Sleeping Beauty

di MystOfTheStars
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I doni per il principe ***
Capitolo 2: *** Il ragazzo che si era perso nel bosco ***
Capitolo 3: *** In un sogno ***
Capitolo 4: *** Il porcospino nel labirinto di rose ***
Capitolo 5: *** Il sapore dell'estate ***
Capitolo 6: *** In rosa e in blu ***
Capitolo 7: *** Un cuore umano non può provare vero amore ***
Capitolo 8: *** Pazienza ***
Capitolo 9: *** Il temporale ***
Capitolo 10: *** Scoperte ***
Capitolo 11: *** La vigilia del compleanno ***
Capitolo 12: *** Prima che il sole tramonti sul suo diciottesimo compleanno ***
Capitolo 13: *** Lo spirito della luce delle stelle ed il demone di giada ***
Capitolo 14: *** Il bacio del vero amore ***
Capitolo 15: *** Luce ***
Capitolo 16: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** I doni per il principe ***


Titolo: Sleeping Beauty - capitolo I; I doni per il principe
Fandom: Binan Koukou Chikyuu Bouei-bu Love!
Personaggi: un po' tutti
Pairing: EnAtsu, IoRyuu, vari ed eventuali
Rating: verde
Genere: fantasy, commedia, romantico
Avvertenze: AU



Capitolo I
 
I doni per il principe.





Il regno di Binan era in festa. La notizia della nascita del primogenito della coppia reale, avvenuta all'alba di quella calda giornata estiva, aveva già fatto il giro di tutta la capitale e la voce si stava piano piano spandendo nei villaggi circostanti.
Si trattava senz'altro di una lieta novella: le nozze dei sovrani risalivano ormai a qualche anno prima, e più tempo passava senza che la Regina rimanesse incinta, più il popolo si preoccupava. Finalmente, pochi mesi prima, era stato annunciato l'arrivo del tanto sospirato erede, ma questo, anche dopo il concepimento, si era fatto aspettare. Aveva tranquillamente lasciato trascorrere ben più dei canonici nove mesi prima di degnarsi di nascere e, una volta iniziate le doglie, aveva fatto penare non poco madre e levatrici prima di decidersi a venire al mondo.
Alla fine, però, accettando l’inevitabile destino che lo attendeva, si era deciso a venire alla luce, sano e bello grosso.
"A quanto pare, il principino non aveva alcuna voglia né tantomeno fretta di lasciare la comodità del ventre materno... Ma meglio tardi che mai." aveva commentato una delle levatrici, mettendolo in braccio alla madre dopo averlo pulito e asciugato.
La Regina, scostandosi una ciocca sudata dal volto, lo aveva stretto a sé e gli aveva baciato la fronte.
"Benvenuto, mio piccolo En." gli aveva sussurrato all'orecchio.
Come da tradizione, di lì a pochi giorni si sarebbe celebrata ufficialmente la nascita dell'erede al trono, con una festa così sontuosa che tutto il regno avrebbe continuato a parlarne per decenni.
In realtà, quel ricevimento sarebbe stato ricordato non solo per anni, ma per secoli a venire - e in questo senso, nonostante le circostanze per cui ciò avvenne non furono delle più rosee, eccedette certamente le migliori aspettative dei sovrani.




Nella serata estiva calda e movimentata, la sala dei ricevimenti del palazzo reale splendeva di ori e sete preziose, le pareti ingombre di arazzi e stendardi, affollata e sgargiante delle vesti lussuose sfoggiate dalla folla che la riempiva.
La festa per la nascita del principe En era già entrata nel vivo: gli ospiti, nobili del regno di Binan ma anche dei reami vicini, avevano iniziato a giungere già nel primo pomeriggio. Ognuno di loro portava doni al neonato principino: gioielli, stoffe preziose, suppellettili incastonate di gemme, perfino dei giovani puledri di razza pregiata.
Non si trattava unicamente di un gesto di omaggio per il loro futuro sovrano: l'occasione serviva anche per dimostrare nuovamente la propria sottomissione ed il proprio supporto alla famiglia reale. Certo, vivevano in un periodo di pace, ma ogni momento era buono per riconfermare amicizie ed alleanze.
Proprio per questo motivo, gli ospiti di maggior riguardo erano i sovrani del regno confinante, Boueibu: questi, oltre ai regali convenzionali, portavano in dono qualcosa di davvero essenziale non solo per il neonato, ma per tutto il reame.
Re Yufuin di Binan e Re Kinugawa di Boueibu, infatti, ormai da tempo sognavano di rinforzare l'alleanza politica tra i loro due piccoli stati, e la venuta al mondo del principe era l'occasione per suggellare definitivamente i progetti di cui i due sovrani, fino ad adesso, avevano discusso solo in teoria. Il regno di Boueibu aveva già una principessina, una bimba di pochi anni, che in quel momento se ne stava tranquillamente in piedi accanto alla Regina sua madre, sotto il vestito della quale si intravedeva la curva gentile di una seconda gravidanza.
Sotto gli sguardi della corte riunita, la principessa era stata condotta fino alla culla del neonato (che, per nulla impressionato dalla folla che riempiva la sala e dal vociare infernale che riecheggiava tra le pareti, aveva dormito beato tutto il tempo) e gli aveva sfiorato una manina. Le due Regine si erano guardate con un sorriso di intesa e i due Re si erano scambiati un'occhiata soddisfatta: non appena avessero avuto l'età adatta, i due giovani rampolli si sarebbero sposati.

Il sole tramontò ed i servitori si affannarono ad accendere le torce e i lampadari del grande salone, le fiamme che danzavano allegramente nella brezza che entrava dalle alte finestre, lasciate spalancate per lenire l'afa che regnava all'interno.
Mancavano ancora tre soli ospiti, ma non si fecero attendere a lungo: sotto lo sguardo ammirato e un po' divertito della compagine di nobili, infatti, apparvero quelle che, a prima vista, sembravano piccole palle di luce colorata - o forse lucciole troppo grosse.
Vorticarono nell'aria sotto le volte del soffitto, con un lieve ronzio di ali, fino a raggiungere il palco dove si trovavano i troni dei sovrani e la culla del principino. Seguirono tre sonori sbuffi di luce - dorata, purpurea, rosata - e, al posto delle strane lucciole, comparvero tre giovani, vestiti di bizzarri abiti candidi.
Dalla notte dei tempi, era tradizione che ogni piccolo erede al trono ricevesse dei doni dai suoi spiriti protettori, e quelli di En erano giunti proprio in quel momento: Io, spirito della terra, con un caschetto di capelli color dell'erba appena nata, Ryuu, spirito del fuoco, dai ciuffi di chioma rosa che gli ricadevano in disordine sugli occhi, e Yumoto, spirito della luce, che aveva le iridi scarlatte come rubini.
I tre si inchinarono con cortesia verso i sovrani e poi si voltarono verso la culla, in uno scalpiccio impaziente di scarpette a punta.
"Waaaah, ma guarda che neonato adorabile! Così grinzosetto e pacioccoso! Lo posso prendere in braccio?!" Yumoto, che di etichetta di corte si intendeva ben poco, aveva già allungato le mani per afferrare En, ancora beatamente addormentato. Prima che potesse riuscirci, Io gli allungò uno scappellotto sul polso per fermarlo.
"Non è uno dei tuoi cuccioli del bosco, lascialo stare!" lo redarguì prontamente "Siamo qui per i doni, ricordi?"
Yumoto sembrò un pochino deluso, ma si scostò dalla culla, lasciando la parola allo spirito più anziano, che sorrise, rigirandosi la bacchetta magica tra le mani, mentre si inchinava cerimoniosamente di fronte al neonato.
“Piccolo principe, ecco il primo dono.” fece, tendendo verso di lui la punta della bacchetta, che terminava in una sfera d'oro, circondata da un anello di rame. “Il mio regalo per te è la ricchezza. Crescerai e vivrai sempre nell'abbondanza di denaro e nel lusso, più di qualsiasi altro sovrano.”
Mentre lo diceva, sfiorò delicatamente la fronte del bambino con la sfera, che sprigionò una piccola cascata di scintille dorate.
Ryuu sbuffò, mentre lo spirito della terra gli passava accanto per lasciargli il posto a fianco della culla.
“Ma non sarebbe stato compito tuo fargli dono di qualità e doti dello spirito?” obiettò sottovoce “Ricchezza e lusso, davvero? E' un principe, è ovvio che vivrà sempre circondato da tutti gli agi!” commentò brontolando, leggermente infastidito dal fatto che l'altro sembrasse pensare sempre e solo al denaro.
Io si strinse nelle spalle, serafico. “La ruota della fortuna ha i suoi alti e bassi anche per i nobili, sai? E poi, come si possono coltivare le doti dello spirito, senza un minimo di stabilità economica?”
Ryuu roteò gli occhi. “E comunque, non dovremmo regalargli ciò che desideriamo per noi.” rincarò, affacciandosi sopra la culla.
“Bel principino, vedrai che adesso ci penserà zio Ryuu a farti un regalo veramente utile!” disse, facendogli l'occhiolino e sollevando verso di lui la sua bacchetta color lampone, la cui punta terminava nella delicata riproduzione di una fiamma. “Il mio dono per te è la bellezza! Nessuna delle ragazze che incontrerai saprà resisterti, e tutti i loro cuori saranno tuoi!” fece con un sorriso, sfiorandogli i nasino, mentre la bacchetta sprigionava una piccola scia di bollicine di luce rosata.
“...tutte le ragazze che incontrerà saranno ai suoi piedi?” Io sollevò un sopracciglio, scettico, mentre lo spirito del fuoco tornava al suo fianco. “Non è cortese dire così, in presenza della sua futura sposa.” disse, accennando con lo sguardo alla principessina che li osservava estasiata, per nulla preoccupata da quei discorsi.
Ryuu ridacchiò nervosamente.
“...io intendevo fino al matrimonio, naturalmente.”
Lo spirito della terra annuì, pensoso. “Oh, e com'era il discorso sul non regalargli qualcosa che desideriamo per noi?”
“Eddai, basta! E poi che cosa intendi, che non sarei bello d'aspetto?”
Io si corrucciò. “Ehi, non mettermi in bocca cose che non volevo dire. Quello che intendevo...”
Ignorando il battibecco tra i due spiriti, Yumoto si allungò sulla culla, stringendo a sé la bacchetta dalla punta a forma di cuore come se ciò lo aiutasse a trattenersi dall'allungare le mani sul bambino addormentato, per fargli coccole apparentemente non consentite.
“Allora, caro il mio principino, il regalo che intendo farti io è-”
La sua frase venne interrotta bruscamente da una fortissima folata di vento che investì la sala ululando, e spense in un sol colpo tutte le torce e le candele dei lampadari.
Molti degli astanti si girarono verso le finestre, chiedendosi se per caso non fosse scoppiato un temporale: ma il cielo ormai buio era terso e pieno di stelle.
L'attenzione di tutti, però, venne presto attirata nuovamente al centro della sala. Lì, nel silenzio generale, stava parlando qualcuno.
“Bene, bene, che festa lussuosa.”
Nel vuoto che si era velocemente creato attorno a loro, adesso, stavano in piedi tre giovani ammantati di nero e porpora.
Anche senza l'entrata in scena ad effetto, il terzetto avrebbe subito attirato l'attenzione di chiunque: i loro visi irradiavano una bellezza sovrannaturale e le loro fattezze tradivano la loro provenienza dal mondo fatato. A parlare per primo era stato il più minuto dei tre, che aveva un incarnato pallido e due occhi affilati, sotto una frangia dello stesso colore del chiaro di luna.
“Mh, già, sembrano essersi davvero impegnati a dare il meglio, per essere degli umani.” commentò con un sorriso quello al suo fianco destro, il più alto, che aveva folti capelli color del muschio.
“Dici? A me sembra tutto così inescusabilmente scialbo e ordinario; vista l'occasione, avrebbero proprio potuto sforzarsi di più.” gli fece eco il terzo, che sfoggiava una lunga chioma dalle stesse sfumature dei petali di ciliegio, mentre si tormentava distrattamente una ciocca tra le dita affusolate. I suoi occhi celesti vagavano sugli astanti con una vaga preoccupazione, come se temesse che tale sciattume potesse assalirlo e contagiarlo.
“Akoya, gli umani fanno ciò che possono.” replicò quello più alto, quasi a voler scusare i mortali lì presenti.
Nel frattempo, quello che aveva parlato per primo fece un passo avanti, lo sguardo sempre fisso sui sovrani di fronte a loro, a cui si rivolse dopo un breve e rigido inchino. “Temevo quasi di essere in ritardo, vostre maestà, e la cosa mi sarebbe davvero dispiaciuta, considerando quanto ami la puntualità. Del resto, visto che vi siete dimenticati di avvisarci dell'evento, mi era difficile capire a che ora avremmo dovuto presentarci.”
“Gli umani certo sanno essere sbadati.” commentò con una risatina il giovane dai capelli scuri.
Re Yufuin, che fino a quel momento era rimasto incollato al suo scranno, quasi pietrificato dall'apparizione, si alzò di scatto, affrontando a testa alta il giovane dai capelli argentati.
“Non c'è stata alcuna dimenticanza. Che cosa vi dà il diritto di credere che sareste stati invitati? Non c'è posto per voi in questo palazzo, demoni stirpe delle tenebre.” rispose secco.
“Be', che situazione imbarazzante.” replicò l'altro, dalla cui voce fredda non trapelava alcuna emozione, men che meno imbarazzo. “Mi vorrete scusare, allora, ma tenendo conto del fatto che sono stati invitati tutti i nobili delle città qui attorno e che il nostro castello non è poi così distante, temevo che si fosse trattato di una disattenzione.”
“Mio signore Kinshiro, non avranno voluto invitarci per evitare che oscurassimo il resto degli invitati con la nostra bellezza, ovviamente.” commentò Akoya con un’alzata di spalle, lasciando ricadere la ciocca di capelli sugli ornamenti dorati della sua tunica.
“Tu, smettila di darti tante arie!”
Da dietro il sovrano, era emerso un Ryuu furente di rabbia, con un indice aggressivamente puntato contro i tre nuovi arrivati. “Non avete sentito? Non siete ben accetti a questa corte, quindi è il caso che sloggiate!”
Akoya diresse un ghigno divertito nei confronti dello spirito del fuoco. “Ma guarda, hanno invitato anche voi povere fatine dei fiori per gli effetti speciali! Una pessima scelta, davvero, noi avremmo potuto offrire un intrattenimento molto più spettacolare.”
Ignorando lo scambio di battute acide tra i due, Kinshiro mosse qualche passo verso i sovrani. I suoi lunghi stivali di pelle nera non facevano alcun rumore sul pavimento di marmo della sala.
“Certo non intendiamo rimanere dove non siamo desiderati, né rovinarvi la festa.” disse, composto, “Tuttavia, siccome io conosco bene il significato della parola educazione, non mi sono presentato a mani vuote. Ho anch'io un dono per la nascita del principe.”
Il Re, allarmato, alzò una mano, comandando alle guardie di intervenire. A quel segno, i soldati si lanciarono immediatamente sul terzetto, ma non riuscirono a raggiungerli: un movimento delle dita dei due sottoposti alle spalle di Kinshiro, e gli uomini caddero a terra, stretti nella morsa di catene che sembravano fatte di tenebra e che si contorcevano attorno a loro come serpenti d'ombra.
“Se quegli spiriti hanno potuto fare i loro doni, non vedo perché a me sia precluso farlo.” disse Kinshiro, salendo sul palco e dirigendosi verso la culla.
Il Re fece per muoversi a sua volta e mettersi in mezzo, ma lui e gli altri sovrani fecero immediatamente la stessa fine dei soldati.
Nel frattempo, Ryuu, Io e Yumoto si erano arroccati di fronte al principino, pronti a difenderlo, sebbene dubitassero di potere qualcosa contro la magia di Kinshiro e dei suoi sottoposti.
Il demone, tuttavia, si fermò prima di avvicinarsi ulteriormente. Lentamente, protese di fronte a sé la mano destra, ricoperta da un raffinato guanto candido, e dischiuse le dita. Sul suo palmo, ora, stava sospeso un ago di luce verde, velenosa. Con un movimento fluido e così veloce che nessun occhio poté seguirlo, lo scagliò contro il principe. L'ago compì una breve traiettoria nell'aria buia, per poi conficcarsi nel petto del neonato e sparire al suo interno.
Il bambino si agitò appena e spalancò gli occhi, che, per un istante, brillarono di una luce scura e purpurea.
Yumoto si gettò su di lui, mentre Ryuu si voltò inviperito contro Kinshiro.
“Bastardo! Che cosa gli hai fatto?!”
Il demone lo guardò con aria di sufficienza.
“Non hai mai visto scagliare una maledizione?” chiese, in tono condiscendente. Senza aspettare una sua risposta, si voltò verso i sovrani, i quali, prigionieri delle catene di tenebra, lo guardavano con occhi colmi di puro orrore.
“Ascoltatemi bene; non ha senso preoccuparsi per quel bambino, adesso; crescerà sano e forte come volevate. Giocate pure ai vostri matrimoni di convenienza e alle vostre alleanze, ma ricordate che avrete tempo solo fino al suo diciottesimo compleanno. Quando il sole tramonterà quel giorno, il vostro principe si pungerà con il fuso di un arcolaio e morirà.”
Le ultime parole di Kinshiro rimbombarono nella sala pietrificata dalla magia e dall'incredulità. Le labbra violacee del demone si piegarono in un mezzo sorriso, soddisfatto dell’effetto teatrale ottenuto.
Senza aggiungere altro, si girò sui tacchi e, in uno sbuffo di luce nera, svanì alla vista, immediatamente seguito dai suoi due subordinati.


Le catene che tenevano prigionieri gli astanti si dissolsero in quello stesso momento, ma a poco servì che le guardie pattugliassero ripetutamente ogni angolo della sala e del palazzo: i tre demoni erano svaniti.
La Regina corse a prendere in braccio il suo bambino, singhiozzando di spavento. Il piccolo En, però, apparentemente illeso, si limitò ad addormentarsi tra le sue braccia.
Yumoto, tremante, osservava il punto della sala in cui il terzetto era svanito, impugnando la sua bacchetta come un'arma.
“...quei demoni! Ora li inseguo e li costringo a tornare qui e togliere quella stupida maledizione!” sbottò all'improvviso.
Io gli si avvicinò, afferrandolo per una spalla e facendogli abbassare la bacchetta.
“E' un'assurdità, lo sai bene. E poi, non si può disfare una maledizione del genere, una volta lanciata.”
A sentire quelle parole, Re Yufuin gli rivolse uno sguardo di puro panico.
“...non c'è modo di toglierla? E le vostre magie, allora?”
Io scosse la testa. “La maledizione lanciata da quel demone è troppo potente per essere sciolta.”
Ryuu, che nel frattempo era stato ad osservare la scena picchiettandosi il mento con la punta dell’indice in maniera pensosa, si rivolse improvvisamente a Yumoto.
“Ehi, tu devi ancora dare la tua benedizione al principe, non è così? C'è sicuramente qualcosa che puoi fare per contrastare la magia di quello sbruffone!”
Lo spirito di luce lo guadò con aria interrogativa, poi batté un pugno sulla mano.
“Sì, hai ragione!” esclamò, affrettandosi a raggiungere lo scranno dove stava seduta la Regina e sporgendosi verso il bambino.
“Be', avevo deciso di farti un regalo un poco più divertente, ma penso che le circostanze non mi lascino molta scelta.” esordì, posando la bacchetta sul petto del neonato.
“Non posso impedire che la maledizione si avveri, principino, però posso modificarne gli effetti: se il giorno del tuo diciottesimo anno si compirà quanto profetizzato, non morirai, ma cadrai in un sonno profondo, così profondo che nulla potrà svegliarti, se non il bacio del vero amore.” disse, e una luce scarlatta avvolse il corpo del piccolo principe, abbracciandolo per qualche lungo istante, prima di dissiparsi in tante piccole gocce sul pavimento sotto di lui, nel silenzio della sala.
“...il bacio del vero amore, Yumoto? Seriamente? Non c'era qualcosa di più facile, non lo so, il canto di un uccello, una pianta magica?” fece Ryuu, con l'aria stanca.
Yumoto scosse la testa. Nonostante la situazione, ora sorrideva soddisfatto.
“Piante magiche, ma che dici? È risaputo che l'unica cosa che può sconfiggere una maledizione di questo genere è il potere dell'amore.” sentenziò, allungando una mano ad accarezzare il viso del bimbo addormentato.
“Non preoccuparti, principino, tutto si risolverà per il meglio!” garantì e, a suggello della sua promessa, gli allungò un pizzicotto sulla guancia.
A quello, però, En prima storse la bocca in una smorfia di fastidio e poi scoppiò a piangere.






Più tardi, quella notte, quando gli ospiti se ne furono andati, i tre spiriti raggiunsero i sovrani nelle loro stanze, per riflettere sul da farsi.
Concordavano tutti sul fatto che la benedizione di Yumoto non fosse sufficiente a tenere En al sicuro: che cosa sarebbe successo se Kinshiro avesse scoperto che la sua maledizione era stata in qualche modo contrastata? Sarebbe tornato per cercare di fargli nuovamente del male?
La soluzione migliore, avevano pensato, sarebbe stata allontanare il principe della corte, farlo crescere in un luogo lontano, dove i demoni non avrebbero potuto trovarlo e portare a compimento il loro piano.
“Ma perché prendersela con un neonato?” fece la Regina, disperata, tenendo tra le braccia il figlioletto, ben consapevole che lo stava stringendo a sé per l’ultima volta in quelli che sarebbero stati anni.
Ryuu alzò gli occhi dalla pergamena su cui stava scrivendo.
“Hanno scelto lui come vittima proprio perché non può difendersi, tanto è il coraggio di quei boriosi. Si credono migliori di tutti e farebbero qualsiasi cosa pur di rendere la vita impossibile alle creature che considerano inferiori.” spiegò con un moto di fastidio, prima di tornare ad intingere la penna nel calamaio di fronte a lui.
Yumoto, che stava facendo origami con i pezzi di foglio che Ryuu non usava o che aveva scartato, si strinse nelle spalle con un sospiro.
“Kinshiro, una volta, era uno spirito della luce come me. Nessuno sa che cosa sia successo, perché sia diventato una creatura delle tenebre, o perché odi così tanto gli esseri umani.”
Il Re, che stava studiando una mappa assieme ad Io, parlò con voce scura, piena di risentimento.
“Per certo so solo che quei demoni ormai sono arroccati ai confini del mio regno da anni. Abbiamo tentato più volte di scacciarli, ma invano. Non avevano mai avuto l'ardire di manifestarsi all'interno della capitale, fino ad oggi.”
“Perché offendersi tanto per un mancato invito alla festa di persone che ti stanno antipatiche, comunque? Proprio non capisco.” commentò Yumoto, appallottolando un origami venuto male.
“Mah, sarà stata tutta invidia.” rispose Ryuu, sigillando l'ennesimo rotolino di pergamena ed aggiungendolo alla pila di messaggi che sia era pian piano formata di fianco a lui.
Io la fissò con sguardo interrogativo, alzando un sopracciglio come a chiedere spiegazioni.
“Che c'è?” reagì Ryuu, sulla difensiva. “Sto solo scrivendo a tutte le mie ninfe e alle mie fatine. Dovrò pure avvertirle che, per un po' di tempo, non mi farò vedere, o si preoccuperanno.”
Accarezzò con un dito alcuni dei foglietti arrotolati. “Mi mancheranno...” fece con un sospiro languido “Ma certo non avrò tempo per le mie ragazze, se dovremo occuparci del bambino.”
A quella frase, i due sovrani si scambiarono uno sguardo di leggera apprensione. Se dovevano pensare ad una lista di persone alle quali avrebbero affidato il figlio ad occhi chiusi, i tre spiriti non occupavano certo i primi posti, anzi.
Tuttavia, non si potevano negare le loro buone intenzioni né la loro dedizione alla causa: quel giorno, assieme ai doni, avevano offerto al principe ed al regno anche la loro fedeltà ed i loro servizi; certamente avrebbero fatto del loro meglio per tenere En al riparo dai pericoli.
Sembrava anche che i tre avessero escogitato un piano: avevano detto di conoscere un luogo sicuro, nascosto nel fitto della foresta, ben lontano dal covo dei demoni, dove il principe non correva alcun rischio. Tuttavia, non ne avrebbero rivelato l'ubicazione ai sovrani: se i due avessero saputo dove poter trovare il figlio, la tentazione avrebbe potuto prevalere sul buon senso, e se qualcuno li avesse seguiti mentre si recavano a far visita al principe, avrebbero vanificato tutti gli sforzi per tenerlo nascosto. I tre avevano promesso, comunque, di tenere regolarmente informati i sovrani della salute del bambino e che avrebbero fatto ritorno a palazzo il giorno del suo diciottesimo compleanno, affinché la famiglia si ricongiungesse.
Con il cuore stretto in una morsa di dolore ed apprensione, i due genitori avevano quindi affidato il loro figlioletto ai tre spiriti.
Questi avevano atteso l'alba per partire: alla luce del giorno, le creature delle tenebre perdevano buona parte dei loro poteri, e sarebbe stato molto più difficile che venissero seguiti.


Fu così che, come i primi raggi di sole lambirono i tetti della città, tre figure lasciarono le mura della capitale, avventurandosi nei campi e portando con loro un piccolo fagotto addormentato.



 
*** *** ***


NOTE:
Sono anni che non pubblico su EFP, ma per una cosa fantastica come Boueibu, be', dovevo fare un'eccezione.
Mi scuso, in un certo senso, per l'ovvietà e la scontatezza di questo primo capitolo, ma un'AU del genere non poteva cominciare in modo molto diverso. L'abbinamento En/bell'addormentato nel bosco mi ronzava in testa da un po', e alla fine mi sono decisa a scrivere il primo capitolo di questa storia. Cercherò per quanto possibile di rispettare il tono generale dell'anime, anche se, conoscendomi, rating ed avvertimenti potranno facilmente cambiare, col progredire della storia. Allo stesso modo, cercherò di mantenere, per quanto consentito, le relazioni tra personaggi il più simili possibile a come vengono delineate tra manga, anime e gioco - coppie a parte, che ovviamente seguono il mio gusto~
Al prossimo capitolo!

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Capitolo 2
*** Il ragazzo che si era perso nel bosco ***


Capitolo II

 

Il ragazzo che si era perso nel bosco.

 

 

Nella calura estiva, la foresta ferveva di attività: gli uccellini cinguettavano, gli scoiattoli saltavano di ramo in ramo, e ogni tanto i tronchi degli alberi risuonavano del tocco di un picchio. Sottofondo costante, oltre lo stormire placido delle foglie nella brezza, era il ronzio degli insetti e il frinire dei grilli, che saltellavano tra le felci.
In quella natura intatta, non vi era che un sentiero che segnava il sottobosco, ed anche questo sarebbe stato pressoché impossibile da trovare per chi non fosse già a conoscenza della sua esistenza, tanto era celato nel fitto degli alberi. Ma non era solo il fatto che fosse poco evidente a rendere difficile individuarlo: c'era un incantesimo che circondava quella foresta, una magia che avrebbe impedito a chiunque, salve poche eccezioni, di trovare una via nell'intrico degli alberi.
Il sentiero nascosto conduceva a quello che era l'unico segno di presenza umana, una piccola casa di legno circondata da una minuscola radura e da un orto.
Da qualche parte, lì vicino, si udivano i tonfi ritmici di qualcuno intento a spaccare legna.
Le finestre del piano rialzato della casetta erano aperte e, all'interno, due figure sedevano ad un tavolo, concentrare su di una pergamena piena di cancellature e di correzioni.

"...ricapitolando, quindi, scriviamo: il principe gode di ottima salute, ama trascorrere le giornate all'aria aperta a..." Io si accarezzò il mento con la penna, spremendosi le meningi su come terminare la frase.
"Dormire, poltrire, oziare... Altri sinonimi?"
"Non possiamo scrivere una cosa del genere."
"Allora sii creativo, se non vuoi dire le cose come stanno."
Io aggrottò le sopracciglia, premendo la punta della penna sulla pergamena per tracciare una riga su quanto aveva scritto. Non riusciva a dimostrare una grande fantasia in quel frangente. Ryuu, seduto dall'altra parte del tavolo, giocherellava annoiato con il tappo del calamaio.
"Contemplare affascinato la natura!" se ne venne fuori una terza voce, ad udire il suono della quale si sarebbe detto appartenesse ad un arzillo vecchietto.
Sul tavolo, accanto allo spirito della terra, invece, c'era un bizzarro quadrupede rosa con un grosso naso. Gli animali della foresta, nel loro linguaggio di squittii e bramiti, lo chiamavano saggio qualchecosa (il suo nome era una insieme di lettere indecifrabili per l'orecchio umano). I tre spiriti guardiani avevano deciso di chiamarlo Vombato per pigrizia, innanzitutto, ma anche perché, colore a parte, assomigliava molto ad un animale di quella specie.
Io annuì. "È curioso ed ama molto la natura, quindi trascorre molto tempo all'aperto per osservarla..." riprese a scrivere.
"Aggiungici che ama leggere all'ombra degli alberi e i suoi genitori saranno deliziati." fece Ryuu.
"Non ho intenzione di scrivere falsità." precisò Io "Voglio solo edulcorare la realtà e presentarla in maniera un po' più gradevole."
Vombato sospirò. "Ho sempre detto che voi tre ragazzi non prendevate sul serio il compito di crescere quel bambino."
Ryuu gli lanciò un'occhiataccia. "Non lo avremmo preso sul serio? Scherzi?! Ci siamo impegnati tantissimo in questi dodici anni!"
"Almeno siamo già a due terzi dell'opera." commentò Io, pratico.
"Ho come l'impressione che siano stati i due terzi più facili." replicò Vombato, tentando di incrociare le corte zampette sul petto, ma senza riuscirci perché, appunto, non erano lunghe abbastanza.
"Senti, noi stiamo facendo del nostro meglio." ribatté Ryuu, battendo una mano sul tavolo a sottolineare le sue parole.

Era vero che, quando gli spiriti avevano deciso di prendersi cura del principino per salvarlo dalle grinfie dei demoni, nessuno di loro aveva davvero presente che cosa significasse svezzare un umano appena nato. Nei primi tempi, soprattutto, avevano avuto modo di pentirsi più volte della loro avventata decisione - anche se, per fortuna, la magia li aveva aiutati molto, soprattutto quando si era trattato di cambiare i primi pannolini.
Ciononostante, avevano sempre cercato di fare come meglio potevano: innanzitutto, gli avevano trovato quella casetta splendida nel mezzo della foresta, incantata ad hoc, e quindi perfetta per far crescere un piccolo umano che non doveva essere trovato da nessuno.
Gora il boscaiolo, che viveva lì tutto solo, era stato più che felice di poter accogliere il bambino e gli spiriti che lo accompagnavano e di prendersene cura come se fosse stato un suo fratellino. Gora aveva molta buona volontà, anche se forse, si stavano rendendo conto gli spiriti, mancava decisamente di polso, quando si trattava di educazione.
Non che potessero biasimarlo, effettivamente: crescere da solo quattro bambini...
...già.
Era stato deciso che En non solo sarebbe cresciuto lontano dal resto del mondo, ma anche che, almeno fino a che non fosse stato grande abbastanza, la verità sulle sue origini gli sarebbe stata nascosta, per evitare che la curiosità lo spingesse a cacciarsi in qualche guaio.
Con tali premesse, ne discendeva che non dovesse nemmeno sapere che Yumoto, Io e Ryuu erano i suoi spiriti protettori. Inoltre, era molto più sano, per un bambino, crescere in mezzo a dei coetanei, no?
I tre spiriti, quindi, avevano assunto le sembianze di altrettanti pargoli, ricordandosi di crescere ogni qualvolta notavano un significativo aumento di statura nel principino.

"Ho fatto in sacco di sacrifici per arrivare fin qui." aggiunse accigliato lo spirito del fuoco. Per lui, si era trattato di anni di rinunce: inutile dire che, se doveva passare la maggior parte del tempo a fare il poppante, quello per i suoi corteggiamenti era praticamente inesistente.
"Non so se si possa dire lo stesso di Yumoto." replicò Io, ed istintivamente i due si voltarono per guardare fuori dalla finestra: arrampicata sulla quercia che cresceva vicino alla casa, c'era una versione ringiovanita dello spirito della luce, intenta a fare amicizia con un riluttante scoiattolo.
"Yumoto è sempre un caso a parte." fece eco Vombato, contento solo di non essere lui al centro delle attenzioni dello spirito.
"Nemmeno a te sembra pesare così tanto tutta questa messa in scena." obiettò Ryuu, rivolto ad Io, che lo fissò con sguardo neutro.
"Il lavoro è lavoro. Soprattutto alla luce della somma di denaro con cui ci ricompenseranno i sovrani quando gli riporteremo il figlio."
Ryuu fece spallucce. "Comunque, le cose fino a qui sono andate bene, tutto considerato. Il problema è come fare d'ora in avanti. Insomma, va bene crescerlo al sicuro e lontano dai pericoli, ma En deve diventare un principe. A momenti è stato difficile persino insegnargli a scrivere e fare di conto." insistette lo spirito del fuoco.
"Come se tu fossi una cima in matematica." lo punzecchiò Io. "E poi, En non è stupido, anzi, è che si annoia... forse gli servirebbe un ambiente più competitivo. Dovresti provare ad impegnarti di più anche tu, Ryuu, ad esempio."
L'altro scosse la testa. "Ma che dici?! E poi queste cose umane come lo studio proprio non fanno per me. Tu, invece, avresti potuto fargli dono della voglia di imparare, così saremmo a posto. Ricchezze e lusso... A tanto gli sono servite." disse ironicamente, indicando le pareti attorno a loro.
Io incrociò le braccia sul petto.  
"E la bellezza, allora? Non c'è traccia di fanciulle, in questa foresta. Altro dono davvero utile, il tuo."
Ryuu tirò fuori un sorriso confidente. 
"La bellezza serve sempre. Del resto, dovrà pur trovare il suo vero amore, in qualche modo, e piacerle. Voglio dire, se alla ragazza toccherà trovarselo davanti che dorme come un sasso, maledizione o no, dovrà pur avere un buon motivo per dargli un bacio."
Io tornò a rileggere la pergamena.
"Il fatto che sia l'erede di un regno ricchissimo potrebbe costituire una motivazione altrettanto sufficiente."
"Tsk, il denaro non può certo portare ad un amore vero e disinteressato." replicò Ryuu con sufficienza.
"Ehi, i miei sentimenti per il denaro sono puri ed incondizionati!" protestò Io, sentendosi chiamato in causa personalmente.
"Per quanto bello o ricco possa essere, dubito fortemente che qualche ragazza possa innamorarsene a tal punto da svegliarlo dalla maledizione, se lo avrà visto per la prima volta quel giorno. Stiamo parlando di vero amore qui, non di infatuazione." li interruppe in quel momento Vombato, serio. "E vivendo sempre recluso qui certo non avrà modo di conoscere nessuna ragazza. Non ci avevate pensato, quando lo avete portato in questo posto?! Dovete trovare il modo di fargli incontrare la sua promessa sposa prima del suo diciottesimo compleanno, o non funzionerà."
Io e Ryuu si guardarono: era un problema che avevano già preso in considerazione, naturalmente.
"Lo sappiamo." disse quindi lo spirito della terra. "Ma non è facile. Kinshiro e gli altri si saranno accorti, ovviamente, che En non ha mai vissuto al castello ed immagineranno che lo stiamo nascondendo da qualche parte. La Principessa Kinugawa, in quanto sua fidanzata, sarà sicuramente tenuta sotto controllo... Se si incontrano e i demoni li scoprono, sarà un bel problema. Personalmente, voglio tenerli lontano da noi il più a lungo possibile."
In quella, un'improvvisa folata di vento richiuse la finestra con un colpo secco e i due spiriti fecero un salto sulla sedia e balzarono in piedi, come aspettandosi un attacco da un momento all'altro. Tutto sembrava tranquillo, tuttavia, e i due si risedettero, solo per ritrovarsi di nuovo sul chi vive quando la finestra si riaprì e Yumoto vi passò attraverso, ora tornato alle sue dimensioni normali.
"Mh? Che c'è?" fece ai due che lo stavano guardando male, con uno sguardo spiritato negli occhi.
"Si è messo a tirare un ventaccio!" spiegò "Lo scoiattolo che stavo coccolando si è spaventato ed è corso via... Per fortuna che ci sei tu!" esclamò, afferrando al volo Vombato, che aveva tentato di mettersi in salvo buttandosi sotto il tavolo.
"Che stia arrivando un temporale?" fece corrucciato Io, guardando fuori dalla finestra. Nonostante il vento, però, il cielo era blu. "En è nella foresta a raccogliere lamponi..."
"...a contemplare la natura, più probabilmente." lo corresse Ryuu, ed Io sogghignò.
Non che a loro importasse più di tanto che cosa facesse il principe, anzi: se En spariva anche per pomeriggi interi per andare ad oziare da qualche parte a loro stava giusto bene, avevano bisogno di ritornare alla loro condizione normale, di tanto in tanto. E poi, la foresta era sicura, protetta dal loro incantesimo... non correva certo il pericolo di incontrare estranei, si autoconvinsero per l'ennesima volta i due spiriti.
"Già. A proposito, dobbiamo assolutamente finire la missiva da spedire ai sovrani." fece Io, tornando a sedersi al tavolo.
"Ehi, Yumoto, ma tu ce l'hai o no un'idea su come funziona tutta quella faccenda del vero amore? Insomma, la benedizione gliel'hai lanciata tu, saprai che cosa dobbiamo fare!"
Lo spirito interpellato smise per un secondo di tormentare il roditore rosa. "Beh, non lo so esattamente. La magia funziona perché è magia, non serve fare niente, di solito, no?"
Io e Ryuu si scambiarono uno sguardo rassegnato; dovevano saperlo, in fondo, che chiedere a Yumoto sarebbe stato tempo sprecato.
"Per fortuna abbiamo ancora sei anni davanti." commentò asciutto lo spirito della terra. "Penseremo a qualcosa."
Yumoto riprese a coccolare Vombato.
"Nah, non vi preoccupate, il vero amore arriverà... in un modo o nell'altro!"


 

Atsushi si era chiaramente perso. Era piuttosto sgradevole essere così certi della propria condizione ed altrettanto ignari di che cosa fare per rimediarvi.
Il ragazzino strinse al petto il libro che aveva con sé, avanzando nel bosco con poca convinzione. Non era bravo ad orientarsi nella foresta, durante il giorno - forse, se avesse aspettato il calare della notte, sarebbero spuntate le stelle e con la loro guida avrebbe capito che direzione seguire per tornare al castello. O forse, una volta tramontato il sole, si sarebbero accorti della sua assenza e sarebbero venuti a cercarlo.
Si scostò una ciocca di capelli sudati dalla fronte e si sistemò gli occhiali sul naso, un poco pentito di essersi allontanato così tanto dalla parte di foresta che aveva già esplorato. Vero, quella di partire alla scoperta di posti nuovi era stata una sua idea, ma il suo scopo era solo trovare un buon punto in cui dedicarsi alla lettura, non perdersi irrimediabilmente nel folto degli alberi.
Chissà, forse esisteva una remota possibilità che qualcuno si accorgesse della sua assenza durante il pomeriggio, ma non poteva contarci: era proprio grazie al fatto che lo sorvegliavano poco, lì nella residenza estiva, che poteva permettersi di sparire per intere giornate senza che lo rimproverassero. Certo adesso non poteva lamentarsi di qualcosa che, finora, gli era sempre tornato utile.
Mentre ragionava su tutto questo, si era addentrato per caso in una zona dove le ramaglie erano più fitte. Il vento lo colse di sorpresa, preceduto dal rombo dello stormire delle fronde sopra la sua testa. Spaventato da quel rumore improvviso, il ragazzino sollevò lo sguardo, quasi aspettandosi di veder comparire sopra di sé un drago o un mostro simile - nel guardare in su, allentò anche la presa sul suo libro.
Spinto dall'aria, un ramo lo colpì allora come una frusta, facendogli volare via il volume dalle mani. Con un gemito di sorpresa, Atsushi osservò la copertina aprirsi e le pagine scappare fuori, subito rapite dal vento che le strattonò di qua e di là nel sottobosco.
Il ragazzino, passato il primo attimo di stupore, si lanciò al loro inseguimento; riuscì ad acchiappare quelle che si erano incastrati tra arbusti e rami, ma un paio di fogli continuarono il loro volo oltre i tronchi. Certo non poteva permettere che andassero persi: che senso avrebbe avuto il libro senza tutte le sue pagine?
Così, intento a seguire quei fogli, completamente assorbito dal fatto che, finalmente, si erano impigliati tra le i rami di un cespuglio avanti a lui e che quindi avrebbe potuto recuperarli, Atsushi non si accorse che il terreno declinava bruscamente e, messo un piede su un cumulo di foglie morte che nascondeva il vuoto al di sotto, all'improvviso si ritrovò a ruzzolare giù per una china, il suo grido di sorpresa subito troncato dalla caduta e dai colpi.
Dopo un po', per fortuna, una delle sue mani incontrò lo spessore di un sasso, a cui si aggrappò immediatamente, riuscendo a fermare la discesa.
Il cuore in gola, tentò di rialzarsi, ma, non appena provò a puntare un piede nel terreno, smosse altre foglie e per poco non riprese a ruzzolare.
"Oi, tutto bene lì?"
Atsushi cercò di voltarsi in direzione della voce che lo aveva chiamato, rendendosi conto che nella caduta aveva perso gli occhiali.
"Credo di sì..."
Qualche istante dopo, qualcuno gli si era inginocchiato di fianco e lo stava aiutando a rialzarsi.
"Ti dò una mano a scendere, sta' solo attento a mettere i piedi dove dico io."
Atsushi annuì, mettendo a fuoco la persona di fronte lui: era un ragazzino pressapoco della sua età, con arruffati capelli biondi e un'espressione distante negli occhi azzurri, quasi come se l'aiutarlo costituisse una seccatura.
Tenendo Atsushi per un polso, gli mostrò dove poggiare i piedi per evitare di scivolare di nuovo; avevano fatto solo pochi passi quando il vento tornò a soffiare, in una folata impetuosa quanto inaspettata. Atsushi, colto di sorpresa ed accecato dalla furia improvvisa dell'aria, fece un passo troppo lungo ed inciampò di nuovo, questa volta cadendo addosso al suo soccorritore e ruzzolando assieme a lui per i pochi metri che mancavano alla fine dell'erta. I due mancarono di poco una chiazza di ortiche e finirono in un groviglio di gambe e braccia dentro ad un cespuglio di felci.
"Oh, cielo, mi dispiace, ti sono finito addosso... Tutto bene?" esclamò, allarmato, rialzandosi e tendendogli la mano.
Il biondo annuì, scuotendo la testa per liberarsi dalle felci ed accettando la mano offertagli per tirarsi su.
"Sì, sei leggero." rispose tranquillamente, come se l'accaduto non l'avesse minimamente toccato.
Indossava un semplice paio di pantaloni ed una camicia di lino bianco, che ora erano considerevolmente sporchi di terriccio e foglie. Dispiaciuto che il disastro fosse colpa sua, Atsushi si rese conto che lui doveva avere un aspetto anche più tremendo. Si guardò le mani, tutte graffiate; inoltre, era riuscito a strapparsi i pantaloni su un ginocchio, che ora, tutto scorticato, gli bruciava parecchio. Soprattutto, però, quello che gli dispiaceva era di essere riuscito a far cadere sia i suoi occhiali che il volume che aveva in mano.
Atsushi volse gli occhi all'erta da cui era rovinato, senza riuscire a metterne a fuoco la cima. Ormai, il vento doveva avere trasportato chissà dove i fogli che aveva tentato di recuperare.
"Ti sei fatto male?" gli chiese l'altro, guardandolo senza capire.
Il ragazzino scosse la testa. "Qualche graffio, ma non è niente... Però ho perso i miei occhiali e il mio libro." spiegò, chiedendosi come avrebbe fatto a recuperarli, senza vederci bene e senza essere in grado, evidentemente, di percorrere quell'odiosa erta.
Il biondo valutò un attimo il da farsi, poi scrollò le spalle.
"Aspetta qui, te li cerco. E non cadere di nuovo, eh." si raccomandò, pur senza entusiasmo, per poi inerpicarsi di nuovo su per la salita.
Atsushi lo osservò ammirato, pensando che, nonostante il tono di voce totalmente privo di energia, l'altro si muoveva con davvero grande agilità lungo il terreno ripido. Quando ridiscese, aveva in mano entrambi gli oggetti.
Atsushi infilò gli occhiali con un sorriso di gratitudine, stringendosi al petto il libro. "Grazie davvero, non so come sdebitarmi... Ti sei anche tutto sporcato." fece, in tono colpevole.
L'altro si strinse nelle spalle. "Non importa, stavo giusto per andare a fare un bagno. Qui dietro c'è una fonte, l'acqua è perfetta. Vuoi venire anche tu?" chiese, osservandolo con attenzione. "Senza offesa, ma sei ridotto maluccio."
Atsushi arrossì, ben conscio di avere un aspetto miserevole. La prospettiva di lavarsi e di trovare un sollievo dal caldo afoso di quella giornata, comunque, era un incentivo più che valido ad accettare l'invito dell'altro ragazzino.
"Va bene. Anche se non basterà un bagno per ricucirmi i pantaloni..." rispose, indicandosi il ginocchio in tono rassegnato. Il ragazzino di fronte a lui, allora, sorrise, ed Atsushi si sentì sollevato: nonostante l'avesse aiutato, vista la sua espressione annoiata ed il tono di voce piatto che aveva usato finora, aveva temuto di dargli fastidio.
Presa un po' di confidenza, quindi, gli si avvicinò per osservarlo meglio. "Per fortuna che i tuoi vestiti non si sono strappati. Oh, aspetta, hai un insetto sulla spalla." fece, ora in grado di mettere a fuoco per davvero la persona di fronte ed anche la cosa nerastra che gli zampettava vicino al collo della camicia. "Uh, sembra uno scarafa-"
Il biondo, fino a quel momento imperturbabile, fece un salto e si diede una manata sulla spalla, facendo finire il malcapitato insetto a zampe all'aria sul terreno.
"Mi sono sbagliato, era solo uno scarabeo." fece Atsushi, che si era chinato a controllare, sentendosi un poco in colpa per aver fatto spaventare l'altro.
"Be', meglio così." rispose l'altro, che aveva ancora un'espressione schifata ma che, alla notizia, aveva riguadagnato la un tono di voce imperturbabile.
"Non ti piacciono gli scarafaggi, eh?" chiese allora Atsushi, con un mezzo sorriso.
"No, li detesto." ammise il biondo, incamminandosi verso la fonte. "Insomma, sono degli insetti inutili, e poi sono brutti. Non solo, sono anche grossi. Tutti questi difetti riuniti li rendono una cosa davvero spaventosa, non trovi?" argomentò
Atsushi lo guardò un po' stupito. Non credeva di aver mai parlato con nessuno di scarafaggi ed insetti.
"...be', sì. Ma le zanzare allora? Non sono solo inutili, ma anche fastidiose!" si ritrovò suo malgrado a rispondere. "Ti pungono ed emettono un ronzio insopportabile, sicuramente sono peggiori degli scarafaggi..."
 

La conversazione sull'inutilità degli insetti li ritrovò impegnati anche una volta che furono immersi fino al mento nell'acqua della fonte. Questa sgorgava da una fessura tra le rocce di una piccola rupe e, col tempo, aveva creato una piccola polla trasparente, per niente profonda e cosparsa di sassi piatti, così che era facile trovare da sedersi per apprezzare il fresco liquido sulla pelle accaldata.
Atsushi si massaggiò il ginocchio scorticato: il contatto con l'acqua era stato quasi miracoloso, il dolore era sparito ed anche i graffi, ora ripuliti, avevano un'aria decisamente migliore.
"Comunque, l'importante è che non ci siano insetti sott'acqua." stava concludendo Atsushi.
"Sì, ma gli scarafaggi resistono anche all'annegamento, non lo sapevi? Non te ne liberi mai, è questo che li rende così terribili." insistette il biondo. "Non mi sembri molto esperto in materia di scarafaggi." fece alla fine, guardando l'altro con aria vagamente critica.
Atsushi ricambiò lo sguardo con un'espressione un po' risentita.
"Perché mai dovrei essere un esperto di scarafaggi?" replicò.
L'altro fece spallucce. "Be', si vede che non te ne sei mai ritrovato uno nel letto. Devi conoscere il tuo nemico, se vuoi combatterlo." rispose pratico, al che Atsushi reagì con un'espressione schifata. No, non si era mai ritrovato uno scarafaggio sotto le coperte e sperava vivamente che ciò non accadesse mai.
"In ogni caso, non ti ho ancora chiesto il tuo nome." fece a quel punto il biondo, cambiando improvvisamente argomento, forse stufo di parlare di scarafaggi con qualcuno che non sembrava prendere la loro minaccia altrettanto seriamente. "Io mi chiamo En."
"Io sono Atsushi."
"Abiti qui vicino?"
"Solo d'estate."
En sembrò rimuginare un po' sulla risposta.
"Qui non si vede mai nessuno." disse alla fine.
"Be', a dire il vero sono finito qui per caso. Mi sono perso." spiegò, un po' imbarazzato, ma En non sembrò né sorpreso né divertito.
"Oh, capisco. Be', qui ci sono solo il bosco e casa mia, quindi immagino che non sia interessante."
Atsushi scosse la testa. "Questo posto mi piace parecchio, invece. È così tranquillo."
"E lo rimarrà, fino a che non lo scoprono i miei cugini."
Atsushi piegò la testa di lato con espressione interrogativa, a cui En rispose stringendosi nelle spalle con fare rassegnato.
"Be', il più piccolo è una vera peste, fa un sacco di casino e si diverte a spaventare gli animali, quello più grande invece è noioso, gioca sempre con il pallottoliere e non è per niente divertente. Quello di mezzo, poi, non fa che parlare di ragazze, ma a me non interessa per niente." spiegò.
L'altro annuì, comprensivo. "Anche mia sorella non fa che parlare di principi azzurri e storie d'amore, non so proprio come faccia a trovarlo interessante."
"Che noia le storie d'amore. Non capisco davvero come ci si possa entusiasmare tanto per una cosa del genere..."
La conversazione divagò ancora di argomento in argomento, mentre il pomeriggio avanzava languido e l'aria, attorno a loro, era calda e ferma.

 

Fu quando le ombre degli alberi coprirono completamente la polla d'acqua in cui i due erano ancora a bagno che, alla fine, Atsushi si rese conto che doveva essersi fatto tardi.
"Inizia ad essere freddino." fece, uscendo dall'acqua e strofinandosi alla bell'e meglio con la sua stessa camicia, che aveva appena finito di asciugarsi all'aria.
"Mh-mh, forse siamo rimasti a mollo troppo a lungo." concordò En, seguendolo fuori. I sassi erano ancora caldi del tepore assorbito dal sole, ed era piacevole camminarvi sopra a piedi nudi.
"Ti ringrazio ancora dell'aiuto che mi hai dato, En, ed anche di avermi portato qui."
Il biondo lo osservava seduto su una roccia, con addosso solo i pantaloni e la camicia infilata a metà.
"Non c'è di che." rispose in tono piatto. Dopo qualche istante, come se ci avesse pensato su per bene, si alzò e finì di abbottonarsi la camicia.
"Prima hai detto di esserti perso, no? Ti riaccompagno per un pezzo."
Atsushi stava per ribattere che non doveva disturbarsi, salvo poi realizzare che non sarebbe mai stato in grado di uscire da quel bosco da solo.
Mentre camminavano, En si era fatto silenzioso, il che sembrava strano visto che non era stato zitto un attimo per tutto il pomeriggio. Forse era stanco, pensò Atsushi, o forse, nonostante si fosse offerto di accompagnarlo, non ne aveva in realtà nessuna voglia.
Preso dal timore di essere diventato una compagnia sgradita, il ragazzino fu sollevato quando approdarono in una radura a lui più che famigliare.
"Ah, da qui so tornare a casa, conosco bene la strada!" fece subito con un sorriso di scuse.
En annuì, rimanendo ai bordi della radura, guardandolo con le mani nelle tasche.
"Be', grazie ancora di tutto, allora." ripeté il ragazzo con gli occhiali, un po' imbarazzato dal silenzio dell'altro. Prima che potesse allontanarsi, però, En parlò.
"Ehi, Atsushi, posso chiederti un favore?"
Il ragazzino annuì, contento di potersi sdebitare in qualche modo per l'aiuto.
"Non dire a nessuno che mi hai incontrato nel bosco." fece, tutto serio. "Giuri di tenere il segreto?"
Atsushi lo guardò perplesso, senza capire, ma alla fine annuì.
En allungò una mano a prendere quella di Atsushi e stringere il suo mignolo col proprio.
"Giurin giuretto!"
Atsushi ridacchiò. "Giurin giuretto, promesso!"
Ma En non sembrava avere finito.
"Puoi promettermi anche che tornerai?"
Questa richiesta, se possibile, colse Atsushi ancora di più alla sprovvista. E dire che era stato convinto che En non vedesse l'ora di liberarsi di lui.
"Va bene, perché no?" rispose quindi. In fondo, era già nei suoi piani passare la maggior parte del suo tempo libero a leggere nel bosco, e sicuramente nessuno gli avrebbe dato fastidio vicino alla fonte che gli aveva mostrato En.
Il biondo finalmente sorrise, lasciandolo andare. Atsushi rimase per un attimo a fissare quell'espressione: per la prima volta, quel pomeriggio, En gli era apparso genuinamente contento di qualcosa.
"Ti aspetterò, allora. Ciao!" lo salutò quindi, prima di rientrare nel folto del bosco.

 

Atsushi continuò nella direzione opposta, felice di tornare a casa ma contento anche di come aveva trascorso quel bizzarro pomeriggio nel bosco. Certo, si disse, En era un tipo un po' particolare, e doveva essere ben annoiato per desiderare di stare in sua compagnia... anche se Atsushi, quel pomeriggio, si era proprio divertito.

 

 

Più tardi, quella sera, era ancora sveglio a leggere in uno dei salotti del castello dei Kinugawa, che sorgeva ai margini del grande bosco.
"Principe, si è fatto tardi, dovreste ritirarvi nelle vostre stanze." suggerì una cameriera, portando via il vassoio con l'infuso che il ragazzino aveva appena finito di bere.
"Ti ringrazio." rispose, accoccolato sulla poltrona più grande. "Tra poco vado." garantì, senza nemmeno sollevare gli occhi dal libro.
La cameriera sorrise e lo lasciò alla sua lettura. Il Principe Atsushi Kinugawa era sempre perso nel suo mondo, sembrava quasi un peccato distoglierlo dalle storie che amava tanto.
Poco dopo, comunque, Atsushi era davvero nella sua stanza e a letto, ma con la lampada ad olio accesa ed il libro ancora aperto di fronte a lui.
Tuttavia, quando i rumori del castello si furono spenti del tutto, il principe chiuse (anche se un po' a malincuore) il suo romanzo e spense la lampada. Invece di infilarsi sotto le coperte per dormire, però, ne scivolò fuori e aprì la finestra. Fuori, il buio era pieno del frinire dei grilli e del profumo del bosco d'estate. Atsushi si calò giù con un'agilità che dimostrava quante volte l'aveva già fatto prima, e si incamminò verso il prato sul retro del castello.
Era una serena notte di luna nuova, perfetta per guardare le stelle. Nonostante questo, il principe sarebbe rimasto volentieri a letto a leggere, non fosse stato per l'appuntamento che aveva - una tradizione, ormai, nelle nottate come quella.
Ad aspettarlo nel prato, infatti, c'era un ragazzino dai capelli del colore dei raggi di luna, che lo stava guardando con un sorriso e che stava sventolando un braccio in un cenno di saluto.
Atsushi lo salutò a sua volta, felice di vederlo.
"Kin!"
Prese la mano che gli veniva offerta e, insieme, i due sparirono nel buio, per raggiungere la loro postazione preferita da dove osservare il cielo ricoperto di stelle.


*** *** ***


NOTE: nel capitolo precedente mi sono dimenticata di ringraziare la mia beta Yuki <3 (sono una brutta persona)
Per quanto riguarda la storia, mi scuso già adesso perché gli aggiornamenti saranno lenti. Da un lato, ho davanti a me un'estate sui libri con poco tempo libero e, dall'altro, mi diverto anche a tradurre e pubblicare questa storia in inglese su AO3, per cui, per forza di cose, ci metto sostanzialmente il doppio a finire ogni capitolo.
Buona estate a chi può godersela e al prossimo capitolo!

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Capitolo 3
*** In un sogno ***


Un brevissimo appunto: questa è la compilation che ascolto la maggior parte del tempo quando scrivo questa fanfiction.
E' diventata un po' la colonna sonora di questa storia e credo sia un buon accompagnamento anche per la sua lettura!


 

 

Capitolo III

 

In un sogno

 

 

 

En dormiva, lungo disteso all'ombra di uno degli abeti del bosco, una mano dietro la nuca e l'altra appoggiata sulla pancia. Dal cestino di vimini che aveva accanto fece capolino uno scoiattolo. In equilibrio sul bordo e a naso fremente, si fermò ad annusare l'aria, perplesso.
Come vide l'animale, Atsushi si immobilizzò per non spaventarlo.
Cautamente, mosse qualche passo, cercando di non fare rumore, sia per non far scappare il roditore che per non svegliare il ragazzino. A metà strada, però, si disse che era una cosa stupida, visto che era arrivato fin là proprio per En - e poi, lo scoiattolo ormai l'aveva annusato ed aveva deciso di tornare in fretta e furia al riparo degli alberi.
Una foglia si staccò da uno dei rami più bassi, disturbata dalla foga dell'animaletto, ed atterrò sul dorso della mano di En. Questo tirò su col naso ma, per il resto, non si mosse di un millimetro.
Era davvero addormentato come un sasso.
La luce che filtrava dal fogliame del bosco creava sul suo volto un gioco di chiaroscuri cangianti, sottolineando ora la forma ancora infantile e tonda delle sue gote, ora quella già più affilata e matura dei suoi zigomi - nemmeno gli improvvisi raggi di sole che colpivano le sue palpebre chiuse sem­bravano avere il potere di smuoverlo.
Atsushi esitò. Forse En non voleva davvero essere svegliato, forse avrebbe preferito continuare a dormire invece di incontrarlo. Rimase fermo, in piedi accanto alla pozza, sfregandosi le mani senza sapere che cosa fare.
Dopo un po', però, decise che il fruscio dell'acqua nella fonte avrebbe comunque coperto i suoi pas­si ed andò a sedersi sul manto di aghi che copriva le radici degli abeti. Lì accanto, En, ignaro del suo arrivo, continuò a dormire.
Atsushi estrasse un libro dalla borsa che aveva a tracolla e iniziò a leggere.
Il romanzo non era lo stesso di quello che aveva con sé quando lui ed En si erano incontrati per la prima volta, qualche giorno prima, quello l'aveva già letto... fino a dove aveva potuto, almeno.
La verità era che si era completamente dimenticato della promessa fatta ad En quando si erano salu­tati e, nei giorni successivi, era stato troppo impegnato ad andare avanti con il romanzo per ricordar­si di tornare nel bosco. Poi, però, proprio sul più bello, la storia si era interrotta: le pagine che contenevano il finale del romanzo dovevano essere finite chissà dove nel bosco, lasciando bene in vista la rilegatura sfilacciata al di sotto. Deluso, Atsushi era stato bruscamente riportato alla realtà, nonché alla promessa che aveva fatto.

"Non ti sei perso, questa volta."
Atsushi alzò gli occhi dal libro. Assorto com'era nella lettura, non si era accorto che l'altro si era svegliato. Scosse la testa.
"No, ho imparato la strada... Credo."
Era stato strano, ora che ci pensava. Era tornato alla radura dopo cui aveva perso la strada la volta precedente e, da lì, si era infilato a caso in mezzo agli alberi, ma non aveva dovuto camminare mol­to per ritrovare la fonte. Tuttavia, a ripensarci ora, non avrebbe saputo dire che strada aveva percor­so per arrivare fin là.
En si stiracchiò, senza preoccuparsi di soffocare uno sbadiglio. Non appariva affatto sorpreso di es­sersi ritrovato Atsushi di fronte al risveglio, anzi, sembrava che per lui fosse la cosa più naturale del mondo.
"Be', meglio così. Gli altri giorni non sei arrivato, quindi pensavo che potessi esserti perso di nuo­vo."
Lo disse con l'aria di chi era ancora mezzo addormentato, ma Atsushi si sentì un pochino in colpa per non essere venuto prima.
Il biondo si alzò per andare a sciacquarsi il viso nella fonte.
"Sei venuto qui ad aspettarmi anche gli altri giorni?"
L'altro infilò la faccia nell'acqua e la rialzò gocciolante.
"Be', io vengo qui quasi sempre. Diciamo che ho passato il mio tempo anche aspettandoti."
Atsushi lo guardò tra il perplesso e il divertito, chiedendosi che cosa facesse normalmente En in quel posto. A giudicare da come lo aveva trovato prima, probabilmente niente di troppo impegnati­vo, si disse, e con questa considerazione si sentì un po' meno in colpa.
"Ah, Atsushi, nel bosco ho trovato una cosa."
En tornò verso gli alberi, passandosi una mano tra i capelli per scostarsi alcune ciocche bagnate dal­la fronte, con il solo risultato di renderli ancora più disordinati. Si chinò sul paniere di vimini e vi frugò dentro, fino a tirare fuori le pagine del libro che il vento aveva strappato via ad Atsushi.
Questo spalancò gli occhi per la sorpresa, prendendole in mano con trepidazione. Erano parecchio sgualcite - il vento non era stato clemente con loro, ed anche En doveva averci messo la sua parte - ma non importava; quasi non poteva credere che l'altro le avesse recuperate per davvero.
"Grazie!"
"Di nulla. Le ho trovate impigliate in un cespuglio."
Atsushi si mise a lisciarle con fare entusiasta, sotto lo sguardo vagamente apatico di En.
"Era il libro che stavi leggendo l'altra volta? Ma dimmi un po', non avevi detto che non ti piacevano le storie d'amore?" chiese pescando delle fragole dal paniere e mangiandole con aria distratta.
Atsushi lo guardò perplesso. "Non è una storia d'amore! Sono le avventure di un cavaliere che deve provare la sua lealtà al regno, sconfiggere dei nemici e-"
"Ma qui c'è di mezzo una principessa e i due si baciano alla fine, l'ho letto."
Al ragazzino per poco non caddero gli occhiali dal naso.
"Non dirmi come va a finire! Non ci ero ancora arrivato!"
"...oh. Scusa."

En decise quindi che poteva essere il momento giusto per tornare ad appisolarsi, dato che Atsushi non sembrava per niente contento di essersi visto rovinare il finale della storia e si era messo a leg­gere avidamente le pagine che gli aveva restituito.
Si stese al sole, la schiena appoggiata all'erba che cresceva, morbida e rigogliosa, attorno alla fonte. In bocca aveva ancora il sapore delle fragole e, dietro di lui, il rumore della carta aveva un che di rassicurante. Sembrava quasi andare al ritmo delle ombre che le foglie degli alberi proiettavano sul suo viso, muovendosi pigre nel venticello...
"...e comunque lo leggevo per le avventure del cavaliere."
En rotolò su un fianco per voltarsi verso l'altro.
"Leggi in fretta, eh." commentò. Gli era sembrato che fossero passati solo pochi secondi da quando aveva chiuso gli occhi.
Atsushi stava ordinatamente riponendo i fogli sotto la copertina del libro che aveva con sé, sperando forse che in questo modo riacquistassero almeno una parvenza di ordine.
En si chiese se fosse ancora arrabbiato o se, forse, non gli fosse piaciuto il finale della storia.
"Vuoi delle fragole? Sono nel cesto. Le puoi prendere." offrì allora.
Poco dopo, erano entrambi sdraiati al sole e avevano le dita appiccicose di frutti. La foresta attorno mormorava tranquilla, quasi invitandoli a parlare sottovoce.
"En, posso chiederti una cosa?"
Il biondo annuì, seguendo con gli occhi i pigri mutamenti di forma di una solitaria nuvola nell'az­zurro del cielo limpido.
"Perché mi hai chiesto di non dire a nessuno di averti incontrato?"
En girò la testa verso di lui.
"È un segreto."
Atsushi aggrottò le sopracciglia.
"Ho capito che è un segreto, ma perché?"
"È quello che voglio dire, non lo so il perché, è un segreto. Me lo ripete sempre il fratellone Gora, che se mai dovessi incontrare un estraneo nella foresta, non dovrei mai e poi mai farmi vedere, per­ché nessuno deve sapere che sono qui. Ma il perché rimane un mistero."
Dietro le lenti dei suoi occhiali, i grandi occhi nocciola di Atsushi lo osservavano con perplessità crescente. En si raggomitolò su se stesso, abbracciandosi le ginocchia.
"Gora insiste sempre tanto, quindi, per favore, mantieni il segreto."
Atsushi annuì, ma poi scosse la testa.
"Se ci tieni così tanto ad obbedirgli, tanto per cominciare, non avresti dovuto aiutarmi." fece, serio.
En si strinse nelle spalle.
"Per te è diverso, non eri proprio un estraneo. E poi Gora non lo verrà mai a sapere."
"Non ero un estraneo? Scusa, ma noi due non ci eravamo mai visti prima."
En piegò un po' la testa, affondandola nell'erba, i suoi occhi che comparivano e svanivano tra gli steli.
"Io ti avevo incontrato, invece." affermò tranquillamente. All'espressione sempre meno convinta di Atsushi, aggiunse in tono pigro: "In un sogno. Anzi, in più di uno - o forse no, è stato sempre lo stesso, ma l'ho fatto molte volte."
Strappò un filo d'erba e lo spiegazzò. En dormiva molto, ma non poneva molta attenzione ai propri sogni, in genere, fatta eccezione per questo, che era stato difficile da ignorare.
"Non sarei venuto verso la tua radura, se non avessi sognato che proprio quel giorno saresti arrivato da lì." aggiunse.
Del resto, quella radura era uno dei tanti posti dove non poteva andare.
Questo non era stato Gora a dirglielo; il fratellone gli raccomandava, al massimo, di non allontanarsi troppo da casa. Tuttavia En sapeva che, anche se avesse voluto, non avrebbe potuto uscire da quella foresta; era come se, spintosi fino ad un certo punto nel labirinto di alberi, qualcosa gli impedisse di proseguire, come una catena invisibile allacciata alla vita che non gli permetteva di fare un passo oltre.
In realtà il danno era relativo, visto che En non era mai stato particolarmente ansioso di scoprire che cosa ci fosse al di là della foresta - sapeva che c'era qualcosa, presumibilmente altre case ed altri esseri umani e tutto quello che era descritto nei libri su cui aveva imparato a leggere. Solo, non era mai stato interessato a vederlo coi suoi occhi.
Ora che Atsushi era lì, però, si rendeva conto che non avrebbe potuto seguirlo al di fuori di quegli alberi e che non poteva fare altro se non aspettarlo.
"Hai sognato che sarei arrivato rotolando?" indagò Atsushi allora.
"No." rispose En, tutto serio. "Sapevo solo che se fossi venuto da quella parte, avrei trovato qualcuno che dovevo a tutti i costi incontrare."
"Un sogno abbastanza approssimativo." il ragazzo con gli occhiali obiettò, per nulla impressionato.
"E tu sei abbastanza pignolo." replicò En, piccato. "L'importante è che abbia funzionato, no? Altri­menti alla fine saresti rotolato in mezzo alle ortiche, chissà."
Atsushi si strinse nelle spalle con un mezzo sorriso, tornando poi ad osservare l'erba che aveva sotto il naso.
Il sogno che lo aveva portato da Atsushi aveva lasciato ad En una sensazione di buffa pace interiore; quando si era risvegliato, aveva avuto il netto presentimento che la persona che stava per incontrare gli sarebbe rimasta accanto, anche se non aveva idea né di che aspetto avesse né di chi fosse.
Tornò a chiudere gli occhi, lasciando che uno stelo d'erba gli solleticasse le palpebre. 
Atsushi poteva avere i suoi dubbi, ma oggi era tornato nel bosco e questo voleva dire che il sogno, invece, era stato accurato.

 

---

 

"Scacco matto."
Atsushi sospirò, ma con un sorriso. Amava giocare a scacchi; in generale, amava qualsiasi passa­tempo che richiedesse pazienza e lungimiranza. Era anche piuttosto bravo, ma Kinshiro era alla pari con lui e non era insolito che tra i due si alternassero sconfitte e vittorie.
"Complimenti, mio signore."
Kinshiro prese la tazza che gli veniva porta dal signor Ibushi, il suo maggiordomo personale. Era un giovane alto alto, dai capelli scuri che ricordavano vagamente il colore del muschio. Atsushi lo tro­vava un tipo gentile, preparava sempre del tè eccellente e sapeva accompagnarlo coi dolci delle mi­gliori qualità.
Il tè venne offerto anche al principe, che lo prese con un educato ringraziamento.
"Io ed Atsu siamo pari, con questa." il ragazzino col caschetto argentato rivolse un sorriso smaglian­te al suo avversario, i piedi che penzolavano dalla grande poltrona su cui era seduto.
Atsushi ricambiò il sorriso, bevendo il suo tè.
"Oh, il Principe sta migliorando sempre di più, non è così?" osservò quindi Ibushi, appoggiando il delicato vassoio sul tavolino tra i due ragazzi.
Atsushi pescò un pasticcino alla panna.
"Kin è così bravo, giocando con lui imparo molto." spiegò modestamente.
L'amico, di fronte a lui, arrossì lievemente, subito sorridendo da un orecchio all'altro.
"È che quando gioco con te dò il meglio." si schernì.
Atsushi ricambiò il sorriso; questo era vero anche per lui. Scacchi a parte, il tempo trascorso con Kinshiro era sempre prezioso.

Kinshiro era il rampollo di una famiglia nobile da poco trasferitasi nel Regno di Boueibu, e trascorreva le sue estati in una villa che sorgeva poco lontano dal castello della famiglia reale. Era una di­mora estremamente raffinata ed elegante, ed Atsushi amava trascorrervi qualche bella serata o po­meriggio, quando vi veniva invitato, molto spesso anche con sua sorella.
A dire il vero, era proprio grazie alla ragazza che Atsushi e Kinshiro si erano conosciuti. Un'estate, era stata proprio lei a trascinarsi dietro il fratellino per fargli vedere il bellissimo giardino di quella villa. Lì, le piante erano così rigogliose, le foglie ed i boccioli erano talmente perfetti che sembrava­no quasi innaturali. Secondo Kinshiro, era tutto merito del lavoro instancabile e paziente del signor Ibushi, che aveva tanta passione ed un talento fuori dal comune per il giardinaggio.
La parte più entusiasmante del giardino, per il principe, era lo spazio dedicato al labirinto di cespugli di rose. La prima volta che era stato lì, Atsushi vi si era avventurato da solo, per pura curiosità, ed aveva finito col perdervisi per delle ore, tanto che alla fine era dovuto intervenire a ripescarlo lo stesso padrone di casa.
Nonostante questa disavventura, il principe sembrava essersi innamorato di quell'angolo di giardino, ed insisteva per poterci andare ogni volta che ve n'era l'occasione.

Anche quella sera, dopo aver finito il tè ed i pasticcini, Kinshiro ed Atsushi fecero una passeggiata, lasciando Ibushi a riordinare.
"Ehi, Kin, possiamo fare un giro nel labirinto?" chiese il principe, con aspettativa.
L'altro ragazzino sorrise. "Anche oggi? Ti piace davvero tanto, eh? Va bene, ma non dirlo ad Arima, lo sai che non gli va che ci andiamo da soli."
Atsushi annuì, entusiasta.
In un certo senso, inoltrarsi in quei corridoi di penombra verde aveva un che di eccitante, come quando sgattaiolavano fuori nel pieno della notte per guardare le stelle.
Nonostante tutte le volte che lo aveva già visitato, il principe non si stancava mai di camminare nel labirinto. I rosai che ne formavano le pareti erano così spessi e rigogliosi che non si vedeva più il re­ticolato di supporto che li sosteneva; all'interno, ogni passaggio era ombreggiato, perché le piante si inarcavano solidamente sopra le teste di chi camminava, dando vita ad una volta di un compatto verde scuro, solo a tratti aperto sul blu del cielo.
L'aria all'interno era dolciastra, i petali caduti tappezzavano il suolo e attutivano il suono dei loro passi. Un'ape solitaria ronzò loro accanto, per andare a posarsi su una rosa bianca. Atsushi si chiese se l'insetto avesse scoperto il segreto di quel labirinto - ma ad una piccola creatura con le ali, naturalmente, sarebbe bastato volare in alto fino ad uscire dal soffitto di foglie e spine.
Anche al principe sarebbe piaciuto farlo. Quel labirinto era misterioso; dopo anni, ancora non era riuscito a comprenderne il disegno. Per quanto tentasse di ricordarsi svolte e bivi, la volta successi­va trovava che doveva essersi sbagliato - e sì che, in tutto quel tempo, avrebbe ben dovuto averla imparata a memoria, la strada che conduceva al centro di quel rompicapo!
Ma la cosa più buffa, a questo proposito, era un'altra: ad Atsushi sembrava proprio che la struttura del labirinto cambiasse ogni volta che ci tornava. Certo era il signor Ibushi che si divertiva a spostare le piante. Del resto, Kinshiro sapeva sempre esattamente dove andare e come fare ad uscirne. E poi, ammise con se stesso, Atsushi aveva recentemente dato prova di non eccellere affatto per senso dell'orientamento.

Più tardi, dopo essersi educatamente accomiatati dai suoi ospiti, i due principi Kinugawa lasciarono la villa. In piedi dietro una delle finestre del salotto dove lui ed Atsushi avevano giocato a scacchi, Kinshiro rimase ad osservarli allontanarsi, scortati da una delle cameriere e da una delle guardie di corte.
Non era più il bambino i cui piedi non arrivavano nemmeno a sfiorare il pavimento quando era se­duto sulla poltrona. I suoi lineamenti si erano affilati, assieme alla statura aveva perso anche il viso tondo della sua versione infantile. I suoi occhi, ora sottili e freddi, scrutavano il tramonto oltre la fi­nestra senza più mostrare alcuna traccia della gioia innocente che li aveva illuminati fino a poco pri­ma.
"Dedichi davvero molto tempo a quel piccolo umano." commentò bonariamente Arima, osservando la strada assieme al suo signore.
"Mi piace giocare a scacchi, è tutto." rispose questo in tono secco, come a voler troncare l'argomen­to sul nascere.
Anche Kinshiro amava i giochi di pazienza e strategia, quando avevano regole ben chiare. Soprat­tutto, gli piaceva giocare con tutti i pezzi bene in vista; nella dama o negli scacchi, ogni pedina era sulla scacchiera ed entrambi i giocatori avevano la possibilità di leggere le possibili mosse dell'av­versario. Se una delle pedine veniva occultata, però, la faccenda si faceva irritante, nonché molto più complicata.
Erano passati dodici anni, ed ancora nessuna traccia della pedina che serviva a lui per portare avanti la sua strategia di gioco.
"La Principessa continua ad essere assolutamente muta sul punto, non è così?" chiese, sentendo en­trare Akoya dalla porta alle sue spalle.
Il demone annuì, slacciando il nastro del largo cappello di paglia che portava sul capo.
"Se si parla di matrimonio, arrossisce e dice di essere ancora troppo giovane." Akoya fece spallucce, sistemandosi la lunga chioma rosata, lievemente spettinata dal copricapo.
"Chissà, è possibile che non gliene abbiano ancora parlato." disse Arima.
"Spero vivamente che non me lo stia tenendo nascosto di proposito. Non sarebbe affatto carino da parte sua, con tutta la fatica che sto facendo a reggere questa recita." fece Akoya con un sospiro teatrale.
"Ti è stato affidato il compito di renderla tua amica, Gero. Avevo capito che con la tua eleganza e le tue buone maniere non ti sarebbe stato difficile."
L'altro si sistemò i capelli con in gesto di stizza.
"Con gli umani è tutto tempo sprecato. E chi la vuole come amica quella comune mortale, comun­que?"
"Se ricoprire questo ruolo ti dà così fastidio, adesso puoi pure toglierli, quei vestiti."
Akoya gettò a Kinshiro un'occhiata risentita.
"Dopo tutto il tempo che ci è voluto per mettere assieme questa meraviglia di completo? Già che ci sono, tanto vale che me lo goda ancora un po'." rispose, lisciando con attenzione le balze della gon­na di seta color crema che indossava.

Per tenere compagnia alla Principessa Kinugawa, Akoya era stato costretto a vestire i panni di una nobile cugina di Kinshiro. Del resto, non si poteva sperare che sua Maestà diventasse amica di un ragazzo, no? La signorina Gero, quindi, scriveva deliziosi biglietti alla Principessa Kinugawa per invitarla a prendere il tè e passeggiava con lei in giardino, nella speranza di potersela ingraziare al punto da ricevere le sue confidenze, soprattutto di tema amoroso.
Il demone aveva fatto capire più volte che detestava tenere compagnia all'umana - sebbene fosse di famiglia nobile, era pur sempre una creatura mortale di rango decisamente inferiore al suo.
Proprio per questo, ogni volta che doveva incontrarla passava delle ore a decidere come agghindarsi ed a scegliere abiti che definire maestosi era certamente riduttivo. Per quanto potesse insistere nel dire che odiava il suo compito, gli altri due demoni erano più che convinti che, in fondo, si divertisse parecchio.

"Ti impegni molto sempre e comunque, non è così? Riesci tutte le volte ad avere un aspetto strabi­liante, pur agghindandoti con questi indumenti umani." commentò Arima con un sorriso. Certo non si poteva dire che Akoya non si fosse calato nei panni della ricca nobildonna, almeno esteriormente.
L'altro arrossì lievemente.
"Be', non posso certo permettere di sfigurare di fronte ad una mortale."
Kinshiro tornò a volgere lo sguardo oltre il vetro della finestra, deciso a far tornare l'attenzione dei due al loro problema principale.
"Prima o poi dovranno parlarle della persona a cui è promessa in sposa, non può essere diversamen­te."
Non avrebbero potuto lasciare la ragazza all'oscuro del suo destino ancora a lungo, in fondo, era quasi in età da marito. E quando lo avessero fatto, Kinshiro era certo che, in un modo o nell'altro, sarebbero venuti a saperlo anche loro.

Non era un caso, ovviamente, se il trio di demoni, assunte le sembianze di comuni mortali, si era avvicinato alla famiglia reale e, in particolare, ai due principini. Dover tenere in piedi quella farsa era seccante, ma sembrava, al momento, l'unico modo per poter carpire qualche informazione a pro­posito del Principe Yufuin.
Al palazzo reale di Binan, l'erede al trono non veniva mai menzionato. Il Re, subito dopo la festa dedicata al bambino, aveva fatto bruciare tutti gli arcolai del regno ed aveva proibito di nominare il nome del figlio, nonché di parlare di quanto accaduto quella sera. Il neonato era sparito, assieme ai suoi tre spiriti protettori, e gli stupidi umani credevano di poterlo difendere, fingendo che non fosse mai esistito e proibendo a chiunque anche solo di menzionarne il nome.
Il punto era che, purtroppo, l'erede del Regno di Binan sembrava davvero essere sparito nel nulla. A Kinshiro sarebbe anche andata bene così, in fondo non gli importava davvero di quel moccioso. Tuttavia, il fatto che gli spiriti protettori fossero sveniti con lui lo faceva sospettare che quel terzetto avesse trovato il modo di contrastare la sua maledizione, o vi stesse, perlomeno, provando.
I tre demoni avevano perlustrato la capitale e le città adiacenti in lungo e in largo, avevano cercato nelle fattorie più sperdute, controllato gli orfanotrofi, ma nulla. Nessuno sapeva niente, i più si vol­tavano dall'altra parte se si provava a menzionare l'argomento, i rimanenti, invece, tiravano fuori le storie più fantasiose, senza alcun fondamento di realtà.
Stufi di fare buchi nell'acqua, quindi, i tre avevano deciso di rimanere vicino alla persona che, prima o poi, sarebbe stata legata al ragazzo. Per ora, sembrava che sia lei che il fratello fossero completa­mente all'oscuro di quanto accaduto dodici anni prima. Con ogni probabilità, anche i sovrani Kinu­gawa avevano deciso di non parlare del principe e di quanto accaduto. Ma, Kinshiro ne era certo, era solo una questione di tempo: in fondo, la Principessa non era che una bambina, e sicuramente si sarebbe lasciata scappare qualcosa. Se non fosse stata lei, magari sarebbe stato Atsushi.
Kinshiro aggrottò le sopracciglia; le sagome del piccolo gruppo di umani erano sparite oltre la curva della strada, il sole era tramontato.
Era stato stranamente facile diventare amico di Atsushi; forse, anzi, lo era stato un po' troppo.
Il cipiglio di Kinshiro si mutò in un accenno di sorriso. Il Re e la Regina erano stati così felici di ve­dere il loro secondogenito farsi un amico a corte. Assolutamente incredibile come gli umani fossero sempre disposti a credere a ciò che si diceva loro, soprattutto se corrispondeva a ciò in cui volevano credere. Le loro menti erano così deliziosamente facili da distogliere e da ingannare: appena un pizzico di magia e qualche cambiamento nel loro aspetto, e nessuno aveva riconosciuto i tre demoni che, pochi anni prima, avevano seminato il panico alla corte di Binan.

Kinshiro girò le spalle alla finestra e fece cenno ad Arima di versargli altro tè. Era solo una questione di tempo, l'erede di Binan sarebbe saltato fuori, prima o poi, Kinshiro non aveva fretta. In fondo, avevano ancora sei anni davanti.
 

---

 

Il demone trovava tanto ridicolo il fatto che gli umani non fossero in grado di accorgersi della mi­naccia che incombeva su di loro, pur trovandosela sotto il naso, eppure non immaginava che, oltre gli alberi che circondavano la sua villa estiva, nel cuore di quella foresta disabitata che aveva snobbato nelle sue ricerche, il principino in cui riponeva tanta fiducia era appena diventato amico del ragazzo che stava cercando instancabilmente da dodici anni.

Anche per Atsushi ed En era stato stranamente facile diventare amici, forse troppo.
Eppure, quell'estate la trascorsero quasi sempre assieme, impegnati ad esplorare la foresta ed a ren­derla un campo da gioco perfetto. All'ombra fresca dei faggi, fecero tutto quello che due ragazzini della loro età avrebbero potuto fare in una foresta incontaminata e completamente priva di pericoli: si improvvisarono esploratori, pescatori, scalatori, si rimpinzarono di frutti selvatici e fecero il ba­gno in tutte le piccole insenature dei torrenti.
Su suggerimento di Atsushi, costruirono una piccola casa sulla grande quercia che sorgeva nella radura più vicina alla fonte. Avrebbe dovuto essere più grande nei piani originari, ma a metà dei lavori En aveva deciso che tutto quel martellare chiodi era decisamente troppo faticoso e che era stufo di mettere assieme pezzi di legno.
(Inoltre, Gora aveva cominciato a farsi delle domande su dove svanissero le tavole che aveva taglia­to per sistemare il soffitto di casa ed En non era certo di poterla fare franca ancora a lungo.)
Comunque, riuscirono a dotarla di tre pareti, di un tetto e di un'altalena; Atsushi decise addirittura di lasciarvi in pianta stabile alcuni dei suoi libri preferiti, inaugurandola quindi come loro rifugio se­greto.
Il principe, dal canto suo, era deliziato all'idea di avere tanti spazi di libertà in cui gli era consentito fare tutto ciò che voleva, ben lontano dalla severità della corte.
Dall'altro lato, con Atsushi al suo fianco, En vedeva la foresta in una luce diversa. Se prima lasciava casa sua e vagava tra gli alberi solo per evitare le faccende domestiche e per trovare qualche posto meno affollato dove oziare, per la prima volta nella sua vita, ora, usciva con in mente uno scopo ben preciso. Assieme ad Atsushi faceva tutto quello che era stato troppo pigro e demotivato per fare da solo, fino a quel momento.

Un pomeriggio, sedevano sulla piattaforma della loro buffa casetta sull'albero, gomiti appoggiati al ramo di fronte e piedi nudi che penzolavano nel vuoto sottostante.
"Atsushi, come mai ti piacciono tanto le storie con tutti quei cavalieri ed eroi?" chiese En, lasciando cadere di sotto il nocciolo della ciliegia che aveva mangiato.
"Che razza di domanda che mi fai, Enny." fece l'altro, forse colto di sorpresa. "Perché sono avventu­rosi. E poi piacciono anche a te, no?" replicò l'altro, che aveva già prestato all'amico un paio dei suoi romanzi preferiti.
"Sì, abbastanza."
"Comunque, li leggo per le loro avventure. Come sconfiggono tutti quei mostri... Insomma, non ti diverti anche tu a leggere delle loro gesta?"
En fece spallucce.
"Sì, ma pensa farlo per davvero... una fatica immensa. E poi è anche pericoloso."
Atsushi ridacchiò.
"I ragazzi delle nostra età dovrebbero ambire a diventare dei cavalieri come quelli delle storie, la fa­tica dovrebbe essere l'ultimo dei problemi."
"E tu vorresti diventare un eroe delle leggende?"
Atsushi arrossì appena. "Be', mi piacerebbe vivere un'avventura come quelle dei libri, ecco."
"Tu sei un principe, Atsushi, non è già abbastanza interessante? Anche il protagonista del libro che mi hai prestato ieri è un principe, in fondo."
Atsushi appoggiò il mento sulle braccia incrociate di fronte a lui con un sospiro.
Naturalmente, aveva rivelato ad En la sua vera identità, ma l'altro non aveva fatto una piega. Forse non aveva capito davvero chi si trovava davanti, forse non gli credeva o, più probabilmente, per com'era fatto, non gli importava minimamente del suo sangue blu. In ogni caso, il suo atteggiamen­to nei suoi confronti non era minimamente cambiato, e di questo Atsushi gli era grato.
"Nella realtà non è proprio come nei libri." rispose alla fine. "Ci sono un sacco di cose noiose da fare a corte, molto da studiare, e sicuramente non c'è tempo per andare all'avventura. È... un compi­to di grande responsabilità, ecco."
In realtà, a dodici anni nemmeno compiuti, non aveva le idee ben chiare su che cosa comportassero tutte queste responsabilità che gli venivano continuamente ricordate, ma che non aveva ancora affrontato sul serio – tuttavia, era piuttosto sicuro che esistessero.
"Ma come? Non avete stuoli di servitori che fanno tutto al posto vostro?" En inarcò un sopracciglio. Non sapeva molto della vita a palazzo, in realtà, ma dalle storie che aveva sentito sembrava essere una pacchia. Certo i principi non dovevano dare una mano a tagliare la legna, né dovevano stare a badare all'orto o alla cucina: avevano chi si dava da fare per loro.
"Se fossi un principe starei a dormire dalla mattina alla sera. Insomma, non dovrei lavorare né nien­te del genere... Per tutta la vita! Altro che avventure."
Atsushi sbuffò, ma con un mezzo sorriso.
"Sarebbe comodo se fosse come dici... Però, Enny, magari anche tu sei un principe e non lo sai."
En si distese sulla piattaforma dietro di lui.
"E come?"
"Non hai detto tu che il tuo fratellone Gora ha trovato te ed i tuoi cugini nel bosco quando eravate ancora in fasce? Per quel che ne sai, magari siete gli unici discendenti di qualche nobile famiglia che ha dovuto abbandonarvi pur di salvarvi da un destino crudele! Forse avevi al collo un medaglio­ne con qualche stemma, o qualcosa del genere."
En scosse lentamente la testa.
"Niente di niente... Ehi, lo stai raccontando come se fosse la trama di uno dei tuoi romanzi." com­mentò in tono piatto.
Atsushi si zittì, rendendosi conto di aver mancato di tatto; nella realtà, erano ben altre le ragioni per cui venivano abbandonati i bambini. Avrebbe dovuto pensarci prima di tirare fuori spiegazioni più avventurose.
L'altro, tuttavia, non sembrava essersela presa.
"Se è così faticoso come dici, comunque, preferisco non esserlo." aggiunse stiracchiando le gambe. Era vero, in quella casa nel bosco c'era da tagliare la legna e da badare all'orto ma, oltre a quello, nessuno gli aveva mai parlato di responsabilità.
"Comunque, tornando a noi... se fossi un cavaliere, non vorrei mai dover affrontare uno scarafaggio gigante."
Atsushi rise di cuore.
"Perché la cosa non mi sorprende? Ma stai tranquillo, non credo proprio che esistano mostri del ge­nere, non li ho mai trovati in nessuno dei miei libri! Quanto a me..."

