Dark Angel FF Version

di FREEDOMDARIA
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'Angelo nero ***
Capitolo 2: *** Adam Williams ***
Capitolo 3: *** Lupo solitario ***
Capitolo 4: *** Verrai a stare da me ***
Capitolo 5: *** Alla Sophie's cakes ***
Capitolo 6: *** Bacio ***
Capitolo 7: *** Mi serve il tuo aiuto! ***
Capitolo 8: *** Demoni ***



Capitolo 1
*** L'Angelo nero ***


Piccola premessa:
Sono nuova su efp e ho letto per caso una storia dell'autrice LoveStoriesInMyHead.
Mi è piaciuta così tanto che ho persato di trasformarla in una fan fiction, con il suo permesso ovviamente.
Detto questo, spero che vi piaccia e....BUONA LETTURA!
 
Era il mio primo giorno di scuola superiore. Ero eccitatissima al solo pensiero di conoscere gente nuova. Avrei voluto farmi molti amici e trovare il mio principe azzurro. Insomma, i soliti pensieri di una sedicenne.
"Sam credi che riuscirò a farmi degli amici?" chiesi alla mia migliore amica una volta raggiunta la London High School. Avevo faticato molto per andarci, i miei genitori erano molto contrari.
 
Qualche mese fa
"Mamma non puoi farmi questo!" le urlai.
"Tu partirai con noi e verrai in America. Ti piaccia o no!" ribatté.
"Papà dille qualcosa" chiesi aiuto.
"Piccolina ha ragione. Pensa a quanto sarà bello vivere lì. Farai tante amicizie ed andrai in una delle scuole più prestigiose di New York" provò a convincermi.
"Ma io non voglio andare. Io ho già Samantha e voglio andare nella sua stessa scuola!"
"Non se ne parla. Tu verrai" continuò decisa mia madre. "Tuo padre ha faticato molto per avere quell'aumento e adesso noi andremo con lui" disse indicando mio padre seduto sulla poltrona di velluto beige.
Ormai le lacrime avevano cominciato a bagnare le mie guance.
"Fatemi rimanere qui. Mi cercherò un appartamento vicino la scuola, uno di quelli per gli studenti. Farò la brava, prenderò ottimi voti, ma per favore, fatemi rimanere qui" tentai un'ultima volta.
"Tu sei pazza figlia mia" disse mia madre enfatizzando le sue parole con un gesto della mano.
"Isabella, ascoltami, Erika è molto responsabile. Sarà capace di cavarsela da sola. E poi c'è mio fratello a Londra. Potremo chiedere a lui di darle ogni tanto un'occhiata..."
Ah, era ora che qualcuno passasse dalla mia parte. Guardai con occhi pieni di speranza mia madre.
"Ti chiamerò ogni giorno e se combinerai qualche guaio verrò a prenderti personalmente" disse mia madre continuando con il suo atteggiamento da dura.
"Grazie, grazie , grazie" le saltai addosso cominciando a baciarla sulle guance.
*Fine flashback*
E così ero riuscita a trovare un appartamento abbastanza vicino alla scuola. I miei genitori mi mandavano ogni mese un assegno per poter pagare le rette della scuola e l'affitto, mentre il resto andava a me per fare la spesa o comprarmi vestiti e scarpe, la mia più grande passione.
"Io penso che ci riuscirai Erika" mi rispose sorridendomi.
"Lo spero" dissi camminando all'indietro verso il cancello dell'imponente scuola.
Un secondo dopo mi ritrovai a terra.
"Dove guardi idiota!" mi urlò un ragazzo mentre si rialzava da terra. Lo guardai per un attimo. Cavolo metteva paura. Aveva i capelli scuri e gli occhi, di un verde sinistro, iniettati di sangue. Potevo vedere un'aura oscura attorno a lui. Era spaventoso, ma estremamente bello.
"Sc-scusami. Non ti avevo visto" dissi cercando di mantenere la calma.
"Sta' più attenta. Non so se sarò così gentile la prossima volta" disse fulminandomi con lo sguardo e andando via.
Un brivido percosse il mio esile corpo.
"Erika tutto bene?" mi chiese preoccupata Sam mentre mi tendeva una mano per aiutarmi ad alzarmi.
"Si, sto bene" mi massaggiai il sedere per la forte botta.
"Dai entriamo" disse tirandomi verso la scuola.
"Purtroppo siamo in classi diverse, dobbiamo separarci. Ci vediamo dopo" mi salutò allontanandosi.
"Si, ciao" ricambiai con un gesto della mano.
Adesso ero sola, Sam era andata via e la cosa più importante da fare era farmi altre amiche. Ce la metterò tutta pensai motivata mentre aprivo la porta della mia classe.
"Piacere! Io sono Erika Brown" dissi entusiasta, ma nessuno ci fece molto caso.
La cosa mi demoralizzò leggermente, ma non mi buttai giù. Allora decisi di istaurare una conversazione con la mia vicina di banco.
"Ciao, io sono Erika" mi presentai mettendo su uno dei migliori sorrisi che riuscissi a fare.
"Ciao Erika. Il mio nome è Chanel" ricambiò la ragazza sorridendo. Wow è davvero bella! Pensai non appena la vidi voltarsi verso di me. Aveva i capelli mori e gli occhi azzurri. Aveva un portamento regale, sembrava una principessa. Io, a confronto, sembravo una delle sue serve. Era vestita molto bene. Indossava una camicetta bianca e una gonna a fantasia celeste, le stavano veramente bene quei vestiti.
"Ehi, ci sei?" mi chiese agitando la mano di fronte al mio viso.
"Scusami, mi ero distratta" dissi portandomi una mano dietro la testa.
"Ti avevo chiesto se eri di Londra" disse lei ridendo.
"Oh, si. Sono nata qui" risposi imbarazzata.
"Sei buffa. Mi piaci." Mi spiazzò con quelle parole.
L'unica persona che mi aveva mai detto quelle cose era Sam, finalmente avevo trovato un'altra ragazza che la pensasse come lei.
"Anche tu mi piaci" ricambiai sorridendo.
All'improvviso tutto il brusio in classe si bloccò di colpo. Smisi di parlare e mi voltai verso il resto dei miei compagni. Notai che guardavano tutti impauriti verso la porta. Curiosa, mi misi a guardare anch'io. Fece il suo ingresso un ragazzo, molto alto e con il cappuccio della felpa sulla testa, dal quale fuoriusciva qualche ciocca di capelli scuri ai lati.
"Guarda! Quello è Harry Styles" sentivo bisbigliare da alcune mie compagne. "Oddio fa paura, ma è così figo!" continuavano altre.
Inspiegabilmente, il cuore cominciò a battermi forte in petto. Mi era familiare, così attesi che si sedette per osservarlo meglio. Si tolse il cappuccio e rivolse uno sguardo all'intera classe.
"Chiudete la bocca!" urlò aggrottando le sopracciglia.
Lo riconobbi all'istante. Era quel misterioso ragazzo con il quale mi ero scontrata quella mattina.
"Cosa hai da guardare ragazzina?" mi sputò in faccia. Cavolo, mi ero imbambolata a pensare un'altra volta!
"Cosa? Tu lo conosci?" mi chiese Chanel.
"In un certo senso, ma non so molto di lui" dissi giocando con le mie mani per l'imbarazzo.
"Io gli ero amica una volta" disse mentre continuava a limarsi le unghie.
"Davvero? Raccontami di lui" la incitai eccitata.
"Non è sempre stato così, un anno fa era uno dei ragazzi più popolari della scuola e aveva molte ragazze che gli andavano dietro. Ma un giorno cambiò, cominciò a marinare la scuola e a prendere brutti voti, con la conseguenza che fu bocciato" mi spiegò.
"Eh? È più grande di noi?" chiesi sorpresa.
"Già."
"E tu come fai a conoscerlo?" la mia curiosità aumentava sempre di più.
"Era il migliore amico di mio fratello Niall" mi rispose alzando le spalle. "Come mai sei così interessata all' 'Angelo nero'?" chiese rivolgendomi un sorriso malizioso.
"Niente di particolare" risposi tornando seria.
Ripensai al suo soprannome: Angelo nero. La cosa mi fece ridere, gli si addiceva proprio, era perfetto per lui.
Ben presto cominciarono le prime ore di lezione e la ricreazione non tardò ad arrivare.
Dopo il suono della campanella afferrai il mio zaino e tirai fuori la mia merenda. Appoggiai i due cupcake sul banco e richiusi lo zaino appendendolo sullo schienale della mia sedia. Le mie compagne erano già uscite fuori dalla classe, io ero rimasta dentro. Avrei mangiato e dopo sarei andata da Sam a chiederle come aveva trascorso la mattinata. Ero da sola, be' non proprio, con me c'era l'Angelo nero, non che fosse una grande compagnia, ma era pur sempre un essere umano, credo.
Notai che non aveva mangiato niente. Possibile che abbia dimenticato la merenda? Così mi avvicinai a lui e gli porsi uno dei miei dolcetti. Non so cosa mi portò a farlo, un gesto impulso, non avevo pensato seriamente di offrirgliene uno, semplicemente ne avevo voglia.
"No grazie. Non mi piacciono le cose dolci" mi liquidò subito. Feci il giro del tavolo e mi misi di fianco a lui.
"Perché no? Sono buonissimi. Non ne vuoi assaggiare uno?" gli dissi avvicinando un cupcake alla sua bocca.
Mi afferrò il polso e lo allontanò dal suo viso. "Ti ho detto di no!" disse a denti stretti irrigidendo la mascella.
"Scusami" dissi alzando le mani in senso di arresa. "Lo lascio qui nel caso ci ripensassi" dissi poggiando il dolce sul suo banco. Uscii dalla classe e mi nascosi dietro la porta.
Si guardava intorno, di sicuro voleva accertarsi che me ne fossi andata. Afferrò il cupcake e lo addentò. Mi scappò una risata. Mi portai le mani alla bocca, non dovevo farmi scoprire. Faceva tanto il duro, ma alla fine era un ragazzo come tutti gli altri.
"Erika che fai?" mi interruppe la mia migliore amica.
"Sam mi sei mancata!" le dissi gettandole le braccia al collo.
"Come sei esagerata" cominciò a ridere.
"Siete rumorose. Date fastidio agli altri con i vostri schiamazzi da ochette" ci ammonì Harry passandoci vicino.
"Che ha quel ragazzo che non va?" chiese Sam infastidita.
"Niente, lascialo perdere" continuai a ridere.
 
***
 
Al suono della campanella, io e Sam, ci dirigemmo verso casa. La sua era molto vicina al mio appartamento, così ogni giorno percorrevamo la strada assieme. Era divertente passeggiare con lei, ogni sua parola suonava come battuta alle mie orecchie. Non riuscivo a trattenere le risate.
"Wow! La mia prima giornata da liceale è stata magnifica" dissi sbadigliando.
"Hai fatto amicizia?" sorrise Sam.
"Certo. Ho conosciuto Chanel, è davvero una tipa simpatica" la informai.
"Sono molto contenta" si congratulò baciandomi sulla guancia destra.
"E tu?"
"Ho parlato con un paio di ragazze della mia classe, sembrano tipe a posto."
"Sam, io devo andare di qua. Ci vediamo domani!" le dissi indicando una piccola via.
"Okay, ciao" ricambiò salutandomi con la mano.
Continuavo a saltellare, ero troppo contenta. La mia nuova e strabiliante vita mi aspettava ed io volevo raggiungerla a tutti i costi. Presto avrei trovato un fidanzato con il quale trascorrere i pomeriggi in giro per la città, o fare un giro sulla London Eye. Volevo godermi ogni singolo attimo della mia vita da teenager.
Il fatto di vivere da sola mi elettrizzava: non avevo orari, potevo fare quello che volevo, come una festa o un pigiama party con tutte le mie amiche. Certo, i miei genitori mi mancavano, ma col tempo ci feci l'abitudine.
Canticchiavo per la strada, mentre con la mano sinistra facevo roteare lo zaino. Londra era una città incredibile, con i suoi monumenti riusciva sempre ad affascinarmi. In un batter d'occhio arrivai dinanzi il portone del mio palazzo.
Inserii la grossa chiave, il portone si aprii e strisciai i piedi sullo zerbino, la signora Betty odiava se sporcavamo l'ingresso.
La signora Betty era l'amministratrice del condominio. Era una donna molto gentile e simpatica, ma dava molta importanza alla pulizia. Guai a chi entrava con le scarpe imbrattate di fango! L'ultimo che ebbe la sfortuna di non accorgersene era sparito. Chissà che fine abbia fatto.
Sospirai e cominciai a salire le scale. L'ascensore era di nuovo rotto e a me toccava salire le scale per ben cinque piani, una cosa da niente insomma. Con il fiatone finalmente arrivai davanti il mio portoncino. Presi il mio mazzo di chiavi e cominciai a provarle a casaccio nella speranza di trovare quella che potesse aprire la porta. Non riuscivo mai a riconoscerla, tutte le chiavi erano dannatamente uguali, avevo pensato parecchie volte di differenziarle, ma finivo sempre per dimenticarmene.
Aprii la porta ed entrai. Posai le chiavi sul mobile accanto ad essa e tolsi la giacca. Percorsi lo stretto corridoio ed andai in camera mia. Il letto era ancora disfatto e i vestiti erano sparpagliati in giro per la stanza, come se una bomba fosse esplosa all'interno del mio armadio.
Cercai di riordinare, a modo mio. Raccolsi tutti gli abiti e li rigettai nell'armadio così come li avevo presi da terra. Non sono mai stata una ragazza ordinata. Io nel caos ci trovavo la pace, stavo bene in mezzo al casino, al disordine. Sam mi prendeva per pazza. "Come fai a vivere qui? Sembra una discarica" mi disse una volta che venne a vedere casa mia. Sorrisi a quel pensiero.
Andai in bagno e mi sciacquai il viso, legai i miei capelli biondi in una coda ed andai in cucina. Almeno quella era in perfetto ordine. Il lavandino spendente, il piano cottura sempre ordinato e pulito e il frigorifero pieno dei miei cibi preferiti ordinati per tipo. La cucina era l'unico luogo in tutta la casa impeccabile e perfetto, sembrava quasi una di quelle che si vedono nei giornaletti che si trovano da IKEA.
Aprii il frigorifero e afferrai un piatto coperto con della carta stagnola. Mi avvicinai al forno a microonde e impostai il tempo sufficiente per riscaldare il pollo che avevo cucinato la sera precedente.
"Non è possibile!" sentii urlare dall'altro appartamento.
Le pareti erano molto sottili, quindi non era difficile ascoltare le conversazioni degli altri. Ogni tanto era una cosa positiva.
Nei pomeriggi d'estate, quando mi annoiavo mi mettevo ad origliare le conversazioni stravaganti della mia vicina, una donna single, che ogni sera portava a casa un uomo diverso per divertirsi, credo che abbiate capito il perché non sia sempre piacevole ascoltarla.
Ma quella volta non fu una voce femminile a parlare, bensì un ragazzo.
"A quest'ora i supermercati saranno già chiusi" lo sentii una seconda volta.
Guardai l'orologio, effettivamente erano già le otto di sera. Come vola il tempo quando cominciavo a pensare. Le lancette andavano avanti, ma io rimanevo ferma lì, in quell'universo parallelo, dove niente poteva ferirmi.
Una fitta al cuore bloccò il mio respiro per un attimo. Scossi la testa, come per mandare via quei brutti pensieri. Mi diressi verso la porta ed uscii di casa. Mi ritrovai davanti l'appartamento di quella donna e bussai. Solo dopo averlo fatto mi resi conto dell'assurdità del mio gesto. Mi avrebbe presa sicuramente per un'impicciona. Oh be', ormai il danno è fatto. Non posso mica scappare come quando si fa tra bambini. Attesi all'ingresso nervosa.
La maniglia si mosse e la porta si aprì. Rimasi sconvolta alla vista del viso del ragazzo.
Quante probabilità c'erano che proprio nel mio stesso condominio ci abitasse lui? E quante probabilità c'erano che fosse proprio il mio vicino di casa? Non molte, ma forse era il mio giorno fortunato, si fa per dire, ovvio.
"T-tu sei l'Angelo n-nero" balbettai pietrificata dinanzi a lui.
"Ancora tu! Ma cosa sei una stalker?" sbuffò fissandomi con i suoi bellissimi occhi verdi.
"No, ti sbagli. Sono solo venuta a vedere se stai bene" cominciai a dirgli. Il suo sguardo era troppo intenso, non riuscivo a guardarlo negli occhi.
"Va' via!" disse chiudendo la porta.
"Ho sentito che non hai cibo. Vuoi venire a cena da me?" dissi tutto di un fiato bloccando la porta con un piede.
Smise di fare pressione sulla porta ed uscì di casa.
Mi ricomposi e gli feci strada verso il mio appartamento.
"Siediti pure dove vuoi" lo invitai ad entrare.
Aprii un cassetto della cucina, tirando fuori una tovaglia, ed apparecchiai la tavola. Ogni mio spostamento, ogni mio movimento, ogni singolo gesto era seguito dai suoi occhi. Era piuttosto imbarazzante con un ragazzo del genere anche solo portarmi una ciocca di capelli, sfuggita all'elastico, dietro l'orecchio.
Il pollo era già fumante sulla tavola, così gli porsi le posate e cominciò a mangiare.
Mi sedetti di fronte a lui e gli chiesi:
"Da quant'è che non mangiavi qualcosa?"
"Da stamattina. Tu non mangi?"
Ripensai a quel cupcake, probabilmente si riferiva a quello.
"No, non ho molta fame" risposi. "Come mai vivi da solo?" mi azzardai a chiedere.
"Fatti miei" mi disse alzando la testa dal piatto per incenerirmi con lo sguardo.
Viva la simpatia! Decisi di rimanere in silenzio, da quel poco che avevo capito non era un tipo chiacchierone. Meglio così, non era che avessi molta voglia di parlare con lui, non si era ancora scusato per esser stato così scorbutico quella mattina. Il generoso e altruista gesto che feci nei suoi confronti fu solo per dimostrargli che ero una brava ragazza, tutto qua, non volevo mica passare più tempo con lui.
Finì di mangiare e si alzò, dirigendosi verso la porta. Una ragazza ti offre una cena e tu neanche ringrazi? Ma in che mondo vivi? Pensai vedendolo andare via. Feci per dirgliene quattro, ma di colpo si voltò.
"Questa mattina il cupcake non era male, ma continuo a preferire le cose salate. La prossima volta preparami un panino. Sarà di certo più gradito" disse con un sorriso.
Cosa era quello? Un sorriso? Da quella specie di demone? Avrò sicuramente visto male.
"Torna pure quando vuoi" gli urlai prima che chiudesse la porta. Ma che cavolo dico? 'Torna pure quando vuoi'... penserà che ci stia provando con lui. Spero che non abbia frainteso pensai mettendomi le mani tra i capelli.
Avevo un brutto presentimento.

