprio i “lavoretti di fino”, come li chiamavo io, che prevedevano precisione e controllo sull’aria - ad esempio bruschi cambiamenti di direzione di una certa corrente. Decisi invece di inserire l’impeto del fuoco nella mia aerocinesi e fu così che quasi subito riuscii a creare travolgenti folate di vento che spesso morivano con, alla fine, un baluginio di fiamme colorate. Mettere insieme i due elementi era a dir poco fantastico.
I miei tentativi di curare l’aria, cercando di non essere aggressiva ed impetuosa anche con essa, impallidivano quando Sara mi mostrava quello che sapeva fare. Combinando passi di danza ad azioni di ginnastica artistica, la ragazza si esibiva in piroette e subito dopo in ruote a una mano sola, muovendosi con uno stile che mi ricordava il pattinaggio su ghiaccio. In effetti ovunque camminasse il pavimento si copriva di un leggero strato di ghiaccio, come un laghetto d’inverno. La sua eleganza e leggiadria imbarazzavano me e la mia tendenza ad attaccare un avversario, facendomi sentire goffa e abbastanza inutile. Che poi lei indossasse quei lunghi e larghi vestiti quasi mi irritava, perché mentre lei non incontrava difficoltà a fare quelle cose spettacolari pur avendo cose scomodissime addosso, io in tuta a malapena terminavo una sequenza di mosse senza perdere l’equilibrio.
-Insegnami a ballare, forse riuscirò a scagliare dardi di fuoco con meno ineleganza- borbottai.
-Be’, in effetti sei piuttosto impacciata- Non si preoccupò di non rigirare il coltello nella piaga. -Devi metterci ancora più passione in quello che fai, Eleonora, perché sei visibilmente indecisa sui tuoi piedi. Mentre esegui una serie di azioni non devi pensare “ma adesso quanto devo sembrare idiota mentre abbozzo una piroetta e poi carico un colpo e speriamo che mi riesca una vampata”…- Si dilungò non poco con questi esempi. Quando la fermai si accorse di aver esagerato e, balbettando un po’ imbarazzata, ripeté che dovevo essere più convinta.
Ci provai, e mi sentii ancora più stupida a tracciare quei disegni complicati con mani e braccia che in lunghe ore di studio avevo memorizzato affinché potessi metterle in sequenza, ma forse ci riuscii, perché la ragazza mi disse che stavo migliorando a vista d’occhio. Dopo un po’, rendendomi conto che tanto lei era l’unica spettatrice di quei pietosi teatrini messi in scena dalla mia goffaggine, iniziai ad essere più seria: i risultati furono ancora più positivi.
La mattina del quarto giorno la ragazza mi disse che avremmo allenato aria e fuoco nel pomeriggio e che era il momento di introdurre il potere della mente, simile al tipo Psico. La cosa mi fece a dir poco piacere e mi emozionò, perché sentivo che quelle capacità sarebbero state ancora più utili ed efficaci di ogni altro elemento. Immaginai che anche quella volta saremmo andate a studiare in biblioteca, ma invece la ragazza mi portò i libri e mi disse che aveva previsto un altro luogo per allenarci. Aveva chiesto il permesso e le era stato subito accordato, perché quel posto era piuttosto sorvegliato e ormai eravamo in grado di difenderci pure da sole, oltre che con i Pokémon.
La nostra meta era il percorso 224. Non avevo idea del perché Sara avesse scelto proprio quello ma poi me lo spiegò: lo raggiungemmo in Volo con i nostri Pokémon. Atterrammo su un promontorio poco alto sul mare.
Subito notai un grosso masso bianco, levigato in superficie fino a renderlo perfettamente liscio, al quale ci avvicinammo. La ragazza si mise a raccontare brevemente qualcosa su quel luogo; il solo sottofondo alle sue parole erano gli strilli dei Wingull e l’impetuoso ruggito delle onde, agitate dal vento. Rabbrividii per il freddo e decisi di riscaldarmi un po’ con l’aiuto del fuoco, che nonostante la forte corrente rimase vivo e caldo. Tenevo la fiammella d’arcobaleno tra le mie mani e la avvicinavo al mio viso; il fuoco che mi sfiorava non mi infastidiva e se mi toccava non mi procurava dolore, anzi: era infinitamente piacevole ed era bello essere immuni al fuoco.
-Questo percorso un tempo nascondeva l’accesso a Via Frangimare, percorso misterioso che conduceva fino al Paradiso Fiore, dimora di Shaymin. Dove sia lei ora… se ne sono perse le tracce- mormorò la ragazza, indifferente al freddo e al vento. -Shaymin, padrona della vegetazione e dei frutti della terra, è sparita. Quelli delle Forze del Bene non hanno trovato modo di accedere al Paradiso Fiore e credo non sappiano nemmeno della sua scomparsa. Ma quando Articuno me lo disse… mi diede molto a cui pensare. Forse i Victory si mossero per prenderla.
Aggrottai le sopracciglia. I capelli sciolti mi andavano negli occhi e mi infastidivano. -In effetti, se i nostri non hanno controllo sul Paradiso Fiore non hanno idea di cosa possa essere successo… ma perché non hai detto nulla?
-Perché Articuno me lo ha vietato- sorrise lei amaramente. -Ciò che riguarda i Leggendari… resta tra di loro.
Abbassai lo sguardo, non sapendo cosa replicare. La ragazza mi disse di spegnere la fiammella e togliermi la giacca. Le chiesi se fosse impazzita e se volesse farmi prendere un febbrone spaventoso. Replicò tutta tranquilla dicendo che dovevo mettermi comoda e quei vestiti pesanti non erano il massimo del comfort; poi si sedette a terra tenendo le gambe incrociate, quasi perfettamente aderenti al suolo, e giunse le mani in grembo. Mi invitò a fare lo stesso e subito mi impose di tenere la schiena dritta. Era una posizione di base per la meditazione.
-Faremo meditazione?- chiesi stupita. -Ma tu non hai il potere della mente.
-No, ma chi mi vieta di rilassarmi e concentrarmi un po’?- ribatté. -Ti ho detto di tenere la schiena dritta.
Mi ricomposi anche se credevo di avere già una posizione corretta. Sospirando, si alzò e aggiustò la posizione delle braccia e cercò di spingere le gambe per attaccarle al terreno, ma la mia innata scioltezza mi fece lanciare quasi subito un’esclamazione di sorpresa. -Senti, ballerina contorsionista, io non sono come te…
-Ti conviene esercitarti- ridacchiò la ragazza, smettendo di infierire. Ma le toccò rivedere un’altra volta la mia schiena, perché i suoi interventi sulle mie gambe l’avevano fatta inarcare. -Adesso chiudi gli occhi.
Eseguii sperando che non mi rimproverasse il tremore delle palpebre chiuse. Grazie al cielo non lo fece ma forse fu perché anche lei aveva chiuso gli occhi - non riuscii a non dare una sbirciatina al suo stato.
-La prima cosa che devi fare è eliminare ogni pensiero, ogni sensazione. Concentrati sul tuo respiro e cerca di mantenerlo regolare. Ignora il suono della mia voce e, appena ricevi un comando, fa’ in modo che non sia la mia voce a ripeterlo dentro di te, ma… trasformalo, nel tuo respiro. Deve essere come se sapessi già cosa fare.- Bene, questo era difficile. E questa considerazione era già un pensiero che andava cancellato. Sentii subito di non essere portata per la meditazione, ma dovevo provare: magari i poteri psichici non sarebbero stati così zen e difficili.
Dopo un po’, però, mi accorsi di starmi concentrando unicamente sul mio respiro e che esso era diventato regolare. Il silenzio che mi aveva regalato Sara per quegli scarsi minuti era stato d’aiuto. -Senti freddo?- chiese.
-Sì- risposi subito.
-Bene, non devi sentire freddo e non devi accorgerti delle mie domande. Ricominciamo daccapo.
Frustrata per essere caduta nella sua trappola, riprovai. Solo il respiro, solo il respiro; dovevo dire addio al fragore del mare, alle onde che si infrangevano sul promontorio e soprattutto al freddo che mi metteva alla prova. Non avrei mai detto che temprare lo spirito fosse tanto complicato. Ma una cosa sola dovevo fare: respirare. Il resto poteva tranquillamente cancellarsi, potevo dimenticarmi dell’esistenza del mondo e forse dovevo farlo, perché era l’unico modo per avere una sola cosa a cui badare, ovvero il mio respiro. Forse Sara mi tentò con qualche domanda ma dopo averla udita me ne dimenticai subito, neanche feci caso a quello che mi chiese.
Ma nel vuoto della mia mente si fece strada un pensiero, un ricordo che in quel momento non avrebbe dovuto presentarsi. I miei genitori. Spalancai gli occhi e trovai Sara a fissarmi sorridente, ma la sua espressione soddisfatta dai miei progressi svanì quando incrociò le mie pupille. Ero sconvolta. Tremavo da capo a piedi, ma mi ero irrigidita per il terrore, per tutto. Ancora non capivo cosa mi stesse succedendo. -Sono morti.
-C… Cosa?- fece lei, preoccupata. Era inginocchiata a terra, fece per alzarsi. Io smisi di tenere le mani giunte come in preghiera e le guardai. Sembravano in preda alle convulsioni per il forte tremore che le stava possedendo. I denti mi battevano ma non per il freddo. Di scatto alzai la testa, fissando Sara negli occhi. La ragazza si alzò e mi corse accanto mentre io lanciavo un grido e le prime lacrime sgorgavano.
Ero sola con la mia terribile mente, che non si era svuotata del tutto e aveva lasciato che i miei genitori venissero a infestarla. In quei giorni non avevo avuto un attimo di tempo per pensare a loro, per sfogarmi. La sicurezza e il calore delle fiamme che avevano riportato un po’ di Ho-Oh dentro di me li avevano tenuti lontani. I sensi di colpa mi assalirono, avevo paura di essermi dimenticata di loro e di aver insultato la loro memoria. Non avevo scelta.
In quel momento ero al freddo, in una situazione di disagio per rassicurarmi con il fuoco; Ho-Oh non c’era, se n’era andato giorni prima ma mi ero illusa che mi fosse accanto. Perché non tornava mentre fiumi di lacrime solcavano le mie guance? Perché proprio in quel momento dovevo perdere il controllo?
Gridai con quanto fiato avevo nei polmoni, disperata. -Sono morti!







Angolo ottuso di un'autrice ottusa
PORCA MERDA
Va bene, basta così, riprendo subito il controllo tralalala
Tredici odiose pagine stracolme (?) di capitolo. Lo so, scrivo tanto troppo infinitamente e sono pure noiosa, ma non riesco a farne a meno. Quando mi sono resa conto di star leggermente sforando con l'obbiettivo che mi ero prefissata - dodici, ma vbb - ero più o meno intorno alla decima pagina e avevo ancora quattro o cinque argomenti da trattare. Inutile dire che li ho spostati tutti al capitolo successivo.
Quindi ecco che finalmente la protagonista si rende conto una volta per tutte di aver definitivamente perso i propri genitori. Nel prossimo capitolo avrò da approfondire, qui ho potuto solo introdurre. Manca ancora qualcosa sulle caratteristiche dei Legami, insomma; in teoria questo capitolo doveva finire con Ele che si riprende dopo essersi sfogata per i genitori e avrebbe dovuto esserci un'altra conversazione con altre cose sui Legami, ma vabbè. Tanto il prossimo non avevo idea di come riempirlo, adesso il problema è non scrivere 293423u2 (U2 lolol) pagine anche di quello.
Allora, il titolo. Il titolo - non sapevo quale mettere in alternativa e alla fine ho pensato che questo fosse abbastanza adatto - si riferisce più a una cosa detta nel prossimo che ad altro. C’entra con il pensiero della protagonista “Loro sono a nostro servizio ma noi, a nostra volta, dobbiamo eseguire i loro comandi”. Se non l’ho più cambiato non è per pigrizia, anche perché un capitolo come questo offre mille titoli, però anche in questo caso dovevo inserire una frase sullo stare a servizio del Bene che alla fine ho spostato nel successivo, sempre per non arrivare alle ventordicimila pagine lol.
E a questo punto voi direte "be' comunque potevi cambiarlo visto che se non fosse per quella frase non c'entrerebbe nulla!" ma 1. avrei potuto metterlo come titolo a qualsiasi capitolo visto che sono sempre tutti a servizio del Bene, volentieri o meno, 2. ho deciso di inserire in ogni parte il titolo di un capitolo uguale al sottotitolo della storia a cui appartengono (sì, questi programmi io me li faccio solo dopo) e 3. il prossimo ha un altro titolo importante e non potevo affibbiare "A servizio del Bene" al prossimo.
Fantastico, ho scritto infinitamente pure qui e sicuramente mi sono dimenticata qualcosa, ma pace. Se c'è qualcosa che non vi ha convinto, che volete commentare o qualche domanda da fare, scrivete nelle recensioni e vi risponderò - a meno che non si tratti di spoiler.
NO OK UN'ULTIMA COSA per la cara Aura: ho cambiato, ho cambiato, non ti ho plagiato la storia!! Lalalala
Bene, questa è l'ultima cosa che pubblico a giugno perché vado in vacanza, ci rivediamo a luglio con il capitolo XXIV e il XXV che concluderà la storia, poi quello - o quelli? - di Ribellione e chissà che non scappi qualcosa pure al Giornalino.
Grazie a chi sopporta ancora me, le mie pippe mentali e i miei capitoli papireggianti (?). Un saluto dal Tiranno.
Ink

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Capitolo 26
*** XXIV - La Missione Leggendaria ***


