Bleeding Love - Prima di Romeo e Giulietta

di Astrid von Hardenberg
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** ~ Avvertenze ~ ***
Capitolo 2: *** ~ Il Teatrino ~ ***
Capitolo 3: *** ~ Nessun incontro ~ ***
Capitolo 4: *** ~ La Solita Finzione ~ ***
Capitolo 5: *** ~ Lorenzo ~ ***
Capitolo 6: *** ~ La partenza ~ ***



Capitolo 1
*** ~ Avvertenze ~ ***



AVVERTENZE

 

Ciao a te che sei arrivato/a qui 😊
Innanzitutto grazie se dedicherai il tuo tempo alla lettura di questa storia, spero ti tenga compagnia e ti piaccia 💫
Inoltre vorrei lasciarti qualche precisazione, in modo che le cose siano ben chiare (patti chiari, amicizia lunga)

- Questa storia dovrebbe essere ambientata prima degli avvenimenti di Romeo e Giulietta, MA per questioni di comodità, soprattutto estetica, l'ho spostata nella seconda metà del 700, è una scelta personale, ho più familiarità con quel periodo 😗👉🏻👈🏻
- Ci sono alcune cose moderne, come droghe solide (pastigliette), sigarette e non ricordo bene cos'altro, quindi se noti oggetti "fuori luogo" sei avvisato/a
- Nella scena del ballo cito canzoni moderne, tanto per far capire su quali note danzano i presenti 👅
-Su alcune situazioni non mi dilungo molto in descrizioni, perché non è un romanzo psicologico e temevo anche di appesantire la storia, in ogni caso cerco ugualmente di far capire cosa prova il personaggio, spero di non risultare approssimativa 🤞🏻
- Ci sono scene un po' esplicite, lo preciserò sempre a inizio capitolo, nel caso ci sia qualcuno particolarmente sensibile, il raiting rosso non l'ho messo all'intera storia, altrimenti sembra sia tutta così, cruda, cosa non vera
- L'idea è quella di aggiornare ogni settimana, PERÒ non garantisco nulla, anche se non vorrei farmi sopraffare dalla mia incostanza 🤞🏻🤞🏻

Per ora mi pare di aver detto le cose più rilevanti, nel caso ci fosse dell'altro, aggiornerò
Grazie per essere rimasto/a fin qui 💜 e buona lettura

P.S. se hai dubbi, domande, curiosità su ciò che ho scritto qui sopra, sentiti libero/a di chiedere

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Capitolo 2
*** ~ Il Teatrino ~ ***


 