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Capitolo 2
*** Adam Williams ***


“Erika, mi dispiace, ma credo che dovremmo lasciarci.”
“Cosa? Perché?”
“Credo di non averti mai amata veramente.”
“Quindi era tutta una bugia?”
“Andiamo piccola, non dirmi che non avevi capito che stavo con te solo per il tuo bel faccino.”
 
“Cosa? Ah, era solo un sogno, anzi un incubo” sospirai tirando fuori dal letto i miei piedi, seguiti poi dal resto del corpo. Ancora una volta avevo sognato quel momento. Quel giorno di due anni fa dove il mio ‘ragazzo’ mi aveva spezzato il cuore. Ormai non ricordavo più il suo viso, come ogni sua azione o parola rivolta nei miei confronti, l’avevo completamente rimosso dalla testa, ma quello che non riuscivo a dimenticare erano quelle parole. Quelle cattive parole che ogni notte venivano a tormentarmi, come se già tutto quello che avessi passato non fosse abbastanza. Spensi la sveglia, che aveva da poco cominciato a suonare, e mi diressi in cucina. Mi riscaldai del latte, presi delle fette biscottate dalla dispensa e mi sedetti su di uno degli sgabelli che circondavano  l’isola al centro della cucina. Inzuppavo nel latte un pezzo di fetta biscottata mentre osservavo il fumo creare ghirigori nell'aria per poi fondersi con essa. Sollevai per l’ennesima volta quella fetta e la portai alla bocca. Una gocciolina cadde sulla mia coscia nuda. Il calore si diffuse in tutto il corpo. Presi un panno e pulii il tutto. Finita la colazione mi diressi in camera mia per prepararmi al mio secondo giorno di scuola.
Misi le scarpe ed uscii di casa. Inchiavai la porta e mi preparai ad andare quando vidi aprirsi quella del mio nuovo vicino di casa.
“Buon giorno” mi azzardai a salutarlo.
“Ciao” disse.
Rimasi leggermente sorpresa dalla sua risposta. Sinceramente, non mi aspettavo neanche che mi guardasse in faccia, come invece fece. Magari mi stavo avvicinando allo spaventoso Angelo nero.
Scendemmo le scale assieme e, giunti al portone, premette il bottoncino sotto il contatore elettrico, aprendolo al suono di un fastidioso ronzio. 
Stavo per chiedergli se gli andasse di fare la strada insieme, quando lo vidi voltarsi dalla parte opposta, cominciando a camminare.
“Dove vai? La scuola è dalla parte opposta” gli urlai, ormai troppo lontano per potergli parlare ad un volume più basso.
“Ho da fare. Ci vediamo a scuola” disse voltandosi e sorridendo.
Questa è la seconda volta in due giorni. Magari la prima volta ho visto male, era sera ed ero molto stanca, ma oggi? È giorno e c’è molta luce. Questa volta non ho dubbi: mi ha sorriso.
Trascorsi un piccolo tratto  da sola, per poi incontrarmi con Sam davanti alla Sophie’s cakes, una delle mie pasticcerie preferite.
“Buon giorno Sam!” esclamai non appena la vidi attraversare la strada.
“Buon giorno anche a te” ricambiò abbracciandomi.
Iniziammo a camminare fianco a fianco, raccontandoci cosa avevamo fatto dalla sera prima fino a pochi minuti fa. Ci sentivamo ogni giorno e nonostante questo avevamo sempre qualcosa su cui parlare.
“E quindi mio padre cominciò a dirmi che non potevo più uscire con il mio ragazzo” iniziò a blaterale copiando i gesti del padre “E’ troppo grande per te” disse imitando la sua voce. “L’ho mandato a quel paese alla fine, io amo Luke. È questo l’importante, vero?” chiese alla fine ricordandosi della mia presenza.
“Si, hai fatto bene” le risposi. Anche se non ero completamente d’accordo con lei. Appoggiavo la sua storia d’amore, ma quel ragazzo era davvero troppo grande, era già al primo anno di università!
“Erika!” mi urlò tirandomi verso il muro. “Accidenti quella macchina stava per metterti sotto!” mi ammonì. “Devi stare più attenta.”
“Scusami, mi ero distratta” mi giustificai rigirandomi i pollici.
“Dai non preoccuparti. L’importante è che tu non ti sia fatta male” mi disse sorridendomi.
Le sorrisi di rimando ed entrai a scuola.
Attraversai un lungo viale alberato e varcai la soglia dell’ingresso. Arrivai in classe e presi posto nel mio banco accanto a Chanel. Harry non era ancora arrivato.
Chissà dove sarà andato. Spero solo che arrivi in tempo per la campanella.
Avevo appena formulato quella frase nella mia mente, quando lo vidi entrare e sedersi, proprio ad un banco di distanza da me.
“Buon giorno ragazzi” disse un uomo entrando in classe. Ricambiammo il saluto e tornammo seduti.
“Bene, mi presento. Io sono Adam Williams” scrisse il suo nome a caratteri cubitali sulla lavagna “e sarò il vostro professore di biologia. Spero passeremo un magnifico anno insieme” disse sorridendo all'intera classe.
Era estremamente giovane, anche troppo. Come faceva ad essere già un docente?
Aveva i capelli castani e degli occhiali a coprirgli degli occhi azzurri da mozzare il fiato. Era molto alto e slanciato, e il suo sorriso, oh quel bellissimo sorriso, era qualcosa di stupendo. Mi sembrava un angelo, l’Angelo che mi avrebbe portata in Paradiso.
“Avete domande da pormi?” chiese poi sfregandosi le mani.
Istintivamente alzai la mano. Strano, non ero di certo il tipo di ragazza da compiere un gesto del genere, non mi piaceva essere al centro dell'attenzione.
“Si?” mi indicò, incitandomi a parlare.
“L-lei non è troppo giovane per essere un professore?” osai a chiedere.
“Beh, effettivamente, sono molto giovane. Questo è il mio primo anno dall'altro lato” cacciò una leggera risata “sono stato solo molto determinato e ce l’ho fatta molto presto” disse soddisfatto. Annuii leggermente e tornai ad essere la solita ragazza silenziosa.
“Qualcun'altro vuole chiedere qualcosa?”
Seguirono svariate domande, la maggior parte proposte dalle ragazze. Era un bel uomo, aveva fatto sicuramente breccia nel cuore di tutte, persino nel mio.
“Signorina Brown vorrei parlare con lei al termine delle lezioni” disse rivolgendomi quei due ritagli di cielo che si ritrovava al posto degli occhi.
“C-certo professore.”
Di cosa vorrà parlarmi? Pensai mentre continuavo a fissare il suo ipnotico sguardo, rivolto, però, alle figure nelle pagine del libro di biologia. Invidiai per un momento quell'ammasso di fogli perché poteva essere osservato e sfiorato dalle sue mani.
Finalmente quella stramaledetta campanella si decise a suonare e potei andare da lui per sentire quello che aveva da dirmi.
“Mi dica professore” appoggiai le mani sulla cattedra, dove era seduto a sfogliare una di quelle riviste per intellettuali. 
"Mi sono documentato sui miei studenti" chiuse la rivista e mi guardò negli occhi "e ho notato che lei ha vinto ben tre concorsi a sfondo scientifico nella sua precedente scuola" sollevò i lati della bocca in un sorriso da togliere il fiato "Sarà un piacere passare un anno in sua compagnia" disse incontrando il mio sguardo per la seconda volta. 
"G-grazie. Il piacere è tutto mio" dissi arrossendo. 
Cavolo ha detto che sarà un piacere stare con me per tutto l'anno. Intendeva che gli piaccio? Che mi trova interessante? 
Molte domande attraversavano la mia mente, ma non osai condividerle con lui. Mi avrebbe presa sicuramente per una perfetta ragazzina in crisi ormonale! 
***
La ricreazione arrivò e con essa anche il momento di consegnare a Harry la sua merenda. Dopo quella sera, avevo cominciato a pensare quale salume gli piacesse o quale formaggio preferisse. Mi aveva solo detto che avrebbe voluto un panino, niente di più. Nell'incertezza scelsi un classico: prosciutto e provola.
"Ecco il tuo panino" dissi con un sorriso mentre gli poggiavo quella pagnotta sul banco.
"Oh bene, avevo fame" disse togliendo la carta stagnola che lo avvolgeva completamente.
"Potresti almeno ringraziare" dissi irritata dalla sua continua mancanza di buona educazione.
"Perché dovrei?" alzò le spalle e diede un primo morso al panino "Non ti ho mica ordinato di farlo" farfugliò con la bocca piena. A quel ragazzo servivano proprio un paio di lezioni di buone maniere, a quanto pare.
Era vero, non lo aveva fatto, eppure sentivo il dovere di farlo. Non ci avevo pensato molto, glielo avevo preparato e basta. Ogni mio gesto, ogni mio pensiero legato a lui non aveva un perché, non era che non lo volessi ammettere, il perché continuavo a stargli accanto non lo sapevo neanche io. Sentivo che qualcosa mi teneva legata a lui, una piccola parte di me aveva bisogno di lui e io dovevo trovarla, per poterla distruggere. Non volevo avere niente a che fare con lui, ma, nonostante questo mio pensiero, non riuscivo a stargli lontana.
"Erika!" sbuffò Sam. "Uffa non mi stavi ascoltando di nuovo" continuò mettendo il broncio.
"Mi dispiace."
"Erika cosa hai? Ti vedo strana. Va tutto bene?" cominciò a riempirmi di domande. 
"Si, sto bene" farfugliai massaggiandomi le tempie. "Oggi è venuto un nuovo professore nella mia classe. È molto carino" cercai di cambiare discorso.
"Davvero? Descrivilo" si eccitò Sam.
"Beh, si chiama Adam Williams  ed è davvero giovane. Ha un paio di occhi pazzeschi!" dissi sognante "penso di essermi innamorata" arrossii. “Ha voluto parlare con me dopo le lezioni” dissi coprendo le mie guance con il colletto della giacca.
"Sei sempre la solita!" esclamò cominciando a ridere.
 
Aprii la porta e la richiusi alle mie spalle. "Sono a casa" dissi appendendo la giacca sull'appendiabiti. Sono proprio una stupida, non mi sono ancora abituata del tutto a vivere da sola pensai sorridendo con un filo di malinconia.
Il telefono squillò e mi precipitai a rispondere.
"Pronto?"
"Erika, sono mamma. Come va?"
"Tutto bene qui. New York è bella come si dice nelle riviste?"
"È bellissima, sei sicura di non voler venire?"
"Mamma, qui va alla grande e non penso di volermene andare" le dissi decisa.
"D'accordo. Allora ci sentiamo" mi salutò.
"Bye bye."
Riattaccai ed andai nell'atrio per recuperare lo zaino, che avevo lasciato per terra, prima di rispondere a mia madre. Tirai fuori i libri e il diario. Era ancora il secondo giorno e già i professori avevano assegnato dei compiti.
"Per domani ho storia, matematica e biologia" dissi quest'ultima materia sospirando, quel professore era davvero un sogno, e appoggiai i libri sul tavolo della cucina.
Andai in bagno e mi spogliai. Avevo bisogno di un po’ di tranquillità e l’unico modo di trovarla in fretta era fare una doccia calda. Spostai le ante scorrevoli ed entrai, prima con un piede, tastando la temperatura, e poi con l’altro. L’acqua era al punto giusto, né troppo calda né troppo fredda. Mi sistemai sotto il getto e lasciai che mi bagnasse interamente, da capo a piedi. L’acqua mi scorreva sul viso, sulle spalle, lungo tutta la schiena. Respiravo profondamente, volevo trovare la pace. Chiusi gli occhi e lasciai che tutta la tensione fluisse via. Sentivo la mia mente farsi più leggera, stavo raggiungendo la mia tranquillità.
DLIN DLON.  A quel suono sobbalzai. Sbuffai, possibile che non riuscivo a stare serena neanche a casa mia?! Uscii dal bagno con indosso un accappatoio e un asciugamano sulla testa. Mi precipitai alla porta. Mi alzai sulle punte dei piedi e guardai l'esterno attraverso lo spioncino. 
"Harry che ci fai qui?" esclamai.
“Sono venuto per la cena” disse fissando lo spioncino. I nostri occhi si incontrarono.
Eh? Mi ha presa sul serio?
“Ho appena finito di fare la doccia, potresti aspettare un attimo fuori?” chiesi imbarazzata. Meno male che non riusciva a vedere il mio viso, era rosso come un peperone.
“Okay” rispose.
Mi precipitai in camera mia ed aprii il mio armadio. Dopo cinque minuti netti tornai alla porta e gli aprii.
“Era ora” borbottò passandomi davanti e sedendosi sulla sedia in cucina.
Non risposi, non volevo litigare per una sciocchezza del genere.
Infilai un grembiule e cominciai a cucinare. Avevo una gran voglia di spaghetti al pomodoro. Non era proprio un piatto anglosassone, ma era davvero gustoso. Due anni fa ero stata in Italia a trovare la mia nonna paterna. Eh si, ho origini italiane. Mi dicono spesso che ho i lineamenti mediterranei. Gli occhi li ho presi da mio padre, infatti sono marroni, mentre i capelli, biondi lucenti, li ho ereditati da mia madre, inglese al cento per cento. Quando andavo da mia nonna, mi faceva assaggiare tutti i piatti tipici del posto. I miei preferiti erano la pizza e gli spaghetti. Per quella sera optai per quest'ultimi, così cominciai a prepararli. 
“Ti piacciono gli spaghetti?” gli chiesi.
“Andranno bene” disse sfilandosi la felpa, rimanendo solo in canottiera.
“Non hai freddo?” chiesi imbarazzata alla vista dei suoi bicipiti scolpiti alla perfezione.
“Sono bello vero?” disse fissandomi dritto negli occhi.
“Ma cosa dici?” ribattei voltandomi di scatto verso la cucina.
Cazzo se n’è accorto! Quanto odio questo ragazzo!
“Renditi utile almeno.”
“Cosa vuoi che faccia?” chiese.
“Apparecchia la tavola” dissi indicandolo.
“Okay.”
Fece come gli avevo chiesto e, dopo un po’, gli servii la sua porzione di spaghetti.
Mi sedetti anch'io e cominciai a mangiare.
“Come mai vivi da sola?” mi chiese di colpo.
“Fatti miei!” risposi facendogli la linguaccia.  Fece una smorfia e continuò a mangiare. Ah ah! Non è piacevole essere trattati così vero? Beh, occhio per occhio, dente per dente amico mio.
Terminai la mia porzione  e mi spostai nella parte opposta del tavolo, dove avevo lasciato i miei libri. Cominciai a sfogliarli svogliatamente.
Ben presto cominciai a non capirci più niente, era troppo complicato per me. Formule, numeri, frazioni, tutte cose troppo difficili ed inutili per me. A cosa serve nella vita saper fare le espressioni con le potenze? A niente, e ancora non capisco perché continuino ad insegnare certe cose a scuola. Un male alla testa aveva iniziato a tormentare la mia povera mente.
“Hai bisogno di aiuto?” mi chiese alzandosi e venendo verso di me.
“N-no, ce la faccio da sola.”
“Si vede lontano un chilometro che non ci capisci niente” disse sarcastico.
“Ti permetto di aiutarmi” mi arresi.
Rise ancora più forte e si sedette accanto a me. E' vicinissimo! Riesco a sentire il suo profumo. Spero sia una cosa veloce, non penso di resistere a lungo.
“Allora devi moltiplicare questi e poi dividere per questo” mi spiegò indicando le cifre scritte sul mio quaderno. Non feci molto caso alla sua spiegazione, ero occupata a fissare i suoi occhi. Istintivamente gli sollevai un ciuffo di capelli, che gli copriva tutta la fronte, per poterli ammirare meglio.
“Dovresti portarli tirati sai? Ti stanno molto bene” dissi in un sussurro.
Lo vidi arrossire leggermente, ben presto lo feci anch'io. Che mi prende quando sono con lui? Non mi riconosco proprio!
“Smettila!” disse spostando la mia mano dai suoi capelli castani. “Hai capito come devi risolvere quest’espressione?” chiese alla fine.
“S-si, ho capito tutto. Spieghi molto bene” gli dissi con un sorriso.
“Sei proprio una stupida” si alzò e andò alla porta.
“Cosa?” chiesi irritata.
“Buona notte Erika.”
Mi sorrise e sparì dietro la porta.
“Buona notte” sussurrai. 