XXIV
La Missione Leggendaria

Il dolore provato in quel momento stava assorbendo la realtà. -Mamma e papà…- continuavo a ripetere senza darmi tregua, dominata dalle lacrime e scossa dai singhiozzi. -Sono morti, sono morti…
Non riuscivo a sentire la voce di Sara, non avevo idea di quale fosse l’espressione del suo viso né le sue parole, se stesse cercando di consolarmi o no; se fosse preoccupata o se freddamente tentasse di riportarmi nel mondo reale, persa com’ero nel baratro di quella rinnovata disperazione.
In quel momento esistevano poche cose: me stessa, composta unicamente dalla sofferenza e dalle lacrime che copiose mi rigavano le guance; l’inverno che arrivava, pesante e minaccioso, e che smuoveva le onde del mare; e poi quello dentro di me, che era il freddo della mia vita, arrivato non appena il fuoco si era spento e mi aveva fatto capire che non potevo fare la spensierata per tutto il tempo che volevo, perché i miei genitori erano morti e non potevo permettermi di farmi aiutare dal fuoco di Ho-Oh per non affrontare la realtà. Le fiamme di vita erano solo un’illusione? Probabilmente sì; forse quel freddo abissale, che era possibile provare solo immergendosi nel baratro della paura, della depressione, era l’unica cosa certa nella fragilità della mia vita di umana.
Mi sentivo così scoperta, così indifesa e in balia del corso degli eventi; fragile, perché ero stata colpita così facilmente dalla Morte non appena essa si era fatta più vicina. Troppo vicina perché la sua venuta potesse essere sopportabile per più di qualche tempo. Sapevo di essere sempre stata sola in quella guerra e nelle mie guerre. La compagnia dei miei Pokémon - che intanto dalle loro Ball assistevano a quello spettacolo penoso e deprimente - e degli “esseri umani”, che potevano essere Sara, Bellocchio, Oxygen, Ilenia, Daniel o Chiara, chiunque; tutti loro, senza distinzione, non erano paragonabili alla protezione che credevo di aver avuto dai miei genitori.
Nei momenti peggiori speravo che i miei stessero bene e il falso ricordo dei loro volti sorridenti quando eravamo a casa tutti insieme, a Nevepoli, mi dava un po’ di conforto. Non avevo mai veramente affrontato la loro prigionia dai Victory, avevo continuato imperterrita e sciocca a credere - senza capire il perché di questa mia ostinazione - che in qualche modo loro ci fossero ancora a darmi un aiuto da lontano. Forse era arrivato, questo aiuto, ma da una prigione Victory e non dalla nostra villetta a Nevepoli.
Invece ora il peso di tutto questo mi stava straziando: erano morti. Erano morti, non avevo più la possibilità, un giorno, di tornare a casa ed abbracciarli, annunciando loro che stavo bene e che quella maledetta guerra era finita, che potevamo finalmente tornare insieme ed essere una famiglia quasi normale - magari con i miei Pokémon. Non potevo più sperare di poterli liberare… se solo i Victory, i maledetti Victory non me li avessero portati via, insieme a ogni speranza e ai ricordi delle loro vite! Tutti quei ricordi se ne stavano andando, correvano via risucchiati dal passato che li richiamava a sé, ripetendomi un’altra volta che i miei genitori non esistevano più e che le loro esistenze, insieme alle parti di mia memoria che li riguardavano, non potevano più essere frammenti del presente.
La mia mente era uno specchio che mi circondava, un’infinita lastra riflettente che mi mostrava ogni ricordo, vivido, apparentemente vivo. Vedevo in terza persona la me bambina e i miei genitori che correvano appresso a questa piccola quasi iperattiva, i loro volti che si replicavano innumerevoli volte con ogni espressione del mondo, ogni aspetto del viso che avevo studiato e imparato a riconoscere nella mia difficoltosa permanenza nella base segreta. E poi il vetro si rompeva frantumandosi in schegge e frammenti, in numero incalcolabile, inesistente per la sua grandezza spropositata, in modo tale che non fosse mai più possibile anche solo pensare di poterli rimettere a posto, di ricomporli; ero dissuasa dal cercare di rincorrere e riportare indietro il passato.
Ma allora perché continuavo a piangere e gridare, scrollata dai singhiozzi e forse da Sara? Perché mi ero così legata a qualcosa che non c’era più e non mi facevo una ragione della sua scomparsa? E perché, poi, ero Legata a Ho-Oh, scomparso insieme alle sue fiamme di vita? Perché non accorreva in mio aiuto e non mi faceva smettere di piangere dandomi qualche motivo per non farlo? E perché io, invece, mi sentivo così distante da tutto quel calore?
-Cosa faccio ora? Cosa?- era una delle domande che ripetevo, in preda alla follia della perdita.
Lentamente - forse fu questione di pochi istanti, ma a me pareva di star piangendo da ore intere - mi accorsi che non era il vento veemente e violento a scrollarmi tutta, ma Sara che mi aveva afferrata per le spalle e mi scuoteva con una forza che da quella ragazza così magrolina non mi sarei mai aspettata. E gridava più di me e più del vento ma io non ero riuscita a sentirla. Riuscii con non so quale forza a riservarle un po’ di attenzione.
-Ti prego, ascoltami!- era la cosa che diceva più volte. -Capisco come ti senti e vorrei aiutarti…
Già lì smisi di sentirla. Per qualche secondo le lacrime si fermarono mentre nelle mie orecchie risuonavano quelle gravi, terribili parole: “capisco come ti senti”. Davvero potevi capire, Sara? Davvero ti credevi in grado di sostenere in quel modo un simile peso, mostrandoti fredda e immune a tutto? Come avrei potuto crederti nel vederti così serena nella tua freddezza?
-Cosa significa che puoi capirmi?- le chiesi mentre la rabbia montava. Iniziavo a scaldarmi perché non accettavo che lei osasse credere di potermi comprendere e perché volevo rimanere sola nella mia disperazione senza che nessuno capisse cosa stava succedendo dentro di me. In me imperversava la tempesta più gelida e micidiale, una bufera portata dalla morte che mi era così vicina; ma nonostante questo freddo mi stavo arrabbiando. Come fuoco.
Non vedevo realmente il viso di Sara ma mi sembrava sull’orlo di una crisi, di pianto o di nervi. -Io… ci sono passata pure io, anche se da bambina. Ma non devi lasciarti dominare dalla rabbia nei confronti dei Victory o…
-Da bambina?!- strepitai. -Hai idea di cosa io stia provando adesso? Non dire di sì, Sara, perché nemmeno io riesco a capire fino in fondo la… è una tempesta di fiamme e di ghiaccio e io la ho dentro di me…- Non so se quelle cose più intime e astratte le stessi solo pensando o se stessi dicendo ad alta voce pure quelle, insieme alle risposte date a Sara. -Come puoi pretendere tu di capirmi? Come puoi credere di conoscere qualcosa di cui non sai nulla, che non hai mai provato né dentro di te, né sulla tua pelle?!
Se avesse avuto una crisi sarebbe scoppiata a piangere, senza avere idea di cosa fare. -Non ho la presunzione di capirti o di poterti consolare- passò sulla difensiva, -e forse non è la stessa cosa venire a sapere dei propri genitori da bambini e quando si è quasi adulti… ma non sei sola, ti prego, non pensare di non poter andare avanti…
-Ovvio che non posso pensarlo!- esclamai ormai infuriata, scattando in piedi e sfidando il vento impetuoso. -In fondo devo andare avanti perché sono a servizio delle Forze del Bene, non è così? Tanto cosa importa a Bellocchio e ai suoi di quello che provo, delle ferite che ricevo e che mettono in pericolo la mia vita e la mia sanità mentale, eh?! E se tutta questa faccenda dei Legami fosse la mia immaginazione, se tu in questo momento stessi solo badando a una ragazzina letteralmente impazzita dal dolore?…
Non riusciva a trovare il modo di fermarmi, sempre che stessi parlando ad alta voce e che quelle esclamazioni non fossero solo confinate nella mia mente. Da quello che rispondeva sembrava che io stessi dicendo chiaramente tutte quelle cose, ma chi mi assicurava che non stessi immaginando anche quello o che lei, in qualche modo, potesse intuire i suoi pensieri grazie al suo Legame?
-È vero, è vero, Eleonora, non è affatto la stessa cosa… non avendo mai conosciuto i miei genitori quando ho capito di essere orfana non avevo nessun motivo per… piangere, o disperarmi, perché non ero affezionata né a loro né ad altri ricordi…!- L’unica cosa che era chiara era che parlava con enorme lentezza e difficoltà, ci metteva quasi un minuto per costruire una frase e trovare la forza per pronunciarla. -E sicuramente anche la freddezza, affatto furiosa come il fuoco di Ho-Oh, che mi ha donato Articuno è stata d’aiuto… ma non puoi…
-Ma non posso cosa?!
Fino a quel momento avevo tenuto le mani sul viso o tra i capelli; scrollai le braccia a terra stringendo i pugni e un’ellisse di fiamme ci circondò, prendendo me e la ragazza - dalla quale mi ero allontanata mano a mano di qualche passo - come fuochi. Ma stavolta, questo lo venni a sapere dopo - quando me lo raccontò, cupamente, la stessa Sara, il colore delle fiamme era rosso sangue. Sfumavano nel viola o addirittura nel nero; non erano infernali come quelle dell’Houndoom di Cyrus ma facevano paura, mi disse poi la ragazza. Era come se cercassero di avvicinarsi e di attaccare, molto più docilmente ai miei comandi di quelle arcobaleno. Avevo notato solo il colore diverso dal solito, il loro atteggiamento aggressivo e feroce mi era passato inosservato.
-Allora, Sara? Cos’è che non posso fare?!- urlai. Lei era pallidissima. Non riuscì a rispondere nulla. -Vuoi che io continui a lavorare per le Forze del Bene come se niente fosse? Credi di capire anche solo lontanamente come io mi senta in questo momento?- Le lacrime, dopo essersi fermate per un po’ di tempo per lasciar spazio alla furia, ripresero a scorrere. Quelle di tristezza si mescolavano alle altre di rabbia. Agitavo mani e braccia, gesticolavo follemente in preda allo shock e all’ira; ad ogni mio movimento di questo tipo, la portata del fuoco aumentava. L’ellisse di fiamme si allargava sia verso l’interno che verso l’esterno e si alzava minacciosamente.
-Dammi un motivo per andare avanti, Sara, dammi un motivo che non sia essere cieca ai comandi di Bellocchio! Perché… perché non ce la faccio più a stare a servizio di un Bene che di fatto mi sta solo infliggendo ferite!- ripresi ad essere meno irata, singhiozzando. La ragazza iniziò ad avvicinarsi, sulle prime un po’ incerta, ma io scuotendo la testa mentre tenevo le mani tra i capelli le dicevo di non avanzare. Non volevo che si immischiasse in quello che mi riguardava, il mio dolore doveva essere solo mio e lei non era in grado di dire di capirmi, né nelle condizioni di poterlo fare. Non aveva il diritto di cercare di calmarmi mentendo; non sapevo di cosa avessi bisogno, se ci fosse stato un modo per smettere di piangere e di gridare tutte quelle cose.
Poi lei a bassa voce - a malapena riuscii a sentirla, soffocata dai ruggiti delle fiamme, del vento e del mare - pose proprio quella difficile domanda. -Allora cosa ti farà riprendere la lotta insieme alle Forze del Bene? Saresti davvero in grado di combattere solo per vendicare i tuoi genitori?- Scosse la testa tristemente e incrociò le mani all’altezza del petto, come in preghiera. -Tu non sei così e nemmeno il fuoco più micidiale di Ho-Oh può renderti in grado di portare avanti una vendetta personale. Di questo sono sicura.
Le fiamme si spensero mentre i singhiozzi si placavano e le lacrime, seppur copiose, correvano silenziosamente. -Come fai ad avere certezze, anche riguardanti queste più piccole cose?- le chiesi. La mia voce ora non strillava più, né era rotta dai singhiozzi. Più o meno riuscivo a parlare con continuità e senza bloccarmi per qualche motivo, ma se non fosse stato per l’enorme tristezza del momento probabilmente avrei parlato svuotata di emozioni.
-In qualche modo…- bisbigliò lei senza finire la frase; non sono nemmeno sicura che abbia detto proprio quelle parole. -Eleonora, se vuoi puoi fuggire e dire addio a questa guerra. Puoi volare fino a Johto con i tuoi Pokémon e ricongiungerti con Ho-Oh, magari cambiare identità grazie a un nuovo aspetto fisico che il Legame ti donerà. Ma se poi venissi coinvolta nel conflitto tra Leggendari che si è ipotizzato e che poi ha influenzato pure l’ascesa dei Victory? Quante scelte hai, se non combattere da una o dall’altra parte?
Fece una pausa e poi sospirò, profondamente rattristata. -Se proprio non riesci a farti una ragione della fazione di cui ora sei parte… e non potendo fuggire senza rischiare la morte… andresti dai Victory? Sono potenti, sì, saresti al sicuro e forse, essendo una Legata, ti tratterebbero con ogni riguardo. Ma solo loro sono stati in grado di uccidere i genitori di tanti ragazzi o di ricattarli con le loro vite. È dura, è successo anche a me e a tanti altri. La famiglia di Camille è stata sterminata, insieme al suo patrimonio e alla sua storia, da Elisio stesso a causa del suo Legame. E tu cosa vuoi fare? Combattere insieme a noi, a degli assassini o vedere se c’è bisogno di servire il tuo Leggendario, andando incontro probabilmente alla morte?
Non avevo più neanche la forza di stringere i pugni. -Non hai idea di quante volte io abbia fatto a me stessa questi discorsi. Ma Sara, dannazione!… Come puoi pretendere che io ritorni alla normalità? Come posso smettere di piangere e disperarmi se un motivo per andare avanti non lo ho? Io… non sarò mai più la stessa, anche stavolta cambierò in seguito a questo… a questo trauma- ansimai, mentre parlare diventava sempre più difficile. -Ho perso i miei genitori, una delle ultime “cose” che avevo care a questo mondo! Come faccio a riprendere a combattere con i Pokémon o da sola con i miei poteri? Dimmi cosa devo fare per continuare la mia vita in un modo anche solo in apparenza normale, come se non mi fosse successo nulla! Come faccio a superare la… i miei genitori?- Non riuscii a pronunciare la parola “morte”, era troppo pesante per me.
Lei mi guardò intensamente con quell’espressione triste e compassionevole. -Lo farai nello stesso modo in cui tutti noi lo abbiamo fatto, chi prima e chi dopo. Io non ho avuto modo di affezionarmi ai miei genitori, ma tu ed altri, molti altri sì… eppure non sei né la prima, né l’ultima a dover affrontare una simile perdita. Bellocchio non ci ritiene comuni mortali, e a ragione. Soprattutto per il potere della mente tu dovrai imparare a sciogliere le catene che ti tengono legata al mondo terreno, e una delle più pesanti comprende le relazioni affettive. Questa è una cosa che non solo chi comanda il potere della mente deve praticare, ma tutti noi Legati, indistintamente dai propri elementi. E in misura minore, un po’ tutti i ragazzi delle Forze del Bene.
Si fermò brevemente mentre io la fissavo con gli occhi sgranati, mortificata dalle sue parole. Non ero sicura di poter fare una cosa del genere; non volevo disonorare l’affetto infinito provato nei confronti dei miei genitori in quel modo terribile. Riprese a parlare, più tranquilla grazie alla pausa dalle grida e dal pianto che mi stavo dando.
-So che è dura da accettare, Eleonora, ma è così. Noi Legati siamo una via intermedia tra l’essere umano e la specie di divinità rappresentata dai Leggendari; puoi crederci o no ma sono veramente loro a detenere il potere ed il controllo, e noi dipendiamo totalmente dai Pokémon. In particolare io, te e chi come noi abbiamo il privilegio, o la sfortuna a seconda dei punti di vista, di essere leggermente più vicini al mondo sopra questa Terra. In quanto tali siamo tenuti a fare qualcosa che va oltre le capacità dell’essere umano. Affrontare la Morte, sia essa nostra o di qualcuno che ci è stato vicino, è uno dei nostri compiti. Non possiamo sfuggire: è stato deciso alla nostra nascita e confermato nel momento in cui i nostri Leggendari si sono rivelati. Mi… mi dispiace.
L’ultima frase fu detta con enorme imbarazzo e la ragazza distolse lo sguardo, capendo che tutte quelle parole dovevano avere un effetto impressionante su di me. E così era: aveva confermato le mie peggiori paure che sempre avevo tenuto nascoste, ovvero quella di non essere una ragazza come tante, con il diritto di decidere della propria esistenza e di poter vivere giorno per giorno, senza portare sulle proprie spalle il peso di un’identità sovrumana. I Legati, un ponte tra il mondo terreno ed il divino… ed io una di loro.
Provai a protestare mentre un’altra volta mi coprivo il viso con le mani, dicendo che ero solo una ragazza come tante e in tal modo giustificando quelle lacrime e quel dolore indicibile, che ero certa di non poter superare. Ma sapevo, dentro di me, di non poterlo fare. Perché la finta realtà non era quella del mio Legame, di Ho-Oh, delle fiamme di vita: io ero parte integrante ed essenziale di tutte quelle cose e non potevo rifiutarmi di esserlo. La finta realtà, ormai, era quella perdita che dovevo imparare fin da subito a gestire e a controllare, in modo tale che non mi facesse dimenticare qual era il mio compito: essere a servizio del mio Leggendario e dei suoi simili.
Quello potevo pure accettarlo, in fondo il Legame con Ho-Oh mi aveva rassicurata ed aiutata in più momenti; ma come potevo continuare a fingermi, perché di questo si trattava, a servizio delle Forze del Bene? Essere alleata con Bellocchio e con i suoi mi stava procurando solo danni, tante lacrime e ferite mai del tutto rimarginate. Ma Sara aveva ragione anche su questo: quali scelte avevo altrimenti? Andare dai Victory che avevano distrutto la mia famiglia o combattere direttamente una possibile guerra tra Leggendari e Legati?
No, era meglio così: pian piano lo riconobbi ufficialmente. Dovevo continuare a percorrere quella strada su cui da anni camminavo, correvo e cadevo, insieme ad amici, alleati e anche a qualche rivale. Almeno lì conoscevo, più o meno bene, qualcuno. In primis i miei Pokémon, la mia preziosissima squadra, con i quali ancora non mi ero confrontata da quando avevo avuto da fare con il Legame. E poi gli altri come me, che potevano capirmi - o con i quali, comunque, potevo sfogarmi e parlare sapendo di essere compresa e non giudicata.
Alzai lo sguardo su Sara. Balbettai con indecisione che avevo capito e che era ora di riprendere l’allenamento del potere della mente, ma nonostante fosse difficile parlare, fu proprio dicendo quelle cose che rafforzai i pensieri, le considerazioni e le riflessioni che iniziavo a costruire. Mi asciugai il viso dalle lacrime, da quelle poche tracce di acqua che il vento non aveva strappato via, e ripresi la posizione composta senza che Sara mi dicesse niente.
Quel giorno non feci grandi progressi, secondo me, e fu difficile e sgradevole cominciare l’allenamento dopo quello che era successo e dopo le ennesime cattiverie dette e pensate nei confronti della ragazza. Ma doveva aver sicuramente capito, o come minimo non se l’era presa per quello che era successo in quei minuti di rabbia, furia e tristezza. In seguito mi disse che era già una gran cosa che avessi imparato a non cedere quando il pensiero della morte dei miei genitori si ripresentava alla mia mente svuotata, che immediatamente restauravo cacciandolo il più velocemente possibile. Ma non fu tutto così lineare e perfetto dopo aver capito chi ero veramente.
Le ultime tre giornate passate in quella base segreta furono costellate di sorrisi mesti e pianti silenziosi, e ogni tanto cadevo nuovamente preda di qualche crisi. Dovetti riuscire a riprendermi da sola, anche perché finivo nella trappola del dolore quando Sara non c’era e non avevo da pensare ad altro. Solo dopo qualche tempo riuscii veramente a spezzare le catene dei legami affettivi e a riprendere a gestire le fiamme di vita, non di rabbia. E verso la fine di quel soggiorno presso la Lega Pokémon imparai qualche tecnica appartenente al potere della mente.