~ Il Teatrino ~


Le tinte violacee del cielo serale portavano con loro un venticello fresco, si vedevano le giovani nobildonne avvolte nei loro scialli dai tessuti pregiati e dalle fantasie floreali, sembravano uscite da un quadro, gli eleganti gentiluomini passeggiavano impettiti nelle loro giacche a un petto, tutti quanti diretti verso le loro lussuose case, dove si sarebbero cambiati d'abito per la cena e in seguito avrebbero indossato altri capi più adatti per l'opera, o magari per i salotti di qualche nobile solo e annoiato.
Il venticello che soffiava sembrava una carezza delicata, setosi petali rosa volteggiavano per alcune vie, come una leggera pioggia, i bambini si divertivano a raccoglierli e le loro risate cristalline riecheggiavano come canti celestiali.
Anche lei, nel parco di quel lussuoso Palazzo, si divertiva a raccogliere i petali rosa pallido perché voleva portarli a casa e custodirli nel suo cofanetto di mogano, glielo aveva intagliato il giardiniere, un signore sulla cinquantina che dimostrava una decina di anni in più, la pelle olivastra per via delle ore passate sotto il sole, le rughe a segnargli il volto e le mani callose; le voleva bene lui, anche se non era istruito come un qualsiasi nobiluomo, sapeva tutto sui fiori, sulle piante e sugli alberi, le raccontava anche tante storie legate ad essi.
La fanciulla riaprì gli occhi e le gocce di pioggia di quel temporale l'avevano bagnata, il viso ancora rivolto verso il cielo, l'acconciatura quasi sfatta, le braccia nude sui fianchi, stare lì ferma (nello stesso parco di tantissimi anni fa) la faceva sentire libera e imprigionata al contempo.
Una voce lontana la chiamava.
I piedi nudi sull'erba fresca, le scarpe poggiate accuratamente sotto un albero, un lampo squarciò il cielo e la giovane si destò, guardandosi intorno.
Era quasi l'ora del tè anche se il cielo grigio rendeva tutto cupo, come se fosse l'ora della cena. A lei piaceva quell'atmosfera.
La voce si fece più vicina e aveva le sembianze di una delle tante domestiche del Palazzo, in mano teneva un grazioso ombrellino, che aprì per ripararla dall'incessante pioggia.
L'ultima arrivata disse alla fanciulla che doveva cambiarsi, gli invitati per l'ora del tè stavano arrivando.
Nella stanza della giovane, le portafinestre erano spalancate, le tende erano tirate e tenute ferme da un nastro in seta; la fanciulla andò dietro al séparé per svestirsi, l'abito e la sottoveste caddero a terra, quasi fradice, e, siccome non c'era tempo per un bagno caldo, la domestica le fece subito indossare l'abito adatto per quella occasione, poi le asciugò i lunghi capelli castano ramati con un asciugamano dai ricami floreali sui bordi (si notavano appena), strofinò per bene le ciocche finché le gocce che scivolavano dalle punte cessarono e i capelli restarono umidi.
La domestica pettinò la giovane accuratamente e le mise sul capo una fascetta con dei fiorellini, sembrava il dipinto di una principessa delle fate.
La fanciulla si guardò allo specchio, aria svanita, lo sguardo perso, l'espressione assente, era davvero lei la figura riflessa? Sì, si sarebbe riconosciuta tra mille altre: un corpo senz'anima.
Le mani bianche come la neve lisciarono il lungo abito color panna, il pizzo a mala pena visibile, poi si diresse verso la porta, aspettando che la domestica l'aprisse, e uscì, diretta nel salone dove avrebbe recitato la sua solita parte.
Stesso rituale tutti i giorni: cambiarsi, acconciarsi i capelli, attraversare il lungo corridoio, scendere le scale e camminare fino al salone, che pareva sempre più un circo composto da nobili, anzi era un teatro dove tutti erano marionette di qualcuno.
Ad attenderla c'erano le solite maschere spacciate per volti amichevoli.
Soliti convenevoli, qualche parola di circostanza e la falsità si poteva toccare.
La giovane prese posto, anche quello il solito, e lo spettacolo ebbe inizio. Osservava come quei burattini, o attori da quattro soldi, recitavano la loro piccola parte, erano bravi, doveva ammetterlo, d'altra parte avevano alle spalle anni di esperienza, ma solo un occhio attento notava la finzione; lei aveva passato molto tempo tra loro, ci era nata, li aveva studiati e sapeva come comportarsi in loro presenza.
Le signore sorseggiavano il tè e per quanto potessero apparire fini ed eleganti, l'unica dotata di grazia era la giovane dall'aspetto fatato, sollevava la tazza con delicatezza e la portava alle labbra, morbide come seta e piene come un frutto succoso. Com'era possibile che una fanciulla potesse essere così aggraziata? I più dicevano che sua madre era una strega e l'aveva concepita grazie a un patto col Maligno, però era risaputo che molti aprivano bocca solo per darle fiato, l'invidia era un veleno che consumava lentamente e l'ignoranza una gabbia per la mente.
La giovane sapeva di essere osservata e questo la compiaceva, la gelosia e l'invidia degli altri la solleticavano e la spingevano a farsi notare ulteriormente.
Il chiacchiericcio faceva da sottofondo, le parole si disperdevano nell'aria, lei non le ascoltava con il dovuto interesse, le arrivavano dei frammenti, l'unica cosa a cui pensava era a quando sarebbe finita quella farsa, fosse stato per lei non vi avrebbe nemmeno preso parte.
Poggiò la tazzina sul piattino, prese il tovagliolo e lo premette delicatamente sulle labbra.
L'uomo elegante seduto a capotavola guardava la fanciulla, come se con lo sguardo potesse controllarla, invece l'interessata lo ignorava di proposito, per tutta la durata di quell'incontro non gli rivolse nemmeno un'occhiata fugace, proprio niente, lui (per lei) non esisteva.
A invito concluso si salutarono tutti quanti e lei tornò nelle sue stanze, per quanto tempo ancora doveva essere schiava di quell'apparenza?
E così un altro giorno, come tanti altri, terminò.
Stesa nel suo letto, con tende traslucide a ornarlo e celarlo, chiuse gli occhi e immaginò come sarebbe stata la sua vita lontana da quel Palazzo, le si presentarono diversi scenari e lei li guardò uno a uno, ma nessuno sembrava piacerle: era prigioniera di una realtà spietata che non lasciava scampo.
A differenza di tante altre persone, a lei bastava chiedere per avere, molto semplice, nessuno sforzo, chiunque avrebbe voluto essere al suo posto, però non sapevano che il prezzo da pagare era alto, troppo alto, ogni capriccio esaudito in cambio di una parte di se stessi, della propria vita; le era stata strappata la voglia di vivere, dentro di lei sembrava annidarsi l'apatia.
Anche quella notte i pensieri le avevano rubato il sonno e, come tante altre volte, la porta si aprì: l'uomo che pretendeva controllarla si coricò di fianco a lei, convinto che la giovane stesse dormendo, e iniziò ad accarezzarle dapprima i capelli e poi, lentamente, il profilo di tutta la figura.



NdA
Finalmente, dopo secoli di assenza, riesco a mettere questo primo capitolo fresco di revisione (si fa per dire, perché ce l'ho pronto da mesi).
Fa un certo effetto ritornare qui, dove tutto ha avuto inizio; questa storia è cresciuta insieme a me, ci tengo così tanto che mi è dispiaciuto metterla in pausa per tutti questi anni.
Grazie per aver letto il capitolo 🙏🏻 e spero di ritrovarti nel prossimo 💫

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Capitolo 3
*** ~ Nessun incontro ~ ***


 

