The wings of the freedom

di Piuma_di_cigno
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 - Ritorno. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 - Ad ogni pensiero ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 - Questione di tempo ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 - Le lezioni ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 - Addii ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 - Nuova vita ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 - Questione di esercizio. ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 - Il miglior modo di tornare ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 - Celare ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 - Rivelazioni ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 - Devil ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 - Caduta libera ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 - Alte e Basse sfere ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 - Epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 - Ritorno. ***


Capitolo 1:”Say.”

Uscii in terrazza e mi misi a guardare il cielo, come in attesa di qualcosa.
Il secondo anno alla Golden School era iniziato bene, forse meglio di quanto mi fossi mai aspettata, ma non sapevo se esserne felice o meno. Era andato tutto bene perché Sulfus non si era visto e, se era arrivato in perfetto ritardo fra i Devils, io non l'aveva certo incontrato: ero rientrata in camera mia il prima possibile.
Ero determinata ad evitarlo per tutto l'anno scolastico, sempre se ci fossi riuscita. Uriè mi aveva raccontato la sera prima che, di solito, al secondo anno della Golden School gli insegnanti non assegnavano dei protetti agli Angels almeno fino a metà anno. Per la maggior parte, infatti, si sarebbe imparato a usare i propri poteri e, soprattutto, ad attaccare i Devils. Era ora che imparassimo a combattere fra di noi, dicevano gli insegnanti.
Certo, pensai io, e se mi mettono con Sulfus a combattere? Mi chiesi che cosa avrei fatto, a quel punto.
Avevo una voglia disperata di vederlo, ma mi ripetevo per l'ennesima volta che non potevo. Il peggio era che non dipendeva da me, che ero assolutamente obbligata a stargli lontano. Mi strinsi nelle braccia e rabbrividii.
Ormai l'autunno era iniziato, con la metà di settembre, e l'aria cominciava a farsi fredda, ma non volevo dormire, perché quella brezza mi distraeva dal pensiero di Sulfus. Desideravo solo che qualcuna delle mie amiche, almeno Uriè, mi capisse, comprendesse quanto stavo soffrendo. Anche dire loro la verità, però, avrebbe potuto metterle in pericolo davanti alle Alte e, chissà, persino alle Basse Sfere.
Una consolazione l'avevo: sia io che Sulfus eravamo giustificati per quel bacio che ci eravamo dati al primo anno; tutti credevano fosse successo per opera di Reina.
Se solo avessero capito, se solo avessero visto qual era la luce nei nostri occhi! Sospirai nuovamente. Era la prima sera alla Golden School e già volevo andarmene il più lontano possibile da lì.
Andarmene … Magari avrei effettivamente potuto lasciare la scuola e trovarmi una casa sulla Terra. Se fossi semplicemente sparita in forma umana, nessuno sarebbe riuscito a ritrovarmi.
Lanciai un'occhiata al mio letto: lì sotto, avevo lasciato una borsa con lo stretto indispensabile. Non sapevo perché l'avevo fatto, ma sapevo che il mio Settimo Senso mi aveva ordinato di prepararla.
Non potevo vedere Sulfus, pensai con rammarico, ma almeno potevo tornare in quella spiaggia, quella in cui ci eravamo quasi baciati. Mi gettai quindi nel vuoto della notte, mentre un sorriso mi illuminava leggermente il volto.
Le mie ali sbattevano veloci.
In poco tempo zigzagavo attraverso le strade della città. Conoscevo a memoria la strada e non perché l'avessi fatta molte volte, ma perché il ricordo era troppo importante, troppo vivido in me perché potessi anche solo pensare di dimenticarne persino il più piccolo dettaglio.
Impiegai poco tempo ad arrivare alla spiaggia, che era buia e deserta. Per fortuna, non era silenziosa. Le onde, infatti, mi facevano compagnia.
Avrei voluto ascoltare un po' di musica, perché la musica mi faceva dimenticare almeno qualcuno di tutti i pensieri che mi assillavano.
Passeggiai sulla spiaggia. I miei piedi affondarono nella sabbia e subito dopo nell'acqua. Era calda.
Continuai a camminare, dirigendomi sempre più al largo, finché l'acqua mi arrivò alla cintola e allora mi tuffai, immergendo la testa, incurante del buio e del fatto che avessi bagnato capelli e vestiti.
Volevo solo dimenticare e ricominciare.
Perché non era stata Reina? Perché non poteva essere solo un orribile illusione da lei creata? Sarebbe stato tutto più semplice. Io non avrebbe amato Sulfus, Sulfus non avrebbe amato me e tutto sarebbe stato perfettamente normale.
Continuai a nuotare finché i miei piedi non toccarono più il fondo. Fu allora che un fascio di luce, proveniente dal faro che si trovava più o meno in mezzo al mare, illuminò la figura di un'altra ragazza che nuotava, qualche metro più avanti.
Mi chiesi quale essere umano stesse facendo una cosa tanto folle come tuffarsi in mare a quell'ora di notte e, per di più, dove non toccava nemmeno.
Mi avvicinai con cautela. Ero in forma angelica, quindi la ragazza non si sarebbe accorta di me.
Vidi che aveva i capelli neri come la notte e gli occhi gialli, che incrociarono i miei quando si voltò di scatto.
Rimasi immobile.
Non può vedermi, non può farlo, non può farlo. Ma più cercavo di convincermi che quanto stavo pensando fosse vero, più mi sembrava che lo sguardo della ragazza diventasse penetrante.
Abbozzò un sorriso.
“Anche tu qui, Raf?”
Sobbalzai e quasi finii sott'acqua per lo spavento.
“Chi sei? Come puoi vedermi!?”
La ragazza si avvicinò, gli occhi gialli illuminati e lo sguardo di chi incontra una vecchia amica.
“O Raf, non ti ricordi proprio di me?”
La sua voce era quasi affettuosa nei miei confronti. Come se davvero ci conoscessimo.
Io non risposi e continuai a scrutare il volto della ragazza, cercando disperatamente qualcosa, un dettaglio che mi dicesse chi era.
“Be',” proseguì lei vedendo che non reagivo, “in effetti sono molto cambiata da allora.”
Il suo sorrisetto divenne mesto.
“Sono Say, Raf.”
Io sobbalzai di nuovo, ma questa volta risposi al sorriso.
“Ma certo che mi ricordo!” esclamai avvicinandomi alla ragazza. Guardandola, però, notai che non aveva quella luce speciale che caratterizzava gli Angels e i Devils quando si trasformavano in umani.
Non aveva più nulla di allora, se non i capelli e gli occhi.
“Ma che ti è successo?” chiesi, incerta. “Non sembri più tu. E Tayco? Lui dov'è?”
Say mi prese le mani.
“Ma non vedi? Sono diventata umana!”
Spalancai gli occhi.
“Ma Tayco aveva detto che … Tu … Com'è possibile?”
Say si rabbuiò.
“Io sono uscita dal Sentiero, alla fine, ma Tayco è ancora laggiù.”
La guardai tristemente e le appoggiai una mano sulla spalla.
“Mi dispiace, Say.”
Lei sorrise nuovamente e recuperò il suo buonumore.
“Non fa niente. Io so che lui tornerà, perché laggiù gli ho lasciato delle tracce, cose che solo lui può capire, e se le seguirà arriverà alla fine del sentiero e mi raggiungerà.”
Appariva così convinta che non ebbi il coraggio di contraddirla.
“Ti ho vista diverse volte, da quando sono sulla Terra.” proseguì Say. “E … Ho visto anche Sulfus.”
Questa volta fui io a rabbuiarmi e ad abbassare lo sguardo.
Say capì che non era il caso di parlarne e cambiò immediatamente discorso:”Vuoi venire a casa mia?”
Alzai lo sguardo, sorpresa.
“H-hai una casa?”
“Certo!” rise Say. “Gli umani, di solito, si comprano una casa, anche se io non ho fatto proprio così.”
“E come hai fatto?” chiesi, seguendola fuori dall'acqua.
“Be', l'ho costruita io.”
“Davvero!?”
“Davvero!” confermò Say con orgoglio. “Dài, vieni a vederla.”
Ed io non potei rifiutare l'invito.
Mentre camminavano, la osservai mentre si asciugava il viso e i capelli con un asciugamano. Sembrava così felice, nonostante Tayco fosse lontano e potenzialmente in pericolo.
Mi voltai verso il cielo.
Dov'era Sulfus, in quel momento? Stava pensando a me?
Con l'ennesimo sospiro, seguii Say attraverso un tratto di spiaggia particolarmente incolta, piena di erbacce e sterpaglie. Nessuno sembrava averci messo piede da anni, ma Say mi invitò a proseguire attraverso la vegetazione, finché non si parò davanti a me uno spettacolo davvero meraviglioso.
Una casa, protetta da tre alberi chinati su di lei, era lì, in quel posto introvabile.
Say rise della mia faccia e mi invitò ad entrare.
La casetta era tutta di legno, anche il tetto, ma non sembrava aver bisogno di particolare protezione dalla pioggia, con quei tre alberi chini su di lei.
I muri erano dipinti di azzurro e pareva avere un solo piano. Alle finestre c'erano vasi di fiori, violette per la maggior parte. Mi chiesi come potevano essere sbocciate in quella stagione, insieme a un gran numero di rose.
Un'edera rampicante ricopriva gran parte dei muri della casa.
Say si avvicinò con disinvoltura e non infilò nemmeno la chiave: la porta era aperta.
“Non hai paura che entri qualcuno?” chiesi, perplessa.
Say ridacchiò e alzò le spalle.
“Se è per questo, non corro nessun pericolo.” mi fece entrare e, lasciando la porta aperta, si avvicinò all'uscio, appoggiò una mano sul terreno e all'istante un quarto albero crebbe dal nulla, tanto grande che coprì l'intera facciata della casa. Le sue foglie erano delle stesse dimensioni delle finestre.
“W-wow.” sussurrai esterrefatta.
Say chiuse la porta.
“Sì, proprio wow.” ridacchiò. “Quello è il mio Frammento Eterno.”
Vedendo il mio sguardo perplesso, Say si affrettò a spiegare:”Il Frammento Eterno è un potere magico che ti rimane quando sei stata sempiterna.”
“E il tuo è far crescere le piante?”
“Proprio così.” Say si mise a trafficare vicino a un lavandino e mi fece cenno di sedermi su una delle sedie di legno vicino al tavolo. “Vuoi un tè?”
“Certo, grazie.”
Mi guardai in giro. La casa era molto spartana, ma c'era tutto quello che poteva servire a una persona. Notai delle scale. Probabilmente c'era un secondo piano, nascosto dagli alberi.
Say mise il bollitore su una stufa accesa e rimase in piedi lì vicino.
Io la osservai. Indossava un paio di pantaloni a vita bassa, larghi e una canottiera molto attillata. I suoi capelli erano sciolti ed era bellissima anche così, scalza, un po' bagnata e senza un filo di trucco.
“Non somigli più neanche vagamente a una Devil.”
Say sorrise, versando il tè nel bollitore.
“Lo so. È merito di Tayco.”
“Non ti manca essere … Com'eri prima di incontrarlo?”
Scosse la testa.
“No. E poi non è stato un cambiamento così radicale.” disse, porgendomi una tazza. “Insomma, conosci la leggenda, no? All'inizio non facevamo altro che combattere.” si sedette e bevve un sorso. “Ma poi nessuno dei due riuscì più a prevalere sull'altro, ma non perché fossimo davvero in equilibrio.”
“E perché, allora?”
Say alzò le spalle con un sospiro.
“Perché ci eravamo innamorati e nessuno dei due voleva fare del male all'altro. Io lo odiavo perché non aveva il coraggio di ammettere quello che sentiva.” abbassò lo sguardo e bevve un altro sorso di tè. “Poi, però, quel coraggio l'ha dimostrato attraversando il Sentiero con me.”
Per evitare di parlare, mi misi a bere il tè. Sentivo le lacrime pungermi gli occhi.
Quanto coraggio aveva saputo dimostrare, Sulfus, ammettendo fin da subito i suoi sentimenti per me? Io ero stata solo capace di aggrapparmi disperatamente alle regole e di stare lontana da lui.
“Raf ...”
Say aveva notato la mia cupa espressione.
“So che non dovrei essere io a chiedertelo, ma vuoi continuare ad evitare Sulfus per sempre?”
“Se solo ci riuscissi.” mormorai a testa bassa.
Lei scosse la testa.
“Non ci riuscirai.”
Per un attimo, la guardai come se fosse pazza, ma poi Say sorrise e aggiunse:”Ci sono passata anch'io.”
“Cosa devo fare? Tu cos'hai fatto?”
“Io non ho mai cercato di cancellare quello che provavo per lui.”
Innumerevoli dubbi mi affollarono la mente.
“E se lui non mi amasse più?”
“Allora faresti meglio a fartelo dire da lui, non credi, Raf?”
Say mi guardava con aria comprensiva.
“Non sono sicura di voler sentire un suo rifiuto. Temo che mi toglierebbe la voglia di vivere.”
“Raf … E' meglio vivere con questo dubbio orribile e nella continua speranza che lui ti ami, o sapere la verità senza farsi illusioni?”
Con un sospiro, compresi che aveva ragione.
“Va bene, gli parlerò il prima possibile.”
“Brava Raf.”
Say sembrava molto più adulta di me. Più adulta, esperta e responsabile, non potevo assolutamente negarlo.
Finimmo di bere il tè e quando cominciò ad albeggiare, compresi che per me era arrivato il momento di tornare alla Golden School.
Salutai Say e promisi che sarei tornata a trovarla.
“Parla con Sulfus, mi raccomando!”
Annuii e presi il volo, ma in realtà non sapevo se avrei davvero fatto quello che mi aveva consigliato.

Spazio autrice: Buongiorno a tutti! Spero che i lettori della mia storia siano numerosi. Andrà complicandosi man mano che procederò con i capitoli, quindi spero tanto che anche voi procediate con me, io nella scrittura, voi nella lettura. =) Sono molto ansiosa di ricevere delle recensioni; spero tanto che i vostri giudizi siano positivi. Avvertitemi in caso di errori di battitura e/o di grammatica: sono sempre aperta alle correzioni, purché non vengano espresse con maleducazione o parolacce! Scritto questo, grazie ancora a tutti coloro che leggeranno! A presto con il secondo capitolo! <3

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 - Ad ogni pensiero ***


Capitolo 2:”Ad ogni pensiero, ad ogni parola.”

Arrivai alla Golden School ormai distrutta. Mi gettai sul letto, esausta per il lungo volo, per quella nuotata e per l'intera notte in bianco. L'unica cosa davvero sicura era che avrei bevuto un caffè a colazione e che, come al solito, non avrei mangiato niente.
Mi diressi a testa bassa verso la mensa, che a quell'ora era praticamente deserta. Meglio, pensai, almeno non avrei rischiato le solite domande di Uriè. Lei capiva sempre quando qualcosa non andava e in poco tempo mi avrebbe fatto dire tutto riguardo a Say … E a Sulfus. Raccontare di Say significava raccontare anche di lui, della persona che amavo.
Presi una tazza di caffè e cercai un posto dove sedermi, quando notai una figura già seduta, vicino alla finestra. Era un sempiterno con il viso sprofondato nel palmo della mano.
Decisi di andare a sedermi due tavoli più in là, in un angolo, ma appena mi incamminai verso il mio posto, il sempiterno si voltò e mi inchiodò con i suoi occhi color topazio.
Sulfus.
Sulfus mi fissava, proprio davanti a me.
La mensa sparì, l'intero universo si eclissò di fronte a lui.
Rimanemmo immobili, a guardarci, occhi negli occhi, come se il tempo non esistesse.
Quando però la mia vista si offuscò a causa delle lacrime, l'incantesimo fu all'improvviso spezzato. Le mie gambe tremarono e le mie mani lasciarono cadere la tazza del caffè con un fragore che mi fece sussultare.
Risvegliatami da quel momento che mi aveva unita a lui senza alcun preavviso, presi un tovagliolo e mi chinai a raccogliere i vetri infranti e a pulire come meglio potevo il pavimento, su cui si era formata una chiazza di caffè.
Evitai lo sguardo di Sulfus, senza dire una parola. Sentivo il viso caldo e sapevo di essere arrossita. E, all'improvviso, una mano si appoggiò sulla mia e mi aiutò. Non incontrai lo stesso il suo sguardo. Avevo paura e non sapevo cosa dirgli. Le parole mi si erano bloccate in gola, i miei pensieri si erano inceppati.
Quando finimmo, Sulfus mi aiutò ad alzarmi e mi fece sedere al tavolo dove era seduto lui fino a un attimo prima e, senza una parola, lo vidi dirigersi di nuovo verso le tazze per il caffè. Notai che la sua colazione era praticamente intatta; anche lui aveva preso il caffè. Probabilmente nemmeno Sulfus era indenne dalle notti insonni.
Quando tornò, si sedette davanti a me e mi porse un'altra tazza di caffè, che io afferrai, grata per quella piccola accortezza.
“Ciao, Raf.”
“Ciao, Sulfus.”
Per un attimo rimanemmo entrambi in silenzio.
“Come … Come stai?”
“Bene. Tu?”
“Bene.”
Era come se a entrambi si fossero bloccate le parole. Ci guardammo soltanto, ma a tutti e due parevano essersi inceppati i pensieri … O forse era colpa di tutti i dubbi che assediavano le nostre menti. Era una buona idea parlare? Cosa dovevamo dire? Cosa dovevamo aspettarci l'uno dall'altra?
Un silenzio imbarazzato cadde tra di noi.
“Sulfus … Io …” non sapevo neanche da che parte iniziare. Dovevo andarmene, quello era un buon punto da cui partire, senza dubbio.
Non potevo rimanere lì con lui, ma le mie gambe erano inchiodate alla sedia e la mia gola serrata. Ero molto stanca e non riuscivo nemmeno a capire cosa volevo fare.
“Raf, io volevo … Volevo …”
Lo interruppi e non capii con quale coraggio.
“Io … Devo chiederti una cosa.”
Lo sguardo di Sulfus si fece sorpreso.
“S-Sulfus … Tu … Io …” perché esitavo? Cosa c'era di difficile? Forse il difficile non era fare la domanda, ma era sopportare l'attesa della risposta.
“Anch'io devo chiederti una cosa.”
Alzai lo sguardo e incontrai i suoi occhi, i suoi magnifici occhi.
“Raf, tu mi ami … Ancora?”
Trattenni il respiro mentre cercavo la risposta dentro di me, ma non ebbi bisogno di cercare a lungo: io lo amavo, certo che lo amavo.
“Sì.” risposi in un soffio e, forse, mi accorsi solo in quel momento di quanto fosse pericoloso dirglielo. Stavamo violando il V.E.T.O., stavamo continuando a farlo giorno dopo giorno, ad ogni pensiero, ad ogni parola.
Sulfus mi prese le mani.
“Anch'io ti amo, Raf.” e, come ad aver letto nei miei pensieri, aggiunse:”Vedrai che troveremo un modo per stare insieme, e allora sarà per sempre.”
I miei occhi si sciolsero in lacrime e, nuovamente incurante delle regole, lasciai che Sulfus mi abbracciasse e mi tenesse stretta a sé, mentre le mie lacrime scendevano implacabili.
“Non aver paura, Raf.”
Ma a me bastava il suo abbraccio per scacciare la paura, perciò sussurrai solo:”Grazie Sulfus.” e lasciai che mi stringesse finché altri studenti arrivarono in mensa e fummo costretti a separarci.
Bevvi la mia tazza di caffè e me ne andai in camera. Se avessi incontrato le mie amiche, sapevo che mi avrebbero letto dentro. Da quel momento, avrei dovuto evitarle. Non avrebbero mai capito.

A lezione il professor Arkan spiegò quello che già sapevo: quell'anno avremmo sempre fatto lezione con i Devils e avremmo imparato a combattere. Non ci sarebbero più state semplici sfide, ma combattimenti veri e propri.
Fino a gennaio si sarebbe trattato solo di esercitazioni e solo dopo ci sarebbero stati assegnati dei Terreni. Non prestai molta attenzione a quello che disse il professore a causa dell'immensa stanchezza. Mi sedetti negli ultimi posti e arrivai in ritardo per evitare Uriè e le altre.
Appena la campanella suonò, schizzai in piedi come se avessi avuto una molla sulla sedia e me ne andai di corsa, prima che qualcuno che conoscevo potesse raggiungermi e fare domande. Mi chiusi in camera.
Erano i primi giorni e non avevamo compiti. In ogni caso, non avrei mai trovato le forze per farli.
Mi gettai sul letto, con lo sguardo di Sulfus che assediava la mia mente. Tutto era diventato un tormento. La mia vita era diventata felice ed infelice allo stesso tempo … Non potevo stare con lui, ma quelle rare volte in cui ci riuscivo tutto diventava più bello e il cielo si schiariva.
Mi raggomitolai su me stessa e chiusi gli occhi.
A cosa si pensava per non tormentarsi su questioni simili? Cani, gatti, libri … Non ne avevo la più pallida idea.
Forse dovevo proprio comprarmi un gatto. Un bel micetto nero che mi tenesse compagnia … Nero. Certo. Proprio l'ideale per dimenticarmi di Sulfus, pensai ironicamente.
Mi rigirai nel letto. Avevo passato l'estate in agonia e ora avevo un disperato bisogno di pace.
La finestra era aperta e l'aria entrava dolcemente nella stanza. Tutte le vacanze. Tutte le vacanze a pensare a lui, senza riserve. Avevo cercato di ignorarlo, di dimenticarlo, di convincermi che non lo amavo più, ma niente aveva funzionato. Niente funzionava.
Non potevo parlarne con nessuno. Nessuno poteva aiutarmi. Nessuno, maledizione!
Mi misi a sedere di scatto, colta all'improvviso da quella rabbia cieca che mi assillava continuamente quando ci pensavo. Essere sola mi esasperava e mi rendeva nervosa. Mi faceva venire voglia di piangere.
Ma io ero stufa di piangere! Volevo fare qualcos'altro oltre a piangere, volevo trovare una soluzione!
E in quel momento capii, o meglio, ricordai. Non ero sola. C'era una persona che sapeva quello che stavo passando.
Prima di finire di formulare il pensiero, mi ero già gettata nel vuoto.
Say.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 - Questione di tempo ***


Capitolo 3.

Quando arrivai a casa sua, l'albero davanti alla porta si ritirò per lasciarmi entrare. Say mi accolse con un gran sorriso.
“Raf!” esclamò vedendomi. “Che sorpresa, non pensavo saresti tornata così presto!”
Quando però vide i miei occhi rossi di pianto e il mio viso stravolto, capì che qualcosa non andava.
“Che è successo?” chiese, accogliendomi nella sua luminosa cucina. La guardai di sottecchi mentre armeggiava ai fornelli per preparare una cioccolata calda.
Sembrava così felice. Così fiduciosa. Così tranquilla. Tutto quello che volevo essere.
“Ho … Ho parlato con Sulfus.” balbettai. Say si voltò.
“Ti ha detto …?”
“Oh, no, no.” risposi in fretta, ma poi fui costretta ad abbassare lo sguardo. “Ha detto che mi ama ancora.”
Dopo un attimo di silenzio, arrivò la domanda perplessa per cui, sapevo, stava trattenendo un sorriso divertito:”E perché sei così triste?”
Alzai lo sguardo.
“Noi non possiamo, non potremo mai stare insieme. Come posso essere felice all'idea che questo tormento prosegua ancora, giorno dopo giorno, ora dopo ora?” la mia voce si era ormai incrinata, nonostante non volessi assolutamente piangere.
“E' terribile, vero?” chiese Say versando la cioccolata calda in due tazze con le rose rosse.
Riuscii solo ad annuire. La mia voce si era inceppata.
“Lo so, lo so.” sospirò sedendosi di fronte a me. “La solitudine, poi, uccide più di qualsiasi altra cosa.”
Alzai lo sguardo, sorpresa. Lei capiva. Sebbene fosse naturale, non avevo mai pensato che potesse sapere davvero cosa si provava. Le indirizzai un sorriso riconoscente.
Say bevve un sorso di cioccolata.
“Ricordo bene com'era: cancellare, far finta che non fosse vero, recitare. Mentire.” E qui mi lanciò uno sguardo intenso. “E' molto strano che nonostante tu sia un'Angel riesca a mentire.”
“E' vero”, confermai io, “anche Tayco ci riusciva?”
Say sogghignò.
“Mh. Proprio no.”
“E allora come faceva quando qualcuno gli chiedeva qualcosa su te e lui?”
Ridacchiò con una luce divertita negli occhi.
“Cose più disparate. Tutto, pur di non mentire.” bevve un sorso. “Una volta si buttò dalla finestra con la scusa di aver visto qualcosa sulla terra. Un'altra, urlò di colpo dicendo di vedere uno spirito, o qualcosa del genere.”
“Ma non era mentire anche questo?”
“E' vero,” concordò, “ma il più delle volte si trattava di bugie molto più blande, non pareggiabili alla negazione dell'amore tra me e lui: la prima volta, c'era un serpente sulla Terra. La seconda c'era un'ombra dietro di loro. Realtà un po' distorte, ma non tanto da essere bugie.”
Sospirai.
“Tayco deve essere davvero dolce con te.”
“Oh, sì.” confermò Say con un sorriso. “Quando non potevo parlare con le mie amiche di lui ed ero triste, c'era sempre.”
Alzai lo sguardo dalla cioccolata.
“Ma … I vostri parenti e amici sanno dove siete? Sanno che fine avete fatto?”
“Assolutamente no!” rispose Say alzando gli occhi al cielo. “Siamo scappati durante una notte di tempesta.” il suo sguardo parve perdersi per un attimo nei ricordi. “Il cielo era buio, c'erano lampi, tuoni talmente forti da spaventare persino me. Sembrava quasi che Alte e Basse Sfere sapessero cosa stavamo per fare e volessero impedircelo con quella tempesta.” la sua voce, da cupa, si addolcì. “Ma alla fine arrivammo all'asciutto, in quella grotta sotto il teatro … E poi, eccola lì, la porta che si apriva su tutte le nostre speranze.” sorrise, con un barlume negli occhi.
Ricambiai il sorriso.
“Deve essere stato meraviglioso fare quello che desideravate con tanta fiducia e sicurezza.”
“Come no!” esclamò ironicamente Say. “Sono serviti ben cinque anni per prendere questa decisione, comunque molto sofferta.” la sua espressione si fece triste. “In ogni caso, però, nel nostro mondo non c'era più nulla per noi. Ci eravamo isolati da tutto e da tutti e allo stesso tempo eravamo lontani anni luce l'uno dall'altra, abbastanza da soffrire incessantemente. Come potevamo rimanere?” bevve un sorso. “In ogni caso, ce ne saremmo andati da qualche parte, ci saremmo nascosti.”
Le lanciai un'occhiata stupita.
“Cosa intendi dire col fatto che nel vostro mondo non c'era più nulla per voi?” volevo sapere se intendeva lo stesso che percepivo io. Lo stesso che purtroppo stava succedendo anche a me.
“Mh.” respirò a fondo e bevve un sorso di cioccolata. “Non avevamo più nulla da imparare. Non volevamo imparare a combattere l'uno contro l'altra e i nostri amici ormai avevano capito che nascondevamo qualcosa ed erano vicini a scoprirlo. In fondo, cosa potevamo fare?”
Alzai le spalle.
“Non avete pensato di nascondervi in forma umana? Non avrebbero percepito le vostre aure ...”
Scosse la testa prima che finissi la frase.
“Erano tempi diversi. Non erano ancora possibili le trasformazioni in forma umana.”
“Perché?”
“La società umana era troppo primitiva per essere tentata o custodita. Noi rappresentavamo semplicemente il bene e il male, niente di più. Combattevamo tra noi incessantemente, a volte per prevalere gli uni sugli altri, a volte per pezzi di foresta che ci spettavano … Cose così.”
Annuii.
“Invece ...” cominciò, e uno strano barlume le si accese negli occhi, “tu e Sulfus … Come vi siete conosciuti?”
Trattenni a stento un sorriso, mentre cominciavo a raccontare. Fuori si mise a piovere, e io e Say rimanemmo lì, al caldo, tra tè, cioccolata e biscotti, mentre io ricordavo tutto quello che io e Sulfus eravamo stati e che, forse, potevamo ancora essere.
Poi toccò a Say.
“Mi ero addentrata molto più del solito nella foresta,” iniziò, “ma non ero preoccupata. Le uniche creature che potevano farmi del male erano i serpenti, e io sapevo benissimo come individuarli nella vegetazione. Perciò, proseguii tranquilla. Le nuvole si addensavano: si avvicinava la stagione delle piogge.
“La foresta era buia, intricata. Io avanzavo, come guidata dal mio sesto senso. Sapevo che qualcosa di meraviglioso mi sarebbe successo, se fossi andata avanti da quella parte. E così, continuai.”
Si interruppe un attimo, ascoltando la pioggia scrosciare fuori.
“Ancora, ancora, ancora, finché non arrivai all'entrata di una caverna. Entrai. Sapevo di non doverlo fare, ero sempre stata messa in guardia da questo, ma avanzai lo stesso. Ero come … In trance. Esisteva solo il mio sesto senso.”
I suoi occhi erano pieni di ricordi.
“E, ad un certo punto, ci fu un lampo accecante e un tuono spaventoso, accompagnato da un rombo terribile, come provenisse dalle viscere della terra. Mi misi a correre verso l'entrata, ma scoprii di essere in trappola. Un fulmine aveva colpito un gigantesco albero nei dintorni, che, crollando sulla parete rocciosa della grotta, l'aveva fatta franare, bloccando, forse per sempre, la mia unica via d'uscita.”
Silenzio.
“La situazione precipitò.
Non solo non sapevo come uscire, ma” e qui mi guardo negli occhi, “un serpente mi aveva morsa alla caviglia.”
Fece una breve pausa.
“In quel momento, seppi che la mia vita era finita. I serpenti, a quell'epoca, privavano i sempiterni dei loro poteri ed erano letali. Entro poche ore mi sarei indebolita sempre di più, fino ad estinguermi definitivamente.”
Scosse la testa.
“Mi sedetti e cercai di addormentarmi. Volevo andarmene mentre dormivo: era il modo più indolore per farlo.” un sorriso triste affiorò sul suo viso. “E così, mi addormentai.”
Poi tacque. Ad un certo punto, pensai non volesse più proseguire, così la incalzai:”E poi?”
Si rianimò.
“E poi, credevo di non svegliarmi più, ma le cose andarono diversamente. All'improvviso udii una voce lontana e impastata. Mi diceva che sarebbe andato tutto bene.” sogghignò. “Io gli ripetevo che volevo dormire, di lasciarmi in pace, ma lui non ascoltava. Il morso faceva sempre più male, il mio corpo era intorpidito, come se non potessi muovermi.”
“Ma alla fine, ci riuscii. Mi mossi. Dopo essermi riaddormentata, mi svegliai davvero. Il mio corpo non era più intorpidito, la mia testa riusciva a pensare e il veleno non scorreva più nelle mie vene. Quando aprii gli occhi e mi ritrovai davanti un Angel, rimasi esterrefatta. Mi aveva aiutata! Mi aveva aiutata anche se ero una Devil.”
Ormai completamente a mio agio, bevvi un sorso di cioccolata e addentai un biscotto, in attesa che Say continuasse.
“Stranamente, lo ringraziai.” sorrise. “Non mi dava fastidio ringraziarlo, anche se era un Angel, anche se era giusto farlo. Lui, seduto di fronte a me, alzò lo sguardo e per un attimo pensai non volesse rispondere, ma poi disse che era felice che stessi bene.”
Sospirai. Mi ricordava tanto quello che era successo prima che io e Sulfus ci baciassimo.
“Mi presentai e lo stesso fece lui. Gli dissi che il mio sesto senso mi aveva guidata lì, e Tayco replicò che lo stesso era successo anche a lui. Rimanemmo intrappolati per giorni nella grotta. Forse, in fondo, non volevamo davvero uscire.” ridacchiò. “Alla fine, comunque, riuscimmo ad abbattere la parete di rocce che ci bloccava.”
Sorrisi.
“Poi, una volta tornati alla normalità, cosa avete fatto?”
“Io ho cominciato ad evitarlo, per non doverlo attaccare, o peggio, uccidere. Poi … Non so, una sera l'ho incontrato in giro per la foresta. E, fingendo con me stessa che fosse perché gli ero debitrice, non l'ho attaccato.” i suoi occhi si addolcirono. “Lui mi ha ringraziata e abbiamo trascorso la notte insieme: sapeva un sacco di cose sulle creature notturne, sulle loro meraviglie, sui luoghi della foresta … Io gli ho mostrato alcune magie che avevo imparato a fare. Non servivano ad attaccare gli Angels … Erano solo piccoli incantesimi, come fiammelle blu o far diventare i miei occhi luminosi o illuminare le pietre.”
“E poi vi siete incontrati ogni notte?”
Annuì.
“In realtà, andavo sempre in un luogo diverso, per evitare di incontrarlo, ma lui mi trovava sempre.” Sospirò. “Il resto, più o meno, lo sai.”
Lanciai un'occhiata all'orologio. Le sei. Tra qualche ora avrei dovuto andare a cena e incontrare le mie amiche. O, peggio, sarebbero venute in camera mia. Non potevo farcela. Non avrebbero capito.
Say lesse la preoccupazione nei miei occhi.
“Se non ti senti pronta per affrontare il Sentiero delle Metamorfosi, perché non lasci per un po' la scuola?”
La lanciai un'occhiata intimorita.
“E dove andrei?”
“Non ho problemi a costruire un'altra casa. Saremmo vicine.”
Feci un debole sorriso.
“E cosa direi alle mie amiche, agli insegnanti, a Sulfus?”
Say alzò le spalle.
“Sulfus saprà sempre dove trovarti, e gli altri … Potresti non dire niente. Sparire e basta.”
Sgranai gli occhi dalla paura.
“Ma percepirebbero la mia aura!”
“Ti trasformeresti in umana!”
A questo non trovai obiezioni. Effettivamente era una buona idea, ma non ero certa di essere già pronta per metterla in atto. Alzai lo sguardo e incontrai quello in attesa di Say.
“Lasciami un po' di tempo per prepararmi.”