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Capitolo 3
*** Lupo solitario ***


Harry's pov
Aprii gli occhi e sospirai alla vista di una foto incorniciata sul mio comodino. Devo toglierla pensai mentre la giravo levando su di me gli sguardi dei miei genitori.
Mi alzai dal letto  barcollando verso il bagno. Erano le 7:13 quando andai in cucina per prendere un boccone. Di solito non facevo la colazione, ma quella mattina mi sentivo estremamente debole. Mi diressi verso la porta, infilai la mia giacca ed uscii. Da quando zia Katy era partita per la California e mi aveva lasciato l’appartamento, continuava comunque a pagare l’affitto. Dopo tutto quello che era successo negli ultimi mesi, aveva deciso di cedermi la casa, visto che nella mia non avevo nessuna intenzione di viverci. Era una persona parecchio strana e folle, ma le volevo molto bene. Quando suo fratello, mio padre, abbandonò mia madre per un’altra donna, lei continuò a starci accanto. Confortò mia madre e mi aiutò a crescere nel miglior modo. All'apparenza poteva sembrare una donna superficiale, ma sotto sotto nascondeva un gran cuore.
Un secondo dopo aver richiuso la porta, vidi spuntare fuori Erika, la mia vicina. 
“Buon giorno” la salutai per primo.
Mi sorrise leggermente. “Buon giorno.”
Quella mattina indossava una gonnellina a fiori ed una canottiera azzurra, in tinta alla fantasia della stoffa che le copriva le gambe fino al ginocchio. I capelli biondi le cadevano morbidi sulle spalle e una treccina circondava la sua chioma, come una piccola coroncina. Fino a quel momento avevo pensato che la ragazza più bella della scuola fosse Chanel, la sorellina del mio ex migliore amico, ma quando il primo giorno di scuola la vidi, mi dovetti ricredere.
“Anche oggi vai a fare le tue cose?” mi chiese con un sorriso.
“Si” dissi solamente.
I suoi occhi andarono sul pavimento, per poi tornare a fissare i miei.
“Okay” si era voltata e cominciò a camminare “non ritardare” mi disse. Anche se era di spalle, ero sicurissimo che nel pronunciare quella frase lei sorridesse. Ne ero certo.
Andai alla stazione e presi la metro. Ben mi starà sicuramente aspettando pensai mentre risalivo le scale che mi avrebbero riportato in superficie.  Ero diretto in ospedale. Fortunatamente era abbastanza vicino e in pochi minuti ero già dinanzi alla porta della sua camera. Aprii la porta e subito venni travolto dall'entusiasmo di Ben.
“Ciao fratellone!” mi urlò non appena mi vide.
“Ehi ometto” lo salutai arruffandogli i capelli.
“Come va a scuola?” mi chiese eccitato.
"Tutto a posto, tu come stai?" gli risposi sedendomi accanto a lui sul lato del letto.
"Bene. Questa mattina mi hanno fatto un prelievo, ma io non ho pianto" mi disse orgoglioso sollevandosi la manica del suo pigiama per farmi vedere il cerotto sul suo braccio.
Sorrisi apertamente. "Sei grande ormai."
"Già" continuò fiero.
Ben era malato dalla sua nascita, però la cosa si aggravò all'età di cinque anni, quando ebbe il primo attacco cardiaco. In quell'occasione mia madre non sapeva cosa fare, era nel panico. Continuava ad urlare ed a stringere Ben tra le sue braccia, paralizzata dal terrore, non pensando minimamente di chiamare l'ambulanza. Fui io a farlo, salvando la vita a mio fratello.
Da quel primo attacco, non poté più uscire dall'ospedale. Era dura vederlo rinchiuso dentro quelle quattro mura bianco latte senza avere la possibilità di esplorare il mondo.
Mia madre piangeva ogni giorno, era caduta in depressione. Non si occupava più della casa, aveva lasciato il lavoro e stava rintanata nella sua stanza attorniata dalla tristezza e dalla paura di perdere Ben.  Cominciò a fare uso di farmaci. Calmanti e sonniferi erano diventati all'ordine del giorno. Ormai non poteva più farne a meno,  si era completamente assuefatta.
Io cercavo di starle accanto, ma lei mi respingeva. Diceva che era tutta colpa sua se Ben non avrebbe potuto vivere una vita al massimo. Una volta la sorpresi a tagliarsi. La trovai seduta accanto al water con le cosce e gli avambracci sporchi di sangue. Piccole gocce scorrevano dalle ferite lungo il polso, fino al gomito. Non capivo la motivazione del suo gesto. Perché avrebbe dovuto farsi del male? Non avrebbe di certo guarito Ben. Allora perché?
Mia madre non era quella. Lei era una donna forte e solare, ma il tempo l'aveva cambiata. Ormai non rideva più, i suoi occhi erano spenti. Mia madre era scappata, rimpiazzata da un'altra persona, incapace di provare qualsiasi emozione, persino il dolore. 
"Harry che hai?" Mi chiese Ben, guardandomi con aria interrogativa.
"Niente. "
Ogni volta che pensavo a mia madre o ai suoi ultimi anni di vita una grande disperazione mi assaliva. Avevo i sensi di colpa per la sua morte. Se solo le fossi stato più vicino o semplicemente le avessi impedito di saltare, forse adesso sarebbe ancora viva. 
Ora Ben ha solo me, ed io ho solo lui. Ma, anche se non la vedevo, sapevo che mia madre era lì, seduta accanto alla finestra a vegliare su di noi.
"Sei triste?" Continuò a preoccuparsi.
Ben era sempre stato un bambino speciale, era perfetto.  All'asilo tutti i suoi compagni gli volevamo bene. Quando la malattia si aggravò e dovette abbandonare la scuola, tutti i suoi amici lo venivano a trovare in ospedale, anche solo per non fargli dimenticare che gli vogliono bene.
Mi accorsi solo in quel momento di una lacrima, che aveva già lasciato il mio occhio, attraversando la mia guancia.  L'asciugai velocemente e lo rassicurai.
"Ma che dici? Io sto benissimo" dissi con voce leggermente tremante.
Annuì, ancora un po' perplesso, ma capì il mio desiderio di cambiare discorso. 
"Ora è meglio che vada" mi alzai e andai verso la porta. 
"Okay" disse dispiaciuto. "Tornerai domani?" chiese con occhi pieni di speranza. 
"Certo" gli sorrisi. 


***


"Buon giorno ragazzi!” irruppe in classe il professor Williams. “Avete studiato?” chiese togliendosi il cappotto e poggiando la sua valigetta di pelle nera sulla cattedra.
Smorfie di dissenso nacquero sui volti dei miei compagni, tranne uno:
Erika aveva il viso disteso, tranquillo, con nessun filo di paura nei suoi occhi, brillanti e pieni di vita. Adam Williams si dispose davanti a noi, facendo correre lo sguardo da un viso all'altro, alla ricerca di una vittima.
I suoi occhi si soffermarono più a lungo verso la direzione di Erika. Aveva la testa china, guardava il suo quaderno, già pieno di appunti e scarabocchi vari.
“Signorina Brown che ne dice di introdurre lei l’argomento?” disse mettendo su uno dei suoi finti sorrisi.  
Erika si alzò di scatto, un’espressione di imbarazzo sul viso. Sorrideva apertamente mentre ripeteva quello che la sera prima aveva studiato.
Il signor Williams l’ascoltava, ma qualcosa nel suo sguardo mi faceva intuire che non fosse davvero interessato a quello che lei stava dicendo.
“Molto bene signorina Brown. Può sedersi" disse alla fine.
Erika tornò al suo posto con un espressione compiaciuta in volto. 
"Per oggi va bene così. La prossima settimana sentirò qualcun'altro" continuò aprendo il registro. 
Iniziò a spiegare qualcosa che riguardava la suddivisione in classi degli esseri viventi, ma non ero molto attento. Non potei fare a meno di osservare Erika ascoltare rapita ogni singola parola che usciva da quelle viscide labbra. 
Mi guardai intorno e notai che tutte le mie compagne avevano in volto lo stesso ghigno sognante che aveva Erika. Cosa vedono in lui non lo capirò mai pensai infastidito dal successo del professore con le ragazze.


Le due ore successive passarono in fretta e potei alzarmi da quella scomodissima sedia in legno.
La campanella era già suonata, ma lei rimase seduta a sfogliare un libro. 
"Cosa leggi?" Le chiesi avvicinandomi.
Non mi rispose, non credo mi abbia sentito. Evidentemente era così immersa nella lettura che non aveva neanche fatto caso alla mia presenza. "Erika?" Poggiai una mano sulla sua spalla. 
Ebbe un sussulto a quel contatto.
"Oh, scusami, non ti avevo sentito" si giustificò arrossendo. 
Indicai il libro con lo sguardo. 
"L'Accademia dei vampiri" mi informò sorridendo.
“Oh” esclamai sorpreso. Non la facevo tipa da fantasy.
“Lo conosci?” chiese chiudendo il grosso libro.
Scossi la testa in senso negativo. “No, mi dispiace.”
“Oddio scusa!” esclamò all'improvviso. “Stai aspettando la tua merenda” prese il suo zaino e vi tuffò una mano dentro, tastando il suo fondo.
Mi scappò una leggera risata a vederla agitarsi in quel modo.
“Ecco” mi porse il panino.
“G-grazie.”
***
Le lezioni terminarono e finalmente potei tirare un sospiro di sollievo.
“Erika torni a casa con Sam?” sentii dire alle mie spalle. “No, oggi lei è assente. Dovrò tornare a casa da sola.”
Guardai fuori dalla finestra. Ormai il sole era calato, stava scomparendo dietro le colline, infuocando il cielo.
“Verrà con me” dissi ancora voltato.
“Cosa?” ribatté Erika.
“Abitiamo nello stesso palazzo, dovremo fare lo stesso la strada assieme” spiegai.
“Bene, allora. Io vado” si congedò Chanel.
“Ti aspetto al cancello” le dissi andando alla porta.
“Va bene.”
Non era da me, non era assolutamente da me. Ero diventato un ragazzo chiuso, solitario, semplicemente non mi piaceva più stare in mezzo alla gente. Allora perché le avevo proposto di andare a casa insieme?
 Per un attimo ripensai al vecchio me stesso, quello che non si sarebbe fatto scrupoli ad invitare una ragazza a cena fuori o a chiedere il suo numero. Quello che sorrideva per ogni piccola cosa, che rideva e scherzava con i suoi amici. Mi piaceva stare con loro, io ero quello più divertente, simpatico e bello del gruppo. Ero visto come il più importante, il capo. Colui che chiamavano per risolvere qualunque problema. Se avessi dovuto identificarmi in qualche animale sarebbe stato il lupo, l’alfa per l’esattezza. Presto, però, persi il mio ‘branco’, tutti mi abbandonarono e divenni un lupo solo, un omega. Senza di loro mi sentivo perso. Un lupo senza branco non è niente, può essere soggetto a continui attacchi da parte di altri, o persino essere ucciso. Be’ io ero morto, socialmente intendo. Quindi sì, io ero proprio un lupo.
"Andiamo?" mi disse risvegliando dai brutti ricordi. 
"S-si" balbettai confuso.
Cominciammo a camminare. Una leggera brezza autunnale giocava con i suoi capelli biondi. Le foglie dai colori caldi cadevano leggiadre a terra. Ad ogni passo si sentiva uno scricchiolare di foglie secche. Mi piaceva molto l'autunno. 


"Ti piace proprio l'insegnante di Biologia, vero?" sputai all'improvviso. 
Si fermò di colpo, si voltò e mi guardò con aria scioccata.
"Cosa ho detto di male?" alzai le spalle.
"Oh, niente. Comunque si, mi piace" disse tornando a camminare. 
Quella risposta mi irritò leggermente, ancora non sapevo il perché ma volevo scoprirlo. 
" I dolci più buoni li abbiamo solo noi!" sentimmo urlare da un venditore ambulante.
I suoi occhi si illuminarono, era ovvio che volesse mangiare un dolce. Vedevo quando l'allettasse l'idea di addentare quei profumatissimi bignè, ma non mi chiese niente, neanche un semplice 'me ne compri uno?' 
"Vuoi mangiarlo?" le chiesi rompendo il silenzio.
"Posso?" mi guardò con occhi sognanti e le gote rosse per il freddo. 
"Se ne vuoi uno, posso compratelo" dissi arrossendo.
Mi sorrise e i suoi occhi si illuminarono di una luce mai vista fin ora. Era bellissima. 
"Grazie mille" esclamò non appena le porsi il dolcetto.
Nel piccolo contatto che si venne a creare tra di noi, non potei far a meno di notare che aveva le mani fredde. 
"Vuoi i miei guanti?" le dissi fissandola negli occhi.
"Oh no. Prenderai freddo" rispose premurosa. 
"Su mettili e fammi fare il mio lavoro" ribattei secco togliendomi i guanti. 
Le scappò una risatina. "E quale sarebbe il tuo lavoro?" chiese alla fine con un sorriso malizioso sulle labbra.
"Be’ tu sei una ragazza, è mio compito, in quanto ragazzo, proteggerti" cercai di spiegare. 
La vidi arrossire e nascondere un'espressione soddisfatta, nata dalla mia risposta, dietro la sciarpa. 
Vederla sorridere, in quel momento, fu la cosa più bella del mondo.
Eravamo appena arrivati quando mi accorsi di un messaggio sul mio cellulare:
Da Coraline: Ho bisogno di vederti
Da quando l'avevo lasciata non aveva smesso di assillarmi con i suoi continui messaggi.  Mi aveva tradito con il mio migliore amico e adesso pretendeva che io la perdonassi? No, assolutamente no!
A Coraline: Io e te non abbiamo più niente di cui parlare
Le risposi a tono, ma un semplice messaggio non riusciva a trasmettere tutto il mio disprezzo per quella ragazza.


