I can't live... if living is without you

di Yasha 26
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cap. 1 ***
Capitolo 2: *** Cap. 2 ***
Capitolo 3: *** Cap 3 ***
Capitolo 4: *** Cap 4 ***
Capitolo 5: *** Cap 5 ***



Capitolo 1
*** Cap. 1 ***


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Grazie.





 
- Marmocchia pestifera! - sbuffò irritato un giovane han’yō, tentando di sottrarre dalle grinfie della bambina che aveva in braccio, la sua lunga chioma argentea.
- InuYasha, non chiamare mia figlia marmocchia pestifera! - lo riprese la madre della piccola, appena rientrata in casa.
- Tua figlia “è” una marmocchia pestifera! Guarda i miei capelli, accidenti! – le mostrò, indignato, la treccia scomposta e fatta di nodi appena realizzata dalla piccola.
- Potevi pensarci prima di lasciarla libera di giocarci, non credi? -
- Non pensavo tua figlia avesse manie da parrucchiera psicopatica! -
- InuYasha! –
- E’ la verità. Sembra avere la mania di toccare i capelli di tutti. - borbottò infastidito.
- E’ interessata solamente ai capelli argentei come quelli del padre, che può farci? -
- Non tormentare i miei, ad esempio! -
- Oh santa pazienza! Un uomo grande e grosso come te che se la prende con una bambina di due anni. Sei ridicolo! -
- Tsè! Me ne vado a casa. Comprerò una bambola con i capelli bianchi a quella peste, così la pianta di sciupare i miei ogni volta che me la molli per uscire con le tue amiche! - iniziò a brontolare, prendendo le chiavi dell’auto e salutando con un gesto la sorella, che lo guardò rassegnata.
- Che zio burbero che hai, piccola Yura. Mi chiedo come riesca a sopportarlo la zia senza impazzire. - ridacchiò la ragazza, accarezzando la figlia, intenta a giocare adesso col suo peluche preferito.
 
Ancora sorrideva ripensando alla strana conversazione avuta col fratello anni prima. All’epoca viveva ancora a New York, dove si era trasferito per intraprendere la professione di architetto. Quella chiamata si rivelò essere come il vaso di Pandora, che dopo essere stato scoperchiato, riversò sul loro mondo tutti i mali contenuti al suo interno.
Non che le fossero dispiaciuti poi molto quei “mali”, poiché le avevano riportato il fratello, restituito un’amica felice e dato a lei l’uomo che amava, ma che prima di allora doveva tenere nascosto.
Una semplice chiamata, a volte, può davvero cambiare la vita.
 

 
 
New York City, uffici della Skidmore, Owings and Merrill, tre anni prima.
 
InuYasha No Taisho, uno dei più giovani architetti assunti alla SOM, leader mondiale nel campo dell’architettura, si trovava nel suo ufficio, intento a leggere alcuni fascicoli riguardanti la nuova opera da poco realizzata: il Baccarat Hotel & Residences, un’imponente torre di vetro realizzata col prezioso cristallo da cui prendeva il nome. Il lussuoso hotel era motivo d’orgoglio per InuYasha, poiché buona parte dell’edificio era stata progettata da lui. C’erano voluti quasi due anni, ore di estenuante lavoro e numerose notti insonni, ma alla fine il progetto era stato consegnato e realizzato e ora si stagliava in tutta la sua brillante bellezza al centro di Manhattan.
Si era trasferito negli USA da quasi otto anni. Ne aveva fatta di strada da quando, appena laureato, decise di approdare nella Grande Mela in cerca di fortuna. All’inizio non fu facile per lui. Gli han’yō non erano ben visti né da umani né da demoni. Venivano considerati come esseri inferiori e senza intelletto. Troppo spesso si tendeva a dimenticare, o a non voler ricordare, che buona parte dei famosi luminari che avevano contribuito allo sviluppo di vari paesi, grazie alle loro scoperte ed invenzioni, erano proprio degli han’yō.
Aveva fatto parecchia gavetta prima di essere assunto dalla SOM, che aveva deciso di dargli una possibilità nonostante la sua natura. Possibilità che lui non si fece certo sfuggire, lavorando sodo e diventando, in breve tempo, uno degli architetti più conosciuti della grande metropoli.
Essere conosciuti, però, non gli bastava. Ciò che sognava maggiormente era realizzare un progetto tutto suo, di cui prendersi interamente il merito. Voleva mettersi in proprio e aprire una sua impresa, anche piccola all’inizio, voleva gettare le fondamenta per realizzare quel sogno che celava da anni, ovvero diventare qualcuno in quel mondo in cui un han’yō non contava nulla.  E magari perché no, assumere solamente mezzosangue, per dar loro quelle possibilità che nessuno voleva concedere a esseri come lui.
Il bussare alla sua porta lo distrasse dai suoi pensieri.
- Avanti. -
- Signor No Taisho, questi sono i documenti che mi aveva chiesto. – disse la sua segretaria, porgendogli una cartellina di documenti riguardanti un vecchio palazzo da ristrutturare e su cui aveva messo gli occhi già da un po’. Quello era il trampolino di lancio che aspettava.
- Grazie signora Woods. -
- Capo, perché non approfitta delle vacanze che le hanno dato come extra per tornare dalla sua famiglia? Non torna in Giappone da tre anni. - gli propose la donna, rammentandogli il regalo fattogli dall’azienda per l’ottimo lavoro svolto.
- Perché ho parecchio lavoro da fare nonostante il Baccarat Hotel sia terminato. Non ho tempo da perdere ascoltando le chiacchiere di mia sorella e mia madre. - ribatté il ragazzo, non staccando gli occhi dai documenti appena ricevuti.
- Ma è pur sempre la sua famiglia. - tentò ancora la segretaria, che ben conosceva l’affetto che lo legava alla famiglia. In quei duri anni di lavoro, buona parte dei soldi guadagnati li spediva a loro, perché vivessero nell’agio.
- Al momento ho altri progetti. Comunque grazie per l’interessamento. - rispose InuYasha, alzando finalmente il naso dai fogli tra le mani e sorridendo grato alla donna. Ma non poteva proprio allontanarsi in quel momento.
- Allora chiami almeno sua sorella. L’ha già cercata due volte questa settimana. -
- Di sicuro non era nulla d’importante, o mi avrebbe chiamato al cellulare. - replicò sicuro, guardando poi l’orologio al polso. A Tokyo dovevano essere le otto del mattino.  - Tuttavia potrei chiamarla adesso, dovrebbe essere già sveglia. Può andare signora Woods, ancora grazie per i documenti. - la congedò, iniziando già a comporre il numero.
Al terzo squillo…
- Inuuuu! Finalmente ti fai vivo. Razza di rincitrullito! - rispose allegra e pimpante la ragazza, segno che fosse fin troppo sveglia.
- Rin non gridare, ti sento benissimo! - sbuffò il ragazzo, allontanando la cornetta dal delicato orecchio.
- Sono due settimane che chiedo di te ma ti fai negare sempre! Che razza di fratello maggiore sei? -
- Ho avuto da fare, non mi sono fatto negare. Comunque, che volevi? -
- Sapere come stai, ovvio no? Fosse per te, non chiameresti mai. -
- Il lavoro mi tiene impegnato, lo sai. Come stai? Mamma e Sesshomaru? -
- Stiamo tutti bene. Lì da te? Dovrebbe essere sera. Quando diamine ci vai a casa? -
- Sono appena le 18:35 qui, ne ho ancora da lavorare. Come procede con il libro? – le chiese interessato. La sorella era diventata una scrittrice di gialli e anche se non era molto famosa, le vendite non mancavano, garantendole un buon guadagno. Aveva cominciato per gioco quando era una ragazzina, scribacchiando storielle da far leggere alle amiche e adesso lo faceva per mestiere.
- Benissimo! Sono a buon punto. Purtroppo in questo periodo ho davvero poco tempo per scrivere e spero di non ritardare la consegna, altrimenti chi lo sente l’editore! -
- E questa perdita di tempo ha per caso un nome? - chiese lui, con il solito tono geloso e possessivo da fratello maggiore.
- Sì, si chiama Kagome e prima che mi raccomandi di stare attenta, ti anticipo che mi piacciono gli uomini, ma se così non fosse, non mi metterei mai tra lei e il futuro marito, quindi tranquillo. - rise lei, ignara di aver appena lanciato una bomba contro il fratello.
- Che… che hai detto? Kagome… si sposa?  - balbettò il ragazzo, incredulo.
- Ma sì, te ne avevo parlato… o forse no? – si chiese la ragazza, rimuginandoci sopra, non del tutto convinta se lo avesse detto o no.
- Non mi hai detto un bel niente! Non sapevo neppure che Kagome fosse fidanzata! - si alterò, stupendo non poco la sorella.
- Mi sarà passato di mente. Perché te la prendi tanto, scusa? -
- Eh? No no, e chi se la prende! Solo che, essendo la tua migliore amica, pensavo me ne parlassi, tutto qui. Quando si sposa? - sviò il ragazzo, per nulla intenzionato a subire un terzo grado dalla sorella.
- Tra due mesi. Fra un’oretta andiamo a scegliere i vestiti per le damigelle. Io sarò una dei testimoni invece. T’immagini? Non mi aspettavo lo chiedesse a me! - esultò euforica, non prestando attenzione al cambiamento d’umore del fratello.
- Già, che bello. E questo ragazzo… che tipo è? - domando lui, iniziando a giocherellare nervosamente con la matita su uno dei fogli che ritraevano la struttura del vecchio edificio che voleva ristrutturare.
- L’essere più palloso dell’intero sistema solare! Cielo, che tipo noioso! Davvero non capisco come lei lo sopporti, soprattutto non amandolo. Proprio non me lo spiego. -
- Perché dici che non lo ama? - si fece più attento il giovane.
- Me l’ha confessato lei. – spiegò la sorella, con un velo di rammarico nella voce.
- E perché diavolo lo sposa allora? -
- E’ stato suo padre a organizzare tutto, sia il fidanzamento sia l’imminente matrimonio. Kagome non era d’accordo all’inizio ma ha dovuto cedere alle pressioni del padre. -
- Assurdo! Non è più una bambina, ha ventiquattro anni adesso. Può scegliere da sola chi sposare e frequentare! - si agitò nuovamente, alzando la voce.
In quegli anni, pensò, pareva non essere cambiato assolutamente nulla in quella famiglia.
- E’ quello che penso anch’io, ma suo padre gliel’ha chiesto come favore. E’ malato e non vuole lasciare la figlia da sola. Io non avrei accettato comunque. O sposo chi amo io o non mi sposo con nessuno. - proferì seria, ripensando anche alla sua situazione. Era innamorata di qualcuno che non avrebbe dovuto amare. Ma si sa, il cuore non conosce regole e costrizioni di alcun genere.
- Non è comunque una valida ragione per sposarsi! Se s’innamorerà di qualcuno, come farà se è sposata con un altro? E’ proprio una stupida! – disse adirato. Non riusciva proprio a credere che Kagome avesse accettato una cosa tanto seria come il matrimonio solamente per accontentare quello stronzo del padre. O almeno tale lo definiva lui.
- Sai che le ho detto la stessa cosa? Ma lei mi ha risposto in un modo che mi ha un po’ ferita. -
- Che ti ha detto? -
- Che è già stata innamorata di qualcuno, parecchi anni fa, ma lui non ne ha voluto sapere nulla perché era più grande di lei. Dice che non le importa con chi si sposa, perché l’unico uomo che ha amato l’ha perso. Siamo amiche da tantissimo, siamo cresciute insieme, però non mi ha mai parlato di quest’uomo. Ci sono rimasta davvero male. - ammise ferita la giovane, che credeva di condividere con l’amica anche il più stupido dei segreti.
- Un uomo… più grande di lei… - ripeté InuYasha, pensieroso.
- Già. E credo anche di sapere chi è, anche se lei non ha né ammesso né negato.-
- E chi è? - chiese il ragazzo, curioso di conoscere la risposta della sorella.
- Sicuramente sarà il professore di storia che avevamo al liceo. Lo notavo spesso lanciarle occhiate strane. La chiamava spesso nel suo ufficio e una volta li ho perfino sentiti litigare. Quando le chiedevo il perché, lei rispondeva che il professore la rimproverava per via del poco impegno che metteva nello studio. Ora invece, capisco di cosa “discutessero” quando lei andava nel suo ufficio. - spiegò Rin, rabbrividendo al pensiero della sua amica tra le braccia del loro ex professore, di circa trent’anni più vecchio di lei.
Anche il pensiero di InuYasha tornò a quel vecchiaccio. Come poteva dimenticare quel porco? Ricordava perfettamente il giorno in cui trovò Kagome in lacrime, nel giardino vicino casa sua. Quando le chiese il perché, lei gli raccontò che il suo professore di storia aveva provato a baciarla e che erano settimane che la perseguitava. Il primo pensiero del giovane fu di denunciarlo ma Kagome non voleva che la gente iniziasse a parlar male di lei, credendola responsabile, perché era così che si sentiva: colpevole di averlo involontariamente provocato. Pur non essendo d’accordo con quella stupida scelta decise di accettare comunque, ma a patto che potesse fare una “visita di cortesia” a quel maniaco, premurandosi di fargliela ricordare a vita. E così fu per il professore, che dopo una settimana di ricovero in prognosi riservata, diede le dimissioni dall’istituto.
- Hai sentito che ho detto? - lo richiamò la sorella, notandolo come assente.
- Eh? No scusa, mi ero distratto. Che hai detto? -
- Ho detto che quel depravato deve averne approfittato solo per portarsela a letto, o non mi spiego perché lasciarla. Di certo non ne era innamorato, al contrario di Kagome. Quella stupida! Come accidenti fa a esserne ancora innamorata dopo come l’ha trattata? -
- Tu non sai come sono andate le cose tra di loro. Non puoi giudicare, Rin. -
- Invece giudico, visto che invece che un matrimonio stia per celebrare il compleanno del gatto! Entusiasmo zero e non è così che dovrebbe essere! - sbuffò contrariata. La sua amica stava buttando via la vita e questo non lo sopportava.
- Non la costringe nessuno! - grugnì il fratello, infastidito dal poco carattere della ragazza in questione.
- Allora non conosci bene il signor Higurashi. E’ un ottimo manipolatore. L’ho visto rigirarsi la figlia come un calzino con la scusa della malattia. Comunque, a meno che questo fantomatico uomo di cui è innamorata non le faccia cambiare idea, il matrimonio si terrà, quindi devo andare a prepararmi. Tra un po’ viene a prendermi per andare a scegliere quei benedetti abiti da damigella. Ti saluto fratellino. E vedi di chiamarmi con Skype la prossima volta; preferisco guardarti quando parliamo. -
- Non uso il computer dell’ufficio per questioni personali. – le ricordò per la milionesima volta.
- Che bacchettone! Che cosa vuoi che sia! Non la pagano certo i tuoi capi la chiamata. Va beh, ti chiamo io la prossima volta, se rispondi. Ciao fratellino, bacini! - lo salutò, chiudendo subito la conversazione.
- Che sorella matta che ho. Non mi ha nemmeno fatto rispondere.  – si lamentó, scuotendo il capo rassegnato e posando il telefono.
 