Tra letture e chiacchiere, i due ragazzini fecero scivolare via quello che rimaneva del pomeriggio. Senza che se ne rendessero conto, lo stesso successe con le ultime settimane di quell'estate.

 

 

 

*** *** ***

 

NOTE: ho ricevuto alcuni commenti di stupore all'apparizione di Kinshiro nel capitolo precedente, ma a me piace tenere tutti gli elementi del canon che posso anche nelle AU, quindi non potevo non lasciare che lui e Atsushi fossero amici anche qui. Con questo capitolo, comunque, avete anche già capito che non si tratta di un'amicizia del tutto disinteressata. (Ma chissà...)

Rimanendo in tema di amicizie, ne approfitto per spendere due parole sull'annosa (?) questione dei soprannomi. Trattandosi di un'AU fantasy, il “chan” è rigorosamente bandito, e tuttavia sarebbe stato un peccato lasciare i nomi come sono, visto che Atsushi appioppa diminutivi a tutti i suoi migliori amici. Mentre Kinshiro e Atsushi sono nomi facili da abbreviare, En è... be'. Chiaramente i suoi l'hanno chiamato così perché altrimenti sarebbe stato un nome troppo lungo da pronunciare e lui non ce l'avrebbe mai fatta. “Enny” è la traduzione fatta dalla Funimation per l'anime, che è stata allegramente contestata dal fandom anglofono (poi vabbe', Kin-chan era diventato Kinny e quello effettivamente proprio non ci sta). Ho deciso di usarla nonostante tutto perché a me, in italiano, non suona così male, e perché comunque non ci sono alternative (o almeno non me ne sono venute in mente).

Alla prossima~

 

 

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Capitolo 4
*** Il porcospino nel labirinto di rose ***


Capitolo IV

 

Il porcospino nel labirinto di rose


 


 

Dalla sera prima sulla foresta cadeva una pioggerella fredda ed insistente. Le foglie dei faggi, che iniziavano ad arrossire dei colori dell'autunno, scivolavano a terra assieme all'acqua, pesanti nell'aria umida di fine estate. Il sottobosco emanava un profumo pungente, pregno di umori e carico di tutto quello che la stagione si lasciava alle spalle andandosene.

Cullato dal ticchettio delle gocce sul vetro della finestra, En si accoccolò sotto le coperte e si lasciò accompagnare un'altra volta nel mondo dei sogni, ignorando le voci che lo stavano chiamando dal piano di sotto.


 

Ryuu, con aria sconsolata, abbassò le mani che aveva usato per amplificare la voce e chiamare il ragazzo.

"Sai, ogni tanto mi viene il timore che abbiamo un po' esagerato nell'usare la magia per farlo addormentare, quando era piccolo e piangeva tutta la notte." commentò Io, pensieroso. D'altronde, data la loro inesistente esperienza con i bambini, non se la sarebbero mai cavata altrimenti.

"Dici? Secondo me è la maledizione di quel demone che lo ha fatto crescere così pigro."

Ryuu si accinse a salire le scale, borbottando qualcosa rispetto a quanto gliel'avrebbe fatta pagare a quei farabutti, una volta che tutto questo fosse finito (e rispetto al fatto che non vedeva l'ora di crescere in altezza ancora un po', perché era stufo di inerpicarsi per quei gradini con le gambe così corte), quando venne mezzo investito da un piccolo tornado biondo che lo superò di corsa. Certo le gambe corte non erano un limite all'energia di Yumoto.

Lo spirito del fuoco scrollò le spalle, decidendo di lasciare all'altro l'arduo compito di scollare En dal letto. "Piuttosto, spero che quest'ennesima trovata funzionerà." ribadì, incrociando le braccia sul petto e guardando severamente Vombato, seduto sul pavimento lì accanto.

"Ehi, siete voi a lamentarvi sempre di non sapere come fare ad istruire il ragazzo, eppure che cosa avete fatto per ovviare al problema finora? Dovreste ringraziarmi, visto che vi ho procurato un precettore di prim'ordine!" protestò l'animale.

Ryuu manteneva un'espressione perplessa. "Sarà... Però lo sai che non sta bene rapire la gente."

Il mammifero rosa sbuffò. "L'ho solo preso a prestito! Viveva tutto solo, non se ne accorgerà nessuno."

"Non si prendono a prestito le persone, si chiama sequestro." precisò Io.

I due spiriti guardarono, perplessi, l'uomo che stava in un angolo della stanza. Aveva un'apparenza distinta ma un'espressione totalmente assente, come se stesse dormendo ad occhi aperti.

"Non sembra affatto contento di essere qui." obiettò Ryuu.

"Oh, pignoli che non siete altro. Non sa nemmeno dove si trova! E quando avrà finito, non gliene rimarrà memoria. Credete che mi sia divertito ad incantarlo con la mia magia per farlo venire qui ad insegnare a quel fannullone? È una gran fatica!" proseguì gesticolando con le sue tozze zampette, "...oh, che cosa avete da guardarmi così? Gli stiamo dando un'opportunità per fare qualcosa di utile in quanto suddito del regno!"

Vombato sembrava davvero convinto di quello che diceva; i due spiriti, di conseguenza, non poterono che annuire e sperare che la cosa funzionasse davvero. Se fosse andata male, almeno al poveretto non sarebbe rimasta memoria della vicenda.


 

Nonostante il calduccio delle coperte e il suono della pioggia, En non riusciva a riprendere sonno. E dire che quel giorno non aveva assolutamente niente da fare... Nemmeno incontrare Atsushi nella foresta, perché l'amico non sarebbe più venuto fino alla prossima estate. Sarebbe ritornato senz'altro, però, En se l'era fatto promettere. Inconsciamente, si toccò il mignolo con cui avevano sigillato questo secondo accordo. Poi, c'era pur sempre il sogno, no?

Forse era semplicemente colpa della pioggia autunnale, che lo rendeva insolitamente apatico e, magari, anche un pelino triste- Il letto tremò, tutto all'improvviso, mentre su En si abbatteva una raffica di braccia e mani.

"Daaaaai, En!" Yumoto gli si era arrampicato addosso e ora gli stava seduto a cavalcioni sulla schiena. En emise un basso lamento di protesta.

"La pioggia mette un po' di malumore a tutti, ma rimanere a letto non aiuta! Dai, scendi di sotto! Oggi è una giornata importante, non ricordi? Gora ha fatto anche le focaccine al miele!"

"...non mi va."

"Non ti va? Ma tu adori le focaccine al miele! Non è che sei malato?" La mano di Yumoto gli si intrufolò sul viso, come a voler sentire se per caso aveva la fronte troppo calda.

"Non sono malato, ma non-" La mano del bambino aveva cambiato direzione all'ultimo momento ed ora l'altro gli stava facendo il solletico sui fianchi. Anche sotto le lenzuola, En si ritrovò a contorcersi per le risate, tentando senza successo di liberarsi dell'altro. Solo quando Yumoto decise di avere pietà di lui e di lasciarlo respirare per qualche secondo, En strisciò fuori dalla coperte, ancora piegato in due e con le lacrime agli occhi, borbottando qualcosa a proposito dell'aver capito di dover alzarsi.

Preceduto da un esultante Yumoto, En scese le scale con passo svogliato. Non capiva il perché di quell'insolita agitazione, e nemmeno ci teneva a scoprirlo. Nonostante la sua renitenza, tuttavia, non poté fare a meno di notare che, nell'ingresso di casa, c'era decisamente qualcosa di diverso... anzi, qualcuno di diverso.

Accanto ad un Gora vagamente perplesso, stava un signore alto ed anziano. In realtà, En non si intendeva di vecchi - anzi, era la prima volta che se ne trovava uno davanti - ma i capelli ed i baffi grigi gli facevano capire che si trattava senz'altro di una persona in là con gli anni.

"Bene, ora che ci sei anche tu, En..." Gora sembrava un pochino imbarazzato. "...questo è il signor Tawarayama, che sarà il vostro maestro, d'ora in poi."

En sbatté gli occhi un paio di volte, per poi ricordarsi, suo malgrado, che il fratellone un paio di giorni prima aveva annunciati loro la fantastica notizia. Già, Gora li aveva riuniti tutti in cucina ed aveva spiegato ai ragazzi che il signor Tawarayama era stato un precettore di rampolli di famiglie importanti, in passato, ma che ora si era ritirato a vita privata. Tuttavia, aveva deciso di impiegare utilmente il tempo che aveva in abbondanza per istruire quattro poveri orfanelli che vivevano dispersi nella foresta.

Yumoto aveva obiettato che Gora avrebbe potuto insegnare loro tutto quello di cui avevano bisogno, al che Io l'aveva fulminato con lo sguardo e gli aveva detto che senza un minimo di istruzione nessuno di loro avrebbe mai fatto grandi cose nella vita. En si era disinteressato del battibecco, e la sua mente, incredula per la notizia, doveva averla archiviata tra le cose inutili da ricordare perché troppo stressanti.

Infatti, En si era completamente dimenticato che il maestro sarebbe arrivato oggi, e doversene ricordare così all'improvviso era abbastanza traumatico. Accanto a lui, Io sembrava soddisfatto, Yumoto entusiasta per la novità (ah, beata innocenza...) e Ryuu stava guardando male il roditore rosa, che era da tempo il loro animaletto domestico e che ora stava beatamente appollaiato tra le braccia del signor Tawarayama, quasi fosse geloso dell'affetto che dimostrava all'estraneo – proprio lui, che scappava sempre quando si cercava di coccolarlo.

Forse pensando che i quattro ragazzini fossero delle bestiole a loro volta, l'uomo si chinò su di loro per fare una carezza sulla testa a ciascuno (cosa di cui, a dirla tutta, En non fu propriamente entusiasta).

"Perché non vi accomodate per, uhm, iniziare le lezioni? Vi porto del tè e dei pasticcini al miele." fece Gora, spingendoli verso il grande tavolo di legno su cui erano soliti pranzare. En seguì gli altri strascicando i piedi, sentendosi calpestare la sua stessa voglia di vivere con ogni passo che faceva.

Maestro, studio, compiti... Tutto questo gli ricordava quello che gli aveva raccontato Atsushi, a proposito di quanto fosse noiosa e faticosa la vita a corte. Non aveva mai pensato che una sorte simile sarebbe toccata anche a lui.

Nemmeno dieci minuti dopo l'inizio della loro prima lezione, En si ritrovava a guardare fuori dalla finestra. Pioveva ancora e si era anche alzata la nebbia; non avrebbe saputo immaginare un clima che meglio rispecchiasse il suo stato d'animo. Inizialmente aveva pensato che, senza Atsushi, quell'autunno sarebbe stato una noia mortale, ma era piuttosto evidente che avrebbe dovuto rinnovare la sua definizione di tale concetto, se tutti i giorni d'ora in avanti sarebbero stati così... Un richiamo da parte del maestro riportò l'attenzione En lontano dalla finestra e al foglio che gli era stato messo davanti.

Tortura sembrava una definizione più adeguata di noia mortale, forse.


 

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Il bosco era quieto, l'aria calma e silenziosa. Era pomeriggio inoltrato e la luce cominciava già ad arrossare oltre le fronde degli alberi. Attutiti, si potevano udire gli zoccoli di due cavalli che si facevano strada nel sottobosco: erano due stalloni neri, eleganti e lucidi quanto i loro due cavalieri.

Ad aprire il sentiero era Kinshiro, i sensi all'erta ed un lungo arco stretto tra le mani tese. Subito dopo di lui veniva Ibushi, che lo seguiva fedelmente ma con un'aria decisamente più rilassata. Da qualche parte davanti a loro c'erano i cani, che stavano minuziosamente seguendo la traccia della preda che avevano puntato.

La caccia era uno dei passatempi preferiti di Kinshiro. Come tutto ciò che gli piaceva, aveva le sue regole, i suoi riti. Il demone, poi, aveva una mira infallibile con l'arco ed amava tenersi in esercizio. Inoltre, finché si trattava di animali, era relativamente facile - certo più di quanto non lo fosse con gli umani.

Quell'estate segnava il sedicesimo anno dall'inizio della ricerca del principe ed ancora non avevano fatto alcun passo avanti: la situazione si poteva definire frustrante solo a voler utilizzare un eufemismo molto generoso. L'unico lato positivo del trascorrere del tempo era che il demone aveva finalmente potuto abbandonare le fastidiose sembianze da ragazzino umano per riacquistare le sue originali anche di fronte agli altri - era un sollievo di poco conto, ma se non altro non doveva più fingersi un mocciosetto.

I segugi riapparvero di fronte ai cavalli e Kinshiro riportò la sua attenzione sull'inseguimento che stavano conducendo. Da qualche parte davanti a loro, si udirono un grande fracasso ed i latrati dei cani, che avevano stanato il cervo di cui avevano seguito le tracce. Kinshiro strinse le redini e lanciò il cavallo all'inseguimento, seguendo i rumori della fuga della preda. Questa era la caccia che gli si confaceva: all'individuazione della preda seguivano la ricerca, l'inseguimento, e poi l'abbattimento.

Era una routine che, in un certo senso, lo rassicurava, anche se con sé portava sempre il brivido dell'ignoto e dell'incertezza, fino all'ultimo istante, di riuscire veramente a raggiungere l'obiettivo. E tuttavia, gli animali selvatici, pur forti dei loro istinti, non erano che facili prede rispetto agli esseri umani – ah, ma avrebbe portato a termine anche la caccia al principe, questo era certo, si disse mentre spronava il cavallo, sentendo che ormai dovevano essere addosso al cervo.

All'improvviso, però, il gran rumore della corsa terrorizzata dell'ungulato cessò. I due cacciatori approdarono in una piccola radura, dove trovarono i cani che, confusi, stavano annusando terreno ed aria alla ricerca della preda svanita nel nulla. L'espressione di Kinshiro si indurì. L'animale doveva essersi infrattato da qualche parte nelle vicinanze per aspettare che il pericolo fosse passato prima di uscire. Ibushi gli toccò un braccio, portandosi l'indice alle labbra per indicargli di fare silenzio. Le foglie attorno si mossero in una brezza improvvisa, magica, che i cani fiutarono avidamente, ma senza risultato. Il demone assunse un'espressione pensosa: nemmeno cambiare il senso del vento era servito a scovare la preda. Un momento dopo, però, Ibushi strinse di nuovo il polso di Kinshiro, invitandolo con un cenno del capo ad ascoltare attentamente.

Qualche istante dopo, anche Kinshiro udì: qualcosa si muoveva a poca distanza da loro, appena oltre la cortina di fronde del sottobosco, qualcosa che si stava avvicinando. Doveva essere senz'altro il cervo, che stava tornando sui suoi passi.

Kinshiro incoccò una freccia e prese la mira. Attese fino a che fu certo che la preda fosse alla distanza minima, appena celata dai cespugli, e poi scoccò il suo dardo.

Si aspettava con certezza di udire il bramito di dolore del cervo colpito, ma in risposta ricevette, invece, l'eco di un'esclamazione soffocata di stupore e spavento, per niente animalesca ed anzi assolutamente umana.

L'attimo dopo, nella radura sbucò Atsushi, con l'aria spiritata di chi si era appena reso conto di aver rischiato la vita. Guardò i due a cavallo con occhi stralunati.

"...Kin?!"

Il demone spalancò gli occhi, incredulo.

"...Atsu?! Per l'amor del cielo, che cosa ci facevi lì?!"

Scese in tutta fretta da cavallo, avvicinandosi con premura all'altro.

"Credevo fossi il cervo che stavamo inseguendo... Stai bene? Non ti ho colpito?" fece, squadrandolo e toccandolo. Ma il principe era illeso, solo un po' scosso per l'improvviso spavento.

"Sto bene. Ma la tua freccia mi è passata a tanto così..." fece, avvicinando pollice ed indice ad indicare una distanza davvero minima.

Kinshiro esibì un pallido sorriso. "Per fortuna. Mi è preso un colpo."

"Non sai a me..." Atsushi rise, ancora un po' nervoso.

"Ma che cosa ci facevi nella foresta tutto da solo?! Non dovresti andartene in giro così, è pericoloso."

"Oh, andiamo, Kin, non esagerare. Si trattava di te, no? È stato solo un incidente." Atsushi cercava di sdrammatizzare. "Voglio dire, non volevi certo ferirmi."

L'altro lo osservava con aria affranta. "Avrei potuto farti del male anch'io, pur senza volerlo..." Ed ancora lo esaminava, come se non fosse convinto di averlo mancato e come se il principe dovesse per forza nascondere, da qualche parte, una ferita.

"Dai, va tutto bene. Stavo tornando a casa comunque, venite anche voi, o proseguite la caccia?"

"Credo che sia il caso anche per noi di tornare." rispose Arima per Kinshiro.

Il demone si riscosse.

"Ah. Certo.” Si guardò intorno un'ultima volta, ancora piuttosto incredulo che il suo cervo fosse sparito e che, al suo posto, avesse rischiato di ammazzare il principe. “Atsu, tu verrai con noi, naturalmente. Non hai un cavallo? Tu guarda se è il modo di andare in giro per un principe... Be', sali con me allora." E mentre Atsushi, un poco imbarazzato da quei rimproveri, si scherniva, praticamente lo costrinse a montare in sella dietro di lui.


 

Poco più tardi, erano alla villa, seduti comodamente nel salotto di Kinshiro, quest'ultimo ancora nei suoi abiti da caccia, Atsushi un poco sporco di foglie e terriccio e con un'aria vagamente colpevole.

Il consueto tè caldo aveva notevolmente calmato Kinshiro, che però non sembrava ancora essersi perdonato quella freccia scagliata senza pensare abbastanza, né aver perdonato l'amico per la sua avventatezza.

"Quando dico che andarsene in giro così nel bosco è rischioso, Atsu, dico il vero, comunque. Oggi ero io e si è trattato di un incidente, ma che cosa potrebbe succedere se domani fosse qualcuno davvero intenzionato a farti del male? Se ci fossero dei briganti? O qualche bestia pericolosa?"

Atsushi sventolò una mano per minimizzare. "Non ci sono animali pericolosi in quella foresta."

"Davvero? E tu come fai ad esserne sicuro?"

Atsushi glissò. C'erano troppe cose di cui era certo, a proposito di quella foresta, e che tuttavia non sapeva giustificare razionalmente e che non poteva spiegare all'amico.

"E comunque, davvero, che cosa ci facevi lì?" indagò ancora Kinshiro, sull'orlo dell'esasperazione, come se si stesse rivolgendo ad un bambino cocciuto. E dire che i due avevano la stessa età.

Atsushi abbassò gli occhi sulla tazza di tè che teneva tra le mani, rendendosi conto che non sarebbe riuscito a sviare la conversazione. Avrebbe voluto rispondergli la verità, così forse Kinshiro avrebbe smesso di giudicarlo matto come sembrava stesse facendo (o lo avrebbe giudicato peggio, chissà), ma non poteva. In tutti quegli anni, non era mai venuti meno alla promessa fatta ad En e non aveva mai parlato di lui ad anima viva. Non voleva tenere niente di nascosto a Kinshiro, soprattutto adesso che l'altro glielo stava chiedendo esplicitamente, ma non poteva nemmeno rompere il suo giuramento.

"Non posso dirtelo, Kin, è un segreto." ammise quindi, ma tentò di farlo con un'aria scherzosa, sperando che l'amico non se la prendesse. L'altro, tuttavia, sembrò rimanerci male e si irrigidì.

"Un segreto, davvero."

Con un tuffo al cuore, Atsushi si rese conto che, se avesse lasciato le cose così, Kinshiro avrebbe finito con l'offendersi.

"Un posto segreto per leggere, sì. Lo sai che mi piace stare tranquillo di tanto in tanto."

"Un segreto sconvolgente." rispose Kinshiro asciutto, dimostrando di non credergli minimamente.

"Be', mi dispiace se non nascondo segreti più scabrosi." replicò il principe.

Per un momento, i due sorseggiarono il loro tè in silenzio, con Atsushi che osservava l'altro di sottecchi e gli occhi verdi di Kinshiro rigorosamente puntati da tutt'altra parte.

"Se proprio ci tieni, posso raccontarti un segreto più interessante." fece alla fine Atsushi, un poco infastidito da quel silenzio improvviso. Era certo che Kinshiro si fosse offeso per la sua risposta e voleva in qualche modo fare ammenda.

"Sentiamo." Kinshiro lo disse in tono così freddo che l'altro si pentì quasi di aver tirato fuori l'argomento. Non era che una storiella, dopotutto, qualcosa che aveva pensato di raccontargli per alleggerire il clima che si era fatto, improvvisamente, pesante.

"È qualcosa che ha raccontato la nostra anziana balia a mia sorella... Sai che si lamenta sempre per il fatto che non è stata ancora promessa in sposa a nessuno, no? Ecco, la balia, per accontentarla, le ha raccontato che in realtà è già stata promessa ad un principe che deve ancora conoscere."

Atsushi, per niente sicuro dell'inizio della sua storia, si rincuorò non appena vide un bagliore di interesse nelle iridi verdi di Kinshiro.

"La cosa buffa - certo la nostra balia ne ha, di immaginazione - è che questo principe è stato colpito da una maledizione: secondo lei, il giorno in cui mia sorella lo incontrerà, se lo ritroverà davanti addormentato a causa di un incantesimo malvagio, e solo baciandolo potrà svegliarlo."

Atsushi rise imbarazzato. Lo sguardo negli occhi dell'amico si era fatto fin troppo interessato per quella che lui riteneva essere una semplice storiella per tenere a bada la Principessa.

"Ecco, pensa che cosa deve inventarsi per tenerla tranquilla... Ma mi raccomando, mia sorella ci teneva che rimanesse un segreto, quindi non dirlo a nessuno!" si assicurò, mettendola sul ridere, e cercando di scacciare l'improvvisa, spiacevole sensazione di aver sbagliato a condividere quel racconto con Kinshiro.

Sapeva che non aveva senso, però, il ragazzo era uno dei suoi migliori amici, poteva contare sulla sua riservatezza. Era vero che sua sorella glielo aveva raccontato come se fosse chissà quale segreto, ma non era importante come la promessa che Atsushi aveva fatto ad En, visto che questa sembrava concernere la sua stessa sicurezza. In ogni caso, comunque, sapeva di potersi fidare di Kinshiro.

L'amico, ora, stava sorridendo, e il senso di colpa che aveva improvvisamente angustiato Atsushi venne dissipato dal buonumore dell'altro.

“Davvero buffo.” commentò Kinshiro, e i due ci risero sopra assieme.


 

Fu poco più tardi che Atsushi si accomiatò per tornare a casa. Kinshiro aveva insistito per farlo addirittura scortare da qualcuno fino al suo castello, ma il Principe si era rifiutato; il suo ospite, quindi, aveva ottenuto solo di potergli prestare un cavallo.

Mentre aspettava che il signor Ibushi si occupasse personalmente di sellarglielo e portarglielo, Atsushi si concesse una breve camminata nel giardino.

Il sole era già calato e la solitamente fervida attività di api e farfalle aveva lasciato il posto agli insetti del crepuscolo e della notte, ai grilli ed alle falene. Il sole tramontava presto, sul finire dell'estate, ma le sere erano ancora deliziosamente tiepide e profumate – ah, quel giardino era anche più bello nel buio che seguiva il crepuscolo, con le sagome scure delle piante che gli si affollavano intorno, chiacchierando quietamente nel loro placido mormorio di foglie.

Mentre passeggiava lungo il sentiero, il ghiaino che scricchiolava un poco sotto le suole dei suoi stivali, scorse con la cosa dell'occhio un movimento a terra, sotto i rami di un cespuglio. Si avvicinò e vide una piccola palla nera in mezzo alle ombre dell'erba, distinguibile solo per le screziature più chiare che individuavano i lunghi aculei sulla schiena dell'animale. Si trattava di un grosso riccio, uno dei tanti che Atsushi sapeva popolare il giardino: per nulla infastidito dalla presenza dell'umano, il piccolo essere proseguì tranquillo per la sua strada.

Anche i ricci erano animali notturni, ed a quell'ora se ne potevano contare tantissimi nel giardino della villa. Quando erano più piccoli, lui e Kinshiro ci giocavano spesso. Li liberavano subito, naturalmente, anche perché il signor Ibushi sembrava tenere particolarmente a quegli animali. Kinshiro diceva che era perché i ricci si nutrivano soprattutto di lumache, e perché le lumache erano la cosa che il signor Ibushi odiava di più al mondo (per l'ovvio motivo che rovinavano le piante, naturalmente, non certo perché gli facessero impressione né niente del genere).

Perso di vista il riccio, Atsushi alzò la testa e stiracchiò le braccia. Poco distante da lui, si apriva l'entrata del labirinto, invitante come sempre. Gli occhi del principe indugiarono su quella bocca scura, contornata di rose come tenere labbra, che celavano spine come denti affilati.

Un refolo d'aria più fresca fece rabbrividire Atsushi, che mosse qualche passo verso il suo ingresso, nonostante i suoi sensi fossero improvvisamente all'erta, come se al di là della soglia so nascondesse uno dei mostri dei suoi romanzi.

La brezza soffiò ancora ed i petali delle rose, violacei nelle ombre della sera, si mossero, come labbra appena dischiuse in un sussurro. Il labirinto aveva un tono di rimprovero; perché aveva tradito il piccolo segreto di sua sorella per accontentare Kinshiro? Perché era stato così accomodante?

Si era trattato di una cosa da nulla, ribatté Atsushi nella sua testa: non poteva svelargli il suo vero motivo e quindi gli aveva raccontato qualcos'altro. Non voleva che Kinshiro ci restasse male.

Se ci fosse restato male, rispose il labirinto, sarebbero stati fatti suoi; Kinshiro non poteva certo pretendere di sapere sempre tutto su di lui, o no?

Atsushi scrollò le spalle. Teneva all'amicizia di Kinshiro, e il labirinto doveva saperlo bene: quello era stato il luogo dove, per la prima volta, i due si erano incontrati.


 

Era un giorno di tante estati prima; Atsushi era arrivato fino all'ingresso del labirinto per puro caso, mentre vagava a zonzo nel giardino. Entrarci era stato automatico, più forte di lui: quell'arco verde lo aveva ingoiato in silenzio, attirandolo come un'ape con la promessa del polline.

Altrettanto presto il principino si era perso nell'ombra dei roseti, ed aveva iniziato ad avere l'impressione che le pareti di foglie e spine si stessero pian piano richiudendo attorno a lui, come le fauci di un gigantesco drago. Gli ci era voluto un poco di più, tuttavia, per iniziare ad avere paura e realizzare che non aveva la minima idea di come fare per tornare sui suoi passi e guadagnare l'uscita di quella che, ai suoi occhi, si stava trasformando in un'enorme trappola.

Atsushi non aveva con sé né spada né scudo, non era come gli eroi dei suoi racconti, non aveva modo di difendersi. Agitato, aveva iniziato a correre, girando a casaccio per quel corridoio che tentava di serrarglisi addosso - Atsushi ne era certo, ormai, perché aveva sentito i rami aggrapparglisi ai vestiti, avvinghiarglisi attorno alle caviglie come per volerlo far inciampare.

Ad un tratto, poi, si era trovato in un vicolo cieco: la cortina di spine e foglie gli si era richiusa di fronte e presto, Atsushi lo sapeva, gli si sarebbe serrata alle spalle, inghiottendolo.

A quel punto, si era messo a soffiare il vento. Una prima raffica impetuosa aveva spinto il muro verde davanti a lui, che si era aperto come il sipario di un palcoscenico su un piccolo giardino, in cui ancora splendeva il sole pomeridiano.

La seconda folata ve lo aveva spinto dentro e per poco Atsushi non era inciampato e rotolato sull'erba. Lo strano inseguimento era finito: ora, poteva intuirlo, si trovava nel cuore del labirinto, un cortile verde con due graziose panchine di legno e quello che sembrava un minuscolo gazebo al suo centro.

L'erba era curata e sembrava tagliata di fresco, lungo le colonne di legno del gazebo si inerpicavano gentilmente dei glicini spioventi di fiori viola. Nell'aria era tutto un allegro via vai di farfalle, api ed insetti, ed Atsushi si era strofinato gli occhi, vagamente incredulo. Dall'incubo che gli pareva di aver vissuto fino ad un momento prima, si ritrovava catapultato in un grazioso giardino segreto, tranquillo e sereno.

Guardandosi attorno ancora sul chi vive, ma curioso, il principino aveva esplorato le siepi che lo contornavano senza trovare un'altra via d'uscita. Allora, aveva salito i gradini del gazebo. Al centro della piattaforma c'era un piedistallo di marmo, una spessa colonna poco più alta di lui.

Alzatosi in punta di piedi, Atsushi aveva spiato che cosa c'era in cima, ed era rimasto affascinato: c'era una piccola scultura, la riproduzione di un riccio a grandezza naturale, in giada verde.

La pietra era levigata e rifletteva tante piccole scaglie di luce tutto attorno a sé. I dettagli della piccola statuina erano entusiasmanti per quanto realistici erano, specialmente per quanto riguardava gli aculei, che sembrano sottili ed appuntiti come se fossero veri.

Il principe era rimasto abbagliato da quella scoperta, i suoi occhi catturati da quei strani giochi luminosi sul marmo chiaro e sul legno del tetto del gazebo. Aveva allungato un mano per sfiorare quella minuscola creatura immobile, già pregustando la sensazione di quelle fini cesellature sotto le mani, chiedendosi se davvero si sarebbe punto se avesse sfiorato gli aculei...

Improvvisamente, però, qualcuno lo aveva chiamato.


 

"Principe, il cavallo è pronto."

Atsushi sussultò appena, quando la voce di Ibushi dissipò le memorie che lo avevano avvolto.

Ah, doveva essere stato il signor Ibushi anche quella volta di tanti anni fa. Sua sorella si era preoccupata a non vederlo più in giro ed il maggiordomo doveva aver indovinato che si era perso nel labirinto. Non aveva molti altri ricordi di quel pomeriggio, e, in fondo, non era poi nemmeno tanto sicuro che quello che aveva appena richiamato alla mente fosse un ricordo piuttosto che una strana fantasia che si era fatto con il tempo.

Il signor Ibushi si fermò a poca distanza da lui, tenendo in mano le briglie di uno dei migliori cavalli della scuderia di Kinshiro. Atsushi conosceva bene l'animale, era la giumenta che aveva cavalcato le volte in cui aveva accompagnato l'amico nelle sue battute di caccia.

Fece un passo in avanti per accarezzare il muso del cavallo e poté quasi sentire, in quel momento, che il labirinto dietro di lui si ritraeva, come un animale selvatico messo all'angolo. Istintivamente, si voltò, quasi aspettandosi di vedere l'ingresso del labirinto più distante alle sue spalle. La soglia era lì, dov'era sempre stata, un arco di buio nelle ombre del crepuscolo.

"Tutto bene, mio Principe?"

Il ragazzo annuì. I labirinti di fiori non parlano né si muovono, pensò dandosi del facilmente impressionabile. Non era più un bambino che si spaventava perché si perdeva in mezzo a dei cespugli.

"Avete sempre avuto una grande curiosità per quel luogo, vero?" fece Ibushi sorridente, accompagnandolo mentre si avviavano verso il cancello della proprietà.

"Mi intriga molto." ammise il Principe, ma dentro di sé, pensò improvvisamente che la risposta era un'altra: mi chiama, si disse, il labirinto mi chiama.

"Meglio non addentrarvisi quando fa scuro, però, Altezza. Le ombre possono essere insidiose, lì dentro."

Atsushi lo guardò allarmato, ma l'altro aveva un'espressione ieraticamente serena.

"Potreste inciampare e rovinarvi i vestiti. I rovi non perdonano, sulle stoffe di pregio." rispose l'altro tranquillamente.

"Oh, certo." Atsushi sorrise. Del resto, che altri pericoli potevano mai esservi, in quel labirinto?

Salì sul cavallo e lo spronò sulla via di casa. Prima che se ne rendesse conto, l'aveva già spinto al galoppo - in quel momento non voleva più entrare nel tunnel di rose, voleva solo allontanarsene il più in fretta possibile.


 


 

"Il bacio del vero amore, capito, Arima?"

Kinshiro sorrideva, rigirando tra le mani la tazza di tè. Gli veniva quasi da ridere. Quindi era così che stavano le cose: i tre spiriti erano riusciti in qualche modo a convertire la maledizione, e questo era il risultato.

"Un tentativo quantomeno maldestro." convenne Ibushi, alle sue spalle.

"Di' pure ridicolo. E come pensano di fare a far innamorare la Principessa? Oh, dovranno per forza farli avvicinare, e molto presto anche, perché ormai il tempo è quasi giunto."

"Non ci rimarrà che sorvegliare la ragazza più da vicino."

Il sogghigno di Kinshiro si allargò.

"Sapevo che il nostro piano avrebbe funzionato." Lo aveva sempre saputo, che gli umani si sarebbero traditi, presto o tardi. Gli dispiaceva quasi che Atsushi credesse che tutto ciò fosse solo una storiella... A quel pensiero, il sorriso si incrinò appena.

Atsushi era stato superficiale a raccontargli tutto così. Tutto tornava a suo favore, naturalmente, ma come potevano gli esseri umani essere così disattenti? Chissà, a questo punto non gli sarebbe nemmeno interessato sapere che la maledizione l'aveva lanciata lui... In ogni caso, non aveva alcun senso preoccuparsi delle reazioni di un mortale, non era così?

Kinshiro appoggiò con decisione la tazza sul piattino, facendo tintinnare la ceramica.

"Questa volta il principe non ci scapperà." affermò con decisione.

Erano anni che attendeva con pazienza e non avrebbe lasciato che la stupidità di un umano lo intralciasse.

Tra la scoperta e il suo personale disappunto nei confronti di Atsushi, Kinshiro si era dimenticato di quanto fosse rimasto stupefatto dal fatto che la freccia che aveva accidentalmente scagliato contro il ragazzo non l'avesse nemmeno sfiorato. E dire che lui aveva un mira eccellente e non mancava mai - mai - il bersaglio.


 

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"Ehi, Atsushi, lo sai, secondo me il nostro maestro è morto."

"...eh?!" Il ragazzo si fermò improvvisamente ed abbassò la spada di legno che stava brandendo contro l'amico, osservandolo con aria stranita.

"...secondo te...? Gli è successo qualcosa di brutto? Sta male?" fece, vagamente preoccupato.

"Nah, è sempre uguale a se stesso. E' per questo che ti dico che sembra morto." L'altro aveva a sua volta abbassato l'arma e si stava stiracchiando come se niente lo preoccupasse.

Atsushi aggrottò le sopracciglia. A volte era difficile capire che cosa volesse dire En, ma con gli anni il principe aveva affinato le sue tecniche di comprensione ed ormai sapeva come muoversi anche di fronte alle stravaganti affermazioni dell'altro. Se se ne usciva con una cosa del genere mentre erano nel pieno di uno dei loro allenamenti (per modo di dire) di scherma, significava probabilmente che si era stufato e che voleva trovare una scusa per fare una pausa.

"Si muove, parla, respira...?" indagò Atsushi.

En annuì, rigirandosi tra le mani la spada, ricavata da un ramo di faggio.

Quelle armi erano state intagliate per gioco un paio di estati prima, ma non erano state usate quasi per nulla, poiché nessuno dei due era particolarmente appassionato di battaglie e duelli (se non sulla carta), almeno fino al momento in cui ad Atsushi non era stato imposto di doversi allenare nella scherma quasi quotidianamente. Il principe mal sopportava questa imposizione, data la sua indole intrinsecamente pacifica e la poca voglia di mettersi a dura prova in qualcosa che non faceva per lui. Esercitarsi con En, però, era tutt'altra cosa, sebbene l'amico tendesse sempre a trovare qualche scusa per smettere non appena il loro allenamento diventava troppo faticoso.

Approfittando dell'apparente distrazione dell'altro in quel momento, Atsushi provò a colpirlo con un affondo, ma En lo schivò agilmente - aveva riflessi eccezionalmente pronti, per essere di indole così pigra, pensò l'altro con un pizzico di stizza.

"Oh, Atsushi, non approfittare così delle mie preoccupazioni!" si lamentò, senza peraltro dar segno di voler rispondere all'attacco a sorpresa dell'amico. Evitato il colpo, continuò ad osservare la spada di legno come se non sapesse bene che farsene. Era piuttosto chiaro che la sua voglia di esercitarsi, per il momento, era esaurita.

"Però è strano.” ragionò il biondo. “A volte perde il filo del discorso e guarda nel vuoto fino a che non si riprende, mentre altre volte sembra proprio addormentarsi sulla sedia. Forse è perchè è anziano, magari."

Atsushi lo guardò perplesso, poi ridacchiò, lasciando cadere la sua spada per terra.

"Vuoi dire che è un vecchio maestro che ripete sempre le stesse cose e fa sempre gli stessi rimproveri? Ce ne sono tanti così, ma, anche se possono apparire imbalsamati, non sono morti." assicurò. Ne aveva avuti anche lui, di precettori di quel genere, pensava di poter capire quello che intendeva l'altro.

"Davvero?" En guardò l'amico in cerca di conferma, fino a che quello non annuì vigorosamente, ed allora fece spallucce e si sedette in mezzo all'erba, ravviandosi all'indietro i capelli spettinati dall'allenamento.

Atsushi sapeva tutto sul mondo fuori dalla foresta ed era la persona a cui En si rivolgeva per tutti i dubbi - più o meno assurdi - che gli venivano in mente: se lui diceva che qualcosa stava in un certo modo, allora En gli credeva. In cuor suo, però, continuava a dubitare della salute del suo maestro. Forse dipendeva dal fatto che viveva tutto solo? Almeno quando parlava con i suoi allievi, sembrava rianimarsi, anche se il ragazzo non era sicuro che preferisse i suoi studenti o il vombato rosa che gli si era così affezionato da stargli sempre in braccio o addosso in qualche strana maniera.

Come ripeteva sempre Gora, era stato di una generosità immensa a divenire loro maestro, considerando anche che la maggior parte dei suoi alunni sovente si distraevano o si addormentavano durante le sue lezioni. Ma il signor Tawarayama era paziente e non li aveva mai rimproverati più di tanto – del resto, il fatto che si mettesse a ripetere le cose da capo non aiutava a stare svegli, si giustificò En, che, pur rispettando il maestro, non poteva davvero farci niente se ogni tanto lasciava che la testa gli cadesse sul tavolo.

"Ehi, Enny, continuiamo ad esercitarci?" Atsushi aveva ripreso la spada in mano e sembrava ancora deciso a insistere. En sembrò rimuginarci sopra. Da come si era semisdraiato a terra, non sembrava intenzionato ad alzarsi. Alla fine, però, si girò verso l'amico.

"Mmh, d'accordo... Ma sta per piovere, non vedi?" chiese, senza voltare lo sguardo. Atsushi corrugò le sopracciglia - il cielo gli era sembrato sereno fino ad un momento prima, pensò alzando gli occhi, ma proprio in quella si rese conto che En aveva ragione. L'aria sapeva già di pioggia e le nuvole andando addensandosi velocemente sopra le loro teste. La stagione era ormai avanzata e questo poteva essere uno degli ultimi temporali estivi. Con un sospiro, Atsushi si rassegnò a lasciar perdere la scherma per il momento ed aiutò En ad alzarsi.


 

Prima che iniziassero a cadere le prime gocce, avevano trovato riparo in una grotta accanto alla polla d'acqua. Era un minuscola caverna di pietra, dal pavimento di roccia e ghiaia, nascondiglio ideale durante i temporali estivi. Vista la comodità, aveva ormai preso il posto della loro piccola casetta sull'albero in qualità di rifugio segreto, anche perché ormai entrambi erano diventati troppo alti per entrare nella minuscola opera architettonica che avevano realizzato sulla vecchia quercia nella radura.

En aveva compiuto da poco sedici anni ed il compleanno di Atsushi non era lontano; tutti e due erano cresciuti parecchio da quando avevano progettato quel loro nascondiglio e, be', quattro anni prima non era venuto in mente a nessuno dei due che sarebbero diventati così alti che, per sedersi entrambi nella casetta, avrebbero dovuto lasciar fuori le gambe e, possibilmente, anche un gomito.

 

Il temporale durò solo il tempo di qualche sguazzo e di una serie di tuoni arrabbiati, e poi la luce cambiò, il cielo tornò azzurro ed allo scroscio della pioggia si sostituì il canto degli uccellini.

Atsushi ripose il suo libro e si voltò verso En, che si era appisolato accanto a lui. Come facesse a dormire sui sassi della grotta era un mistero, si disse il principe - anche se la vera domanda era come facesse a dormire così tanto in generale.

Non doveva essere nemmeno comodo, a giudicare da come si era messo tutto storto, tentando di posizionare le sue lunghe gambe in mezzo alle pietre del suolo - avevano portato delle coperte in quella grotta, ma ovviamente l'altro era stato troppo pigro per tirarle fuori.

"Ehi, svegliati. Non piove più." fece, alzandosi, ma En non diede segno di averlo sentito.

Atsushi sbuffò, inginocchiandosi accanto a lui.

"Eddai, Enny, domani parto, vuoi davvero passare a dormire l'ultimo pomeriggio che possiamo trascorrere assieme?" si lamentò.

C'era il sole, adesso, ed avevano ancora diverse ore di luce davanti. Possibile che l'amico fosse così pigro?

Atsushi allungò una mano e gli diede un leggero pizzicotto sulla guancia.

"Oi." ripeté, poco convinto, mentre osservava il suo volto addormentato.

Nonostante la posizione contorta, En aveva un'espressione assolutamente pacifica, come se niente potesse disturbare il suo riposo - e infatti, non aveva sobbalzato nemmeno ai tuoni più vicini, che invece avevano fatto quasi cadere il libro dalle mani di Atsushi.

Il ragazzo scostò dagli occhi dell'altro un paio di ciocche bionde, ma lui non sembrò accorgersene. In quel momento, gli tornò in mente la storiella della balia di sua sorella, quella che aveva raccontato a Kinshiro per evitare di dirgli di En.

...quella che aveva a che fare con principi e baci, già.

Atsushi arrossì e ritrasse la mano, chiedendosi perché mai dovesse venirgli in mente una storia del genere proprio ora.

Mentre si interrogava sulla questione, però, i suoi occhi indugiavano sul viso dell'amico, e i suoi dilemmi passarono in secondo piano. La pelle di En era appena arrossata, dal sole o dall'esercizio di prima, dorata della luce del pomeriggio e dei capelli color del grano sparsi attorno a fronte e zigomi - ad Atsushi ricordava le albicocche mature con cui erano soliti fare merenda all'inizio dell'estate, morbide e di una pienezza liscia al tatto. Tornò a sfiorargli il volto, allungandogli un leggerissimo pizzicotto.

"Ehi, guarda che se non ti svegli con le buone, ti dò un bacio." sussurrò, catturato dai bagliori d'oro delle ciocche che facevano da cuscino a quell'espressione di pace e tranquillità.

E siccome non ebbe risposta alcuna, si chinò lentamente su di lui e le sue labbra sfiorarono la pelle del suo amico - non tanto vicino alla bocca da toccargliela, ma abbastanza da lasciar intendere che non si trattava nemmeno di un infantile bacio sulla guancia.

Non c'era niente di infantile nel suo gesto, Atsushi lo sapeva, ma... doveva pur riuscire a svegliarlo in qualche modo, no?, pensò mentre si ritraeva.

Quando aprì gli occhi, che aveva tenuto socchiusi, si ritrovò a fissare quelli di En. "...be', sei sveglio adesso?" esclamò, fingendosi irritato per mascherare l'improvviso, tremendo imbarazzo. Si alzò in tutta fretta e si dedicò a recuperare le due spade abbandonate in un angolo, facendo una gran baraonda - tutto per celare ad En il rossore che, era sicuro, gli stava incendiando il viso.

Ma l'altro non fece commenti – chissà, magari era talmente addormentato da non essersene nemmeno accorto, pensò Atsushi, incerto se sperare o meno che fosse così.

"Sicuro di volerti esercitare ancora con questi cosi? E' davvero una faticaccia.” si lamentò En invece. “Perché non ti riposi un po' con me, piuttosto?" propose, ed alle orecchie di Atsushi c'era una nota languida nella sua voce che, vera o no, il principe faticò ad ignorare.

"...ci si riposa dopo aver faticato, normalmente." gli rispose, riguadagnando la sua consueta serietà ed allungando ad En la sua spada.

L'amico sporse il labbro inferiore in un tentativo poco convinto di mettere il broncio, ma Atsushi fu irremovibile.

“Se non vuoi, io torno a casa, e ci vediamo la prossima estate.”

En abbassò le orecchie, ma obbedì, afferrando la spada e lasciando che fosse Atsushi a tirarlo in piedi.

"Agli ordini, allora." sospirò.

Se Atsushi la metteva in questi termini, non c'era pigrizia che tenesse, naturalmente.


 


 

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NOTE: innanzitutto, mi scuso tantissimo per il ritardo nella pubblicazione di questo capitolo, ma sono davvero impegnatissima in questo periodo :'( almeno il capitolo era più lungo degli altri u3ù
In secondo luogo, ho cambiato la formattazione del testo. Non sono una grandissima fan dei paragrafi staccati così, però avevo l'impressione che senza il testo fosse un po' troppo attaccato e scomodo da leggere.

Spero di riuscire a pubblicare il prossimo capitolo tra un mesetto, ma se ritarderò dovrete scusarmi ancora, perché sarà per una buona causa - un certo Love Stick azzurro da preparare per Lucca :'P Spero di non fondermi le dita con la colla calda...
A presto e grazie davvero per la pazienza <3 dopo Lucca, gli aggiornamenti saranno decisamente più rapidi!
 
 

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Capitolo 5
*** Il sapore dell'estate ***


Capitolo V


Il sapore dell'estate




 

C'erano delle macchie rosso scuro sulla neve; le si sarebbe potute scambiare per gocce di sangue fresco cadute così, dal nulla, fino a che non ci si avvicinava per notare che si trattava, in realtà, di petali di rosa.

Era decisamente insolito trovare delle rose in fiore nel pieno dell'inverno, così come era bizzarra la commistione del loro profumo intenso con l'aria gelida e cristallina della nevicata appena finita. Kinshiro si sistemò il collo di pelliccia del mantello, passeggiando senza particolari pensieri attorno al gazebo, nel cuore del labirinto. Il cielo di mezzogiorno era grigio, grigia anche l'aria, ma lì, in quel piccolo giardino, la neve sembrava solo un incidente di percorso, qualcosa che si era aggiunto per sbaglio all'eterna primavera di quei cespugli di rose.

Il demone non era troppo felice del fatto che quelle piante fossero perennemente in fiore, ma Ibushi ed Akoya sembravano divertirsi così tanto a mantenere quel giardino sempre rigoglioso che non aveva senso, in fondo, impedirglielo. Dal canto suo, però, Kinshiro non trovava corretto ignorare le regole dettate dall'alternarsi delle stagioni, anche se la magia poteva questo ed altro. C'era l'inverno e c'era l'estate, così come c'erano la notte ed il giorno; voler portare luce e calore là dove non erano contemplati rappresentava una sfida inutile.

Salì i gradini del gazebo per osservare la statuina di giada che, come sempre, riposava sul suo piedistallo. I suoi occhi guardavano il porcospino, ma i suoi pensieri erano altrove. Distrattamente, passò una mano avvolta in un guanto sopra gli aculei della statuina.

Non ricordava perfettamente anche lui quando aveva incontrato per la prima volta Atsushi, esattamente in quel posto, tanti anni prima? Trovare quel ragazzino in punta di piedi di fronte alla colonna l'aveva colto completamente alla sprovvista. Nessuno avrebbe dovuto essere in grado di penetrare la barriera magica con cui era protetto il labirinto, men che meno un inutile essere umano di pochi anni di età.

Fortunatamente Ibushi, più pratico di lui, si era affrettato a fermarlo prima che potesse sfiorare il riccio.

Quegli aculei erano appuntiti, lo sapeva bene Kinshiro, e il ragazzino si sarebbe punto se vi avesse allungato le dita - e ciò non doveva accadere.

Il polpastrello del suo indice indugiò sulla punta di uno degli aghi. Il guanto che indossava era spesso e lo proteggeva, ma se avesse applicato solo poca pressione in più, si sarebbe punto. Poco male per lui, ormai, ma non poteva permettere che accadesse a nessun altro. Questo era uno dei motivi per cui aveva sempre accompagnato Atsushi quando questo insisteva nel voler esplorare il labirinto. Che cosa avrebbe fatto se l'umano si fosse punto? Si guardò le mani avvolte negli immacolati guanti bianchi.

Kinshiro era stato uno spirito della luce, tempo addietro, ma dei poteri magici che aveva avuto a quel tempo non era rimasta traccia. Prima, avrebbe potuto curare una semplice puntura con un soffio del suo alito. Adesso, tutto quello che le sue mani sapevano fare era distruggere.

Ma le regole erano le regole, c'erano la notte e il giorno ed il buio e la luce, e Kinshiro sapeva bene che la scelta che aveva compiuto implicava delle rigide preclusioni.

Tuttavia, non poteva fare a meno di chiedersi che cosa sarebbe successo se Atsushi avesse saputo. Il principe era ingenuo, così ingenuo da rasentare la stupidità, si diceva Kinshiro, quasi arrabbiato con lui, ma naturalmente una volta che tutto quanto fosse finito (e mancava poco, ormai, stranamente poco), avrebbe scoperto la verità. Del resto, Kinshiro non vedeva l'ora di farla finita con quella farsa e non aveva alcuna intenzione di curarsi sulle ripercussioni che ciò avrebbe avuto sul mondo degli umani.

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I fiocchi di neve piroettavano nell'aria ferma della sera invernale, esibendosi in una lenta e complessa danza, una coreografia perfetta nella sua casualità. Illuminati dalla fioca luce aranciata che filtrava dalla finestra, si materializzavano improvvisamente dal buio che li creava.

En li osservava mentre, pigramente, si adagiavano e scomparivano nella coltre nevosa che circondava la casa nel bosco. Non sembravano avere alcuna fretta di cadere eppure, uno dopo l'altro, avevano cancellato le impronte che lui e gli altri avevano lasciato affaccendandosi attorno alla casa durante le poche ore di luce della giornata.

Il ragazzo ripiegò le gambe sotto di sé, al riparo del tepore della coperta in cui era avvolto.

En amava il caldo, l'inverno non era la stagione che faceva per lui, nonostante non si potesse dire che avesse mai davvero patito il freddo, in quella casa. Certo, non poteva saperlo, perché non aveva mai conosciuto altro focolare all'infuori di quello davanti a cui era cresciuto, ma per quanto Gora trascorresse buona parte del suo tempo a far legna, ne tagliava sempre molta di più di quanta non servisse per alimentare il loro camino. In realtà, con uno spirito del fuoco sotto lo stesso tetto, non sarebbe servito nemmeno un ciocco a mantenere calda l'abitazione, ma Ryuu aveva deciso di lasciargli almeno parte della soddisfazione.

Questo, però, En non poteva ancora saperlo.

Ryuu, che era accovacciato sul pavimento, intento a scribacchiare su una pergamena, si stiracchiò, allungando braccia e gambe sulle assi di legno scaldate dal tepore del camino. Dallo sguardo che lanciò oltre la finestra si capiva che non era propriamente entusiasta del tempo atmosferico.

"Uff, sicuramente nevicherà fino a domani mattina. Ci ritroveremo seppelliti in casa!" borbottò, ritraendo gambe e braccia, quasi fino ad appallottolarsi su se stesso.

"...non ho nessuna voglia di spalare la neve." gli fece eco En, che aveva cercato di dimenticarsi delle incombenze che li avrebbero aspettati l'indomani.

"Manca ancora troppo alla primavera." sospirò il primo, riportando la sua attenzione sulla pergamena sotto di lui.

"Decisamente troppo." concordò En, ed a quella sua uscita Ryuu tornò a sollevare la testa, lasciandogli un'occhiata incuriosita.

"Di solito però dici che l'inverno ti piace, perché puoi andare in letargo come i ghiri." lo punzecchiò scherzosamente. "Cos'è, hai fretta?"

En sembrò riscuotersi. "Fretta? Non particolarmente." rispose facendo spallucce e tornando a concentrarsi sulla nevicata.

Data la sua natura essenzialmente tranquilla, En non aveva fretta che le cose accadessero. Anzi, disdegnava i cambiamenti repentini, e preferiva che le cose mutassero lentamente, proprio come la neve prendeva il posto delle foglie secche, l'erba il posto del terreno gelato ed i frutti quello dei fiori. Era più tranquillizzante che le cose avvenissero pian piano, quasi controvoglia; lo faceva sentire parte del flusso degli eventi.

Eppure, per quanto lentamente, i cambiamenti avvenivano; si poteva prenderne coscienza poco a poco, o tutto all'improvviso, come quando si aprivano le finestre una mattina d'inverno per trovare che il mondo, durante la notte, aveva cambiato colore.

Ma ora En era sveglio ed era sotto i suoi occhi che la neve riempiva gli avvallamenti e le tracce dei loro stivali, formando una compatta superficie cristallina. Guardava fuori dalla finestra con gli occhi, ma dentro di sé i suoi pensieri erano rivolti a ben altro - qualcosa che gli stava accadendo lentamente, sotto la sua attenzione eppure senza che potesse farci nulla, proprio come la nevicata. Quello che gli stava succedendo, però, era quanto di più diverso potesse esserci dal gelo della neve.

Si strinse addosso la coperta, come ad impedire che lo strano calore che sentiva accenderglisi nel petto potesse scappare via.
Vero, En non aveva fretta, di solito, ma quella sera si ritrovava a desiderare ardentemente che l'inverno scivolasse via il più velocemente possibile, per lasciare il posto alla primavera e poi all'estate. Questo non tanto per il caldo o per il sole, ma per Atsushi, naturalmente, perché lo avrebbe di nuovo raggiunto nel bosco e tutto avrebbe riacquistato un senso.

Era sempre stato così, tutti gli anni - era un sollievo sapere che il ritorno del bel tempo avrebbe significato anche quello dell'amico. Quest'anno, però, provava una strana inquietudine, come un senso di incompletezza che non poteva essere curato né dal calduccio del suo giaciglio né dal tè al miele di Gora. Erano tutta quella neve, quegli alberi e quella catena invisibile che lo separavano da Atsushi e da quel bacio che gli aveva posato sulla guancia prima di salutarlo...

Qualcosa andò improvvisamente a sbattere contro il suo fianco per poi intrufolarsi in tutta fretta sotto la coperta che lo avvolgeva. En sospirò - era ben raro poter essere lasciati soli con i propri pensieri in quella casa, e se anche succedeva, non durava mai a lungo.

"Yumoto..."

Il ragazzino frenò lo slancio che lo portava ad inseguire il wombato, richiamato dal tono di rimprovero del cugino maggiore, che si ritrovava improvvisamente a fare da scudo all'animale. Era piuttosto chiaro che questo non aveva alcuna voglia di essere acchiappato dal biondino, ed ora si era rannicchiato per bene facendosi spazio tra il fianco di En e la parete.

"Traditore, perché preferisci En a me?!" protestò Yumoto, cercando di allungare una mano sotto la coperta per afferrare una zampa rosa.

"Forse perché lo vuoi tormentare?" replicò En sarcastico, picchiettando con l'indice sulla fronte del più giovane per farlo allontanare.

"Ma con il freddo che fa l'unico modo per scaldarsi è farsi le coccole!"

"Yumoto, cose del genere sono tremendamente fraintendibili!" lo rimproverò seccamente Ryuu, alzando di scatto la testa dalla pergamena sulla quale stava ancora tergiversando.

"Tu dici cose del genere tutto il tempo, Ryuu, non hai diritto di rimproverarlo." commentò aridamente Io, senza peraltro distrarsi dalle sue carte e dal gruzzolo di monete che aveva davanti a sé. Gestire le entrate e le uscite di una casa dove vivevano cinque persone col solo reddito di un boscaiolo e falegname, del resto, non era cosa facile.

"Dirlo ad una ragazza è ben diverso dal dirlo ad un wombato." replicò lo spirito del fuoco stringendosi nella spalle.

Nel frattempo, Yumoto si era infilato per metà sotto la coperta, suscitando le proteste di En, che cercò senza successo di farlo desistere. Dopo un po' di parapiglia disordinato, dalla coperta una dopo l'altra sbucarono la testa del wombato, quella di Yumoto e infine quella di En.

"Come si sta bene qui!"

"Basta che stai fermo e non ti dimeni, capito?"

"Capito, wombato?"

"Guarda che non parlavo a lui!"

Con la folta chioma di Yumoto a fargli da appoggio per il mento, En non poté fare altro che sospirare e cercare di adattarsi alla posizione scomoda, spostando leggermente le gambe per far sì che il peso dell'altro non gli bloccasse del tutto la circolazione. Se non altro, il cuginetto era abbastanza leggero.

Ryuu li osservava scuotendo la testa. "Con te, Yumoto, non c'è speranza, ma tu, En, non dovresti essere così indulgente con lui! E poi, dovresti tenere in braccio una ragazza, non lui."

"Non sei un po' monotematico, Ryuu?" replicò l'altro, rivolgendogli uno sguardo vuoto.

"Vale sempre la pena di parlare di ragazze." insistette l'altro, con un sorriso che lasciava intendere che la sapeva lunga, ma che En ignorò tranquillamente.

"Non m'interessa. E poi, anche se volessi, non conosco nessuna ragazza."

Ryuu ed Io si scambiarono un breve sguardo, e subito dopo lo spirito del fuoco tornò all'attacco. "Ecco, è per questo che dici che non ti interessa, ma non credi anche tu che un giorno incontrerai una ragazza e te ne innamorerai perdutamente?"

En inarcò le sopracciglia, perplesso. "Dovrei?"

Ryuu si alzò, stringendo le mani a pugno. "Certo che dovresti, che domande! Anche se, con un atteggiamento del genere, finirai col farla scappare..." lo rimproverò, visibilmente frustrato all'idea. E sì che lui si era impegnato tanto, con il suo dono, per far sì che il principe avesse tutte le carte in regola per diventare un rubacuori... Ma non aveva mai pensato che vi avesse così poco interesse. Quanti grattacapi che gli dava.

"Ricorda sempre," continuò, serissimo "quando troverai quella giusta, è fondamentale che tu glielo faccia capire immediatamente!"

"Ah sì?" il tono della voce di En era piatto, ma Ryuu credette di avvertirvi una debolissima nota di interesse, il che lo fece infiammare ancora di più.

"Certo! Non vuoi mica che si innamori di qualcun altro nel frattempo, no?"

En aggrottò lievemente le sopracciglia, come se l'eventualità (pur del tutto ipotetica e remota) lo disturbasse. Ryuu sorrise, sicuro ormai di aver catturato l'attenzione del ragazzo. Per una volta che En si dimostrava attento rispetto a quell'argomento, lo spirito sapeva bene che era necessario approfittarne.

"Serve anche una certa tecnica, sai? Non puoi lasciare nulla al caso." prese a spiegare, tutto infervorato. "Tanto per cominciare, devi riuscire a creare un'atmosfera romantica."

En lo fissava con occhi assolutamente vuoti. Ryuu sospirò, ma non si lasciò scoraggiare e ripartì subito alla carica.

"Approfitti di un momento in cui siete tu e lei tutti soli, e poi la prendi per mano." spiegò, allungandosi verso Io ed afferrandogli una mano. Lo spirito della terra sopportò imperturbabile, probabilmente augurandosi che la dimostrazione pratica non lo coinvolgesse più di così.

"A questo punto devi guardarla dritto in faccia (con decisione ma dolcezza, mi raccomando!) farle un complimento, dirle che è bellissima, qualsiasi cosa ti venga in mente (ma cortese e poetico, eh!), scostarle una ciocca di capelli dal viso..."

Ryuu ce la stava mettendo davvero tutta, per mostrare in pratica che cosa intendesse, ed ora stava fissando Io intentamente negli occhi. L'altro stava riuscendo a conservare una faccia di bronzo ed a sostenerne lo sguardo, pur ammiccando appena quando Ryuu gli accarezzò la guancia, pettinandogli i capelli dietro l'orecchio.

"...e poi, la devi baciare sulle labbra - anche qui, delicatamente ma con fermezza..."

"Questa parte basta anche spiegarla a parole, direi." interruppe Io, allontanandosi da un Ryuu che si era fatto improvvisamente troppo vicino.

"Eh?! Ma non vuoi darmi un minimo di aiuto?!" protestò Ryuu, deluso per l'interruzione.

"C'è aiuto e aiuto! E poi, perché non usi una delle tue famose ragazze per le dimostrazioni pratiche?" le gote di Io si erano appena arrossate, mentre prendeva ulteriormente le distanze dall'altro spirito.

"Non scherzare, uffa!"

En, però, non sembrava interessato ad assistere anche al resto della dimostrazione. Aveva riportato lo sguardo fuori dalla finestra, ma non stava davvero osservando la nevicata.

"Un bacio, eh?"

"Ovvio, no? Se sei innamorato di qualcuno, devi dargli un bacio!" confermò Yumoto.

"Come se tu ne sapessi qualcosa." lo stuzzicò En, dandogli uno scappellotto scherzoso alla base della nuca.

"Sicuramente non meno di te!" gli rispose il più piccolo per le rime, ed En decise di ignorarlo.

"Va bene, il bacio, d'accordo, e poi?"

Ryuu, che per qualche motivo stava ancora tenendo la mano di Io, si voltò di scatto.

"Quello che succede dopo non te lo posso raccontare davanti a Yumoto!"

En fece una smorfia. Aveva una vaga idea di quello che veniva dopo, non proprio precisa ma sufficiente a fargli capire che non era il genere di cose di cui si parlava così, tutti insieme, davanti al camino.

"Non era quello che intendevo!"

"Dopo... Dopo sicuramente vivrete felici e contenti per sempre, no?" Yumoto sembrava ferrato sull'argomento.

"Suona troppo come una favola della buonanotte."

"Ma è quello che si vuole quando si ama qualcuno, no? Stare sempre assieme!"

En arruffò i capelli del cuginetto, soprappensiero.

Non aveva grandi progetti per se stesso, En. Non conosceva che la loro casetta nel bosco e la foresta tutt'attorno, tanto gli era sempre bastato e, pensava, gli sarebbe bastato anche in futuro. Una vita tranquilla, tanto era quello in cui sperava.

Anche adesso, era piacevole stare così, seduti tutti assieme, a godere del calduccio del fuoco e della coperta. Certo, però, se avesse tenuto Atsushi sulle ginocchia, invece di Yumoto, sarebbe stato perfetto.

Ecco chi avrebbe dovuto abbracciare, invece di un'ipotetica ragazza, si disse, provando ad immaginare come sarebbe stato avvolgere le braccia attorno alla vita del suo amico, lasciando che appoggiasse la schiena sul suo petto e la nuca sulla sua spalle. Sarebbero stati davvero vicini, così, e le loro guance avrebbero finito con lo sfiorarsi, e poi...

"Probabilmente hai ragione." acconsentì alla fine, sottovoce, appoggiando la fronte al vetro gelido della finestra. Si sentiva caldo al viso, ora - erano decisamente in troppi, sotto quella coperta.

Che En avesse fretta o meno, l'inverno si prese tutto il tempo di cui aveva bisogno per cedere il posto alla primavera, lasciando quindi parecchio tempo al ragazzo per rimuginare o cercare di dare un senso ai propri pensieri, se ne avesse avuto la voglia. Invece, quello che En fece in quei mesi fu solo di mostrarsi più svogliato del solito nei suoi impegni quotidiani, lamentandosi con sé stesso perché il fatto di dover aspettare tanto prima di poter rivedere Atsushi era una profonda, profonda ingiustizia.

Quando finalmente si incontrarono di nuovo, a primavera inoltrata, gli si attaccò al collo con fare lamentoso.

"Atsushi, lo sai che mi sei mancato? Dovevi tornare prima."

"Questa è bella! E come, poi?"

En sospirò. Non sapeva come, naturalmente. Tutto quello che sapeva era che la grande città dove viveva Atsushi nel resto dell'anno distava giorni di viaggio. Il mondo fuori dalla sua foresta sembrava davvero essere un posto difficile e stancante, pensò lasciandolo andare e scivolando a sedere tra le radici della quercia. Il solo pensiero dell'ignoto lo stancava.

"Dai, non fare così. Sono qui adesso, no?"

Atsushi si sedette accanto a lui con un sorriso confortante ed En gli poggiò la testa sulla spalla. Sì, era lì accanto a lui, ed al momento era tutto ciò che desiderava.

In quei giorni di inizio estate, En sembrava aver perso il senso del tempo. Le giornate trascorse assieme ad Atsushi volavano, mentre le notti erano lunghe persino per lui, che pure era un ben allenato dormitore. Il sonno non veniva, ed il ragazzo rimaneva a rotolarsi nel letto, quasi la sua anima fosse attanagliata dai morsi della fame o soffocata per la mancanza d'aria.

Quando era assieme ad Atsushi, tutto sembrava sempre identico eppure radicalmente diverso. Non c'era stato nessun cambiamento sostanziale nel loro rapporto, erano le sfumature, invece, ad aver assunto tonalità nuove. Come l'ombra di rosso che aveva infiammato le guance di Atsushi quando avevano fatto il bagno assieme l'ultima volta e lo sguardo di En aveva indugiato troppo a lungo sulle sue spalle e sul suo petto, e sui rivoli d'acqua che scorrevano dalle insenature delle sue clavicole lungo il suo sterno.

O ancora, come la punta di calore che gli aveva infiammato li stomaco quando si era reso conto che, durante uno dei loro allenamenti di scherma, Atsushi gli aveva stretto la mano un po' più a lungo del necessario mentre gli spiegava come tenere salda la presa sull'elsa della spada di legno.

Mancavano pochi giorni al solstizio d'estate ed il bosco era assopito, esausto per l'umidità torrida, muta. 

Come loro solito, i due ragazzi sedevano tra le radici della quercia secolare. Normalmente, era En ad appisolarsi pacificamente in mezzo all'erba, ma quel giorno così caldo anche Atsushi aveva lasciato che il libro che stava leggendo gli scivolasse dalle dita, addormentandosi con la testa reclinata di lato, malamente appoggiata al tronco della quercia dietro la sua schiena.

Il libro, che gli era rimasto in bilico per un po' sulla gamba, ad un tratto scivolò giù, atterrando morbidamente accanto alla testa di En, che riposava rannicchiato là accanto, sfiorandogli uno zigomo. Disturbato, il ragazzo si destò, subito alzando una mano a schermarsi il viso dal sole che risplendeva alto nel cielo. In silenzio, raccolse il libro scivolato nell'erba ed alzò gli occhi a contemplare Atsushi che, in alto sopra la sua testa, era abbandonato al sonno.

Lentamente, En si mise a sedere.

Capitava raramente che Atsushi si addormentasse durante il giorno, e normalmente, quando ciò accadeva, era già stato preceduto da En - anzi, En non si ricordava affatto quand'era stata l'ultima volta che aveva visto l'amico addormentato, e rimase ad osservarlo, intento.

Il ragazzo aveva il collo piegato, le ciocche di capelli scuri sparse a casaccio sopra gli occhi e la bocca semiaperta. Gli occhiali gli erano scivolati sul naso ed ora erano in bilico sulla punta, sbilenchi e pronti a cadere.

Piano, En glieli sfilò e li appoggiò accanto a sé sull'erba, sistemandosi a gambe incrociate di fronte a lui. Non credeva che quella posizione fosse particolarmente comoda per dormire, ma non intendeva comunque svegliarlo. La sua mano vagò fino a tuffarsi nel cesto di vimini lì accanto, che conteneva i resti del loro pranzo, e ne riemerse stringendo una pesca. Assorto nella contemplazione dell'amico addormentato di fronte a lui, la addentò.

Se glielo avessero chiesto, En non avrebbe saputo dare una definizione di bellezza. Nei libri che leggeva, le principesse e le regine di cui si innamoravano immancabilmente i protagonisti erano sempre descritte come aggraziate e bellissime, con lunghe trecce dorate e visi radiosi. Nelle illustrazioni, avevano vesti preziose e chiome che raggiungevano i fianchi e, quando i cavalieri le incontravano per la prima volta, rimanevano tanto abbagliati dalla loro bellezza che non riuscivano a distogliere lo sguardo dai loro visi.

La polpa della pesca era morbida e cedevole; mentre masticava, il succo zuccherino del frutto gli colò sul mento. En se lo asciugò via soprappensiero, usando l'orlo della manica, mentre con lo sguardo continuava a studiare Atsushi, la pace sul suo viso e l'abbandono infantile al sonno.

Il suo amico non era una delle eroine dei libri che leggeva, questo era vero, ma En non riusciva a smettere di guardarlo, e ciò doveva per forza significare che Atsushi era bellissimo.

Il principe si mosse nel sonno, cercando una posizione più comoda, ma senza riuscirci. Corrugò le sopracciglia, come se qualcosa lo infastidisse. En, allora, recuperò gli occhiali e glieli rinfilò sul naso, scostandogli appena i capelli per rimetterglieli a posto.

Atsushi arricciò il naso, si strinse nelle spalle e, alla fine, si riscosse. Sbatté le palpebre, confuso e sorpreso, ritrovandosi di fronte En che lo osservava con attenzione.

"...uh? Che succede?"

En scrollò le spalle, come a dire che non c'era niente che non andasse, ed Atsushi si raddrizzò. "Ah, Enny, ti sei sporcato." notò poi, allungando istintivamente una mano verso il mento dell'amico, asciugando una goccia di succo di pesca che indugiava ancora sulla sua pelle.

En si mosse appena, chinando la testa di lato e rendendo il movimento premuroso di Atsushi una carezza. Spontaneamente, le labbra del principe si incurvarono in un sorriso, che tremò appena quando si rese conto di aver indugiato anche troppo con le dita sul volto dell'amico.

"Sei pulito, adesso." lo rassicurò, abbassando imbarazzato lo sguardo e la mano. Ma come questa si spostò, En la seguì, e tutto ad un tratto il suo viso si trovava così vicino a lui che Atsushi poteva sentire il calore della sua pelle sulla propria - o forse erano le sue stesse guance ad essere in fiamme, pensò mentre cercava di non venire sopraffatto dall'improvviso imbizzarrirsi dei battiti del suo cuore.

"Enny... Che cosa stai facendo?"

En aveva un'espressione mortalmente seria.

"Ti dò un bacio."

Le loro labbra rimasero premute per qualche istante appena e poi En si ritrasse, il respiro leggermente accelerato e gli occhi che cercavano quelli di Atsushi, alla ricerca frenetica di una risposta alla domanda che gli aveva appena fatto.

L'altro alzò lo sguardo verso di lui per un momento soltanto, dopodiché si protese a chiederne ancora.

Le labbra di En erano calde e profumavano di pesca, Atsushi lasciò che catturassero le sue ed ora aveva un sapore zuccherino sulla punta della lingua, in quel bacio che sapeva di afa, di frutta e di tutto ciò di cui era pregna l'estate.

Dopo un po', si staccarono di nuovo. L'aria attorno a loro era cambiata ed Atsushi venne sopraffatto dall'odore della pioggia. Spalancò gli occhi, meravigliato nel vedere una fine cortina d'acqua sfavillare attorno a loro, protetti dal fogliame della quercia, le gocce che splendevano come cristalli nella luce dorata del sole del primo pomeriggio.

"Che strano, avrei detto che non c'era nemmeno una nuvola nel cielo fino a poco fa..." commentò meravigliato voltandosi verso En, ma questo, incurante della pioggia, lo stava guardando con un sorriso. A vederlo, Atsushi sentì la terra tremare, ed il suo cuore con essa. Non lo aveva mai visto così felice.

Si protesero l'uno verso l'altro finché le loro fronti non si toccarono, in una confusione di piccoli sospiri e di battiti di cuore ancora impazziti. Questi, però, si stavano pian piano calmando, mentre nei loro petti si faceva spazio una serena tranquillità.

En accarezzò Atsushi su una guancia, spostandosi sull'erba in modo da essergli seduto più vicino. Atsushi fece per alzare il viso a guardarlo, ma in quella En gli strinse la nuca per avvicinarlo di nuovo a sé. I loro nasi si urtarono e ad Atsushi sfuggì una risatina.

"C'è da impegnarsi più del previsto..." borbottò En e l'altro scosse la testa, divertito.

"Ma ti pare il momento...?"

En sospirò, ma poi si riscosse.

"Hai ragione, scusa, quello che volevo dire è che sei bellissimo." fece allora, circondandogli la vita con le braccia. Il principe spalancò gli occhi per la sorpresa, arrossendo fino alla punta del naso. En lo tirò a sé ed Atsushi gli si poggiò timidamente contro il petto. Le loro labbra si sfiorarono per un attimo e i due ragazzi sorrisero, poi si baciarono ancora.

Le fronde della quercia, sopra di loro, si mossero appena, sospinte da una brezza tiepida che si era appena alzata. Qualche goccia di pioggia finì su di loro, ma erano entrambi troppo occupati per accorgersene.

---

"Che cosa ti piacerebbe per il tuo compleanno?"

La domanda risuonò nella stanza e vi rimase come sospesa, in attesa di una risposta, ma senza trovarne alcuna, e per qualche momento a parlare furono solo le cicale nel buio del bosco.

En sedeva al tavolo con Ryuu ed Io, abbandonato all'indietro sullo schienale della panca, gli occhi rivolti alla notte che circondava la casa. Il ragazzo non si curava delle tenebre, però, anzi, il suo sguardo era pieno dei ricordi della giornata appena trascorsa e di quelle precedenti.

Sulle labbra e sulla lingua gli rimaneva il sapore dei baci di Atsushi, ed ogni centimetro della sua pelle provava ancora la pressione delle sue carezze e dei suoi abbracci. Se piegava la testa di lato, poteva quasi sentire i capelli del principe sfiorargli il mento, come quel pomeriggio, quando si era addormentato con la testa appoggiata alla sua spalla...

"En! Sei tra noi?"

"...eh?"

Il ragazzo finalmente si voltò verso gli altri due. Ryuu sbuffò, allungandosi sullo schienale della sedia su cui era seduto all'incontrario.

"Ti sei dimenticato che tra pochi giorni è il tuo compleanno?"

L'altro sbatté le palpebre con espressione di vaga sorpresa.

"Davvero?"

Io lo guardò brevemente, prima di abbassare lo sguardo e recitare, con tono piatto: "In una settimana compirai diciassette anni, En. C'è qualcosa di particolare che ti piacerebbe ricevere in dono?"

Tutte le estati gli ponevano la stessa domanda, e tutte le estati En rispondeva che non c'era niente che volesse. Anche quella sera, En era fortemente tentato di dare la stessa risposta; aveva già tutto ciò che poteva desiderare, oh, se lo aveva...

Al suo silenzio assente, Io e Ryuu si scambiarono un'occhiata ed un'alzata di spalle. Be', ci avevano provato, no?

"Ci sarebbe una cosa che desidero, in effetti." fece En, dopo un attimo, ed i due lo fissarono sorpresi.
"Voglio andare al villaggio, quello a nord del bosco."

Io si corrucciò, ma non fece a tempo ad esprimere la sua perplessità che Ryuu lo precedette con entusiasmo.

"Tutto qui?! Ma certo!" assicurò, facendo dondolare la sedia.

En non apparve particolarmente felice dell'approvazione della sua richiesta e, pigramente, si alzò dalla panca, stiracchiandosi e soffocando uno sbadiglio.

"Bene. Io vado a dormire, adesso, 'notte." salutò senza particolare entusiasmo, prima di salire le scale.

"Buonanotte!" risposero in coro Io e Ryuu. Non appena sentirono chiudersi la porta della stanza da letto, si voltarono l'uno verso l'altro.

"Perché gli hai detto di sì così su due piedi? Sai bene che è rischiosissimo portarlo fuori da qui, è una cosa che va pianificata!" fece Io, per nulla convinto.

"Scherzi? Questa potrebbe essere la nostra occasione per farli incontrare!" allo spirito del fuoco brillavano gli occhi.

"Sì, ma..."

"Lascia fare a me! So perfettamente che cosa sto facendo!" assicurò Ryuu, e gli passò la pergamena su cui stava scrivendo. Io ne lesse il contenuto con una certa fretta - era chiaramente indirizzata ad una ragazza e parlava di cose frivole, di come fossero lunghe le giornate in sua assenza, di come il profumo dei fiori non facesse che ricordargli di lei e della sua soave bellezza. Le solite melensaggini senza senso, insomma, almeno fino a che gli occhi dello spirito della terra non realizzarono a chi era indirizzata la lettera.

"Da quando intrattieni una corrispondenza con la Principessa Kinugawa?" Io corrugò le sopracciglia.

"Abbastanza per proporle un appuntamento ed essere sicuro che ci sarà." rispose Ryuu, con aria malcelatamente orgogliosa.

"Le scrivi fingendoti En!" Io non sembrava approvare altrettanto la mossa di Ryuu.

"Oh, andiamo, se non avessi iniziato a scriverle lei non saprebbe nemmeno della sua esistenza! E poi la sto conquistando, sai?"

Io inarcò un sopracciglio. "La stai conquistando tu fingendoti qualcun altro, mentre En nemmeno sa chi è."

"Gli sto semplificando il lavoro! Alla fine mi ringrazierete!" Ryuu incrociò le braccia sul petto, deciso.

Io tornò a guardare la pergamena, e sembrò risolversi.

"Be', la cosa è rischiosa già di per sé, figuriamoci quando lei si renderà conto che le lettere non le ha scritte il principe... Ma suppongo che, a questo punto, tanto vale approfittare dell'occasione che hai procurato."

Ryuu annuì, facendo un gesto con la mano come a dire che quella era senz'altro la soluzione più logica. Ad Io sfuggì un sorrisetto, mentre ricambiava lo sguardo d'intesa dell'amico.

En si infilò silenziosamente sotto le lenzuola. Dall'altra parte della stanza, Yumoto era già profondamente addormentato nel suo letto ed il frinire delle cicale, fuori dalla finestra, era il solito sottofondo costante, la ninnananna di tutte le sue notti estive. Tuttavia, gli ci volle un po' prima di riuscire ad assopirsi.

Una giornata al villaggio... Per la prima volta, avrebbe visto il mondo di Atsushi, quello dove non gli era mai permesso andare. Non era certo di che cosa aspettarsi, né di che cosa volesse fare con ciò che li aspettava là fuori, ma ammetteva con se stesso di essere un po' curioso, dopotutto. Quando finalmente si addormentò, sognò di castelli e cavalieri; sognò di avere Atsushi al suo fianco, splendente nelle vesti dei re e dei principi illustrati nei romanzi. Anche En era vestito allo stesso modo e sulla testa sentiva la pressione di una corona - era d'oro e bella come quelle che aveva sempre visto disegnate, ma pesava e gli premeva dolorosamente sulla fronte e sulle tempie. Atsushi, però, sorrideva e gli stringeva la mano.

Si svegliò all'improvviso nel colmo della notte, quando le stelle si erano già affievolite in cielo, e si massaggiò il capo là dove la corona lo aveva stretto fino a fargli male. Ora che era desto, la pressione era scomparsa, ma con essa se n'era andato anche il calore della mano di Atsushi nella sua. 




---

NOTE: sono viva ed anche questa fanfiction lo è! Spero abbiate passato un buon Natale e che stiate trascorrendo delle belle vacanze invernali, se siete in vacanza (io no). Tra i buoni propositi per il 2016 c'è quello di scrivere di più.
Oh, nel caso non l'aveste visto, vi linko l'immagine di un bellissimo poster di En (discinto) che è appena uscito sulla rivista Animage. Non si dovrebbe fare official art così, non si dovrebbe davvero. 

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Capitolo 6
*** In rosa e in blu ***


Capitolo VI

 

In rosa e in blu

 

 

 

"Di nuovo, di chi è stata quest'idea?”

"Tua, En."

"Davvero? Eppure me la ricordavo un po' diversa."

Avevano abbandonato la foresta già da un po', ormai, e con essa l'ombra degli alberi e la relativa frescura che garantiva; mentre percorrevano la stradina di campagna che li avrebbe condotti al villaggio, il sole li colpiva impietoso. I due cavalli che montavano - Ryuu ed Io su uno, En, Yumoto ed un rassegnato vombato sull'altro - camminavano controvoglia, agitando la coda inutilmente per difendersi dalle mosche.

Nella calura della tarda mattinata estiva, En sbottonò un altro po' la camicia che era stato costretto a indossare. Davvero, lui aveva chiesto solo di poter visitare il villaggio, non anche di sottostare a quella tortura aggiuntiva, si disse mentre si arrotolava le maniche fin sopra al gomito. Fosse stato per lui, ci sarebbe andato con gli stessi abiti che indossava normalmente, di semplice lino, sottile e confortevole, ma gli altri avevano insistito affinché indossasse qualcosa di molto più impegnativo: una camicia abbottonata fin sotto al mento, un giustacuore celeste che, per quanto elegante, lo soffocava, e dei pantaloni dello stesso colore.

Certo, quando li aveva indossati per la prima volta e si era visto allo specchio, si era a stento riconosciuto: con i capelli legati sulla nuca e pettinati, stretto in quegli abiti dal colore che rispecchiava quello dei suoi occhi, sembrava quasi uno dei damerini raffigurati nei libri, e la cosa non gli dispiaceva, almeno dal punto di vista estetico. Adesso, però, mentre sentiva una goccia di sudore rotolare lentamente lungo il collo e tra le scapole, avrebbe fatto volentieri a meno di tutto ciò per potersi gettare nel fiume e poi addormentarsi su una delle sue sponde. Non aveva immaginato che sarebbe stato così faticoso.

 

 

En si lamentava di come lo avevano vestito, ma non aveva idea del trambusto che si nascondeva dietro a quegli abiti eleganti che erano comparsi di punto in bianco di fronte a lui, quale parte del suo regalo di compleanno.

Quando Ryuu aveva finito di crearli, infatti, pantaloni e giustacuore erano di un magnifico, sgargiante raso rosa, scelta che rispecchiava perfettamente i gusti in fatto di vestiario e tinta del suo ideatore. Mentre questo annuiva tra sé e sé, osservando l'operato ed immaginandolo addosso al principe, però, era arrivato Io, che lo aveva osservato con poca convinzione.

"Rosa? Sei sicuro?"

"Certo! È un colore che dona tantissimo alle persone bionde!"

"Sarebbe molto meglio un bel giallo dorato, secondo me, richiamerebbe il colore dei capelli... Guarda."

Così dicendo, lo spirito della terra aveva aveva sfiorato la stoffa, trasformandola in un lucente tessuto color canarino.

"No, così non va per niente, non gli si addice. Ehi, che stai facendo? È perfetta così, non devi aggiungerci altro!"

Malgrado le proteste di Ryuu, Io aveva deciso che qualche altra miglioria poteva senz'altro essere apportata e stava sapientemente lavorando i bordi della stoffa con la sua bacchetta. Ad ogni tocco, sulla parte sfiorata sbocciava una gemma preziosa.

"Così è troppo vistoso."

"Ma En deve dimostrare di essere chi è, e quale modo migliore per farlo che non ostentando tutta la ricchezza possibile?" aveva ribattuto Io, procedendo ad aggiungere nuovi rubini sul davanti della casacca.

"Ehi, che state facendo? Wow! Caspita, è proprio brillante! Ma la volete gialla, davvero?"

Yumoto, comparso dal nulla, si era messo a gironzolare attorno a loro, osservando lo spirito della terra al lavoro. Siccome nemmeno lui sembrava d'accordo sul colore scelto da quest'ultimo, aveva estratto la bacchetta ed aveva puntato impietosamente la punta a forma di cuore sull'abito, che si era istantaneamente tramutato in un rosso cremisi.

"Yumoto, ma guarda che hai fatto, mi hai rovinato il lavoro. Adesso devo cambiare tutte le pietre. Non lo vedi che con queste il rosso non ci sta per niente?"

"Ti ha rovinato il lavoro?! Ma se l'ho fatto io, questo vestito! E tu, Yumoto, non c'entri niente, l'abito l'ho creato io e sono io che decido di che colore deve essere."

E il tessuto era tornato rosa.

"Questo colore con questi smeraldi? Credevo che avessi un occhio allenato su queste cose."

"Be', se non ti piace l'accostamento allora togli le pietre! En deve anche riuscire a camminare con questo addosso, sai?" aveva insistito Ryuu scuotendo la stoffa (e facendo rotolare qualche pietra sul pavimento).

"Ma il rosso è il colore dell'amore e della nobiltà!"