"Tutto bene?" mi chiese preoccupata mentre salivano le scale.
Evidentemente aveva notato un’espressione corrucciata sul mio volto.
"Si" risposi freddo.
Coraline riusciva a cambiare il mio umore all'istante. 
Erika mi poggiò una mano sulla spalla. "Sicuro?" insistette.
I suoi occhi mi penetrarono, come sottili lame si conficcarono nel mio cuore e nella mia mente.
Di colpo tornai calmo, rilassato. Il tempestoso mare all'interno del mio cuore si trasformò in una placida acqua di palude, piatta e calma.
Magari Erika era la medicina a quella sensazione orribile che puntualmente veniva a martellarmi.
Arrivammo davanti alla porta del suo appartamento e mi invitò ad entrare. 
Poggiammo i nostri cappotti sull'appendiabiti.
La giornata era stata molto pesante, né io né lei avevamo voglia di metterci ai fornelli. Decidemmo di ordinare una pizza, da dividere visto che non avevamo molta fame.
“Io vado a mettermi qualcosa di più comodo della divisa scolastica” mi disse allontanandosi verso il corridoio.
“Okay” rimasi seduto sul divano a sorseggiare una lattina di coca-cola. Osservai i suoi mobili, c’erano così tante foto sue e dei suoi familiari. Sorrideva in tutte, ma una in particolare mi colpì. Mi piacque così tanto che non ci pensai due volte a prenderla e metterla nel mio portafoglio. Il suo viso mi rendeva felice e volevo averlo con me ogni singolo momento.
Feci in fretta, stando attento che non spuntasse da dietro l’angolo. Non volevo di certo che mi prendesse per un pazzo pervertito. 
Posai appena in tempo il portafoglio nella tasca destra dei mie pantaloni quando la vidi fare il suo ingresso in soggiorno con indosso un sotto-tuta e una felpa. Le ragazze con la tuta, di solito, non sembrano sexy. Allora perché lei sembrava così attraente ai miei occhi?
Stavo per dirle qualcosa di imbarazzate, ma il campanello mi impedì di fare una figuraccia.
Era il fattorino che ci consegnava la nostra pizza. Era un ragazzo alto e magrolino, dai capelli biondi e gli occhi color ambra. Alla vista di Erika un sorriso da ebete fece capolino sul suo viso.
“Grazie e arrivederci” dissi seccato afferrando la pizza.
 Gli porsi i soldi e richiusi la porta, prima che cominciasse a sbavare dinanzi a lei.
“Tsk” sospirai appoggiandomi al muro. Mi dava terribilmente fastidio che chiunque la vedesse cominciasse a fissarla ed adorarla, come fosse una dea.
“Potevi essere più gentile” mi rimproverò. “Ci avrà preso per maleducati.”
“Oh credimi, quel tizio non ha neanche capito cosa sia successo” dissi portando la pizza in cucina.
“Ti va di guardare un film?” mi propose togliendomi dalle mani la nostra cena.
Annuii e andammo a sederci nel suo divano. Accendemmo il televisore e notammo che davano il primo film della saga di Twilight.
“Ti dispiace se guardiamo questo?” mi chiese.
“N-no, certo che no” dissi mettendomi comodo.
Iniziammo a guardare il film, la noia cominciò a portarmi con sé, ma cercai di non darlo a vedere, visto che a lei sembrava piacere davvero molto.
Nel vivo del film notai che stava cominciando a spaventarsi. Non era un film terrificante, ma a lei incuteva paura. Le afferrai la mano, che stringeva saldamente il tessuto del divano. Si voltò di scatto verso di me e mi fissò negli occhi. Avevo il timore che me la lasciasse e mi buttasse via di casa, ma, con mia grande sorpresa, si avvicinò a me e appoggiò la sua testa sul mio petto.
“Pensavo ti piacessero i vampiri” la presi in giro.
“S-si, ma vederli è diverso” si difese accovacciandosi ancora di più a me. Il cuore cominciò a battermi all'impazzata, era davvero troppo vicina.
Con Coraline mi ero spinto molto oltre, ma non avevo mai provato una simile sensazione. Con lei era diverso. Forse mi stavo innamorando seriamente di Erika.
Tornai in me e notai che si era addormentata sulla mia spalla, era così carina mentre dormiva. Il film mostrava già i suoi  titoli di coda. Il braccio che la sorreggeva aveva cominciato a formicolare e quella posizione stava diventando davvero scomoda.
La presi in braccio e cercai di alzarmi. Percorsi il corridoio e andai in camera sua.
Tirai le coperte e la poggiai lentamente sul letto, coprendola con la coperta che poco prima avevo scostato per poterla sdraiare.
Rimasi un attimo a contemplarla, poi, spinto da un forte desiderio, mi avvicinai a lei, le spostai una piccola ciocca di capelli che le cadeva davanti al viso e la baciai.
Lo feci così piano che non ero nemmeno sicuro se le nostre bocche si erano toccate veramente. “Buona notte Erika” le sussurrai un momento prima di scomparire nell'oscurità.
 
 

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Capitolo 4
*** Verrai a stare da me ***


Erika's pov

Quella sera feci uno strano sogno.

Avevo sognato di essere baciata da Harry. Era impossibile, ma sembrava così reale. Era come se avesse davvero sfiorato la mia bocca con le sue morbide labbra, o almeno così mi erano sembrate. E se non fosse stato un sogno? Un pensiero mi si conficcò in testa. Il petto mi si infuocò, sentivo un grosso fuoco bruciarmi il cuore. Mi sentivo morire dentro. No, non poteva essere. Harry che mi baciava? Di sua spontanea volontà? Ridicolo, al limite dell'assurdo. Anche se non mi sarebbe dispiaciuto. Per niente.

Mi ero appena alzata quando sentii bussare alla porta. Mi avviai verso l'ingresso e l'aprii. Rimasi scioccata e sbalordita nel vedere gli occhi di Harry scrutare ogni singolo centimetro del mio corpo.

"Tu cosa ci fai qui?" esclamai, non curandomi del fatto di essere impresentabile.

Indossavo ancora il pigiama e i miei capelli erano tutti scompigliati. Sembrava che fossi uscita da un uragano.

"A casa mia è finito il cibo e ho pensato che tu, magari, ne avevi un po' anche per me" disse spavaldo.

Mi sorpassò e si diresse verso la cucina. Aprì il frigorifero e tirò fuori una mela rossa. La sciacquò per bene e, con ancora le mani bagnate, se la portò alla bocca. L'addentò e stacco dal frutto un grosso pezzo, scoprendo la polpa bianca e succosa. Rimasi immobile ad osservare ogni suo movimento. Fissai la sua bocca sfiorare la mela. Solo vedere le sue labbra mi fece venire il batticuore. E se mi avesse baciata veramente? Quella domanda tornò a farmi visita. Insomma, mi ero addormentata tra le sue braccia, ma di quello che fosse accaduto dopo non ne avevo la benché minima idea.

"Cosa c'è?" mi chiese. Doveva aver notato il fatto che non avevo smesso di contemplarlo neanche per un attimo.

"N-niente."

"Avevi quasi lo stesso sguardo che rivolgi a quel professore di Biologia" disse beffardo.

"Che intendi?" chiesi turbata. Non volevo assolutamente che scoprisse la mia cotta per quel professore. Mi avrebbe presa sicuramente in giro.

"Andiamo! È ovvio che ti sei innamorata di lui" mi torturò scoppiando in una risata.

Oh no! Questo era il colmo. Che diritto aveva lui di trattarmi così? Che male gli avevo fatto? Mi sembrava di essermi comportata bene con lui, non avevo fatto niente che gli avrebbe potuto dare fastidio, allora perché?

"Anche se avessi ragione, questi non sono affari tuoi" risposi irritata dalle sue parole.

Arricciò le labbra in un sorriso, tanto irritante quanto sexy.

"Non vorrai mica scatenare uno scandalo a scuola, vero?" diede un altro morso alla mela, "lo dico per te" continuò a fissarmi.

"Smettila. Non sei mica mio padre" ribattei riluttante. Il suo viso si rabbuiò e il suo sguardo si abbassò, fino a guardare le sue scarpe, rigorosamente nere.

Avevo l'impressione di aver detto qualcosa di sbagliato, qualcosa che l'avesse ferito, nel profondo. "Mi dispiace" dissi in un sussurro, "ma so badare a me stessa" proseguii sicura.

All'improvviso mi ricordai dei miei impegni da studentessa. Mi voltai verso l'orologio e guardai l'orario. Mancava un quarto d'ora all'inizio delle lezioni.

"Perché non mi hai detto che era così tardi?" gli sbraitai contro. Fece spallucce e tornò a mangiare la sua mela.

"Oh quanto ti odio" cominciai a correre verso la mia camera. Infilai la divisa, tutta sgualcita e andai in bagno. Dovevo almeno rendermi presentabile. Cercai di lisciare al meglio i miei capelli e di correggere gli aloni scuri sotto i miei occhi con un filo di trucco.

"Erika sbrigati!" mi urlò dalla cucina.

"Arrivo, arrivo" gridai di riamando.

Andai alla porta e mi infilai le scarpe, prima una e poi, be' dalla fretta stavo per cadere. La mano di Harry stringeva saldamente il mio braccio, nel tentativo di ristabilire il mio equilibrio. Dovevo smetterla di mettere le scarpe in piedi, prima o poi sarei caduta, quella volta, però, non successe.

"Grazie" dissi riappoggiando il piede sul pavimento in parquet.

"Figurati" rispose lasciando il mio braccio.

Tornai alla realtà e guardai il mio orologio da polso. "Sono le 7:50. Non ce la faremo mai" lo informai. Non volevo arrivare in ritardo il mio terzo giorno di scuola.

"Non preoccuparti" si limitò a rispondermi.

Odiavo quando faceva così. Odiavo il suo continuo disinteressamento. Odiavo tutto di lui.

"Prenderemo la mia moto" continuò uscendo di casa.

"Eh?" ribattei. Come faceva ad avere una moto? E soprattutto, dovevo fidarmi di lui? Insomma, non credevo che fosse un buon guidatore. Avevo un po' di paura a mettere nelle sue mani la mia vita, ma l'angoscia per il ritardo era più forte. Ero una ragazza molto responsabile e diligente. Un ritardo per me era qualcosa di imperdonabile. Pregando Dio di farlo guidare in modo responsabile e sicuro, accettai.

Scendemmo le scale. Io ero dietro di lui. Durante la nostra discesa verso il piano terra, non potevo fare a meno di osservare la sua schiena. Le sue larghe spalle lo facevano sembrare forte, potente, sexy. Mi trasmetteva un senso di protezione. Pensare a quanto fosse incredibile il suo aspetto mi eccitava. Vederlo con indosso la sua divisa era insopportabile. Quegli stracci non facevano altro che coprire quello che era un corpo perfetto. Da fare invidia a qualsiasi altro ragazzo che frequentasse la nostra scuola.

"Allora? Che fai lì impalata?"

Eravamo già arrivati dinanzi la piccola porta che ci avrebbe condotti al garage del condominio. Oltrepassammo la soglia e, sempre dietro di lui, camminai verso la motocicletta.

Afferrò un casco di un rosso acceso e lo indossò. Sollevò la gamba destra e si mise in sella, portandosi in avanti per farmi spazio.

Feci lo stesso e indossai anch'io un casco. Mise in moto e un ruggito uscì dal motore del veicolo. Quel suono mi diede un brivido lungo tutta la schiena. Non ero mai salita su una moto.

I miei genitori erano molto protettivi e prudenti. Se fossero stati lì non mi avrebbero mai permesso di farmici un giro. Ci misero un mese per decidersi a togliere le rotelle dalla bicicletta, figuriamoci se mi avessero permesso di sfrecciare ad alta velocità sull'asfalto con un mezzo del genere.

"Sarà meglio che ti aggrappi forte a me" mi disse, risvegliandomi dai miei pensieri.

"Oh, si" risposi imbarazzata.

Allungai le mie braccia e le intrecciai ai suoi fianchi. Lo stringevo forte, mi piaceva la sensazione che si provava a stare su una moto, ma la paura di cadere e della velocità continuavano ad essere presenti in un angolino nella mia testa.

Attraverso la stoffa, riuscivo a sentire il suo addome. Lo sentivo allagarsi e rimpicciolirsi ad ogni suo respiro. Tramite quel tocco, sentivo che era agitato. Era una sensazione che mi aveva colpita sin dal primo istante. Non ero di certo una veggente o altro, ma lo percepivo chiaramente.

Per tutto il tempo del tragitto non avevo fatto altro che riflettere su quella sensazione.

"Puoi anche lasciami adesso. Siamo arrivati" mi fece notare.

"Scusa, non me n'ero accorta. Stavo pensando" farfugliai togliendomi il casco e scendendo dalla moto.

Sollevò un lato della bocca in un sorriso ironico e si avvicinò a me. Gli bastarono pochi passi per raggiungermi e porsi proprio a pochi centimetri dal mio viso.

"Tu pensi troppo" bisbigliò dandomi un colpetto sulla fronte.

Incapace di rispondere, mi limitai a sostenere il suo sguardo, anche se si rivelò l'impresa più ardua di tutta la mia vita. Quei suoi occhi verdi mi invasero. Il solo guardarli mi faceva sentire come se l'oscurità mi stesse piano piano trascinando giù, in profondità. Dovevo stare molto attenta, non potevo lasciarglielo fare.

In quel preciso istante ci passò accanto Chanel. I suoi occhi azzurri corsero verso di noi. Non riuscivo a decifrare il suo sguardo, però riuscii a percepire una nota di disprezzo. Disprezzo non per me, ma per Harry. 'Io gli ero amica una volta...era il migliore amico di mio fratello.' In quelle semplici parole che scambiammo qualche giorno prima vi era nascosta una forte emozione. Un qualcosa fondamentale per scoprire il passato di entrambi. Qualcosa che avevano tenuto nascosto per un anno e che li aveva divisi.

Lasciai Harry sul vialetto e corsi da Chanel. Volevo delle spiegazioni da lei.

"Hai fatto comunella con l'Angelo nero?" mi chiese sprezzante.

"Si. No. Be', non lo so. Eravamo in ritardo e mi ha offerto un passaggio, tutto qui" provai a spiegarle.

"Senti, io lo conosco da più tempo di te e posso assicurarti che non è un tipo di cui ti puoi fidare. Meglio stare alla larga dai ragazzi come lui" mi disse guardandomi negli occhi. Dal suo sguardo capii che non mentiva, diceva la verità.

"Perché?" chiesi incuriosita dalla faccenda.

"Non posso dirtelo, tu cerca di stargli lontano e non avrai bisogno di scoprirlo."

Detto questo mi abbandonò di fronte l'ingresso, da sola con i miei pensieri. Rivolsi uno sguardo a Harry, che intanto faceva la sua solita sfilata verso la porta. Di quale segreto parlava? Cosa aveva combinato Harry di così grave?

"Ehi ragazzina che fai lì? La campanella è già suonata" una voce alle mie spalle mi trascinò alla realtà.

"Lo so benissimo che dovrei entrare, ma stavo pensando ad una cosa. E comunque non sono una ragazzina" dissi voltandomi, "tu chi saresti?" chiesi al ragazzo alto e dagli occhi color ghiaccio.

"Io sono Louis Tomlinson , secondo anno" si presentò allargando il petto e assumendo la solita posizione da ragazzo spavaldo.

"Mhh, piacere" farfugliai aggiustandomi i capelli, "è meglio che vada" mi congedai superandolo.

"Aspetta! Non mi hai neanche detto come ti chiami" mi urlò.

"Non sono tenuta a dirtelo" risposi a tono, senza neanche voltarmi.

"Dai, dimmelo" insistette.

Che cosa voleva da me quello lì? Perché voleva conoscere il mio nome? Quella deve essere stata la prima volta che si accorse di me, ma non riuscivo a capire tutto quell'interesse nei miei confronti.

Mi venne dietro per un paio di metri, fino a quanto non mi superò bloccandomi la strada.

"Che cosa vuoi da me?" chiesi schietta.

Quel ragazzo mi stava davvero irritando. La sua insistenza era fastidiosa.

"Te l'ho detto. Voglio solo sapere il tuo nome" rispose sorridendomi.

Quel suo sorriso aveva un non so che di viscido, finto. Non sopportavo le persone come lui, mi davano sui nervi.

"Se te lo dirò, mi lascerai andare?" sospirai.

Annuì con la testa e sul suo volto si dipinse un ghigno sprezzante, pronto a ricevere la risposta alla sua tanto attesa domanda.

"Mi chiamo Erika. Ora lasciami passare" dissi.