Passarono tre giorni da quella conversazione con la sorella, ma l’animo del giovane era ancora fortemente turbato dalle notizie ricevute. Lei si sposava.
Si era trasferito per gettarsi tutto alle spalle, per rifarsi una nuova vita, eppure non c’era riuscito. Non aveva avuto nemmeno una fidanzata da quando stava lì, solo storielle passeggere e niente più; semplice ed appagante sesso insomma.
Il suo animo non poteva ospitare amore per nessun’altra. I ricordi lo colmavano fino ad esplodere.
Cercò di non pensarci, buttandosi sul lavoro e sul nuovo progetto, ma la concentrazione non voleva proprio saperne di arrivare, portandolo spesso a sbuffare contrariato da se stesso.
Si alzò dalla poltrona, dirigendosi verso le ampie vetrate dell’ufficio, guardando la neve che placidamente cadeva fitta, coprendo tutte le superfici di un candido manto bianco.
Era buio già da qualche ora, ma le luci abbaglianti di negozi e edifici rendevano la città sempre illuminata a giorno, un po’ come Tokyo, sempre viva e in movimento anche nelle ore notturne. Erano due città molto simili. Ma se Tokyo era un luogo sicuro anche in piena notte, lo stesso non si poteva dire di New York. Se in Giappone era ritenuto sconveniente anche solo camminare abbracciati, in America era una consuetudine. Nei paesi nipponici non si mangiava per strada, in quelli americani era quasi d’obbligo il cibo di strada. Chi perdeva le chiavi di casa a New York doveva cambiare subito la serratura, a Tokyo, invece, bastava attendere che qualcuno le trovasse e restituisse. Due culture diverse, due modi di pensare differenti. Uno il giorno e l’altro la notte. Eppure lui le amava entrambe.
Ciononostante, era più legato alla sua città natale, non perché vi fosse cresciuto, ma perché lì viveva il suo cuore. Lo aveva lasciato in quel luogo otto anni prima e, miracolosamente, ancora lo attendeva.
Nel suo animo iniziarono ad agitarsi sentimenti contrastanti, tenuti in silenzio per troppo tempo. Il primo a troneggiare sugli altri era: la Consapevolezza.
Anni a domandarsi come sarebbe andata se non fosse partito. Interminabili mesi a chiedersi se avesse preso la scelta più giusta. Ora, aveva la risposta: aveva fatto male; decisamente male ad andarsene!
Insieme alla consapevolezza dei suoi errori, però, vi era anche un altro sentimento a tormentarlo: la Paura, paura del rifiuto.
Guardò a lungo quella che era stata la sua seconda casa in quegli anni, pensando che, forse, sarebbe stata l’ultima volta che la vedeva.
Ritornò a sedersi, prendendo in mano i fogli del vecchio edificio. Lo osservò a lungo, girandolo e rigirandolo più volte tra le mani, prima di decidersi a farne tante striscioline nel suo distruggidocumenti. Era sì il suo ambizioso progetto, ma non il più importante.
Osservò infine il telefono del suo ufficio, alzando la cornetta e premendo uno dei pulsanti, non prima d’aver preso un respiro d’incoraggiamento. Non poteva più vivere così.
- Mi dica capo. – rispose la segretaria dall’ufficio adiacente al suo.
- Signora Woods, mi prenoti un posto sul primo volo diretto a Tokyo. Ritorno a casa! –
 
 







 
Ehm… cucù ^^’ salve Inuyashetti belli ^_^   *prova a fare la ruffiana*
Lo so che ho 4875970 storie da aggiornare ma… questa premeva per essere pubblicata ^^’ ci lavoravo già da un po’ ed è in dirittura d’arrivo, così ho deciso di iniziare a pubblicare il primo capitolo. Era nata come one shot ma allunga qui e aggiungi là, è finita col diventare una mini storia ^^’
Ed ora l’angolo delle spiegazioni.    
In questa storia non sentirete parlare della longevità dei demoni, semplicemente perché anche loro invecchieranno esattamente come gli umani. Mi girava così XD A tal proposito vi informo anche non ci saranno Miroku e Sango ^_^
Parliamo ora della SOM. La Skidmore, Owings and Merrill, esiste davvero. E’ uno studio di architettura nato nel 1936 e porta il nome dei tre proprietari che l’hanno fondata. All’inizio la SOM era specializzata nella costruzione di grattacieli di lusso, ma si è ingrandita negli anni aprendo succursali in tutto il mondo.
Il Baccarat Hotel & Residences è una delle loro opere ed è stato realizzato (come spiegato prima) con il pregiato cristallo di Baccarat (che prende il nome dalla località francese dove è nata la vetreria che lo produceva, attorno al 1764)
Se volete vedere l’hotel eccovi una bella panoramica direttamente dal sito della SOM ^_^ QUI
 
Bene, vi saluto e ci si rilegge al prossimo aggiornamento se vorrete ^_^
Baci Faby <3 <3 <3 <3
 
P.S:  Il titolo nasce dal ritornello di Without You scritta nel 1970 dai Badfinger, ma la canzone viene ricordata per la famosa cover di Mariah Carey del 1993 ^_^ che potete ascoltare con traduzione  QUI  

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Capitolo 2
*** Cap. 2 ***



Kagome Higurashi era sempre stata una ragazza dal carattere sensibile, dolce e affabile. Non si sarebbe mai definita una persona dal carattere forte, sebbene avesse superato molti dolori e difficoltà nella sua così breve vita.
Il suo cuore aveva sempre sofferto l’abbandono, più o meno voluto, da parte delle persone che amava. Sua madre era venuta a mancare quando lei aveva solo undici anni. Soffriva di profonde crisi depressive che la portavano a fare uso di psicofarmaci. E di questo era morta, intossicazione da barbiturici. "Un incidente", avevano detto i parenti ma Kagome aveva capito che non era andata davvero così. Era convinta che non si fosse trattato di un errore nel dosaggio ma che la madre avesse proprio deciso di suicidarsi. Il perché, però, non lo sapeva. Era troppo piccola per capire. Un po' l'aveva odiata per questo perché tante volte, soprattutto quella volta, avrebbe avuto bisogno del suo aiuto e dei suoi consigli. Invece si era ritrovata da sola.
Sperava di aver trovato amore e conforto nell’uomo di cui si era innamorata, ma sfortunatamente anche lui l’aveva abbandonata, uscendo dalla sua vita improvvisamente e lasciandola con mille problemi da risolvere.
E di problemi Kagome ne aveva affrontati davvero molti, riuscendo a superarli tutti con sforzo e sacrificio. Tuttavia, nessuno era stato tanto assurdo quanto quello che si trovava ad affrontare adesso e che le provocava terribili emicranie. Per questo, si diceva, non c'era nessun rimedio!
- E’ terribile! E’ terribile! - continuava a urlare il suo wedding planner Takuya, spaccandole i timpani.
Un uomo dall’aria fin troppo effeminata, il cui vestiario sfiorava il ridicolo con camicie dai colori sgargianti, quasi fosforescenti e dal dubbio gusto, abbinati a dei pantaloni altrettanto ambigui quanto orrendi.
- Non è una cosa tanto grave. Basterà noleggiare un’altra auto. - provò a calmarlo.
- Invece no! Avevo espressamente chiesto una Rolls Royce Silver Cloude 1 bianca del ’57 e loro mi presentano una Rolls Royce Silver Wraith  Mulliner del ’54. Non ci siamo proprio! -
- Scusi, ma cosa cambia? Sono Silver entrambe, no? - chiese stremata la giovane.
- Cambia che la prima è bianca con interni beige e l’altra è grigia e nera con interni grigio/perla! Non si abbinerà per nulla al suo abito! -
- Andrà benissimo lo stesso. L’importante è che funzioni. Non devo certo sposarmi la macchina. – ridacchiò la ragazza, venendo però investita da uno sguardo inceneritore dell’uomo, che non trovò per nulla divertente la battuta della futura sposa.
- Assolutamente no! Avevamo concordato per la Cloude bianca del ’57. Se proprio devono rifilarci un’altra versione, pretendo un forte sconto o disdico del tutto il noleggio e gli affari con la loro azienda! - continuava a cianciare lui.
Non le interessavano per nulla quei futili dettagli. La scelta di auto, fiori, location, fotografo, ricevimento e altri stupidi fronzoli, che dovevano agghindare un qualcosa di cui nemmeno le importava, le creava solamente un terribile mal di testa. Non vedeva l’ora di sposarsi, così da poter ritornare alla sua vita tranquilla, lontana da negozi, liste nuziali, abiti da cerimonia e… lui, l’organizzatore del matrimonio! Lo detestava! Era più forte di lei. Era una delle persone più esasperanti che conoscesse, sempre pronta a fare un dramma per ogni cosa. L’esatto opposto del suo promesso sposo.
Aveva conosciuto Akitoki Hojo due anni prima. I loro padri erano vecchi amici e proprio su richiesta insistente del padre, aveva iniziato a frequentare Aki. Doveva ammettere che non fosse il massimo del divertimento, però non era male come fidanzato. Sempre dolce e premuroso, attento alle sue esigenze e alla sua salute. Era un bravo ragazzo in fin dei conti, ed era sicura che insieme a lui non avrebbe sofferto.
Non lo avrebbe mai amato, di questo era certa, però provava un grande affetto per lui, tanto da accettare anche di sposarlo, nonostante all’inizio non fosse esattamente d’accordo. Da sola o in compagnia, pensò, non faceva differenza per lei, perché non avrebbe mai amato più nessuno, quindi accontentare il padre e farlo morire sereno non le pesava più di tanto. Anzi, magari si sarebbe trovata davvero bene con Aki e avrebbe anche formato quella famiglia che tanto desiderava.
- E quindi direi di risolvere così il tutto. Che ne dice? - blaterava ancora il wedding planner, che lei aveva smesso d’ascoltare da una buona mezz’ora.
- Sì sì, per me va bene. Lascio tutto nelle sue mani quindi, mi raccomando. Buon lavoro! - lo salutò sbrigativa, liberandosi finalmente da quella tortura.
- Che palleeee! Ma quanto diamine parla quella bocca? – sbottò stremata, appena fuori dall’ufficio dell’uomo.
Quando l’aveva mandata a chiamare per una “questione di vitale importanza”, credeva ci fossero problemi con la data del matrimonio, con la Chiesa sconsacrata in cui si sarebbe tenuto il rito, come da moderna tradizione giapponese, o che fosse esplosa una bomba chissà dove. Era stato così serio e disperato al telefono, che immaginava chissà quale dramma, invece… era la macchina! Il problema era solamente il colore di una stupidissima macchina d’epoca che non sapeva nemmeno come fosse fatta.
A passo spedito, si diresse verso la casa della sua migliore amica Rin. Aveva bisogno di una bella chiacchierata davanti una tazza del suo thè caldo preferito alla fragola. Appena arrivata, però, notò qualcosa di diverso dal solito; un taxi era fermo davanti alla villa della sua amica e il tassista portava dentro delle valigie. Quando ne vide il proprietario, le si mozzò il fiato in gola.
- InuYasha... - sussurrò impercettibilmente, ma lui, col suo finissimo udito, si voltò nella sua direzione, puntando i suoi profondi occhi ambrati in quelli nocciola della ragazza, che lo osservava ancora incredula.
Non si vedevano da otto lunghi anni e InuYasha non poté non ammettere che la ragazzina minuta, dai lunghissimi capelli neri, sempre legati in una treccia laterale, si era trasformata in una donna bellissima, dal fisico decisamente più florido, il viso più maturo e finemente truccato. I capelli erano molto più corti, arrivavano appena alle spalle e le donavano un aspetto più sbarazzino. Ne aveva anche cambiato il colore in un castano più chiaro. Era davvero bellissima.
Kagome si sentì osservata fin dentro l’anima da quegli occhi che la squadravano pezzo dopo pezzo. Abbassò lo sguardo, incapace di articolare anche un semplice “ciao”. Era stata colta alla sprovvista. Rin non le aveva detto che suo fratello sarebbe ritornato a far visita alla sua famiglia, o come ogni volta che accadeva, si sarebbe rintanata in casa, con la scusa di aver preso l’influenza.
In effetti, pensò, erano parecchi anni che InuYasha non si faceva vedere. Credeva si fosse sistemato con una newyorkese e magari aveva anche una bella famiglia, per questo non tornava da un po’. A Rin non osava chiedere e cercava di cambiare argomento se l’amica ne parlava.
Un fulmine la colpì in pieno petto a quel pensiero.
E se fosse arrivato con la sua dolce metà? Gliel’avrebbe presentata? Avrebbe dovuto assistere alla loro riunione di famiglia? No, pensò, questo era troppo. Non poteva e non voleva assistere a tutto ciò, non lei, non con lui e soprattutto… non con dei bambini di mezzo! Doveva andarsene da lì subito.
- Kagome… ciao. - si avvicinò, cogliendola di sorpresa. Non si era minimamente accorta della sua vicinanza, immersa nei suoi pensieri.
- Ci… ciao InuYasha. Non sapevo fossi tornato. - disse la ragazza, provando a essere più naturale possibile.
- L’ho deciso all’ultimo momento. Come… come stai? - le chiese, con un tono che lui stesso si accorse essere malfermo. Anche per lui era stata una sorpresa trovarsela davanti così, all’improvviso.
- Benissimo! Tu? - rispose con troppa enfasi, cercando di ingoiare la vera risposta che avrebbe voluto urlargli contro.
- Potrebbe andar meglio. Vuoi entrare? Rin è al telefono. - le spiegò, facendole cenno di entrare.
- No, ti ringrazio. Ritornerò in un altro momento. Vi lascio tranquilli. Salutami Rin. - replicò sbrigativa, dandogli le spalle per andarsene, ma una mano la fermò, impedendole la fuga.
- Aspetta... per favore. - la pregò, facendola voltare.
- Che… che c’è? - chiese tesa, sottraendosi subito al tocco infuocato dell’uomo di fronte a sé.
Anche se erano passati otto anni, il suo tocco le dava ancora strane sensazioni.
- Devo parlarti. Se non ti avessi incontrato adesso, sarei venuto a cercarti a casa tua. Possiamo vederci più tardi? -
- Parlarmi di cosa? -
- Di noi. - rispose, teso quanto lei.
- Non esiste nessun Noi, InuYasha. Non è mai esistito! - precisò infastidita.
- Invece è esistito e lo sai meglio di me. Dobbiamo parlare! – insistette il ragazzo.
- Non ho nulla di cui discutere con te. Ciò che è esistito in passato è morto e sepolto ormai. - in tutti i sensi del termine, avrebbe voluto aggiungere, visto che qualcosa per lei era morto davvero.
- So che ce l’hai con me, ma dobbiamo parlare di come sono andate davvero le cose. Lo so che mi ami ancora, non puoi negarlo. Quindi ascoltami, ti prego. - chiese accorato, andando subito al punto. Non serviva aggirare le cose e perdere prezioso tempo in chiacchiere.
- Io ti amerei ancora? Ma sei impazzito? Ci rivediamo dopo otto anni di assoluto silenzio e pretendi di conoscere i miei sentimenti per te? Invece che architetto sei diventato un indovino a New York? - ribatté furente.
- Non faccio l’indovino. Ricordo solo le tue parole. Quando ti ho lasciato, hai detto che mi avresti amato per sempre e non ti ho mai ritenuto una bugiarda. -
- Le cose cambiano, InuYasha. -
- Per me non è cambiato nulla. E sono sicuro che nemmeno per te lo sia! - insistette deciso.
- Insomma, mi dici che accidenti vuoi dopo otto anni? O vuoi farmi credere di essere ancora pazzamente innamorato di me? Se è così, ti avverto già da ora che non ci credo! Anzi, sai che ti dico? Non m’interessa cos’hai da dirmi, quindi ti saluto! Ho da organizzare il mio matrimonio con qualcuno che non scapperà a New York dopo avermi scopata. Addio! - urlò furiosa, allontanandosi velocemente e lasciandolo lì, imbambolato sul marciapiede, mentre la guardava andare via.
Aveva detto che stava per sposarsi con qualcuno che non l’avrebbe lasciata dopo aver approfittato di lei. Era questo che credeva fosse accaduto? O era questo che le aveva inculcato il padre? Qualunque idea si fosse creata Kagome, doveva essere smontata. Doveva parlarle, ora più che mai, prima che buttasse la sua felicità sposando qualcuno che non amava; perché lo sentiva, anche senza conferma della sorella: Kagome lo amava ancora. Lo dimostravano le sue parole piene di rabbia e le sue lacrime. Ne aveva sentito l’odore, anche se si era allontanata correndo.
- Mi spieghi che accidenti è appena successo? - chiese Rin, apparendo alle sue spalle con un’espressione scura in volto. Doveva aver sentito tutto.
- Vieni, ne parliamo dentro. - rispose stanco, rientrando in casa.
 