Quando tornai alla Golden School era ormai molto tardi, quindi nessuno mi vide entrare dalla finestra e intrufolarmi in camera mia.
Mi addormentai subito, ma feci sogni molto agitati, in cui vedevo Say venire morsa dal serpente. Quando mi svegliai, ero più stanca di prima e, anche se era presto, non riuscii a riaddormentarmi.
A pancia in su, riconsiderai la proposta di Say.
E fu in quel momento che lo sguardo mi cadde sul borsone sotto il letto. Già pronto. Il mio sesto senso sapeva. Era destino.
Era solo questione di tempo.

 

Spazio autrice: il capitolo è stato scritto completamente di getto e spero tanto che la storia di Tayco e Say vi piaccia. Ricordate di scrivere recensioni e di informarmi in caso di errori di battitura! =) Scriverò molto presto anche il quarto capitolo! Intanto, saluti e prepariamoci a dire addio alla scuola, ora che finalmente si avvicina l'estate!

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 - Le lezioni ***


Capitolo 4 – Le lezioni.

Arrivai in classe in ritardo, apposta per non incontrare le mie amiche, ma questa volta, di nascosto, le osservai. Beatamente ignare di quello che mi stava succedendo, seguivano la lezione. Possibile che potessi solo andarmene? Che nessuno mi scoprisse? Lanciai un'occhiata colpevole al professor Arkan, che passeggiava per la classe, spiegando qualcosa che non ascoltavo. Qualche studente giurava che sapesse leggere nel pensiero dei suoi alunni senza ricorrere ai poteri.

Possibile che sapesse quello a cui stavo pensando? O meglio, quello che il mio sesto senso aveva già pianificato per me. Non volevo scappare senza Sulfus, ma visto che niente mi aveva fatto capire di includere anche lui, sospettavo che la mia fosse una fuga solitaria.

Sospirai, appoggiata al palmo della mia mano.

Quand'era che la mia vita era diventata tanto difficile? Non credevo di aver mai fatto niente di così orribile da meritarlo.

“... E quindi, ora facciamo pure entrare i Devils per lo svolgimento della lezione.” a sentire quella frase, quasi caddi dalla sedia.

Cosa? Cosa? I Devils!? Terrorizzata, guardai la professoressa Temptel entrare con al seguito … Sulfus. Incrociò il mio sguardo, e quell'intesa che da sempre ci univa passò tra noi. Sentii le mie guance diventare rosse, ma non distolsi lo sguardo.

“Come stavo dicendo,” proseguì il professor Arkan, “ nella lezione di oggi affronterete le basi per il combattimento tra sempiterni. Disponetevi pure a coppie.”

Mi alzai, ma rimasi immobile.

Mentre Angels e Devils, di malavoglia, formavano le coppie, io rimanevo ferma e pregavo che fosse il destino a scegliere, ma che non scegliesse lui.

Non potevamo combattere l'uno contro l'altra. Era assurdo, inconcepibile.

Eppure, al destino piaceva essere beffardo e sarcastico.

“Raf, Sulfus, siete rimasti solo voi due. Avvicinatevi.” il professor Arkan mi fece un cenno, e io, rigida, avanzai verso Sulfus senza guardarlo, finché non fui al suo fianco.

“Molto bene. Ora, voi conoscete già alcuni tipi di magia, ma oggi affronteremo l'energia. L'energia che scorre in ognuno di voi è quella che serve per produrre la magia e non l'avete mai sfruttata davvero prima. Per un buon incantesimo di attacco e uno altrettanto buono di difesa, vi serve energia allo stato puro.” spiegò il professor Arkan. “Dunque, adesso ...”

Ma smisi di ascoltare, perché Sulfus si era avvicinato impercettibilmente a me, fin quasi a sfiorarmi la spalla. Trattenni il respiro quando mi prese di nascosto la mano.

“Come stai?” sussurrò, apparentemente senza muovere le labbra. Le mosse appena, quel tanto che bastava perché io capissi, ma nessun altro notasse che stavamo parlando.

Lo guardai di sottecchi.

Le occhiaie circondavano anche i suoi occhi.

“Vado avanti.” mormorai in risposta. “Tu?”

Alzò le spalle.

“Anch'io.”

“Non voglio combattere contro di te.” l'avevo detto davvero? Lanciai un'occhiata colpevole a Sulfus. Avrei dovuto stare zitta, e invece eccomi lì, a dire stupidaggini. Non cambiava niente.

La sua mano lasciò la mia e mi accarezzò piano la schiena.

“Non ti farò del male.”

Il mio cuore andò a mille quando, invisibile agli altri, un bacio mi sfiorò la guancia.

Da allora rimanemmo in silenzio, ma i nostri sguardi rimasero allacciati in modo surreale mentre ci disponevamo uno di fronte all'altra. Sapevo già utilizzare l'energia, anche se non avevo mai provato a metterla in pratica per il suo vero scopo.

“Per ora,” disse la professoressa Temptel, “vediamo cosa sapete fare.” prese un fischietto che aveva appeso al collo.

Attacco!” urlò dopo aver fischiato forte.

In quel momento, quando disse quella parola, qualcosa scattò. Lo percepii in tutti i miei compagni di classe, e anche nei Devils.

Gli sguardi dei nostri avversari divennero rosso sangue.

E all'improvviso capii. Il V.E.T.O.. Ecco perché esisteva. Non erano regole, non erano ideologie, era la natura di Angels e Devils. Gli uni per gli altri provavano odio e il VETO era solo ciò che ci impediva di distruggerci completamente a vicenda.

Vidi gli occhi delle mie compagne mandare lampi, mentre cercavano di capire quali fossero i punti deboli degli avversari.

Con orrore, spostai lo sguardo su Sulfus e una lacrima di terrore mi scese sulla guancia, quando vidi i suoi occhi assetati di sangue e una bolla di fuoco dirigersi veloce verso di me.

Non era quella che io guardavo. Io guardavo lui.

Vidi Sulfus combattere dentro di sé contro la sua stessa natura, furioso perché mi amava e perché aveva appena promesso di non farmi del male.

E vidi la parte demoniaca in lui. La sua natura che lo chiamava, che lo torturava, che gli imponeva di farlo, di uccidermi.

Non appena il fuoco mi sfiorò, divampò subito in ogni parte del mio corpo e le fiamme lambirono i miei occhi, un attimo prima di vedere Sulfus tornare completamente in sé e fissarmi con orrore.

 

Aprii gli occhi in infermeria. La stanza era vuota, e le mie mani erano piene di bende, ma non ero collegata a tubi o a flebo. Era già un buon segno.

Mi guardai in giro e vidi il cielo dalla finestra, le nuvole bianche e soffici di una giornata serena. Doveva essere pomeriggio inoltrato, a giudicare alla luce.

Con un sospiro, ricordai la lezione e cominciai a piangere. Non mi aspettavo che negasse la sua stessa natura per me, era la cosa più difficile che potessi chiedergli di fare, ma era stato comunque atroce vederlo cercare di uccidermi.

Oddio, Sulfus aveva appena cercato di uccidermi. Quelle ferite erano state provocate da lui.

Mi nascosi sotto le coperte, per non vedere le bende che mi fasciavano mani, braccia e una parte delle gambe. Continuavo a piangere e piangevo perché non sentivo niente. Non mi sentivo triste, amareggiata, disperata … Era come se mi avesse azzerato tutte le emozioni.

 

Un'ora dopo, entrò il professor Arkan, richiudendosi la porta alle spalle. Vide le mie lacrime, ma non disse nulla e si sedette accanto al letto.

“Come stai, Raf?”

“N-non lo so.” balbettai, tra un singhiozzo e l'altro. “Cos'è successo?” chiesi, disperata, “Cos'è successo a tutti? Perché si odiavano?”

Ricordai di essere stata immune dall'odio, e dalla rabbia. Perché?

Il professore sospirò e per un attimo parve rattristato.

“Cara Raf, le nature di Angels e Devils sono state create come opposti ed è giusto che si odino. Il bene e il male non riescono mai a raggiungere un equilibrio stabile, e perciò ce ne può essere solo uno precario: ogni tanto vince il bene, ogni tanto il male, ma sarà sempre equilibrio, in qualche modo.” il suo sguardo incrociò il mio. “Non è possibile che vinca il bene e non è nemmeno possibile che vinca il male. Gli unici che ne hanno un parziale controllo sono gli esseri umani, ma alla fine della loro vita non possono comunque essere solo buoni o solo cattivi.” mi rivolse un sorriso bonario. “Mi capisci, Raf?”

Annuii.

“Credo di sì.”

Sorrise e annuì a sua volta.

“L'anno scorso, io e la professoressa Temptel capimmo presto che tu e Sulfus eravate innamorati.” vidi i suoi occhi splendenti perdersi in un ricordo. Mi si strinse lo stomaco. Per lui era solo passato, un passato già affrontato. “Fu con grande dolore che collaborai a separarvi, ma purtroppo lo feci, perché sapevo che sareste arrivati a questo punto.”

Tacqui per un attimo.

“Ma io …” magari sbagliavo a dirlo. “... Io non odiavo Sulfus, quando mi ha attaccata.”

Il professore non parve sorpreso.

“Questo perché la tua natura non è completamente angelica e il venti per cento della tua mente ragiona ancora in modo umano.” mi indirizzò un sorriso incoraggiante. “Non prendertela con te stessa, andrà meglio man mano che passeranno i giorni.”

Quando disse quella frase, l'universo parve crollarmi addosso. Si congedò da me, ma non ascoltai più una parola. Anch'io avrei odiato Sulfus. Anche la mia natura avrebbe prevalso e ogni volta che avrei sentito la parola attacco gli sarei saltata addosso, cercando di ucciderlo.

Appena il professore uscì, scoppiai di nuovo a piangere. Il mio sesto senso aveva ragione. Non potevo restare, non ci sarei mai riuscita.

Mi sedetti sul letto e presi carta e penna da un block notes sul comodino. Cominciai a pianificare la fuga.

 

Fui dimessa il giorno seguente. Le ferite non erano gravi, e in qualità di Angel ero guarita molto in fretta. Per fortuna, il dottore mi dimise a mezzogiorno; i corridoi erano deserti, perché tutti erano a pranzo.

Sgattaiolai in camera mia e mi feci una doccia per schiarirmi le idee e per essere sicura che, se le mie amiche fossero venute a trovarmi, avessi tempo di pensare a cosa dire loro, con la scusa di finire di lavarmi.

Mezz'ora dopo, uscii dal bagno, piuttosto sollevata. Le lezioni erano ricominciate e loro non erano venute in camera mia. Era molto triste, ma non riuscivo a cancellare il sollievo di non dover mentire per l'ennesima volta.

Indossai dei pantaloni azzurri larghi e lunghi fino ai piedi e una maglia attillata e leggera, bianca. Afferrai la lista iniziata in infermeria.

Stavo programmando tutte le cose da fare prima di andarmene.

Visto che la mia assenza alle lezioni era giustificata, decisi di scendere sulla Terra per avvertire Say che accettavo la sua proposta.

Quando arrivai da lei, la trovai in giardino. Stava facendo crescere delle fragole, e per un attimo la osservai estasiata. Piantava il seme, lo annaffiava un po' e poi, senza una traccia di concentrazione, muoveva le mani e la pianta cresceva.

Sembrava quasi normale, tanta era la sua naturalezza.

“Say?” si voltò.

“Ciao Raf!” sorrise. “Come stai?”

Alzai le spalle.

“Sarò la tua vicina di casa.” tanto valeva andare subito al sodo.

Say non parve sorpresa, e non smise di sorridere.

“Hai seguito la prima lezione di combattimento?”

Annuii, incapace di parlare, mentre gli occhi furiosi di Sulfus invadevano la mia mente.

“Oh, Raf.” sospirò Say. “E' stata dura, vero?”

Annuii di nuovo e i miei occhi si riempirono di lacrime.

“Su, su ...” mi confortò, improvvisamente vicina a me. “Sai cosa ti ci vuole, per smaltire lo shock?”

Non aspetto la risposta.

“Marmellata di fragole!” mi prese per mano e mi trascinò dentro. “Ne ho preparata un po', e tu mi aiuterai a fare una torta.”

“A che servirebbe fare una torta, ormai?”

Alzò le spalle.

“Mi tirava su il morale quando ero appena arrivata sulla Terra. Per un po', ho lavorato in una pasticceria.”

Come sempre, il buon umore e la tranquillità di Say erano contagiosi.

Mi avvicinai a lei e, dopo essermi trasformata in umana, indossai il grembiule che mi porgeva.

“Come hai fatto a imparare?”

“Una brava insegnante.” rispose lei con un sorriso. “In pasticceria, sono stata presa in simpatia dalla maggior parte delle mie compagne, che mi hanno insegnato il mestiere in cambio della mia frutta e verdura misteriosamente fuori stagione.” mi fece l'occhiolino.

Ero un po' perplessa.

“Con il tuo talento non potevi andare a lavorare come fioraia o qualcosa del genere?”

Alzò gli occhi al cielo.

“Ci ho provato, ma alla fine ho capito che era troppo rischioso. Il capo mi aveva quasi scoperta mentre facevo crescere una pianta di orchidee.”

Say tirò fuori una ciotola da un armadietto e ci mise della farina.

La mia tristezza scemava quando ero con lei. Ero sempre più convinta che andarmene fosse la soluzione migliore.

“E adesso? Lavori ancora in pasticceria?” chiesi, mentre aggiungeva un uovo alla farina e allo zucchero che aveva messo nella ciotola.

“Solo il sabato, quando c'è più lavoro e le altre non sono disponibili.” aggiunse un po' di sale, “In fondo, non mi servono molti soldi per vivere, visto che le uniche cose di cui ho bisogno sono l'acqua, un paio di vestiti e la carne.”

Mi passò la ciotola.

“Impasta tu.” era una pasta molto friabile, forse pasta frolla, ma per fortuna riuscii nell'intento, anche se alla fine avevo la farina anche in faccia.

Say rise vedendomi conciata così.

Afferrò una teglia e vi dispose l'impasto. Davanti a me si delineava una meravigliosa crostata.

Ci mise la marmellata di fragole e preparò le striscioline da appoggiare sopra. Infine, la mise in forno.

“Verrà una meraviglia, vedrai.” mi assicurò. Si sedette a tavola, lanciando di tanto in tanto occhiate in direzione della crostata.

“Say?”

“Sì?”

“Quando tu e Tayco combattevate … Vi odiavate?”

Scosse la testa.

“All'inizio. Poi, cominciammo ad essere consapevoli di odiare, e a rifiutarlo.”

Aggrottai le sopracciglia.

“Che intendi?”

“Quando odi in quel senso, non sei consapevole. Non sai neanche chi hai davanti.” mi lanciò un'occhiata perplessa. “Ma tu dovresti saperlo, giusto?”

Tentennai. Non ero sicura che fosse il caso di dirlo a Say. In fondo, era stata una Devil … Ma quando la guardai in viso, curiosa e stupita, il mio sesto senso mi incoraggiò a dire la verità.

“Io non riesco a odiare Sulfus quando combattiamo.”

Mi fissò sorpresa per un attimo.

“Perché?” chiese infine. Io la guardai negli occhi.

“Io non sono una Angel.”

Say inclinò la testa di lato, come se le stessi letteralmente mandando il cervello in fumo.

“Scusa se te lo dico, ma mi pare di averti vista con le ali … L'aureola …” mi guardò cautamente. “Non è che lo shock di stamattina ti ha causato una depersonalizzazione?” ai miei occhi confusi, spiegò:”La depersonalizzazione è un disturbo in cui la tua mente non accetta più che tu sia chi sei, o qualcosa del genere.” ma subito dopo si corresse. “No, scusa, credo si chiami bipolarismo, quella cosa in cui hai due personalità … Mah. No, okay, non lo so, ma secondo me hai preso un colpo in testa mentre cadevi.”

Mio malgrado sorrisi.

“Non intendevo questo. Intendevo dire che io non sono nata Angel. Sono nata umana.”

Le sopracciglia di Say slittarono talmente in alto che arrivarono quasi alla radice dei suoi capelli.

“Ecco, ora le ho viste tutte.” commentò, mentre il forno annunciava che la crostata era pronta.

 

Quando le ebbi assicurato che era vero, e fatto vedere la voglia sul collo, Say mi credette e pretese che le raccontassi tutta la storia della mia vita.

“E quindi, per concludere,” finì Say al posto mio, “questo è il motivo per cui tu non riesci a combattere contro un Devil.”

Annuii. Era un sollievo aver raccontato proprio tutto a una persona. Strano come, quando succede qualcosa di brutto, lo si racconti a più persone possibili, come se tutte loro insieme potessero alleviarne il peso.

“E Sulfus cosa ti ha detto dopo averti incenerita?”

Alzai le spalle e abbassai lo sguardo. Sapevo che si sarebbe arrabbiata quando l'avrei detto, ma non avevo scelta.

“Non ci siamo più parlati da quella lezione.”

Come avevo previsto, Say arricciò naso e bocca in una strana smorfia di disappunto, come uno che ha appena ingoiato un limone, e mi puntò contro il coltello con cui stava tagliando la crostata.

“Raf, sei un caso semplicemente disperato. Come si fa a non dirgli nemmeno una parola! Sarà devastato dal dolore e non vorrà nemmeno vederti per paura di farti male di nuovo e ...”

E io che pensavo di andarmene così, senza nemmeno avvertirlo o rivederlo! La ramanzina di Say durò diversi minuti.

“Va bene, va bene, gli parlerò.”

Scosse la testa.

“Ecco, così si fa. E cosa pensi di dirgli?”

Mugolai qualcosa di incomprensibile.

“Che ne so, qualcosa tipo Ti capisco e Mi dispiace per quello che è successo e Non preoccuparti e Ti amo ancora ...” tanto sapevo che non avrei detto niente del genere, perché il mio cervello andava in fumo ogni volta che lo vedevo, quindi perché prepararsi?

Say sospirò.

“Beata innocenza!” esclamò brandendo una fetta di crostata in aria. Sembrava proprio una ragazzina. “Ma che problemi hai col romanticismo? Devi esternare qualcosa di profondo! Coraggio, fingi che io sia Sulfus e parlami.”

Ridacchiai.

“Scusa Say, ma credo che Sulfus abbia un aspetto un po' diverso da te ...”

“Non importa! Coraggio!” ma era tutto inutile, perché più ci provavo, più ridevo.

“Hai intenzione di ridergli in faccia, per caso?”

“No, no … E' che ...” e altre risate. Infine, Say afferrò un foglio scuotendo la testa e borbottando qualcosa come caso disperato.

“Cosa fai?” chiesi, vedendola prendere una matita.

“Il progetto della tua casa.” rispose. Io lanciai un'occhiata all'orologio.

“Ho un paio di cose da fare prima di venire ad abitare sulla terra.”

Say alzò le spalle.

“Ci vediamo domani?”
Presi un bel respiro.

“Domani.” confermai.

Spazio autrice: eccomi di ritorno! Cercherò di pubblicare più capitoli possibili adesso, perché il diciotto giugno partirò per il mare e per una decina di giorni non credo riuscirò a continuare il racconto. =/ Intanto godetevi questo capitolo, e il cinque, che pubblicherò a breve (forse entro il weekend). Che dire, speriamo solo che la scuola finisca in fretta, così potremo dedicarci chi alla lettura, chi alla scrittura! Sempre aperta a eventuali recensioni, Piuma_di_cigno.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 - Addii ***


Capitolo 5 – Addii

Quella sera cenare fu un'impresa. Le mie amiche aspettavano evidentemente di vedermi arrivare e rimasero in mensa per almeno due ore. Alla fine, presi di nascosto qualcosa e andai a mangiare in biblioteca, per evitare di ritrovarmele in camera.

In biblioteca mi sentivo a casa. Non era un luogo né solo per Angels né solo per Devils: potevamo starci entrambi. Era buia e silenziosa, ma non faceva paura. I libri profumavano di pagine antiche, di segreti e, a volte, di amore.

Sgranocchiai quel qualunque cosa fosse quello che avevo preso. Non ci avevo nemmeno fatto caso. Mi accorsi solo molto tempo dopo che erano cereali, non esattamente la cena migliore.

Chissà se esistevano libri che preparavano agli addii. Come aveva detto addio Say a Tayco? Come succedeva? Cosa bisognava dire? Cos'era importante dire?

Girovagai per quelle che mi parvero ore nella biblioteca labirintica della Golden School. Era buio e non c'era anima viva. Il silenzio, a volte, metteva paura.

Guardai le stelle dalle rare finestre.

Il giorno seguente non sarei più stata parte di tutto questo. Mi sembrava straordinariamente surreale. Il mio cervello ci aveva sempre impiegato un po' di tempo per capire le cose e anche questa volta ci voleva del tempo prima che elaborassi il tutto.

Non ero nemmeno sicura di voler tornare alla Golden School. All'inizio avevo pensato a un'assenza temporanea, ma poi … Effettivamente, a cosa mi sarebbe servito tornare indietro dopo mesi e mesi di assenza, indietro con il programma, i compiti e le conoscenze? Dal punto di vista scolastico, a poco e niente. Da quello sentimentale, invece …

Non c'era un manuale sull'amore, in biblioteca? Perché non c'era? Perché nessuno pensava mai a scrivere le cose che servivano davvero?

Continuai a vagare senza meta tra gli scaffali, sedendomi di tanto in tanto sulle rare poltrone. Dopo ore, avevo attraversato – finalmente - l'intera biblioteca, ed ero arrivata davanti all'ultima sezione, la zoologia.
I libri erano divisi per argomenti, e poi catalogati per autore. I bibliotecari sapevano di cosa parlavano tutti quei libri, perché nella loro eternità di Angels erano riusciti a leggerli tutti.

Mi stropicciai gli occhi. Non riuscivo neanche a leggere i titoli dalla stanchezza.

Mi appoggiai contro una delle tante scaffalature. E pensare che avrei anche dovuto tornare indietro!

“Raf?”

Udii una voce stupita che mi riportò immediatamente alla realtà.

“Cosa ci fai qui?” gli occhi disorientati di Sulfus fissavano i miei in cerca di una risposta. Per un attimo, pensai di trovare una pietra di ambra o topazio da tenere sempre al collo, in ricordo dei suoi meravigliosi occhi.

“Non riuscivo a dormire.” non era proprio una risposta, ma almeno spiegava il motivo per cui vagavo in giro per la biblioteca di notte. “E tu?”

Ero sempre più confusa dal sonno.

“Io …” mi sorrise, “Stavo facendo la stessa cosa.”

Si avvicinò lentamente, fino ad appoggiarsi allo scaffale accanto a me, sfiorandomi la spalla. Appena lo sentii tanto vicino, provai una strana sensazione di calore e finalmente la stretta che mi artigliava lo stomaco si allentò.

Appoggiai la testa sulla sua spalla e chiusi gli occhi. Sulfus rimase fermo un attimo, come se fosse sorpreso dalla mia reazione, ma poi mi avvolse la vita con un braccio e mi attirò a sé.

Doveva essere questa la pace.

“Raf ...” mi baciò la fronte. “Credevo mi odiassi, dopo quello che ti avevo fatto.”

Socchiusi gli occhi.

“Non posso odiarti. Non ti odiavo nemmeno quando combattevamo e nemmeno quando ho visto che mi attaccavi.”

Sulfus mi strinse più forte a sé, per quando possibile, e mi baciò la fronte e i capelli. Fu come se delle scariche elettriche si propagassero per il mio corpo, e il pensiero di lasciarlo il giorno dopo mi mozzò il respiro.

E tuttavia sapevo che era l'ultima speranza che avevamo per dimenticarci a vicenda e andare avanti. Rimanere avrebbe solo peggiorato le cose.

Goditi tutto questo, mi suggerì il sesto senso. E così decisi di fare.

Sollevai una mano e col dorso accarezzai il viso di Sulfus, a qualche centimetro dal mio. Mi girava la testa. Da quanto non eravamo così vicini?

La sua mano afferrò la mia e la stella del VETO, sul palmo, cominciò a pulsare di dolore quando il desiderio di un secondo bacio di Sulfus si fece quasi irrefrenabile.

Era talmente vicino … Avremmo potuto sporgerci di qualche centimetro, solo qualche centimetro, e le nostre labbra si sarebbero finalmente toccate; fuoco e ghiaccio.

Tutto quello che desideravo, in assoluto. Sarebbe davvero crollato il mondo per un bacio? L'ultima volta non era successo.

Mi accorsi che il suo corpo aderiva di più al mio. Si stava irrimediabilmente avvicinando a me. La sua mano mi accarezzò il viso e passò attraverso i capelli, scendendo lungo la schiena.

Avevo i brividi e il cuore che batteva forte.

Guidata dall'istinto, lo attirai a me. Non c'era niente, nient'altro in quel momento che desiderassi di più.

Appoggiò la fronte alla mia e mi guardò negli occhi.

“Ti fidi di me?”

Annuii, incapace di parlare. La sua voce era roca, e dolce. Era casa.

Chiudemmo gli occhi nello stesso momento.

Per un istante, solo un istante, le labbra di Sulfus sfiorarono le mie e un brivido mi corse lungo la schiena.

Si spostò e mi baciò sul collo, scendendo verso le spalle, fino a baciarmi la mano. I suoi occhi incontrarono di nuovo i miei. Quanto avrei voluto rimanere per sempre con lui, senza riserve.

Sentii le lacrime scorrermi lungo le guance, e Sulfus si avvicinò e baciò prima le lacrime, poi i miei occhi chiusi, e mi abbracciò, stringendomi forte.

“Andrà tutto bene, Raf. Andrà tutto bene.” le mie gambe cedevano per la stanchezza e la tristezza; mi guidò verso un divanetto poco distante e mi aiutò a sedermi. Poi mi circondò le spalle con un braccio.

In quegli istanti, notai, forse per la milionesima volta, quanto fosse forte, caldo e protettivo nei miei confronti.

Feci per staccarmi e alzarmi, ma lui non me lo permise e cominciò ad accarezzarmi dolcemente la schiena. A volte saliva fino al collo e lo sentivo sfiorare la voglia che provava la mia natura umana.

Persino a Uriè aveva sempre fatto impressione. Non a lui.

Mi concessi il lusso di credere che quello fosse un sogno che durava per sempre; e anche se doveva essere un meraviglioso sogno, continuavo a piangere, e piangere.

Sulfus asciugava con dolcezza le mie lacrime, sfiorando le mie guance e facendomi piangere ancora di più, per quando possibile.

Alla fine, ero praticamente in braccio a lui, che mi cullava come fossi una bambina piccola. Quanto mi sarebbe mancato! La cosa giusta faceva sempre così male? Mi sembrava tutto tanto surreale … Eppure sapevo che il giorno dopo il vuoto sarebbe stato lì, nel cuore, nella testa e nella pancia, dove avrei perso le farfalle che si agitavano grazie a lui.

“Cos'hai fatto quest'estate?” chiese a sorpresa, in un sussurro. Tentai di evitare che la mia voce risultasse tanto tremante.

“A dire il vero … Non molto.” sorrisi tra me e me. “Sono rimasta chiusa in casa a leggere.”

La sua mano continuava ad accarezzarmi lentamente la schiena, ostacolando la mia concentrazione nel dare una risposta coerente.

“Cos'hai letto?”

Sentii il mio viso diventare rosso.

“Libri … Di … Sì, ecco, avventura.” borbottai in risposta, ma abbassai lo sguardo e questo testimoniò la mia terribile inesperienza nel mentire.

Gli occhi di Sulfus si accesero di malizia.

“Cos'hai letto?”

Arrossii furiosamente.

“N-niente di particolare ...”

La sua mano salì verso il collo e il suo viso si avvicinò al mio, in cerca di una risposta. Esibì un sorrisetto beffardo, mentre mi baciava esattamente all'angolo destro della bocca, sfiorandola appena.

Anche quando si staccò, rimase un'impronta che pareva bruciare sulla pelle.

Rimase abbastanza vicino da non poter staccare gli occhi dai suoi, e da sentire il suo respiro sul mio viso; mi dava alla testa.

“Dai, dimmelo ...” implorò, divertito e curioso, avvicinandosi di nuovo a me. Se l'avesse fatto ancora una volta, avrei finito per spostare, praticamente contro la mia volontà, le labbra per incontrare le sue.

“Romanzi.” mugugnai infine, mentre si allontanava appena da me ridacchiando.

“Romanzi, eh?”

Le mie guance dovevano essere ormai fucsia. Approfittando di quella distrazione, si distese accanto a me sul divanetto, fortunatamente abbastanza largo perché potessimo starci entrambi, ma abbastanza stretto, come notai, perché fossimo costretti a stare vicini.

Per un attimo, intravidi un'ombra nei suoi occhi.

“Cosa pensi di fare … Per … Per le lezioni?” chiesi abbassando lo sguardo.

Sulfus alzò le spalle e respirò a fondo.

“Non ne ho idea. Io posso saltarle tutte, ma tu ...”

Mi morsi il labbro. Non sarei riuscita, mai e poi mai, ad odiare un sempiterno a caso solo perché era un Devil. Mi sarei sentita in colpa per il resto della mia eternità.

“Ci penserò.” risposi quindi, cercando di essere vaga. La mia soluzione era purtroppo già pronta.

Dallo sguardo che mi lanciò Sulfus, capii che il suo sesto senso l'aveva già avvertito, ma quello che stavo per fare era una cosa talmente insolita per me che lui non riusciva nemmeno a immaginare cosa stessi per fare.

Non riuscivo, nonostante ciò, a non sperare in una nuova, meravigliosa vita. Ero sempre stata ottimista, in fondo, e notavo, mio malgrado, dei lati positivi: smettere di tormentarmi per tutto questo, avere una nuova amica, una nuova casa … Avevo immaginato molto spesso queste cose, ma le avevo immaginate insieme a lui.

“A cosa pensi?”

Alzai lo sguardo e incontrai il suo, a qualche centimetro dal mio viso.

“Alla nostra vita da umani.”

Sulfus sorrise.

“Se lo fossimo, probabilmente una sera verrei a prenderti,” intrecciò le sue dita con le mie, “con una rosa rossa, e ti porterei nel posto più bello che conosco sulla Terra, al tramonto.” i suoi occhi splendevano. “E ci torneremmo sempre, solo tu e io.”

 

Mi accorsi di essermi addormentata solo il mattino successivo, quando mi svegliai e mi ritrovai tra le braccia di Sulfus, spettinata e sul divanetto della biblioteca.

Dormiva ancora.

A malincuore, mi alzai e mi voltai a guardarlo. Sembrava tanto sereno. Il suo sesto senso gli avrebbe detto che stavo bene.

Gli feci una carezza sul viso, visto che di più non potevo fare senza violare il VETO, e presi il volo verso l'uscita.

Mi sembrava tutto terribilmente surreale, tanto che non riuscivo nemmeno a sentire il dolore per quello che avevo appena fatto. Era come se il mio cervello non l'avesse capito.