Quei tre giorni rimanenti furono davvero intensi e impegnativi, sia dal punto di vista fisico che mentale e psicologico: ero distrutta. Anche Sara era provata, tanto che chiese di rimandare di un giorno o due il ritorno nella base del Monte Corona. Bellocchio in qualche modo riuscì a controllare le nostre condizioni; in uno slancio di generosità ci concesse altri tre giorni, per un totale di dieci passati nella sede della Lega.
Continuammo ad allenarci sul percorso 224 perché Sara lo riteneva un luogo indisturbato, immerso nella natura e quindi perfetto per ricercare la concentrazione necessaria al potere della mente - ma andava più che bene anche per esercitare fuoco e aria, soprattutto il secondo elemento visto il vento che lì infuriava circa tutti i giorni. Eppure, nonostante la presenza rumorosa di esso e del mare costantemente grosso, fu utile stare lì perché subito iniziai ad affrontare l’eventuale presenza di ostacoli quando fossi stata sola con i miei poteri.
-Il potere della mente copre un’ampia fascia di possibili mosse, spesso condivise con quelle incarnate dal tipo Spettro e dal tipo Buio- iniziò Sara. -In linea di massima lo Psico è associato alla sfera umana e per questo alcuni lo ritengono meno pericoloso, ma di rado hanno ragione. Proprio perché può arrivare con estrema facilità dentro di noi è al pari, se non peggio, degli altri due tipi. Chi ha il potere della mente può creare illusioni, leggere il pensiero, attivare la telepatia e rintracciare un’aura: questi non sono veri e propri attacchi, però, anche se usandoli bene lo possono diventare. I veri attacchi infatti altro non sono che versioni delle mosse Psico che causano un danno, sia esso fisico o speciale, quindi si va da Psichico a Psicotaglio, per farti un esempio.
-Niente male- commentai. -Ma comandare un simile potere mi sembra molto al di là delle mie capacità… già è stata dura con fuoco e aria, nonostante tutto.
-Tu, cara Eleonora, continui ad essere inibita dalla paura di non riuscire a fare qualcosa! Anche se normalmente tu non fossi in grado di esercitare poteri di questo tipo, i mezzi ti sono stati dati grazie al Legame. Cos’altro vuoi?
Feci spallucce, un po’ imbarazzata. -Ma da cosa devo cominciare? Ho ripulito la mia mente e posso dimenticare ogni pensiero, forse ogni emozione, quando voglio; ma a cosa è servito? È in questo modo che si può difendere la propria mente? Mi sembra un po’ strano, pensavo più alla creazione di barriere.
La ragazza sbuffò e si passò una mano tra i chilometrici capelli bianchi e celesti. -Ci sono due modi per bloccare l’accesso di altre persone alla propria mente: svuotarla o innalzare barriere.
Rimandò quell’approfondimento a un altro momento, che poi feci per conto mio: lessi, su libri a cui potevano accedere solo gli autorizzati e i Legati, le differenze tra i due metodi. Le barriere erano difficili da creare e da mantenere e l’invasore di turno già prevedeva che c’era qualcosa da nascondere nella mente aggredita. Per questo una simile tecnica era adottata per lo più dai Legati a Leggendari di solo tipo Psico, che potevano concentrarsi su di essa - un ottimo allenamento, inoltre, per i propri poteri - e che soprattutto avevano l’elemento della mente molto sviluppato. Non come me, misera Legata a Ho-Oh, che lo aveva come terzo e poco influente.
Per questo, nonostante fosse ancora più difficile, Sara aveva preferito insegnarmi a svuotare la mente - in breve, a estraniarmi dal mondo. Era una cosa che una volta imparata veniva assorbita, per questo era incredibilmente utile. Soprattutto mandava in confusione un eventuale aggressore, che ritrovandosi a fronteggiare un apparente vuoto veniva non solo respinto da esso, ma preferiva allontanarsi per la sorpresa. Era ancora difficile mantenere quell’assenza di pensieri e di ricordi quando non ero concentrata su di essa ma per il ritorno al Monte Corona ci riuscii abbastanza bene - e poi avevo ancora del tempo per esercitarmi.
Quel controllo del mio animo e in generale di me stessa fu il primo, grande passo per approcciare il potere della mente. Dipendeva molto dalla mia forza di volontà, dalla mia capacità di concentrarmi su qualcosa di ultraterreno e quindi di non considerarmi una comune mortale come avrei invece voluto fare. Questo mi costrinse ad accelerare il processo che avevo già iniziato di disconoscermi come ragazza normale e ritenermi più vicina al mondo a cui appartenevano i Leggendari, com’era giusto che fosse. E poi avevo già esercitato, senza saperlo, quel potere: quando insieme a Ho-Oh avevo letto le intenzioni più intime di Cyrus.
Ci volle un po’ per convincermene fino in fondo, ma con tanto impegno e con l’aiuto di Sara ci riuscii. Invece di sferrare una sorta di Eteralama - mi era successo in precedenza: anziché creare una mossa Psico, istintivamente ero andata sul fuoco o sull’aria - emulai uno Psicotaglio che avrebbe fatto invidia a quello di Aramis. Eccitata ed emozionata com’ero a malapena guardai la lama violacea che si dissolse dopo alcuni metri percorsi; mi voltai piuttosto verso Sara, che allegra come me batté le mani soddisfatta.
Psicotaglio fu facile rispetto alle mosse speciali che richiesero più concentrazione. Provai per prima Extrasenso, che Ho-Oh poteva apprendere per natura, e mi riuscii abbastanza bene: il mio bersaglio, la povera Sara, non poté riconoscere la realtà e ricollegarsi alla situazione per lunghi secondi che per un nemico sarebbero stati fatali. La stessa facilità incontrai con Calmamente, che contribuì a rafforzare le mie capacità, ma i primi tentativi con Divinazione furono frustranti. Era una mossa pesante, per quanto potente, e mi ci vollero giorni per farci qualcosa di passabile; settimane per ottenere buoni risultati.
Fu poi il turno di mosse che Ho-Oh non conosceva normalmente e per questo ci volle altrettanto impegno, come con Divinazione: Psichico e Confusione erano le più utili. La prima perché aggrediva l’avversario e metteva a dura prova la sua mente, per questo era difficile che si riprendesse velocemente dal violento, intimo colpo subito. La seconda, di per sé poco potente, per un umano era rischiosa e poteva sortire effetti gravi. Quello che credevo fosse uno Psicotaglio, inoltre, neanche poteva essere definito tale perché Ho-Oh non poteva apprenderlo: era più che altro una manifestazione fisica di un potere devoto agli attacchi speciali, che si era manifestato forse perché il mio Leggendario aveva un alto Attacco e perché anch’io tendevo a preferire uno scontro corpo a corpo. Non ero per le battaglie a distanza, al contrario di Sara, che se la gestiva come voleva con le sue abilità di ballerina e ginnasta.
-Per quanto riguarda mosse del livello di Magifuoco o Aeroattacco- disse poi, -sarà meglio che tu ti faccia guidare dallo stesso Ho-Oh. Io non metto mano su mosse peculiari o così potenti.
-Prima di provare Aeroattacco avrei bisogno di un paio di ali…- borbottai. -Per caso ne vendi a buon prezzo?
La ragazza mi fece una linguaccia. -No che non ne hai bisogno. O almeno, è questo che sostiene Articuno, ma conta che nemmeno io so usare quella mossa, anche se lei l’ha imparata. Lo stesso vale per Purogelo.
-Se non ci riesci tu, io non la saprò fare mai- risi senza un vero motivo. -Da quanti anni ti alleni? Almeno cinque, visto che anche all’Accademia ti sei addestrata, se non ricordo male da quello che mi hai raccontato. Io a malapena da una settimana so cosa sono i Legami, è già tanto che non sia morta per la paura e lo sconvolgimento di tutto ciò che mi è successo in così poco tempo.
-Orsù, mia cara ragazza, non faccia la cretina.
-Signorina, non insinui questo grave insulto: in fin dei conti questi poteri li gradisco assai assai.
Queste parentesi di misere risate erano una pausa tra un allenamento e l’altro. In alcune occasioni, però, le sparavamo talmente grosse che non riuscivamo a smettere di sghignazzare per qualche minuto buono, anche se non c’era niente di divertente o qualche vero motivo per ridere. Eravamo abbastanza esaurite.
-Comunque, se Ho-Oh vorrà insegnarti mosse di altri elementi, come Forzantica o Punizione, potrai imparare anche quelle. Ma non per questo riuscirai a comandare quei tipi come invece puoi fare con aria, fuoco e mente. Io, per esempio, posso usare Forzantica pur essendo di tipo Roccia. Lo stesso vale per Riflesso e Agilità.
-Ah, ho capito! Il dominio di un elemento non si limita alle mosse di quel tipo.
Sara annuì. Continuammo a provare le mosse che Ho-Oh conosceva di tipo Fuoco e Volante e non fu difficile mettere in pratica quelle, ma presto introducemmo un altro argomento, più profondo: i poteri peculiari di un Legato trasmessi dal suo Leggendario, impossibili da replicare da parte di altri se non da contraenti passivi dello stesso tipo. Ma come disse lei, non era detto che due Legati allo stesso Leggendario possedessero gli stessi poteri. Il problema era che io non avevo idea di quali potessero essere i miei.
-Scoprirai le tue particolarità solo grazie a Ho-Oh e all’esperienza. Nel frattempo possiamo fare supposizioni su quelli che potrebbero essere i tuoi poteri nascosti, parte di quelli ancestrali del tuo Leggendario. Hai qualche idea?
Scrollai le spalle e scossi la testa, ma subito mi misi a ragionare ad alta voce insieme a lei. -Ho-Oh è un dio della vita e della guarigione, oltre che della rinascita. Non vorrei spingermi troppo oltre, ma è possibile che io sia in grado di restituire la vita a un morto? Sicuramente Ho-Oh lo è.
-No, dubito fortemente che questo sia ammissibile. Le questioni di vita e di morte sono complesse e delicate, troppo per essere affidate ad un essere umano. I Leggendari se le riservano perché possono assumersi il loro peso e si prendono le responsabilità che ne conseguono, trascinandosele per tutta la vita. Cosa che per un umano, la cui esistenza è di breve durata, è troppo grave e dura da sostenere. Inoltre con il ricambio di Legati c’è il rischio che i problemi creati da uno ricadano sul suo successore, mettendo in difficoltà un innocente. Per questo i poteri della vita e della morte sono esclusivi dei Leggendari.
-Ma allora quale potrebbe essere? I poteri ancestrali di Ho-Oh sono questi.
-Che ne sappiamo noi due se tu ancora non lo hai conosciuto? Forse nasconde qualcosa che potrebbe rivelarsi per essere quello che cerchiamo. Quella della guarigione non è una strada da escludere, però.
-Quindi dici che posso avere un potere simile?
-Be’, sì. Le fiamme di Ho-Oh hanno una doppia faccia: possono essere curative, portatrici di energia e vita, così come possono creare incendi devastanti e trasmettere all’ambiente circostante la furia e la rabbia del fuoco. D’altra parte è lo stesso che è successo a te, quando in preda alla rabbia e alla depressione hai creato fiamme scure.
Seguì una breve pausa prima che io dicessi, continuando il discorso: -Forse c’è da indagare anche su questa particolarità di Ho-Oh: essere in grado di restituire la vita così come può toglierla.
-Sicuramente c’è molto da vedere- confermò Sara. -Tra l’altro, Ho-Oh ha sempre scelto i cosiddetti puri di cuore, un’altra prova a favore dei poteri della guarigione.
-Non cominciamo con questi discorsi- ridacchiai. -Io, pura di cuore? Non credo proprio.
Lei mi chiese il perché. Scossi la testa. -Perché… non lo so. Sono caduta più volte in preda all’ira e i sentimenti più neri e i pensieri più gravi mi hanno… contaminata, credo. Non so se esiste un umano puro di cuore a questo mondo che abbia veramente vissuto, che sia entrato a contatto con la realtà e che abbia conosciuto le cattiverie di cui è capace l’uomo, che possono corrompere per sempre il suo animo.
Non riuscii a continuare, quei discorsi mi mettevano inevitabilmente in imbarazzo. Ma Sara parve capire.
-Allora non addentriamoci in questo campo e lasciamo che tu ne parli con Ho-Oh quando sarà il momento. Però un’altra strada ci potrebbe essere: la longevità. La maggior parte dei Legati a lui di cui si ha notizia è vissuta molto a lungo rispetto agli altri contraenti e soprattutto agli esseri umani, centocinquant’anni come minimo. E più della metà di questa vita è stata riservata alla giovinezza.
-Sì, questo lo avevo visto anche io… ma non mi sembra un vero potere, piuttosto una caratteristica.
-Però, in un certo senso, è come se avessi la facoltà di agire più a lungo del normale. Non è da sottovalutare, in particolare se per la maggior parte della tua vita sarai una giovane adulta.
Mi mordicchiai il labbro inferiore. Come prospettiva non era proprio delle migliori per la me umana, perché mi allontanavo ulteriormente dal mondo della gente comune. Mi ripetei che così doveva essere e strinsi i pugni.
Tenni per un secondo gli occhi chiusi, sforzandomi di accettare anche quella volta. Pareva non finire mai veramente la realizzazione della mia lontananza dalla specie umana…
-Sara, posso vedere Articuno?- le chiesi subito dopo. Erano giorni che avevo quel desiderio e speravo fosse realizzabile, perché sarebbe stato il mio primo incontro con un Leggendario - Giratina, alla centrale nucleare, non poteva essere calcolato come incontro, veloce e non visibile com’era stato.
La ragazza parve colta un po’ alla sprovvista, anche perché le avevo fatto quella richiesta improvvisamente. Sfiorò con le dita il fiocco di neve della collana, soffermandosi particolarmente sul cristallo, arrivando a toccarlo. Forse stava avendo un dialogo mentale, a me inudibile, con l’altra contraente. Poi i suoi occhi azzurri, da vitrei che erano diventati, si posarono su di me e annuì silenziosamente. Io non mostrai alcuna reazione.
Strinse per un attimo il fiocco di neve e quando riaprì la mano non c’era più traccia della collana. Da una bolla di luce, che mi ricordò vagamente quella dell’evoluzione, circondata da una nebbia azzurrina, emerse l’ombra snella ma austera di un grande volatile. Quell’ombra quasi nera, in contrasto con la luce, prese colore e spessore mentre il bagliore si dissolveva. Sara rimaneva ugualmente nascosta da quella che non era più una silhouette, ma Articuno. Una dei Pokémon primitivi, guardiana dei ghiacci e dei venti del nord.
L’apertura alare era impressionante e mi chiesi come dovesse essere quella di Ho-Oh, molto più grande di lei. Il tridente sulla testa le dava un’aria maestosa, ma quelli che più contribuivano a quest’imspressione erano i suoi occhi, grandi e rossi, incredibilmente umani e al tempo stesso distanti nella loro serietà. Il becco corto era rigorosamente serrato: se avesse dovuto parlare, non l’avrebbe fatto tramite esso. Richiuse le ali e si posò a terra, graffiando il terreno con gli artigli argentati, affilati. Era più alta, anche così, sia di me che di Sara.
Nel vederla sentii uno strano bisogno, come di toccarla e di accertarmi che non fosse un’illusione. Mi sentivo vicina a lei, alla sua natura, o forse era meglio che la parte di Ho-Oh che condivideva un po’ di me stessa voleva entrare in contatto con una sua simile. Cercai di frenarmi e di stare tranquilla, ma più volte fui a un passo dallo slanciarmi verso Articuno e accarezzare il suo piumaggio così apparentemente perfetto. Lasciai alla Leggendaria il compito di iniziare a parlare ma prima si scansò, lasciando che Sara si avvicinasse e si mettesse accanto a lei. Spalancai gli occhi per la sorpresa quando la vidi, fisicamente, radicalmente cambiata.
Solo la pelle bianca era rimasta uguale a prima: i lineamenti sembravano più affilati, era cresciuta in altezza e i suoi vestiti erano diversi, così come i capelli e gli occhi, il cui taglio si era fatto più a mandorla. Le iridi erano rosse. La sua pettinatura, poi, era radicalmente diversa: aveva i capelli che arrivavano poco più giù delle spalle, erano uniformemente azzurri e lisci, mossi dal vento. Tre ciocche contate che le incorniciavano il viso erano di un blu più scuro e richiamavano la specie di tridente di Articuno.
Indossava, poi, una sorta di scalda-cuore celeste sopra un’attillata maglia bianca che si univa a dei mezziguanti azzurri. Un’ampia gonna con uno spacco laterale, che faceva vedere le gambe magre avvolte da dei collant blu, era unita allo scalda-cuore; una specie di cintura di stoffa li divideva, legata dietro con un semplice nodo che lasciava libere due lunghe code. Poi era scalza. Ed era davvero bella, più di qualsiasi umano, grazie alla sua vicinanza con esseri divini, i Leggendari. La ragazza sorrise, non timidamente come suo solito: era un’espressione seria e regale come quella della sua controparte Pokémon. Sembrava mi stesse sfidando a non inchinarmi al loro cospetto.
-Che c’è, Eleonora?- fece con voce ferma e sicura, più matura. -Sembra che tu abbia visto un fantasma.
Probabilmente un fantasma non avrebbe suscitato in me tanta ammirazione e meraviglia. Deglutii e ritrovai un po’ di fiato e coraggio per parlare: -Quindi… è questa la forma a cui aveva accennato Bellocchio.
-Una delle tre. La prima è quella umana, normale, comune come quella che hai tu adesso, se non fosse per gli occhi che ti sono diventati rossi- mi informò Sara. -Poi questa. Il nostro fisico si avvicina a quello del Leggendario e assumiamo alcune delle sue caratteristiche, ma siamo ancora divisi. Il mio aspetto con i capelli bianchi ormai è quello umano, da troppo tempo l’ho assunto per riprendere ad averne uno definibile come comune. E l’ultima unisce Pokémon e umano. Non possiamo mostrartela, richiede troppe energie… e la giornata è ancora lunga.
-Potreste almeno descrivermela?
Fu allora che Articuno parlò: la sua voce risuonò nella mia mente e in quella di Sara. Era un timbro piacevole, dolce ma deciso. -La parte incorporea di me torna come forma materiale del Legame. Nel nostro caso, dono a Sara le mie ali e le unghie delle sue mani si fanno rapaci e taglienti come i miei artigli. I suoi poteri sono amplificati e i suoi occhi diventano di puro ghiaccio. Al suo passaggio, sulla terra o in aria, nasce una pista di ghiaccio.
La parte degli occhi mi impressionò. Articuno non aveva finito: -Più o meno accade la stessa cosa con tutti. Per quanto sia difficile fare supposizioni su Ho-Oh, è probabile che anch’egli ti offrirà le sue ali e i suoi pieni poteri.
-Quindi Ho-Oh si mostra come maschio?- chiesi. -E i miei occhi come potrebbero diventare?
La Leggendaria disse che non aveva una risposta alla seconda domanda e che sì, sia Ho-Oh che Lugia si erano sempre fatti presentati come maschi. Annuii non sapendo cos’altro aggiungere, imbarazzata. Prima che Articuno ritornasse nella collana-Legame di Sara, mi guardò vagamente triste e disse: -Non affidarti troppo a quello che il passato testimonia sui tuoi predecessori, tu che sei Legata a Ho-Oh. Molte cose sono cambiate, sia in lui che in te e nelle vostre possibilità, così come è successo a molti di noi Leggendari. La delusione potrebbe essere grande. Cerca sempre un confronto con Ho-Oh e non allontanarti da lui, anche se in alcuni momenti sarà difficile sopportare il peso della vostra relazione. Sarebbe l’errore più grande che tu possa fare e andresti incontro ad altre sofferenze.
Lasciandomi con queste profetiche, amare parole svanì nel vento, dissolvendosi in una miriade di frammenti di ghiaccio. Ero sconvolta da quello che aveva detto. Aveva parlato di cambiamenti e di delusioni in seguito ad essi. Mi aveva messa in guardia da un errore in cui facilmente sarei potuta incappare, vulnerabile e diffidente com’ero, ormai, nei confronti di chiunque. E poi altre sofferenze, ancora. Mi chiesi se avrei mai smesso di provare dolore: ogni periodo della mia vita, da quando ero entrata nel mondo dei Pokémon, era stato rabbuiato da qualcosa.
Sara giunse le mani in preghiera e tornò al suo aspetto normale. Notò il mio sguardo ancora meravigliato dall’incontro ma corrucciato da quei pensieri tristi. Sospirò. -Purtroppo ha ragione… Devi mettercela tutta finché questa guerra non sarà finita, Eleonora. Vedrai che dopo avrai, come tutti noi, finalmente un po’ di respiro…

