Two Tulips in a Glass of Whiskey

di Angel of Opera
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologue - I won't sleep tonight ***
Capitolo 2: *** Chapter I - I saw you crying in the morning light ***
Capitolo 3: *** Chapter II - As home we roll, we can drink a bowl ***
Capitolo 4: *** Chapter III - Body strewn across the dead end street ***



Capitolo 1
*** Prologue - I won't sleep tonight ***


Prologue - No, I wont sleep tonight 

23 marzo 1913 

E' notte fonda quando una piccola figura esce dalla porta di una casa nella Dublino bene iniziando a correre. Un ladro? La cosa non dovrebbe stupire, se ne vedono tanti, di questi tempi. 
Avvicinandoci un po' di più possiamo renderci conto che si tratta di una ragazza dai lineamenti dolci, anche se è abbigliata con abiti maschili. Quando il berretto le cade sul selciato, libera i lunghi capelli rossicci lunghi fino alle spalle che subito cominciano a muoversi. La ragazza non accenna a fermarsi, anzi, tende ad accelerare quella che evidentemente è una fuga. Ma da cosa e da chi da scappando? 
Prima di rispondere a questa domanda, è doveroso sapere che la casa da cui la figurina è uscita così di fretta è la residenza della famiglia Holmwood. Il padre, Hugh Holmwood, è un generale inglese inviato in Irlanda per controllare gli animi degli indipendentisti. La padrona di casa è niente meno che Gretha Firth, degna erede di una delle famiglie più in vista di York, regina di eleganza e ottima madre di cinque pargoli (se tutti dello stesso padre, non sta a noi precisarlo). Arrivarono a Dublino due anni or sono per seguire il pater familias e subito furono guardati con sospetto. Perché quelle espressioni stupefatte? Sono più che comprensibili le occhiate cariche di rancore che la popolazione rivolgeva loro, essendo ricchi rappresentanti della corona. Non fu facile abituarvisi, per i piccoli Holmwood, ne tanto meno ambientarsi in una città che non era loro. Proprio per questo, spesso giocavano con i figli della servitù e talvolta regalavano loro anche qualche balocco ormai poco guardato. La più generosa in questo senso era la prima figlia femmina e la terza tra tutta la progenie: Evelyn Adeline. Fu proprio durante questi innocenti giochi infantili che la piccola Eve sentì parlare per la prima volta di un'Irlanda indipendente e trovò ingiusta l'oppressione britannica. Desiderò aiutare chi chiedeva una repubblica e combattere lei stessa contro la propria famiglia e contro il proprio re. Cari lettori, conosco il pensiero che in questo momento attraversa i vostri pensieri. Cosa c'entra tutto ciò con la piccola ragazza in fuga? Eccone svelata l'identità. Colei che fugge da tutto ciò che ha sempre conosciuto è proprio Evelyn, intenzionata a lasciarsi alle spalle le origini inglesi e a combattere per quella che sente una giusta causa. 
Torniamo dunque a lei e vediamo dov'è finita. Evelyn si sta guardando attorno, spaesata. In due anni che vive a Dublino, le volte in cui è uscita dalle mura dorate che costituivano il suo mondo si possono contare sulla punta delle sue piccole e delicate dita. Dita che non hanno mai lavorato e che stonano con i muri scrostati di un edificio in cui probabilmente vivono in condizioni precarie almeno cinque famiglie, che stonano con le strade maleodoranti e che stonano con i vetri rotti delle finestre. La ragazza si ferma per riprendere fiato. Mentre i polmoni si riempiono e si svuotano ritmicamente, Evelyn si domanda quanto sia lontana dalla sua vecchia vita. Aveva attraversato il Liffey, di questo è sicura, quindi si trova nel Northside. Dove andare ora? Cosa fare? 

« Che stupida! Avrei dovuto chiede a quel garzone se conosceva qualcuno da cui stare, oltre ai vestiti! »

Non si accorge, però, di aver formulato ad alta voce questi pensieri. Per sua fortuna, potremmo aggiungere. La ode infatti un ragazzo che rientra a casa, alle primi luci dell'alba, dopo aver aiutato un fornaio. Uno dei tanti lavori che saltuariamente svolgeva per aiutare la sua famiglia, dopo il fatale incidente che costò la vita al padre del ragazzo. Era stato tredici anni prima, ma da allora Dillion disprezzava chiunque avesse una sola goccia si sangue inglese nelle vene. Era stata colpa del proprietario della fabbrica se era rimasto orfano e lui e la sua famiglia avevano dovuto arrangiarsi. C'era stato anche un periodo in cui la madre era arrivata al punto di prostituirsi per sfamare i suoi sette figli, di cui Dillion era il primogenito e di conseguenza aveva dovuto darsi una svegliata prima degli altri. Dopo un attimo di esitazione, il ragazzo proferisce parola. 
« Come ti chiami, ragazzina? »

Evelyn non riesce a pensare a un nome alternativo che subito rivela il suo. 