Appena arrivai in corridoio, mi accorsi che doveva essere tardi, perché nonostante la limpidezza del cielo sereno, non c'era uno studente in giro; probabilmente erano già tutti a lezione.

Mi diressi di corsa verso la mia stanza. Presto Sulfus si sarebbe svegliato e non volevo che mi trovasse … In procinto di partire.

Mentre correvo, pensai alle mie amiche. Cosa avrei fatto con loro? Mi sentivo un mostro all'idea di andarmene così. Mi avrebbero odiata per sempre?

Aprii di scatto la porta di camera mia e corsi a prendere il borsone sotto il letto. L'unica cosa che aggiunsi fu il mio diario.

Poi saltai nel vuoto, diretta verso la Terra.

Spazio autrice: eccoci dunque all'addio! Non preoccupatevi, non è finita qui ... Devono accadere ancora molte cose, ma come si suol dire, diamo tempo al tempo! Raf e Sulfus hanno bisogno di un periodo di vera e propria lontananza, mente e corpo, per capire quanto sono disposti a rischiare l'uno per l'altra. Non mi farò attendere, come spero le vostre recensioni! Attendo con ansia di sapere cosa ne pensate! =) Baci, Piuma_di_cigno.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 - Nuova vita ***


Capitolo 6 – Nuova vita

 

Tu eri il mio unico fiore:

sei stato reciso e la mia vita è deserta.

Tu eri il mio sole raggiante:

sei tramontato ed intorno ho la notte.

Tu eri l'ala della mia fantasia:

sei stata spezzata e io non posso volare.

Tu eri l'ardore dentro il mio sangue:

ti sei spento e io sono di gelo.

(Sandor Petöfi, Fronde di cipresso, 1842).

 

Quando arrivai a casa di Say, rimasi di stucco. Mi ero trasformata in umana più lontano possibile, per evitare che la mia scia angelica fosse rintracciata lì.

La mia faccia doveva essere esilarante, quando notai che accanto a quella di Say, ben camuffata, si ergeva già un'altra casa.

Esterrefatta, la guardai fissare gli ultimi chiodi.

“Come …?”

Sorrise.

“Ti avevo detto che ci mettevo poco a costruire una casa!”

“Che discorsi!” replicai io, “Poco è una cosa, tu ci hai messo solo una notte!”

Alzò le spalle e scese dal tetto, su cui era salita per fissare una trave traballante.

“E' tua.”

Anche questa era dipinta di azzurro, solo di un colore più smorzato. Gli scuretti non erano stati dipinti, erano rimasti di semplice legno, come la porta.

Say mi guidò all'interno, in una cucina luminosa, con un tavolo in legno. Era tutta arredata in legno, notai. Doveva averla costruita solo con l'ausilio delle piante.

“Cerca di non incendiare niente.”, mi raccomandò, “Più avanti rivestiremo il pavimento con delle piastrelle.”

Annuii.

In salotto c'erano solo un divano, che non avevo idea di dove avesse preso, e un tavolino con qualche libro sopra. Quando passai vicino, notai che si trattava di romanzi.

Le scale salivano al secondo piano, dove c'erano un letto matrimoniale e un armadio. Una finestra era completamente coperta dalle grosse foglie di qualche pianta tropicale.

Appoggiai il borsone e sospirai. Quella era la mia nuova casa.

Say afferrò una sedia lì vicino e si sedette accanto a me.

“Vedrai che andrà meglio.” mi sorrise incoraggiante. “Farà bene a entrambi stare un po' lontani.”

Quella frase non fece altro che far sprofondare il mio cuore ancora più in basso, così rimasi in silenzio.

Say si alzò.

“Ti lascio sola, d'accordo? A quest'ora l'acqua del mare è calda, perché non vai a fare un tuffo?”

E così, uscì da casa mia.

Ora capivo perché avevo messo un costume nel borsone. Mi sbalordiva che l'avessi fatto senza neanche chiedermi il motivo. Il sesto senso era capace di farmi fare di tutto.

Lo indossai in fretta e uscii in spiaggia, badando a non farmi notare da umani di passaggio.

Say aveva ragione; l'acqua era calda. Ed era anche confortante. Mi piaceva il ritmo monotono delle onde.

Andai al largo, godendomi la sensazione rilassante che si propagava in tutto il mio corpo.

Mi tuffai e lasciai l'intero mondo in superficie. Per ora era laggiù che volevo andare, sul fondale. Per fortuna, seppure umana, potevo respirare sott'acqua come gli Angels, così rimasi sotto per molto tempo.

Cercai conchiglie. Erano meravigliose, enormi e colorate. Non era il fondale del mar dei Caraibi, questo era vero, ma le conchiglie c'erano e con un po' d'astuzia avrei anche potuto farne una collana. O uno scaccia-spiriti, ancora meglio.

Quando riemersi, era ormai sera. Avevo passato quasi tutto il giorno in acqua, e adesso ero affamata. Uscii, chiedendomi cosa avrei mangiato – e dove avrei trovato qualcosa da mangiare – quando Say mise la testa fuori dalla boscaglia che copriva le nostre case e mi fece un cenno.

“Vestiti, ti offro la cena.”

“Oh.” risposi, sorpresa, “Grazie Say.”

Sorrise e si infilò in casa.

Io entrai nella mia e indossai il primo vestito che mi capitò in mano. Poi, andai da lei.

Quella sera la cena era a base di pollo e patate e sarebbe stata la prima di una lunga serie di cene insieme. Le raccontai di me e Sulfus in biblioteca, di come mi aveva fatta sentire bene in quegli ultimi istanti, e lei mi raccontò altre passeggiate notturne con Tayco, insieme alle più complicate fughe diurne.

“Domani, sveglia presto, Raf.”

Alzai la testa dalla camomilla che stavamo bevendo dopo aver finito di cenare.

“Perché?”

“Lavori, no?”

“Ho un lavoro?” chiesi stupefatta.

Alzò gli occhi al cielo.

“E' ovvio.”

“E dove lavoro?”

“In pasticceria.”

Quasi mi cascò la mascella dalla faccia che feci.

“Impossibile.” commentai appena riuscii a parlare. Say mi guardò.

“Perché?”

“Io non so cucinare!” esclamai in preda al panico.

“Ovviamente.” replicò lei. “Non ti faranno lavorare subito in cucina. Starai per un po' alla cassa.” bevve un sorso di camomilla. “E' una pasticceria molto piccola, i clienti sono abituali e il personale gentile. Ti troverai bene. Inizierai domani, così potrò aiutarti.”

“Potrai aiutarmi?” ripetei io, sempre più sorpresa.

“Sì. Ricordi, no? Il sabato lavoro in pasticceria.”

Detto questo, Say mi spedì subito a dormire. Disse qualcosa come sonnellino di bellezza e mi trascinò in casa mia, dove mi lasciò solo dopo essersi assicurata perlomeno che salissi le scale.

Quando mi distesi a letto, capii dal sonno che mi invase immediatamente che era stato tutto studiato: il letto comodo, il bagno in mare, la cena squisita, la camomilla e quattro chiacchiere. Say aveva fatto di tutto perché io, una volta toccato il letto, mi svegliassi solo il mattino successivo.

Mentre sprofondavo nel dormiveglia, e poi nel sonno profondo, mi chiesi se l'acqua a cena avesse avuto quel sapore strano perché Say ci aveva messo qualche sonnifero …

 

“Svegliati!”

Grugnii letteralmente e tirai il cuscino alla persona che cercava di svegliarmi. Dov'ero? A casa. Okay. Che ora era? Mistero. Cosa dovevo fare? Qualcosa che riguardava le crostate.

“In piedi!” strillò la voce scuotendomi definitivamente – e bruscamente – dal torpore.

Giusto. Casa, con Say, dovevano essere le sette e dovevo andare a lavorare in pasticceria. D'accordo. Stancamente aprii gli occhi, e mentre i dettagli della sera precedente mi riaffioravano nella mente, chiesi a Say:”Hai messo un sonnifero nell'acqua?”

“Tecnicamente no.” rispose e io capii che equivaleva a un sì. Prima che potessi ribattere o fare altre domande mi aveva già tirata giù dal letto, scaricata in bagno con in mano quella che sembrava una divisa e ordinato di vestirmi.

Ancora un po' intontita, indossai i pantaloni e la maglietta nera. Non sembrava scomoda, anzi. Mi lavai la faccia e uscii. Say era già pronta e mi afferrò la mano, trascinandomi giù dalle scale.

“Siamo in ritardo!” strillò. Notai che stava molto bene con la divisa. Aveva un fisico incredibile e mentre a me la maglia stava larga, a lei stava benissimo, ed era molto attillata sul seno.

Mentre correvamo attraverso la spiaggia, mi accorsi che il mio stomaco brontolava.

Come se mi avesse letto nel pensiero, Say mi promise che appena arrivate al lavoro avremmo avuto cibo a sufficienza per fare colazione.

Non ebbi nemmeno il tempo di vedere che strada stessimo facendo, seppi solo che eravamo arrivate in città e che doveva essere davvero presto, perché il sole stava facendo capolino solo in quel momento all'orizzonte.

Ci fermammo davanti a una vetrina con torte e dolci esposti, e una porta con l'insegna Cioccolato, burro e zucchero di Sara & Sara. Sembrava più il titolo di un libro che il nome di una pasticceria.

Say mi prese per le spalle.

“Bene. Dentro ti daranno un grembiule da mettere e poi farai conoscenza con le sorelle. Il locale si chiama Sara & Sara perché le proprietarie sono due gemelle; visto che sono praticamente impossibili da distinguere, i clienti abituali le chiamano Sara 1 e Sara 2.” alla mia occhiata eloquente, alzò gli occhi al cielo. “Lo so che è strano, ma tu chiamale Signora 1 e Signora 2 e attenta a non confonderle poi! C'è sempre un particolare che distingue la 1 dalla 2, trovalo, ricordatelo e non combinare pasticci!” Mi spinse dentro.

La udii appena dire:”Ci vediamo in cucina” che fui invasa dall'aroma dei dolci appena sfornati. Fantastico. E dire che non era possibile che qualcuno li avesse già preparati, ma evidentemente quello era il profumo della pasticceria. Era sui toni del rosa cipria e dell'oro ed era piuttosto spaziosa. C'erano diversi tavolini, apparecchiati in modo molto grazioso.

A destra, notai subito una porta di legno con la scritta dorata Ufficio in una splendida calligrafia svolazzante. Vidi un grembiule appeso accanto col mio nome e capii che, ovviamente, era destinato a me.

Lo indossai e bussai delicatamente alla porta.

“Avanti!” esclamarono in coro – incredibile – due voci uguali. Entrai timidamente e mi ritrovai davanti due signore bionde, identiche, con lo stesso taglio di capelli. Erano entrambe sulla cinquantina e erano proprio uguali.

Cercai di seguire il consiglio di Say e le scandagliai dal primo all'ultimo neo e accessorio, per trovare qualcosa di diverso tra loro.

Ma fu tutto inutile.

Me ne resi conto immediatamente, perché questo era molto peggio di cercare le differenze sulla Settimana Enigmistica. Molto, molto peggio.

Qui non c'erano differenze!

Per prendere tempo, alzai lo sguardo e mi apprestai al saluto.

“Buongiorno.” dissi, esitante, “Piacere di conoscervi ...” Ecco. Questa era fortuna! Improvvisamente, incontrai gli occhi di entrambe, e trovai la differenza. Una li aveva blu, l'altra azzurri. L'azzurro era il mio colore preferito, quindi …

“Signora 1 e signora 2.” conclusi con decisione. La signora 1 aveva gli occhi azzurri.

Mi guardarono, poi si guardarono, e infine scoppiarono a ridere nello stesso momento.

“Tu devi” cominciò una, “essere Raf.” finì l'altra. O mamma, si completavano le frasi a vicenda, non ci potevo credere! Non avevo mai incontrato due gemelle!

“Dal tuo sguardo cara,” cominciò la signora 2, “sembra che tu abbia visto un fantasma.” concluse preoccupata la signora 1.

Io ridacchiai.

“Scusate, ma non avevo mai visto due gemelle dal vero.” confessai arrossendo. Le due risero di nuovo.

“Eccoci qui allora!”

“Carne e ossa!”

“Dalla testa ai piedi!”

Mi strinsero la mano e mi fecero sedere su una poltroncina in pelle.

“Allora cara,”

“Dicci,” proseguì la signora 1, “che dolci sai fare?”

Sorrisi timidamente.

“A malapena le crostate.”

Risero di nuovo.

“D'accordo.”

“Ti insegneremo noi.”

“E diventerai più brava di entrambe!”

“Ma prima,” alla signora 1 lampeggiarono gli occhi di malizia, “Devi fare un test.” concluse l'altra.

“Ora,” disse una, “chi delle due è la signora 1?”

Indicai quella con gli occhi azzurri.

“Bene.”

“Girati cara!” esclamò la signora 2, in preda a qualche stato di eccitazione.

Obbedii.

“E ora,” iniziò una, “voltati di nuovo!” finì l'altra.

Obbedii di nuovo.

“Chi è la signora 1?” chiese la signora 1.

“Tu.” risposi, eludendo la cortesia di dare del lei per evitare i malintesi.

Le due scoppiarono in un nuovo eccesso di risate, fecero un saltello e mi schioccarono un bacio su entrambe le guance.

“Assunta, cara!” trillò la signora 2.

“Sono così felice!” trillò la signora 1.

Mi presero a braccetto e, trascinandomi fuori dall'ufficio, mi collocarono alla cassa.

“Fa' la brava, e ti trasferiremo in cucina!” esclamò la signora 1. “Sarai la migliore!” assicurò la signora 2. E così, andarono verso la porta, girarono il cartello con scritto aperto e la mia prima giornata di lavoro iniziò.

Le gemelle, lavoravano in cucina con Say, e un'altra ragazza di nome Ruby portava i dolci ai tavoli e prendeva le ordinazioni. Era un misto tra una pasticceria e un bar.

Quella mattina era successo tutto talmente in fretta, che il pensiero di Sulfus era rimasto latente dal mio risveglio, e, per fortuna, anche durante il giorno fu così; il fatto era che l'atmosfera in quel posto era tanto felice e rilassata da contagiarmi.

Le gemelle erano in cucina con Say, ma non c'era una vera e propria porta a dividerla dalla zona cassa, quindi sentivo tutti i loro battibecchi … E c'era da divertirsi un sacco.

“Oh, cara, ti prego, lo sai che in fondo Jim non ha mai amato nessuna delle due!”

“Oh, non dire così! Diceva che ero bella come un cigno ...”

“Oh, a me diceva che ero bella come una rosa appena sbocciata ...” e sospiravano insieme. “Ricordi la canzone che ballò con entrambe?”

“Sì! Ballò O Susanna, vero, cara?”

“Sì! Che risate!”

“Ma ci aveva scambiate, cara!”

“Quell'infame!”

“Quel farabutto!”

“Quella mela marcia mefitica!”

Pausa.

“Ma non stai mettendo un po' troppa farina in quell'impasto, cara?”

“So quel che faccio, e qui ci vanno 250 grammi!”

“No che non ce ne vanno! Lo sanno tutti che in quei muffin se ne mettono 150!”

“Io cucino da più di trent'anni!”
“Anch'io!”

“Piantatela, voi due!” strillava allora Say esasperata e le due se la prendevano con lei.

“Vuoi forse mettere in discussione la nostra esperienza?”

“Nostra, dici? Ma se tu di esperiente non hai proprio niente!” e di nuovo tra loro.

“La parola esperiente non esiste!”

“Ah, discutiamo la grammatica ora! Sai che c'è? Sei sempre stata gelosa del mio nove in italiano quando tu avevi otto e ora me lo rinfacci!”
“Brutta megera, come osi? Prendesti nove solo perché Jim, quel farabutto, ti suggerì!”

“Ah, quell'imbecille! Ha portato solo grane! Sfasciafamiglie che non è altro!”

“Razza di idiota!”

“Ricordi come mi vendicai, cara?”

“Oh, sì, sì!”

“Certi errori si pagano con gli schiaffi!”

Il povero Jim doveva aver fatto qualcosa di davvero orribile.

“E ricordi Edoardo?”

“Edoardo, cara?”

“Ma sì, quel ragazzo con cui uscivo! Inviò me alla festa, ma quando venne a prendermi ci scambiò e sulla porta baciò te anziché me!”

“Oh, sì!” la signora 2 sospirò. “Ma nessuno è stato peggio di Jim.”

“Nemmeno Alexander?”

“Cara!” esclamò scandalizzata, “Non posso credere che ancora lo nomini! Insomma, è stato ...” trasalì, “orribile! Non ricordi l'imbarazzo?”

La signora 1 scoppiò a ridere.

“Ricordo la sua faccia quando tu gli tirasti un calcio noi – due – sappiamo – dove!” esclamò e allora rise anche la sorella.

“Oh, insomma!” gemette Say. Udii sbattere la porta del forno e azionare un frullatore.

“E ti regalò un gatto per scusarsi ...”

“Per l'amor del Cielo,” strepitò la signora 1, “quella bestia era indemoniata, ed è anche un complimento!”

“Occhi rossi come il demonio!” rincarò la signora 2.

“E aveva anche il pelo rosso!” aggiunse terrorizzata la signora 1.

“E insomma!” strepitò Say, “Non tutti i demoni sono cattivi!”

Per un momento tacquero tutte e tre.

“Cara Say, non ci posso credere!” disse scandalizzata la signora 2.

“Davvero, no! Non tu!”

“Com'è possibile che tu conosca il demonio?” chiesero le due in coro e me le immaginai fissare una serissima Say, che in realtà si stava trattenendo più che poteva per non scoppiare a ridere.

“L'ho visto!” esclamò lei. “E, sapeste ...”

Ma purtroppo non seppi, visto che due signore entrarono a braccetto nel locale. Almeno queste non erano gemelle.

“Una nuova commessa!” esclamò la prima illuminandosi. Erano molto più vecchie delle proprietarie della pasticceria, ma sembravano ugualmente affiatate.

“Ma guarda, Nancy! Che carina!” sorrisi, arrossendo.

Le due mi fissarono.

“Che bei capelli!” mi disse Nancy.

“Grazie.” risposi io.

Ridacchiarono entrambe.

“Vorremmo il solito, grazie.”

Poi mi guardò di nuovo, e si scusò.

“Mi dispiace, Raf! Avevo dimenticato che sei nuova ...”

Nancy scosse la testa.

“Quando cambiano commessa, è sempre convinta di conoscerla benissimo.”

Ruby, che stava pulendo un tavolo, sorrise.

“Coraggio, chiamami Sara. Il solito, per noi, è fare quattro chiacchiere!”

Andarono a sedersi, in attesa.

Io mi affacciai in cucina.

“Se Bill è più bello di Jim, allora mi mangio il cucchiaio!”

“Mangialo pure, tanto sai che è vero!”

“Ehm ...” le interruppi. “Scusate,” si voltarono contemporaneamente verso di me, “una certa Nancy e una sua amica vi vogliono di là.”

“Oooh,” cinguettò la signora 1.

“Oooh,” cinguettò la signora 2, e si precipitarono fuori dalla porta.

“Nancy cara!”

“Oh, Lory!”

“Come state?”

“Una meraviglia! Ma voi due siete sempre uguali!”

“Ovvio, siamo gemelle!”

“Che è successo al tuo polso?”

E avanti così.

Ridacchiando entrai in cucina.

Say sorrise.

“Tra poco vorranno quattro fette di crostata ai mirtilli, te la preparo.”

“E' così ogni giorno?” chiesi, riferendomi forse alle chiacchiere delle gemelle, forse all'arrivo di Nancy e Lory.

“Anche peggio!” esclamò Say. “Io non mi ci abituerò mai. Le trovo insopportabili ...” Ma capii che non era vero.

Mise la crostata a raffreddare.

“Fammi indovinare: ti hanno fatto fare il test?”

Annuii.

“Si scambiano di posto quando ti giri. Come le hai riconosciute? Si vestono uguali apposta!”

Sorrisi.

“La signora 1 ha gli occhi azzurri, la signora 2 blu.”

In quel momento, le sentii chiamarmi.

Corsi di là e trovai quattro paia di occhi entusiasti che mi fissavano.

“Ci porteresti quattro fette di crostata ai mirtilli, Raf cara?” chiese la signora 2. Sorrisi e annuii. Say mi passò subito i piatti.

“Avevo ragione.” precisò. Io ridacchiai.

“L'ho notato.”

 

Il mio primo giorno di lavoro fu divertente, ma estenuante. Nel corso della giornata la pasticceria si era riempita di gente, per quanto al mattino sembrasse impossibile, e io non ci sapevo fare granché con le casse e i soldi umani.

Per fortuna Say comprendeva il mio disagio e mi aiutava.

La sera, crollai esausta sul letto e dimenticai persino di cenare e togliermi la divisa.

Prima di addormentarmi, però, pensai che forse era proprio questo che mi ci voleva: giornate tanto intense e lontane da Sulfus da non avere nemmeno cinque secondi per pensare a lui.

Ma non potevo sfuggirgli.

Nei sogni, i suoi occhi color topazio brillarono e ricordai ogni singolo bacio e carezza dell'ultima sera trascorsa insieme. Ricordai i brividi di caldo e freddo lungo la schiena nel sentirlo avvicinarsi e il cuore che batteva sempre più forte mentre mi circondava la vita con un braccio e la strana apatia che mi aveva avvolta mentre me ne andavo.

Lentamente, la sentivo scemare per lasciare posto al dolore.

 

“Sveglia Raf!” questa volta mi svegliai al primo colpo. Ero già vestita, quindi mi lavai i denti e il viso e seguii Say verso la pasticceria.

Questa volta eravamo puntuali, così ebbi il tempo di memorizzare la strada per arrivarci. Facemmo colazione lì e io avevo una fame da lupi, visto che la sera prima non avevo cenato.

Le gemelle chiesero perplesse a Say se avessi qualche disturbo alimentare, vedendomi mangiare in quel modo alle sei del mattino.

Lei rise di gusto e dichiarò che no, non avevo niente del genere. Le gemelle si dimostrarono sollevate, ma poi notarono che ero troppo magra e così borbottarono qualcosa tra loro su come i giovani di oggi fossero denutriti.

Mi dissero che loro, alla mia età, erano fin troppo in carne e che quella volta tutti si accettavano così.

Quel giorno eravamo andate lì solo per aiutarle nelle pulizie, niente di più. La domenica e il lunedì erano i nostri giorni liberi, e forse un anno o due prima ne sarei stata felice, ma in quel momento proprio no.

Come avrei fatto a tenere a bada il pensiero di Sulfus senza niente da fare?

Quella mattina pulimmo la cucina e i pavimenti. Non c'era molto da fare, quindi entro mezzogiorno io e Say salutammo le gemelle, che questa volta discutevano su quanto fosse magro Jim, e andammo a prenderci un gelato.

Notando quanto ero silenziosa, mi lanciò un'occhiata.

“Tutto bene?”

Annuii appena.

Chissà qual era il gusto preferito di Sulfus. Forse il cioccolato. Quello di Say era il pistacchio.

“Sicura?”

Annuii di nuovo.

Mi sentivo terribilmente sola, nonostante ci fosse lei con me. Mi sembrava che mi si stesse lentamente scavando una voragine dentro; nel cuore, dove non c'era più il battito dedicato a Sulfus, nella mente, che non veniva più riempita dalla felicità nel vederlo, nella pancia, priva delle farfalle che volavano quando ero con lui, e nelle mani, dove mancavano le sue dita intrecciate alle mie.

Mi si chiuse lo stomaco e improvvisamente, vedendo il gelato, mi venne solo da vomitare. Finì che lo buttai nel cestino quando Say non guardava.

La mia gola si era chiusa dalla voglia disperata di piangere.

Cosa dovevo fare? Tornare e soffrire di nuovo, ancora di più, o rimanere lontana, e soffrire lo stesso? Cosa stava pensando Sulfus in quel momento? Qualcuno si era già accorto che me n'ero andata?

Cominciai a sudare per l'angoscia.

“Raf?” Say mi fissava preoccupata. “Ti senti male?”

Annuii leggermente. Mi girava la testa.

Parve vedere il vuoto che vagava nei miei occhi. Non mi sentivo male. Mi sentivo … Persa.

Quando capì, mi circondò le spalle con un braccio.

“Ti serve solo una valvola di sfogo.” la sentii dire. Non so come, riuscì a farmi alzare e camminare.

Prendendomi per mano, mi portò attraverso la città che ormai girava sempre di più nella mia testa. Solo alla fine, capii che mi stava riportando a casa.

Mi aiutò a salire le scale e mi fece distendere a letto, poi mi porse un bicchier d'acqua.

“Bevi.” disse, “Domani mattina andrà tutto meglio, vedrai.”

Ci volle poco perché mi addormentassi. Sì, aveva messo un sonnifero nell'acqua. Sapeva che ne avrei avuto bisogno.

Mormorai un sincero grazie a Say e poi sprofondai nel sonno.

 

Quel sonnifero doveva essere davvero potente; era già la mattina del giorno dopo. Avevo dormito tantissimo, e senza mai mangiare.

Vidi la mia immagine riflessa nello specchio del bagno e vi trovai una ragazza pallida, con la pelle bianca e spettinata. Sembrava quasi che avessi avuto l'influenza.

Scesi le scale mentre mi infilavo un vestito blu, che tenevo sempre con me, visto che era comodissimo.

“Buongiorno, Raf!” esclamò Say. Aveva preparato la colazione, e si conquistò un sorriso di prima mattina.

“Come ti senti?”

“Un po' scombussolata, a dire il vero.”

“Dai, siediti.” mi incoraggiò, indicandomi una delle due sedie accanto al tavolo. Obbedii, vista la fame.

Say fece colazione con me, ma non c'era paragone tra quello che mangiò lei e quello che divorai io. In fondo, era dal gelato del giorno prima che non mangiavo!

Rise quando sentì i miei mugolii di piacere rivolti ai meravigliosi dolci che aveva preparato.

Appena fui sazia, Say si alzò.

“D'accordo, Raf.” notai una strana luce nei suoi occhi. “Vieni con me.”

Mi prese per mano e mi guidò fuori da casa mia, verso il mare. Era mattina presto, il sole stava appena sorgendo, e la spiaggia era come sempre deserta. Nessuno veniva da quelle parti, oltretutto sul finire dell'estate.

Si mise di fronte a me, vicino all'acqua.

“Okay, ora dimmi: qual è il potere principale dei Devils?”

Aggrottai le sopracciglia. Cos'aveva in mente?

“Il fuoco, perché?” risposi quasi subito. Non capivo dove volesse arrivare, quindi non mi restò altro che stare al gioco.

“Bene.” disse, ignorando la domanda. “E qual è il potere principale degli Angels?”

Bella questa. Ci pensai un attimo, ma non mi venne in mente niente. Avevamo molti poteri collegati alle ali, eppure avevo la sensazione che non fosse questo che lei intendeva. Allora cosa? Non avevo neanche mai immaginato di avere poteri che non conoscevo.

La mia espressione disorientata parve renderla piuttosto soddisfatta.

“Non lo sai.” cantilenò con un sorrisetto. “Bene bene.”

La fissai, in attesa.

“Raf,” disse, seria, “il potere degli Angels è il ghiaccio.”

Sgranai gli occhi.

“Non può essere!” ribattei. “Il ghiaccio è freddo, crudele … Non può essere degli Angels.”

Ridacchiò.

“Sì, invece. Fidati.”

Guardai le mie mani, come se potessero congelarsi da un momento all'altro.

“Non lo sapevo.” dissi infine, perché fu l'unica cosa che mi venne in mente. Non mi era mai piaciuto l'inverno. Possibile che fosse dentro di me?

“Il ghiaccio non ha solo quell'aspetto.” precisò Say. “Che mi dici della bellezza di un ghiacciolo al sole? O di pattinare sul ghiaccio? O della brina, che tiene le piante al caldo per proteggerle dalla neve? O delle notti di neve, a Natale?”

“In effetti,” ammisi, “ha il suo lato positivo.”

Say lanciò un'occhiata in giro, come per assicurarsi che non ci fosse nessuno.

“Guarda.”

Aprì il palmo della mano e quando ne spuntò una fiammella io sussultai.

“E' … E' fuoco?”

Ridacchiò.

“Sì, ma non posso fare più di così. Mi è rimasta solo la possibilità di fare qualche trucchetto come questo. Ma tu,” proseguì inchiodando gli occhi nei miei, “puoi fare molto meglio, anche in forma umana.”

Di nuovo, guardai le mie mani, esterrefatta.

“Coraggio, Raf!” gli occhi di Say brillavano. “Devi solo crederci!”

Difficile a dirsi. È un po' difficile che una persona che mai nella sua vita ha creduto di saper fare qualcosa, all'improvviso ci riesca. E poi, cosa dovevo fare? Far nevicare?

“Ti dimostro che ne sei capace.” disse Say. Mi afferrò una mano e ne fece combaciare il palmo con il suo. “Provo a creare una fiammella.” ma quando staccò le mani, fu solo l'acqua a scorrermi tra le dita.

“Visto?” era raggiante. “Fuoco più ghiaccio uguale acqua! O vapore,” si corresse, “dipende dalla temperatura.”

Mi fece un cenno verso il mare.

“Ma se un Angel decide di toccare l'acqua e farla diventare ghiaccio ...”

Ero scalza e decisi di provare a mettere un piede sulla superficie dell'acqua. Mentre mi avvicinavo, continuavo a pensare che non fosse possibile. Insomma … Ghiaccio? Ma scherziamo?

E proprio quando stavo per toccare l'acqua, il mio sesto senso scattò e tutto intorno a me si annullò.

Potevo farlo.

Sapevo di poterlo fare.

Quando toccai l'acqua, per un attimo attorno al mio piede brillò una sottile lastra di ghiaccio, che sparì subito.

“Ah! Io l'avevo detto!” esclamò Say. Ero davvero sorpresa. Funzionava. Avrebbe fatto parte della distrazione. Non sapevo a cosa potesse servire, ma il mio sesto senso mi avvertì: dovevo imparare a padroneggiare questo potere il prima possibile.

Riprovai e l'acqua si ghiacciò di nuovo, ma sciogliendosi subito.

“Prova a congelare qualcosa di più semplice.” suggerì Say. “L'acqua corrente è difficile da ghiacciare, soprattutto in questa stagione, perché è ancora calda.”

Mi voltai in cerca di qualcosa su cui esercitarmi.

Ancora mi chiedevo perché lo stavo facendo, quando mi ritrovai a cercare di congelare le foglie delle piante che Say si divertiva a far crescere attorno a me.

All'inizio, facevo solo un sacco di pasticci. Creavo neve imprevista e il ghiaccio mi sfuggiva dalle mani. Non riuscivo a concentrarmi sulle foglie.

Oppure, esageravo e congelavo l'intera pianta, facendo ridere Say. Era del tutto imprevisto, e la prima volta avevo lanciato uno strillo ed ero scappata. La seconda ero praticamente saltata addosso a Say dallo spavento.

Alla fine, congelai la sua maglietta. Si stava letteralmente sbellicando dalle risate e, di tanto in tanto, faceva apparire dal nulla qualche fiammella.

Ghiacciolo fu il mio soprannome, quella mattinata, insieme a Inesperta signora di ghiaccio. Quando, verso mezzogiorno, riuscii a congelare la prima foglia, ero talmente entusiasta che, saltando, caddi e finii in acqua, bagnandomi e riempiendomi di sabbia fino al midollo.

Entrambe esauste, io e Say decidemmo di cambiarci e andare a mangiare una pizza poco lontano. Notai che le mie unghie erano diventate blu, cosa che ogni tanto avevo notato anche nel professor Arkhan. Dunque anche lui possedeva questo potere. Probabilmente non ci aveva ancora insegnato nulla perché il nostro livello di studi non era sufficiente.

“Allora, Gelata ambulante, proseguirai anche nel pomeriggio?” chiese Say sulla strada verso la pizzeria. Io annuii, ignorando il soprannome.

“Penso … Che potrebbe servirmi, anche se non so proprio perché.”

Alzò le spalle.

“Il sesto senso rimane con noi per sempre. Stamattina, appena mi sono alzata, mi sono messa in testa di dirti questa cosa, anche se non so perché.” scosse la testa. “E pensare che io non so un accidente dei poteri degli Angels.”

Storsi la bocca.

“Non avevo mai pensato di avere un potere simile.”

“E io non avrei mai pensato di avere un potere sulle piante, da umana, ma eccomi qua.”

Mentre prendevamo posto in pizzeria, le chiesi come l'avesse scoperto.