"Hai visto? Non era poi così difficile" rise facendosi di lato.

Gli rivolsi uno sguardo pieno di nervosismo. Odiavo decisamente le persone come lui.

Cominciai a camminare il più velocemente possibile. Per colpa di Louis stavo per entrare in ritardo. Quella mattina avevo fatto di tutto per essere puntuale e alla fine arriva lui a distruggere tutti i miei piani.

"Ci si vede in giro" mi salutò portandosi una mano tra i capelli mori, "Erika."

Sentire il mio nome pronunciato da lui mi provocò una sensazione molto strana. Era diverso dal sentirlo dire da Sam, Chanel o Harry.

***

Uscii da scuola e mi diressi al parcheggio. Avevo pensato che sarei tornata a casa con Harry, e invece quello che trovai lì fu solo uno spiazzale vuoto, illuminato solo da qualche lampione notturno.

Non potevo crederci. Cosa gli sarebbe costato aspettarmi un po'? Eravamo entrambi nella stessa classe, avrebbe benissimo potuto attendere che finissi di prendere le mie cose per tornare a casa, ma non lo fece. Evidentemente aveva altro da fare.

Rassegnata, mi incamminai verso casa. Il tragitto mi aiutò a pensare a molte cose. Al passaggio in moto, all'avvertimento di Chanel, a Louis.

Mi aveva raccomandato di non frequentarlo più, ma questa storia mi incuriosiva troppo per lasciarla perdere. Troppi punti interrogativi su questa faccenda ed io sentivo di doverli risolvere, non tutti, ma almeno quelli sufficienti per capirci qualcosa.

Certamente non avrei trovato le risposte da sola, avevo bisogno di qualcuno che sapesse, qualcuno che non fosse Chanel, qualcuno come Harry.

Arrivai al mio appartamento. Mi avvicinai al suo portoncino e accostai il mio orecchio alla porta. Nessun rumore. Non era ancora rientrato. Dove era finito?

Oh, be', sarà a sbrigare le sue cose pensai tra me e me. Entrai in casa e posai lo zaino in camera mia. Andai in bagno e cominciai a far scorrere l'acqua per un bel bagno caldo. Era già da un po' che mi sentivo strana. Avevo un leggero mal di testa e mi sentivo spossata. Quando ero bambina, l'unico modo per stare meglio quando mi sentivo in quella maniera era fare un bagno. Nell'attesa che la vasca si riempisse abbastanza, andai in cucina a bere un po' d'acqua. Aprii il frigorifero e bevvi direttamente dalla bottiglia. Mia madre detestava quando lo facevo, ma adesso lei non c'era. Se avrebbe potuto vedermi, mi avrebbe fatto una delle sue solite ramanzine noiosissime. Era bello vivere da sola.

Finito di dissetarmi, tornai in bagno a controllare il livello dell'acqua.

Non era ancora piena, ma decisi comunque di immergermi. Mancava poco e presto mi avrebbe sommersa fino alle spalle.

Appoggiai la testa sull'asciugamano, che mi faceva da cuscino, e chiusi gli occhi. Mi lasciai andare, rilassandomi al massimo.

***

Harry's pov

"Erika aprimi!"

Era già da un pezzo che continuavo a calciare la sua porta. La chiamavo, ma non mi rispondeva. La porta era chiusa ed io non potevo entrare. Perché non mi rispondeva? Doveva essere a casa, da fuori vedevo le luci accese, allora perché non veniva ad aprirmi?

Cominciai a preoccuparmi, avevo il terrore che le fosse successo qualcosa.

"Erika ti prego!" continuai ad urlare.

Smisi di chiamarla e mi allontanai dalla porta. Sferrai un calcio alla maniglia. Si ruppe ed io entrai. Il cuore mi batteva a mille. Quella ragazzina voleva uccidermi. Com'era possibile che mi facesse andare fuori di testa ogni giorno?

"Erika!" 

Andai in camera sua, in cucina e in salotto, ma niente. Andai in corridoio, camminando a grandi falcate. Il pavimento era bagnato. Sentivo dell'acqua scorrere e mi precipitai in bagno.

Eccola finalmente. Era dentro la vasca, con l'acqua che strabordava e cadeva come una piccola cascata dai bordi.

"Oddio Erika" mi avvicinai.

Teneva gli occhi chiusi e la paura aumentò. Pensai che si fosse sentita male o peggio che fosse morta.

Avvicinandomi, mi accorsi che era nuda. Distolsi lo sguardo dal suo splendido corpo e cercai di concentrarmi sul suo viso. Arrivato ormai in prossimità della vasca, l'afferrai per le braccia e la tirai fuori. Spensi l'acqua e avvolsi il suo corpo in un accappatoio.

"Erika svegliati" la chiamai dandole dei colpetti sulle guance.

Dormiva ancora, o almeno mi piaceva pensare che stesse dormendo. La scossi ancora e ancora, cercando di rinvenirla.

Avvicinai la testa al suo petto e provai a sentire il suo battito cardiaco. Tirai un sospiro di sollievo nell'ascoltare il suo cuore battere.

"Erika, non mi piacciono gli scherzi" le sussurrai, tenendola sulle mie ginocchia.

Ero bagnato fradicio, ma non mi importava. In quel momento volevo solo rivedere i suoi occhi. Stavo iniziando a preoccuparmi seriamente, quando all'improvviso schiuse le labbra e pronunciò il mio nome:

"Harry?"

"Oh grazie al cielo!" dissi sorridendo, ero sollevato nel vederla riprendersi. "Cosa è successo?" le chiesi.

"I-io mi ricordo di essere entrata nella vasca e poi di aver chiuso gli occhi..." rispose vaga.

"Erika!" alzai il tono di voce, "Mi hai fatto prendere un colpo! Hai idea di quanto mi sia preoccupato?" mi arrabbiai.

Cavolo! Io stavo letteralmente morendo per lei e l'unica cosa che era riuscita a dirmi era che si era semplicemente addormentata? Non ricordavo di essermi innamorato di una ragazza così irresponsabile.

"Scusa" abbassò lo sguardo, "non capiterà più" tornò a cercare i miei occhi.

Quei suoi bellissimi occhi, lucidi per l'emozione, mi sciolsero e non potei fare a meno che dirle:

"Non fa niente. Sono felice che tu stia bene."

Le bastarono dieci minuti per riprendersi e sembrava essere tornato tutto alla normalità.

Be', lo stesso non si poteva dire di certo per me. Per assimilare una cosa del genere non mi sarebbe bastato neanche un anno. Certo, ne avevo passate tante. Tra mio padre, mia madre e Ben, avrei dovuto farci l'abitudine, ma a queste cose non riuscirò mai ad abituarmi.

Erika's pov

"Merda, merda, merda!" ero entrata nel panico.

La casa era allagata, il parquet rovinato e i tappeti da buttare. Quando mi impegnavo sapevo combinare dei bei casini.

"Che ti prende?" mi chiese allarmato Harry.

Continuavo a fare su e giù per la cucina, l'unica stanza decente in tutta la casa, in preda al panico. Cosa avrebbe detto la signora Betty? E se lo avesse saputo mia madre? Sarebbe venuta a prendermi per portarmi con lei a New York. Addio scuola, addio Sam, addio amici. Io non volevo andare. Desideravo frequentare la London High School, vivere in quell'appartamento, passeggiare con Sam e cenare con Harry. Volevo solo vivere una vita da normale teenager, ma questo non era possibile, visto che la casa era ormai invivibile.

"Fermati!" mi bloccò ponendosi di fronte a me. "Che hai?"

"Tu non capisci!" scoppiai in lacrime, "Se mia madre lo scopre mi porterà con sé" dissi tra i singhiozzi.

"Non ti porterà da nessuna parte. Vedrai che le cose si aggiusteranno" mi rassicurò abbracciandomi.

In quell'abbraccio sentii tutto il calore e la calma provenire dal suo corpo. Ricambiai la stretta e appoggiai la testa nell'incavatura del suo collo.

"Andrà tutto bene" mi sussurrò accarezzandomi i capelli.

Annuii e mi allontanai da lui. "Dobbiamo chiamare l'amministratrice" suggerii prendendo il telefono, "magari lei saprà cosa fare."

Dopo la telefonata mi distesi sul divanetto e sospirai, alla ricerca delle parole giuste per spiegarle quello che era accaduto.

"Allora ragazzi, cos'è successo?" arrivò la signora Betty, in ghingheri come al solito, tranne per i bigodini in testa.

"Vede signora, accidentalmente ho allagato casa ed adesso non sappiamo che fare" risposi nervosa. Cercai lo sguardo di Harry, come per cercare una sorta di supporto morale, che fortunatamente ricevetti.

"Oh, non preoccuparti. Certo hai combinato un bel pasticcio, ma niente di irrisolvibile" mi rassicurò con un sorriso.

Ricambiai il gesto ed attesi che continuasse.

"Il problema sarà il parquet. Con l'acqua si è inzuppato e bisognerebbe cambiarlo" spiegò indicando il pavimento.

"Già" annuii, "cosa dovremmo fare?" le chiesi ulteriormente.

"Dovrai vivere in un'altra casa per un po', almeno fino a quando i lavori non termineranno. Ti verrà a costare parecchio, ma non preoccuparti. Ci penseranno i tuoi genitori."

"No! Non può chiamarli!" mi affrettai a dirle. Non potevo assolutamente permettermi che lo scoprissero.

"E perché?" chiese incuriosita dalla mia reazione.

"Beh, perché..." Mi stavo arrampicando sugli specchi.

"Perché sono andati ad un safari e lì i cellulari non prendono bene" rispose per me Harry.

Gli rivolsi un'occhiata perplessa. Un safari? In autunno? Questo ragazzo non smetteva mai di sorprendermi. Non se la berrà mai pensai.

Stranamente, la signora Betty sembrò crederci a quell'illogica risposta, buon per noi.

"Posso chiamare mio zio Peter" mi illuminai al pensiero dello zio single in città. "Vive da solo, quindi potrà sicuramente ospitarmi."

Afferrai il cellulare ed inoltrai la chiamata.

"Pronto?" mi rispose una voce.

"Ciao zio, sono Erika, tua nipote."

"Oh Erika, come stai?" mi chiese.

"Peter chi è al telefono?" una seconda voce sentii dalla cornetta. Era una donna, dalla voce doveva essere molto attraente. Tipico di mio zio Peter, il donnaiolo più conosciuto di Londra.

"Zio, non è che potresti ospitarmi a casa tua per un po'? E' successo un casino e non ho un posto in cui stare" gli chiesi, cercando di persuaderlo ad invitarmi a casa sua.

"Peter è una ragazza? Cosa vuole da te?" la donna alzò la voce.

"Mi dispiace dolcezza, ma non posso..."

La telefonata si interruppe ed io rimasi per un paio di secondi con il cellulare sull'orecchio.

Quella situazione aveva superato i limiti dell'assurdo. Stavo cominciando a credere che fosse tutto uno scherzo per farmi andare dai miei genitori.

"Tesoro, se non può ospitarti, mi sa che dovrò chiamare i tuoi genitori" mi disse poggiando una mano sulla mia spalla.

"Non serve. Verrà a stare da me" ribatté con voce profonda Harry, che era rimasto ad assistere alla scena in silenzio.

Lo guardai sbalordita e al contempo riconoscente per il suo gesto tanto altruista.

"Oh bene. Prendi le tue cose. Chiamerò gli operai per il lavoro. Ci accorderemo dopo per i soldi" mi disse l'anziana donna, "buona notte ragazzi e non fate niente di sconcio" si congedò rivolgendoci uno sguardo malizioso.

"Non c'è pericolo signora" scoppiò in una risata liberatoria.

"Ehi!" gli diedi una gomitata.

"Scherzavo, non arrabbiarti" continuò a ridere.

Lo guardai meravigliata. Il suono della sua risata era la melodia più bella che avessi mai ascoltato in vita mia.

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Capitolo 5
*** Alla Sophie's cakes ***


Rimasi lì, immobilizzata dal suono della sua voce. Osservai le fossette che si creavano sul suo viso ad ogni sorriso, e non potei fare a meno di pensare quando fosse affascinante in quel momento.

Quel suo ciuffo di capelli che gli copriva la fronte gli dava un’aria misteriosa. I suoi capelli erano così lucenti che avrei voluto passarvici le dita.

Dal primo momento avevo pensato di essermi imbattuta in un qualche demone che volesse rendermi la vita un inferno, ma col tempo dovetti ricredermi. La sua presenza rendeva la mia vita più intrigante e divertente.

“Allora, vuoi venire a dormire da me?” mi chiese in un sorriso.

“Per questa sera preferirei rimanere qui a ripulire un po’ quest’appartamento” risposi guardandomi attorno, “Tu va pure se vuoi.”

“Non me ne andrò” ribatté incrociando il mio sguardo.

Cavolo, i suoi occhi erano pazzeschi. Non ne avevo mai visto di così profondi e indecifrabili. Ogni volta che mi guardava non riuscivo mai a capire cosa gli passasse per la testa. Era un ragazzo così imprevedibile che ogni volta rimanevo sorpresa dalle sue azioni.

Distolse lo sguardo e si diresse in bagno. Gli camminai dietro, curiosa di scoprire la sua prossima mossa. Si chinò leggermente ed aprì lo sportello di un mobiletto sotto il lavandino. Appoggiai la spalla e la testa al lato della porta ed incrociai le braccia. Cacciò dentro la mano e tirò fuori qualche straccio. Riprese la sua posizione eretta, afferrò un mocio ed uscì dal bagno.

“Che stai facendo?” chiesi cercando di scoprire il fine delle sue azioni.

“Ti aiuto a pulire, non vedi?” fece spallucce e si abbassò sul pavimento.

Camminai verso di lui e mi piegai alla sua altezza, per poterlo guardare negli occhi.

“Va’ a casa, pulirò io. E poi, questo è roba da donne” dissi nel tentativo di strappargli un sorriso.

Non mi rispose, semplicemente continuava a strisciare lo straccio sul pavimento. Poggiai la mia mano sulla sua, cercando di fermarlo. Alzò la testa e i nostri sguardi si incontrarono.

“Dico davvero” dissi in un sussurro.

Posò l’altra sua mano sulla mia e l’allontanò.

“C’è troppo da pulire per una persona sola. Non devi preoccuparti. Se ti aiuto è perché voglio farlo” rispose tornando ad asciugare il parquet.

Perché? Perché fai così? Chanel mi aveva severamente vietato di stare con lui, di parlarci o anche solo guardarlo negli occhi. Ma non potevo fare a meno di stargli accanto.

In quel momento qualcosa si mosse in fondo al mio stomaco, cercava di risalire verso il cuore, per invaderlo di questo nuovo sentimento. Scattò qualcosa, quella scintilla che c’era tra di noi scoppiò in un fuoco ardente.

C’era qualcosa che mi teneva legata a lui, qualcosa che più mi avvicinavo, più questa presa si stringeva. Ero attratta da lui per vari motivi: per il suo aspetto, il suo sorriso, i suoi occhi, il suo strano modo di fare, ma la cosa che più mi piaceva era il suo lato oscuro. Quel segreto che nessuno voleva rivelarmi mi spingeva a stargli accanto, scoprire i suoi pensieri e le sue emozioni, cosa alquanto difficile visto che sapeva nasconderli abbastanza bene.

Di colpo mi venne l’impeto di porgli quella domanda che tanto mi assillava: perché Chanel vuole che io ti stia alla larga? Cosa hai fatto di così terribile?

Le mie labbra si schiusero, le parole stavano per uscire, ma mi trattenni. Non volevo rovinare quel momento. Cambiava umore velocemente ed avevo paura che con quella domanda si alzasse e sparisse dietro la porta.

Decisi di non dire niente per il momento e richiusi la bocca. Non volevo che se ne andasse.

Afferrai un panno e cominciai a strofinarlo sul pavimento, muovendolo in senso antiorario.

***

“Buon giorno!” mi svegliò una voce.

Mugugnai qualcosa di incomprensibile e mi girai dalla parte opposta in cui mi trovavo.

“Erika svegliati.” Quella voce si faceva sempre più familiare. Le chiamate non cessavano ed io decisi di aprire gli occhi, infastidita dalla sua insistenza.

“Harry che ci fai qui?” chiesi appoggiando la schiena sulla testata del letto.

“Sono venuto per fare colazione” rispose facendo roteare sull’indice un mazzo di chiavi.

“Un momento…” farfugliai grattandomi la testa, “Come hai fatto ad entrare in casa mia?” chiesi frastornata.