~ Nessun Incontro ~


La nascita di un nuovo giorno si affacciava nella camera da letto della giovane, che si stiracchiò con grazia felina, si sentì il fruscio delle lenzuola sotto quel corpo bramato da molti e che in tanti avevano fatto proprio nei pensieri più segreti, più inconfessabili.
La porta si aprì ed entrò una domestica.
«Signorina Ginevra, il vostro bagno sarà pronto a breve».
La giovane mugolò e dopo alcuni secondi sospirò, si rigirò ancora un po' nel letto e alla fine si mise a sedere.
«Vedrete, oggi sarete più bella del solito» continuò dicendo la domestica, tra la camera da letto e la stanza da bagno.
La fanciulla non replicò, poggiò i piedi a terra e iniziò una nuova giornata, rassegnandosi già al vuoto di sempre.
Dopo il bagno si fece vestire e scese per la colazione.
Nella sala da pranzo c'era già quell'uomo, che non solo voleva controllarla, ma in giro andava dicendo di essere suo zio, come sempre era seduto a capotavola, lei lo salutò e prese posto.
Appariva un giorno qualunque, al suo posto qualsiasi altra ragazza sarebbe stata elettrizzata all'idea di conoscere il futuro consorte, ma all'interessata invece non importava. Molte giovani della sua età erano maritate, persino madri, quindi perché mai lei avrebbe dovuto far eccezione?
"Perché dovrei esaltarmi per qualcosa che capita a tutte? Non è una novità, non vedo il motivo di tanta euforia".
L'ora dell'incontro si avvicinava e lei si chiuse in biblioteca, da lì avrebbe saputo quando il suo promesso sarebbe arrivato, lo aveva visto solo una volta in vita sua e per di più quando erano bambini; certo poteva scappare, però quell'uomo, che diceva essere suo zio, la ritrovava. Sempre.
Si sentì il rumore di zoccoli e dalla carrozza uscì un giovane uomo distinto e di bell'aspetto, capelli pettinati all'indietro, abito impeccabile, sorriso smagliante e modi troppo educati.
La giovane si scostò dal finestrone, i tendaggi la nascondevano, e andò in camera sua.
Il padrone di casa lanciò un'occhiata ad una domestica, che chinò il capo e si congedò silenziosamente.
Doveva essere tutto perfetto quel giorno, il Compratore si assicurava che la Merce da acquistare fosse buona.
Quando bussarono alla porta della fanciulla, lei fece scorrere sotto ad essa una busta bianca indirizzata ai gentiluomini in salotto.
La giovane era consapevole del fatto che ci sarebbero state delle conseguenze per quel suo comportamento, ma non le importava più.
"Quando agonizzi aspetti solo il colpo di grazia, per non sentire più nulla".
Tirò i tendaggi, quelli pesanti e scuri, cosicché una notte artificiale calasse su quella stanza, si stese sul letto e fissò il vuoto, tempo fa avrebbe versato lacrime fino a sentire gli occhi bruciare, ora non c'erano più nemmeno quelle.
Non era uscita dalla sua stanza per nessuna ragione, l'ospite, nonostante l'assenza di colei che avrebbe dovuto incontrare, restò fino a tardo pomeriggio e quando finalmente si congedò, nell'intero Palazzo tornò a regnare il silenzio: il momento della resa dei conti giunse.
La serratura schioccò, la porta si aprì e l'uomo entrò, con passo fermo e deciso andò verso il letto, trovando la fanciulla immobile come una bambola, la prese per le spalle e cominciò a scuoterla, lei non reagiva, gli occhi fissi nel nulla assoluto, era come morta; l'uomo ordinò a una delle domestiche di chiamare il medico, domandandosi silenziosamente cosa l'aveva portata a quello stato catatonico. Godeva di buona salute da sempre.
Il dottore la visitò, era sana, anche se le pupille l'avevano in qualche modo tradita.
«Ha assunto una sostanza, di quelle leggere» sentenziò
«Mia nipote non ha mai fatto uso di quelle cose in vita sua, voi lo sapete meglio di me»
«Naturalmente, ma ogni tanto capita che i giovani della sua età vogliano trasgredire, o chiudere con la realtà per un po', facendo uso di queste "pastiglie". L'importante è non far sì che diventi una dipendenza e so che non è questo il caso» il medico chiuse la valigetta «Fate in modo che non resti troppo da sola, tenetela impegnata, solitamente i giovani tendono ad assumere queste sostanze anche per noia» ci fu un breve momento di silenzio «Abbiate cura di lei».
Lo zio della giovane annuì confuso.
«Entro domani tornerà la fanciulla di sempre».
I due signori uscirono dalla stanza per lasciarla riposare.
"Nipote, certo. Preferirei morire sbranata da un branco di leoni, piuttosto che avere il mio sangue contaminato dal suo!"
Lei era nel dormiveglia e aveva sentito tutto.

"Il tempo non si ferma, continua a scorrere anche quando soffri, d'altra parte se così non fosse come potrebbe essere la medicina alle pene?
A me invece serve da anestetico, da anni vado in giro con queste frecce conficcate in corpo e da ogni ferita sgorgava sempre un sogno che abbeverava quelle belve. Ma ora non più, hanno banchettato a sufficienza e rubato senza alcuno scrupolo tutto ciò che hanno potuto di me".
Erano trascorsi una decina di giorni da quando, con un piccolo aiuto, Ginevra aveva assaggiato un briciolo di vita, abbandonandosi a quel vortice di sensazioni e pensieri senza alcuna forma, ma che comunque l'avevano spinta a chiudere almeno per un po' con quella realtà, che le aveva succhiato ogni voglia di vivere.
La sua stanza era stata setacciata da cima a fondo per vedere se si trovava anche la più piccola traccia di qualche sostanza (Oblio o Illusione, come venivano anche chiamate quelle droghe), però la ricerca non portò a nulla.
La scusa del raffreddore, che l'uomo inventò per giustificare l'assenza di Ginevra dai salotti della città, resse e non poteva essere altrimenti, dato che agli occhi degli altri la sua reputazione era perfetta, anche se le malelingue non mancarono, ma alla fine i vari pettegolezzi che si crearono intorno alla sua assenza restarono, appunto, solo quello: dicerie.
-Oggi verrà il conte, vedi di farti trovare pronta o sarà peggio per te- disse lo zio.
La giovane non obiettò, contrasse la mascella e si sforzò di sorridere.
Passarono all'incirca un paio d'ore quando arrivò un messaggio dove si comunicava che, purtroppo il conte aveva avuto un imprevisto e, oltre a scusarsi, chiedeva gentilmente di spostare la data dell'incontro.
Lo zio mandò una domestica per comunicare il cambio di programma a colei che chiamava nipote.
Ginevra tirò un sospiro di sollievo e nella sua mente iniziò ad insinuarsi un pensiero attraente quanto pericoloso: non sarebbe stata la prima volta a tentare una fuga, ma sentiva che quella sarebbe stata la sua occasione. Pensò, quindi, a un piano per sgattaiolare fuori di notte.