“Oh, questa è una storia divertente.” rispose. “Ero appena arrivata qui e si dà il caso che io sia cascata proprio sulla spiaggia. Non avevo la più pallida idea di cosa fare, anche perché in giro non c'era nessuno, ed era notte. Ho pensato di riposare un po' sulla sabbia, così mi sono scavata una sorta di giaciglio e mi sono addormentata.” bevve un sorso d'acqua. “Che tu ci creda o no, quando mi sono svegliata ero circondata da un letto di fiori. Avevo sognato che Tayco me li regalava.” sorrise, scuotendo la testa. “A quel punto il mio sesto senso è scattato e ho capito che quella cosa era mia, che ero stata io.”

“E' così ogni volta?” chiesi, “Il sesto senso scatta e tu capisci?”

Annuì.

“Non hai altro modo. È una sensazione, una cosa che la ragione non può controllare, né capire.”

“Eppure mi sembra così strano ...” ripetei. “Avrei capito l'acqua, o l'aria, ma … Il ghiaccio?”

Era una sensazione senza paragoni. Non potevo crederci.

Say ridacchiò.

“Oh, Raf. Ghiaccio uguale acqua più aria fredda, capisci?”

No, non capivo. Me lo si leggeva in faccia.

Sbuffò.

“D'accordo. Osserva.”

Aprì il palmo di una mano e ne uscì una fiammella.

“Fuoco.”

Aprì l'altro e ne nacque una pianta.

“Terra.”

Mi fissò.

“Poteri dei Devils.”

Poi prese la mia mano.

“Acqua.” disse.

Prese l'altra.

“Aria.”

Le unì.

“Acqua più aria fredda uguale ghiaccio. Mi segui?”

Annuii.

“Credo di sì.”

“Bene. Dato questo fatto, gli Angels non usano da secoli i poteri separati, anche se sarebbe questa la loro vera natura. Il ghiaccio è più forte contro il fuoco, mentre l'acqua crea solo vapore e l'aria lo alimenta. Per questo i due poteri si sono uniti.” spiegò come se nulla fosse.

“Ma se volessi potrei usarli separatamente?”

Alzò le spalle.

“E' molto difficile, ma se vuoi puoi provare.”

Mentre mi immaginavo padroneggiare l'acqua, un'immagine di Sulfus con il fuoco mi attraversò per un attimo la mente, ma la scacciai subito. Ora basta pensare al passato.

Impazzivo dalla voglia di tornare da lui, ma sapevo di non poterlo fare. Era finita. Io avevo finito con lui. E, che mi piacesse o meno, era quella la mia nuova vita.

Spazio autrice: finalmente, ecco il nuovo capitolo! Ci ho messo tanto a pubblicarlo perché è stato un po' più lungo e complicato da scrivere. In ogni caso, sto già iniziando il successivo e spero aggiornerò tra breve. Buona lettura; aspetto le vostre recensioni! =) Baci, Piuma_di_cigno.

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 - Questione di esercizio. ***


Ed io, dolente, solo ardo ed incendo
in tanto foco, che quel di Vulcano
a rispetto non è una favilla.
(Giovanni Boccaccio, Rime, XIV secolo).

Capitolo 7 – Questione di esercizio

Coraggio. Acqua. A colazione, lunedì mattina, fissavo intensamente il bicchier d'acqua che Say aveva lasciato sul tavolo. Cercavo di sollevarne il contenuto liquido, ma con scarso risultato.

Su, coraggio, so che mi senti. Dai, per favore.

Aggrottai le sopracciglia, sperando che aiutasse. Niente da fare.

SU! ordinai ad un certo punto con fare imperioso. Niente. Non tremolava neanche. Sospirando delusa, vi immersi un dito e mi concentrai per congelarla. Funzionò.

Mi ero allenata molto il giorno precedente e ora ghiacciare le cose era più facile, ma separare i poteri non lo era per niente. Mancava qualcosa; il mio sesto senso non scattava.

“Ah, vedo che hai fatto progressi.” disse Say mentre entrava in cucina, alludendo al bicchiere congelato. Sospirai, appoggiando la testa sulle braccia.

“Non è quello che intendevo.” brontolai. Si strofinò i capelli bagnati con un asciugamano, scuotendo la testa.

“Senti, se ti riferisci a quella storia di separare i poteri, lascia perdere.” mi avvertiva da quando me l'ero messo in testa. “E' una frustrazione inutile.”

Storsi la bocca, ma non replicai. Non mi andava proprio giù l'idea di avere il potere del ghiaccio. D'accordo, poteva avere dei lati positivi, ma era … Freddo. Crudele. Buio. Non volevo che gli Angels si portassero l'inverno dentro.

Nemmeno Say disse nulla e si alzò per prendere qualcosa in un armadietto. Negli ultimi giorni, avevo cominciato a notare quanto era bella.

Non era bella nel modo di una Devil, ma in quello di una straordinaria e meravigliosa umana. I capelli corvini le arrivavano quasi fino alla fine della schiena, morbidi e setosi, e aveva le curve nel posto giusto, della grandezza giusta.

Anche con una semplice canottiera bianca e un paio di pantaloni larghi, come in quel momento, era splendida.

D'accordo. Concentrazione.

Abbassai lo sguardo sul bicchiere. Separare i poteri.

Acqua! Pensavo che gridare il suddetto elemento funzionasse. Sbagliavo.

Punto e a capo.

Concentrazione.

Visualizzazione del movimento.

Creare una bolla. Coraggio. Uno, due, ce la potevo fare … No, niente.

“Raf, vuoi fissare quel bicchiere tutto il giorno?” chiese ironicamente Say, già sulla porta di casa. Scossi la testa e mi alzai.

“No, no, provo col mare. Sarà più interessante.”

Uscii anch'io e, mentre lei faceva giardinaggio, io fissavo l'acqua a gambe incrociate.

Solo dopo un'ora e mezzo di fallimenti, Say si appoggiò alla vanga con cui stava lavorando e mi guardò.

“E va bene!”

Sussultai per la sorpresa.

“Va bene cosa?”

“Senti, non posso garantirti che non sia tempo perso, ma ti suggerirei di provare a chiudere gli occhi per farlo. Non ti serve a niente fissare l'acqua come un pesce lesso.”

“Grazie!” dissi, raggiante. Quel giorno scoprii qualcos'altro su Say: detestava che le persone a cui teneva perdessero tempo. Non riusciva a sopportarlo. La vita, per lei, non doveva andare sprecata. Neanche un secondo.

Seguendo il suo consiglio, chiusi gli occhi, feci un bel respiro e mi concentrai per l'ennesima volta. Immaginai di scorrere con l'acqua. Lasciai che il suono delle onde mi invadesse la mente.

Concentrazione.

Il mio sesto senso scattò.

“Acqua!”

Nell'istante in cui aprii gli occhi, vidi una specie di bolla informe sollevarsi con la velocità di un bolide e andare a colpire Say in pieno viso.

Gridò per la sorpresa, quando sentì l'acqua gelida arrivarle addosso. Non avevo separato del tutto acqua e ghiaccio, e parte era congelata.

“Raf!” ansimò Say. “Si può sapere come hai fatto?! No, che come hai fatto, ora ti lego le gambe con le alghe! Perché mi hai tirato l'acqua addosso? Avevo appena fatto la doccia!!”

Mi trattenni dallo scoppiare a ridere.

“Non l'ho fatto apposta ...” balbettai, ma era più forte di me, ero piegata in due dalle risate.

“Ma scherziamo!?” esclamò Say, “Che hai da ridere? Qui non c'è niente da ridere!” eppure rideva anche lei.

Quando ci calmammo un po', si scostò i capelli dal viso e li legò con un elastico.

“Come hai fatto?”

“Non so, ho chiuso gli occhi, come hai detto tu.”

Say gettò all'indietro la testa e rise di gusto.

“E poi sono i Devils quelli testardi!” e, senza aggiungere altro, rientrò in casa, con l'ovvia intenzione di asciugarsi. Il mio prossimo obbiettivo era fare una cosa simile ad occhi aperti.

Concentrazione.

“Acqua!” il sesto senso scattò e una secchiata d'acqua gelida mi piombò sulla testa, subito dopo quella che parve una secchiata di neve.

Non potei fare a meno di strillare dallo spavento, più che altro per il freddo improvviso.

Say uscì di corsa, avvolta in un asciugamano.

“Raf, che hai?”

Mi vide lì, seduta, che tremavo in mezzo alla neve.

“Oh, per le fiamme degli Inferi!”

Mandò qualche fiammella verso di me e sciolse parte della neve. Mi alzai, congelata e stordita, sotto gli occhi divertiti di Say.

“Vuoi ancora continuare?”

“Ma certo!” dissi con determinazione. Mi sedetti di nuovo.

Concentrazione.

Questa volta, riuscii a sollevare piano la bolla, ma mi cadde a nemmeno un metro di altezza. Sbuffai.

Concentrazione.

“Acqua!”

L'acqua si sollevò di scatto e partì come un bolide verso la spiaggia, fece una mezza capriola in aria e, quando pensai al ghiaccio per disperazione, si trasformò un un blocco congelato che andò a sfracellarsi con un fracasso tremendo tra casa mia e quella di Say.

Lei mise la testa fuori dalla finestra.

“Raf!” esclamò, vedendo la neve che si scioglieva davanti a lei. Rise di nuovo e mandò le fiammelle a scioglierla più in fretta. “Se continui così, finirai per ammazzare qualcuno!”

Alzai le spalle.

“Temo proprio di sì.”

Mi voltai di nuovo, ma questa volta non mi sedetti. Stare in piedi mi dava maggiore sicurezza. Puntai bene i piedi sulla sabbia.

Concentrazione.

Tutti i muscoli del mio corpo si tesero sotto il peso della bolla che si sollevava e usciva dall'acqua. Percepii la sua temperatura fredda e feci sciogliere il ghiaccio all'interno, ma sapevo di non poter fare di più, visto che il fuoco e il caldo erano parte dei Devils.

La sollevai lentamente, le mani protese in avanti.

La guidai verso di me, digrignando i denti per lo sforzo. Ero tutta sudata e sentivo che stavo per cedere.

Coraggio. Ancora un attimo … Splash! Ma almeno, questa volta non era caduta addosso a nessuno.

Ero ancora bagnata fradicia e risentita: lo vedevo quasi come un tradimento, il fatto che l'acqua mi si fosse schiantata addosso prima.

Dopo l'ultima bolla, decisi di lasciar perdere per un po' e andare a cambiarmi. Non riuscivo più a concentrarmi e, per quel giorno, il mio sesto senso disse che era anche troppo.

Anche se non capivo perché, mi sentivo euforica. Era come se avessi un bisogno disperato di imparare quelle cose. Motivo, dite? Raro che il sesto senso ne desse uno.

Mi avvicinai a Say, che nel frattempo era uscita di nuovo e stava lavorando in giardino.

“Ti fermi?”

Annuii.

“Sono stanca.”

“Okay, allora guarda questo.” nei suoi occhi si accese una luce di entusiasmo e protese le mani in avanti. In men che non si dica, un grosso cespuglio di fiori rampicanti era cresciuto davanti a noi.

Che meraviglia!

Lo fissai esterrefatta.

“Bello, eh?”

Say sapeva ben poco cosa fosse la modestia. Ma, del resto, aveva proprio ragione.

“E' … E' … Eh …. Eh ...” e all'improvviso, sentendo l'odore dei fiori, starnutii. Quando aprii gli occhi, notai che gran parte dei petali era stata strappata, abbandonando una corolla soltanto, qua e là.

“Ehi!” esclamai, “Che è successo?”

Say mi fissò inebetita.

“Per favore, non starnutire mai più.”

Sgranai gli occhi.

“Sono stata io!?”

“Ovvio!”

“Ma … Ma come? Perché?”

Say mi guardò come se fossi appena scesa da Marte.

“Raf, è naturale non controllare i nuovi poteri.”

Solo in quel momento, notai che la metà del cespuglio, a cui non erano caduti i petali, era coperta da uno spesso strato di acqua, neve e brina.

Ridacchiò vedendo la mia espressione.

“Migliorerai, coraggio!”

Fece scuotere la pianta e le fece rispuntare i petali mancanti.

“Aiutarti è più pericoloso di quanto immaginassi.” commentò Say, quando mi allontanai per evitare di starnutire ancora sulla sua pianta.

Questa volta, formai un cubetto di ghiaccio, che prese ad andare alla deriva in mare.

“Mpf ...” brontolai, “Meglio che faccia ancora un po' di esercizio.”
Quel giorno, insieme alla mia nuova vita, comparve una nuova me. Costanza, pazienza e concentrazione. E mai, mai, mai arrendersi.

Entro quella sera, riuscii a creare bolle d'acqua prive di ghiaccio e a muoverle un po', ma i progressi erano rari e difficili. Dovevo stare attenta ogni volta che starnutivo; aveva provocato l'allagamento della cucina nel pomeriggio.

Say aveva dovuto impiegare un centinaio di fiammelle per asciugare tutto.

Quella sera, a cena, riuscii a far uscire l'acqua dal bicchiere, ma ci mancò poco che si schiantasse nel riso di Say, quindi decisi di smettere. La sua occhiataccia fu più che eloquente.

Non era proprio autunno, perciò la luce e il caldo rimanevano ancora fino a tardi; dopo cena uscimmo e Say poté vedere i miei progressi.

Con il ghiaccio era piuttosto facile, per fortuna.

Ghiacciai un pezzettino di mare e vi pattinai sopra a piedi nudi, ridendo e facendo giravolte. Imparare quelle cose mi faceva sentire così bene. Era come una droga per dimenticare Sulfus: più droga assumevo, per più tempo riuscivo a tenere a bada i ricordi.

Contrariamente a quanto immaginavo, non era il dolore ad aver preso posto nella mia mente: era un vuoto. Un vuoto terribile allo stomaco e al cuore, sempre lì, sordo, ma presente. Ogni tanto, mi sembrava che le fiamme dell'Inferno si fossero portate via definitivamente Sulfus da me, anche se sapevo che lui era ancora alla Golden School, vivo e vegeto.

Era preoccupato? Forse. Ormai erano passati un po' di giorni da quando me n'ero andata. Sperai che lui e i miei amici non cominciassero le ricerche. Non ero pronta per incontrare nessuno di loro e non volevo fuggire ancora; vivere con Say mi piaceva.

Non era simile a una madre, e nemmeno completamente a un'amica o a una nonna. Era Say e mi aveva aiutata tantissimo negli ultimi tempi. Chissà come avrei fatto senza di lei!

Mentre il sole tramontava, annegando nel mare, noi giocammo a pattinare sul ghiaccio che avevo creato, e poi a farci scherzi a vicenda, ritrasformando la lastra di ghiaccio in acqua quando l'altra non se l'aspettava. Lei con le fiamme, io con l'acqua vera e propria. Tendevo a renderla ancora piuttosto fredda, ma persino Say dovette ammettere che stavo migliorando.

Rientrammo bagnate fradice e, dopo la buonanotte e una camomilla, io andai a farmi una doccia e lei crollò esausta sul letto. Si addormentò ancora prima che chiudessi la porta di casa sua.

Sotto la doccia, mi abbandonai alla sensazione di calore dell'acqua e cercai di non pensare a Sulfus, concentrandomi su quando mi sentissi bene. Era da molto che non facevo esercizio fisico e i miei muscoli erano intorpiditi e rigidi; riprendere quest'abitudine con uno scopo prefisso mi aveva fatto decisamente bene.

Appena mi misi sotto le coperte, sentii la familiare sensazione di stanchezza che mi si appiccicava addosso ogni sera. La giornata era stata faticosa, e la doccia e l'acqua di mare avevano fatto insieme il loro lavoro.

Say lo faceva per il mio bene: mi ero accorta che cercava di tenermi più impegnata possibile e io le ero grata per questo. Segretamente speravo che forse, se avessi finto di non avere quel vuoto ovunque, alla fine sarebbe scomparso davvero.

 

Il mattino seguente mi svegliai da sola, all'ora giusta, ma mi accorsi subito che qualcosa era cambiato. L'aria era molto più fredda, non era tiepida come lo era di solito a quell'ora.

Mi affacciai alla finestra e, spostando un paio di foglie, vidi che sulla spiaggia erano ammassati tronchi e resti di vario genere; doveva esserci stato un temporale, la notte scorsa.

E addio all'estate, pensai tra me e me.

Aprii il borsone, alla ricerca di qualcosa di più caldo da mettere. Avevo infilato lì dentro vestiti per tutte le stagioni, a detta del mio sesto senso. Era parecchio strano che gli avessi dato retta fino a quel punto.

Afferrai un vestito bianco come una nuvola e leggermente più pesante di quello che indossavo di solito, con le maniche lunghe. Vi abbinai delle calze e un paio di stivaletti chiari. Raccolsi i capelli in una crocchia disordinata e uscii, portandomi dietro un cappotto color crema che avevo preso l'estate scorsa in un negozio al Nord.

Incontrai Say, che usciva nel mio stesso momento. Indossava una maglia nera e un paio di jeans.

“Ciao Raf!” mi salutò.

“Ciao!” risposi io. “Come mai sei già in piedi? Oggi non lavori, se non sbaglio.”

“No, infatti.”, confermò lei, “Devo fare un salto in un negozio vicino, quindi ti accompagno fino alla pasticceria.”

Sorrisi e mi incamminai a fianco a lei.

“Devo andare in libreria.” mi spiegò.

“Ti piace leggere?” ero un po' … Sorpresa. Pensavo che i Devils detestassero leggere.

“Sì, certo.” ridacchiò. “Ultimamente mi dedico un po' ai romanzi, ne voglio comprare qualcuno. Per fortuna, vendono anche i libri usati, meno costosi. Ogni tanto me ne concedo qualcuno.”

Sorrisi.

“Anche a me piace leggere … Ma non romanzi.” Say intuì subito il motivo e non fece domande.

Raggiungemmo la pasticceria in silenzio, e lei mi salutò infilandosi in una strada a destra. Ricambiai il saluto, ed entrai.

Le gemelle dovevano essere già in cucina, perché le sentivo parlottare tra loro. Presi il mio grembiule e lo indossai.

“Quel libro era un insulto alla letteratura!” borbottava una delle due signore.

“Ma che insulto e insulto, era un capolavoro! C'era scritto anche sulla copertina ...”

“Buongiorno!” salutai, infilando la testa in cucina.

“Buongiorno Raf!” salutarono entrambe contemporaneamente. “Oggi Ruby ci aiuterà in cucina,” mi spiegò la signora 1, “e tu dovrai anche servire ai tavoli.” spiegò la signora 2.

Annuii e andai verso la cassa, dopo aver girato il cartello con la scritta aperto.

Neanche un quarto d'ora dopo, entrarono Nancy e Lory.

“Ciao Raf!” salutarono quelle e mi chiesero il solito, così andai a chiamare le gemelle che uscirono di corsa, affibbiandomi un impasto da mescolare. Non avevo la più pallida idea di come fare, ma cercai di lavorare al meglio e, con mia sorpresa, ci riuscii.

Le gemelle, quando rientrarono in cucina, furono molto fiere di me e decisero che da quel giorno le avrei aiutate con i dolci, tranne il sabato, e che avrei anche servito ai tavoli.

Ruby fu trasferita alla cassa.

“Metti in forno quei muffin!” trillò la signora 2 e io feci come ordinato. Per ora, mi davano ordini semplici, come mettere in forno, o mescolare, o cuocere qualcosa.

Nonostante ciò, non fu un'impresa facile. A parte il fatto che le gemelle battibeccavano spesso su cosa dovessi fare e come, dovevo stare molto attenta al rubinetto. Da quando mi allenavo con i poteri, tendevo a fare cose strane con l'acqua anche quando non volevo.

Ad un certo punto, trasformai in ghiaccio quella nel recipiente che dovevo dare alla signora 1. Sconcertata, aveva fissato il contenuto e infine aveva incolpato la sorella di avermi fatto un crudelissimo scherzo.

Per quanto avessi negato, non era servito a nulla e le due avevano litigato tutto il giorno, tirando in ballo le cose più assurde, risalenti sicuramente ad una sessantina d'anni prima. Poi, era stata la volta del congelatore. Mi avevano chiesto di andare a prendere un po' di burro perché si sciogliesse prima di fare una crostata, ma avevo trasformato il ghiaccio in acqua e la cucina si era praticamente allagata.

Mentre asciugavano, le gemelle ridevano come pazze di quello che era successo, tanto che finirono per discutere sulla possibilità di affibbiarmi un soprannome.

“Mostro d'acqua!” strillò la signora 1.

“Che mostro d'acqua! Chiamiamola Creatura delle acque!” e avanti così. A fine giornata, ero talmente stanca che non seppi nemmeno come riuscii ad arrivare fino a casa e mi addormentai dimenticandomi di cenare, senza nemmeno togliermi i vestiti.

 

Dopo quelli che mi parvero solo pochi minuti, mi svegliai di nuovo per andare al lavoro. Mi cambiai e indossai una felpa rosa chiaro, con un paio di jeans, ma misi ancora gli stivaletti: si erano rivelati utili durante l'allagamento della cucina.

Afferrai il cappotto e uscii di corsa, questa volta senza incrociare Say.

Le gemelle mi offrirono la colazione, quando arrivai in pasticceria, e cercai di non dare nell'occhio mentre ingoiavo la quantità industriale di cibo che non avevo mangiato a cena il giorno prima.

Quel giorno, la pasticceria era particolarmente affollata e noi tutti eravamo molto indaffarati; le gemelle in cucina dovettero rimandare ogni battibecco e collaborare. Dovetti ammettere che, quando si mettevano d'impegno per farlo, erano come una persona sola. Si capivano al volo e senza dire nulla facevano quello di cui l'altra aveva bisogno, compensandosi a vicenda.

Io servivo ai tavoli e Ruby era alla cassa.

Dopo Nancy e Lory, cominciai a fare la conoscenza degli altri clienti che, abitualmente o meno, affollavano il locale.

Molte erano ragazze che studiavano alla scuola di musica lì vicina o a quella di danza. Gli istituti non erano molto lontani dalla pasticceria e le studentesse si premiavano con qualche dolcetto tra una lezione e l'altra. Si capiva subito quali studiavano danza: tranne che per il fisico, chiedevano tutte le paste alla frutta, senza eccezioni. Ogni tanto, entrava anche qualche coppia, ma feci tutto quello che potevo per starne alla larga; ogni volta che li vedevo anche solo sfiorarsi le mani, mi si stringeva il cuore.

Non potevo farci proprio niente.

A parte questo, cercavo di ignorare il vuoto che mi stava crescendo dentro. Lo ignoravo più che potevo, ed era sorprendentemente facile, data la quantità di concentrazione che richiedeva il mio lavoro.

Correndo dalla cucina ai tavoli, mescolando di qua e cuocendo di là, riuscivo ad evitare qualsiasi pensiero. I brutti pensieri dovevano venire a cercarmi negli incubi.

 

“Attenta Raf!” quella giornata non voleva finire proprio mai! Ed eravamo solo mercoledì! Abbassai di scatto la testa, mentre una forchetta volava per la cucina e andava quasi a conficcarsi nel muro.

“Signora 1!” esclamai indignata.

“Oh, lo so, lo so.” sospirò lei, riprendendosi la forchetta. Era la terza cosa che volava in giro per la cucina ed era difficile non trattenermi dall'urlarle due o tre paroline educate per farla stare un po' più attenta.

Lavò la forchetta, la mise in un piatto con una fetta di torta al cioccolato e mi spedì fuori.

“Portala alla ragazza coi capelli rossi seduta nell'angolo!” disse. La trovai subito e mi avviai verso il suo tavolo, ma avvicinandomi notai che stava piangendo.

Rallentai il passo, incerta se procedere o meno. Alla fine, arrivai di fronte a lei, che non alzò nemmeno lo sguardo.

“Ehm ...”, le porsi la torta, “Ecco quello che ha ordinato.”

La voce mi era uscita in poco più di un sussurro.

Quando i suoi occhi incontrarono i miei, per la prima volta dopo giorni, avvertii il mio istinto di Angel scattare. Sentivo di dover aiutare quell'umana a tutti i costi.

“Va tutto bene?” chiesi. Non appena glielo domandai, lessi una speranza balenare nei suoi occhi verdi; gli umani non sapevano cos'eravamo, ma in noi percepivano qualcosa di inspiegabilmente buono e generoso: erano attratti dagli Angel. Per loro, era come se attorno alla nostra testa volasse un sole personale, che poteva scaldarli quando ci stavano accanto.

“No.” rispose in un sussurro tremulo. Mi guardai in giro e mi sedetti.

“Cos'è successo?”

Seppellì il viso tra le mani.

“Il mio ragazzo … Mi ha lasciata.”

Per un attimo, il mio cuore parve mancare un battito e la mia mente ci mise più del solito ad elaborare le parole, come se non volesse sentirle. Infine, mi costrinsi a dire qualcosa.

“Perché?”

Scosse la testa e le sue spalle tremarono.

“Dice di non amarmi più … Ha trovato un'altra ragazza.” singhiozzò. “Noi dobbiamo stare insieme … Io amo solo lui … Io amerò solo lui.”

Tra me e me sorrisi.

“Non preoccuparti, andrà tutto bene.” le sfiorai una mano e le porsi un fazzoletto che, per puro caso, avevo in tasca. “Se è davvero così, tornerà da te.”

Singhiozzò di nuovo e scosse la testa, soffiandosi il naso.

“No … I suoi occhi … Erano così freddi ...”

Mi morsi il labbro. Cosa dovevo fare? Cosa doveva fare un'Angel in questo caso?

“Cosa ti ha detto di questa ragazza?”

Alzò le spalle.

“Niente ...” prese un bel respiro, cercando di parlare con voce meno tremula. “Ha detto solo che ha trovato un'altra e poi mi ha lasciata lì ...” una lacrima scese di nuovo sulla sua guancia.

Il mio sesto senso ebbe un guizzo.

“E tu lo ritieni possibile?” chiesi, seria, “Pensi davvero che lui abbia un'altra?”

Scosse la testa.

“No! È completamente assurdo ...”

Le porsi un altro fazzoletto.

“Perché non vai da lui?” sgranò gli occhi. Io annuii e sorrisi. “Secondo me non ti ha detto la verità.”

Scosse la testa, incredula, ma sapevo che sotto sotto, in fondo in fondo, quel vago istinto che anche gli umani possiedono le diceva che era la verità.

“Io … Non lo so.”

Sorrisi, incoraggiante, e cercai di fare appello a tutta la mia aura di Angel perché mi ascoltasse.

“Non ti ferirà di nuovo, fidati.”

Mi fissò per un istante, come abbagliata da qualcosa. Ogni tanto gli umani erano teste dure, anche se sapevo di averla già convinta.

Sospirò.

“Ci penserò.”

“Promesso?”

Mi scrutò ancora un istante.

“Promesso.” disse infine, con un sorriso.

Io mi guardai in giro e mi alzai.

“Devo tornare al lavoro.” annunciai, “Mangia quella torta o chiederò a Ruby di farti pagare il doppio.” le feci l'occhiolino. “Il cioccolato fa sempre bene quando si lascia il proprio ragazzo.”

Fece un altro debole sorriso.

“A proposito, io sono Ellie.” sentii il mio volto illuminarsi. “Io sono Raf, tanto piacere.”

Mi voltai e rientrai in cucina, con le ali che formicolavano nella schiena per la felicità. Avevo cambiato la vita di una Terrena in meglio!

Appena varcai la soglia, le gemelle mi si buttarono addosso e mi schioccarono un bacio ciascuna. Prima che potessi chiedere il motivo, mi riabbracciarono di nuovo.

“Oh, Raf!” cinguettarono all'unisono. Le fissai perplessa.

“Sei stata così dolce con lei!”

“Ti prego fallo ancora!”

“Torneranno insieme!”

“Amo le storie d'amore!”

Erano felicissime per quello che avevo fatto. Dovevano averci spiate da dietro la tendina per tutto il tempo.

Quando me ne accorsi, risi di cuore e anche loro risero con me.

Il giorno successivo, Ellie tornò e ordinò ben tre fette di torta, ma questa volta non servivano a far passare la malinconia. Lo capii dal suo viso raggiante.

Portai al suo tavolo le fette di torta e la guardai in attesa di notizie.

“Oh, Raf, grazie!” si alzò e mi abbracciò e io sentii ancora una volta le ali formicolare nella schiena. Volevo volare e far volare anche lei con me, per ringraziarla di avermi donato tanta gioia.

I suoi occhi splendevano.

“Avevi ragione!”

“Avete fatto pace?”

Ellie fece un saltello e mi invitò a sedermi.

“Oh, sì!” rispose sognante. Io le sorrisi.

“E … Come mai aveva deciso di lasciarti?”

Per un attimo, si rabbuiò.

“Ecco … Insomma, rispetto a quello che credevo, per me è stato meglio, anche se è brutto lo stesso da dire.” Prese un bel respiro. “Johnny … Insomma, ecco ...” le sue labbra diventarono una linea sottile e sulle sue guance comparve il rossore. “E' andato ad una festa e ha bevuto un po' … Anche se in realtà, sono stati i suoi amici ad esagerare … Gli hanno proposto una scommessa … E ha dovuto … Ecco ...”

La osservai perplessa. Era così imbarazzata! Cosa aveva mai fatto questo Johnny?

“Fare certe … Mh … Cose con una ragazza ...” io sussultai, ma non dissi nulla. Dove sono gli Angels quando un Terreno ne ha bisogno?

“... Ma quando la mattina dopo si è ricordato tutto, ha capito che aveva fatto qualcosa di orribile e così mi ha lasciata … Si sentiva in colpa ...” arrossisce ancora di più.

Per un attimo, pensai che potesse averle mentito di nuovo. In fondo, gli umani erano creature volubili e sapevano essere molto crudeli, soprattutto se sotto l'influenza di qualche Devil.

Ma Ellie, parve leggermi nel pensiero.

“E i suoi amici hanno testimoniato tutto e si sono scusati con entrambi. Avevano bevuto un po' troppo, non sapevano quello che facevano.”

Era raggiante e, dopo quella precisazione, lo ero anch'io.

“Sono tanto, tanto, tanto contenta per te, Ellie.”

“Grazie!” esclamò battendo le mani. Mi voltai discretamente, senza farmi notare, e vidi, come immaginavo, le teste delle gemelle che sporgevano dalla cucina.

“Bene!”, sospirai alzandomi, “Io devo tornare al lavoro.”

Ellie mi sorrise e continuai a sentire i suoi occhi su di me anche mentre andavo in cucina. Forse, aveva percepito qualcosa. Aveva capito che ero arrivata lì proprio per lei, anche se non poteva sapere che ero un'Angel.

Quando entrai in cucina, le gemelle mi saltarono addosso, pigolando come uccellini e facendomi i complimenti per quanto ero stata brava con lei e chiedendomi se ero una sensitiva.

Forse, fu da quel giorno che io e loro cominciammo a diventare amiche. Quel pomeriggio, fui inclusa nei battibecchi in cucina, ma ci divertimmo come matte. Ridevamo, ci tiravamo farina e, a volte, portavamo allegria ai clienti che mangiavano i nostri dolci nel locale, o che li portavano a casa.

Non sembrava che le gemelle facessero tutto questo per soldi, però. Più volte erano uscite dalla cucina e avevano fatto sconti al primo che avevano visto alla cassa. E succedeva almeno quindici volte al giorno.

Ormai, erano le quattro e mezza ed eravamo vicini all'orario di chiusura: alle cinque, giravamo finalmente il nostro amato cartello sulla porta.

Non aveva molto senso tenere aperto oltre le cinque, visto che la gente dopo quell'ora cominciava a cercare un posto per cena, non un dessert.

“Sei nuova?” riscuotendomi dai miei pensieri, mi accorsi che stavo servendo dei muffin a un ragazzo dagli occhi azzurri che non avevo neanche guardato.

Stupita di me stessa, annuii lentamente.

Sentii un brivido percorrermi la schiena. Di solito i Terrestri non avevano questa … Luce.

Gli indirizzai un sorriso timido, a cui rispose immediatamente e per un istante mi parve di vedere tutta quella luce che lo circondava sprigionarglisi intorno come se un sole personale gli ruotasse attorno alla testa.

Spazio autrice: il capitolo non è molto emozionante ... In questo periodo sto incentrando tutto sulla situazione di Raf, sul cambiamento della sua vita, ma nella prossima puntata le cose miglioreranno molto :). Spero tanto che continuiate a leggere e a lasciare recensioni ... Per chi scrive, i lettori sono tutto!
Baci,
Piuma_di_cigno.