Quasi per miracolo schivai una freccia di ghiaccio, l’ennesima con cui Sara senza problemi mi stava attaccando. Risposi con un ampio movimento di un braccio facendo terra bruciata attorno alla ragazza, la quale parve spiccare il volo spinta dal vento sotto i suoi piedi. Provai a respingerla con una corrente contraria molto più decisa della sua: se puntava troppo sulla leggiadria finiva a terra grazie a un mio contrattacco che puntava sulla forza.
Subito però si rimise in piedi grazie a un aiuto dalla sua aerocinesi e mi imprigionò i piedi nel ghiaccio. La tenni impegnata sferrando pugni diretti verso di lei, che saltava da una parte all’altra della sala, da cui partivano grandi vampate sprizzanti calore e colore: abbastanza per poter poi avvolgermi i piedi con quelle stesse fiamme e dire addio al tentativo di Sara di immobilizzarmi.
-Allora, quando hai intenzione di bloccarmi con la mente?
-Appena la smetti di attaccare da lontano e vieni qui per un corpo a corpo ravvicinato, principessa delle nevi!- ringhiai di rimando, scattando verso di lei. -Codarda!- esclamai poi quando dovetti frenare e deviare con l’aria una freccia. Un’altra. Era saltata lontana da me e aveva restaurato la distanza.
Le afferrai una caviglia con una frusta di fiamme che non l’avrebbe scottata, ma con la quale l’avrei trascinata fino a me. Lanciò uno strilletto sorpreso per la mia velocità e dovette fare del suo meglio per non sbattere a terra. Le corsi incontro, armata di un paio di pugnali di fuoco così come lei lo era di quelli di ghiaccio, e finalmente ebbi l’occasione che aspettavo. Abbandonai le mie armi dopo aver evitato più attacchi e le posai il palmo della mano sulla fronte. Lei spalancò gli occhi e si immobilizzò. O meglio, io la immobilizzai.
Mi lasciai sfuggire un sorrisetto. Avevo piegato, una volta tanto, la sua mente al mio volere, intimandole di smettere di attaccare e di stare assolutamente ferma. -To’. Uno a zero per Ho-Oh.
Lei mi fece la linguaccia quando la lasciai andare e cadde a terra in ginocchio. Teneva le mani sui fianchi in un’espressione indispettita. -Se dovessimo contare tutti i tuoi precedenti tentativi, i miei “punti” sarebbero alle stelle! E com’è che mi hai chiamata prima?!
-Shh, non fare i capricci- ribattei, dandomi palesemente arie su arie. Mi allontanai di qualche passo, dandole le spalle, finché non rischiai di cadere: ripresi l’equilibrio per pura fortuna mentre brividi di freddo partivano dalla mia gamba destra, che la cara Sara aveva intrappolato, dispettosa, nel ghiaccio.
Le scoccai un’occhiata velenosa e lei ridacchiò. Mi liberai di quella piccola trappola sprigionando qualche fiammata da mani e piedi e stavolta mi curai di tenere d’occhio la ragazza mentre riprendevo posizione. Saltellavo sugli avampiedi come una tennista ma tenevo i pugni stretti vicini al viso, preparata quindi sia per scattare che per attaccare, per quanto le mie capacità di lotta fossero ancora modeste.
Scambiai un lungo sguardo con la mia avversaria prima di sogghignare maliziosamente. -Allora sei pronta, principessa delle nevi?- la sfidai ricordandole il nomignolo che le avevo affibbiato. Stavolta andai io per prima.
L’indomani saremmo partite ed erano due giorni che dedicavamo parte del nostro tempo a quegli scontri. Non erano veri combattimenti perché io in particolare - ma neanche lei aveva mai imparato - non avevo idea di come si lottasse, se non affidandomi all’istinto. Servivano più che altro per allenarmi ad avere un buon controllo sui miei poteri e a non sprigionare vampate a ogni passo, rischio che era facile correre. Pure Sara, che era una veterana, non di rado al suo passaggio lasciava un sottile strato di ghiaccio - che a quanto pareva era molto più spesso e solido quando era nella forma più vicina ad Articuno. A me era capitato spesso di fare terra bruciata ovunque muovessi un passo finché Sara non mi aveva intimato di fermarmi e di controllare i miei piedi.
Ero molto migliorata in pochi giorni, dovevo ammetterlo. Più che altro perché mai in vita mia avrei sognato, neanche nei sonni più confusi ed agitati, di fare cose simili: prima di diventare un’Allenatrice, poi di piegare al mio volere gli elementi di aria, fuoco e mente. Quest’ultimo lo usavo poco perché ancora non ci ero abituata ma pian piano riuscii a sentirmi più a mio agio con esso anche se in precedenza avevo avuto difficoltà a sfruttarlo. La mia bravura cresceva di pari passo con l’accettazione della mia identità fino a farla diventare la mia normalità.
Però non potevo fare a meno di invidiare Sara e il suo innato talento, la sua bravura. Sicuramente il suo doveva essere un caso quasi eccezionale, aveva avuto anni per fare sport privatamente anche all’Accademia - su ordine di Bellocchio che subito l’aveva individuata come Legata. Mi aveva raccontato di essere arrivata nella struttura e ben presto l’uomo aveva voluto incontrarla. Lei gli aveva mostrato la forma materiale del Legame e aveva giurato, con leggerezza nella sua innocenza di ragazzina, di dire la verità e di “aver fatto amicizia” con Articuno. Era stata l’unica all’Accademia a sapere di essere diversa, di possedere qualche particolarità. Per questo motivo Bellocchio aveva spinto su di lei affinché almeno un Legato fosse stato in grado di combattere conscio della sua situazione.
Se pensavo a quanto fosse brava, abile ed agile mi rabbuiavo un po’ e finivo con il prendermela, dentro di me, con Bellocchio, che non mi aveva dato la possibilità di conoscere e familiarizzare con il mio Legame prima. Avevo avuto solo dieci giorni di tempo invece per imparare solo le basi di tre poteri, e adesso dovevo tornare alla base segreta e interrompere di sicuro gli allenamenti, per un motivo o per un altro. Sarei stata mandata in missione da qualche parte, forse, se Bellocchio avesse ritenuto opportuno rimettermi subito a lavorare.
Sara, senza che io esplicitassi tutto questo, parve intuire il motivo di un po’ di quel malumore che ogni tanto mi prendeva; quindi mi rassicurava dicendomi che di tempo per imparare ne avrei avuto ancora e che non sarei stata assegnata subito a un’altra missione, nonostante ora avessi qualche mezzo per farcela pure da sola.
Quando riprovammo un’altra specie di lotta la ragazza fu sorpresa di non vedermi muovere. Avevo deciso, infatti, di evitare fuoco e aria per concentrarmi una volta per tutte unicamente sul potere del tipo Psico. Mi limitai a usare gli altri due per sventare i suoi attacchi, per il resto stetti seduta a terra con le gambe incrociate. Tenevo gli occhi aperti ma dopo un po’ chiusi anche quelli e sentii Sara fermarsi. Le mie mani intrecciate tremavano un po’ per il freddo delle sue mosse di ghiaccio ma riuscii a controllare anche quelle, svuotando la mente.
La ragazza balzò alle mie spalle e cercò di attaccarmi, ma io avevo la sua aura. L’avevo ormai conosciuta e avrei potuto trovarla ovunque, bianca e ambigua com’era essendo ormai mescolata a quella di Articuno, con cui tanto a lungo aveva convissuto. Quel prolungato contatto le aveva fatte avvicinare e confondere, ecco perché io invece ero ancora così distante da Ho-Oh. Per questo grazie alla sua aura riuscii a capire dove si trovasse anche avendo gli occhi chiusi, nonostante non facesse il minimo rumore con gli spostamenti.
Arricciai le labbra per un momento e poi tornai a concentrarmi quando sentii la sua esclamazione di sorpresa nel ritrovarsi così vicina a una barriera di fiamme che ci divideva, che aveva impedito al suo tentato attacco di raggiungermi. Ridacchiando e spostandosi di nuovo davanti a me, disse: -Non sei poi così indifesa anche quando stai comodamente seduta, eh?
-Comodamente? Stai scherzando, spero. Tenere la schiena dritta è una delle cose più difficili del mondo.
-Infatti sei ancora storta e ingobbita.
Non potei fare a meno di aprire gli occhi e guardarla indispettita e seccata. -Allora non me ne frega- borbottai stiracchiandomi. -Visto che questa posizione non serve a niente per il potere della mente.
-Ma avrebbe potuto insegnarti un po’ di disciplina…
-Disciplina un corno!
-Senti, piuttosto, spegni il muro di fiamme, ché te lo sei dimenticato.
Anche quella cosa era già accaduta, ovvero che io lasciassi accesa una pista di fuoco arcobaleno e che, anche ritrovandomela tra i piedi, non la ritirassi. In fondo mi trovavo a mio agio con la presenza di quelle fiamme, i loro numerosi colori mi mettevano sicurezza ed erano un piacere per gli occhi. Quando ero più di malumore o quando avevo appena avuto una crisi per la scomparsa dei miei genitori, erano tristemente rosse e violacee, se non nere. Ma anche da quel punto di vista più mi accettavo come non-comune mortale, più facilmente non cadevo preda della tristezza e dominavo con più facilità tutti i miei elementi.
Quella sera quando andai a dormire mi resi conto di quanto mi fosse mancato, in quei giorni, il contatto con i miei Pokémon. Per far sì che ci concentrassimo solo su noi stesse e sui nostri poteri, Bellocchio ci aveva detto di lasciarli in infermeria a farli riposare perfettamente finché non fossimo ripartite.
Per questo la mattina dopo, quando senza salutare nessuno uscimmo dalla Lega Pokémon nuovamente con le nostre squadre e le nostre poche cose, io e Sara ci separammo un momento per stare un po’ con i nostri compagni. Ero davvero intimidita da come avrebbero potuto osservarmi e giudicarmi ora che il mio Legame si era rivelato.
Eppure quando incontrai i loro familiari sguardi ed espressioni, che così tanto mi erano mancati in quei dieci giorni di estenuanti allenamenti riservati a me e non a loro, non riuscii a non versare delle lacrime di commozione. Non mi scrutavano diffidenti come se fossi un’estranea, non mi giudicavano per averli lasciati e per non essere la ragazza assolutamente umana che tutti noi, indistintamente, avevamo creduto. Sentivano la mia difficoltà e per questo si strinsero di più a me, tutti. Nightmare, June, Rocky, Diamond, Pearl, Noctowl “O’clock”, Saphira… e i due a cui mi ero più affezionata. Altair e Aramis, i miei primi compagni Pokémon in quell’avventura.
-Ehi…- fu l’unica cosa che riuscii a dire. Avevo la voce rotta da quelle lacrime che per la prima volta da molto tempo erano di gioia e non di dolore. Provai ad asciugarmi le lacrime ma mi precedette Aramis che sorrideva gentilmente. Ci scambiammo una lunga occhiata e di nuovo i miei Pokémon si strinsero a me, ancora più dolci e comprensivi. Mi misi a ridere di cuore e loro mi imitarono.
Se non fosse stato per quelle risa sincere e liberatorie saremmo rimasti immersi nel silenzio ad abbracciarci. Ma non sarebbe comunque stato necessario parlare in quel momento: ciò di cui avevo bisogno era la loro presenza e la loro vicinanza, solo una conferma dell’affetto che provavano per me, la loro Allenatrice. Quel silenzio valeva più di qualsiasi discorso fatto a loro, non avevo niente da dire se non ridere e piangere per la felicità di rivederli, di averli ancora accanto a me. Non volevo neanche pensare a cosa sarebbe potuto accadere se i Victory mi avessero tolto anche loro. Probabilmente sarei impazzita definitivamente e neanche Ho-Oh mi avrebbe potuta aiutare. Anzi, al massimo mi avrebbe aiutato a dare sfogo all’ira, se mai sarei riuscita a smettere dopo un’altra simile perdita.
Feci rientrare i miei compagni nelle rispettive Ball, tranne Altair, con la quale sarei volata fino al Monte Corona. Mi chiesi se i Pokémon fossero in grado di piangere perché l’espressione dei suoi occhi limpidi era veramente eloquente. L’abbracciai un’altra volta e poi le salii sul dorso piumato e cotonato, morbido e caldo come al solito.
-Chissà quando sarò abbastanza presente a me stessa per raccontarvi tutto…- mormorai. Poi feci un cenno con la testa a Sara, già pronta con il suo Noivern. Spiccammo il volo e iniziammo il nostro ritorno.

Non facemmo in tempo a rientrare che già fui convocata da Bellocchio. Mi salutai con Sara e mi diressi da sola verso il suo ufficio, non incontrando nessuna faccia ben conosciuta prima di bussare alla sua porta. Mi parevano passati anni dall’ultima volta in cui mi ero ritrovata davanti a lui, seduto sul suo trono - ovvero la sua poltrona rigorosamente nera - a cui poche volte rinunciava per degli spostamenti. Eppure rimaneva magro, forse anche troppo. Soprattutto nell’ultimo periodo il viso iniziava ad essere un po’ smagrito.
Mi chiese come fossero andati quegli intensi dieci giorni. Con grande serietà e freddezza, temendo a ragione che l’incontro non si sarebbe limitato a un resoconto degli allenamenti, gli dissi che ero molto migliorata, almeno stando a quanto diceva Sara. Con voce atona aggiunsi che il potere della mente mi aveva aiutata molto e forse in futuro sarebbe stato il mio “preferito”, anche perché mi aveva fatto superare la morte dei miei genitori. Bellocchio non replicò niente a quella mia affermazione, emise solo un sospiro. Non mi interessava ricevere qualche parola di conforto da parte sua e non ero sicura che sapesse consolare qualcuno.
Evitando il mio sguardo poi iniziò quello che per poco non fu un monologo. -Visto che sei così preparata e la tua identità non ti dispiace… non commetterò lo stesso errore di aspettare troppo a lungo. Anche perché i tempi stringono.- Annuii per dargli un motivo per continuare, pur non capendo cosa intendesse con “i tempi stringono”. -Con l’inizio dell’anno nuovo partirai. Andrai a Johto e ti ricongiungerai con Ho-Oh, il contraente del tuo Legame. Allo stesso tempo ti ritroverai con Ilenia, una ragazza che ha il Legame di Lugia, e…
-Ilenia?!- Non riuscii a trattenermi. -Allora… lei è partita perché… perché è Legata a Lugia…!
Ero sorpresa, non sapevo dire se positivamente o negativamente. Forse nessuna delle due. L’unica cosa chiara era che non mi aspettavo che lei, una ragazza ordinaria quanto me, fosse Legata a qualcuno. Men che meno a uno come Lugia, abitante degli abissi marini, quando lei era più focosa ed energica di me - che invece ero stata scelta da Ho-Oh. Mi chiesi se la sorte non fosse stata ironica o se ci fosse stato uno sbaglio e ci fossimo scambiate i ruoli di Legate. A questo punto io mi ritenevo più adatta al suo Leggendario così come lei lo era al mio.
-La conosci?- Bellocchio era abbastanza stupito. -Comunque sì, è partita per trovare il suo contraente.
-Ma perché non ci avete fatte partire insieme? Così da sole potremmo… essere vulnerabili, non so.
-A lei è stato detto prima perché è ormai un’adulta, ed è sempre stata responsabile e sicura di sé. È una delle migliori Allenatrici della base segreta, in più, quindi intanto abbiamo mandato lei.
Ero indispettita per quella separazione. Perché non l’avevano detto subito anche a me, perché non mi avevano rivelato prima il segreto dei Legami? Eppure avevano ritenuto anche me una delle migliori con i Pokémon; non mi avevano mandata solo perché non ero maggiorenne? Non mi pareva una scusa plausibile. Ma rinunciai a muovere qualche critica, Bellocchio aveva altro da dirmi sul viaggio che mi aspettava.
-Fatto questo inizia la vera missione che vi spetta. Ilenia intanto sta già conducendo ricerche per conto suo con l’aiuto che ha trovato in una base segreta di Johto. Dovrete setacciare la regione di Johto in cerca di altri possibili Legami, perché sicuramente almeno una delle Bestie Leggendarie ne ha contratto uno. Qualche dubbio c’è invece su Celebi che non crediamo abbia coinvolto alcun essere umano.
-Quindi dobbiamo reclutare altri Legati?
Bellocchio annuì. -Potreste trovare anche alcuni Legati a un Leggendario di un’altra regione. Comunque sia… questa è probabilmente l’ultima missione a cui parteciperai, se andrà a buon fine. Altri ragazzi e uomini si stanno muovendo per le varie regioni e hanno già iniziato questo lavoro. Per questo, quando si sarà localizzata almeno la posizione di tutti i soggetti con un Legame e se ne saranno reclutati il più possibile… solo allora tenteremo una volta per tutte di attaccare seriamente i Victory.
Il cuore iniziò a battermi forte. Anche la voce dell’uomo tremava appena per l’emozione.
-E se a qualche Legato venisse ordinato dal suo Leggendario di non partecipare al conflitto?
-Non insisteremo e non cercheremo di discutere. Però in qualche modo dovremo continuare a tenere d’occhio anche chi non si farà avanti per un ordine del suo Pokémon.
-Ma quindi- cambiai discorso, -qualcosa sui Victory si sa, per tentare di distruggerli? Sui loro vertici?
-Sui veri capi non sappiamo nulla, sembra quasi che non esistano. Ancora meno sappiamo qualcosa su quella persona di cui ha parlato Cyrus alla quale, stando a quanto ha detto lui, fanno riferimento i due Comandanti e per il conto della quale agiscono. Però sappiamo qual è la loro base principale. E a tal proposito…
Aprì un cassetto e ne tirò fuori un foglietto minuscolo. In realtà era un biglietto da visita, o meglio, la grandezza e la rigidità del cartoncino era quella. Sopra di esso vi erano stati scritti, manualmente, alcune località e numeri di PokéGear. Il primo nome che vi era presente era “Monte Corona” e subito dopo, lessi di sfuggita, “Fossa Gigante”. Non potevano essere i covi nemici perché il Monte Corona era totalmente colonizzato e controllato da noi.
-Queste sono le nostre basi disseminate per il mondo- mi spiegò Bellocchio. -E quelli sono numeri di personalità importanti nelle Forze del Bene… uno di essi è il mio. Tutte le persone che chiamerai, se necessario, sono a conoscenza dell’esistenza dei Legami. Per questo, se sarai in difficoltà, ti basterà presentarti come Legata a Ho-Oh e poi fornire una prova, che ti sarà richiesta sul momento. Ma se per un qualche motivo tu stia rischiando di essere catturata dai Victory… dai fuoco a questa miniera di informazioni. Distruggi qualsiasi cosa che possa mettere in pericolo qualcun altro; in poche parole, non farci raggiungere o rintracciare in alcun modo.
Feci un cenno affermativo con la testa, prendendo il biglietto e mettendolo in tasca.
-Siamo a metà dicembre- sbuffò Bellocchio. -Partirai tra tre settimane o appena Ilenia avrà delle informazioni che siano provate e sicure. Nel frattempo continua ad allenare sia te che i tuoi Pokémon.
-Va bene- mormorai.
La prospettiva che quella potesse essere la mia ultima missione, l’ultima cosa da fare per conto delle Forze del Bene che era stato così stancante servire, mi riempì di uno strano sentimento. Era un sollievo molto particolare, al contempo nostalgico e speranzoso. Non mancava poi tanto rispetto a tutte le cose fatte in quegli anni.
Mi alzai salutando Bellocchio; lui ricambiò senza aggiungere nulla, come se fosse poi necessario. Dovevo assolutamente trovare Sara e parlarle, dirle che avevo bisogno che lei mi aiutasse ancora e raccontarle della leggendaria - in tutti i sensi - missione che mi spettava, per la quale avevo bisogno di una grande preparazione.
Ma svoltando i corridoi e sbirciando velocemente in più stanze non riuscii a trovarla, nemmeno nel dormitorio. Quando uscii da esso per riprendere le ricerche quasi andai a sbattere con qualcuno. Il cuore mancò un battito, come succedeva spesso in sua presenza, quando i suoi grandi occhi scuri incrociarono i miei.
Era Chiara. Stavo lì lì per andarmene - come facevo sempre, o in alternativa lo faceva lei, quando ci vedevamo - ma mi sentii afferrare per il polso. Mi voltai. Era lei a trattenermi: nonostante avesse la testa abbassata, era parecchio arrossita. -Aspetta… Eleonora, ti devo parlare.