NdA:

Ciao e grazie per essere arrivata/o fin qui ☺️🙏🏻 So che in questo capitoli non succede granché, la mia idea è quello di descrivere un po' la vita della protagonista, prima di far accadere qualcosa.
Spero che il capitolo ti sia piaciuto e, se lo vorrai, ci leggiamo nel prossimo.

As 💫

P.S. chiedo scusa per eventuali errori, purtroppo mi sfuggono sempre 🥺


 

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Capitolo 4
*** ~ La Solita Finzione ~ ***


 

~ La Solita Finzione ~

 
⚠️ Il presente capitolo ha delle scene (relativamente) forti ⚠️
 
***

Durante la giornata non successe nulla di particolare, solo un altro messaggio del conte per scusarsi direttamente con Ginevra.
La sera ci sarebbero stati ospiti per cena, il che significava coricarsi tardi e avere il padrone di casa sfinito per la stanchezza; per una buona volta il destino capriccioso sembrava giocare a favore di Ginevra.
Gli ospiti si presentarono all'ora stabilita e tra una chiacchierata e l'altra consumarono i pasti; Ginevra si comportò esattamente come le altre volte, non doveva destare il ben che minimo sospetto.

«Domani al ballo ci sarà la crème della crème, succeda quel che succeda non possiamo mancare» disse la giovane dai capelli rossi
«Non credo sia il caso mi presenti» replicò l'altra fanciulla dai capelli castani scuri
«Oh, insomma. È arrivato il momento di mettere fine a questi dissapori»
«Dici così perché non sei me»
«Dico così perché non è possibile che queste due famiglie bisticcino per ogni cosa. Lo so che i tuoi sostengono solo i loro parenti, ma il Principe è l'unica autorità della città, è inutile continuare a fare a gara per una predominanza che a conti fatti non esiste»
«Certo, lo so» disse la giovane dai boccoli castani, la voce triste e rassegnata
«Per quel che vale, mi dispiace che per colpa di questo fatto tu non abbia potuto maritarti con...» cercò di confortarla la rossa, sua cara amica
«Ti ringrazio, ma è inutile pensarci» la interruppe la castana «Piuttosto, dovrei preoccuparmi di sistemare mia figlia».
La bambina, quattro anni appena, guardò la madre e continuò a giocare.