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 - Il miglior modo di tornare ***


Capitolo 8 – Il miglior modo di tornare

Fermati! Non parlarmi, in questa amara dipartita, delle sicure consolazioni del tempo. Resti fresca la piaga, sempre rinnovato ne sia il bruciore, purché la tua immagine resista nel suo primo splendore.
(Matthew Arnold, Separation, 1853)

 

Il tempo prese a scorrere veloce. I miei abiti erano più pesanti, il lavoro più intenso e i dolci estivi lasciavano sempre più spazio a quelli autunnali, caldi e colorati. Nella pasticceria, aleggiava il profumo delle mele: le torte di mele venivano sfornate continuamente.

Oh, ma non c'erano solo quelle. Le gemelle amavano decorare le torte, e così ce n'erano molte alla panna, decorate con minuscole zucche di zucchero e altre erano marroni, e con lo zucchero a velo vi venivano disegnate le foglie dei castagni.

La sera faceva buio molto prima del solito, perciò io e Say ci ritrovammo sempre di più alla luce delle fiammelle: non aveva bisogno di luce, lei.

Le sue fiamme fluttuavano in giro per la casa e illuminavano qualsiasi cosa ci servisse. Ci risparmiavano l'acquisto delle lampade.

Il mio leggero cappottino color crema, fu sostituito da uno più pesante completamente bianco e, per me, adorabile. Say, invece, lo detestava.

Vestiva molto più sportiva di me, lei, e, soprattutto, con colori scuri. Ormai, avevo acquisito il ritmo del lavoro e mi alzavo senza bisogno che Say mi chiamasse.

Avevo imparato a fare molti dolci, anche se continuavo ad essere un disastro con la pasta frolla per le crostate, che nelle mie mani rischiava quasi di squagliarsi.

Una volta, avevo provato a ghiacciarla un po', per evitare che il burro si scaldasse troppo, ma non era stata una grande idea: le gemelle avevano voluto buttare via l'impasto, sostenendo che non era destino, e Say aveva dovuto chiudersi in bagno per evitare di scoppiare a ridere davanti a loro.

Eppure, nonostante i giorni passassero, il vuoto era sempre lì. Era come se avessero strappato una parte di me. Niente poteva riempire il vuoto, niente poteva placare la sofferenza che ne derivava. Niente. Artigli affondavano dentro di me, strappando ogni giorno qualcosa e io soffrivo sempre di più.

Gli incubi erano frequenti, tanto che con la mia prima paga avevo comprato un correttore per coprire le occhiaie. Ultimamente, mi truccavo. Aggiungevo un po' di colore, per evitare che qualcuno vedesse quanto erano pallide le mie guance, e comprai qualche vestito nuovo. Stavo dimagrendo a vista d'occhio e pregavo solo che nessuno lo notasse.

Anche se di solito le persone facevano il contrario, io non mangiavo. All'inizio, forse, ma poi avevo capito che nulla poteva riempire il vuoto. Nulla. E così, il cibo aveva cominciato a darmi la nausea, persino quando aveva il profumo dei dolci delle gemelle.

Era passato un mese.

Nessuno si era visto. Almeno su questo fronte, potevo rilassarmi. Ogni tanto, quando notavo una persona che somigliava a Sulfus, sussultavo e il battito del mio cuore accelerava, ma non era mai lui.

La pasticceria andava a gonfie vele, io ed Ellie eravamo diventate amiche. Pranzavo con lei durante la settimana, e nel weekend pranzavo con Say, che nel frattempo aveva trovato lavoro anche nella biblioteca vicina.

I miei poteri si stavano gradualmente stabilizzando. Facevo molta fatica ad utilizzare l'aria, ma con l'acqua e il ghiaccio ero migliorata moltissimo.

Dopo tanti giorni di duro lavoro alla pasticceria, ricevetti la mia paga e Say, per festeggiare, mi portò a un mercatino dell'usato lì vicino. Non era un granché, ma con un po' di fortuna si trovavano cose che costavano meno del solito e per noi contava tanto.

Nessuna delle due poteva esattamente definirsi benestante, quindi anche fare la spesa era troppo dispendioso per noi.

“Ehi, Raf, guarda!” esclamò Say, indicandomi un lungo cappotto nero. Lo indossò, ma sapevamo entrambe che le sarebbe stato d'incanto.

“Perché non lo compri? Ti sta benissimo.” Fece spallucce.

“Mh, ne ho già uno … Faccio ancora un giretto, magari ci faccio un pensierino.”

Lanciai un'occhiata in giro, alla ricerca di qualcosa che potesse servirmi. Pensai a dei vestiti, visto che ultimamente ne servivano di più pesanti e di più stretti, ma ne avevo già abbastanza a casa, così mi limitai a seguire Say.

Ero molto annoiata e la mia testa era altrove. Mi veniva da piangere, anche se non ne avevo motivo.

“Raf, guarda!” mi voltai e mi ritrovai davanti dei pattini. Sorrisi a Say.

“E dove trovo il ghiaccio per pattinare?”

“Puoi ghiacciare tu l'acqua!” esclamò entusiasta. “Ti prego, Raf! La signora ha detto che se ne prendo due paia ci fa uno sconto e io so pattinare benissimo sul ghiaccio!”

I suoi occhi luccicavano.

Non erano niente di indispensabile, anche se …

“Quanto costano?” chiesi con un sospiro.

“Sììì!” esclamò Say con un saltello. “Grazie Raf!”

Dividemmo il conto a metà e ognuna pagò la sua parte. Say volle provarli appena arrivammo a casa.

Dato che nessuno veniva più sulla costa, non c'era pericolo che qualcuno mi vedesse congelare l'acqua, così cercammo una pozza d'acqua abbastanza grande per pattinare.

Era bassa marea, perciò fu molto facile, visto che il mare si era appena ritirato.

Appoggiai due dita sulla superficie dell'acqua, e lasciai che il ghiaccio fluisse dalla mia mente, e poi con una scossa elettrica al braccio e infine fuori da me.

Quando riaprii gli occhi, davanti a noi c'era una lastra di ghiaccio abbastanza solida per pattinare.

Say si infilò in fretta i pattini e mi aiutò a mettere i miei.

Sentii subito un certo affiatamento con quel nuovo sport e, anche se non avevo mai pattinato in vita mia, sapevo come muovermi.

Say mi afferrò entrambe le mani e mi fece girare in cerchio con lei. Era davvero brava. Applaudii quando fece l'angelo e saltò come una professionista.

Cercò di insegnarlo anche a me, ma non mi fidavo ad andare avanti su un piede solo e, il più delle volte, finivo per sbilanciarmi in avanti, cadendo sul ghiaccio.

Riuscii a divertirmi, con lei, nonostante il vuoto fosse ancora lì. Ogni tanto, temevo che avrei fatto di tutto pur di liberarmene. Volevo disperatamente rivedere Sulfus e c'erano sere in cui uscivo, dopo aver avuto gli incubi, e fantasticavo sulla spiaggia; immaginavo di trasformarmi di nuovo in Angel e volare da lui. Le sue braccia mi circondavano e io smettevo di sentire freddo e mi sentivo di nuovo intera, completa e il mio respiro tornava quello di un tempo.

Ma poi, come sempre, tornavo a dormire.

 

“Raf, sbrigati! A cosa pensi? Sembri su un altro pianeta!” Say mi riportò alla realtà, rifilandomi un vassoio in mano. Borbottai qualcosa di imprecisato, ma andai verso il tavolo a cui dovevo portare una fetta di torta e un caffè.

Erano solo le quattro del pomeriggio, e nonostante ciò era già buio.

Mentre mi destreggiavo tra i tavolini, notai qualcosa che mi fece sussultare.

Sulfus.

Ero sicura che fosse lui.

Aveva un berretto calato in fronte, e i capelli neri gli coprivano il viso, ma sentivo che era lui quello che entrava nel locale … Le mie mani cedettero e la torta cadde addosso a qualcuno.

Sulfus alzò lo sguardo e si tolse il cappello.

Non era lui.

Mi bruciarono gli occhi per la delusione e il vuoto si ingrandì ancora un po' dentro di me, ma almeno tornai alla realtà.

Luke, uno dei clienti abituali, brontolava perché la torta alle mele che gli stavo portando gli aveva sporcato la maglietta. Mi affrettai a scusarsi e lui sorrise, assicurandomi che non era niente di importante.

Luke emanava una luce molto forte, per essere un umano. Quando c'era lui nei paraggi, mi sembrava quasi che potesse davvero andare tutto bene.

“Mi dispiace tantissimo!” mi scusai ancora. “Vieni con me, almeno ti aiuto a pulire la maglietta ...” dissi, mortificata. Lo portai con me verso il retro del locale.

Le gemelle erano in ufficio, a sbrigare chissà quale pratica, e Say era in magazzino a prendere un po' di farina.

Bagnai un asciugamano e strofinai la macchia sulla sua maglietta, continuando a brontolare scuse su scuse. Non sapevo neanche perché mi scusavo. Mi sentivo proprio un'idiota. Non avevo mai rovesciato nulla addosso a un cliente.

Dopo un po', Luke mi scostò delicatamente la mano.

“Raf, davvero, non preoccuparti. La macchia andrà via.” alzai lo sguardo e lui sorrise.

Con un sospiro appoggiai l'asciugamano accanto al lavandino.

“Stai bene? Mi sembri un po' abbattuta in questi giorni.”

Io scossi la testa.

“Non è niente, è solo un periodo più difficile del solito.” abbozzai un sorriso. Luke era una persona molto gentile e mi rivolgeva spesso la parola. Studiava alla scuola di musica lì vicino e aspirava a diventare insegnante. Suonava il pianoforte.

“Fammi indovinare.” sorrise. “Il tuo ragazzo ti ha lasciata.”

Veramente era il contrario, ma era già tanto che ci fosse arrivato così vicino, quindi era meglio che stessi al gioco.

Annuii.

“Proprio così.”

Luke sorrise.

“O l'hai lasciato tu?”

Strinsi le labbra. Ora stava esagerando. In silenzio, pregai perché lasciasse in fretta la cucina. Sentivo le mani che tremavano e gli occhi cominciarono a bruciare. Non volevo parlare di lui. Non potevo. Assolutamente non potevo.

Arretrai fino al lavandino.

“Mh … Veramente ...”

Abbassai lo sguardo.

Vai via, ti prego.

“Sì, è stato un po' colpa di entrambi ...”

Luke scosse la testa.

“Raf, tranquilla. Se non vuoi parlarne non importa.” sorrise di nuovo e ancora una volta notai quanto brillasse la sua luce. Aveva come … Un'aura attorno a sé.

“Grazie.” dissi, ricambiando il sorriso. “Non mi va molto di parlarne.”

Speravo di non sembrare scortese.

Alzai timidamente lo sguardo; non volevo che si arrabbiasse. Era così gentile!

Ma Luke non era arrabbiato.

Si sporse verso di me e mi abbracciò.

Quella luce che lo circondava parve coinvolgere per un attimo anche me e avvolgermi completamente. Con mia sorpresa, ricambiai l'abbraccio.

Ne avevo un bisogno talmente disperato … Sentii le lacrime scorrermi lungo le guance, lavando via le ultime tracce di correttore e di fard rimaste. Non volevo che vedesse le mie occhiaie.

“Mi sono persa qualcosa?” chiese Say confusa, rientrando dal magazzino. Mi staccai bruscamente da Luke, come se fossi stata sorpresa a fare qualcosa che non dovevo.

Arrossii e cercai di borbottare qualcosa, ma Say si voltò subito.

“Come non detto! Io ho davvero una marea di cose da fare di là … Devo raccogliere tante cosce di pollo, sapete, sono cadute ...”

E tornò in magazzino. Normalmente avrei riso, ma ero talmente imbarazzata, che non sorrisi nemmeno.

Luke, invece, ridacchiò.

“Raf, sembra che tu abbia fatto qualcosa di male!”

Alzai lo sguardo e incontrai i suoi occhi. Non potei fare a meno di sorridergli in risposta, grata per quello che aveva fatto.

“Se vorrai dirmi che ti è successo, io passo quasi ogni giorno da qui, perciò ...” il resto era chiaro.

Annuii e Luke mi sfiorò la mano, uscendo.

“Ah, a proposito,” disse, voltandosi, “hai un'aura davvero luminosa per essere umana.”

Uscì, lasciandomi lì impalata, tutta rossa e completamente sconvolta. Per dirmi una frase del genere … Doveva saperlo. Sapeva che ero un'Angel. O non lo sapeva? Forse avevo capito male.

 

Quella sera, Say mi tenne a casa sua fino alle undici e dovette preparare almeno tre camomille per trattenermi così tanto da lei.

Parlava del più e del meno, ma sapevo che aspettava il mio resoconto su Luke.

Alla fine, si decise a tirare fuori l'argomento.

“E … Uhm … Ho visto che Luke ti ha presa … ah … In simpatia.”

Dovetti sforzarmi di non ridere. Quando si trattava di queste cose, Say era davvero buffa.

“Sì, penso che io e lui diventeremo buoni amici.” Sottolineai la parola amici, per farle capire che non c'era niente fra me e lui.

Ridacchiò.

“Vuoi dire che … O mamma … Il vostro abbraccio … Buoni amici, certo!” non riuscì più a trattenersi e scoppiò a ridere. Alzai gli occhi al cielo.

“Oh, scusa Raf,” rise, “ma è davvero ridicolo! Lui ti abbraccia ed è sempre gentile con me e siete in cucina da soli e pretendi che ti creda?” rideva a crepapelle. “Dove hai messo l'anello di fidanzamento?”

Probabilmente avrei dovuto trovarlo irritante, ma era solo divertente. Say era fatta così.

“Non c'è niente fra me e lui … Sai che io amo Sulfus.” la rimproverai. Provai un brivido; era tanto che non pronunciavo il suo nome.

Sorrise.

“Ma Raf, non ci sarebbe niente di male!” esclamò. “Ascolta, non tradiresti nessuno. Tra te e lui … Non può esserci nulla.”

Anche se faceva male, non protestai. Era vero.

Say sospirò di fronte al mio silenzio, ma non aggiunse altro, nemmeno quando mi diede la buonanotte. A casa mi distesi sul letto e mi misi sotto le coperte, mentre fuori cominciava a piovere, ma non riuscii a dormire più di tanto.

Mi svegliai poco dopo le tre, soffocando un grido e tremando. Le parole di Sulfus mi rimbombarono nella mente.

Tu mi hai tradito. Parole fredde, dette con odio. I suoi occhi erano duri, il viso una maschera di rabbia e sofferenza. All'improvviso, la mia casa parve troppo grande e silenziosa, e la solitudine mi colpì come un pugno allo stomaco. Mi alzai di scatto e uscii, dopo essermi infilata il cappotto.

Fuori aveva smesso di piovere, ma faceva molto freddo.

Mi diressi verso la scogliera e mi sedetti in cima, con i piedi che penzolavano sul mare.

Mi raggomitolai su me stessa e scoppiai a piangere, sperando solo che il dolore passasse.

Chiusi gli occhi.

 

Quanto era freddo! Tutto era freddo. Pattinavo sul ghiaccio con Sulfus, ma la lastra si era rotta e io ero caduta in acqua.

Il gelo mi penetrava fino alle ossa.

Era tutto freddo.

Le mie labbra erano violacee, il mio viso bianco, i capelli sparsi intorno e lui chiamava il mio nome.

Ma non poteva raggiungermi.

Non voleva.

Io l'avevo tradito.

Piangevo in quella gelida prigione, mentre sprofondavo ancora, ancora e ancora. Fino a non respirare più. Fino a quando capii che non era un incubo. Era reale.

 

“Raf! Raf!” qualcuno mi sorreggeva la testa tra le braccia e cercava di riportarmi alla realtà. “Raf, per favore!”

Aprii piano gli occhi. Mi bruciava la gola.

“Co-cos'è successo?”

Ero sulla spiaggia e il viso di Luke era sopra il mio.

“Sei caduta in acqua, stavi annegando.” spiegò, chiaramente sollevato di vedermi riprendere conoscenza.

Cercai di mettermi a sedere e vidi il mare spumeggiare davanti a me.

Notai che Luke era bagnato fradicio.

“Ti … Ti sei tuffato per salvarmi?” balbettai. Lui annuì.

“Stai bene?” gli chiesi e lui annuì di nuovo. Notai che non aveva gli occhi rossi, nonostante avesse nuotato in mare.

“Dove abiti? Ti porto a casa.”

“Poco distante da qui.” risposi in un sussurro.

Luke mi prese in braccio e si incamminò verso casa mia e di Say. Mi fidavo di lui e non mi infastidì doverlo guidare attraverso la vegetazione verso casa mia.

Dentro faceva caldo, le fiammelle di Say svolgevano un'ottima funzione in questo, oltre che nella luce.

Luke parve non notarle e mi aiutò a sedermi sul divano.

“Dovresti toglierti i vestiti bagnati.” disse.

“Anche tu dovresti fare lo stesso.” replicai io. Il bruciore alla gola era già scomparso. Come Angel potevo guarire molto più in fretta degli umani.

Scosse la testa.

“Per me non c'è pericolo.”

Non gliene chiesi il motivo, ma il mio sesto senso diceva che lui sapeva. Non solo sapeva, ma era.

Ci scambiammo un sorriso complice.

Feci volare l'acqua fuori dal vaso sul tavolino e la diressi verso di lui. Un guizzo attraversò gli occhi di Luke, quando la trasformò in un uccellino di ghiaccio che prese al volo tra le sue mani.

Lo portai da me utilizzando l'aria.

“Allora ...”, dissi rompendo il silenzio, “sei un Angel.”

Luke rise.

“Anche tu Raf.” sospirò. “E pensare che ti credevo un'umana bisognosa di aiuto, quando ti ho vista in pasticceria.” mi lanciò un'occhiata. “Anche se, in realtà, persino come Angel mi pare che tu abbia proprio bisogno di una mano.”
Alzai le spalle.

“Non è un bel periodo.”

Luke si riprese l'uccellino.

“Sai usare l'acqua e l'aria separatamente.” constatò.

“Anche tu.” replicai io. “Anche se in realtà,” aggiunsi subito dopo, “io ho ancora molto da imparare. Sono piuttosto inesperta e con l'aria sono un disastro.”

“Non mi pare.” obiettò Luke, facendo volare da me l'uccellino di ghiaccio.

Sorrisi.

“Tu invece sembri molto esperto.”

“Studio già da qualche anno. Sono un Guardian Angel.”

Sentendo quel nome, ebbi un po' di nostalgia della scuola. Avrei avuto anch'io quella qualifica, se fossi rimasta alla Golden School.

“Io … Ho lasciato la scuola da un po'.” confessai abbassando lo sguardo.

Luke mi lanciò un'occhiata.

“Allora dove hai imparato a separare l'acqua e l'aria?”

“Da sola.” ammisi, come fosse una colpa, ma lui sorrise, in modo del tutto disarmante e mi fece immediatamente sentire a mio agio.

“E' impressionante, ma vedo che trovi ancora qualche difficoltà. Che ne diresti se ti insegnassi qualcosa?”

Non mi piaceva granché la prospettiva di qualcuno che non fosse Sulfus nella mia vita, anche per un motivo tanto innocente, ma annuii, perché sapevo di non avere altra scelta.

Luke si riprese l'uccellino di ghiaccio facendolo volare da lui, e in quel modo diede vita alle sue ali, che si mossero come se fosse vivo.

“D'accordo.” si alzò e io feci lo stesso. “Prima lezione: qualsiasi cosa tu crei può essere viva, non dimenticarlo. E puoi creare tutto ciò che desideri. Ghiaccio, acqua, aria … Tutto quello che vuoi con questi tre elementi o combinandoli tra loro.”

Annuii.

Aprì la mano e ne uscì un cervo, ghiacciato, che si mise a saltellare in giro per la stanza. Lo portai da me utilizzando l'aria, ma nelle mie mani divenne una semplice statuina immobile. Non muoveva più le zampe.

Luke mi fece un cenno.

“Immagina come si muove. Desidera di farle fare quello che immagini.” fissai la statuina, immaginando con grande chiarezza di vederla piegare le zampe e saltare nella stanza. Con mia sorpresa, ci riuscii subito.

Era così facile. Non credevo che ci sarei riuscita al primo colpo. Il cervo saltò agilmente sull'armadio e poi volò di nuovo sulla mano di Luke. Sorrise.

“Complimenti Raf.” il cervo sfumò fino a diventare aria. “Lezione numero due: puoi creare quello che non esiste. Anche se l'acqua non c'è, è parte di te, come l'aria e puoi farle comparire quando desideri.”

Schiuse del mani e dal nulla spuntò un lupo, che alzò il muso come se ululasse e si mise a correre verso di me, saltando sulla mia spalla e atterrando su un mobile.

Luke fece ingrandire il lupo, fino a quando fu di dimensioni naturali. Il lupo avanzò elegantemente verso di me e il muso freddo mi sfiorò le mani.

Gli accarezzai le orecchie e lui si piegò docilmente sotto il mio tocco, come volevo io. Il lupo sparì sottoforma di neve, al comando di Luke.

“Tocca a te.”

Avevo in mente uno scoiattolo, ma ne uscì un buffo gatto con la coda a spazzola.

Io e Luke ridemmo quando l'animaletto saltellò in giro per la stanza al mio comando e si appollaiò sulla sua testa, con l'intenzione di dormire.

Lui lo trasformò in un barbagianni, che si accomodò sulla mia spalla, e io lo feci diventare un'enorme aquila di ghiaccio, trasformandola in neve poco prima che andasse addosso a Luke.

Erano quasi le tre del mattino, notai, e il giorno dopo dovevo lavorare.

Con un sospiro, mi sedetti per porre fine al gioco. Si sedette sulla poltrona lì vicino.

“Come mai ho dovuto salvarti, stasera, Raf?” chiese Luke. Mi strinsi le ginocchia al petto. Sapevo cosa pensava e avevo quasi paura che avesse ragione. Io non lo volevo, ma forse …

“Volevi ucciderti?” chiese infine. Scossi la testa, per non allarmarlo, e perché se avessi detto di sì avrei mentito a una parte di me stessa, in fondo.

“Ne sono sollevato.” rispose Luke con un sorriso timido. Si alzò e lanciò un'occhiata all'orologio. “Sarà meglio che vada, Raf.” mi sfiorò la mano. “Buonanotte.”

Afferrai una coperta e mi distesi sul divano appena uscì. Non avevo proprio le forze per trascinarmi a letto.

 

Il giorno successivo non trovai Luke in pasticceria e nemmeno il giorno seguente. Mi convinsi che nulla fosse cambiato, ma la realtà era che guardavo insistentemente la porta e perlustravo i tavoli, alla sua ricerca e nel timore di ritrovarci Sulfus.

Non capivo perché fossi tanto spaventata all'idea che lui mi trovasse. In ogni caso, anche se fosse successo, non mi avrebbe riconosciuta: ero umana, avevo le lentiggini, ero dimagrita e portavo sempre i capelli raccolti, cosa che non avevo mai fatto.

Ero diventata paranoica.

Persino le gemelle se ne accorsero.

“Che fai, Raf, aspetti il mostro delle nevi? Sembra che tu abbia gli spilli sulla sedia, non riesci mai a stare ferma!” esclamava di tanto in tanto la signora 1.

“E' vero, cara.” concordava allora la signora 2, ma io non badavo a nessuna delle due e la mia ossessione per la porta continuava.

Quando entrò Ellie, ero così tesa che andai a nascondermi dietro Ruby, alla cassa. Ruby, confusa, andò a servire a un tavolo e io mi tolsi il grembiule con un sospiro, preparandomi per la mia ora di pausa a pranzo.

“Ciao Raf.” mi salutò Ellie, scostandosi un po' la sciarpa dal viso. “Andiamo a pranzo?”

“Certo.” risposi, prendendo il cappotto e indossando anch'io una sciarpa. Negli ultimi giorni il freddo era aumentato e ormai era sempre più difficile capire, durante gli esercizi, quale fosse il mio ghiaccio, e quale quello naturale. Mi concentravo sul aria e acqua.

Non avevo un totale autocontrollo dei miei poteri, perciò cercavo di evitare di servire i bicchieri d'acqua, perché appena li sfioravo vi compariva generalmente un'immagine di quello che pensavo. O schizzava il cliente. O si trasformava in vapore. O ghiacciava.

D'accordo, evitavo rubinetti e bicchieri con acqua come se potessero trasmettermi la peste.

“Come va?” chiese Ellie, mentre uscivamo. Quel giorno c'era il sole, ma faceva ugualmente freddissimo.

“Bene, grazie.” risposi. “E tu? Come sta Johnny?”

Sorrise.

“Mmh … In realtà … Ecco, penso che abbia in mente qualcosa.”

“Cioè?”
“Mah … Il nostro anniversario si avvicina e penso che lui voglia fare qualcosa di speciale.”

Abbozzai un sorriso.

“Puoi esserne davvero contenta.” non riuscii a non sospirare. Se io e Sulfus avessimo mai potuto stare davvero insieme, avrebbe fatto anche lui qualcosa di speciale per me al nostro anniversario.

“E … Con lui?” chiese cautamente Ellie. “Si è fatto vivo?”

Ellie si era accorta del mio comportamento quando nominava Johnny e alla fine avevo dovuto cedere e rispondere alle sue domande. Non le avevo detto la verità, ovviamente.

Avevo detto che il mio ragazzo mi aveva lasciata senza un motivo, né una spiegazione, che semplicemente un giorno non si era più fatto sentire ed era sparito nel nulla.

Così, speravo tanto di vederlo tornare, un giorno o l'altro.

Ellie era stata molto comprensiva e, per fortuna, vedendo che l'argomento per me era davvero molto delicato non aveva mai insistito con le domande.

“No.” mormorai. “Prima … Quando sei entrata … Non so, è come se avessi paura di rivederlo.”

Sentivo le lacrime bruciarmi.

Ellie annuì comprensiva.
“Hai paura che possa ferirti di nuovo, è normale.”

Le sorrisi, perché effettivamente aveva ragione: avevo paura che Sulfus fosse arrabbiato o, peggio, che non lo fosse. Che fosse dolce e comprensivo, che capisse e che mi dicesse che mi amava.

Sarei tornata con lui, non avrei potuto farne a meno, ma sapevo che era sbagliato.

Non volevo essere di nuovo costretta a combattere contro di lui, a guardarlo dall'altra parte di quella linea invisibile che separava Angels e Devils. Ellie aveva ragione, avevo paura di soffrire.

Arrivammo al solito locale in cui mangiavamo, poco distante e abbastanza economico da potermelo permettere. Non ero mai stata a fare la spesa e non avevo mai capito com'erano fatti i supermercati umani, e confondevo sempre i soldi. Ero letteralmente un disastro, perciò il più delle volte era Say a fare la spesa.

“Piuttosto,” dissi, cambiando discorso, “cosa dicevi sul vostro anniversario?”

“Non lo so ...” rispose Ellie arrossendo. “Sembra terribilmente nervoso, come se stesse per ...” sgranò gli occhi e mi fissò. “Oddio.”
“Cosa?” chiesi allarmata, guardandomi in giro. Non conosceva l'aspetto di Sulfus, ma scioccamente per un attimo avevo pensato che fosse entrato.

Ma Ellie non mi ascoltava.

Prese a torcersi le mani, sostituite un momento dopo dal menù.

“In fondo, non ci sarebbe niente di male ...”

La fissavo, sempre più ansiosa, mentre un'idea cominciava a farsi strada nella mia mente.

“O mamma, Ellie!” esclamai, “Sono così felice per te!”

Ma mi tappai la bocca subito dopo. Accidenti al mio sesto senso!

Mi fissò, perplessa.

“Ehm … Io … Forse ho capito male ...” borbottai, ma lei non diede segno di esserne infastidita.

“No, hai capito bene. Secondo me Johnny vuole … Oddio … Vuole chiedermi di sposarlo!”

Sorrisi della sua felicità, anche se per un attimo la osservai cercando di capire quanti anni avesse. Era molto giovane, in fondo.

“Non ci sarebbe nulla di male, vero? Io ho ventidue anni, lui venticinque, non è troppo tardi e io lo amo, lui ama me e ci conosciamo da tre anni ormai ...”

Ellie si perse in pensieri di questo genere ad alta voce, mentre io, quasi involontariamente, mi ritrovavo ad immaginare un futuro umano tra me e Sulfus, io con uno splendido abito da sposa, lui in giacca e cravatta, ad aspettarmi all'altare …

“Volete ordinare, signorine?”

Il cameriere ci fissava, un po' seccato. Come dargli torto? Ellie parlava da sola e io fissavo il soffitto fantasticando su cose impossibili.

“Io prendo un hamburger con patatine.” risposi. Ellie doveva aver già ordinato, probabilmente non l'avevo sentita.

Quando i nostri piatti arrivarono, la nostra conversazione, per fortuna, andò a toccare argomenti che mi procuravano meno fitte allo stomaco e il pranzo trascorse in modo abbastanza piacevole.

Era un po' strano per me stare con Ellie, perché con lei potevo condividere a malapena un terzo della mia vita e dei miei pensieri … Con i due terzi restanti rischiavo di sconvolgerla.

Ci salutammo davanti alla pasticceria e, quando entrai, sentii il mio cuore accelerare.

Luke era lì, seduto al tavolino vicino all'ufficio.

Avanzai verso di lui, improvvisamente malferma sulle mie gambe, poi all'ultimo deviai verso la cucina, togliendomi lì la sciarpa e il cappotto.

“Ciao Raf!”

“Bentornata cara!” mi salutarono le gemelle. Le salutai distrattamente e mi misi ai fornelli.

Da come se ne stavano zitte, doveva essere successo qualcosa. Non dissero nulla per la successiva mezz'ora, anche se di tanto in tanto le vidi sbirciare fuori e sussurrare qualche parola tra loro.

Non ci badai: Luke era lì. Un Angel. Un Angel che sapeva tutto di me, che sapeva dei miei poteri, che sapeva come gestirli e che forse sapeva, leggeva su di me che qualcosa non andava.

“Ehi.” il saluto ruppe il silenzio della cucina, facendomi sobbalzare. Mi voltai e mi ritrovai faccia a faccia con Luke. Le gemelle erano sparite.

“Ehi. Come … Come sei entrato qui?”
Sorrise.
“Le gemelle mi hanno lasciato entrare.” mi sentii arrossire. Quelle due avevano travisato tutto. Sicuramente credevano che fossi innamorata di Luke e chissà cos'altro.

“Volevo chiederti … Sai, per le lezioni … Facciamo stasera, all'orario di chiusura? Posso passare a prenderti.”

Annuii.

“Per me va bene.”

Ci sorridemmo a vicenda e Luke mi prese una mano e vi fece spuntare un piccolo uccellino di ghiaccio, che mosse la testa e mi guardò, sbattendo le ali.

“A dopo, allora.”

Se ne andò, lasciando quella piccola creaturina nelle mie mani. La trasformai in aria un attimo prima che le gemelle entrassero di corsa e riprendessero le loro postazioni.

“Sempre gentile Lory, vero cara?” fece la signora 2, ma sentivo che tratteneva le risate.

“Oh, certo certo.”

Facevano del loro meglio, ma con scarso risultato. Uscii dalla cucina con due fette di torta in mano, più velocemente di quanto desiderassi.

Ci mancava solo questa! Ora quelle due …

Ma non finii di formulare il pensiero.

Lì, a meno di due metri di distanza da me, in forma umana, c'era Sulfus, con gli occhi puntati nei miei.

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 - Celare ***


Capitolo 9 – Celare

Perdonami, perché ho lottato solo per te.
(Emily Bronte, Cime tempestose)

 

Sentii le lacrime pungermi gli occhi e le mie gambe immobilizzarsi. Il cuore batteva troppo forte, non riuscivo a respirare.

Com'era possibile? Per tutto questo tempo non si era visto, ormai era passato più di un mese … Come poteva essere? Non era lui.

Ma sapevo che lo era. I suoi occhi erano color topazio e facevano riemergere le farfalle dalle profondità del mio stomaco.

Rimasi lì, immobile, terrorizzata, per un tempo che mi parve infinito. Era arrabbiato con me? Doveva essere furioso perché l'avevo lasciato senza motivo. Eppure non c'era rabbia nei suoi occhi. Solo un dolore straziante e quel vuoto che mi tormentava continuamente.

Presi un bel respiro e la gente intorno a me ricominciò ad animarsi. I ragazzi che parlavano, le gemelle che ridevano, il conto battuto alla cassa … Costrinsi le mie gambe a muoversi e portai i dolci ai tavoli, sentendomi debole come se avessi appena debellato l'influenza.