Giallo e rosso si erano intrecciati per un momento sul tessuto, regalando al vestito un inquietante sfumatura arancione, per poi diventare di uno strano tono violaceo quando anche Ryuu era tornato a volere dire la sua dal punto di vista cromatico.

In quella, il vombato era sbucato da sotto il tavolo per osservare la scena, aveva scosso il testone rosa ed aveva deciso che l'azzurro sarebbe stato un colore decisamente più adatto al principe - e così l'aveva mutato ancora una volta, lasciando di stucco i tre spiriti che se lo stavano litigando.

Prima che potessero protestare, però, nella stanza era entrato En, ed il terzetto era stato troppo impegnato a nascondere immediatamente le bacchette per continuare la battaglia sul vestito. Il ragazzo li aveva guardati in modo vagamente sospettoso (in realtà, era ben abituato a vederli comportarsi in modo strano), fino a che i suoi occhi non si erano posati sull'abito che giaceva, ora un po' stropicciato, sul tavolo di fronte a lui.

"E questo?"

"Oh, questo... Era un vecchio vestito del fratellone, sai?" aveva improvvisato Ryuu.

"Non immaginavo che Gora indossasse cose di questo tipo."

"Be', non credo l'abbia utilizzato molto, come vedi è praticamente nuovo," Io avevo sorriso nervosamente.

"Perché non lo provi, cuginone?" aveva suggerito quindi Yumoto.

"Provarlo?"

"Il fratellone Gora vuole che lo indossi quando andremo al villaggio!"

En si era rigirato la stoffa tra le dita, un po' perplesso, ma alla fine l'aveva indossato. Come c'era da aspettarsi, il taglio e le misure calzavano perfettamente.

"Di', ti piace?"

En si guardava nello specchio a mezzo busto della stanza, valutando. Si era sistemato la giacca un paio di volte, si era slacciato il colletto, ma non se l'era ancora strappata di dosso innervosito perché gli era troppo stretta o scomoda, e questo era già un buon segno.

Ryuu gli si era avvicinato alle spalle quatto quatto e gli aveva raccolto i capelli dietro la nuca, osservando soddisfatto il risultato nello specchio. Non aveva mai visto En completamente pettinato, ma un codino era probabilmente l'unico modo di mantenere l'insubordinata chioma dorata in un minimo di ordine.

"Non male, vero?"

"Non male," aveva confermato En, "mi piace l'azzurro."

Il sorriso di Ryuu si era fatto teso, Io aveva scosso la testa (come a dire che era inutile tentare di ragionarci) e il vombato aveva lanciato un'occhiata di trionfo agli altri spiriti.

"Come piace a te, cuginone!" aveva approvato Yumoto, che sembrava essere il più soddisfatto del risultato.

 

 

Quegli abiti potevano anche farlo sembrare un nobile o qualcosa del genere, ma ciò non rendeva più sopportabile la tortura del sole, pensava En cavalcando.

"Quanto ci mettiamo ancora, eh? Eh?"

Dietro di lui, Yumoto era vivace come al solito. Beato lui, che non sembrava per niente soffrire del sole a picco sulle loro teste.

En sospirò, lasciando ciondolare la testa sul petto. Anche lui sperava di arrivare in fretta ma, con quel caldo, anche spronare il cavallo ad andare più veloce sembrava troppo faticoso.

Dietro di loro, Io e Ryuu stavano confabulando fitto fitto fin da quando erano partiti, ed En aveva il sospetto (anzi, la certezza) che stessero tramando qualcosa. Tutte le volte in cui aveva tentato di origliare, però, Yumoto aveva iniziato a tempestarlo di domande, o si era messo a tormentare il vombato così tanto che la povera bestia gli si era arrampicata in faccia. Così, En aveva desistito. Del resto, che cosa stessero pianificando quei due alle sue spalle gli interessava relativamente, visto che anche lui aveva i suoi progetti per la giornata.

 

 

"Allora, sei sicuro che abbia capito bene?"

"Certo! Le ho spiegato che, durante l'incontro, entrambi dovremo fingere- dovranno fingere, voglio dire, di incontrarsi per caso la prima volta. Ha detto che le sta bene, in fondo se si incontrano in un luogo pubblico è meglio far finta che avvenga per caso. Inoltre, così rimediamo al fatto che En non sa nulla delle nostre lettere..."

Io annuì gravemente. Non era un piano geniale, ma era l'unico che fossero riusciti ad approntare. I due avrebbero dovuto incontrarsi in mezzo alla folla del mercato paesano, e sperabilmente il loro ragazzo avrebbe avuto poche possibilità di mandare all'aria tutto quanto: certo non ci sarebbe stato spazio per più di due passi assieme e per più di qualche parola scambiata.

Sempre che En acconsentisse almeno a quelli.

"Spero che si presti al gioco e dimostri un po' di interesse nei confronti della principessa."

Vista l'ontologica apatia del ragazzo, Io era parecchio in apprensione.

"Be', le ho fatto presente che, di persona, il suo cavaliere è un tipo molto, molto timido... E, se tutto fallisce, si può sempre ricorrere a qualche trucchetto magico!" terminò Ryuu facendo spallucce.

“Già, ma con attenzione. Ricordati che i demoni potrebbero essere qui in giro a cercarci.”

“Via, Io, lo portiamo fuori dalla foresta per un giorno solo dopo diciassette anni. Non saremo mica così sfortunati!” fece Ryuu con un sorriso.

 

 

Poco dopo, raggiunsero il villaggio. Più che un semplice paesello di campagna, viste le sue dimensioni si trattava quasi di una piccola cittadina. Il fatto che sorgesse vicino alla residenza estiva della famiglia reale lo rendeva un posto ricco di commercio ed artigianato, soprattutto durante la bella stagione.

Anche quel giorno, infatti, il villaggio ferveva di attività. Se ne accorsero ben presto, mentre percorrevano le strade che si riempivano di gente, man mano che si avvicinavano alla piazza centrale del villaggio.

"Aaah, che folla! Che bello!"

Yumoto sembrava entusiasta, mentre si sporgeva dalla sella per guardare più avanti e scoprire dove stessero andando tutti.

"Finirai col cadere dal cavallo, scemo," lo sgridò En, afferrandolo per il colletto della camicia e tirandolo indietro.

"Sarà meglio lasciare i cavalli da qualche parte. Oggi è giorno di mercato, c'è troppa confusione," spiegò Io, smontando di sella assieme a Ryuu.

Mentre aspettavano che Io sistemasse gli animali nella stalla di una locanda lì vicino, Ryuu ispezionò En con occhio critico. Gli tirò un po' la giacca, gli srotolò le maniche e gli diede, soddisfatto, una pacca sulla spalla.

En sollevò un sopracciglio, perplesso, ma decise di non indagare oltre, anche perché Io era già di ritorno.

"Giorno di mercato, eh? Che fortuna. Sicuramente riuscirò a fare qualche buon affare," ragionò ad alta voce, pieno di aspettativa.

"Se c'è il mercato devono esserci per forza anche tutte le leccornie che Gora ci porta sempre quando viene qui a vendere la legna!! Che meraviglia, possiamo abbuffarci!" Yumoto sembrava non stare nella pelle.

"Pfff, principianti. Si sa che il mercato serve unicamente come luogo dove provarci con le ragazze che vengono a fare le loro commissioni, vero En?" fece Ryuu ammiccando.

"Sarà..."

En non sembrava affatto condividere l'entusiasmo degli altri tre, ed anzi, iniziava ad innervosirsi. Era la prima volta che vedeva una tale folla - davvero ci potevano essere così tanti umani in uno stesso posto? Sembrava quasi di trovarsi dentro ad un immenso formicaio. Suoni ed odori sconosciuti provenivano da ogni parte, sopraffacendolo, e la sola idea di voltarsi ovunque per osservare tutto era stancante.

"Aaah, cuginone, lo senti questo profumo? Non è delizioso?" Yumoto lo aveva afferrato per una manica e lo stava trascinando verso quello che, En dovette concordare, era un aroma non meglio

definito ma decisamente appetitoso. Confuso dal turbinio di persone attorno a lui, il ragazzo si lasciò trascinare dallo slancio dell'altro.

"Ehi, non correte!"

In mezzo alla folla che si muoveva in ogni direzione, Io e Ryuu finirono inevitabilmente col venire seminati. Quando Yumoto ci si metteva, era impossibile tenergli dietro.

"Be', mentre tu accompagni En al suo appuntamento con la principessa, io mi dedicherò agli affari," dichiarò Io, sfregandosi mentalmente le mani all'idea.

"Eeeeh? Ma io voglio fare un giro!"

"Ma sei stato tu a dire che la principessa verrà accompagnata da un'amica, giusto? Allora è solo corretto che anche En vada assieme a qualcuno, così l'altra dama non si sentirà trascurata," ragionò Io. "E poi, certo sei tu l'unico che sa come intrattenere una ragazza."

Ryuu annuì vigorosamente, ma poi sospirò, rendendosi conto che il ragionamento dell'amico lo incastrava nel compito.

"D'accordo, ma per quanto ti riguarda, ricordati che le pietre preziose che crei con la tua magia e che poi vendi agli umani non valgono quanto te le fai pagare."

"...che cosa? Certo che valgono tanto, sono create apposta!"

"Potresti farne così tante da usarle come coriandoli, eppure te le fai pagare fior di quattrini!"

"Si chiama senso per gli affari, questo!"

"...oh guarda! La principessa!" Ryuu strattonò una manica all'amico, indicando la sagoma di una giovane donna dall'altro lato della piazza, che svettava sugli astanti dalla groppa di una giumenta scura. Era vestita con un abito verde smeraldo, il colore della sua casata, e la seguivano un paio di guardie e, più indietro, un altro giovane a cavallo, che indossava abiti degli stessi colori.

"Ah, quello dev'essere il fratello," commentò Ryuu, seguendolo per un attimo con lo sguardo, mentre questo fermava il cavallo e lo faceva tornare indietro tutto ad un tratto.

Io aveva aggrottato le sopracciglia, concentrato su un'altra figura accanto alla principessa.

"Non trovi che la sua dama di compagnia abbia una fisionomia vagamente famigliare?"

Ryuu scrollò le spalle, chiaramente disinteressato.

"L'importante è che non sia troppo carina, non può certo distrarre En dalla principessa!"

 

 

Akoya non stava avendo una gran giornata.

Tanto per cominciare, detestava l'idea di doversi recare al villaggio in un giorno come quello. Già non tollerava normalmente la plebe, se poi doveva anche venire circondato dalla ressa durante il mercato era proprio la fine - senza contare che l'orlo della sua veste ne sarebbe sicuramente uscito lercio di polvere e malandato.

Comunque, non ci sarebbe stato modo di evitare quell'uscita, visto che la principessa aveva richiesto la sua presenza per un'occasione decisamente speciale.

Solo un paio di giorni prima, infatti, aveva preso da parte Akoya e gli aveva spiegato, in un sussurro concitato, che avrebbe incontrato un ragazzo al villaggio, e che lui (be', lei nell'ottica della principessa) avrebbe assolutamente dovuto accompagnarla per poi riferirle la sua opinione sul giovanotto in questione.

Quando Akoya aveva cercato di investigare oltre, la principessa aveva svicolato, e la dama di compagnia aveva ottenuto di sapere soltanto che l'altra non aveva ancora incontrato il misterioso ammiratore di persona, e che proprio per questo le serviva un'amica che le desse una mano nel caso le cose non fossero andate come si aspettava.

"Spero ardentemente che si tratti del principe che stiamo cercando, o sarà tutta fatica sprecata," commentò sottovoce Akoya scostandosi lentamente un boccolo dal volto, per sottolineare che detestava nel modo più assoluto anche la sola idea che i suoi sforzi potessero essere invano.

"Deve trattarsi del principe," replicò Kinshiro pacatamente ma con decisione.

"Come dici, scusa?" la Principessa Kinugawa, che cavalcava poco più avanti della sua dama di compagnia, si voltò perplessa.

"Niente, mia signora. Mi lamentavo del caldo," Akoya rispose nel suo tono più soave, facendosi aria drammaticamente con un ampio ventaglio di pizzo color crema.

Accanto a lui, invisibili agli occhi umani, Kinshiro ed Ibushi scrutavano la folla in cerca di volti conosciuti. Se si trattava del loro obiettivo, era praticamente certo che sarebbe stato accompagnato dalle sue fatine babysitter. Inoltre, se era vero che nessuno di loro aveva la più pallida idea di che aspetto potesse avere ora il neonato che avevano maledetto diciassette anni prima, Kinshiro sapeva anche che la forza dell'incantesimo che gli aveva lanciato lo avrebbe condotto da lui, ora che era così vicino.

"Sono certo che si tratti di lui," ribadì il demone, "posso avvertirne la presenza."

Non poteva individuarlo con certezza, sapeva solo che era poco distante, ma non aveva fretta di incontrarlo. Una o due ore in più facevano ben poca differenza, dopo diciassette anni, e poi, sarebbe stata la principessa a servirglielo su un piatto d'argento.

 

 

Yumoto era eccitato e, al momento, non vedeva l'ora di poter gustare quei meravigliosi dolci che Gora gli portava sempre e di cui avvertiva il profumo riempire l'aria. Il delizioso aroma si propagava da un piccolo chiosco - nulla più di una sorta di tettoia di legno, sotto la quale un cuoco piuttosto corpulento si prodigava a far girare una serie di spiedi su una grata metallica, lambita dalle fiamme del fuoco.

Nonostante il caldo, c'era un piccola folla di ragazzi ed adulti in fila per quelle leccornie, e Yumoto, assolutamente deciso a spendere quelle poche monete di rame che Io aveva concesso a ciascuno di loro prima di partire, non si era tirato indietro di fronte all'attesa, costringendo il vombato alla fila assieme a lui.

En li aveva lasciati andare avanti, dicendo loro che era decisamente troppo caldo per spingersi in quella calca.

Ogni tanto, il vombato sbirciava da sopra la spalla di Yumoto per non perderlo di vista in mezzo alle persone, almeno fino a che un gruppetto di bambini scalzi e sporchi di terra non aveva tirato l'animale rosa per la coda e non aveva iniziato a fare domande su di lui. Yumoto, che non era mai egoista quando si trattava di condividere coccole e quant'altro con il resto del mondo, aveva ovviamente permesso che loro lo accarezzassero, perdendo così il suo posto in fila.

In breve, c'era voluto un bel po' prima che lui ed il vombato rispuntassero nel luogo dove avevano lasciato En, con la bocca e le mani pieni di dolci glassati, ma invece del principe vi avevano trovato Io e Ryuu.

"Dov'è En?"

"Era quello che stavo per chiedervi!"

Io e Ryuu si erano scambiati un'occhiata di improvvisa disperazione, nella realizzazione che l'ovvio era accaduto.

"Oh, no..." sospirarono tutti assieme, in vari toni di incredulità, preoccupazione e rassegnazione.

 

 

"Sei venuto davvero."

Atsushi sorrise ad En, quasi timidamente, nell'ombra del vicolo tra le due case. I rumori della folla erano lontani, ora, attutiti.

"Certo! Non essere così stupito!"

En sembrava quasi offeso.

"Be', hai sempre detto che non potevi uscire dalla foresta e che ti era proibito incontrare estranei, quindi..."

"Ma te l'avevo promesso, l'ultima volta, no?" En gli prese le mani. "E poi, è il mio regalo di compleanno."

Il Principe Atsushi annuì, sempre sorridendo. Sentiva uno strano formicolio nelle dita e nei polsi, e si rese conto di essere quasi imbarazzato. Era assurdo, visto che si trattava di En, ma era emozionato.

Quando l'altro gli aveva assicurato che si sarebbero incontrati al villaggio, pochi giorni prima, nella foresta, Atsushi aveva acconsentito, ma dentro di sé aveva mantenuto una certa riserva sulla possibilità che il suo amico sarebbe davvero stato in grado di mantenere fede all'impegno.

Così, quando lo aveva intravisto fra la folla, poco prima, per poco non era caduto da cavallo per la sorpresa. Fortunatamente, sua sorella, la sua amica e le guardie che le accompagnavano erano leggermente più avanti rispetto a lui ed il principe aveva potuto sgattaiolare inosservato nelle stradine laterali del paese.

E la sorpresa era stata ancora più grande quando lo aveva visto da vicino. Quello che si trovava davanti non era l'En che era abituato a vedere nella foresta, con la consueta camicia di lino dalle maniche un po' lise ed arrotolate fin sopra gli avambracci ed i capelli liberi di andare in qualsiasi direzione più aggradasse loro.

O meglio, no, era sempre lo stesso En, perché qualche ciuffo ribelle e biondo gli oscurava comunque il viso e la sua tunica era tutta slacciata, eppure indossava abiti degni di un nobile. Quella stoffa pregiata e luminosa anche nella penombra del vicolo, quelle pietre scintillanti che rifinivano la tunica ricamata con sapienza, tagliata in modo tale da mettere in risalto torso e spalle, lo rendevano affascinante ma anche completamente diverso da come lo conosceva, tanto che per un momento Atsushi aveva quasi dubitato che tutto ciò fosse reale.

En era parte del bosco, dell'ombra dei faggi e dei ruscelli che mormoravano in mezzo all'erba; vederselo lì davanti, in mezzo alla pietra ed ai mattoni, con l'apparenza di un qualsiasi nobile eppure completamente diverso, con quel suo sorriso accennato e l'aria sorniona che lo caratterizzavano, lo faceva sentire quasi in bilico tra sonno e veglia.

"Be', mi darai almeno un bacio! Ho fatto un sacco di strada per arrivare fin qui, e questo posto è parecchio complicato," si lamentò En ad in certo punto, riportando l'altro con i piedi per terra.

Atsushi annuì, ammorbidendosi - poteva ben crederci, in fondo En non aveva mai lasciato il bosco; sicuramente, per quanto piccolo potesse essere quel villaggio, doveva sembrargli enorme e caotico.

Il principe si voltò velocemente intorno, per accertarsi che non ci fosse nessuno, e poi si sporse verso En, subito trovando le sue labbra. L'altro lo avvolse in un abbraccio, stringendolo a sé, e per qualche attimo Atsushi si dimenticò di tutto. Oh, sì, En era terribilmente reale, con il suo calore, la pressione delle sue braccia attorno alla vita, le ciocche dei suoi capelli che gli solleticavano il viso.

L'incanto durò poco, però, perché ben presto degli schiamazzi di ragazzini lo costrinsero a staccarsi improvvisamente per accertarsi che non venissero verso di loro. I bambini, impegnati a rincorrersi, passarono solo vicino all'entrata del vicolo, per poi proseguire nei loro giochi senza far caso a loro.

"Ehi..."

En strinse la presa attorno ai suoi fianchi e tornò a protendersi verso di lui, per nulla contento dell'interruzione del bacio, ma Atsushi fu lesto a poggiargli un dito sulle labbra.

"Niente 'ehi', non siamo mica nel bosco, qui. Non è il caso che ci vedano... Insomma..." Atsushi arrossì e si impappinò, "non sta bene in pubblico, ecco."

Gli angoli della bocca di En si piegarono all'ingiù, ma, anche se a malincuore, lo lasciò andare.

"Che rottura."

Atsushi ridacchiò.

"Le cose sono un po' più complicate, qui, è vero, ma non fare quella faccia, dai. Ci sono un sacco di cose che voglio farti vedere."

Lo afferrò per un gomito e lo condusse con sé verso l'uscita del vicolo.

"Aspetta... Ci sono i miei cugini, lì fuori da qualche parte, e non sanno che sono qui."

Atsushi sospirò, ma annuì. In fondo, era meglio tenere quel loro incontro il più segreto possibile.

"Va bene, ho un'idea. Ma non lamentarti se poi avrai caldo."

 

 

Kinshiro si voltò indietro, vagamente in apprensione, ma Atsushi era sparito.

Lo avevano perso di vista già da un po', intenti com'erano a seguire lo sguardo della principessa nell'attesa che lei desse segno di riconoscere il suo principe, cosa che ancora non era avvenuta. Comunque, preoccuparsi per lui era irrazionale. Conoscendolo, doveva essere svicolato per evitare la folla o andare a frugare in qualche bancarella di libri. Kinshiro sapeva di dover continuare a seguire la principessa, ma, in fondo allo stomaco, avvertiva una sensazione spiacevole, come un brutto presentimento.

 

 

"Non avreste dovuto lasciare che seguisse Yumoto!"

"Ma se c'eri anche tu con lui! Avresti dovuto stare più attento!"

"Sono stato assalito da dei bambini, e lui non ha fatto niente per aiutarmi, anzi!"

Il vombato puntò una zampa contro Yumoto con tono accusatorio.

"Era solo qualche coccola," protestò debolmente lo spirito.

Ryuu sospirò, lasciandosi scivolare a terra, subito pentendosi della scelta quando si ritrovò con il sedere su un mucchio di immondizie. Quel vicolo puzzava.

"Recriminare non ha senso, comunque. Dobbiamo ritrovarlo."

"E se l'avessero rapito i demoni?!" Ryuu si mise le mani nei capelli, fissando diritto davanti a sé con orrore.

Io incrociò le braccia sul petto.

"È più probabile che si sia allontanato e che non sia più riuscito a tornare indietro. En va sempre in giro per conto suo, ma qui è ovvio che finisca col perdersi. Basterà chiedere in giro. Se se n'è andato a zonzo senza meta, sono certo che qualcuno se ne ricorderà - un ragazzo alto e ben vestito, sicuramente qualcuno lo avrà notato."

"Finiremo col ritrovarlo steso da qualche parte che schiaccia un pisolino," aggiunse il vombato con tono pratico.

Ryuu si rialzò, annuendo. Conoscendolo, era davvero probabile che sarebbe andata a finire così. Sventolò un pugno chiuso avanti a sé.

"Avete ragione! Forza, dobbiamo ritrovarlo prima che lo notino le persone sbagliate, e prima dell'appuntamento con la principessa!"

Ritrovato l'entusiasmo, i tre spiriti si rigettarono nella folla del mercato.

 

 

Nonostante la calura, nessuno faceva troppo caso alle due figure avvolte in mantelli leggeri ed eleganti. I nobili, pur di non sporcare le loro preziose vesti con la polvere dei plebei, erano pronti a qualsiasi cosa, si sapeva.

Atsushi aveva assunto il ruolo di guida e stava trascinando il suo ospite in mezzo alla sarabanda di banchetti e persone, lasciandogli il tempo di indugiare con gli occhi sulla merce, ma sempre attento ad afferrare gentilmente l'orlo del suo mantello se questo dava segno di rimanere indietro o di allontanarsi troppo nella direzione sbagliata. L'ultima cosa che voleva era che En si perdesse in quello che era un luogo a lui completamente sconosciuto.

En, dal canto suo, seguiva l'altro docilmente, un po' frastornato da quell'universo di rumori, voci e odori a lui sconosciuti, ma fidandosi completamente della guida di Atsushi.

Sotto l'orlo del cappuccio, oltre le ciocche di capelli che ora gli spiovevano sulla fronte e le palpebre parzialmente abbassate in contemplazione del caleidoscopio di forme tutt'attorno, al principe sembrava di cogliere un bagliore di interesse negli occhi azzurri di En. Nonostante la confusione e la novità, non si era ancora lamentato di nulla, e questo doveva voler dire che quel che vedeva gli piaceva.

Atsushi si divertiva a guardarlo scorrere con gli occhi la merce sulle bancarelle, con lo sguardo meravigliato di un bambino appena sveglio, che si ritrova davanti una montagna di regali e li fissa un po' imbambolato, incerto della loro appartenenza al mondo della realtà o a quello dei sogni.

Si fermarono per un po' a rimirare l'esposizione di una bancarella di gioielli. Il proprietario, un omone che scoccava occhiate minacciose a chiunque si sporgesse troppo sulla merce o osservasse troppo a lungo un singolo pezzo, a loro riservò un ampio sorriso di benvenuto, notando i loro abiti ricchi e di bella fattura. I nobili erano sempre clienti da trattare coi guanti, e l'uomo iniziò immediatamente ad indicare loro i suoi migliori gioielli.

Atsushi si affrettò a rispondere che stavano unicamente dando un'occhiata, mentre En curiosava qua e là, apparentemente molto attratto da quel che vedeva. Dopo un po', alzò la testa per dire qualcosa ad Atsushi, ma in quella i suoi occhi colsero il bagliore di una testa bionda tra la folla.

"Nascondimi!" esclamò, sparendo nei recessi di una bancarella di stoffe lì accanto.

Il principe non fece in tempo a chiedere di che cosa parlasse che si sentì tirare per una manica.

"En!"

Sorpreso per il modo così famigliare di approcciarlo, ma non indispettito, si voltò e si ritrovò davanti un ragazzino dagli occhi enormi e vagamente spiritati. Questo sbatté le palpebre un paio di volte, come se si fosse aspettato di trovarsi di fronte una persona del tutto diversa.

"Oh, scusi, signore! Credevo..." scosse la testa, riscuotendosi. "Ha visto un ragazzo biondo vestito di azzurro passare di qui? È mio cugino, è nuovo del posto e si è perso! Non riesco a trovarlo..."

Atsushi lo osservò meravigliato, e poi lanciò un'occhiata stranita all'animale che il ragazzino teneva tra le mani. Che bestia strana. Lo stupore del principe gli impedì di sentirsi troppo in colpa quando rispose che no, non gli era sembrato affatto di vederlo, e che gli dispiaceva molto.

"Grazie lo stesso, signore, e buona giornata!" rispose allora il più giovane con un sorriso, ma anche con un accenno di preoccupazione negli occhi.

A quello, Atsushi non poté evitare di sentirsi in colpa.

Quando la testa bionda di Yumoto si fu confusa per bene tra la folla, En riapparve silenziosamente accanto ad Atsushi.

"Tuo cugino sembrava piuttosto preoccupato per te."

En colse la nota di rimprovero nella voce dell'altro, ma scrollò le spalle.

"Oh, via, è solo per qualche ora. Si sentirà in colpa perché mi ha lasciato solo per andare a prendere da mangiare."

Nemmeno a farlo apposta, come En menzionò il cibo, il suo stomaco sottolineò che sarebbe stata una buona idea recuperare qualcosa per pranzo.

"Sei rimasto a pancia vuota, quindi?"

"Be', sì. Forse sarebbe il caso di rimediare."

En si guardò attorno, come a voler cercare un posto dove poter trovare del cibo, ma la moltitudine di persone sembrò scoraggiarlo.

Atsushi gli diede un paio di colpetti sulla mano. Il suo compagno sembrava stanco e disorientato, e forse era tempo di fare una pausa.

"Non preoccuparti, ci penso io a quello. Vieni."

 

 

All'ennesimo diniego - no, il garzone del panettiere non aveva visto nessun ragazzo vestito d'azzurro aggirarsi con aria persa tra la folla, né ne aveva notato nessuno addormentato su qualche balla di fieno appoggiata ad un muro - i tre spiriti sembrarono perdersi d'animo.

Ryuu aveva la disperazione negli occhi, mentre osservava la folla passare avanti e indietro.

"Non può essere. E tra poco avrebbe dovuto incontrare la principessa. È un disastro...!" sentenziò, coprendosi il volto con le mani.

Yumoto stringeva il vombato con fare apprensivo, preoccupato per quello che poteva essere successo ad En.

"Non possiamo perdere l'incontro con la principessa. Siamo venuti qui apposta per quello, se non si presenterà nessuno, avremo mandato tutto all'aria," ragionò Io.

"En è sparito, non possiamo mica presentarci noi e... Oh!"

Ryuu batté un pugno sul palmo della mano aperta, illuminandosi.

"Dobbiamo trovare En al più presto!" insisté Yumoto, stringendosi al petto il vombato, che si dimenò per protesta.

"Yumoto, Vombato, voi continuate a cercarlo, e poi tenetelo d'occhio. Quando a me ed Io, andremo ad incontrare la principessa."

Yumoto li guardò perplesso. "Volete scusarvi per l'assenza di En...?"

Ryuu scosse la testa, con un sorriso sicuro di sé.

"En andrà ad incontrare la sua bella... Ma sarà vestito di rosa."

Qualche minuto dopo, i tre spiriti si separarono. Yumoto, con rinnovata energia, ed accompagnato da uno stremato vombato, tornò a dedicarsi alla perlustrazione delle strade, mentre due altre figure si dirigevano alla ricerca della principessa: uno era Io, mentre l'altro assomigliava in tutto e per tutto ad En, senonché il suo vestito era tornato ad essere, come nei piani originali di Ryuu, di un rosa sgargiante.

 

 

"Enny?"

Atsushi si guardò attorno perplesso, senza riuscire a vedere l'amico. Eppure non l'aveva lasciato solo a lungo, giusto il tempo di recuperare qualche cosuccia al mercato.

Le stradine della periferia del paese erano vuote e Atsushi si augurò che, nel frattempo, non fossero intervenuti i cugini a riprendersi il suo En.

Mentre strizzava gli occhi per mettere a fuoco i dintorni e sperabilmente identificare l'amico, il principe inciampò in qualcosa e perse l'equilibrio. Subito, però, si sentì afferrare in vita da due mani e per istinto vi si aggrappò.

"Attento."

Atsushi abbassò lo sguardo e si rese conto di aver inciampato proprio su En, che si era seduto sull'acciottolato con la schiena appoggiata alla parete di una casa e, dalla sua posizione, era stato appena disturbato in uno dei suoi pisolini.

"Hai fatto tardi."

"Scusami, c'era ressa. Ti sei annoiato?"

"No, ma sto morendo di fame."

Per tutta risposta, l'altro gli mostrò il cartoccio che era andato a procurare. Era unto ed invitante.

"Vieni, scendiamo al fiume per mangiare. È più fresco, lì, e non ci sarà confusione."

Il principe condusse l'amico lungo le vie più esterne del paese, deserte, fino a che le ultime case non si aprirono su un prato che digradava dolcemente fino alle sponde di un fiume che scorreva placido, in mezzo ad argini punteggiati di alberi.

In un punto particolarmente roccioso della riva, sorgeva un salice piangente, con i rami gentilmente piegati a lambire la superficie del fiume. Atsushi li scostò con una mano, tenendoli da parte e facendo cenno ad En di seguirlo oltre il baldacchino verde.

En si chinò appena per passare sotto ai rami, rivolgendo ad Atsushi un sorriso di ringraziamento.

L'aria intrappolata sotto le fronde del salice era fresca ed umida; En si chinò sulla sponda, sporgendosi per bagnarsi i polsi e sciacquarsi il volto.

Atsushi lo aspettava seduto tra le radici, srotolando l'involto che aveva trasportato e rivelando quello che prometteva di essere un appetitoso pranzetto.

En si sistemò di fronte a lui, finendo di slacciarsi la tunica e sfilandosela con un sospiro di sollievo.

"Una trappola mortale," commentò arrotolandosi le maniche fino a sopra il gomito e slacciandosi il colletto.

"Ti stava bene, però," osservò Atsushi, abbassando gli occhi sul cibo davanti a loro.

En scrollò le spalle ma cercò il suo sguardo, che però Atsushi sembrava momentaneamente troppo occupato per ricambiare.

"Allora, ho preso degli spiedini di carne, delle patate con il formaggio, delle verdure fritte, della frutta caramellata..."

"Non ho mai mangiato le verdure fritte."

"Sì che le hai mangiate. Una volta te le ho portate io, l'anno scorso, non ricordi?"

"Ah, è vero, erano buone. Ma queste saranno buone come le tue?"

"Devi assaggiarle per scoprirlo, no?"

"Vero..."

En lasciò che Atsushi gli porgesse alcuni pezzi di frittura sulla punta delle dita e li prese delicatamente tra i denti.

"Allora?"

"Non sono male, ma le tue erano migliori."

"Ti piacciono comunque?" indagò Atsushi.

"Sì, mi piacciono. Conosci i miei gusti."

Il principe sorrise.

 

 

Vedere Ryuu nei panni di En faceva una strana impressione. Fisicamente parlando, era una replica perfetta, ma l'aver indossato una maschera differente non rendeva lo spirito meno se stesso, e dagli occhi tipicamente apatici del corpo preso a prestito dal principe traspariva una vitalità insolita.

"Sai, avrei dovuto pensarci prima. È decisamente meglio che sia io ad incontrare la principessa," ragionò mentre lui ed Io girovagavano cautamente per il mercato.

"Voglio dire, c'erano decisamente troppe cose che avrebbero potuto andare storte se al posto mio ci fosse stato En. Così, invece, la ragazza non noterà nemmeno che c'è differenza con la persona che le ha scritto le lettere."

Io scosse lentamente la testa.

"Ryuu, quando saremo tornati a casa dobbiamo trovare un modo per sistemare la faccenda. Non va bene per niente."

C'erano così tante cose che lo preoccupavano, al momento, che non sapeva nemmeno da dove cominciare. Tra queste, c'era anche il fatto che il vero En avrebbe potuto ricomparire da un momento all'altro e, naturalmente, in quel caso la faccenda sarebbe stata quantomeno imbarazzante.

"Oh, eccola," fece ad un tratto Ryuu, indicando la nobile che passeggiava con aria distratta in mezzo alla folla. Come aveva promesso, era riuscita a liberarsi delle guardie, ed era seguita unicamente dalla sua dama di compagnia. La ragazza cercava di darsi un'aria spensierata, ma continuava a guardarsi intorno con una punta di ansia, e lo spirito del fuoco lo notò e sorrise.

Era davvero graziosa, con lunghi capelli corvini che le lambivano la vita sottile e grandi occhi scuri. Certo anche ad En sarebbe piaciuta, pensò mentre andava ad urtarle una spalla con grazia e delicatezza per farsi riconoscere.

Nel frattempo, Io si ritrovò nuovamente a pensare che la dama aveva qualcosa di tremendamente famigliare. Aveva lunghi boccoli color dei petali di rosa, una pelle di porcellana, arrossata dal trucco sulle gote. Da sotto le lunghe ciglia, i suoi occhi azzurri lo squadravano freddamente e poi, ad un tratto, con orrore, ed Io per un attimo sentì gelarsi il sangue nelle vene.

Alle scuse sdolcinate di Ryuu, la principessa arrossì vistosamente, nascondendo un sorriso lusingato dietro il bel ventaglio di pizzo verde, e così facendo si perse le occhiate che vennero scambiate tra la sua amica, il suo bel cavaliere ed il suo accompagnatore.

Sul volto di Akoya ora regnava un'espressione disgustata - quel bellimbusto conciato come una fragola era solo un camuffamento per quella sciocca fatina dei fiammiferi! Che onta per un colore così nobile!

L'orrore si era dipinto subito anche sul volto di Ryuu, non appena aveva realizzato, complice anche la gomitata tra le costole da parte dell'amico, la vera identità della dama di compagnia.

Io, incassata la novità, aveva riguadagnato un'espressione neutra, rassegnata. Di tutti i problemi a cui aveva temuto di poter andare incontro, quello di incontrare uno dei demoni nei panni della dama di compagnia della Principessa Kinugawa non era stato preso in considerazione.

 

 

"Quello non è il principe."

Le labbra di Kinshiro si assottigliarono, talmente pallide da scomparire, mentre i suoi occhi erano ancora fissi sulla scena che si stava svolgendo sotto di loro.

Sempre invisibili, i due demoni si erano staccati da Akoya e dalla principessa per appollaiarsi sul tetto di una delle abitazioni circostanti e tenere sotto controllo la situazione.

Ibushi non disse nulla, limitandosi a prendere atto di quanto vedevano, anche se, fino in fondo, non riusciva affatto a capire. Perché c'erano quei due spiriti al posto del principe? E perché uno di loro aveva assunto delle sembianze diverse?

“Chissà, che abbiano predetto i nostri movimenti e lo abbiano fatto apposta per nasconderlo?”

“Maledetti. Ma il ragazzo è qui, da qualche parte. Lo sento.”

Kinshiro strinse i pugni con tanta forza che le nocche diventarono traslucide. Avvertiva la presenza dell'umano che aveva maledetto da qualche parte nelle vicinanze, ma ormai era evidente che non era quello che era andata ad incontrare la principessa. Se non fosse stato tanto impegnato a seguire ciecamente la ragazza, forse avrebbe anche potuto accorgersene prima. Ora l'avrebbe cercato da sé, e stavolta l'avrebbe senz'altro provato.

“Andiamocene, Arima, stiamo perdendo tempo prezioso,” ordinò seccamente.

 

 

Quel che rimaneva del pranzo giaceva abbandonato sull'erba, all'ombra del salice, e i due ragazzi osservavano in silenzio l'acqua del torrente che scorreva placida, meditabondi, le dita delle mani intrecciate appena nell'afa del primo pomeriggio.

“Che cosa ti piacerebbe fare poi?” chiese ad un certo punto Atsushi, accarezzando con la punta del pollice il dorso della mano di En.

L'altro piegò la testa di lato, incerto.

“Non so. Mi piace stare qui così.”

“Ma così non stiamo facendo niente di diverso da quello che facciamo di solito nel bosco, mh,” Atsushi premette il dito sulle nocche di En.

“A me va bene così,” En protestò flebilmente, voltandosi verso Atsushi per avere un segno di affetto (un sorriso, un bacio, una carezza sulla guancia), ma l'altro lasciò andare la sua mano e si voltò per frugare nella borsa che aveva lasciato accanto a sé.

“Be', a questo punto non ha senso rimandare e te lo do adesso,” spiegò, tornando a girarsi verso di lui e porgendogli un sacchetto di raso scuro, chiuso da un elegante fiocco blu.

En lo prese con aria interrogativa e se lo rigirò tra le dita, aspettando un qualche tipo di permesso da parte dell'altro.

“Puoi aprirlo, ovviamente. E' il tuo regalo,” Atsushi era intento a guardare l'erba su cui era seduto. “Avevo pensato a qualcos'altro, all'inizio, ma poi, ecco... spero che ti piaccia.”

Una volta slacciato il fiocco, En svuotò il contenuto sul palmo della mano e lo sollevò in aria, per osservarlo meglio ai raggi di sole che filtravano timidamente dal fogliame.

Appesa alla sua catena d'argento, la pietra blu girava lentamente su se stessa, pulsando di tenui scintillii di luce. Nonostante fosse lucida e sfaccettata, nella lavorazione avevano mantenuto la sua forma grezza, che ricordava vagamente quella di un cuore.

“Buon compleanno, Enny,” fece Atsushi timidamente, spiando la reazione dell'altro.

Gli occhi di En seguivano le pigre evoluzioni del ciondolo, riflettendone i bagliori.

“E' davvero bello. Grazie.”

Atsushi catturò il ciondolo in una mano e fece cenno all'altro di voltarsi. Con le dita, gli scostò il codino dalla nuca, soffiando via le ciocche che vi erano sfuggite e facendo ridacchiare En per il solletico, e poi chiuse il fermaglio della catenella.

Per un momento, En godette del tocco del freddo metallo sulla suo collo accaldato, mentre la pietra gli rimbalzava sul petto, nascondendosi tra le pieghe della camicia slacciata.

Poi Atsushi gli poggiò il mento su una spalla, prendendogli le mani nelle sue, e gli posò un bacio sulla guancia. En gli strinse i polsi e con una giravolta se lo trascinò in braccio, reggendolo mentre l'altro si abbandonava con un sorriso tra le sue braccia e poi chinandosi su di lui, nascondendolo dal resto del mondo.

 

 

Al di là della cortina di foglie spioventi del salice, però, Kinshiro aveva assistito a tutto.

Aveva visto Atsushi porgere il regalo al principe, lo aveva visto pettinargli con famigliarità i capelli di lato per allacciarglielo al collo, e poi abbandonarsi a lui.

I suoi occhi avevano seguito ogni minimo movimento, ma la sua mente faceva ancora fatica a realizzare che cosa tutto questo significasse.

Il suo cuore, invece, sembrava aver capito fin troppo bene.


 

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NOTE: io sono una pessima persona perché mi dimentico di ringraziare la mia beta Yuki, che per questo capitolo mi ha dato anche un ottimo consiglio riguardo al regalo per En :P
 

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Capitolo 7
*** Un cuore umano non può provare vero amore ***


Capitolo VII

 

Un cuore umano non può provare vero amore

 

 

 

 

 

"Lasciatelo perdere ed andiamocene, Principessa. È un impostore ed un poco di buono, non perdete il vostro tempo con lui!"

Akoya aveva preso la ragazza da parte e, per l'ennesima volta, stava cercando di convincerla a ignorare quelli che il demone considerava degli accompagnatori più che molesti.

"Oh, sciocchezze. Sono simpatici, no? Io mi sto divertendo," fu la risposta, mentre la principessa si liberava della dama di compagnia e tornava ad appoggiarsi con grazia al braccio che le veniva offerto dal suo cavaliere.

Akoya sbuffò, scuro in volto. Visto che aveva insistito così tanto per essere accompagnata, adesso avrebbe potuto avere la grazie di dare ascolto a ciò che le diceva. Stupidi umani... e stupidi Kinshiro e Ibushi, che erano spariti chissà dove e lo avevano lasciato da solo a fronteggiare quell'assurda situazione.

Purtroppo, non aveva molta scelta: sapeva di non poter far saltare la copertura, senza l'ordine espresso di Kinshiro, e quindi adesso era costretto a reggere quel teatrino imbarazzante, in cui nessuno era chi affermava di essere, eccezion fatta per la principessa. Akoya provava quasi pena per lei, ma se non voleva ascoltarlo e seguire i suoi consigli erano fatti suoi. Peccato solo che avrebbe dovuto andarci di mezzo anche lui.

"Vi state divertendo, non è così?" chiese con malcelato astio ad Io, che gli camminava di fianco. Come da copione e da regole di galateo, lo spirito della terra gli aveva offerto il braccio, ma Akoya lo aveva snobbato voltandosi dall'altra parte.

"Se proprio devo essere sincero, non particolarmente," ammise Io.

Akoya gli restituì un'occhiata fredda e carica di diffidenza.

"Non so a che gioco stiate giocando tu ed il tuo socio, ma non crediate che la faccenda sia finita qui. Se pensate di riuscire a metterci nel sacco con questo stupido travestimento vi sbagliate di grosso."

Io lo ascoltò senza battere ciglio, per niente intimidito.

"A dire il vero, la vostra piacevole presenza, per quanto gradita, non era preventivata."

Di fronte a loro, la neo coppietta sembrava divertirsi un mondo. Il principe (anzi, lo spirito che lo impersonava) flirtava continuamente, a metà tra lo scherzoso ed il galante, e la principessa si copriva graziosamente il volto con il ventaglio, distogliendo lo sguardo quando le avance si facevano troppo esplicite.

Tutto questo suscitava in Akoya qualcosa di molto simile ad un bruciore di stomaco.

"Credete davvero che questi metodi di corteggiamento da popolani possano far breccia nel cuore di una nobile? Spero per voi che il vero principe sia meglio educato di così, perché questo spettacolo è decisamente imbarazzante," commentò senza mezzi termini. Poi, come colto da un ripensamento, si strinse graziosamente nelle spalle e sorrise, appoggiandosi il ventaglio semiaperto sulle labbra.

"Già, ma che importa comunque? Il vostro principe non avrà mai l'occasione di sfoggiare le sue pessime maniere a corte."

Io aggrottò le sopracciglia, ma non si lasciò impressionare dalla minaccia.

"Davvero."

"Non ho idea di dove lo abbiate nascosto o come lo abbiate travestito, ma sono sicuro che Kinshiro lo troverà presto ed allora porremo fine a questi inutili giochetti," spiegò con malcelata soddisfazione.

Io mantenne un'espressione impassibile. Ovviamente, Akoya non era da solo e, se lui era lì in loro compagnia, gli altri due dovevano essere da qualche parte a cercare En. L'unico aspetto positivo della faccenda era che, se lo stavano cercando, voleva dire che non lo avevano ancora trovato e che quindi Yumoto avrebbe ancora potuto arrivare prima dei demoni.

Per un attimo, Io valutò la possibilità di abbandonare Ryuu e la principessa per poter dar man forte a Yumoto, ma poi scartò l'idea. Akoya avrebbe potuto seguirlo o, peggio, decidere di agire contro l'altro spirito e la ragazza, e non poteva permettersi di lasciarli in pericolo.

Come se gli avesse letto nel pensiero, Akoya gli posò aggraziatamente una mano guantata sull'avambraccio. Io gli lanciò un'occhiata sorpresa, mascherando il disagio con il distacco ed irrigidendosi come avvertì distintamente le unghie del demone premergli sulla pelle. Disinvolto, Akoya gli rivolse il più angelico dei sorrisi, abbassando appena le palpebre sui begli occhi color zaffiro.

Presi com'erano a guardarsi così intensamente, i due avrebbero potuto essere scambiati per una coppia di innamorati, persi l'uno nello sguardo dell'altro e dimentichi del mondo attorno. Così, qualcuno nella folla del mercato decise di approfittarsene.

Akoya sentì un improvviso strattone in vita. Il tempo di voltarsi per capire che cosa era successo, ed il ladruncolo stava già correndo via impunito, tra le mani il borsello ricamato che la dama portava in vita, appeso alla cintura.

"Questi pezzenti...!" mormorò tra i denti, adirato, prima di un uscirsene con un 'al ladro, aiutatemi!' molto più consono per il rango sociale che ostentava.

Ancora prima che invocasse aiuto, però, Io si era lanciato all'inseguimento del malvivente - uno schiocco delle sue dita ed il selciato sotto i piedi dell'uomo si inarcò, spezzandosi e facendolo capitombolare rovinosamente a terra. Nessuno, però, si avvide di quanto avvenuto, perché il momento dopo il suolo era ritornato al suo stato normale ed il borseggiatore si ritrovava a terra senza sapere perché.

Io fu sopra di lui in un secondo, bloccandogli le mani dietro la schiena e recuperando il borsello. Il ladro tentò di ribellarsi, ma un paio di astanti diedero man forte allo spirito, impedendogli i movimenti.

"Qualcuno chiami le guardie!" fece subito la principessa, battendo poi le mani alla prodezza di Io. "Che prontezza di spirito avete, senza di voi avrebbe potuto farla franca," commentò, evidentemente ammirata per i suoi riflessi.

Io si esibì in un piccolo inchino e poi porse il borsello ad Akoya con un sorriso cortese.

"Trovo il furto di denaro qualcosa di veramente deprecabile, soprattutto quando viene commesso ai danni di una bella dama."

Per un momento, fu evidente quanto Akoya fosse tentato di storcere il naso e strappargli il borsello dalle mani, rispondendogli in malo modo, ma si trattenne e sul suo viso fiorì un sorriso di gratitudine.

"Vi ringrazio infinitamente," rispose, prendendo in mano il borsellino.

"Spero che le mie maniere siano alla vostra altezza in questo frangente, mia signora," rispose Io con una seconda riverenza, "nonché di avervi dimostrato che ci vuole ben più di una simile minaccia per incutermi timore."

Il sorriso di Akoya divenne gelido, ma non ebbe modo di rispondere a sua volta perché, in quel momento, un potente tuono fece riscuotere tutti i presenti.

Mentre gli astanti, attorno, si interrogavano sulla possibilità dell'arrivo di un temporale, gli occhi di Io ed Akoya tornarono ad incrociarsi. Il sorriso del demone mostrava una serafica ed autentica soddisfazione.

"Trovato," commentò, graziosamente nascondendo il volto dietro al ventaglio.

Io rimase impassibile esteriormente, mascherando il tuffo al cuore che aveva provato in quell'istante.

"Mia signora, ci conviene tornare a casa, non vorrei che venissimo colte dalla pioggia mentre siamo ancora qui," fece Akoya, dandogli le spalle con noncuranza per rivolgersi alla principessa.

Bastò lo scambio di un'occhiata eloquente tra Io e Ryuu perché anche il biondo accompagnatore della giovane si trovasse d'accordo.

"La vostra dama ha ragione, mia cara, non vorrei mai che vi prendeste un malanno solo perché volete rimanere in mia compagnia."

La principessa rise, mentre l'altro si chinava a baciarle la mano con fare galante.

Ancora qualche saluto formale, e le due dame si allontanarono; come furono sparite alla vista, Io e Ryuu si guardarono e, all'unisono, partirono di corsa alla ricerca di Yumoto, Vombato ed En.

 

~~~

 

Il tuono riscosse anche Atsushi ed En dall'idillio che stavano vivendo. Allertato dal boato, il principe si mise in ginocchio, infilandosi in fretta gli occhiali che aveva abbandonato lì accanto sull'erba.

"Un temporale?"

Eppure avrebbe giurato che il cielo era stato completamente sgombro di nubi fino al momento in cui si erano rifugiati sotto il salice.

En si mise a sedere, incurante delle foglie che aveva tra i capelli.

"Chi se ne importa," disse, tirando Atsushi per la camicia, tentando di convincerlo a tornare a dedicarsi a lui, ma proprio in quell’attimo risuonò un secondo boato, questa volta più vicino, ed un vento furioso si mise a squassare i rami del salice.

"Forse è il caso di cercare riparo," fece pratico il principe, raccogliendo le sue cose e porgendo ad En la tunica che si era tolto.

Questo annuì, alzandosi e rivestendosi, anche se controvoglia.

"Sbrighiamoci prima che inizi a diluviare," lo spronò l'altro muovendo un paio di passi verso la cortina di rami che li separava dall'esterno. In quella, però, una folata di vento particolarmente violenta fece tremare la chioma dell'albero ed Atsushi si trovò improvvisamente respinto ed accecato dagli schiaffi di foglie e corteccia, che lo costrinsero ad arretrare.

"Ma che diamine...?!"

En era a fianco a lui, adesso, un braccio alzato a proteggersi il viso dai rami che, tutt'intorno, sembravano vorticare in ogni direzione, come presi in un turbinio di vento.  E tuttavia non era l'aria a smuoverli così, perché si spandevano dappertutto, ognuno secondo uno schema diverso, quasi animati da una volontà propria. Simili a tentacoli, si protendevano verso di loro come se volessero afferrarli, e forse era solo il rumore del vento, ma ai due ragazzi pareva che sibilassero come serpenti pronti a mordere.

Ad ogni passo che uno dei ragazzi faceva per uscire da sotto la coltre di foglie dell'albero, i colpi e le frustate dei rami si intensificavano, impedendo loro la vista ed i movimenti.

"Che cosa sta succedendo?"

"Non ne ho idea!"

I due erano costretti ad urlare per sopraffare il ruggito del vento e lo scroscio del fogliame tutt'attorno. Schiena contro schiena, non avevano dove andare per sfuggire a quelle voraci estremità verdi che incessantemente si protendevano per afferrargli caviglie e polsi, o per frustarli in viso. Atsushi, che aveva con sé solo un pugnale (più per bellezza che per altro), lo sfoderò, colpendo alla cieca quelle serpi che li assalivano da ogni direzione.

In tutta risposta, un ramo più tenace di altri gli si avviluppò attorno alle ginocchia, facendogli perdere l'equilibrio.

Il principe si aggrappò disperatamente alle spalle del compagno, trascinandolo a terra con sé. Veloce, En si protese per prendergli il pugnale dalle mani e tentare di recidere il ramo che ancora teneva prigioniero l’amico. Spezzato, questo strisciò via, ma nello stesso momento il ragazzo avvertì uno dei tentacoli strofinarglisi lungo il collo. Incrociò lo sguardo inorridito e disperato di Atsushi, sentendo le foglie insinuarsi sotto la catena del ciondolo ed il ramo cominciare a premergli sulla gola.

Un momento dopo, c'erano le dita dell'altro contro la pelle pulsante del suo collo, e si udì uno schiocco improvviso quando Atsushi strappò via il ramo.

"Dobbiamo andarcene!" gridò il principe.

Per un lungo istante, En ricambiò il suo sguardo pieno di terrore, prendendo coscienza del pericolo appena corso, ma poi si riscosse. Non c'era modo che uno stupido salice l'avesse vinta su di loro, non adesso.

"Nel fiume!" fece allora, spingendo avanti Atsushi ed arrancando dietro di lui, in parte a carponi ed in parte tentando di correre, i rami che continuavano a farli inciampare e ad impedir loro di alzarsi, strattonandoli, tentando di arpionarli e sferzandogli schiena e viso senza pietà.

Giunti alla sponda, la cortina di fronde era meno spessa, ma sibilava violentemente. Atsushi indugiò - oltre le foglie, appena sotto, si intravvedeva l'acqua, unica via di fuga da quel tutt'uno verde, ma sarebbero riusciti a raggiungerla?

Per un attimo, il principe si vide intrappolato, imbavagliato e legato da quei rami, che lo sollevavano da terra e lo strattonavano da ogni parte - poteva già quasi sentire il dolore alle braccia ed alle gambe - fino a che En lo spinse così forte da farlo cadere in acqua a faccia in giù. Dopo averlo costretto a gettarsi, il ragazzo si apprestò a seguirlo, ma prima che potesse muovere un solo passo un ramo gli si avvinghiò saldamente ad un avambraccio, impedendogli di saltare.

En, il pugnale ancora in mano, si voltò per cercare di recidere anche questo, ma quei tentacoli vegetali ora gli ricoprivano il viso e gli occhi, facendolo colpire alla cieca, tappandogli la bocca ed impedendogli di respirare.

Qualcos'altro gli si avvinghiò attorno ai fianchi, qualcosa di più solido e spesso, e per un momento En pensò che era finita, perché ora lo avrebbero stritolato a morte.

La cosa che avvertì un istante dopo, però, fu l'abbraccio gelido della corrente, la stretta ai suoi fianchi che diventava più forte e quella sul braccio che veniva improvvisamente meno.

L'acqua non era alta ma era impetuosa, nonostante l'apparenza tranquilla del fiume, e quando la testa di En riemerse oltre la superficie, sopra di lui la volta scura del salice aveva lasciato spazio al cielo.

Atsushi lo stringeva ancora a sé, tossendo e sputando mentre lottava per tenere il viso oltre il pelo dell'acqua. En gli passò un braccio attorno alle spalle, aiutandolo a tenersi a galla e remando con il braccio libero per raggiungere la sponda del fiume.

A fatica, i due si arrampicarono sulla riva e per un attimo vi rimasero distesi a riprendere fiato. En si staccò il pezzo di ramo che ancora gli stava attorcigliato attorno all'avambraccio; lì dove la carne era stata stretta nelle sue spire, la pelle era livida e scorticata.

"Che cosa diamine è successo?" chiese ancora ad alta voce.

Il salice, ancora in vista anche se ben distante da dove si trovavano adesso, ora sembrava un comune albero, le fronde che rispondevano alla forza del vento e non a qualche propria volontà omicida.

Accanto a lui, Atsushi si stava rimettendo in piedi. Era pallido, fradicio e coperto di foglie, ma stava bene.

"Andiamocene da qui, Enny, non è sicuro."

Il ragazzo annuì, prese la mano che gli veniva offerta e seguì il principe di corsa verso le strade del paese. Scossi com'erano per quanto appena accaduto, impiegarono del tempo per rendersi conto che, nonostante i tuoni che avevano sentito prima, non c'era alcun accenno di pioggia.

 

~~~

 

Kinshiro era in ginocchio sull'erba, non lontano dal salice, nella stessa posizione in cui si era accasciato poco dopo aver assistito alle effusioni tra i due principi. Si teneva una mano premuta sul petto ed aveva il volto cinereo, quasi l'atto stesso di esistere gli stesse causando fatica e dolore immensi.

"Sono riusciti a scappare," articolò alla fine, lanciando uno sguardo di fuoco su Ibushi, che era chino su di lui e stava, effettivamente, prestando poca attenzione alla coppia di umani.

"Non posso controllare l'acqua del fiume," si giustificò l'altro demone.

Kinshiro inspirò profondamente, chiudendo gli occhi. Anche così, poteva avvertire il ragazzo allontanarsi in tutta fretta dalla sponda, dirigendosi di nuovo al villaggio. Non poteva sentire la presenza di Atsushi, ma sapeva che i due erano assieme.

Ancora non poteva credere a ciò che avevano visto i suoi occhi, eppure doveva ben saperlo, lui, che gli umani erano inclini al tradimento. Non si capacitava assolutamente di come Atsushi avesse potuto ritrovarsi assieme al Principe Yufuin, ma non poteva negare o ignorare ciò di cui era stato testimone. Ritrovarlo avvinghiato così all'altro, inerme ed arrendevole nelle sue mani, in preda alla passione... No, alla lussuria, qualcosa di cui gli umani, tutti gli umani, sembravano essere vittime così facili.

Una nuova fitta al petto gli fece contorcere le labbra in una smorfia.

"Kinshiro..."

Sollevò una mano ad allontanare Ibushi, che aveva fatto per toccarlo, preoccupato. Non aveva bisogno dell'aiuto di nessuno, si disse il demone, doveva solo tenere a freno la rabbia, pensò cercando di respirare a fondo e di dissipare le immagini che ancora gli infestavano gli occhi.

Sentiva un artiglio arpionargli l'interno del petto, dietro lo sterno, e sapeva che stava scavando sempre più in profondità. Era doloroso, ma andava bene così: avrebbe avuto poteri ancora maggiori, non appena avesse recuperato il controllo di sé.

 

~~~

 

Una volta che furono di nuovo circondati dalle mura delle case del villaggio e dalle persone che ancora si affaccendavano per le strade, i due ragazzi furono colti da un senso di straniamento. Qualcuno gettava loro qualche strana occhiata (erano fradici d'acqua, sporchi di erba e foglie e con il viso arrossato dai colpi e dalla fatica), ma la normalità regnava ovunque. Se non altro, voleva dire che non avrebbero dovuto esserci altri pericoli in agguato.

Mentre percorrevano una delle vie principali, Atsushi si sentì chiamare: da un fondo alla strada, stavano arrivando le due guardie che avevano accompagnato lui e la principessa in città, e dal passo veloce con cui si stavano avvicinando apparivano sollevate nel rivedere il loro principe.

En strinse la mano di Atsushi.

"Ti aspetto nella foresta, sta' attento."

L'altro si voltò per dirgli di rimanere - avrebbero inventato qualcosa per giustificare la sua presenza, l'importante era che stesse al sicuro - ma En si era già dileguato in uno dei vicoli laterali.

"Vostra altezza! Che cosa vi è successo? Vi stavamo cercando!"

"Non è niente, sono, ehm, scivolato nel fiume mentre mi rinfrescavo, sì," provò ad inventarsi Atsushi, imbarazzato di fronte alle occhiate incredule e perplesse delle guardie.

 

~~~

 

"En!"

Il ragazzo si voltò in tempo per subire lo slancio di Yumoto in pieno petto. Istintivamente, ricambiò l'abbraccio.

"Per fortuna sei qui! Non riuscivamo più a trovarti!"

Per un attimo, En si ritrovò a considerare che, se la loro disavventura con il salice fosse finita male, i suoi cugini avrebbero potuto non scoprire mai che fine aveva fatto.

"Ah, ma sei tutto bagnato, cuginone!" fece Yumoto, aggrappandoglisi addosso.

"Già," fece, sistemandosi la camicia così da nascondere il ciondolo che portava al collo.

"En, dove accidenti ti eri cacciato? E che diamine ti è successo?"

Ryuu ed Io arrivarono subito dopo Yumoto, portando i cavalli, e lo squadrarono con aria incredula per qualche attimo.

"Bah, era troppo caldo, ho pensato di fare un bagno nel fiume."

Nonostante En non si aspettasse che gli altri accettassero quella spiegazione senza dire nulla, questi non sembrarono dare troppo peso alle sue parole.

"Vabbe', poco importa. Vieni, torniamo a casa."

"Quanta fretta..."

"Non li hai sentiti quei tuoni prima? Meglio avviarci prima che arrivi una tempesta."

En scrollò le spalle. Secondo lui non stava arrivando alcun temporale, ma era il primo a non voler rimanere più a lungo in quel posto, e quindi non sollevò alcuna obiezione.

 

Abbandonarono il paese di tutta fretta, ma l'aria era tranquilla, ora, e gli unici rumori che risuonavano nella calura del primo pomeriggio erano il frinire delle cicale nei campi e gli zoccoli dei loro cavalli al trotto.

"Ti sei veramente fatto il bagno nel fiume tutto vestito, cuginone?" chiese ad un tratto Yumoto, che aveva la camicia umida per il contatto con i vestiti di En. Fortunatamente, vista l'afa, questi si stavano asciugando velocemente.

"Tu che dici?" replicò il ragazzo, indicandosi con un gesto della mano. "Comunque, se proprio devo essere preciso, sono stato costretto a fare il bagno. Mi ero seduto a riposare sotto un salice sulla sponda del fiume, quando si è messo a tirare un vento fortissimo. I rami sembravano impazziti e si muovevano in tutte le direzioni, per un attimo ho pensato che volessero strozzarmi, così per scappare ho dovuto buttarmi in acqua," spiegò tranquillamente. Ora che il pericolo era ben alle sue spalle e che stavano tornando a casa nella quiete della campagna, gli sembrava che quello che era successo a lui ed Atsushi avesse dell'incredibile. Che fosse stato uno scherzo del vento e della loro immaginazione? Eppure, aveva visto la foresta piegata dal vento nei temporali, ma mai nulla di così furioso e, in un certo senso, maligno.

"Che dite, ha senso che un albero abbia cercato di strangolarmi?" fece, voltandosi verso Io e Ryuu.

I due lo stavano ascoltando con l'orrore negli occhi.

"Forse dovremmo andare più in fretta," fece Io, guardandosi attorno nervosamente e spronando il cavallo.

"L'albero non ci insegue mica," fece notare En rilassato.

Il cielo risuonò improvvisamente di un nuovo tuono. I tre spiriti si scambiarono uno sguardo di allarme. L'aria era diventata improvvisamente elettrica, potevano sentire i capelli rizzarsi sulla nuca.

"Be', che c'è?" fece ancora En, perplesso. "Non viene mica da piovere. Sarà qualche tuono dovuto al caldo."

"Yumoto, addormentalo, dobbiamo andarcene via di qui al più presto," comandò Io spronando il cavallo al galoppo.

Prima che En potesse protestare, Yumoto si sporse per passargli una mano sugli occhi. L'attimo dopo, il ragazzo si afflosciò tra le braccia dello spirito della luce, profondamente addormentato, suscitando le lamentele del vombato, che si ritrovò schiacciato sotto di lui.

I due cavalli ora galoppavano attraverso i campi; un altro tuono, più vicino stavolta, preannunciò di pochi istanti un fulmine che andò a schiantarsi a fianco a loro, esplodendo su un vecchio ceppo e facendo imbizzarrire gli animali, i quali, a questo punto, non avevano certo bisogno di ulteriori incoraggiamenti per correre alla massima velocità loro consentita.

Di fronte a loro, era già apparsa la linea scura degli alberi della foresta, ed i tronchi andavano man mano acquistando contorni e dettagli. Se fossero riusciti a guadagnare il loro riparo, avrebbero potuto procedere in sicurezza fino alla barriera magica che avevano apposto a protezione del bosco e sarebbero stati in salvo.

"Attenti!"

Mentre gridava il suo avvertimento, Ryuu estrasse la sua bacchetta e dalla punta scaturì un getto di luce infuocata. Il raggio andò a collidere perfettamente con un secondo fulmine, causando un'esplosione sopra le loro teste, ed il boato quasi li fece cadere di sella.

"Più veloci!" incoraggiò Yumoto. Per una volta, era il vombato che si teneva disperatamente stretto a lui, per paura di perdere la presa e finire a terra.

Davanti a loro, i primi alberi erano ormai prossimi.

L'aria sembrò nuovamente solidificarsi attorno a loro, e gli spiriti alzarono gli occhi al cielo in tempo per vedere un nuovo fulmine solcare l'azzurro, spaccandosi in due esattamente sopra le loro teste. Un getto di luce fluida scaturì dalla bacchetta di Yumoto, andando a colpire una delle due diramazioni, mentre la seconda si infranse sullo scudo opaco creato dalla magia di Io.

"Ci siamo quasi, forza!" incoraggiò Ryuu. Una volta nel bosco, non sarebbero stati un bersaglio facile per i fulmini.

Spronando i cavalli al loro limite, riuscirono ad evitare un ultimo fulmine e guadagnarono il riparo degli alberi. Questi potevano offrire loro nascondiglio, ma gli impedivano di procedere altrettanto velocemente.

"Yumoto!" chiamò Ryuu, tirando le briglie del cavallo prima che questo inciampasse da qualche parte e cadesse rovinosamente a terra. "Rallenta! Di questo passo ci perderemo di vista!"

Lo spirito della luce, infatti, si era buttato a capofitto in mezzo ai tronchi, e gli altri due trovavano impossibile seguirlo.

Yumoto, ormai molto avanti rispetto a loro, li sentì comunque e fece rallentare l'animale, girandosi indietro per far sapere loro che aveva capito, ma come si voltò, si trovò davanti solo una parete di oscurità.

Il cavallo si imbizzarrì e scalciò, mentre Yumoto tentava di tenerlo a bada nell'improvviso buio che li aveva circondati.

"Tenebre maledette!" disse Vombato, arrampicandosi sulla sua tunica.

Attorno a loro, sulla foresta era piombato anche il silenzio. Le bestie selvatiche, spaventate dall'improvvisa assenza di luce, erano zitte ed immobili, in attesa.

Un momento dopo, però, le piante intorno a loro vennero illuminate dal bagliore proveniente dallo scettro e dal corpo stesso di Yumoto. La sua luce dorata e calda illuminava i tronchi nel raggio di qualche metro, ma si esauriva nel buio che formava una parete solida contro cui nemmeno la sua magia poteva spingersi. Lo spirito, non perdendosi d'animo, spronò il cavallo ad andare avanti.

"Ryuu! Io!" chiamò gli amici, sperando che fossero ancora a portata d'orecchio, ma le tenebre attorno a lui rimasero silenziose.

Le unghie del vombato gli pizzicarono appena la pelle sotto la stoffa della tunica. "Dobbiamo mettere En al sicuro al più presto," gli bisbigliò in un orecchio, accennando con il naso al ragazzo che, appoggiato a Yumoto, stava ancora dormendo profondamente.

Lo spirito annuì, consapevole che quella era la loro priorità, anche se lasciare indietro gli altri due non gli andava affatto. I demoni, comunque, cercavano il principe, non gli spiriti, e gli sarebbero stati addosso immediatamente, se non avesse raggiunto la barriera protettiva del loro incantesimo. Non era distante, Yumoto lo sentiva, e così spronò il cavallo ad andare più veloce, perforando le tenebre magiche con il suo raggio di luce.

 

~~~

 

Alle sue spalle, troppo distante per essere notato nell'oscurità, c'era un altro globo di luce, più fievole ed instabile. Una cortina di piccole fiamme faceva strada a Ryuu ed Io, che avanzavano cautamente nel buio ovattato dell'incantesimo malvagio che li aveva sommersi.

Lo spirito del fuoco sedeva quanto più indietro sulla sella, quasi appoggiandosi all'altro alle sue spalle, probabilmente pentendosi di aver preso lui le briglie del cavallo.

"Ehi, non starmi troppo addosso," protestò Io, "sei così spaventato?"

"N-non sono spaventato! È che detesto questo tipo di magie," rispose Ryuu.

Dietro di lui, l'altro spirito sospirò ma gli passò un braccio attorno al fianco in maniera protettiva, e Ryuu si rilassò impercettibilmente.

La bacchetta stretta nell'altra mano e pronta all'uso, Io annuì. "Fino a che non riusciamo a trovare e mettere fuori gioco chi l'ha messa in atto, è impossibile disfarsene."

"E scommetto che quei demoni sono troppo pavidi per mostrarsi a noi, vero?" Ryuu rincarò, a voce più alta, ora, scrutando il nero circostante.

Nonostante il tono spavaldo, fece un salto sulla sella quando, in risposta, arrivò una risata divertita.

"Fatina dei fiammiferi è un soprannome più che appropriato, no? Che graziosa fila di candeline che vi precede. Non andrete molto lontani, così, però..."

"Akoya, maledetto! Quante volte mi tocca incontrare il tuo brutto muso oggi?"

Il fuoco attorno al loro cavallo crebbe a formare un muro di fiamme, illuminando quasi a giorno la zona circostante.

"Fossi in te, mi preoccuperei piuttosto per quello che vedo nello specchio ogni mattina."

Akoya ed Ibushi, serafici, stavano in piedi sul ramo di un albero di fronte a loro. Il primo aveva ormai abbandonato il suo travestimento umano ed era ammantato di scuro, come l'altro.

"Perché non sollevate questo muro di tenebre e non ci combattete apertamente, eh? O vi facciamo troppa paura?" li sfidò Ryuu, puntando verso di loro la punta della sua bacchetta.

Akoya si strinse nelle spalle, giocherellando con una ciocca di capelli.

"Perché rendervi la vita più facile, se possiamo complicarvela? Comunque, non sono io ad aver lanciato quest'incantesimo. Di mio non amo troppo il buio, preferisco sempre che la mia bellezza venga ammirata alla luce del sole, naturalmente," spiegò in tono provocatorio, spostandosi con grazia per evitare un raggio infuocato che gli era stato scagliato da un Ryuu innervosito.

"Sembra proprio che queste tenebre vi rendano mezzi ciechi, me ne rammarico," commentò Ibushi, imperturbabile.

"Ma dico io, vi sentite quando parlate?!"

Ryuu strinse la bacchetta e la punta a forma di fiamma cominciò a brillare, preparando un nuovo incantesimo. I demoni, tuttavia, non erano intenzionati a lasciarlo fare come credeva.

Il cavallo nitrì e cercò di impennarsi, spaventato dall'improvvisa eruzione di terra e virgulti attorno ai suoi zoccoli, ma le sue lunghe zampe vennero subito intrappolate da un groviglio di rovi, che si arrampicarono violentemente lungo il corpo dell'animale e dei due spiriti che lo cavalcano

Ryuu imprecò, l'incantesimo che stava preparando dissolto nella commozione del momento, sentendo le spine dei rovi mordergli la pelle delle braccia e del collo. I rami si ingrossavano attorno a loro, imprigionandoli con forza.

Dalla bacchetta dello spirito scaturirono altre fiamme, ed i virgulti che attentavano al suo volto bruciarono.

"Scortesi," commentò Akoya acido ed accanto a lui Ibushi mosse le mani. Un vento gelido spense il fuoco che ardeva i rovi, aiutandoli a ricrescere.

"Io..." Ryuu invocò, tossendo soffocato dal fumo e dai rami che gli si stavano arrampicando sulla faccia.

Dietro di lui, lo spirito della terra non poteva rispondere, ricoperto com'era dalle spine evocate da Akoya. Ciò non voleva dire, però, che si fosse arreso.

Proprio nel momento in cui i due demoni stavano ormai sorridendo soddisfatti, la terra tremò. L'albero su cui i due erano sistemati oscillò vistosamente, le radici scosse da movimenti sotterranei, e furono costretti a saltare giù, atterrando malamente sul suolo che cambiava violentemente forma sotto i loro piedi.

Avvertendo il venir meno della forza nei rovi che lo costringevano, Ryuu esplose. Le fiamme, emanando direttamente dal suo corpo, avvolsero i rami appuntiti, facendoli avvampare.

Akoya tentò di riviverli, evocandone di nuovi, ma il suolo sotto il cavallo e tutto intorno a loro si era ora trasformato in una solida lastra di pietra, che impediva ai rovi magici di attecchire e svilupparsi. Il demone, infuriato, lanciò un'esclamazione di frustrazione.

I rami attorno ad Io avvizzirono e caddero a terra, e lo spirito ne riemerse un po' spettinato, ma con un'espressione decisa in volto.

Ryuu gli sorrise, felice di sapere di poter contare, come sempre, sui poteri del compagno.

"Adesso forse potete smetterla di usare trucchetti fastidiosi e farci la cortesia di lasciarci passare," suggerì Io, che non aveva particolare voglia di combattere.

I due demoni, però, erano piantati in piedi di fronte a loro, e non c'erano, evidentemente, molte possibilità di scelta.

 

~~~

 

Nell'oscurità, Yumoto continuava a procedere lentamente, con Vombato ed En stretti a lui e, in definitiva, di nessun aiuto. Le piante del sottobosco e gli alberi gli scorrevano attorno come fantasmi, illuminati dalla sua luce magica per il breve tempo del tragitto di fronte a loro, per sparire subito dopo, inghiottiti dalle tenebre.

L'incantesimo di protezione non era molto distante da dove si trovava, ma raggiungerlo non era facile; anzi, già da qualche tempo Yumoto temeva di star muovendosi in circolo, costretto ogni volta a scegliere il percorso più facile per il cavallo nel sottobosco che ora saliva, ora ridiscendeva bruscamente con pendenze che, alla tenue luce del suo incantesimo, non era facile valutare.

Avrebbe anche lasciato indietro l'animale se non avesse dovuto pensare ad En, visto che trasportarlo da solo in mezzo alla foresta era fuori questione.

"Così non va," fece Yumoto parlando a Vombato, quando per l'ennesima volta fu costretto a voltare il cavallo e tornare indietro. "Stiamo girando in tondo, di questo passo ci troveranno..."

"Ad onor del vero, vi ho già trovati da un po'."

Le tenebre di fronte al cavallo presero forma all'improvviso, solidificandosi in una figura scura e rivelando un volto bianco su cui si aprirono due occhi scarlatti, vividi come tizzoni ardenti. Più in basso, si mossero due mani altrettanto pallide, dalle dita che sembravano artigli.

Colto alla sprovvista, Yumoto puntò di scatto lo scettro verso l'apparizione. Alla luce magica, il buio sembrò retrocedere, rivelando Kinshiro, vestito delle tenebre stesse, che li osservava pacatamente, con la stessa calma ostentata da un felino prima di spiccare l'ultimo balzo sulla sua preda.

"E' stato interessante vedervi girare a vuoto fino ad ora," commentò tranquillamente, "ma adesso ne ho più che a sufficienza."

Protese una mano pallida con un gesto imperativo nella direzione dello spirito della luce. "Consegnami il principe e io farò dissolvere queste tenebre, così tu ed i tuoi amici sarete liberi."

Yumoto scosse la testa con forza. Il cavallo sbuffava, spaventato, e lo spirito faticò per tenerlo fermo. Non aveva alcuna intenzione di cedere al ricatto del demone.

"Che cosa vuoi fargli, si può sapere? Non ha colpe nei tuoi confronti, non hai ragione di volergli male!"

I tizzoni accesi negli occhi di Kinshiro balenarono d'ira.

"Non ho intenzione di spiegare ad uno spirito semplice come te i motivi delle mie azioni. Quanto al resto, non ho ancora un'idea ben chiara su cosa potrei farmene del principe, ma sono sicuro che mi verrà in mente qualcosa, se ci penso bene."

Le braci erano gelide, ora, e rilucevano assetate.

Yumoto strinse a sé il ragazzo con fare protettivo. Poteva sembrare un po' ridicolo, dato che En era molto più alto di Yumoto, ma in quel momento nessuno degli astanti trovava la situazione divertente.

"E voi che intendete fare con lui, eh?" Kinshiro ritorse la domanda. "So che siete riusciti ad alterare la mia maledizione. Un sonno eterno gli avete regalato, invece della morte; davvero un gran cambiamento, complimenti."

"Solo se la tua maledizione lo colpirà!" protestò Vombato, spuntando per quanto poteva da dietro En.

Un angolo della bocca di Kinshiro si piegò all'insù, conferendogli un'espressione gelidamente divertita.

"Le mie maledizioni colpiscono sempre."

Ora che era così vicino ad En e lo teneva stretto a sé, circondato com'era dalla sua aura magica, Yumoto poteva sentire l'incantesimo che gli aveva lanciato quale dono a pochi giorni dalla sua nascita. Era come un guscio silenzioso che circondava l'ago della maledizione - questo pulsava quietamente nel petto del principe, vicino al suo cuore, pronto ad affondare, quando fosse stato il tempo.

"Anche se lo colpisce, potrà sempre essere spezzata!" insisté lo spirito.

Il mezzo sorriso scomparve dalle labbra di Kinshiro, per lasciare spazio ad una smorfia d'odio.

"Spezzata? Già, dal bacio del vero amore, non è così?"

La furia del demone divenne improvvisamente visibile. La luce di Yumoto si ritrasse e Kinshiro venne avvolto da un'aura velenosa, fosforescente, in cui si mischiavano ombre di viola e verde.

Lo spirito strinse a sé En ed il vombato, sentendosi nauseato dalla rabbia che trasudava da quella luce cangiante.

"Gli umani non possono provare vero amore!"

Il volto di Kinshiro era livido ed i suoi occhi erano circondati da ombre violacee.

"Non c'è posto nel loro cuore se non per cupidigia, lussuria e tradimento! Il vostro principe cadrà in un sonno eterno e niente e nessuno potrà risvegliarlo!"

Le tenebre esplosero ed investirono Yumoto con tutta la furia del demone. Era una rabbia selvaggia, un rancore profondo e violento. Per un attimo, Yumoto ne fu accecato ed il cavallo si impennò così tanto da disarcionarlo, facendolo cadere assieme ad En ed al Vombato.

Quando lo spirito sbatté a terra, il bagliore che emanava vacillò e tutto attorno a loro divenne tenebra. La luce lo avvolse nuovamente l'attimo dopo, solo per illuminare il volto di Kinshiro, a poca distanza da lui, che posava le dita su En in maniera stranamente delicata.

"Non lo toccare!" Yumoto si sporse verso di lui, con una vampata di luce che schiaffeggiò le mani di Kinshiro. Il demone sollevò di scatto la testa verso di lui, ed al suo gesto una nuova, violenta ondata di tenebre colpì lo spirito, facendolo finire a qualche metro di distanza.

Kinshiro era in piedi, adesso, ed En, sempre addormentato, levitava di fronte a lui, sollevato da tenui spirali di ombra. Il demone lo osservava con sguardo freddo, imperscrutabile, ma senza una minima traccia di vittoria o soddisfazione negli occhi. Aveva una mano alzata sopra di lui, evidentemente pronta a scagliare qualche incantesimo. Yumoto si sollevò, tentando di raggiungere la bacchetta che era rotolata lontano da lui nell'impatto, consapevole tuttavia che non avrebbe fatto in tempo - l'istante in cui la strinse tra le dita, però, sentì un'esclamazione di dolore provenire dal demone.

Lo spirito fece appena in tempo a voltarsi per vedere il Vombato solidamente aggrappato alla gamba sinistra di Kinshiro, i suo spessi denti affondati sopra la caviglia dell'altro.

Con un grido di frustrazione, questo cercò di calciarlo via, ma in quel momento Yumoto gli rivolse contro la bacchetta ed il raggio di luce magica che ne scaturì. Colto con le difese abbassate, Kinshiro fece appena a tempo a farsi scudo con una parete d'ombra prima di essere colpito, ma perse la presa sui tentacoli d'oscurità che si erano impossessati di En.

Prima che questo crollasse a terra, Yumoto fu accanto a lui, reggendolo e depositandolo gentilmente in mezzo all'erba. L'attenzione dello spirito, però, era focalizzata su Kinshiro.

Scavalcò il ragazzo addormentato, la bacchetta tesa innanzi a sé per tenere a bada il demone.

Vombato, lì accanto, lo osservava con il pelo ritto sulla schiena. Ai suoi occhi di creatura magica, lo scontro tra le due auree appariva in tutta la sua imponenza. Da un lato, quella dorata di Yumoto, vivida e sfavillante; dall'altro, quella buia che avvolgeva Kinshiro, che emanava nauseabondi bagliori viola e verdi, violenta e furiosa.

"Perché hai abbandonato la luce?" chiese Yumoto, riuscendo a muovere un passo in avanti. Per un momento, l'aura di Kinshiro tremò, riducendosi impercettibilmente.

"E tu perché continui a servire gli umani ed a sottomettere a loro la tua magia?"

Le tenebre che avvolgevano il demone balenarono ancora e la distanza tra le due creature si accorciò ulteriormente, mentre Yumoto avanzava a fatica.

"Perché è quello che uno spirito della luce dovrebbe fare... Torna sui tuoi passi!" fece, a metà tra un ordine ed una supplica.

In quell'attimo, l'aura di Kinshiro svanì. Sbilanciato, Yumoto barcollò in avanti ed il demone fu su di lui, ora impugnando tra le mani una spada fatta di tenebre. L'affondo venne bloccato per un soffio dallo spirito, ma tutto ciò che si frapponeva tra la sua gola e la lama nera adesso era la sua bacchetta. Per un lungo istante, rimasero immobili, mentre ognuno cercava di prevalere sull'altro, e Yumoto, ora che era così vicino al demone, lo avvertì di nuovo - era simile all'ago della maledizione conficcato nel petto di En, ma era più potente, più malvagio.

Spalancò gli occhi color rubino, cercando quelli del demone.

"Tu... Anche tu sei-"

"Taci!" sibilò Kinshiro, un momento prima di essere scaraventato via da un'esplosione di fiamme.

"Yumoto! Tutto bene?"

Ryuu ed Io approdarono sulla scena, saltando giù dal cavallo per raccogliere En ed il vombato.

"Siamo riusciti a bloccare gli altri due per un po', ma non abbiamo molto tempo prima che ci siano addosso."

Entrambi gli spiriti erano sporchi di foglie e terra, ma apparivano ancora decisamente combattivi. Kinshiro, sbalzato in là dall'esplosione di fiamme, si stava rialzando e sembrava ugualmente intenzionato a dargli ancora del filo da torcere.

"Su di lui, allora!" fece Yumoto, e gli altri due obbedirono. I loro incantesimi si mischiarono, investendo il demone di fuoco vivo e quasi solido, e per un momento tutte le sue forze furono dirette a contrastare l'attacco combinato dei due spiriti. Yumoto colpì allora, ed il raggio della sua bacchetta, sottile ed affilato, centrò Kinshiro in pieno petto, perforando la sua aura.

Questa tremò e crollò, lasciandolo privo di difesa contro la magia dei tre spiriti. Per qualche momento il demone svanì un mezzo ad un'esplosione di luce rossa e dorata, ed all'improvviso le tenebre maledette che avevano avvolto la foresta si dissiparono.

"Sbrighiamoci, o gli altri ci raggiungeranno," gridò Io, montando prontamente a cavallo, stringendo a sé En prima di spronare l'animale tra gli alberi. Ryuu e Yumoto recuperarono l'altra cavalcatura e lo seguirono al galoppo, senza voltarsi indietro.

Con la strada ora chiara davanti a loro, riuscirono a varcare la barriera magica che avevano eretto a protezione della loro casa nei boschi.

 

Come se la lasciarono alle spalle e furono in salvo nella parte di foresta incantata, i tre spiriti fecero fermare i cavalli e scivolarono giù di sella. Yumoto e Ryuu si buttarono nell'erba, esausti, mentre Io esaminava En che dormiva beatamente, ancora avvolto nel sonno magico.

"Sembra illeso," commentò togliendogli rami e foglie dai capelli. In realtà, aveva mani e volto coperti di graffi, ma lo spirito non si riferiva alle ferite o ai lividi.

"Kinshiro non gli ha fatto niente," confermò Yumoto.

Accanto a lui, il vombato lo osservava con preoccupazione.

"Tu stai bene?"

Lo spirito della luce annuì, allungando una mano ad accarezzare la testa del vombato per rassicurarlo.

"Sì, ma è stata una faticaccia."

"L'abbiamo... L'abbiamo ucciso...?" chiese quindi Ryuu, che in quel momento si sentiva troppo esausto per muoversi.

Io si sedette accanto a lui, scuotendo la testa.

"Ne dubito fortemente, ma dovremmo averlo messo fuori gioco abbastanza a lungo per stare tranquilli per un po'."

Lo spirito della terra scostò una ciocca di capelli dalla fronte dell'altro, che gli rivolse un sorriso.

"Sei stato proprio in gamba, prima."

Io ricambiò il sorriso, ma non senza una punta di disapprovazione, mentre con le dita gli ripuliva una guancia dallo sporco della battaglia.

"Dovresti essere più parco con la tua magia. Se agisci sempre così d'impulso, è naturale che tu ti esaurisca subito."

Ryuu rise e si strinse nelle spalle. Io era decisamente più bravo di lui a risparmiare sulle proprie forze, lo spirito del fuoco non poteva farci niente se non sapeva trattenersi.

"Sanno della nostra contromaledizione," li interruppe Yumoto a quel punto. Si era rimesso a sedere, lo sguardo insolitamente preoccupato e pensieroso.

"Vuol dire che dobbiamo proteggere anche la principessa, o anche lei si troverà in pericolo," ne dedusse Ryuu, per poi aggiungere, come colto da un pensiero improvviso: "A proposito, c'era proprio il bisogno di fare l'eroe lì al villaggio? Certo Akoya non ti ha dimostrato molta gratitudine per avergli restituito il borsellino!"

Rivolse ad Io uno sguardo di accusa, ma l'altro si strinse semplicemente nelle spalle.

"Non posso tollerare la vista dei borseggiatori, è stato più forte di me."

"E poi sono io quello che agisce d'impulso...!"

"Inoltre, penso che ci sia qualcosa che non va in Kinshiro," ragionò sempre a voce alta Yumoto.

Ryuu lo guardò, perplesso.

"Amico, posso farti un lungo elenco di tutte le cose che non vanno in quel demone."

"Quello che voglio dire è che non sta agendo da solo. Ho sentito qualcosa dentro di lui," provò a spiegare Yumoto, ma poi scosse la testa. Se nemmeno lui sapeva di che cosa poteva trattarsi, tentare di farlo capire agli altri era un'impresa impossibile.

Io si rimise in piedi e si ripulì alla bell'e meglio i vestiti.

"Svegliamo En, piuttosto. Non mi va di reggerlo fino a casa," fece, pratico.

"Già, ma prima inventiamoci una scusa plausibile per spiegare tutto questo casino," concordò Ryuu, provando ad alzarsi a sua volta ma ricadendo sull'erba con un sospiro stanco. Per un momento, lo spirito del fuoco abbassò la testa, demotivato, e Vombato sbuffò con disapprovazione.

"Ma ditemi voi, come faremo a far fronte a tutti questi pericoli se non avete nemmeno la forza di ritornare a casa?"

"Prepareremo un piano di battaglia! Quei demoni non ci fanno mica paura!" affermò Yumoto, ora di nuovo allegro, prendendo in braccio l'animale rosa.

"Ed ora silenzio sull'argomento, va bene?"

I quattro annuirono; per il momento, era ancora meglio tenere En all'oscuro di tutto.


---

NOTE: sono piuttosto soddisfatta della pubblicazione di questo capitolo, perché segna la fine della prima metà della storia. E' buffo perché questa fanfiction avrebbe dovuto essere molto più corta e, comunque, molto meno angst, nei piani iniziali, ma si sa che trame e personaggi fanno un po' quel che vogliono (e io li assecondo il più delle volte).