Qualcuno tirò in ballo il raffreddore di Ginevra e lei si destò immediatamente dai suoi pensieri, dissimulando la sua momentanea assenza con un sorriso cortese, il passato le sembrava così lontano da sembrare quasi un sogno.
Per il resto della serata Ginevra conversò con tutte le nobildonne presenti, che parevano pendere dalle sue labbra, seppe anche eludere un paio di domande riguardanti il suo rapporto con il conte. Ma ecco che finalmente giunse l'ora dei saluti e, come previsto, il padrone di casa, appena andò via anche l'ultimo ospite, si chiuse nelle sue stanze per dormire.
Naturalmente anche Ginevra andò in camera, simulando una gran stanchezza, però nel cuore della notte scivolò fuori dal letto e prese tutto il necessario per la sua fuga, non avrebbe mai più messo piede in quel posto.
"Piuttosto la morte" pensò con una decisione quasi da sorprenderla.
Chissà se quell'uomo l'avrebbe trovata anche quella volta? E se fosse andata dai suoi genitori? Ancora non sapeva perché quel pomeriggio sua madre l'avesse consegnata a quel viscido, pensò a diverse possibilità e anno dopo anno ne sceglieva una, finché tutto le sembrò chiaro: non l'amava più.
Doveva comunque tornare dai suoi genitori, anche solo per vedere come stavano, poi avrebbe potuto iniziare una nuova vita, magari in un altro paese, l'unico problema restava il fatto di passare inosservata, in molti la conoscevano e se l'uomo l'avesse cercata i testimoni avrebbero rivelato ciò che sapevano, cosa fare quindi? Provò a ricordare le indicazioni che il valletto di quell'uomo le aveva dato, nel qual caso avesse deciso di scappare da quell'inferno.
Il Palazzo era pieno di passaggi segreti in disuso, diverse volte il valletto l'aveva portata per quei corridoi dimenticati e lei si era impegnata a memorizzarli quasi tutti, soprattutto quelli che portavano alle uscite, uno in particolare le era rimasto impresso; portava ai sotterranei dove si diceva che di notte fossero infestati da fantasmi. Ma a Ginevra non importava, disperata com'era avrebbe anche potuto fare un patto col Diavolo, pur di andarsene da quell'orribile posto.
La seconda cosa da fare prevedeva mischiarsi con i popolani, si sarebbe addentrata in posti nuovi, doveva tenere gli occhi bene aperti, il valletto le aveva anche detto che c'erano alcune persone da cui andare, nel caso si fosse decisa a lasciare quella prigione mascherata da Palazzo.
Sapere che in qualche modo quel giovane l'aveva aiutata a preparare la sua fuga la fece sentire protetta, le provocò un senso di gratitudine e malinconia, anche se fisicamente lui non era lì con lei, le stava in qualche modo salvando la vita, o ciò che ne restava.
Ginevra sapeva che molta gente del popolo era per lo più composta da contadini, per cui non doveva far altro che intrufolarsi in uno dei carri con merci destinate ad altre città; sembrava tutto semplice, ma alle mete si arrivava sempre con fatica.
Arrivò in centro città, non prima di essersi cambiata gli abiti per sembrare una domestica, le strade di notte sembravano più piene di vita rispetto al giorno, dalle taverne uscivano gruppi di giovani uomini ubriachi, che cantavano a squarciagola oppure improvvisavano serenate per le cortigiane, ferme in alcuni parti dei marciapiedi, alcuni uomini si accompagnavano a queste ultime, cercando un posto appartato dove consumare i loro piaceri.
Ginevra evitava di incrociare sguardi e si muoveva nell'ombra, in cerca di un angolino dove sostare per capire su quale carro salire e raggiungere la città dov'era nata, o per lo meno arrivare nei dintorni.
Tutt'intorno non c'era solo odore di alcol e sigarette, ma anche di urina e lussuria, forse quest'ultima si sentiva di più, infatti poco lontano da dove si trovava si udivano gemiti e voci sommesse, quindi Ginevra cercò di concentrarsi su altri rumori: un cane che abbaiava, un locandiere che scacciava i gatti sul retro, delle bottiglie che si frantumavano a terra, qualcuno che correva, qualcun'altro che gridava e finalmente due ubriachi, parlavano del viaggio che avrebbero intrapreso l'indomani e uno dei due sarebbe passato molto vicino a Verona.
Quello pareva proprio un colpo di fortuna, che Ginevra colse al volo; non aveva nemmeno avuto tempo di fermarsi dalle persone di cui gli aveva parlato il valletto, era subito andata a cercare la sua via di fuga, meno tempo stava lì in città e meglio era, per questo seguì i due uomini il più silenziosamente possibile e vide quali erano i loro carri, poi attese che entrambi entrassero nella locanda, per intrufolarsi e restarci fino a quando avrebbe raggiunto parte della destinazione.
Ginevra stava per mettere in atto il suo piano quando si sentì tirare per il mantello, quasi si strozzava.
«Ma che bel bocconcino, da come sei conciata non sei una sudicia cagna come le altre» e sputò poco lontano da dove si trovavano.
A lei si irrigidì ogni muscolo del corpo e le persone alle sue spalle risero, dovevano essere almeno in quattro. Il respiro le si fece affannoso, stava andando tutto troppo bene per essere vero, doveva aspettarsi degli impedimenti!
«Signori, penso proprio che questa notte ci divertiremo parecchio» l'uomo che parlò strattonò Ginevra, lei perse l'equilibrio e cadde a terra, il capo chino quasi all'altezza dei genitali dell'aggressore.
«Non vede l'ora di prestare i suoi servizi» disse un altro, ubriaco com'era a stento lo si capiva
«Avendola vista per primo, aprirò io le danze» e l'uomo che la tirò per il mantello la trascinò in un angolo appartato e la costrinse a stendersi.

«Ma che graziosa fanciulletta, vostro zio non esagera affatto quando parla della vostra beltà, Ginevra» quell'uomo disgustoso la spinse contro il muro ed incominciò ad accarezzarle il viso, un gesto sporco, lei provò a divincolarsi ma senza alcun risultato.
«Tranquilla, se ti rilassi non ti farà male e poi, da ciò che si dice, sei abituata» si fermò pochi secondi, il tempo di sollevarle le vesti ed insinuare la mano tra le gambe.
Il giovane cuore di Ginevra batteva all'impazzata, lei tremava, faticava a respirare, voleva gridare, però la voce era svanita come per incanto.


Ginevra sentì l'erezione di quell'ubriacone contro l'inguine, la cosa la disgustò al punto da avere dei conati di vomito, l'uomo la schiaffeggiò e dopo le prese il viso con una stretta tanto forte da mozzarle letteralmente il fiato, piccoli rivoli di sangue dagli angoli della bocca della giovane, ma non una sola lacrima, solo gli occhi colmi di rabbia e disprezzo.
L'uomo lasciò la presa, la schiaffeggiò nuovamente, avvicinando il viso a quello di lei, leccandole via il sangue dalla guancia, e all'orecchio le sussurrò qualcosa.
«Il fatto che indossi abiti decenti non ti rende diversa dalle altre cagne» si scostò di scatto e si calò le brache «Ora muoviti e fa' il tuo lavoro» le avvicinò il membro eretto al viso e, quando capì, Ginevra cercò di liberarsi, ma invano: l'uomo era il doppio di lei, per non parlare della forza.
Si udì un tonfo e l'uomo cadde su un fianco.