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Capitolo 27
*** XXV - Improvvisamente ***


XXV
Improvvisamente

Nel vedere Chiara così imbarazzata e rossa in viso, mentre cercava di farsi coraggio per dirmi qualcosa, arrossii anche io di riflesso. Forse fu perché cercavo di trattenermi dal ridere, la situazione mi aveva fatto venir voglia di farlo, ma non per prendere in giro la ragazza e rinnovare l’addio che ci eravamo date quasi un anno prima. Avevo voglia di ridere e basta perché immaginavo le ragioni per cui volesse parlarmi. E perché ogni situazione critica o dubbia, bastava che fosse tesa, più volte mi aveva fatto avere una simile reazione.
Però i secondi passavano e Chiara non si decideva a dire nulla. Doveva star combattendo una lotta interna con il suo orgoglio mentre cercava di prepararsi mentalmente frasi di senso compiuto. Nel frattempo il mio volto, da sorpreso - abbastanza piacevolmente - e incuriosito, esprimeva il bisogno di capire se si stesse sentendo male o no. Valutai l’ipotesi che la ragazza stesse solo andando in infermeria perché non stava molto bene e che io fossi stata la prima sulla sua strada alla quale potesse essersi rivolta per farsi accompagnare.
-Chià…?- non potei fare a meno di abbreviare il suo nome, come sempre. -Va tutto bene?
-No che non va bene!- scattò lei alzando la testa. Era talmente rossa in viso che, dopo un primo momento di stupore per la sua forte reazione, nemmeno riuscii a portare una mano davanti alla bocca per impedirmi di ridere.
Esalai uno strano “pfff” e poi scoppiai, lasciando la ragazza di stucco. Risi per un minuto buono mentre lei mi fissava, pronta a bussare alla porta di Bellocchio se la situazione fosse peggiorata. Se fossimo state in un fumetto avrebbe avuto il viso cosparso di goccioline di sudore, tanto era basita. Forse le avevo rovinato la performance che si era programmata. In tutto ciò Bellocchio non si accorse del casino che stavo facendo davanti al suo ufficio.
Quando mi ripresi rischiai seriamente di riprendere a ridere per la sua espressione, rimasta indimenticabile per quanto era comica. Balbettai a fatica: -Ehm… cosa c’è che non va?
Conoscendola dovette sicuramente pensare che l’unica cosa che non andava, in quel momento, fossi io per le mie reazioni fuori luogo. Appena però mi riuscì di guardarla in faccia senza rischiare un’altra crisi di risatine, subito cercò di ridarsi un contegno e mi mollò il polso per potersi passare una mano tra i capelli bruni. Li aveva tagliati, poggiavano sulle spalle, ma li aveva tenuti ancora più corti come piaceva a lei da un lato della testa.
Il rossore si limitò a propagarsi sulle sue guance mentre altri istanti passavano in silenzio. Mi chiesi seriamente se fosse stata in grado di proferire parola, ma mi stupì poco dopo. -Ho… ho saputo dei tuoi genitori- mormorò.
-Ah!- feci soltanto, sorpresa dall’argomento introdotto e per niente turbata da esso. -E come hai fatto?
-Ero in missione. I Victory sanno bene di… noi due, e per cercare di distrarmi mentre combattevo insieme ad altre reclute dei nostri, be’, mi hanno chiesto qualcosa sul tuo stato d’animo… andando a parare poco dopo sul… sul fatto. Mi hanno chiesto qualcosa sulla tua reazione alla notizia, io ho chiesto di cosa stessero parlando. Una dei Capitani, Atena, che credo sia la compagna di Giovanni o qualcosa del genere, lo ha detto ad alta voce. Ma non credo che gli altri con cui sono partita, impegnati nelle lotte, abbiano sentito: ci stavo lottando da sola, quasi senza Pokémon- aggiunse frettolosamente come a volermi rassicurare sulla mia privacy, rimasta relativamente inviolata.
Annuii leggermente senza alcuna reazione forte. Non ero scossa da quello che aveva detto, pur chiedendomi se le notizie potessero fare il giro delle sedi Victory tanto velocemente, perché non credevo che una donna sempre stata residente a Kanto sapesse qualcosa su di me. Ma forse la sua stretta relazione con Giovanni l’aveva aiutata.
-Ho capito- dissi poi. Chiara era allibita per la mia apparente calma, la mia tranquillità. Le sorrisi lievemente imbarazzata, non potendole spiegare - sarebbe stato sgradevole - che probabilmente avevo già pianto tutte le mie lacrime per i miei genitori e che in ogni caso avevo un potere in grado di farmi gestire, seppure ancora con qualche difficoltà, i miei sentimenti e la mia psiche. Mi interessai, sperando di metterla a suo agio: -E che missione era?
Seguì un secondo contato di silenzio. -MA A TE CHE TE NE FREGA?!?
Indietreggiai di un passetto, sbalordita e preoccupata dalla sua reazione. Stava ansimando dopo quello strillo come se avesse appena fatto una lunga corsa. Aveva sbottato con quanto fiato aveva nei polmoni e mi guardava desiderando ardentemente di farmi bruciare le pupille, nelle quali aveva conficcato le sue. Tenendo le mani avanti, preoccupata da un’altra possibile aggressione spacca-timpani, mormorai: -Era… solo una domanda, calm…
-Non mi dire di calmarmi, Eleonora!!
Fu in quel momento che la porta si aprì, mozzando a metà il mio nome. Bellocchio ci guardava contrariato e altamente seccato. -La smettete di fare baccano, voi due? Strillatevi e ridetevi addosso da un’altra parte.
Poi sbatté la porta appena Chiara fu lì lì per sbraitare anche contro di lui. -Chiara…- la chiamai. Si voltò di scatto verso di me, mordendosi il labbro inferiore. -Se mi fai il favore di non urlare, perché potrebbe venir giù una valanga… perché non andiamo a parlare fuori, sul Monte?
-Ma sei impazzita?- sbottò. Mi era mancata la sua franchezza. -Fa un freddo boia, siamo a dicembre.
-Sì, ma…- Capii che era meglio non insistere. Sospirai: -Dove vuoi andare, allora?
-Il dormitorio andrà benissimo. Ora non c’è nessuno.
Fu così che la seguii in silenzio, temendo altri suoi possibili scatti d’ira dovuti alla mia tranquillità interiore ed esteriore. Il dormitorio era vuoto, eccezion fatta per la stessa Sara che tanto avevo cercato in giro. Notò prima me, nonostante stessi dietro; stava leggendo un libro e fece per salutarmi con la mano ma si bloccò quando vide che insieme a me c’era Chiara. Spalancò leggermente gli occhi e inarcò le sopracciglia azzurrine per la sorpresa; un mezzo sorrisetto le curvò le labbra. -Di nuovo insieme?- chiese con leggerezza.
Feci spallucce e subito l’altra guardò la mia risposta neutrale a quella domanda. Non disse nulla a Sara ma le chiese con quanta gentilezza aveva di lasciarci un attimo sole; velatamente le intimò di smammare. Ero sicura che, alterata com’era dai suoi programmi andati in fumo - probabilmente di vedermi scoppiare a piangere e insultarla per aver riaperto le mie ferite, poco ci mancava che non attaccasse pure lei per non aver fatto trovare il dormitorio assolutamente libero e silenzioso. Si voltò verso di me, tenendo le mani sui fianchi stretti, appena Sara uscì.
La ragazza fece poi un respiro profondo e chiuse gli occhi, incrociando le braccia. Mi guardò intensamente cercando qualcosa nel mio aspetto che tradisse una violenta reazione alla scomparsa dei miei. Non trovandola ne uscì ancora più confusa e per questo irritata. -Allora?- borbottò.
-Allora cosa?- Poi anticipai una sua possibile battuta, aggiungendo qualche parola più rude appropriata al suo linguaggio schietto: -“Non farmi spiegare idiozie, Eleono’, e non far finta di non sapere di cosa sto parlando!”
Un altro secondo di silenzio mi fece temere un urlo simile a quello di poco prima. Ma si contenne. -Ehm… va bene, più o meno la risposta sarebbe stata quella… ma possibile che tu sia così tranquilla? Che ti è successo?
Aveva seri dubbi sul fatto che io avessi realizzato la perdita. Le sorrisi, un po’ intenerita dalla situazione e dalle sue espressioni mostrate così bene dai suoi grandi occhi quasi parlanti, un po’ rabbuiata, più dai ricordi dei pianti e delle crisi avute a tal proposito anziché essere incupita dal fatto in sé. Ogni volta, dovevo ammetterlo, mi stupivo della freddezza, in quel caso quasi positiva, che riuscivo ad esercitare non proprio perfettamente. Ma sicuramente Chiara non avrebbe mai potuto far caso alla grande tristezza che ancora non riuscivo a cancellare, che mi limitavo a ripiegare per farle occupare meno spazio possibile dentro di me e che cercavo di nascondere.
-Ho scoperto dieci giorni fa che i miei genitori sono morti. Ho avuto tempo per versare tutte le lacrime che sono riuscita a dedicare loro e ad andare in confusione, rischiando di cadere in un baratro, temendo di non potermi più risollevare e di non avere più modo di riprendere a vivere normalmente. Poi ho dovuto imparare a non piangere più niente e nessuno, a controllare i miei sentimenti e il mio animo. È stata dura e ancora adesso ho dei momenti di difficoltà… ma a meno che non succeda qualcosa di terribile, dubito che di questo passo perderò di nuovo il controllo. Ci sto lavorando molto, tutto il giorno e tutti i giorni…
-Ma che diavolo stai dicendo?- mi interruppe lei, basita.
Scrollai le spalle, sedendomi sul letto più vicino. Potevo capire benissimo il fatto che fosse scandalizzata dalla mia tranquillità e da quei discorsi sull’autocontrollo, perché anche io avrei reagito ugualmente se fossi stata al suo posto e non avessi avuto tre poteri ad aiutarmi. -È così, Chià. L’unico modo per non dare di matto dalla tristezza o non cadere in depressione… era questo. È questo- mi corressi. Poi sorrisi appena e la guardai: mi chiesi se fosse il caso di parlarle del Legame. Preferii aspettare le successive battute di quel dialogo imprevedibile per decidere.
Inizialmente lei sostenne il mio sguardo, ma dopo poco abbassò la testa e strinse i pugni. -Sono uno schifo.
“Oh cielo, no” pregai, spalancando gli occhi. “Ti prego, no. No, no, no. Non farla disp…!”
Mi ritrovai con il fiato mozzato da un suo repentino, violento abbraccio. Fui buttata sul letto mentre le sue braccia mi stringevano il collo, in una presa tanto pericolosa quanto, sperai, affettuosa. Mezza soffocata da esse e dal suo corpicino esile mezzo sdraiato sul mio in una posizione alquanto ambigua, annaspai in cerca d’aria: già lì nella base segreta scarseggiava, se Chiara quasi mi strangolava rischiavo grosso. -Chià… aiu…
-Ele, Ele, Eleonora!- piagnucolava. -Ti ho lasciata sola per tutto questo tempo solo perché io stessa avevo paura di rimanere sola e di essere buttata nel dimenticatoio! Sono uno schifo, sono un’insensibile egoista e sono stata disinformata, pure, perché ho cercato di fregarmene totalmente di quello che ti succedeva! Sono una…
Continuò a insultarsi con parole sempre più gravi e a balbettare scuse per poi demolire lei stessa quelle fragili giustificazioni sul suo comportamento, finché non mi feci forza e la buttai di lato per cercare di far circolare aria nei polmoni. Quando capì di avermi mezza asfissiata riprese a biasimarsi e ad offendersi in ogni modo possibile.
Appena riuscii a parlare le diedi un pizzico su una guancia. -Stai buona, Chià!- le intimai.
Di nuovo un attimo di silenzio, quell’attimo teso al quale seguiva una battuta inaspettata e temuta.
-Eleonora, picchiami.
-Eh?!- A malapena ci accorgemmo, sia io che lei, dei lacrimoni che le rigavano le gote arrossate.
-Ti prego, Ele, fammi del male!- mi pregò. Rischiai di scoppiare nuovamente a ridere se non fosse stato per la situazione drammatica. In realtà era tutto abbastanza comico; quando ce ne saremmo ricordate in seguito ci saremmo fatte grosse risate per quei minuti di delirio. -Fammi sentire fisicamente tutto il dolore che tu hai provato psicologicamente! Io credo che ne morirò al contrario tuo, ma tu non preoccuparti, è giusto così! Adesso picchiami!
Uno schiaffo glielo tirai davvero ma fu leggero e solo per svegliarla. -La vuoi smettere di fare la cretina?
-No, è nel mio DNA essere stupida, e lo sono stata talmente tanto da…
Mi chiesi se quel tristemente comico supplizio avrebbe mai avuto una fine. Strepitava che non l’avevo colpita con abbastanza cattiveria e violenza. Capii che l’unico modo per tapparle la bocca non era né farlo con una mano, né attaccarla in qualunque altro modo perché se lo aspettava. Quindi la abbracciai: immediatamente si zittì e la sentii solo tirare su con il naso mentre cercavo un modo per calmarla e farle capire che non c’era bisogno che la picchiassi, come lei a quanto pareva desiderava, anche se un vero ceffone gliel’avrei mollato volentieri. Mi staccai subito assumendo un’aria sprezzante e di sufficienza, lasciandola perplessa e lacrimante per la sorpresa.
-Ma chi ti credi di essere?- soffiai incrociando le braccia e inarcando le sopracciglia, squadrandola da capo a piedi con tutta la disapprovazione che possedessi. -Ti sembro il tipo che si mette a piagnucolare per una ragazzina che da un momento all’altro mi dice “non ti parlo più, non siamo più amiche!”?- Imitai una vocetta stridula da bambina. -Ma tu guarda questa, che si è creduta il centro del mio mondo!- Sbuffai allontanando una ciocca di capelli dal viso e spostando lo sguardo altrove. -Io proprio non la capisco… vuoi vedere che si pensava che io non potessi andare avanti normalmente senza di lei? Che arroganza, crede di avermi fatta star male così… eh?
Ripresi a squadrarla con lo stesso fare di disprezzo. Stettimo un po’ così, a guardarci, lei ammutolita e basita, io che cercavo di non scoppiare a ridere un’altra volta, sicura che mi sarebbe preso un colpo al cuore se avessi sghignazzato allo stesso modo di prima. Una risatina mi sfuggì dopo qualche momento e scossi la testa, tornando ad abbracciare Chiara; stavolta per tutto il tempo che avessimo voluto, non solo per farla stare zitta un attimo.
-Ahahah, Chiara!- ripetevo il suo nome mentre sorridevo piena di felicità. -Mi sei mancata, Chià!
-T… tu, tu…- mormorò lei più volte, singhiozzante. -Sei una scema… proprio una grandissima scema. La tua stupidità non conosce limiti. Cretina, idiota. Deficiente. Stupida. Scema, scema… scema…
-Sì, sì, lo so. Anche tu però non sei da meno, eh…
-Non girare il coltello nella piaga, scema! Scema, scema!!
Aspettai che si calmasse e per aiutarla le porsi un fazzoletto. Nel mentre pensavo a quello che aveva detto poco prima, ovvero che aveva avuto paura che io la lasciassi da sola in favore di qualcun altro. Per questo lei per prima, forse pensando che avrebbe fatto meno male che essere messa da parte, aveva deciso di tagliare i ponti.
Eppure io non mi ero mai accorta di averla dimenticata o di aver trascurato la nostra amicizia. I compagni del mio corso non avrebbero mai potuto competere con il legame che avevo avuto - e che avevo di nuovo - con lei, neanche Daniel che mi piaceva davvero nonostante Oxygen e nonostante avessi altro per la testa, ma perché il rapporto che avevo con lui e con l’altro ragazzo era diverso da quello con lei. Ilenia era diventata un punto di riferimento quando ero rimasta da sola ma altrimenti non avrei mai voluto lasciar perdere Chiara.
La verità era che avevo trascurato un po’ tutti i rapporti umani da quando avevo cominciato ad allenare i Pokémon. E ora che avevo saputo del Legame, che esso si era mostrato, capivo il perché di quella grande affinità, pur non realizzando la famosa intesa che il Master, Rosso, tanto osannava e predicava.
-Io non sarei mai stata in grado di lasciarti, Chià…
-Lo so, lo so, ma sono stata stupida e…
-… ma in effetti tu e tutti i miei compagni siete stati messi un po’ in secondo piano.- Fece silenzio e mi ascoltò. -Mi sono concentrata moltissimo sull’allenamento dei miei Pokémon, sul mio, e in questi dieci giorni ho vissuto più o meno la stessa situazione, pur concentrandomi solo su me stessa, anche vista la fragile situazione psichica ed emotiva… il fatto è che io… sono molto più vicina alla realtà dei Pokémon che a quella umana, Chiara.
Inarcò le sopracciglia. Avevo deciso di dirle tutto, era pur sempre la mia migliore amica: volevo che tornassimo subito ad essere tali, quindi le avrei confidato quello che a lungo era stato nascosto pure a me.
-Hai presente il famigerato segreto che non mi hanno mai voluto dire, no?- Annuì, incerta.
E le spiegai tutto. Le raccontai della missione in cui avevamo incontrato Cyrus e di come avessi fermato le fiamme, di quelle arcobaleno che avevo creato, dei miei occhi rossi e poi del colloquio avuto con Bellocchio, insieme a Sara, in cui i due mi avevano parlato dei Legami. Poi passai alle giornate di allenamento, alla crisi più terribile avuta non appena la mia mente, che dovevo allenare, era stata svuotata lasciando spazio al pensiero della morte dei miei a cui non avevo mai riservato nemmeno un momento. Dopodiché agli allenamenti, ai miei poteri e a come essi mi avessero aiutato a far fronte alle crisi più piccole avute in seguito, fino a farle sparire.
Alla fine Chiara sembrava svuotata di qualsiasi emozione e voglia di fare, tanto che non riuscì nemmeno a stupirsi più di tanto per la rivelazione che le avevo fatto. Evidentemente si era già sorpresa, sconvolta, turbata e confusa così tanto nei minuti precedenti che la sua reazione alla fine fu un semplice “ho capito”. Dopo un po’ però aggiunse: -Quindi i Victory danno la caccia a quelli come te perché siete infinitamente potenti?
-Infinitamente no… ma sicuramente siamo una spina nel fianco di chi ci ha come nemici.
-E questo criterio di selezione dei Legati è casuale, hai detto?
Annuii. -Non ho idea di come facciano a rilevare le nostre posizioni e a capire che siamo Legati a qualcuno se il Legame ancora non è stato “ufficializzato”… ma se non lo si è dalla nascita non si può sperare di ottenerne uno, almeno credo, o comunque da quello che ha detto Bellocchio sembra che i mezzi ci siano ma che siano davvero terribili, dolorosi e che condannino l’umano che ne ha voluto uno. Mi spiace, Chià.
-Per cosa?
-Be’, non sarai mai eccezionalmente figa come la sottoscritta!