 

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Capitolo 8
*** Pazienza ***


Capitolo VIII
 

Pazienza

 

 

Kinshiro giaceva sul letto a baldacchino della sua stanza, abbandonato su una complicata geometria di cuscini arrangiati con cura da Ibushi.

Nonostante la posizione, non si stava riposando. Avrebbe dovuto, visto che era ancora lontano dall'essersi ripreso dallo scontro con i tre spiriti e che ogni singola fibra del suo corpo risentiva ancora dell'attacco magico che gli era stato scaricato addosso, ma non trovava pace.

Immobile, aveva lo sguardo fisso sul baldacchino sopra di sé; ormai conosceva a memoria tutti i ghirigori e le pieghe della stoffa, ma se abbassava le palpebre per dare un po' di sollievo ai suoi occhi arrossati, le immagini della giornata precedente tornavano a colpirlo con nitidezza insopportabile.

 

 

Quando il demone si era risvegliato, la prima cosa che aveva visto sopra di sé erano stati i visi preoccupati di Akoya e Ibushi. Quest'ultimo lo stava scuotendo gentilmente, sfiorandogli il volto con delicatezza. Il tocco delle sue dita portava con sé una sensazione di sollievo per la sua pelle scottata e tumefatta, ma Kinshiro gli aveva scostato la mano in malo modo.

Gli altri tre erano riusciti a farla franca, a salvare il principe ed a conciarlo male, e il demone mal sopportava l'idea di doversi far aiutare perfino per mettersi a sedere.

Nonostante Ibushi avesse insistito per andarsene, Kinshiro si era ostinatamente alzato in piedi e, a fatica, aveva seguito le tracce dei cavalli in mezzo al bosco.

I demoni, tuttavia, non erano andati molto lontano prima di essere costretti a fermarsi: ad un tratto, dal nulla, un'aura magica li aveva schiaffeggiati e spinti indietro. Senza fiato, avevano immediatamente compreso di che cosa si trattasse: gli spiriti dovevano aver predisposto una barriera incantata per bloccare l'accesso a quella parte di foresta.

Era un muro spesso e solido, il risultato di un incantesimo potente, non certo qualcosa che i tre avevano lanciato unicamente per coprirsi le spalle durante la fuga.

I demoni avevano percorso la lunghezza della barriera fino a che non erano spuntati in una radura dall'aspetto famigliare. Ci era voluto un po', ma alla fine Kinshiro ed Ibushi avevano riconosciuto il posto in cui, l'anno prima, avevano dovuto interrompere una battuta di caccia al cervo perché Atsushi era spuntato dal nulla in mezzo ai cespugli, rischiando di farsi trafiggere dalle frecce di Kinshiro.

Il demone aveva scostato i cespugli da dove era comparso il principe quel giorno. Non era stato sorpreso di ricevere una fredda scossa alla mano non appena l'aveva sporta oltre i rami, e se l'era portata al petto in un istintivo gesto di difesa.

Il dolore, però, non era niente rispetto alla realizzazione che lo aveva colto a conseguenza della scoperta.

E così era quello il posto segreto di Atsushi.

Anche quel giorno, il ragazzo stava uscendo dalla parte di foresta posta sotto l'incantesimo.

Mentre si massaggiava le dita con sguardo fisso nel vuoto, i pensieri avevano iniziato a connettersi nella mente del demone, causandogli più dolore di qualsiasi incantesimo.

Atsushi era sempre stato in grado di varcare quella barriera magica, che era stata ciò che lo aveva protetto dalla freccia che il demone gli aveva scagliato contro quel giorno, credendolo la sua preda.

Solo una potente aura magica avrebbe potuto deviare la sua mira infallibile, naturalmente, Kinshiro avrebbe dovuto capirlo già allora. Ma, quando era successo, era rimasto troppo scosso dall'aver quasi ucciso il principe umano da investigare sul perché avesse mancato il bersaglio.

Se solo si fosse reso conto prima di quanto stava accadendo, che gli spiriti ed il principe Yufuin si nascondevano in quella foresta, che Atsushi lo incontrava nel bosco...

Nel momento in cui quella realizzazione lo aveva colto, il suo fisico, provato dallo scontro di prima, aveva ceduto, lasciandolo privo di forze in mezzo all'erba. A quel punto, era toccato ad Ibushi sollevarlo e finalmente ricondurlo a casa.

 

 

Al pensiero di tutto ciò, Kinshiro si rigirò nel letto, soffocando un'esclamazione di dolore causata dal movimento.

Non voleva immaginare che cosa Atsushi e l'altro facessero nel bosco, ma quello che davvero si chiedeva più di tutto era da quanto a lungo questo andasse avanti. Per quanto tempo Atsushi gli aveva tenuto nascosto che conosceva l'altro principe? Quante volte aveva declinato i suoi inviti per andare a trovare il suo amante?

Il materasso del letto sembrava pietra, ormai, sotto la sua schiena e le sue gambe; Kinshiro si alzò all'improvviso, ignorando le fitte di dolore, incapace di rimanervi fermo sopra più a lungo.

Di più.

Ci doveva essere di più.

Gli spiriti avevano cercato di ingannarlo, il giorno prima, facendo credere che il principe Yufuin si sarebbe incontrato con la principessa e che i due fossero innamorati, solo per distrarre i demoni dalla tresca con Atsushi.

Era così, quindi; doveva essere così, altrimenti perché mai Atsushi poteva varcare liberamente la barriera magica attorno alla foresta? Kinshiro conosceva quel tipo di incantesimi, erano fatti per respingere creature magiche ed esseri umani senza distinzioni, eccezion fatta unicamente per quelli che la magia stessa era programmata per far entrare.

Chissà con quali incanti lo avevano ammaliato i tre spiriti, per farlo invaghire dell'altro principe.

Lentamente, perché le sue gambe gli consentivano ancora solo movimenti limitati, il demone camminò fino alla finestra.

La sua stanza si affacciava sullo stesso lato dell'entrata principale della villa. Da lì, Kinshiro poteva vedere il cancello di ingresso, ben chiuso, e la strada che portava, dopo svariate curve e bivi, fino alla residenza della famiglia reale.

La sua mente percorse la via lentamente, mentre veniva accarezzata da un tocco gelido, invitante. Sarebbe stato semplice scatenare la loro magia contro quegli umani e liberarsene una volta per tutte.

I suoi pensieri indugiarono attorno all'idea, attratti, ma una fitta di dolore al petto li fece ritrarre.

Sarebbe stato semplice, certo, se solo Kinshiro fosse stato in grado di reggersi in piedi abbastanza a lungo da arrivare fino alla residenza reale, pensò il demone appoggiandosi di peso al davanzale della finestra. Al momento, era troppo difficile persino attraversare la sua stanza.

No, prima di agire doveva portare pazienza, recuperare le forze e la lucidità di mente, che pure sembrava vacillare ed indebolirsi, ogni qual volta la stretta nel suo petto si faceva più forte.

Alla porta, dietro di lui, si udirono dei colpi discreti.

Kinshiro esitò per un istante prima di rispondere con un brusco 'avanti'.

Sulla soglia apparve Ibushi, che reggeva un vassoio su cui era poggiata una tazza fumante.

"Serve che porti altri cuscini e coperte?" chiese il demone.

Era il suo modo per esprimere preoccupazione nel vedere l'altro in piedi, quando avrebbe preferito saperlo a riposo. Del resto, Ibushi era ben consapevole che, se gli avesse esplicitamente consigliato di tornare a letto, Kinshiro non lo avrebbe ascoltato, non nelle condizioni in cui era.

"Ne ho a sufficienza."

Il demone più alto annuì e poggiò il vassoio con il tè accanto al letto, nel malcelato tentativo di richiamare Kinshiro lì vicino. Questo, in risposta, gli lanciò un'occhiata veloce ma carica di rimprovero.

"Visto che hai già fatto tutta la strada fino a questa stanza, non credo che portarlo fino a qui faccia differenza."

Ibushi sospirò, ma obbedì, e finalmente il tè fu tra le mani di Kinshiro. Questo, però, era intenzionato a gustarlo in solitudine, ed il suo secco 'molto bene, puoi andare' fu superfluo per far comprendere ad Ibushi che la sua presenza non sarebbe stata gradita oltre, esattamente come qualsiasi suo suggerimento o consiglio.

 

Rimasto solo, Kinshiro posò la tazza sul davanzale, indugiandovi di fronte. Avrebbe voluto sedersi, ora, ma non c'erano poltrone o sedie nelle vicinanze, e richiamare Ibushi per farsene portare una era fuori discussione.

Si guardò intorno, frustrato. Quella stanza, quella villa erano diventate una prigione, e non solo perché, al momento, non era abbastanza in forze per abbandonarle.

I suoi occhi si sollevarono verso il cielo, ancora chiaro. Sarebbe stata una notte di luna piena, il demone lo sapeva bene, ma Atsushi lo avrebbe aspettato invano, quella sera.

 

~~~

 

"Non è mai mancato a nessuno dei nostri ritrovi a vedere le stelle. Ieri notte, invece, non si è fatto vedere. La cosa mi preoccupa un po'."

Atsushi mosse i piedi e l'acqua della pozza si increspò attorno alle sue caviglie, restituendo uno scintillio di riflessi sfaccettati.

Il sole della tarda mattinata gli accarezzava la schiena nuda, mitigato dall'ombra incostante delle foglie dei faggi. Le pietre su cui era seduto erano tiepide sotto le sue natiche e cosce, in gradevole contrasto con il fresco della polla.

"Forse non stava bene," ragionò semplicemente En, che, immerso nell'acqua fino alle spalle, teneva la testa reclinata all'indietro, godendosi il calore della luce sul viso. Sul suo petto, sopra il pelo dell'acqua, riluceva il ciondolo azzurro regalatogli un paio di giorni prima.

Sembrava sul punto di addormentarsi, ma in realtà stava ascoltando con attenzione quanto Atsushi aveva da raccontargli. Stare così allungato all'indietro era il metodo migliore per approfittare appieno dei raggi del sole e, soprattutto, era un modo per evitare di osservare troppo a lungo il suo ragazzo. Questo, seduto completamente nudo di fronte a lui, era irresistibile ed En era ben consapevole che il loro bagno non sarebbe finito in maniera innocente. Tuttavia, al momento preferiva resistere alla tentazione e riposare ancora un po', ascoltando l'altro parlare e cercando di capire che cosa dirgli per confortarlo.

Atsushi, ignaro dei pensieri di En e completamente perso nei suoi, giocherellò ancora con i piedi nell'acqua.

"Kinshiro non si è mai ammalato da che lo conosco."

"C’è una prima volta per tutto, immagino. Forse ha preso troppo caldo e si è addormentato, dimenticandosi del vostro appuntamento."

"Non è il tipo da dimenticarsi degli appuntamenti."

Il giovane, in effetti, era la puntualità fatta persona ed era impossibile anche solo immaginare che il loro ritrovo gli fosse sfuggito di mente.

Nonostante, per forza di cose, non l'avesse mai visto, En poteva ormai dire di conoscere Kinshiro piuttosto bene, visto che Atsushi ne parlava spesso. Non solo, era già capitato più di una volta che il principe gli avesse prestato dei libri regalatigli proprio da lui, ed En si era ritrovato a leggere le lunghe dediche scritte nelle prime pagine. Dal loro linguaggio e dalla loro verbosità, aveva dedotto che doveva trattarsi di un tipo piuttosto noioso e serio. Certo, però, sembrava anche una persona troppo rigorosa per dimenticarsi semplicemente di un appuntamento.

En alzò la testa, strizzando gli occhi per abituarli alla luce, ed osservò Atsushi in silenzio per qualche istante.

"Visto che sei tanto preoccupato, saresti dovuto andare a vedere come stava stamattina."

Atsushi scosse la testa e gli sorrise.

"Ti avevo detto che sarei venuto qui, ed anch'io sono una persona puntuale, Enny, se non te ne fossi accorto."

"Da come lo dici, suona quasi come un'accusa," replicò En, sedendosi diritto e stiracchiandosi. Inarcò la schiena con una smorfia (le rocce erano tiepide ma anche dure e spigolose), storcendosi e piegando le braccia indietro.

Atsushi seguì tutte queste evoluzioni con un sorriso bonario e non fu affatto sorpreso quando En, con un sospiro di rassegnazione, si voltò verso di lui implorandolo, in tono lamentoso, di grattargli la schiena in quel punto sotto la scapola che proprio non riusciva a raggiungere.

Il principe scivolò in acqua, trattenendo un brivido di freddo, e si avvicinò all'altro, che ora gli dava le spalle.

"Qua va bene?"

"Un po' più a destra... Un po' più in alto... Aaah! Perfetto!"

En emise un mugolio soddisfatto e si inarcò appena sotto le dita di Atsushi, appagato.

Conoscendo bene l'altro, il principe continuò a grattare anche la pelle attorno, per poi passare all'altra scapola.

"Già che ci sei, me lo faresti un massaggio, mmh?"

Senza attendere risposta, En si era abbarbicato alla roccia lì davanti, usandola praticamente come cuscino.

Atsushi premette fermamente le dita nei muscoli alla base del collo e l'altro si rilassò all'istante, emettendo un lungo sospiro. In silenzio, continuò a massaggiargli le spalle, passando poi a tracciare ampi cerchi con i pollici sopra la pelle tesa delle scapole.

"Avresti potuto andare prima di venire qui, sai," mormorò En, la testa appoggiate sulle braccia incrociate davanti a lui. Da dov'era, Atsushi poteva vedere che aveva gli occhi chiusi.

"Andrò questo pomeriggio," rispose.

Si sentiva vagamente in colpa nei confronti di Kinshiro, ma doveva ammettere con se stesso che, dopo la disavventura che avevano avuto al villaggio, aveva avvertito l'impellente bisogno di vedere En il prima possibile. Anche adesso sentiva l'esigenza di stargli accanto, quasi avesse necessità di essere ancora rassicurato del fatto che l'avevano scampata e che stavano bene. I lividi ed i graffi che avevano riportato erano più visibili che mai sulla pelle di entrambi, a ricordare loro che non si era trattato di un brutto sogno.

"E poi, se fosse successo qualcosa di grave, me lo avrebbero fatto sapere," ragionò.

Sicuramente, se si fosse trattato di qualcosa di serio, il signor Ibushi l'avrebbe mandato ad avvertire con solerzia.

I pollici di Atsushi si muovevano con pazienza ai lati della spina dorsale di En, premendo ed accarezzando.

La schiena dell'altro era ampia, i suoi muscoli ben definiti, ed Atsushi li studiava con attenzione, seguendone il profilo coi polpastrelli. En aveva un bel corpo, a differenza del suo, pensò il principe, vergognandosi però subito di quella considerazione. Lanciò un'occhiata veloce oltre le spalle dell'amico, un po' invidioso e un po' ammirato del gioco di ombre che scolpiva le sue braccia.

"La prossima volta che vengo al villaggio, sarebbe divertente incontrare questo Kinshiro. Anche se da quello che mi dici sembra un tipo un po' noioso," se ne venne fuori a quel punto En.

Le mani di Atsushi si fermarono. Ci sarebbe stata una prossima volta al villaggio? E, soprattutto, En avrebbe voluto incontrare Kinshiro?

I polpastrelli del principe iniziarono a seguire le linee delle costole di En. Non era ancora sicuro di come far combaciare l'altro con la sua vita fuori dal bosco, ma quello che gli aveva detto gli dava finalmente il coraggio di farsi avanti e chiedergli qualcosa che già voleva domandargli da tempo.

"Enny, potrei dire di te a Kin, quindi?"

Debolmente, En scrollò le spalle.

"Se ritieni."

Atsushi si concentrò sui piccoli avvallamenti formati dalle sue vertebre.

"Lo conosco fino da quando eravamo bambini, se gli dico di tenere un segreto, lo farà. E poi, sai, mi sento in colpa per non avergli mai detto di te, in tutti questi anni."

En annuì appena.

"Mi fido di te, Atsushi."

Il principe sorrise e si chinò in avanti, per posargli un bacio alla base del collo.

"Ehi, non ti fermare però!" protestò l'altro.

Con un sospiro, Atsushi riprese a massaggiarlo, ripetendo i movimenti che aveva già praticato.

"Sai, un'antica tradizione vuole che, quando nasce un principe in queste terre, degli spiriti magici vengano ad omaggiarlo con dei doni. Non si tratta di regali materiali, ma di virtù."

En sembrava più interessato ai movimenti delle mani di Atsushi sulla sua schiena che alla sua storia, ma l'altro proseguì comunque.

"E lo sai qual è stato uno dei miei doni?"

"...mh?"

"La pazienza, Enny. Tanta, tanta pazienza, per diventare un giorno un sovrano che non prenda decisione avventate e che sappia sopportare i periodi meno felici senza perdersi d'animo..."

"...e per sopportare me, è così?"

En si era voltato verso di lui e gli aveva preso le mani. Atsushi lo guardò con aria di rimprovero.

"Chissà."

L'altro si finse offeso.

"Vuoi dire che non valgo la pazienza che dimostri?"

Atsushi mantenne l'espressione accigliata.

"A volte."

"Come sei severo," fece En allacciandogli le braccia attorno alla vita e baciandolo.

Atsushi provò a fingere una blanda resistenza, che non durò più di qualche secondo, dopodiché incrociò le mani dietro il collo di En, lasciandosi spingere con le spalle contro il bordo roccioso della polla.

Quando le loro bocche si staccarono, avevano entrambi il respiro leggermente accelerato, e le labbra di En erano incurvate in un sorriso sornione.

"Ehi, che significa quell'espressione...?" chiese il principe in tono quasi preoccupato, ma anche con malcelata anticipazione.

En lo guardò con occhi socchiusi, accarezzandogli i fianchi sott'acqua, giocherellando attorno alle sue anche con le dita.

"Vorrei guadagnarmi la tua pazienza," spiegò, per poi afferrarlo saldamente alla vita e sollevarlo di peso, mettendolo a sedere sulla roccia davanti a lui.

Atsushi emise un'esclamazione sorpresa, aggrappandosi al collo dell'altro e poi poggiando una mano sulla pietra sotto di lui per non perdere l'equilibrio.

"E come...?"

En gli poggiò il mento contro lo stomaco, guardandolo da sotto in su. Per in attimo, l'affetto e l'adorazione nel suo sguardo presero il posto dell'aria sorniona ed Atsushi si chinò a baciarlo di nuovo. Quando rialzò la testa, sulle labbra di En era riapparso il sorriso, e per un lungo momento Atsushi prese coscienza di essere completamente nudo di fronte agli occhi dell'altro, e che il suo cuore stava battendo furiosamente sotto le costole, proprio lì dove le bocca di En stava indugiando a tormentargli la pelle.

Le mani del biondo scesero dai suoi fianchi alle sue cosce, scorrendo lungo il suo corpo bagnato fino alle ginocchia, spingendole lentamente di lato per fargli allargare le gambe, senza che i suoi occhi celesti abbandonassero mai quelli del compagno, per studiarne le reazioni.

Atsushi si morse un labbro e passò una mano tra i capelli di En, arruffandone le ciocche umide e sperando che quel gesto non tradisse l'impazienza che provava. Non erano nuovi a quei giochi, ormai - trascorrere intere giornate da soli aveva permesso loro di scoprire modi incredibilmente piacevoli di passare il tempo. Nonostante fosse ancora bagnata dell'acqua fresca della pozza, il principe poteva avvertire la sua pelle già bollente per l'anticipazione.

En leccò i piccoli rivoli di gocce che ancora gli scorrevano addosso, seguendone il tracciato lungo il petto e l'addome, indugiando a mordicchiare affettuosamente la pelle morbida attorno all'ombelico, godendo della tensione del corpo di Atsushi sotto le sue labbra.

Inavvertitamente, l'altro gli tirò appena i capelli, ed En sorrise avvertendo l'impazienza nel fremito delle sue dita.

Atsushi balbettò una scusa, ma questa si trasformò improvvisamente in un mugolio di piacere quando sentì En afferrargli saldamente le natiche e tirarlo verso di sé, mentre la sua bocca scendeva ancora.

Andava da sé che En valeva ogni singolo istante speso assieme a lui e che non aveva alcunché da dimostrargli, naturalmente, ma in quel momento Atsushi non l'avrebbe certo fermato per rassicuralo, pensò, mentre stringeva la presa sulla sua nuca e si dimenticava sia del sole che gli feriva gli occhi, sia della pietra spigolosa su cui era seduto.

 

~~~

 

I tre spiriti ed il wombato sedevano, meditabondi, nella stanza di Ryuu ed Io.

Lo spirito del fuoco stava a gambe incrociate sul suo letto disfatto, quello della terra sedeva compostamente sul suo, perfettamente rassettato - almeno fino al momento in cui Yumoto non ci si tuffò a capofitto, spiegazzando la coperta ben lisciata.

"Perché non vai a saltare sul tuo, di materasso?" chiese Io, irritato, ma l'altro ignorò il rimprovero, e lo spirito della terra tornò corrucciato alle carte che aveva in mano.

Senza prestare attenzione ai due, Ryuu sembrava perso nei suoi pensieri; schioccava ogni tanto le dita di fronte a sé, producendo piccole fiammelle che si spegnevano dopo un istante.

Wombato stava accucciato a terra, indugiando con le lunghe unghie nelle scanalature delle assi di legno del pavimento.

Yumoto, voltandosi a pancia in su, scoccò a tutti una lunga occhiata.

"Che musi lunghi, tutti quanti. È una bella giornata, oggi, e i demoni non si sono più fatti vivi. Non c'è ragione di deprimersi così."

"Perché non provi a vedere un po' più in là del tuo naso e a ragionare? Vedrai che troverai un bel po' di motivi per impensierirti," gli suggerì prontamente Wombato.

Ryuu sospirò, spegnendo con il respiro la fiamma che teneva in vita sul palmo della mano davanti a lui.

"Non so veramente come fare con la principessa," si lamentò. "Adesso che i demoni sanno di lei, è davvero un bel problema."

"Non avevate detto di essere riusciti a proteggerla da loro?"

Ryuu si massaggiò la nuca, un po' a disagio nell'essere interrogato così direttamente dal roditore rosa.

"Be', abbiamo fatto quello che era in nostro potere fare. Abbiamo lanciato degli incantesimi di protezione," rispose, "ma, accidenti, non sarebbe al sicuro da loro nemmeno se la portassimo con noi qui nella foresta!"

"È difficile sapere che misure di precauzione prendere, se non sappiamo come si muoveranno," aggiunse Io,

Ryuu scrollò le spalle.

"Non sono sicuro di voler scoprire i loro piani... Ma se volessero, potrebbero decidere usare la violenza, e ci sarebbe ben poco che possiamo fare, se succedesse. E se ci ricattassero prendendo in ostaggio la principessa...?"

Io scosse la testa.

"Non abbiamo idea di come agiranno quando si saranno ripresi. L'unica cosa certa è che non ci saranno più né lettere né incontri casuali al paese," mise in chiaro.

Ryuu emise uno sbuffo frustrato. Nonostante l'esito, non poteva dirsi pentito della loro spedizione al villaggio.

"Lo senti questo rumore, Io? È il bacio del vero amore che prende e vola via, fuori dalla finestra."

"Non possiamo mettere a repentaglio le vite di tutti per farli incontrare di nuovo," ribadì lo spirito della terra. "Spero quindi che tutte le tue moine nei confronti della principessa siano servite a qualcosa, Ryuu."

"Certo non le sono dispiaciute," replicò questo stringendosi nelle spalle. "Ora devo trovare un modo per mettere fine alla nostra corrispondenza senza che lei ci rimanga eccessivamente male, però. Detesto troncare con le ragazze."

Nel frattempo, Yumoto non sembrava eccessivamente impressionato dalla prospettiva. Aveva seguito senza far storie il piano elaborato da Ryuu, ma era ancora dell'idea che l'amore per En sarebbe arrivato e che la sua benedizione avrebbe funzionato anche senza tanti sotterfugi da parte loro.

"Basterà che En rimanga al sicuro e non si punga fino al calar del sole del giorno del suo compleanno," disse come se si trattasse della cosa più semplice al mondo.

Gli altri due spiriti ed il wombato annuirono, ma senza molta convinzione. La magia di Kinshiro era potente, non potevano negarlo. Anche quando l'avevano affrontato nella foresta, ci era mancato un soffio perché il demone non avesse la meglio e non portasse via En.

Lo spirito della luce, che stava a sua volta ripensando alla disperata battaglia che aveva condotto contro il loro avversario, sapeva che, se non fosse stato per il provvidenziale intervento degli altri due, l'altro avrebbe finito col sopraffarlo.

"Eppure sono sempre più convinto che ci sia qualcosa che non va in Kinshiro..."

"Ancora con questa storia?" Ryuu suonava spazientito. "Non mi interessa che cos'ha quel demone, che si decida a lasciarci in pace!"

Io scacciò il pensiero con un gesto noncurante della mano.

"Non è così inusuale per uno spirito abbracciare la magia nera, così come hanno fatto quei tre."

Wombato arricciò il naso, curioso.

"Tutti e tre?"

Ryuu annuì, stringendosi nelle spalle.

"Akoya era uno spirito dei fiori. Me lo ricordo ancora, sempre petulante e vanitoso, non stava particolarmente simpatico a nessuno perché faceva di tutto per accaparrarsi i posti migliori per i suoi boccioli, vantandosi poi che erano i più belli che ci fossero - sfido io...!"

"E il terzo?"

"Ibushi era uno spirito del vento. Un tipo tranquillo. Non ne sapevo granché nemmeno prima," rispose Io. "Quel che si sa, invece, è che ad un tratto tutti e tre sparirono e di loro non si seppe più nulla, fino a che non ricomparvero sotto forma di demoni."

Yumoto si stava picchiettando le labbra, pensieroso.

"Kinshiro era uno spirito della luce, eppure adesso può controllare solo le tenebre o manifestazioni violente della luce stessa, come i fulmini dell'altro giorno..." ragionò a voce alta.

Ryuu seguì il filo dei suoi pensieri, perplesso. "...ma sia Akoya che Ibushi hanno perfetto controllo sui loro elementi... Be', più o meno." Si corresse, ripensando ai rovi che avevano tentato di soffocarli nella foresta; certo non erano i delicati boccioli di cui Akoya tanto si vantava.

Yumoto si abbracciò le ginocchia, dondolandosi lentamente avanti ed indietro.

"Mi chiedo se non ci sia un modo per riportarlo indietro."

Io aggrottò le sopracciglia.

"Yumoto, ti ricordo che la nostra missione non è quella di aiutare quel demone, ma quella di mantenere il principe sano e salvo."

I suoi occhi violetti si posarono sugli altri due spiriti.

"Quando il Re e la Regina sapranno che cos'è successo al villaggio, non ne saranno contenti."

Ryuu lo guardò con sguardo innocente.

"Hanno davvero bisogno di saperlo...?"

Io lo osservò, un angolo della bocca piegato all'insù, pensieroso.

"Non necessariamente e non subito, in effetti," ammise alla fine, "anche perché sembra che la loro pazienza sia già stata messa a dura prova."

Prese la pergamena che aveva in mano e la stese di fronte a sé. Il sigillo della famiglia reale Yufuin era ben visibile in cima al foglio.

"Vogliono vedere il figlio al più presto; soprattutto, vogliono che sia portato a palazzo prima del suo diciottesimo compleanno."

Wombato storse il naso.

"Che senso ha? Sanno che è pericoloso!"

Io si strinse nelle spalle, spostando il foglio in modo che sia Yumoto che Ryuu, che era venuto a sedersi accanto a lui, potessero leggerne il contenuto.

"Sembra che siano stufi di aspettare," spiegò lo spirito del fuoco, scorrendo la lettera, "e menzionano di aver chiamato degli stregoni per combattere i demoni, se se ne dovesse presentare la necessità," terminò, accomodandosi a gambe incrociate sul bordo del materasso.

"Deve mancargli proprio tanto," sospirò Yumoto, un gomito appoggiato sulla spalla di Io e l'altro su quella di Ryuu. Non c'era da sorprendersi che, con ogni giorno che passava, i due sovrani fossero sempre più impazienti di rivedere il loro unico figlio ed erede.

"Dovremo andare a parlarci personalmente al più presto, per cercare di trovare una soluzione."

Ryuu annuì, concordando con Io.

"Possiamo creare una barriera simile a questa a palazzo, dove En possa stare al sicuro," ragionò ad alta voce. "Anche se, finché quei demoni gli staranno appresso, maledizione o non maledizione, non sarà mai davvero in salvo."

Yumoto annuì con un sospiro. Inizialmente, erano stati sollevati all'idea del passare del tempo. Vedere En crescere, imparare a parlare e a camminare nella tranquillità di quella casetta in mezzo al bosco incantato aveva fatto dimenticare loro che il pericolo, nel mondo esterno, era sempre in agguato, e che la situazione si sarebbe solo complicata, man mano che il suo diciottesimo compleanno si avvicinava. Ora che era prossimo, si rendevano conto di non essere pronti ad affrontare la rabbia di Kinshiro, ancora così feroce pur dopo tutti gli anni passati.

D'altro canto, poi...

Il silenzio fu interrotto dal rumore di passi che salivano le scale. Io si affrettò a nascondere la pergamena, ma tutti tirarono un sospiro di sollievo quando udirono bussare alla porta della stanza, assieme alla voce di Gora che si annunciava.

L'uomo aveva in mano un vassoio di biscotti che poggiò sul tavolo sotto la finestra, per la felicità di Yumoto. Squadrò i visi pensierosi degli altri due spiriti ed incrociò le braccia sul petto.

"Non buone notizie, immagino."

Io gli allungò la pergamena senza parlare, lasciando che la leggesse in silenzio. Il boscaiolo dai capelli rossi si accarezzò la barba, meditabondo.

"Riuscite ad immaginarvelo, En, incoronato e su un trono?" chiese alla fine, spiazzandoli un poco. Ma quella domanda li riportò a dove i loro pensieri si erano interrotti poco prima.

"No," fu la risposta di Io.

"Sono sicuro che il cuginone sarà un bravissimo principe!"

"Quel ragazzo sa fare bene le cose, se ci si mette d'impegno," concordò Gora. Nel dirlo, però, aveva un sorriso triste.

"Ehi, fratellone, hai deciso che cosa farai poi...?" gli chiese Yumoto dopo aver finito di ingoiare l'ennesimo biscotto. Nei suoi occhi c'era una muta speranza.

"Hai visto, nella lettera i sovrani ribadiscono l'invito a venire a vivere a corte," puntualizzò Io.

Gora si grattò nervosamente la base della nuca, abbassando lo sguardo.

"Sì, lo so. Ma... non credo che il palazzo sia il posto adatto a me."

Yumoto, dimentico dei biscotti, si fiondò al suo fianco per aggrapparglisi ad un braccio.

"Eeeh? Ma che ne sarà di te, allora? Rimarrai qui tutto solo?"

Gora allungò una mano ad arruffargli i capelli. Lo spirito della luce, in anni umani, era senz'altro più vecchio del boscaiolo, ma visto il suo carattere infantile l'uomo aveva preso alla lettera il ruolo di fratello maggiore nei suoi confronti.

"Non preoccuparti per me, Yumoto, avete ben altro a cui pensare in questo momento," gli fece notare, ma l'altro non sembrava intenzionato a mollare la presa.

"Prometti che ci ripenserai, d'accordo?"

"Va bene, va bene... Nel frattempo, che ne dici di aiutarmi a preparare il pranzo?"

La prospettiva ebbe il potere di trasformare l'espressione di Yumoto dal broncio al sorriso, e lo spirito accompagnò l'uomo giù dalle scale con entusiasmo. Wombato seguì a ruota, nella speranza di riuscire a spizzicare qualcosa durante i preparativi.

Ryuu sospirò, rattristato dalla scenetta.

"Anche il nostro tempo qui in questa casetta sta per finire," fece, appoggiando la testa alla spalla di Io con fare nostalgico. "Diciotto anni sembravano un'eternità, all'inizio, e invece... Non ti fa salire la malinconia?"

"Una volta finito qui, vedremo la nostra ricompensa," fu la risposta, "inoltre, potremo smettere di giocare alla mamma e al papà. Non sono ruoli che mi si confanno molto."

Ryuu rise, allacciando il braccio a quello dell'altro spirito.

"Non abbiamo mai provato ad essere davvero dei genitori, a dire il vero. Comunque, sai, pensavo che mi sarei annoiato da morire a stare rinchiuso qui, ma tutto sommato è stato, uhm..." Ryuu cercò di trovare la parola giusta, senza trovarla. "...divertente."

Io continuava a non dare segno di voler cedere a quel momento di spontanea tenerezza.

"Ora che non dovrai più scrivere alla principessa, potrai tornare a dedicarti alle tue ninfe," fece, con un gesto vago della mano.

Ryuu sbuffò, ma si strinse di più all'altro, voltandosi verso di lui. Io appariva corrucciato e stava fissando un punto a caso nella stanza.

"Potrei, ma non credo lo farò. Ci pensavo proprio in questi giorni e ho realizzato che non mi sono mancate poi molto, sai?"

Non avrebbe saputo dire esattamente quando questo fosse successo, ma c'era stato un momento in cui aveva capito che tutta quella sua corrispondenza non era che un gioco in cui aveva perso interesse, ormai.

Adesso che mancava così poco a quando avrebbero dovuto abbandonare quella casetta, si rendeva conto che la loro routine quotidiana gli sarebbe mancata sul serio, invece, e che avrebbe avuto davvero nostalgia di quel piccolo rifugio nella foresta, della pigrizia di En, dell'esaltazione di Yumoto e, soprattutto, di Io.

Era un pensiero sciocco, perché nessuno di loro sarebbe sparito, anzi, avrebbe potuto continuare a vederli quando avesse voluto. Solo, non sarebbe stata la stessa cosa, ed a Ryuu sarebbe mancato svegliarsi ogni mattina e dare il buongiorno al suo improvvisato compagno di stanza, più di quanto si sarebbe mai aspettato.

"In questi diciassette anni sono cambiate così tante cose, non sei d'accordo?"

Guardò l'altro di sottecchi, improvvisamente ben consapevole di quanto gli si fosse premuto addosso, ma per niente intenzionato a staccarsi da lui.

Io aveva un'espressione seria, pensosa, e Ryuu si trovò a scorrere con gli occhi il suo profilo, chiedendosi se anche a lui sarebbe mancato tutto quello che avevano ora.

"Potresti avere ragione," disse Io finalmente e fece per voltarsi verso lo spirito del fuoco, che si ritrovò a trattenere inconsapevolmente il respiro. Mentre si spostava, la sua mano sfiorò inavvertitamente quella dell'altro. Fu un tocco leggero, casuale, ma Ryuu sobbalzò, come attraversato da una scossa. Vicino a loro, la pergamena contenente il messaggio dei sovrani prese improvvisamente fuoco, lasciandoli entrambi esterrefatti.

"Oh- oh no!" ripresosi, Ryuu si tuffò a spegnere le fiamme prima che la lettera ne venisse consumata.

"Ryuu, che cosa combini...?"

I due si guardarono per un lungo istante: da una parte, Io sembrava confuso, dall'altra, Ryuu era scarlatto in volto ed assolutamente imbarazzato per quanto successo, perché ne intuiva il significato.

Ma no, certamente era solo colpa di quella strana atmosfera malinconica che si era creata nella sua testa e del fatto che quel tocco lieve lo avesse colto alla sprovvista...

Il suo turbinare di pensieri venne però interrotto da una serie di tonfi su per le scale e dalla porta che si spalancò improvvisamente, aprendosi su di uno Yumoto tutto sorridente.

"Ryuu! Gora è andato a recuperare della legna e io non riesco ad accendere il fuoco, lo puoi fare tu? ...oh, avete bruciato qualcosa?"

Lo spirito dai capelli rosa fissò Yumoto incredulo, ma poi saltò in piedi.

"Niente di cui preoccuparsi! Vengo con te!" esclamò per poi seguirlo al piano di sotto, lasciando Io solo nella stanza, imbarazzato e tremendamente confuso.

 

~~~

 

Il profumo delle rose ristagnava, dolciastro, nei corridoi verdi del labirinto. Nemmeno l'ombra di quelle siepi aiutava a tenere a bada la calura del pomeriggio; l'odore dei fiori era appiccicoso, quasi eccessivo.

Akoya si scostò una ciocca di capelli dal viso, pettinandosela dietro l'orecchio con fastidio, mentre con le dita dell'altra mano accarezzava i petali morbidi e carnosi. Non sudava, ma la temperatura torrida lo metteva a disagio, lasciandogli addosso una sensazione di sporco.

Sbatté le palpebre un paio di volte quando un improvviso refolo di brezza fece fremere la rosa sotto i suoi polpastrelli, regalandogli un attimo di sollievo.

"Come va?" chiese, girandosi solo in un secondo momento per vedere Ibushi avanzare in mezzo alle siepi.

"Sembra stare un po' meglio, fisicamente."

Akoya sollevò le sopracciglia, aspettandosi una continuazione, che tuttavia non venne.

"...ma?"

Ibushi sollevò le mani con un sorriso di scusa.

"Non si riesce ad ottenere granché, parlandogli," spiegò, "l'unica cosa chiara è che vuole abbandonare questo posto."

Akoya sbuffò.

"Proprio adesso che avevamo finito di potenziare tutti gli incantesimi di protezione..."

C'era da immaginarsi che Kinshiro non avrebbe voluto rimanere in quella villa più a lungo del necessario. Del resto, ora che avevano finalmente trovato il principe che stavano cercando, continuare in quella recita era del tutto inutile.

"Forse ti conviene andare a salutare la principessa," suggerì l'altro con un sorriso tranquillo.

Akoya si strinse nelle spalle con fare infastidito.

"Non m'importa," disse subito, per poi aggiungere, un poco più incerto: "...e comunque quegli spiriti sono stati da lei, le hanno lanciato delle benedizioni per proteggerla da noi. Non sarebbe saggio."

Ibushi annuì. Com'era da aspettarsi, i tre non avevano perso tempo.

"Mi dispiace che tu non sia riuscito a salutarla di persona."

"Come ho già detto, non m'importa."

"Le puoi mandare una lettera, però."

Akoya si strinse di nuovo nelle spalle, nuovamente intento ad osservare le rose.

Ibushi sospirò. Era abituato ad avere a che fare con due testardi, ma, per come stavano le cose adesso, non si sarebbe lamentato se Akoya si fosse dimostrato un poco meno sulle sue e più collaborativo. Pazienza, comunque, i due demoni erano fatti così ed Ibushi lo aveva accettato da tempo.

"Sarà un peccato abbandonare questo labirinto. Ci abbiamo messo così tanto a costruirlo..."

L'altro annuì, stavolta pienamente d'accordo.

"Non importa, c'è quello su al nostro vecchio castello. Avrà bisogno di una bella sistemata, dopo tutto questo tempo, ma tra me e te non dovremmo metterci molto."

"Non ce sarà bisogno, credo. Kinshiro ha detto che vuole tenerlo con sé, ora."

Nel pronunciare quelle parole, Ibushi non poté nascondere una lieve smorfia, subito riflessa sulle labbra delicate di Akoya.

"Credevo che lo volesse tenere lontano."

Il demone più alto si strinse nelle spalle.

"Ha cambiato idea, a quanto pare. Sto andando a prenderlo, adesso."

Akoya annuì, ma sembrava perplesso, preoccupato, quasi.

"Quella ...cosa sta diventando più potente, lo senti anche tu, non è vero?" chiese, portandosi inconsciamente una mano al petto.

Ibushi si accarezzò il mento.

"Da quando Kinshiro ha assistito a quella scena al villaggio..." si interruppe, colto da una sensazione improvvisa. Di fronte a lui, anche Akoya si era improvvisamente concentrato, in allerta.

"Qualcuno al cancello," fecero quasi all'unisono, guardandosi. L'incantesimo di protezione li aveva avvertiti di una presenza estranea.

"Non una creatura magica, sembrerebbe," aggiunse Akoya, cercando di non dare a vedere di essere sollevato alla scoperta.

Nonostante ciò, Ibushi venne colto da un improvviso presentimento, che gli fece sentire il cuore pesante come il piombo.

"Sarà qualche visitatore. Non preoccuparti, ci penso io; dopotutto, finché siamo qui devo sempre ricoprire il mio ruolo di maggiordomo, no?"

 

La stretta al petto non si alleviò quando vide che, al di là del cancello sprangato, c'era esattamente chi si aspettava di vedere: il principe Atsushi, con in mano le redini del suo cavallo e in volto un'espressione preoccupata. Era la prima volta che trovava l'ingresso al giardino della villa chiuso e si era messo a chiamare, senza risultato. Il sollievo sul suo viso fu evidente non appena scorse Ibushi emergere dalle rigogliose piante del giardino.

"Ah, signor Ibushi! Ero preoccupato!"

Il sorriso del principe nel vederlo era genuino.

"Mio Principe, buonasera," rispose con gentilezza e con un lieve inchino. "Posso esservi utile?"

Da sollevata, l'espressione del principe si fece perplessa quando il maggiordomo non diede segno di aprire il cancello.

"Io... mi chiedevo se andasse tutto bene. Avrei dovuto incontrare Kinshiro, ieri sera, ma non si è fatto vedere né mi ha fatto sapere niente, così..."

Ibushi gli rivolse un sorriso di scusa.

"Il mio signore ha dovuto tornare in fretta a casa per sbrigare degli affari urgenti."

Atsushi corrucciò le sopracciglia - così urgenti da non consentirgli nemmeno di lasciargli una nota o un messaggio?

"Mi dispiace. Spero non sia niente di grave," disse comunque, cercando sul volto di Ibushi un qualsiasi indizio che gli lasciasse comprendere l'entità del problema, ma l'espressione tranquilla dell'altro non lasciava trapelare alcunché.

"Pensate si tratterrà lontano a lungo?"

Il sorriso di Ibushi si addolcì.

"Non credo rientrerà, mio Principe."

Atsushi deglutì a vuoto. Era come se Ibushi avesse tralasciato la fine della frase, una fine che suonava esattamente come le parole "mai più".

Gli occhi del ragazzo vagarono da Ibushi al giardino alle mura della villa, ma non c'era nessuno all'infuori di loro.

"Capisco."

No, non era vero, non capiva affatto, e quel che era peggio era che aveva il terribile sospetto che Ibushi non gli stesse dicendo la verità. Ma che diritto aveva di insistere, se non voleva dirgli altro? Conoscendolo, si limitava a comunicargli ciò che gli era stato ordinato di riferire.

Il maggiordomo lo guardava con la solita espressione cortese, ma si era leggermente irrigidito, quasi a far capire che stava solo aspettando il commiato del principe per poter tornare alle sue faccende.

"Potete chiedergli di scrivermi, per favore?"

Ibushi sembrò sorpreso dalla richiesta, ma poi annuì lentamente.

"Posso chiederglielo."

Atsushi annuì, rigido. Ibushi forse voleva far suonare questa risposta come un "lo farà", ma la frase aveva un significato ben diverso nella mente del principe: poteva chiederglielo, ma non significava che l'avrebbe fatto; inoltre, se anche gli avesse riportato il suo messaggio, ciò non significava nemmeno che Kinshiro gli avrebbe scritto.

Dopo qualche momento di silenzio, Ibushi tornò a rivolgergli il breve inchino con cui lo aveva salutato.

"Buona sera, Principe," lo salutò, facendo qualche passo indietro.

Preso alla sprovvista, Atsushi annuì e si accomiatò a sua volta.

Il ragazzo risalì in sella e voltò il cavallo per tornare a casa. Chissà, forse se quella mattina fosse passato dalla villa prima di raggiungere En nel bosco, sarebbe riuscito a salutare Kinshiro. Ah, si era dimenticato di chiedere al signor Ibushi quando era partito esattamente... Ma che differenza faceva, ora, saperlo? Si sarebbe mangiato le mani inutilmente.

Sovrappensiero, alzò gli occhi verso la villa, e d'istinto il suo sguardo andò alle finestre del salotto dove lui e Kinshiro trascorrevano i pomeriggi a leggere e giocare a scacchi. Erano chiuse e vuote, naturalmente, ma il principe vi si soffermò comunque. Che cosa non avrebbe dato per poter parlare con l'amico, quella sera...

Il movimento di un'ombra catturò la sua attenzione ed Atsushi alzò gli occhi alle finestre al piano di sopra, e sentì lo stomaco congelarglisi.

Quella era la stanza da letto di Kinshiro e quella dietro al vetro, Atsushi non poteva sbagliarsi, era la sua sagoma. Stava guardando fuori, in quel momento, poteva dirlo dalla sua posizione.

Il principe avrebbe voluto alzare una mano per salutarlo, ma i muscoli del braccio non gli obbedirono. Prima che potesse fare alcunché, la tenda venne bruscamente tirata.

Confuso, si voltò di scatto verso il cancello, ma Ibushi era svanito.

Gli ci volle qualche minuto prima di convincersi ad andare via; le sue mani, che stringevano quasi spasmodicamente le briglie del cavallo, tremavano leggermente.


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Note: con questo capitolo ho alzato un po' il rating della fanfiction, spero la cosa non dispiaccia~
Grazie come sempre alla mia beta Yuki, che dà più che validi consigli <3

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Capitolo 9
*** Il temporale ***


Capitolo IX

Il temporale



 
Dopo aver riletto le due facciate introduttive, Atsushi appoggiò il libro sul tavolo. Quel volume gli era stato regalato da Kinshiro non più tardi dell'estate scorsa e le prime pagine erano interamente ricoperte dalla sua scrittura curata ed elegante. Certo il ragazzo aveva una grande creatività quando si trattava di dediche, pensò Atsushi scorrendolo nuovamente da capo a fondo.

Nell'ultima pagina, proprio sotto la parola "fine", c'era invece qualche parola nella calligrafia di En: "carino ma l'inizio era noioso". Ecco, lui invece non amava sprecarsi in commenti, si disse Atsushi, richiudendo il romanzo e ributtandosi indietro sul letto
Nonostante il sole fosse già alto nel cielo, era ancora in camicia da notte. La sera prima era stata luna nuova e il principe, come ogni novilunio estivo da quando aveva memoria, era uscito di casa con il buio ed aveva raggiunto il suo punto di incontro con Kinshiro.

Perché lo avesse fatto non era chiaro nemmeno a lui; la villa di Kinshiro era vuota, lo sapeva bene perché vi aveva fatto ritorno più e più volte. Finestre e porte erano chiuse ed il giardino, che aveva sempre visto meticolosamente curato ed in ordine, stava lentamente diventando un groviglio di erbacce e rami disordinati.

Da qualche parte dentro di sé, però, Atsushi era segretamente sollevato da tale fatto. Ciò spiegava razionalmente perché non avesse più visto Kin e perché l'amico non si fosse presentato all'appuntamento nemmeno la notte di novilunio precedente. Con quello della notte prima, erano tre gli incontri a cui l'altro non era venuto, ed Atsushi avrebbe voluto, oh, avrebbe disperatamente desiderato credere a quanto riferitogli da Ibushi quella sera - Kinshiro aveva importanti affari da sbrigare ed era per questo che se n'era andato.

Una parte di Atsushi si diceva che tutto ciò era perfettamente razionale, che doveva essere esattamente così, perché Ibushi senz'altro non avrebbe avuto motivo alcuno di mentirgli, non l'aveva mai fatto e non aveva ragione di farlo ora. Eppure, il principe sapeva fin troppo bene di non essersi sognato Kinshiro dietro la finestra della sua stanza, quella sera. Inoltre, si chiedeva se davvero quegli affari urgenti ed improrogabili gli impedissero di scrivergli.

Si sentiva in colpa. Non sapeva per che cosa, ma non riusciva a scollarsi di dosso la sensazione che, quando quel giorno Kinshiro non si era sporto alla finestra anche solo per un semplice saluto, fosse stato a causa sua. Atsushi non sapeva spiegarsi il perché, era accaduto tutto così velocemente che non riusciva a trovare un motivo a cui imputare il repentino cambiamento e la fuga (poteva definirla così?) dell'amico dalla sua vita.

Forse, la notte prima si era comunque recato nel loro consueto luogo di ritrovo perché voleva sentirsi meno in colpa. Per poter dire di essere andato, nonostante sapesse che l'altro non si sarebbe presentato.

Nonostante questo, non si sentiva a posto con la sua coscienza.

Si alzò e si decise a vestirsi. Quella mattina aveva appuntamento con En ed arrivare in ritardo non lo avrebbe certo aiutato a lenire i sensi di colpa.

Si infilò i pantaloni e chiuse la cintura - da qualche tempo, ormai, doveva far passare la punta della fibbia nel buco successivo. Diede un veloce sguardo allo specchio: qui e là, la stoffa dei vestiti si ingolfava formando brutte pieghe. Il principe sospirò e distolse lo sguardo immediatamente.

Sua madre si sarebbe spazientita, quando fosse tornato a casa. Avrebbe dovuto chiedere ai sarti di stringergli gli abiti per il ballo e questo avrebbe ritardato i preparativi e l'avrebbe mandata in ansia.
Finì di allacciarsi la camicia e sgattaiolò nelle cucine per rimediare il pranzo per sé e per En.

Era così facile, qui nella loro residenza estiva: non aveva camerieri che lo rincorrevano tutto il giorno, poteva vestirsi da sé evitando che questi se ne uscissero con "siete diventato troppo magro, altezza, questo non vi va più bene" e cose del genere. Peccato solo che a giorni sarebbe dovuto rientrare a casa e che la cosa gli dispiacesse parecchio.

Come tutte le estati, gli piangeva il cuore a doversene andare da lì, sia per la perdita di libertà che conseguiva al suo ritorno a corte, sia perché si aprivano davanti a lui lunghissimi mesi senza la compagnia di En (e, quest'anno, la prospettiva era più dolorosa che mai).

A peggiorare la situazione, questa volta, c'era anche la prospettiva di ciò che lo attendeva una volta rientrato a palazzo: già da tempo era considerato abbastanza grande da partecipare a tutti gli eventi ufficiali, ed ora lo sarebbe stato anche per quelli mondani di palazzo. I primi non erano mai stati un problema, per Atsushi: non aveva mai ricoperto ruoli attivi al loro interno, quindi il dover semplicemente presenziare alle cerimonie, rimanendo in piedi ed in silenzio, era qualcosa che poteva fare facilmente.

Al contrario, il pensiero di dover iniziare a prendere parte alle varie feste di corte lo rendeva parecchio nervoso.

Ci sarebbe stata una lunga fila di nobili in trepida attesa di conoscerlo ed un’altra, forse non altrettanto lunga ma probabilmente più pericolosa, di giovani eredi in età da marito, ansiose di accaparrarsi le attenzioni del principe. Lui avrebbe dovuto sorridere a tutti, invitare dame a ballare ed essere costantemente al centro dell'attenzione.

Atsushi non era pronto, non lo sarebbe mai stato.

Ecco, ora più che mai avrebbe voluto avere vicino Kinshiro - lui , sempre così raffinato e controllato, sarebbe certo stato in grado di dargli qualche consiglio su come districarsi in situazioni del genere. Ma Kinshiro non c'era, e l'unica persona con cui poteva parlare liberamente di ciò che lo preoccupava non sapeva assolutamente niente di balli di corte.
 
 
~~~
 
 
Era una splendida mattinata di fine estate, il tipo di giornata che aveva sempre il potere di mettere Gora di buon umore. Da quando si era alzato, all'alba, aveva già fatto molto - il bel tempo e la consapevolezza di star lavorando di buona lena per la sua particolare famiglia lo rendevano ancora più propenso a darsi da fare, quindi fu con piglio energico che fece la sua comparsa in cucina, con sottobraccio una cesta di legna.

En, che stava tagliando delle fette di pane, si voltò appena quando si accorse che era entrato.

"Buongiorno."

"'giorno."

En si mise d'impegno ad affettare del formaggio.

"Ehi, se hai la pazienza di aspettare un attimo, posso prepararti un pranzo come si deve," si offrì Gora vedendo che il ragazzo stava impacchettando il tutto.

En si strinse nelle spalle. "No, non fa niente."

L'altro sorrise tra sé e sé, mettendo a posto la legna vicino alla stufa e scegliendo il coltello con cui tagliare le verdure per lo stufato. Da quando era stato grande abbastanza da andarsene in giro per conto suo, En si era sempre comportato così - troppo pigro per cucinare qualcosa da sé, ma non abbastanza viziato da pretendere che tutto fosse pronto esclusivamente per lui.

"Non ho visto Io e Ryuu stamattina," se ne uscì ad un certo punto il ragazzo, che si era appena infilato in bocca un'altra fetta di pane ben spalmata di conserva di albicocche. Nonostante l'ora, Gora sapeva bene che quella era la colazione del ragazzo.

"Oggi era il loro turno di andare a caccia, non ricordi?" rispose il più anziano, affettando con dovizia una carota.

Non era così, in realtà: i due spiriti si erano diretti alla capitale del regno, come avevano fatto già più di una volta quell'estate, dopo l'incidente con i demoni. Gora non era sicuro di quello che stavano facendo esattamente, ma sapeva che si stavano adoperando al meglio per garantire che il principe potesse tornare a casa in tutta sicurezza.

"Capito. Be', ciao," si accomiatò il ragazzo, prendendo il suo sacchetto di provviste e uscendo dalla porta. In quella, incrociò un saltellante Yumoto che salutò il ragazzo più alto con un sorriso luminoso.

"Dove vai di bello, cuginone?"

"In giro," bofonchiò l'altro arruffandogli frettolosamente i capelli.

"Torna prima del tramonto, mi raccomando," fece Gora ed En, a dar segno che aveva capito, si limitò ad alzare la mano per un ultimo saluto.

Gora sospirò e tornò alle sue carote, mentre Yumoto si accomodava al tavolo per ficcarsi in bocca una generosa cucchiaiata di conserva di albicocche.

"È una buona cosa che En sia così tranquillo ed a suo agio," osservò il boscaiolo. Sembrava davvero che il ragazzo non percepisse il clima di preoccupazione che ultimamente aleggiava in casa, ma era senz'altro meglio così. Trascorrendo la maggior parte del suo tempo a zonzo, inoltre, non rischiava di origliare i discorsi degli spiriti.

"Vero? Vorrei che rimanesse spensierato il più a lungo possibile," concordò Yumoto scavando col cucchiaio nel vasetto della conserva. "Spero che sarà felice, una volta tornato a casa," aggiunse fissando con mestizia il barattolo ormai vuoto.

Gora annuì; anche lui desiderava lo stesso, naturalmente. Per En era facile qui, dove non aveva responsabilità o doveri e poteva semplicemente andarsene a zonzo come gli pareva e piaceva, ma l'anno seguente, a quella stessa ora, En si sarebbe ritrovato ben lontano dal bosco che era diventato casa sua, con una corona in testa... Nonostante Gora si fosse dichiarato sicuro che il ragazzo sarebbe stato più che all'altezza del compito, non per questo pensava che sarebbe stato semplice.

"Tu, Io e Ryuu sarete comunque al suo fianco," disse quindi l'uomo. "Sono certo che questo gli permetterà di abituarsi in fretta."

"Ci sarai anche tu!" Yumoto lo corresse, puntandogli contro il cucchiaio tirato a lucido.

Gora sorrise e buttò le verdure che aveva affettato nel paiolo, per poi aggiungere qualche spezia. En era ancora molto giovane, e in un modo o nell'altro, alla fine, si sarebbe abituato alla vita di corte - e certo l'adattamento sarebbe stato decisamente più facile per lui che non per Gora, pensò quest'ultimo.
 
 
~~~
 
 
Atsushi si esibì in una riverenza un po' goffa e porse la mano verso En.

"Mi concedete questo ballo?"

En spostò il peso da un piede all'altro, incerto.

"Che domande, ovvio," rispose quindi.

Atsushi sollevò la testa di scatto, vagamente rosso in volto.

"Mettici un po' più di impegno, per favore!"

"Atsushi, non sono mai stato ad un ballo di corte, non ho idea di come si faccia," obiettò En, un po' perplesso e un po' divertito.

"Be', inventati qualcosa, allora," sollecitò il principe, tornando ad inchinarsi. Forse chiedere ad En di fargli da dama per "allenarsi" in vista del ballo non era la più geniale delle trovate, visto che non sembrava prendere la sua parte troppo sul serio, ma non aveva assolutamente nessun altro a cui rivolgersi.

"Facciamo finta che sia anch'io una dama al suo debutto a corte, d'accordo? Voglio dire, non sarai mica l'unico."

Atsushi sembrò pensarci su per un momento e poi annuì.

"Probabilmente no, ma se saremo in due a non sapere che cosa fare, non voglio nemmeno pensare al disastro che potrebbe venirne fuori," ragionò.

"Non essere così pessimista," rispose En tutto serio. Poi piegò la testa da un lato, con aria fintamente sorpresa. "Oh, un principe sconosciuto mi chiede di danzare, potrò mai fidarmi?" fece con tono teatrale, allungando la mano fino ad appoggiarla su quella dell'altro.

Atsushi inarcò le sopracciglia, posando le dita sulla vita di En e cominciando a muovere i primi passi.

"Pensavo ci conoscessimo già."

"Davvero?" En lo guardò sorpreso, tentando di seguirne i movimenti. "Non mi pare, eppure sono sicuro che mi ricorderei di un principe così affascinante."

Atsushi non batté ciglio. "Avete una pessima memoria allora, perché siete stato voi a dirmelo."

"A dirvi cosa?"

"Che mi avete incontrato in sogno."

Ad En sfuggì un sorriso. "Te lo ricordi."

"Ho una buona memoria, io."

 "Ecco il mio Atsushi, ha sempre la situazione sotto controllo," En sorrise, posando la mano libera sul fianco del suo cavaliere e calpestandogli un piede senza volere.

Atsushi fece una smorfia, tentando di non perdere il ritmo.

"Non mi pare proprio... Su, segui i miei passi, non è così difficile. Un, due, tre..."

En sospirò, pettinandosi i capelli all'indietro e cercando di spiare i movimenti delle gambe dell'altro. Aveva sempre pensato che ballare fosse un divertimento, invece richiedeva tutta la sua attenzione e, soprattutto, uno sforzo fisico notevole.

"Manca la musica," fece notare ad un tratto.

"Be', non posso certo portarmi dietro un'orchestra," replicò il principe, allungando un braccio e spingendo gentilmente En a fare una giravolta su se stesso.

"Puoi cantare tu una canzone," propose En finendo la sua piroetta e tornando a guardarlo negli occhi.

La proposta colse Atsushi di sorpresa. "Non so cantare."

"Ma prendevi lezioni di musica, me l'hai detto tu."

En si era dimenticato di fare attenzione a dove posava i piedi e, nel tentativo di portare a termine un giro piuttosto complicato, i due ragazzi finirono con l'accavallare le gambe in modo tale che alla fine si trovarono incastrati. Atsushi si liberò con un saltello, ma inciampò in un radice e poi nella caviglia di En, che fortunatamente fu lesto a trattenerlo per la vita.

"Erano lezioni di violino," replicò il principe senza riuscire a nascondere una certa frustrazione nella voce.

"Be', è sempre musica."

"Non è la stessa cosa," sospirò Atsushi, conducendo il suo compagno in una zona priva di radici.

"Per piacere?"

Atsushi scrollò le spalle, arrendendosi. "Tu concentrati sui passi però, va bene? Altrimenti non mi sei di molto aiuto."

En annuì, obbediente, ed Atsushi si mise a canticchiare il tema di una danza lenta e dolce. Era una melodia dal ritmo facile da seguire ed En, ora davvero attento a duplicare i movimenti del principe, si ritrovò ad andarle dietro con inaspettata scioltezza.

Attorno a loro, si era sollevato un vento umido che prometteva pioggia. Nonostante il ritmo dettato da Atsushi fosse gentile, ad En sembrava di muoversi quasi spasmodicamente - era difficile star dietro a tutto, ai passi, alle braccia, alle spinte con cui l'altro gli indicava i movimenti da eseguire. L'aria, poi, gli scompigliava i capelli e gli scivolava addosso, strattonandogli i vestiti come se stesse correndo o saltando.

Atsushi canticchiava piano, con voce leggermente roca, quasi senza fiato per lo sforzo di dover condurre la danza e cantare allo stesso tempo.

Era bravo, pensò En, e glielo disse. Al suo complimento, l'altro sorrise.

En se lo immaginò vestito come lo aveva visto quel giorno al villaggio: un vero principe, attorniato dalla folla di nobili e cortigiane, tutti ugualmente sfavillanti e ricoperti di gioielli ed oro - Atsushi, uno smeraldo in mezzo a un arcobaleno di pietre preziose, bellissimo ed adorabilmente impacciato. En si avvicinò a lui nella danza, circondandogli la vita con il braccio e poggiando la fronte contro la sua.

Chi non se ne sarebbe innamorato, danzando con lui? En non apparteneva a quella miriade di nobili che l'avrebbero circondato, non avrebbe mai potuto appartenervi, così come non sarebbe potuto essere con Atsushi la sera del ballo.

La danza era rallentata, ora, e i due si muovevano in circolo, quasi girando su se stessi. Attorno a loro, l’aria faceva fischiare le chiome dei faggi e gli rovesciava addosso le prime foglie secche.

"I tuoi genitori ti faranno sposare una principessa, come nelle storie?" En sussurrò all'orecchio dell'altro.

Il vento si era fatto insistente, pregno dell'odore dell'acqua. In lontananza, si udì il primo tuono.

Atsushi alzò gli occhi su En. Per un momento, in mezzo alle ciocche di capelli scompigliati, l'altro vi colse un lampo di paura, ma poi il principe gli sorrise.

"Non finché mia sorella non sarà stata data in sposa a qualcuno," lo rassicurò e si strinse di nuovo a lui, quasi a cercare il suo calore contro il vento che si era fatto fresco.

En affondò il volto nella sua chioma scura e chiuse gli occhi. Attorno a loro, il temporale si faceva sentire più rabbioso che mai, ma al giovane non importava se non del tepore di Atsushi tra le sue braccia e del misto di profumo e di umidità calda che gli riempiva le narici. Lentamente, iniziò a baciarlo sui capelli, per poi procedere verso il basso e insinuarsi con le labbra dietro il suo orecchio. Il principe emise un sospiro che En non sentì, nel frastuono del vento.

L'attimo dopo, però, i due furono costretti a staccarsi a causa dell'acquazzone improvviso che gli si stava rovesciando addosso.

Quando raggiunsero il riparo della loro grotta, erano entrambi fradici di pioggia. L'aria nella piccola caverna era fresca ed umida; fuori, l'acqua veniva giù a cascate ed i tuoni squassavano il cielo. Atsushi si appoggiò alle roccia dell'ingresso, togliendosi gli occhiali per strofinarli con quanto di asciutto rimaneva della sua camicia.

Non mancava molto al giorno in cui i suoi genitori avrebbero scelto il promesso sposo di sua sorella. Anzi, con ogni probabilità la decisione era già stata presa, pensò il principe, visto che ora veniva anche il suo turno di fare vita di società.

Sbatté le palpebre, ma la cortina di pioggia al di fuori era una confusione di gocce e spruzzi e vento e foglie, e non riusciva a mettere a fuoco il paesaggio. Quanti temporali avevano guardato passare da quel loro riparo? Quanti ne avrebbero osservati ancora?

Alle sue spalle, En gli circondò la vita con le braccia. Attraverso la fredda umidità della camicia, Atsushi avvertì il tepore della sua pelle nuda.

"Se ti tieni questa addosso, finirai col prenderti un raffreddore," mormorò En, poggiandogli il mento su una spalla.

Atsushi continuava a guardare fuori, verso i faggi che conosceva così bene, ora piegati sotto la forza dell'acquazzone. Sembrava che dovessero spezzarsi a metà, esplodere quasi, schiacciati dal temporale, fino a che non fosse rimasto nulla di quel bosco, se non un cumulo di corteccia e foglie umide.

En gli baciò il collo, lentamente, con desiderio, e la stretta sulla sua vita si fece più forte. Una mano iniziò ad accarezzargli lo stomaco, mentre l'altro strofinava le labbra lungo il profilo del suo zigomo.
Atsushi sovrappose le braccia a quelle di En.

"Ehi, Atsushi, faresti l'amore con me?" la voce dell’altro era un sussurro morbido nell'orecchio del principe. Questo inspirò lentamente, con un ultimo sguardo al bosco al di fuori. Il vento soffiò di nuovo, piegando la pioggia ed innaffiandogli il volto di minuscoli spruzzi d'acqua, accecandolo per un istante.

Il principe afferrò delicatamente i polsi di En ed allontanò le sue braccia quel tanto che gli consentiva di girare su se stesso ed incontrare la bocca dell'altro per impossessarsene. Lo baciò appassionatamente, reggendogli la testa con entrambe le mani e spingendolo verso l'interno della grotta.

Ad un tratto, En si staccò dal bacio e posò la propria fronte contro quella dell'altro, ad occhi chiusi, lasciando che i loro respiri affrettati si mischiassero assieme.

Atsushi cercò di baciarlo ancora, ma En si ritrasse una, due, tre volte, rubandogli un gemito di protesta e frustrazione. Le mani dell'altro, che ancora erano premute sui suoi fianchi, si intrufolarono sotto la stoffa fradicia d'acqua, ad esplorare la pelle umida al di sotto. Il principe si tolse gli occhiali ed En glieli prese e si inginocchiò a terra, posandoli di lato, mentre Atsushi si sfilava la camicia. Quando riaprì gli occhi, il principe si accorse che l'altro aveva già provveduto a stendere al suolo un paio delle coperte che tenevano nella grotta.

Le mani del ragazzo andarono a cercare le sue, mentre i suoi occhi celesti vagavano su quel volto incorniciato da ciuffi di capelli spettinati e carichi di pioggia. Le sue dita strinsero i polsi del principe e lo tirarono verso il basso, e lui si fece condurre giù fino a che non gli fu seduto in grembo. Abbassò le palpebre e reclinò la testa all'indietro, mentre En tracciava un sentiero di baci dalla sua gola fino all'incavo delle sue clavicole.

Era facile, così. Ad occhi chiusi, avrebbero potuto essere ovunque - non contava più l'umidità della grotta, perché tutto ciò che sentiva era il calore delle mani e delle labbra di En su di sé; non importavano più nemmeno il suono della pioggia battente e del vento a poca distanza, perché le sue orecchie erano piene del sovrapporsi affannato dei loro respiri.

Nella caverna rimbombò l'eco di un tuono ed Atsushi si ritrovò steso sulla schiena, sopra la coperta. Aprì gli occhi solo per vedere i capelli di En sparire dal suo campo visivo e sentirne le punte umide solleticargli lo sterno e lo stomaco. Sollevò il bacino e si dimenò per aiutare l'altro a sfilargli i pantaloni e la biancheria, che En accantonò con malagrazia in un angolo. Per un momento, rimasero in silenzio - il tempo sembrava sospeso; nulla esisteva se non loro due, in quella piccola caverna tagliata fuori dal resto del mondo da una cortina di pioggia, che rendeva il bosco una confusione di colori scuri, freddi.

En aveva un braccio avvolto attorno al ginocchio piegato di Atsushi. Vi appoggiò contro una tempia e diresse un breve sorriso al principe.

Questo non lo ricambiò. Teneva le mani incrociate sul petto, quasi a coprirsi. Aveva leggermente freddo, ora, e sentiva una lieve pelle d'oca irradiarsi sugli avambracci. I suoi occhi castani rivolsero una muta preghiera all'altro, quasi implorandolo per un po' di calore.

"Enny..."

En si voltò e baciò la pelle della coscia, lì dove aveva appoggiato la guancia; poi, le sue labbra percorsero tutto l'interno della sua gamba. Arrivato all'inguine, sollevò gli occhi verso Atsushi, che tese le mani verso di lui, in una chiara richiesta.

Appena stupito, En si sollevò e salì ad abbracciarlo ed Atsushi gli si aggrappò alla schiena, reclamando per sé la sua bocca. Di nuovo, non esisteva altro se non il gioco delle loro labbra e delle loro lingue, il calore quasi violento causato dall'attrito tra i loro corpi, dallo sfregarsi delle dita che accarezzavano e che afferravano gentilmente ciocche di capelli.

Atsushi sollevò una gamba e la lasciò scivolare sopra i fianchi di En, il quale a sua volta fece scorrere le sue mani più giù, lì dove i loro corpi si intersecavano. Nel bacio, il principe gli morse un labbro, ed En emise uno sbuffo di sorpresa.

Fuori, un tuono esplose proprio sopra le loro teste.
 
 
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A vederli da lontano, sarebbero apparsi come scintille, due punti di luce colorata che schizzavano qua e là - ma erano troppo grandi per essere lucciole, e poi quale lucciola avrebbe potuto risplendere così tanto in pieno giorno?

Attraversavano a tutta velocità i campi ricchi di grano, lontani dalle strade percorse da mercanti e contadini, sfiorando appena il mare delle spighe piegate di lato dal vento.

"Sembra che stia per scatenarsi un acquazzone," disse la luce rosa ad un tratto.

Non era davvero una scintilla, naturalmente, ma Ryuu lo spirito, che aveva adottato la sua forma alata per poter viaggiare più velocemente.

Nonostante le piccole dimensioni, indossava ancora la versione ridotta degli abiti di cui si era agghindato per presentarsi a corte di fronte ai sovrani: una tunica di broccato rosa decorata da un intricato disegno floreale, pantaloni a sbuffo con lo stesso motivo, e scarpe a punta laccate e splendenti. Io, che volava al suo fianco, indossava abiti molto simili, ma nei toni dell'oro.

Io, Ryuu e Yumoto si erano alternati nei viaggi a palazzo per tutta l'estate. I sovrani avevano insistito affinché il figlio fosse portato a corte il giorno del suo compleanno, e gli spiriti si erano ingegnati al fine di incantare almeno una delle torri del palazzo con magie che tenessero alla larga i demoni. Dopo settimane di lavoro, il lavoro era quasi finito, ed i due non vedevano l'ora di essere a casa. Malauguratamente, si stavano dirigendo proprio dove le nuvole temporalesche erano più dense e nere, esattamente sopra la loro foresta.

"Ci conviene affrettarci," rispose quindi Io.

"E con il nostro ospite come la mettiamo?"

Nessuno dei due si girò o voltò indietro, per non rendere evidente il fatto che si fossero accorti del loro inseguitore. Non avevano idea di chi fosse, ma già da un po' si erano resi conto di essere pedinati, e tale costanza iniziava ad essere sgradita.

"Una volta oltrepassata la nostra barriera, non dovremmo avere problemi, ma ritengo sia meglio occuparcene prima."

Ryuu annuì. "Mi hai letto nel pensiero."
 
 
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Akoya volava tenendosi a debita distanza dagli altri due, che svanivano e riapparivano all'orizzonte, seminascosti dall'ondeggiare del grano. Per essere meno visibile, aveva adottato le stesse ridotte dimensioni della coppia di spiriti, che stava seguendo da quando avevano lasciato la capitale.

La velocità del volo ed il vento che preannunciava il temporale gli scompigliavano i capelli in modo fastidioso, così da rendere anche più ingrato il compito che doveva portare a termine. Se solo si fosse trattato di qualcun altro, e non di quel dispettoso spirito del fuoco...!

Ad un tratto, le sue prede ricomparvero e il demone rallentò: di fronte a lui, i due punti di luce erano evidentemente fermi ai piedi di un cespuglio - chissà, forse avevano deciso di ripararsi lì sotto prima che iniziasse l'acquazzone imminente.

Akoya si avvicinò, attento ma deciso. Fu solo quando era ormai troppo vicino che si accorse che le due piccole luci davanti a lui erano troppo immobili, troppo statiche. Ancora un battito di ali ed ai suoi occhi apparvero chiaramente due enormi gemme luminose, un rubino ed una pepita d'oro, circondate da leggere fiamme fatate che emanavano la luce che lo aveva tratto in inganno, facendogli credere che fossero vive.

Per questo, il demone non fu affatto sorpreso quando tutt'intorno a lui si materializzò una rete fatta di sottili lingue di fuoco ed alle sue spalle risuonò una voce trionfante e canzonatoria.

"Ah-ah! Chi sarebbero le fatine dei fiori questa volta, eh?"

"Spirito dei fiori, se permetti - non lo sono nemmeno più, comunque!" precisò Akoya, raddrizzandosi e sistemandosi i capelli, per poi voltarsi con flemma. Anche se catturato dal nemico, doveva pur sempre rimanere presentabile - non che in questo caso sarebbe stato un problema, data l'identità del nemico in questione.

"Non che abbia molta importanza," rispose Ryuu stringendosi nelle spalle. "Fatine o spiriti dei fori che siano, il fuoco non è loro amico."

"Non una grande perdita," replicò asciutto il demone.

La rete di fiamme era stabile attorno a lui, come una gabbia, le maglie troppo strette per consentirgli di scappare. Esse si allargarono appena, però, per consentire ad Io di passarvi attraverso.

"Permettimi," fece lui, facendogli cenno di girarsi. Akoya obbedì con una smorfia ed alzando il mento in un gesto di disprezzo. Io gli condusse gentilmente i polsi dietro la schiena e, l'istante dopo, qualcosa di freddo e duro glieli immobilizzò.

Proprio in quel momento, attorno a loro iniziarono a cadere gocce di pioggia grosse come le loro teste.

"Ouch!" fece Ryuu, che era stato centrato in pieno da una ed ora aveva una massa di capelli fradici che gli ricadevano in faccia. La gabbia di fiamme attorno ad Akoya vacillò per un istante e poi si spense in uno sbuffo di fumo.

"Sembra che tu non sia particolarmente amico nemmeno dell'acqua, mh?" il demone aveva un sorrisetto soddisfatto, che però durò pochi istanti appena, fino a che la pioggia non colpì anche lui, ricoprendogli il viso di ciocche rosa e bagnate.

Io volò fino al cespuglio dove avevano sistemato le due pietre che erano servite da esca per il demone, trascinandosi dietro anche quest'ultimo. Ryuu li seguì, mantenendosi sempre accanto ad Akoya, al lato dove non c'era Io.

Si sedettero sul terriccio sotto le foglie più larghe della pianta, osservando le gocce di pioggia infrangersi attorno a loro.

Il prigioniero si era accomodato graziosamente tra i due spiriti, le gambe elegantemente ripiegate sotto di sé, guadagnandosi un'occhiata esasperata da parte di Ryuu. Accoccolato lì, estremamente tranquillo nonostante la situazione, Akoya non sembrava aver intenzione né di scappare né di opporre alcun tipo di resistenza.

"Che cosa pensavi di riuscire ad ottenere seguendoci, comunque?" fece lo spirito del fuoco dopo un po'. "Tu ed i tuoi compari dovreste aver capito ormai che non potete attraversare la nostra barriera in alcun modo."

Akoya si strinse nelle spalle e non disse nulla.

I due si scambiarono un'occhiata perplessa. Akoya poteva essersi messo ad osservarli anche solo per scoprire quale fosse la strada che percorrevano normalmente una volta usciti dal bosco, per poter poi tendere loro un'imboscata, oppure per capire come mai i loro viaggi tra la foresta e capitale si fossero fatti così frequenti in quegli ultimi mesi.

Certo, era strano che se ne stesse così tranquillo e non tentasse alcun trucco per liberarsi. Che si trattasse un'imboscata? Eppure non percepivano altre presenza magiche, lì attorno; inoltre, erano stato i due spiriti a decidere quando e dove fermarsi.

Fuori dal loro riparo, lo scroscio della pioggia aumentò di intensità e il cespuglio si piegò improvvisamente sotto la forza delle intemperie, scaricando sui tre spiriti tutta l'acqua che si era accumulata sulle sue foglie.

"Oh, mannaggia a questo tempo!" Ryuu si lamentò, coprendosi la testa con le mani in un tentativo patetico quanto inefficace di salvarsi da quella cascata in miniatura.

"Ecco," fece Io quando uno scudo di opaca luce dorata si formò sopra le loro teste, impedendo loro di infradiciarsi oltre.

Akoya, però, si spostò in avanti fino a ritrovarsi fuori dalla sua protezione. "Ne faccio volentieri a meno," annunciò.

Il temporale impazzava, i campi di grano che li circondavano erano diventati una confusione di oro e grigio, le spighe piegate dalla forza degli elementi e la terra lì attorno che andava rapidamente trasformandosi in pantano. La chioma di Akoya di fronte a loro era carica d'acqua e si spargeva pesantemente sulle sue spalle e sulla schiena come una cascata di petali fradici di pioggia, reclinati sullo stelo del fiore.

"Non c'è bisogno di fare così il melodrammatico," commentò Ryuu roteando gli occhi. Gli era bastato poco, ora che era al riparo dalla pioggia, per tornare asciutto, complici le sue fiamme magiche, e vedere il demone così miseramente seduto sotto l'acquazzone gli sembrava uno spettacolo davvero disdicevole.

Senza dire niente, Io allargò il suo incantesimo, fino a ricoprire anche il loro prigioniero. Questo si irrigidì e fece per spostarsi ancora, ma se si fosse mosso ulteriormente sarebbe finito nel fango, e tale prospettiva lo fece rimanere al suo posto. Certo, Akoya era un tipo orgoglioso che non avrebbe mai accettato alcunché dal nemico, ma evidentemente l'idea di sporcarsi di melma vinceva anche su quel lato del suo carattere.

"Vi diverte tanto giocare con me?" il demone si voltò indietro con un sibilo, per niente grato della protezione dalla pioggia.

Ryuu aggrottò le sopracciglia, offeso, e fece per rispondergli a tono, ma Io parlò prima di lui.

"Siamo tutti nella stessa situazione, adesso, tanto vale stare comodi, per quel che si può."

"Nella stessa situazione, mi prendi in giro? Sono vostro prigioniero, lo so benissimo, ma che non crediate di farmi passare per scemo."

"Forse se tu te ne fossi rimasto dove stavi e non ci avessi pedinato non sarebbe finita così," ironizzò Ryuu. "Certo non è stata una mossa intelligente!"

Akoya socchiuse gli occhi con astio. Dietro Ryuu, lo stelo di una pianta si piegò all'improvviso e gli rovesciò addosso tutta l'acqua contenuta nei calici delle foglie. Lo spirito del fuoco boccheggiò, colto alla sprovvista, e si scrollò per asciugarsi. L'attimo dopo, aveva di nuovo la bacchetta in mano e la puntava contro Akoya con fare aggressivo. "Brutto..."

"D'accordo, basta."

Io alzò una mano per placare gli animi, e la stretta attorno ai polsi di Akoya divenne più salda, per ricordargli che non sarebbero stati tollerati altri trucchetti.

Ryuu si strinse nelle spalle e vorticò la bacchetta per finire di asciugarsi. Stava per metterla via, quando si accorse che Io lo stava osservando con uno sguardo significativo. Ryuu allargò le braccia, come a chiedergli che cosa voleva che facesse, ed Io sollevò le sopracciglia, indicando Akoya con un cenno della testa.

Lo spirito strabuzzò gli occhi e poi scosse la testa, come a dire che non se ne parlava nemmeno, ma l'altro ripeté lo stesso gesto, irremovibile.

Con un sospiro, Ryuu puntò la bacchetta nella direzione di Akoya, che venne avvolto da un sottilissimo velo di fiamme. Quando questo si dissolse, il demone era di nuovo perfettamente asciutto - forse anche troppo, visto il lieve filo di fumo che si alzava da una ciocca dei suoi capelli.

Akoya si voltò, inviperito. "Questa potevi anche risparmiartela, sei un essere infimo e spregevole!"

"Non è colpa mia se sei così facilmente infiammabile," replicò Ryuu esibendo un bel po' di lingua.

Io si premette le tempie con aria disperata. "Potete smetterla adesso?"

"È stato lui a cominciare, Io, l'hai visto benissimo! Mi ha rovesciato addosso tutta quell'acqua. A me è solo sfuggita la mano!"

Prima che il demone potesse tornare a dire la sua, Io gli si avvicinò.

"Scusalo, per favore," gli disse sedendosi accanto a lui e prendendo in mano la ciocca di capelli bruciacchiata. Il danno non era poi tanto grave, ma si notava subito in mezzo alla chioma perfetta del demone. "Sono sicuro che ricresceranno in fretta."

Akoya si strinse nelle spalle e si voltò dall'altra parte.

"Non è stata una trovata particolarmente geniale, seguirci così, da solo," puntualizzò quindi Io, ma non in tono canzonatorio. Suonava genuinamente curioso e perplesso.

Akoya si voltò a fissarlo negli occhi. Al posto di una reazione innervosita, però, sostenne il suo sguardo per diversi istanti, come a valutare esattamente che cosa rivelare, e se l'altro avrebbe o meno capito.

"Mi piacerebbe poterti rispondere che, anche potendo rivelarvi i miei motivi, preferisco tenermi tutto per me, ma la realtà è che, anche se volessi, non potrei dirvi nulla," sputò fuori alla fine, tornando poi a guardare la pioggia.

Ryuu si voltò con aria stranita verso Io - cos'era, il demone cercava di prenderli in giro con indovinelli e giochi di parole senza senso? Ma lo spirito della terra sembrava stare soppesando attentamente le parole del loro prigioniero. Dopo un po', si protese verso di lui, cercando di sbirciarne il volto.

"Oh, è una lacrima quella...? Via, ti ho appena legato i polsi, non mi pare di trattarti con crudeltà."

"Ma che cosa dici! Ti pare che potrei mai mettermi a piangere per una cosa simile?!" Akoya protestò, voltandosi di scatto.

Io sorrise e gli sfiorò appena il volto con un dito. Sul suo polpastrello ora tremava una goccia.

"È solo un po' di pioggia," protestò ancora Akoya, stavolta un po' più debolmente.

"Dici? Be', a volte è difficile ammettere la verità."

Il demone serrò le labbra e il suo sguardo cercò di scappare da quello di Io, ma poi annuì appena.

Lo spirito della terra serrò le dita della mano. Un tenue lampo dorato trasparì attraverso la sua pelle e, quando riaprì il pugno, sul palmo splendeva una perla rosata. Anche nella luce grigia del temporale, questa emanava un tenue bagliore iridescente.

Akoya sbatté le palpebre, evidentemente colpito.

"È tua," fece Io. La sollevò - ora era attaccata ad una catenella d'oro rosa - e si allungò per allacciarla dietro al collo del demone. Sotto le sue dita, le due estremità della catena si unirono senza bisogno di ganci o fermagli.

Akoya aggrottò lievemente le sopracciglia, come a cercare di capire il significato di quel gesto, e il suo sguardo incrociò per un attimo quello di Io.

"Non sempre c'è bisogno delle parole, per esprimere qualcosa," gli disse lo spirito pacatamente. Gli occhi azzurri del demone si spalancarono per un attimo, poi si chiusero, in segno di comprensione.

"Se hai finito con le smancerie, la pioggia sta finendo," la voce di Ryuu suonava davvero innervosita.

Io si alzò. "I miei incantesimi dureranno ancora un po', poi sarai libero," si accomiatò lo spirito della terra, riferendosi sia a quello che teneva Akoya prigioniero che a quello che lo stava proteggendo dal temporale. "Be', quasi," aggiunse Io dopo averci ripensato.

Akoya lo guardò per in istante, poi sembrò capire. Annuì lievemente.

Senza aggiungere altro, i due spiriti presero il volo e il demone rimase voltato a seguirli con lo sguardo. Con un sospiro, si sedette più comodamente, in attesa che l'incantesimo di Io lo rilasciasse. Non credeva che sarebbe mai arrivato a pensarlo, ma era una fortuna che quello spirito della terra fosse, se non altro, intelligente e di buone maniere. Se avesse dovuto aver a che fare con lo spirito del fuoco soltanto, avrebbe anche potuto lasciar perdere fin dal principio, pensò con stizza.

Ma adesso poteva anche rilassarsi, si disse; in fondo, la sua parte l'aveva fatta.
 
 
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Lo sgocciolio occasionale dei residui di pioggia accompagnava il canto degli uccellini che, piano piano, ricominciavano a svolazzare nel cielo pomeridiano, le piume ancora arruffate dopo il temporale.

Se En aguzzava le orecchie, poteva sentire il lievissimo frusciare dei polpastrelli di Atsushi nei suoi capelli, ed il battito del cuore nel suo petto, che adesso stava usando come cuscino. Aveva le narici piene dell'odore muschiato della foresta dopo la pioggia, condito da un vago sentore di pelle sudata e di olio profumato.

Un braccio piegato dietro la testa, Atsushi teneva gli occhi chiusi ed accarezzava la testa dell'amante, distratto. En sollevò un po' il mento, puntellandolo sugli avambracci incrociati sopra lo sterno del principe. Questo sembrava in pace, appagato, forse un poco stanco.

"Ehi, Atsushi."

"Mh?"

En sospirò. Sentiva un peso nel petto, un peso piacevole, ma così intenso che gli causava quasi dolore.

"Vorrei che fosse sempre così."

Il principe aprì gli occhi e lo osservò senza capire.

"Vorrei svegliarmi ogni mattina in questo modo, accanto a te," spiegò En. "...ecco, magari se fossimo in un letto saremmo più comodi, ma anche quello mi importerebbe relativamente."

Atsushi richiuse gli occhi, mentre per un attimo la presa sui capelli di En si fece più intensa.

"Oh, Enny..."

Poteva non voler dire nulla, poteva voler dire tutto - En non ci diede importanza, in quel momento sentiva solo l'impellente bisogno riuscire a togliersi quel peso dal petto.

"Ti ho già detto che ti amo?" En aggiunse, ed Atsushi riaprì gli occhi, sorridendogli pacatamente.

"Sì."

En annuì e si girò su un lato, alzandosi su di un gomito così da poter guardare Atsushi da vicino. Aveva un'espressione seria in volto, ed anche l'altro drizzò leggermente la testa, attento.

"Atsushi, tu sei tutto per me, sai?"

En non aveva vena poetica, lo sapeva, e forse era per quello che nonostante le parole il peso nel suo petto non si sgonfiava. Tuttavia, preferiva essere diretto, affinché l'altro sapesse: Atsushi aveva totalizzato la sua vita, era la persona che gli aveva fatto trovare uno scopo, che aveva donato un perché alle lunghe giornate trascorse nei boschi, a quella quotidianità sempre monotona.

"Rimani qui, per favore," lo pregò quindi, semplicemente.

Atsushi gli restituì un piccolo sorriso di scuse. "Non è possibile, lo sai. Sono un principe e non posso lasciare la corte, così come tu non puoi lasciare la foresta."

"Se io potessi lasciarla, potrei venire a corte, però." Era a metà tra un'affermazione ed una domanda, una domanda della cui risposta En non era affatto sicuro.

"Ma non puoi," precisò Atsushi, ed En, anche se sapeva che l'altro si stava riferendo solo al fatto di lasciare la foresta, fece il broncio.

Il principe gli accarezzò il viso e l'altro gli si stese accanto.

"Non voglio che tu te ne vada," si lamentò.

“Enny, nemmeno io voglio tornare a casa, a maggior ragione con il ballo che incombe."

"Be', può capitare a tutti di perdersi nel bosco, no? Potresti essere stato catturato da uno spirito cattivo," suggerì En. "Il fratellone ed i miei cugini ti adorerebbero, sai?"

Atsushi inarcò un sopracciglio. "Non gli hai mai detto niente di me... Non credo sarebbero entusiasti se comparissi di punto in bianco sulla soglia di casa."

En si strinse nelle spalle. "Perché devi stroncarmi così, Atsushi," si lamentò, insinuando una gamba tra quelle dell'altro ed avvicinando il proprio volto al suo.

"Ma dico solo la verità," il principe poggiò un polpastrello sulle labbra di En per mantenere una minima distanza tra loro.

"Come sei freddo..." En gli baciò la punta del dito, sollevando su di lui occhi bisognosi. "Dimostrami un po' d'affetto."

Atsushi sorvolò sul fatto che gli sembrava di avergli dimostrato già una buona dose di affetto, quel giorno; invece, tolse il dito dalla bocca dell'altro e lasciò che le loro labbra si toccassero, inesorabilmente attratte tra loro.

Si baciarono teneramente, le mani di En che accarezzavano lente la schiena del principe, lasciando che le dita indugiassero in ogni solco ed incavo tra le sue ossa, come se, cieco, stesse cercando di ricostruirne tutta la figura attraverso il tatto soltanto.

Atsushi lo abbracciò a sua volta e i loro bacini si sfiorarono, trasformando in pochi istanti il bacio da tenero in appassionato. Il principe si staccò e, a carponi, si portò sopra En, che emise un lieve verso di protesta.

"Sssh," Atsushi lo baciò su una guancia e poi le sue labbra e la sua lingua gli scesero lungo il collo, la spalla e poi il fianco, unendosi alle sue mani per accarezzare e provocare la sua pelle, trasformando il brontolio di En in piccoli mugolii di piacere.

Questo lasciò che Atsushi giocasse con lui a suo piacimento e sprofondò il viso tra le braccia, inalando l'odore di lana umida della coperta per soffocare gli occasionali gemiti e sospiri che gli sfuggivano dalle labbra. Ogni movimento dei polpastrelli e delle labbra dell'altro produceva una piccola scintilla, un singulto di calore, fino a che il desiderio non gli fece alzare la testa per chiamare il nome dell'altro.

Atsushi gli fu accanto per baciarlo ancora sulla guancia e poi su tutto il viso, mentre le sue dita gli scendevano tra le natiche. L'aria profumava nuovamente di olio speziato ed En si voltò a cercare gli occhi del principe.

"Prometti che tornerai prima della prossima estate..." pregò, mordendosi appena il labbro al tocco insistente di quelle dita. "Anche solo per un giorno."

“Prometto che tornerò non appena potrò,” mormorò con impazienza l’altro, per poi sigillargli le labbra con le sue. Liberata la mano, lo abbracciò con forza, tirandolo a sé e premendo il proprio petto contro la sua schiena.

En si aggrappò a quell’abbraccio, stringendo la mano di Atsushi nella sua, mentre con l’altra afferrava un lembo della coperta. Il principe lo baciò sul collo, ed En affondò il viso nell’incavo del proprio braccio.
 

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I due spiriti procedevano a zig zag tra gli alberi della foresta che andava risvegliandosi dopo il temporale. Nessuno di loro aveva più aperto bocca, dopo che avevano lasciato Akoya nei campi. Ryuu volava nervosamente, scansando i tronchi all'ultimo, mentre Io lo seguiva con aria pensosa, apparentemente poco interessato al tragitto.

Ogni tanto, dopo una curva particolarmente violenta, Ryuu si voltava per controllare che lo spirito della terra fosse ancora dietro di lui e non fosse invece andato a sbattere malamente contro un albero per la troppa disattenzione. Anche questa volta, però, Io aveva seguito pedissequamente la traiettoria del compagno. Nonostante ciò, era sufficientemente distratto per finirgli quasi addosso quando quest'ultimo si fermò bruscamente.

"Che succede?"

Ryuu incrociò le braccia sul petto e lo affrontò con occhi fiammeggianti - descrizione alquanto letterale, visto che si trattava di uno spirito del fuoco.

"Succede che sei completamente con la testa tra le nuvole! Stai ancora ripensando a tutte quelle smancerie che ti sei inventato per Akoya? Che cosa non mi è toccato vedere!"

Io sbatté le palpebre, perplesso. "Smancerie? Di che stai parlando, Ryuu?"

"Di che cosa sto parlando?" Io avvertì distintamente una vampata di calore provenire dall'amico di fronte a lui. "Ooh, ma guarda, una lacrimuccia sul quel bel visetto, aspetta che la trasformo in una perla e ti faccio una collana...!"

Nonostante l'evidente rabbia dell'altro, Io non seppe trattenere un piccolo sorriso.

"Ma Ryuu, non gli ho certo fatto un regalo per ingraziarmelo," cercò di spiegare.

"Ah, ora si chiama 'ingraziarsi' le persone, questo?"

"Ryuu, ragiona. Non ti sembra che il comportamento di Akoya sia stato alquanto bizzarro?"

Lo spirito del fuoco piegò le labbra all'ingiù con disdegno, ma nonostante questo continuò ad ascoltare.

"Rifletti. Innanzitutto, come mai siamo stati in grado di percepirne la presenza così facilmente? Anche quel giorno al villaggio, non ci siamo accorti di lui se non quando ce lo siamo ritrovati di fronte. E poi, a che pro seguirci da solo quando sapeva benissimo che non poteva né avere la meglio su di noi in uno scontro né superare la nostra barriera?"

Ryuu si strinse nelle spalle. "Per darci fastidio?"

"E quella frase? Sul non poterci dire nulla nemmeno se avesse voluto?"

Lo spirito del fuoco fece un gesto brusco con la mano, come a voler far cadere l'argomento. "Pensava di prenderci in giro. Perché parlare per enigmi? Se avesse voluto qualcosa, avrebbe potuto dirla direttamente."

Io sollevò le sopracciglia, guardando Ryuu intentamente negli occhi. "Ma se non avesse potuto? Se fosse controllato da qualcuno, o da qualcosa?"

Ryuu cambiò posizione, a disagio. "Questa faccenda è inquietante, Io."

"Sono demoni, mi stupirei se fosse il contrario," commentò l'altro, razionalmente. "E dev'essere perfino più inquietante di quel che immaginiamo, se perfino Akoya ha tentato di lanciarci un segnale."

Lo spirito del fuoco spalancò gli occhi. "Vuoi forse dire che ci stava chiedendo aiuto, in qualche modo?" chiese, per poi scuotere la testa. "Akoya è troppo orgoglioso per una cosa del genere. E comunque, anche se fosse? Credevo che fossimo d'accordo sul fatto che di quei demoni non ci importava niente."

Io annuì, pensoso. "Nemmeno io so che cosa pensare esattamente, ma l'occasione era troppo buona per lasciarsela sfuggire, e quindi l'ho legato con quell'incantesimo."

Ryuu mise le mani sui fianchi. "Gli hai messo al collo una perla creata da te. Tu non regali mai niente a nessuno ...a parte En, ecco."

"È un incantesimo di localizzazione, Ryuu. Quella catenella non ha un'apertura, dovrà usare la magia per liberarsene e, se lo farà, io lo saprò, così come potrò seguire i suoi spostamenti finché l'avrà addosso. E con i suoi, sperabilmente, anche quelli di Kinshiro," spiegò pazientemente lo spirito della terra. "Sei convinto, adesso?"

La spiegazione non sembrò affatto calmare Ryuu, le cui mani, ora, stavano spiegazzando nervosamente i bordi dei pantaloni.

"Be', avresti potuto spiegarti anche prima, invece di far sembrare il tutto così..." le fiamme, ora erano passate dai suoi occhi alle sue guance.

"Così come?"

"Ah, lascia stare!" fece in tono brusco, per poi voltarsi riprendere a volare anche più velocemente di prima.

Io gli si affiancò, non senza un qualche sforzo. Ryuu era rosso in viso e lo stava ignorando di proposito.

"Ehi, tu guarda, anche questa è una lacrima?" fece lo spirito della terra, accarezzandogli gentilmente una guancia.

Ryuu si voltò immediatamente. "Mi prendi in giro?"

Ma Io sorrise e tese verso di lui una mano aperta. Sul palmo riluceva un rubino scarlatto, così trasparente che sembrava contenere fiamme vive.

"Non ho bisogno di queste cose," rispose Ryuu, guardingo, ma i suoi occhi indugiavano tra la pietra ed il viso sempre sorridente di Io.

"Prendila," lo invitò l'altro.

Ryuu esitò per un attimo ancora, poi sollevò il rubino tra le punte delle dita e, senza degnarlo di un secondo sguardo, lo gettò di lato. Un momento dopo si udì il tonfo sordo della pietra che atterrava in mezzo al sottobosco.

"Di quello non so che farmene," spiegò quindi allo spirito della terra che lo guardava vagamente offeso. Dopo un attimo di esitazione, però, Ryuu gli prese la mano. "Rispetto a questa, invece, qualche idea ce l'ho."

Ryuu sorrideva, adesso, il viso ancora arrossato ma con un’espressione spavalda sul volto. "Preferisco stringere questa piuttosto che tutte le pietre preziose del mondo."

Io distolse gli occhi, sul volto un'aria combattuta, come se fosse indeciso tra il prendersela con l'altro per aver gettato via il suo rubino ed il sentirsi lusingato per ciò che gli era stato appena detto. Alla fine, però, ricambiò il sorriso di Ryuu.

Concordavano entrambi sul fatto che, per esprimere certe cose, non fossero affatto necessarie le parole, e quindi nessuno di loro disse nulla, riprendendo il volo mano nella mano.

Nella foresta, la luce sfumava nell'oro del tramonto.
 
 
~~~
 
 
Quella sera, come tante altre, Atsushi aveva allungato il percorso che lo avrebbe condotto a casa per passare di fronte alla villa di Kinshiro.