« Il mio nome è Evelyn. Vi prego, trovatemi un posto in cui riposare. E' stata la nottata più lunga della mia vita e vi prometto che domani me andrò. Posso anche pagarvi, se ritenete che sia necessario...  »

Il ragazzo non risponde, limitandosi a poggiarle una mano sulla spalla per invitarla ad entrare in casa propria, dopo essersi raccomandato di far silenzio. La guida per le piccole stanza di cui la casa è composta. Dillion la fa salire per delle scale scricchiolanti per portarla in quella che era la sua camera da letto. La povertà con cui è arredata colpisce in pieno Evelyn, abituata al suo letto a baldacchino e i tappeti persiani sul pavimento. Questa stanza ha pochi mobili, giusto una cassapanca, uno scomodo materasso in paglia e una scrivania piena di candele usate. Dopo aver chiuso l'asse di legno che serve da porta, il ragazzo comincia a togliersi gli indumenti sporchi di farina, tenendo soltanto quel pezzo di stoffa che serve a coprirgli le parti intime. Evelyn arrossisce subito e a Dillion ciò non sfugge, anzi, la guarda divertito. 

« Non hai mai visto uomo nudo, vero? » Domanda con il sorriso sulle labbra. 

La ragazza si limita ad annuire, avvampando ancora di più. 

« Puoi stare tranquilla, mi terrò questi. »  Dice indicando l'unico indumento che ancora indossa, quindi si adagia sul pavimento, lasciando ad Evelyn il letto. 

« No, non dormite per terra Signor... » 

« Dillion. Mi chiamo Dillion. Dove vuoi che dorma, altrimenti? »

« Possiamo... Possiamo dividere il letto? non voglio che ve ne priviate... »

« Come vuoi, Evelyn. Dormo con te. »
Detto questo, Dillion si sdraia accanto a lei, stando ben attento a non cingerle il corpo con le sue forti braccia. E' una precauzione totalmente inutile, dal momento che si sveglieranno abbracciati, e così sarà nei prossimi anni. Entreranno entrambi negli Irish Volunteers, prendendo parte a quella che passerà alla storia come Rivolta di Pasqua. 

Ora, i prossimi capitoli che leggerete racconteranno proprio di quei giorni. Giornate d'indipendenza in una terra che ancora non ne ha assaporato il gusto e di come un amore possa vivere mentre si combatte. Non sarò altro che narratore in queste vicende, perciò, se volete seguirmi proseguite pure nella lettura.

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Salve a tutti! Questa è la mia prima long e spero di riuscire a terminarla entro il centenario dall'inizio della Rivolta di Pasqua (se non lo faccio siete autorizzati a lanciarmi pomodori in faccia).
Bene, al momento non ho altro da dire se non che i titoli sono presi da alcune canzoni che ho inserito nella playlist su 8tracks dedicata proprio a questa storia (su, avanti, andate a cercarla e ascoltatevela); il titolo del prologo viene da ''Hour of the Wolf''.
E niente, spero che piaccia ciò che avete letto. In ogni caso lasciatemi una recensione o inseritela tra le preferite/ricordate/seguite, così potrete entrare nella lista delle mie persone preferite.
A presto


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Capitolo 2
*** Chapter I - I saw you crying in the morning light ***


I saw you crying in the morning light

22 aprile 1916

E' appena sorto il sole sulla bella Dublino e già la città si muove. Dillion, che si è destato da poco, la osserva dalla piccola finestra che si affaccia sulla piazza ove si svolge il mercato. Chi urla, chi sistema le merci, chi arriva e saluta gli altri commercianti. Tra di loro vi è una ragazza dal seno generoso e dai lunghi capelli rossi raccolti in una treccia trainante un carretto sul quale sono sistemati pesci e frutti di mare e Dillion non può far a meno di pensare a Molly Malone, la protagonista dell'omonima canzone che tante e volte ha cantato con i suoi fratelli. La canterà una volta in più tra qualche istante, quando sveglierà Evelyn.