NdA
Ciao a te che sei arrivato/a fin qui
☺️
Innanzitutto grazie per aver letto e votato (eventualmente anche commentato), in secondo piano: mi scuso perché settimana scorsa ho saltato la pubblicazione del capitolo 😅 ma ho avuto una settimana piena e mi è proprio passato di mente 😗
Spero che questo nuovo capitolo ti sia piaciuto e spero di ritrovarti nel prossimo 🥰

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Capitolo 5
*** ~ Lorenzo ~ ***


 
 

~ Lorenzo ~

 
 
⚠️ L'inizio presenta ancora scene un po' forti e linguaggio un poco scurrile ⚠️
 
 
***

Si sentì cadere a terra un pezzo di legno.
«Ci stava impiegando troppo quel grassone» disse uno del gruppo «Quelle come te non vanno di certo corteggiate» a mala pena si reggeva in piedi.
Il secondo aggressore si lasciò cadere su Ginevra e provò a sollevarle la gonna, lei oppose resistenza, provò ad afferrargli le mani per fermarlo.
«Tenetela ferma o faremo giorno»
Gli altri suoi compari obbedirono, Ginevra sputò sulla faccia del suo aggressore e scalciò, allora lui le diede un pugno, ma non abbastanza forte da privarla dei sensi; sputò sangue, lei, non voleva arrendersi, avrebbe almeno voluto rivedere un'ultima volta i suoi genitori, così tentò di liberarsi dalla presa di quegli ubriaconi.
L'individuo sopra Ginevra cercò di strapparle la parte superiore dell'abito, ma ci riuscì solo in parte e così, frettolosamente, le sollevò una volta per tutte le vesti, lei provò a serrare le gambe, però lui era forte, troppo in confronto a lei.
«Voi cagne capite solo questo linguaggio, vi piace essere trattate in questo modo, vero?» L'uomo si preparò a prenderla con la forza.
Cos'era diventato il suo corpo? Un oggetto che tutti volevano possedere: ogni uomo incontrato le aveva ridotto l'innocenza a brandelli e lei si sentiva sporca.
"Che cosa mi avete fatto? Come mi avete ridotta? Sono il frutto di mani traboccanti di voluttà e menti perverse".
Lacrime amare caddero in quell'istante, sfogo di collera e impotenza; quell'essere immondo stava per penetrarla, ma improvvisamente si accasciò a terra privo di sensi.
Ginevra intravide una figura distorta, anche per via delle lacrime, aspettandosi il peggio, visto come stavano andando le cose, seguì un rumore, sembrava vetro che si frantumava.
«Lasciatela! O giuro quanto è vero Iddio che questi saranno i vostri ultimi ricordi prima di andare all'inferno» la voce carica d'ira, in mano la figura stringeva qualcosa, Ginevra serrò gli occhi un paio di volte, per liberarsi delle lacrime, e le sembrò di intravedere il collo di una bottiglia dal bordo dentellato, la persona appena arrivata la puntava contro gli aggressori, questi ultimi si allontanarono quando la figura avanzò minacciosa, alla fine si arresero e corsero via, nonostante gli aggressori fossero numericamente in vantaggio era palese che non sarebbero stati in grado di difendersi, a mala pena stavano in piedi.
Lei non mosse un muscolo, se ne stava immobile stesa su quel pavimento sudicio, coperta dall'oscurità di quel viottolo, ma quasi spoglia delle sue vesti.
«Potete sentirmi?» la figura gettò l'oggetto che aveva in mano e fu immediatamente di fianco a Ginevra, le si accasciò accanto, aspettando di vederla reagire, a lei bastò uno sfioramento sul braccio, un gesto del tutto involontario da parte di chi l'aveva salvata, per farle scattare qualcosa dentro: Ginevra si alzò come una furia, dirigendosi verso i due uomini privi di sensi; iniziò a dar loro calci, pugni, sputò sui corpi, li graffiò e sfogò la sua rabbia.
Lo sguardo di Ginevra cadde su un pezzo di vetro, lo afferrò e si gettò sul primo individuo, la figura, però, la fermò per un soffio, bloccandole le braccia, ancora un paio di centimetri e il pezzo di vetro sarebbe affondato nella carne di quell'individuo.
Lei si dimenò, graffiò, morse pesino chi l'aveva salvata, finché fu libera da ogni contatto e solo allora lasciò cadere a terra l'oggetto che stringeva in mano, ferendosi appena.