Il risultato della sua diversione non era stato differente dalle volte precedenti: le finestre erano sempre chiuse, il cancello sprangato, il giardino in uno stato di disordine progressivo che faceva male al cuore al ricordo di quanto curato fosse, quando c'era il signor Ibushi ad occuparsene.

Quella sera, però, Atsushi non era venuto solo per avere l'ennesima conferma che il suo amico era ancora lontano.

Smontò da cavallo e legò l'animale al cancello, dopodiché si impegnò a scavalcare il muro. Ci volle un po', ma alla fine il principe atterrò con malagrazia dall'altra parte, trascinando con sé anche diversi rami della pianta di edera che si arrampicava su quelle pietre.

Nelle ombre che si allungavano, il giardino era immobile e silenzioso. Mentre si incamminava per i vialetti che conosceva a memoria, gli occhi di Atsushi vagavano tra l'erba ed i cespugli più bassi, alla ricerca dei piccoli abitanti. Fu sollevato quando, finalmente, incontrò il musetto scuro di un riccio: l'animale lo osservò per un attimo e poi se ne andò zampettando, alla ricerca della sua cena. Per quanto privo della presenza umana, il giardino era ancora vivo, e saperlo gli regalava uno strano sollievo.

Man mano che si avvicinava alla sua meta, però, il principe sentiva il battito del suo cuore accelerargli nel petto. Era tanto, davvero tanto tempo che non entrava nel labirinto, e comunque non lo aveva mai fatto da solo, né tantomeno a quell'ora della sera.

I cespugli di rose stavano lì, silenziosi ed indifferenti. Il temporale del pomeriggio aveva fatto cadere i petali, ma tutta l'erba intorno era cosparsa di steli e foglie - era chiaro che nessuno aveva più messo mano a quelle piante per settimane. Chissà, si chiese il principe, se il signor Ibushi rimpiangeva l'aver dovuto lasciare il giardino per seguire Kinshiro. Sicuramente poteva immaginare in che stato si sarebbe ridotto, senza le sue cure.

Atsushi si riscosse, realizzando di stare indugiando di proposito di fronte all'entrata del labirinto, nervoso all'idea di dovervi mettere piede. Tuttavia, non aveva senso posticipare, visto che era venuto fin lì appositamente per quello. Inoltre, se avesse aspettato ancora un po', sarebbe calato il buio e la notte avrebbe solo peggiorato le cose. Quindi, trattenne il respiro e varcò la soglia.

Tutto accadde nel giro di pochi attimi - o qualche minuto, forse, il principe era troppo agitato per avere un'esatta percezione del tempo.

Svoltati un paio di angoli, nel tempo di un battito di ciglia, si ritrovò già nel cuore del labirinto. Il gazebo era lì, l'interno pieno di foglie secche, il legno umido di pioggia. La colonna dove Atsushi ricordava aver visto la piccola statuina di giada era vuota. L'aria era profumata e ferma, non c'era alcun suono se non quello delle cicale, nessuna voce bisbigliante, nessun refolo di vento a spostare i rami di fronte a lui.

Il principe si lasciò andare ad una risatina nervosa. Si era perso innumerevoli volte in mezzo ai quei cespugli; anche quando Kinshiro lo aiutava a trovare la strada, il percorso tra le siepi gli era sempre apparso infinito, quasi il labirinto si dipanasse a suo piacimento per ingoiare i due ragazzini nelle sue profondità.

Adesso, nonostante il buio che stava calando velocemente, Atsushi lo vedeva per quello che era: una geometria di siepi di rose costruita con cura, un piccolo angolo floreale in un ricco giardino, come ce n'erano tanti. Forse, si disse, era davvero cresciuto in quei mesi, e certe cose che gli sembravano così spaventose in passato ora erano diventate innocue.

Eppure, ricordava fin troppo bene la sensazione che quelle piante avessero occhi per spiarlo e voce per parlargli, ed ora non erano che foglie e rami, silenziosi ed immobili nella fresca aria notturna di fine estate.

Il ragazzo tornò a respirare normalmente. Era sollevato, certo, ma provava anche un bizzarro senso di vuoto a cui non riusciva a dare un nome.

La magia del labirinto se n'era andata, esattamente come gli abitanti della villa. 



---

Note: grazie come sempre alla mia beta Yuki <3 però, volevo dedicare questo capitolo a Wren, che tanto so che legge senza commentare (e apprezzo infinitamente il coraggio di sciropparsi quest'AU senza nemmeno essere fan dell'anime!). Sicuramente, questa parte ti ha fatto trovare le risposte a tante domande esistenziali, e cioè: a che mi serviva la parola "rebbio", e quale fosse l'ordine degli addendi (anche invertendolo, il risultato non cambia, sempre di fanservice si tratta!).

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Capitolo 10
*** Scoperte ***


Capitolo X

 

Scoperte

 

 

 

 

 

La montagna era ricoperta da un candido manto di neve. Sopra l'altura, in mezzo alle sagome scure degli abeti, si ergeva una fortezza; abbandonata più di mezzo secolo prima a seguito di un incendio che l'aveva quasi distrutta, a vederla quel giorno sembrava fresca di costruzione. Le pareti delle mura e della torre si innalzavano lisce come il marmo; al suo interno, le imposte delle finestre erano di legno perfettamente intonso, spalancate su piccoli cortili dove l'inverno, nonostante le temperature rigide e le abbondanti nevicate, non era ancora arrivato.

Siepi e fiori lussureggiavano sotto il cielo plumbeo, forti del potere magico che li teneva in vita. Nonostante l'apparenza severa e le mura scure, quelle aiuole regalavano un che di stranamente accogliente e spensierato alla fortezza, sconfiggendo con il loro profumo ed i loro colori il grigio ghiacciato della stagione.

Nelle sale dell'edificio, però, regnava un clima gelido che aveva poco a che fare con il freddo dell'inverno.

"Ormai non mi sorprende più sapere che hai perso le tracce degli spiriti nel bel mezzo della campagna."

Akoya si irrigidì. Il tono di Kinshiro era privo di inflessione, ma non era difficile cogliervi una certa disapprovazione. Il demone dai lungi capelli lasciò che il colpo inflitto al suo orgoglio trasparisse nella sua postura e nella sua espressione. L'altro poteva pure ritenerlo un incapace, meglio così: stava facendo inconsapevolmente il suo gioco.

"Con l'inverno, non si sono quasi più allontanati dalla foresta. Avremo maggior fortuna con la primavera."

Ma Kinshiro non lo stava più ascoltando. I suoi occhi scarlatti ora vagavano lungo le pareti spoglie e scure della sala di pietra, all'inseguimento di fantasmi che solo lui poteva vedere, mentre con le dita indugiava ad accarezzare la statuina di giada, posata su di un tavolo accanto a lui.

Lo sguardo di Akoya si posò sul porcospino per qualche attimo, prima che il demone tornasse a fissare il vuoto davanti a sé, attendendo che Kinshiro gli desse il permesso di andare. Da quando avevano lasciato la villa vicino alla foresta, si portava sempre appresso quella dannata statuina ed il resto del mondo sembrava passato in secondo piano.

Ad Akoya quella cosa non era mai piaciuta, ma almeno, quando erano lui ed Ibushi a custodirla nel labirinto, rimaneva sempre sul suo piedistallo e da lì non si spostava. Adesso, invece, compariva ovunque si trovasse Kinshiro, e la sua vista iniziava a dargli la nausea.

Poco più tardi, Akoya si ritrovava a passeggiare nella piccola corte che lui ed Ibushi avevano trasformato in un giardino. Nonostante l'innegabile bellezza delle piante che vi crescevano, il demone era nervoso.

Sarebbe stato un inverno lungo e difficile da sopportare, non tanto per il clima, quanto per l'idea di doverlo trascorrere chiuso tra quelle mura scure assieme agli altri due. Automaticamente, sollevò una mano al collo e lasciò che le dita si intrufolassero sotto il colletto di pelliccia della tunica per sfiorare la perla che pendeva nell'incavo tra le sue clavicole.

I mesi che lo aspettavano sembravano eterni. Sperava solo di non uscire di testa come Kinshiro.

I suoi passi lo portarono accanto ad una delle finestre della sala da cui era uscito poco prima. Nonostante il vetro spesso, poteva udire la discussione in corso tra gli altri due demoni. In realtà, quella che sentiva chiaramente era solo la voce di Kinshiro, perché Ibushi manteneva un tono remissivo.

Quanto avrebbe dovuto peggiorare la situazione prima che il demone del vento cambiasse atteggiamento? Se mai l'avesse cambiato, considerò Akoya, rigirandosi la perla tra le dita.

Si avvicinò alla finestra con passo felpato, anche se, a giudicare dall'astio di Kinshiro, questo difficilmente avrebbe potuto notarlo anche se avesse fatto rumore.

"Perché hai aiutato Atsushi, quel giorno che si è perso nel labirinto?"

Akoya spalancò gli occhi per la sorpresa. Che senso aveva recriminare così per qualcosa avvenuto quasi dieci anni prima? Ibushi, a giudicare dal tono della sua risposta, non sembrava stupito per l'accusa.

"Kinshiro, era stata una tua decisione, non ricordi? Di usare i principi come esca. Non potevamo certo permettere che il labirinto lo ingoiasse."

"Avresti dovuto far sì che il labirinto lo gettasse fuori, invece il tuo vento lo ha spinto al centro, fino a lui. Che cosa speravi di ottenere facendolo arrivare fin lì, eh?"

Ibushi, adesso, suonava a disagio. "Sono arrivato tardi, Kinshiro. Il labirinto l'aveva chiamato a sé, non avrei potuto fare altro."

"Ma ciò non sarebbe mai dovuto accadere, mai." La voce di Kinshiro vacillò, come se il demone fosse stato scosso da un momento di rammarico - se per il principe o per lui, non era facilmente decifrabile.

Akoya lasciò che i suoi bei lineamenti si contraessero ed indurissero in una smorfia di rabbia. No, Atsushi non avrebbe mai dovuto avvicinarsi a quella cosa, e nemmeno loro avrebbero dovuto farlo.

 

Non ci volle molto perché anche Ibushi facesse la sua comparsa nel cortile interno. Era solo, ma la cosa non sorprese affatto Akoya, anzi, lo sollevò. Si avvicinò quindi all'altro con fare casuale.

"Per quanto ancora ci toccherà andare avanti così? Sono già stufo di questo posto, è piccolo e limitato," sbuffò, seguendo il demone dai capelli color del muschio mentre questo si inginocchiava accanto ad un cespuglio di rose. Uno dei rami era inclinato verso il basso, i petali dei suoi fiori pesantemente spioventi verso terra. Ibushi sollevò lentamente una mano, le dita protese verso la pianta: subito, un piccolo refolo di vento fece tremare le foglie del cespuglio ed il ramo si raddrizzò, sorretto dall'aria.

"Ci vuole pazienza con i fiori, Akoya, dovresti saperlo."

L'altro alzò il mento, indispettito. Mentre Kinshiro si trastullava con quel suo animaletto di giada, lui ed Ibushi non avevano altro da fare che curare quel giardino, tutto il giorno, tutti i giorni. E l'inverno era ancora lungo. Ibushi aveva molta più pazienza con Kinshiro che con le loro rose, mentre Akoya non ne possedeva altrettanta - non per quanto concerneva i due demoni, almeno.

"I fiori almeno ne valgono la pena."

Ibushi gli rivolse uno sguardo desolato, quasi fosse rimasto ferito dalle sue parole, ma Akoya non aveva intenzione di rimangiarsele.

"Tu sei testardo quanto lui," lo accusò. "Fino a quando hai intenzione di assecondarlo?"

L'altro distolse gli occhi e temporeggiò, giocherellando delicatamente coi petali di una rosa.

Sotto lo sguardo severo di Akoya, lo stelo del fiore si allungò improvvisamente ed una spina punse il dito di Ibushi, il quale rivolse al compagno uno sguardo ferito.

"Con ogni giorno che passa, quella cosa aumenta il potere su di lui," il tono del demone era accusatore.

"Non c'è nulla che possiamo fare per lui, ora. Qui è al sicuro, per adesso. Quel che sarà poi..." Ibushi si succhiò la punta del dito per qualche attimo, poi sospirò ed affrontò lo sguardo tagliente di Akoya. "Non lascerò che venga fatto del male a Kinshiro, né che lui si faccia del male da solo. E per questo, non ho intenzione di abbandonarlo."

Tornò ad abbassare lo sguardo sulle rose. "Se ritieni di non poter più rimanere..."

L'altro incrociò le braccia sul petto. "Stai suggerendo che me ne vada? Sai bene che non posso. Nemmeno tu puoi. Oh be'," sospirò alla fine gesticolando in segno di resa, "se non altro a te non dispiace così tanto."

Ibushi sollevò lo sguardo in tempo per vederlo andarsene.

 

~~~

 

A valle, il cielo azzurro e gelido si rifletteva sulla coltre nevosa che uniforme ricopriva la foresta. Il candore era punteggiato qua e là dalla sommità più scura di qualche abete, i cui rami, carichi di neve, avevano ceduto al peso, piegandosi e liberandosi del carico gelato.

Era da poco iniziato l'anno nuovo e si era ancora nel cuore dell'inverno, la natura era immobilizzata nella presa del ghiaccio, assopita.

Silenzio e bianco circondavano la piccola casa di legno nel bel mezzo dei boschi. Nonostante la quiete, le piante dormenti e gli abitanti intirizziti della foresta attendevano l'arrivo della primavera con impazienza e, in qualche caso, apprensione.

Sdraiato pigramente di fronte al camino, Ryuu si divertiva a far danzare le fiamme del fuoco. Ultimamente, gli spiriti mettevano meno attenzione nel celare i propri poteri agli occhi di En, quasi lo sfidassero a coglierli sul fatto e chiedere loro spiegazioni. Avrebbero dovuto affrontare l'argomento dell'identità del ragazzo al più presto, ma nessuno dei tre sembrava avere fretta di farlo, tutt'altro.

La continua decisione di rimandare il momento della verità, però, non tranquillizzava il terzetto, che anzi era sempre più sulle spine ogni giorno che passava.

"Novità?" chiese infine Ryuu girandosi verso Io, che come al solito stava seduto compostamente sulla panca, intento a redigere la solita missiva ai sovrani. Non c'era molto da scrivere, quell'inverno era relativamente noioso e privo di eventi rilevanti. Chiusi nella loro casetta, tutti e cinque (sei con il vombato) aspettavano il disgelo.

"No. Sono sempre arroccati in quella vecchia fortezza, in cima alla montagna."

Lo spirito della terra aveva ormai imparato a convivere con la costante consapevolezza del luogo dove si trovava Akoya. Anche su questo versante, però, non c'era alcunché di nuovo: da quando Io aveva creato l'incantesimo di localizzazione, i demoni erano rimasti stazionari nella loro vecchia dimora, salvo qualche tentativo poco convinto di Akoya di avvicinarsi alla foresta.

Ryuu sbuffò, incrociando le braccia sul petto. Il fatto che non si muovessero mai di là era diventato snervante e più di una volta lo spirito del fuoco aveva messo in dubbio il buon funzionamento dell'incantesimo di Io. L'altro, però, non sembrava altrettanto impaziente.

"Stanno aspettando," gli rispondeva sempre, "esattamente come noi".

Questa era, però, una risposta tutt'altro che rassicurante - e poi Ryuu detestava le attese, era un tipo d'azione, aveva bisogno di qualche novità, qualche- I due spiriti voltarono le teste contemporaneamente, sorpresi all'udire i passi di En che scendevano le scale.

Il sole non era ancora alto nel cielo ed il ragazzo, normalmente, dormiva fino a mezzogiorno, quindi era davvero insolito che si svegliasse così presto. Ancora più incredibile, poi, fu il vederlo comparire completamente vestito e dirigersi con aria incurante verso la porta di casa, per infilare i pesanti stivali invernali.

I due si scambiarono un'occhiata silenziosa.

"Ehi, dove vai?" chiese finalmente Ryuu.

Di solito, convincere En ad uscire con la neve ed il freddo era un'impresa così ardua che gli altri ci rinunciavano in partenza. Vederglielo fare spontaneamente era come assistere ad una specie di miracolo.

"Vado a fare due passi. Ho visto certe impronte nella neve, ieri, vado a dare un'occhiata. Non aspettatemi per pranzo."

Ancora una volta, i due spiriti si guardarono negli occhi, perplessi, mentre il ragazzo si chiudeva la porta alle spalle.

"...alquanto inusuale," fu il lapidario commento di Io.

"Inusuale? È stranissimo! Yumoto!"

Al richiamo di Ryuu, lo spirito biondo emerse dalla cucina, con il vombato a cavalcioni sulle spalle e coperto di farina.

"Per caso sai perché En si è vestito di tutto punto ed è uscito?"

L'altro sembrò pensarci su per qualche attimo, ma alla fine scosse la testa. Il vombato starnutì.

I due spiriti si strinsero nelle spalle e tornarono alle proprie occupazioni. La partenza di En, però, continuava ad infastidirli. Non c'era nulla di male in ciò che aveva fatto, naturalmente, ma per qualche oscuro motivo sentivano entrambi puzza di bruciato.

Quand'era l'ultima volta che erano usciti a giocare con la neve? Anni fa, ormai, e perfino allora En preferiva stare a guardare piuttosto che giocare a palle di neve con loro o costruire pupazzi. Ecco, ripensandoci, si erano divertiti quasi più loro quando En era bambino che non En stesso...

"Certo che è stano, eh."

Io alzò gli occhi dalla pergamena ed annuì.

"Non corre pericoli lì fuori comunque, te l'ho detto, i demoni sono lontani."

Ryuu si strinse nelle spalle, non convinto, ed andò a sedersi accanto a lui sulla panca, poggiando casualmente una mano sulla sua spalla.

"Sì, ma... E se scivola sul ghiaccio e si fa male? Se si addormenta da qualche parte e poi muore congelato?"

Io lo guardò un po' perplesso. Dovette ammettere, però, che la seconda ipotesi non suonava poi così irreale.

"Dobbiamo seguirlo, allora," disse semplicemente, prendendosi appena il tempo di strofinare la guancia sulle dita posate su di lui. Ryuu annuì e sorrise.

Il tempo di chiamare Yumoto, ed i tre spiriti, tornati alle loro dimensioni ridotte per evitare di dare nell'occhio e lasciare impronte, presero il volo seguendo le tracce fresche lasciate dall'umano.

I segni nella coltre nevosa, nel tratto iniziale, seguivano uno dei sentieri nella foresta, ma dopo un po' si inoltravano nel fitto degli alberi, tracciando un percorso intricato in mezzo ai cespugli ora spogli ed alle fronde innevate di sempreverdi. Qua e là, un ramo spezzato o dei cumuli di neve fresca lasciavano intuire dove En si era dovuto fare strada a forza nell'intrico delle piante.

Gli spiriti, che viste le dimensioni non avevano difficoltà a seguire il percorso del ragazzo, diventavano tuttavia sempre più perplessi e sospettosi. Era davvero necessario ficcarsi nel sottobosco per "fare due passi"? Non c'era nessuna pista di impronte, oltre a quella lasciata dal principe, e la cosa non li stupì.

Intanto, il paesaggio attorno a loro si era fatto estraneo. Erano sempre all'interno della loro barriera magica, naturalmente, ma era una zona di foresta che vedevano senz'altro per la prima volta.

Nella quiete invernale, il ronzio delle loro ali era l'unico rumore che li accompagnava; ad un tratto, sotto di loro passò una grossa lepre, e ad un certo punto i tre dovettero guardarsi da una cornacchia che si era messa ad osservarli con interesse, forse considerandoli uno spuntino appetibile nel rigore della stagione.

Solo dopo un po', finalmente, raggiunsero En (il ragazzo sapeva andare veloce, quando voleva); prima ancora di vederlo, ne sentirono la voce - ed oltre la sua, anche una seconda.

Improvvisamente spaventati, i tre spiriti accelerarono fino al massimo della velocità delle loro piccole ali, sfoderando già le bacchette per affrontare chiunque stesse mettendo in pericolo il principe. Il loro impeto fu fermato, però, dal tono di En - suonava gioviale, tenero, sicuramente non spaventato.

I tre, bacchette sempre in mano ma ormai per nulla sicuri di che cosa stesse accadendo, si fermarono sul largo ramo di un faggio al limitare di una radura.

Sotto di loro, c'erano due persone: En ed un altro ragazzo, vestito di un ampio mantello di pelliccia che lasciava intravedere abiti da viaggio eleganti color verde smeraldo. Sicuramente non era uno dei demoni, ma la scoperta non fece rilassare gli spiriti, che rimasero in allerta a spiare i due giovani, che camminavano un po' a fatica nella neve, che arrivava fin quasi al ginocchio.

"Questo posto sembra così diverso, adesso," disse lo sconosciuto.

Yumoto e Ryuu aguzzarono la vista. Avevano già visto quell'umano da qualche parte, ne erano sicuri...

"Perché non ci sei mai venuto in inverno," spiegò tranquillamente En.

Ryuu aprì la bocca per dire qualcosa, ma alla fine si limitò a scuotere la testa stupefatto. Quell'"in inverno" implicava che doveva esserci venuto in altre stagioni e la cosa non era affatto rassicurante.

"Credo sia la prima volta che vengo alla villa estiva in una stagione diversa, sai? Ma dovevamo presenziare a questo matrimonio..."

Lo sconosciuto raccontò brevemente di una cerimonia di certi nobili in un castello non lontano da lì, mentre i tre spiriti si arrovellavano tentando di capire qualcosa.

"A dire il vero nemmeno io ci vengo se non in estate," replicò En più modestamente. "La sorgente è ghiacciata, e poi, da solo mi annoierei."

Io ricambiò l'occhiata dello spirito del fuoco. "Sembrano essere amici," commentò sottovoce.

Accanto a lui, Yumoto si batté il pugno sul palmo della mano.

"Ecco dove l'avevo già visto! Al villaggio, quest'estate, mentre cercavamo En!" esclamò.

La scoperta di Yumoto sembrò smuovere qualcosa nella mente di Ryuu, che si schiaffò una mano sulla fronte.

"Il principe!" trasecolò. "È il principe Atsushi, il fratello della principessa... Non posso crederci!"

Ancora esterrefatto, riportò la sua attenzione sui due umani che, pian piano, si stavano allontanando verso l'altra estremità della radura. Gli spiriti li seguirono, ben attenti a non lasciare il riparo dei rami - i ragazzi sembravano molto assorti nella loro conversazione, comunque, e non alzarono gli occhi nemmeno per sbaglio.

"Sono così contento di averti trovato... Per un attimo, ho temuto di essere venuto invano."

"Ho sognato che saresti arrivato."

Atsushi sbuffò. "Sai che quasi incomincio a crederti, su questa cosa dei sogni?"

"E prima non mi credevi? Che cattivo che sei!" fece En risentito.

"Quella storia me l'hai raccontata quando avevamo, quanto, undici, dodici anni? Ovvio che ho sempre pensato che te la fossi inventata!"

Gli spiriti si guardarono, con negli occhi diverse declinazioni della stessa espressione allibita.

"E così, si conoscono da parecchio," commentò freddamente Io.

"Come è potuto...?" Ryuu scosse la testa. Non se ne erano mai accorti, in tutti quegli anni, e la cosa aveva dell'incredibile.

"Quel che conta è che En abbia trovato un amico, però!" Yumoto, al suo solito, sembrava quello meno sconvolto dalla situazione.

Ryuu, suo malgrado, si trovò ad annuire. "Che sia in buoni rapporti con il principe è un bene, visto che diventerà suo cognato," fece mentre continuava ad osservare i due. In ogni caso, c'era ancora molto che non gli tornava. In quella, Atsushi mise un piede in fallo ed affondò nella neve fino alla vita. En si affrettò a tirarlo su quasi di peso, circondandogli le spalle con le braccia.

"Attento, la neve è davvero profonda," fece il ragazzo rimettendolo in piedi con sollecitudine, ma non accennando a staccarsi da lui.

"Be', certo sembrano proprio ottimi amici," commentò Ryuu aggrottando le sopracciglia, mentre osservava i due avvicinarsi sempre di più.

Nel momento in cui si baciarono, sulla radura cadde un silenzio di tomba.

"...non ci posso credere," boccheggiò ad un certo punto Ryuu, resosi conto di aver trattenuto il fiato fino a quel momento. E dire che i due ancora non si erano staccati! Non rischiavano di morire soffocati?

Accanto a lui, gli occhi di Io erano ridotti a due fessure.

"Nell'accordo con i sovrani, non era stato detto esplicitamente che avrebbe dovuto innamorarsi proprio della principessa. Insomma, abbiamo comunque diritto alla ricompensa," ragionò a denti stretti.

Yumoto, invece, aveva stampato sul viso un sorriso di una felicità disarmante.

"Sono innamorati!" esclamò a voce un po' troppo alta, venendo subito zittito dalle mani degli altri due sulla bocca. I principi, però, si erano appena rituffati avidamente l'uno nelle braccia dell'altro, dimentichi del mondo che li circondava.

I tre spiriti rimasero ad osservarli per un po'.

"E' un disastro," commentò Ryuu.

"E' perfetto!" gli fece eco invece Yumoto.

"Ma come è potuto succedere?!"

Yumoto lo guardò con aria serena. "Ve l'avevo detto, che il vero amore sarebbe arrivato, in un modo o nell'altro."

Ryuu fece per ribattere, ma alla fine sospirò, lasciandosi cadere a gambe incrociate sul ramo appena sotto di loro. Attorno a lui, la neve si sciolse.

Gli altri due spiriti gli si sedettero accanto, ancora intenti ad osservare i due ragazzi nella radura. Le mani di En erano sparite sotto il mantello del principe, e il lungo bacio non sembrava averli ancora annoiati, tutt'altro.

"Be', se non altro sembra che siamo a posto, nel malaugurato caso in cui la maledizione dovesse colpirlo veramente. Voglio dire, un bacio non dovrebbe essere un problema, a questo punto." La voce dello spirito del fuoco, però, non suonava vittoriosa. "Se solo l'avessimo saputo prima...! Avremmo potuto, non so, dare una mano. Consigliarlo."

"Forse è meglio così, visto che quando abbiamo cercato di dare una mano le cose non sono andate proprio come programmato," fece notare Io e Ryuu si limitò a scrollare le spalle.

"Avrei potuto insegnargli una cosa o due," commentò.

En aveva infilato il viso sotto il collo di pelliccia del mantello di Atsushi e, qualsiasi cosa gli stesse facendo, quest'ultimo sembrava decisamente gradire.

"Io credo che se la stiano cavando egregiamente anche da soli," fece notare Io. Dopo un attimo, sottovoce, aggiunse, "credo anche che dovremmo lasciarli soli. Stare a guardare non sta bene."

Ryuu e Yumoto indugiarono ancora qualche attimo, poi si girarono e seguirono lo spirito della terra che, rosso in volto, si stava già allontanando dalla radura.

 

Sulla via del ritorno, il trio continuò ad interrogarsi sull'incredibile scoperta.

"Quello che proprio non mi so spiegare," fece Ryuu per l'ennesima volta, "è come il principe Atsushi abbia potuto attraversare la nostra barriera come niente fosse. Non avrebbe dovuto lasciar passare nessuno, spirito o essere umano, che non fossimo noi."

Yumoto, che svolazzava accanto a loro, letteralmente radioso di felicità, fece una mezza piroetta su se stesso prima di rispondere.

"A meno che la barriera non sapesse già che il principe era o sarebbe stato l'amore di En! Sono stato io a lanciare la contromaledizione sul piccolo En, e io ho contribuito a costruire la barriera... La magia agisce di testa sua spesso, no?"

"Spiegazione semplicistica, Yumoto," replicò Io, "ma al momento non me ne vengono di migliori."

"Be', potremo sempre chiederlo al diretto interessato, quando En si degnerà di farcelo conoscere," fece notare Ryuu, un po' risentito.

Io sembrò ponderare la situazione. "L'argomento è delicato. Da un lato, En è riuscito dove abbiamo fallito noi, ma dall'altro, il re e la regina si aspettano di vederlo felicemente fidanzato alla principessa, non al fratello."

La felicità di Yumoto si oscurò per un momento. "Ma se i due principi sono innamorati, certamente i loro genitori non saranno così crudeli da volerli separare."

Gli altri due spiriti, però, nutrivano forti dubbi in proposito. "Yumoto, siamo stati noi a tirare in ballo la storia del bacio, per salvare En dalla maledizione. Lo sai, però, che gli umani spesso fanno un sacco di cose senza considerare minimamente i sentimenti," disse Ryuu.

Yumoto scosse la testa. "Non questa volta. Quando ho fatto il mio regalo al nostro principe, gli ho donato la promessa del vero amore. Non voglio che le decisioni politiche lo rendano infelice!" affermò, una mano stretta a pungo e uno sguardo pieno di decisione negli occhi.

Gli altri due lo guardarono e sorrisero.

"Faremo di tutto perché non accada," fece Ryuu, convinto.

"Però, vediamo di procedere un passo alla volta," propose Io, pratico. "Dobbiamo ancora affrontare il discorso sulla vera identità di En, e poi riuscire ad impedire la maledizione. Superato tutto questo, ci sarà tempo di parlare di fidanzamenti."

 

~~~

 

Nonostante la buona risoluzione degli spiriti, l'argomento non venne affrontato se non a primavera già inoltrata.

En non aveva più incontrato Atsushi per tutto il resto dell'inverno. Gli spiriti e il vombato lo avevano controllato attentamente, ma non c'era segno né di lettere né di messaggi di alcune genere. En, dall'altra parte, appariva tranquillo, anche se tendeva a perdersi nei propri pensieri più spesso del solito.

Accadde, in un certo senso, per caso. Era una serata tiepida e tutto era come sempre: Yumoto si dedicava a coccolare il vombato, En sedeva con aria assente vicino alla finestra e Io e Ryuu si stavano cimentando in una partita a carte. Alla terza sconfitta consecutiva, lo spirito del fuoco si allontanò con impeto dal tavolo, scocciato.

"Che noia però! Non ti stufi a vincere sempre?!"

Io lo guardò con un sorriso tranquillo. "Preferiresti che perdessi di proposito?"

Ryuu incrociò le braccia sul petto, sbuffando e probabilmente tenendo a bada l'istinto di bruciare il mazzo.

"No, non voglio vincere per finta," si lamentò, voltandosi dall'altra parte. Normalmente, sarebbe stato felice di veder Io sorridere, ma in quel momento la bravura dell'altro gli dava solo sui nervi. Allora, notò che En si era messo a giocherellare con i fiori di campo che Yumoto aveva raccolto quella mattina, ancora belli freschi nel loro vaso sul davanzale.

"Caspita, En, non avrei mai detto di vederti protagonista di un quadretto così cliché, ci manca solo che tu ti metta a strappare i petali di quella margherita dicendo 'm'ama non m'ama'!"

Il ragazzo lo guardò con occhi vuoti. " Non capisco a che cosa ti riferisci," gli disse, ma Ryuu sembrava troppo divertito dalla situazione per starsene zitto.

"Sembri una ragazzina in attesa del principe azzurro. Chi è che ti fa sospirare così?" lo stuzzicò quindi.

Per un breve attimo, En si irrigidì visibilmente, colto di sorpresa. Si riebbe un momento dopo, però, e tentò una risposta.

"Eh? Ryuu, sei tu quello che normalmente blatera di ragazze e fiori, non proiettare su di me i tuoi bisogni."

Ryuu, resosi conto di essersi spinto troppo oltre, era quasi sul punto di rimangiarsi tutto, ma Yumoto si intromise con trasporto. "Sappiamo del Principe Atsushi, cuginone, e siamo felici per te!"

Il volto di En si congelò per un istante, poi divenne una maschera di imbarazzo misto a risentimento. Ora che Yumoto aveva fatto addirittura il nome del ragazzo, era troppo tardi per negare l'evidenza.

"Che cosa significa che lo sapete? Ci avete spiato?"

"Quando te ne sei uscito tutto solo, quest'inverno, ci siamo incuriositi e ti abbiamo seguito," spiegò semplicemente Io.

En arrossì. "Che cosa?!" boccheggiò. "Non avreste dovuto..." borbottò alla fine, offeso.

"Forse, se tu ci avessi raccontato di lui fin dall'inizio, non ci saremmo preoccupati così tanto da seguirti," suggerì Ryuu.

En si corrucciò. "Fino a prova contraria, sono affari miei comunque."

"Ma cuginone, noi siamo solo contenti di saperti felice con qualcuno che ti piace!" interruppe Yumoto con un candore che fece andare in fiamme il viso del ragazzo.

Ryuu annuì con forza. "Che cosa ti avevo detto io, En? Prima o poi ti saresti innamorato!"

L'altro incrociò le braccia sul petto, in atteggiamento difensivo. "Hai sempre parlato di ragazze, non mi pare che tu ci abbia azzeccato..."

Ryuu scacciò quel pensiero con un gesto noncurante della mano. "Ragazzo o ragazza, non importa. Certo, chi se lo sarebbe aspettato che accalappiassi proprio un principe...!"

Il commento scherzoso di Ryuu non parve, però, alleggerire l'atmosfera; anzi, En sembrò mettersi ancora di più sulla difensiva.

"Vuoi dire forse che è fuori dalla mia portata? È vero, siamo diversi, ma..." En si fermò lì, incerto su come andare avanti. In quel silenzio improvviso, gli altri tre lo guardarono senza capire, finché fu chiaro anche a loro quanto ad En pesasse la differenza di status tra lui ed Atsushi. Ryuu e Yumoto sorrisero - il primo, anzi, si fece scappare una risatina che gli valse un'occhiata offesa da parte di En.

"Ti prendi gioco di me? Atsushi non mi ha mai preso in giro solo perché non sono un nobile come lui."

Io annuì pensieroso. "In effetti, En, non sei nella più facile delle relazioni," considerò.

"Credi che non lo sappia? Atsushi è un principe ed io sono solo... Be', un orfano che vive nel bosco," En rispose, abbassando lo sguardo sui palmi delle sue mani, come a considerare per quanto tempo ancora avrebbe potuto tenere il suo amato stretto a sé, prima che le loro differenze glielo portassero via.

Yumoto andò a sederglisi vicino per confortarlo, mentre Io scuoteva la testa, serio. "Non è questo, En. È che tu sei già stato promesso in matrimonio ad un'altra persona. Ora, non-"

A sentire quelle parole, En alzò la testa per guardarlo con occhi vuoti.

"Eh, ma che vai dicendo?" lo apostrofò debolmente. Io, di fronte a lui, non aveva battuto ciglio.

"Sto dicendo che sei già fidanzato."

En si innervosì. "So che cosa vuol dire, ma non è vero. E comunque, chi avrebbe fatto una cosa simile? E promesso a chi, soprattutto?"

Io sospirò e tentò di andare avanti. "Alla Principessa Kinugawa. Sono stati i tuoi genitori, naturalmente, che-"

"La sorella di Atsushi?" En fece tanto d'occhi, come se la cosa fosse tanto assurda da indurlo a mettere in dubbio la sanità mentale di Io. "E quali genitori, poi? Io - noi non abbiamo genitori, non ve lo ricordate più?" Il ragazzo appariva, ora, decisamente spazientito. "Quel che dici non ha senso e, se questo è uno scherzo solo per vendicarvi del fatto che non vi ho detto nulla di Atsushi, be', non è per nulla divertente," avvertì in tono improvvisamente serio.

Io sbatté le palpebre. "Non è uno scherzo, En. Non mi permetterei di scherzare su una cosa del genere."

Ryuu, accanto a lui, si scompigliò i capelli, a disagio. Non erano davvero pronti ad affrontare questo argomento e si pentiva di essere stato proprio lui a tirarlo fuori. Eppure, ora non potevano tornare indietro.

"La verità è che non sei stato il solo a tenere nascosto qualcosa a qualcuno, En," ammise evitando di guardarlo in faccia. "Vedi, i tuoi genitori ci sono eccome, e non vedono l'ora di riabbracciarti..."

E così, i tre raccontarono le cose dal principio, dal giorno in cui, quasi diciotto anni prima, tre spiriti protettori avevano incontrato En per la prima volta, addormentato nella sua culla. Sorvolarono sugli aspetti più macabri della magia di Kinshiro, e Yumoto si premurò di sottolineare più volte come il re e la regina non avrebbero voluto davvero farlo partire, ma che non avevano avuto scelta.

Senza scendere nei dettagli, gli spiegarono degli incantesimi che avevano eretto a protezione della foresta, e di come si erano sempre preoccupati che En non riuscisse a trovare l'amore che lo avrebbe salvato, se loro non fossero stati in grado di proteggerlo dalla maledizione (nessuno dei tre, tuttavia, menzionò le lettere che Ryuu si era ingegnato a scrivere, né il loro piano per far incontrare En e la principessa). Ma tutto stava per finire, lo rassicurarono poi, il giorno del suo compleanno sarebbe potuto tornare a casa e riprendere il posto che gli spettava.

Se si aspettavano che En si dimostrasse grato o felice per le rivelazioni, però, i tre spiriti rimasero delusi.

Il ragazzo aveva seguito il racconto con aria scettica e, a momenti, allibita; man mano che questo procedeva, però, aveva fatto sempre più fatica a trattenersi dall'intervenire, e gli erano sfuggite diverse esclamazioni di impazienza e incredulità. Alla fine, rimase zitto, il viso pesantemente affondato nei palmi delle mani.

Gli altri si guardarono in silenzio, chiedendosi l'un l'altro che fare, e il vombato arricciò il naso, chiaramente disapprovando l'intera situazione.

Yumoto si fece più vicino ad En, sfiorandogli una spalla per cercare di confortarlo, ma il ragazzo si spostò bruscamente e poi si alzò in piedi, i pugni contratti. I suoi occhi scivolarono su tutti e tre, soffermandosi su ciascuno di loro, come se li vedesse per la prima volta.

"...anche se questa fosse la verità, perché mai non mi avreste mai detto nulla prima di oggi?" riuscì a dire alla fine, con voce poco ferma.

"Questa è la verità, cuginone," Yumoto provò di nuovo a toccarlo, ma En spostò il braccio di scatto.

"Che lo sia o meno, o mi state mentendo in questo momento, oppure mi avete mentito fino ad ora... In ogni caso, non ho ragione di credervi. Questa storia è assurda, sembra uscita da uno dei romanzi di Atsushi."

I tre spiriti si guardarono ancora una volta e poi, di comune accordo, si trasformarono, rimpicciolendosi improvvisamente di fronte agli occhi spalancati del giovane, che adesso si ritrovava di fronte delle versioni in scala dei propri cugini, complete di piccole ali - ali che facevano un rumore fin troppo simile a quelle di certi insetti che En detestava con tutto se stesso.

Il ragazzo lasciò cadere pesantemente sulla panca, ora leggermente pallido in viso.

"Questo avrei preferito non vederlo..." sussurrò scuotendo la testa.

"Abbiamo deciso di tenerti all'oscuro di tutto perché temevamo per la tua incolumità. Se avessi saputo, avresti cercato di tornare a casa, e i demoni avrebbero potuto catturarti," spiegò Io. Era buffo, pensò En, anche se era diventato così piccolo, la sua voce suonava normale. Forse stava avendo delle allucinazioni. "È lo stesso motivo per cui i tuoi genitori non sono mai venuti qui, sarebbe stato troppo pericoloso."

Yumoto si mantenne a distanza, ma cercò di parlare con tutta la tenerezza che poteva. "Sei convinto, adesso?"

Automaticamente, En si alzò in piedi. A che cosa avrebbe dovuto credere, ora? Al fatto che tutta la sua vita, fino a quel momento, era stata una bugia? Ad una verità che sembrava anche più assurda ed incredibile?

"Io credo che andrò a dormire," boccheggiò alla fine e, con passo appena tremante, lasciò la stanza più velocemente che poteva.

Nel silenzio che era caduto tutto all'improvviso, gli altri seguirono i suoi passi affrettati su per le scale e il tonfo della porta che si chiudeva.

"Non l'ha presa molto bene..." si rammaricò Yumoto, andando a posarsi tra le orecchie di Vombato.

"Per forza, voi tre non sapete nemmeno che cosa significhi la parola tatto," sibilò l'animale tra i denti.

"Comunque, almeno glielo abbiamo detto," fece Ryuu, dando voce a quel poco sollievo che provavano tutti. Non suonava molto convinto, però, ed Io gli circondò le spalle con un braccio. "Sicuramente domattina vedrà le cose in modo diverso," si augurò, stringendolo a sé.

 

Il pomeriggio seguente, però, En non era ancora uscito dalla sua stanza, ed i tre spiriti erano decisamente meno ottimisti riguardo alla reazione del ragazzo. Yumoto, quando era entrato nella loro stanza per andare a dormire, lo aveva visto irrigidirsi appena sotto le coperte, ma non si era nemmeno voltato verso di lui.

Quando Gora comparve in cima alle scale con un vassoio colmo di dolci appena sfornati, trovò lo spirito della luce tristemente accoccolato di fronte alla porta della camera. Era da prima di pranzo che Yumoto indugiava lì davanti, cercando di trovare il coraggio di bussare ed entrare. Non ci sarebbe stato nulla di male, in fondo, quella era anche la sua stanza, eppure, l'idea che En potesse allontanarlo, come aveva fatto la sera precedente, lo spaventava.

"Non credo che il cuginone voglia più rivolgermi la parola," si lamentò rivolgendosi a Gora.

L'uomo rispose allungandogli uno dei dolci. "Sarà difficile per lui accettare tutto quello che gli avete raccontato, ma non è una ragione sufficiente per lasciarsi morire di fame," decretò, aprendo la porta ed entrando.

En stava ancora raggomitolato sotto le coperte, e si mosse appena solo quando Gora si sedette accanto a lui sul materasso.

"Sono dolci al miele appena sfornati. Mangiali, non sta bene saltare sia la colazione che il pranzo."

Il principe non diede segno di aver sentito, ma dopo qualche attimo parlò da sotto le coperte.

"Anche tu sapevi tutto fin dall'inizio?"

Gora si mise più comodo.

"Quando a casa tua si presentano tre spiriti con un neonato ed una lettera che porta il sigillo della casa reale, non fai troppe domande. Ma sì, naturalmente lo sapevo."

Entrambi rimasero in silenzio ancora per un po', finché En parlò ancora.

"Tu li hai mai visti? Il re e la regina, dico - mio padre e mia madre, insomma."

"No, non li ho mai incontrati, ma ogni tanto ho contribuito anch'io alle lettere che Io gli manda tutti i mesi per fargli sapere come stai."

En si mosse a disagio sotto le coperte. Non riusciva nemmeno ad immaginarseli, i suoi genitori. In tutti quegli anni, era sceso a patti con la consapevolezza di essere orfano - che i suoi fossero morti o meno, cambiava poco, aveva accettato il fatto che non li avrebbe mai conosciuti e che lo avevano abbandonato. Non era arrabbiato con loro; era difficile avercela con qualcuno di cui non sapeva nulla. Certo, qualche volta aveva fantasticato su chi potessero essere; gente povera, certamente, che non aveva abbastanza pane per sfamare anche lui. Forse, si era sempre detto, era esattamente come Gora gli aveva raccontato: se solo avessero potuto, i suoi non l'avrebbero abbandonato. Erano stati costretti.

En aveva accettato anche il fatto che non avrebbe mai saputo la verità, e si era detto che non importava, perché la sua vita andava bene così: non gli poteva mancare davvero qualcuno che non aveva mai conosciuto. I loro volti erano sempre stati nulla se non forme indefinite nella sua mente, per lui che era cresciuto senza alcun ricordo né segno tangibile della loro esistenza.

Dalla sera prima, invece, nella sua testa non c'erano che le illustrazioni dei suoi romanzi - i re avevano sempre la barba ed i capelli fino alle spalle, le regine invece erano sempre giovanissime e con chiome lunghe fin sotto la vita. L'idea di chiamare mamma e papà figure simili gli risultava aliena, quasi innaturale.

"Io non sono un principe," affermò flebilmente da sotto le coperte.

Non lo era. Era un ragazzo che viveva nella foresta, non apparteneva a quel mondo complicato di cui Atsushi gli parlava sempre. Non sapeva... Ah, era un universo così difficile che non poteva nemmeno rendersi conto quanto grave fosse la sua ignoranza.

"Loro sono i sovrani di questo regno e sicuramente si aspettano un principe, ma io non lo sono," ripeté ancora. "E poi, che cosa ne sanno di me? Non mi vedono da anni. Chi glielo fa fare di riprendermi con loro."

Gora sospirò, incrociando le dita e poggiandovi sopra il mento.

"Quando mi chiedevi dei tuoi genitori, da piccolo, ti ho sempre detto che, se non ti avevano cresciuto loro stessi, era solo perché non potevano, ma che avrebbero dato qualsiasi cosa per poterti riavere indietro. Sono sicuro che, con il passare del tempo, questo sia anche più vero per loro."

Finalmente, En spuntò dalle coperte per scrutare attentamente Gora da sotto i capelli arruffati.

"Non posso essere un principe. Non so niente di quello che serve, e non ho intenzione di iniziare ad impararlo adesso. Soprattutto," fece poi, con una smorfia, "come possono aver deciso da loro chi dovrei sposare? Io non li conosco nemmeno, non possono impormi niente di tutto questo!" protestò, stringendo le coperte tra le dita. "Non possono dirmi quello che devo fare," ripeté ancora, quasi per autoconvincersi.

"Vedrai che sarai un ottimo principe, ed un ottimo re, un giorno," tentò Gora, con un tono di voce che sperava suonasse come rassicurante.

En si accigliò, guardandolo negli occhi. "Hanno imposto tutto questo anche a te, no? Di dovermi tenere qui tutto questo tempo, con la minaccia di quel demone... Perché gli hai obbedito? Solo perché sono i sovrani del regno?"

L'uomo si sorprese un po' di quella domanda così diretta, ma poi scosse leggermente la testa.

"Quando quei tre si sono presentati alla porta di questa casa, avevo praticamente la tua età. Non possedevo altro se non il mio lavoro di umile taglialegna, e ricordo che pensai che sicuramente non c'era nulla che io potessi offrire che fosse degno del mio principe. Però," proseguì sorridendo appena al ricordo, "quei tre sembravano tanto decisi a portare a termine il loro compito, quanto assolutamente incapaci di prendersi cura di un bambino."

Gora si ricordava ancora - non se lo sarebbe mai dimenticato - di come Yumoto teneva stretto il fagottino dormiente che era En, del trasporto e rabbia con cui Ryuu aveva raccontato la crudeltà dei demoni, e di come Io aveva puntualizzato che la ricompensa da parte dei sovrani, alla fine, sarebbe stata più che generosa.

A convincerlo davvero, al di là del denaro e della minaccia di Kinshiro, erano stati gli occhi di Yumoto ed il fare protettivo ed affezionato con cui abbracciava il principino, nonché il fatto che nessuno di loro, evidentemente, aveva idea di che cosa potesse servire ad un bambino così piccolo. Nemmeno Gora, a quel tempo, aveva le idee tanto chiare, ma se non altro era un essere umano anche lui e poteva, almeno, tirare ad indovinare con una maggiore cognizione di causa.

"Non potevo davvero lasciarti da solo con quei tre, anche se, a modo loro, hanno fatto tutto quel che potevano per tirarti su. Hanno - abbiamo fatto un buon lavoro, penso," disse, non senza un'ombra di orgoglio nella voce.

En nascose la faccia tra le mani e Gora gli arruffò i capelli con fare un po' burbero.

"Sono sicuro che anche il re e la regina saranno fieri di te, quando ti vedranno... E soprattutto, saranno felici di vederti tornare a casa."

Il ragazzo non rispose e Gora, dopo qualche attimo, si alzò, raccomandandogli di mangiare i dolcetti finché erano ancora caldi. Prima che uscisse, però, En lo chiamò. Si era già riavvolto nelle coperte, e la sua voce suonava attutita.

"Portane un po' a Yumoto, per favore. Sono i suoi preferiti."

Gora sorrise e fece come gli era stato chiesto.

 

Quella sera, En non cenò assieme agli altri, ma Gora gli lasciò da parte un piatto di minestra ed il ragazzo scese a mangiarlo quando la cucina era ormai vuota, sgattaiolando di soppiatto su e giù dalle scale, per non dare modo a nessuno di vederlo o interloquire con lui.

Per un paio di giorni, En si dedicò alle suoe normali mansioni in silenzio, cercando il più possibile di evitare qualsiasi contatto con gli altri, rispondendo con secchi monosillabi alle domande che gli venivano rivolte, e sparendo in camera sua non appena ne aveva l'opportunità. Gli spiriti, pur a malincuore, lo lasciarono stare, ignorandolo o rispondendogli solo se il ragazzo li interpellava per primo.

L'atmosfera, in casa, si era fatta elettrica e, se Io e Ryuu riuscivano, in qualche modo, a far finta di niente, Yumoto appariva sempre più infelice e nervoso.

Finalmente, una sera a cena, sedettero tutti e cinque al tavolo. A parte alcuni timidi complimenti riguardo al cibo, gli unici rumori erano quelli delle posate e dei bicchieri. Solitamente, erano En e Yumoto a trovare gli argomenti di conversazione, ma nessuno dei due era in vena di parlare. En fissava insistentemente il suo piatto, mentre Yumoto gli lanciava ansiose occhiate di sottecchi, sperando in una sua reazione. Nemmeno il fatto di avere Vombato tranquillamente accoccolato in braccio sembrava tranquillizzarlo. Io, Ryuu e Gora si stavano concentrando a loro volta sul cibo, un poco più bravi ad ignorare la tensione che regnava.

Alla fine, mentre erano in procinto di finire ognuno la propria minestra, En posò il cucchiaio nel piatto in modo particolarmente rumoroso.

"Che cos'è tutto questo silenzio? È per farmi abituare alla noia mortale che sarà la vita di corte?!" se ne uscì quindi, esasperato. "Comincerete a chiamarmi principe e a rivolgermi la parola solo se sono io a parlare per primo, o altre stupidaggini del genere?"

Quanto aveva appreso qualche sera prima lo aveva già sufficientemente sconvolto, ma l'idea che le cose tra lui e il resto della sua improvvisata famiglia fossero destinate a cambiare così da un giorno all'altro era una prospettiva peggiore. "Non mi piace quest'atmosfera pesante."

Gli spiriti si guardarono l'un l'altro perplessi ma anche, in parte, sollevati per il fatto he il ragazzo avesse rotto il ghiaccio per primo. Prima che uno di loro potesse far notare ad En che era stato lui a trincerarsi dietro un muro di silenzio la sera prima, Gora assunse un'espressione seria e decretò: "Fino a quando rimani qui, è vietato usare l'etichetta di corte."

"Bene, meglio così. Comunque," proseguì En, con tono tutt'altro che sollevato, "avevo sempre sospettato che voi non foste del tutto normali," decretò, indicando i tre spiriti di fronte a lui. "Ryuu è troppo in fissa con le ragazze, nonostante non ne abbia mai vista una in tutta la sua vita - la sua vita qui, insomma, ed Io è sempre stato eccessivamente ossessionato col denaro, anche se posso contare sulle dita di una mano le volte che abbiamo visto più di una o due monete d'argento in questa casa. E tu, Yumoto," fece indicandolo, "qualche volta brilli al buio, di notte. Mi sono sempre detto che stavo sognando o che avevo le allucinazioni, ma almeno ora so di essere sano di mente... O almeno credo."

Io e Ryuu si voltarono di scatto verso lo spirito della luce, che ridacchiò, un po' imbarazzato.

"Dev'essermi scappato, qualche volta..." ammise.

"Inoltre, tu!" Il dito indice di En si posò sulla punta del naso del vombato. "Avresti potuto degnarti di scambiare qualche parola anche con me, invece che solo con questi tre. Sappi che mi ritengo offeso."

Vombato arruffò il pelo.

"Pensavano che non sarebbe stato sano farti crescere in mezzo ad animali parlanti," borbottò. En fece una smorfia.

"Non credere che non ti abbia mai sentito, ma ho sempre creduto... be', lasciamo stare."

Davvero, l'unica cosa positiva di tutta quella situazione era l'aver trovato una spiegazione (quasi) razionale alle svariate stranezze che lo avevano accompagnato per tutta la vita.

"In ogni caso, avreste dovuto informarmi per lo meno del fatto che quei demoni vogliono farmi fuori. Sono stati loro ad attaccarmi l'estate scorsa al villaggio, non è così?"

Certo, sapere di non essersi sognato tutto aveva dei lati positivi, ma in questo caso, En avrebbe decisamente preferito che si fosse trattato di allucinazioni dovute al vento ed al caldo. "Avrebbero potuto ammazzarmi, quei demoni..." Avrebbero potuto uccidere sia lui che Atsushi, che si era ritrovato in serio pericolo per il solo fatto di essere assieme a lui. "Tra l'altro, com'è che si chiamavano? Il nome di uno di loro-"

"Ma cuginone, non ti abbiamo detto nulla per non spaventarti!" rispose subito Yumoto accoratamente. "E poi, qui nella foresta sei sempre stato al sicuro."

"Se fossi rimasto con noi, saresti stato al sicuro anche al villaggio," puntualizzò Io.

"Se mi aveste detto che pericoli correvo, forse sarei rimasto con voi," replicò En, tagliente. "Comunque sia, questa faccenda non mi piace," disse alla fine. "Non sono d'accordo con il fatto di essere un principe, sembra una rottura di scatole. Però, è anche vero che, come principe, posso rimanere vicino ad Atsushi."

Questo era l'unico dettaglio che rendeva la prospettiva appetibile. Avrebbe potuto far parte di quel mondo lussuoso che rischiava di portarglielo via, e forse così anche Atsushi sarebbe stato meno timoroso all'idea di cose come i balli di corte.

"Ma questa," precisò En, "è l'unica condizione alla quale accetterò di fare il principe," decretò alla fine.

Per un attimo, tornò a regnare il silenzio.

"Tu sei un principe, En, non hai scelta se non essere ciò che sei," replicò semplicemente Io.

"Non possono mica costringermi," rispose il ragazzo a sua volta.

Gli spiriti presero atto della cosa. Certo, forzare En a fare qualcosa di cui non aveva voglia era sempre stata un'impresa ardua, e loro si erano ben guardati dallo specificarlo nelle loro lettere. C'era da sperare che i sovrani non se la sarebbero presa con loro, se En si fosse rivelato un po' difficile sotto certi aspetti.

"Sono sicuro che i tuoi genitori capiranno, cuginone!" disse quindi Yumoto. "E poi, se sarà il bacio di Atsushi a svegliarti dal sonno magico, sicuramente non potranno opporsi al vostro amore."

En non sembrava felice della prospettiva. "Preferirei di gran lunga che non si arrivasse a questo," disse, spostandosi a disagio sulla sedia.

Yumoto si alzò ed andò ad abbracciarlo, consapevole di aver tirato in ballo un argomento poco divertente. "Ma noi non lasceremo che accada, certo che no!" assicurò, posandogli la testa su una spalla.

"Ci conto," rispose il principe, scompigliandoli i capelli come era suo solito fare. Nonostante tutto, gli sfuggì un sorriso.

 

 

~~~

 

 

Le stelle sembravano appena più vicine dalla fortezza arroccata sulla montagna. Nonostante l'estate fosse ormai iniziata, a valle, l'aria notturna lassù era ancora fredda.

Kinshiro osservava il cielo con aria distante. Tutti quei bagliori lontani, gelidi nella volta nera, ormai non significavano nulla per lui. Da qualche parte, dentro di sé, conservava la memoria di quello che era stato un tempo, uno spirito che si crogiolava nella luce delle stelle e della luna e che guardava ad esse per trovare guida e consiglio.

Ora non erano niente, se non strane geometrie luminose.

Attorno a lui, il profumo delle rose era intenso e dolciastro, quasi insopportabile. Anche questo loro passatempo doveva finire, pensò rientrando all'interno della fortezza con le labbra contratte per il fastidio.

Trovò Ibushi esattamente dove l'aveva lasciato prima, seduto ad un tavolo ed intento a giocare una partita di carte in solitario.

"Va' a chiamare Akoya, è giunto per noi il tempo dia gire," ordinò.

Poco dopo, i tre demoni erano riuniti nella sala. Leggermente a disagio, Akoya spostava lo sguardo da Ibushi a Kinshiro. Il primo manteneva uno sguardo calmo, paziente, mentre il secondo li stava ignorando, intendo a far scorrere le dita sopra la statuina di giada. Akoya strattonò nervosamente la treccia in cui aveva acconciato i capelli per la notte e tirò su il mento, cercando di apparire sicuro di sé. La tunica con cui aveva sostituito la vestaglia, che aveva addosso quando lo aveva chiamato Ibushi, era a collo alto e nascondeva la perla. Non fosse stato che doveva celarla a Kinshiro, Akoya si sarebbe messo a giocherellare anche con quella.

"Un sonno eterno non è poi diverso dalla morte," le dita di Kinshiro si fermarono sul muso del porcospino. "Soprattutto se il bacio del vero amore, come lo chiamano quegli spiriti, non arriverà mai."

Akoya notò Ibushi irrigidirsi al suo fianco.

"La Principessa Kinugawa riceveva costantemente lettere dal Principe Yufuin, non è così?"

Akoya si raddrizzò, interpellato direttamente.

"È così."

"E dove sono tutte queste lettere, lo sai?"

"La ragazza le teneva nascoste in un baule nella sua camera da letto, nella villa estiva. Me le ha mostrate solo una volta."

"Hai motivo di credere che siano ancora lì?"

Il demone arrotolò nervosamente una ciocca di capelli attorno al proprio dito indice.

"Non ho ragione di sospettare che le abbia spostate. Diceva sempre che quello era il nascondiglio più sicuro, perché a corte temeva che il resto della sua famiglia potesse scoprirle. Oltre a me e lei, poi, nessuno è a conoscenza della loro esistenza o del fatto che si trovino lì."

Kinshiro sorrise. "Quanti sforzi per il suo principe, e la povera fanciulla non sa di essere stata presa in giro per tutto questo tempo, di essere stata soltanto usata, e che il ragazzo in realtà non prova nulla per lei. Davvero tremendo, non trovi?"

Akoya si strinse nelle spalle. "È solo una ragazza umana."

Kinshiro lo guardò negli occhi. Le sue iridi verdi apparivano appena fluorescenti nella semioscurità della sala - rilucevano della stessa sfumatura della statuina di giada, e come questa erano gelide e taglienti.

"Pensa come ti sentiresti, a scoprirti tradito da qualcuno di cui hai sempre avuto la massima fiducia."

Akoya rimase impassibile, mentre un brivido gli attraversava la spina dorsale.

"Se scoprissi che tutto quello che ha sempre detto e fatto una persona nei tuoi confronti è stato falso, che sei stato usato unicamente per il tornaconto personale di qualcun altro."

Akoya trattenne il fiato, ma non abbassò lo sguardo.

"Pensa se lo scoprisse la principessa. Pensa se lo scoprisse Atsushi," esalò alla fine.

Kinshiro accarezzò nuovamente la statuina e, quando ritrasse la mano, teneva tra le dita una delle sue spine.

"Andate fino alla residenza estiva dei Kinugawa. I due ragazzi saranno già arrivati, ormai. Trovate quelle lettere. Akoya," Kinshiro gli fece cenno di porgergli la mano. Quando il demone ebbe obbedito, vi depositò delicatamente la spina. "Trasformalo in un fiore essiccato. È d'uso, tra gli amanti umani, non è così? Poi, infilatelo in una delle buste, e fate sì che il principe la trovi."

"Ma Kinshiro," si intromise Ibushi, "siamo stati banditi da quella villa. I tre spiriti l'hanno incantata."

Gli occhi verdi dell'altro scivolarono su di lui. "Niente che un tuo soffio di vento magico non possa ingannare, Arima."

Il demone più alto annuì, abbassando lo sguardo, e Kinshiro si lasciò sfuggire un sorriso vittorioso.

"Questo è il mio messaggio per Atsushi. Fate in modo di recapitarlo."

 

 

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Capitolo 11
*** La vigilia del compleanno ***


Capitolo XI


La vigilia del compleanno








Quell'anno, i due principi Kinugawa arrivarono alla residenza estiva più tardi del solito. Questa volta, erano accompagnati dalla regina, la cui presenza rendeva tutto estremamente complicato per Atsushi - come se la situazione non fosse già di suo un gigantesco rompicapo.
 
Aveva bisogno di vedere En. Doveva sapere.
 
Doveva parlagli di quello che i suoi genitori avevano rivelato a proposito di sua sorella e, forse, di lui. Da un lato, Atsushi faceva fatica a credere che fosse vero, che il suo En fosse il principe maledetto promesso in matrimonio alla ragazza tanti anni prima. Una parte di lui sperava che non fosse così, che En fosse solo l'orfano senza un cognome con cui era cresciuto. Dall'altro, però, il suo nome, l'età ed il giorno del compleanno corrispondevano, così come iniziavano ad avere un senso, nella sua mente, tutti i divieti a cui il ragazzo era sottoposto nella foresta.
 
Erano come tanti piccoli pezzi di un enorme puzzle, che a tratti combaciavano, a tratti no. La tessera mancante era proprio il suo En: certo, il ragazzo doveva essere rimasto all'oscuro di tutto fino ad ora - altrimenti, Atsushi non ne dubitava, glielo avrebbe raccontato. O forse, non sapeva nulla perché non c'era nulla da sapere, perché En era solo un ragazzo qualunque, non un principe misterioso promesso a sua sorella.
Atsushi, nonostante il brivido dell'avventura promessa dalla prima possibilità, in cuor suo si aggrappava alla speranza che si trattasse della seconda perché, altrimenti, non sapeva che cosa avrebbe fatto.
 
Sparire nella foresta per incontrare En, però, era fuori discussione: sembrava che ogni giorno sua madre riuscisse a trovare come occupare il suo tempo ed Atsushi non riusciva a sfuggirle. Se solo ci fosse stato Kinshiro, avrebbe potuto rifugiarsi da lui per almeno in paio d'ore. Avrebbero preso il tè e giocato a scacchi come sempre, e lui gli avrebbe raccontato tutto, gli avrebbe confessato i suoi timori e le sue ansie. L'amico gli mancava come non mai ma, l'unica volta che si era spinto fino alla sua villa, non era stato sorpreso di trovarla nelle condizioni in cui l'aveva lasciata l'estate prima.
 
Atsushi si sentiva solo, nonostante la casa fervesse di persone e di attività, era corroso dalla preoccupazione per i possibili scenari che si aprivano davanti a lui. Come spesso gli succedeva, trovava conforto e consolazione solo nelle sue letture, quando aveva un momento di calma per dedicarvisi.
 
Un pomeriggio, mentre vagava per le stanze della villa alla ricerca di un angolino tranquillo per tornare al romanzo che stava leggendo, venne spaventato dall'improvviso rumore di una finestra che sbatteva, spinta dal vento. Nel silenzio del corridoio, il tonfo l'aveva colto alla sprovvista, e non fu senza un brivido di preoccupazione che si voltò indietro per controllare.
 
Le tende ondeggiavano ancora nella brezza, ma l'attenzione del principe venne catturata da qualcosa di giallognolo che emergeva da sotto i lembi di stoffa. Si chinò a raccoglierlo - era una lettera. Sulla busta non era scritto niente e, spinto da un'improvvisa curiosità, la aprì per leggerla. Nel farlo, però, qualcosa gli punse il dito. Atsushi corrugò le sopracciglia, scoprendo sotto la carta lo stelo di una rosa essiccata. Sotto i suoi petali scuri, si intravvedeva il nome della persona a cui era indirizzata: si trattava di sua sorella, ed il principe non avrebbe pensato due volte a richiuderla senza guardare se non fosse stato che quella grafia gli era terribilmente familiare.
 
Le sue dita si mossero da sole e la aprì per leggerla.
 
 
~~~
 
L'estate avanzava ed il diciottesimo compleanno di En si faceva imminente. Il passare delle settimane non gli aveva reso più accettabile l'idea di dover lasciare la foresta per andare a vivere a corte ma, se non altro, gliela aveva fatta diventare più familiare.
 
Nell'attesa del ritorno di Atsushi e del momento in cui gli avrebbe raccontato di tutte le scoperte che aveva fatto, En aveva trascorso interi pomeriggi a leggere e rileggere le lettere che i sovrani avevano scritto agli spiriti nel corso degli anni. Erano spesso molto corte, perché il re e la regina non raccontavano granché di quel che accadeva alla capitale e le notizie che davano a loro proposito erano sempre molto succinte: qualche parola sul loro stato di salute, qualche breve menzione degli affari del regno, e questo era quanto.
 
Il ritrovamento più importante tra tutte quelle carte, però, era stato un piccolo ritratto che gli avevano spedito appena un paio di anni prima. En era rimasto a rigirarselo tra le mani per giorni, accostandolo a sé di fronte allo specchio, cercando di catturare tutte le più piccole somiglianze tra il suo viso e quello dei suoi genitori. Suo padre aveva i capelli del suo stesso biondo scuro, ma aveva un viso molto più quadrato e spigoloso. Sua madre, invece, aveva un volto ovale, dagli zigomi alti ma morbidi, in cui ad En pareva di riconoscersi di più. Nel ritratto, però, nessuno dei due sorrideva - entrambi avevano espressioni distanti, quasi non fossero certi di come approcciarsi alla persona a cui quel piccolo dipinto era destinato (eppure, diceva la missiva di accompagnamento, era stato fatto fare apposta per lui).
 
La parte sostanziale del contenuto delle lettere, comunque, era a proposito di En. Erano domande su domande, su come stava, che cosa gli piaceva fare, come si divertiva, quali erano i suoi cibi preferiti. Inoltre, commentavano spesso quanto era stato loro riportato nelle lettere precedenti, il cui contenuto En poteva soltanto immaginare. Da quel che intuiva leggendo le risposte, però, gli spiriti si erano divertiti a far sembrare la vita nella casetta nel bosco molto più raffinata di quel che non fosse e questo non aiutava la sensazione di strisciante ansia che ormai gli era diventata famigliare.
 
La preoccupazione del ragazzo era ben chiara anche agli altri, che facevano tutto il possibile per distrarlo. Più di una volta, Yumoto aveva tenuto En sveglio a forza di chiacchiere su quanto Atsushi sarebbe stato contento di sapere che anche lui fosse un principe e di quanto sarebbe stato meraviglioso, per loro, vivere a corte assieme da quel momento in avanti.
 
Il ragazzo assecondava tutte le fantasticherie di Yumoto, ammettendo con se stesso che sì, sarebbe stato bello veramente, ma riconoscendo anche che lo spirito stava dando troppe cose per scontate o che, comunque, le stava facendo troppo facili.
 
Al clima di ansia generale venne poi ad aggiungersi il fatto che Atsushi, quell'anno, non aveva ancora raggiunto En nella foresta. Con ogni giorno speso inutilmente ad aspettarlo nella loro radura, il principe diventava sempre più impaziente ed agitato.
 
Atsushi era sempre stato abitudinario e, normalmente, a quel punto dell'estate, lui ed En avrebbero trascorso insieme già diverse settimane. Aveva bisogno di vederlo, adesso più che mai. Doveva parlargli, doveva raccontargli tutto; soprattutto, doveva essere certo che lui la pensasse allo stesso modo: che andava bene così, che sarebbero rimasti assieme, che non sarebbe cambiato nulla, anzi, che tutto sarebbe andato meglio.
 
Ma Atsushi non arrivava, così come non arrivavano le rassicurazioni che En tanto bramava, ed il principe iniziava a temere il peggio: se gli fosse accaduto qualcosa, non avrebbe avuto modo di saperlo, e il solo pensiero stava facendo impazzire En per la preoccupazione.
 
Vedendolo aggirarsi inquieto per la casa, i tre spiriti si offrirono di fare un piccolo giro di ricognizione fino alla residenza estiva della casa reale. Io aveva dato il via libera: in tutte quelle settimane, aveva sentito Akoya avvicinarsi solo una volta, ed anche il quel caso, non era arrivato in prossimità della foresta.
 
Giudicando quindi che non ci fosse alcun pericolo, lui e Ryuu erano partiti in missione e, quando erano tornati, avevano tranquillizzato En: il Principe Atsushi era alla villa e sembrava godere di ottima salute. Certo lo avrebbe raggiunto nella foresta al più presto. 
 
Era passato però un altro paio di giorni senza alcun segno di Atsushi, ed il ritrovato buonumore di En aveva fatto presto a sparire. Apatico, si trascinava in giro senza riuscire a focalizzarsi su nulla.
 
"Su, cuginone, sono sicuro che il principe è solamente impegnato con qualche faccenda di corte. Sicuramente al più presto troverà il tempo di venire da te," provava a consolarlo Yumoto, ma En non sembrava sentirlo.
 
"Mancano solo pochi giorni al mio compleanno. Atsushi è sempre stato qui per mio compleanno," ripeteva invece, rigirandosi tra le dita il gioiello che gli aveva regalato l'anno prima. "Ho bisogno di vederlo prima di andarmene. Deve venire."
 
Gli spiriti, incapaci di alleviare la sua preoccupazione, iniziavano invece ad esserne contagiati. Per alleggerire l'atmosfera, quindi, una sera decisero di fare una sorpresa ad En. Per l'occasione, si erano anche cimentati nella cottura di una torta che, pur essendo riuscita un po' sbilenca, emanava comunque un delizioso profumino.
 
Quando la portarono assieme a Gora nel soggiorno, En sollevò su di loro uno sguardo vuoto.
 
"Eh? Non siete un po' in anticipo? O mi sono dimenticato del mio stesso compleanno?" fece debolmente.
 
"No, non temere, non sei ancora arrivato a tanto," lo tranquillizzò Ryuu con un sorriso.
 
"Veramente, visto che la sera del tuo compleanno sarai a palazzo, pensavamo che non avrebbe fatto male a nessuno fare un piccolo strappo alla tradizione e festeggiare in anticipo," spiegò Io.
 
Ryuu tirò fuori la bacchetta e diciotto piccole fiamme comparvero in cima alla torta.
 
"Vai, cuginone, tutte in un soffio!" lo incoraggiò Yumoto, facendo dondolare la sedia per l'eccitazione. "E, soprattutto, esprimi un desiderio!"
 
En sospirò. Non si sentiva particolarmente in vena di festeggiamenti, ma non poteva nemmeno deluderli; così, si trascinò svogliatamente fino al tavolo e, raccolto tutto il fiato che poteva, soffiò sulle improvvisate candeline. Nonostante la sua buona volontà, però, le fiamme danzarono appena e poi brillarono anche più di prima.
 
"Ryuu!" lo ammonì Gora, e lo spirito del fuoco si strinse nelle spalle con una risatina divertita.
 
"Riprova, su."
 
En soffiò ancora, un poco più forte questa volta, e le fiamme si spensero in un'improvvisa esplosione di luce e fumo. Quando il ragazzo riaprì gli occhi, sul tavolo davanti alla torta c'erano due involti di seta, la stoffa luminosa tenuta assieme da due vistosi fiocchi di raso dorato e brillante. Il ragazzo si lasciò sfuggire una pacata esclamazione di sorpresa.
 
"E questi?"
 
"Sono i tuoi regali! Su, aprili!" Yumoto era chiaramente più impaziente di En.
 
"Ehi, avevo capito che gli spiriti guardiani potessero fare un solo dono ciascuno," fece notare il principe, inarcando le sopracciglia.
 
Ryuu incrociò le braccia sul petto con un certo orgoglio. "Questo è un piccolo fuori programma, ma niente che vada contro le regole."
 
"E poi, finora non hai potuto godere appieno dei nostri primi regali," spiegò Io.
 
"Stai forse dicendo che sono brutto?" lo rimbeccò En, più divertito che risentito, ma Io arrossì per la gaffe.
 
"Non è così, solo, non sei cresciuto circondato dalle ricchezze e dal lusso che ti sarebbero spettati," rispose infine. "Non sei venuto su come un principe, ma presto lo sarai, ed è l'ora che tu possieda qualcosa che sia degno del tuo rango. Quindi," Io accennò un inchino formale, "accetta questi tre nuovi doni."
 
Senza dire nulla, En sciolse il fiocco dell'involto più grande, che aveva una forma lunga ed affusolata. La seta cadde, raccogliendosi in un mucchietto sul tavolo e rivelando l'elaborata elsa di una spada nel suo elegante fodero.
 
"Non ne ho mai tenuta in mano una vera," commentò piano En sfoderando l'arma con attenzione. La lama era così lucida che sembrava emanare un bagliore proprio. Nonostante le dimensioni, era stranamente leggera, e l'impugnatura sembrava pensata precisamente per la sua mano.
 
"Non so nemmeno come si usa."
 
Certo un'arma del genere non era nemmeno paragonabile a quelle di legno con cui si erano allenati, più o meno maldestramente, lui ed Atsushi le estati prima.
 
"Ehi, non ci sottovalutare, abbiamo pensato a tutto. Questa è, naturalmente, una spada magica," fece Ryuu con un certo orgoglio.
 
"L'abbiamo forgiata con l'acciaio, il fuoco e la luce. In essa c'è un pizzico della magia di ognuno di noi," spiegò Yumoto. "Non ti tradirà," lo rassicurò facendogli l'occhiolino.
 
En prese in mano il secondo involto. Aveva una forma tondeggiante e, sotto gli strati di seta, l'oggetto era duro al tatto. Considerando anche la grandezza, il ragazzo non ebbe difficoltà ad immaginare di che cosa si trattasse, e lo riappoggiò sul tavolo. Non era ancora pronto per aprirlo.
 
"Avevate detto tre regali, no? Ma qui ne vedo solo due," disse invece.
 
Ryuu sorrise. "Oh, è perché il terzo l'hai già addosso."
 
Con uno schiocco delle dita, Io fece materializzare tra le sue mani uno specchio più alto di lui e lo diresse verso En. Quando questo si voltò, per un momento ebbe il dubbio che la persona nel riflesso non fosse lui.
 
Il vestito che indossava era anche più sontuoso di quello che gli avevano fatto trovare l'anno prima; ricami bianchi, celesti e dorati si intersecavano su maniche e petto, circondando sfavillanti pietre preziose. Un mantello di seta finissima gli ricadeva dalle spalle, a cui era fissato con fibbie d'oro, fin quasi alle caviglie.
 
Ryuu si premurò di allacciargli in vita la spada e Yumoto, dietro di lui (e, immaginò En, con una certa soddisfazione), scartò anche l'ultimo dei regali e glielo posò sul capo. Ora, sulla sua testa splendeva una corona, il cui oro si confondeva con quello dei capelli.
 
"Ti sta bene, eh," fece lo spirito del fuoco. "Quando ti presenterai così a palazzo, nessuno metterà in dubbio il fatto che tu sia il principe."
 
"Di quello non mi importa niente," replicò En, onesto. Il peso della corona sulla testa gli aveva improvvisamente ricordato il sogno che aveva fatto tempo addietro: l'oro che gli stringeva le tempie e la mano di Atsushi nella sua; come si toglieva il diadema, però, anche la stretta delle dita del suo amato svaniva.
 
En indugiò per qualche istante di fronte allo specchio. Doveva essere il principe che era, se voleva che Atsushi gli rimanesse accanto, non era forse questo il significato del sogno? Un anno prima, non avrebbe nemmeno potuto immaginare che sarebbe stato così chiaro.
 
"Credo mi stiano bene, grazie," riuscì a dire alla fine. "Però, credo anche che sia il caso che questo vestito me lo tolga, se non voglio sporcarlo con la torta." Per quella sera, ne aveva già avuto abbastanza di essere un nobile.
 