Sentivo gli occhi di Sulfus che mi seguivano in giro per il locale e sparii in cucina appena possibile.

Le gemelle si voltarono, perché mi sentirono letteralmente precipitarmi nella stanza.

“Raf, che hai cara?”

“Sembra che tu abbia visto un fantasma!”

Non avevo il controllo del mio cervello quando lo dissi.

“Non … Non mi sento tanto bene, posso … Posso andare a casa?”

Le gemelle si scambiarono un'occhiata stupita.

“Non hai proprio l'aria di una che sta bene.”

“Magari chiamiamo Say, cara?”

Appena lo propose, quasi mi venne un infarto.

“No!” esclamai. Le due si scambiarono un'altra occhiata perplessa, ma io sapevo che se Say fosse entrata e uscita con me da quella porta Sulfus avrebbe avuto l'assoluta conferma che ero io.

Il cappotto! Non potevo prenderlo … Se mi avesse vista avrebbe capito che stavo per uscire e mi avrebbe seguita … Sentii le lacrime rigarmi le guance.

Le gemelle si avvicinarono preoccupate.

“Raf! Oh, cara, che cos'hai?”

Appena notò che ero scossa dai brividi, la signora 1 uscì.

“Le prendo il cappotto!” annunciò.

La signora 2, invece, mi cinse le spalle con un braccio.

“Non siamo molto brave nelle questioni di cuore.” disse.

La signora 1 confermò rientrando:”Siamo un completo disastro. Ricordi Jim?”

“Certo, cara!”

Prima che ricominciassero ad insultarlo, indossai il cappotto e mi alzai.

“Niente questioni di cuore. Non mi sento molto bene … C'è un'uscita laterale? Non voglio che di là mi vedano in questo stato ...”

Le gemelle abbozzarono un sorriso.

“Esci da quella porta, cara.”

“Stai attenta, tornando a casa.”

“Andrà tutto bene.”

Ringraziai entrambe in fretta e uscii. Avevo bisogno d'aria.

Disperatamente.

Appena uscii, il gelo dell'autunno mi sferzò in viso. Forse sarebbe arrivata la neve, di lì a qualche giorno.

Allacciai il cappotto e mi costrinsi a credere che non c'era più pericolo di incontrarlo. Forse non mi aveva nemmeno riconosciuta. Forse non era lui, pensai con una stretta al cuore.

“Raf!” il cuore mi sprofondò nel petto appena sentii la sua voce dietro di me. Doveva aver ascoltato la mia conversazione con le gemelle e aver capito che sarei uscita da qualche altra parte.

Raccolsi tutte le mie forze per non voltarmi e rimasi immobile. Le gambe non mi ubbidivano e costringerle a fare un solo passo lontano da lui mi parve la cosa più difficile del mondo, in quel momento; ma ci riuscii.

Malferma e con la vista annebbiata dalle lacrime, cominciai a camminare lontano da lui, contando ogni passo, per distrarmi.

E tuttavia sapevo che non ce l'avrei mai fatta, perché sentivo i suoi passi dietro di me e sapevo che tra poco mi avrebbe presa. Non riuscivo a correre.

Il cuore mi batteva talmente forte che lo sentivo rombare nella testa, come se avessi onde che battevano a ritmo per uscire.

“Raf!” avvertii una stretta infuocata al polso e Sulfus mi costrinse a girarmi verso di lui.

Complicando ancora di più le cose, mi accorsi che malgrado piangessi e stessi inutilmente cercando di scappare, il vuoto dentro di me era sparito. Il cuore batteva, i polmoni erano pieni di aria, il viso arrossato e avevo le farfalle nello stomaco.

La mano di Sulfus scese e intrecciò le dita con le mie.

“Raf.” ripeté per la terza volta, appoggiandomi l'altra mano sul viso e asciugandomi le lacrime che scendevano sulle guance. Non riuscivo a muovermi. Non volevo farlo. Era più o meno come quando bisognava alzarsi dal letto la mattina per andare a scuola, ma non si voleva lasciare il tepore delle coperte. Solo dieci volte più intenso.

Per un attimo, Sulfus parve senza parole.

“Ti ho trovata, finalmente.”

Mi imposi di rimanere in silenzio.

“Mi cercavi?” chiesi invece in un sussurro.

“Certo che ti cercavo.” sul suo viso si formò un sorriso dolce ed incredulo. I suoi occhi sembravano oro liquido; era il ritratto della felicità.

Poi, un'ombra passò sul suo viso.

“Perché te ne sei andata?”

“Perché …” la mia voce era un mormorio tremulo. “Non volevo soffrire ancora.” riuscii a concludere. Nel suo sguardo passò la consapevolezza di quello che dicevo.

“Non soffriamo lo stesso, anche così?”

Scossi la testa.

“Ma prima o poi passerà. È giusto così. Se invece continuiamo a stare così vicini … Non finirà mai.” mi costringevo a parlare e tenevo gli occhi chiusi. Non riuscivo a guardare la sofferenza che gli passava sul viso.

Sulfus mi mise entrambe le mani sulle guance.

“Questo è cento volte peggio della sofferenza di prima.” disse, avvicinando pericolosamente il viso al mio.

Mi allontanai di scatto e le lacrime resero sfocata la sua immagine.

Non potevo continuare ad alternare la felicità di stare con lui alla tristezza amara di ogni attimo di separazione … Non potevo tollerare di combattere contro Sulfus. Non potevo sopportare di lasciarlo. Non avrei potuto sopportarlo se lui avesse saputo che lo amavo. Almeno uno di noi non doveva soffrire.

Riflettei in fretta. Non sarei mai riuscita a dirgli che lo odiavo. Già mentire era difficile, questo era quasi una bestemmia, ma se avesse dimenticato di avermi trovata, si sarebbe convinto che l'avevo lasciato senza motivo e che non ero più tornata … Mi avrebbe dimenticata più in fretta.

Andai verso di lui a grandi passi e Sulfus mi scrutò dubbioso, mentre alzavo una mano verso il suo viso fino a raggiungere la fronte.

Mi concentrai al massimo per fargli dimenticare tutto quello che aveva visto. Penetrare nella mente di un Devil era fastidioso, ma io e lui eravamo talmente in sintonia … Per un momento vidi la consapevolezza di quello che stavo facendo passare nei suoi occhi.

Ben presto li chiuse e mi si accasciò addosso, svenuto. Gli sarebbe servito un po' di tempo per recuperare, ma si sarebbe svegliato presto e non avrebbe ricordato nulla.

Lo appoggiai a un muro lì vicino. Osservai il suo bel viso tranquillo, beato.

Gli depositai un bacio sulla fronte e mi allontanai di corsa, temendo che potesse svegliarsi.

 

Dovevo fare in fretta. Non capivo granché di generi alimentari, ma sapevo che nei supermercati umani si trovavano anche delle cose per tingere i capelli.

Le trovai quasi subito: Say me le aveva indicate tempo prima.

Ne afferrai una a caso e la pagai senza neanche pensarci. Avrebbe potuto ritrovarmi con troppa facilità se non l'avessi fatto, ma io volevo rimanere alla pasticceria. Serviva qualcosa che mi camuffasse a tal punto da indurlo a credere che era impossibile che fossi Raf.

Arrivai a casa di corsa e mi tuffai letteralmente in bagno. Avevo dimenticato l'appuntamento con Luke: pazienza. Lessi le istruzioni e applicai la tinta come richiesto. Non sapevo neanche di che colore era.

I capelli erano ormai umidi, quando sentii bussare alla porta.

“Ehi, Raf, va tutto bene? Sei in casa?”

Say entrò senza fare troppi complimenti.

“Raf?”

Mi feci coraggio e uscii dal bagno. Non mi ero ancora guardata allo specchio e sospettavo che di me fossero rimasti solo gli occhi azzurri.

“Aaarg!” strillò Say appena mi vide e fece un balzo indietro. “Raf!” ansimò, “Mi hai fatto prendere un colpo! Un attimo,” mi scrutò, “tu sei Raf?”

Annuii.

Fece spuntare delle fiammelle dalla mano e la luce si diffuse in casa, insieme a un certo tepore. Say era davvero magica.

“Mh.” mi squadrò, “Direi che questo colore ti dona.”

Finalmente, osai lanciare un'occhiata allo specchio.

Il mio viso era ancora più pallido tra i capelli neri che ora lo incorniciavano e gli occhi sembravano più grandi e splendenti. In fondo, mi donava. Con un sospiro tremulo, pensai che avrei quasi potuto passare per una Devil.

“Ora, vuoi spiegarmi che diamine è successo? Perché, non che la tua favolosa tintura non ti stia bene, ma sembri uscita da un frullatore.”

Presi un bel respiro e guidai Say in cucina.

Preparammo un po' di camomilla e le raccontai tutto. Le raccontai di Luke e di Sulfus, anche di come avevo cancellato i suoi ultimi ricordi e del timore che tornasse a cercarmi.

Say era a bocca aperta.

“Ti lascio sola due giorni e guarda che succede!” esclamò. “Raf, sei una calamita per disastri!”

Ridacchiai quando lo disse. Era davvero buffa.

“E quindi ti sei tinta i capelli di nero per questo.” concluse. “Questa è stata una grande idea. Per essere un'Angel sei molto più astuta di quello che pensavo …”

Le lanciai un'occhiataccia.

“Farò finta di non aver sentito.”

Say fece una smorfia, ma poi il suo viso tornò serio.

“Cosa pensi di fare adesso? È evidente che lui ti cerca.”

Alzai le spalle e non risposi.

“Ascolta Raf. È … E' solo un'idea, ma non pensi che sia il caso di dare una possibilità a Luke?” si morse il labbro. “Lui è un Angel come te, è gentile e disponibile, ti ha salvata quando stavi per annegare e si è offerto di darti lezioni ...”

Sospirai. Ci avevo pensato. Non ero così sciocca. Forse, con un po' di impegno, io e lui avremmo potuto diventare buoni amici, e magari qualcosa di più.

Era perfetto.

Avrei potuto tornare alla Golden School … Ma poi, quando avrei visto Sulfus, quando mi sarebbe stato vicino, come avrei fatto a convincermi che Luke era il mio ragazzo? Che era Luke quello di cui ero innamorata?

Say lesse la disperazione nei miei occhi e rimase in silenzio. Un attimo dopo si alzò e mi strinse piano la spalla con una mano.

“Hai bisogno di dormire.” sorrise. “Riposati un po' … Forse domani mattina le cose sembreranno più facili.”

Seguii il suo consiglio e mi stesi sul letto, ma gli occhi di Sulfus comparivano nella mia mente ogni volta che chiudevo i miei. Sentivo il tocco infuocato delle sue mani su di me.

Creai un cervo di ghiaccio e lo feci galoppare per la stanza, per distrarmi. Poi un cavallo imbizzarrito. Una tigre. Un leone e una leonessa. Li lasciai correre sul soffitto, sempre più veloci, in cerchio, fino a quando li fusi insieme in un enorme barbagianni, che trasformai in fiocchi di neve.

Li feci uscire dalla finestra usando l'aria e poi la richiusi. Creai un angelo. Un'angela meravigliosa, con le ali immense.

Creai un diavolo, altrettanto bella.

Lasciai che si avvicinassero l'uno all'altra e lui le prese la mano, lei si gettò tra le sue braccia e rimasero stretti per un tempo infinito.

Li fissavo affascinata, come se non fossi io a crearli.

All'improvviso, lei alzò la testa e incontrò il suo sguardo, intrecciando le mani con le sue. Lui chinò il viso e si baciarono dolcemente, lasciandosi trasportare via dal vento della notte.

 

“Raaaf!” cantilenò la signora 1, “Piantala di fissare il forno e finisci di preparare i muffin!”

La signora 2 mi scrutò perplessa, ma non disse nulla. Io mi riscossi all'improvviso e afferrai il frullatore. Dieci minuti dopo i muffin erano in forno, anche se temevo di averci messo il sale al posto dello zucchero.

Appena furono pronti ne assaggiai uno senza farmi notare e con sollievo mi accorsi che mi sbagliavo. Erano venuti piuttosto bene, rispetto al solito.

Li guarnii con un po' di zucchero a velo e con cautela uscii dalla cucina. Le gemelle non mi avevano riconosciuta subito quand'ero entrata in pasticceria, ma subito dopo mi avevano fatto i complimenti.

Per tutta la mattina, le tinte erano state oggetto di discussioni tra le gemelle. In condizioni normali le avrei trovate divertenti, ma quel giorno non ero proprio in vena.

Quando poi entrai nel locale e mi accorsi di chi avevo davanti, lo fui ancora meno.

Luke si alzò appena mi vide e sul suo viso era dipinta la preoccupazione, che si tramutò in sorpresa vedendo i miei capelli, e poi di nuovo in preoccupazione.

Avanzò verso di me e io consegnai i muffin a Ruby.

“Puoi venire un attimo con me?”

Luke mi prese per mano e mi portò in cucina. Appena le gemelle ci videro sussultarono e si scambiarono un sorriso.

Arrossii.

“Non ...” iniziai, ma le due mi interruppero.

“Devo andare nella dispensa!” annunciò la signora 1.

“Anch'io, assolutamente!” annunciò anche la signora 2. Entrarono in dispensa e si chiusero la porta alle spalle.

Luke mi guardò.

Io tolsi la mano dalla sua e mi appoggiai al bancone della cucina.

“Stai bene?”

Annuii.

“Insomma ...” si passò una mano fra i capelli, “ero preoccupato. Ti ho vista uscire in quel modo e … E credevo che ti fosse successo qualcosa … Sarei ...”

Scossi la testa.

“Luke, non importa.” gli dissi con un sorriso. “Sto bene, mi sono solo ...” perché era così difficile mentire? “sentita male.”

Ma lui si accorse della mia esitazione e si avvicinò.

“E' stata colpa di quel ragazzo, vero? Quello con gli occhi da demone e i capelli neri.”

Abbassai lo sguardo e annuii. Non riuscivo a mentire. Ero stanca di mentire. Non ne potevo più.

“Raf.” mi sollevò il viso con una mano. Incontrai gli occhi blu di Luke, e pensai che era davvero un bel Angel. L'Angel che tutte avrebbero sognato normalmente.

“Cos'è successo tra voi due?”

E all'improvviso fui stanca di tenermi tutto dentro.

“Appena esco dal lavoro andiamo … Ti racconto tutto. Non qui, però.”

Luke abbozzò un sorriso.

“Ti aspetterò.”

Mi baciò con delicatezza sulla fronte e io arrossii, imbarazzata. Lui uscì dalla cucina.

Controllai l'orologio. La giornata sarebbe finita tra meno di un'ora.

Le gemelle, che evidentemente avevano sentito tutto, uscirono dalla dispensa quasi saltando e non dissero nulla per il resto del tempo, ma questo peggiorò di molto la situazione. Continuavo a tormentarmi, chiedendomi se fosse giusto rivelare tutte quelle cose a uno sconosciuto, perché mi avesse baciata sulla fronte, se fossimo amici … Quando le gemelle mi annunciarono che era ora di chiudere, ero un fascio di nervi e mi sentii avvampare quando vidi Luke aspettarmi fuori.

Uscii tra le risatine della signora 1 e della signora 2, che mi spedirono fuori praticamente di corsa.

“Ciao.” mi salutò Luke.

Abbassai lo sguardo.

“Ciao.”

“Vieni.” ci incamminammo fianco a fianco verso la costa, in silenzio. Intuivo che Luke voleva darmi tutto il tempo che mi serviva per prepararmi.

“Si chiama Sulfus.” dissi in un soffio.

Avvertii il suo sguardo su di me. La sua mano si infilò nella mia e la strinse. Mi infondeva fiducia. Gli Angels erano tutti così.

“Frequentavamo la Golden School insieme e … E … Io non lo so. Eravamo avversari durante il primo anno e lui era … Era tutto quello che credevo non mi sarebbe mai capitato.”

Raccontai tutta la storia a Luke, spiegandogli com'ero scappata dopo il combattimento, come gli avevo cancellato la memoria la sera precedente e il motivo dei capelli neri.

Ascoltò senza parlare né fare domande.

Mi mise un braccio attorno alle spalle e mi strinse a sé tra gli scogli, su cui ci eravamo seduti.

“E' la prima volta che lo racconto a un Angel.” confessai, dopo un attimo di silenzio. Luke sorrise.

“E perché?”

Alzai le spalle.

“Non volevo che mi giudicassero o che mi dicessero che era sbagliato.” abbassai lo sguardo. “Lo so già.”

“Raf!” si accigliò, “Non vorrai fartene una colpa!”

Lo fissai, sorpresa.

Luke sorrise.

“Non hai niente di cui rimproverarti! Certo, è una cosa difficile e pericolosa da gestire, ma non è sbagliato! Nessuno di voi due sbaglia … Come potrei biasimarti? Chiunque farebbe quello che hai fatto tu!” i suoi occhi erano sinceri. “Non si può scegliere a comando di non amare una persona.”

Gli sorrisi di cuore.

“Grazie, Luke.”

“E comunque, Raf, la Golden School non è volta a farvi combattere. Nessuno vuole una guerra tra Angels e Devils …”

Lo fissai, confusa.

“Durante le prime lezioni vi fanno scoprire un lato nuovo di voi, ma lo fanno perché impariate a gestirlo.”

Avevo capito male, o …?

Luke mi strinse più forte.

“Raf, quelle lezioni servono per insegnarvi a controllare le vostre facoltà mentali. Servono ad insegnarvi a rimanere completamente consapevoli anche quando state per attaccare, così da evitarlo. Non avrebbe senso che vi insegnassero a combattere, se non volessero fare una guerra.”

Fui invasa dal sollievo. Almeno quello era un ostacolo superato. La mia felicità, tuttavia, non fu grande come avrei sperato.

Non risolveva lo stesso il problema e parve notarlo anche Luke.

“Ascolta, Raf. Se non te la senti di rivederlo, perché non rimani qui? Posso insegnarti io quello che ti serve e puoi dare gli esami alla Golden School per l'ammissione all'anno successivo in settembre. Non dovresti più rimetterci piede.”

Lasciai uscire il fiato che non mi ero accorta di trattenere.

“D'accordo.” annuii, sorridendo. “Mi sembra un'ottima idea.”

 

Il giorno successivo, in pasticceria, fui bersagliata dalle frecciatine delle gemelle. Visto che era sabato, anche Say lavorava con noi in cucina e, perplessa, seguiva quello scambio di battute.

“Cara, prepariamo la torta dei piccioncini e mettiamola in vetrina!”

“Oh, no, io credo sia più opportuno regalarla a qualcuno di nostra conoscenza.”

“Oh, sì, cara, una coppia adorabile, non trovi?”

“Dolci come il pan di zucca!”

“Come lo zucchero filato!”

“Come le mele caramellate!”

Uscii dalla cucina con la scusa di servire un tavolo inesistente. Quelle due erano davvero pestifere! Mi appoggiai alla parete vicino alla cassa. Ruby mi lanciò un'occhiata ma non disse nulla.

Osservai i clienti seduti ai tavoli e mi accorsi che fuori nevicava. Le giornate passavano talmente in fretta … Era già buio e la neve scendeva. Era arrivato l'inverno.

Sospirai. Ormai era novembre inoltrato. Mancavo da molto.

“Ehi, Raf, metti la torta sull'espositore, per favore?”

Say mi mise in mano una torta con un sorrisetto e io feci quanto richiesto senza pensarci troppo, salvo quando notai con un certo disappunto che era la torta dei piccioncini.

Fatta con panna e mirtili, era una delizia che le gemelle servivano solo alle coppie di fidanzatini. A giudicare dall'espressione di Say, quelle due dovevano averle raccontato tutto.

Rientrai in cucina arrossendo.

“E poi, diciamolo, ci voleva, no? Serviva proprio un fidanzato anche a lei.” commentò la signora 1, all'evidente conclusione di un lungo e spensierato discorso.

“E tu, cara Say, sei fidanzata?”
Say si morse il labbro.

“Direi di sì, solo che lui … Viaggia molto. Passa a trovarmi raramente, ma ci scriviamo un sacco.” il sorriso sul suo volto era piuttosto stentato, ma le sorelle non parvero accorgersene.

“Oh, quand'è romantico, cara!” sospirò la signora 2. “Piacerebbe anche a me che i miei fidanzati fossero stati così ...”

Ma si interruppe vedendomi entrare e afferrare il frullatore.

“Oh, Raf, non ne possiamo più di stare sulle spine!” esclamò la signora 1 in tono lamentoso.

“Sì, è vero, cara!” concordò la signora 2 con lo stesso tono.

“Dai, parlaci del tuo fidanzato!”

Sorrisi tra me e me.

“Ecco ...” iniziai afferrando il ricettario, “All'inizio ci detestavamo proprio. Non ci sopportavamo. Lui … E' un tipo molto diverso da me.”

“Davvero?” fece la signora 1, sorpresa.

Annuii.

“Lui … E' muscoloso, bello e coraggioso ...” sospirai, ricordando tutte le volte che aveva dovuto essere coraggioso per me e con me, “Sa sempre cosa dirmi. Sempre. Peccato che sia tutto finito ...”

Appena lo dissi, mi accorsi che avrei dovuto tenerlo per me. La signora 1 strillò e alla signora 2 cadde di mano il cucchiaio, che si conficcò nell'impasto del pan di zucca.

“Ma cara!” esclamò scandalizzata, “Noi credevamo che tra te e Luke fosse appena iniziato tutto, non finito!”

Ridacchiai. Ecco dove volevo arrivare. Volevo che capissero che Luke non era il mio ragazzo, così avrebbero smesso di fissarmi in quel modo … Era imbarazzante.

“Oh,” dissi con un sorriso, “ma Luke non è il mio ragazzo.”

La signora 1 sussultò.

“Ma … Ma … Ma ...”

E non disse altro. La signora 2, invece, ebbe una reazione ben diversa.

“Cara! Ma insomma! Come sarebbe a dire? Io pensavo … Noi pensavamo … Aspetta: hai detto che è tutto finito? Quindi ora puoi fidanzarti tranquillamente con Luke!”

Oh, no.

“Oh, sì!!” trillò la signora 2. “Luke ti piace, vero?”

“Io … Ecco … Non lo so … Forse, ma non così. Come amico.”

“Ma è un ragazzo talmente dolce!”

“Educato!”
“Gentile!”

“Sembra un angelo!”

Quasi mi strozzai con la saliva quando lo disse.

“Avanti, Raf!”

“Cosa ci sarebbe di male, dopotutto?”

In lista, direi che di male c'erano un bel po' di cose; uno, io amavo ancora Sulfus, due sarebbe stato un tradimento nei suoi confronti, e tre io non amavo Luke!

Forse come amico, ma ero lontana dall'amore … Perlomeno dall'amore come lo conoscevo con Sulfus.

“Non lo so … Io credo ...” dovevo trovare una scusa convincente. E forse la verità lo era. “Sono ancora innamorata del mio ex ragazzo e non credo che riuscirei a … Stare con un altro.”

Proprio quando le gemelle aprirono contemporaneamente la bocca per protestare, la testa di Ruby sbucò da dietro le tendine.

“Ehm … E' pronto qualche dolce? Non … Non vorrei essere troppo … Insomma, scortese, ma i clienti protestano ...”

Effettivamente eravamo in cucina a mescolare gli stessi impasti da quasi mezz'ora e il mio, che conteneva il lievito, aveva fatto le bolle.

Le gemelle si ripresero e uscirono di corsa con due torte per mano, scusandosi per l'inconveniente.

Sentii la voce di Lory provenire dall'altra stanza, e capii che per un po' non le avremmo riviste in cucina. Evidentemente lo capì anche Say, perché si voltò subito verso di me con uno sguardo indagatore.

“Sicura di amare ancora Sulfus?”

Annuii.

“Di tutto cuore?”

Annuii di nuovo, stendendo l'impasto e accendendo il forno.

“Sicura?”

“Sì.”

Say sospirò.

“Allora non è che si possa fare molto. E con Luke … Non funziona?”

Scossi la testa.

“Come amico sarebbe perfetto. Anche come fratello, forse, ma … Sì, sarebbe un fidanzato perfetto: dolce, premuroso, attento, ma non è quello di cui ho bisogno. Non è lui quello che voglio.”

Say brontolò qualcosa, ma non disse nulla. Tacqui anch'io, nonostante volessi raccontarle quello che era successo la sera precedente.

Invece, non dissi nulla e quando le gemelle rientrarono in cucina erano troppo impegnate a ricordare tutti gli animali da compagnia che avevano avuto, tra i quali spiccava un cane di nome Sparkie, per ricordare di tartassarmi con questioni amorose.

La giornata trascorse in modo tranquillo. Non nevicò, ma rimase nuvoloso per tutto il giorno e minacciò di farlo.

All'orario di chiusura, Say mi salutò dicendo di dover andare in panificio, ma non mi dispiacque più di tanto; sarebbe stato ben complicato spiegarle il motivo per cui Luke mi aspettava a nemmeno tre metri dal locale.

“Ciao, Raf.” mi salutò. Risposi al saluto e ci incamminammo insieme verso il mare.

“Com'è andata la giornata?”
“Bene, grazie. Tu?”

“Abbastanza bene. Come Guardian Angel mi sono praticamente trasferito sulla Terra a sorvegliare gli umani … Il che è davvero estenuante. Aiutarli può essere davvero difficile.”

Dissi che ero d'accordo con lui e per un po' il discorso proseguì così, parlando di dettagli come il tempo, la Golden School e la carica di Guardian Angel.

Appena arrivammo sugli scogli, però, l'atmosfera cambiò.

“Bene, Raf. Ora, voglio vedere quello che sai fare.”

Sapevo che questo non comprendeva il controllo dell'attacco contro un Devil; avevo spiegato a Luke il mio problema, ma gli avevo detto di non sapere perché non fossi controllata da quell'impulso così violento.

Luke non sospettava niente e aveva detto che era un grande vantaggio per me.

“Prova a creare degli animali di ghiaccio.”

Creai un coniglietto.

“Fallo muovere un po'.”

Il coniglietto saltellò sulle rocce, atterrando anche vicino al mare e poi tornò al mio fianco.

La sua luce era fioca nella notte, ormai scesa intorno a noi. Iniziò a nevicare.

“Ora, ingrandiscilo.”

Fu un po' più complicato, ma alla fine ci riuscii, anche se le orecchie erano troppo grandi, rispetto al corpo.

“Rimpiccioliscilo.”

Questo fu davvero facile. Il coniglietto divenne grande come la mia mano, dove si posò docilmente. Lo feci saltellare sulla mia spalla, in modo che la sua luce mi fosse vicina. Sentii la sua aura gelata accanto a me.

Luke annuì e sorrise.

“Molto bene Raf, molto meglio di quanto osassi sperare. Impari davvero in fretta, complimenti.”

Arrossii, imbarazzata.

“Adesso voglio che tu, partendo da quel coniglietto crei un cervo.”

Feci scendere il coniglietto fino alla mia mano e trasformai le sue orecchie in corna, il suo muso in quello del cervo e assottigliai le sue zampe.

Con mia sorpresa, però, ne uscì un animale particolarmente deforme, che non aveva niente a che fare con un cervo, se non le corna.

Luke si avvicinò.

“Per trasformare un animale di ghiaccio in un altro, devi prima farlo tornare alla sua forma iniziale.”

Mi mostrò la sua mano e mi fece cenno di guardare.

Creò un coniglietto e, ammirata, osservai la sua perfezione: ogni singolo pelo era perfetto. Avrei potuto confonderlo per un vero coniglietto.

Lo trasformò in una pallina, se la passò da una mano all'altra e poi la fece diventare uno splendido cervo.

“Prova tu.”

Era facile, anche se i miei animali non erano perfetti come i suoi.

“Bene. Hai dimestichezza con il ghiaccio, ma ora voglio vedere quanta ne hai davvero.” il suo sguardo si abbassò sul mare calmo. “Ghiaccia un tratto di mare e prova a camminarci sopra.”

Rabbrividii, perché anche se l'avevo fatto tante volte con Say, non ci avevo mai provato in un tratto di mare con l'acqua tanto profonda. Temevo che cedesse.

Scesi cautamente, fino a quando non fui sull'ultimo scoglio che mi separava dal mare.

Respirai a fondo.

Ora o mai più.

“E non avere paura. Mai.” mi ricordò la voce di Say nella mente.

Concentrazione.

A occhi chiusi appoggiai un piede sull'acqua e sentii la superficie del ghiaccio incrinarsi sotto il mio piede.

Mi concentrai di più, per far fluire il ghiaccio dalle mie mani ai piedi. Come fosse una parte di me che poteva vagare nel mio corpo e scegliere da dove uscire. Ebbi la fugace sensazione che se avessi voluto avrebbe invaso ogni parte del mio corpo e sarei potuta diventare tutt'uno col ghiaccio.

Sotto il mio piede la superficie era solida. Appoggiai anche l'altro e all'improvviso il mio sesto senso scattò. Avevo capito.

Aprii gli occhi e camminai, andando sempre più al largo, sentendo il ghiaccio che si diffondeva sotto di me.

Mi voltai verso Luke, che sorrideva e camminava dietro di me.

Feci una giravolta e mi misi a correre verso il faro che si trovava al largo, in mezzo al canale delle barche. Dietro di me si estendeva una scia di ghiaccio.

Mi voltai agilmente verso Luke, che sorrideva.

“Prova a fare di più. Puoi crearlo, puoi gelare l'aria, puoi fare quello che vuoi. Provaci.”

Aprii le mani e creai uno scivolo di ghiaccio davanti a me. Scivolai giù, verso gli scogli e atterrai senza problemi. Avevo capito. Il ghiaccio, acqua e aria, erano parte di me. Erano con me.

Luke mi prese la mano.

“Trasforma tutto in acqua.”

Digrignai i denti per lo sforzo e trasformai il ghiaccio in neve, prima di renderlo definitivamente acqua.

Luke annuì.

“Per una prima volta non è male. Su questo dovrai esercitarti molto, perché agli esami viene chiesto praticamente sempre.”

“D'accordo.”

“E ora, iniziamo con l'acqua.”

 

Luke mi aveva avvertita riguardo ai possibili effetti collaterali, in forma umana, dell'allenamento che stavamo facendo, ma non credevo che sarebbero stati tanto frequenti.

Ghiacciai tre torte quel giorno, con sconcerto delle gemelle, che credevano fosse un segno del destino. Congelai l'acqua che usciva dal rubinetto e nei miei capelli si formò persino qualche cristallo, che diventava costantemente acqua a causa dell'alta temperatura del locale.

La signora 1 e la signora 2 fissarono perplesse il terreno che si ghiacciava sotto i miei piedi, ma non dissero nulla. Quel giorno, anche Say lavorava con noi in negozio e cercò di coprire le tracce del mio passaggio con le fiammelle, anche se inutilmente.

Non sapeva nulla degli allenamenti con Luke, ma sicuramente sospettava qualcosa, visto che continuavo a combinare disastri come mai mi era successo.

Il colmo venne quando io, preparando il pan di zucca, mi misi a pensare agli animali creati con Luke.

AAAARGH!!!” sentii gridare in coro le gemelle. Quando mi voltai notai un enorme lupo di ghiaccio fissarle incuriosito e muoversi piano verso di loro, con le orecchie dritte.

Si strusciò sul fianco della signora 1 che, col vestito congelato, scappò e si chiuse nella dispensa.

La signora 2 svenne.

“Bene,” disse Say mentre io facevo sparire il lupo, “suppongo che tu abbia intensificato gli allenamenti con Luke.”

Annuii.

“Raf, se continui così finiranno per avere un infarto.”

Non potei fare a meno di ridacchiare. Nonostante fosse una situazione per niente divertente, c'era lo stesso qualcosa di comico.

La signora 2 si riprese poco dopo, grazie a Say, e riuscì a tirare fuori la signora 1 dalla dispensa. La signora 1 si portò dietro una zucca semi congelata e la tenne a portata di mano per tutto il giorno.

Mi fissarono entrambe, ma non dissero nulla.

Io sospirai e mi uscì una nuvoletta congelata dalla bocca. Le sorelle sgranarono gli occhi e, quando notai la loro reazione, cominciò a nevicare nella stanza.

“D'accordo, Raf, penso che … Che dovremmo andare.” disse Say, sconcertata. Io rimasi immobile, con le labbra serrate. Mi veniva da piangere. Mi appoggiai al bancone e mi strinsi le braccia al petto.

Le gemelle fissarono la neve, poi me, poi la neve, poi me, poi Say e lo fecero contemporaneamente, più volte.