<<In Dublin's fair city,
Where the girls are so pretty
I first set my eyes on sweet Eve Holmwood
>>

Ecco, ecco che canticchia avvicinandosi al letto che condividono da quella fredda sera di marzo in cui si sono incontrati. Come mai si è subito fidato di lei? Come mai non le ha chiesto qualche cosa in più, prima di lasciarle il suo letto?
E' senza dubbio un'ottima domanda. Tenteremo di trovare una buona risposta per il lettore.
Dillion l'aveva vista spaventata, infreddolita e quasi piangente aggirarsi per strade ricche di miseria e aiutarla pareva la cosa più giusta da fare. Già, il ragazzo ha sempre cercato di scegliere la cosa giusta; sia essa condividere qualche spicciolo con chi lo necessita o arrivare addirittura alle mani con qualche ubriaco che importunava le ragazze che si recavano al forno. Non era sempre così semplice, un esempio su tutti: la morte di suo padre. Chi ascoltare tra un cuore che gridava giustizia e una testa che invita al raziocinio? Era più giusto seguire la legge del Taglione o quella di Gesù Cristo? Se avesse seguito la prima strada, probabilmente avrebbe lasciato morire di stenti la sua famiglia e no, non poteva permetterselo. L'avrebbero di certo condannato a morte, se avesse osato vendicare il nome di suo padre e degli altri cinque operai morti con lui. Sì, perché avrebbe ucciso uno dei più influenti imprenditori, un ricco inglese che sfruttava i più poveri per costruire navi in materiali scadenti.
Come il lettore avrà intuito, ci troviamo negli anni della Seconda Rivoluzione Industriale, quando l'elettricità portava luce a un mondo ancora illuminato da candele e l'acciaio permetteva la costruzione di opere colossali. Fu proprio un gigantesco pannello di questa lega ad uccidere Seamus Keefe, durante la costruzione di un'imbarcazione destinata a solcare l'oceano. Era piena notte, e Caoimhe, sua moglie, lo attendeva come al solito davanti alla porta. Inutile dire che non tornò mai a casa.
Dillion aveva solo sette anni, ma da quel momento cominciò a guardare con sospetto prima e rancore poi gli inglesi che incontrava. Come se non bastasse, negli ultimi tempi i militari della corona si sentivano in dovere di ingiuriare e maltrattare qualunque irlandese capitasse loro a tiro e spesso Dillion era tra quelli che aiutavano il malcapitato a rialzarsi. Uno spirito nobile, il suo? Può darsi. Di sicuro il ragazzo era stanco di essere trattato con inferiorità, vittima di angherie inglesi come tutto il suo popolo. Ecco perché si era unito agli Irish Volunteers, introdotto dalla stessa persona che aiutò la madre di Dillion a trovare un lavoro dignitoso (uscendo così dal circolo della prostituzione) e la stessa persona aveva trovato a Evelyn, o meglio, James (la ragazza aveva scelto di travestirsi per rendere più difficile il suo ritrovamento da parte dei famigliari) un impiego nella sua bottega di fabbro.
Ed era proprio lì che ora i due ragazzi, appena usciti dalla povera abitazione di Dillion, si stavano dirigendo. Non per lavorare, però. Infatti, la bottega è ufficialmente chiusa, ma ufficiosamente serve da santabarbara per i ribelli. Mancano due soli giorni a Pasqua, e quindi due soli giorni alla rivolta. Sui volti di Dillion ed Evelyn figura una fiera preoccupazione silenziosa. Le labbra rosee e piene della ragazza sono strette e tese, i grandi occhi verdi celano in malo modo la consapevolezza delle probabili ultimi ore di vita. I movimenti di entrambi sono meccanici, quasi come quelli di una marionetta, talmente persi nei pensieri dell'avvenire che nessuno dei due si accorge subito di aver afferrato la mano dell'altro. Le dita piccole della ragazza intrecciano delicatamente quelle grandi e forti di Dillion. Erano cambiate molto, in quegli ultimi tra anni. Se prima erano morbide e curate, adesso sono più ruvide, ferite e con le unghie morse fin quasi alla carne ma non hanno perso la loro caratteristica principale: la grazia del tocco. La stessa grazia con la quale adesso le sue dita accarezzano il dorso della mano di Dillion è la medesima di quando le stesse si posavano sulla fronte i un fratellino appena nato.
Dopo qualche minuto, entrambi si rendono conto di quel contatto e subito lo interrompono, per evitare pensieri equivoci. Non dimentichiamo che Evelyn ha celato ogni femminilità e che l'omosessualità, in Irlanda, smetterà di essere considerata reato alla fine del Novecento.