- Eri tu, non è così? L’uomo più grande di cui si era innamorata eri tu InuYasha? –
- Sì Rin. Ero io. - confermò il ragazzo, sedendosi sul divano e osservando il nulla di fronte a sé, mentre i suoi pensieri ritornavano ai giorni in cui tutto era finito.
- Prima che ti strozzi, spiegami perché l’hai lasciata! Perché le sue parole erano chiare “l’hai lasciata dopo averla scopata”. Che significa? - chiese con astio. Amava il fratello ma voleva bene anche alla sua amica tanto quanto a una sorella. E sapere che la fonte del suo dolore altri non era che il fratello, la ferì molto.
- Le cose non sono certo andate così. Questo è quello che ha creduto lei in questi anni. Se l’ho lasciata, è stato solo per il suo bene. – sospirò il giovane, passandosi stancamente una mano a massaggiarsi il viso.
- Non mi sembra tu le abbia fatto del bene! Cos’è successo? - domandò arrabbiata. Possibile che fosse così stupida da non aver mai capito nulla? Come le era potuta sfuggire una cosa tanto importante? Era furiosa, ma non con l’amica o il fratello, lo era con se stessa, per essere stata così cieca.
- Otto anni fa, più precisamente nel periodo in cui notavi il vostro professore di storia avere atteggiamenti strani verso Kagome, mi sono innamorato di lei. Non la credevo una cosa possibile; lei aveva appena sedici anni ed io quasi ventiquattro. Ma non era solo la differenza d’età a rendere la cosa più assurda. La consideravo come una seconda sorella. L’avevo tutti i giorni tra i piedi da che ne avevo memoria. Eravate sempre insieme a giocare, fin da piccole. -
- Ma lei non è tua sorella. L’hai solamente vista crescere. Non puoi paragonarci! - precisò Rin, sostituendosi inconsciamente con Kagome, nella storia raccontata dal fratello.
Ogni volta che si parlava di legami fraterni, non poteva fare a meno di pensare alla sua situazione con Sesshomaru. Amava un uomo che non poteva amare, eppure non vi erano legami tra di loro, né sanguigni né anagrafici. Erano figli di genitori diversi e portavano cognomi diversi.  L’unico legame che li legava era InuYasha, fratello di entrambi, però, erano da tutti visti come fratello e sorella.
Il padre di Sesshomaru, Tetsuo, restò vedovo troppo presto e con un bambino piccolo da crescere. Qualche anno dopo incontrò Izayoi, la loro madre, con la quale si sposò e formò una nuova famiglia. Poco dopo la nascita di InuYasha, però, anche Tetsuo morì, lasciando Izayoi con due bambini da crescere. Sette anni più tardi nacque Rin da una relazione finita male. Lei non aveva grandi ricordi del padre, il quale abbandonò Izayoi senza farsi mai più vedere.
Per uno scherzo del destino, la donna si trovò a crescere così un figlio demone, un mezzodemone e lei che era umana. La loro famiglia non era vista di buon occhio dal vicinato per quella mescolanza di razza e anche a scuola non era diverso. Solo Kagome e la sua defunta madre non avevano pregiudizi, frequentando casa Taisho tranquillamente, nonostante le reticenze del signor Higurashi. In tutto questo, Sesshomaru, più grande di lei di ben undici anni, aveva deciso di intraprendere gli studi di medicina a Londra, ritornando solo quando lei era ormai una diciassettenne. I due non erano neppure cresciuti insieme. Si vedevano per pochissimi giorni l’anno quando lui tornava per le vacanze natalizie. Erano quasi due estranei, almeno fino al giorno in cui lui ritornò a casa, poco prima della partenza di InuYasha.
Sesshomaru era stato il suo primo uomo, e tuttora lo era. Stavano insieme da circa sette anni e in tutto quel tempo non erano ancora riusciti a rivelare alla madre e al fratello la loro relazione. Ci avevano provato, ma non c’erano mai riusciti. Solo Kagome conosceva la verità.
A quel pensiero, iniziò a chiedersi se il motivo per cui non si fosse mai accorta del dolore dell’amica, fosse dovuto alla felicità che invece riempiva lei, impegnata com’era a godersi quel sentimento appena sbocciato. Con molta probabilità, Kagome non le aveva mai parlato di quell’amore non corrisposto perché il protagonista delle sue sofferenze era InuYasha. Cominciò a sentirsi in colpa per non aver mai veramente compreso la sua amica, che per anni aveva sofferto in silenzio pur di non ferire lei.
- Non è mia sorella, è vero, però era strano ugualmente. L’ho vista crescere, ho osservato il suo corpo di bambina cambiare, il carattere formarsi. Non so esattamente com'è successo, però, iniziavo a pensare a lei in modo diverso. Credo che sia iniziato tutto il giorno in cui l'ho trovata in lacrime per colpa delle avance di quel porco del vostro professore. Era così indifesa e spaventata che avrei voluto tenerla stretta a me per tutta la vita. Però aveva sedici anni, era ancora una ragazzina. Avrei dovuto tenere a freno gli istinti, invece ho commesso non uno ma due grandi errori: il primo è stato innamorarmi, il secondo… -
- Fare l’amore con lei. - terminò Rin per lui, che iniziava a comprendere i tormenti del fratello. Lui aveva ventiquattro anni e lei sedici. Un adulto con una minorenne, questo sarebbero stati di fronte al mondo.
- Già. Avevamo iniziato una relazione pericolosa, lo sapevamo entrambi, ma cercavamo di non farci scoprire. Però siamo stati insieme pochissimi mesi perché, non so come, suo padre scoprì tutto. - si fermò, chiudendo gli occhi e stringendo i pugni al pensiero di quel giorno.
- Che ha fatto? - incalzò Rin, notando il silenzio del fratello.
- Non vedeva di buon occhio un misero mezzodemone con la sua bambina, così minacciò di denunciarmi per aver violentato Kagome. Ma non è stato questo a farmi andare via… -
- E cosa? -
- Se avessi provato ad oppormi, avrebbe fatto rinchiudere la figlia in una clinica psichiatrica, con la scusa di una profonda depressione causata all’abuso subito da me. - rivelò il giovane, togliendosi un gran peso dal cuore.
Gli era costato molto tenersi tutto dentro. Amava Kagome e l’ultima cosa che avrebbe voluto era lasciarla, ma per il suo bene fu costretto a farlo, pur sapendo che lei lo avrebbe odiato.
Il sol pensiero lo aveva devastato ma non aveva altra scelta.
- Incredibile! E’ davvero arrivato a tanto? - chiese incredula Rin, che non aveva mai apprezzato le manipolazioni di quell’uomo sull’amica. Adesso lo detestava profondamente. Il signor Higurashi non aveva mai visto di buon occhio i demoni. Aveva concesso alla figlia di frequentare lei come amica perché era umana.
- Purtroppo sì. Fosse stato per me, staremmo ancora insieme, ma ho preferito farmi da parte, nella speranza che riuscisse a dimenticarmi e a rifarsi una vita. -
- Invece ti ama ancora. -
- Lei sostiene di no. L'hai sentita. - sospirò sconfortato.
- Sono sicura l’abbia detto per non darti soddisfazione. Lo avrei fatto anch’io al posto suo. -
- Lo so, ma devo trovare un modo per parlarle. Deve sapere che non l’ho lasciata perché volevo farlo! - disse il ragazzo, prendendosi disperato la testa tra le mani.
- E’ per questo che sei tornato così improvvisamente? Per quello che ci siamo detti cinque giorni fa al telefono? - chiese la giovane, dando finalmente un senso all’interrogatorio del fratello sulla sua amica.
- Già. Io la amo ancora, non ho mai smesso di farlo. Sapere che anche lei mi ama, mi ha spinto a tornare. Ormai è maggiorenne e può decidere della sua vita. Suo padre non è più un problema. -
- Ricordati che è malato, almeno così dice, perché a guardarlo sembra stare meglio di me. Se anche Kagome accettasse di ritornare con te, suo padre farà leva sul matrimonio per via della sua malattia. - sostenne Rin, disgustata da quell’uomo.
- Se lo scopo di quel matrimonio è sapere la figlia al sicuro anche dopo la sua morte, non dovrebbe avere problemi ad accettare me come genero e non quel tipo lì. Domani andrò a parlarle di fronte al padre, voglio proprio vedere se negherà le mie accuse. - dichiarò risoluto, alzandosi e dirigendosi con le valigie verso la sua stanza.
- Secondo me negherà fino all’ultimo. E poi non dimenticare che odia i demoni. – gli ricordò la sorella, seguendolo nella sua camera.
- Vedremo. Spero solo che lei voglia ascoltarmi e darmi un’altra possibilità. -
- Certo che immaginarvi insieme è una cosa strana, ma spero che lei accetti, così sarà davvero come mia sorella! - dichiarò allegra, immaginando già che il matrimonio cui avrebbe fatto da testimone a Kagome, fosse quello col fratello e non con Hojo, divertente tanto quanto piantarsi uno spillo sotto un’unghia.
- Frena la fantasia, sorellina. Se ti conosco, e ti conosco bene, stai già pensando a che abito comprare per il mio matrimonio. - la riprese divertito.
- Antipatico! - replicò lei, facendogli una linguaccia. Era stata colta sul fatto.
- Mamma dov’è? - chiese l'han’yō con più calma, notando l’assenza della donna.
- A fare la spesa. Dovrebbe essere qui tra un po’. Le verrà un infarto quando ti vedrà. -
- Allora dobbiamo chiamare Sesshomaru e giocare d’anticipo. - ribatté lui divertito.
- Sesshomaru è uno psichiatra. Dubito saprebbe cosa fare in caso d’infarto. -
- Meglio che nulla. - scherzò, iniziando a ridere e contagiando la sorella.
Gli era mancata la sua casa. Si trovava bene a New York, ma come dice la piccola Dorothy in Il mago di Oz: “Nessun posto è bello come casa mia!”
 
Quella stessa frase di Dorothy non si addiceva alla povera Kagome, che appena rientrata in casa fu accolta dal padre alquanto furioso. Il suo fidanzato, invece, sembrava quasi assente.
- Si può sapere cos’è successo oggi con Takuya? Mi ha chiamato dicendo che te n’eri andata senza finire di ascoltarlo. - la rimproverò l'uomo.
- L’ho ascoltato invece. Ha detto che al posto di una stupidissima macchina ne avevano dato un’altra e che per questo “terribile ed imperdonabile affronto” avrebbe richiesto uno sconto. Gli ho detto che per me andava bene. Che altro avrei dovuto aggiungere? - chiese risentita. Aveva ventiquattro anni adesso, non più sedici. Detestava il modo in cui la trattava suo padre ogni volta, considerandola ancora una bambina.
- Se fossi stata quantomeno educata e avessi finito di ascoltare ciò che Takuya diceva, avresti sentito che c’era da scegliere il tessuto per le tovaglie. -
- Ma cosa m’importa del tessuto? Sempre tovaglie restano! - replicò nervosa.
- Non alzare la voce con me, signorina! Chiama Takuya e digli di che tessuto devono essere quelle dannate tovaglie! – ordinò perentorio, sotto lo sguardo del suo fidanzato che nemmeno fiatava. Non le sarebbe certo spiaciuto se avesse preso le sue parti.
- Va bene, va bene! Che sarà mai uno stupido tessuto! – si lamentò, dirigendosi in camera sua per chiamare il wedding planner, accordandosi per dei tessuti in fiandra.
Non vedeva l’ora che tutta quella storia finisse. Era stanca di tutto e tutti. E come ciliegina sulla torta, mancava il ritorno di InuYasha per rovinarle quell’apparente tranquillità che aveva ottenuto con fatica.
Dopo averlo incontrato, aveva addirittura spento il cellulare, perché temeva che Rin gli desse il suo numero per chiamarla. Non voleva né vederlo né sentirlo.
Le era costata fatica dimenticare il dolore provato otto anni prima. Dolore e sensi di colpa, legati insieme a doppio filo, che ancora faticavano a sparire. Ancora oggi, se ci ripensava, non si dava pace. Se solo fosse stata più coraggiosa e non avesse dato retta al padre... E adesso era lì, a stringere tra le mani l’unica cosa rimasta di quell’amore smisurato.
No, la colpa non era di suo padre. Lui, in fondo, voleva solo aiutarla, per garantirle una vita normale, come tutte le altre adolescenti della sua età. La colpa era di InuYasha, solo sua, che se n’era andato via, rinfacciandole di essere ancora una bambinetta rispetto a lui, accusandola d’immaturità quando lo implorò di non lasciarla, gettandosi quasi ai suoi piedi. Sì, era tutta colpa sua e di nessun altro; di questo si era convinta.
Ripose l’oggetto dentro il portagioie, non prima d’averlo nuovamente sfiorato con le labbra umide di pianto, come faceva ogni volta che lo tirava fuori. Si asciugò gli occhi e scese al piano inferiore, salutando il padre e uscendo con il fidanzato.
La vita andava comunque avanti.
 
 
 
 


 
 
Ed eccovi il secondo capitolo che spero dato risposta a molte delle vostre domande ^_^
Separati dal padre di Kagome, ma perché?
E cosa sarà custodito nel suo portagioie? Un anello? Un ciondolo? Un regalo di InuYasha? Chissà ^_^
Rin e Sesshomaru… non so perché ho avuto voglia di metterli un po’ più in primo piano stavolta, cosa che non faccio mai.
Stranamente non ho trovato nessuno spazio per Miroku e Sango, per questo non ci sono.
La storia si è scritta così ^^ eh già, non l’ho scritta io, si è praticamente scritta da sola, io l’ho solo modificata e migliorata più che ho potuto. Ammetto che per questa ragione mi sono trovata in difficoltà perché ho buttato giù le prime 15 pagine in poche ore, senza quasi vedere cosa scrivevo, ma non mi piacevano, non mi dicevano nulla, non le sentivo mie. Forse non capirete cosa sto dicendo (nemmeno io mi capisco in effetti XD) ma mi sono sentita come se non l’avessi scritta io, come se fosse stata una cosa “meccanica”…strana sensazione giuro XD avrei voluto dargli fuoco :D
Poi seguendo i consigli delle mie amiche autrici l’ho messa da parte, in attesa di capire cosa esattamente non mi convincesse e quando l’ho capito l’ho ripresa ^_^ spero che possa piacervi ^_^
Ci leggiamo al prossimo capitolo se vorrete ^_^
Baci baci Faby <3 <3 <3 <3

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Capitolo 3
*** Cap 3 ***


 
In casa No Taisho si festeggiava il ritorno del secondogenito. Izayoi era al settimo cielo nel rivedere il figlio. Una cosa però la turbava: la storia che lui le aveva appena raccontato. Era incredula nell’appurare che il reale motivo per cui suo figlio si era allontanato, non era far carriera, ma a causa delle minacce del padre di Kagome. Il sangue le ribolliva in corpo. Le era stato “strappato” il figlio solo per cattiveria, perché di questo si trattava per lei, pura e semplice cattiveria; solo questo spinge un genitore a separare il proprio figlio dalla persona amata.
Aveva sempre avuto il dubbio che alla piccola Kagome piacesse suo figlio, ma non credeva fosse ricambiata. Quando frequentava casa sua, la vedeva sempre con occhi trasognanti ad osservare InuYasha, ma non pensava che in realtà i due avessero una relazione. Come genitore capiva benissimo le paure del signor Higurashi nel sapere la figlia minorenne con qualcuno più grande, ma quel qualcuno non era uno sconosciuto, era un ragazzo con la testa sulle spalle, non un approfittatore. Se frequentava Kagome, lo faceva perché la amava. E nessuno, meglio di lei, comprendeva cosa si provasse nel sapere la figlia con qualcuno che lei reputava "sbagliato".
Mentre cucinava i piatti preferiti dal figlio, non si dava pace nell’immaginare il dolore che aveva diviso quei due poveri ragazzi. Ad ogni verdura che affettava, immaginava di avere tra le mani la testa di quel maledetto e, di conseguenza, ogni taglio sul malcapitato ortaggio, riecheggiava furioso tra le pareti della cucina, scalfendo irrimediabilmente il tagliere sottostante.
Sbuffava, cercando di trattenersi dall’andare a cantargliene quattro a quell’uomo. Per colpa sua, non solo il suo bambino soffriva lontano dalla donna amata, ma anche lei soffriva, perché lontana dal figlio. Ogni madre vuole i figli sempre vicini a sé, anche da adulti. Cercava di non pensare alla lontananza, dicendosi che suo figlio stava bene a New York, perché voleva starci lui, per la carriera, invece non era così. Se quell’egoista sconsiderato non li avesse divisi, magari si sarebbero sposati e suo figlio non si sarebbe trasferito all’estero, dandole tanti pensieri.
- Mamma, ce l’hai con quel povero porro o con il tagliere? – le chiese Sesshomaru, intuendo il nervosismo della madre.
- Né con l’uno né con l’altro! L’unico che vorrei affettare è quel bastardo di Higurashi! – dichiarò furiosa, decapitando anche un peperone.
- Non immaginavo che quei due si frequentassero, non l’hanno mai dato a vedere. – rifletté il ragazzo, anche se per lui era più difficile notarlo tornando a casa un paio di volte all’anno, per via dei suoi studi a Londra.
- Su questo sono stati più bravi di te e Rin. – replicò la donna, osservando seria il figlio.
- Che intendi dire? – chiese lui, colto alla sprovvista.
- Sai a cosa mi riferisco Sesshomaru. Non sono così cieca.  –
- Da quanto lo sai? – capitolò il giovane, che in realtà non avrebbe mai voluto nascondere la relazione con la sorella acquisita. Era Rin a volerla nascondere, per paura che la madre e InuYasha non approvassero.
- Da un bel po’, ma ho sempre sperato che foste voi due a parlarmene. – ammise Izayoi, dispiaciuta dal silenzio dei figli.
- Perché non ne sembri arrabbiata o scandalizzata? –
- All’inizio lo ero. – iniziò la donna, lavando le mani e sedendosi insieme al figlio, per parlare.  - Il mio primo pensiero fu di spedire Rin a studiare lontano da qui, per separarvi, ma non sarebbe stato giusto farlo. Rin non è tua sorella, non avete alcun legame, sono solamente io a vedervi come fratelli, perché anche se non sei davvero mio figlio Sesshomaru, ti ho cresciuto come se lo fossi. Non vedo differenze tra te, InuYasha e Rin, per questo quando ho capito che stavate insieme, fui tentata di separarvi. – confessò la donna, ricordando i mille pensieri che le attraversarono la mente in quel terribile periodo.
- Perché non l'hai fatto? –
- Chi ero io, per dividere due innamorati? Vedevo giorno dopo giorno quanto vi amavate. Ogni piccolo gesto nascondeva un significato per voi. Se vi avessi separato, l’unica cosa che avrei ottenuto sarebbe stata quella di perdere entrambi, cosa che non voglio assolutamente. Così ho taciuto, nella speranza che foste voi a confessarvi. E devo dirti che ora come ora, visto quello che è accaduto a tuo fratello, non sono mai stata più sicura della decisione che ho preso. – ammise sollevata.
Non era stato facile accettare che i suoi figli stessero insieme, ma capiva perfettamente che non poteva opporsi al loro amore; non erano fratelli, non erano nemmeno lontanamente parenti e non erano neppure cresciuti insieme. C’erano tanti fattori che Izayoi non poteva ignorare, quindi, col tempo, iniziò a farsene una ragione. Se i suoi figli erano felici, lei non si sarebbe opposta.
- Non ho conosciuto mia madre, essendo morta quando ero piccolo, ma posso dire che non poteva capitarmi madre migliore di te, Izayoi. Grazie mamma! – dichiarò grato il ragazzo, abbracciando la madre. Capiva, dalle sue parole, che doveva esserle costata molto quella scelta, ma per amore di entrambi aveva accettato, anche se in silenzio. Solo Rin era sua figlia, ed era anche molto più piccola di lui. Nonostante tutto, però, Izayoi non aveva cercato di proteggere solo lei, facendo disparità tra i due, allontanandolo. Aveva pensato ad entrambi.
- Non farmi arrossire ora! Piuttosto, renditi utile e vai a prendere lo zenzero dalla dispensa, su. – scherzò la donna, per non far vedere al figlio le lacrime che iniziavano a premere per uscire.
- Non serve mandarmi via, lo sento anche da lontano l’odore delle lacrime, o dimentichi che sono un demone? – la canzonò Sesshomaru, che ormai la conosceva bene.
- Insolente! – disse ridendo, asciugandosi l’angolo dell’occhio destro con un dito.
- Che state combinando voi due? – intervenne Rin, raggiungendoli in cucina.
- Nulla tesoro, non preoccuparti. Dov’è tuo fratello? –
- Sta facendo una doccia. Ti serviva qualcosa? –
- Non da lui. Sono davvero tentata di andare a casa Higurashi e prendere a schiaffi quell’uomo! – esclamò la donna.
- Non immischiarti mamma. InuYasha non è un bambino, saprà cavarsela. Oltretutto la cosa riguarda lui e Kagome adesso, non più quel vecchio. Devono vedersela loro due. – sostenne Sesshomaru.
- E’ vero, però povero il mio bambino. Chissà quanto deve aver sofferto. – sospirò Izayoi, rimettendosi ai fornelli.     
- Chissà se Kagome vorrà perdonarlo. Si sarà sentita abbandonata, non voluta, o almeno è così che mi aveva raccontato tempo fa. E pensare che ho maledetto il tipo che l’aveva lasciata, pensando fosse uno stronzo. – rivelò dispiaciuta la giovane, non immaginando minimamente che si trattasse del fratello.
- Se è intelligente lo perdonerà, altrimenti andasse al diavolo anche lei! –
- Sesshomaru! Non parlare così. – lo riprese Izayoi.
- Non è colpa di InuYasha se sono stati divisi, mamma. Se lei non lo perdonerà per qualcosa che non ha neppure fatto, allora è un’idiota, tale e quale a suo padre. –
- Speriamo invece che le cose tra loro due si sistemino. Vorrei tanto che InuYasha tornasse a Tokyo, così da potervi avere tutti vicini a me. – sospirò nuovamente la donna, che mal sopportava la lontananza dei figli.
La cena si svolse, nonostante tutto, in tranquillità e allegria. InuYasha era felice di essere ritornato a casa sua. In quelle ore che vi aveva fatto ritorno, continuava a pensare che gli era davvero mancata l’aria di famiglia. A New York viveva da solo in un freddo e grigio appartamento. L’unica compagnia che aveva, era quella dei pesci del suo piccolo acquario, che aveva affidato al vicino durante la sua assenza. Si era preso un mese di ferie. Sperava fosse un tempo sufficiente a convincere Kagome a tornare con lui. Se avesse accettato, avrebbe preso in considerazione l’idea di ritornare definitivamente in Giappone, a meno che la ragazza non avesse voluto trasferirsi a New York con lui. In caso contrario, sarebbe tornato da solo in America, proseguendo la sua vita come aveva fatto in quegli otto anni. Quella prospettiva, però, iniziava già ad andargli stretta. Era soddisfatto sul campo professionale ma distrutto in quello sentimentale. Sperò vivamente che Kagome lo perdonasse, comprendendo i reali motivi che lo avevano allontanato.
 