Un Angel non poteva rivelare la propria natura, ma se gli veniva chiesto direttamente da qualcuno vicino a scoprirla, non poteva fare più nulla: la legge suprema degli Angel, sopra ogni altra, era non mentire, non celare.

Se me l'avessero chiesto, avrei dovuto dirglielo.

Say fissava le gemelle, con i pugni serrati e la neve continuava a cadere, mentre il pavimento ghiacciava lentamente sotto i miei piedi.

Spazio autrice: ciao a tutti! Di ritorno dal mare, che spero mi sia stato d'ispirazione, pubblico i nuovi capitoli! Sono ansiosa di leggere le vostre recensioni, a cui peraltro amo rispondere ... Fatemi sapere presto cosa ne pensate! Baci, Piuma_di_cigno.

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 - Rivelazioni ***


Capitolo 10 – Rivelazioni

L'idea di curarci esclusivamente dei nostri affari è come immondizia ammuffita. Chi può infatti essere così egoista?
(Myrtie Barker, Per un amico)

 

Nessuno avrebbe potuto prevedere la reazione delle gemelle. Nessuno.

“Raf ...” Say ci fissava tutte e tre, comprensibilmente disperata, e cercava di prendermi la mano, quando le gemelle si fecero avanti.

“Oh, Raf.”

“Raf, cara.”

Abbassai lo sguardo. Il loro tono era triste, dispiaciuto. Non volevo andarmene da quel locale … Era così bello! Ormai loro erano diventate una compagnia fidata e stare con loro mi faceva sentire meglio anche nei momenti più bui.

Non riuscivo a sopportare anche la loro disapprovazione.

Come Angel non mi ero mai sentita uno scherzo della natura, o comunque esclusa, ma sapevo cosa si provava da quando avevo scoperto le mie origini umane; e ora quella sensazione amara tornava a farsi strada dentro di me come erbaccia velenosa.

Aspettai in silenzio che le gemelle mi cacciassero dal loro locale.

Ma rimasero entrambe zitte.

Zitte e con gli occhi spalancati.

La legge degli Angels vietava di cancellare la memoria agli umani, anche in casi come questo. Bisognava affrontare le conseguenze dei propri errori, sempre.

Alla fine, entrambe espirarono. Buttarono fuori l'aria che, probabilmente, avevano trattenuto nei polmoni fino a quel momento.

“Bene. Sara, finisci tu quella torta?”

“Certo, Suze cara.”

E si rimisero al lavoro sotto gli occhi stupefatti di me e Say. Ricominciarono a ridere e scherzare nella cucina congelata, almeno finché Say fece partire delle fiammelle dalle mani e sciolse il ghiaccio, asciugando subito dopo l'acqua che invase la cucina.

“Raf, ti spiacerebbe raffreddare un pochino l'impasto della crostata? Mi spiacerebbe far aspettare un'ora Lory. Ha assicurato che non se ne andrà senza.”

Alzai lo sguardo, sorpresa, e sentii un gran sorriso disegnarmisi sulle labbra.

“Certo!” esclamai e feci come richiesto.

Ma non sapevo fare solo queste cose.

Visto che l'inverno era alle porte, le statuine di ghiaccio erano una cosa incredibilmente apprezzata dai clienti e i minuscoli lupi che riuscivo a creare, insieme a cervi e a chissà cos'altro, incantava i bambini.

Li mettevamo sulle torte e sugli espositori, dopo che le gemelle li avevano guarniti a dovere con glasse e zuccherini.

“Raf, fai volare un po' d'acqua da me?”

“Say, mi cuoci questo biscotto, così sento se è buono? È un esperimento!”

Suze e Sara accettarono senza condizioni i nostri poteri. Ne parlavano apertamente, a volte anche davanti ai clienti, che dal canto loro le credevano impazzite, alla fine.

La cucina divenne parte del mio allenamento, ma fummo costrette a separarla dal resto del locale con una porta: se qualcuno fosse entrato e avesse visto bilance e misurini volare per aria, acqua atterrare precisa nelle caraffe del tè e animaletti di ghiaccio giocare sugli scaffali in attesa di essere mangiati, allora sicuramente ci avrebbe portate tutte in manicomio. E ci sarebbe venuto anche lui, cliente sventurato.

Ruby non fu subito a conoscenza di tutto, ma tra le chiacchiere di Suze e Sara, che, sapeva, non erano certo pazze, e il fatto che una o due volte aveva intravisto il ghiaccio sotto i miei piedi, lo venne presto a sapere.

Entrò in cucina, e pur vedendo tutto quel delirio non fece null'altro che consegnarci le ordinazioni delle ragazze della vicina scuola di danza.

Per nulla sorpresa, afferrò la torta che feci fluttuare verso di lei.

 

Gli allenamenti con Luke mi aiutavano molto. Mi insegnò ad usare il ghiaccio per combattere, creare scudi, persino gradini su cui saltare nel caso in cui non avessi potuto volare e addirittura a creare intere strade congelate che serpeggiavano nel vuoto della nebbia di novembre.

Ormai eravamo a metà novembre, ma il vuoto nel mio cuore si era ingrandito. Ogni tanto avevo intravisto Sulfus in giro per la città e ogni volta era come sprofondare in una voragine più profonda.

Nemmeno l'amnesia che gli avevo provocato, non gli impediva di cercarmi. Ancora, ancora e ancora. Ma si sarebbe arreso. Doveva arrendersi, prima che lo facessi io e mi gettassi tra le sue braccia quando lo vedevo.

“Ora,” Luke interruppe i miei pensieri, “passiamo a un livello più alto.” Mi tese una mano. “Cammina sull'acqua, Raf.”

Sgranai gli occhi e lo fissai.

“Senza ghiaccio?”

Annuì.

“Puoi farlo. La fiducia può fartelo fare.”

Afferrai timidamente la sua mano, ma appena appoggiai un piede sull'acqua, affondò.

Rabbrividii per il freddo.

“No.”

Sorrise.

“Sì che puoi.” i suoi occhi incontrarono i miei. “Credimi, non cadrai. Solo se ci credi non cadrai. Vieni.”

Presi un grosso respiro.

Concentrazione. La radunai tutta. La radunai tutta per capire che l'acqua era solida, che io ero abbastanza forte da potervi camminare sopra.

Appoggiai un piede. Era elastica. Un po' come camminare su un tappeto elastico. Appena feci un altro passo, tutt'intorno si propagarono dei cerchi, come se vi fosse caduto un sasso.

Luke si allontanò, ma mi strinse la mano, costringendomi a seguirlo.

Lo feci.

Dovetti lavorare molto per prendere dimestichezza anche con questa situazione ed era difficilissimo stare in piedi pur sapendo quanto era profonda l'acqua sotto di me.

Non dovevo avere paura.

Luke mi insegnò anche a correre sull'acqua, a perdifiato e a saltare, addirittura. Non ci caddi mai, perché mi salvò ogni volta con riflessi pronti, trasformandola in ghiaccio o sollevandomi con l'aria.

Ormai gli allenamenti duravano tutta la notte e io avevo delle occhiaie terribili sotto gli occhi.

Luke afferrò una bolla d'acqua e me la tirò, ma io la congelai e la gettai lontano.

Ansimavo ed ero sudata, nonostante il freddo che faceva. Lo sforzo di stare in piedi sulla superficie del mare e allo stesso tempo avere i riflessi pronti a ricevere gli attacchi di Luke, era immane.

Si rivelò un insegnante molto severo, ma premuroso all'occorrenza. Sapeva sempre quello che faceva.

“Bloccala, Raf!”

La sfera d'acqua arrivò a tutta velocità verso di me e mi fece scivolare all'indietro mentre la bloccavo tra le mie mani e la rispedivo al mittente con quanta più forza riuscivo a trovare dentro di me.

Luke incassò il colpo; riuscì a trasformare la sfera in ghiaccio, ma gli finì tra le costole e dalla sua bocca uscì uno sbuffo secco, mentre sgranava gli occhi per la sorpresa.

Appena si riprese, mi sorrise.

“Complimenti, Raf. Qui direi che abbiamo finito.”

Mi raddrizzai, stupita.

“Con il combattimento ci siamo, hai grinta da vendere. Per un po' lavoreremo sulla coordinazione e sull'aria. Da Angel non sempre le tue ali saranno disponibili ed è meglio imparare a volare anche senza. Provaci, se hai un po' di tempo.”

Lo fissai senza capire.

“Usa l'aria per sollevarti.”

Un brivido mi corse lungo la schiena, ma annuii. L'idea di volare senza il conforto delle mie ali, su un precario mezzo di sollevamento, non mi piaceva per niente.

Temetti sinceramente di rompermi l'osso del collo.

Luke mi salutò e io tornai a casa. Mi tuffai sul letto e mi addormentai di colpo, per dormire solo due ore. Feci una doccia calda, mi truccai un po' e corsi verso la pasticceria.

Ero in ritardo, accidenti! Corsi più veloce che potevo e feci per infilarmi nel locale e infilare direttamente il grembiule, quando sbattei contro una porta chiusa.

Esterrefatta, alzai lo sguardo.

Certo.

Era domenica.

 

Passai il resto della mattinata a dormire, recuperando tutte le preziose ore di sonno perduto. Say venne a trovarmi nel pomeriggio e mangiammo qualcosa insieme, mentre la aggiornavo sugli allenamenti che Luke mi faceva fare e le raccontavo della sua nuova richiesta, di volare col solo ausilio delle ali.

Say commentò che certi Angels, addetti al tempo, si specializzavano nella creazione di trombe d'aria e cicloni, altri indirizzavano semplici venti e correnti sulla terra.

I Devils si occupavano dei temporali più violenti, soprattutto di lampi e tuoni, ma gran parte del meteo era opera degli Angels. Anche se, chi l'avrebbe mai detto, il sole era compito dei Devils. Il sole, in fondo, era fuoco e insieme alle stelle e alla luna, era loro prerogativa. Say disse che avrebbe voluto specializzarsi in qualcosa del genere, per quanto le conoscenze del suo popolo fossero all'epoca limitate, ma poi aveva conosciuto Tayco e tutto era passato in secondo piano.

Io non ricordavo nemmeno se avessi avuto dei piani prima di Sulfus.

“Magari potresti provare a sollevare me con l'aria, per fare esercizio con qualcosa di pesante, così poi è più facile farlo con te stessa.” suggerì Say.

Fui subito d'accordo.

“Ma … Mi perdonerai se ti farò cadere?”

Say sbuffò e si piazzò in mezzo alla stanza, a braccia spalancate.

“Coraggio.”

Chiuse gli occhi e io ridacchiai. Sentii l'aria fresca girarmi attorno alle dita quando la chiamai e la indirizzai verso Say, ma le spostai solo i capelli con una leggera brezza.

Quanto era forte il vento che sollevava una persona?

Avvolsi i piedi di Say con piccole trombe d'aria, e feci lo stesso con le mani. Sollevai lentamente i piedi da terra, mantenendo le mani dov'erano e mi sembrò di portare Say in spalla.

La sollevai piano, mantenendola orizzontale. Era davvero faticoso. Sembrava che dovessi muoverla con le mie stesse mani.

Per un attimo, la mia concentrazione vacillò e Say precipitò di alcuni centimetri. Sgranò gli occhi.

La sollevai di nuovo e tentai di girarla, in modo che fosse verticale. Say aveva un occhio aperto e uno chiuso, ma teneva le labbra serrate in modo da non distrarmi.

Quando la appoggiai a terra, Say espirò di colpo e lo feci anch'io, ricadendo sulla sedia.

“Dai, Raf! Riproviamo!”

Say si rimise in posizione e io mi concentrai di nuovo.

Questa volta avvolsi l'aria attorno a tutto il suo corpo, a spirale, aprendole le braccia col vento. I suoi capelli slittarono in alto. Le allargai le gambe, per favorire l'atterraggio, e le feci aprire i pugni.

Concentrazione. Say schizzò in alto e picchiò la testa sul soffitto. Il suo strillo di sorpresa mi distrasse e l'aria sparì immediatamente, facendola stramazzare al suolo.

 

Le settimane seguenti, che segnavano l'inizio di dicembre, trascorsero molto in fretta, tra la pasticceria e gli allenamenti. Non ero ancora riuscita a sollevarmi, ma non me ne preoccupavo troppo, visto che avevo fatto notevoli progressi con Say.

La mia coordinazione era migliorata moltissimo, grazie a Luke, e ora potevo tranquillamente camminare sull'acqua tenendo in equilibrio sfere di ghiaccio fluttuanti persino sulla testa.

In compenso, avevo scoperto di essere un disastro con le torte al cioccolato e con le marmellate. Non che in inverno se ne facessero molte, ma sicuramente in autunno non avevo dato il meglio di me.

Le gemelle ormai non uscivano più dalla cucina: comprato due paia di pattini, si divertivano a pattinare sul pavimento che io ghiacciavo continuamente durante il giorno. Si divertivano un mondo e mai fecero una domanda riguardo ai poteri miei e di Say.

Gliene ero molto grata.

Una o due volte avevo visto Sulfus nel locale. E l'avevo affrontato. Ero uscita a portare torte ai tavoli e avevo inghiottito le lacrime, cercando di non incrociare il suo sguardo.

Non si era accorto assolutamente di nulla.

Sapevo che il suo sesto senso gridava, ma Sulfus non aveva capito che ero io. E come poteva? Mi ero tinta i capelli e truccata e continuavo ad avere i capelli pieni di cristalli di ghiaccio.

Il mio viso era diventato magro e affilato e più bianco di quanto fosse mai stato. Persino il colore dei miei occhi stava cambiando.

All'inizio, non mi parve così grave, ma quando capii quello che succedeva davvero, il mondo mi crollò addosso.

Spazio autrice: oggi pubblico tutto lo stesso giorno! Al mare ho tanto scritto ... E tanto mi sono divertita! Grazie a tutti i lettori e vi ringrazio ora, perché ormai volgo al termine della storia che ho scritto per voi. Voglio rendervi felici con un lieto fine che pubblicherò molto presto. Ma, in fondo, cosa sono il divertimento e la gioia di un bel finale, se non vengono debitamente attesi? Baci, Piuma_di_cigno.

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 - Devil ***


Capitolo 11 – Devil

Si dice che l'amore con amore si paga, ma è certo che l'amore con l'amore si spegne.
(Anonimo brasiliano, Proverbio, XVII secolo)

“Tieni un attimo, per favore.” Say mi mise in mano una teglia, mentre trafficava nel forno, a casa. Mi aveva chiesto di darle una mano con una nuova ricetta per i biscotti e io l'avevo accontentata.

“Dici che verrebbero meglio con l'uvetta?” chiese Say. Io alzai le spalle. La mia testa era agli allenamenti; perché non riuscivo a sollevarmi? Cosa c'era di sbagliato in me!?

Eppure,

Ahia

non mi sembrava di essere

scotta

un caso tanto

Ahia!!!

disperato …

Scotta!!!” strillai all'improvviso e lanciai la teglia dall'altra parte della cucina. Say mi fissò esterrefatta.

“Che ti prende?”

Andò a raccogliere la teglia e quasi la gettò in aria anche lei.

“Raf, ma che hai fatto?”

La fissai ad occhi sbarrati e Say fissò la teglia bollente.

“O meglio, come hai fatto?”

Una sensazione orribile, dettata dal mio sesto senso, si fece strada nel mio stomaco. Sentii un blocco di ghiaccio formarsi nella gola e non riuscii a parlare.

Una parte di me si chiedeva perché fossi tanto spaventata, ma non riuscivo a capacitarmene. Non ragionavo. Ero terrorizzata.

Say borbottò che forse avevo toccato per sbaglio il forno e non aggiunse più nulla.

Io rimasi immobile, paralizzata dal panico.

Come … Come avevo fatto? Sapevamo entrambe che ero troppo lontana dal forno.

Mi appoggiai al muro, alla ricerca disperata di un sostegno. Il suo nome mi si formò nella mente.

Sulfus.

 

Say era molto preoccupata per me, temeva che avessi la febbre, ma era molto strano, perché gli Angels non avevano né febbre né influenza. Erano malattie umane.

Mi consigliò di riposare un po', almeno fino all'ora dell'allenamento con Luke. Quando lo sentii bussare alla porta ero un po' stordita, ma convinta, infine, che mi fossi immaginata tutto quello che era successo.

“Ciao, Raf, sei pronta?”

Annuii.

Ci avviammo verso gli scogli da cui partivamo per gli esercizi, ogni giorno. Iniziammo con qualcosa di semplice: congelare l'acqua, camminarci sopra o creare figure di ghiaccio.

Ma non riuscivo a fare niente.

Scongelavo l'acqua ghiacciata e non riuscivo a creare le figure di ghiaccio. Cominciavo ad avere paura. La paura e il panico mi si stavano annebbiando nello stomaco, come mai mi era successo.

Luke si bloccò con una sfera di ghiaccio a mezz'aria.

“Mmh … Raf, forse per oggi sarebbe il caso di lasciar perdere. Sembri molto stanca.”

Annuii. Dovevo essere stanca. Volevo essere solo stanca.

 

La situazione peggiorava. Le teglie non diventavano più bollenti tra le mie mani, ma c'erano altre cose che mi mettevano a disagio; ormai la ricrescita dei miei capelli biondi avrebbe dovuto emergere tra la massa di quelli tinti di nero, ma non succedeva.

Sentivo che le cose erano collegate.

Ero completamente congelata, nonostante riuscissi a bruciare tutto quello che volevo con le mani. L'acqua diventava vapore al mio tocco durante gli allenamenti e notai che non avevo praticamente più bisogno di bere.

Le mie guance erano pallidissime, le mie unghie scure e le mani bianche, cineree.

Ero terrorizzata quando, guardandomi allo specchio, notai che la mia aureola era sparita. Cosa mi stava succedendo?

Say mi fissava senza dire nulla, ma sapevo che era spaventata quanto me. Glielo leggevo negli occhi, che fissavano il mio corpo, alla ricerca di un nuovo, orribile segno.

Il culmine venne quando mi allenai con Luke per l'ultima volta.

“Facciamo una prova col combattimento, Raf.”

In piedi sulla superficie dell'acqua, mi misi in posizione, ma quando la sfera di ghiaccio mi fu sparata addosso, un altro istinto prese il posto dentro di me.

Sentii il fuoco ribollirmi nelle vene e chiusi gli occhi per la sofferenza: era come se la lava mi corrodesse le vene. Dovevo … Liberarmene!

In quello stesso istante una palla di fuoco partì dalle mie mani e deviò con furia la sfera di ghiaccio che veniva verso di me. La sfera cadde in acqua con un tonfo e diversi schizzi, in una nuvola di vapore.

Quando incontrai lo sguardo di Luke, scoppiai a piangere.

Luke si avvicinò e mi massaggiò la schiena con dolcezza.

“Vieni, Raf.” mi sollevò di peso, con delicatezza, e mi prese in braccio. Camminando sull'acqua, raggiunse la casa di Say e bussò.

Say uscì quasi subito e rimase esterrefatta quando ci vide. Io seppellii la testa nel petto di Luke, singhiozzando. Ma Say aveva intuito il motivo per cui eravamo lì e sbiancò di colpo, facendosi da parte per farci entrare.

Luke si sedette sul divano, continuando a cercare di calmarmi.

“Cos'è successo?” chiese Say.

Le spiegò piano la scena in mare; sembrava quasi che non volesse disturbarmi.

“Cosa pensi che sia?”
Luke scosse la testa.

“Raf … Penso che … Che tu debba trasformarti in sempiterna.”

Mi fecero alzare in piedi. Il sesto senso pulsava dentro di me, mi faceva battere forte il cuore per il panico.

Avevo così tanta … Paura. Non sapevo come fare, cosa pensare. Ma dovevo trasformarmi. Solo allora avrei potuto sapere quello che dovevo affrontare.

Inspirai lentamente e lasciai che tutto il mio potere di sempiterna mi avvolgesse, stordendomi, sollevandomi ed invadendomi.

Malgrado il mio sesto senso urlasse, ero così felice di tornare sempiterna! Finalmente, le mie ali, i miei poteri! Ero così leggera! Non mi ero accorta di quanto fosse mancato, e sorrisi di cuore. Quanto era bello tornare a casa!

Ma quando atterrai, il mio cuore sprofondò sotto i piedi.

Say e Luke mi fissavano attoniti, senza dire una parola.

Fissavano i capelli neri, le ali da cui le piume erano sparite, sostituite da pelle grigia, simili ad ali di drago.

Fissavano il mio pallore cinereo, le unghie scure, gli occhi di un blu profondo, non più azzurri, e i miei vestiti, completamente neri e violacei.

E, soprattutto, fissavano quel vuoto sulla mia testa, il vuoto che avrebbe dovuto essere colmato dall'aureola.

Ero diventata una Devil.

Spazio autrice: sì, ho pubblicato anche questo lo stesso giorno ... Che dire? Mi piace scrivere al mare. :) Finalmente le vacanze sono arrivate, il tempo per leggere e scrivere si è duplicato, e persino i compiti diventano più piacevoli se una cicala canta in giardino! Baci, Piuma_di_cigno.

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 - Caduta libera ***


Capitolo 12 – Caduta libera

La depressione è il dolore nella sua forma più pura. Io per esempio farei di tutto per essere capace di provare di nuovo un’emozione. Una qualsiasi.Il dolore fa male, ma quando è talmente potente da annullare qualsiasi altra sensazione, ecco, in quel momento inizi a credere che stai per impazzire.
(Il confine di un attimo, J. A. Redmerski)

 

Non riuscivo neanche a piangere. Ero completamente paralizzata dal terrore; com'era possibile? Com'era potuto accadere?

L'unica cosa che mi distingueva da una vera Devil erano le corna, che mancavano. Sulla mia testa non c'era nulla, come fossi stata umana.

Say guardò Luke.

“Cosa credi che le sia successo?”

Luke scosse la testa.

“E' grave.” si avvicinò a me, che ero seduta sul divano, di nuovo umana. “Raf,” cercò i miei occhi e vidi in lui una grande fermezza e determinazione, “due opposti non possono eguagliarsi. Possono solo sbilanciarsi da una parte, o dall'altra.” mi fissò. “O rinunciare ad esistere insieme.”

Rimase in silenzio per un istante, ma sentii ugualmente le sue parole nella mente. Il mio sesto senso sapeva quello che avrebbe detto.

“Raf,” disse, “il tuo cuore è ancora con lui e se non potete separarvi, devi diventare come lui.”

Say si avvicinò.

“Ma un Angel non può diventare Devil.” obbiettò.

Luke annuì.

“E' per questo che, quando le corna saranno spuntate sulla sua testa, Raf cesserà di vivere.”

Trattenni le lacrime, perché il colpo non fu puoi così forte. Il sesto senso mi aveva preparata, seppure con una sensazione vaga.

Presi un bel respiro.

“D'accordo.” deglutii. “Io …” incontrai lo sguardo di Luke e Say. “Non c'è una cura, vero?”

Luke abbassò gli occhi e scosse la testa.

Sentii le lacrime pungere.

“Quanto mi resta?”

“Gli allenamenti hanno velocizzato il processo e, a questo punto, ormai non più di qualche giorno.”

Avvertii una fitta al cuore.

“Va bene.” Say fece un passo verso di me, ma si fermò.

“Cos'hai in mente, Raf?”

Un altro respiro.

“Andrò … Andrò da Sulfus. A dirgli addio.”

 

Partii in volo verso la Golden School quella sera. Say mi abbracciò.

“Oh, Raf.” aveva gli occhi lucidi. “Tornerai, vero? Se … Insomma, se dovessi stare … Non lo so.” sospirò, il respiro tremulo. “Ma tornerai, vero?”

Annuii appena, un nodo che mi stringeva la gola.

“Andrà tutto bene.” sussurrai. Say abbozzò un sorriso e distolse lo sguardo.

“Buona fortuna.” mormorò, guardandomi negli occhi per un ultimo attimo.

Abbracciai anche Luke e lui mi strinse forte.

“Coraggio, Raf.” mi sorrise e mi fece una carezza sulla guancia. Annuii, la gola sempre più stretta e le lacrime che pizzicavano di nuovo gli occhi.

Ero già trasformata; mi preparai a prendere il volo e mi girai per un attimo verso di loro.

“Addio.” dissi in un soffio. Dubitavo molto che li avrei rivisti, pensai tristemente mentre l'aria mi scompigliava i capelli e le mie ali, sempre più veloci, mi guidavano verso il posto che per me era stato casa.

Volai più veloce che potevo, mentre il panico lasciava gradualmente posto al desiderio: il desiderio disperato di rivedere Sulfus.

Su questo mi focalizzavo, sbattendo le enormi ali da Devil. I miei capelli neri risultavano stranamente intonati all'aria di dicembre, come i miei vestiti.

Ero in tutto e per tutto una Devil.

Quando arrivai in vista della Golden School, una morsa mi strinse il cuore e la gola.

A quell'ora gran parte degli studenti era a cena.

Say mi aveva prestato un soprabito nero, col cappuccio, che indossai, per coprire la mancanza delle corna. Avrebbero anche potuto essere nascoste dai capelli, ma non si era mai troppo prudenti.

Non volevo rischiare di essere riconosciuta.

Nemmeno dalle mie amiche.

Quanto mi mancavano! Per un attimo fui tentata dal desiderio di andare al Sognatorio e salutarle, e passare solo un momento con loro, ma mi bloccai.

Come avrei spiegato la mia fuga? Come avrei spiegato il mio aspetto? Come avrei spiegato il fatto che amare un Devil era possibile?

Mi voltai e mi diressi verso l'ala diabolica della scuola. Cominciavo a prendere più consapevolezza dei pochi giorni che mi rimanevano: il sangue nelle mie vene sembrava più caldo del solito, ma non sudavo. Come se stessi per implodere.

Quando arrivai nell'ala diabolica, deserta, dovetti sedermi a riprendere fiato. Ero esausta, nonostante non avessi volato per molto tempo.

Avevo il fiato corto e più il cuore batteva veloce, più tutto nel mio corpo sembrava essere di fuoco, sembrava incendiare il sangue.

Non riuscivo più a piangere. I Devils non piangevano. Me n'ero accorta dopo essere partita, e mi resi conto che, se era avvenuto un cambiamento tanto repentino, stavo peggiorando a vista d'occhio.

Appena fui in grado di farlo, mi alzai.

Tutto mi sembrava veloce, straordinariamente veloce, come se fossi in un film e qualcuno avesse premuto il tasto avanti veloce.

Quando trovai il corridoio di Sulfus, tutto il mio corpo si tese con uno spasmo piacevole. Non riuscii più a trattenermi e mi misi a correre verso la sua stanza.

Non c'era nessuno in giro e per un attimo temetti di non trovarlo in camera sua, soprattutto quando bussai e non ricevetti risposta.

Ma non ero lì per arrendermi.

Spalancai comunque la porta, con il fiato di nuovo corto, fiato che si mozzò appena lo vidi.

Era girato verso la finestra e la luce della luna tracciava un contorno argenteo delle sue spalle, risaltandone i muscoli e rendendo i capelli neri quasi azzurri.

Rimasi immobile, per ricordare quel momento per tutta la vita. L'attesa e il desiderio di avvicinarmi di più, e il desiderio altrettanto travolgente di allontanarmi e andarmene, di non affrontare la sua rabbia.

Sulfus sbuffò.

“Gas, che vuoi ancora? Ti ho detto che non voglio nessuno tra i piedi, quindi vattene. Non è aria.”

Chiusi la porta senza fare rumore.

“Sulfus.” lo chiamai con la voce che tremava. Si voltò di scatto, gli occhi color topazio spalancati, e all'improvviso mi accorsi, per l'ennesima volta, di quanto era bello.

Intuii che il suo sesto senso aveva già capito, ma lui no. Mi fissò ad occhi sgranati per un istante.

Non riuscivo più a piangere, e il mio sangue fu invaso dal fuoco quando abbassai il cappuccio e la luce della luna illuminò il mio viso.

Sulfus mi fissò incredulo, guardando i miei capelli, il mio viso, la scomparsa dell'aureola e le ali da Devil, e da ultimo, i miei occhi.

Mi avvicinai a lui, con qualche passo incerto, e mi fermai di fronte a Sulfus, davanti alla finestra. Non trovavo le parole e, temevo, non le trovava neanche lui.

Il nodo di paura dentro di me si sciolse e finalmente sentii tutti i pezzi che avevo perso tornare in me. Il vuoto sparì dal mio stomaco e i polmoni si riempirono di nuovo, il cuore batteva per lui e le mani desideravano disperatamente prendere le sue e stringerle.

“Chi sei?” mi chiese, ma sapevamo entrambi che lo sapeva.

Sorrisi.

“Raf.”

I suoi occhi si ingrandirono un po' di più e fissarono i miei, osservandone il blu scuro, intenso.

“Cosa ti è successo, Raf?” gli tremò la voce, pronunciando il mio nome.

Abbozzai un altro sorriso.

“Io ...” sentivo di nuovo le lacrime. Nonostante fossi una Devil, ormai. Cercai le parole per finire la frase, ma dimenticai il motivo per cui mi trovavo lì quando Sulfus mi attirò a sé e mi strinse forte.

Inspirai il suo profumo; sapeva di bosco e di vento. Ricambiai l'abbraccio e seppellii la testa sul suo petto, sentendo ogni nodo dentro di me allentarsi.

“Raf.” mormorò Sulfus e continuò, in una litania infinita, a dire il mio nome. Mi sembrava quasi di sentire tutte le domande nella sua mente.

Dov'eri?

Perché te ne sei andata?

Perché mi hai cancellato la memoria?

Mi ami ancora?

Cosa ti è successo?

Perché sei come me?

E tuttavia non disse nulla; gliene fui grata.

Sulfus mi sollevò senza fatica e mi fece sedere su un divanetto in pelle nera, tenendomi sulle sue ginocchia e continuando a stringermi, come se avesse paura che scappassi di nuovo.

Mi rannicchiai contro di lui. Il suo corpo era caldo contro il mio, completamente gelido a causa del volo e di quello che stavo diventando.

“Raf,” mormorò dopo un po', “cosa ti è successo? Pensavo … Pensavo che non volessi vedermi mai più.”

Nascosi ancora di più il viso nel suo petto.

“Sulfus, io … Io … Mi rimangono pochi giorni di vita.”

Cosa?

Sulfus mi mise due dita sotto il mento e mi costrinse a sollevare il viso. Incontrai i suoi occhi, dove trovai la sorpresa per quello che gli avevo appena detto e tanto, tanto, tanto dolore.

“Perché? Cosa … Cos'hai?”

Deglutii e feci cenno al mio aspetto.

“Sono … Sto diventando una Devil. E sappiamo entrambi che non posso. Appena mi spunteranno le corna ...” non finii la frase, perché la fine era chiara ad entrambi.

Sulfus infilò una mano tra i miei capelli e li osservò: neri come la pece. Poi sfiorò le mie ali con le dita e il mio cuore accelerò quando lo fece.

Sfiorò il mio viso pallido con il dorso della mano e io rabbrividii, nonostante il sangue mi bruciasse nelle vene.

Sulfus sorrise, malgrado la situazione, ma si rabbuiò subito e quando i suoi occhi incontrarono i miei vidi la sua disperazione, perché aveva capito che non c'era cura.

“Non posso lasciare che tu … Che semplicemente la tua vita finisca così. Ci deve essere una soluzione, Raf.”

Scossi la testa.

“Ho già chiesto a un Guardian Angel con molta esperienza e non c'è nessuna cura.”

Ero così stanca! Sentii la stanchezza invadere ogni cellula del mio corpo. Chiusi gli occhi e mi appoggiai contro Sulfus, che mi strinse piano, come se avesse paura che mi rompessi.

Quella giornata era stata troppo faticosa per me.

Ero stanca, esausta.
Sulfus mi scosse delicatamente quelli che mi parvero pochi secondi dopo.

“Raf, no, tesoro, devi rimanere sveglia.”

Mugolai e mi raggomitolai ancora contro di lui.

“Ho sonno ...” biascicai. Sulfus mi strinse e smise di cercare di svegliarmi, ma si alzò tenendomi in braccio. Mi sollevò di nuovo il cappuccio e mi sostenne la testa.

“Hai bisogno di aiuto, Raf.”

Avvertii l'aria fresca su di me, mentre Sulfus prendeva il volo. Il sangue ricominciò a ribollirmi nelle vene e allora mi addormentai di nuovo.

Spazio autrice: sì, il titolo è tratto dal gioco Caduta libera, che andava in onda fino a pochi giorni fa sul cinque. Mi è sembrato perfetto.
Se non è caduta libera questa ... Il problema è sempre dove porta una caduta e se in fondo c'è un cuscino ad attenderci. Perciò, oggi auguro buona fortuna a tutti coloro che cadono senza paracadute e senza chiedersi se davvero c'è il cuscino. ;)
Baci,
Piuma_di_cigno.