Ecco, ecco l'insegna con l'incudine che tanto cercavano. La bottega di Peadair McFee, l'uomo a cui Dillion deve gran parte della sua situazione attuale. Quel giorno, Evelyn si era offerta per distribuire armi agli altri Volunteers. Dillion sarebbe stato al suo fianco, come sempre.
Le ore di sole trascorsero in fretta, tra giovani soldati che si fermavano a parlare con Peadair della Repubblica Irlandese, cantanti improvvisati che intonavano ballate risalenti alla Rivolta del 1798 e speranza. Tutti i visi che i ragazzi videro erano pieni di quel luccicante sentimento. Gli occhi dei giovani ne erano ricolmi, le loro parole ne trasudavano e i loro gesti la trasmettevano. Speranza, coraggio, ecco ciò che anima le menti! Nessuno ne poteva più della supremazia inglese, nessuno voleva essere trattato più con sufficienza, nessuno voleva più essere ingiuriato.

In questo momento, però, Evelyn ha paura della morte. Guardava le stelle; ne vede una cadere* ed ha paura di cadere anche lei. Si sente già morta con questa paura in corpo. la morte non fa paura solo a chi non ha niente da perdere, nessuno da salutare. Chi ha lei? Dillion, certo, ma anche i suoi fratelli che non vede da tre anni. Un solo istante e si gira verso del ragazzo seduto sul letto.
 
«Non voglio morire. Non voglio sentirmi morta prima di cadere.»  Afferma sbottonando la giacca troppo grande per il suo magro corpo diciottenne.
Dillion la osserva, prima di alzarsi a appoggiare le mani sulle sue.
« Non morirai, Evelyn. Come non sei obbligata a combattere, se non te la senti.»
Uno sguardo, i respiri di entrambi ed è di nuovo Evelyn a prendere la parola.
« Voglio essere tua, Dillion. Ti  prego, permettimi di sentirmi viva. Non so come finirà questa rivolta, non so cosa succederà dopodomani, non so se avremo un lieto fine.»  Le lacrime stanno cominciando a rigarle le guance e non riesce a trattenersi, quindi appoggia la fronte sulla spalla del ragazzo. Coraggio, ecco ciò che in questo momento le è venuto a mancare.
«Ne sei sicura, Lynn? Vuoi davvero essere amata da me?»
Evelyn annuisce, asciugandosi le lacrime e si lascia guidare in un bacio travolgente. In quel momento, si sente la persona più felice del mondo.

Questa notte, due giovani anime stanno diventando una sola. Questa notte, il domani è più vicino.  Evelyn si sveglierà, consapevole del dono fatto alla persona che ama e ritroverà il coraggio perduto e mai più perso. Nemmeno quando le cose si faranno più complicate. Cosa succederà? Se volete seguirmi in questo viaggio, v'illustrerò l'avvenire.

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*Ogni riferimento a ''The Fields of Athenry'' è fortemente voluto.

Oh, ma salve! Sono tornata con un nuovo capitolo! 
Lo so, la parte sul passato di Dillion può risultare noiosa, ma amatemi lo stesso. 
Questa volta il titolo viene da ''Song for Ireland'' (su gentile suggerimento di Panda, a cui per altro voglio dedicare la citazione precedente <3 )

Niente, spero che anche questo capitolo vi piaccia. Ah, dimenticavo. Non mi do un tempo preciso per la stesura di un capitolo; l'ispirazione viene quando viene e, anche se ho già altre idee in testa, mi sto concentrando solo su ''Two Tulips''.