“Dopo quello che è successo ieri sera, una seconda chiave mi farebbe comodo e poi, per entrare ho dovuto rompere la maniglia, ricordi?” disse fermando le chiavi e chiudendole nel suo pugno. Scossi la testa in senso negativo.

“Ma, in realtà, ho fatto la copia delle tue chiavi per aver accesso al frigorifero anche quando non sei in casa” confessò con un sorrisetto irritante.

Non lo capivo. Un momento prima faceva il galante, colui che si preoccupava per me e voleva aiutarmi, e il secondo dopo tornava ad essere quel ragazzo antipatico, menefreghista e irritante.

“Perché fai così?” gli chiesi con un’espressione leggermente addolorata.

“Perché faccio così, cosa?” ribatté come se non avesse capito ciò che intendevo.

“Tu sei freddo con me, ma ogni tanto sei gentile. Alcune volte fai qualcosa per me ed io sono molto felice…ma poi mi dici qualcosa di brutto…” dissi cercando di guardarlo negli occhi. “Io non ci capisco più niente. Se ti do fastidio, dimmelo per favore.”

Questa volta furono i suoi occhi a fissare il vuoto, ad evitare il mio sguardo, nell’attesa di trovare una risposta.

“Non c’è niente che non vada in te” sospirò camminando verso la porta, “anzi, a dirla tutta, la tua compagnia è quasi gradevole” continuò poggiando una mano sulla maniglia e mi sorrise.

Abbozzai un sorriso di rimando, ma non credo che sia riuscita nel mio intento visto la smorfia divertita che fece prima di uscire dalla mia camera.

Indugiai incantata sul mio letto, poi il rumore di vetri infranti mi scosse ed io saltai giù dal letto. Corsi in corridoio ed andai in cucina. Mi avvicinai e la prima cosa che notai fu la mia tazza preferita in frantumi sul pavimento. Harry non c’era, forse era andato a prendere una scopa per ripulire il pavimento.

Quella tazza me l’aveva portata mia nonna dall'Italia ed era uno dei pochi ricordi che mi rimanevano. Avrei voluto passare più tempo con lei. Tempo. Quello che a me sembrava non bastare mai. Quello che continuavo ad inseguire per restare al passo con gli altri, cosa che in sedici anni non ero mai riuscita a fare.

Camminai lentamente verso i cocci e mi chinai. Ne raccolsi un paio e cercai di ripulire. In quel momento una lacrima corse lungo la mia guancia.

Non avevo mai usato quella tazza, la tenevo sulla mensola sopra il lavandino, in mezzo alle foto di famiglia e qualche utensile per la cucina. Non volevo usarla perché preferivo tenerla in bella vista, così che il pensiero di mia nonna fosse sempre vivo nella mia mente.

In quel momento arrivò Harry dal bagno e corse verso di me.

“Oddio ti sei tagliata?” mi chiese aprendomi le mani e liberando i resti della tazza dalla mia presa.

Abbassai lo sguardo e vidi dei piccoli tagli sui palmi delle mie mani. Probabilmente avevo stretto così forte quella tazza che mi ero ferita senza accorgermene.

“Oh” fu l’unico suono che riuscii ad emettere.

“Mi dispiace per la tazza, non l’ho fatto di proposito” cercò di scusarsi.

“N-non fa niente” lo rassicurai.

Non volevo dirgli di mia nonna, era già dispiaciuto per aver rotto una tazza qualsiasi, figuriamoci se avesse saputo che era molto importante per me.

“Vieni con me” mi tirò su e mi prese per il polso. Mi portò in bagno e mi fece sedere sulla lavatrice.

“Avrei potuto sedermi sul water” dissi cercando di sorridere.

“Sono più comodo così” rispose scrollando le spalle.

Lasciò le mie mani e prese del disinfettante e del cotone da una scatola che tenevo sulla mensola per le emergenze.

Aprì la boccetta e versò un po’ del suo liquido verde sul cotone.

“Apri le mani” mi ordinò.

Feci come richiesto ed attesi quella sensazione fastidiosa e pungente che si prova quando si viene medicati con del disinfettante.

Ebbi un sussulto quanto poggiò il batuffolo sulla mia pelle.

“Ho quasi finito” tentò di rassicurarmi. La sua voce calda e roca mi cullò, confortandomi. Il suo tocco era delicato, sentivo a mala pena quel fastidio.

“Ecco” disse soddisfatto lasciando le mie mani. Chinai la testa ed osservai le mie mani. Aveva fatto un ottimo lavoro, ogni taglio era stato disinfettato e protetto con un cerotto. Non erano molti, in tutto saranno stati tre o quattro taglietti.

“Grazie” sorrisi posando le mani sulle sue spalle e scendendo dalla lavatrice.

Poggiai i piedi per terra e mi ritrovai a pochi centimetri di distanza dal suo viso. Respirai affannosamente e lo guardai negli occhi. In quell'istante, in quel preciso istante, vidi una luce in fondo ai suoi occhi. Un flebile bagliore che si faceva strada tra quel verde. Lui si avvicinò, accorciando la distanza che ci separava. Cominciai a sentire il suo profumo. Respirai profondamente nel tentativo di cogliere la sua fragranza. Le sue labbra si schiusero e sembravano implorarmi di baciarle, ma qualcosa mi fermò. Sentivo di dover aspettare, almeno fino a quando il suo passato non si fosse fatto più nitido ai miei occhi.

“Vado a pulire di là” dissi voltandomi.

“Si” rispose in imbarazzo. Evidentemente neanche lui sapeva quello che faceva. Fu solo un attimo molto coinvolgente e i nostri corpi erano stati catturati dalla foga del momento.

Raccolsi i cocci della tazza e li riposi in una scatolina a fiori, che misi a sua volta in un cassetto. Non volevo buttarla, anche se ormai era inutilizzabile.

“Oggi non abbiamo scuola, quindi ne potremmo approfittare per portare un po’ delle tue cose nel mio appartamento” propose sedendosi sul divano.

“Per me va bene, ma prima vorrei mangiare.” Lui annuì.

Erano le 11:46 ed io cominciavo ad avere un certo languorino. La sera precedente non avevo cenato. Erano successe talmente troppe cose che avevo dimenticato di farlo.

“Però, se non ti dispiace, vorrei pranzare fuori” continuai.

“D’accordo. Dove vuoi andare?” mi chiese alzandosi e prendendo il suo giubbottino di pelle.

“Vorrei andare alla Sophie’s cakes.” Non esitai a rispondere.

“Ma lì non vendono dolci?” chiese perplesso Harry.

“Si, ma ne vorrei mangiare uno adesso” lo pregai. Sapevo che non amava particolarmente i dolci, ma tentai comunque di persuaderlo.

Si arrese e acconsentì la mia proposta. Sul mio viso si dipinse un enorme sorriso e corsi in camera mia a vestirmi. Volevo indossare abiti comodi, così optai per un jeans e una maglietta a maniche lunghe azzurra. Legai i capelli in una treccia laterale e arricciai il ciuffo che mi cadeva sull’occhio destro.

Tornai una decina di minuti più tardi e presi la mia giacca e la borsa. Ero pronta. Harry mi attendeva davanti la porta.

“Eccomi” dissi avvertendolo della mia presenza. Mi sorrise e mi aprì la porta, facendomi passare. Uscimmo dal palazzo e cominciammo a camminare uno di fianco all’altra.

I suoi piedi si muovevano in sincronia con i miei, persino i nostri respiri sembravano esserlo.

Il sole era alto in cielo e il clima era davvero ottimo. Si stava bene all’aperto ed era un piacere passeggiare per Londra in pieno giorno.

La pasticceria si faceva sempre più vicina e quando la vidi dall'altro lato della strada corsi per raggiungerla. Aprii la porta e un tintinnio delle campane tubolari appese sopra la porta mi accolse.

“Buon giorno Sophie” salutai la proprietaria entrando nel negozio.

“Oh, buon giorno anche a te Erika” mi salutò facendo il giro del bancone per accogliermi.

Era una donna grassottella, poco più bassa di me. Era adorabile, con quelle sue guance e capelli biondi e corti che le cadevano lungo i lati del viso.

Andavo in quel negozio fin da piccola e la proprietaria mi aveva letteralmente visto crescere mentre assaporavo i suoi dolci. Forse, lei era una delle poche persone a cui mi sarei rivolta se avessi avuto problemi qui a Londra.

Harry rimase dietro di me, in imbarazzo, visto che mi ero dimenticata di presentarlo.

“Sophie, questo è Harry. Lui è…” ebbi un attimo di esitazione, “un mio amico.”

“Gli amici di Erika sono anche miei amici” disse in un sorriso.

Mi diressi al bancone e cominciai ad ammirare con occhi sognanti i dolci esposti.

Harry si avvicinò a me e mi cinse la vita con un braccio.

“Allora, quale vuoi?” mi chiese indicando delle fette di torta alla frutta.

“Voglio quella” dissi puntando il dito su una generosa fetta di torta al cioccolato.

Adoravo il cioccolato, era una delle cose che più amavo mangiare.

Harry si allontanò da me e si diresse alla cassa.

“Prendiamo una fetta di torta al cioccolato ed una al limone” disse con un sorriso smagliante in viso.

La commessa rimase leggermente imbambolata dinanzi a lui. Insomma, era un figo da paura. Chiunque ragazza sarebbe caduta ai suoi piedi. Mi infastidii a quella vista, ma scacciai via il pensiero.

“Il tuo amico è proprio carino” disse maliziosamente Sophie dandomi una gomitata sul fianco.

“Lo so” bisbigliai arrossendo.

Harry pagò i dolci e mi mostrò il vassoio, dove erano poggiate le due fette di torta. Il viso mi si illuminò e sorrisi apertamente verso di lui. Avanzai a passi veloci, impaziente di assaporare quella delizia.

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Capitolo 6
*** Bacio ***


Raggiunsi Harry, che mi condusse al tavolo vicino la vetrina che dava sulla strada. Ci sedemmo su delle graziose sedie in ferro, verniciate di bianco ed abbellite con cuscinetti colorati. Harry  mi mise davanti la fetta di torta al cioccolato. Lo guardai perplessa.

"Tu non odiavi i dolci?" chiesi corrucciando la fronte.

"Be', non è che li odi, è solo che non mi piace il sapore troppo zuccheroso che hanno" farfugliò agitando la forchettina che impugnava con la mano destra.

Continuai a guardarlo confusamente, poi risposi:

"Allora perché quella volta hai mangiato il mio cupcake?"

Lo vidi arrossire leggermente mentre abbassava lo sguardo verso la sua fetta di torta.

"Lo mangiai perché sembrava buono" sputò all'improvviso prendendo un boccone della sua torta al limone.

Sorrisi lievemente alla sua risposta, presi un pezzo di torta e lo portai alla bocca.

"Tu sei strano" risi.

Metterlo in imbarazzo era la cosa più divertente che avessi mai fatto, vederlo arrossire sempre di più ad ogni mia domanda era un gioco stupendo per me, ma una tortura per lui.

Posò la forchetta sul piatto e finalmente mi guardò negli occhi. Alzò la mano sinistra e se la passò tra i capelli, smuovendo il suo ciuffo e scoprendo ancora di più i suoi fantastici occhi verdi.

"Perché?" chiese sorridendo a sua volta.

"Dici di odiare i dolci e poi li mangi, ti comporti da duro ed invece sei un bravo ragazzo, fai l'antipatico, ma sei simpatico ed altruista" spiegai sorridendo.

"Credi di aver capito tutto di me?" ribatté serio.

"Non credo che riuscirò a capirti completamente se non mi dai una mano" risposi scrollando le spalle.

"Nessuno riesce a capirmi" sorrise amaramente.

Di colpo la conversazione si fece cupa ed il silenzio si insinuò tra di noi. Non sapevo assolutamente cosa dire, sembrava che l'argomento lo turbasse non poco. Avevo paura di toccare altri tasti dolenti. Temevo di innescare l'esplosione di un'altra bomba in quello che si era trasformato in un campo minato. L'unico rumore che spezzava quel silenzio era il tintinnio delle forchette sui nostri piatti.Finimmo i dolci e, silenziosamente ci alzammo dalle sedie. Andammo verso l'uscita e salutammo Sophie.

Camminammo lentamente verso casa, avevo l'impressione di aver sbagliato qualcosa con lui.

"Senti Harry , se ho sbagliato qualcosa dimmelo per favore..." iniziai guardando i miei piedi battere sul marciapiede, "Improvvisamente ti comporti freddamente ed io non so che fare..."

Cavolo se era difficile parlargli senza ricevere neanche uno sguardo!

"Erika" mi richiamò afferrandomi una mano, "va tutto bene. Non hai fatto niente di male" me la strinse e iniziò a massaggiarmi il polso con il pollice.

Alzai lo sguardo ed incontrai quello di Harry. Lo vidi sorridere leggermente e capii che era sincero. Era così bravo a farmi preoccupare quanto a tranquillizzarmi in un baleno. Gli strinsi la mano a mia volta e gli sorrisi.

Ci tenemmo la mano fino al nostro rientro al palazzo. Salimmo le scale con le nostre dita ancora intrecciate. Era una sensazione strana sentirlo così vicino. Ogni volta che lo vedevo pensavo alle parole di Chanel, in fondo era un bravo ragazzo, non poteva essere pericoloso.

Arrivammo al mio appartamento e lasciai la sua mano per prendere le chiavi nella borsa. Aprii la porta ed entrammo.Posai la borsa e dissi sfregandomi le mani:

"Io direi di cominciare a portare le mie cose nel tuo appartamento."

"Okay. Da dove cominciamo?"

"Dai vestiti" risposi avviandomi nel corridoio.

Lui mi seguì, mentre io entrai nella mia camera ed aprii l'armadio. Mi misi le mani ai fianchi e cominciai a pensare ad alta voce.

"E' ovvio che non posso portarmeli tutti, quindi prenderò solo le cose indispensabili." Tuffai la testa al suo interno e tirai fuori i miei vestiti preferiti: magliette, camicie, jeans. Afferrai un grosso borsone, che stava sopra l'armadio e ci misi dentro gli indumenti. Andai al comò di fronte al mio letto. Aprii il primo cassetto e tirai fuori la mia biancheria intima e la infilai dentro il borsone.

"Belle le mutandine con le fragole" commentò divertito Harry.

"Non guardare le mie mutandine pervertito!" urlai arrossendo, anche se mi scappò una leggera risata.

Rise anche lui e si avvicinò alla finestra che dava sulla strada. Scostò le tendine verde mela e sospirò.

"Ha iniziato a piovere" sbuffò.

"Davvero?" chiesi mentre riponevo le ultime cose nel borsone.

"Guarda tu stessa" disse spostando la tenda ancora di più.

Mi avvicinai a lui e guardai fuori. Piccole gocce battevano contro il vetro della finestra. Le osservavo scendere lentamente fino ad incontrare un'altra goccia per poi unirsi ad essa. Era una cosa magica. Una volta congiunte non era più possibile distinguere dove finiva l'una e iniziava l'altra. Erano unite per sempre.

"Ti piace la pioggia eh?"

"Tantissimo" risposi distogliendo lo sguardo dall'ennesima goccia.

"Piace anche a me" sussurrò, "ma una cosa mi piace di più in questo momento" mi disse prendendomi il mento tra due dita e costringendomi a guardarlo. Avvicinò il suo viso al mio.

"Quella cosa è..."

In un lampo aprì la finestra e mi spinse all'esterno, richiudendo l'imposta.

"Fammi entrare!" gli urlai sbattendo la mano contro il vetro.

Lui rideva, rideva di gusto. Quella era una delle poche volte in cui lo vidi ridere davvero. Senza amarezza o tristezza nei suoi occhi.

"Dai" iniziai a ridere anch'io. Era gratificante sapere che in qualche modo lo facevo sentire bene, anche se in un modo davvero insolito.

Alla fine riaprì l'imposta ed io rientrai.

"Non è divertente" dissi guardandolo rotolare sul pavimento piegato in due dalle risate.

"Però stai ridendo" ribatté fermandosi per riprendere ossigeno.

"Per colpa tua adesso sono bagnata" cercai di fare la seccata, nascondendo il sorriso.

"Adoro fare gli scherzi" disse sorridendo apertamente.

"Dovresti ridere più spesso. Ogni ragazza cadrebbe ai tuoi piedi con quel sorriso" risposi sinceramente, sdraiandomi a terra.