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 - Alte e Basse sfere ***


Capitolo 13 – Alte e basse sfere

Se solo potessi farlo e cristallizzare la mia vita in questo preciso istante! Se solo potessi rubare un po' di tempo e avere un assaggio di ciò che mi è sempre stato proibito! Sarebbe così sbagliato?
(Nightshade, Andrea Cremer)

Fu Sulfus a svegliarmi, quando atterrammo.

“Coraggio, Raf.” mormorò, scostandomi i capelli dalla fronte. Ero completamente congelata.

Udii un'altra voce, sconosciuta.

“Chi siete?”

Socchiusi gli occhi e vidi una porta immensa, chiusa. Era blu e incisa con milioni e milioni di minuscoli geroglifici; era sospesa nel vuoto di una nebbia terribilmente fitta e doveva essere l'entrata di un palazzo immenso, ma non riuscivo a vedere nulla, perché la nebbia lo nascondeva.

Davanti c'erano un Angel e un Devil. L'Angel somigliava un po' a Tayco, mentre del Devil vedevo solo molti muscoli e i capelli scuri, violacei, molto lunghi e raccolti in una treccia.

“Ha bisogno d'aiuto.” rispose Sulfus, scostandomi il cappuccio dal viso. Quando i due sempiterni videro che non avevo né corna né aureola, trasalirono.

“D'accordo, entrate pure.”

Bastò loro un colpetto per aprire le porte.

Capii che ci trovavamo nel Palazzo Grigio: la sede di Alte e Basse Sfere, l'unico posto, oltre alla Golden School, ad ospitare Angels e Devils insieme.

Appena entrammo, vidi molta luce e fui costretta a chiudere gli occhi. Sulfus mi fece una carezza sul viso e ricominciò a volare.

 

Quando mi svegliai, udii poche parole frammentate.

“Ora li chiamo. Presentatevi nella grande sala dietro quella porta: Alte e Basse Sfere riuniranno il consiglio tra poco.”

Poi sprofondai di nuovo nell'incoscienza.

 

Tum tum tum. Rimasi esterrefatta. Cos'era? Non poteva essere il mio cuore. Era troppo forte.

Era … Un martello?

“Iniziamo la riunione!”

Aprii gli occhi di scatto. Ero seduta su una sedia di legno, accanto a un'altra su cui si trovava Sulfus. Eravamo di fronte a un'Angel e un Devil. Era l'Angel ad aver appena parlato e per un istante rimasi a fissarla: era bellissima. Non avevo mai visto un'Angel così bella. Era come se tutto il sole dell'universo le illuminasse il viso, come se risplendesse di luce propria.

I capelli biondi, quasi bianchi, erano raccolti in una crocchia disordinata e le ricadevano dolcemente sul viso. Aveva gli occhi azzurri e puri come acquamarina e indossava una veste bianca, che le lasciava scoperte le spalle.

Un grosso ciondolo trasparente pendeva al suo collo e dentro vi era il simbolo di amministratrice della legge.

Lo stesso era al collo del Devil. Muscoloso e assolutamente terrificante, sogghignava guardandoci e per la prima volta in vita mia ebbi davvero paura di un Devil.

“Raf, Sulfus, quanto tempo.” ci salutò beffardo. Io e Sulfus rispondemmo con un cenno.

“Non è il momento degli scherzi, Zagor.”

Zagor ci rivolse uno sguardo malizioso, ma non disse più nulla.

“Ci hanno comunicato il motivo per cui vi trovate qui.” esordì l'Angel. “Raf,” mi guardò intensamente, “togliti il cappuccio, così potremo capire quanto grave è la situazione.”

Obbedii e nella sala ci furono diversi respiri trattenuti. Tolsi l'intero mantello e spiegai le ali intorpidite.

L'Angel deglutì e l'espressione beffarda svanì dal viso del Devil.

“Non ho mai … Non vedo una cosa … Saranno tremila anni ...” balbettò l'Angel e poi rimase in silenzio.

“Raf,” disse infine, “il male che ti tormenta ha una sola causa.”

Si alzò e si diresse verso me e Sulfus.

“L'amore per un Devil.” mormorò. Dritti al punto, allora.

Ero terrorizzata da quello che avrebbero detto e in quel momento ricordai che era stato lui a portarmi lì. Perché?

L'Angel mi fissò.

“Quando vi siete baciati, tu lo amavi!” esclamò con dolorosa sorpresa e, forse, comprensione. Ma doveva essere la stanchezza ad ingannarmi.

Sentii il blocco di ghiaccio che avevo dentro diventare ancora più grande e il gelo mi invase, lo avvertii bruciare persino nel naso e nella gola.

Era come se in me infuriasse una battaglia tra il fuoco e il ghiaccio e pensai che fosse la malattia che avanzava. Sentivo il mio corpo bruciare e congelare.

Ma smisi di fare caso a tutto questo quando Sulfus si avvicinò e intrecciò le dita con le mie.

“E io ricambio in tutto.”

L'Angel ci fissò, sorpresa, ma strinse le labbra e non aggiunse nulla mentre andava a prendere posto vicino al Devil e gli sussurrava qualcosa all'orecchio.

Ghignò.

“Quanto siete disposti a rinunciare per stare l'uno con l'altra?” chiese, quando spostò di nuovo lo sguardo su di noi.

Guardai Sulfus.

“A tutto. Sarei disposta a rinunciare a tutto.”

“Anch'io. Assolutamente.” confermò, stringendomi più forte la mano. Strinsi le labbra, cercando disperatamente di evitare che trasparisse la battaglia che stava avvenendo dentro di me.

Il mio corpo era sconquassato da brividi continui di caldo e freddo. Quando abbassavo lo sguardo mi aspettavo di trovare le mani annerite dal fuoco che mi consumava dentro, subito dopo debellato dal ghiaccio.

La paura cresceva dentro di me, man mano che il mio cuore accelerava i battiti. Cosa mi stava succedendo?

Lasciai la mano di Sulfus, perché era come una brace ardente nella mia.

Cercai di mantenere il respiro regolare.

“Se anche vi concedessimo di passare attraverso il sentiero delle metamorfosi, Raf non supererebbe il viaggio. Sarebbe la sua fine.”

Freddo … Gelo … Non voglio andarmene ora.

Non ora.

“Questo lo sappiamo.” ringhiò Sulfus. “Siamo qui perché lei ha bisogno di una cura!”

Vedevo che si tratteneva dall'alzarsi in piedi e la sua voce era un rantolo. L'Angel e il Devil si scambiarono un'occhiata e, quando rimasero in silenzio, Sulfus ricominciò a parlare.

“Ascoltate: se volete separarci, per me va bene. D'accordo. Ma dovete salvare lei.”

Zagor alzò un sopracciglio.

“Dobbiamo?”

“Sì,” ringhiò di nuovo Sulfus, gli occhi puntati nei suoi, “dovete.”

I muscoli di Zagor guizzarono, ma l'Angel vicino a lui lo prese per un braccio e lo trattenne con un'occhiata severa.

“Non intendo incoraggiare una tale mancanza di rispetto in nome di un amore che non può esistere!” tuonò Zagor.

Malgrado ormai non sentissi più le mani da tanto che bruciavano, sentii la rabbia montare dentro di me.

Il consiglio dei Devil assentiva.

No.

Ghiaccio.

Non un'altra volta!

Fuoco.

Sulfus si alzò in piedi.

“E che ne dite invece di aiutare qualcuno a trovare la propria ultima possibilità di vita!?” tuonò. “Di qualcuno che ha avuto il coraggio di venire da voi nonostante tutto!”

La sua voce era un ruggito.

La parte dei Devil si zittì, ma gran parte del consiglio degli Angels si era alzato in piedi, qualcuno addolorato, qualcuno all'apparenza infuriato.

La stessa Angel che presiedeva il consiglio era impallidita e aveva gli occhi sgranati quando si alzò di colpo e batté il martello.

“Coraggio di venire da noi?” sibilò, “State infrangendo la legge! Avete infranto il VETO davanti a me, prendendovi per mano!”

“E allora!?” ululò Sulfus esasperato. “Non è crollato il mondo e la vostra legge non l'abbiamo infranta volontariamente! Credete che non ci abbiamo provato, a stare lontani!? Gli ultimi mesi Raf li ha dovuti passare in forma umana, sulla Terra, perché non sopportava più di soffrire!”

La sua voce riecheggiava nella sala e gli Angels erano sbigottiti. Nel consiglio dei Devils iniziarono a diffondersi mormorii di ammirazione, ma Zagor, Zagor era furioso.

“Che cosa credete che possiamo fare per voi!?” gridò. “Tra Angels e Devils l'amore non può esistere!”

A quel punto, successe qualcosa, e l'Angel accanto a lui si alzò di scatto, pallida come non mai.

“Zagor, ora basta!” gridò, il viso paonazzo e gli occhi vitrei. Zagor la fissò e un lampo di sorpresa gli attraversò il volto, ma poi fu sostituito dalla tristezza quando vide che lei aveva gli occhi lucidi.

“Kate ...” mormorò allungando la mano, ma Kate si ritrasse di scatto.

“Non è niente.” si sedette di nuovo e Zagor fece lo stesso, lanciandole ogni tanto qualche sguardo dubbioso.

Trasalii quando una fitta gelata mi attraversò dolorosamente tutto il corpo, seguita da una calda. Cercai di scacciare il panico, ma mi serrava continuamente la gola.

Non adesso.

“Le opzioni sono poche.” disse Kate, rivolgendosi a tutta la sala. “Possiamo lasciarvi al vostro destino, come suggerisce Zagor, e permettere che la vita di Raf la abbandoni presto. Possiamo aiutarvi e in tal caso potremmo fare due cose per voi: fare in modo che Raf non soffra andandosene, oppure ...” i suoi occhi furono nei miei, “concedervi una dispensa sempiterna.”

Il ghiaccio mi serrò la gola.

Io e Sulfus sapevamo di cosa si trattava, visto che era quello che, nel mio sogno, ci permetteva di stare insieme.

Il fuoco desensibilizzò le mie braccia.

No!” tuonò Zagor. La rabbia dettata dal fuoco prese il sopravvento dentro di me, serrandomi la gola e, nonostante non sentissi più le gambe, mi alzai di scatto, sotto gli occhi stupefatti di Sulfus e dell'intera sala.

Ma Zagor mi ignorò e questo fu forse il suo errore più grave.

“Non intendo assecondare un amore inesistente, nient'altro che un affiatamento malato!” tuonò alzandosi di nuovo.

E il mio mondo finì.

Il mio cuore accelerò a tal punto che non riuscii più a distinguere un battito dall'altro, mi incendiò le vene. Ma il ghiaccio era troppo forte.

Risalì dalle mie viscere e congelò tutto il mio corpo. Ora capivo. Io ero un'Angel.

Io ero acqua e aria.

Io ero ghiaccio.

 

Il mio corpo venne completamente annullato e quando guardai negli occhi di Zagor, vidi quello che vedeva lui: ero fatta completamente di ghiaccio.

I capelli morbidi come la neve e tra le mani acqua e aria, fluttuavo alla sua altezza, arrabbiata come non mai.

Kate mi fissava ad occhi sgranati.

“Non era mai avvenuto che uno Scambio si risolvesse così facilmente! Non c'era cura ...”

Sulfus mi volò accanto e io gli sorrisi.

“Sei splendida anche di ghiaccio.” mormorò, in modo che solo io lo sentissi.

Quando le nostre mani si unirono, Kate e Zagor sobbalzarono e quello che successe superò tutto quello che avrei mai creduto possibile.

Sulfus, completamente di fuoco, come io di ghiaccio, stringeva la mia mano. L'unica cosa che sentivo era un formicolio alla mano, ma il suo fuoco non mi bruciava. Il mio ghiaccio rimaneva ghiaccio. Io rimanevo Angel, lui Devil.

Sulfus si voltò verso di me e mi carezzò il viso col dorso della mano. Sorrisi.

“Cosa succederà, ora?” mormorai.

Alzò le spalle.

“Tu ghiaccio, io fuoco. In un modo o nell'altro è sempre stato così.”

La giuria, dalla parte degli Angels e dei Devils, si era alzata in piedi.

Gli occhi di Sulfus incontrarono i miei e osservammo il nostro nuovo aspetto a vicenda. I suoi occhi di lava erano splendidi, ma vidi che un po' dell'antico topazio era rimasto e mi fece sorridere.

Il fuoco aveva smesso di tormentarmi e volevo solo abbandonarmi al sollievo, perché finalmente stavo bene.

Ero stufa di resistere a tutto.

Quando la mano di Sulfus si sollevò verso di me, alzai lo sguardo e, quasi trattenendo il respiro, avvicinai il mio viso al suo e lo baciai.

Intuii la sua sorpresa quando le nostre labbra si sfiorarono, ma non durò a lungo. Sotto lo sguardo sorpreso di tutti i presenti – non volevo nemmeno pensarci – le braccia di Sulfus mi strinsero in vita, attirandomi a lui.

Ma niente, niente sarebbe mai e poi mai stato paragonabile a quella sensazione: ghiaccio e fuoco che si scontrarono di colpo, pur rimanendo l'uno freddo e l'altro caldo.

Fu qualcosa di indescrivibile, che finì troppo presto perché potessi capacitarmene. Kate e Zagor, infatti, ci richiamarono all'attenzione.

Kate era pallida come un fantasma e Zagor era profondamente serio e ci scrutava, soprattutto me, intimidendomi.

“Niente di simile si vedeva da almeno tremila anni.” esordì Kate, “E tuttavia tutti noi lo ricordiamo benissimo. Rare sono le volte in cui i sentimenti di due sempiterni opposti sono completamente sinceri, eppure siamo davanti ad un caso come quello. Ancora più rare sono le occasioni in cui un diavolo e un angelo sono a tal punto forti da compensarsi a vicenda.” Kate e Zagor alzarono le mani verso la giuria. “Anche se la decisione è già nota a tutti, vogliamo che sia ufficiale! Dunque, quanti di voi sono a favore di concedere a Raf e Sulfus la dispensa sempiterna?”

Trattenni il respiro, mentre le mani di tutti nella sala si alzavano.

Kate era il ritratto della felicità.

“E dunque noi vi concediamo di esistere!”

Nella sala scrosciarono gli applausi e io abbracciai Sulfus, piangendo di gioia.

 

Fu un po' difficile tornare normali, ma alla fine ci riuscimmo e quando il ghiaccio se ne andò da me, mi ritrovai di nuovo Angel. Le mie ali e la mia aureola erano al solito posto.

Kate e Zagor ci portarono in un'altra grande stanza, lontana da quella in cui era avvenuto il processo. Abbracciai anche Kate, ringraziandola mille e mille volte; era molto contenta per noi, ma in fondo in fondo, in lei intuivo un grande rimpianto. Immaginavo purtroppo che fosse a causa di Zagor. Chissà cos'era successo tra loro?

“Ovviamente, sapete già cosa vi impegnate a lasciare, diventando umani, vero?”

Annuimmo entrambi.

“Il dono eterno, comunque, rimarrà con voi. Una capacità, un'unica capacità, che potrete utilizzare a vostro piacimento.”

Zagor ci guardò.

“Ma non potrete più volare, vedere i sempiterni, se non in forma umana, né, assolutamente, accedere alla Golden School o a qualsiasi luogo di Angels e Devils e ovviamente non godrete della protezione di un sempiterno, come tutti gli umani.”

Incontrai i suoi occhi e sostenni il suo sguardo.

“Lo sappiamo.”

Zagor cercò di farmi abbassare lo sguardo, ma quando non ci riuscì sogghignò.

“Ah! Mi piace proprio questa ragazza.” ghignando beffardo, mi fece un inchino. “Ti auguro una vita ricca di sfide, Raf.”

Kate alzò gli occhi al cielo e sospirò.

“E io, invece, ve ne auguro una splendida.” fece un movimento fluido con una mano e davanti a noi comparve un portale violaceo. “E' ora.”

Kate mi strinse la spalla.

“Congratulazioni per la vittoria. Andate adesso.”

Il mio cuore batteva forte.

“Sulfus?”

“Raf?”

Mi prese la mano.

“Andiamo.”

Gliela strinsi e le farfalle volarono nel mio stomaco. Era strano che mi sentissi così dopo tanto che stavamo insieme? I miei occhi incontrarono i suoi e dimenticai persino quello che stavamo per fare.

Sulfus si gettò su di me di slancio e mi abbracciò stretta, facendomi roteare tra le sue braccia. Fu in quel modo che attraversammo il portale.

Spazio autrice: è chiaro a tutti che il prossimo sarà il capitolo finale, vero? Grazie a tutti coloro che hanno letto e, soprattutto, lasciato recensioni. Siete state davvero gentilissime! Scriverò nuove storie, anche se non so se lo farò su Angel's Friends. 
Pubblicherò presto il finale!
Baci,
Piuma_di_cigno.

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 - Epilogo ***


Capitolo 14 – Epilogo

Ogni viaggio ha un inizio e una fine, e se la fine ci induce tristezza, significa che il viaggio è stato bello, e che la nostra valigia torna piena di ricordi, per i quali è valsa la pena viaggiare.
(Fairy Oak, Elisabetta Gnone)

“Raf, Sulfus!” una voce felice mi strappava alla quiete di un meraviglioso sonno sul petto di Sulfus … In mare!? Mi svegliai di colpo e mi accorsi che eravamo atterrati in acqua.

Sulfus mi sorrise e mi aiutò ad alzarmi.

La voce proveniva da … Oh, cavoli. Non ci credevo.

Say!” corsi incontro a Say e mi buttai tra le sue braccia.

“Oh, Raf!” rideva come in preda a una qualche isteria. “Stai bene! Stai bene! Erano passati tre giorni ormai, credevo che non ti avrei rivista mai più! Oh, ma,” si scostò, “non hai più l'aura da Angel!”

Mi squadrò da capo a piedi.

“Com'è possibile?”

La mia espressione doveva essere raggiante.

“Le Alte e le Basse sfere ci hanno concesso la dispensa sempiterna!”

“Oddio!” e mi abbracciò di nuovo. Appena arrivò Sulfus abbracciò anche lui e poi ci abbracciò insieme, saltando come fosse arrivato il Natale.
“Qui ci vuole una crostata!” trillò infine e ci trascinò all'interno di casa sua, casa che Sulfus guardò con rinnovato interesse.

“Andiamo!”

Say aveva già una crostata pronta: tipico di lei. Era talmente contenta che non mangiò nemmeno e quando seppe tutta la storia, stampò un bacio sulla guancia a un esterrefatto Sulfus, che arrossì perfino.

“Sei un angelo!” gli disse e lui storse il naso.

Say saltò da una parte all'altra della casa, almeno finché ricordò che c'era qualcosa di importante che doveva darmi. Andò di corsa in salotto, raccomandandosi che non provassi ad ipotizzare cosa fosse.

“L'ho preso appena te ne sei andata. Forse non ti piacerà nemmeno, ma speravo di regalartelo già da mesi e visto che sei tornata ...” quando tornò nella stanza, aveva le mani dietro la schiena. “Chiudi gli occhi.” ordinò gongolante di soddisfazione. Obbedii, perché sapevo che era inutile discutere con Say quando si parlava di sorprese.

“Metti le mani sul tavolo.”

Sentii la risata soffocata di Sulfus.

E un aggeggio peloso atterrare tra le mie dita e conficcarmici le unghie. Aprii gli occhi di scatto e cacciai uno strillo quando vidi un micetto dal pelo striato di grigio sulle mie mani.

Mi fissò e miagolò, spalancando la bocca e mostrandomi i minuscoli dentini.

“Oh, Say, io ti adoro.” mormorai senza fiato, mentre il micetto si arrampicava sul mio braccio e si appollaiava sulla mia spalla.

Say saltò di nuovo.

“E' una gattina, si chiama Dolly!” esclamò. Sulfus fissava il gatto.

“Oh, santo cielo.” squittii. “E' adorabile.”

Accarezzai il micino sulla testa e quello mi si strusciò contro.

“Vado a ...” Say fu interrotta dal suono di qualcuno che bussava. Lanciai un'occhiata a Sulfus: nessuno sapeva dove si trovavano le nostre case. Era molto strano che qualcuno l'avesse trovata. Doveva essere Luke.

Say andò ad aprire, asciugandosi le mani sul grembiule che indossava.

“Quel gatto ti ama già!” esclamò vedendoci, ma si interruppe di colpo quando vide chi aveva bussato.

Un ragazzo biondo, muscoloso, dagli occhi azzurri e con un mantello che gli ricadeva lungo le spalle si trovava davanti alla nostra porta.

Say rimase in silenzio per un solo istante e poi scoppiò a piangere e si gettò tra le braccia del nuovo venuto.

“Tayco!” singhiozzò.

 

E la nostra vita … Ovviamente cambiò in modo radicale. Io e Sulfus ci stabilimmo nella casa accanto a quella di Say, dove ora abitava anche Tayco.

Continuai a lavorare in pasticceria e presentai Sulfus alle gemelle, che lo presero a braccetto appena arrivò e furono entusiaste di dargli il benvenuto.

Notarono un tatuaggio sul suo braccio e vollero sapere tutta la storia: era un cuore con l'aureola, le corna e la coda, diviso a metà tra bianco e nero.

Sulfus disse che era un sogno che aveva fatto e che gli era rimasto a tal punto impresso da trasformarlo in tatuaggio; raccontò la storia di noi due da sempiterni, la nostra vera storia.

Le gemelle furono felici per il lieto fine che Sulfus raccontò loro.

Per tutto il racconto, non smise mai di guardarmi negli occhi e le gemelle, che lo notarono, ridacchiarono come scolarette per tutto il tempo.

La nostra vita da sempiterni … Be', era stata bella. Era stata il massimo che avremmo mai potuto sperare da Angels e Devils, ma era giunta al termine. Mai saremmo potuti rimanere un solo secondo in più.

L'unico rimpianto che avevo era solo di non aver salutato le mie amiche e di non aver ringraziato il professor Arkan per tutto ciò che mi aveva insegnato. La mia vita era stata bella grazie a loro.

Sia io che Sulfus riuscimmo a mantenere una parte dei nostri poteri: lui la possibilità di creare fiammelle a suo piacimento, e io di congelare le cose, ma di certo non sarei più riuscita a congelare laghetti d'estate, non fosse stato per il mio dono eterno.

Non ci avevo mai pensato, ma alla fine, quello che nel mio cuore avevo trovato durante il processo, era ciò che mi era rimasto. E l'avrei avuto per sempre, qualunque cosa accadesse.

Dal canto suo, Sulfus dimostrò di avere ancora un buon controllo sul fuoco, nonostante il cambiamento, ma si rifiutò di interagire con le piante, infastidendo Say.

Il suo dono eterno fu sconosciuto per giorni: non riusciva a muovere gli oggetti, non riusciva a volare o a fare nulla di particolare. L'unica cosa strana che denotai fu la sua fissazione per Dolly. E non parlo a caso di fissazione: Sulfus pareva terrorizzato dal mio gatto. Lo fissava per ore senza nemmeno distogliere lo sguardo, quando era nei paraggi.

Infine, me lo confessò come fosse una colpa: leggeva nel pensiero di qualsiasi creatura vivente.

Rimasi di stucco, perché era un potere degli Angels, ma, ripensandoci, non ne fui troppo sorpresa. Era sempre stato un gran osservatore ed era bravo a leggere le persone.

Mi rammaricai soltanto di qualche pensiero che avevo fatto, pensiero che avrei preferito gli fosse rimasto sconosciuto.

Le gemelle erano più felici che mai di averlo in cucina; gli facevano tutte le domande scomode a cui io non volevo proprio rispondere.

“Come vi siete conosciuti?”

“Cos'ha detto Raf quando le hai confessato di amarla?”

“Quando vi siete baciati per la prima volta?”
“Com'è stato?”

Sulfus mentiva, il più delle volte. Non poteva certo dire che il nostro primo bacio era avvenuto in cima ad una torre azteca per colpa di una Neutra delirante.

Dolly e io diventammo, per mia gioia, inseparabili e, purché rimanesse nella sua cuccia e non entrasse in cucina – i peli di gatto nel cibo non piacevano a nessuno – le gemelle permisero che la tenessi con me al lavoro.

Non riuscivo più a far volare le cose in giro per la cucina e usavo il ghiaccio per farlo, ma Sara e Suze non ne furono dispiaciute. Anzi, dissero che quel “gradevole tocco invernale” dava alla cucina un che di grazioso. Ormai, cristalli congelati pendevano dagli armadietti della cucina.

Quel giorno era un mercoledì. Sulfus stava leggendo il giornale, seduto lì vicino, e le gemelle brontolavano riguardo alla scarsa qualità della farina.

“Raf, ci sono delle persone che chiedono di te, di là.”

Bloccai le mie mani a mezz'aria. Ero alle prese con le decorazioni di una torta alla panna che andava in vetrina.

“Arrivo.” dissi a Ruby, che aveva socchiuso la porta per dirmelo. Chi conoscevo in quella città a parte Ellie, Johnny, Say e Tayco?

Sulfus mi lanciò un'occhiata interrogativa e io alzai le spalle, perplessa. Mi diedi un'occhiata allo specchio; non volevo uscire coperta di farina, un'altra volta.

Sui miei capelli neri risaltava un po' di zucchero, e lo tirai via. Sorrisi al ricordo di Sulfus che faceva svariati complimenti ai miei nuovi capelli. Diceva che mi rendevano più simile a lui.

In quanto vera umana, avevo addirittura accettato di farmi fare un tatuaggio, ma non sapevo quale scegliere e non ero poi così impaziente che un ago mi perforasse la pelle.

Uscii e quasi feci un balzo dallo spavento: tutti, tutti i nostri amici erano lì, in forma umana, la professoressa Temptel e il professor Arkhan compresi.

Uriè lanciò uno strillo e mi si buttò tra le braccia ridendo.

“Oh, Raf, ma che hai fatto hai capelli?” strillò. E poi fu la volta di Dolce e di Mikie, che invece apprezzarono moltissimo i miei nuovi capelli.

“E dov'è Sulfus?” chiesero i Devils.

“Vado a chiamarlo!” risposi, sparendo in cucina.

“Sulfus!” lo chiamai, consapevole di avere gli occhi luminosi e di sembrare sul punto di scoppiare dalla felicità.

Il diretto interessato mi fissò per un istante, poi scattò in piedi e mi accompagnò nel locale.

La sua faccia fu … Be', impagabile.

Erano tutti felici di vederci e arrossii quando raccontarono che tutta la nostra storia – il processo e il resto – era finita sui giornali dei Devils e degli Angels.

Le gemelle si presentarono, felicissime, ai nostri amici e ai professori. Suze e Sara si fecero chiamare anche da loro signora 1 e signora 2 e in cuor mio mi domandai sinceramente perché lo facessero. In realtà, l'avrei saputo molti e molti anni dopo.

Le gemelle non volevano che nessuno conoscesse il loro vero cognome. Chi avrebbe mai sospettato che fossero tra le signore più ricche del mondo, e che il loro immenso patrimonio fosse così ben celato? Certo che non lavoravano per i soldi!, pensai tra me quando lo scoprii.

Rimanemmo con loro fino a tardi e solo allora, andando in cucina, riuscii a stare un po' da sola con Uriè. Con le altre stavo bene, ma conoscevo lei da più tempo e avevamo sempre avuto un legame speciale.

“Allora, Raf.” mi sorrise, mentre le porgevo una tazza di tè. “Cosa ti è successo negli ultimi mesi?”

Feci un bel respiro e le raccontai tutto. Glielo dovevo.

“Ma davvero!” esclamò lei, infine. “Questa storia ha dell'incredibile, lo sai?”

Ridacchiai.

“E tu, invece?”

Uriè bevve un sorso di tè, pensierosa.

“Uhm … Sai, all'inizio non ho pensato granché non vedendoti più, ma mi sono preoccupata quando ho visto che Sulfus era a scuola. Si fa per dire, visto che quest'anno ha saltato tutte le lezioni: era come impazzito”

Mi morsi il labbro.

“Ho iniziato a pensare che doveva esserti successo qualcosa di grave e così ho cercato di parlare con Sulfus, per capire se sapeva che fine avevi fatto.” fece una smorfia. “Era infuriato, ma non sapeva nulla su di te. Ha detto di averti cercata più o meno in tutte le cittadine della costa … Sapeva che ti piaceva il mare. Per un po', l'ho accompagnato nelle ricerche, ma quando ho visto che non ne cavavamo niente di buono, ho pensato fosse meglio lasciar perdere, perché probabilmente tu non volevi farti trovare.”

Sospirai.

“Hai fatto bene, come sempre.”

Uriè mi sorrise di rimando, grata che fossi d'accordo con lei, e per un attimo rimanemmo in silenzio.

“A proposito, Raf,” disse ad un certo punto, “volevo parlarti di una cosa da un po' ...”

Alzai lo sguardo, incuriosita, e la vidi arrossire. Quando successe, per poco non mi cascò la mascella dalla sorpresa.

“Non mi dire ...” mormorai.

Uriè arrossì ancora di più.

“Ecco io … Avrei … Trovato un ragazzo ...”

La mia sorpresa quando mi ritrovai davanti Luke, dite? Impagabile. Lui e Uriè si erano conosciuti a un corso di volo e avevano cominciato a frequentarsi.

Che dire? Potevo solo essere felice per loro, come loro lo furono per me e Sulfus. Si vedeva che, qualunque cosa fosse lì sotto sepolta, sarebbe presto affiorata e, con un pizzico di fortuna, si sarebbe trasformata nella base solida che era l'amore.

I nostri amici dovettero salutarci, così come gli insegnanti: i sempiterni non potevano stringere rapporti troppo stretti con gli umani e, purtroppo, era ovvio che ci saremmo rivisti ben poche volte, forse nessuna.

Il professor Arkhan mi fece le sue congratulazioni prima di congedarsi.

Solo Uriè ebbe qualcos'altro da aggiungere.

“Raf … Senti … Cabalé mi ha detto che Sulfus le ha detto, sai in un momento di … Credo disperazione, che se fosse riuscito a trovare il modo per stare con te … Ti avrebbe chiesto … Lo sai no? Un anello, vestito bianco ...”

Sentii il mio viso impallidire.

“Mmh, Uriè credo che possa essere possibile solo … In un futuro molto lontano.”

Io e Sulfus eravamo già pronti per una cosa simile?

Uriè alzò le spalle e mi abbracciò per l'ultima volta.

E la nostra vita proseguì.

Proseguì senza interruzioni, e con qualche bella sorpresa, come l'invito che ci ritrovammo nella buchetta della posta:

Ellie e Johnny vi invitano al loro matrimonio …

“Dobbiamo assolutamente andarci.” mormorò Sulfus abbracciandomi da dietro e baciandomi sulla guancia.

Sentii un brivido lungo la schiena; non ero abituata a stare così vicina a lui senza sentirmi in colpa.

Mi voltai lentamente e quando incontrai i suoi occhi, finalmente felici, mi sentii sciogliere.

Ci baciammo, un bacio tenero, adorante, che mi parve durare all'infinito, finché avemmo fiato.

Ridacchiando, rientrai in casa con lui. La primavera era arrivata e le giornate erano più calde del solito. Anche Tayco e Say l'avevano apprezzato.

Quella sera eravamo a cena da loro.

Sorrisi a Sulfus, che si sedette sul divano con Dolly in grembo e mi fece cenno di venire vicino a loro. Se la nostra vita fosse davvero continuata così, allora avrei accettato anche sei matrimoni con Sulfus in sei stati diversi, pur di stare con lui.

Spazio autrice: e, come dice la citazione all'inizio, sono felice di aver scritto questa storia, che in fondo è come un viaggio per tutti coloro che l'hanno letta. Fairy Oak è stata la mia favola preferita e le ho sempre dedicato le ultime citazioni della maggior parte dei racconti ... Se vi sentite ancora in vena di favole, quella è una delle migliori.
Per il resto, non ho proprio nulla da scrivere, ma se volete trovarmi ancora e se amate le storie d'amore, ne vorrei scrivere una su Peter Pan e Wendy ... Intanto grazie per esserci state con Angel's Friends, la prima storia d'amore che mi ha davvero preso il cuore!
Saluti a tutte voi, e ricordate che i migliori rifugi sono sempre le pasticcerie ... Dopotutto, chi è che non sorride mangiando uno splendido dolce dopo una pessima giornata?
Baci,
Piuma_di_cigno.

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