A quando pubblicherò di nuovo,

- Angel

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Capitolo 3
*** Chapter II - As home we roll, we can drink a bowl ***


 As home we roll, we can drink a bowl

 

23 aprile 1916

 

Sta per calare la sera su una Dublino in fermento. Una sola alba ci separa da quando gli Irlandesi prenderanno le armi contro un re straniero. Una sola notte, e quel sogno repubblicano potrà forse avverarsi.
Nella bottega di Peadair fervono gli ultimi preparativi per il giorno dopo. Egli è infatti uno dei generali di questa Rivolta; il suo compito è dirigere e incitare i ribelli. Ma McFee è più di capo per i suoi uomini. Li ha adottati tutti. Uno ad uno, li considera suoi figli. Non che non ne avesse avuti, anzi, ne aveva ricevuti ben tre, ma quel Primo Conflitto Mondiale aveva reciso le loro fragili vite. Un'assurda e ormai ingestibile guerra dilaniava l'Europa e tanti giovani ragazzi erano arruolati tra le fila degli eserciti per massacrare i loro fratelli solo per la divisa che indossavano e spesso senza nemmeno senza sapere il perché. I giovani Irlandesi non erano da meno, mandati a combattere in trincea per servire un oppressore, morti per difendere una corona che non fa altro che schiacciare una nazione stanca della sua prepotenza. Peadair non aveva avuto nemmeno il tempo di salutarli che già il funerale era stato organizzato e i corpi seppelliti. L'ultimo solo pochi mesi fa, morto ad appena vent'anni. Il dolore viene con abilità nascosto agli occhi dei suoi uomini, ma nella solitudine fa silenziosamente capolino, bagnandogli gli occhi e rigandogli il viso fino a lambire la barba bionda. Adesso, però, non è uno di quei momenti. Non durante la cena, non quando porta le reclute più timorose in un pub offrendo loro da bere per stemperare la tensione e scacciare la paura dell'indomani.

 «  Caolàn! Come sta tuo padre? Porta da bere a questi uomini e unisciti a noi! » Ordina sorridendo rivolto al ragazzetto smilzo dietro il bancone.
Evelyn e Dillion, appena entrati nel locale, si guardano intorno per ambientarsi in mezzo a vecchi tavoli in legno, pareti in mattoni scoperti e un pavimento di assi scricchiolanti. È un ambiente povero, ma viene arricchito da alcune stampe e, soprattutto, dalle bottiglie di alcolici di mediocre qualità. Whiskey, prevalentemente. Se non fosse per il gruppo appena entrato, gli avventori sarebbero davvero pochi. Giusto una coppia di vecchi seduti in fondo al locale intenti in una partita di poker e qualche ubriacone appollaiato sui primi sgabelli davanti al bancone. I ragazzi immediatamente riempiono le sedie attorno ai tavoli, scaldando l'atmosfera con le loro voci.
Appena ogni soldato ha ricevuto un bicchiere pieno, McFee sale su un tavolo per attirare l'attenzione di tutti i presenti. Un breve discorso, parole d'incoraggiamento cariche di libertà e rancore ma velate da una lieve tristezza. In alto i calici, nessuno ha paura! Paura e fiducia nel domani non possono coesistere, non in gioventù, non quando la morte sembra così lontana.