Come aveva deciso, il pomeriggio successivo si presentò a casa della ragazza, che dopo aver aperto la porta al suono del campanello, era ancora ferma a guardarlo sorpresa.
- Che ci fai qui? –
- Te lo avevo detto che volevo parlarti. –
- Ed io ti avevo risposto che non abbiamo nulla da dirci, quindi vai via! – rispose risoluta, tentando di chiudere la porta, ma il giovane fu più svelto, bloccando la porta col piede.
- Aspetta! Fammi spiegare almeno! –
- Non m’interessa! Togli il piede e vattene! –
- Ho detto che devo parlarti e non me ne andrò finché non l’avrò fatto! Anzi, voglio parlare anche con tuo padre visto che è stato lui a mandarmi via otto anni fa! – insistette determinato, spingendo la ragazza di lato per entrare in casa, anche contro la sua volontà. Se doveva ricorrere alla sua forza di demone, lo avrebbe fatto stavolta. Niente e nessuno gli avrebbe impedito di raccontare la sua verità.
Nel frattempo Kagome cercava di riformulare nei suoi pensieri le parole appena pronunciate dal ragazzo. Che c’entrava suo padre?
- Aspetta… cos’è che hai detto? – chiese confusa, seguendolo fino al salone, dove lui si era diretto.
- Dov’è tuo padre? – chiese nuovamente lui, annusando l’aria in cerca dell’uomo.
- E’ fuori in giardino. Mi spieghi che vuoi? –
- Chiarire una volta per tutte il motivo per cui ti ho lasciato. Non è stata una mia scelta Kagome. Devi credermi. –
- Vuoi farmi credere che sia stato mio padre a mandarti via? Andiamo InuYasha, mi ritieni così stupida da crederti? – replicò contrariata. In quegli anni tanto difficili, c’era stato solamente suo padre con lei. Non che fosse stato il padre migliore del mondo, ma lui c’era, al contrario di chi l’aveva abbandonata con una tale responsabilità addosso. Per InuYasha provava rabbia, solamente una gran rabbia!
- Devi credermi! Ti amavo più di me stesso e non avrei mai voluto farti soffrire. Sono stato costretto ad andarmene per il tuo bene! – provò a spiegarle il giovane, pur sapendo che non sarebbe stato facile convincerla.
- Peccato che abbia sofferto in un modo che nemmeno puoi immaginare! E non solo perché mi hai lasciato. Mi hai rovinato l’esistenza InuYasha! Innamorarmi di te è stato l’errore più grande che potessi fare. Ho vissuto mesi d’inferno dopo la tua partenza! Quindi non dire che lo hai fatto per non farmi soffrire, perché non ti credo! – sbottò, con parole cariche d’ira e sofferenza.
- Anch’io ho sofferto. Non eri la sola. Non immagini quanto mi sia costato lasciarti! -
- A te non è costato un bel niente! Sono io quella che ha dovuto pagare l’amore che avevo per te, e l’ho pagato a caro prezzo! Ero ancora una ragazzina e mi sono ritrovata a prendere da sola delle decisioni difficili. Tutto questo perché ti sei divertito con me e quando ti sei tolto il capriccio te ne sei andato con la scusa che ero praticamente una poppante per te! Per il sesso non ero per nulla piccola, non è così? Sei come tutti gli uomini! Pensavo fossi diverso, ma evidentemente siete fatti tutti della stessa pasta! Approfittatori, bugiardi e traditori! – urlò furiosa, restando quasi senza fiato per l’impeto impresso in quelle parole che le pesavano dentro come macigni.
Quando il ragazzo che amava l’aveva liquidata con un: “Sei carina ma troppo piccola. Cerco una donna più matura e adatta a me. Addio.”, giurò di aver sentito il suo cuore fermassi per qualche secondo e privarla dell’ossigeno. Perché questo era InuYasha, puro ossigeno che la teneva in vita. Perderlo aveva significato morire per lei, non una ma due volte. Nuove e dolorose lacrime invasero i suoi occhi, al ricordo dei mesi successivi all’abbandono di InuYasha. Non sarebbe mai riuscita a cancellare tutto. Nemmeno dopo anni e anni.
La reazione aggressiva di Kagome, stupì non poco InuYasha, abituato al ricordo della ragazzina dolce e sensibile che conosceva. Immaginava fosse arrabbiata, ma non fino a quel punto. Quella che si trovava difronte era una donna ferita nel profondo. "Non solo perché mi hai lasciato" aveva detto. E allora, si chiese perplesso, cosa l’aveva resa così? L’influenza del padre? Si era inventato qualche bugia per metterglielo contro? Questi erano i pensieri che vorticavano nella mente del giovane, che non riusciva a capire il significato di quelle parole pronunciate dalla ragazza.
- Cosa sono queste urla? – intervenne il padre di Kagome, facendo la sua entrata nel salone, dopo essere stato richiamato dalle sue grida.
Il suo sguardo si posò subito sull’ospite, cui dedicò uno sguardo torvo. Aveva riconosciuto subito lo sporco mezzosangue che aveva osato avvicinarsi a sua figlia otto anni prima. Sperava di essersene liberato definitivamente, sia di lui sia del suo sangue immondo. Perché era in casa sua, continuava a chiedersi l’uomo, avvicinandosi alla figlia in lacrime.
- Papà… - lo chiamò lei, asciugandosi gli occhi.
- Perché sei in casa mia, han’yō? – chiese con disgusto, osservando le orecchie demoniache sulla sua testa.
- Sono tornato per riprendermi Kagome e per farle sapere come sono andate veramente le cose. – rispose InuYasha, sperando di avere la meglio.
- Riprenderti mia figlia? Da quando sarebbe una tua proprietà? L’hai abbandonata nel momento di maggiore bisogno, preferendo la carriera a lei. Vattene via prima che chiami la polizia. – gli intimò minaccioso. Non avrebbe permesso alla sua unica figlia di mischiarsi nuovamente con un essere inferiore come un mezzodemone. Aveva impedito non una ma due volte che ciò accadesse, e non avrebbe permesso neppure la terza.
La famiglia Higurashi esisteva da secoli ed era una delle poche rimaste "pure", senza incursioni demoniache nel codice genetico. Avrebbe rispettato quella tradizione tramandatagli dai suoi avi, a tutti i costi. Quell'essere doveva sparire da casa sua.
- Sa benissimo che non l’ho lasciata di mia volontà! E’ stato lei a minacciarmi di far arrestare me, per violenza su minore, e far rinchiudere lei in una clinica psichiatrica, pur di tenermela lontano! Sono stato costretto a farlo! Lo neghi se ne ha il coraggio! – sostenne il giovane, sotto lo sguardo confuso di Kagome, che si voltò a guardare il padre in attesa di risposta.
- Non vedo perché dovrei negare. E’ andata proprio così. – confermò l’uomo, con espressione impassibile.
- Papà ma cos… -
- Tuttavia… – proseguì, interrompendo la figlia per aggiungere un particolare  - Non mi sembra tu abbia lottato per impedirlo. Hai accettato senza batter ciglio, per proteggerti. Se avessi davvero amato Kagome, avresti fatto di tutto per lei, anche finire in carcere. – precisò l’uomo, sicuro di avere il coltello dalla parte del manico.
Sapeva che quel mostro non avrebbe mosso un dito. Non perché non fosse innamorato della figlia, ma perché sapeva che se ci avesse provato, avrebbe davvero rinchiuso Kagome in una clinica, imbottendola di farmaci per tenerla buona, così come faceva con la defunta madre, un po’ troppo indisciplinata per le abitudini della famiglia Higurashi. Peccato che la faccenda di sua moglie avesse assunto risvolti inaspettati, col suo suicidio. Con Kagome non avrebbe commesso lo stesso errore, l'avrebbe lasciata sotto il controllo di medici esperti fino alla sua guarigione da quell’amore malato, nato nei confronti di un demone.
- E come avrei potuto, se minacciava di internarla come se fosse stata una pazza? Non mi spaventava certo il carcere, ma non potevo mettere in pericolo lei! – spiegò l’han’yō, col sangue che gli ribolliva nelle vene.
Sapeva che avrebbe cercato delle scuse, addossando tutta la colpa a lui, ma non gli avrebbe permesso di averla vinta anche stavolta, manovrando tutti come pedine di una scacchiera. Kagome doveva sapere che tutto era accaduto per colpa di suo padre. Poi avrebbe potuto decidere conoscendo la verità.
Dal canto suo, Kagome ascoltava sconvolta la discussione. Si era improvvisamente sentita come un’estranea che assisteva alla lite di due uomini mai visti prima di allora. Le cose che stava ascoltando erano del tutto nuove ed assurde per lei. Avevano deciso della sua vita senza interpellarla. Aveva subìto le scelte di entrambi, senza potersi opporre.
Mentre i due uomini continuavano ad inveirsi contro, lei iniziava pian piano ad estraniarsi sempre più. Mille domande iniziavano ad affollarle la mente. Lei aveva raccontato al padre di InuYasha dopo che lui l’aveva lasciata ed era partito, quindi, quando lo aveva minacciato? Lui sapeva già da prima di InuYasha? E da quando? E perché li aveva divisi? Per quale motivo aveva spezzato un rapporto d’amore, soprattutto in quel momento così delicato per lei che…
D’improvviso, un’illuminazione l’aveva colpita fulminea e crudele, facendole avvertire un capogiro. Non poteva essere come immaginava. Non poteva essere andata in quel modo. Suo padre non poteva essere stato così spietato. Poteva davvero aver architettato tutto in quel modo infame? Si girò a guardare il disgusto sul volto del genitore mentre si rivolgeva a InuYasha. Sì, poteva, si rispose infine.
- Kagome, che hai? Sei pallida. – le chiese InuYasha, notando il suo viso sbiancare.
- Io non… non… - balbettò confusa, cercando le forze per rimettere insieme i pezzi dei suoi pensieri.
- Povera la mia bambina. Hai visto che hai combinato? Vattene via han’yō! Hai già fatto troppi danni! Sparisci! – ordinò, avvicinandosi alla figlia per sorreggerla in un abbraccio incoraggiante.
- Non è certo lei che può mandarmi via! Solo sua figlia può. Ascolterò solamente lei. – disse il giovane, guardando la ragazza ancora impossibilitata a parlare.
- Non mi sembra ti stia chiedendo di rimanere. Sparisci o chiamo la polizia! –
Non voleva andarsene, ma Kagome non aveva protestato alle parole del padre. Non gli aveva inveito contro come sperava. Non aveva nemmeno fiatato. Possibile fosse davvero tutto perso? Non vi era una seconda possibilità per loro due?
Decise di andarsene. Non aveva senso restare se lei non lo pregava di farlo. Durante il tragitto verso casa, non poté fare a meno di pensare alle parole cariche d’odio di Kagome. Era convinta che volesse solo divertirsi con lei. Lo riteneva davvero capace di una simile bassezza? Non aveva voluto ascoltarlo nemmeno dopo la confessione del padre. Si sentiva molto deluso da tale comportamento. Certo non si aspettava si sarebbe gettata tra le sue braccia, gridando al mondo il suo amore per lui, ma non si aspettava nemmeno tanta indifferenza.