Si voltò verso di me ed il suo sguardo si fece serio.

"E tu ti innamoreresti di me?"

"Potrei farlo."

Mi guardò per un istante, poi si avvicinò e i nostri nasi si sfiorarono ancora. Ma questa volta fu diversa. Questa volta le nostre labbra si sfiorarono veramente. Niente scherzi, niente sogni, niente di niente. Solo un bacio, leggero e dolce. Fu la sensazione più bella di tutta la mia vita. Non riuscivo a credere che mi stesse baciando realmente.

Le nostre bocche si divisero ed io riaprii gli occhi.

"Adesso più che mai" sussurrai.

***

Il piccolo trasloco volò liscio, dopo un piccolo momento di imbarazzo, finimmo di portare le cose nel suo appartamento.

Erano appena le sette di sera, così decidemmo di cucinarci qualcosa. L'appartamento non era molto diverso dal mio, pertanto non fu molto difficile orientarmi e trovare la cucina.

"Cosa vorresti mangiare?" gli chiesi mettendo un grembiule.

"Non ne ho idea" disse grattandosi la nuca.

Spalancai il frigorifero e rimasi a bocca aperta quando lo vidi semivuoto. C'erano solo un paio di verdure, ormai andate a male, sentendo il tanfo che ne usciva. Richiusi velocemente il frigorifero e mi voltai verso di lui.

"Come fai a sopravvivere?"

"Con questi" disse aprendo uno sportello.

Vidi una marea di confezioni di cibo precotto. Sbuffai e ne afferrai due di spaghetti.

"Domani andremo a fare la spesa" dissi.

Seguii i passaggi indicati sul lato della scatola e dopo pochi minuti, la cena era servita.

Mangiammo tranquillamente, senza parlare. Era una strana situazione. Qualche ora fa ci eravamo baciati, ed adesso ci comportavamo come se non fosse successo niente. Magari era solo un capriccio da parte sua. Mi irritai, ma Harry era complicato, era difficile capire cosa gli passasse per la testa, forse dovevo solo aspettare che parlasse chiaramente.

"Va tutto bene?"

"Perché mi hai baciata?" dissi dando voce ai miei pensieri.

La sua forchetta si bloccò a mezz'aria, i suoi occhi trafissero i miei.

"Volevo farlo."

"Io ti piaccio?"

"Potresti."

Ero stanca delle sue risposte corte e fredde. Impazzii.

"Una volta per tutte potresti essere chiaro ed esaustivo nelle tue risposte?" gli chiesi alzando il tono della voce.

"Cosa vuoi che ti dica?" alzò la voce.

"Dimmi che l'hai fatto perché provi quel che provo io."

"Non posso. Ti ho baciata perché mi sono fatto trascinare dal momento. È stato un errore" disse calando il tono alle ultime parole.

Quelle parole mi ferirono nel profondo. Mille lame attraversarono il mio cuore. Era riuscito con facilità a farmi battere il cuore, e con la stessa facilità riuscì a farlo sanguinare.

"Chanel aveva ragione" sussurrai asciugandomi una lacrima.

La sua espressione cambiò, adesso sembrava triste.

Si avvicinò e mi prese le mani.

"Mi dispiace. Non avrei dovuto dirti quelle cose, sono stato crudele" sussurrò accarezzandomi una guancia.

"La prossima volta sii più chiaro con me. Potrei fraintendere i tuoi gesti o le tue parole."

"E' solo che non voglio coinvolgerti. Sai, girano brutte voci sul mio conto. Il mio passato non è uno dei migliori."

"Il passato non fa una persona. Si cambia, non si è mai gli stessi di ieri. Io non ti chiedo di raccontarmi la tua storia, perché so che è doloroso per te, ma almeno viviamo il presente insieme" lo rassicurai afferrando le sue braccia.

"Cavolo che poetessa!" disse sorridendo lievemente.

"Scemo" sorrisi, "sono seria."

"Anch'io."

Mi baciò ancora e mi strinse a sé. Non sapeva che non aveva fatto altro che incrementare la mia sete di sapere sulla sua vita passata. Ero determinata a scoprirla più che mai.

 

 

-*-*-*-*-*-*-*-*-*-*-*-*-*-*-*-*-*-*-*-*-*-*-*-*-*-*-*-*-*-*-*-*

Salve salvino(?)

Spero che la storia vi piaccia :) commentereste per favore? Voglio sapere cosa ne pensate!

xoxo Daria

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Capitolo 7
*** Mi serve il tuo aiuto! ***


Mi svegliai in una nuova camera, diversa dalla mia. Era illuminata da una luce differente, profumava di nuove fragranze per me. Mi girai sul fianco destro ed avvicinai il morbido cuscino al mio viso per sentirne meglio l’odore. Sapeva di menta, io adoravo la menta. L’occhio mi cadde in basso e lo spettacolo che vidi fu uno dei migliori:
Harry dormiva sul fianco opposto al mio, con un braccio sotto la testa e l’altro sul materasso. Indossava una maglietta celeste e dei pantaloncini grigi. Aveva la bocca socchiusa e le palpebre serrate. Un ciuffo di capelli gli cadeva morbido sulla fronte, mentre il resto era solo una matassa indistinta sul candido cuscino. Era tremendamente attraente anche da addormentato.
Sospirai silenziosamente. Non credevo ancora a quello che era successo la sera precedente. La mia mano si mosse, allungò l’indice verso Harry. Avevo l’impulso di accarezzarlo, passare la mano tra i suoi stupendi capelli, massaggiargli le labbra con il pollice. La mia mente continuava ad urlarmi: ‘toccalo, toccalo!’
Ero ormai vicinissima, stavo per sfiorarlo, quando all'improvviso una voce mi fece sussultare:
“Cosa stai facendo?”
Sobbalzai non appena mi accorsi degli occhi verdi di Harry.
“N-niente, avevi solo un po’ di polvere sui capelli” balbettai.
Lui scoppiò in una risata, vedendo il mio viso rosso dall'imbarazzo. Di riflesso, io affondai ancora di più il viso sul cuscino, volevo scomparire.
“Guarda che ore sono” mi disse sbattendomi letteralmente in faccia la sveglia digitale che stava sul suo comodino, “sono le sei del mattino! Manca ancora un’ora e tu mi hai svegliato. Non riuscirò a prendere ancora sonno” disse mettendosi seduto e fissandomi negli occhi.
“M-mi dispiace, non l’ho fatto apposta” dissi cercando di fare la dispiaciuta. Trattenevo a stento una risata: con quei capelli arruffati era proprio buffo.
“Non me ne faccio niente delle tue scuse. Ora devi ripagarmi con un piccolo pegno” ribatté con un sorrisetto malizioso.
Lo guardai un attimo storto. “Niente sesso” dissi allontanandolo da me, colpendolo con i palmi aperti in pieno petto.
“Non voglio fare sesso non te” disse ridendo. Io tirai un sospiro di sollievo. “Almeno non ancora” continuò afferrandomi un braccio. Io sgranai gli occhi esclamando un: “Cosa?!”
Mi trascinò sul suo materasso e mi immobilizzò. Mi cinse la vita con le sue braccia e appoggiò la testa sulla mia spalla.
“Dovrai farmi da cuscino umano ogni volta che lo vorrò” disse secco.
Io ero sorpresa, non mi aspettavo che Harry ricorresse a giochetti del genere solo per starmi accanto. Devo dire però, che la cosa non mi dispiaceva affatto.
Eravamo rimasti in quella posizione per tutta l’ora successiva e finalmente ci trovavamo di fronte la London High School.
“Sarebbe meglio se non parlassi della nostra situazione a scuola” disse Harry continuando a camminare davanti a me.
“D’accordo” mi limitai a rispondere, “l’ultima cosa che vogliamo è mettere in giro delle voci” continuai sorridendo dal nervosismo. Lui annuì e varcammo la porta.
Riconobbi il viso di Chanel tra quello dei tanti studenti che si accalcavano davanti le classi per non entrare in ritardo.
“Chanel!” esclamai contenta.
“Erika!” mi salutò di rimando.
Mi guardò subito storto, ma a pensarci bene, non credo che guardasse me. Harry era ancora al mio fianco con il cellulare in mano, occupato forse a mandare qualche messaggio. Mi congedai da lui con un piccolo cenno del capo e, insieme alla ragazza, andai in classe.
“Non ti avevo detto di stargli lontana?” mi rimproverò non appena ci sedemmo sui rispettivi banchi.
“Chanel vuoi spiegarmi perché ti sta così antipatico?” chiesi voltandomi verso di lei.
“E’ meglio per te non sapere niente. Non sono cose che ti riguardano e scoprirle sarebbe troppo per te” mi disse secca evitando il mio sguardo.
“Come faccio a tenerlo alla larga se non so nemmeno quello che ha fatto? Insomma non credo abbia combinato chissà quale guaio!” ribattei, stavo perdendo la pazienza.
“Da me non saprai niente. Ho passato mesi rinchiusa in casa per colpa di quello stronzo e non voglio assolutamente ricordare quello che ha fatto!” insistette alzando la voce.
In quel momento entrò Harry, che sembrò non curarsi dell’offesa appena ricevuta, come se quasi l’accettasse.
Avevo capito che da Chanel non avrei ricevuto nemmeno mezza risposta ad una delle centinaia di domande che le avevo rivolto, così arrivai ad un’altra soluzione.
Avrei dovuto trovare qualcun altro all'interno della scuola che ne sapesse più di me, sapevo che indagare non era la cosa giusta, un passo falso e mi avrebbero scoperta entrambi. Avevo promesso a Harry che non avrei ficcato il naso nel suo passato, ma la curiosità mi stava mangiando viva, non riuscivo a sopportare un altro minuto nell'ombra, all'oscuro di una verità così sconvolgente e sorprendente.
 

 

A chi mi sarei dovuta rivolgere per ricevere una mano? Erano da escludere i ragazzi del primo anno, che erano, come me d'altronde, ignari del passato che si celava dietro il loro compagno di classe. Gli altri ragazzi sembravano non sapere niente, così l’unica scelta possibile era quella di scegliere qualche alleato tra i ragazzi più grandi, ma chi? Non conoscevo quasi nessuno, a parte il diretto interessato, o forse no. Forse conoscevo qualcuno, talmente stupido che con un sorriso l’avrei convinto ad aiutarmi. La stessa persona che insistette per sapere il mio nome, la stessa persona che mi chiamò ‘ragazzina’, la stessa persona che mi dava tremendamente sui nervi. La stessa persona che portava il nome di Louis Tomlinson.

No! Non posso chiedere aiuto a quello! Pensai scuotendo la testa con una smorfia sul viso.
Intanto però, non avrei potuto chiedere a nessun altro. Mi maledissi mentalmente per non aver cercato di fare amicizia con più persone. Oh be’ la scuola era ancora al suo inizio, c’era ancora tempo per le amicizie.
Ero impaziente di andare da lui. Questa storia era diventata una droga per me. Dovevo parlargli e chiedergli una mano al più presto.
Tintinnavo la matita sul mio banco, alternando facendola girare tra le mani. Ogni tanto la portavo alla bocca per morderne l’estremità. Ero davvero troppo nervosa.
Guardai l’orologio appena sopra la cattedra dove sedeva la professoressa, intenda a spiegare Dio-solo-sa-quale-argomento. Fui sollevata nel vedere che mancavano solo pochi secondi alla fine della scuola. Avevo già posato tutto all'interno del mio zaino, in modo tale che quando sarebbe suonata, fossi stata in grado di sgattaiolare via dalla classe senza perdere troppo tempo, non rischiando anche di restare bloccata dall'ingorgo di studenti che si creava sempre davanti l’uscita.
Uscii dalla classe e cominciai a correre verso la porta, beccandomi svariati rimproveri da parte della bidella, seduta a bere un caffè davanti la mia classe.
Ero quasi all'uscita, quando dei ragazzi mi tagliarono la strada sbucando dal corridoio posto in maniera perpendicolare a quello che stavo percorrendo.
Caddi a terra e per un attimo mi sembrò di essere ritornata al mio primo giorno di scuola, quando conobbi Harry.
“Ehi ma tu sei Erika, giusto?” mi chiese un ragazzo mentre mi aiutava ad alzarmi.
“Si, giusto” sussurrai massaggiandomi la testa.
“Amico, conosci questa ragazza?” chiese un’altra voce.
“Già. Erika stai bene?” mi chiese.
Finalmente alzai la testa e potei mettere a fuoco i due ragazzi che mi stavano davanti. Riconobbi all'istante la chioma castana e lucida di quel ragazzo. I suoi occhi celesti continuavano a squadrarmi con attenzione. Occhi che parevano trasparenti ogni volta che la luce del sole li illuminava. Mi ci sarei persa in quel celeste, ma la realtà mi ritrascinò giù.
“Louis mi serve il tuo aiuto” gli dissi seria.
“Michael ci sentiamo dopo” disse rivolgendosi all'amico.
I due si salutarono ed infine Louis mi rivolse la sua attenzione.
“Volevo chiederti se sapevi qualcosa riguardante il passato di Harry. Tutti continuano a dirmi di stargli alla larga, ma io vorrei capire almeno il perché” gli spiegai una volta usciti dall'edificio.
“Io non so niente su quello lì e comunque dovresti concentrarti su ragazzi migliori” disse sorridendo maliziosamente.
“Cosa vorresti insinuare?” ribattei cominciando a perdere la pazienza.
Mi stavo seriamente pentendo di aver chiesto aiuto a quel deficiente.
“Perché non indaghi sul mio di passato?” propose avvicinandosi a me.
“Sapevo di non dover chiedere aiuto ad uno come te” dissi dando voce ai miei pensieri.
Feci qualche passo, intenta a tornarmene a casa, quando mi afferrò il polso tirandomi a sé.
“Okay, mi dispiace. Ti aiuterò” disse guardandomi negli occhi. “Ma ad una condizione.”
Il sorriso che era appena nato sul mio viso, si spense all'istante a quelle ultime parole. Non perdeva occasione per torturarmi!
“Cosa vuoi?” chiesi incrociando le braccia al petto.
“Un appuntamento” sorrise.
“Non se ne parla” ribattei riluttante. 
“Devo pur guadagnarci qualcosa da tutta questa storia!” insistette lui afferrandomi una mano.
Per più di mezz'ora battibeccammo su tutta la faccenda. Ormai la mia pazienza era andata a quel paese e, stufa dei suoi continui capricci, accettai.
Visto che entrambi non conoscevamo davvero niente su Harry, decidemmo di investigare tra i vecchi registri scolastici. Se avesse fatto qualcosa legato alla scuola, doveva essere sicuramente annotato su qualche registro.
Con cautela rientrammo a scuola. Lentamente percorremmo il lungo corridoio centrale fino a giungere al suo termine. Adesso dinanzi a noi si trovava la porta della segreteria. Erano già le diciotto passate e a quell'ora le segretarie dovevano già essere andate tutte via. Poggiai la mano destra sulla lucente maniglia e la spinsi verso il basso, nella speranza di trovarla aperta. Nel frattempo continuavo a guardarmi intorno, incontrando quasi sempre lo sguardo di Louis. Nei suoi occhi potevo vedere riflessa la stessa agitazione e la stessa adrenalina che, nonostante la paura di essere scoperti, ci spingeva ad a proseguire la nostra missione. Scostai leggermente la porta e cacciai dentro la testa, scrutando il buio e polveroso interno. Non c’era anima viva nella stanza. Solo la calda luce del tramonto che entrava dalla finestra la illuminava. Senza esitazione infilai un piede oltre la soglia. Poi l’altro e fui dentro. Louis seguiva tutti i miei movimenti. Si richiuse la porta alle spalle e mi sussurrò all'orecchio: “E ora che si fa?”
Trasalii nel sentire il suo respiro sulla mia pelle, ma non mi lasciai distrarre: avevo un compito da svolgere e non potevamo di certo perdere tempo. Ogni secondo era prezioso.
“Seguimi” bisbigliai facendogli cenno con la mano.
Cercai di mantenere un tono calmo ed impassibile, anche se il mio cuore martellante in petto non mi aiutava granché.
Feci qualche passo, fino a raggiungere un’enorme cassettiera in acciaio. Su ogni cassetto era riportata una data. Scesi di cassetto in cassetto fino a giungere all'anno che mi interessava. Lo tirai a me e ne osservai il contenuto. Centinaia di cartelle occupavano per intero l’interno del profondo cassetto. In ognuna di esse vi era scritto il nome dello studente a cui apparteneva. Ne lessi un paio prima di giungere alla lettera “S” e intravedere il cognome di Harry.
“Trovata!” esclamai dimenticandomi della situazione in cui mi trovavo.
Louis mi riprese con un sonoro ‘shh’ ponendo il dito indice sulle sue sottili labbra.
Mimai delle scuse e tornai a concentrarmi. Le mani mi tremavano. Finalmente stavo per scoprire il tormentato passato di Harry.
Scostai la copertina e, con la poca luce che illuminava la stanza, cercai di leggere i fogli che conteneva la cartella. Ridussi gli occhi a due fessure prima di riuscire a leggere qualcosa. Lessi fogli su fogli, ma niente. Harry risultava essere uno studente modello, con splendidi voti ed un’ottima condotta all'interno della scuola. Era vincitore di innumerevoli gare sia a carattere sportivo che intellettuale. Eccelleva in tutto quello che faceva, ma all'improvviso un vertiginoso calo lo portò a trasformarsi nel suo completo opposto. Niente di più, niente di meno. Dopo questo cambiamento fu sospeso e la sua pessima media gli portò la bocciatura. Sollevai delusa lo sguardo da quei fogli e richiusi la cartella.
“Allora? Trovato qualcosa?” mi chiese impaziente, “non abbiamo molto tempo. Ti conviene sbrigarti.”
“Non ho trovato niente” sospirai, “un bel niente” ripetei riposando la cartella dentro il cassetto e richiudendolo.
“Allora è meglio andare. Qualcuno potrebbe sco-”
Non terminò la frase. Le parole gli si spezzarono tra i denti, sentendo delle voci lontane dal corridoio.
Come colpita da una scarica elettrica mi avvicinai alla porta e raggiunsi Louis. Lui istintivamente mi afferrò la mano e mi tirò all'esterno. Per fortuna il corridoio era libero, probabilmente erano andati in caffetteria. Corremmo più veloci che potevamo e in pochi secondi eravamo fuori dall'edificio. L’eccitazione per essere stati quasi scoperti mi avvolse e, assieme ad essa si aggiunge una strana euforia. Stranamente mi ero divertita nei panni di una qualche spia segreta. In quell'istante mi accorsi della grande mano che stringeva la mia. Arrossii leggermente e credo che lui se ne accorse. Iniziammo a ridere fino a piegarci in due.
“E’ stato davvero divertente!” disse lui.
“Concordo” risposi.
Tornammo a ridere per un altro paio di minuti fino a quando Louis si fece serio.
“Esci con me” affermò.
“Sì, lo so. Uscirò con te” replicai cantilenante. 
“No, io intendevo senza essere costretta da…” disse confusamente.
Si massaggiò la fronte con le nocche della mano destra, per poi passarla fra i suoi capelli lisci. Sarà stata la luce del tramonto, sarà stato il colore dei suoi capelli, ma in quell'istante mi parsero prendere brillare, quasi mi abbagliarono.
“Oh, niente. Lascia perdere” terminò abbassando lo sguardo.
“Adesso è meglio che vada. Harry mi starà aspettando.”
A quelle parole i suoi occhi si ricoprirono di un insolito velo grigiognolo, come se i suoi fantastici occhi turchesi fossero stati coperti da un sottile strato di polvere.
“Sì, hai ragione” farfugliò.
“Ci metteremo d’accordo domani per l’appuntamento” gli urlai da lontano salutandolo con la mano, “grazie per l’aiuto.”
“E’ stato un piacere!” urlò in risposta.
In fondo non ero allarmata per quell'uscita. Louis mi era sembrato un ragazzo arrogante e superficiale, ma nonostante io non mi sia comportata nei migliori dei modi con lui, mi ha aiutata nella mia impresa, anche se non è terminata nel modo in cui avrei voluto. Magari Louis si rivelerà uno dei miei potenziali nuovi amici. Chi lo sa. E ripetendo quelle parole nella mia testa, intrapresi la strada verso casa.