Guardateli, cari lettori, ascoltate quelle risate sincere, quelle parole, sedetevi con loro, se vi aggrada, e ubriacatevi. Ubriacatevi sia di vita che di alcool. Prendete un boccale di stout, la birra tipica irlandese, fatene seguire un altro e un altro ancora, proprio come sta facendo Dillion in questo momento. Parla, scherza, ride di battute pessime o volgari, solo ogni tanto se ne sente qualcuna buona. Giovani nel pieno della vita in un pub: quante scene assomigliano a questa? Sicuramente il lettore ne avrà già incontrata qualcuna, in pittura o letteratura, e in ognuna di queste non manca mai quell'individuo che, vuoi per timidezza o per malvagità, se ne resta in disparte. Questa volta, ad un occhio poco accorto sembra non presente, ma un osservatore più attento avrà già notato quel ragazzo dal nasino raffinato e l'uniforme troppo larga che, seduto in un angolo da solo, osserva la scena bevendo lentamente dal suo bicchiere, quasi come se non volesse mandare giù il liquido scuro. Come avrete intuito, si tratta di Evelyn. Perché tanto silenzio? Semplice, la sua voce sottile da soprano la tradirebbe. Potrebbe fingere di essere più giovane di quel che in realtà è, potrebbe dire di essere un ragazzo nel periodo prima che la voce diventi più grave, ma se lo facesse poi non potrebbe imbracciare le armi e combattere. Peadair non lo permetterebbe e lei lo sa bene. Evelyn e Dillion sono infatti gli unici a conoscere così bene il dolore profondo che lo affligge, gli unici di cu si fidi ancora, tanto da scegliere la ragazza come braccio destro (nonostante egli sia all'oscuro della sua reale identità). Ma torniamo a noi. Il nostro Dillion ha forse alzato un po' troppo il gomito e canta a squarciagola note stonate che insultano gli Inglesi ed elogiano l'indipendenza. Non è certo l'unico ad essere un poco brillo, anzi, almeno la metà delle persone in quel pub gli fa compagnia e si unisce ai suoi motivetti improvvisati. Ormai, la Luna ha fatto la sua comparsa in cielo e Peadair decide di riportare a casa i suoi uomini. La maggior parte lo segue, anche se qualcuno preferisce spendere gli ultimi averi in altro alcool, sicuro di morire il giorno dopo.  Evelyn e Dillion chiudono il gruppo, la sobria sostenendo l'ubriaco. Non che sia una cosa particolarmente facile per la ragazza, gracile come un fiore di ciliegio. Non che Dillion sia particolarmente robusto, semplicemente la ragazza è più leggera; gli inciampi e le cadute, così, sono molto frequenti. L'ultima, nella via della bottega dove passeranno la notte. Dillion cade rovinosamente a terra e la ragazza lo segue, trovandosi quasi addosso a lui.
« Sei bella, Evelyn. Sei bella come l'Irlanda senza inglesi. Quei bastardi. A parte te. Tu sei l'unica buona inglese che conosca, » Biascica il ragazzo mentre Evelyn rotolo di lato e si mette seduta di fianco a lui. Se ne sta in silenzio, ammirando il Plenilunio.
« Siamo due stelle anche noi, vero? Le persona assomigliano alle stelle. Brillano, sono tante e cadono. Siamo due stelle anche noi! Domani brilleremo più delle altre. Mi chiameranno Brillion! » Riprende, alzando e abbassando il volume della voce. E' visibilmente ubriaco e in più si sta facendo davvero tardi. Forse sarebbe meglio rientrare e mettersi a dormire. La ragazza è quella che si alza per prima, subito dopo avergli risposto che sì, anche loro sono stelle e sì, sicuramente passerà alla storia come Brillion Keefe. Entrando, vengono accolti dal silenzio dei dormienti. Un invito a sdraiarsi sulle uniche due brandine rimaste libere? Viene interpretato così dai due giovani.
« Dillion... Dillion! Dormiresti con me? Potrebbe essere l'ultima volta... E non importa se qui in mezzo io sono James Flynn per tutti questi uomini. »
 « Vieni qui. Però promettimi che ci sposeremo, quando l'Irlanda sarà libera! »
« Tutto quello che vuoi, mio amato ubriaco » Ridacchia andando a coricarsi affianco a lui, passandogli la mano sul fianco e poi salendo, accarezzandogli la guancia con una barba giovanile a pungerle le dita. Dillion sbuffa in risposta, e dopo qualche secondo è già addormentato.