Ciò che InuYasha ignorava, era che Kagome non era rimasta per nulla indifferente. Si era aperta una voragine in lei, che la stava lentamente risucchiando verso il basso. Era così che si sentiva, spinta verso il basso da una forza sconosciuta, come se un peso sulla sua testa la schiacciasse a terra.
- Su tesoro. Quel maledetto se n’è andato via. Va tutto bene. – la rassicurava il padre, carezzandole la testa. Di colpo la confusione passò. Il tocco delle mani del padre le sembrò quello del peggiore dei traditori, così si scostò con risentimento a quelle carezze.
- Non mi toccare! – urlò, mentre una nuova consapevolezza si faceva strada in lei.
Era accaduto tutto per colpa di suo padre. A rovinarle la vita era stato lui. Non vi erano altre spiegazioni.
- Kagome ma che dici? Se è per quello che ha detto quel lurido mezzodemone, non devi dargli peso. L’ho fatto per capire se teneva davvero a te bambina mia. Come vedi si è dileguato in un baleno. Non c’è da fidarsi di lui. – le spiegò sereno il padre, che pensava di avere tutto in pugno. Aveva già pensato a tutto anni prima, nel caso quel bastardo si fosse ripresentato. Kagome avrebbe creduto alla sua buona fede di padre preoccupato per il suo futuro.
- Spiegami una cosa papà… se io ti ho parlato di InuYasha solamente quando mi ha lasciato, come hai fatto a parlarci prima che partisse? Nessuno sapeva di noi, nemmeno Rin, quindi, tu come facevi a saperlo? – chiese furente guardandolo con odio.
Non ci voleva un genio per capire com’erano andate le cose, soprattutto conoscendo le sue stupide idee tradizionaliste e razziste.
- Eh? Beh… ho parlato con lui poco prima che partisse evidentemente. – cerco di convincerla.
- Impossibile! InuYasha era già a New York quando te ne ho parlato e non l’ho fatto per mia scelta, ma perché mi avevi trovato in bagno a vomitare! – continuò risoluta come mai prima di allora.
- Forse ricordi male tesoro. Eri molto scossa in quel periodo. –
- Non cercare di farmi passare per pazza, come con la mamma! Con me non attacca papà. Ricordo tutto perfettamente proprio perché ero così scossa da ricordare ogni singolo minuto di quell’agonia che mi hai fatto vivere! –
- Non alzare la voce con me! Sono tuo padre e merito rispetto! – iniziò ad alterarsi anche lui. Le cose non stavano andando come aveva previsto. Sua figlia si era fatta più sveglia di come la ricordava. Gestirla era sempre stato semplice. Kagome era facilmente malleabile caratterialmente, quindi non capiva da dove uscisse quella intraprendenza.
- E tu? Tu hai avuto rispetto per me? Come hai potuto farmi questo? Sei andato da lui molto prima che mi lasciasse. Ammettilo! Sapevi da prima che te lo confessassi che ero incinta, e hai ben pensato di allontanare lui e uccidere mio figlio! Ammettilo dannazione! – gridò con tutta la voce che aveva in corpo, sentendo bruciare le corde vocali, ma la rabbia era tale da farle perdere il controllo.
Aveva scoperto di essere incinta appena tre giorni prima che InuYasha la lasciasse. Cercava il modo migliore per dirglielo ma lui aveva deciso di andarsene. Era sconvolta, non sapeva come fare da sola, a sedici anni, ad occuparsi di un bambino. Poi suo padre si accorse dei suoi malesseri e gli raccontò tutto. Lui non si arrabbiò, come invece temeva lei. Conosceva il suo modo di pensare riguardo alla mescolanza delle razze ed era sempre stato contro i matrimoni tra demoni e umani. Per questo si stupì quando suo padre invece la consolò, non rimproverandole nulla. Però, e c’era il però, la convinse ad abortire, per il suo bene. La convinse che era troppo giovane per occuparsi di un bambino senza un padre presente. Le ripeteva che aveva tutta la vita davanti per farsi una famiglia e quello non era il momento adatto. E soprattutto il bambino le avrebbe ricordato per sempre quell’umiliazione subita. Si lasciò convincere come una stupida, incapace di reagire a quelle parole così ben studiate per farla capitolare.
Il peso di quel gesto le fu chiaro solo il giorno dopo le sue dimissioni dalla clinica privata in cui l’aveva portata il padre. Solo guardando l'ecografia fatta qualche giorno prima, aveva realizzato il grande errore commesso. Il suo bambino non c’era più. Sentì un vuoto nel petto, come se al posto del suo utero avessero svuotato il suo cuore. I sensi di colpa divennero tali da farla chiudere in camera per oltre tre mesi, fingendo con gli amici di essere in vacanza all’estero; piangeva invece tutte le sue lacrime, col viso premuto contro il cuscino, invocando il perdono di quel bambino che aveva ucciso. Le era servita tutta la sua forza per riprendere in mano la sua vita e ritornare a scuola, ricominciando lentamente a vivere.
Di quel bambino le era rimasta solo quella prima ecografia, che conservava come il più prezioso dei tesori nel suo portagioie.
- Vuoi sentirtelo dire? Ok! E’ vero. Avevo scoperto l’ecografia e il referto medico nella tua stanza. Avevo capito subito che il padre non poteva essere altri che quel cane bastardo! Non potevo permettere che mia figlia, una Higurashi, portasse in grembo un tale scempio, il figlio di un lurido demone. Dovevano sparire entrambi, e l’unico modo era minacciare quell’essere di lasciarti, per poi convincere te ad uccidere quel mostro che stavi crescendo! Se non lo avessi fatto, adesso saresti una povera squattrinata incapace di mantenere un bastardo senza padre, perché sta certa che in casa mia non ci sarebbe stato posto per te e quella cosa! – ammise in tutta la sua crudeltà e meschinità, lasciando la figlia senza parole.
Non riusciva a credere alle sue orecchie. Non provava alcun rimorso per quel che aveva fatto, anzi, ne andava fiero, a giudicare dalle sue parole. Come aveva fatto a non accorgersi di quanto fosse abietto l’essere che chiamava padre? Aveva manovrato i fili della sua vita come se fosse stata un burattino nelle sue mani. L’aveva distrutta e reso l’esistenza un Inferno in Terra, solamente per la sua gretta mentalità.
- Dovresti ringraziarmi per averti liberato da un tale peso. Presto sposerai un vero uomo che si occuperà di te, e potrai buttarti tutta questa faccenda spiacevole alle spalle. – aggiunse infine, recuperando la tranquillità, come se nulla fosse successo prima.
Faccenda spiacevole, l’aveva chiamata. La sua felicità, suo figlio, l’uomo che amava… erano solamente una “faccenda spiacevole” per lui.
- Non ci sarà alcun matrimonio… - sussurrò debolmente, ma abbastanza forte perché il padre la sentisse.
- Che cosa? Non ci pensare affatto! Il matrimonio ci sarà e tuo marito prenderà il cognome degli Higurashi, così da proseguire la tradizione. -
- Sai dove puoi mettertela la tua stramaledetta tradizione? Non me ne importa nulla! Non sposerò Hojo solo perché me lo hai imposto tu, come tutto il resto. Mi hai rovinato la vita! Mi fai schifo papà! Sei un essere spregevole. Come hai potuto farmi questo? Sono tua figlia e quello era tuo nipote! Sangue del tuo sangue! Come? Come si può fare questo al proprio nipote? Ma che persona sei? – gli inveii contro, trattenendosi dal non colpirlo con uno dei pesanti oggetti presenti sulla scrivania che aveva vicino. La rabbia era tale che se non si fosse trattenuta lo avrebbe ucciso.
- Impudente! Come osi essere così irrispettosa nei confronti di chi ti ha cresciuto e tolto dai guai? – reagì l’uomo, dandole uno schiaffo. Mai nessuno si era permesso di rivolgerglisi così, nemmeno sua moglie. Non l’avrebbe certo permesso a quella scapestrata di sua figlia.
Kagome si portò la mano a coprire il viso colpito dallo schiaffo, ma non era certo quello a farle male. Quante volte si era ritrovata tra le braccia del padre a piangere perché le mancava InuYasha? Quante volte gli aveva confessato di non riuscire a vivere senza di lui? Quante volte gli aveva parlato dei suoi sensi di colpa per aver abortito? Lui era stato insensibile al suo tormento, alle sue lacrime. Anzi, li aveva creati egli stesso. Si sentiva pugnalata alle spalle, tradita nel modo più subdolo e spregevole possibile.
- Me li hai procurati tu quei guai! Ti disprezzo con tutto il cuore! Non ti perdonerò mai per quello che mi hai fatto! Da oggi sei morto per me! - urlò con occhi colmi di lacrime, prima di fuggire via da quella casa, la cui aria era diventata irrespirabile per lei. Si sentiva soffocare mentre correva per le strade della città, sotto quell’acquazzone che aveva deciso di farle compagnia, cadendo dal cielo come se anche lui piangesse con lei.
Le lacrime si univano alla pioggia, confondendosi con essa. Aveva smesso di correre e si era fermata a riprendere fiato, sedendosi su una delle panchine del parco in cui era arrivata senza accorgersene. Il posto era deserto e iniziava ad imbrunire. Si udiva solo lo scrosciare dell’acqua al suolo e sulle foglie degli alberi. L’odore della pioggia non impregnava più l’aria, spazzato via dal temporale che trasportava con sé solamente fiumiciattoli sulla strada asfaltata. Il terreno vicino a lei era diventato fanghiglia gialla di cui lei neppure si curava.
Si sentiva svuotata di ogni forza. Non riusciva a ragionare. Era confusa e non sapeva che fare. Il cuore le balzava nel petto, troppo agitato per calmarsi. Solo un pensiero ben definito attraversò la sua mente: InuYasha.
Senza neanche accorgersene, le sue gambe la portarono proprio di fronte casa del ragazzo. Era calata la sera. Forse era notte, non avrebbe saputo dirlo. Le luci della casa erano tutte spente, così pensò dovese essere già molto tardi. Non poteva suonare al suo campanello a quell’ora. Che avrebbe dovuto fare? Eppure, aveva voglia di vederlo. Non aveva il suo numero di cellulare, come avrebbe potuto chiamarlo senza svegliare tutti?
- InuYasha… - le lacrime ripresero a inondarle gli occhi, mentre sussurrava disperata il nome del ragazzo, che venne inaspettatamente ad aprire la porta.
- Kagome? – la chiamò stranito. Gli era sembrato di sentire il suo odore, ma pensava di averlo immaginato. Che avrebbe dovuto farci Kagome, di notte e sotto un temporale, a casa sua? Quando poi udì il suo nome, pronunciato fievolmente, capì che lei era veramente lì, così si precipitò ad aprire.
- InuYasha? - chiamò incredula, per poi rendersi conto d'averlo di fronte a sé, non lo stava immaginando. - InuYasha! – esclamò subito dopo, correndo tra le sue braccia in un impeto di gioia.
Si sentì sollevata nel rifugiarsi dentro il suo caldo abbraccio. Le era mancato terribilmente. Le sue mani si strinsero con forza alla maglietta del ragazzo, che la cinse a sé di rimando, facendola sentire protetta.
Ora sì, era tornata a respirare nuovamente.
 
 
 
 




 
Buona domenica ^_^ eccovi il terzo capitolo.
Che brava persona è il padre di Kagome, vero? :D Una persona dolcissima proprio ^_^
Come la prenderà InuYasha quando Kagome gli racconterà del bambino? Ritorneranno insieme? Lo scoprirete solo leggendo il quarto capitolo se vorrete ^_^ 
Grazie mille a tutti voi che mi seguite nonostante sia una pessima pessima pessima lettrice che lascia recensioni col contagocce T^T per non parlare del fatto che ci sono miliardi di recensione a cui non ho risposto T^T PERDONATEMI T^T  sono davvero orribile… l’unica cosa che vi dico è: se nelle vostre storie vedere che la tengo tra preferite e/o seguite, state pur certe che leggo con grande interesse le vostre storie, altrimenti non le terrei lì. Appena pubblicate, la vostra prima lettrice sono io visto che apro EFP cento volte al giorno XD
Ancora grazie mille a chi mi lascia una recensione col suo pensiero sulla storia ^_^ è una piccola rivincita contro me stessa sapere che vi piace (tiè Yasha, tu la volevi bruciare U.U invece bastava solo un po’ di pazienza di Faby)
E prima che inizi ad impazzire del tutto, rivolgendomi a me stessa anche col pluralis maiestatis, vi saluto e vi do appuntamento al prossimo aggiornamento ^_^
Baci Faby <3 <3 <3 <3

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Capitolo 4
*** Cap 4 ***


 
- Kagome? Ma che ti è successo? Sei completamente zuppa! – le chiese il giovane, portandola dentro casa. Oltre che fradicia era anche gelida. La portò nella sua camera e iniziò ad asciugarle i capelli gocciolanti con un asciugamano.
- InuYasha! Se solo sapessi! Mi dispiace! E’ stata tutta colpa mia! Perdonami! Sono l’unica responsabile! E’ colpa mia! – iniziò a scusarsi, piangendo, sentendosi colpevole. Se avesse nascosto meglio l’ecografia, suo padre non l'avrebbe mai scoperta. Avrebbe avuto tutto il tempo per dirlo ad InuYasha, che sapendola incinta, non sarebbe andato via per nessun motivo al mondo. L’unica colpevole era lei quindi, così si ripeteva.
- Ma che stai dicendo? Stai delirando? Non è che hai la febbre? – le chiese preoccupato, toccandole la fronte umida che, in effetti, scottava veramente.
- Sto bene. Devo dirti una cosa importante! –
- Prima togli questi vestiti e metti qualcosa di asciutto. Tieni, mettiti questo. – le disse, porgendole un suo pigiama. Di sicuro le sarebbe stato grande, ma meglio di nulla.
- No, prima devi ascoltarmi! – insistette la giovane, decisa a raccontargli tutto.
- Sì sì, ti ascolto. Prima però cambiati, o dovrò farlo io! – cercò di convincerla, usando le maniere forti.
- Accidenti! E dammi quel pigiama! – sbuffò irritata, togliendosi velocemente gli abiti grondanti d’acqua e restando in intimo, davanti al ragazzo che la osservava sconvolto. Era sua intenzione uscire dalla camera, lasciandole la sua privacy, anche se l’aveva vista nuda già altre volte, anni prima. Non si aspettava un gesto del genere, così naturale, così “intimo”, come se fossero ancora una coppia.
Kagome non aveva neppure fatto caso alle sue azioni. Si era spogliata e rivestita molto velocemente. Aveva fretta di raccontare tutto ad InuYasha. Doveva sapere cos'era accaduto, perché erano stati divisi e, soprattutto, voleva conferma se la amava ancora come aveva detto, anche dopo otto anni di lontananza. E lei? Lei lo amava ancora? Sì, terribilmente. Le aveva spezzato il cuore, le aveva rovinato la vita, o almeno di questo era convinta prima, e nonostante tutto continuava ad amarlo. Se lui l'amava davvero, forse avrebbero potuto gettarsi tutto alle spalle. Vedeva finalmente uno spiraglio di felicità illuminarle la vita. Forse non era tutto perduto.
- Ora sono asciutta. Possiamo parlare? –
- Sì… dimmi… - rispose lui, esitante e leggermente imbarazzato.
Rivederla praticamente nuda, gli aveva fatto un certo effetto. Il suo corpo era davvero cambiato in quegli otto anni. Era diventata una donna in tutto e per tutto. Deglutì a fatica, cercando di darsi una calmata, sedendosi accanto a lei. Non era il momento per pensare certe cose. Se Kagome era lì, doveva esserci un motivo davvero serio. Se l’era ritrovata davanti in uno stato pietoso. Aveva gli occhi gonfi di lacrime e voleva capirne il motivo.
- Siamo stati divisi per colpa mia. – confessò nuovamente, con le lacrime già pronte a riemergere dagli occhi arrossati e doloranti.
- Smettila di dire che è colpa tua. L’unico colpevole è tuo padre, anche se non ho mai capito come diamine ci abbia scoperto. – tentò di tranquillizzarla, nonostante egli stesso ribollisse di rabbia.
- L’ha scoperto per colpa mia. Per una cosa che aveva trovato nella mia stanza. – sospirò afflitta. Non riusciva a darsi pace per la sua stupidità.
- Cos'era? –
- Un’ecografia. -
- Un'ecografia? – ripeté confuso.
- Pochi giorni prima che mi lasciassi, avevo scoperto di essere incinta. Era l’ecografia del nostro bambino, InuYasha. – gli rivelò finalmente, condividendo con lui quel segreto tanto doloroso. Era convinta che mai gli avrebbe confidato del bambino, invece, si trovava con lui, faccia a faccia dopo otto anni, a raccontargli il terribile tormento interiore causatole dal padre.
InuYasha non era sicuro di ciò che aveva udito, eppure le parole della ragazza erano chiare: Lei aspettava un bambino quando furono separati. Non avrebbe mai potuto immaginarlo. Non aveva notato alcun cambiamento in lei. Nel grembo della sua ragazza cresceva suo figlio, e lui non ne era neppure a conoscenza. Perché? Perché non gliel'aveva detto? Un'altra domanda, a quel punto, si fece spazio tra i suoi pensieri…
- Dov’è? Dov’è il nostro bambino? – domandò turbato. Se aveva un figlio, voleva assolutamente conoscerlo e fare parte della sua vita, anche contro il volere della madre, se fosse stato necessario.
- Non c’è nessun bambino. Ho interrotto la gravidanza poche settimane dopo che mi hai lasciato. – spiegò triste, lasciando il giovane sgomento, che faticò a comprendere la risposta. Gli ci vollero alcuni secondi per capirne appieno il significato, facendolo scattare in piedi pieno d'ira.
- Tu cosa? Che cosa hai fatto? – domandò incredulo, osservandola con sconcerto.
- Mi dispiace. Credimi! – rispose la ragazza, ricominciando quel pianto mai del tutto interrotto.
- Ti dispiace dici? Ma come hai potuto farlo? Hai ucciso mio figlio per ripicca! Capisco tu fossi arrabbiata, ma prendertela con quella creatura è stato spregevole! Sei meschina, come tuo padre, anzi, peggio! Siete una famiglia di folli! – l'accusò l’han’yō, voltandole le spalle per non guardarla. Era quasi nauseato dalla ragazza che si trovava di fronte. Aveva interrotto la gravidanza perché lui l’aveva lasciata. Per vendetta, pensò. Avrebbe potuto capire tutto; insulti, urla, recriminazioni, ma non quello. Non riusciva a crederci. La sua rabbia era tale che dovette controllarsi per non prenderla a schiaffi.
Kagome, invece, ascoltò i suoi insulti sbigottita. InuYasha aveva del tutto travisato le sue parole, credendo lei responsabile. Come poteva crederla capace di tali azioni, si chiese stupita.
- No! Non è andata così! Io... -
- Io cosa? Eh? Non ci sono giustificazioni per quello che hai fatto! Non provarci! - la interruppe, tornando a guardarla furioso.  - É per questo che ti scusavi prima? Che mi chiedevi perdono? Direi che è troppo tardi ormai! I tuoi sensi di colpa non faranno tornare indietro ciò che hai ucciso. Dovresti vergognarti di te stessa e chiedere perdono a nostro figlio! Cazzo, ma che donna sei? - le inveì contro, arrabbiato e deluso. Amava Kagome, ma non le avrebbe mai perdonato un gesto così crudele. Che fine aveva fatto la ragazza dolce e sensibile che era un tempo? Chi era la donna priva di cuore davanti a lui? Solo queste domande gli vorticavano in testa.
- Smettila! Basta! Non dire così! Non è andata affatto così! Io lo volevo… volevo il mio bambino! - iniziò a singhiozzare lei, mentre delle fitte dolorose le trafiggevano il petto alle accuse del ragazzo. Non era colpa sua, il padre l’aveva costretta con l’inganno. Troppo giovane, troppo ingenua, troppo cieca; e lui ne aveva approfittato. La sua unica colpa era non aver saputo nascondere quella dannata ecografia. Non poteva accusarla di una tale crudeltà.
- E allora perché? Perché l’hai fatto? – urlò lui, scostando con violenza le mani che la giovane aveva portato al viso.
- E’ stato lui! Sempre e solo lui! – gridò disperata in risposta.
- Tuo padre? Ti ha costretto lui? – domandò il giovane, cercando di calmarsi per ascoltarla. Forse l’aveva costretta perché era minorenne, e poteva decidere per lei. A questo non aveva pensato.
- Diceva che ero troppo piccola e che non sarei stata una buona madre, che i figli hanno bisogno del padre e invece tu non c’eri. Mi ripeteva che avrei potuto odiare il mio bambino ripensando a te e a come mi avevi lasciato. Mi aveva convinto a non dire niente alla tua famiglia, perché avrebbero potuto pensare che l’avessi fatto di proposito per incastrarti. – s’interruppe, asciugandosi le lacrime con la manica del pigiama. Ripercorrere quel periodo era un dolore così lancinante, che spesso si augurava che la uccidesse, facendola smettere di soffrire, ma non accadeva mai. Facendosi coraggio, riprese il racconto.  - Io… io ero troppo turbata, ferita e sola, per capire cosa fare, così acconsentii per l’interruzione di gravidanza. Nemmeno ventiquattr'ore dopo il mio consenso, ero già in clinica per l’aborto. Di quei giorni ricordo solamente tanta confusione. Poi, tornata a casa e osservando l’ecografia che avrei voluto mostrarti, ho capito cosa avevo realmente fatto, ed è iniziato il mio tormento! Ti giuro che non l'ho fatto per vendicarmi di te! - terminò, ricoprendosi il viso per bloccare i singulti che la scuotevano. Lui doveva crederle. Non stava mentendo. Non aveva mai pensato un solo secondo a sbarazzarsi di suo figlio per una ripicca. Al contrario, lo avrebbe voluto proprio per ricordarle il suo amore perduto. Ma la paura di non riuscire a crescerlo da sola fu più forte di tutto.  Era una responsabilità troppo grande per lei.
InuYasha aveva ascoltato quelle parole con sconcerto. Era stato nuovamente quell’uomo ad interferire nelle loro vite, e non solo nelle loro. Aveva plagiato così tanto la figlia da farle fare tutto quello che voleva, anche rinunciare al loro bambino, solamente perché aveva sangue demoniaco nelle vene. Il suo primo impulso fu di andare a spaccare la faccia a quel bastardo, ma cercò di controllarsi, avvicinandosi invece a Kagome che piangeva disperata, stringendola tra le braccia.
- Scusami. Non avrei dovuto arrabbiarmi prima. Solo… pensavo che lo avessi fatto per ripicca. Non volevo dirti quelle cose. – si scusò dispiaciuto. L’aveva aggredita ingiustamente, credendola colpevole. Ferirla era l’ultima cosa che avrebbe voluto.
- Non volevo ucciderlo per fartela pagare. Era anche mio figlio! Non sai quanto mi dispiace! Perdonami! - si scusò lei, stringendosi nell'abbraccio del ragazzo, provando a fermare le lacrime, con scarsi risultati. Ormai, il suo, stava diventando un pianto convulso. Erano anni che non si sfogava in quel modo, anzi, non lo aveva mai fatto. Nemmeno quando parlava al padre dei suoi sensi di colpa, si lasciava andare a quel modo, perché sapeva che lui non apprezzava i suoi piagnistei riguardo al bambino. Avrebbe dovuto capire tutto già da quello, si disse.
- Non è stata colpa tua. L’unico colpevole è quello stronzo di tuo padre. Calmati piccola. – tentò di calmarla, accarezzandole i capelli per confortarla. Vederla ridotta in quello stato faceva male anche a lui. La vedeva disperarsi e piangere senza sosta, sostituendo frasi di scuse a singhiozzi incontrollati. La frustrazione e la sensazione d'impotenza gli pesarono addosso come mai prima di allora.
Non poteva aiutarla.
Con questa consapevolezza, per la prima volta in vita sua, si ritrovò a desiderare la morte di qualcuno. Non era nel suo carattere essere violento, eppure, guardando lo stato della donna che aveva tra le braccia, fu quella la voglia che iniziò a scorrergli nelle vene: la voglia irrefrenabile di andare a strappare il cuore a quel dannato, per fargliela pagare per tutto quel dolore. Così gli suggeriva la sua parte demoniaca che reclamava vendetta. Purtroppo l’omicidio era ancora un reato perseguibile, e Kagome aveva bisogno di lui, quindi dovette ingoiare la rabbia e accontentarsi di stringerla maggiormente a sé, per darle tutto il suo conforto e farle capire che, da quel momento, non sarebbe mai più stata da sola a sopportare quella sofferenza, ci sarebbe stato lui con cui condividerla.
 