 
 
~~~
 
 
 
Soffiando sulle fiamme di Ryuu, En non si era dimenticato di esprimere il suo desiderio e questo divenne realtà un paio di giorni più tardi, proprio la vigilia del suo compleanno.
 
Anche quella mattina, dopo aver constatato che nella radura con la sorgente non c'era nessuno, si era spinto fino al limitare della parte incantata della foresta per poter incontrare Atsushi, se fosse venuto. Si era svegliato presto, dopo aver passato una notte agitata, e si era precipitato lì, nella speranza che quel giorno - l'ultimo utile per incontrare il suo ragazzo prima del suo ritorno a corte - fosse la volta buona.
 
Quando udì dei passi avvicinarsi, per un attimo temette che si trattasse di qualcun altro, ma poi dal sottobosco emerse proprio Atsushi ed En tornò a respirare.
 
"Atsushi! Per fortuna! Ero in pensiero, ti aspetto da settimane ormai," ammise, tendendogli la mano.
 
L'altro lo guardò solo di sfuggita, e poi abbassò lo sguardo, senza avvicinarsi.
 
"Non importa, adesso! Ero solo ansioso di vederti," continuò En, interpretando male la sua reticenza. "E poi, devo raccontarti delle cose incredibili, dai, vieni qui."
 
Ma l'altro non si mosse.
 
"Già. Be', sono stato impegnato a casa. Sai, la cerimonia di fidanzamento ufficiale di mia sorella con te... e tutto il resto. È partita oggi per la capitale di Binan, quindi ho trovato un po' di tempo."
 
En sentì mancargli il respiro. Non aveva mai sentito la voce di Atsushi così fredda, distante.
 
"Tua sorella...?"
 
Solo in quel momento, En si accorse che Atsushi stringeva qualcosa tra le mani.
 
"Non giocare con me, En," lo avvertì il principe. "Non far finta di niente. Che cosa ci fai qui, poi? Credevo che fossi già partito."
 
En lo fissò senza capire. "Che cosa ci faccio qui...? Aspettavo te, naturalmente."
 
"E per fare cosa?" La voce di Atsushi tremava. "Dovresti essere lì anche tu a prepararti per la cerimonia di domani."
 
Il sangue del ragazzo si congelò improvvisamente. "Domani è solo il mio compleanno. Non so niente di altre cerimonie." Nel frattempo, nella sua mente iniziava a sorgere un barlume di comprensione. "Atsushi, ero all'oscuro di tutto, non sapevo nulla nemmeno di chi ero, figuriamoci di tua sorella. Questo fidanzamento l'hanno deciso i miei genitori, io non lo voglio, Atsushi."
 
Ma l'altro sembrava sordo alle sue spiegazioni.
 
"Non raccontarmi altre bugie, En, è già abbastanza così."
 
"Non ti sto mentendo." En faceva quasi fatica a respirare.
 
"Basta, En. Le ho lette, sai?"
 
"Letto cosa?"
 
"Le lettere. Quelle che hai scritto a mia sorella."
 
"Ma di che cosa stai parlando?"
 
Atsushi era pallido e la sua mano tremava, quando gli allungò la pergamena che aveva in mano.
 
"La riconosci, questa?"
 
En aprì il foglio in fretta, ma non riuscì a far altro che scorrerne il contenuto, mentre Atsushi parlava ancora.
 
"È la tua scrittura, questa, vuoi negarlo? E c'è la tua firma, lì sotto!"
 
La mente del giovane registrò debolmente che sì, la grafia era la stessa. Eppure, non era possibile.
 
"Ma io non ho mai scritto-"
 
"Siete andati avanti mesi e mesi, forse anche di più! E dire che a me non hai mai scritto un solo messaggio... Mi hai sempre detto che non sapevi come fare a farmeli arrivare. Ma guarda caso, mia sorella ne ha una scatola piena. Me l'ha confessato lei stessa poco tempo fa, dopo che i nostri genitori le hanno rivelato che era promessa a te. E dopo che io ho trovato questa, per sbaglio."
 
La voce di Atsushi tremava violentemente, adesso.
 
"Lì le scrivi di quanto vi sareste divertiti assieme al villaggio. Io, stupido, nemmeno ci credevo, perché non sei mai venuto al villaggio se non quando sei stato con me - ma no, mia sorella ha detto che era tutto vero, e allora le ho chiesto di descrivermi questo fantomatico principe, e sai che cosa, En? Eri tu. Ti corrispondeva perfettamente."
 
Atsushi stava quasi annaspando ora, era pallido e le sue mani stringevano convulsamente dei petali di rosa secchi.
 
"Come hai potuto fare una cosa del genere, En? È mia sorella. E tu mi hai preso in giro per tutto questo tempo."
 
En sentiva il mondo vorticargli attorno furiosamente. Era perso, completamente; Atsushi parlava, e nonostante la sua mente comprendesse il significato dei termini, ancora una volta, tutto quello che sentiva non aveva senso.
 
"Non ho mai scritto queste lettere e non ho mai incontrato tua sorella, Atsushi, lo sai. Non capisco perché ti abbia raccontato di avermi visto, ma non è vero!"
 
Lo sguardo di Atsushi si fece duro ed il principe alzò la voce. "Mia sorella non mente, En! E certo quelle lettere non le ha inventate lei!"
 
"Nemmeno io mento!" En fu quasi sorpreso di sentirsi alzare la voce a sua volta, ma non gli importava. "Perché non mi credi?"
 
"Perché non sono stupido! O non lo sono più, almeno. Ti sei divertito a prendermi in giro tutto questo tempo, ma adesso basta." La sua voce era più calma, adesso, e fredda.
 
En si sentiva sul punto di vomitare.
 
"Tu sei quello che mi prende in giro adesso! Se non è tua sorella ad essersele inventate, non è che che te le sei inventate tu, queste?" rimbeccò En, "Non è che sei stato tu quello che si è divertito, per tutto questo tempo, a stare con il povero orfano del bosco?"
 
En non voleva dirlo davvero, ma era arrabbiato e si sentiva, soprattutto, inerme di fronte a quella montagna di accuse incredibili. Stava reagendo mostrando la sua paura più grande - era sciocco e penoso, si disse, ma rendersene conto non gli bastò per fermarsi.
 
"E adesso che invece si scopre che sono un principe, ogni scusa è buona per lasciarmi indietro. Non sia mai che ti vedano assieme a questa disgrazia umana a corte!" gridò alla fine, ritrovandosi senza fiato.
 
Atsushi non rispose. Indugiò appena un momento, poi si voltò e sparì nella foresta.
 
"Torna qui!" voleva urlargli - perché non voleva vederlo svanire così, voleva che fosse tutto uno sbaglio, voleva corrergli dietro e prendergli la mano. Ma non poteva.
 
Il mondo attorno ad En sembrò fermarsi, poi prese a vorticare furiosamente. Si ritrovò aggrappato al tronco di un albero, la fronte premuta contro la corteccia, a pregare che tutto si rivelasse solo un incubo.
 
Quando si raddrizzò e tornò a guardarsi intorno, però, era sempre solo nella foresta silenziosa.
 
 
Tornò a casa sotto uno scroscio di pioggia improvviso e gelido.
 
Gli spiriti, che avevano atteso il suo ritorno con una certa impazienza, si voltarono all'unisono verso di lui quando lo udirono entrare.
 
"Allora, com'è andata?" cinguettò subito Yumoto, alzandosi per andargli incontro, ma l'entusiasmo gli morì sulle labbra come vide l'espressione sul viso del principe.
 
"Cuginone...?"
 
En si tolse in silenzio gli stivali zuppi di fango. Ciocche spioventi di capelli fradici gli coprivano gli occhi, ma la bocca aveva una piega dura.
 
"Non andrò a corte, né domani né mai," disse soltanto, prima di sparire nella sua stanza.
 
 
 
~~~
 
 
 
"Dai, cuginone, sono certo che troveremo un modo di risolvere la cosa," Yumoto disse per l'ennesima volta, accarezzando la schiena di En per confortarlo.
 
Era quasi sera e la pioggia fuori si era trasformata in una nebbia fredda. Il principe sedeva sul suo letto, curvo su se stesso, abbracciato alle sue ginocchia.
 
"Atsushi mi ha lasciato, come vuoi risolvere una cosa del genere?" replicò con voce piatta.
 
Gli altri si scambiarono degli sguardi preoccupati. Anche Gora, che osservava in silenzio, appoggiato allo stipite della porta d'entrata, cambiò posizione a disagio.
 
Certo, che En ne stesse parlando era già un buon risultato. Per un attimo, avevano temuto che il ragazzo si sarebbe rinchiuso in se stesso come aveva fatto solo poche settimane prima - con la differenza che, questa volta, non avevano altrettanto tempo.
 
Il problema, però, era più grave di quanto si aspettassero.
 
"Forse la novità è stata un duro colpo anche per lui, En. Anche Atsushi era stato tenuto all'oscuro di tutto," provò a razionalizzare Io.
 
"Perché non ne ha parlato con me, allora? Potevamo risolverlo assieme," replicò En, agitato. "Invece, per come si è rivolto a me, è chiaro che creda che sia io il problema, non il resto."
 
En chiuse gli occhi e premette la fronte contro le proprie ginocchia. Atsushi era sempre stato troppo per lui - un principe e un orfano senza né arte né parte, storie del genere non funzionavano nella realtà. Gli altri potevano agghindarlo come meglio preferivano, con ori e tessuti di lusso, ma non avrebbero mai cambiato la realtà di quello che era, ed Atsushi, evidentemente, lo doveva sapere. Trascinarsi appresso un peso come lui nell'intricata vita di palazzo doveva essere troppo anche per lui. Non che En lo biasimasse, in fondo: la sua pazienza aveva, infine, raggiunto il limite.
 
"E se l'avesse fatto solo per rispetto nei confronti di sua sorella?" ipotizzò a quel punto Ryuu. "Certo non è una situazione divertente, ritrovarsi a spartire il fidanzato. Magari vuole farsi da parte e lasciarti a lei."
 
En scosse la testa. "Avrebbe anche potuto dirlo, allora! Senza inventarsi tutte quelle accuse che mi ha rovesciato addosso!"
 
Era straziante sentirlo parlare con voce così rotta. Di nuovo, Yumoto gli strofinò la schiena affettuosamente.
"Quali accuse, cuginone?"
 
"Mi ha incolpato di aver avuto una relazione con sua sorella per tutto questo tempo! Di avergli mentito! E anche se io cercavo di spiegargli che invece non sapevo nulla, che non le avevo mai scritto nessuna lettera, non sentiva ragione. Ho provato a dirglielo, ma..."
 
"Lettere?" la voce di Ryuu improvvisamente suonava rauca.
 
En si frugò in tasca e gettò a terra una pergamena accartocciata.
 
"Io ve lo giuro, non l'ho mai incontrata, la principessa. Non so chi le abbia mandato questa, ma sicuramente non sono stato io... E non ho idea di come faccia questa scrittura ad essere identica alla mia, d'accordo?" il tono di En si era fatto implorante. "Ma credetemi almeno voi se vi dico che io non ne so niente!"
 
Il silenzio che seguì a questa sua ultima preghiera non servì affatto a tranquillizzarlo. I tre spiriti stavano chiaramente cercando di evitare il suo sguardo e la cosa non gli piacque.
 
"Non mi credete nemmeno voi? Va bene, è vero, non riesco ad immaginare nemmeno io perché mai qualcuno si sia preso la briga di imitare la mia scrittura, ma-"
 
"Ti crediamo, En, e sappiamo bene che non sei stato tu a scrivere quelle lettere."
 
Ryuu stava giocherellando nervosamente con la pergamena. Ci volle ancora qualche lungo istante prima che lo spirito, fatto un respiro profondo, ammettesse: "...perché le ho scritte io."
 
L'altro lo guardò con occhi sbarrati.
 
"Tu hai fatto cosa?"
 
"Vedi, En, eravamo preoccupati che non saresti riuscito a conoscere nessuno e non sapevamo come farti avvicinare alla principessa senza essere scoperti dai demoni, così ho iniziato a scriverle. In fondo, eravate già fidanzati, quindi ho pensato di farti un favore, no?" cercò di spiegare nervosamente lo spirito del fuoco, ma En non sembrava particolarmente incline ad assecondarlo.
 
"Cioè mi stai dicendo che per tutto questo tempo hai scritto alla principessa fingendoti me, e cercando di farla innamorare?!" trasecolò. "E per questo, ora, Atsushi pensa che io sia un bugiardo. E io gli ho anche detto quelle cose..." Il principe tornò a prendersi la testa fra le mani, colto dalla disperazione.
 
"Scusami. Non sapevo niente di Atsushi, l'ho fatto davvero solo pensando al tuo bene," tentò di giustificarsi ancora lo spirito. "Mi dispiace, veramente."
 
En raddrizzò la testa di scatto. "Avrai modo di scusarti a dovere, non preoccuparti. Andiamo da Atsushi adesso e tu gli spieghi esattamente che cos'è successo, sia a lui che alla sorella."
 
Ryuu sbarrò gli occhi. "Eh?! Adesso?"
 
"Quando, sennò?" En si alzò in piedi con urgenza. "Va chiarito tutto il prima possibile," disse, facendo un paio di passi verso lo spirito del fuoco.
 
Io, però, si frappose. "Non è prudente muoversi ora," disse. "I demoni sono qui vicino, adesso, li ho sentiti arrivare questa mattina, probabilmente aspettano la nostra partenza domani. Non possiamo dar loro un'ulteriore possibilità di attaccarci."
 
"Non mi interessa niente dei demoni, non mi fanno paura!" En esclamò, perdendo la pazienza. "Questo è quello che ho intenzione di fare ora e tu, Ryuu, devi venire con me!" insisté.
 
Lo spirito del fuoco, però, non aveva intenzione di assecondarlo. "Hai sentito che cos'ha detto Io, uscire adesso dalla foresta è troppo pericoloso. Gli parlerò domani, una volta giunti a corte, e spiegherò tutto."
 
Ma En non voleva sentire ragione. "Ve l'ho detto, non ho intenzione di venire a corte se prima non chiarisco le cose con Atsushi."
 
"Sistemeremo tutto domani!" anche il tono di Ryuu si stava scaldando.
 
"E se domani fosse troppo tardi? Per colpa tua-"
 
"Basta così."
 
Gora si era frapposto tra i due ed ora torreggiava di fronte ad En, braccia conserte in petto, nascondendo Ryuu dietro di sé.
 
"Per nessun motivo puoi lasciare il riparo della foresta, con quei demoni dietro l'angolo, chiaro, ragazzo? Domani, risolverete tutto a corte."
 
En aprì la bocca per rispondere, ma il tono di Gora non ammetteva repliche.
 
"Domani andrà tutto bene, cuginone, te lo promettiamo," disse Yumoto raggiungendolo e cercando di suonare più rassicurante che poteva. En, però, non rispose.
 
 
 
~~~
 
 
La pioggia colse Atsushi mentre vagava, disorientato, verso casa. A dire il vero, non era sicuro nemmeno lui della direzione in cui stava conducendo il suo cavallo. Erano davvero poche le cose di cui era sicuro in quel momento.
 
L'unica certezza che aveva erano quelle lettere, quelle parole sdolcinate rivolte a sua sorella. Aveva dovuto rileggerle due volte, perché tutte quelle romanticherie non suonavano affatto come qualcosa che En avrebbe potuto scrivere, ma del resto, poteva davvero dire di conoscere En? Non aveva mai saputo niente di quello che aveva considerato il suo migliore amico, la persona di cui si era innamorato, quella a cui per primo aveva dato tutto se stesso. Ogni carezza, ogni bacio, ogni tocco era stato una bugia a cui lui aveva creduto. Ci si era gettato a capofitto, come solo uno stupido avrebbe fatto.
 
E dire che si era perfino emozionato all'idea che potesse essere un principe, che fosse tutto come in uno dei suoi romanzi. No, era un incubo.
 
Eppure, la pergamena era reale tra le sue dita - fin troppo, pensò tormentandosi il polpastrello che era stato punto da una delle spine della rosa secca. Il dolore fisico, almeno, lo distraeva un po' dal circolo vizioso dei suoi pensieri, ma la stretta al petto che avvertiva era più acuta ed opprimente della puntura - come se le spine gli si fossero ficcate direttamente nello sterno, una sensazione fittizia, lo sapeva, ma non meno concreta.
 
Altrettanto reale ed inconfondibile era il significato delle parole delle lettere, così come la grafia e la firma di En alla fine di ogni messaggio. E poi, sua sorella aveva confermato tutto - oh, lei lo aveva già conosciuto il suo futuro marito, certo.
 
Non l'aveva svelato ai loro genitori, che tanto avevano fatto affinché rimanesse un segreto per tutti quegli anni, ma a lui, al suo fratellino, poteva senz'altro dirlo. Un giovane di bell'aspetto, alto, capelli biondo scuro legati sulla nuca, che l'aveva fatta divertire tanto quel giorno al mercato. Viveva nella foresta, ma le aveva sempre scritto con regolarità. Ed Atsushi non era più riuscito ad ascoltarla, da quel momento.
 
Era stato come svegliarsi nel bel mezzo di un incubo. Aveva sempre saputo che il bel sogno che aveva vissuto con En nella foresta non poteva essere destinato a durare, ma non aveva mai messo in discussione i sentimenti del ragazzo per lui. Non voleva andare alla corte di Binan, il giorno dopo. Non voleva vederlo, non voleva essere costretto a fingere per tutta la vita che nulla di quello che era successo nella foresta non fosse avvenuto. Avrebbe voluto potersene dimenticare, invece, sarebbe stato tutto più facile.
 
La pioggia era diventata insistente, adesso, ed il principe si guardò attorno, assolutamente inconsapevole di dove lo aveva portato il cavallo. Non fu affatto sorpreso di ritrovarsi nei pressi della villa di Kinshiro. Doveva essere sempre così?, si chiese mentre costeggiava il muro di cinta del giardino abbandonato, era destinato ad essere abbandonato dalle persone che amava?
 
Ad interrompere il flusso dei suoi pensieri fu però una scoperta del tutto inaspettata. Il cancello del giardino della villa, che Atsushi aveva creduto ancora chiuso, era spalancato. Sotto la pioggia, le aiuole e le siepi erano ordinate come le ricordava prima dell'improvvisa partenza di Kinshiro. Automaticamente, alzò gli occhi verso l'edificio: un tenue bagliore aranciato proveniva dalla finestra del salotto, una luce che prometteva tepore, comprensione, accoglienza.
 
Atsushi varcò il cancello ed avanzò verso l'ingresso della villa, smontando da cavallo. Si sentiva strano - tutto attorno a lui era come attutito, dallo scricchiolare del ghiaino sotto le suole degli stivali, al battere della pioggia attorno a lui.
 
In realtà, si accorse, non cadeva più nemmeno una goccia, e l'aria era piena solo del dolce profumo dei fiori. Era inebriante, pensò mentre si avvicinava alla porta, camminando su gambe che non sentiva sue.
 
Prima che potesse bussare, però, qualcuno aprì. C'era Kinshiro sulla soglia, che gli sorrideva.
 
"Kin, sei tornato."
 
Il suono della sua stessa voce riscosse appena il principe, che lasciò che le sue labbra si distendessero in un sorriso.
 
Venne fatto entrare e si ritrovò nel salotto, dove avevano sempre giocato a scacchi fin da bambini. Già, doveva essere un anno esatto che non vi metteva piede - se lo ricordava bene perché l'ultima volta che vi era entrato era proprio il giorno prima del compleanno di En, quando si erano incontrati al villaggio e gli aveva regalato... Il groppo alla gola di Atsushi venne sciolto da un sorso del tè caldo che gli veniva premurosamente offerto dall'amico.
 
"Dove sei stato per tutto questo tempo? Pensavo mi avresti scritto," si sentì dire.
 
Kinshiro scosse la testa. "Il mio dovere mi chiamava altrove, ma ora sono tornato. Superfluo parlare di me, comunque. Mi è giunta voce invece dell'imminente fidanzamento di tua sorella. Te lo ricordi, Atsu, di quando mi raccontasti quella storiella, quella a proposito del principe addormentato da una maledizione?"
 
Atsushi alzò sull'amico due occhi spenti. La tazza di ceramica tra le sue mani sembrava l'unica cosa reale, di sostanza, perché premeva contro il dito ancora dolorante.
 
"Credevi fosse solo un racconto della balia, allora. Sorprendente, come sia tutto vero."
 
Atsushi deglutì. "Fin troppo," confessò, distogliendo lo sguardo dal viso di Kinshiro.
 
"Non ti spaventa la storia della maledizione, Atsu? Non sei preoccupato per quello che può succedere al tuo principe, se si avverasse?"
 
Il ragazzo deglutì. C'era qualcosa che non tornava in quel discorso, ma non riusciva a metterlo a fuoco, distratto com'era dal dolore pulsante che gli aveva attanagliato il dito.
 
"Non è il mio principe," si sentì rispondere invece, con voce atona.
 
Kinshiro sorrise ancora ed Atsushi si sentì raggelare. Era un sorriso crudele. Da quando l'altro lo stava osservando con occhi così taglienti, avidi?
 
Quando si sporse per abbracciarlo, il principe avrebbe voluto scostarsi per fuggire alla stretta, ma il corpo non gli apparteneva più, ormai. Sentì le braccia di Kinshiro circondargli le spalle.
 
"Come fai a sapere di En?" bisbigliò allora con il poco fiato che gli restava.
 
"Oh, ma io so tutto, Atsushi, anche le cose che vuoi celarmi," fu la risposta data in un sussurro. Poi, qualcosa di ghiacciato ed appuntito sembrò trafiggergli la schiena lì dove si erano posate le mani di Kinshiro, ed il principe sentì il petto svuotarglisi dall'aria.
 
La tazza di ceramica cadde a terra, frantumandosi in una pozza di tè ancora tiepido.
 
 
 
~~~
 
 
 
En aspettò fino a che tutti furono andati a dormire e la casa non fu affondata nel silenzio. Era una mossa premeditata solo in parte, in realtà: la sua mente si era dibattuta nell'incertezza fino all'ultimo. Eppure, non riusciva a sopportare il pensiero di dover attendere fino al giorno dopo per poter vedere Atsushi e parlargli. Doveva spiegargli tutto e scusarsi, anche per le cose ingiuste che gli aveva detto, spinto dalla rabbia e dalla confusione.
 
Il suo timore più grande, però, era che l'altro principe non si presentasse. Se avesse trovato una scusa per non venire a corte, se non avesse voluto vederlo mai più? Dovevano essere assieme, se volevano influenzare quella storia del fidanzamento e, se la cerimonia si doveva svolgere la sera seguente, non avevano che pochissimo tempo.
 
Così, continuò a dibattersi nel letto anche dopo che Yumoto, dall'altro lato della stanza, si era ormai profondamente addormentato.
 
Alla fine, fu questa inquietudine che lo fece alzare quasi improvvisamente. Lo spirito, beatamente perso nel mondo dei sogni, emanava il suo solito, tenue bagliore ed En sgattaiolò silenziosamente fuori dalla porta. Qualche momento dopo, aveva sellato il cavallo e lo aveva spronato sulla strada per il villaggio, al galoppo sotto la pioggia ed attraverso la nebbia che, con il calare delle tenebre, si era fatta solo più fitta.
 
 
Il rumore degli zoccoli, seppur attutito dal fango del terreno, mise in allerta Ryuu ed Io che, nella stanza accanto, non stavano dormendo. Accoccolati l'uno accanto all'altro, chiacchieravano sommessamente, godendo del tepore del letto e della familiarità di quella stanza, in cui stavano dormendo per l'ultima volta.
 
Come udì il rumore sospetto, Ryuu balzò in piedi per correre alla finestra. Nella nebbia, però, non si vedeva nulla.
 
"Vado a controllare i cavalli," disse ad Io, che annuì soffocando uno sbadiglio, e corse giù per le scale. Pochi attimi dopo, era rientrato ed aveva trovato ad aspettarli Yumoto, Gora ed Io.
 
"En è sparito," fece quest'ultimo.
 
"Con uno dei cavalli," confermò lo spirito del fuoco.
 
"E la sua spada," aggiunse Yumoto, stringendo a sé il vombato, cercando conforto nella sua pelliccia morbida.
 
"Dobbiamo andare," fece Ryuu, serio, e Gora rispose con un semplice cenno del capo. Dopodiché, i tre spiriti lo lasciarono per precipitarsi fuori, tra nebbia e pioggia, e lui rimase solo con il vombato ed un altro cavallo nella piccola stalla.
 
 
En si accorse di essere arrivato alla barriera magica che circondava la foresta perché, come la attraversò, spronando il cavallo ad andare più veloce, ebbe la strana sensazione che il respiro venisse a mancargli, che l'aria gli fosse stata tutt'ad un tratto forzata con uno schiaffo fuori dal petto. Le catene magiche che lo legavano alla parte interna resistettero per un momento, poi si spezzarono, mentre l'impeto del cavallo lo portava oltre.
 
La foresta, dall'altro lato della barriera, era esattamente uguale a quella che conosceva come casa, affondata nel buio bagnato della nebbia.
 
Qui, En fu costretto a far rallentare la sua cavalcatura: la strada era troppo scura e completamente sconosciuta, ma il ragazzo non aveva con sé nulla con cui illuminare il cammino. Mentre si arrovellava su come poter risolvere il problema, gli tornarono in mente le parole dei tre spiriti, di come la spada fosse stata forgiata dalle loro magie - metallo, fuoco e luce.
 
La sfoderò e la brandì in alto davanti a sé: la lama brillava, emettendo un bagliore abbastanza forte da rischiarare la via di fronte a lui. Con rinnovata speranza, En spronò l'animale.
 
Non aveva un piano ben definito: sarebbe arrivato al villaggio e, da lì, avrebbe chiesto indicazioni per la villa della famiglia reale; se i demoni avessero tentato di fermarlo, questa volta era pronto ad affrontarli, si disse rinsaldando la preda sull'elsa della spada.
 
"En! En, fermati!"
 
Il ragazzo finse di non udire il richiamo ed incitò il cavallo ad andare anche più veloce, ma inutilmente: gli spiriti gli furono al fianco in un attimo.
 
"Fermati, ti prego!" Ryuu era atterrato in mezzo alle orecchie dell'animale. "Torniamo indietro, è pericoloso!"
 
En lo ignorò, ma l'attimo dopo si ritrovò a lottare per rimanere in sella, quando il cavallo si imbizzarrì improvvisamente, quasi scontrandosi con un improvviso muro di pietra che si era materializzato sul sentiero lì di fronte.
 
Yumoto, tornato alle sue dimensioni umane, afferrò le briglie dell'animale per calmarlo, mentre Io si sedeva pacificamente sull'improvvisato terrapieno di fronte a loro.
 
"Scusa, non volevo usare le maniere forti, ma devi davvero ascoltarci. Quei demoni possono accorgersi di noi in ogni momento e raggiungerci per attaccarci, e non è detto che noi riusciremo a proteggerti."
 
Lo spirito della luce, intanto, aveva fatto voltare il cavallo per ricondurlo a casa, ma En riprese le redini e gli fece fare dietro-front.
 
"Lasciatemi andare. Se solo non vi foste messi in mezzo con questa storia delle lettere, non sarebbe successo niente!" li sgridò, conducendo il cavallo fuori dal sentiero per aggirare l'ostacolo creato da Io.
 
"Non costringermi a costruire una seconda barriera di terra e massi," lo avvertì lo spirito.
 
"Ho detto di lasciarmi andare!"
 
"Non essere irragionevole, cuginone," insisté Yumoto, tirando la coda del cavallo nella speranza di farlo fermare. L'animale si imbizzarrì una seconda volta, scartando di lato quando, di nuovo, una massa informe eruppe dal suolo tra i suoi zoccoli.
 
"Io!" protestò En, ma prima che lo spirito della terra potesse negare di essere lui la fonte dell'incantesimo, il principe e Yumoto, appena dietro di lui, vennero avvolti da una massa scura di rovi, che emerse facendosi strada con violenza nella sterpaglia del sottobosco, schizzando fango e foglie ovunque. Il cavallo, terrorizzato, nitrì e fuggì nel sottobosco.
 
"È una trappola!" gridò Ryuu, sfoderando la bacchetta. "Quei demoni maledetti!" Si guardò intorno freneticamente, come aspettandosi di vedere emergere da un momento all'altro dalle tenebre Akoya ed il suo sorriso sardonico.
 
"Non è qui, lo sento ancora distante," Io gli fu accanto per rassicurarlo. "Brucia quegli sterpi con la tua magia!" lo incoraggiò.
 
Ma lo spirito del fuoco stava già tentando, invano.
 
"Non ce la faccio! I rovi sono troppo bagnati!" esclamò frustrato, da sotto la massa spiovente di capelli zuppi che gli ricadeva sul viso. Le fiamme magiche cercavano inutilmente di avvolgere i virgulti verdi, trasformandosi in sbuffi di fumo, senza riuscire a scalfirli.
 
"Trancia le loro radici come avevi fatto quel giorno!" suggerì invece ad Io, ma lo spirito della terra non stava ottenendo risultati migliori.
 
"Il terreno lì è un pantano, non riesco ad avere presa sul fango," gli rispose Io con una smorfia di concentrazione, senza riuscire a concretizzare alcun risultato, mentre con la sua magia provava inutilmente a smuovere la terra.
 
Di fronte a loro, En e Yumoto svanirono in mezzo alla coltre di rami appuntiti con un gemito soffocato, le spine che si richiudevano impietosamente su di loro, fino a spegnere la luce dello spirito.
 
Gli altri due si gettarono sulla massa di rovi magici, i cui tronchi andavano man mano ingrandendosi e solidificandosi, come orrende serpi gonfie del loro pasto. Inutilmente afferrarono le spine con le mani, tentando di stapparle via, ma dovettero ritrarsi quando i rami saettarono verso di loro per ghermirli.
 
L'attimo dopo, però, una luce filtrò attraverso la prigione di spine.
 
"Yumoto!"
 
Gli spiriti si tuffarono a cercare di districare i rovi attorno alla luce, incuranti delle punture e dei graffi, ma furono presto allontanati dalla lama che ne uscì, fendendo e tranciando la pianta.
 
"En!"
 
Io e Ryuu aumentarono rapidamente di dimensioni ed afferrarono il polso del ragazzo, tirando con tutte le loro forze. Con le fiamme di Ryuu e lo scudo magico di Io a respingere i rami che tentavano tenacemente di trattenerlo, il principe riemerse a poco a poco dal groviglio di spine, divincolandosi e combattendo i rami come poteva con la spada. Nello sforzo di liberarsi, però, perse la presa sull'elsa e, quando cadde a terra, fece appena in tempo a sollevare gli occhi sul garbuglio di spine per vedere la luce della lama nuovamente ingoiata dall'avidità della pianta.
 
"Yumoto..." boccheggiò il principe, sentendo in bocca il sapore del proprio sangue, là dove le spine gli avevano graffiato impietosamente il labbro.
 
Davanti a loro, i rovi avevano formato un bozzolo pulsante, scuro, grondante di pioggia, il cui tronco si solidificava rapidamente al di sotto della minacciosa massa di denti.
 
Ryuu soffocò un'imprecazione, avvolgendolo inutilmente in una vampata di fiamme - la pianta le respinse in una nuvola di fumo, espandendosi e contraendosi in modo rivoltante.
 
"Dobbiamo tirarlo fuori di lì," fece Io a denti stretti, ma ancora incerto su come muoversi.
 
Proprio in quella, un rumore di zoccoli risuonò attutito nel mezzo dello scrosciare della pioggia, e Gora comparve, fradicio d'acqua, brandendo la sua fedele accetta da boscaiolo. Smontò di volata accanto ai tre, osservandoli appena prima di chiedere dove fosse Yumoto.
 
Con uno sguardo desolato, gli indicarono il mostro di rovi. Senza una parola di più, il taglialegna si avventò sulla pianta, cercando di scalfirne il tronco pulsante, ma la lama dell'accetta vi rimbalzò contro, rischiando di sfuggirgli dalle mani.
 
Testardo, Gora la sollevò di nuovo, ma gli spiriti lo fermarono prima che potesse abbatterla nuovamente sul legno magico. "Aspetta, è inutile così!" fece Io, posando le proprie mani sull'acciaio della lama. Ryuu fece lo stesso e, per un istante, il metallo splendette di una luce scarlatta ed incandescente.
 
"Adesso!" gli dissero i due all'unisono e Gora colpì. Questa volta, la lama intaccò il tronco, e la pianta sibilò, ferita, mentre una coppia di rovi si avventava contro Gora. Di nuovo, la magia protettiva di Io e le fiamme di Ryuu furono sufficienti a tenerli a bada, mentre l'accetta si abbatteva impietosamente sul legno pulsante, fino a tranciarlo di netto.
 
Con un sibilo, il tronco si spezzò e il bozzolo di spine cadde a terra con un tonfo. Sotto gli occhi degli astanti, i rami si contrassero spasmodicamente, avvizzendo e contorcendosi, finché si ridussero in pochi istanti ad un ammasso di virgulti secchi e corteccia, rivelando Yumoto e, lì accanto, la spada.
 
Gora ed En si inginocchiarono prontamente accanto a lui e l'uomo lo sollevò delicatamente.
 
"Yumoto, per favore..." Gora gli diede dei colpetti sulle guance, ma senza ottenere risposta. I suoi vestiti erano a brandelli ed era ricoperto di graffi. Teneva gli occhi chiusi ed il suo bagliore si era spento.
 
En, lì a fianco, gli strinse la mano, ma le dita dello spirito giacevano esanimi tra le sue. Nella pioggia, era difficile dire se stesse o meno respirando - che i rovi l'avessero stritolato fino a soffocarlo?
 
"Oh, si riprenderà in fretta," garantì però Ryuu, chinandosi su di lui. "Ha solo bisogno di un po' di luce. Io, dammi una mano."
 
Obbediente, lo spirito della terra creò uno scudo protettivo sopra tutti loro, schermandoli dalla pioggia, e Ryuu si infiammò ed arse, improvvisamente avvolto da lingue di fuoco magico e brillante. En si ritrasse appena, per nulla ansioso di scoprire se quelle fiamme potessero o meno bruciarlo.
 
Nella luce danzante, Yumoto si mosse e, pian piano, aprì gli occhi. Le sue guance riguadagnarono il loro colorito roseo, riflettendo i bagliori rossastri del fuoco.
 
"Come va, adesso?" chiese Ryuu. "Non è proprio la luce del sole, ma meglio di nulla."
 
Yumoto annuì con un sorriso, mettendosi a sedere e crogiolandosi ancora per un poco nelle fiamme aranciate dell'altro spirito, prima che questo smettesse di ardere.
 
"Cuginone! Sei salvo!" constatò felice, voltandosi verso En, e poi si avvide di Gora che lo teneva ancora tra le braccia. "Fratellone! Sei qui anche tu!" e ricambiò l'abbraccio con trasporto.
 
Adesso, il solito bagliore era tornato a circondare il suo corpo ed i graffi erano scomparsi, la sua pelle era di nuovo intatta e piena come un frutto maturo.
 
"Come stai?" chiese Gora con tono chiaramente sollevato.
 
"Bene, quei rovi mi avevano solo stancato un po'," rispose lo spirito. "La luce di Ryuu non sarà quella del sole, ma è piena di calore ed energia. Grazie!"
 
Lo spirito del fuoco fece un gesto secco con la mano, come a dire che non c'era nulla da ringraziare.
 
"Certo, quell'Akoya ha imparato un paio di cose da quando ci siamo scontrati l'estate scorsa. Se non fosse stato per l'arma di Gora, avremmo avuto seri problemi a tirarti fuori," commentò Io, riflessivo.
 
"Quei maledetti," rincarò Ryuu. "Devono aver disseminato la foresta di incantesimi trappola come questi. Certo, avrebbero avuto difficoltà a catturare noi nella nostra forma alata, ma En o Gora..." scrollò le spalle. La trappola aveva funzionato anche troppo bene.
 
En, lì accanto, era seduto pesantemente nel fango. Era ancora fradicio di pioggia, coi vestiti laceri e macchiati di sangue, dove i rovi gli erano affondati nella carne. Viso e mani erano una ragnatela di graffi ed i capelli, misti a foglie e terriccio, gli ricadevano ai lati del volto in ciocche arruffate, lambendogli gli occhi gonfi e pesti.
 
Yumoto scivolò di fronte a lui, chinandosi a prendergli la testa tra le mani.
 
"Poverino, fa male?" chiese, passandogli delicatamente un dito sopra la spaccatura del labbro.
 
"Pizzica un po'," rispose En, ammiccando e cercando di liberarsi dalla presa.
 
"Aspetta, sta' fermo. Brucerà un pochino, ma poi passerà tutto," garantì Yumoto, toccandogli il taglio. Il bagliore intorno allo spirito si fece più intenso per un istante e ad En sfuggì un'esclamazione di dolore. Quando Yumoto tolse il dito, però, la bocca del ragazzo era intatta.
 
En aggrottò le sopracciglia, passandosi la lingua su un taglio che non c'era più.
 
"Che cosa...?"
 
"Ancora un momento, abbi pazienza," fece Yumoto, ancora tenendogli saldamente la testa tra le mani ed appoggiando la propria fronte contro quella del principe. Questa volta, il bagliore avvolse entrambi ed En si dibatté per qualche istante, con una smorfia di sofferenza. L'attimo dopo, però, lo spirito si ritrasse ed En sbatté le palpebre, ora sgonfie, con espressione stupefatta. I graffi sulle mani erano spariti e, in mezzo alle frange degli strappi di camicia e pantaloni, si intravvedeva solo pelle sana.
 
"Che cosa hai fatto?"
 
"Oh, tutti gli spiriti della luce possiedono poteri curativi," spiegò Io.
 
"Fa male, però," obiettò En, che ancora si stava succhiando il labbro, quasi si aspettasse di sentire di nuovo il sapore del sangue sulla lingua.
 
Yumoto si sedette a gambe incrociate accanto a lui.
 
"Be', rimarginare così velocemente una ferita equivale un po' ad aprirla, ma al contrario, quindi è doloroso. E poi, è anche stancante, sia per il spirito che per chi viene curato," spiegò. "Ma i tuoi erano solo graffi."
 
En lo guardò con espressione seria. "Scusami," disse, "non avrei dovuto andarmene così. Avrei dovuto ascoltarvi," aggiunse, chinando il capo. "Per colpa mia, hai rischiato la vita."
 
Yumoto lo guardò sorpreso. "Io? Oh, no, una magia del genere non avrebbe mai potuto distruggermi," disse allegramente, senza degnare di uno sguardo il tronco ormai avvizzito della pianta mostruosa. "Certo, probabilmente non sarei riuscito a liberarmi prima del sorgere del sole, e quello sarebbe stato un bel problema, visto che all'alba dobbiamo partire," commentò.
 
Gli altri rimasero in silenzio per un po'. En sedeva miseramente in mezzo al pantano.
 
"Io non so che cosa fare," ammise alla fine. "Non sono pronto per andare a corte."
 
I tre spiriti rimasero ad osservarlo per qualche attimo, senza sapere che cosa dire. En aveva agito troppo impulsivamente, quella notte, ma tutti e tre si sentivano profondamente in colpa, perché in fondo era successo a causa loro, che non avevano saputo prepararlo per tempo e, soprattutto, che non solo non erano riusciti a fargli trovare l'amore, ma avevano anche messo in pericolo quello che aveva costruito En.
 
"Se non ti senti pronto oggi, non ti sentirai pronto nemmeno domani, né tra un mese o un anno." En sollevò lo sguardo su Gora, che ora torreggiava di fronte a lui. I suoi occhi blu bruciarono di incredulità e delusione per un momento: Gora non aveva forse detto tutto il contrario, solo poche settimane prima? Ma l'uomo scosse la testa. "Non è rimanendo in questa foresta a fare il taglialegna che potrai prepararti a fare il principe," spiegò.
 
"Non c'è nulla di male nel fare il taglialegna."
 
"No, ma che cosa faresti da solo, qui nei boschi?"
 
"Da solo?" En ammiccò, senza capire.
 
"Noi, domani, andremo tutti alla capitale," affermò Gora, pugni piantati sui fianchi. Gli spiriti si voltarono a guardarlo sorpresi, e Yumoto, dopo un attimo, gli si fiondò addosso per abbracciarlo.
 
"Hai deciso, allora!" esclamò felice, e il taglialegna annuì, circondandogli le spalle.
 
"Ci ho messo un po', è vero, ma farò ciò che è giusto," disse, tornando a posare lo sguardo su En.
 
Nonostante la situazione, il ragazzo dovette combattere per impedire di lasciarsi sfuggire un sorriso.
 
"Mi mettete con le spalle al muro, capisco. Però, ve l'ho detto, se Atsushi domani non viene..."
 
Ryuu sbuffò. "Se Atsushi domani non viene, andremo a cercarlo noi e gli spiegheremo tutto per benino."
 
Yumoto, sempre abbracciato a Gora, guardò En con un sorriso rassicurante. "Atsushi verrà. È innamorato di te, io lo so. Tutto andrà per il meglio."
 
En sospirò. "Se lo dite voi..."
 
"Certo che è così! E poi l'hai detto tu prima, no?, che avresti dovuto darci retta. Stacci a sentire, questa volta, e vedrai che andrà tutto bene," lo rassicurò Ryuu, tendendogli la mano. "Su, torniamo a casa adesso."
 
En annuì, ricambiando la stretta ed alzandosi in piedi.

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Capitolo 12
*** Prima che il sole tramonti sul suo diciottesimo compleanno ***


Capitolo XII

Prima che il sole tramonti sul suo diciottesimo compleanno

 

 

 

 

Il dolore fu la prima cosa che provò Atsushi svegliandosi. Il braccio gli pulsava ancora sordamente ed il dito che si era punto bruciava. Lottò contro il senso di torpore che lo attanagliava per riuscire ad aprire gli occhi, spalancandoli infine su un soffitto in penombra.

Lentamente, si mise a sedere. Sotto di sé avvertiva la consistenza di un materasso, ma non riusciva a ricordare di essersi messo a letto. In verità, rammentava solamente di aver bevuto un tè in compagnia di Kinshiro.

"Ben svegliato."

Atsushi si voltò in direzione della voce, automaticamente tastando accanto a sé alla ricerca dei suoi occhiali. Li trovò e li infilò, riuscendo finalmente a mettere a fuoco l'ambiente attorno. Kinshiro, per l'appunto, era seduto su una poltrona non distante dal letto dove era disteso. Adesso, il principe riconosceva la stanza: era una delle camere riservate agli ospiti, nella villa dell'amico.

"Kin." Atsushi si strofinò gli occhi, farfugliando nella sorpresa. "Mi sono addormentato sul divano?" Era certamente quello che era accaduto: stanco per tutto ciò che gli era successo, gli erano bastati l'accoglienza dell'amico ed il calore dell'infuso per addormentarsi profondamente. "Che ore sono?"

"È mezzogiorno." Il tono dell'altro era distante. Realizzando che cosa significasse la risposta datagli, il principe si chiese vagamente se l'amico, severo come al suo solito, non lo stesse sgridando per aver dormito troppo a lungo.

Il ragazzo annaspò. Non aveva nemmeno lo forza di reagire con la dovuta agitazione alla notizia. Era tardi. Troppo tardi per troppe cose.

"Avrei dovuto mettermi in viaggio ore fa..." Atsushi si prese la testa tra le mani, ancora intontito dal sonno - ma il braccio pulsava, e fu con una smorfia che adagiò la mano dolorante sulle coperte.

"In viaggio per dove, Atsu?"

"Per la capitale di Binan, naturalmente," il principe rispose con voce improvvisamente rauca, sopraffatto dai ricordi confusi della giornata precedente. La cerimonia si sarebbe tenuta quella sera stessa; se fosse partito subito, probabilmente sarebbe riuscito ad arrivare in tempo. Non che gli dispiacesse avere una scusa per presentarsi a festeggiamenti finiti, ammise con se stesso.

"Credevo che tu non volessi presenziare alla cerimonia." Kinshiro si alzò in piedi. Atsushi strizzò gli occhi, interdetto - non ricordava di averlo detto all'amico.

"Ah, te ne avevo già parlato? Non rammentavo, scusa," si giustificò immediatamente. La sua mente era ancora ovattata, anche le sue memorie sembravano in qualche modo confuse.

"Non l'hai fatto, ma io lo so comunque, Atsushi." Kinshiro si sedette accanto a lui sul letto. C'era una strana dissonanza tra la loro vicinanza fisica ed il gelo nelle parole dell'altro.

Il principe sbatté le palpebre. Prima ancora che potesse sollevare di nuovo lo sguardo sull'amico, un brivido gli aveva già percorso la spina dorsale. Ricordava, ora, il sorriso che gli aveva fatto gelare il sangue, l'abbraccio che gli aveva tolto il fiato. La voce di Kinshiro era stata l'ultima cosa che aveva sentito prima di sprofondare nell'oscurità dell'incoscienza.

"Come?" Senza volerlo, arretrò verso la parete.

"Secondo te, Atsushi?"

Il viso di Kinshiro, a pochi centimetri dal suo, stava mutando. Erano cambiamenti sottili, impercettibili quasi, ma Atsushi si ritrovava ora a fissare iridi rosse al posto di quelle color smeraldo dell'amico. La sua pelle si era fatta diafana ed il principe non avrebbe saputo dire se era perché l'altro fosse impallidito o perché la stanza, attorno a loro, si fosse fatta improvvisamente più buia.

"Credevi davvero che non mi sarei accorto di nulla? Che avrei lasciato il Principe Yufuin libero di agire come gli pareva a tempo indefinito?"

Atsushi era confuso. "Che cosa stai dicendo, Kin?" tentò, "ti avrei detto di En, se solo avessi potuto, ma-"

"Certo mi avresti facilitato il compito, Atsushi, se me ne avessi parlato prima. Alla fine, comunque, è proprio grazie a te che l'ho scovato, dopo anni spesi a cercarlo."

Il principe avrebbe voluto guardare l'altro negli occhi, ma non ci riusciva. Le pupille in cui fissava le sue erano come due finestre spalancate su una notte senza stelle; minacciavano di ingoiarlo. "Non hai mai nemmeno visto En, non capisco quello che stai dicendo." Perché tutto all'improvviso la realtà attorno a lui era un dedalo di segreti, bugie e cose non dette? Perché doveva esserci proprio En al centro di quel labirinto impossibile da decifrare?

Nella stanza, la penombra si era tramutata in tenebra e tutto quello che Atsushi poteva vedere erano le braci ardenti delle iridi nel bianco ovale del viso di fronte a lui.

"Lo conosco da ben prima di te," puntualizzò l'altro, gelido. "Da quando è nato, per essere preciso."

Atsushi deglutì a vuoto. Era congelato sul posto, incapace perfino di pensare a fuggire. Quegli occhi scarlatti lo immobilizzavano dov'era e non era padrone di muovere nemmeno un muscolo. L'unica cosa di cui era certo in quel momento era che la persona di fronte a lui non poteva essere Kinshiro.

"...chi sei?" il ragazzo si sorprese di riuscire a parlare.

"Lo stesso demone che ha maledetto il tuo amato principe alla sua nascita, chi altro," rispose l'altro quasi con fastidio.

"Tu... il demone...?" Quelle poche parole gli costarono tutto il fiato che gli era rimasto in petto. Non poteva crederci - eppure, il Kinshiro che si ritrovava davanti era tutto fuorché umano. "Che cosa hai fatto al mio amico?"

Solo allora, le labbra violacee dell'essere che si ritrovava di fronte si incurvarono appena verso l'alto, nella pallida imitazione di un sorriso.

"Non capisci, Atsushi? Sono sempre stato io. L'ho aspettato per anni, confidando nel fatto che certamente dei giovani, semplici umani avrebbero potuto condurmi a lui, quando fosse venuto il momento. Tu e tua sorella non mi avete deluso, alla fine." Nonostante il sorriso che ostentava, ad Atsushi sembrò che l'essere che aveva di fronte non fosse poi così soddisfatto come affermava.

"Sei spaventato?"

Atsushi fece l'errore di sollevare lo sguardo su di lui e qualsiasi risposta gli morì in gola. Le tenebre che li circondavano sembrarono assorbire tutta la volontà che ancora gli era rimasta.

"Tra poche ore, prima che il sole finisca di tramontare, il tuo principe si pungerà il dito e cadrà in un sonno profondo, che solo un bacio di vero amore potrà spezzare. Ma tu sarai chiuso qui, lontano da lui, per sempre," il demone ebbe cura di spiegargli. Poi, come se avesse avuto un piccolo ripensamento, aggiunse, "Del resto, anche se potessi raggiungerlo, ciò che vi unisce dovrebbe essere un sentimento sufficientemente forte da sconfiggere la maledizione." Kinshiro si alzò, lisciandosi le vesti scure, i cui bordi si confondevano con le ombre della stanza. "In fondo, ti faccio un piacere trattenendoti qui, così che tu non possa mai scoprire che non è così e rimanerne deluso," commentò, senza più guardarlo ed uscendo dalla stanza.

La porta si chiuse alle sue spalle ed Atsushi si accasciò contro la parete dietro di lui, mentre tornava a respirare con un gemito strozzato, il corpo scosso da brividi di terrore.

 

~~~

 

Nonostante il calore del tardo pomeriggio estivo, la torre era fredda, estranea.

Al suo interno, tutto era perfetto: arredi lussuosi, arazzi che ricoprivano le pareti nascondendo allo sguardo la nuda pietra sottostante, un imponente letto a baldacchino dalle coperte e tende sontuose, degno del principe che doveva ospitare. Tuttavia, per quanto riguardava En, avrebbe potuto essere anche di paglia e stracci: vi si era buttato sopra a peso morto, affondando il viso nel materasso, senza degnare di uno sguardo i decori del copriletto o le nappe dorate dei cuscini.

Era esausto.

Le celebrazioni per il suo compleanno e per il suo ritorno a casa (nonché, a quanto sembrava, per il fidanzamento con la Principessa Kinugawa) sarebbero iniziate subito dopo il tramonto del sole. Fino a quel momento, gli era proibito lasciare la torre. Non che En avesse alcuna intenzione di allontanarsene: se fosse stato per la voglia che aveva di partecipare alla festa, non si sarebbe mai più alzato da quel letto.

Il tragitto dalla foresta alla capitale era stato stancante - non che lui avesse fatto granché, in realtà, visto che erano stati gli spiriti a trasportarli fino al castello grazie ad un qualche bizzarro incantesimo di viaggio, che aveva permesso loro di arrivare velocemente ed in tutta sicurezza. Del resto, dopo le disavventure della notte precedente, il ragazzo non sarebbe riuscito a muovere un solo muscolo in più del necessario.

"È andato tutto liscio finora, no?" la voce di Ryuu suonava gioviale, ma En non si prese nemmeno la briga di annuire.

"Anche l'incontro con i tuoi genitori..." lo spirito gesticolò nell'aria, alludendo al fatto che anche quello era andato bene, nei limiti del possibile, almeno. Nemmeno così riuscì a far reagire En.

I tre si guardarono e si strinsero nelle spalle. Non c'era molto altro che potessero fare al momento: lo avevano portato fino al castello, gli avevano garantito tutta la protezione che potevano, gli avevano donato abiti ed accessori degni del principe che era.

"Atsushi sta sicuramente per arrivare," disse allora Yumoto, in un tono che voleva suonare rassicurante. "È una cerimonia importante, non può certo mancare."

"C'è ancora tempo fino al tramonto," concordò Ryuu, "sarà qui a momenti."

En mosse appena la testa. "Non verrà, ormai."

Di nuovo, i tre si scambiarono uno sguardo apprensivo.

"Non essere così pessimista, vedrai che..." Prima che Ryuu potesse terminare la frase, En nascose il viso nell'incavo del braccio, sordo ad ogni parola.

Ryuu strinse i pugni in un momentaneo impeto di rabbia. Il principe aveva trascorso l'intero pomeriggio ad aggirarsi inquieto per le stanze della torre, guardando fuori dalle finestre nella speranza di veder comparire Atsushi. Lui e gli altri due spiriti si erano dati i turni per attendere il giovane all'ingresso del castello, ma senza risultato: nonostante il resto della sua famiglia fosse arrivato, di Atsushi ancora nessuna traccia. Lo spirito del fuoco comprendeva bene quanto la situazione si fosse fatta insopportabile per En, ma vederlo arrendersi così era fuori discussione. Avrebbe preferito di gran lunga che il ragazzo fosse adirato con lui per la faccenda delle lettere.

Prima che potesse aggiungere qualsiasi cosa, però, venne fermato dalla mano di Io sul suo braccio. "Lasciamolo da solo per un po', ha bisogno di riposare prima che inizi la cerimonia," suggerì lo spirito della terra in un sussurro.

"E poi, dobbiamo intercettare Atsushi non appena arriva, per portarlo qui," aggiunse Yumoto a voce appena più alta, ma En non diede segno di intendere. "E magari aiutare Gora a prepararsi per la cerimonia..." aggiunse quindi mestamente, seguendo gli altri due fuori dalla porta.

Riverso sul letto, il principe li sentì lasciare la stanza. Non c'era nulla che desiderasse di più in quel momento che diventare tutt'uno con coperte e materasso, a tempo indeterminato. Per quanto fosse stanco, tuttavia, non c'era modo per lui di addormentarsi, si rese conto dopo un po' che giaceva immobile nel silenzio della torre. Era come se il suo corpo fosse una cosa a parte, staccato dal suo spirito come tutto ciò che lo circondava.

Lentamente, si alzò a sedere. I suoi occhi scivolarono sull'arredamento della stanza senza vederlo davvero. Che cosa doveva fare, adesso?

Trascinando i piedi, uscì nell'anticamera. Lì, c'era una finestra da cui si aveva la visuale del cortile interno del castello, dove per tutto il pomeriggio avevano sfilato i nobili invitati ai festeggiamenti in suo onore. Tornò ad osservare l'andirivieni delle persone: servi che si affaccendavano in ogni direzione, qualche sporadica coppia di invitati che faceva la sua comparsa, guardie - un gran numero di guardie. Ma se si aspettava ancora di veder comparire Atsushi in sella al suo cavallo, rimase deluso.

A fatica, distolse gli occhi da quella vista. Se avesse davvero voluto essere presente, Atsushi sarebbe già arrivato, ed invece non c'era alcun segno di lui. Non sarebbe venuto, si ripeté En, tornando in camera.

Ad accoglierlo gli venne incontro il suo riflesso in uno specchio, vestito di tutto punto se non per la corona, che lo attendeva pacifica su un tavolino lì accanto, e che En non degnò di uno sguardo. Sapeva che avrebbe dovuto indossarla tra poco - il re e la regina erano stati chiari nello spiegargli che cosa avrebbe dovuto fare quando lo avessero introdotto nel grande salone delle cerimonie.

A parole, non suonava difficile: avrebbe solo dovuto camminare fino al trono dei sovrani e poi rimanere al loro fianco, accettando gli omaggi dei nobili. Poi, sarebbero iniziate le celebrazioni vere e proprie: il banchetto, le danze - naturalmente, avrebbe dovuto ballare con la sorella di Atsushi. Chissà se la ragazza sarebbe stata paziente come il fratello. O forse, anche lei credeva alla stessa versione dei fatti del principe e lo odiava, ritenendolo un traditore.

Si ritrovò a chiedersi se, in tutta la folla che lo avrebbe aspettato nella sala delle cerimonie, ci sarebbe stato qualcuno davvero felice di vederlo - eccezion fatta per Gora, il wombato ed i tre spiriti.

Anche i suoi genitori, se non erano sul punto di cambiare idea, naturalmente. En provava sensazioni contrastanti, in proposito. Forse si era aspettato che succedesse qualcosa di ben specifico, al momento dell'incontro, una sorta di epifania, magari, o un improvviso emergere di memorie della sua infanzia. Ma no, non era accaduto niente del genere. Il re e la regina lo avevano salutato, gli avevano sorriso. Le loro voci erano suonate del tutto differenti da come le aveva immaginate. Forse, si disse mentre vagava senza pace per la stanza, avrebbe dovuto abbracciarli. Invece, non era riuscito nemmeno a ricambiare il sorriso.

Si sedette pesantemente sulla sedia di fronte al piccolo tavolo dove era posata la corona: un così bel gioiello, che lo faceva sentire completamente prigioniero. Le mura di quella torre lo facevano sentire prigioniero.

Si guardò intorno nervosamente. Sapeva bene che il divieto di abbandonare quelle stanze era per la sua sicurezza, ed aveva già sperimentato in prima persona - nonché sulla pelle di Yumoto - che cosa significasse cadere vittima di un attacco dei demoni. Ciò, però, non gli rendeva più accettabile la prigionia: a ripensarci adesso, realizzava che tutta la sua vita fino a quel momento era stata trascorsa in gabbia. Che fosse la foresta in cui era cresciuto o il palazzo in cui era arrivato da poco, la sostanza non cambiava: non sarebbe mai stato libero di andarsene.

Se solo avesse avuto Atsushi al suo fianco, avrebbe potuto accettarlo.

Si alzò di scatto dalla sedia, spingendola via con forza. Aveva bisogno di aria, di avvertire il vento sul viso prima di rinchiudersi nella sala delle cerimonie. Sentiva un peso sul petto, opprimente e doloroso.

Si guardò intorno, cercando una via di fuga. La scala, che da sotto portava all'anticamera della sua stanza da letto, proseguiva poi al piano superiore. Doveva per forza condurre al tetto, pensò il principe iniziando a salire i gradini. Un'ultima occhiata al cielo, prima di rimettersi la corona in testa; un'ultima boccata di ossigeno.

Iniziò a salire più in fretta, obbedendo ad un richiamo non identificato. Per un breve attimo, gli parve quasi di sentir chiamare il suo nome, ma i suoi passi erano gli unici a riecheggiare lungo la scala di pietra.

Eppure, man mano che saliva i gradini, aveva la sempre più pressante sensazione di non essere solo. Qualcosa lo perseguitava, celando i suoi movimenti nel fruscio del mantello di En e nascondendosi nelle ombre della scala e delle stanze che attraversava, che diventavano più fitte man mano che il sole affondava verso l'orizzonte.

Sapeva che doveva essere una sua impressione, perché era solo in quella torre - gli spiriti avevano controllato al loro arrivo e, con tutti gli incantesimi di protezione che i tre vi avevano lanciato, non c'era modo per niente e nessuno di infiltrarsi al suo interno, comunque.

Nonostante questo, En sentiva il suo nome sussurrato dalle pareti - ma era certamente il vento nelle fessure degli infissi - e ciò lo indusse ad accelerare il passo - se per scappare o per seguire la voce, non avrebbe saputo dire.

Il suo impeto lo portò fino all'ultimo piano della torre. Era una stanza circolare, senza alcun tappeto a decorare le assi di legno del pavimento. Alle pareti erano ammassate una serie di casse e cianfrusaglie ricoperte di polvere. La scala si fermava lì, il soffitto era chiuso, ed En soffocò in gola un gemito di frustrazione.

Si affacciò ad una delle finestre, stringendo la presa sulle grate di ferro. I tetti del castello tutt'attorno erano rossi sotto il cielo del tramonto. Ancora poco, e sarebbero venuti a chiamarlo. Anzi, pensò osservando il sole appiattirsi contro le colline in lontananza, forse i tre spiriti erano già ai piedi della torre e stavano salendo a cercarlo.

Non voleva, pensò appoggiando la fronte al metallo freddo delle sbarre. Sarebbe stato quasi un bene se la maledizione lo avesse colpito, in fondo: En desiderava solo addormentarsi e dormire fino al ritorno di Atsushi - se mai fosse arrivato, si disse chiudendo gli occhi.

In quella, si rese conto di avere il fiato corto. Il petto gli doleva e si sentiva soffocare. Se Atsushi non fosse mai tornato, forse non avrebbe nemmeno avuto senso svegliarsi, pensò scuotendo la testa e cercando di combattere il nodo alla gola che gli impediva di respirare.

Si voltò verso l'interno della stanza - era stato così buio, prima? Gli ultimi raggi di sole avevano assunto una sfumatura verdastra, sinistra. Si strofinò gli occhi, una mano ancora sulle inferiate per aiutarsi a stare in piedi. Il suo nome risuonava ancora attorno a lui, lo sentiva nei rantoli del suo respiro convulso, echeggiava negli angoli della stanza.

"Smettila..." ordinò flebilmente alla voce che continuava a ripeterlo, ma era come cercare di far tacere i propri pensieri. Si tappò le orecchie, allora, ma il richiamo continuò a rimbombargli in testa - non era più solo il suo nome che sussurrava, adesso, erano una serie di parole indecifrabili e suadenti. Un piccolo tocco, e tutto sarebbe cessato: il dolore, la paura, il senso di abbandono. Non avrebbe più sofferto la mancanza di Atsushi; il ricordo dei suoi occhi, delle sue mani, della sua voce adirata non avrebbero potuto seguirlo dove andava. Avrebbe potuto riposare, dormire senza mai più essere disturbato - non era forse questo ciò che più voleva in quel momento?

En alzò gli occhi. Davanti a lui, la luce verdastra aveva scolpito le ombre della stanza creando una forma bizzarra, spigolosa: su quattro gambe sottili e diritte riposava una sagoma scura, sovrastata da una ruota - qualcosa che En non aveva mai visto. Ad attirare la sua attenzione, più della strana accozzaglia di forme, fu però la sagoma cilindrica appuntita alla sua estremità.

Il principe provò l'irresistibile impulso di toccarlo. Il dolore al petto si era placato, ora, non sentiva più nulla - stava ancora respirando? Non avrebbe saputo dirlo. Tutto ciò che importava, adesso, era sfiorare quella punta e lasciarsi il resto alle spalle.

Gli dispiaceva essersi arrabbiato con Atsushi - avrebbe dovuto capire che c'era lo zampino della magia nella vicenda delle lettere. Era stato accecato dalla paura e dalla delusione, ed ora non c'era più alcun modo di rimediare, pensò mentre allungava la mano verso l'arcolaio. Gli dispiaceva di non aver abbracciato i suoi genitori. Gli dispiaceva...

Dal fondo delle scale, qualcuno chiamò il suo nome. Era la voce di Yumoto, che per un attimo risultò udibile al di sopra di quella che ancora sussurrava nella sua testa. En sbatté le palpebre. Di fronte a lui, la sagoma nera dell'arcolaio tremò, progressivamente inghiottita dall'oscurità che stava prendendo il posto del tramonto. Il principe scosse la testa, cercando di riprendere il controllo sul suo corpo, e si voltò per rispondere allo spirito.

Nel compiere il movimento, però, venne colto da un capogiro e perse l'equilibrio. Vacillò ed istintivamente mosse le mani alla ricerca di qualcosa a cui appoggiarsi, ma non trovò che ombre, finché la sua mano non colpì qualcosa di duro e sentì un'improvvisa puntura, dopodiché il buio in cui era precipitata la stanza inghiottì anche lui.

Cadde sul pavimento con un tonfo sordo, mentre all'orizzonte l'ultima striscia di luce del sole sprofondava tra le colline.

 

~~~

 

L'unico aspetto positivo era che l'avevano lasciato libero di muoversi, anche se Atsushi non aveva ancora approfittato di questa cortesia. Il cibo che il signor Ibushi gli aveva portato prima era rimasto intatto sul tavolo di fianco al letto, che il principe non aveva abbandonato. Ibushi gli aveva consigliato di mangiare qualcosa e poi se n'era andato, silenzioso come era venuto. Non aveva chiuso la porta a chiave.

Atsushi ora sedeva sul bordo del materasso. Da oltre la porta non provenivano rumori, mentre dalle imposte ermeticamente chiuse della finestra non filtrava nemmeno un raggio di sole. Forse era già notte fonda. Forse era già successo l'irreparabile.

Camminò quatto quatto fino alla finestra e tentò di aprirne le imposte, ma non riuscì a smuoverle di un millimetro. Era come se legno, metallo e pietra fossero un blocco unico. Frustrato, si voltò verso l'interno della stanza. Alla cintura aveva, come sempre, il suo pugnale - il demone non si era nemmeno curato di levarglielo.

Forse, dopotutto, non era davvero prigioniero di Kinshiro.

In punta di piedi, avanzò fino alla porta. La maniglia girava, appurò con sollievo misto a paura - la ruotò ed il battente si aprì, e fu con il cuore in gola che il principe sbirciò sul corridoio. Non se lo ricordava così lungo, ma forse, si disse, era colpa delle ombre che si ammassavano tra gli stipiti ed i battenti delle porte.

Cautamente, mosse i primi passi fuori dalla camera. Il sangue gli pulsava così forte nelle orecchie che, se si fosse avvicinato qualcuno, dubitava che sarebbe riuscito a sentirne i passi.

Procedendo quasi timidamente, iniziò a cercare le scale. Le ricordava bene, un'ampia rampa di marmo dai corrimani in legno scuro. Dovevano essere a metà del corridoio, ma gli era difficile dire a che punto di esso si trovasse, perché accanto a lui sfilavano porte tutte uguali, una dopo l'altra, senza soluzione di continuità.

Atsushi non avrebbe saputo valutare quanto aveva camminato, né quanto fosse andato veloce - aveva il fiato corto, anche se non aveva corso, per evitare di far rumore. Eppure non riusciva più a vedere la stanza da cui era uscito - doveva essere sparita nell'oscurità che si ammassava alle estremità del corridoio. Si fermò, strofinandosi nervosamente il braccio dolorante. Forse ricordava male, forse le scale erano dietro una di quelle porte.

Qualcosa gli sfiorò la nuca, facendolo quasi urlare dallo spavento, ma era solo un refolo d'aria che gli aveva scostato i capelli, solleticandogli il collo. Atsushi si voltò, per trovare tutto identico a prima - una simmetrica fila di porte in ombra, nessun segno di finestre aperte né di nulla che potesse turbare la staticità del corridoio.

Con urgenza, il principe mise la mano sulla prima maniglia che trovò e spinse il battente. Davanti a lui si aprì un altro corridoio, perfettamente identico a quello da cui proveniva. Nonostante il battente alle sue spalle fosse chiuso, ora, continuava a sentire il lieve soffio d'aria scompigliargli i capelli. Atsushi iniziò a correre.

Nella fretta, provò una porta tra le tante - che differenza faceva, l'una o l'altra, tanto erano tutte uguali - che si aprì su di un altro corridoio. Il ragazzo si appoggiò alla parete per un momento, colto da un improvviso giramento di testa, ma poi riprese a correre, nel terrore che una di quelle infinite porte si aprisse e da essa uscisse qualcosa - qualcosa di non meglio definito, ma che Atsushi era certo di non voler incontrare.

Il vento era gelido sulla sua schiena sudata, ora, e lo spingeva avanti mentre il principe correva a perdifiato, superando porte su porte, inciampando quasi nelle soglie che sembravano venirgli incontro di loro spontanea volontà. Sapeva che sarebbe finita come quella volta, quando le pareti di spine e foglie si erano strette attorno a lui per ingoiarlo.

Ormai, non faceva nemmeno più attenzione a dove andava: una scelta valeva l'altra, perché non c'era fine a quel labirinto architettonico. Era condannato a correre per l'eternità? Che cosa sarebbe successo se si fosse fermato?

Il vento era sempre più forte attorno a lui, soffiava impetuoso come a preannunciare un temporale. Porte, ombre, pavimenti - davanti ai suoi occhi, tutto si era trasformato in un caleidoscopio dalle forme squadrate e dai toni del grigio, e rimbombava dei suoi passi pesanti e del suo ansimare affrettato.

Il dolore al braccio si confondeva con quello che ora gli aveva preso le gambe ed il petto. Stava per crollare al suolo, esausto, ma l'istinto era ancora più forte della stanchezza - se si fosse fermato, il labirinto lo avrebbe ingoiato, come non aveva potuto fare tanti anni prima. Il principe si appoggiò di peso all'ennesima maniglia - questa volta, però, davanti a lui si aprì una spoglia anticamera. La porta all'altra estremità era socchiusa.

Atsushi indugiò per un istante ed allora il vento lo strattonò, spalancando il battente per lui: oltre la soglia, comparve la stanza che aveva lasciato.

Con le ultime forze, Atsushi vi si lanciò dentro, chiudendosi la porta alle spalle e collassando a terra, con le gambe diventate ormai una sorta di ammasso tremebondo e debole. Si rannicchiò sul pavimento, le testa fra le mani. Anche ad occhi chiusi, vedeva davanti a sé la fila ininterrotta di porte chiuse che continuavano a scorrergli accanto.

Il vento aveva smesso di soffiare e da fuori, dal dedalo di corridoi, non proveniva che silenzio.