Sarà una notte agitata per entrambi, piena di incubi tragici, morte e distruzione. Forse un presagio per la Rivolta? Lo scopriremo presto. Insieme.

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Boom baby! Rieccomi! Il soggiorno a Londra mi ha dato così tanta ispirazione che ho dovuto subito scrivere del pub. Ringraziate il Museum of Docklands se avete tutta questa scena. Comunque sia, penso che prima di pubblicare il prossimo capitolo ci sarà una lunga pausa perché necessito più informazioni dettagliate sulla Rivolta. 

A presto,

- Angel

P.S. Questo titolo viene da ''The Rare Auld Mountain Dew''.

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Capitolo 4
*** Chapter III - Body strewn across the dead end street ***


Chapter 3- Body strewn across the dead end street

24 aprile 1916

L'ultima stella brilla ancora, luminosa e fiera, quando gli  uomini di Peadair vengono destati dai loro sonni. Per qualcuno sarà l'ultimo prima del sonno eterno, lo sanno e ne sono fieri. La fierezza del soldato è qualcosa che racchiude in sé un senso vitale di energia e la solennità propria alle morti gloriose, qualcosa di venerabile e leggibile sui loro volti, su cui figura una dicotomia tra la freschezza del bambino e la stanchezza del vecchio. E' come un segno distintivo, qualcosa che accomuna tutti i combattenti.
Gli uomimi vengono preparati in fretta, i più abbienti con divise e i più poveri con abiti logori, indossati anche nei giorni precendenti. I visi vengono sciacquati nello stesso catino di ceramica pieno di crepe, che tanti e tanti visi aveva visto prima di quelli.
Peadair parla a loro, ancora una volta. Cerca di dar loro fede e speranza, come dovrebbe fare un vero leader, sicuro che gli inglesi si arrenderanno presto. Ahimè, niente di più sbagliato!
«Ci hanno schiacciato per settecento anni, ci hanno negato la nostra identità, hanno violentato le nostre donne e ucciso i nostri uomini, ma com'è vero che Gesù Cristo è risorto dalla Croce oggi noi risorgeremo con Lui! La dominanzione non durerà ancora a lungo, abbiamo dalla nostra parte capitani valorosi come Pearse, Connolly e MacDermott, senza dimenticare Clarke e De Valera. Non potranno vincere ancora!»
E' l'ultima frase pronunciata dal fabbro, prima che la porta si spalanchi improvvisamente ed entri una donna vestita poveramente, i capelli castani raccolti in una treccia. Il viso porta i segni dell'età che avanza, eppure non le si darebbe più di una trentina d'anni. La seguono due personcine, una ragazzina di sedici anni, sottile e piccolina come un fuscello di faggio, la pelle candida costellata di efelidi , i lunghi capelli rossicci lasciati selvaggi e un bambino di non più di sette anni che sta attaccato alla gonna della madre. S'incammina verso Dillion, seguita dai figli. Si tratta di Caoimhe, venuta a salutare il primogenito.
«Dillion, figlio mio... Non so se e quando tornerai, ma sono fiera di te e sono sicura che anche tuo padre lo sia. Io... Volevo salutarti nel caso non dovessimo... Tu dovessi... Sì, insomma, se dovessi perdere anche te elmeno ti avrò stretto un'ultima volta tra le mie braccia.»
Gli dice, il viso rigato da calde lacrime di amore e paura. Prima di abbracciarlo gli carezza il viso, con tutto l'amore che una madre possiede per il proprio figlio.
Questo genere di manifestazioni tende a sciogliere anche i cuori più duri, infatti ognuno ha interrotto le prorpie azioni per rivolgere l'attenzione a quell'attimo toccante. Peadair invita i presenti ad abbandonare la causa, tornando dalle famiglie. Uno, forse due quelli che effettivamente si ritirano, più per codardia che reale preoccupazione. Non Dillion, che ancora tra le braccia della madre si limita a salutare lei, Neave e il piccolo Miceàl. Bacia tutti e tre, assicurando alla madre il proprio ritorno da vincitore contro gli assassini del padre. La vendetta è uno dei motivi per cui ancora combatte.
La donna esce, voltandosi spesso verso il figlio, e gli uomini si armano. Il gruppo viene accuratamente diviso in dieci file da cinque uomini ciascuno. A capo, Evelyn e Peadair non si scambiano una parola, mentre guidano i loro Volontari verso il General Post Office.
Credo che per lettore non sia diffice figurarsi questa milizia silenziosa che avanza per le strade della fredda Dublino, all'apparenza una banda di disperati, in realtà un esercito dell'Indipendenza e della Libertà.
Non un rumore si ode per le strade della nebbiosa Dublino se non i rintocchi delle campane pasquali. Le note sono quelle dell'Angelus, incitamento alla resurrezione dello stato libero d'Irlanda. L'Irlanda rinascerà come e con Dio, il dominio Britannico ha le ore contate.
Con quale sicurezza IRA, Volounteers e IRA si mescolano nella nebbia del mattino, fratelli che imbracciano le armi contro i rivali inglesi. In quanti sono venuti per occupare il General Post Office! Uomini, donne, perfino qualche bambino.
Evelyn e Dillion sono rimasti al pianoterra dell'edificio, esposti in prima persona al fuoco nemico.
In poco tempo, cadono le prime vittime su entrambi i fronti. La morte non fa davvero paura se non quando si fa vedere, presenza silenziosa tra le macerie, lascia gli uomini che la scorgono color della neve, le labbra che bacia diventano violacee, la carne che tocca si apre sotto le pallottole e il sangue scorre, abbandonando il corpo come la vita che vola via. Ah, com'è leggera, la vita! Figurina nello zoo di cristallo che è il mondo, basta un sibilo di una pallottola che scappa già via come una ninfa spaventata, lasciando vuoti i corpi esangui.
Alza i tuoi occhi dalla polverosa strada, lettore, la giornata sta già volgendo al termine. Quando si combatte, il tempo non si conta. La resistenza degli uomini è forte, quando collaborano per uno scopo comune.Alle ultime luci del sole, gli inglesi non sventolano ancora bandiera bianca. Ancora eretta è invece quella nera della morte e della distruzione, in un General Post Office che comincia a traballare, i danni dell'artiglieria ben visibili sulle sue facciata.
Appostati dietro protezioni improvvisiate, gli inglesi aspettano che un ribelle faccia un passo falso e si scopra. Tra loro, un viso dai lineamenti severi, gli occhi piccoli e neri, presta più attenzione degli altri. Sul suo petto brilla il grado di generale.
Come in un sadico gioco, quell'uomo è responsabile di almeno una trentina tra morti e feriti, in quella giornata. Scruta attento le postazioni nemiche, un movimento, un uomo si scopre. L'inglese riesce chiaramente ad osservare il viso del ribelle, lo riconosce ed esita, sul viso un espressione sorpresa. Il padre che riconosce il figlio. In questo caso, la figlia. Infatti, Hugh ha riconosciuto Evelyn, nonostante la fuliggine a sporcarle il viso e i vestiti maschili a coprire le sue forme.
Una leggera pressione sul grilletto dell'arma.
Uno, due secondi.
Un grido nel silenzio.
Evelyn cade, colpita al petto dal proiettile.
Dillion le si precipita affianco, coprendo la ferita con la mano, cercando di fermare l'emorragia con le sue stesse mani. Tutto inutile, Evelyn sputa sangue, colpita vicinissimo al cuore.
 