Mi fece talmente piacere riprendere i contatti con Chiara che nei giorni successivi mi allenavo con il sorriso. Andavo con Sara in una palestra dei sotterranei che perciò era quasi sempre chiusa agli occhi degli altri ma non importava più di tanto a nessuno: lì sotto erano sempre tutti indaffarati alle proprie postazioni oppure dovevano fare su e giù per la base segreta. Quando incrociavamo Angelica era sempre troppo occupata e di corsa per poterci dedicare più di un saluto appena mormorato o un sorrisetto stanco.
Ogni tanto ci portammo dietro Chiara, consapevoli di non essere controllate da Bellocchio - se lo fossimo state, non aveva nulla da ridire. Lo facevamo per lo più su mia richiesta, scoprii che alla contraente di Articuno la mia amica era pressoché indifferente. Probabilmente se non fossi stata anch’io una Legata avrei ricevuto il medesimo trattamento, gentile ma distaccato, che la ragazza le riservava. Chiara era affascinata dai nostri poteri e se ne stupiva ogni volta, pur non essendosi sbilanciata troppo quando le avevo rivelato la mia identità, troppo stanca a causa della sorpresa del mio comportamento innaturale riguardo la morte dei miei genitori.
Ma arrivò il giorno in cui anche Sara dovette partire. Lei doveva andare a Kanto e sarebbe stata praticamente da sola. C’erano sicuramente altri due Legati, ovvero gli altri del trio di cui Articuno era parte, e buone probabilità che anche Mew si fosse messo in gioco con un Legame.
Non ero proprio triste quando partì, al contrario di quando se n’era andata Ilenia. Mi aveva detto, da brava maestra quale era diventata, di continuare ad allenarmi da sola o magari aiutandomi con i miei Pokémon. E poi sapevamo entrambe che Kanto e Johto erano vicinissime, avremmo avuto sicuramente occasione di reincontrarci prima che le Forze del Bene organizzassero un attacco consistente al cuore del Victory Team.
Però, rimasta sola con Chiara, mi accorsi di quanto fosse vuota la base segreta. Sentii dire che Oxygen ancora era in missione ed ero parecchio preoccupata; chiesi a Bellocchio notizie da Ilenia ma non mi raccontò nulla su di lei, se stesse bene o no; Daniel lo incontravo una volta ogni tanto e poi anche lui partì per una missione, forse nella stessa Sinnoh, finché non lo persi totalmente di vista. Tutti questi contatti perduti mi fecero realizzare quanto pochi fossero i miei amici o anche solo le mie conoscenze all’interno della base. Mi venne in mente Cynthia ma né Chiara, né tantomeno Melisse - almeno lei era rimasta - o Angelica sapevano dove fosse la formidabile Allenatrice. “Una forte come lei avrà sicuramente un Legame” mi dicevo, “e sarà partita per qualche regione lontana.”
Poi sospiravo mentre i giorni passavano, i miei miglioramenti senza l’aiuto di Sara si facevano molto più lenti e meno sensibili e il giorno della mia partenza inesorabilmente si avvicinava. Mancavano dieci giorni: trascorrevano veloci tra un allenamento e l’altro, le chiacchierate con Chiara erano lunghe e divertenti e mi facevano distrarre da qualsiasi altro pensiero. Poi feci un incontro inaspettato che accelerò ancora il corso del tempo.
Ero nella sala degli allenamenti, stavolta da sola, alla ricerca della giusta concentrazione che poteva mettermi in contatto con i miei Pokémon anche durante un combattimento, senza farmi prendere dall’ansia e dall’adrenalina. Un altro campo era occupato da due ragazzi che non conoscevo, ma quando capii di sentirmi osservata realizzai che c’era qualcun altro, lì dentro, che mi aveva individuata al posto loro.
Fece per andarsene ma io richiamai June nella Ball e gli corsi dietro. Volevo sapere qualcosa di più sull’intesa di cui aveva sempre parlato e su che basi avesse detto che ero tanto brava e adatta per la missione. -Aspetta… Rosso.
Si voltò con la sua solita espressione di diffidenza e disinteresse. Ma poi, inaspettatamente, accennò un mezzo sorriso che mi parve quasi beffardo. -Che c’è, contraente di Ho-Oh?
Vacillai per un momento sulle mie gambe nel sentirmi rivolgere quelle parole. Rosso sapeva dell’esistenza dei Legami?! Che Bellocchio lo venerasse così tanto da rivelargli ogni segreto che custodisse? Non volevo pensare alla sua vita privata, allora. Meno male che Rosso era così silenzioso e chiuso e a malapena parlava con i suoi studenti per qualcosa riguardante le sue “lezioni”. -E… e lei come fa a sapere dei Legami?- balbettai quindi.
Lui, tenendo quel mezzo sorriso che si addiceva parecchio al suo aspetto di “ragazzaccio trasandato”, rispose: -Dammi del tu. E poi queste sono cose che il Master dovrebbe sapere, no?
-Ehm… non lo so.
Ero parecchio imbarazzata e disorientata da tutta quella confidenza. Desiderai ardentemente di avere Chiara al mio fianco mentre Rosso ridacchiava. Ridacchiava. Avevo bisogno di qualcuno che mi confermasse di non avere un miraggio e con cui fare congetture sulla botta di vita che aveva d’un tratto preso possesso del gelido Rosso.
-Be’… quindi tu, Rosso, sai dei… va bene.- Le mie facoltà mentali avevano deciso di abbandonarmi proprio durante quei momenti; arrossii vistosamente. Mi succedeva sia quando andavo in confusione che quando parlavo con adulti o con chi non avevo confidenza. -Ne hai uno anche tu, per caso?… Di Legame, intendo.
Lui scrollò le spalle e scosse la testa. -Ma sinceramente non me ne importa nulla- aggiunse a quei due gesti. -Anzi, forse lo preferisco. Conoscendomi, credo che mi monterei la testa e abbandonerei la mia squadra per il mio eventuale Leggendario. E non voglio separarmi dai compagni di una vita.
“L’unica volta in cui l’ho sentito parlare così tanto è stata quando ci ha fatto la ramanzina in onore dei bei tempi andati…” pensai sempre più disorientata. Però le parole che aveva detto erano forti e soprattutto veritiere. Non dovevano essere pochi i casi in cui qualche Legato aveva abbandonato i Pokémon comuni per sopraelevarsi ancora di più, salire un ulteriore gradino verso la “divinità”. -Sì, in effetti…- mormorai soprappensiero.
-Tu hai un buon rapporto con i tuoi Pokémon, coltivalo con attenzione e non dimenticarti mai di loro. Possono esserti d’aiuto quando il tuo Leggendario non è in grado di starti accanto, potrebbe accadere, e ti conoscono molto di più e da più tempo- mi consigliò. E poi mi mise in guardia: -Però non riponi abbastanza fiducia nella tua squadra. Forse ti aspetti anche troppo da loro, eppure sono Pokémon giovani ed è normale, come te che da pochi anni sei un’Allenatrice: una novellina, insomma. Non dovresti mostrare loro il tuo malcontento quando non fanno quello che ti saresti aspettata, in questo modo li confondi e basta, oltre a scoraggiarli.
Avevo le sopracciglia talmente inarcate dalla sorpresa che giusto un centimetro di pelle doveva separarle dal cuoio capelluto. Non solo non mi aspettavo di incontrare Rosso, né di vederlo sorridere o sogghignare, né di sentirlo parlare così tanto: si metteva pure a darmi consigli come mai aveva fatto con altri studenti? “Ma forse è perché ho un Legame, l’avrà fatto pure con Ilenia e altri… però cavolo, non lo riconosco nemmeno! Si è pure tagliato la barba e ora sembra un quindicenne…! Qualcuno deve avergli fatto qualcosa, è inspiegabile!”
Tanto ero occupata a cercare di capire cosa gli fosse successo che quasi non feci caso a quel che mi aveva detto: lo sentii e lo assorbii, sì, ma sul momento non ci pensai. Ed evidentemente apparivo così concentrata e pensierosa che lui dovette domandarsi se lo avessi sentito. -Ehi… mi stai ascoltando o…?
-Sì!- scattai, arrossendo nuovamente. -Senti allora, Rosso, ma l’intesa di cui hai sempre parlato? Posso trovarla in questo modo, fidandomi della mia squadra? Oppure c’è qualcos’altro?
Fu così che Rosso tornò serio e la sua espressione si trasformò, smettendo di essere quella di un ragazzo allegro e chiacchierone, alla quale si sostituì quella adulta e concentrata sul suo ruolo di Master. -Il rapporto di cui parlo io si può costruire solo con il tempo e, soprattutto, solo con le esperienze all’aperto, dal vero- mormorò. -L’ambiente in cui gli Allenatori e i Pokémon delle Forze del Bene sono cresciuti è solo una simulazione di una realtà in cui ci si dedicava ad allenare sé stessi e i propri compagni, ma soprattutto a divertirsi. Ora siete… anzi, siamo in guerra. E fin da subito ho capito che era quasi impossibile che esistesse qualcuno che avesse costruito una simile intesa.
Lo ascoltavo in silenzio, rapita. -Quando ho detto quelle parole piuttosto dure nei vostri confronti… era perché non volevo impedirmi di sperare che uno di voi fosse stato in grado di farlo. In quel modo sarebbe uscito fuori, di sicuro, qualcuno che c’era riuscito. Non successe, qualcuno però ha fatto progressi mentre qualcuno non sa proprio cosa fare con i propri Pokémon, a parte combattere. Ma non per questo non dovevo provare, no? E poi tu sei pure avvantaggiata: con il potere della mente, credo che tu lo abbia, puoi comunicare con i tuoi Pokémon quando vuoi.
Non risposi, concentrata sulle sue parole. Oxygen aveva avuto ragione: Rosso non si era aspettato mai nulla. E probabilmente aveva riconosciuto grossi miglioramenti fatti durante quel percorso.
-… Secondo me non mi stai ascoltando.
-Eh?! Sì sì, l’ho fatto, davvero!- sobbalzai dopo il suo borbottio. Mi guardava con un viso a metà tra l’incuriosito e il sospettoso, e prima di distogliere velocemente lo sguardo da lui dovetti ammettere che quando non faceva troppo il Master i suoi occhi marroni, altrimenti freddi e vacui, erano davvero espressivi. -Stavo solo… pensando. Al tempo e all’esperienza che ancora dobbiamo fare un po’ tutti… sia come Allenatori che come Pokémon. E poi… ehm… niente, è solo che ho sempre pensato che tu ti aspettassi chissà cosa da noi, invece… sono un po’ sorpresa.
“Ma giusto un po’, eh.” Rosso riprese a sorridere, con aria di sfida. -Be’, fai bene a ragionare su queste cose! E sì, sono stato abbastanza freddo e detestabile, lo ammetto, ma dovevo darmi un po’ di arie in quanto Master… e poi dopo essere sceso da un Monte su cui ho temprato il mio spirito e la mia squadra era d’obbligo fare così!
Rise di gusto dopo aver detto questo. “Chi sei tu?! Cos’hai fatto al vero Rosso?”
-Allora quando devi partire, tu?- mi chiese poi.
-Oh? Per cercare i Legati a Johto?- Annuì. -Tra una decina di giorni, se non arrivano sufficienti informazioni prima. Ma devo innanzitutto ritrovare Ho-Oh e poi mettermi alla loro ricerca insieme alla mia amica.
-Che è Legata a…?- Risposi Lugia e inarcò le sopracciglia. Gli confermai che, nonostante i nostri Leggendari dovessero essere praticamente agli antipodi, andavamo molto d’accordo. Riprese: -Oh, bene! In effetti è giusto che i Legami non influenzino il rapporto con le altre persone. Sarebbe scorretto nei nostri confronti.
Mormorai l’ennesimo “eh?” confuso e sorpreso che lui neanche udì poiché stava girando i tacchi per andarsene. -Allora a presto, contraente di Ho-Oh!- Neanche ricordava il mio nome, probabilmente. -Ricordati quello che ti ho detto, mi raccomando, e non dire a nessuno di questa conversazione, altrimenti perderei tutta la mia aura leggendaria… anche se non ho uno straccio di Legame! Ahahah! Buona fortuna con la missione!
No davvero. Non era possibile che fosse lui, era troppo spensierato e scanzonato. Di sicuro aveva la stoffa per fare l’attore, vista la maschera impassibile e severa che era riuscito a indossare con tanta facilità.
Ma allora che fosse il vero Rosso quello che ghignava beffardo e si impicciava un po’ dei fatti altrui? Che quel giovane uomo in grado di apparire come un ragazzetto, almeno nei comportamenti oltre che nel modo di presentarsi, avesse voluto farmi vedere com’era lui prima di isolarsi sul Monte Argento?
Se sì, ammisi con un sorriso dopo averlo salutato appena con una mano, era di gran lunga migliore quel suo carattere da giovanotto temerario e curioso. Il mio era un sorriso nostalgico, come se avessi e quindi rimpiangessi ricordi di quando Rosso era ragazzino e girava la sua regione natale, Kanto, insieme ai suoi Pokémon.
Aveva ragione. Solo vivendo nella realtà e non simulando un accumulo di esperienze che solamente un viaggio con i propri compagni poteva offrire, si poteva sperare di stringere un rapporto quasi telepatico, empatico al massimo con la propria squadra. Le avventure leggere, spensierate ma piene di sana adrenalina che si potevano vivere in un simile viaggio… non sapevo dire se avrei mai avuto la possibilità di sperimentarle. Sperai ardentemente di sì, se i risultati potevano essere quelli che Rosso aveva ottenuto con i suoi Pokémon.
A guerra finita, se si fosse presentata l’occasione, avrei viaggiato per il mondo. Me lo ripromisi. Di rado ero stata così decisa e determinata a fare qualcosa, ma giurai che avrei fatto di tutto pur di imitare ciò che aveva fatto Rosso e di tagliare i suoi stessi traguardi, non per ottenere qualcosa ma per completarmi come Allenatrice.
Intanto dovevo contattare qualcuno. Un altro professore, quello con cui ero senza dubbio più in confidenza e che era il mio preferito. Scrissi a Oxygen sul PokéGear: “Quando tornerai dalla tua missione? Mi manchi.”
A dire la verità non mi aspettavo che rispondesse, credevo che la risposta l’avrei avuta direttamente quando lo avrei incrociato per i corridoi della base segreta e magari avessimo combinato un incontro per parlare un po’.
Invece la sera stessa mi arrivò un messaggio: laconico e freddo ma conciso. “Sono a Hoenn. Non so quando mi faranno rientrare.” Ero molto emozionata ma il mio sesto senso di contraente mi diceva che qualcosa non andava.
Avrei voluto rispondergli “ti aspetto”, ma visto che non aveva idea di quando sarebbe tornato sarebbe stata una bugia, perché di lì a dieci giorni io me ne sarei andata a Johto e non sapevo se l’avrei rivisto in tempo. E quindi, mentre Chiara parlottava di qualcosa sia con me che con una del suo corso, facendo finta di sentirla mi sistemai le coperte e gli risposi, prima di mettere via il Gear, con la verità. “Io tra neanche dieci giorni devo partire per Johto e, sinceramente, dubito che tornerò mai in questa base segreta.”
Sospirai, spegnendo il Gear e augurando la buonanotte a Chiara, nonostante fosse presto. Misi come scusa che mi ero allenata tutto il giorno e che avrei dovuto svegliarmi di buon’ora la mattina successiva. Ma rimasi sveglia per parecchio tempo a rimuginare su Oxygen e sull’eventualità di non vederci più: il solo pensiero mi faceva star male. Non volevo che ci dividessero, volevo incontrarlo almeno una volta prima di separarci. Per me sarebbe stato rassicurante andar via con il pensiero di qualche parola di conforto detta da lui e forse anche l’illusione della possibilità di rivederci mi avrebbe fatto piacere, se l’avesse presentata lui.
Ma poi mi ricordai delle catene delle relazioni affettive che dovevo spezzare. Ebbi un tuffo al cuore al pensiero di quello che mi spettava veramente: abbandonare anche lui. Non solo i miei genitori ma ora mi toccava lasciar andare anche la persona che amavo. Almeno gli amici potevo tenermeli? Era quello che speravo; ma subito capii che anche loro potevano dover essere cancellati dalla mia vita. Perché dovevo recidere quelle catene?
Perché in questo modo niente mi avrebbe trattenuta dal fare qualcosa che poteva nuocere agli altri, soprattutto se necessario. Perché io per prima avrei sofferto di meno a smettere di amare e di voler bene a qualcuno che poteva ostacolarmi nel mio ruolo di Legata, di contraente, che non doveva agire in base alle proprie emozioni e a quello che desiderava ma solo per ordine del proprio Leggendario. Sarebbe stato meglio coinvolgere, sempre e solo se necessario, persone nei confronti delle quali non provavo nulla anziché i propri affetti.
Quindi forse per il momento potevo permettermi di continuare ad avere degli amici. Ma se poi questi si fossero messi in mezzo per qualsiasi ragione, se Ho-Oh e altri Leggendari e Legati con cui mi sarei alleata - in primis Ilenia con cui avrei intrapreso quella missione - non li avessero ritenuti degni o li avessero considerati un impiccio, un ostacolo… allora dovevo eseguire gli ordini che mi avrebbero dato. Che mi aspettasse un’altra volta la Morte?
Strinsi involontariamente il piumone. Era giusto così, era giusto, “È giusto così” mi dissi più volte nel tentativo di calmarmi e di convincermi, per l’ennesima volta. Avrebbe mai smesso, quella parte ostinata di me, a cercare di rifiutare quell’aspetto del mio futuro? Doveva farlo, altrimenti non sarei mai riuscita ad adempiere ai miei compiti di Legata. Forse potevo ancora non pensare alla morte che io stessa, se fosse stato necessario, avrei dovuto portare.
Sospirai lievemente e chiusi gli occhi. Allora era quella una delle situazioni in cui si rivelava la doppia faccia di Ho-Oh, portatore di vita e altrettanto messaggero di morte. O meglio, io sarei stata la sua messaggera in ogni caso, perché lui era una vera e propria divinità. Quasi non ci credevo. Era davvero difficile pensare che i Pokémon, esseri che nemmeno erano conosciuti alla gran parte del mondo, gestissero le questioni umane e della natura.
Intanto però dovevo sistemare la faccenda con Oxygen. Era meglio che quei discorsi, quei dubbi, li facessi con Ho-Oh stesso, che sarebbe stato in grado di aiutarmi e mostrarmi come andare avanti. Non era detto, poi, che sarei riuscita a incontrare il - ancora mio? - ragazzo prima della partenza… in quel caso non lo avrei nemmeno salutato, sarei sparita senza dire nulla. Forse lo avrei rimpianto per qualche tempo ma poi avrei lasciato perdere.
E invece Oxygen tornò qualche giorno dopo, mettendomi di fronte alla difficoltà di dovergli dire addio faccia a faccia, nella realtà. Mi sentii una codarda ad avere quelle paure ma forse potevo considerarlo ancora normale. Mi avvisò del suo arrivo ma non riuscii a incontrarlo nella base, per questo decidemmo di vederci fuori.
Quando vidi la sua figura allampanata e così ben conosciuta mi prese, com’era prevedibile, il batticuore. Prima di avvicinarmi feci un respiro profondo, senza programmare alcuna battuta, sicura che non avrei seguito alcun copione neanche se lo avessi voluto, e senza sapere in che modo presentarmi a lui. Mi diressi verso Oxygen simulando la calma più totale e attribuendo il mio volto corrucciato al vento teso che soffiava. Nuvoloni plumbei che oscuravano il cielo ci minacciavano con una pioggia che sarebbe stata violenta e improvvisa.
“Ho-Oh, dammi la forza” pregai appena il ragazzo si accorse della mia presenza. Detto fatto, anche se non me lo aspettavo: sentii un’ondata di calore propagarsi nel mio cuore e calmarlo, rassicurandolo e riscaldandolo.
Oxygen mi sorrise lievemente e subito lessi nei suoi occhi socchiusi e nel suo animo, con il potere della mente, che qualcosa lo turbava e lo impensieriva. Inoltre avvertivo una nuova essenza nella sua aura che non mi ispirava niente di buono a giudicare dai suoi sentimenti, anche se dipendeva dai punti di vista. Non riuscii a parlare per prima e il mio silenzio dovette essere eloquente per lui. Parlando piano mi chiese: -Qualcosa non va, Eleonora?
Sentirlo pronunciare il mio nome mi faceva ancora un certo effetto ma subito esso non divenne altro che un’eco di tempi piacevoli passati assieme, pronta a sparire appena l’avessi voluta cancellare. Con voce ferma risposi: -Uhm, diciamo. Ci sono cose importanti e impegnative che ti devo dire e spero di riuscirci. Sicuramente con l’aiuto necessario ce la farò ma tanto, ormai, sono poche le situazioni in cui non riesco a parlare.
Quelle parole dovettero stranirlo un po’. Forse si aspettava che quell’aiuto lo stessi chiedendo a lui e decise, per il momento, di non rispondere. Piuttosto mi disse: -Sì, in effetti anche io devo dirti qualcosa.
-Per questo motivo sei tanto turbato?- Lui si stupì e mi chiese di ripetere. Sentii che una parte di lui voleva fingere di non capire. Grazie all’influenza di Ho-Oh riuscivo a parlare spontaneamente e senza difficoltà. -Sento che sei molto preoccupato per qualche motivo, ma se non vuoi dirmelo non importa, lo posso capire. Però non posso non avvertire quanto tu sia diverso, o forse lo posso sentire solo ora.
Feci una pausa. Lui, dopo un momento di stupore, sorrise amaramente e distolse lo sguardo da me. -Ho capito. Da quale Leggendario derivano i tuoi occhi rossi, Eleonora? Io non ho la facoltà di leggere un’aura, purtroppo.
-Da Ho-Oh… immagino che io non possa mettermi in contatto con lui senza cambiare il colore dei miei occhi…- sbuffai, un po’ seccata dalle mie iridi cangianti e fin troppo rivelatrici. -Sono Legata a lui. Si è manifestato mentre ero in missione dentro la Via Vittoria e sono riuscita ad affrontare Cyrus senza troppi problemi, grazie a lui. Devo ammettere che è meraviglioso avere un Legame, ma Bellocchio non poteva immaginare tanta positività da parte mia… e quindi ha rimandato a lungo quest’informazione. Per questo non sono più arrabbiata con lui.
Il mezzo sorriso di Oxygen era talmente falso che cercavo di trattenermi dallo sbraitargli di essere normale e sincero e di non fingere, perché non riusciva a farlo decentemente. Il mio tono tranquillo lo facevo derivare dalla concentrazione che esercitavo per il potere della mente ma ancora non volevo guardare a chi fosse Legato lui.
-Non t’importa se anche io ho un Legame, Eleonora?- mi chiese riprendendo a guardarmi.
Gli sorrisi. Vidi la sua maschera incrinarsi di fronte al distacco e alla freddezza che comunicavo. Avere il potere del fuoco non significava affatto non riuscire ad essere impassibile e gelida, soprattutto se mi facevo aiutare da quello della mente. -A me non importa più di niente, ormai. Non mi deve importare più di niente.
Guardò altrove. Quando riparlò aveva la voce piuttosto spezzata. -Eppure io sto malissimo, al contrario tuo. Io sto malissimo anche se ho un Legame, e lo ho da tempo, ma tu prima non potevi saperlo, non potevi vederlo… e mentre tu hai superato tanto tranquillamente la morte dei genitori, io non riesco a far fronte al rapimento di Argon e Kripton…! I Victory li hanno presi e Rayquaza non ha neanche provato ad aiutarmi, da solo non ce l’ho fatta, e il Nemico continuava ad attaccare; loro mi hanno aiutato a fuggire ma per farlo si sono fatti prendere…!
Forse non lo amavo più - o non potevo amarlo più, ma sentirlo singhiozzare e parlare con tanta difficoltà dopo mesi in cui era stato lui a consolarmi, ad essere forte per me, mi fece stare inevitabilmente male. Era pur sempre un mio “simile”, se non eravamo amanti eravamo amici e se non potevamo essere neanche quello allora alleati. Dovevo aiutarlo per il suo bene e per quello di tutti noi Legati, affinché non fosse lui a cadere nel baratro.
-Oxygen…- mi avvicinai, ma appena lo toccai nel tentativo di abbracciarlo lui si ritrasse. Provai tanta amarezza per quel gesto e fu accentuata dalla vista dei suoi occhi: iridi gialle, pupille strette e sclera nera. Eccolo, Rayquaza.
Misi le mani in tasca e per scaldarmi il naso, che era tremendamente freddo, soffiai un po’ di fuoco arcobaleno che mise ancor più in difficoltà Oxygen. Non potevo farci nulla se non riusciva a sostenere la sua identità e non stava bene con il proprio Leggendario, anche se la cosa mi faceva stare molto male. Sospirai.
-Ho passato quasi quattro giorni talmente pieni di allenamenti, dopo essere rientrata dalla missione e aver scoperto la mia identità, che ho messo da parte la perdita dei miei genitori, tanto ero impegnata da altri pensieri e da quelle novità. Quando poi ho svuotato la mia mente durante un allenamento e ho cercato di rilassarmi, il peso della loro morte si è fatto strada dentro di me. Ho pianto come poche volte nella mia vita. Ero depressa e anche arrabbiata, sia con me, perché non li avevo più pensati, sia con i Victory… che me li hanno portati via.
Pur non guardandomi, Oxygen mi ascoltava. -In quei momenti mi sono infuriata con Sara, pensando e temendo che pretendesse di capirmi e di rendersi partecipe della mia tristezza. Ho creato fiamme di morte, rosso sangue, con lingue violacee e nere… è stato terribile. E non è stato indolore né tranquillo. Poi ho capito una cosa e, pur incontrando innumerevoli difficoltà anche adesso, l’ho dovuta imparare; non l’ho ancora assorbita del tutto. Quel che ho dovuto fare e che devo continuare a fare è spezzare le catene che mi legano a questo mondo, che potrebbero impedirmi di servire senza alcun ripensamento il mio Leggendario, ormai mio unico punto di riferimento.
-Oxygen, sai sicuramente cosa ho potuto provare al pensiero di non essere del tutto umana. È stato a dir poco scioccante, terribile, mi ha mandata in confusione. Ma allo stesso tempo è stata l’unica cosa che sono riuscita ad accettare. Questo perché l’unico modo per andare avanti che ho, senza impazzire dal dolore e senza spaventarmi per quello che potrebbe essere un futuro di morte e di sangue… è proprio questo. Rifiutare di affezionarmi al prossimo è stato difficile ed è una delle cose che devo ancora perfezionare. Per questo ho rinnegato ogni rapporto con i miei genitori… e ho dovuto pentirmi di aver sentito la tua mancanza.
Sapevo di starlo ferendo e per questo mi affrettai a precisare, non sopportando la vista delle lacrime silenziose che scivolavano lungo le sue guance sempre più pallide: -Io… voglio adempiere al mio dovere di Legata!- esclamai portando una mano al petto. -Voglio farlo perché Ho-Oh mi sarà vicino anche nei momenti di difficoltà, anche se non sarà sempre in grado di aiutarmi davvero. E lo voglio fare perché quando tutto questo sarà finito farò di tutto per tornare alla normalità e, se mi sarà possibile, riprendere a voler bene a qualcuno, ad amare, magari. Ho già un sogno, quello di viaggiare per migliorarmi ancora e crescere come Allenatrice… ma per ora, e questo dovrebbe valere anche per te, la cosa migliore da fare per noi stessi e per i nostri Leggendari è combattere con ogni mezzo che ci è concesso, prevenendo già da ora ogni possibile ostacolo che potrebbe esserci!
Sperai che queste parole lo potessero aiutare. -Per questo, Oxygen…- smisi di parlare con voce forte e decisa, mi calmai nuovamente; -… Io posso capire come tu ti senta. L’ho provato sulla mia pelle da poco tempo e per molti giorni. E per questo motivo l’unica cosa che mi sento di consigliarti per farti stare meglio, che ha migliorato anche le mie, di condizioni… è proprio di lasciar andare tutto e tutti. I tuoi fratelli, i tuoi amici… e me.
Seguì un lungo silenzio. Capii di aver sconvolto Oxygen e le sue speranze di poter sfuggire al suo destino. Ma così doveva essere e doveva accettarlo anche lui. Ebbi una reazione quasi spaventata quando lo sentii sbuffare, sorridendo per il nervosismo e la tristezza. -Si vede proprio che ancora non hai conosciuto il tuo Leggendario, Eleonora… si vede che ancora devi ottenere la forma materiale del Legame ed essere sempre a contatto con lui, sei troppo ottimista… sarà per il fuoco?- disse e poi chiese, frugando nella tasca della giacca invernale.
Ne tirò fuori una spilla. Uno smeraldo brillava vistosamente nel timido sole di gennaio assorbendo anche la luce della neve candida e pura. Guardava la spilla fatta d’argento, in cui era incastonata la pietra preziosissima, come se la volesse distruggere con gli occhi. Sentivo il suo desiderio di disfarsene e la tremenda frustrazione nel non riuscire a separarsi da essa: quei sentimenti violenti mi turbavano, non li sentivo suoi. Non era l’Oxygen che avevo conosciuto ed amato. Era una persona sull’orlo della follia per il dolore di non essere normale.
-Tu odii Rayquaza- mormorai stringendo i pugni. -Lo odii perché non ti vuole permettere di essere umano e di provare sentimenti umani. Eppure è proprio questo che un Legato dovrebbe fare ma che tu non riesci a fare perché non lo vuoi. Tu non vuoi smettere di voler bene ai tuoi fratelli e a chi altri ami… perché…
-Ti prego, Eleonora!… Se non riesci a dire altro, fai silenzio. E… e vai via.- Mi interruppe con queste parole trasudanti una disperazione che a malapena riusciva a nascondere. -Altrimenti dimmi…- riprese, -dimmi come fare per riportare te alla normalità! Io non sopporto… non riesco a sentirti parlare in questo modo! Non ho potuto fare a meno di amarti e di desiderare che il tuo Leggendario non rovinasse il tuo essere così meravigliosamente umana, per me sarebbe… sarebbe meglio vederti piangere e soffrire, ma almeno avere la possibilità di proteggerti e di percepire la tua normalità! Sapevo che avevi un Legame quando abbiamo iniziato a frequentarci, ma…
-Basta così.
Trasalì e si fermò di colpo. Non lo guardavo più, non volevo guardarlo ma sentivo fin troppo bene quanto fosse distrutto. Non volevo che le sue parole mi contaminassero e mi impedissero di andare avanti sulla strada che avevo scelto, insieme a tutte le perdite che essa comportava. -Tu resti mio alleato, Oxygen. Finché vivremo saremo sempre alleati, che tu lo voglia o no. E poiché siamo legati l’uno all’altro da un destino comune ho voluto aiutarti, mostrandoti un modo per resistere al peggio. Ma la verità è che, finché rimarrai umano, avrai sempre la possibilità di rifiutare il tuo destino. Già, peccato che…- mi sfuggì una sorta di ghigno, quasi malevolo e impietosito per i comportamenti del ragazzo; -L’unico modo per essere veramente libero sia di ucciderti…
Non sapevo perché continuavo a sorridere e a guardare in basso. Forse me lo comandava Ho-Oh che in quel modo voleva punire Oxygen, tramite me, la ragazza che amava. Fu allora che riconobbi di essere finalmente più vicina al mondo dei Leggendari che a quello umano, perché anche io volevo rimproverare il ragazzo. Gli avevo offerto di sfuggire al dolore con la mia comprensione e condividendo il modo in cui ero riuscita ad accettarmi e ad amare l’altro contraente del mio Legame, oltre alla parte non umana di me che iniziava a prendere il sopravvento, a prevalere su quella della normale Eleonora.
Oxygen non rispose nulla e forse era meglio così. Conclusi io quel triste incontro. -Allora addio, Oxygen. Prima di agire in base alla tua follia di umano, contempla la possibilità di apprezzare l’altra tua identità. Altrimenti non faresti che logorarti ancora. Spero che farai la scelta migliore per tutti noi, ma è soprattutto per te, sai?…
Mi voltai dopo avergli lanciato un’ultima occhiata e tornai nella base segreta, sentendo che Ho-Oh se ne andava momentaneamente da me stessa. Ma stavolta non ci fu molta differenza tra uno stato d’animo e l’altro. Ci stavo riuscendo, stavo abbandonando tutto e tutti… com’era giusto che fosse.