 

~~~

 

Attorno al letto di En si era radunata una piccola folla, mentre i tre spiriti si erano ritirati in un angolo, osservando la situazione tra il perplesso e lo scoraggiato.

"Davvero, non è stata una grande idea avvertire i sovrani," commentò Ryuu per l'ennesima volta. Non che avessero avuto molta scelta, purtroppo: era stato mandato un piccolo drappello di servitori e guardie per accompagnare En dalla torre alla sala delle cerimonie. Quando il tempo impiegato dal principe a scendere dalle sue stanze era diventato troppo, erano saliti ad indagare ed avevano trovato i tre spiriti disperati, inginocchiati accanto al corpo riverso a terra del ragazzo.

"Non c'è nulla che possano fare." Ryuu osservò il re e la regina, che non trovavano pace. L'avevano scosso, avevano chiamato il suo nome, avevano provato con i sali e con l'acqua gelida, ma senza risultato. Erano passati dall'incredulità, alla rabbia, alla disperazione. Se non altro, non sembravano decisi a darsi per vinti.

La prima cosa che avevano fatto era stato richiamare i servitori e le guardie per far loro mantenere il silenzio - meglio non far trapelare la notizia, per il momento. Poi, avevano mandato a chiamare con discrezione i medici di corte più fidati. C'era ben poco che questi potessero fare, però: il principe non era malato o ferito, era solo profondamente addormentato, e non c'era stato modo alcuno di riscuoterlo dal sonno.

"Non mi capacito di come sia potuto succedere." Il volto di Io era funereo. Si stava maledicendo per aver suggerito di lasciare En da solo prima del tramonto. E dire che era stato così sicuro di sé, così certo del fatto che i demoni fossero distanti, che non lo potessero toccare.

Yumoto scosse la testa, incapace di parlare. Lo spirito della luce stava faticando a trattenere le lacrime alla vista di così tanta tristezza.

Ryuu si mosse e cambiò posizione, a disagio. Era ovvio che i due sovrani avrebbero tentato qualsiasi cosa pur di riuscire a far risvegliare il figlio che avevano appena ritrovato, ma a lui non andava eccessivamente a genio la carta che avevano deciso di giocare ora.

"Non sarebbe meglio non mettere altri al corrente della situazione, forse?" provò ad indagare con tono casuale, avvicinandosi alla regina. "Insomma, la principessa potrebbe impressionarsi..."

La madre di En gli rivolse uno sguardo esasperato. "Siete stati voi a dire che questo è il solo modo di svegliare mio figlio, ed ora mi suggerite di non tentare nemmeno?"

Ryuu chinò la testa, remissivo. Aveva solo sperato di poter spiegare il tutto in circostanze un po' più tranquille. "Certo, è così, però, vedete..."

L'arrivo della Principessa Kinugawa nella stanza troncò sul nascere la sua spiegazione e lo spirito del fuoco si ritirò in buon ordine, rifugiandosi a fianco di Io e nascondendo la faccia contro la sua spalla. Non era ansioso di assistere alla scena che sarebbe seguita di lì a poco.

Udì alcune frasi confuse - la voce della ragazza suonava incerta, come se non potesse davvero credere a quello che le stavano chiedendo di fare - dopodiché seguirono alcuni lunghi attimi di silenzio. Non era difficile immaginare che cosa stesse avvenendo nel frattempo e, dopo un po', Ryuu si voltò a sbirciare. La principessa era ancora china su En, le guance arrossate per l'imbarazzo, e tratteneva il respiro proprio come chiunque altro nella stanza. Ma il tempo passava, ed il ragazzo non accennava a riaprire gli occhi.

Quando fu chiaro che il bacio non aveva sortito alcun effetto, la principessa di raddrizzò, abbassando il capo con aria mortificata. Il re, invece, si voltò verso i tre spiriti con l'espressione di chi esigeva immediatamente una spiegazione convincente.

"Avevate detto che questo sarebbe stato l'unico modo per salvarlo, ma non è accaduto nulla."

Ryuu si schiarì la voce - forse non era pronto ad ammettere quello che doveva ammettere, ma non poteva più far finta di nulla. Con sua sorpresa, però, fu Io a fare un passo avanti e parlare.

"Non basta un bacio qualunque, mio Re," spiegò tranquillamente. "Per contrastare una maledizione così potente occorre un gesto d'amore che sia più forte dell'incantesimo. La principessa qui presente non ama En, né En è innamorato di lei. Come potrebbero, in fondo? Si sono incontrati oggi per la prima volta."

La ragazza, ancora chiaramente imbarazzata, non si scompose minimamente alla rivelazione, ma i due sovrani, invece, trasecolarono.

"Stai dicendo che non c'è niente da fare, allora?" La regina stava stringendo così forte la stoffa della sua gonna che le nocche delle mani erano biancastre, traslucide.

"No, sto dicendo che la principessa non ha il potere di fare nulla," rispose Io.

"E chi lo avrebbe, allora?"

"Solo la persona di cui En è innamorato," si intromise allora Yumoto. "E che lo ricambia." Lo spirito della luce fece un bel respiro prima di proseguire. "Quella persona è vostro fratello, Principessa."

Questa volta, tutti e tre i reali fecero tanto d'occhi. Un momento dopo, sui due spiriti iniziarono a piovere una serie di "ma come è potuto accadere" e "perché non ne siamo stati informati prima", oltre ad altre domande a cui era obiettivamente difficile riuscire a dare una risposta.

Approfittando della confusione, Ryuu scivolò vicino alla principessa, che era rimasta in disparte, forse troppo allibita per dire qualcosa. Lo spirito le rivolse un sorriso tra il gentile e l'accattivante. "Mi dispiace che le cose siano andate così e che voi siate rimasta delusa, altezza," si scusò. "A dire il vero, speravo che la questione potesse essere chiarita in circostanze meno drammatiche. Perdonatemi."

La giovane sbatté le palpebre un paio di volte, come per riaversi, ma poi tornò in sé. "Oh? E perché mai, non è certo colpa vostra. E poi, il vostro amico ha ragione, io non amo il principe."

Questa volta, fu Ryuu a dover ripensare alle parole della ragazza prima di poter rispondere. "Davvero? Ma tutte le lettere che vi siete scritti..." gli scappò, prima di riuscire a frenare la lingua. Be', in fondo, la questione dei messaggi segreti era irrilevante, a quel punto, e poteva essere senz'altro chiarita dopo.

"Messaggi gentili e romantici, senz'altro," rispose cortesemente la principessa, che aveva l'aria di volersi trovare in qualsiasi luogo fuorché in quella torre. "Ma era abbastanza evidente che stesse giocando con me. E poi," disse schiettamente, "non era davvero il mio tipo."

Ryuu fece per replicare, piccato, ma poi si fermò. I chiarimenti a dopo, si era detto. "Il problema, altezza, è che il Principe Atsushi non sembra ancora essere arrivato a corte," proseguì schiarendosi la voce. "Voi sapete dove si trova? Lui senz'altro potrebbe risvegliare En."

La principessa annuì, ma poi assunse un'espressione contrita. "Purtroppo mio fratello questa sera non verrà. Sembra si sia sentito poco bene prima della partenza e ci ha mandato un biglietto per comunicare che sarebbe rimasto a casa di un suo caro amico, Kinshiro, fino a che avesse ripreso le forze. Però, viste le circostanze, se gli mandiamo subito un messaggio, farà tutto il possibile per- c'è qualcosa che non va?"

Ryuu aveva strabuzzato gli occhi. "Il nome del vostro amico - avete detto che si chiama Kinshiro?"

La ragazza lo guardò, sempre più confusa e desiderosa di trovarsi da qualche altra parte. "Sì, esatto."

Soffocando una serie di imprecazioni poco adatte alla piccola folla lì riunita, Ryuu balzò con malagrazia sopra il letto di En (tanto non si sarebbe svegliato comunque) per afferrare Io e Yumoto, entrambi ancora oggetto del serrato interrogatorio da parte dei sovrani.

"Dobbiamo agire in fretta! Credo che Atsushi sia stato catturato dai demoni!"

Io si voltò verso di lui con espressione esasperata. "E come facciamo con i sovrani?"

Ryuu alzò gli occhi al cielo, finché non fu colpito da un'idea. "Be', possono far compagnia a loro figlio nel mondo dei sogni, no? Sempre meglio che stare svegli ad angustiarsi per cose a cui non possono rimediare," decise, tirando fuori la bacchetta, imitato subito dagli altri due.

Non servirono che pochi tocchi per far cadere la stanza nel silenzio. Nessuno dei presenti ebbe davvero il tempo di capire che cosa stesse accadendo, prima di chiudere gli occhi e venir adagiato sul pavimento dagli spiriti.

Quando ebbero finito con gli occupanti della torre, i tre diressero la loro magia sul resto del castello. Sui corridoi, sui cortili bui, nella sala delle cerimonie gremita di gente in attesa dell'aprirsi dei festeggiamenti calò pian piano il silenzio - le chiacchiere e le risate lasciarono le labbra di nobili e cortigiane, i bicchieri smisero di tintinnare, i fuochi si spensero nelle cucine e le guardie allentarono la presa sulle loro armi.

"Spero che non debbano arrivare altri invitati, per questa sera," commentò Yumoto, quando ebbero finito e si ritrovarono nuovamente accanto al letto di En.

"Quello che importa è riuscire a recuperare l'unico ospite davvero necessario," gli ricordò Ryuu. Sembrava nuovamente arrabbiato. "Avremmo dovuto capirlo prima," disse, "che stavano addosso sia alla principessa che al principe."

Yumoto sedeva accanto ad En, accarezzandogli delicatamente i capelli. Ora che c'era silenzio e che era passata la commozione iniziale, i tre spiriti comprendevano appieno quanto accaduto. Il ragazzo giaceva immobile sul suo letto, sotto le coperte, ancora vestito di tutto punto per la cerimonia, ora sospesa a tempo indefinito. Dormiva pacifico, sereno, quasi - non era certo la prima volta che lo vedevano addormentato, eppure, quella sera sapevano che avrebbe potuto non svegliarsi mai più.

Yumoto gli posò una mano sul petto, e per un momento da sotto il palmo si irradiò un tenue bagliore di luce.

"La maledizione," disse lo spirito a quel punto, "è sempre stata qui. Nonostante tutti gli incantesimi a difesa della foresta e di questa torre, non siamo comunque riusciti a proteggerlo da quello che portava dentro di sé." La voce di Yumoto era mesta. "Ora qui c'è solo vuoto - e per quanto io possa provare, non posso riempirlo." A malincuore, ritrasse la mano, premurandosi invece di rimboccare la coperta sopra le spalle del ragazzo addormentato.

Ryuu strinse i pugni. "Abbiamo fallito. Avremmo dovuto proteggerlo, ma siamo solo riusciti a dare lui ed Atsushi in pasto ai demoni." La sua voce irradiava frustrazione. "Se non riusciremo a riportare indietro entrambi i principi, sarà solo colpa mia," aggiunse amaramente. Io gli circondò i fianchi con un braccio.

"Libereremo il principe e lo riporteremo qui. Se è vero quel che dice Yumoto, nemmeno il mio incantesimo si sbaglia, allora, ed i demoni sono dove posso sentirli. E soprattutto, non sono tanto lontani."

I tre si scambiarono uno sguardo d'intesa e, tornati alle loro dimensioni naturali, spiccarono il volo nella notte.



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NOTE: un grazie, come sempre, alla mia beta Yuki che è velocissima <3
Ormai siamo giunti alla parte finale della storia. In quattro, massimo cinque capitoli sarà finita. Spero di riuscire a terminarla velocemente! Intanto ringrazio chi la segue e trova il tempo di commentare, ogni recensione è preziosa.

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Capitolo 13
*** Lo spirito della luce delle stelle ed il demone di giada ***


Cap. XIII

 

Lo spirito della luce delle stelle ed il demone di giada


 


Nella quiete della notte estiva, il cielo era un tappeto di stelle. La luce argentea si rifletteva sulle mura bianche della villa, a cui i tre spiriti erano stati condotti dall'incantesimo che legava Io alla perla indossata da Akoya.

Accovacciati sul ramo di un abete appena fuori dal giardino, il trio si era fermato a considerare come procedere. La villa aveva due piani soltanto, ma era vasta e circondata da un giardino che poteva nascondere chissà quali insidie. Non v'erano luci accese né alcun segno di movimento, ma gli spiriti sapevano fin troppo bene che la quiete era solo apparente.

Se volevano avere qualche speranza di sottrarre Atsushi ai demoni, dovevano pianificare attentamente il salvataggio, soprattutto considerando che non avevano idea alcuna di che cosa li aspettasse all'interno di quelle mura.

"E se provassimo a bussare alla porta ed a parlarci?" propose Yumoto a quel punto. "Forse non è poi troppo tardi per trovare una soluzione pacifica."

Gli altri due gli scoccarono un'occhiata stralunata. "Le troppe emozioni ti hanno dato alla testa," tagliò corto Io, lo sguardo di nuovo fisso sulla villa. L'incantesimo era potente, lì - si era abituato a percepire la presenza di Akoya come un puntolino che lo accompagnava costantemente, ma che non lo disturbava mai, né lo impensieriva. Quella stessa presenza, ora, era schiacciante, sembrava premere contro di lui, respingerlo, quasi.

"Credevo che l'incontro con Kinshiro avvenuto un anno fa ti avesse chiarito le idee sul fatto che il demone non sia incline ai compromessi."

Yumoto si morse il labbro inferiore. Se l'era cavata per miracolo dal loro duello, l'estate scorsa, e certo Kinshiro non era sembrato propenso a dimostrare pietà per nessuno. Tuttavia...

"Fosse per me, appiccherei fuoco a tutto, compreso questo giardino così perfetto. Scommetto che ogni pianta, qui, è pronta a saltarci addosso come quella che abbiamo incontrato ieri notte." Ryuu, al contrario, sembrava piuttosto deciso riguardo alla loro linea di azione.

"Dobbiamo salvare il principe, non arrostirlo assieme ai demoni," gli ricordò quindi lo spirito della terra. "Inoltre, ci troviamo nel loro covo. Dobbiamo evitare lo scontro diretto ad ogni costo, o questa volta non ce la caveremo solo con qualche graffio."

Gli occhi calcolatori di Io scorsero le mura e le finestre della villa. Erano tutte chiuse, le imposte serrate. Tutte uguali.

"Se fossimo dei demoni malvagi, dove terremo prigioniero un principe?" mormorò Yumoto, seguendo i pensieri dello spirito della terra.

"In una cantina? In una sorta di prigione sotterranea?" propose Ryuu.

Io annuì. "Sembrerebbe la soluzione più logica." Nonché, naturalmente, quella che rendeva la loro missione di salvataggio ancora più complicata. "Dovremo riuscire ad infiltrarci all'interno ed a mantenerci nascosti il più a lungo possibile... Se capiamo da dove entrare, naturalmente."

Con porte e finestre sbarrate, non avevano molte alternative. Sicuramente Ryuu sarebbe stato ben felice di incendiare una di quelle imposte di legno, ma fuoco e fumo non rientravano certo in un piano di avvicinamento alla chetichella.

"Il camino?" suggerì allora Yumoto, indicando diversi comignoli sul tetto della villa.

Ryuu annuì vigorosamente. "Perfetto. Forza, che cosa aspettiamo?" Alzandosi in volo con un frullo d'ali, lo spirito di fuoco era già pronto a gettarsi a capofitto nel primo comignolo disponibile, ma Io lo afferrò per una gamba.

"Aspetta. Credi che abbiano lasciato i confini del giardino privi di incantesimi o di una barriera di protezione?"

Lo spirito della terra si alzò in volo accanto a lui e, lentamente, si spostò sopra il muro, una mano tesa in avanti a tastare l'invisibile. Ad un tratto - come aveva previsto - si bloccò. Era come se la presenza magica di Akoya, imponente di fronte a lui, si fosse improvvisamente solidificata fino a costituire una barriera invisibile, come quella che avevano eretto a protezione della loro foresta.

"Come sospettavo," dichiarò quindi Io, "dobbiamo innanzitutto trovare un modo per oltrepassare la barriera." Come se fosse facile, si disse mentre parlava e tornava a scrutare il giardino e la villa davanti a loro. Con i suoi poteri, avrebbe potuto scavare un tunnel sotto il muro, ma non era detto che questo sarebbe sfuggito ai demoni. Tuttavia, un incantesimo barriera come quello che si trovavano di fronte era, normalmente, impossibile da sorpassare in qualsiasi modo. Stava giusto per voltarsi verso gli altri e spiegare loro la sua idea, che il sostegno offerto dalla barriera sotto la sua mano venne improvvisamente meno e lo spirito vacillò nella quieta aria notturna.

"Si è aperto." Io osservava l'invisibile di fronte a lui - ma poteva sentirlo, sia al tatto che con la sua magia: la barriera aveva ceduto, esattamente davanti a loro.

"È strano," commentò Ryuu avvicinandosi con fare sospettoso. Non era normale che si aprissero delle falle nelle barriere magiche, a maggior ragione se qualcuno non aveva fatto altro che appoggiarvi una mano.

"È intenzionale," lo corresse Io. "Sanno che siamo qui e questo è il loro invito ad entrare."

I tre guardarono la villa di fronte a loro. Silenziosa ed immersa nel buio, aveva l'aria di essere abbandonata ed accogliente, ma non era così. Nel tenue frinire dei grilli, la casa sembrava un predatore in attesa, pronto ad inghiottirli non appena si fossero avvicinati - e gli spiriti non potevano che infilarsi tra le sue fauci.

"Non abbiamo altra scelta, comunque," fece alla fine Yumoto. "E questa è la strada più veloce."

Gli altri due annuirono: non vi era altra soluzione praticabile e loro non avevano altro tempo da perdere. Quindi, si affrettarono a tuffarsi a capofitto nell'apertura nella barriera prima che i demoni decidessero di ritirare il loro invito.

Appena al di là, Io vacillò ancora, e Ryuu fu subito al suo fianco per sostenerlo. "Che c'è ora?" chiese preoccupato, sperando che non si trattasse già degli effetti di qualche incantesimo che i demoni avevano predisposto in vista del loro arrivo.

Ma Io scosse la testa, riprendendosi in fretta. "Nulla, ma ho completamente perso il contatto con la perla di Akoya. Non lo sento più - anzi, è come se fosse ovunque attorno a me." Se fino ad un attimo prima la magia del demone gli pareva una presenza incombente e schiacciate, ora lo aveva inglobato completamente.

Ryuu gli strinse la mano. "Questo posto è impregnato della sua magia, non c'è da stupirsi che il tuo incantesimo abbia perso la bussola."

Io annuì, ricambiando la stretta e riprendendo a volare verso il tetto della villa.

Nonostante procedessero guardinghi, pronti ad affrontare chissà che incognita e che agguati, nulla venne a disturbarli.

Appena raggiunsero il tetto, si infilarono nel primo comignolo a disposizione; in fondo, non sapendo davvero che cosa li aspettasse al di sotto, un'entrata equivaleva l'altra. Una volta all'interno, procedettero a tentoni. Il problema non era tanto mantenere l'orientamento - non con Yumoto a rischiarare le pareti attorno a loro e con Io che poteva sentire le cavità nella pietra dei muri e indovinare quindi la loro posizione nella casa - quanto decidere dove dirigersi.

Per la terza volta, si affacciarono guardinghi da un camino, entrando in una stanza da letto completamente vuota.

"Non andremo da nessuna parte, se continuiamo così," borbottò Ryuu, sbattendo le ali per scuotersi di dosso la fuliggine che gli si era inevitabilmente accumulata addosso e creando una leggera cascata di polvere grigia, che si accumulò sull'elegante tappeto sotto di lui.

Io si sbatté con cura gli abiti. "Dobbiamo procedere allo scoperto. Se davvero tengono il principe in un qualche sotterraneo, è lì che dobbiamo andare, e non credo che ci siano camini nelle cantine."

"Forse dovremmo separarci. In questo modo le esploreremo più in fretta," se ne uscì a quel punto lo spirito della luce. I suoi occhi scarlatti vagavano inquieti sulla stanza spoglia, esplorandone gli angoli illuminati dalla sua magia. Dalla sua voce trapelavano delusione ed impazienza. Dovevano affrettarsi a trovare Atsushi; non sapevano quanto costasse al principe ogni momento in più nelle grinfie di quei demoni, né che cosa stesse subendo a causa loro.

"Ma sei matto, Yumoto?" Ryuu istintivamente si strinse a Io.

"I demoni sanno che siamo qui e saranno ad aspettarci con il principe. Non ha senso dar loro più vantaggio di quello che hanno, lasciando che uno di noi vada allo sbaraglio," ragionò Io scuotendo la testa. "È il caso di uscire da questa stanza e cercare un modo per scendere nei sotterranei, tutti assieme," affermò, volando verso la porta, seguito dagli altri due. Come lo spirito allungò la mano verso la maniglia, però, questa venne improvvisamente avvolta da virgulti e foglie.

Io serrò le labbra, gesticolando agli altri di affrettarsi a tornare nel camino per scappare da dove erano entrati, ma, quando si voltarono per farlo, vennero investiti da una nube di fuliggine. Appena poterono riaprire gli occhi e scrutare oltre la polvere, videro che tutto - la cappa, il focolare, il pavimento antistante - era ricoperto di rampicanti verdi.

I tre spiriti tirarono fuori le proprie bacchette.

"Non c'è bisogno di essere così aggressivi."

Un ramo più spesso degli altri si dipanò lentamente dalla cappa del camino, rivelando un grosso bocciolo scuro. I petali carnosi si schiusero uno dopo l'altro, rivelando Akoya, la cui chioma gareggiava in morbidezza e splendore con la corolla che gli si era appena aperta tutt'attorno. Ammantato nei suoi soliti abiti scuri, il demone si sollevò in volo con grazia in mezzo al pulviscolo di cenere, perfettamente immacolato.

"Grazioso, non trovate?" fece, scostandosi poi appena in tempo per evitare la fiammata proveniente dalla bacchetta di Ryuu.

"Quanta scortesia," li rimproverò quindi il demone, incrociando le braccia sul petto. "Si ringrazia così chi viene a fare gli onori di casa?"

"Non prenderci in giro!" ringhiò lo spirito del fuoco, pronto ad attaccarlo di nuovo. "Credi di averci in trappola, ma non pensare che ci arrenderemo facilmente!"

Akoya sospirò in modo teatrale, posandosi a sedere su una delle foglie, ben attento a non sfiorare la fuliggine che ricopriva il resto delle superfici.

"È quello che spero, in effetti. D'altronde, siete stati fortunati ad arrivare proprio nel momento in cui ero io a sorvegliare la barriera. Anche se potrei aver preso il posto di Ibushi volontariamente, sapendo che sareste arrivati a breve, chissà," fece, arricciandosi con noncuranza una ciocca di capelli. "Vi sarebbe stato proprio difficile entrare, altrimenti."

"Sei stato tu a farci passare, quindi." Io sembrava sempre sul chi va là, ma aveva impercettibilmente abbassato la bacchetta.

"Ovviamente. Ma veniamo al dunque. Avrei potuto permettervi di vagabondare per questa villa per ore e lasciare che trovaste il principe per sfinimento, ma Kinshiro non è dell'umore migliore, stasera, quindi ritengo sia il caso di facilitarvi un poco il compito." Detto ciò, scivolò a terra, riprendendo improvvisamente dimensioni umane. "Su, seguitemi, e badate a non dare nell'occhio," li invitò, dirigendosi verso la porta.

"Ehi, piano, aspetta." Ryuu lo teneva ancora sotto la mira della sua bacchetta e ogni sua occhiata trasudava diffidenza. "Ci stai aiutando?"

Akoya poggiò le mani sui fianchi. "Tu che dici?"

Ryuu strinse i pugni. "Pensi davvero che saremo così sciocchi da seguirti senza fare domande?"

"E tu credi sul serio che mi sarei fatto catturare da voi così facilmente l'estate scorsa, se non ne avessi avuto ragione?" Akoya infilò un dito sotto il collo rigido della tunica che indossava, sfoggiando la perla ancora attaccata alla catenella. "Diciamo che volevo essere sicuro che avreste avuto modo di intervenire, qualora ve ne fosse stato bisogno."

"Ma perché?" Testardo, Ryuu non gli toglieva gli occhi di dosso. La sua voce suonava dura, ma nascondeva un tremito di incredulità.

Akoya si strinse nelle spalle, tornando a tormentarsi una ciocca di capelli. "Perché le cose stanno precipitando ed io non sono nella posizione giusta per impedirlo. Ma non ho tempo di spiegarvi tutto adesso, il principe non è nelle condizioni migliori e, se volete portarlo via da qui, dovete farlo in fretta."

All'avvicinarsi della sua mano, i virgulti si ritirarono obbedienti, lasciando libera la maniglia.

"Come sappiamo che non si tratta di una trappola?" chiese quindi Io, la bacchetta ancora puntata di fronte a sé.

"Se fosse una trappola, vi sareste già caduti comunque, non vi pare?" fece il demone alzando un sopracciglio, spazientito.

"E quella brutta pianta che hai seminato nella foresta vicino a casa nostra?" insisté quindi Yumoto, che si ricordava molto bene di quando pungessero i rovi incantati che lo avevano intrappolato. "Non è stato un bel modo di aiutarci."

Akoya fece un gesto con la mano, come a dire che non importava. "Che cosa vi aspettavate, che abbandonassi tutto per mettermi dalla vostra parte? Devo pur sempre eseguire gli ordini. Se avessi scelta, non sarei qui a mettere in piedi tutto questo teatrino, non vi pare?"

Li squadrò uno per uno. Inavvertitamente, la punta del suo stivale iniziò a picchiettare il pavimento con impazienza - nonché, credette Io, con un certo nervosismo. "Potete seguirmi o rimanere qui. Se procedete per conto vostro, sarà solo questione di tempo prima che Kinshiro vi intercetti. Io posso condurvi dall'umano immediatamente, invece. Ma niente scherzi, perché mi sarebbe molto facile sbagliare strada e farvi incontrare direttamente Kinshiro, al posto del vostro prezioso principe," li avvertì, finalmente poggiando una mano sulla maniglia. "Allora?"

Io ricambiò lo sguardo del demone per qualche istante, ed alla fine rinfoderò la bacchetta. Con una certa riluttanza, Ryuu e Yumoto fecero altrettanto, ed Akoya annuì. Ciononostante, era difficile capire se la loro decisione lo sollevasse o lo spaventasse.

Il demone aprì la porta con cautela e si sporse a controllare che la via fosse libera, prima di fare cenno ai tre di seguirlo. In silenzio, gli spiriti gli andarono dietro, i sensi all'erta - ma il lungo corridoio della villa era vuoto e silenzioso, scuro nel buio della notte.

Akoya avanzava silenzioso, le suole degli stivali che sfioravano appena il pavimento, leggere come i petali di un fiore. I suoi capelli scintillavano appena nella fioca luce delle stelle, quando si trovavano a passare di fianco ad una finestra. Camminava con portamento eretto, aggraziato, come suo solito, ma c'era qualcosa - forse un'eccessiva rigidità del collo, il modo in cui stringeva le mani a pugno, o come voltava la testa a controllare la provenienza di rumori che sentiva soltanto lui - che ne tradiva il nervosismo.

Alle sue spalle, Io lo osservava con attenzione. Non si fidava completamente del demone ma, d'altronde, non era poi così sorpreso da quell'improvvisa scoperta. In fondo, aveva coltivato dubbi a proposito delle intenzioni di Akoya fin da dopo il loro incontro durante l'acquazzone.

Inoltre, necessitava di qualcosa che lo distraesse dal crescente senso di oppressione che avvertiva. Non era paura, né ansia - non che fosse estraneo a tali sentimenti, specialmente in quel momento, ma provenivano da dentro di lui e riusciva a tenerle sotto controllo. Questa sensazione opprimente, invece, lo schiacciava dalle tenebre del corridoio, quasi volesse ghermirlo, allungandosi dalle ombre.

Un paio di volte lo spirito dovette voltarsi perché aveva creduto di udire il suo nome sussurrato nelle tenebre del corridoio, per ritrovarsi a fissare solo immobile oscurità - ma c'era qualcosa che splendeva, nel buio, o così gli sembrava: potevano essere luccichii di pietre preziose, o occhi che lo fissavano.

Si girò verso Ryuu, che gli volava a fianco, ma lo spirito del fuoco sembrava preoccupato unicamente dalla loro guida e dal prevenire qualsiasi suo eventuale tiro mancino. Accorgendosi che l'altro lo stava guardando, gli diresse un breve sorriso confidente, riportando l'attenzione su Akoya. Io seguì il suo esempio - forse era tutta una sua immaginazione, forse era solo più teso di quanto non credesse.

Una volta che ebbero raggiunto l'altra estremità del corridoio, Akoya aprì un'altra porta, rivelando una stanza in penombra, la cui unica fonte di luce era un candelabro sul tavolo. Le fiamme si riverberavano fiocamente sull'argento di un vassoio posato lì sotto, coperto ed intatto, che doveva, a giudicare dal profumo, contenere una cena deliziosa. Lí vicino, c'era un letto semidisfatto e vuoto.

"Dov'è?" fece Yumoto quindi, ma Akoya si mise un dito sulle labbra e fece un cenno nella direzione del giaciglio.

"Aspetterò fuori, fate in fretta," gli disse in un sibilo, chiudendo la porta dietro di sé.

I tre spiriti indugiarono per qualche istante, perplessi, ma poi proseguirono guardinghi verso l'altra estremità della stanza. Avvicinandosi al letto, ebbero appena un attimo di esitazione, un poco preoccupati per quello che erano sul punto di trovare. Se si aspettavano qualcosa di pericoloso, tuttavia, fecero presto a ricredersi non appena intravidero la figura raggomitolata sul pavimento.

"Principe Atsushi?" chiamò piano Yumoto, andando a sedersi sul bordo del materasso.

Il ragazzo era incuneato nel poco spazio tra il letto e la parete, talmente ripiegato su se stesso che a prima vista, nella semioscurità, lo si sarebbe quasi potuto scambiare per un mucchio di abiti spiegazzati. Per un momento, la sua immobilità li spaventò tanto che gli spiriti temettero di essere arrivati, ancora una volta, troppo tardi. Un attimo dopo, però, la sagoma sembrò scuotersi.

"Andatevene!" La voce del ragazzo era più simile ad un piagnucolio che ad un comando, ed il principe non si curò nemmeno di sollevare la testa per vedere con chi avesse a che fare.

"Ma, altezza, siamo venuti a salvarvi, a portarvi via di qui," continuò speranzoso Yumoto, volando fin dall'altra parte. Raggomitolato com'era, era difficile persino distinguerne l'espressione del volto.

"Non esco di qui," di nuovo, la voce del ragazzo trasudava paura. Le sue spalle tremavano appena, ed una mano strinse convulsamente il braccio opposto. "Non torno in quell'incubo di labirinto, non per farmi ingoiare vivo dai demoni."

"Ma non c'è nessun labirinto, qui fuori," obiettò Ryuu, che guardava l'umano con fare perplesso.

Yumoto piegò la testa di lato, studiando il ragazzo. "Principe, siete ferito?"

Dall'altro non venne risposta ma, accovacciato accanto a lui, Yumoto aumentò improvvisamente di dimensioni per prendergli una mano tra le sue. Il principe soffocò un gemito di dolore e tentò di ritirarla, ma lo spirito lo tenne stretto.

"Sono sicuro che deve far male, povero principe," mormorò Yumoto mentre tra le sue dita si sprigionava la caratteristica luce dorata. Il corpo del ragazzo si contrasse e, per qualche istante, nell'aria sopra le mani congiunte di umano e spirito fluttuò un ago di luce verdastra, aguzzo e tremolante. L'attimo dopo era già sparito ed Atsushi stava alzando la testa, sempre impaurito ma non più tremante.

"Che cos'era quello?" boccheggiò, spostando lo sguardo stralunato dalla mano, intonsa, all'aria dov'era svanito l'ago di luce.

"Un piccolo incantesimo malvagio e fastidioso, principe, per offuscarti i sensi e distorcere la realtà... Almeno così sembrava. L'avevate conficcato nel dito, ma ora ve l'ho tolto," Yumoto gli sorrise incoraggiante, illuminandolo con la sua luce.

I tre spiriti, ora, si ritrovavano davanti il ragazzo che avevano visto nel bosco l'inverno prima. Da sotto una frangia di spettinati capelli scuri, i suoi grandi occhi castani li scrutarono titubanti, incerti se credere o meno a ciò che vedevano. Si massaggiava ancora il braccio, quasi avesse bisogno del contatto fisico con se stesso per ricordarsi che tutto era, purtroppo, reale.

"Va meglio ora, non è così?" Yumoto gli sorrideva ancora, speranzoso.

Atsushi aprì e chiuse la mano che lo spirito aveva trattenuto tra le sue, guardandolo senza capire. "Il dolore è sparito, è vero." Sbatté le palpebre un paio di volte, e si sistemò gli occhiali sul viso. "Come avete fatto a...?" chiese, con un gesto vago delle dita, intendendo che si riferiva un po' a tutto. "Chi siete?"

"Siamo gli spiriti guardiani di En, Ryuu, Io e Yumoto," rispose allora Ryuu con un sorriso. "Sicuramente vi ha parlato di noi." Allo sguardo perso di Atsushi, tentò nuovamente. "I suoi, uhm, cugini? Questo è quello che fingevamo di essere."

Il principe si corrucciò un momento, poi finalmente sembrò comprendere. "...oh. Oh! Sì, credo di capire."

Yumoto si inginocchiò di fronte a lui. "En è stato colpito dalla maledizione, proprio come il demone aveva predetto." Mentre gli parlava, lo guardava negli occhi, cercando di intuire quanto il principe sapesse già. Dal modo in cui chinò il capo, comprese che doveva essere già a conoscenza di tutto. "Voi siete l'unico che ha il potere di svegliarlo, principe. Siamo qui per liberarvi e portarvi da lui."

Atsushi aveva abbassato lo sguardo, improvvisamente molto interessato al dito guarito. Alla fine, aprì la bocca con voce incerta. "Mi hanno raccontato la storia della maledizione. Io ed En, però, ieri..." Incespicò un po' nel pronunciare il nome dell'altro principe e si passò una mano sul volto, a disagio.

Questa volta, sia Io che Yumoto si voltarono nella direzione di Ryuu, che sospirò ed andò a posarsi sul ginocchio di Atsushi,

"Sappiamo tutto della faccenda delle lettere, se è questo che intendete."

Il principe spalancò gli occhi, ed annuì. "Dopo quello che è successo, io non so se... Se posso ancora farlo, ecco."

"Ma certo che potete!" Ryuu si alzò in piedi, pugni puntati sui fianchi. "Anzi, dovete!"

Atsushi chinò il capo, cercando di evitare l'urgenza nello sguardo del piccolo spirito. "Le lettere che ha scritto... e le cose che ci siamo detti..." si prese la testa fra le mani, scuotendola in confusione. "Ho ferito Enny, e non so più che cosa provi per me. Non capisco come sia potuto succedere."

I tre spiriti si scambiarono sguardi pieni di apprensione. Akoya aveva suggerito loro di fare il più in fretta possibile, ma non sembrava che il principe fosse pronto a seguirli. Io fece cenno agli altri due di continuare a parlargli, avvicinandosi invece alla porta della stanza, per scongiurare di venire colti alla sprovvista se fosse entrato qualcuno.

A quel punto, Yumoto si avvicinò all'umano e gli sfiorò gentilmente un braccio. "Per En non c'è nessun altro all'infuori di voi, principe."

"Avreste dovuto vedere la sua disperazione, questo pomeriggio, quando si è reso conto che non sareste venuto per la sua festa," insisté Ryuu sbuffando, pugni sempre ben piantati sui fianchi.

Atsushi, però, sembrava in grande confusione. "Perché sarei dovuto venire, dopo quello che ho scoperto?" affondò il viso tra le mani. "...Enny."

Ryuu incrociò le braccia sul petto e si sollevò in volo fino all'altezza della testa del ragazzo. "En non hai mai scritto quelle lettere, principe, si è trattato di un malinteso. Tutti quei messaggi li ho scritti io."

Gli occhiali di Atsushi spuntarono fuori di nuovo, nascondendo appena uno sguardo esterrefatto e confuso. "Come?"

Uno schiocco di dita, e Ryuu fece comparire di fronte a sé un foglio di pergamena ed un lunga penna. Senza nemmeno che lui dovesse impugnarla o poggiare il foglio da qualche parte, i due oggetti iniziarono una buffa danza a mezz'aria. Dopo un po', Ryuu fece voltare la pergamena, ora ricoperta in quella che sembrava, in tutto e per tutto, la scrittura di En.

Atsushi era senza parole. Abbassò gli occhi, posando pesantemente la fronte su una mano, schiacciato dal peso improvviso di quanto aveva scoperto.

"È magia, mio principe," spiegò quindi Ryuu. "Certo, è vero che En è stato promesso a vostra sorella quando era appena nato, ma non lo ha scoperto se non qualche settimana fa. Così come noi non sapevamo nulla di voi, altezza, fino a quest'inverno. Solo per questo ci siamo permessi di, be', facilitare un poco le cose tra En e la principessa. Per inciso," si schiarì la voce, "En non è stato affatto contento di scoprirlo. Anzi, quando gli abbiamo spiegato tutto, la notte scorsa, avrebbe voluto come prima cosa venire da voi."

"Oh, sì, avreste dovuto vederlo, principe!" Yumoto annuì con forza. "Era così disperato per il vostro litigio. È montato a cavallo, al galoppo verso la vostra villa. Ma poi siamo stati attaccati dai demoni e..." Atsushi si lasciò sfuggire un'esclamazione soffocata, ma Yumoto lo rassicurò con un cenno del capo. "Ce la siamo cavata, non vi preoccupate."

Ryuu si era seduto sul bordo del materasso ed aveva appoggiato una mano sulla spalla dell'umano. "En non si è perdonato il fatto di non aver nemmeno immaginato che ci fosse lo zampino della magia, in tutta questa storia,"

Il principe scosse la testa, come se stesse facendo fatica ad accettare tutto e rimettere ordine nei propri pensieri. "Avrei potuto pensarci anch'io, in fondo sapevo della maledizione, ma ero troppo sconvolto," confessò, più a se stesso che non agli spiriti. "Il mio dito," disse alla fine, seguendo un suo personale filo logico, "mi sono punto quando ho aperto quella lettera."

La mano di Ryuu si strinse sulla spalla del ragazzo. "Ve l'hanno fatta trovare apposta, allora! Al solo fine di farvi litigare!" avvampò lo spirito. "Quei demoni sono fin troppo esperti nel mistificare la realtà."

Atsushi si era ripreso la testa tra le mani in un gesto di disperazione. "Ancora non posso credere che Kin..."

In quella, Io si fiondò verso di loro, azzittendoli con un urgenza. "Nascondetevi, sta arrivando qualcuno!"

Fuori dalla porta, ora, si udivano delle voci attutite.

"Come sta?" Non era la voce di Akoya, questa, né quella di Kinshiro.

"Non ha ancora toccato cibo," rispose invece il loro improvvisato alleato, forse con un tono un poco più alto di quanto fosse necessario. "Credo sia il caso di lasciarlo tranquillo un altro po'."

Dopo un attimo, però, la maniglia della porta si mosse, segno che Ibushi non intendeva seguire il consiglio di Akoya. I tre spiriti, allora, si affrettarono a farsi piccoli piccoli sotto al letto. Quando il demone entrò, si ritrovò davanti solo uno spaurito Atsushi.

"Altezza, dovete mangiare. Oggi non avete ancora toccato cibo," disse il demone, lanciando un'occhiata al vassoio intatto sul tavolo.

Invece che raggomitolarsi ancora in un angolo come aveva fatto prima, quando il demone era entrato a portargli la cena, questa volta Atsushi alzò gli occhi su di lui. Ibushi sorrise gentilmente.

"Vedo che però state un po' meglio, altezza. Via, alzatevi, prenderete freddo a rimanere lì per terra."

Lentamente, il ragazzo obbedì e si sistemò i vestiti stropicciati.

"Vi farò avere un cambio d'abiti, se desiderate," proseguì il demone, procedendo a scoperchiare i piatti presenti sul vassoio. La stanza si riempì nuovamente del profumo del cibo, caldo come se fosse stato appena servito.

"Non ho fame," la voce di Atsushi era un sussurro appena distinguibile nel silenzio della stanza. Sebbene si fosse alzato in piedi, ancora non aveva intenzione di spostarsi dall'angolo in cui si trovava, quasi avesse timore di perdere la protezione datagli dalle pareti.

"Signor Ibushi, che cosa significa tutti questo?" Le braccia dietro la schiena, lo non stava guardando direttamente in faccia. "Il Kinshiro che ho conosciuto per tutti questi anni... Non posso credere che non esista. Perché mi fate questo?"

Ibushi lo aveva osservato con attenzione, e non parve particolarmente stupito dalle sue parole. Tuttavia, passò qualche momento prima che il demone rispondesse.

"Perché non vi sedete e mangiate qualcosa, altezza? Se lo farete, in cambio vi racconterò una storia."

 

~~~

 

C'era una volta uno spirito della luce delle stelle. Era di carattere schivo, e compariva di notte ai viandanti che avevano perso la via, per indicare loro la direzione da seguire per proseguire correttamente il cammino.

Aveva sembianze delicate, occhi del colore dell'erba novella e capelli sottili come raggi di luna. Il suo nome era Kinshiro e si accompagnava ad altri due spiriti: Ibushi, lo spirito del vento che accarezzava le foglie appena nate con la sua brezza, ed Akoya, lo spirito dei fiori che amava la bellezza e la perfezione.

Un giorno, Kinshiro incontrò un umano - ma non era un umano qualsiasi, era un mago.

Il mago si rivolse a Kinshiro ed agli altri due spiriti per essere guidato da loro sulla strada della magia. Felici di essere stimati come maestri e di poter consigliare l'uomo nel suo apprendimento dell'arte magica, gli spiriti lo seguirono.

Il mago viveva in una casa isolata, lontano dalla civiltà, e qui dedicava tutto il suo tempo alla ricerca della conoscenza e del sapere. Gli spiriti furono quindi più che felici di aiutarlo, crescendo per lui le sue piante, facendo sì che il suo orto mai si inaridisse, e che i suoi incantesimi avessero successo.

Nonostante la buona volontà degli spiriti, il mago non era stato onesto con loro: i consigli e gli insegnamenti che aveva richiesto ai tre erano solo una scusa per avvicinarli. Ottenuta la loro fiducia, e non appena scoprì i loro punti deboli ed il modo per farlo, approfittò della loro innocenza per legarli a sé con un incantesimo, imprigionandoli e costringendoli a mettere al suo servizio il potere magico che possedevano.

Nella speranza che il mago comprendesse i suoi errori e si ravvedesse, gli spiriti continuarono ad esaudire i suoi desideri, ma più il tempo passava, più l'uomo veniva consumato dal suo stesso potere e dalla smania di acquisirne ancora di più.

Lo spirito dei fiori e quello del vento, legati al giardino ed all'orto dell'umano, soffrivano relativamente per quella prigionia: nonostante la loro libertà fosse venuta meno, servivano comunque il loro scopo e, seppure infelici, potevano condurre un'esistenza tranquilla. Tuttavia, erano consumati dalla preoccupazione per ciò che stava subendo il loro amico.

Lo spirito della luce, infatti, soffriva. Incatenato all'interno della casa, il mago attingeva continuamente alla sua magia per ottenere maggior potere. Kinshiro sapeva che quell'ossessione non avrebbe potuto condurlo a nulla di buono, e si pentiva amaramente del momento in cui aveva acconsentito a mettersi al suo servizio. C'erano dei limiti a quanta magia poteva governare un umano; il mago, però, nella sua ingordigia e sete di potere era sordo ai suoi avvertimenti ed alle sue preghiere.

Infine, accadde l'inevitabile: una notte, l'uomo evocò qualcosa che non avrebbe mai dovuto disturbare, un demone che non avrebbe mai dovuto essere invitato su questo piano dell'esistenza. Accecato dalla promessa di nuovi poteri e forse ignaro dei rischi - o sufficientemente arrogante per decidere che sarebbe stato in grado di evitarli - l'uomo completò il rituale di evocazione, intrappolando lo spirito malvagio in una piccola, apparentemente innocua statuina: Zundar, un demone dell'oscurità, racchiuso in un piccolo riccio cesellato nella giada.

Ma nessuna entità malvagia, una volta chiamata nel mondo reale, rimane davvero innocua. Soprattutto, nessun demone rimane placido in questo piano dell'esistenza se non si ha cura di fornirgli un costante sostentamento.

Affinché il demone affamato non gli si rivoltasse contro senza preavviso, il mago lo legò a Kinshiro, lasciando che si nutrisse a piacimento dell'energia magica dello spirito. Senza che questo potesse opporsi, gli aculei di Zundar misero radici nel suo petto, rubandogli parte di sé e macchiando la sua luce con la tenebra.

Per la prima volta, lo spirito della luce conobbe l'odio: quando la creatura dell'oscurità lo ghermì, comprese che l'umano, fin dal principio, aveva avvicinato lui e gli altri spiriti unicamente per sfruttare la loro magia, non curandosi né delle loro conoscenze, se non per trarne vantaggio personale, né della loro anima, se non per usarli come concime per le sue ambizioni e per l'oscurità che albergava nel suo cuore.

Più l'odio ed il dolore aumentavano in Kinshiro, più Zundar accresceva la sua forza, fino a che, un giorno, non parlò alla sua vittima, suggerendogli di fare un patto. In fondo, gli disse, entrambi erano prigionieri del mago, costretti a soffrire ed assecondare i suoi capricci. Insieme, però, potevano ribellarsi al suo potere.

Kinshiro, quel giorno, si trovò a prendere una decisione difficile: avrebbe potuto continuare ad esistere servendo quell'uomo, per finire la sua esistenza da schiavo, consumato dal demone e tormentato dall'odio che questi avevano istillato in lui, oppure avrebbe potuto divenire sufficientemente forte per sbarazzarsi delle catene che lo imprigionavano. Per fare ciò, tuttavia, avrebbe dovuto diventare tutt'uno con Zundar e rinunciare ai suoi poteri di spirito della luce: i raggi delle stelle non l'avrebbero più raggiunto per indicargli il cammino; le sue mani non avrebbero più curato o costruito, ma solo ferito e distrutto.

Corroso com'era dai sentimenti negativi che l'umano gli aveva provocato e che il demone coltivava nel suo animo, Kinshiro scelse la seconda via e lasciò che Zundar affondasse ancora le radici nel suo cuore, soffocando la luce con la tenebra.

Lo spirito, quindi, suggerì sia ad Ibushi che ad Akoya di prestare a loro volta i loro poteri a Zundar, affinché il demone avesse la potenza sufficiente a liberare tutti loro. Ormai stufi di subire le ingiustizie dell'umano, gli altri due spiriti acconsentirono, e si legarono a loro volta a Zundar.

Una volta che fu in grado di attingere a ben tre fonti di magia in contemporanea, il demone poté dispiegare i suoi poteri e spezzare gli incanti che legavano lui e gli spiriti. Il mago intervenne nel tentativo di fermarlo, ma venne distrutto nello scontro che seguì.

Tuttavia, Zundar non riuscì a liberarsi del tutto: la sua essenza rimase confinata nella statuina di giada, e la sua esistenza rimase ancorata al potere che assorbiva dai tre spiriti, i quali, in cambio, disponevano ora degli stessi oscuri poteri che Zundar aveva portato con sé nel loro mondo.

"Il demone non può sopravvivere senza un costante sostentamento di energia e non ci ha mai lasciati liberi, anche dopo esserci liberati del mago. Fuggimmo da un padrone solo per finire nelle grinfie di uno ancora più potente," ammise Ibushi infine, sollevando gli occhi sul principe quasi con un sorriso di scusa, seminascosto nelle ombre della stanza. Non fu sorpreso di vedere che Atsushi, per tutto il tempo del racconto, aveva a mala pena toccato cibo.

"Zundar ebbe gioco facile con noi, sfruttò ed alimentò il nostro risentimento nei confronti di quell'umano. Del resto, se Kinshiro non fosse sceso a patti con lui, saremmo rimasti suoi prigionieri per molto, molto tempo, fino a che la magia di Kinshiro non si fosse esaurita. Poi, chissà, sarebbe toccato a me o ad Akoya."

Il ragazzo aveva passato un braccio attorno allo schienale della sedia e vi si reggeva, come a dover mantenere l'equilibrio, pur essendo seduto. Era chiaro che c'erano più cose che avrebbe voluto chiedere e che faceva fatica a scegliere quella da cui cominciare.

"Il riccio... La statuina che c'era al centro del labirinto in giardino... per questo non mi è mai stato permesso di avvicinarmici da solo."

Ibushi annuì. "Kinshiro non avrebbe mai voluto che il demone avesse anche voi. Vi avrebbe ucciso subito o, peggio ancora, avrebbe potuto tentare di insinuarsi in voi rendendovi schiavo."

Atsushi scosse la testa. "Se Kin era tanto preoccupato per me, allora... Perché questo, adesso?" domandò quindi, gesticolando ad indicare la stanza attorno a sé. "O davvero mi ha usato per tutti questi anni, solo perché gli sarei servito a trovare En e non poteva rischiare che mi accadesse niente prima del tempo?" La sua voce era andata via via scemando.

Delle tante cose che aveva scoperto, suo malgrado, questa era quella che più faticava ad accettare. Era cresciuto con Kinshiro, aveva giocato, e letto, e chiacchierato. Si era sentito in colpa per avergli taciuto un piccolo segreto, solo per scoprire che il suo migliore amico ne celava uno ben più grande e tremendo.

"E poi, perché En?" fiatò alla fine, scuotendo lentamente la testa. "Di tutte le persone, perché proprio lui?"

Ibushi lo ascoltò con pazienza e, alla fine, parlò con voce pacata, simile al fruscio del vento tra le foglie appena sbocciate.

"È stato un caso. Zundar ha fame di odio e di dolore, è per questo che ci ha spinti ad attaccare il castello, quel giorno. La più futile scusa era sufficiente per istigare la sua sete, e la nostra di conseguenza. Da allora, si è divertito e pasciuto del risentimento di Kinshiro nei confronti degli spiriti e del principe, che erano riusciti a nascondersi tanto bene, e della nostra frustrazione."

"Allora è così... Il Kinshiro che credevo di conoscere non è mai esistito." Atsushi parlò con voce amara, spenta, voltandosi dall'altra parte. La tremolante luce del candelabro gli illuminò il volto, creando ombre profonde sul suo viso, rendendolo più esausto di quanto già non fosse.

"Incontrammo Zundar molto, molto tempo fa, e da allora nessuno di noi è più stato lo stesso, questo è vero." Il demone incrociò le mani in grembo, contemplando la ragnatela di ombre e riflessi caldi che prendeva forma tra le sue dita.

"Controlla sia me che Akoya, ed anche ora sa che cosa vi sto raccontando e perché." Atsushi sollevò lo sguardo su di lui, senza capire, ma Ibushi scosse la testa e proseguì. "Ma le sue radici sono nel cuore di Kinshiro. Si nutre ancora della sua rabbia e la alimenta, tenendolo prigioniero. Tuttavia, altezza," fece guardando Atsushi negli occhi, con sguardo tra l'onesto ed il dispiaciuto, "quando Kinshiro stava con voi, sembrava nuovamente lo spirito che conoscevo tanto tempo fa, prima che decidessimo di fidarci del mago. La vostra amicizia gli aveva regalato serenità ed aveva indebolito Zundar."

Questo, almeno, fino al momento in cui Kinshiro non si era reso conto che Atsushi era innamorato della sua preda, ma Ibushi si curò bene dall'aggiungerlo.

Gli occhi del ragazzo erano ancora addolorati ed in cerca di risposte, ma questa volta vi brillava una tenue speranza. "Ma allora, forse c'è un modo per...?"

"Che cosa sta succedendo, qui?"

All'udire la voce di Kinshiro nel corridoio, il picco di adrenalina colpì Atsushi come un pugno sullo stomaco, tanto che per un attimo il principe temette di rigettare i pochi bocconi che era riuscito ad inghiottire.

"Ibushi si sta accertando delle condizioni del prigioniero." La voce di Akoya era atona, ma l'altro demone spalancò la porta con impeto.

Avanzò nella stanza con ampi passi, gettandosi dietro le spalle un lembo del mantello che lo intralciava. Dalla tasca della tunica nera che aveva sul petto, spuntava qualcosa di verde ed aguzzo. I suoi occhi scarlatti si posarono si Ibushi e poi sul ragazzo umano, ardenti di un fuoco gelido.

"Sto controllando che il principe si nutra, Kinshiro, come mi hai ordinato." La voce di Ibushi era pacata, cauta, come se stesse tentando di rabbonire una bestia pericolosa.

"Se non vuol mangiare, non mangi, ci sono cose più pressanti al momento," fu la brusca riposta. "Non li hai sentiti arrivare? Come hai potuto lasciare che varcassero la barriera senza accorgertene?" sibilò. Nonostante l'evidente differenza di statura tra i due demoni, Kinshiro torreggiava su Ibushi. Seduto e a capo leggermente chino, quest'ultimo abbassò lo sguardo senza rispondere.

"Ero io a presidiare la barriera."

Kinshiro si voltò di scatto da Ibushi ad Akoya. "Un lavoro encomiabile, davvero." Le sue parole erano così caustiche che avrebbero potuto ustionare.

"Se ci dividiamo, li troveremo in un attimo," prese a dire l'altro demone, ma Kinshiro scattò verso di lui.

"Certo, tanto valeva aprire cancelli e porta d'ingresso per invitarli, non è così?" Stava quasi gridando; le tenebre della stanza gli si erano condensate attorno in un'aura scura ed il suo mantello, nero e scarlatto, gli volteggiava attorno. "Dopo tutti gli sforzi fatti per arrivare al punto in cui siamo, consentire a quegli spiriti di raggiungerci nella nostra dimora ed entrarvi a loro piacimento è inconcepibile!"

Akoya abbassò la testa, lasciando che i folti ciuffi rosati gli coprissero i lati del viso. L'evidente ammissione di colpa sembrò, se non altro, placare un poco Kinshiro, che tuttavia rimase avvolto nel suo potere.

"Abbiamo concesso loro già troppo del nostro tempo." Nel dire così, alzò entrambe le mani, mentre la magia attorno a lui vorticava sempre più forte. "Andiamo via da questo posto, è comunque inutile rimanervi."

Akoya alzò di scatto la testa per dire qualcosa, ma venne preceduto dal grido strozzato del principe, alle spalle del demone. L'aura nera di quest'ultimo aveva avvolto anche l'umano, che si divincolava inutilmente contro le sue spire, costringendolo in piedi, le braccia imprigionate lungo i fianchi.

"Kin, che cosa hai intenzione di fare?" lo interrogò con voce spezzata.

A quel punto, Kinshiro si voltò indietro lentamente, per guardare il prigioniero negli occhi.

"Ce ne andiamo, lontano dagli umani e da quei tre spiriti petulanti. Lontano da questa villa che ha esaurito il suo scopo."

A quelle parole, il demone alzò un braccio sopra la testa, pronto a terminare l'incantesimo. Invece dell'esplosione di tenebre in cui la sua magia avrebbe dovuto culminare, però, si ebbe un improvviso lampo di calore e luce e Kinshiro si ritrovò schiacciato contro la parete opposta della stanza.

"Voi fate quel che vi pare, il principe viene con noi."

Atsushi, libero dalla magia oscura, ricadde di peso sulla sedia e fu prontamente affiancato da Yumoto, Ryuu ed Io, che si frapposero tra lui e Kinshiro. Afferrato l'umano per le braccia, lo trascinarono via di forza. Nè Ibushi né Akoya si frapposero tra loro e la porta.

"Fermateli!" ordinò quindi Kinshiro, riprendendo a fatica a respirare dopo l'attacco.

Senza voltarsi indietro, i quattro guadagnarono il corridoio e si lanciarono verso le scale. Gli imponenti gradini di marmo li attendevano, bui e vuoti - fino a che, nelle ombre, non si concretizzò qualcosa.

"Rovi!" esclamò Atsushi, istintivamente rallentando la corsa. Certo, non si trattava del labirinto che in cui si era ritrovato intrappolato qualche ora prima, ma vedere quei tentacoli spinosi strisciare lungo le scale e venire incontro a loro era altrettanto terrificante.

"Nulla a cui non siamo preparati," garantì però Ryuu, gettandosi a capofitto sulle piante, preceduto da un esplosione delle sue fiamme. Le spine arsero facilmente, arricciandosi e ritirandosi.

"Akoya ci sta ancora dando una possibilità di fuga," mormorò Io spingendo Atsushi giù per i gradini dietro a Ryuu. Alle loro spalle, tutto taceva e lo spirito della terra, involontariamente, indugiò ad ascoltare.

Nel silenzio, la voce stava nuovamente chiamando il suo nome.

Io si voltò verso il corridoio, ma questo era vuoto. Eppure lo sentiva - quel sussurro suadente gli si era impresso nelle orecchie, gli era rimasto appiccicato addosso, ed ora lo chiamava indietro. Mosse un passo per risalire i gradini, ma qualcosa lo strattonò improvvisamente per un braccio. Automaticamente, guardò in basso, vedendo che un ramo di spine gli si era attorcigliato attorno al polso e stava rapidamente risalendo fino al gomito.

Prima che avesse il tempo di realizzare il rischio, la presa si indebolì e di fronte a lui comparve Atsushi. Il principe aveva un pugnale in mano e lo guardava con occhi terrorizzati ed apprensivi. Fu lui, questa volta, che afferrò lo spirito per un polso per poi trascinarlo giù per la scalinata.

"Svelti, o ci si richiuderanno addosso!" gridò Ryuu davanti a loro. Ormai avevano guadagnato il piano terra e la porta di ingresso era a pochi passi di distanza. Yumoto corse per aprirne i battenti, ma senza riuscirvi. Allora arretrò, sfoderando la bacchetta, che già brillava di magia. Il suo colpo, però, si infranse in un'esplosione di luce contro una barriera di ombra, che apparve improvvisa tra lui e la porta.

"Non così in fretta."

La voce che proveniva dalla cima delle scale, questa volta, venne udita da tutti. Sullo sfondo delle ombre notturne, Kinshiro era poco più che una sagoma pallida in un involucro di tenebre violacee. Ad un suo cenno della mano, i rovi sulle scale avvizzirono e scomparvero, lasciandogli libero il passo.

Scese con calma deliberata, un gradino alla volta. Dietro di lui, venivano Akoya e Ibushi, ma la loro lentezza appariva semmai esitazione.

"Apri quella porta, Yumoto!" ordinò Io, mentre lui e Ryuu si mettevano fianco a fianco di fronte ad Atsushi.

"Pensavate davvero di potermi sconfiggere così facilmente, qui nel mio stesso covo? Siete dei poveri ingenui. Avreste fatto meglio a rimanere con il vostro principino a vegliare sul suo sonno."

Mentre avanzava, aveva delicatamente estratto la statuina dalla tasca sul petto. La giada riluceva debolmente nelle ombre della notte, ma non era un riflesso: il bagliore proveniva dal cuore della pietra stessa.

"Ci siamo annoiati un po', ultimamente." La voce di Kinshiro aveva una sorta di strana eco, adesso, che non era data dalle pareti dell'atrio della villa. "Ma voi tre siete un diversivo interessante."

Senza preavviso, la luce verde esplose e investì i tre spiriti ed il principe, che si coprì istintivamente gli occhi ma, con una certa sorpresa, rimase illeso. Quando tornò a guardare, però, si rese conto con orrore che Io e Ryuu, di fronte a lui, erano caduti a terra.

"Ehi!" Atsushi si inginocchiò in mezzo a loro, scuotendo Ryuu per una spalla. Lo spirito del fuoco sembrava privo di conoscenza, così come Io di fianco a lui. Alle spalle del principe, Yumoto era ripiegato su se stesso, ancora cosciente, ma incapace di rimettersi in piedi.

Il principe sollevò la testa verso Kinshiro. Il suo viso rifletteva il bagliore verdastro della statua, ed in mezzo ai riflessi ardevano due tizzoni scarlatti. Era folle, si disse il ragazzo, riconoscere le sembianze del suo migliore amico in quella creatura demoniaca.

"Kin! Ti prego, smettila!" supplicò, avanzando fino a mettersi tra il demone e gli spiriti. "Non sei tu ad agire in questo modo, non è così?"

Le braci si fissarono su di lui ed Atsushi sentì le gambe quasi cedere per il terrore. Era folle, si ripeté.

"Silenzio, umano." L'ordine riecheggiò tra pareti e soffitto, ed il respiro del principe venne meno. Tuttavia, strinse la presa sul suo pugnale. Folle e ridicolo.

"Non ti permetterò di fare male anche a loro. Ne hai già fatto abbastanza ad En." La sua voce era roca e patetica, ma udirla riuscì in qualche modo a confortarlo. Dietro di lui, sentì gli spiriti destarsi e muoversi e chiamare il suo nome, pregandolo di tornare indietro.

"Ma non abbastanza a te, non è così?" Le fiamme negli occhi di Kinshiro sembrarono dilatarsi. Il demone alzò la mano libera e le dita bianche furono presto avvolte da una sfera di fitto buio. "È stata una sciocchezza pensare di tenerti in vita." Tese il braccio, pronto a scagliare l'incantesimo contro Atsushi. Il ragazzo si coprì istintivamente il volto con le braccia, vagamente conscio del fatto che non avrebbe aperto gli occhi mai più.

Il colpo, però, non arrivò.

"Kinshiro, no!" Ibushi aveva afferrato il braccio del demone e lo teneva saldamente. "Non assecondarlo! Se fai del male al ragazzo, Zundar si impossesserà anche di quel che rimane di te!"

"Lasciami!" ringhiò Kinshiro, dimenandosi. "Da che parte stai?"

"Dalla tua, sempre." La voce spezzata dalla fatica, Ibushi lottò per tenerlo fermo, e Kinshiro perse il controllo sulla sfera di oscurità che aveva creato. Questa andò a schiantarsi sulla parete, a poca distanza dal principe e gli spiriti.

L'esplosione fu così forte da mandare Atsushi lungo disteso a terra. Quando si riebbe, pochi istanti dopo, Yumoto era chino su di lui e lo stava aiutando ad alzarsi. Intontito dallo scoppio, il ragazzo dovette appoggiarsi allo spirito per poter stare in piedi. Tutt'intorno c'erano calcinacci e polvere, ed Io, che ancora manteneva lo scudo magico che li aveva protetti dalle macerie che erano schizzate intorno, stava facendo loro segni frenetici di sbrigarsi. Nella parete annerita, ora, c'era una fenditura irregolare, e Yumoto vi condusse il principe.

Atsushi incespicò attraversandola, ma Ryuu lo spinse dall'altra con malagrazia. "Coraggio, altezza, fuori di qui prima che sia troppo tardi!" Lo spirito, poi, si voltò a cercare Io. Lo scudo sempre alzato, questo era immobile ad osservare la scena che si stava svolgendo sulle scale.

Ibushi stava ancora tentando di immobilizzare Kinshiro, ma quest'ultimo riuscì a liberarsi di lui, mandandolo lungo disteso sulle scale. Prima che potesse colpirlo ancora, però, i rovi di Akoya gli intrappolarono gambe e braccia, ed il demone lanciò un grido di rabbia e frustrazione.

"Akoya!" Ryuu si ritrovò con la bacchetta in mano, sollevata verso i demoni, pronto ad attaccare - anche se per fare che cosa, non era sicuro.

Il demone li fulminò con lo sguardo. "Andate!" ordinò. Il suo bel volto era contratto per la fatica, e non fu difficile comprendere che non sarebbe riuscito a tenere a bada l'altro molto a lungo.

Ryuu imprecò, ma afferrò la mano di Io e se lo trascinò dietro nel varco della parete. Fuori, nel buio della notte, Atsushi e Yumoto li aspettavano, montando il cavallo del principe.

"Dobbiamo bloccarlo in qualche modo o ci sarà subito addosso!" esclamò Ryuu, senza ottenere alcuna risposta dal compagno. "Io!" insisté, prendendo lo spirito della terra per le spalle e scrollandolo.

Io appariva quasi in trance, ma l'aria notturna e la voce di Ryuu sembrarono riscuoterlo. Scosse la testa, sbattendo le palpebre.

"Sì. Sì, hai ragione. Voi, via di qui," ordinò, colpendo il cavallo e lasciando che corresse verso il cancello. Poi si inginocchiò, affondando le dita nel terriccio dell'aiuola in cui erano usciti e chiudendo gli occhi, concentrato. La luce che lo aveva avvolto fino a quel momento confluì nelle sue braccia, tese nello sforzo, e sparì nel terreno.

Ryuu, dietro di lui, spiccò il volo, allontanandosi per precauzione. Curvo sull'erba ed immobile, Io sembrava volervi affondare. Nonostante il palese sforzo a cui era sottoposto, però, per svariati istanti non successe nulla. Poi, si udì un rombo sordo.

Dapprima, ci fu il fracasso dei vetri rotti, poi iniziarono a cadere le prime tegole dal tetto, mentre lunghe crepe correvano a tagliare la facciata della villa.

Io si alzò e, tornato alle sue dimensioni ridotte, volò a raggiungere Ryuu e gli altri. Alle loro spalle, l'edificio tremò e collassò su se stesso in una nuvola di polvere.

 

~~~

 

Le stelle erano più luminose che mai nel cielo, quando i rovi finirono di farsi strada nel cumulo di macerie. Smossero una pila di calcinacci e pietre, che rotolò di lato, formando una piccola frana, e fecero spazio per il grosso bozzolo di foglie e rami che emerse, pulsando debolmente.

Una spira dopo l'altra, i virgulti si schiusero, lasciando libere le tre figure che vi avevano trovato riparo.

Akoya si alzò per primo, sistemandosi con cura i capelli arruffati dietro le spalle. Era sporco, coperto di polvere ed affaticato, ma fu con grazia che si chinò a porgere la mano ai due compagni, che solo adesso stavano pian piano mettendosi a sedere.

Ibushi fu il primo a ricambiare la stretta, alzandosi a fatica. Kinshiro, invece, rimase seduto in mezzo alle spine. Stringeva a sé la statuina e teneva gli occhi bassi.

"Mi avete costretto a lasciarli fuggire." La sua voce suonava arida. L'aura nera lo avvolgeva ancora, ma sembrava essersi affievolita.

"Dimenticati di loro, Kinshiro. Dacci retta. Andiamocene da qui." Ibushi si accovacciò accanto a lui, posandogli affettuosamente una mano sulla spalla. A quel tocco, Kinshiro scattò.

Ibushi si trovò riverso sulle macerie, schiacciato dalla possente aura oscura che ora si sprigionava dal corpo del demone.

"Li hai lasciati entrare apposta! Traditore!" tuonò, mentre le spire di tenebra si avvolgevano strettamente attorno alla gola di Ibushi, che si trovò a corto di aria per respirare. Tutt'attorno, si sollevò un vento così forte da sollevare macerie e calcinacci, facendoli vorticare attorno a Kinshiro. Nessuno dei proiettili, però, riuscì a colpire il bersaglio, perché si frantumavano immancabilmente contro l'aura nera che lo circondava.

"Basta!" Lottando contro vento e polvere, Akoya si frappose e riuscì a spingerlo via con violenza. Kinshiro rotolò da un lato ma si rialzò subito, scrutando i due compagni con occhi colmi di gelido odio. "Te l'ho detto, la barriera la mantenevo io, e sì, ci hanno trovati grazie a me, li ho invitati ad entrare e li ho anche condotti dal principe," ammise il demone, non senza una punta di orgoglio, mentre si chinava a sollevare Ibushi, che ancora tossiva convulsamente.

"Mi avete tradito... tutti e due!" la voce di Kinshiro era rotta. C'era una nota selvaggia, in essa, di dolore, quasi fosse un animale ferito ridotto in un vicolo cieco.

"Non abbiamo tradito te, Kinshiro," rispose Akoya, mentre tutt'attorno dai calcinacci sorgevano germogli di rovi.

Allora, Kinshiro rise, e nella sua risata riecheggiò la stessa ombra che lo avvolgeva. "Patetico!" I virgulti più vicini a lui avvizzirono non appena mosse una mano. "Credi di poterci combattere così? A chi credi di dovere questi poteri, Akoya?" Il demone sollevò davanti a sé la statuina di giada, pulsante di luce. Pulsò una, due volte, e poi il bagliore esplose ancora, gettando gli altri due a terra, senza fiato e senza forze.

Akoya aprì gli occhi dopo quelle che sembrarono ore; sollevare le palpebre gli richiese tutte le energie di cui disponeva. Sopra di lui torreggiava Kinshiro, o ciò che rimaneva di lui. Nell'oscurità imperante l'espressione del suo volto era illeggibile. La luce verde e pulsante tra le sue lunghe dita bianche era tutto ciò che il demone riusciva a mettere a fuoco.

"Visto che ormai non li usi più per lo scopo per cui te li ho donati, sono ben felice di riprendermeli indietro," echeggiò una voce che non somigliava più a quella che era stata di Kinshiro. "E poi, ho bisogno di magia fresca, visto che questo spirito inizia a consumarsi. Venite a me, entrambi," ordinò, imperiosa e suadente insieme.

Non c'era che la luce, ora, ed Akoya ne era irresistibilmente attratto. Non aveva la forza sufficiente per alzarsi e raggiungerla, ma si stava avvicinando lo stesso. Quando lo avvolse, però, si rese conto che bruciava. Cercò di gridare, di divincolarsi, ma non poteva muovere nemmeno un muscolo mentre la luce lo inghiottiva inesorabilmente. Dopodiché, fu solo il buio.

 

~~~

 

In mezzo alle macerie, ora, era rimasto unicamente il demone conosciuto come Kinshiro.

Non era solo, però: al petto stringeva la statuina di giada. Era leggermente piegato su se stesso, ed il suo volto era contratto in una smorfia di dolore. Era troppo potere tutto in una volta, pensò una parte di sé, ma venne prontamente soffocata. Non era mai stato così potente prima, si disse invece, inebriato, mentre la smorfia si trasformava in un sorriso.

Mosse una mano ed una massa di rovi neri eruttò ai suoi piedi. Aveva gli artigli per combattere, ora, ma il castello era distante, e i quattro fuggitivi avevano su di lui un netto vantaggio. Il sorriso divenne così ampio da scoprirgli i denti. Possedeva anche il potere del vento, adesso.

L'ombra che gli vorticava attorno si estese dietro di lui, coprendo le macerie biancastre alla luce delle stelle, ingigantendosi e schizzando ai lati, nella forma di due ampie ali.

Improvvisamente, il castello era molto più vicino.


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Note: un capitolo senza il principe En, che tristezza Ormai mancano davvero pochi capitoli alla fine! Grazie a Yuki per l'aiuto e a tutti voi che leggete questa storia~ spero di riuscire a postare gli utlimi aggiornamenti in tempi brevi!

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Capitolo 14
*** Il bacio del vero amore ***


Cap. XIV

Il bacio del vero amore

 

 

 

Il gelo gli mordeva la pelle con mille aghi, invisibile nel buio che tutt'attorno lo schiacciava.

Era strano, si disse Kinshiro, perché non pensava che fosse rimasto ancora qualcosa di lui da opprimere e spezzare. Credeva di essere stato ridotto al nulla, ma non era così. Zundar gli aveva risparmiato quel poco di vita che gli restava.

Riprese coscienza a poco a poco, realizzando quanto rimaneva di lui man mano che incontrava i suoi limiti. Sapeva di avere ancora un corpo, ma non si sorprese nell'accorgersi di non riuscire a comandare nemmeno un muscolo. Era debole, troppo debole.

Eppure il suo corpo era vivo più che mai, e si muoveva. Kinshiro poteva avvertire il vento tra i suoi capelli, ora, e vedere lampi di immagini di ciò che gli scorreva intorno. Erano fantasmi di sagome scure e di stelle, che passavano sotto e sopra di lui in un inseguirsi sfocato di fogliame nero e strisce luminose.

C'era un rumore che sovrastava quello del vento che gli fischiava nelle orecchie - una serie di tonfi attutiti e regolari, accompagnati da un risucchio d'aria. Kinshiro avrebbe voluto voltarsi per dare un senso a quella cacofonia di suoni ed immagini, ma i suoi occhi erano inesorabilmente puntati di fronte a lui, tesi all'orizzonte buio.

Lo sapevi.

Kinshiro avrebbe voluto tapparsi le orecchie ma, anche se avesse potuto, il suo gesto non avrebbe portato a niente. La voce gli risuonava direttamente nella testa ed aveva imparato che non vi era modo di sfuggirle.

Non potevi proteggere il ragazzo, né da me, né da te stesso. Mi hai intrattenuto a lungo con questi tuoi sciocchi tentativi, però, di questo devo darti atto.

Kinshiro lasciò che le parole lo attraversassero. Ognuna era un artiglio aguzzo che gli si incastrava nel petto, ma era abituato a quel dolore, ormai. Tutto il resto - la rabbia, il rancore, la gelosia - erano ora sentimenti distanti. Faceva fatica persino ad immaginare di averli mai provati.

Forse Zundar gli aveva sottratto anche quelli, dopo averglieli piantati nel cuore e averli fatti maturare. Ora di lui rimaneva solo un ammasso di magia tremante e debole.

Ricordi, vero?

Lo spirito ricordava. Era stato tanto tempo prima, ma la sua memoria di quel momento non era sbiadita. Era confusa, certo, esattamente come tutti gli altri ricordi legati alla lunga prigionia a cui l'aveva costretto il mago, confusa come le ombre che lo avevano circondato allora.

Ancora non avrebbe saputo dire quanto tempo aveva passato rinchiuso lì, sottoposto ai capricci dell'umano. L'unico ricordo nitido che gli rimaneva era quello dell'incontro con il demone, quando alle catene imposte dal mago si era aggiunto l'implacabile legame con Zundar.

Non aveva voluto niente di tutto ciò.

Non potrai più illuminare, ma solo generare tenebra. Non potrai più creare, solo distruggere. Non potrai più curare, solo uccidere.

La prima scelta che gli era stato consentito fare, dopo tanto tempo. Dentro di sé, aveva sempre saputo che per lui non ci sarebbe stato scampo comunque, ma almeno si sarebbe vendicato del mago. Si sarebbe vendicato di tutti gli inutili mortali che vedevano la magia solo come strumento per accumulare potere.

Ora, la parola vendetta non aveva nemmeno più un significato per Kinshiro.

Avrebbe dovuto capirlo molto tempo prima, quando si era accorto che le stelle, quando le guardava assieme a lui, tornavano a brillare come un tempo, come non le aveva viste splendere per anni. Ma se n'era reso conto troppo tardi.

Non faremo tardi, questa volta. Vedrai la fine di tutto.

Ancora una volta, tentò di muoversi, ma fu come fare il solletico a Zundar, che esplose in una risata.

Kinshiro avrebbe dato qualsiasi cosa per poter distogliere lo sguardo dalla sagoma del castello che andava man mano delineandosi all'orizzonte.

 

~~~

 

Atsushi si muoveva cautamente per i corridoi bui, camminando quasi in punta di piedi, come se un passo più pesante degli altri rischiasse di echeggiare tra le pareti silenziose e rompere il velo di sonno che ricopriva tutto e tutti.

Nonostante le rassicurazioni degli spiriti che lo guidavano nel dedalo di cortili e sale, Atsushi non riusciva a scuotersi di dosso l'impressione di non essere mai davvero uscito dall'incubo in cui l'aveva fatto precipitare Kinshiro il giorno prima.

Tutto - dai mobili lucidati, agli arazzi, agli arredi di ceramica e metallo, alle armature delle guardie, ai gioielli dei cortigiani - era spento, opaco. I contorni rilucevano appena lì dove si creavano pozze di luce pallida, dove le stelle ammiccavano dalle alte finestre delle sale.

I suoi occhi indugiarono appena sulle sagome delle guardie ripiegate su loro stesse alla base delle scale, che conducevano alla torre dove En dormiva. Il bagliore della luce magica di Yumoto fece scintillare le punte delle loro alabarde e le curve delle loro armature, ma non li riscosse dal sonno in cui erano sprofondati.

Mentre saliva, con il cuore in gola, il principe era grato per lo spessore e la durezza dei gradini sotto di lui, anche se ad ogni passo temeva che potessero cedere e dissolversi sotto le suole dei suoi stivali.

Sul pianerottolo, Ryuu accese alcune torce ed Atsushi gliene fu grato, almeno fino a che non mise piede nella stanza e non vide la piccola folla di cortigiani completamente addormentati e riversi chi su qualche sedia, chi sul pavimento.

"Non temere, dormono sonni tranquilli. Il peggio che può accadergli è un po' di mal di schiena al risveglio," Ryuu ammiccò, cercando di sdrammatizzare la situazione e di strappare un sorriso al ragazzo, che si era chinato accanto alla sorella.

Atsushi non rispose, ma alzò gli occhi ad esplorare il resto della stanza. Non gli fu difficile trovare En, perché era l'unico dei presenti disteso sul grande letto.

Gli si avvicinò e piano si sedette sul bordo del materasso. Gli spiriti, che si erano a loro volta sistemati vicino ad En, gli fecero spazio.

Improvvisa, gli tornò alla memoria un'immagine di qualche anno prima: En addormentato nella grotta nel bosco, mentre fuori imperversava il temporale, vestito di abiti poveri, i capelli tutti arruffati. Atsushi si era chiesto come facesse a dormire così beatamente in mezzo ai sassi e nonostante i tuoni.

Ora, in quel silenzio, su quel materasso morbido, sotto quelle lenzuola leggere accuratamente rimboccate attorno a lui ed ai suoi abiti sfarzosi, En dormiva così profondamente che non si sarebbe risvegliato mai più.

Atsushi gli pettinò una ciocca di capelli dietro l'orecchio. Aveva indugiato un momento, prima di sfiorarlo, quasi temendo di incontrare pelle fredda sotto le dita, ma le sue guance erano tiepide

Il principe si guardò intorno, e lo sguardo cadde di nuovo su sua sorella.

"Non preoccuparti," Ryuu gli si accostò, credendo di indovinare i suoi pensieri. "Non penso che la principessa fosse ansiosa di fidanzarsi con lui."

"Lo so," Atsushi rispose senza pensare. "Quando mi ha confessato di averlo conosciuto e che le aveva scritto tutte quelle lettere, mi ha anche detto che sospettava che per lui non si trattasse che di un gioco, e che in fondo non era felice di legarsi a qualcuno che aveva incontrato una volta soltanto, senza nemmeno essere così certa della sua identità. Ma io non ho nemmeno provato a starla a sentire."

Era stato sordo alle sue parole, aveva sentito solo ciò che aveva voluto, che lei ed En si erano conosciuti a sua insaputa. Non aveva dato importanza ai sentimenti di sua sorella. Se solo avesse messo a tacere il suo rancore, se solo fosse stato in grado di vedere oltre ciò che gli era sembrato una verità assoluta, forse ora le cose sarebbero state diverse.

"Avrei dovuto ascoltarla e parlarle di En. Avrei dovuto ascoltare En. Avremmo potuto uscirne, assieme, prima che succedesse tutto questo." Si voltò verso l'altro ragazzo, sfiorandogli di nuovo il volto con le dita. "Mi dispiace così tanto, Enny."

Si chinò su di lui. Il viso dell'altro era completamente privo di espressione, ma così tranquillo che Atsushi si chiese, non per la prima volta, se forse non avrebbe preferito continuare a dormire, se non l'avrebbe disturbato svegliandolo.

Aveva baciato così tante volte quella bocca, che sarebbe dovuta essere per lui la cosa più naturale del mondo, pensò, avvicinandoglisi lentamente. Eppure non era così.

Le sue labbra erano secche, quando le premette contro quelle immobili di En. Rimase fermo così per qualche istante e poi si staccò, gli occhi fissi sul ragazzo sotto di lui, ben consapevole che anche i tre spiriti, lì accanto, avevano l'attenzione rivolta al principe.

Il tempo passò, ma l'unica cosa a muoversi furono i riflessi della luce delle torce sul guanciale e sul volto del giovane.

"È inutile," Atsushi esalò a quel punto, "mi dispiace." En preferiva dormire che non svegliarsi ad un suo bacio. Il ragazzo chinò il capo, sconfitto.

"Sciocchezze!" Ryuu gli volò davanti, i pugni sui fianchi. "En ha solo il sonno pesante. E poi, che cos'era quello? Un bacio del vero amore? Per carità, altezza, non ditemi che non sapete fare di meglio! Guardate!" Afferrò il polso di Io e lo attirò a sé, passandogli disinvoltamente una mano dietro la schiena e legandolo in un bacio che lasciò allo spirito della terra ben poca aria per respirare.

Atsushi sbatté le palpebre. Certo Ryuu metteva molta energia in quella dimostrazione, pensò, vedendo Io riemergere rosso in volto ed allibito. Allora, Ryuu gli passò le braccia intorno al collo e lo baciò ancora una volta, teneramente. Il principe si ritrovò, suo malgrado, con un piccolo sorriso sulle labbra.

"Provate di nuovo, altezza. En vi sta ancora aspettando." Yumoto lo spinse gentilmente un po' in avanti, verso l'altro.

Atsushi tornò a guardare En. Era davvero così? Erano passati mesi dall'ultima volta che lo aveva abbracciato, dall'ultima volta che si erano parlati e che erano stati assieme. Non desiderava altro che vederlo riaprire gli occhi e sorridere, o sbadigliare, o anche arrabbiarsi con lui - qualsiasi cosa, purché si risvegliasse, pensò prendendogli la testa inerte tra le mani e sollevandogliela appena.

Allora, con la coda dell'occhio scorse un movimento - qualcosa era scivolato alla base del collo di En, lì dove il colletto della tunica lasciava intravedere un triangolo di pelle. Atsushi lo riadagiò sul cuscino e infilò un dito sotto la stoffa, ripescando la catenella che aveva intravisto.

In fondo, ora appoggiato al palmo della mano di Atsushi, c'era il ciondolo blu a forma di cuore.

Il principe strinse il pugno, lottando contro l'improvviso bruciore che sentiva pizzicargli i lati degli occhi. En lo stava aspettando davvero, ma Atsushi aveva dubitato di se stesso, ed aveva dubitato anche di lui.

Premette la fronte contro quella del principe addormentato. "Scusami, Enny. Ti prego, svegliati," sussurrò sulle sue labbra, e poi lo baciò.

Lo baciò con dolcezza, all'inizio, quasi a non voler disturbare il suo sonno, e poi con passione, perché aveva desiderato farlo per mesi ed ancora non si capacitava di come avesse potuto voltargli le spalle e lasciarlo solo nel bosco il giorno prima. Lo baciò per scoprire che il suo sapore era sempre lo stesso, che se anche non era più il ragazzo della foresta ed indossava abiti lussuosi, il profumo della sua pelle non era cambiato.

Lo baciò per quella che sembrò un'eternità, finché non lo sentì sussultare sotto di lui.

Nel socchiudere gli occhi, notò una strana aura verdastra avvolgere En. Colto alla sprovvista, si tirò indietro, mentre la luce si condensava sopra il petto del principe, formando un sottile ago luminoso, simile a quello che aveva visto comparire davanti a lui poco prima, nella villa di Kinshiro.

L'ago tremò per qualche istante appena e poi si dissolse.

"La maledizione..." le parole di Atsushi gli morirono in gola, come vide En ammiccare e portarsi una mano al volto.

"En!" Le quattro voci si sovrapposero, concitate, ma i tre spiriti lasciarono che fosse Atsushi a chinarsi su di lui per stringerlo a sé. Con la lentezza tipica di qualcuno ancora addormentato, En gli circondò le spalle, ricambiando l'abbraccio.

Atsushi allentò la stretta per allontanarsi un poco da lui e prendergli di nuovo il viso tra le mani: En aveva aperto gli occhi e lo stava guardando.

"Atsushi." Allora, un sorriso identico si dipinse sulle labbra di entrambi i ragazzi. "Stavo sognando che saresti arrivato," mormorò En piano, facendo scorrere le nocche delle dita lungo lo zigomo e la guancia del principe chino su di lui.

"Lo so." Atsushi piegò appena la testa di lato, per andare incontro alla carezza.

En si accigliò leggermente, affondando le dita nei suoi capelli scuri. Lo guardò negli occhi, cercando di metterli a fuoco nella penombra della stanza. "Atsushi, mi dispiace per quello che è successo ieri. Non intendevo..."

"Sssh," il principe gli premette un dito sulle labbra. "So tutto, Enny. E poi, è stata colpa mia."

Ma En, sotto di lui, stava scuotendo la testa. "No, avrei dovuto intuire che c'era qualcosa che non quadrava, avrei-"

Il rumore di qualcuno che si schiariva la voce accanto a loro li fece voltare all'unisono. I tre spiriti li stavano guardando, con sorrisi che stentavano a reprimere.

"Hai visto? Come promesso, gli ho spiegato tutto non appena ci siamo incontrati," disse Ryuu con malcelato orgoglio.

En si mise a sedere, ancora un po' intontito. Solo allora si rese conto dello strano affollamento nella stanza in cui si trovavano e del fatto che fosse notte fonda. Si stropicciò gli occhi un paio di volte, cercando di dare un senso a quello che vedeva, e tentando di riconnetterlo in qualche modo alle ultime immagini che ricordava prima di cadere addormentato.

"Immagino di essere in ritardo per la cerimonia, non è così?" dedusse alla fine, scuotendo lentamente la testa.

Attorno a lui, gli spiriti ed Atsushi ridacchiarono. Cercarono di raccontargli il più in fretta possibile quanto era accaduto da quando lo avevano trovato incosciente sul pavimento, solo poche ore prima.

"Abbiamo fermato i demoni, almeno per il momento, ma dubito che Kinshiro si riterrà soddisfatto dopo che gli siamo sfuggiti così, da sotto il naso," ragionò Ryuu, circondando le spalle di Io con in braccio e stringendolo a sé, orgoglioso per come aveva risolto la situazione.

"Non è Kinshiro," si intromise allora Atsushi, "è quella cosa che si porta appresso. Avete sentito anche voi il racconto di Ibushi! Il vero demone lo sta manovrando, è lui che dobbiamo sconfiggere."

I tre spiriti si guardarono l'un l'altro. Ciò era chiaro, ma certo non era semplice pensare a come riuscirci.

"Il legame magico che avevo con Akoya è sparito," aggiunse quindi Io. Non aveva idea del perché, naturalmente, ma, qualsiasi fosse la causa, non era una buona notizia. "Non posso dire se siano rimasti dove li abbiamo lasciati o se si siano già messi in movimento." In ogni caso, il tempo stringeva.

"Credo che al momento la cosa più saggia da fare sia cercare di mettere tutti voi al riparo, mentre noi pensiamo ad un piano per fermarli prima che possano attaccare il castello," spiegò quindi ai due principi. "Qui ci sono troppe persone, se decidessero di-!" Lo spirito si prese la testa tra le mani, come colto da un'improvvisa fitta di dolore.

Ryuu si voltò verso di lui, allarmato, ma prima che potesse dire o fare qualsiasi cosa furono tutti congelati sul posto da un rumore sordo e ritmico, che si avvicinava ad ogni battito.

"Sono già qui." Io boccheggiò, raddrizzandosi.

Atsushi gli lanciò uno sguardo atterrito, ma i tre spiriti si erano già messi in movimento.

"Dobbiamo andarcene da questa torre," insisté Io. En si era allacciato la cintura con la spada in vita, ma Ryuu scosse la testa rigorosamente.

"Non pensare nemmeno per un attimo di venire là fuori ad affrontarli. Voi due rifugiatevi da qualche parte, ai demoni ci penseremo noi!"

En non rispose, ma prese per mano Atsushi e si lasciò condurre giù dalle scale assieme a lui.

Le sale del castello erano silenziose ed addormentate, esattamente come prima. Lo strano rumore pulsante sembrava essere svanito, ma tutti loro sapevano bene di non esserselo immaginato.

Cautamente, Yumoto si avvicinò ad una delle finestre che davano sull'ampio giardino interno. Era vuoto, o così sembrava, con i vialetti di ghiaia appena visibili nel tenue bagliore della notte stellata. Per un attimo, però, la luce sembrò venire meno; lo spirito alzò gli occhi in tempo per scorgere un'ombra oscurare la volta celeste e sparire subito dopo, oltre i tetti del castello.

Si ritrasse dalla finestra, congelato, ma prima che potesse riferire agli altri che cosa credeva di aver visto, notò un movimento nel giardino - o meglio, notò il giardino muoversi. Gli altri seguirono il suo sguardo ed osservarono con orrore i cespugli ed i fiori nelle aiuole ingrossarsi e muoversi, serpeggiando lungo i vialetti. Prima che avessero il tempo di realizzare quanto stava accadendo, i profili scuri dei rami avevano ricoperto la finestra di una ragnatela spinosa.

"Via di qui!" En li spinse oltre, correndo lungo il corridoio. Dietro di loro, si udì il rumore di vetri infranti.

Giunsero ad una porta che dava su uno dei cortili interni, la spalancarono e si gettarono fuori. La notte era tiepida e tranquilla, ma vennero improvvisamente investiti da una folata d'aria, accompagnata da una risata che fece loro gelare il sangue nelle vene.

Si voltarono ed alzarono gli occhi, cercando di mettere a fuoco ciò che stavano vedendo. Un'enorme sagoma nera si era appena posata sui tetti alle loro spalle. Le sue ali erano larghe e traslucide, dai contorni butterati ed aguzzi, e gli occhi erano due punte di luce gelida, inesorabilmente fissi su di loro.

"È... È un drago?" fece En in un sussurro concitato ed incredulo.

Una seconda, ben più famigliare sagoma scivolò giù dal dorso della creatura. I suo contorni scuri si confondevano con la notte, facendola sembrare sottile e minuscola accanto al mostro che aveva cavalcato.

"Ammetti la tua sconfitta, Kinshiro! La maledizione è spezzata, hai perso!" dichiarò Ryuu, avanzando di un passo.

"Sconfitta? Ho ancora tutto da vincere, invece, piccolo spirito." Per un attimo, nell'udire quella voce gutturale che nulla aveva in comune con quella del demone che ben conoscevano, gli spiriti ed Atsushi furono colti alla sprovvista.

"Che cos'hai fatto a Kinshiro?" Atsushi gridò allora, in un misto di disperazione e rabbia.

"Oh, il tuo amico è qui con me, non lo vedi?" Il demone fece un piccolo inchino. "Anche se ancora per poco, in effetti, visto che ha quasi esaurito il suo potere. Non temere, però, lo terrò con me per un ultimo saluto a voi, altezza, prima che ve ne andiate entrambi," fece con voce gelida e melliflua insieme.

"Ed Akoya ed Ibushi? Dove sono!?" si fece avanti allora Yumoto, a pugni serrati. Lo spirito ricordava bene l'aiuto ricevuto da loro, e sapeva con altrettanta certezza che la loro insubordinazione non poteva essere stata perdonata.

"Fanno quello che hanno sempre fatto, naturalmente; mi servono come possono." Kinshiro - Zundar, anzi, si strinse nelle spalle. "Certo, visto che ultimamente sono stati un po' indisciplinati, ho dovuto trovare un altro modo per impiegarli. Ma se vi interessa tanto della loro sorte, sarà mia premura fare sì che li incontriate presto," li rassicurò, mostrando loro i denti in quello che doveva essere un sorriso, ma sembrava piuttosto un ringhio.

"Questo è ancora da vedere," replicò Io, tirando fuori la bacchetta e puntandola contro il demone. La luce dorata che ne scaturì andò a formare una barriera di fronte a loro, mentre lo spirito gesticolava freneticamente agli altri di correre verso una delle uscite del cortile.

Zundar sembrava divertito. Le ombre attorno a lui tremarono alla sua risata, mentre puntava contro Io un indice candido ed appuntito. "Suoni così sicuro delle tue parole, piccolo spirito, ma ne hai davvero ragione?"

Io alzò il mento per replicare ma, l'attimo dopo, si ritrovò piegato in due a premersi le mani sulle tempie. Davanti a lui, la barriera dorata tremò e si dissolse.

"Io!" Ryuu corse al suo fianco, facendo eruttare una cascata di fuoco dalla sua bacchetta nella direzione del demone. Bastò un movimento della mano di Zundar per spegnere le fiamme, questa volta.

"Lo vedete, da soli siete imbelli, i vostri poteri non possono nulla." Zundar suonava soddisfatto. Nella sua voce c'era la stessa cupidigia di un affamato sul punto di assaporare un pasto succulento.

Gli occhi del drago brillarono ed il lampo verde investì tutto il cortile. En si ritrovò Yumoto tra le braccia, un peso morto, mentre poco più avanti Io e Ryuu erano crollati a terra, stretti l'uno a l'altro.

"Sicuramente darebbero frutti migliori se ad usarli fosse qualcuno di più potente, come me," dichiarò Zundar, mentre gli occhi del drago pulsavano ancora, pronti ad esplodere di nuovo.

Istintivamente, En strinse a sé Yumoto e si girò su se stesso, per fargli scudo con il proprio corpo dal nuovo lampo di luce che illuminò la notte. "Non puoi averli!" urlò al demone. Accanto a lui, però, Atsushi soffocò un grido di orrore.

"Enny! Sono spariti!"

Il principe si voltò. Sull'acciottolato del cortile, ora, non vi era più alcuna traccia di Io e Ryuu. Tra le sue braccia, Yumoto si mosse debolmente.

"Scappate, En," lo implorò in un sussurro.

"Non ti lascerò a lui," gli rispose il principe, ma proprio in quel momento si ritrovò avvolto dalle tenebre e spinto di lato da una forza incontrastabile. Perse la presa sullo spirito e si ritrovò a rotolare sul selciato, lontano da Yumoto.

"Io prendo ciò che voglio." Zundar avanzava verso di loro a grandi passi, preceduto da ombre striscianti che si allacciarono attorno ai polsi ed alle caviglie dello spirito. Questo tentò debolmente di muoversi, ma non aveva le energie per fuggire. "Lui è mio, ora," decretò. Come alzò la mano, la luce verde deflagrò di nuovo, lasciando il vuoto là dove Yumoto era disteso.

"Yumoto..." En stentava a rialzarsi in piedi, gli occhi fissi nel punto in cui lo spirito era sparito. Non era rimasto nulla di lui, così come non era restato niente di Ryuu e di Io. Non era rimasto niente della sua piccola famiglia.

Congelato sul posto, vide Zundar avanzare verso Atsushi. Le ombre che gli turbinavano attorno nascondevano il suo volto ma, dall'espressione atterrita del ragazzo che arretrava davanti a lui, non era difficile immaginare le sue intenzioni.

"Vedi, Kinshiro? Ora ho abbastanza potere per lasciarti sparire, non è un sollievo?"

Atsushi tentò di scappare, ma i tentacoli d'ombra furono più veloci e lo raggiunsero, facendolo inciampare e rovinare malamente al suolo.

"Ti avevo promesso un ultimo saluto al tuo amico umano, però, e non me ne sono affatto dimenticato," proseguì Zundar con tono magnanimo. A terra, Atsushi si dibatteva disperatamente, ma le ombre non lo lasciavano andare. Il demone mosse appena le dita della mano e i tentacoli oscuri si arricciarono sulla gola del principe. Atsushi emise un grido strozzato, cercando di strapparseli di dosso, ma le sue dita afferravano solo ombre.

"Per una creatura magica non ha senso prendersi così a cuore un mortale, capisci? Gli umani sono fragili, si rompono troppo facilmente," considerò, chiudendo le dita. Ai suoi piedi, Atsushi si portò le mani al collo, tentando inutilmente di respirare. Il demone sorrise e strinse il pugno, ed il ragazzo si contorse sul selciato, alla disperata ricerca di aria.

"Lascialo! Lascialo andare!" La spada di En impattò contro lo scudo di tenebre. Non lo scalfì nemmeno, ma il demone abbandonò la presa su Atsushi per concentrarsi sull'altro principe.

"Perché non te ne torni a dormire?" fu la gelida risposta. "Non sei niente senza i tuoi amici spiriti, non sei mai stato niente se non un'inutile pedina."

"Così inutile che ti sei accanito sulle mie tracce per ben diciotto anni?" La lama della spada brillava, ora, e quando colpì nuovamente l'ombra attorno a Zundar si dissolse. Il demone, irritato, si voltò a fronteggiarlo. Un gesto del braccio, e tra le due dita comparve l'elsa di una spada, la cui lama era così scura che avrebbe potuto essere stata forgiata nell'ossidiana.

"Non sei niente se non il titolo nobiliare che ti porti dietro," fece freddamente, parando con annoiata facilità il successivo colpo di En.

"Perché hai scelto me per la tua maledizione, allora?" insisté il principe, continuando a tirare fendenti contro il demone.

Zundar gli tenne testa senza sforzo. "Sei un bersaglio troppo facile e succulento, principe," gli spiegò, vagamente divertito. "Quale preda migliore del primo ed unico figlio dei sovrani di un grande regno per scatenare panico e disperazione, e per accontentare parte della nostra sete di vendetta contro voi mortali?"

Il demone, ora, era passato all'attacco, ed En faticava a parare i suoi colpi. Ad ogni impatto, l'elsa dell'arma era sempre più instabile tra le sue mani.

"Voi umani non siete degni della magia che vi circonda, non fate che usarla per il vostro tornaconto personale. È stupido, da parte di quegli spiriti, soggiogarsi così al vostro volere. A che cosa ti hanno portato tutte le loro benedizioni? E questa spada, poi?" Un colpo di sbieco, e l'arma volò da qualche parte sul selciato dietro al ragazzo. Il demone sorrise, soddisfatto. "Non è che un giocattolo nelle mani di un inutile mortale."

En arretrò, tentando di fuggire, ma le ombre gli immobilizzarono le caviglie, facendolo crollare in ginocchio davanti al demone.

"Ora, principe, mettiamo fine a questa caccia, che è durata anche troppo a lungo," decretò Zundar, alzando la sua spada nera, e facendola calare inesorabilmente addosso al giovane.

En alzò le braccia in un vano tentativo di difesa ma, invece del dolore tranciante della lama sulla sua pelle, arrivò il rumore dell'impatto di metallo contro metallo. Sopra di lui splendeva di nuovo la lama magica, ed a stringerla era Atsushi.

Zundar sbuffò. "Cosa speri di ottenere mettendoti in mezzo in questo modo? Ormai l'hai capito, non sono Kinshiro, non puoi indurmi a pietà."

"Lo so bene," rispose il principe, la presa ben salda sull'elsa della spada. "Non sono qui ad invocare pietà, infatti."

Fulmineo, si girò per affondare la lama nei tentacoli d'ombra che tenevano ancora prigioniero En e tranciarli. Prima che l'arma del demone potesse abbattersi su di loro, En aveva spinto via Atsushi, rotolando con lui di lato, lontano dal punto in cui la spada nera si abbatté sul selciato. Insieme, si rialzarono e corsero via, cercando di guadagnare una delle porte del cortile.

"Che cosa sperate di fare?" chiese il demone, dirigendosi con calma verso di loro. "Pensate forse di riuscire a sfuggirmi? Siete rimasti voi due da soli, nel bel mezzo di un castello immobile, due stolti umani che a malapena sanno tenere in mano una spada."

Sopra di loro, si udì nuovamente il battito d'ali - un unico, poderoso colpo, ed il drago atterrò sul tetto di fronte a loro, scendendo lungo il muro come un'enorme lucertola fatta d'ombra.

 

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L'ultima cosa che aveva visto, dopo il volto di En, era stata l'esplosione di luce verde. Poi, solo buio. Quando riaprì gli occhi, Yumoto fece fatica a riabituarsi alla luce. Era ancora circondato da quel bagliore verdastro, ma era tenue, ora, e proveniva da tutt'intorno a lui.

Al suo fianco erano inginocchiati Ryuu ed Io. Il secondo si teneva ancora la testa tra le mani, mentre il primo si stava guardando attorno freneticamente, cercando di capire che cosa fosse successo.

Da quel che potevano vedere, si trovavano all'interno di una minuscola caverna. Le pareti lustre scintillavano, rifrangendo la luce verde che proveniva da un globo pulsante, che fluttuava di fronte a loro. Guardarlo direttamente era difficile, e sia Ryuu che Yumoto dovettero abbassare gli occhi, abbagliati.

"Siamo all'interno di quella statuina...?" si chiese lo spirito della luce, cercando di dare un senso a quello che stava vedendo.

Contro il bagliore pulsante del globo si stagliavano due ombre. Ora che i loro occhi si erano abituati alla bizzarra luminosità della stanza, riuscivano anche a distinguerne le sagome.

"Akoya e Ibushi...?" Ryuu si strofinò gli occhi, spostandosi di lato per non averli controluce.

Entrambi i demoni erano sospesi a mezz'aria. Un raggio di luce verde, pulsante all'unisono con il nucleo da cui si sprigionava, li avvolgeva e li manteneva eretti, nonostante fosse chiaro che entrambi erano incoscienti.

Non era tanto l'abbandono dei loro corpi a lasciare Ryuu incredulo, quanto il fatto che, nell'alone verde che li imprigionava, le loro membra apparissero diafane, quasi inconsistenti, tanto che vi si poteva vedere attraverso. Se fissava Akoya, gli sembrava che i suoi lunghi capelli rosati fossero in realtà un delicato agglomerato di petali, e se si voltava verso Ibushi, invece, gli pareva di vedere un turbinio di vento racchiuso nei lineamenti del suo volto.

"Sta risucchiando il loro potere!" Yumoto cercò di avvicinarsi a loro ma, come si mosse, un raggio di luce saettò verso di lui. Lo spirito saltò di lato per evitarlo, ma il riverbero che esplose accecò tutti e tre gli spiriti.

"Cercherà di intrappolare anche noi," avvertì Ryuu, ponendosi di fronte a Io, che stava pian piano rimettendosi in piedi.

"Ma dobbiamo assolutamente liberarli!" insisté Yumoto. "Senza la loro magia, il demone sarà più debole. Possiamo ancora dare una possibilità ad En e al principe!"

Il nucleo di luce si contrasse improvvisamente, come una bestia che si raccoglie per balzare sulla preda. Gli spiriti lo osservarono con orrore: stava per esplodere di nuovo ed intrappolarli per sempre, ed allora non avrebbero avuto più alcuna speranza, né loro, né i principi...

"Non un'altra volta." Io si era alzato in piedi. A pugni serrati, osservava il cuore pulsante con aria di sfida. "Dietro di me!" ordinò agli altri due, che obbedirono giusto un istante prima che la luce deflagrasse. Tuttavia, non li investì: vennero avvolti in un'ombra scura, che si rivelò essere uno scudo di luce dorata evocato da Io.

"Posso tenergli testa," affermò lo spirito della terra a denti serrati. "Dovete sbrigarvi a liberarli."

Ryuu stava per ribattere, ma l'espressione sul viso di Io dava ad intendere che non avrebbe accettato di essere messo in discussione.

I due spiriti allora si affrettarono a raggiungere i prigionieri. Avvolti della propria magia, lottarono per dissipare il bagliore che racchiudeva Akoya ed Ibushi come un bozzolo, almeno quel tanto che consentisse loro di stringere la vita o le spalle degli altri due per tirarli fuori.

Il nucleo pulsò ancora, ma la magia di Io intervenne in tempo per proteggere se stesso e gli altri dalla luce che tentava di intrappolarli.

Quando Yumoto riuscì a passare un braccio attorno alle spalle di Ibushi, lo spirito prigioniero non dette segno di accorgersene. Nonostante Yumoto avvertisse il suo peso e la consistenza del suo corpo nella propria stretta, c'era qualcosa di terribilmente sbagliato - era come abbracciare un turbine di vento, e sembrava che la resistenza della pelle di Ibushi sotto le sue mani potesse venir meno da un momento all'altro.

"Si sta impadronendo della loro stessa essenza!" gridò a Ryuu, che di fronte a lui era riuscito ad allacciare le braccia attorno alla vita di Akoya.

Lo spirito del fuoco annuì. Per quanto cercasse di mantenere salda la presa su Akoya, era come stringere a sé un mucchio di foglie, sul punto di disfarsi ad ogni momento.

Lentamente, il suo fuoco e la luce dorata di Yumoto guadagnavano terreno, respingendo il bagliore che stentava, però, ad abbandonare la presa sulle sue vittime. Ad ogni centimetro liberato, i corpi di Akoya ed Ibushi riacquistavano consistenza nelle braccia dei due spiriti, ma la luce verde nel nucleo si agitava sempre più convulsamente, moltiplicando i tentativi di renderli prigionieri.

Nonostante i continui lampi, però, la magia di Io resisteva ancora. Lo spirito era in ginocchio, adesso, il volto contratto per lo sforzo e per la determinazione. Lasciare gli altri senza difesa significava consegnarli al demone, ed i due umani con loro, e questo non poteva permetterlo. Tuttavia, ad ogni istante che passava, gli risultava sempre più faticoso mantenere lo scudo magico che aveva creato. Se solo Ryuu e Yumoto fossero riusciti a liberare gli altri più velocemente...

 

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Il drago avanzava con calma, dondolando sinuosamente sulle tozze zampe. Gli artigli scricchiolavano sul selciato di pietra, e gli occhi luminosi erano fissi sui due principi. Ora che gli era arrivato vicino, era chiaro ai due ragazzi come tutto il suo corpo fosse un ammasso compatto di rovi e sterpi annodati assieme. Le spine affioravano sui suoi fianchi e sulla sua schiena, creando una cresta irregolare, e si solidificavano sulle zampe, formando i lunghi artigli con cui mordeva il selciato avanzando.

Zundar osservava la scena in silenzio; il suo viso un pallido ovale biancastro nelle ombre del cortile, attraversato di sbieco da un sorriso divertito.

Nè la bestia, né il demone sembravano aver fretta di finire i due umani. Del resto, era solo una questione di tempo prima che i ragazzi restassero privi di una via di fuga.

Questa consapevolezza si stava facendo strada anche in En ed Atsushi. Entrambi senza fiato, non facevano che correre in giro per il cortile, ma ogni tentativo di uscirne era vano. Il drago gli stava appresso, anticipando le loro mosse e tagliando loro ogni via di fuga, una dopo l'altra. Non era veloce, ma la sua imponente massa compensava la malagrazia dei movimenti. Una frustata della sua coda li avrebbe mandati a terra, ed un morso delle sue fauci avrebbe facilmente dilaniato le loro carni.

Ad un certo momento, forse stufo di giocare, il drago caricò. Nonostante l'andatura barcollante, era comunque troppo rapido per i due. En afferrò Atsushi per un braccio e fuggì, ma ad un tratto lo lasciò andare e scartò di lato. Il mostro, allora, impuntò gli artigli nel selciato ed aprì di scatto le ali per bloccare il suo stesso impeto e la fuga del principe.

Investito dal colpo d'aria, En vacillò ma riuscì a trasformare la sua caduta in impeto, alzando la spada di fronte a sé e conficcandola nell'ala del mostro. La lama si fece strada facilmente nella membrana sottile, squarciandola.

Il drago ruggì e si voltò di scatto verso En, spalancando quell'incubo di denti aguzzi che erano le sue fauci. Da qualche parte oltre la sua mole, Atsushi gridò il nome di En, ma la sola risposta del ragazzo fu un secco "scappa".

 