«Ti giuro che tu non lasci la vita qui, vieni via con me. Saremo liberi Evelyn, te lo giuro!» Singhiozza il ragazzo, guardando il viso dell'amata. Gli avevano già rubato il padre, quei figli di puttana. Se solo il re li avesse ascoltati prima, il roseo viso che tante volte aveva baciato non starebbe diventando sempre più pallido.
 
«Mi sono ribellata... Loro mi hanno spezzata... Combatti Dillon, combatti per entrambi. Ti ho amato come ho amato la libertà...>» mormora Evelyn, tra i colpi di tosse misti a sangue. Ed è l'unica cosa che riesce a dire prima che la vita decida di scivolare via dal suo piccolo e fragle corpo.
Muore tra la polvere, ma tra le braccia della persona che ama. Chi dice che morire nel sonno è la morte migliore è nel sonno mente, è meglio morire occhi negli occhi di chi ti ama, così da poter portare il ricordo delle sue iridi fin oltre la morte.
E' triste però, far soffrire una persona a cui si è donato il proprio cuore. Lasciarla distrutta, piangente, tra calcinacci e polvere da sparo.
Una mano si posa sulla schiena di Dillion. Un giovane si offre per confortarlo. Lo aiuta ad alzarsi, lo abbraccia. Tutto questo senza dire una parola, che potrebbe aggravare ulteriormente il dolore della perdita. Solo quando i singulti ormai si sono calmati, lo sconosciuto azzarda una o due parole.
 «Ormai non c'è più niente da fare, James è andato. Anche Achille dovette confrontarsi con la morte di Patroclo, ma tornò a combattere. D'altro canto ti sono vicino, anche io se perdessi Michael sarei perduto... Comunque, io sono Harry. Adesso pensa a salvarti la pelle, va bene?
»

Sarà difficile seguire il consiglio di Harry, in quelle giornate che passeranno alla storia come uno dei più grandi fallimenti sulla strada dell'Indipendenza. Sarà difficile evitare le pallottole nemiche, troppo preso dalla foga di abbattere più inglesi possibili per vendicare le morti che segnano la vita di Dillion, ma se vorrete scoprire come vivrà il nostro protagonista dopo quei giorni potrete continuare ad ascoltarlo attraverso le mie semplici parole.


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Salve a tutti!
Perdonate per la lunga assenza, sono stata parecchio impegnata in questo mese (o mese e mezzo? Non importa).
Sappiate che mentre scrivevo la parte della morte di Evelyn ho pianto più della metà dei miei liquidi corporei, ma spero che voi non abbiate sofferto troppo.
Questo titolo lo lascio indovinare a voi, vi dico solo che è una canzone degli U2 c:
Comunque, ci sarà un piccolo epilogo; solo che non so quando lo posterò, sono riprese le lezioni e ho un sacco di roba da studiare, sob.
Alla prossima!

- Angel

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