Passarono altri due giorni relativamente tranquilli; ripresi ad allenarmi come se niente fosse, parlando con Chià del più e del meno, divertendomi, e rimuovendo completamente ogni traccia di Oxygen dalla mia vita. Anche perché non incontrai più il ragazzo: probabilmente era tornato a Hoenn. Ma non m’importava più. Capivo ancora quanto dovesse essere stato doloroso per lui non riconoscere più in me la ragazza di cui si era innamorato e sentirsi chiamato ad adempiere al suo dovere. Allo stesso tempo, però, provavo un po’ di pena per lui e per la sua fragilità. Ma non c’era altro modo, davvero, per aiutarlo.
Continuavo a parlare con Chiara fingendo di non immaginare un giorno in cui avrei dovuto lasciare anche lei. Questo perché ero sicura che se fosse venuto sarei stata in grado di dimenticarla senza reticenze.
Poi incontrai Daniel e fui molto felice di rivederlo, soprattutto perché non me lo aspettavo. Quella sera - avevo già cenato - stavo andando in biblioteca in cerca di un libro riguardante l’utilizzo dei poteri, e per farlo passai davanti alla porta dell’ufficio di Bellocchio. Mentre mi stavo avvicinando quella si aprì e ne uscì il ragazzo.
-Daniel!- esclamai alla sua vista, sorridendo.
Si voltò verso di me e ricambiò l’espressione di piacevole sorpresa. Non lo abbracciai né altro e nemmeno lui cercò un contatto fisico; dopo avermi salutata gli chiesi: -Che ci fai qui? Non eri stato mandato in un’altra base?
-Ehm… diciamo di sì, a dirla tutta mi hanno messo a zonzo per Sinnoh. Però poi mi hanno chiamato da qui per fare rapporto, quindi sono tornato. Ma è solo per oggi, riprenderò la mia missione al massimo domani.
-Oh, ho capito. Anche io devo partire tra due giorni… o tre. Sì, tre.
Mi chiese quale fosse la mia meta e gli dissi che sarei andata a Johto per un bel po’ di tempo. Replicò che gli sarei mancata ma che anche a lui toccava stare lontano dalla base principale per parecchio. Mentre parlava riconobbi qualcosa di strano sia nel suo aspetto che in ciò che lui era, cosa che potevo vedere grazie al potere della mente; tutto quello era stato offuscato dalla felicità di reincontrarlo quando avevo smesso di sperarci.
-I tuoi capelli…- “E la tua aura” pensai in più, ma non lo dissi appena mi arrivò un’ondata di preoccupazione e di ansia da parte sua. Si riavviò, spettinandosela, la chioma non più del tutto castana. Alcune ciocche erano tinte di blu e parti di esse e del resto erano striate di un luminoso grigio.
-Ah, eh… ho fatto…
-Tu hai un Legame- mormorai.
Non sapevo dire perché fossi tanto turbata da quella scoperta ma i cambiamenti nella sua aura, mista a quella di un Leggendario, e nel suo aspetto - si era alzato e mi pareva avesse le spalle più larghe, oltre alle braccia più muscolose, ma non sapevo dirlo con certezza a causa dei vestiti invernali - furono per me una grande sorpresa. Forse perché non mi aspettavo che anche lui fosse coinvolto in tutto quello, che anche lui avesse un Legame. Forse perché quello lo rendeva diverso dal Daniel che avevo conosciuto, trasformandolo in un servitore divino. Come me, così come il mio Legame aveva cambiato profondamente anche me.
Passarono lunghi secondi di silenzio. Immaginai che i miei occhi avessero cambiato colore, perché Daniel si riscosse e finalmente smise di essere basito; rispose: -Sì… sì. Allora anche tu… io sono Legato a Dialga.
“Ma certo.” I discorsi sul tempo, quella sua improvvisa filosofia di due mesi prima… da chi potevano essere stati instillati in lui e ispirati, se non dalla divinità a cui era affidato il controllo del tempo?
-Quando si è rivelato?- chiesi a bassa voce. La risposta fu quella che mi aspettavo: prima del suo compleanno, quando mi aveva chiesto cosa fosse, secondo me, il tempo.
Quasi non lo sentii chiedermi quale fosse, invece, il mio Legame. Le mie orecchie si chiusero al mondo appena sentii Ho-Oh insinuarsi dentro di me senza alcun preavviso e senza richieste da parte mia. Lo avvertii più pesante e terribile che mai: c’era qualcosa che non andava, lo percepivo chiaramente. Era turbato: mi misi in ascolto, isolandomi dalla realtà. Svuotai la mente di ogni pensiero ed emozione e sentii la sua voce.
“Arriva il pericolo. Scappate.”
I battiti della roccia che veniva attraversata senza che nessuno si accorgesse di nulla e il ronzio di elicotteri, non visibili dai mezzi che possedevano i tecnici all’esterno del Monte Corona, risuonarono spaventosamente dentro di me. Arrivavano i Victory portatori di terrore e pronti a distruggerci senza che i sensori e gli strumenti dei nostri tecnici rilevassero alcunché. Questo perché qualcosa che andava oltre la tecnologia più sviluppata li aiutava.
-Daniel, oh no…- Portai le mani alla bocca ma subito le tolsi e lo guardai con occhi colmi di disperazione. Capii subito cosa dovevamo fare. -Fa’ uscire Bellocchio, portalo in salvo, allertiamo la base segreta…!
-Eleonora, cosa…?
-Arrivano i Victory, Daniel!- strillai. -Sono qui, sono…
Un’esplosione alle mie spalle mi fece ammutolire e voltare di scatto, nonostante fossi tremendamente impaurita dalla vicinanza del nemico in un luogo che avevo sempre considerato protetto e sicuro, l’unico che avessi sempre definito inviolabile ed inviolato. Ci avevano trovati.
Ho-Oh mi suggeriva di andarmene con Daniel e il mio capo, eravamo gli unici Legati rimasti nella base segreta e Bellocchio era di vitale importanza. Ma non riuscivo a sentire altro che il panico dentro di me che dilagava, forse anche la stretta di Daniel sul mio polso mentre mi strattonava e gridava qualcosa a Bellocchio che si era precipitato fuori dall’ufficio, di quello me ne ero accorta. Fissavo le macerie della parete crollata e il fumo che si propagava per il corridoio. Da quella nuvola nera uscirono due persone che non avevo mai visto in vita mia.
Il mio Leggendario mi risvegliò e mi diede una spinta, facendomi erigere un muro di fiamme arcobaleno tra noi e loro. Ebbi un secondo di tempo per ricordarmi del mio ruolo e di cosa dovevo fare. Trasformando il panico in impeto ed energia per difendere me, Daniel e Bellocchio, gridai loro di scappare mentre mi inventavo qualcosa.
-I teletrasporti, Eleonora!- urlò Bellocchio sopra gli allarmi che erano immediatamente scattati e che mi stavano trapanando le orecchie. -Rileva i teletrasporti, puoi riuscirci! Ho-Oh non può trasferirti come invece fa Dialga!
“Al momento non me ne frega nulla di questo…!” avrei voluto replicare, ma vidi il muro di fiamme abbassarsi e poi spegnersi al gesto noncurante di una donna, una delle due figure emerse dal fumo. L’altro era un giovane uomo, entrambi dovevano essere sui venti anni, al massimo venticinque. Ed erano bellissimi. Talmente tanto che dovetti sprecare un secondo a guardarli: il loro aspetto era magnifico, sembravano senza difetti. Sentivo di aver già visto la loro fisicità e la loro bellezza, l’armonia nel loro aspetto, da qualche parte.
Mi ripresi subito dopo realizzando che la donna aveva qualche potere e aveva spento le mie fiamme. Cercai di farli arretrare investendoli con l’aria ma lei difese entrambi annullando il mio attacco. Percepivo in tutti e due un Legame di eccezionale potenza, tanto che dubitai ne avessero soltanto uno.
-Proprio voi tre cercavamo- disse tranquillo il giovane uomo. Parlava normalmente ma riuscii a sentirlo benissimo, nonostante gli allarmi assordanti. -I due Legati e il direttore del circo.
Notai le loro tute aderenti, molto belle e ben disegnate, recanti sul petto e sulle spalle lo stemma dei Victory, tinte con gli stessi colori di esso: nero, bianco, rosso e grigio. Mi soffermai di più sulle loro spade, così in contrasto con il resto del loro abbigliamento, legate alle cinture che indossavano insieme a sei Poké Ball ciascuno.
Poi mi arrivò una preziosa informazione di Ho-Oh che subito trasmisi agli altri due. -Sono loro i Comandanti…
-Ah! La contraente della Leggendaria Fenice!- esclamò teatralmente la donna. -Allora sai già usare un po’ i tuoi poteri psichici. I nostri complimenti, Eleonora, Messaggera degli Dèi!
-Eh?- mormorai di rimando, perplessa.
Subito dovetti ricominciare a cercare di colpirli con il fuoco e con l’aria: tentai qualcosa con il potere della mente ma fui respinta da una forza incredibile che i due trasudavano. Daniel mi aiutò piegando al suo volere l’acciaio che rivestiva le pareti del corridoio, spostandole per creare un muro, e dandoci tempo sufficiente per iniziare a correre mentre io continuavo a seminare fuoco arcobaleno ma minaccioso, pericoloso.
Peccato che svoltando un angolo ci ritrovammo nuovamente davanti alla donna. La paura in me iniziò a trasformarsi in rabbia, mettendo in moto tutta la mia spavalderia e la mia voglia di rendermi degna del mio Legame. Mi rivolsi a Daniel: -Metti in salvo Bellocchio in qualche modo, visto che puoi usare il teletrasporto, e poi vai a combattere contro il maschio. Io penso a lei.
-Sì, sono gli stessi programmi di Dialga- ringhiò il mio compagno.
Senza impormi alcun limite dovuto alla stanchezza o alle emozioni tempestose che provavo, iniziai a mostrare a quella donna che, insieme all’altro, comandava i Victory con chi aveva a che fare. Fiamme e vento la costrinsero a indietreggiare, niente avrebbe fermato me e Ho-Oh che mi stava appoggiando. Passavano i minuti, lo sentivo. La donna preferiva difendersi anziché attaccare e si aiutava con la spada, oltre ad usare le mani nude, protette solo da mezziguanti. L’arma resisteva ai miei colpi e la usava per spostare le vampate e per bloccare le folate impetuose.
Intanto riuscii a capire dove mi pareva di aver già visto quei bellissimi lineamenti equilibrati, simmetrici. Molti libri di storia del Primo Mondo e di storia dell’arte riportavano numerose immagini di reperti archeologici, andati per la maggior parte distrutti. Le statue cosiddette di età greca e romana, anche più belle di quelle “neoclassiche”, erano opere d’arte eccezionali, soprattutto quelle di alcuni scultori geniali. L’armoniosa bellezza rappresentata era quella che apparteneva alla donna e al suo compagno: pelle diafana senza imperfezioni, capelli biondi e ricci tanto lucenti da sembrare oro, corpi tonici e muscolosi, non proprio magri, che non riuscivo a non considerare belli.
-Qual è il tuo nome?- mi ritrovai costretta a chiedere.
La concentrazione sul viso della donna sparì e si distese in un meraviglioso sorriso. Mi distrassi, persino Ho-Oh vacillò di fronte a tanta vera, mera bellezza. Caddi a terra per evitare un fendente della sua spada e me la ritrovai puntata al collo. Serenamente, sorridendo, mi parlò con la sua voce altrettanto meravigliosa: -Io mi chiamo Nike!
Nike. Vittoria, questo lo sapevo. Che avesse dato lei il nome al suo Team? E come poteva chiamarsi quello che doveva essere certamente suo fratello, vista la somiglianza nel loro aspetto? O forse erano gemelli, una la versione femminile del concetto universale di bellezza e l’altro quella maschile.
Allontanò la spada ma non riuscii a muovermi, inchiodata al terreno da una forza superiore. Nike mi sdraiò a terra completamente con i suoi poteri eccezionali, le mie fiamme arcobaleno mi circondavano, improvvisamente innocue. Si inginocchiò e poi si mise mezza distesa su di me, guardandomi dritta negli occhi. Ora avevo paura di quel suo bel sorriso, provocante e terrificante, e anche Ho-Oh era molto in difficoltà.
-Perché ci combatti, Eleonora?- mi chiese a bassa voce, il suo naso a pochi centimetri dal mio. La guardavo negli occhi, incantata e forse costretta a farlo. Le palpebre leggermente calate lasciavano vedere le iridi di un bel grigio chiaro con qualche riflesso verde, ombreggiate dalle lunghe ciglia chiare, bionde. -Eppure è da tanto che stiamo cercando di farti capire quanto ti convenga allearti con noi. Perché ci combatti?- ripeté.
Avrei voluto dirle che non lo sapevo, che da tanto non combattevo più veramente e che in quegli ultimi tempi mi stavo semplicemente affidando agli ordini di Ho-Oh. Che gli unici motivi che avevo per rifiutarli era la paura nei loro confronti e l’odio per avermi portato via tutto, avermi trascinata in quel caos. Ma stetti in silenzio.
Nike sorrise più dolcemente, accarezzandomi il viso. Rabbrividii. -Devo cercare le risposte dentro la tua mente? Non credi che sarebbe più indolore dirmele mentre vieni con noi, cara?
Spalancai le palpebre ancora di più quando un campanello d’allarme - quelli della base segreta ormai si erano spenti - risuonò nella mia testa, inviato da Ho-Oh.
-I tuoi occhi…- balbettai iniziando a sudare freddo mentre mi immergevo nei miei stessi ricordi.
Nike appariva intenerita da me. Le facevo pena? -Come dici, Eleonora?
Poi intervenne la voce del suo gemello. Le imprecazioni e le esclamazioni di Daniel, che gli strillava di lasciarci andare, mi fecero capire che lo teneva sotto scacco. Doveva avere le mani legate.
-Purtroppo il contraente di Dialga ha creato un portale per Bellocchio, Nike cara- disse con voce soave. -Ci è scappato e il resto della base segreta si è riversata nel Monte Corona, ma tanto deve affrontare le reclute e tutti i Generali. Intanto possiamo andare via insieme a loro due…
-… e la sua voce- completai in un mormorio la frase di prima, interrompendolo.
Ebbi l’attenzione dei tre su di me. Nike continuava a punzecchiarmi. -Ma cosa sussurri, mia cara?
Ho-Oh mi suggerì i ricordi di cui ero in cerca. Il bosco del percorso 203 nel quale mi ero nascosta, volando con Altair sopra gli alberi e nascondendomi grazie alle loro folte chiome, appena l’Accademia era stata distrutta. Una bambina dalla pelle candida e dai lunghi, ricci capelli biondi, che indossava un vestitino di foggia classica ed era accompagnata da un Victini. I suoi occhi di quello stesso grigio chiaro che rifletteva il verde del bosco, anche se forse erano proprio grigi e verdi. Poi una voce maschile a cui la ragazzina aveva risposto tornando sui suoi passi.
-Vì…- mormorai, ricordando e imitando quel richiamo. -“Vì! Dove sei? Torna qui!”… Allora lei…?
Non lo vidi chiaramente ma lo sconvolgimento dei due Comandanti si propagò fin dentro le mie viscere. Nike si alzò di scatto e sguainò la spada. Aveva gli occhi spalancati in un’espressione di shock e anche avversità nei miei confronti: non sembrava più tanto bella. Udii la voce che aveva cercato Vì bisbigliare, scandalizzata: -Tu c’eri…?!
Una vampata di fiamme si creò da ogni poro della mia pelle e lo strillo sorpreso di Nike, che credeva di avermi bloccata, mi informò che aveva rimediato qualche scottatura. Daniel riuscì a liberarsi del ragazzo e mi afferrò per un polso. Sentii la sua voce nella mia mente: “Facciamoci strada fuori di qui.”
Diedi fuoco a tutto ciò che ci circondava e poi lui arrestò il corso del tempo. Attraversammo le fiamme senza scottarci grazie ai miei poteri e corremmo per il corridoio, spingendo più che mai sulle nostre gambe. Nike e il gemello erano stati fermati insieme al tempo.
Poi Daniel mollò la presa su di me e aprì due squarci nella parete. Erano dei portali, uno per me e uno per lui. -Ti mando a Johto, Eleonora- ansimò. -Ad Amarantopoli.
Annuii. Feci per entrare dentro la porta mistica che aveva creato mentre lui si buttava a capofitto nel proprio varco e spariva con esso. Ma qualcosa mi strattonò, cercando di trattenermi lì. Era il gemello di Nike, di cui ancora non conoscevo il nome. Era pericolosamente vicino: accostò la bocca al mio orecchio e mi strinse con forza inaudita i polsi, ammanettandomi con una sola mano. Gemetti addirittura dal dolore per la sua presa.
-Non preoccuparti, Eleonora- ringhiò, facendomi invece preoccupare non poco. -Siamo ancora disposti a perdonarti, ma dovremo chiederti chiarimenti su “Vì”…!
-Lasciami, lasciami!- strillai in preda al panico. Strinsi i pugni e invocai mentalmente Ho-Oh. L’uomo gridò qualcosa di imprecisato appena le fiamme si avventarono nuovamente contro di lui, nonostante avesse pensato di bloccare i miei poteri grazie ai suoi, e io entrai nel portale.
Ma avevo un brutto presentimento. Qualcosa nel teletrasporto sarebbe andato male a causa dell’intervento del Comandante, questo mi disse Ho-Oh prima di svanire da me. Questo perché l’uomo lo aveva manomesso.
Fui buttata nel mezzo di un praticello, circondata da dell’erba alta e dall’oscurità della notte già scesa. Senza la forza, l’audacia e l’adrenalina che mi erano state trasmesse dal mio Leggendario per sostenermi, ebbi un capogiro e barcollai malamente nel tentativo di rimettermi in piedi da che ero sdraiata. Ansimavo, sfiancata, senza dare segni di miglioramento. Non riuscivo a calmarmi né a dare un ordine ai miei pensieri, ai ricordi, agli eventi che erano appena trascorsi. L’unica cosa chiara era l’immagine di Vì e del suo compagno, il Victini cromatico.
I miei occhi si abituarono all’oscurità ma non distinsi niente oltre alle sagome degli alberi, spogli ma molto fitti. Ero nel mezzo di una piccola radura e l’erba alta si beffava del clima rigido, crescendo rigogliosa. Brividi di freddo mi investivano a causa del misero maglioncino che indossavo, non abbastanza contro l’inverno. Lo stesso si poteva dire dei jeans strappati e degli stivali rovinati.
Riuscii ad inginocchiarmi a metà e stavo per darmi lo slancio, che mi sarebbe costato una fatica immane, per mettermi in piedi. Sentii un fruscio nelle vicinanze e ingenuamente lo attribuii al vento, senza nemmeno mettere mano alle Poké Ball per difendermi da un eventuale pericolo. Fu un errore ma non avrei comunque avuto modo di evitare quel qualcosa di appuntito e affilato che si conficcò in una mia spalla: persi i sensi poco dopo aver avvertito un forte bruciore lì dove ero stata presa e aver lanciato un mugolio.
Mi svegliai dopo quello che mi parve essere poco tempo perché l’oscurità non si era fatta più pesante. Subito desiderai svenire nuovamente quando ogni parte del mio corpo fu pervasa da dolori lancinanti, come scottature sottopelle: mi raggomitolai in una posizione fetale, distesa su un fianco, nel tentativo di contenere la sofferenza. Strizzai gli occhi ma dovetti riaprirli subito perché mi ero accorta di una figura inginocchiata accanto a me. Il mio cuore perse un battito al pensiero che il Comandante potesse avermi seguita entrando nel portale creato da Daniel. Poi però misi a fuoco quella persona e capii chi fosse; fece per alzarsi.
Ma io la bloccai, chiamandola. Non potevo credere che fosse lei ma la ritenni una fortuna. -Cyn… Cynthia!
Quell’esclamazione mi costò un attacco di tosse ma almeno la fermai. Sì, era proprio lei: i capelli di quel biondo chiarissimo, corti, parevano brillare nell’oscurità della sera. Quella cosa che mi aveva colpita mi stava facendo acuire i sensi prima di farmeli perdere. Sarei svenuta di lì a poco, dovevo avvertirla di quello che era successo.
-Eleonora- mormorò lei di rimando, alzandosi.
-Aspetta, aiutami…! Il nemico… nella… base del Mon… urgh!- Le mie labbra smisero di rispondere ai miei comandi e le sentii seccarsi, stanche e brucianti di dolore anch’esse. Ripresi a tossire e il sapore del sangue riempì la mia bocca: per la sorpresa rischiai di farmelo andare di traverso. Sentii un rivolo di esso bagnarmi le labbra e poi la guancia per finire a terra e macchiare l’erbetta. -Cynthia…!
-Silenzio- ordinò lei. La sua freddezza mi fece trasalire. Non riuscivo a capire quale fosse la sua espressione ma ora che ero da sola con la donna mi sentivo in pericolo. Cambiando tono di voce riprese a dire: -Aspettami qui… vado a cercare aiuto, va bene? Sta’ buona, non è niente. Torno subito…
-No, il Gear, Cyn, il…! Aaah!- Riuscii a toccarmi la spalla ferita dopo aver emesso quel gemito sfiancato e tastai quello che capii essere un lungo ago. Era sicuramente una Velenospina, ma perché Cynthia se ne andava senza lasciarmi uno dei suoi Pokémon Veleno, in grado di far ritirare la sostanza che mi stava facendo del male?
I suoi passi si fecero sempre più lontani mentre lunghi secondi passavano inesorabili. Sentivo che le forze mi stavano abbandonando e che il buio sopraggiungeva. “Ho-Oh…? E tu dove sei?”
Ma notai un cartello davanti a me. Il baluginio di luce bianca che fuoriuscì da due o tre delle Poké Ball che avevo con me mi consentì di leggerlo. Prima di svenire emisi un ultimo lamento, una preghiera. Chiesi al cielo che tutto quello non fosse vero, immaginando in un momento il futuro imminente.