Chi l'aveva soccorsa restò lì con lei, non voleva lasciarla sola in quelle condizioni.
«Non vi faranno più del male» mormorò la figura, l'aria sofferente, massaggiava il punto in cui era stato morso poco fa «Nemmeno io ve ne farò. Ve lo prometto».
Per alcuni minuti ci fu solo silenzio, non sembrava nemmeno di stare per strada.
«Siete scossa, se me lo permettete posso aiutarvi» la voce vellutata della figura arrivò come una luce nell'oscurità.
Lei trasalì e si destò, alcuni lembi della parte superiore dell'abito le ricaddero sui fianchi e cercò di coprirsi con le braccia, la figura allora le porse il mantello, che quei bifolchi le avevano strappato, ma vedendo la riluttanza di Ginevra poggiò a terra l'indumento e solo allora, lei, si affrettò a prenderlo per coprirsi.
Nel punto in cui si trovavano, la luce era soffusa e Ginevra poté finalmente vedere chi l'aveva salvata.
«Sono un maschio, anche se non si direbbe» se si fosse sentito in imbarazzo, il giovane, non lo diede minimamente a vedere.
Lei, più che al vestiario, prestò più attenzione al viso del suo salvatore, era bello come uno di quegli angeli dipinti nei quadri: sguardo misericordioso e lineamenti delicati, androgini, in quel momento poteva benissimo essere scambiato per una fanciulla.
«Ho perso i vestiti giocando a carte, gli unici che ho rimediato sono stati solo questi» e indicò il vestito che indossava.
Senza accorgersene, Ginevra smise di tremare.
«Almeno sono riuscito a tenermi le scarpe» continuò lui, alzando leggermente la gonna, questa volta il tono era scherzoso.
Ginevra lo guardò confusa.
«Mi chiamo Lorenzo» disse lui, chinando leggermente il capo in segno di saluto.
Lei non rispose, non ce la faceva, sentiva come delle lame nella gola.
«Non occorre rispondiate» si affrettò a dire Lorenzo «Siete scossa e l'ultimo dei vostri pensieri è fare le presentazioni. Vi ho detto il mio nome in modo tale che non mi consideriate una minaccia».
Il giovane le sorrise amichevolmente, subito dopo si udirono dei passi e Lorenzo si parò davanti a Ginevra, vista la situazione di poco fa doveva proteggerla. Lei, però, indietreggiò, qualsiasi contatto, seppur non troppo ravvicinato, la infastidiva.
«Mio caro, i vostri indumenti» parole scherzose dette da una voce suadente.
Lorenzo si era accorto della reazione di Ginevra e si allontanò, l'ultima cosa che voleva era spaventarla più di quanto già non fosse.
«Non temete, è un'amica» disse lui con un tono di voce basso, ma udibile da Ginevra.
«Ho vinto i tuoi abiti» sotto la luce di una delle torce, la voce prese la forma di una giovane dalla bellezza eterea, la sua figura era sinuosa, la sua pelle pareva porcellana, i capelli mossi come le onde del mare e neri come la notte, le labbra rosse come il sangue e gli occhi di un colore particolare, parevano sia verdi che grigi.
«Piena di sorprese come sempre, mia bella» replicò Lorenzo.
La giovane dal portamento elegante spostò lo sguardo da Lorenzo a Ginevra e poi di nuovo su Lorenzo, una domanda silenziosa si fece largo.
Lui si voltò lentamente verso Ginevra.
«Lei è Selene, non abbiate paura».
Ginevra indietreggiò ancora e si trovò spalle al muro; quella parete era fredda, ruvida, sentiva la pelle graffiarsi sotto quel contatto, si strinse nelle braccia, gli occhi due specchi di paura.
«Ha bisogno di aiutato» disse Lorenzo, una volta che Selene si avvicinò un po' di più; lei notò che l'amico massaggiava una mano e non le sfuggì nemmeno il turbamento di Ginevra, non le erano del tutto chiare le dinamiche di quell'incontro.
Ginevra non sapeva cosa fare, pensava solo che sarebbe potuta morire se fosse rimasta alla mercé dei suoi aggressori, Selene sembrò non badare alla situazione e tornò a rivolgersi a Lorenzo.
«Cambiati e andiamo via» gli porse l'abito elegante, lui lo prese e cercò un posto appartato dove sistemarsi.