 

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Capitolo 8
*** Demoni ***


Tuffai una mano dentro una delle tasche del mio zaino e cominciai a tastare il fondo alla ricerca delle chiavi del mio palazzo. Dopo un paio di secondi sentii tra le mani un qualcosa di estremamente soffice e peloso. Un lieve sorriso nacque sul mio volto riconoscendo il portachiavi di James Sullivan, uno dei personaggi del film d'animazione che adoravo guardare da piccola. Lo tirai fuori facendo tintinnare le chiavi. Aprii la grande e possente porta ed entrai.
Strisciai i piedi sullo zerbino e cominciai a salire le scale. Mi ritrovai innanzi la porta dell'appartamento di Harry, quando la suoneria del mio cellulare ruppe il silenzio, diffondendo il suo suono, che echeggiava. Lo tirai fuori dalla tasca e vidi sul display una chiamata da parte di mio padre.
"Pronto papà?"
"Piccola mia! Come va a Londra?" mi chiese euforico.
"Qui tutto bene" mentii, naturalmente. Non potevo mica dirgli della mia situazione in quel periodo. "Come mai sei così contento?" chiesi infine.
"Oggi è il nostro anniversario di matrimonio e tua madre mi ha preparato davvero una bella sorpresa" mi spiegò.
Sapevo a cosa alludeva, era fin troppo chiaro. L'argomento, sinceramente, non mi interessava granché, specialmente se dovevo parlarne con i miei genitori. Era davvero troppo imbarazzante.
"Oh, capisco. Allora vi lascio. Divertitevi" dissi tagliando corto. Sapevo che mio padre moriva dalla voglia di chiudere la telefonata e correre tra le braccia di mia madre. 
"Grazie tesoro, ti saluta anche la mamma. Comunque domani passerà zio Peter a vedere se va tutto bene all'appartamento. Un bacio" concluse.
"Vi voglio bene."
A quelle parole mi commossi leggermente. La vita da sola era divertente, sorprendente e spensierata, ma comunque sentivo la loro mancanza. Certo, erano passati solo poche settimane dalla loro partenza, ma era come se mancassero già da molto tempo.
La schermata della telefonata si chiuse, mostrandomi la home del cellulare. Una piccola icona in alto attirò la mia attenzione. Andai a vedere tra i messaggi ricevuti e ne notai uno di Harry.

Da Harry Styles: Ti aspetto dopo le lezioni per comprare il cibo per stasera. Non tardare. 

Mi colpii la fronte con il palmo della mano, facendomi imprecare per il dolore. Come avevo fatto a non accorgermi del messaggio?
Presi le chiavi ed aprii la porta dell'appartamento. Entrai e poggiai lo zaino e la giacca sul mobile accanto all'ingresso, mentre riflettevo su quale scusa inventare da dire ad Harry. Non ero un'ottima bugiarda. Non lo ero mai stata.
Visitai tutte le stanze dell'appartamento, guardai persino in bagno, ma lui non c'era. La casa era completamente vuota. Sembrava che non fosse nemmeno tornato. Tutto era in perfetto ordine, nessun abito sparso per la sua stanza, nessun paio di boxer lasciato sul pavimento del bagno accanto alla cesta della biancheria sporca e il televisore era ancora sintonizzato su Real Time. Harry odiava quel canale, diceva che trasmettevano solo programmi senza senso. A me, invece, piaceva e una sera, dopo una piccola guerra in casa, riuscii a convincerlo a guardare con me Il Boss delle torte. Tutto mi faceva pensare che non avesse messo piede in casa e che quindi era ancora in giro. Sospirai sollevata, di certo avevo più tempo per pensare a cosa dirgli.
Nel frattempo, però, decisi di andare a fare una doccia, mi aiutava sempre a riflettere.
Mi lasciai cadere gli indumenti ai piedi ed aprii l'acqua. Era ancora fredda quando mi misi sotto il getto, il che mi provocò un leggero brivido lungo tutta la schiena.
Cominciai a lavarmi canticchiando una delle mie canzoni preferite.
"When you feel my heat, look into my eyes, it's where my demons hide, it's where my demons hide..."
Erano infinite le emozioni che quella canzone riusciva a trasmettermi ogni volta che l'ascoltavo.
"Don't get too close, it's dark inside. It's where my demons hide, it's where my demons hide..."
Ma quella volta, mentre cantavo a squarciagola il ritornello, mi apparve l'immagine di Harry, dei suoi occhi verdi, dell'urlo muto che mi giungeva attraverso il suo sguardo e che mi diceva di stargli lontana. Non dovevo avvicinarmi, dovevo scappare finché ero in tempo, fuggire e non guardare indietro, perché se l'avessi fatto, avrei rivisto i suoi occhi e non sarei più stata capace di continuare, sarei sicuramente tornata da lui. Lui, che era la mia salvezza e la mia rovina. Perché doveva tenersi tutto dentro? Perché non voleva parlarne? Condividendo i suoi demoni con me, forse il peso sulle sue spalle si sarebbe alleggerito, non sarei riuscita a cacciarli definitivamente, ma almeno avrei sofferto con lui, provando la stessa sua paura di mostrarsi veramente per quello che è: un ragazzo meraviglioso che non aspettava altro che uscire e ricominciare a respirare.
 

Terminai la mia lunga doccia e mi avvolsi nella morbida spugna dell'accappatoio di Harry. Il mio era rimasto in camera e avrei preso freddo se fossi andata a prenderlo. Così lo tamponai su tutto il corpo e, asciutta, andai in camera. Mi sedetti sul letto e poggiai sulle mie gambe il mio borsone. Aprii la cerniera e tirai fuori dei pantaloni da yoga e una felpa bordeaux con un grosso smile sorridente al centro. Legai i capelli in uno chignon e fermai i ciuffetti di capelli che mi cadevano dalle tempie con due forcine.

Andai in cucina e posai lo sguardo sull'orologio accanto ad un quadro che raffigurava dei fantastici girasoli.
Erano le venti passate ed Harry non era ancora tornato. Iniziai a preoccuparmi, ma sapevo come era fatto. A volte spariva senza dare notizie, ma alla fine si faceva sempre vivo.
In quell'istante il ronzio del citofono si espanse per tutta la stanza. Pensai subito ad un suo possibile ritorno, ma l'immagine che vidi dal piccolo schermo distrusse le mie speranze.
Vidi una ragazza con i capelli scuri e corti e un paio di occhi azzurri. Era agitata, sicuramente attendeva una risposta.
"Si?" chiesi.
Lei sembrò sorpresa nel sentire la mia voce, probabilmente si aspettava una voce di gran lunga più virile e profonda.
"C-ciao, mi chiamo Coraline, sono... un'amica di Harry" rispose con voce tremante.
Ebbi un'illuminazione. Harry non mi aveva parlato di lei, ma forse lei poteva dirmi qualcosa in più su di lui, lo conosceva da molto più tempo di me e presumibilmente conosceva il suo passato. Non mi lasciai scappare l'idea ti farla salire per concretizzare le mie teorie.
"In questo momento Harry non c'è. Puoi aspettarlo con me, se ti va" risposi cordiale. Sorrise leggermente ed accettò. La feci entrare e ci accomodammo sul divanetto in salotto. A primo impatto mi sembrò una ragazza abbastanza gentile e socievole. Era vestita molto bene, truccata e tirata a lucido, sembrava essere figlia di qualche personaggio importante e ricco.
Le offrii qualcosa da bere, ma declinò, dicendomi che era solo di passaggio e che sarebbe andata via molto presto.
"Be' credo di non essermi ancora presentata" dissi lievemente in imbarazzo, "io sono Erika Brown e sono anch'io una sua amica."
"Come hai conosciuto Harry?" mi chiese e nei suoi occhi potei notare un bagliore di curiosità.
"Conobbi Harry a scuola. Diciamo che il nostro incontro non è stato uno dei migliori, ma siamo diventati amici" spiegai con un sorriso in volto.
Lei annuì, poi continuò:
"Capisco. Sai ripensandoci, credo che accetterei volentieri una tazza di caffè, freddo possibilmente."
"Te la preparo subito" risposi scattando in piedi.
Andai in cucina e afferrai una delle tazze che avevo lavato quella mattina. Presi il boccale con dentro il caffè e ne versai un po' nella tazza. Tornai in salotto e mi sedei accanto a lei, porgendole la bevanda.
"Oh, grazie infinite" mi disse con un grande sorriso.
"Tu come hai conosciuto Harry?" chiesi a mia volta.
"E' una lunga storia" rise portandosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio, "Harry ed io facevamo parte dello stesso gruppo d'amici. C'è sempre stata una grande intesa tra noi due e, col tempo, è sbocciato l'amore" spiegò con un filo di malinconia nelle sue parole, come se quei momenti le mancassero.
"Oh." Fu l'unico suono che riuscii ad emettere. Rimanemmo per un paio di secondi in silenzio, poi lei stessa lo dissolse.
"E' passato un po' di tempo, ormai l'ho superata. In fondo lui era perfetto, sono stata io a rovinare tutto..." continuò fissando le sue mani stringere la tazza.
"Cosa è successo, se posso chiedere?" mi azzardai, nonostante fosse un argomento delicato.
"Erano passati pochi mesi da quando io e Harry ci eravamo messi insieme. Tutti i nostri amici si congratulavano con noi, erano felici nel vederci così contenti ed innamorati. Era tutto perfetto, tutto sembrava ricordare una di quelle favole con il lieto fine. Poi, però, per un errore, uno stupido errore, ho rovinato tutto. Ho distrutto tutto quello che avevamo costruito insieme. Per colpa mia, Harry ha dovuto attraversare momenti difficili. Fino ad oggi non mi perdono per quello che ho fat-"
Sentimmo aprirsi la porta e vedemmo Harry spuntare da dietro essa.
"Coraline! Che ci fai qui?" quasi urlò lui.
"Harry, ti prego lasciami spiegare" disse supplicante, scattando in piedi e andando verso di lui.
"Non c'è niente da spiegare. Io non voglio più vederti!" ribatté tenendo la porta aperta, "Va' via!"
"Harry, aspetta! Lasciala parlare" mi intromisi mettendomi in mezzo.
"Tu non hai il diritto di intrometterti nelle mie faccende, non immischiarti" urlò anche contro di me.
"Harry ti supplico" insistette afferrandogli le mani.
"Non toccarmi! Non hai ancora capito che non voglio più avere nulla a che fare con te?"
"Harry" sussurrò con ormai le lacrime agli occhi.
"Vattene" disse impassibile indicando la porta.
Lei prese la sua borsa e mi rivolse uno sguardo rassegnato e riconoscente, per aver cercato almeno un po' di aiutarla. Uscì dall'appartamento e se ne andò.
 

Harry era furioso, sentivo il suo respiro affannato squarciare il silenzio che era sceso su di noi. Presi la tazza, che era rimasta sul tavolino, e la posai dentro il lavello.

"Harry, io-" tentai di dirgli.  

"Non dire niente. Perché l'hai fatta entrare?" chiese rivolgendomi due occhi che mi parsero fiamme. "Era così gentile e aveva chiesto di te, così le dissi di aspettarti dentro" spiegai cercando di sostenere il suo sguardo.

"Non devi farti ingannare dall'apparenza. Lei è una ragazza spregevole! Non hai idea di quello che mi ha fatto!" alzò la voce di nuovo.
"Come facevo a saperlo se tu non mi dici niente della tua vita?" risposi a tono.
"La mia vita non ti riguarda! Ci conosciamo da qualche settimana e già credi che ti racconterò tutto?"
Quelle parole mi spezzarono il cuore. Davvero la pensava così? Davvero pensava che tutto quello che era successo tra di noi non valeva niente?
Lacrime calde corsero generose sulle mie guance.
"Non ti ho mai chiesto di raccontarmi tutto. Ma almeno non arrabbiarti con me, io non ho colpe! Sei tu quello che continua a fare il giochetto del ragazzo misterioso pieno di problemi! Se proprio vuoi sentire la verità, te la dirò: mi fai pena, continui a vivere con i tuoi scheletri e non riesci a lasciarteli alle spalle. Vivrai nel passato fino a quando non ne sarai completamente sommerso."
Gli disse quelle parole di getto, come se mi fossi liberata da un grosso peso. Non so se le parole che dissi quella sera erano veritiere o meno, ma per una volta mi sentii orgogliosa di me stessa per avergli detto quello che pensavo in faccia.
Presi la mia giacca e scappai di casa, superando il suo sguardo incredulo. Sapevo di averlo ferito con quelle parole, ma non m'importava. Quella con il cuore spezzato ero io e non avevo nessuna intenzione di tornare indietro per chiedergli scusa.

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