“Bosco Smeraldo”






Angolo ottuso di un’autrice ottusa
È passato un anno e un giorno da quando ho pubblicato il prologo di questa seconda parte di Not the same story. Ammetto che speravo di metterci un po’ di meno ma ho avuto un lungo periodo di scarsa ispirazione a cavallo tra il 2014 e il 2015, durato da fine dicembre a febbraio, più o meno - spero di ricordarmi bene…
E quindi niente, quei mesi di vuoto hanno rallentato molto i miei progetti. Ma non importa, mi sono ripresa e ho ricominciato a pubblicare con costanza, almeno secondo i miei standard. Considero un buon risultato aver scritto 27 capitoli di una parte che conta circa 224 pagine totali in poco più di un anno. Lo considero tale soprattutto perché non avevo preparato alcun capitolo prima di partire e portare a termine una storia - in questo caso una parte - che ho quindi iniziato a scrivere da zero.
Questa seconda parte mi è piaciuta davvero tanto. In particolare da quando ho iniziato a fare capitoli più lunghi e impegnativi (lol): potremmo considerare quelli dal 12 in poi, ma soprattutto quelli a partire dall’extra mi hanno appassionata e non ho avuto grandi difficoltà a scriverli.
Ammetto però di aver avuto qualche momento di sconforto mentre scrivevo, temendo di non essere seguita e di star facendo una schifezza con questa storia, di star sbagliando tutto; ma sono andata avanti perché scrivere mi piace tantissimo e non posso fare a meno di continuare. Proprio durante quest’anno ho capito quanto fosse importante per me la scrittura e se non ho mollato, anche in periodi in cui non ricevevo recensioni, è perché non avrei saputo cosa fare altrimenti. Lo stesso vale anche per adesso e varrà per simili tempi futuri.

Ora passiamo al commento del capitolo! Scrivere la parte di Chiara mi ha divertita alquanto: qualsiasi cosa mi venisse in mente l’ho scritta; mi piace molto il rapporto di amicizia che hanno le due, tra l’altro ispirato non poco a quello che ho io con la “vera” Chiara - ciao pomodorah <3
Avevo però in mente cose molto diverse da quelle che ho scritto, soprattutto per Oxygen e Daniel. Il primo avrebbe dovuto fare il primo passo per lasciare Eleonora e sarebbe stata una cosa a dir poco deprimente, ma ho voluto essere buona e l’ho aiutata un po’, lasciando che fosse Oxygen a soffrire (che poi quasi tutti lo detestate, quindi vabbenecosì) :P Triste sarebbe dovuta essere anche la parte con Daniel: Eleonora, dopo essersi appena lasciata con il suo prof preferito avrebbe dovuto rivelare i propri sentimenti al ragazzo, ma ho deciso di no. Perché io e le storie d’amore, anche tristi, non andiamo d’accordo. Soprattutto quando devo scriverle io.
Ah, piccola nota: Nike non si legge all’americana, ma “normalmente”, quindi così come si scrive.

Adesso mi tocca fare ringraziamenti, uh…! Siete in tanti, arrivata su efp un anno e mezzo fa mi aspettavo al massimo due persone a seguirmi, l’avrei già ritenuta una fortuna, e pur avendo alzato le mie aspettative migliorando la mia scrittura non posso non stupirmi dei progressi fatti da ogni punto di vista.
Il primo ringraziamento va ad AuraNera_, mia illustr(at)issima collega e carissima amica da tanti anni e che troppo di rado posso vedere (tipo ieri), che mi sostiene sempre leggendo ogni capitolo e recensendolo puntualmente, facendomi morire dalle risate anche con le sue poche parole.
Poi ringrazio chi sta recensendo, anche chi si è fermato da molti mesi a questa parte e che spero riprenderà a leggere, ovviamente solo se gli farà piacere: non voglio obbligare nessuno e nemmeno ottenere recensioni con i “famosi” scambi. Chi vuole leggere lo faccia e se preferisce non recensire, per qualsiasi motivo, me ne farò una ragione!
Indistintamente in questa lunga lista ci vanno lagunablu, Mad_Dragon, Ashura_exarch, Barks, Akitabiba, Andy Black, Vespus, gaelle e Levyan.
Grazie a chi ha inserito la storia tra le preferite: AngyloveMika, artorias_abysswalker, AuraNera_, Blair_chan_lovely, Foxy the fox, gaelle, Irish_irish, lagunablu e Vespus.
Grazie a gabegallo per averla tra le ricordate.
Per le seguite ringrazio ancora gabegallo, poi Akitabiba, Ashura_exarch, AuraNera_, Foxy the fox, Himeko Stukishiro, Irish_irish, Lady Darky, lagunablu, Mad_Dragon, otoshigami e Vespus.
In più tutti coloro che mi hanno inserita tra gli autori preferiti.
Un grande ringraziamento anche a chi legge e basta, non so cosa ne pensiate ma spero vi piaccia e che continuerete a seguirla, anche durante la terza parte. E grazie in anticipo a chi mai leggerà questa storia.
A proposito di terza parte. Prima di scriverla, be’, devo fare una cosa… che mi porterà via un po’ di tempo… eh. I’m sorry… ma neanche tanto. È un mio capriccio, lo ammetto, ma devo farlo per stare a posto con me stessa (?): vedrete sabato prossimo di cosa si tratta, se tutto va bene.
Grazie mille un’altra volta a tutti, ripeto che siete tanti e che mai mi sarei aspettata, appena iscritta su efp, un seguito così. Spero di non deludervi, è bellissimo e rassicurante vedere che non abbia ancora ricevuto, praticamente, commenti negativi su questa storia.
Tanti saluti, vi mando tutto l’affetto virtuale che posso darvi! A presto!
Eleonora - Ink Voice

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