NdA
Ciao a te, che sei arrivato/a fin qui ☺️Spero che il capitoli ti sia piaciuto e, soprattutto, sia stato comprensibile, dato che alcune parti mi parevano un po' confuse, nel caso: chiedo scusa
🙏🏻
Da adesso in poi la storia inizierà a prendere un po' più piede.
Grazie per aver letto, votaro ed eventualmente commentato
😌🌸
Ci leggiamo al prossimo capitolo, se lo vorrai 🥰

As 💫

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Capitolo 6
*** ~ La partenza ~ ***


 

~ La Partenza ~


Dopo alcuni minuti ricomparve Lorenzo vestito come si addiceva a un gentiluomo.
Si sentivano miagolii, risate provenienti da una locanda non molto lontana, l'odore di urina, mischiato a quello di liquidi seminali e sangue, più diversi altri.
Ginevra aveva ricominciato a tremare, lo sguardo basso, l'aria cupa, il bordo del mantello lasciò intravedere la punta delle scarpe, dove c'era del sangue, e gli occhi le si riempirono di lacrime, detestava sentirsi così vulnerabile, perché ogni volta che era successo se n'erano tutti approfittati, li chiuse per evitare di piangere davanti a due perfetti estranei e prese un bel respiro profondo, provando a infondersi la forza necessaria per non crollare.
Ginevra respirò profondamente diverse volte, così da farsi passare il magone e deglutire, sentì male, anche se non si paragonava agli eventi di prima, poteva farcela.
"Devo. Devo farcela" si disse mentalmente.
Lorenzo le chiese dov'era diretta e quando lei, dopo diversi secondi, rispose Verona, lui le propose di accompagnarla, visto che abitava lì.
«Non ho ben capito cosa le sia successo, anche se forse lo immagino, ma la tua proposta è inadeguata. Non verrà mai con noi, dopo ciò che suppongo abbia passato» bisbigliò Selene all'orecchio dell'amico.
«Non possiamo nemmeno lasciarla qui» replicò Lorenzo con aria seria.
«Potremo pagare qualcuno perché se ne prenda cura».
I due amici si scambiarono un'occhiata, in fondo Lorenzo sapeva che l'idea di Selene poteva essere sensata, ma non era nemmeno una certezza che i soldi garantissero l'incolumità di Ginevra.
A girare da sola correva molti rischi, ormai Ginevra lo stava realizzando e non ci sarebbe stato un altro Lorenzo pronto a salvarla. Anche se l'idea non le piaceva, non poteva più continuare da sola.
Lorenzo sussurrò qualcosa all'orecchio di Selene, che esitò un momento prima di andarsene, una volta soli, il giovane dall'aria angelica spiegò anche a Ginevra cosa aveva in mente.
«Comprendo perfettamente la vostra diffidenza, per questo motivo una carrozza vi porterà a Verona, mentre Selene e io vi scorteremo. In questo modo avrete il vostro spazio, ma non affronterete il viaggio da sola e io non mi sentirò in colpa per avervi lasciata qui, in balia di chiunque».
"In fondo mi ha salvato la vita, non credo abbia cattive intenzioni. Spero. E se invece ne avesse? Cosa devo fare?".
Ginevra non era del tutto convinta, sentiva un nodo in gola e voleva solo che tutto quello finisse, come poteva fidarsi di quelle persone? Se quel giovane uomo l'avesse salvata per poi portarla chissà dove? Se lui e la sua amica fossero dei ladri? Cosa poteva fare?
«Non siamo ladri, ne assassini» dichiarò Selene, come se le avesse letto nel pensiero «Mi rendo conto sia difficile credermi sulla parola, dato che mi pare di capire siate stata salvata da una brutta situazione. È comprensibile diffidiate, fate bene, io stessa mi comporterei così, ma al momento non avete tante alternative, perché o proseguite da sola, a vostro rischio e pericolo e nelle vostre condizioni non mi sembra saggio, oppure vi affidate al Fato, fidandovi di noi e arrivando a Verona sana e salva. A voi la scelta» concluse Selene, aveva parlato in un modo così pratico, così freddo, che Ginevra restò a guardarla confusa.
Lorenzo intanto non sapeva cosa fare per rassicurare Ginevra.
«Cosa posso dire, o fare, per convincervi delle nostre buone intenzioni?» le parole di Lorenzo suonarono come suppliche, voleva aiutarla sinceramente.
Il punto era proprio che non c'era esattamente qualcosa da dire o fare, in quel momento nemmeno Ginevra sapeva come reagire, l'unica cosa a cui riusciva a pensare era allo sporco che si sentiva addosso, alla rabbia e alla paura, diversi sentimenti vollero prevalere, però lei non era più intenzionata a crollare, non ancora almeno.
«La nostra carrozza non è tanto lontana da qui, anche la vostra si trova lì» la voce di Selene s'insinuò nella mente di Ginevra, strappandola dalla gabbia di pensieri in cui si era momentaneamente chiusa.
«Ho bisogno di lavarm» disse infine Ginevra, la voce strozzata per quel prolungato silenzio, la gola dolorante per lo sforzo che fece nel pronunciare quella frase.
Lorenzo annuì, capendo subito il perché di quella richiesta.
Ginevra non aspettò un momento di più e corse verso la fontana della piazzetta, dove si immerse: grattò le braccia, il collo, il petto, continuava a lavarsi ossessivamente mani e viso, ciò che Selene pensò riguardo Ginevra fu confermato, una violenza sessuale, anche se in quel determinato caso era stata evitata.
Ginevra guardò la propria immagine riflessa nell'acqua, era distorta, esattamente come lei interiormente, gocce si staccavano dalle sue ciocche castano ramate, dalle ciglia folte, dalla punta del naso e dal mento, era come se a ogni goccia caduta perdesse una parte di sé: quella aggredita, quella parte calpestata, umiliata, quella parte imbrattata da mani bramose, ma era solo un'illusione, non stava perdendo nulla, bensì stava acquisendo consapevolezza di quella dura verità, di ciò che era stata la sua vita fino a poco fa.
Si lasciò cadere sulle ginocchia, gli occhi bruciavano, un nodo più forte in gola la faceva respirare a fatica e una stretta le comprimeva lo stomaco. Tutto ciò che aveva represso fino a quel momento pretendeva di uscire, il suo corpo voleva liberarsi e allora espulse il disagio, la paura, il disgusto per quei balordi.
Lorenzo le fu accanto, come un angelo misericordioso dagli occhi tristi e cercò di porgerle un fazzoletto, solo che lei rifiutava qualsiasi contatto con lui, con un uomo, allora Selene intervenne.
Durante il viaggio Ginevra non fece altro che pensare, ricordava la vita in quella prigione dall'aspetto sontuoso, agli uomini che vi andavano per approfittarsi di lei, al modo in cui ogni notte quell'uomo, che diceva di essere suo zio, la molestava e lei non opponeva resistenza per paura. Ricordò il terrore di quella notte, del dolore emotivo e fisico, poteva ancora sentire sui polpastrelli il labbro sproporzionato per via del gonfiore, provocato dagli schiaffi e dai pugni di quei farabutti; Ginevra era tutta un dolore, sentiva anche la pesantezza della stanchezza, gli occhi volevano chiudersi, ma lei voleva restare sveglia, voleva essere in grado di difendersi se ce ne fosse stato bisogno, nonostante le forze fossero minime non era intenzionata ad arrendersi.


NdA:
Ciao a te che, anche questa volta, hai deciso di dedicare un po' del tuo tempo a questo nuovo capitolo
☺️ spero ti sia piaciuto 🤞🏻😌
Piccola curiosità: il nome della protagonista doveva essere un altro, ho usato quello attuale -Ginevra- perché l'iniziale (G) richiama quello di Giulietta.
Ci leggiamo nel prossimo capitolo, se lo vorrai
😉

As 💫

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