Dalla sua stanza, Sesshomaru ascoltava tutta la conversazione dei due. Aveva avvertito subito l’odore di Kagome dietro la porta di casa, svegliando la ragazza che gli dormiva affianco.
- Che si stanno dicendo? – chiese curiosa, spingendo l’orecchio contro il muro, nella speranza di sentire qualcosa, ma nulla. La camera del fratello si trovava al piano inferiore, mentre la sua e quella di Sesshomaru erano al piano superiore. Non aveva speranze di sentire i loro discorsi.
- Nulla di piacevole. Kagome era incinta quando InuYasha l’ha lasciata e il padre l’ha fatta abortire. Aveva organizzato tutto per allontanare lui e manovrare lei. Per questo ha minacciato InuYasha. – raccontò il ragazzo, riuscendo adesso a spiegarsi quell’ombra di tristezza sempre presente negli occhi dell’amica della sua ragazza.
Aveva sempre l’abitudine di analizzare i comportamenti delle persone che conosceva; deformazione professionale ovviamente. Pensava che l’afflizione che leggeva in quegli occhi fosse causata dalla morte prematura della madre. Invece c’era molto altro sotto.
- Che cosa? Sicuro di aver capito bene? Kagome era incinta? – domandò incredula Rin.
- Sicurissimo. – confermò lui.
Rin era sconvolta. Dov’era stata lei in quel periodo, per non accorgersi di nulla? Non ricordava giorni di assenza dell’amica da scuola, quindi, quando era accaduto, continuava a chiedersi. Un aborto non era certo una passeggiata.
- La vacanza! E’ vero! – esclamò improvvisamente, ricordando quel dettaglio.
Kagome era partita per una vacanza qualche tempo dopo il trasferimento di InuYasha, anche lei senza alcun preavviso, come il fratello, ma allora non vi badò troppo, non collegando minimamente le due cose. Di segnali ne aveva avuti molti, ma era stata cieca, troppo intenta in quel periodo a “non innamorarsi” del fratello acquisito appena tornato dai suoi studi. Era un’amica terribile. Se ne rendeva conto solo adesso.
- Di quale vacanza parli? – chiese Sesshomaru.
- Niente, lascia stare. Che si stanno dicendo adesso? – chiese preoccupata.
- Nulla, lei sta piangendo e InuYasha cerca di convincerla che non è colpevole di nulla. Torniamocene a letto adesso. Abbiamo origliato abbastanza. – sentenziò, stanco di ascoltare le conversazioni altrui. Preferiva addormentarsi nuovamente con la sua donna tra le braccia.
- Tu hai origliato! Io non ho sentito un cavolo. Accidenti! Voglio anch’io il tuo udito super sensibile. – piagnucolò Rin, sistemandosi rassegnata tra le braccia di Sesshomaru. Sapeva che quando diceva di non voler fare una cosa, non la faceva nemmeno insistendo, quindi lasciò perdere, sperando di mettere sotto torchio l’amica e il fratello il giorno dopo, per riuscire a capire di più.
- Non è questo granché, soprattutto quando la gente urla. Non sempre si riesce a filtrare i rumori. – le spiegò il ragazzo.
- Non riuscirò mai a capire questa cosa del filtrare i suoni. Come fa l’udito di un demone a scegliere cosa ascoltare e cosa no? –
- Basta concentrarsi. Se voglio ascoltare i vicini, mi concentro sulla distanza da qui fino a casa loro, basandomi sulla lunghezza e l’oscillazione delle onde sonore. Se non voglio sentire basta non far nulla, come ora. – le spiegò nuovamente, anche se sapeva che era fiato sprecato con lei.
- In pratica hai le orecchie con gli ultrasuoni! – rise la ragazza, che non aveva capito nulla, come al solito.
- Sì sì, con gli ultrasuoni. Ora dormi. –
- Aspetta Sesshomaru! Se tu riesci a sentire i vicini, gli altri demoni possono ascoltare noi? – chiese preoccupata.
- Certo che possono. Per questo quasi tutti hanno le pareti di casa insonorizzate. Compresi noi. Quindi tranquilla,  nessuno ti ha mai sentita durante la nostra intimità. Solo io posso sentirti in quei momenti. – le sussurrò malizioso, baciandola e spostando le mani sulle sue cosce nude.
- I… idiota! Anche se da fuori non ci sentono, in casa c’è InuYasha! Anche il suo udito è sensibile. Anzi… e se ci avesse già sentito? Oh no! Potrebbe andare a riferirlo alla mamma! – iniziò a blaterare in preda all’agitazione, allontanando bruscamente il ragazzo.
- Non ha sentito un bel niente. E comunque sia, non devi preoccuparti per la reazione della mamma. Sa già tutto. – le rivelò, per tranquillizzarla.
- Che? Che hai detto??? – urlò quasi, per lo stupore e l’incredulità.
- Mamma sa tutto. Me l’ha detto ieri. –
- Stai scherzando, non è così? Mi stai prendendo in giro! –
- Non mi sembra di essere famoso per il mio lato umoristico Rin. – le fece presente Sesshomaru.
- Ma… ma come l'ha saputo? – chiese la giovane, del tutto impreparata a quella notizia. Il cuore le era balzato in gola per la paura di un giudizio della madre, che lei temeva.
- L’ha capito osservandoci, ha detto. Evidentemente si nota che siamo innamorati e felici. –
- Perché non me ne ha parlato allora? Cielo, come mi sento stupida! Tutte quelle scuse, quelle bugie… Lei sapeva benissimo che mentivo per stare con te! Mi chiedo se sappia anche che la notte sgattaiolo in camera tua, a questo punto. – ipotizzò sconcertata.
- Può essere. –
- Sesshomaru, mi spieghi come accidenti riesci a restare tranquillo in un momento tanto angosciante quanto questo? – chiese infastidita dall’indifferenza del compagno, che si era steso nuovamente come se non avesse detto nulla d’importante.
- Agitarsi serve a qualcosa? E poi non è arrabbiata. Ci da la sua benedizione. –
- Domani ne parlerò con lei. – disse pensierosa. Doveva spiegare un bel po’ di cose alla madre.
- Ecco brava, domani si vedrà. Ora dormi, ho sonno! – concluse infine il ragazzo, prendendola per la vita  e stringendola a sé.
Rin non replicò. Assecondò anzi il compagno, accoccolandosi tra le sue braccia. Tuttavia non riuscì a riprendere sonno. Troppi erano i pensieri quella sera. Chissà cosa sarebbe accaduto il giorno dopo, si chiese.
 
InuYasha guardava Kagome dormire tra le sue braccia. Si era addormentata stremata dal pianto e dalla febbre che iniziava ad alzarsi. Doveva essere rimasta parecchio sotto il temporale.
Lui invece non aveva chiuso occhio. Aveva osservato il sole sorgere parecchie ore prima. Faticava a elaborare le notizie apprese quella notte. Gli sembrava tutto così irreale, come se stesse guardando un film; solo che quel film era la sua vita. Guardò l’orologio appeso alla parete della sua camera, segnava quasi le dieci. Doveva alzarsi e preparare qualcosa da mangiare per Kagome, che sicuramente digiunava dal pomeriggio precedente. Avrebbe anche dovuto chiedere alla madre delle pastiglie per abbassare la febbre.
Si alzò lentamente per non svegliarla e andò in cucina, dove sembrava che tutti lo stessero aspettando.
- Immagino sappiate già tutto. – ipotizzò, rivolgendosi al fratello che doveva aver sentito tutta la conversazione con Kagome. Ovviamente aveva riferito tutto anche alla madre e a Rin, pensò.
- Sì tesoro. Mi spiace davvero tanto. – cercò di confortarlo Izayoi, andando ad abbracciarlo.
- Grazie mamma. – rispose fiacco. Si sentiva svuotato di ogni energia. Non poteva fare a meno di pensare che se non fosse andato via, Kagome non sarebbe rimasta da sola, nelle mani di quel bastardo. Avrebbero cercato di lottare per la loro felicità e per il loro bambino, che adesso avrebbe quasi otto anni. Si sentiva una nullità, come uno che aveva gettato la spugna.
- Non pensarci nemmeno! – lo rimproverò il fratello, intuendo subito i suoi pensieri. Ci riusciva sempre, pensò InuYasha. Anche quando erano piccoli, Sesshomaru intuiva al volo i suoi pensieri, come se gli leggesse dentro. Per questo pensò che il mestiere che si era scelto, fosse adatto a lui in fondo. 
- E’ anche colpa mia Sesshomaru. Non avrei dovuto lasciarla sola. – rispose InuYasha, lasciandosi cadere stancamente su una sedia.
- Siete stati entrambi vittime della crudeltà di quell’uomo. Non è colpa di nessuno dei due. – replicò Rin, poggiandogli una mano sulla spalla, per consolarlo.
- Avrei dovuto trovare un modo per restarle affianco, magari anche di nascosto. Se non fossi partito, avrei potuto impedire a quello stronzo di farle tanto male. Era distrutta mentre mi raccontava del periodo dopo l’aborto. Ad ogni sua parola mi sentivo come se mi stessero strappando il cuore. – rivelò abbattuto. Non si era mai sentito così inutile come in quel momento. Kagome soffriva e lui non poteva impedirlo.
- E’ un miracolo come sia riuscita a non crollare. Prima la tragica morte della madre, poi il tuo allontanamento, infine l’aborto. Non deve essere stato facile da superare. – sostenne Izayoi, che da donna, e madre, poteva capire i pensieri di Kagome.
- Io non mi sono mai accorta di nulla. Non ho mai notato niente di diverso. Quei rari momenti in cui sembrava triste, pensavo fosse per la mancanza della madre. Ne parlava spesso con occhi lucidi e credevo fosse solo quello. Mi sento una persona terribile. Che razza di amica sono? – si chiese Rin, rammaricata per la sua insensibilità.
- Non sei una persona terribile Rin, io lo sono, che non l’ho protetta. – disse InuYasha, rattristandosi maggiormente.
- E finitela! Cos’è, la fiera dei sensi di colpa? E’ andata così, punto! Aiutatela a superare anche la perdita del padre invece, perché è sicuro che non vorrà mai più rivedere un essere del genere. Anzi, avrà bisogno anche di un posto dove stare. – intervenne Sesshomaru, guardando la madre in cerca di una risposta alla sua muta domanda.
- Ovviamente qui è la benvenuta per tutto il tempo che vorrà. – rispose la donna, da sempre affezionata alla ragazza.
- Sinceramente preferirei portarmela a New York. Ci ho pensato, e credo che cambiare aria le farebbe bene. Sempre che voglia stare con me, ovviamente. – spiegò il giovane, che aveva pensato a quella possibilità per tutta la notte. Non vedere più il padre, forse, l’avrebbe aiutata a dimenticare e a rifarsi una vita, con lui possibilmente.
- Vuoi andartene di nuovo? – chiese Izayoi, già dispiaciuta. Sperava che il figlio ritornasse in Giappone ora che aveva chiarito con Kagome. Invece aveva intenzione di andare nuovamente via. Sembrava che il destino volesse per forza costringerla a vivere lontana da uno dei figli.
- Solo se lo vuole anche lei. Non so cosa vorrà fare da adesso in poi. –
- E se volesse tornare a casa sua? – ipotizzò Rin, che conosceva l’influenza che aveva sempre avuto il signor Higurashi sulla figlia.
- Non credo rimetterà mai più piede in quella casa. – rispose Sesshomaru, finendo la sua tazza di caffè.
- Ma dovrà ritornarci. Tutte le sue cose sono lì. Le serve quantomeno un cambio. – disse Izayoi.
- Vedremo l’evolversi delle cose. Comunque, mi servirebbe qualcosa per la febbre. E’ stata parecchio sotto la pioggia ieri e mi sembrava piuttosto calda stanotte. Abbiamo niente in casa? – chiese, rivolto alla madre.
- Sì credo di sì. Vado a vedere. Intanto portale la colazione. Il latte è già caldo. –
- Grazie mamma. – la ringraziò, dandole un bacio sulla fronte.
- E per cosa? –
- Per il tuo sostegno. –
- Sono vostra madre. E’ normale. –
- A proposito di questo… tu ed io dovremo fare quattro chiacchiere! – dichiarò Rin, trascinando via con sé la madre, sotto lo sguardo perplesso di InuYasha.
- Che hanno quelle due? – chiese al fratello, che fece un’alzata di spalle, congedandosi di gran corsa per andare a lavoro.
Decise di non indagare più di tanto. Aveva già abbastanza pensieri per prendersene di nuovi. Preparò la colazione e la portò in camera. Kagome dormiva ancora profondamente.
- Kagome? Tesoro, svegliati. Ti ho portato la colazione. – la chiamò dolcemente, accarezzandole la fronte.
Lei aprì gli occhi, fissandolo confusa. Era parecchio intontita, sia dal sonno sia dalla febbre, e non riusciva a capire se stesse sognando o no. Che ci faceva InuYasha nella sua camera, si chiedeva.
- InuYasha? – chiese debolmente, non ancora del tutto convinta di essere sveglia.
- Come ti senti? Ce la fai ad alzarti per mangiare? – le domandò, aiutandola a sollevarsi.
Pian piano mise ben a fuoco l’ambiente in cui si trovava. Non si trovava in camera sua, bensì in quella di InuYasha. Le tornarono in mente gli ultimi avvenimenti che la portarono da lui quella notte, facendola risprofondare nell’angoscia. Tutto ciò che aveva patito in quegli anni, le era stato causato dalla persona che avrebbe dovuto proteggerla, da colui di cui si fidava. Credeva in suo padre. Lo riteneva l’unico uomo di cui potesse fidarsi, che tutte le sue scelte fossero state dettate dall’amore nei suoi confronti, dalla preoccupazione del volere il meglio per lei, “per il tuo futuro”, come diceva sempre.
Che stupida, si disse. Avrebbe dovuto capire, da quelle sue parole sempre cariche di risentimento verso i demoni, che qualcosa non andava, ma neppure nelle sue peggiori fantasie avrebbe mai potuto immaginare tale crudeltà, perché suo padre era stato crudele, disumano, senza pietà alcuna nei confronti di un esserino che non aveva alcuna colpa. Voltandosi verso InuYasha, non poté non sorridere nell’osservare la sua espressione preoccupata.
Aveva covato rancore verso la persona sbagliata.
- Sì, sto bene grazie. Scusami se sono piombata così all’improvviso ieri. Non ricordo nemmeno come ho fatto ad arrivare qua. – si scusò mortificata. Si sentiva stordita e non ricordava chiaramente la conversazione avuta con InuYasha, anche se il mal di testa e il bruciore alla gola le facevano capire che aveva pianto molto.
- Non dirlo nemmeno per scherzo! Sono felice che tu sia venuta a cercare me. Ora fai colazione, così prendi qualcosa per la febbre. - le disse lui, passandole un vassoio con del latte macchiato e delle ciambelle ricoperte di glassa colorata.
- Tipica colazione giapponese, eh? – scherzò lei, addentando la ciambella e trovandola un po’ spugnosa. Davvero in America mangiavano quella roba, si chiese stranita.
- Le ciambelle sono una delle poche cose che amo del cibo americano. Per questo me ne porto dietro un bel po’ quando ritorno in Giappone. Non riesco più a fare colazione senza. – le spiegò, addentando una delle tre ciambelle presenti sul vassoio. I gusti son gusti, si disse Kagome, finendo la sua colazione.
- Insolite ma buone. Grazie. -
- Di nulla. Piuttosto, vado a prendertela io qualcosa per la febbre. Mia madre sembra sparita. - osservò il ragazzo, prendendo il vassoio per riportarlo in cucina.
- Ti ringrazio, ma non è necessario. Devo tornare a casa. - rispose lei, alzandosi dal letto e cercando i suoi vestiti.
- Che cosa? Per quale motivo vuoi ritornare a casa tua? – chiese intimorito. Non voleva che se ne andasse. Sperava che fosse la volta buona per iniziare una vita insieme, quella che gli era stata negata anni prima.
Se fosse andata via, che ne sarebbe stato di lui stavolta?
 
 




 
 
 
Ed eccoci al quarto capitolo ^_^ il prossimo sarà l’ultimo. Kagome vorrà tornare con InuYasha? (che domanda banale, dalla risposta scontata -.- però mai dire mai ihihihi *_*)
In questo capitolo ho dato un pò di spazio a Rin E Sesshomaru che, lo ammetto, mi stanno piacendo come coppia. Mi concentro sempre poco su di loro, anzi spesso non ci sono affatto o sono appena accennati. Chissà, potrei tornare a dedicargli altri spazietti in futuro ^_^ 
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, ma spero vi piaccia ancor di più la fine ^^’ vedremo.
Baci baci Faby <3 <3 <3 <3
 

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Capitolo 5
*** Cap 5 ***


- Devo tornare a casa. -
- Che cosa? Per quale motivo vuoi ritornare a casa tua? –
- Devo andare a prendere una cosa che ho lasciato lì. E poi mi servono i vestiti e le carte di credito per prendere una camera in hotel. – chiarì la ragazza, intuendo i pensieri dell’han’yō. Non voleva certo tornare a casa da quel mostro. Avrebbe preferito dormire sotto un ponte, piuttosto. Per fortuna aveva un lavoro come segretaria di uno studio dentistico e che le avrebbe permesso di vivere dignitosamente anche con le sue forze, senza bisogno del padre.
- Un hotel? E perché? Puoi stare qui, con me. – tentò l’han’yō, nella speranza che lei non rifiutasse.
- Non posso approfittare dell’ospitalità di tua madre. Vedrò come arrangiarmi. –
- Non hai capito Kagome… resta con me! Riproviamoci, ti prego. Non riesco a pensare di vivere ancora lontano da te, non posso e non voglio! Nessuno di noi due ha colpe per quello che è successo, quindi diamoci una seconda possibilità! – le domandò, prendendole la mano e stringendola tra le sue, in un’accorata preghiera.
- Riprovarci? – ripeté pensierosa.
La sera prima, presa dalla disperazione, aveva desiderato davvero ricominciare tutto con lui, ma erano i deliri di una persona confusa, spaesata, che non era neppure in sé, talmente era sconvolta. Ciò che desiderava era un’utopia, ma la realtà era ben diversa. Niente avrebbe cancellato quegli anni di tormento. Dopo tutto quello che era successo, avrebbero davvero potuto buttarsi tutto alle spalle, come se niente fosse accaduto? Era possibile ricominciare?
- Sì! Diamoci una possibilità. Proviamo a vivere quell’amore che ci hanno negato. Io ti amo come prima, anzi, di più. Tu mi ami ancora? – le chiese, timoroso di un suo rifiuto.
Kagome abbassò lo sguardo sulla mano libera dalla stretta del giovane, osservando l’anello di fidanzamento che spiccava al suo dito. Stava per sposarsi, ma non per amore. Non aveva mai amato Hojo. Nel suo cuore viveva da sempre l’amore per InuYasha. Tante volte si era maledetta per quei sentimenti così stupidi, ma il suo cuore non riusciva a dimenticarlo. In lei albergavano amore e risentimento, e sapeva benissimo che non poteva esistere il secondo senza il primo. Quindi sì, lo amava ancora.
- Sì. - rispose solamente, quasi come una sconfitta. Ma poteva essere definita una sconfitta, si domandò. InuYasha non l’aveva abbandonata, era stato costretto, però, perché non aveva mai provato a cercarla dopo? Doveva per forza andarsene all’altro capo del mondo? Continuava a chiedersi questo, e la sua espressione dubbiosa non sfuggì al mezzodemone, che non ebbe tempo di gioire per quella confessione tanto sperata.
- Però? – le chiese lui, angosciato.
- Come? – domandò la giovane, distratta dai suoi pensieri.
- Mi ami, ma c’è un però, non è così? –
- Beh… sì. Perché non mi hai mai cercato? Perché sei scappato così lontano? Perché non sei tornato quando sono diventata maggiorenne per spiegarmi tutto? Perché sei tornato proprio adesso che sto per sposarmi? – si decise a chiedere. Non riusciva a capire perché non lo avesse mai fatto. In otto anni, non si era mai neppure premurato di sapere se fosse viva o morta, ed ora le chiedeva di ricominciare come se nulla fosse.
InuYasha ascoltò le sue domande, sospirando amareggiato. In effetti, era stato uno stupido a non ritornare prima.
- Perché ho preferito non farlo. Ho pensato che non volessi più rivedermi, che mi odiassi, che non mi amassi più. Avevo paura di vedere disprezzo nei tuoi occhi. Non lo avrei sopportato. Vivere a New York era un modo per non venire a cercarti, per questo tornavo pochissimo a casa per le vacanze. Ogni volta che lo facevo, non riuscivo a impedirmi di passare da casa tua, nella speranza di poterti vedere almeno una volta, e dovevo lottare contro me stesso per non suonare a quel maledetto campanello. Per questo non ti ho mai cercato. Temevo anche di saperti insieme ad un altro uomo, felice con lui, e la cosa mi faceva impazzire! – confessò, stringendo i pugni per la rabbia al solo immaginarla a letto con un altro.
- E cosa ti ha spinto a farlo adesso? Perché ti sei deciso proprio ora che dovevo sposarmi? Per un senso di possessione? Per orgoglio? Cosa? – chiese dura. Non riusciva proprio a capire perché si fosse deciso solo dopo otto anni a scombussolarle la vita, tirando fuori quei segreti che mai, altrimenti, avrebbe scoperto. Non che volesse continuare a vivere nell’illusione di una vita apparentemente perfetta, ma perché proprio in quel preciso momento? Era questo che non riusciva a spiegarsi.
- Fino alla settimana scorsa non sapevo neppure che fossi fidanzata. Rin non me ne aveva mai parlato. – le spiegò, lasciandola sorpresa.
- Davvero? –
- Già, puoi chiedere conferma a lei. Comunque ho deciso di tornare non perché stavi per sposarti, ma perché Rin mi ha raccontato che ti eri confidata con lei sul tuo amore non corrisposto, e che non amavi il tuo fidanzato perché amavi ancora l’uomo che ti aveva lasciata. Quella è stata la spinta che mi serviva per tornare. Se mi amavi ancora, forse avevo una possibilità. Così eccoci qui. – le disse sincero.
Kagome non si aspettava quella risposta. Rin gli aveva parlato delle sue confidenze riguardo all’uomo di cui era innamorata anni addietro, e lui aveva capito si trattasse di lui. Non era difficile intuirlo comunque.
- Quindi… non mi hai mai cercata perché temevi ti mandassi al diavolo? – ripeté, per averne conferma.
- Sì, ed è quello che hai fatto quando ci siamo visti tre giorni fa. Se non fossi stato sicuro del tuo amore, sarei già tornato a New York col cuore a pezzi. Non potrei più vivere senza di te Kagome. – ammise nuovamente, guardandola negli occhi, ancora segnati dalle lacrime.
Lei rimase a guardarlo a lungo, in silenzio, riflettendo sul da farsi. Aveva un matrimonio da annullare e un padre con cui tagliare i ponti. Doveva fare le valigie e lasciare quella che era stata casa sua. Doveva ricominciare la sua vita da zero.
- Credi davvero che potremo ricominciare tutto daccapo? – domandò ancora incerta.
- Sì, ne sono convinto! Il nostro amore è stato più forte di tutto, perfino più del dolore, sopravvivendo fino ad oggi. Siamo nati per stare insieme. Non buttiamo tutto. Almeno pensaci. – cercò di convincerla un’ultima volta. Era confusa e indecisa, lo capiva, ma se avesse continuato a titubare, non avrebbe insistito oltre. Forzarla non era una soluzione.
- Va bene. – rispose lei alla fine, sopraffatta da quell’amore che non ne aveva proprio voluto sapere di sparire. InuYasha non era il vero responsabile del suo dolore, doveva tenerne conto. Certo, gli avrebbe sempre rimproverato la colpa di essere sparito nel nulla, ma non aveva altre colpe.
- Va bene cosa? Ci penserai? –
- No… riproviamoci. – chiarì, sorridendogli, vedendolo sorpreso.
Il primo istinto del giovane fu di stringerla tra le braccia, e così fece, tenendola saldamente stretta a sé, per paura di sentirla svanire sotto alle sue mani, così come accadeva nei suoi incubi.
- Nessuno ci dividerà più, te lo prometto! Mi farò perdonare per averti lasciato sola, amore mio! – le promise determinato. Avrebbe fatto di tutto per renderla felice stavolta, felice come lo era lui in quel momento, avendola tra le braccia. Non si sentiva così vivo da otto anni. Era al settimo cielo. Aveva lasciato New York con poche speranze di riuscire davvero a riappacificarsi con Kagome, invece, adesso, poteva tornarci con il cuore traboccante di gioia.
Kagome ricambiò quell’abbraccio sentendosi finalmente in pace. Avvertì come se un grosso peso le si fosse spostato dal cuore, scivolando via e lasciandola libera. Si sentì leggera. Il freddo che imprigionava il suo animo era svanito, scaldato da quell’amore che non aveva voluto abbandonarla.
- Ti accompagno a prendere le tue cose. – le disse, dandole un lieve bacio fra i capelli.
- Preparati ad una bella lite. – rispose quasi ironica. Già immaginava cosa l’aspettava con suo padre, ma non le importava. Avrebbe vissuto la sua vita come voleva, ascoltando solamente ciò che le suggeriva il cuore.
- Preparo le armi? Che dici? – scherzò lui, cercando di sdrammatizzare.
- Le parole ferisco più della spada InuYasha, ed io ho intenzione di usarle tutte a dovere oggi. – sostenne seria.
- Ed io sarò al tuo fianco per sostenerti. Andiamo? – domandò, porgendole la mano.
- Andiamo. – acconsentì lei, prendendo la sua mano e stringendola forte, pronta a chiudere con il passato e ad aprire la strada al futuro, un futuro con l’uomo che amava da tutta la vita, e che avrebbe continuato ad amare fino al suo ultimo respiro.
 
 
 
 
 
 
- Inuuuuuu! Ti prego! –
- E tu mi hai fatto venire qua per questo? –
- Per favore, tienila tu! Solo per stavolta! Non vedo le mie amiche da tanto! – lo implorò Rin, con occhi da cucciolo bastonato.
- Perché dovrei tenerla io? Lasciala a suo padre! –
- Sesshomaru è a lavoro. –
- Guarda che anch’io stavo lavorando, anche se da casa! Lasciala a qualcun altro! – replicò infastidito.
- E dai, ti prego! Mamma non c’è, Kagome è impegnata, tu invece sei libero. Fai un favore alla tua povera sorellina che si sente tanto triiisteee! – lo pregò nuovamente, cercando di impietosirlo.
- Va bene, razza di rompiscatole! Ma guai a te se manchi più di due ore! – acconsentì in fine.
- Grazie! Sei il fratello migliore del mondo! – esclamò allegra, schioccandogli un bacio sulla guancia.
- Sono il tuo unico fratello, stupida! –
- Sì sì hai ragione. Ciao amore della mamma, a dopo! – disse Rin, dando un bacio alla figlia prima di uscire, dileguandosi come un razzo.
- Yura, hai una madre pazza. – confidò InuYasha alla nipotina, che lo guardava con occhi sognanti. Adorava lo zio perché aveva le orecchie come le sue, al contrario del suo papà e della sua mamma.
- Ziooo, in braccio! – chiese la bambina, allungando le manine verso lo zio che l’accontentò, sedendosi sul divano insieme alla piccola, che aveva iniziato a giocare con le sue bambole.
Che gli toccava fare per amore della sorella, pensò sbuffando. Avrebbe anche potuto aspettare suo marito, prima di prendere impegni con le sue amiche. Invece, come sempre, rompeva le scatole a lui. Altro che “Solo per stavolta”.
- Zio belli cappelli! – esclamò Yura, accarezzandogli i lunghi capelli bianchi, tipici della razza inu-yokai.
- Si dice capelli, non cappelli. I cappelli sono quelli che ti mette in testa la tua mamma quando c’è il sole. – le spiegò lo zio, dando un leggero buffetto sul naso della nipote, che poco aveva preso dal fratello. Somigliava molto di più alla sorella. Occhi scuri e capelli nerissimi. Solo le orecchie bianche sulla testa lasciavano intuire che non fosse umana.
Ancora si chiedeva come diamine avessero fatto i suoi fratelli ad innamorarsi, senza che lui se ne accorgesse, ma a quanto sembrava, mantenere i segreti era una questione di famiglia, pensò, sorridendo divertito.
Quando Rin e Sesshomaru gli parlarono della loro relazione, quasi non ci credette, convinto che scherzassero. Alla conferma della madre, però, dovette credergli, restando basito. Aveva quasi preso a pugni il fratello quel giorno. Non riusciva a vederli come una coppia; erano i suoi fratelli, ed era convinto che anche loro si vedessero tali, salvo poi rammentarsi che non c’erano legami di sangue fra i due. Dopo un primo periodo di disaccordo, sbigottimento e confusione, iniziò a farsene una ragione. Non aveva diritto di protestare per il loro amore. Era una cosa che aveva provato sulla propria pelle, e non voleva commettere lo stesso errore con i suoi fratelli. Se erano felici, lui lo sarebbe stato per loro, si disse. E così fu, visto che poco dopo il matrimonio, Rin annunciò di essere incinta, con gran felicità di tutta la famiglia. La sua nipotina aveva due anni ed era un piccolo terremoto, ma le voleva un gran bene.
Passò circa un’ora, in cui la piccola giocava tranquilla e lui leggeva alcuni articoli dal suo tablet, in merito a dei nuovi materiali biocompositi, che trasformati in base ad alcuni processi produttivi, sarebbero diventati elementi architettonici performanti, leggeri e durevoli. La libertà poi di dargli qualunque forma si volesse, garantendo contemporaneamente grande resistenza, aveva attirato molto la sua attenzione. Di certo dei pannelli in quel materiale gli sarebbero tornati utili per realizzare qualcosa di unico.
- Zio! Guadda! – lo richiamò la bambina, distraendolo dai suoi pensieri. Quando il giovane osservò ciò che la bambina gli mostrò, impallidì.
- Marmocchia pestifera! – esclamò irritato, sottraendo dalle grinfie della bambina i suoi poveri capelli, completamente aggrovigliati in una treccia fatta di nodi. Si era distratto solo un attimo e lei aveva agito indisturbata.
- InuYasha, non chiamare mia figlia marmocchia pestifera! - lo riprese la madre della piccola, appena rientrata in casa.
- Tua figlia “è” una marmocchia pestifera! Guarda i miei capelli, accidenti! – le mostrò, indignato, la treccia scomposta appena realizzata dalla piccola.
- Potevi pensarci prima di lasciarla libera di giocarci, non credi? -
- Non pensavo tua figlia avesse manie da parrucchiera psicopatica! -
- InuYasha! –
- E’ la verità. Sembra avere la mania di toccare i capelli di tutti. - borbottò infastidito, ricordando che non era la prima volta che accadeva.
- E’ interessata solamente ai capelli argentei come quelli del padre, che può farci? -
- Non tormentare i miei, ad esempio! -
- Oh santa pazienza! Un uomo grande e grosso come te che se la prende con una bambina di due anni. Sei ridicolo! -
- Tsè! Me ne vado a casa. Comprerò una bambola con i capelli bianchi a quella peste, così la pianta di sciupare i miei ogni volta che me la molli per uscire con le tue amiche! - iniziò a brontolare, prendendo le chiavi dell’auto e salutando con un gesto la sorella, che lo guardò rassegnata.
- Che zio burbero che hai, piccola Yura. Mi chiedo come riesca a sopportarlo la zia senza impazzire. - ridacchiò la ragazza, accarezzando la figlia, intenta a giocare col suo peluche preferito.
 
Appena arrivato a casa, si avviò verso il suo studio per lavorare. Era il suo giorno libero e avrebbe preferito passarlo con Kagome a fare qualcosa, ma lei quel giorno aveva un impegno improrogabile, così gli aveva risposto quando le chiese di rimandarlo. Rassegnato a restare solo a casa, aveva iniziato a lavorare sul nuovo progetto della SOM: un enorme centro commerciale nella prefettura di Kanagawa, nei pressi della capitale. Era riuscito ad ottenere un trasferimento in una delle sedi giapponesi, così da non doversi separare più né dalla sua famiglia né da Kagome, che aveva rifiutato di trasferirsi a New York, e lui aveva accettato quella decisione, pur di rimanere con la ragazza. Un po’ gli dispiaceva. Avrebbe preferito portare tutta la sua famiglia negli USA, ma a Kagome non era proprio piaciuta la metropoli newyorkese, nel breve periodo che vi si era trasferita con InuYasha, in attesa del trasferimento. Pazienza, si disse, avrebbe proseguito i suoi progetti anche lì in Giappone, l’importante era aver ottenuto il perdono della sua donna e aver ricominciato con lei una nuova vita, decisamente molto più soddisfacente della semplice fama.
- Sono a casa! Amore, ci sei? – lo chiamò Kagome, appena tornata.
- Sono nello studio! – rispose InuYasha, attendendo il suo arrivo.
- Sempre a lavorare? – lo riprese lei, raggiungendolo nello studio e sedendosi sulle sue gambe, per poi salutandolo con un bacio.
- Visto che ero solo, che altro potevo fare? –
- So che Rin ti aveva chiesto di badare a Yura. –
- Infatti è così, ma è tornata abbastanza presto. Tu, piuttosto, dove sei stata tutta la mattina? – le chiese curioso. La ragazza non aveva voluto dirgli che impegno avesse e questo lo infastidì un po’. Aveva fiducia in lei, ma non capiva il perché di tanto mistero.
- Sono stata da mio padre. – rispose lei sorridente.
- Tu che? – domandò sbigottito l’han’yō, che non sentiva più nominare quel mostro da tre anni.
L’unica cosa che sapeva di lui era che dopo l’allontanamento di Kagome da casa sua, la salute di quell’infame era andata via via peggiorando, tanto da costringerlo a ricoverarsi in una clinica privata, dove lo accudissero giorno e notte, poiché non c’era nessuno ad occuparsi di lui. Il destino lo aveva ripagato con la peggiore delle punizioni: la solitudine. Aveva tentato diverse volte di mandarle messaggi, tramite gli infermieri della clinica; le aveva più volte chiesto di fare pace, ma lei non voleva più saperne di lui.
- Ho saputo che la sua salute sta peggiorando, ha avuto problemi respiratori a quanto pare. – gli spiegò la ragazza.
- Vuoi far pace con lui per seguirlo nei suoi ultimi mesi di vita? – chiese il ragazzo, cercando di essere comprensivo. In fondo era pur sempre suo padre, anche se non lo meritava.
- Assolutamente no! Ha ucciso mio figlio e questo non glielo perdonerò nemmeno in punto di morte! Non sono andata a trovarlo per perdonarlo e occuparmi di lui. Ha un’infermiera che lo fa. – chiarì fredda. Forse avrebbe dovuto perdonarlo viste le sue condizioni, ma non ci riusciva. L’odio che covava dentro era maggiore della compassione. Lui ne aveva forse avuta per lei? No, questo si diceva, quindi nemmeno lui avrebbe avuto compassione dalla figlia.
- Allora che diamine ci sei andata a fare? – domandò perplesso.
- Sono andata a mostrargli questa. – disse, mostrandogli un oggetto, che riconobbe subito.
- L’ecografia? Perché sei andata a mostrargliela? Non ti chiederà mai perdono per nostro figlio. – le fece presente il giovane. Sapeva quanto quell’uomo detestasse i demoni, e non si sarebbe mai pentito di quel grave gesto, quindi era inutile tentare di farlo ragionare.
- Non è “quell’ecografia”. Guarda bene… - rispose lei, indicando col dito la data posta in alto.
- Ma… è la data di oggi. Aspetta, significa che… - chiese incredulo, guardando alternativamente l’immagine e la ragazza.
- Sono semplicemente andata ad informarlo che presto diventerà nonno di un piccolo mezzodemone, e stavolta nessuno me lo porterà via! – spiegò emozionata.
Quella mattina aveva appuntamento col ginecologo per fare un controllo. Aveva un lieve ritardo del ciclo, il che di per sé non era insolito, ma le nausee mattutine, che la accompagnavano appena sveglia da un paio di giorni, accesero in lei una piccola lampadina. Quando poi ebbe conferma ai suoi dubbi, si sentì talmente felice da voler andare a spiattellarlo in faccia al genitore, che non vedeva più da quando aveva deciso di tornate con InuYasha. Era stata una grande soddisfazione infierire a quel modo sul padre.
Appena entrata nella camera del genitore, fu accolta con un gran sorriso dall’uomo, che appariva notevolmente emaciato. Sul viso vi erano i segni della morte che presto sarebbe arrivata a reclamarne la vita. Non lo salutò nemmeno. La prima cosa che fece, invece, fu passargli il referto medico appena ricevuto dal medico. Quando il padre lo lesse, ebbe un mancamento; non la prese bene ovviamente. Nemmeno in quelle condizioni mostrava un po’ di umanità, né per lei né per il figlio, così, nonostante i medici fossero intervenuti per soccorrere l’uomo, lei uscì dalla stanza con l’animo sereno, noncurante delle sorti di colui che le aveva procurato solo dolore.
- E’ la notizia più bella che potessi darmi! Diventerò padre! Quasi non ci credo… un figlio! Il nostro bambino! – esclamò elettrizzato il ragazzo, abbracciandola forte. La voglia di avere un figlio, era scaturita in lui tre anni prima, al pensiero di quel piccolo mai nato e che mai avrebbe potuto conoscere. Da quel giorno non faceva altro che immaginare come sarebbe stato diventare padre, ma temeva di parlarne con Kagome. Non voleva riaprire vecchie ferite che ancora faticavano a rimarginarsi. Aspettava fosse lei a parlargliene, quindi la notizia di un bambino era arrivata del tutto inattesa.
- Finalmente avremo la nostra famiglia. – mormorò lei, con voce incrinata dal pianto.
- Non piangere tesoro, sono sicuro che il nostro bambino è felice per noi. – le disse comprensivo l’han’yō, asciugandole le lacrime e sperando di tranquillizzarla. Sapeva che non era facile per lei, perché avrebbe sempre pensato al passato, e anche lui, ma adesso c’era il loro presente da vivere.
- Piango perché sono felice. Nonostante tutto, adesso sono felice. Mi spiace per quel bambino e nessuno potrà sostituirlo ma… sono stata immensamente felice stamattina, quando il dottore me l’ha mostrato. Lo amo già tantissimo e sapere che è tuo figlio mi rende ancora più contenta. – ammise lei.
- Che intendi che sei felice sia mio? – domandò confuso il giovane.
- Se mi fossi sposata con Hojo suppongo avremmo avuto dei figli, e per quanto li avrei amati, essendo miei, non sarebbe stato lo stesso che saperli figli dell’uomo che amo. E’ un ragionamento contorto, lo so, però è questo che penso. –
- Per fortuna quel tipo è fuori dalla tua vita, quindi non pensiamoci più. Già sapere che ci andavi a letto, mi ha dato fastidio. Pensa ad immaginarti madre dei suoi figli! Un legame che non si può sciogliere. Mi vengono i brividi solo al pensiero. –
- Era il mio fidanzato e futuro marito. Perché ti da così fastidio? Era una cosa del tutto normale che avessimo dei rapporti intimi. E poi anche tu hai avuto i tuoi incontri, no? – gli fece presente.
- Vero, anche se non erano le mie fidanzate. Dopo di te non ho avuto storie, solo donne da una notte e via. – puntualizzò InuYasha.
- E non ritieni sia peggiore questo? Io stavo con un solo uomo, tu con chissà quante donne! – replicò contrariata. La infastidiva la gelosia insensata che aveva nei confronti del suo ex.
- Forse. Però, se avessi aspettato il matrimonio per concederti a lui, sarebbe stato meglio. Almeno non ti avrebbe toccato con un dito. Sono geloso. Che vuoi farci?! – rispose il ragazzo, tornando ad abbracciarla possessivo.
- La tua gelosia è uguale alla mia. Comunque ora non ha più importanza, l’anno prossimo ci sposiamo, quindi non pensiamo più a Hojo o alle tue amanti. Abbiamo qualcosa di meglio a cui pensare. – disse lei, sorridendo nel guardare l’ecografia, riportando così l’attenzione sul loro bambino.
- E’ vero. Ma a proposito di matrimonio… che ne dici di anticipare la data a prima che nasca il bambino? –
- Anticiparla? E perché? –
- Perché dopo che sarà nato, non potremo goderci il viaggio di nozze, no? Saremo impegnati tra pappe, pannolini e pianti nel cuore della notte. E poi… -
- E poi? –
- E poi voglio diventi mia moglie il prima possibile. Non ero d’accordo sull’attendere tanto, lo sai. –
- Non potevamo sposarci subito dopo essere tornati insieme. E se non fossimo andati d’accordo? E se non fossimo stati innamorati come la prima volta? Il matrimonio è una cosa seria InuYasha. Ho accettato solo quando sono stata pronta e sicura, te l’ho già spiegato. –
- Io non avevo dubbi che saremmo stati felici insieme, per questo ti avrei sposato subito. Ora che sei sicura di noi, non possiamo anticipare? –
- Non ti arrendi mai, vero? –
- Se lo avessi fatto, non saremmo qui a parlare di matrimonio, non credi? –
- E va bene, anticipiamo la data del matrimonio. – si arrese Kagome, lasciando la vittoria al suo compagno, che stava esultando dalla gioia.
In quel momento, però, fu felice di aver accettato quella piccola sconfitta, soprattutto per poter assistere alla felicità dipinta sul volto dell’uomo che amava da quasi tutta la sua vita; perché lei amava InuYasha da che ne aveva memoria, fin da bambina, dal primo giorno che la sua nuova amichetta Rin le aveva presentato il fratello. Quanti anni aveva? Undici? Dodici? Non lo ricordava. I suoi occhi brillavano ogni volta che lo osservava, sempre in cerca dei suoi lineamenti perfetti e delicati, tipici della razza demoniaca. Era affascinata da quel diciottenne che spesso dava loro ripetizioni di matematica e geometria. Spesso fingeva di non saper svolgere i suoi problemi di aritmetica per il puro piacere di averlo al suo fianco a spiegarle i vari passaggi da fare.
Lo amava. Lo amava con tutte le sue forze, e quell’amore non si era mai affievolito negli anni. Tuttavia, aveva paura che tutto potesse finire nuovamente, che InuYasha capisse di non amarla più, che le cose potessero andar male tra di loro, aveva paura di essere nuovamente lasciata, per questo non aveva voluto sposarlo subito. Le era servito del tempo per capire che, invece, era possibile ricominciare davvero tutto daccapo, che InuYasha la amava come e più di prima, che la loro vita insieme sarebbe stata meravigliosa, soprattutto adesso che era in arrivo un bambino.
Ora ne era davvero sicura: InuYasha l’avrebbe resa felice. Non sarebbe mai più andato da nessuna parte, e lei non avrebbe più vissuto nell’apatia, accontentandosi di sopravvivere e non di vivere appieno la sua vita, perché in fondo lo sapeva… non era vita, se non poteva viverla con lui.
 
 
 
 
 
Fine.
 
 
 


 
Credo sia doveroso spiegarvi alcuni passaggi che noterete mancano ^_^
Uno è la lite col padre di Kagome quando lei torna a casa. Perché non l’ho messa? Semplice, troppo banale, scontata nei dialoghi, che sarebbero stati più o meno così:
Papà Higurashi: Come puoi andartene con un lurido mezzodemone??? La nostra prestigiosa famiglia è bla bla bla patapim patapum patapam (sì l’ho rubata al padre di Taz Tazmania XD)
Kagome: Tu mi hai mentito, sei un padre pessimo! Ti odio! Ora vivo la mia vita. Ti considero morto, addio!
InuYasha: Da adesso ti renderò io felice, non piangere amore mio!!! *prode cavaliere che la stringe mentre lei è in lacrimucce T^T*
 
Beh… che noiaaaaa! Roba trita e ritrita (mi sembrava di imitare la Kagome di Vivo per Lei quando va via da casa, e io odio ripetermi) (Ok mi sono autoplagiata Black Diamond ma quella è un’altra cosa XD)

Altro punto mancante…Hojo. La loro conversazione sarebbe stata più o meno questa:
Kagome: Hojo io non ti amo. Il matrimonio era opera di mio padre. Amo un altro anche se sono venuta a letto con te. Addio!!!
Hojo: (opzione uno) Tu sei una sgualdrina che se la fa coi demoni! Vergognati e  mocciala ippi mokemoke saaa (era uno dei ridicoli incantesimi del principe Reid di Guru Guru: Il Girotondo della Magia XD ridevo ogni volta che lo usava XD)
Hijo (opzione due) Nooooo Kagomeeee perchèèèè… io ti amoooo! Ma ti capisco quindi stammi bene e non dimenticare di pestare le canne di bambù che fa bene alla salute!!
 
Insomma, credo che ci siamo capiti che si cadeva nello scontato anche qui XD
Stessa cosa per la visita di Kagome in ospedale. Quella sarebbe stata anche poco carina da descrivere ulteriormente. Non amo allungare il sugo dove capisco che non serve.
Spero non siate rimasti delusi dalla mancanza di fuoco e fiamme XD non volevo appesantire con giochini del padre o melodrammi inutili.
Grazie per il tempo dedicatomi e grazie davvero per le recensioni ^_^ sono felice di essere riuscita a finire questa storia, un po’ come se avessi superato un mio blocco mentale ^_^
Detto ciò… baci baci Faby <3 <3 <3 <3 

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