~~~

 

Le fiamme di Ryuu lottavano convulsamente contro la luce verde che era ancora agganciata ad Akoya, ma non c'era verso di riuscire a liberare l'altro spirito. La presa era troppo salda, pensò disperato, riaprendo gli occhi dopo l'ennesimo lampo.

Il demone li voleva per sé ed avrebbe vinto, se avesse continuato così. Lo spirito del fuoco aveva visto lo scudo di Io incrinarsi controluce, dopo l'ultimo colpo. Voltò gli occhi sul compagno, che era in ginocchio a terra, pallido ed esausto.

Non potevano lasciarsi catturare così, pensò Ryuu, stringendo a sé Akoya - ma sentiva che anche le sue forze iniziavano a cedere.

Proprio allora, la grotta tremò. Per la sorpresa, Ryuu fu quasi sul punto di lasciar andare Akoya e tapparsi le orecchie contro l'improvviso boato che aveva scosso tutto quanto. A tremare non fu solo la sua magia, però: per un attimo, anche il globo sembrò affievolirsi impercettibilmente.

"Forza!" gridò quindi, con rinnovata foga. Le sue fiamme si ravvivarono e il raggio che intrappolava Akoya si fece più sottile.

Nonostante l'impeto iniziale, però, la luce verde non si spezzava ancora, e Ryuu si ritrovò a combattere con tutte le proprie forze per mantenere il piccolo vantaggio appena conquistato. Eppure, poteva sentire che era sul punto di cedere. Se solo fosse riuscito ad ottenere un altro, minimo spiraglio, pensava disperatamente lo spirito - un solo momento di debolezza sarebbe stato sufficiente, si disse, pregando che ciò avvenisse.

 

~~~

 

Atsushi aveva corso fino a che non si era accorto che il drago, dietro di lui, si era voltato verso En. Giratosi, aveva visto scomparire il principe dietro la massa scura del mostro. Nonostante la preghiera dell'altro, gli ci volle qualche istante per decidere di muoversi di nuovo. Non poteva lasciarsi En alle spalle, non di nuovo, ma come aiutarlo? Forse, se fosse riuscito a rientrare nel palazzo, avrebbe trovato un'arma, o- come si voltò per correre verso la porta più vicina, le sue gambe si congelarono dal terrore.

Gli occhi scarlatti di Zundar erano fissi su di lui e le tenebre che costituivano il suo corpo erano così vicine, che il principe avvertì un'ondata di freddo penetrargli sotto i vestiti.

"Fine del gioco, ragazzo," disse sottovoce, con un sorriso, allungando sul suo viso quelle lunghe dita diafane che sembravano artigli, lasciando sulla pelle di Atsushi dei solchi ghiacciati. Nell'altra mano, il demone materializzò di nuovo la lama.

 

~~~

 

En stringeva la spada con tutta la forza che aveva, gli occhi fissi sulla bestia magica davanti a sé. Se cercava di catturare lui, significava che Atsushi aveva una possibilità in più di scappare, pensò preparandosi. Il drago si lanciò su di lui.

Deglutì e portò l'arma di fronte a sé. Voleva solo che Atsushi fuggisse, che almeno lui fosse al sicuro, che almeno lui si salvasse. Almeno lui, se anche i tre spiriti non ce l'avevano fatta. Nelle sue mani, l'elsa si scaldò e la lama pulsò di un tenue bagliore ambrato. Non era da solo contro il drago, pensò - anche se erano scomparsi, non l'avevano abbandonato, realizzò rafforzando la presa sull'arma, come per infondersi coraggio.

"Non sei che altro che un ammasso di rovi e sterpi!" gridò al mostro.

Sordo alla sua provocazione, il drago gli fu addosso. En fu sufficientemente veloce da scansare le sue fauci e gettarsi di lato, conficcando la lama della spada nella sua zampa anteriore destra. Il metallo, ora rosso ed incandescente, affondò facilmente nell'arto del mostro, bruciandolo e tranciando di netto due degli artigli.

La bestia ruggì di nuovo, fece per voltarsi indietro per azzannarlo, ma venne improvvisamente scossa da un brivido e rovinò a terra, dove giacque immobile.

 

~~~

 

Un secondo rombo, ed il nucleo di luce sussultò, contraendosi in quello che pareva uno spasmo di dolore.

"Ora!" ruggì Ryuu, tirando Akoya a sé e spingendo via con le sue fiamme l'odioso bagliore verde che si era fatto improvvisamente instabile.

Dall'altra parte, Yumoto fece lo stesso, e tutto ad un tratto la resistenza opposta dalla luce venne meno. Akoya si tramutò in un peso morto nelle braccia di Ryuu e Yumoto collassò sotto Ibushi. I loro corpi, ora, erano tornati ben solidi, ed i quattro spiriti ricaddero pesantemente al suolo.

Il globo pulsava ancora convulsamente, ma aveva perso luminosità, ed ora appariva ripiegato su se stesso, ferito.

"Sono stati i ragazzi!" esclamò Yumoto, trionfante, sollevando un Ibushi ancora privo di conoscenza tra le braccia. "Stanno ancora combattendo. Dobbiamo uscire di qui al più presto per andare ad aiutarli!"

"Non possiamo." Akoya si stava lentamente mettendo a sedere. Era pallido e provato, ma la sua chioma era tornata ad essere composta da lunghe ciocche di capelli, e non da inconsistenti petali di rosa. Si guardò attorno stancamente, prendendo atto di tutti gli spiriti presenti e del fatto che non era più legato al globo. Non sembrava, però, particolarmente sollevato alla novità. "Siamo intrappolati nella statuina, esattamente come Zundar."

"Dobbiamo trovare un modo, però," insisté Yumoto. Anche Ibushi, ora, si stava muovendo tra le sue braccia, e lo spirito lo aiutò a mettersi a sedere.

Come Akoya, non sembrò eccessivamente stupito della presenza dei tre spiriti. "Zundar non è riuscito ad abbandonare questa prigione per decenni," affermò semplicemente, scuotendo la testa, e sottintendendo che, se non vi era riuscito lui, le loro speranze erano pressoché inesistenti.

"Ma noi non possiamo rimanere qui!" ripeté ancora lo spirito della luce.

Ibushi gli sorrise. "Vi ringrazio di averci liberato. Purtroppo, non conosciamo alcun modo per uscire di qui," ammise, rassegnato. "A meno che qualcuno, da fuori, non ci tiri fuori..." Lo spirito, tuttavia, non riuscì a spiegare la sua ipotesi, perché l'attenzione di tutti venne improvvisamente spostata su Ryuu, che aveva appena lanciato un'esclamazione affranta.

Lo spirito del fuoco era chino su Io, che era riverso a terra, e lo stava scuotendo ripetutamente. "Io!" lo chiamava, dandogli dei colpetti sulle guance, cercando di farlo riavere, ma senza successo.

"Forse è solo esausto," propose Yumoto, avvicinandosi a sua volta, nella speranza di essere d'aiuto.

Alle loro spalle, il globo stava riacquistando luminosità.

 

~~~

 

La lama del demone si sollevò su Atsushi e rimase immobile, mentre nel cortile risuonava il ruggito di dolore del drago.

Davanti al ragazzo, le pupille scarlatte di Zundar si dilatarono per un attimo e poi si ridussero a due fessure. La spada cadde a terra con un rumore metallico, per poi dissolversi in una nuvola di fumo nero. Gli occhi del demone si spensero come braci diventate fredde, lasciando vuoto il viso pallido, e la sua intera figura tremò, mentre le tenebre che l'avvolgevano si dissolvevano come nebbia al sole.

Poi, Zundar collassò al suolo, di fronte allo sguardo incredulo di Atsushi. Quando il principe abbassò gli occhi, ai suoi piedi non giaceva più la creatura demoniaca avvolta dall'oscurità, ma quello che sembrava di nuovo, in tutto e per tutto, Kinshiro.

Il ragazzo fece un passo indietro. Quello era il momento giusto per correre via, lo sapeva, ma qualcosa lo trattenne sul posto. Se era davvero Kin quello steso a terra davanti a lui, non poteva certo lasciarlo lì come niente fosse.

"Atsushi!" In un attimo, En era al suo fianco e lo stava spingendo via.

Il principe, però, non si mosse, limitandosi a voltarsi per vedere il corpo del mostro accasciato più in là sul selciato, le grandi ali accartocciate a terra. Era immobile, come morto.

"L'hai ucciso?" chiese flebilmente, guardandolo come se si aspettasse di vederlo rialzarsi da un momento all'altro.

"Non lo so. Sembra fuori combattimento, comunque," En gli passò protettivamente un braccio attorno alla vita, tirandolo da parte rispetto al demone. "E lui?"

Atsushi scosse la testa, riportando l'attenzione sul corpo riverso a terra. "È caduto all'improvviso. Forse ha risentito del colpo che hai inflitto al drago, in qualche modo?" si chiese. Era combattuto tra la consapevolezza che il demone avrebbe potuto risvegliarsi in qualsiasi momento ed attaccarlo, e l'istinto di chinarsi accanto a quello che sembrava il suo amico, per aiutarlo.

Entrambi i ragazzi trattennero il respiro quando, ad un tratto, il demone si mosse ed iniziò ad aprire gli occhi.

Senza pensarci due volte, En gli puntò la spada alla gola, frapponendosi tra lui ed Atsushi. Il demone si sollevò piano, ma prese subito coscienza della lama che quasi gli sfiorava la pelle e si bloccò.

I suoi occhi, che avevano completamente perso il bagliore rossastro, vagarono intorno sconcertati, quasi come non si rendesse bene conto di che cosa stesse avvenendo o di che cosa fosse accaduto. Dopo qualche istante, sembrò mettere a fuoco le sagome dei due ragazzi in piedi sopra di lui.

"...Atsu?" chiese quindi, con voce incerta. Il principe soffocò un'esclamazione, all'udire il suo nome, e fece per muovere un passo in avanti, ma En glielo impedì.

"Non ti muovere, non fare scherzi," intimò quest'ultimo a Kinshio, severo. "Dove hai fatto sparire Io, Ryuu e Yumoto?"

Kinshiro si lasciò ricadere a terra, occhi sollevati al cielo. La pelle del suo viso era ancora pallida, ma non era più la maschera che era stata fino a qualche momento prima. Lentamente, alzò una mano e se la passò sul viso, pettinandosi in parte una ciocca di capelli. Le sue dita erano tornate affusolate; le muoveva piano, come se stentasse a credere di averne ritrovato l'uso.

"Dove sono?" En insisté, alzando la voce. "Riportali indietro!"

Finalmente, Kinshiro alzò lo sguardo su di lui. "Li ha presi Zundar. Li ha intrappolati dentro di sé. Non li posso riportare indietro."

"Ti ho visto mentre li facevi scomparire nel nulla!" lo accusò En. La sua voce tremava leggermente, ora. "Falli ritornare!"

"Enny." Atsushi gli strinse leggermente una spalla, cercando di richiamare la sua attenzione con voce morbida. "Non è stato lui. Non è più Zundar, non lo vedi?" gli chiese pacatamente. Poi, si inginocchiò a terra. Alzò una mano, esitò un momento e poi la abbassò di nuovo, senza staccare gli occhi da chi aveva davanti. "Non è così, Kin?"

 

~~~

 

Il tepore che lo avvolgeva era, da solo, un invito più che allettante. Non c'era unicamente quello, però; attorno a lui era tutto un rilucere di gemme ed oro, ed era come se il calore emanasse direttamente dalle pietre e dal metallo.

Poteva sentirne il tepore, ma non poteva toccare nulla - era buffo, pensò Io cercando di allungarsi ancora di più. Per quanto si sporgesse, però, quel tesoro brillante era sempre appena fuori la portata delle sue dita. Lo spirito era troppo estasiato da quel panorama per indispettirsi, però. Ovunque si girasse, c'era la promessa di ricchezze sconfinate, e tutto ciò che voleva era poterle afferrare e stringerle a sé.

Sono irresistibili, vero?

Lo erano, Io non poteva che darne atto. Se solo avesse potuto raggiungerle, avrebbero fatto la sua felicità per sempre.

Poi, lo vide. Era un cristallo verde chiaro, che spiccava sopra a tutti gli altri per la luce viva che emanava. Io venne attratto verso di esso come da una calamita.

Toccalo.

Io allungò una mano e sentì la liscia superficie del cristallo sotto le dita. Finalmente poteva accarezzare quelle ricchezze, finalmente erano sue.

L'euforia durò un momento appena. In un istante soltanto, l'aria si era trasformata da tiepida in bollente. In preda al dolore, Io avrebbe voluto allontanarsi, ma la sua mano era come incollata, fusa al cristallo. La luce verde che emanava lo aveva avvolto del tutto, accecandolo e bruciandolo. Voleva urlare, ma non aveva nemmeno la libertà di aprire la bocca e lasciar uscire la sua voce.

La luce si trasformò in tenebra, ed Io perse ogni cognizione di sé e del dolore che lo divorava.

 

~~~

 

La domanda di Atsushi lo sorprese. Rimase disteso sul selciato del cortile, cercando di dare un senso a quello che gli stava accadendo attorno. Aveva di nuovo il controllo del suo corpo, ora esausto e debole. Anche se a fatica, però, poteva nuovamente muoversi.

Si sentiva svuotato, come se di lui non fosse rimasto che una sorta di involucro fragile, realizzò quando Atsushi lo chiamò con il diminutivo che aveva sempre utilizzato per rivolgersi a lui in tutti quegli anni.

Era davvero chi Atsushi credeva di chiamare in quel momento? Meritava davvero quel nomignolo?

L'umano si era proteso verso di lui, incalzandolo per una risposta. "Quel demone, Zundar, se n'è andato...?"

Kinshiro chiuse gli occhi e si voltò dall'altra parte. Quelle parole lo sopraffacevano, la loro speranza e preoccupazione riecheggiavano dentro di lui, quasi stordendolo. Non le meritava.

Passarono diversi istanti prima che riuscisse a rispondere. Poteva avvertire la tensione crescere nell'umano che gli teneva la spada puntata addosso, ed Atsushi stesso tratteneva il fiato. Se non altro, qualcosa aveva imparato, si disse Kinshiro.

"Non mi controlla più, è vero," disse alla fine. Non era più nella sua testa, forse era per questo che si sentiva così vuoto e solo, pensò, ma non lo aveva completamente abbandonato. Lo sentiva ancora affondato nel suo petto, ben ancorato alla sua magia. Voleva spremerlo fino all'ultima goccia.

Nel frattempo, Atsushi aveva fatto abbassare ad En la lama della spada ed ora gli stava tendendo la mano per aiutarlo ad alzarsi. L'altro principe l'aveva lasciato fare, ma stava ancora guardando Kinshiro, in attesa di spiegazioni.

"Che cos'è successo al demone ed al drago? Non posso certo averli messi fuori combattimento con il colpo che gli ho sferrato," lo incalzò, come volesse fargli ammettere che si trattava di una trappola.

"Infatti, non sei stato tu." Kinshiro ignorò la mano che gli era stata tesa, mettendosi a sedere da solo, anche se a fatica. Gli girava la testa per la debolezza, ed a riprova che Zundar lo stava ancora consumando. Se aveva lasciato stare il suo corpo, però, poteva voler dire solo una cosa: che le sue nuove fonti di energia rischiavano di venirgli sottratte, e che non aveva intenzione di cederle. "Credo che quegli spiriti lo stiano mettendo in difficoltà."

Il Principe En si accovacciò accanto ad Atsushi, ora con una scintilla di interesse negli occhi.

"Sono vivi, allora! Dove sono?"

Kinshiro sospirò, chiudendo gli occhi per un attimo per tenere sotto controllo il lieve capogiro che l'aveva colto. La sola idea di spiegare a quell'umano tutto nel dettaglio gli faceva venire voglia di sprofondare di nuovo nelle tenebre. Così, si limitò ad alzare la mano ed indicò la massa scura del drago che giaceva alle loro spalle. "Sono lì dentro."

I due ragazzi si voltarono.

"E come li tiro fuori?" chiese En, osservando perplesso il mostro.

Kinshiro stava per rispondergli, secco, che non esisteva una cosa così semplice come "tirarli fuori", ma le parole gli morirono sulle labbra. Sotto i loro occhi, il drago stava cambiando.

Il suo corpo era ancora perfettamente immobile, era la sua pelle a mutare: da irta di spine, si stava rapidamente trasformando in squame lisce, che alla luce delle stelle emanavano freddi bagliori metallici. Nel perfetto silenzio della notte, i tre udirono chiaramente i suoi artigli raspare le pietre del selciato.

 

 

 

 

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Note: questo è stato il capitolo più difficile da scrivere, finora. Il prossimo lo sarà probabilmente altrettanto. Un grande ringraziamento va come sempre a Yuki che se li sciroppa tutti con molta pazienza XD

 

 

 

 

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Capitolo 15
*** Luce ***


Cap. XV

Luce




Gli artigli del drago si contrassero, scricchiolando sul selciato in modo da far accapponare la pelle ai due ragazzi.

"Si sta svegliando!" Atsushi si voltò verso Kinshiro, verificando la sua reazione e forse sperando che lo spirito avesse un'idea. Kinshiro, però, si era alzato in piedi e stava guardando intentamente il drago.

"Deve essersi impadronito del potere di uno degli spiriti ed ora lo sta usando come fonte di energia." Non c'era da stupirsi, pensò Kinshiro, se era improvvisamente in grado di muoversi. Era come se un peso fosse stato improvvisamente sollevato dal suo petto e dalle sue membra; la nuova fonte magica da cui si stava nutrendo Zundar era forte ed intonsa, certo non gli serviva più assorbire quel poco che era rimasto in lui. Tuttavia, questa era solo in minima parte una buona notizia.

En fissò il drago. La lunga coda si mosse, spazzando il terreno e frustando il muro, distruggendo alcune balle di fieno impilate nell'angolo. Quel mostro stava sfruttando uno degli spiriti per tornare a muoversi, ed En fece fatica a contenere il misto di rabbia e disperazione che provava all'idea che quella creatura stesse loro facendo del male. Tuttavia, un momento simile non si sarebbe ripetuto. "Via di qui," fece.

In quella, il mostro voltò lentamente la testa verso di loro. Le pupille si restrinsero nel vederli, due fessure di buio nel verde luminoso dei suoi occhi.

En afferrò Atsushi, spingendolo avanti verso la porta più vicina, ed Atsushi prese la mano di Kinshiro, trascinandoselo dietro. Quando il drago raggiunse la porta oltre la quale erano spariti, la artigliò in un rabbioso gesto di frustrazione.

 

~~~
 

"Io!"

Avevano dovuto allontanare Ryuu con la forza, per impedirgli di toccare il bagliore verde che adesso avvolgeva lo spirito della terra.

Io fluttuava a mezz'aria, esattamente nella stessa posizione in cui Akoya ed Ibushi erano stati trattenuti fino a poco prima. Ora, però, la luce era più intensa, ed ogni tentativo di Ryuu di ricacciarla indietro era risultato vano. Lo spirito del fuoco era fuori di sé.

"Perché non lo lascia andare?!"

"È più forte, ora," provò a spiegare Ibushi, "prima vi siete trovati ad affrontare solo parte di Zundar, perché era occupato anche a controllare Kinshiro. Ora è tutto qui, di fronte a noi."

Ryuu avvampò, cercando di slanciarsi contro il nucleo, che splendeva più luminoso che mai. Akoya riuscì ad afferrarlo in tempo, soffocando un'esclamazione di dolore al contatto con il corpo incandescente dello spirito, ma senza lasciarlo andare.

"Non farai che autodistruggerti ad attaccarlo così!" gli sibilò.

Lascialo venire, Akoya, se questo è il suo desiderio! La sua magia non andrà certo persa.

La voce rimbombò nella caverna, lasciando tutti senza fiato.

"Restituiscimi Io!" ruggì Ryuu, dibattendosi nella presa di Akoya.

Oh, ma è stato lui a venire da me, a rispondere al mio invito di sua spontanea volontà. Forse il tuo Io non è davvero quello che conoscevi.

Akoya poteva sentire la rabbia pulsare nello spirito del fuoco, e fu solo a stento che riuscì a trascinarlo con sé dietro all'improvvisato scudo magico eretto da Ibushi contro la luce di Zundar.

"Non smetterà finché non ci avrà tutti," commentò amaramente lo spirito del vento.

"Ci sono ancora En ed Atsushi, lì fuori... e Kinshiro!" Yumoto guardò gli altri con aria speranzosa, ma lui stesso sapeva che contare sui due umani e sull'altro spirito, indeboliti e spaventati come dovevano essere, non poteva essere sufficiente.

"Dobbiamo distruggerlo!" Ryuu era in fiamme, ed Akoya era stato costretto a lasciarlo andare. "Riprenderci Io, e distruggerlo."

"Non puoi farlo da solo," gli ricordò Akoya allora, ed Ibushi annuì.

"Aiutatelo voi, io posso pensare al resto," disse lo spirito del vento, con un sorriso tranquillo. Gli altri tre si scambiarono uno sguardo e circondarono Io con rinnovata energia.

 

~~~

 

I colpi del drago rimbombavano nell'edificio, coprendo il rumore dei loro passi affrettati lungo il corridoio di pietra. Era solo una questione di tempo prima che riuscisse a sfondare la porta, ed il muro con essa, e ad intrufolarsi dentro.

Senza fiato, i tre arrivarono ad un'altra uscita. C'erano due guardie ai suoi lati, entrambe addormentate. En spalancò la porta: di fronte, ora, avevano una parete di rovi, compatta ed apparentemente impenetrabile. L'elsa della spada pulsò nella sua mano, suggerendogli con impazienza di tranciarli e scavarsi una via di fuga in mezzo alle spine.

Il ragazzo, per un attimo, considerò la possibilità di affrontare quei rovi, di aprirsi un varco in mezzo a quei rami appuntiti fino ad arrivare alle mura del castello. Avrebbero potuto proseguire le loro corsa oltre quelle mura, oltre la città lì attorno, per tuffarsi di nuovo nella foresta. Poi, però, si ricordò di Yumoto, Ryuu ed Io, intrappolati da quel mostro, di Gora e Wombat, addormentati da qualche parte nel castello, dei suoi genitori, e della famiglia di Atsushi, nonché di tutte le persone che, inconsapevoli, sarebbero rimaste alla mercé del drago.

"Dobbiamo trovare un modo per distruggerlo," disse Atsushi alle sue spalle.

En annuì, a corto di fiato dopo la lunga fuga. "Idee?" chiese, voltandosi verso Kinshiro. "Tanto per cominciare, che cos'è esattamente quell'essere?"

Lo spirito si era liberato della stretta di Atsushi sul suo polso e li guardava con aria indecifrabile. "È un drago creato da Zundar e sostenuto dal potere di qualsiasi spirito riesca a controllare. La sua forza e la sua forma dipendono dalla quantità e dalla qualità della magia di cui riesce ad impadronirsi."

En non batté ciglio. "Quindi se riuscisse ad impadronirsi della magia di tutti e tre gli spiriti, sarebbe la fine."

Kinshiro annuì.

"D'accordo." En si pettinò indietro i capelli, ancora cercando di riprendere fiato dopo la corsa. "Allora, come lo mettiamo fuori combattimento?"

Lo spirito lo guardò con occhi vuoti. "È un mostro creato dalla magia. Un semplice umano non può sperare di affrontarlo e vincerlo, soprattutto considerata la tua discutibile abilità nel maneggiare la spada," rispose quindi, asciutto.

En sbuffò. "Eppure, prima sono riuscito a colpirlo con questa."

Kinshiro osservò l'arma che l'umano esibiva, senza dimostrare particolare apprezzamento. "Per quanto magica sia, non può sopperire interamente alla tua inettitudine come spadaccino."

"Sicuramente tu sarai in grado di tenergli testa senza problemi, allora, visto che non sei un inutile umano," En gli ritorse contro.

L'espressione di Kinshiro si indurì. "Non posso affrontarlo da solo," ammise quindi. "Mi ha indebolito troppo."

Atsushi lanciò allo spirito un'occhiata colma di preoccupazione. "Non c'è nessun altro che possa fermare il drago oltre a noi, ora. Se non facciamo niente, distruggerà questo castello."

Kinshiro annuì. "E poi vi darà la caccia."

Per un attimo, tutti e tre rimasero in silenzio.

Atsushi continuava a guardare di sottecchi Kinshiro, ma stentava a trovare il coraggio di rivolgersi a lui. Lo spirito, tuttavia, parlò da sé.

"Non posso affrontarlo da solo, ma farò la mia parte."

"Come facciamo a sapere che hai davvero intenzione di combatterlo?" chiese En, chiaramente diffidente.

"Enny!" lo apostrofò allora Atsushi, severo. "Non è più controllato dal demone, non hai motivo di-"

"Fino a qualche momento fa, stava minacciando di ucciderci entrambi, Atsushi."

"Il demone ha catturato i miei amici, proprio come ha fatto con i tuoi. È mio dovere tentare di salvarli." Il tono di Kinshiro era asciutto, ma parlava guardando En diritto negli occhi, come a sfidarlo a mettere nuovamente in dubbio la sua effettiva volontà.

Il principe sostenne il suo sguardo per un momento ancora e poi, apparentemente convinto, annuì. "Per la seconda volta, quindi, come lo mettiamo fuori combattimento?"

Kinshiro sospirò. "L'unico modo di sconfiggerlo davvero sarebbe distruggere Zundar, e cioè distruggere la statuina in cui è imprigionato..." Inconsciamente, si portò una mano al petto ed alla tasca dove era solito tenerla. Tuttavia, era vuota. "Si trova al posto del suo cuore."

En guardò la sua spada. Poteva sentire la voce di Yumoto ripetergli le parole che aveva pronunciato quando gliel'avevano consegnata, solo pochi giorni prima. L'abbiamo forgiata con l'acciaio, il fuoco e la luce. In essa c'è un pizzico della magia di ognuno di noi. Non ti tradirà.

Era vero che era un pessimo spadaccino, ma era anche vero che si fidava degli spiriti. Doveva fidarsi di loro, perché era l'unico modo in cui avrebbe potuto salvarli.

"Questa lama può ferire il drago, l'ha già fatto. Dovrai distrarlo, così che io lo possa prendere alle spalle e trafiggerlo." Il principe guardò dritto negli occhi Kinshiro, che ne sostenne lo sguardo per alcuni lunghi istanti. Nonostante il viso fosse una maschera di calma impassibile, era chiaro che lo spirito fosse combattuto. Alla fine, quando parlò, lo fece abbassando appena il capo.

"Zundar non mi ha ancora lasciato del tutto libero, e non mi ha restituito la mia magia. Non sarò che una ridicola minaccia ai suoi occhi."

"Fa' solo in modo che li tenga puntati su di te," dichiarò En sbrigativamente, tornando indietro per il corridoio. I colpi si udivano ancora, ma non sembravano più provenire dalla porta che gli avevano chiuso in faccia. Stava tentando di entrare nell'ala principale del castello, quella dove era riunita tutta la corte. En accelerò il passo.

Atsushi si incamminò dietro di lui, ma dopo pochi passi si voltò verso Kinshiro. Non aveva un piano migliore da suggerire, perché erano completamente soli contro quel mostro e non c'era altra soluzione che affrontarlo prima che fosse troppo tardi. Tuttavia, avrebbe voluto avere a disposizione qualche attimo di più con l'amico appena ritrovato.

"Kin..."

Lo spirito lo fissò, senza dire nulla. Nella penombra del corridoio, i suoi occhi verdi rilucevano appena, ma era una gradazione diversa da quella dello sguardo del drago, un chiarore più caldo, quasi solo un riflesso delle sue iridi alla luce delle stelle.

Atsushi abbassò il capo. Non sapeva che cosa dire. Forse, Kinshiro lo odiava davvero, dopotutto. Forse non avrebbe mai potuto essere amico di un essere umano. "Sta' attento."

Lo spirito abbassò il viso a sua volta, ed i suoi occhi sparirono nell'ombra. Atsushi aspettò un paio di secondi, ascoltando En allontanarsi lungo il corridoio. Alla fine, si voltò e corse a raggiungerlo.

Kinshiro lo seguì in silenzio con lo sguardo. Non appena l'eco dei loro passi fu sparito in lontananza, si avviò nella loro stessa direzione. Non sapeva quanto tempo avrebbero impiegato i due umani ad arrivare alle spalle del drago, ma doveva sperare che fossero veloci.

Trovò il mostro ancora confinato nel cortile. La porta da cui erano usciti i principi e gli spiriti all'inizio era divelta, ed il drago stava prendendo a spallate il muro circostante, demolendolo poco a poco. Non appena Kinshiro mise piede nel cortile, però, si fermò per voltarsi verso di lui.

Già di ritorno? Troppa nostalgia? Il muso del drago era inespressivo, ma Kinshiro poteva distinguere il tono canzonatorio nella voce del demone. O è il momento della tua redenzione?

"Sono qui per liberare i miei compagni." La voce dello spirito era priva di espressione. Non si sarebbe lasciato provocare da Zundar. Il demone aveva avuto gioco facile con lui ed i suoi sentimenti, fin troppo, ma non gliel'avrebbe permesso di nuovo. Inoltre, anche se ora non era più nella sua testa, ogni sua reazione avrebbe potuto tradire le sue vere intenzioni.

Generoso, da parte tua. Come lo è coprire la fuga del tuo caro principe.

Kinshiro non rispose. La brezza notturna gli scompigliò i capelli, nascondendogli il volto. Tra le sue mani si materializzò un arco. Era nero, fatto d'ombra, ma non importava. Per lo scopo a cui serviva, sarebbe andato bene comunque.

Un potere che ti ho donato io... Pensi davvero che potrà funzionare contro di me?

Il vento cessò, e lo spirito alzò gli occhi verso di lui. Sapeva perfettamente che non avrebbe funzionato, ma questo non l'avrebbe fermato dallo scoccare la prima freccia. Il dardo di tenebra saettò fendendo l'aria del cortile. Il drago gli si scagliò contro, e la freccia si infranse contro le scaglie metalliche della bestia, frantumandosi.

Nel momento in cui si ruppe, la notte divenne ancora più nera, e le tenebre si fecero così spesse che anche il selciato svanì alla vista.

Che trucchetto inutile.

Silenzioso e veloce, Kinshiro si spostò, avvertendo lo spostamento d'aria causato dalla mole del drago lanciata contro l'edificio prima del boato dell'impatto. Poteva essere poco più che un mero trucco, ma gli consentiva di guadagnare tempo. Accecato dalle tenebre ed incapace di volare, non era che un'enorme bestia intrappolata tra le mura del cortile e Kinshiro era una preda molto difficile da catturare.

 

~~~

 

Non importava quanto potessero impegnarsi i tre spiriti; anche unendo le forze, non riuscivano a far arretrare l'involucro di luce che imprigionava Io a sufficienza per liberarlo. Anzi, più la luce regrediva, più il raggio che lo legava al nucleo si ispessiva.

Qualcosa stava cambiando, ora, nello spirito della terra. Ryuu, che era riuscito ad afferrargli una spalla, se ne accorse a causa dell'improvvisa consistenza granulosa di ciò che sentiva sotto le sue mani - il corpo di Io non sembrava più composto da carne e pelle, ma da sabbia. Sollevò una mano e abbassò gli occhi; a stento soffocò un grido d'orrore: le sue dita erano ricoperte da polvere d'oro.

"No!" Zundar aveva intenzione di assorbire tutto il suo potere, di prosciugarlo completamente, ma Ryuu non glielo avrebbe permesso.

"Ryuu!" Akoya si accorse troppo tardi di quello che stava succedendo, e quando allungò una mano per afferrarlo, l'altro era già fuori dalla sua presa.

Completamente circondato dalle sue fiamme, lo spirito si lanciò in avanti con rabbia ed impeto. "Non puoi averlo!" gridò, rivolto a Zundar, cercando di frapporsi tra la luce verde ed Io. Per un breve attimo, la forza del fuoco sembrò intaccare il raggio, facendolo tremare.

Poi, inevitabilmente, la lama di luce riuscì a fendere le fiamme, colpendo Ryuu. Lo spirito del fuoco, però, non si diede per vinto. Sentiva la voracità di Zundar, il suo disperato bisogno di energia penetrargli in corpo, raspando nel suo petto alla ricerca di un appiglio. Lo avrebbe trovato, prima o poi, ma Ryuu voleva tagliare Io fuori da quel legame a qualsiasi costo, prima che fosse troppo tardi. Strinse le mani a pungo, sentendo la fine sabbia d'oro scivolargli tra le dita, ed attaccò il raggio di luce con tutte le energie di cui disponeva.

 

~~~

 

I due principi indugiarono, prima di spalancare la porta ed uscire di nuovo nel cortile. En guardò Atsushi per l'ennesima volta.

"Sicuro?"

Il ragazzo annuì. Aveva recuperato una spada ed uno scudo da una delle guardie.

"Del semplice metallo non servirà contro il drago."

Atsushi sollevò un sopracciglio, severo. "So comunque tenere in mano la spada meglio di te."

En sospirò. "Vero."

Non dissero altro e, piano, aprirono la porta. Fuori, ad accoglierli, trovarono una compatta barriera di oscurità. Nemmeno le stelle erano più visibili, oltre la cortina di tenebre magiche. Tuttavia, sentivano il drago muoversi i fronte a loro nel cortile.

Accecata, la bestia artigliava rabbiosamente il selciato, frustandolo con la coda. Udirne i movimenti era semplice, ma riuscire ad avvicinarsi ad essa nel buio, senza far rumore, non lo era affatto. Alla fine, En si risolse a muoversi, sospingendo appena Atsushi.

Cautamente, si avvicinarono al drago. La spada di En emanava un bagliore fioco, mostrando i ciottoli sotto i loro stivali e, più avanti, il tenue riflesso metallico delle squame del drago che, nella luce calda della lama, erano dorate.

Atsushi ed En si sfiorarono le mani. Pochi passi, e sarebbero giunti all'altezza della spalla destra del drago. Tentare di colpirlo direttamente era troppo rischioso - non che il piano che avevano improvvisato non lo fosse, ma non avevano avuto tempo né idee per elaborarne uno migliore.

En scattò in avanti, guidato dalla luce della spada. Presto, il drago avrebbe notato il bagliore, ma non prima che En fosse riuscito ad affondare la sua lama nell'articolazione della zampa, rendendogliela inutilizzabile.

Incandescente, la spada affondò tra le squame e nella carne sottostante. Il mostro ruggì di rabbia e dolore, voltandosi indietro - ma sul cortile erano ricadute le tenebre. Tuttavia, ora udiva il rumore di passi e metallo dietro di sé.

Portando sotto di sé la zampa ferita, il drago inarcò il collo, girandosi solo quel tanto che bastava da spalancare le fauci verso il buio alle sue spalle. Nelle tenebre, improvvisamente si fece strada un bagliore aranciato, riflessi pulsanti che delineavano la sagoma dei denti della creatura, poi tutta la sua testa ed il terreno sottostante, crescendo fino ad esplodere in una fiammata che diede fuoco alla notte. Le fiamme si infransero sullo scudo dietro cui si era rifugiato Atsushi.

En trattenne a fatica un grido di frustrazione per l'imprevedibilità del drago e per l'inaspettato pericolo a cui era esposto l'altro principe. Avevano sperato che si sarebbe voltato ad udire i rumori provocati da Atsushi, poggiando su un arto ferito ed esponendosi così alla spada di En. Non avevano immaginato, invece, che si sarebbe messo a sputare fiamme così all'improvviso. Inoltre, se era in grado di fare anche una cosa simile, significava che aveva intrappolato anche Ryuu.

Spada in mano, En fu sul mostro, tentando di conficcargli la lama nel petto. Da qualche parte, nelle tenebre che tornavano a regnare con l'esaurirsi del fuoco, Atsushi lanciò un grido di dolore. Si udì il clangore dello scudo cadere a terra.

Il drago vide En prima che potesse riuscire a ferirlo e lo colpì con una testata che mandò il ragazzo lungo disteso a terra qualche metro più in là.

Riverso sull'acciottolato del cortile, il principe tentò disperatamente di muoversi, ma nell'immediatezza del colpo ricevuto non riusciva nemmeno a distinguere l'alto dal basso. I polmoni non gli obbedivano - gli sembrava di respirare fiamme, invece dell'aria notturna.

Il drago, ora, avanzava verso di lui. Poteva sentire l'andatura claudicante con cui si avvicinava inesorabilmente. En tentò di mettersi carponi per scappare, ma il braccio su cui faceva forza cedette e lui si ritrovò nuovamente steso a terra, incapace di raddrizzarsi.

Patetico.

"Non sei forse più patetico tu, Zundar, a lasciarti ferire da un umano?"

En sfregò il viso contro il selciato per riuscire a voltarsi. Davanti ai suoi occhi, nel buio, danzavano piccoli puntini luminosi che gli offuscavano la vista - anche se non c'era nulla da vedere, nelle tenebre. Almeno fino a che alcuni dei puntini non si aggregarono assieme, dando forma ad una figura - no, c'era davvero un bagliore in mezzo a tutta quell'oscurità.

Il principe sbatté le palpebre, cercando di mettere a fuoco l'apparizione. Aveva capelli sottili e luminosi come raggi di luna, ed il suo viso emanava un chiarore tenue come quello delle stelle.

Camminava verso il drago con sicurezza, tra le mani stringeva qualcosa - un arco, il cui profilo curvo rifletteva una luce dalla provenienza sconosciuta. Lo sollevò e incoccò una freccia. Il dardo attraversò le tenebre come una stella cadente, infrangendosi sulle squame del drago,

Quanto all'essere patetico, mi batti, Kinshiro. Queste tue frecce non sono che fastidiose punture di zanzara, fu la risposta, mentre il mostro si grattava via un altro dardo precariamente conficcato nella sua spalla. Nonostante ciò, i colpi continuarono a piovere sul drago.

En tentò di mettersi a sedere. Ora che riusciva nuovamente a respirare, sembrava aver anche riguadagnato un minimo senso dell'equilibrio. Doveva trovare Atsushi, e doveva riuscire a trafiggere il mostro. Ma per prima cosa, doveva rialzarsi...

Una mano gli afferrò una spalla nell'oscurità. "Enny," sussurrò un'ombra nel buio.

Il ragazzo si aggrappò al braccio di Atsushi, lasciando che lo aiutasse a rimettersi in piedi. Per un breve attimo, si appoggiò a lui, cercando conforto nel ritrovarselo di nuovo accanto.

Con la coda dell'occhio, videro aprirsi di nuovo le fauci del drago e rivelare le fiamme vive al loro interno che si accumulavano, pronte ad esplodere. Prima che eruttassero, però, l'oscurità era calata ancora una volta, e Kinshiro era sparito dentro essa. I due principi, però, avevano visto abbastanza.

En sentì la mano di Atsushi stringersi attorno alla sua ancora chiusa sull'elsa della spada, ed annuì.

 

~~~

 

Tutto era luminoso, terribilmente luminoso. La luce gli feriva gli occhi anche attraverso le palpebre serrate e pungeva la sua pelle, avvolgendola in un calore insopportabile – eppure era una luce fredda. Il dolore era distante, come se il suo corpo fosse congelato, insensibile.

Fu quindi sorpreso quando, sotto le sue dita, Io percepì un tepore nuovo, gentile. Al margine del suo campo visivo pulsava una luce diversa, aranciata, a tratti rossa. Andava e veniva, danzando sotto i suoi polpastrelli, come il battito di un cuore.

Io...

Lo spirito si costrinse ad aprire gli occhi sulle fiamme che ora danzavano di fronte a lui. Erano di una bellezza soffusa ed insieme abbagliante, e si muovevano con grazia, lambendogli gentilmente le mani ed il viso. In qualche modo, il fuoco aveva oscurato la luce tagliente che lo aveva immobilizzato, schermandolo da essa.

Afferra la mia mano!

Io indugiò per un attimo. Le fiamme si inerpicarono sulla sua pelle fino ad accarezzargli i polsi. Lo spirito, allora, strinse le mani ed il fuoco acquistò consistenza, prendendo la forma di dita affusolate, allacciate alle sue.

...Ryuu?

Nelle fiamme, si delinearono i contorni dell'altro spirito. Attorno alle fattezze delicate del suo volto, ciocche di capelli rosso fuoco si agitavano, ardendo. Io sentì una stretta al petto che nulla aveva a che fare con la magia che lo aveva reso prigioniero, da cui si era lasciato imprigionare - con Zundar, che si era insinuato in lui fin dal momento in cui avevano varcato la barriera magica a protezione della villa.

Ryuu, mi dispiace. Non sono stato abbastanza forte. Era stato una preda troppo facile, e si era lasciato catturare. Sul volto di fronte a lui, scolpito nelle forme volatili delle fiamme, passò l'ombra di un sorriso.

Sei stato fortissimo, invece, come sempre. Il sorriso si dissolse ed il viso di Ryuu si fece serio, e devi continuare ad esserlo, perché non è ancora finita. Devi andare.

Io sbatté le palpebre, mentre il significato di quelle parole stentava a farsi strada nella sua mente.

...Ryuu! Le fiamme svicolarono tra le sue dita e Io cercò di trattenerle, ma si disfarono tra i suoi polpastrelli come sabbia, disperdendosi nell'aria. Di fronte a lui, il fuoco arse più forte.

 

~~~

 

Ancora impegnato a scrutare le tenebre alla ricerca di Kinshiro, il drago vide arrivare il colpo troppo tardi, quando la lama della spada tracciò un arco di luce prima di conficcarsi nel suo petto. Il drago si ritrasse, incespicando quando una delle due zampe cedette sotto il suo peso, impedendogli di muoversi. Con un ruggito di frustrazione e dolore, tentò di scrollarsi la spada di dosso prima che penetrasse in profondità.

"Più a fondo!" incitò En, e spinse. Atsushi, le mani sopra le sue, strette sull'elsa, premette a sua volta. Le squame del drago erano un'armatura poderosa, e solo a poco a poco la lama riusciva a farsi strada tra di esse.

Il drago alzò la zampa ancora sana per tentare di afferrarli e strapparseli via, calandola sui due giovani. Prima che riuscisse ad arpionarli, però, venne intercettato da una seconda lama. La sagoma di Kinshiro era tornata a splendere fiocamente, mentre lo spirito impegnava tutta la propria forza fisica nel mantenere impegnati gli artigli del mostro lontano dai principi.

"Ancora!" fece En, appoggiandosi con tutto il proprio peso contro l'elsa e le squame del drago. La spada affondò, ma qualcosa di duro impediva alla punta di scendere oltre. Con un gemito di frustrazione, moltiplicò gli sforzi, ignorando il dolore alle mani ed al petto. Atsushi, accanto a lui, aveva il fiato corto ed il corpo premuto contro il suo, teso nello sforzo comune. Dovevano affrettarsi, non avevano che pochi momenti a disposizione, prima che il drago riuscisse a liberarsi di Kinshiro e li attaccasse.

Infatti, accadde tutto nel giro di una manciata di attimi. La lama di Kinshiro era ancora impegnata tra gli artigli del mostro, ed il volto dello spirito era teso nello sforzo di tenergli testa. Tuttavia, per quanto zoppo, il drago non combatteva solo con gli arti anteriori. Inarcò il collo, gettando all'indietro la testa, ed ancora una volta il bagliore cupo del fuoco che gli si preparava in gola delineò il profilo aguzzo delle sue zanne.

Resosi conto del pericolo, Kinshiro si disimpegnò, ma il drago alzò gli artigli su di lui per inchiodarlo al suolo e liberarsene una volta per tutte.

Nel chiarore che emanava dallo spirito, Atsushi lo vide vacillare, sbilanciato dal proprio sforzo nel disimpegnate la spada, e vide i profili ricurvi ed aguzzi degli artigli ergersi sopra di lui. Vide il ginocchio di Kinshiro piegarsi a terra. Le sua mani abbandonarono la presa sulle dita di En e sull'elsa della spada e, un istante dopo, urtarono contro lo spirito, spingendolo via di forza.

Quando gli artigli del drago calarono, al posto di Kinshiro, trovarono Atsushi.

Quasi nello stesso momento, il cortile buio venne inondato da una cacofonia di suoni diversi: il gemito di dolore di Atsushi, coperto dal grido di En, entrambi sopraffatti dal rimbombo del ruggito del drago, che era a metà il gorgoglio delle fiamme che si addensavano nella sua gola, pronte ad essere eruttate, ed a metà un urlo di sofferenza.

En non si rese conto di quello che stava accadendo. Improvvisamente, la resistenza sotto la sua arma era svanita ed attorno a lui si sprigionava un calore intollerabile. La lama affondò sotto la sua spinta disperata - da qualche parte, il principe avvertì, più che udire, il rumore secco di qualcosa che si rompeva, trafitto dalla spada.

Negli attimi che seguirono, tutto divenne confuso. Il calore investì En come un'esplosione, rendendolo cieco e sordo. Tutto ciò che sentiva era la durezza dell'elsa tra le sue mani, con la sua magia che lo rassicurava e lo teneva saldo dov'era. Quando il calore si dissolse, En si rese conto di essere inginocchiato a terra e di stare stringendo la spada al petto. Era tiepida, ora.

Gli ci volle un momento per accorgersi che, adesso, poteva di nuovo vedere. Le tenebre magiche si erano dissolte, illuminando il cortile vuoto, eccetto che per quelli che sembravano minuscoli sbuffi di fumo, che andavano lentamente dissipandosi nella notte. Sull'acciottolato, davanti a lui, era rotolata una statuina verde, con una lunga crepa lungo un fianco. Un tenue bagliore ancora pulsava ad intermittenza regolare, illuminando lo squarcio dall'interno, ma En non la degnò di un secondo sguardo.

Gettata a terra la spada, si rialzò su gambe tremanti, voltandosi con il terrore negli occhi, fino a che non distinse due sagome sul selciato dietro di lui - una stesa a terra, e l'altra china su di lei.

Il groppo che gli impediva di respirare divenne solo più stretto mentre incespicava per correre accanto a loro.

"Atsushi!"

 

~~~

 

Era successo tutto troppo velocemente perché gli spiriti riuscissero a rendersi conto di che cosa stesse avvenendo.

Un momento prima, Akoya e Yumoto stavano lottando disperatamente per strappare Io alla presa di Zundar. Poi, il fuoco di Ryuu era sembrato tagliarli fuori dalla luce verde, ed Akoya si era ritrovato tra le braccia il peso morto dello spirito della terra. Nell'istante seguente, tutto era esploso - la luce ed il boato, assieme, li avevano privati dei sensi e lanciati a terra, in un intricato cumulo di braccia e gambe.

Ora, Yumoto, Akoya ed Ibushi, addossati gli uni agli altri, riaprirono gli occhi a stento. Attorno a loro regnavano le ombre, e si ritrovarono a chiedersi stancamente se l'esplosione non li avesse anche accecati. Tuttavia, potevano vedere il consueto bagliore dorato circondare Yumoto, inoltre, le pareti che li circondavano rilucevano ancora fiocamente del chiarore verdastro.

"È finita?" chiese sottovoce Akoya, guardandosi attorno dubbioso.

Tra le sue braccia, Io si mosse, riprendendo a poco a poco coscienza. Akoya si rese conto di stare ancora stringendolo a sé, le braccia allacciate attorno alla sua vita, come aveva fatto per riuscire a strapparlo alla morsa di Zundar, e lo lasciò andare, aiutandolo invece a rimettersi diritto.

Lo spirito della terra si guardò attorno con smarrimento, ma subito la sua attenzione venne catalizzata dalla figura che giaceva davanti a lui, la testa reclinata sulle sue ginocchia.

"Ryuu!"

Quando mosse una mano per scuoterlo, scoprì che le sue dita erano ancora allacciate a quelle dello spirito del fuoco. Si chinò in avanti, per accarezzargli una guancia e pettinargli alcune ciocche di capelli scompigliati via dagli occhi. La sua pelle era tiepida.

Io si chinò ancora di più - lentamente, perché la testa gli girava, e si sentiva sul punto di svenire da un momento all'altro - fino a che i suoi capelli non solleticarono il naso di Ryuu. Gli strinse la mano.

"Ryuu."

Lo spirito del fuoco arricciò il naso, strizzò gli occhi, e finalmente li riaprì, ritrovandosi a fissare, quasi meravigliato, il volto di Io sopra di lui.

"Ce l'abbiamo fatta?" chiese in un soffio, stupefatto. "L'ho ricacciato indietro?"

"La statuina si è rotta," confermò da qualche parte sopra di lui la voce di Akoya. "Qualcuno l'ha infranta."

Ryuu si corrucciò, ma prima che potesse replicare, sentì lo spirito dei fiori ammettere, "ma sei riuscito a liberare Io prima che ciò accadesse ...nonostante ti avessimo detto di non fare di testa tua."

Lo spirito del fuoco sorrise. Sopra di lui, Io si accigliò, ma anche lui stava sorridendo.

"La finirai mai di agire senza pensare?" lo rimproverò sottovoce.

"E tu perché non mi ringrazi, invece di sgridarmi?" replicò, abbandonandosi in grembo ad Io.

L'altro spirito scosse appena la testa ed appoggiò la fronte contro la sua, dopo avervi depositato un bacio leggero.

Nel frattempo, Yumoto ed Akoya si erano alzati ed avevano mosso qualche cauto passo verso il nucleo di luce - o meglio, verso ciò che ne rimaneva. Il bagliore lo animava ancora ad intermittenza, ma era debole, ferito.

"È ancora legato a Kinshiro. Finché lo sarà, Zundar rimarrà in questo mondo," spiegò Ibushi piano.

Yumoto annuì. I palmi delle sue mani splendevano di una luce dorata che andava velocemente aumentando di intensità.

"Liberiamolo, allora," disse semplicemente, ed Ibushi annuì.

 

~~~

 

"Atsushi!"

Il principe sbatté le palpebre. La prima cosa che vide, sopra di sé, fu la volta stellata del cielo. Era bello tornare a vedere le stelle, dopo tutto quel buio, pensò, spostando gli occhi sul volto di Kinshiro, chino sopra di lui. Fu quasi con stupore che lesse il dolore e la paura negli occhi dello spirito.

"Atsu..."

Il principe realizzò che gli stava stringendo una mano tra le sue.

"Non è niente, Kin, non preoccuparti," disse, ma la sua voce suonava stranamente diafana, debole.

Tentò di mettersi a sedere, ma senza successo. Allora, portò la mano libera a sfiorarsi il ventre, e qui incontrò stoffa bagnata e calda. Alzò le dita davanti agli occhi, scoprendole nere di sangue. Il respiro gli sfuggì in un rantolo di improvvisa, terrificante comprensione. Nel suo campo visivo tornarono le stelle, poi comparve il volto di En, con la disperazione che gli si leggeva in volto.

"Enny..."

En cadde in ginocchio accanto a lui. Non sapeva che cosa fare; l'intero fianco destro di Atsushi era una confusione di sangue, brandelli di stoffa e carne lacerata. Il selciato sotto di loro era scuro ed appiccicoso. In fretta, il principe si tolse la casacca, premendo la stoffa contro il ventre del ragazzo, solo per sentirla inzupparsi nel giro di qualche istante.

Gli occhi di Atsushi vagavano intorno, incerti, spaventati.

"Mi dispiace," sussurrò. Faceva evidentemente fatica a respirare, e la sua voce era poco più di un mormorio affannato.

En gli posò un dito sulle labbra, invitandolo a tacere. Gli tolse gli occhiali e carezzò i capelli con una mano tremante. Spostò lo sguardo su Kinshiro, ma lo spirito sembrava congelato sul posto, troppo sconvolto per reagire. Dovevano fare qualcosa immediatamente, o sarebbe stato troppo tardi.

"Serve qualcuno... Qualcuno che ci aiuti," boccheggiò En, realizzando, mentre parlava, che nessuno sarebbe venuto ad aiutarli. Erano soli in quel cortile buio, in quel castello ancora addormentato.

Atsushi tossì. Aveva chiuso gli occhi, ora.

"Ehi, Atsushi, rimani con me. Ehi..." lo implorò En sottovoce ma, quando lo sollevò per stringerlo a sé, la testa del principe ciondolò di lato, abbandonata.

"No..." En lo voltò verso di sé, ancora sperando di vederlo riaprire gli occhi, ma il viso di Atsushi sprofondò nella sua camicia, inerte. "Aiuto!" chiamò allora nel silenzio, "Yumoto! Qualcuno...!" I suo occhi tornarono su Kinshiro, sul chiarore che emanava dai fili argentati dei suoi capelli.

"Aiutalo," disse quindi con urgenza, tentando di risvegliare l'altro dalla trance in cui era caduto, ma Kinshiro si limitò a guardarlo senza capire. "Tu sei uno spirito della luce, non è così?" Le parole di Io, pronunciate solo la sera prima, si fecero strada a forza nella sua memoria. "Tutti gli spiriti della luce possiedono poteri curativi, tu lo puoi salvare!"

Kinshiro trattenne il respiro. "Io... Non posso. Non sono più uno spirito della luce, da tanto tempo." Le parole gli bruciavano in gola, man mano che venivano pronunciate.

Non potrai più illuminare, ma solo generare tenebra. Non potrai più creare, solo distruggere. Non potrai più curare, solo uccidere.

Zundar gli aveva portato via la luce, ed affondava ancora le radici nella sua anima. "Non posso," ripeté flebilmente.

En lo guardò con occhi increduli ed affranti, ma poi affondò il viso nei capelli di Atsushi, cullandolo piano con un gemito di sofferenza. Contro il suo petto, i respiri del ragazzo si facevano sempre più flebili.

Kinshiro lasciò andare la mano che stringeva, la osservò cadere a terra, come un peso morto, e sporcarsi di sangue.

Non potevi proteggere il ragazzo, né da me, né da te stesso.

Chiuse gli occhi. Doveva fare qualcosa - doveva almeno provare. Li riaprì; sopra di lui, le stelle splendevano con forza nella notte estiva. Nonostante il gelo che era calato sulle sue membra e sul suo cuore, poteva quasi sentire il calore dei loro raggi accarezzarlo. Poi, tutto ad un tratto, quel tepore sciolse qualcosa dentro di lui.

Si allungò verso i due principi, scostando con fermezza il braccio di En. "Poggialo a terra e tienilo fermo," gli ordinò. Senza replicare, En fece come gli era stato detto.

Lo spirito posò lentamente le mani sugli squarci che dilaniavano Atsushi, toccando appena la pelle e la carne lasciate esposte. Poteva sentire, ora, il battito sempre più debole del suo cuore, la vita che lo abbandonava velocemente - la stessa vita che Atsushi aveva sacrificato per salvare lui, quando avrebbe potuto lasciare che Zundar terminasse l'opera che aveva iniziato decenni prima.

Sentì una nuova ondata di calore riempirgli l'animo, scorrergli dal petto lungo le braccia e condensarsi nella punta delle sue dita. Chiuse gli occhi, consapevole della luce che lo stava avvolgendo, la sentì traboccare e scaturire dalle sue mani, propagandosi nel corpo lacerato di Atsushi, riscuotendolo.

Con il flusso di magia, arrivò anche il dolore, in fitte sempre più intense che gli toglievano il fiato. Più espandeva il suo potere, più la sofferenza minacciava di squarciargli il petto. Sotto le sue dita, però, sentiva le ferite del ragazzo ricomporsi, il sangue asciugarsi, il respiro tornare a farsi forte.

Atsushi rinvenne con un grido di sofferenza, tentando inutilmente di liberarsi dalla presa di En, che lo tenne fermo, sussurrandogli parole di incoraggiamento e stringendolo saldamente a sé.

La magia continuò a scorrere, e Kinshiro avvertì degli sprazzi di pace in mezzo alle fitte di dolore. Poi, tutto all'improvviso, la morsa sul suo petto svanì completamente. Lo spirito lasciò che il suo potere confluisse nelle ferite del ragazzo fino a che non si richiusero, fino a che tutti e tre non si ritrovarono ansimanti ed esausti, semisdraiati sull'acciottolato del cortile.

En fu il primo a tirarsi su, per esplorare con trepidazione il fianco di Atsushi. Era ancora coperto di sangue, ma era secco, adesso, e sotto i brandelli di stoffa lacera c'era pelle intatta e sana. Quasi incredulo, sollevò gli occhi su Kinshiro.

Lo spirito era carponi di fronte a lui, gli occhi chiusi ed il volto contratto per la sorpresa, una mano stretta disperatamente sul petto. Prima che En potesse avvicinarglisi, davanti a lui si materializzò un ago di luce verde, una scintilla fioca e pulsante, che rimase sospesa a mezz'aria per qualche momento, regalando riflessi freddi al volto pallido dello spirito, e poi si dissolse. Nel silenzio del cortile, si udì distintamente il rumore secco di qualcosa che si spaccava a metà.

Kinshiro si ripiegò su se stesso, privo di forze, ma, prima che cadesse a terra, comparvero due braccia a sollevarlo. Inginocchiato accanto a lui, Ibushi lo distese a terra, lasciando che la testa di Kinshiro riposasse sulle sue gambe.

Allora, En si voltò, il cuore colmo di un'improvvisa speranza. Nemmeno il tempo di finire di girarsi, e si ritrovò avvolto dall'abbraccio di Yumoto, che si affrettò subito dopo a chinarsi su Atsushi, per accertarsi che stesse bene.

Oltre lo spirito della luce, En vide comparire Io e Ryuu, così esausti da riuscire a malapena a reggersi in piedi e sorretti entrambi da Akoya. Lo spirito dei fiori, però, li abbandonò ben presto per andare a raggiungere Kinshiro, ed i due crollarono a terra, stretti l'uno all'altro, e sorridenti.

Yumoto aveva a sua volta spostato la sua attenzione su Kinshiro.

"Zundar se n'è andato," gli stava dicendo Ibushi. "Scomparso."

Kinshiro annuì, probabilmente troppo stanco per parlare. Il suo viso era bianco, esattamente come il tenue bagliore che lo circondava. Yumoto, presagli delicatamente la testa tra le mani, lo avvolse nel suo bagliore dorato nel tentativo di restituirgli un po' di energia, ma dovette fermarsi dopo qualche momento, finendo con l'appoggiarsi pesantemente alla spalla di Ibushi lì accanto, anche lui troppo esausto per continuare ad usare la magia.

En spostò alcuni capelli dalla fronte sudata di Atsushi. Il ragazzo era pallido come non l'aveva mai visto, sporco di terra e sangue, ma era vivo. Alzò gli occhi su di lui, strofinando leggermente il capo contro le sue dita, ed in risposta En gli accarezzò una guancia. "Questo è il mio Atsushi," gli sussurrò sottovoce. Non era mai stato bello come in quel momento.

"Gli hai salvato la vita," disse quindi a Kinshiro. "Grazie."

Lo spirito scosse la testa, come a dire che qualsiasi ringraziamento era fuori luogo. Poi, però, sentì qualcosa sfiorargli le dita e si voltò. Steso a terra accanto a lui, Atsushi gli stava stringendo la mano, offrendogli un debole sorriso. Con le poche energie che gli rimanevano, Kinshiro lo ricambiò. Poi, entrambi sollevarono gli occhi. Oltre alle teste dei loro amici ed ai tetti neri del castello, potevano vedere il cielo con le sue stelle - ed anche queste, ora, sembravano sorridere.

 

~~~

 

Trovarono una camera da letto vuota e vi si trascinarono. Doveva essere stata riservata a qualcuno dei cortigiani più nobili, perché conteneva un ampio letto a baldacchino ed arredi lussuosi. Ai ragazzi, tuttavia, non sarebbe potuto importare di meno. Nella stanza da bagno adiacente, c'era una vasca con dell'acqua ormai fredda. La usarono così, perché chiedere a Ryuu di scaldarla, visto quanto esausto era apparso, sembrava una crudeltà.

En aiutò Atsushi a liberarsi dei vestiti insanguinati e sporchi e lo fece sedere su uno sgabello di legno accanto alla vasca. Con attenzione, prese una spugna ed iniziò a lavar via le croste di sangue raggrumato che ancora lo ricoprivano. Atsushi lo lasciò fare in silenzio, ad occhi semichiusi, rabbrividendo appena quando En gli passò la spugna sul petto e sullo stomaco per la prima volta.

Il più delicatamente possibile, En sciacquò via il sapone, scoprendo la pelle intatta dove, fino a poco prima, c'era stata una confusione di stoffa e sangue. L'unico segno che rimaneva, ora, erano delle chiazze di pelle un poco più chiara e liscia sotto il suo tocco delicato.

Gli tolse gli occhiali e, con pazienza, gli lavò e tamponò il viso ed i capelli, lasciando che le ciocche gli spiovessero gocciolanti sulla fronte, mentre provvedeva a cercargli un asciugamano e qualcosa da indossare a letto.

Quando venne il suo turno, invece, En si lasciò sprofondare nella vasca, incurante della temperatura dell'acqua. Anche i suoi vestiti erano luridi, intrisi di sudore e coperti di polvere e sangue. L'acqua fredda fu un sollievo per i graffi che gli ricoprivano braccia e gambe, oltre che per gli ematomi che si stavano formando un po' ovunque sul suo corpo. Non se ne curò più di tanto, comunque; forse Yumoto avrebbe potuto farli sparire, l'indomani.

Indossando la camicia da notte troppo corta che aveva trovato in uno dei cassetti, tornò verso il letto. Atsushi si era disteso voltandogli le spalle, girato verso la finestra. Fuori, a giudicare dalla scarsa luce che penetrava dagli spiragli delle tende, le stelle stavano svanendo; l'alba non era lontana.

En indugiò per un momento, prima di salire sul letto. Non voleva pensare a che cosa avrebbe portato il sorgere del sole, a quali altre prove l'avrebbero aspettato il giorno seguente.

A carponi, si fece strada tra le lenzuola verso Atsushi.

"Ehi," sussurrò piano, in tono forzatamente giocoso, "questo letto è anche più spazioso di quello che avevo nella torre. Non pensavo che anche andare a dormire potesse diventare faticoso."

L'altro, però, non rispose. En lo osservò per un attimo, apprensivo, finché non vide il profilo delle sue spalle venire scosso da un singhiozzo a stento represso. Allora, si chinò sopra di lui, scrutandone il viso contratto per il dolore.

"Atsushi," fece, allarmato, "che cosa c'è? Ti fa male? Devo chiamare-"

Ma il principe scosse la testa. "No," esalò a stento, "sto bene. Solo-" Non finì di parlare, perché un altro singhiozzo gli sfuggì dalle labbra, ed una prima lacrima gli rotolò lungo la guancia.

En lo scavalcò, distendendosi accanto a lui e circondandogli le spalle con un braccio per attrarlo a sé. Atsushi resistette per un attimo, ma poi nascose il viso nel suo petto.

"Mi dispiace," farfugliò in mezzo al pianto, "per quello che ti ho detto nel bosco, per non aver creduto..." Ancora una volta, i singhiozzi gli troncarono le parole in gola. En sentì la sottile stoffa della camicia impregnarsi delle sue lacrime. "Ho avuto paura."

Gli era piombato addosso tutto all'improvviso - il litigio con En, quanto aveva scoperto su Kinshiro, la prigionia nella villa, gli incantesimi malvagi a cui aveva assistito, il timore di non vedere En risvegliarsi, l'attimo di terrore nell'immaginare Kinshiro dilaniato sotto i suoi occhi, il dolore fisico delle ferite. La fronte premuta contro il petto di En e le dita che stringevano spasmodicamente un lembo della sua camicia da notte, Atsushi pianse, mentre le braccia dell'altro gli si stringevano attorno, ed il principe affondava il viso nei suoi capelli.

Nel giro di due giorni, En aveva rischiato di perderlo per due volte. Gli aveva detto cose orribili. Aveva visto sparire Yumoto, Io e Ryuu sotto i suoi occhi impotenti, aveva visto il drago ferire Atsushi, l'aveva stretto a sé morente. Lentamente, una lacrima gli scivolò lungo il naso, atterrando sulla testa di Atsushi,

"Dispiace a me," sussurrò, sentendo una punta di sale sulle labbra, "ero spaventato a morte." Poi, non riuscì a dire altro, lasciando che il nodo alla gola che lo accompagnava ormai da tempo si sciogliesse nel pianto.

Rimasero avvinghiati l'uno all'altro, finché non ebbero esaurito le lacrime ed il sonno non ebbe avuto la meglio sulla stanchezza e sull'emozione.

 

~~~

 

Atsushi si svegliò accaldato e dolorante. La stanza era ancora in penombra, ma dai raggi di luce che filtravano dalle pesanti tende alle finestre si intuiva come fuori fosse pieno giorno. Lentamente, si districò dal groviglio di braccia e gambe che aveva formato con En durante il sonno.

L'altro ragazzo si mosse appena, ancora profondamente addormentato. Messosi a sedere, gli occhi di Atsushi indugiarono per qualche attimo su di lui. Anche nella penombra della stanza, si potevano intuire le ombre scure dei graffi e dei lividi che gli costellavano braccia e gambe. Se non altro, non sembravano turbare il suo sonno, ed En non diede segno di accorgersi di nulla nemmeno quando Atsushi gli accarezzò lievemente una guancia.

Il modo in cui dormiva era così diverso, ora, da quando lo aveva trovato nella torre, solo poche ore prima, disteso rigidamente sul letto, immobile. Adesso, En dormiva scompostamente tra le lenzuola, braccia e gambe disposte a caso, ad indicare come fosse stato avvinghiato ad Atsushi fino ad un attimo prima, l'orlo della camicia da notte che gli arrivava sopra le ginocchia.

Aveva pensato così tante volte, nel corso dell'ultimo anno, a come gli sarebbe piaciuto potersi risvegliare una mattina accanto ad En, in un letto invece che su un prato, in mezzo alla foresta. Non avrebbe mai osato sperare che il suo desiderio si sarebbe realizzato, e sicuramente mai avrebbe potuto immaginare che si sarebbe realizzato in questo modo.

Si passò una mano sul viso, sugli occhi ancora carichi di sonno. Gli sembrava di essersi risvegliato da un incubo infinito, anche se la pesantezza che sentiva nelle membra era troppo reale. Tutto quel rincorrersi di immagini - Kinshiro, il labirinto, gli incantesimi degli spiriti, quel drago mostruoso - niente sembrava più reale, in quella stanza, su quel letto disfatto. Niente, tranne En accanto a lui.

En, in quel momento, era più reale di quanto non lo fosse mai stato, ed Atsushi, il sorriso sulle labbra, si chinò per baciarlo - piano, questa volta, per non svegliarlo.



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Note: come immaginavo, questo capitolo si è rivelato anche più difficile di quello precedente. Incredibilmente, però, siamo quasi alla fine, visto che il prossimo aggiornamento sarà l'epilogo!
Grazie come sempre a Yuki che beta tutti i capitoli a tempo record (sono io che ci metto troppo a scriverli) e a chi ha ancora la pazienza di seguire questa storia~

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Capitolo 16
*** Epilogo ***


Epilogo

 

 

En continuava a dormire in mezzo alle lenzuola disfate ed Atsushi non si era ancora arrischiato a tirare le tende, per il timore che la luce del giorno potesse svegliarlo. Egli stesso aveva indugiato a letto per un poco, godendosi la tranquillità ed il silenzio, poiché sapeva che non erano destinati a durare.

Poi, lentamente, si era alzato ed era andato, per prima cosa, alla ricerca dei suoi occhiali. A ripensarci, era un miracolo che non si fossero distrutti, con tutto quello che era successo. Se l'erano cavata con qualche ammaccatura qua e là - una stanghetta storta, una crepa nella lente. In un certo senso, era andata meglio a loro che a lui.

Arrivato di fronte ad uno specchio, si era fermato a guardare il suo riflesso. Era terribile. Aveva il viso cinereo come la camicia da notte che indossava, con ampie occhiaie scure. I capelli, ancora bagnati quando si era coricato, si erano asciugati prendendo le pieghe più strane, dando vita ad un insieme di ciocche che gli spiovevano ai lati del viso e gli si drizzavano sopra la testa, sfidando la forza di gravità e qualsiasi coerenza nella direzione. Appariva come si sentiva: esausto.

Fu allora che udì dei timidi, attutiti colpi al vetro di una delle finestre, e si riscosse. Incerto, si voltò, cercando di capire da dove provenisse il rumore, fino ad individuare una porta che, come scoprì aprendola, dava su un poggiolo.

Fuori, il sole era allo zenit e l'aria era densa e torrida. Da qualche parte nel giardino che si stendeva al di sotto, tubavano delle tortore. Non c'era più alcuna traccia del muro di rovi che aveva circondato il castello la notte prima, si vedevano solo piante rigogliose, cariche del verde dell'estate.

Di fronte a lui, sulla balaustra in pietra del poggiolo, sedevano Kinshiro, Ibushi ed Akoya, grandi come passerotti e con graziose ali semitrasparenti che spuntavano da dietro le loro schiene. Atsushi si passò nuovamente una mano sul viso. Tutti loro erano spiriti, certo, lo ricordava, ma doveva abituarsi a ritrovarseli davanti nelle loro normali dimensioni.

"Buongiorno," fece alla fine, ricordandosi solo in quel momento di essere tutto fuorché presentabile, e lisciandosi goffamente addosso il camicione in cui aveva dormito.

Kinshiro, che lo aveva osservato con aria timida fino a quel momento, gli volò davanti al naso, ispezionandolo con aria preoccupata.

"Come ti senti stamattina, Atsu? Hai riposato?"

Il ragazzo si pettinò i capelli con le dita, perfettamente consapevole dell'aspetto orribile che aveva.

"Sì, sto bene. Avrei dovuto rendermi presentabile prima di salutarvi, vogliate scusarmi."

Kinshiro scosse la testa, gli occhi bassi. "Non hai nulla di cui scusarti. Quel che importa è che tu-"

"Il principe ha davvero un aspetto orrendo, Kinshiro, non si può guardare," lo interruppe in quel momento Akoya, che stava osservando criticamente il ragazzo con un sopracciglio alzato. Ovviamente, dire che quel che vedeva non gli piaceva per niente sarebbe stato usare un eufemismo. "Lascia che gli diamo una sistemata."

Atsushi sbatté le palpebre, ma prima che potesse chiedere che cosa intendesse l'altro spirito, si ritrovò circondato da Akoya e da Ibushi. Istintivamente, chiuse gli occhi. Il tocco delle loro dita sul suo viso accaldato era fresco e, forse a sorpresa, rinvigorente. Gli pizzicò la pelle, sfiorandola con un'improvvisa brezza, e gli tirò i capelli, che, smossi dall'aria, gli ricaddero leggeri sulla fronte.

Quando aprì gli occhi, lo fece senza fatica. Di fronte a lui, Ibushi annuiva soddisfatto. Con uno schiocco delle dita, Akoya materializzò uno specchio e glielo porse. Il viso che salutò Atsushi quando vi si riflesse sembrava quello di una persona del tutto diversa; le occhiaie ed il pallore cinereo erano svaniti, lasciando spazio ad un colorito roseo, ed i suoi capelli splendevano come seta, incorniciandogli ordinatamente il volto.

"Dovremo fare qualcosa anche per il resto," commentò Akoya, ancora non del tutto appagato, studiando l'umano ed il suo abbigliamento con occhio critico.

"Non dovete preoccuparvi," si affrettò a dire Atsushi, "posso pensarci io. Avete già fatto abbastanza."

"Scherzi? Hai bisogno di un abito adatto per la cerimonia di stasera!" A parlare, questa volta, era stato Ryuu, che era comparso svolazzando sul davanzale. "O meglio, quella di ieri sera, rimandata ad oggi per cause di forza maggiore."

Atsushi deglutì, la gola improvvisamente secca. Già, la cerimonia. Nonostante il suo tentativo di evitarla il giorno prima, vi avrebbe partecipato comunque. In un certo senso, avrebbe preferito che si fosse svolta senza di loro, perché l'idea di presenziarvi gli faceva percepire il vuoto nello stomaco.

"Ora, non dirmi che En è ancora a dormire!" fece lo spirito del fuoco, pugni sui fianchi ed espressione determinata.

"Non fare domande ovvie," sospirò Io, comparendo dietro di lui e spingendolo in volo verso l'ingresso della stanza. I due furono seguiti a ruota da uno svolazzante Yumoto, che arrivò sul balcone in un frullo d'ali, salutando tutti per poi sparire nella penombra della camera da letto.

Dopo un attimo, si udirono una serie di proteste da parte di En, frammiste alle risate degli spiriti. Sul balcone, Atsushi sorrise, spiando all'interno da dietro le tende. Ibushi che si schiariva discretamente la voce gli fece riportare l'attenzione sugli altri tre spiriti, che erano tornati a sedersi sulla balaustra.

"Altezza, il modo in cui vi abbiamo trattato è stato imperdonabile." Lo spirito del vento parlava a viso basso, il capo leggermente chino in avanti. Gli altri due seguirono il suo esempio, ma Kinshiro, dopo un attimo, tornò ad alzare la testa. Era leggermente rosso in viso e i suoi occhi vagavano, cercando di evitare lo sguardo di Atsushi.

"Mi hai salvato la vita, ieri sera, e grazie a te ed agli altri Zundar è stato scacciato e noi siamo tornati liberi."

Atsushi sorrise, un po' imbarazzato - a dire il vero, la sconfitta di Zundar era stata più opera di En e dei suoi spiriti guardiani che non sua, ma poteva indovinare che per Kinshiro fosse molto più facile confessare tutto questo a lui, che non agli altri.

"A dire il vero, non ho ancora ben compreso quanto è accaduto ieri, ma se c'è qualcosa di cui sono certo, è che non avrei mai potuto stare a guardare mentre quel demone ti faceva del male, Kin," ammise onestamente. "Aveva già rischiato di portarmi via En... e te. Non potevo permettere che accadesse di nuovo."

Kinshiro, finalmente, trovò il coraggio di guardarlo negli occhi. "Abbiamo approfittato di te e di tua sorella per anni. Io non sono mai stato quello che ti ho detto di essere, Atsu," disse allora con vigore. "Come puoi...?"

Ma il principe stava scuotendo la testa, con un piccolo sorriso sulle labbra. "Penso di aver sempre saputo chi fossi in realtà, Kin, al di là che tu fossi uno spirito o un essere umano: una delle persone che più mi sta a cuore." Quando Kinshiro stava con voi, sembrava nuovamente lo spirito che conoscevo tanto tempo fa, prima che decidessimo di fidarci del mago, gli aveva detto Ibushi ed Atsushi non dubitava che ciò fosse vero. "E comunque," aggiunse mentre, dietro di loro, le voci suggerivano che En e gli altri tre stavano per raggiungerli sul poggiolo, "non credo di dover farmi tanti problemi a proposito di identità segrete, no?"

In quella, En comparve all'aperto, con Yumoto appeso al collo, strizzando gli occhi alla luce intensa del sole e soffocando uno sbadiglio. I lividi ed i graffi su volto e braccia erano spariti, ma era evidente che nessuno dei suoi tre spiriti guardiani si era curato del suo aspetto, visto che i suoi capelli erano ancora sparati in tutte le direzioni, facendolo somigliare ad un porcospino - anche se il paragone, dati i precedenti, poteva non essere il più adatto.

Il principe riservò un saluto pigro ed una lunga occhiata ai tre nuovi arrivati, quasi ad accertarsi che Kinshiro e gli altri non fossero intenzionati a giocar loro qualche sorpresa. Quando il suo sguardo si posò su Atsushi, però, si illuminò improvvisamente.

"Atsushi! Sei meraviglioso!" gli disse con un sorriso affettuoso, facendolo arrossire violentemente.

"...tu sembri ancora mezzo addormentato, invece," rispose il ragazzo alla fine, quasi a vendicarsi per averlo imbarazzato di fronte a tutti. Per buona misura, comunque, si allungò a sistemargli un pochino i capelli.

"Non è colpa mia," si lamentò En, chinando docilmente la testa per lasciarlo fare, "se mi hanno appena svegliato."

"Non avevamo altra scelta. Ci sono un sacco di cose da fare, oggi, En," fece Io, con tono severo. La notte prima riusciva a malapena a stare in piedi, ma tutta quella stanchezza sembrava improvvisamente svanita. "Il resto del castello non può continuare a dormire per sempre. Questa sera deve tenersi la festa in tuo onore."

En sospirò, posando la fronte sulla spalla di Atsushi.

"Soprattutto, occorre sistemare questa faccenda del fidanzamento," fece Ryuu tutto serio.

Allora, En rialzò la testa e passò un braccio attorno alla vita di Atsushi, protettivo.

"Sia chiaro che non accetterò nessuno che non sia lui."

"Non avevamo dubbi in proposito."

"Non credo sarà facile. La cosa sarebbe... inusuale," azzardò allora Atsushi, nervoso. Come se non fosse bastato dover sconfiggere un drago che aveva quasi finito con l'ucciderlo, ora dovevano anche preoccuparsi di ottenere l'approvazione dei loro genitori - ed in questo caso, nemmeno una spada magica avrebbe potuto nulla.

"Voi umani e le vostre complicazioni," fece allora Yumoto, scuotendo la testa. "Sono sicuro che sapremo convincerli."

"Altrimenti, possiamo sempre contare su un pizzico di magia, no?" suggerì Ryuu, ammiccando.

"Non credi di averne già usata abbastanza in questa vicenda?" chiese En, con una punta di severità nella voce, e lo spirito del fuoco dovette abbassare la testa, contrito.

"Qualsiasi cosa dobbiate fare, posso suggerire di lasciare che i principi facciano colazione, prima?" si intromise allora Ibushi. "Sono sicuro che entrambi avranno un discreto appetito, dopo tutto quello che è successo."

En lo guardò con rinnovato interesse. "Questa sì che è un'idea."

"Splendida!" gli fece eco Yumoto.

Ibushi sorrise. "Se andate ad aprire la porta della stanza, troverete un carrello con dei vassoi. Il tè dovrebbe essere ancora caldo; altrimenti, si fa presto a rimediare."

En e Yumoto non se lo fecero ripetere due volte e sparirono all'interno. "Grazie, signor Ibushi, obbligati," fece a tempo a dire Atsushi, prima di venir trascinato a sua volta nella stanza, sotto gli occhi divertiti degli spiriti.

"Sembrano in forma, oggi," commentò quietamente Ibushi. "Anche voi sembrate esservi rimessi bene," aggiunse cortesemente, rivolgendosi a Ryuu ed Io,

Lo spirito della terra annuì. "Abbiamo avuto modo di riposare. Confido che anche voi abbiate potuto riguadagnare un po' di forze."

Ibushi annuì a sua volta, ma lanciò un'occhiata meditabonda a Kinshiro, che sembrava assorto nei suoi pensieri. "Avremo bisogno di ancora un po' di tempo, però, prima di riprenderci del tutto."

Tra i cinque calò il silenzio. Era ovvio che non sarebbe bastata una notte di riposo a far sparire il fardello accumulato in anni di prigionia al servizio di quel demone, ma nessuno sapeva bene che cosa dire in proposito, né se fosse saggio toccare l'argomento. Alla fine, fu Io a parlare.

"Sicuramente allora vi tratterrete per la cerimonia."

Kinshiro sobbalzò, guardandoli sorpreso, ed Ibushi fu svelto a rispondere. "Non credo che con quello che è successo..."

"Ah, sciocchezze!" Ryuu sventolò una mano, come ad allontanare quei pensieri. "Sono passati diciotto anni. E poi, credetemi, nessuno potrebbe mai confondere tre spiritelli aggraziati con quei demoni neri di tanto tempo fa." Comodamente accoccolato sulla balaustra, li guardò con un sorriso che, però, non aveva niente né di ironico né di canzonatorio. "Davvero, siete insospettabili. E poi," aggiunse, indicando la porta, "qualcuno potrebbe rimanerci davvero male, se spariste di punto in bianco."

Kinshiro era tornato a guardare in basso. Sembrava sul punto di dire qualcosa, senza riuscire a trovare il coraggio di farlo. Stavolta, allora, fu Akoya a prendere la parola al posto suo.

"Perché no? Ricordo il tenore delle feste a questa corte. Potrebbe essere utile che qualcuno rimanesse nei paraggi a dare una mano, se necessario."

"Inoltre, temo che le disavventure di ieri abbiano rovinato un po' alcune delle aiuole. Certo non possiamo andar via senza aver rimediato," aggiunse Ibushi, guardando Kinshiro con aspettativa.

Lo spirito della luce guardò entrambi i compagni e, finalmente, sospirò. "Senza contare una finestra infranta ed una porta completamente divelta," puntualizzò allora. "Sì, suppongo che avremo da fare per tutto il pomeriggio," concluse con un piccolo sorriso.

"Perfetto! Direi che allora possiamo approfittare anche noi della colazione, prima che Yumoto si mangi tutto," suggerì Ryuu, alzandosi.

"Non temere, penso di averne preparato a sufficienza per tutti," lo rassicurò Ibushi. "Dopo anni passati a fare il maggiordomo, ho sviluppato un buon occhio per certe cose."

 

~~~

 

Il sole era tramontato anche su quel giorno.

En ed Atsushi stavano camminando lentamente in direzione della grande porta che si sarebbe spalancata sulla grande sala del ricevimento. Entrambi vestivano gli abiti più lussuosi che avessero mai indossato. La tunica di En riluceva fiocamente di varie tonalità d'azzurro, sfavillante nei ricami d'argento che si intarsiavano lungo le maniche e sul petto, mentre Atsushi era ammantato di verde, con un fine mantello color smeraldo bordato d'oro che toccava terra dietro di lui. Entrambi indossavano le loro corone, delicatamente poggiate sui capelli morbidi e luminosi.

I visi di entrambi erano radiosi, la pelle intonsa, il colorito sano: nulla, nel loro aspetto, faceva sospettare le prove che avevano dovuto affrontare nei giorni precedenti e quel pomeriggio stesso.

Il colloquio con i sovrani era stato lungo, tuttavia era andato meglio di quanto i principi non si aspettassero. Da un lato, i genitori di En erano stati troppo sollevati di ritrovarsi di fronte il figlio, libero dalla maledizione proprio grazie ad Atsushi, per opporre il loro diniego a tale unione; dall'altra, la sorella di quest'ultimo aveva perorato la loro causa con estrema convinzione. Se era il congiungimento dei due regni che volevano, i sovrani l'avrebbero avuto in ogni caso. Inoltre, a questo punto, certo non avrebbe mai potuto accettare di fidanzarsi con un principe che aveva baciato suo fratello!

Nonostante tutto, però, la giornata non era ancora finita. Adesso, i due principi avrebbero dovuto affrontare le prove più ardue di tutte: il ricevimento, il banchetto e le danze.

"Perché non mi hai mai davvero insegnato a ballare?" chiese En sottovoce, sistemandosi nervosamente il colletto della tunica. Era troppo stretto e sentiva venirgli meno l'aria.

"Non avresti imparato molto da me, comunque."

"Ma se eri così bravo." Era vero fino ad un certo punto, in realtà, ma En non aveva termini di paragone.

Atsushi sospirò. Era teso fin quasi all'esasperazione e per nulla pronto ad avere su di sé gli occhi di tutta la corte, ma non c'era scelta. Fece per alzare la mano, indicando alle guardie che sorvegliavano la porta di spalancare i battenti per lasciarli passare, quando En gli diede un colpetto con il gomito.

"Ehi, Atsushi."

"Mh?"

"Non posso farcela senza di te, lo sai?"

Atsushi si voltò verso di lui, sorpreso. En guardava diritto davanti a sé, impassibile.

"Queste cerimonie, questa vita di corte... Sembra tutto orribilmente difficile. Non posso affrontarlo se non sono con te," spiegò l'altro semplicemente. "Quindi non lasciarmi da solo."

C'era qualcosa di infantilmente onesto nelle sue parole e ad Atsushi scappò un mezzo sorriso. Poi, però, lesse negli occhi di En anche un fondo di tristezza. Era quasi accaduto, la notte prima. Nonostante si fosse odiato per avergli voltato le spalle dopo il litigio, aveva rischiato nuovamente di lasciarlo per sempre. La sua mano scivolò in quella di En, e lui gliela strinse.

"Non lo farò," sussurrò Atsushi intrecciando le proprie dita alle sue.

Di fronte a loro, si aprirono le porte della sala delle cerimonie.

I principi avanzarono nella sala a passi controllati. Entrambi troppo nervosi per guardarsi attorno, tenevano gli occhi puntati sui troni dei sovrani di fronte a loro. Una volta arrivati, come da protocollo, si inchinarono formalmente. Allora, entrambi avrebbero dovuto semplicemente posizionarsi in piedi accanto ai troni dei rispettivi genitori, ma la madre di En si alzò e gli si avvicinò. Dopo un attimo di silenzio, gli cinse la vita con le braccia e lo attirò a sé, stringendolo come se fosse ancora il neonato che era stata costretta a lasciar andare via diciotto anni prima.

En esitò un momento, mentre i suoi occhi cercavamo quelli di Atsushi. Con un piccolo sorriso ed un cenno della testa, il principe lasciò andare la sua mano. Allora, En ricambiò l'abbraccio.

 

~~~

 

Per gli spiriti, accovacciati sul braccio di uno dei grandi lampadari della sala dei ricevimenti, la serata si era dipanata lentamente. Yumoto, Io e Ryuu si erano mescolati agli invitati, ora tenendo compagnia a Gora, ora approfittando di En ed Atsushi per rubacchiare qua e là cibo e dolci e condividerli anche con Vombato sotto il tavolo. Gli altri tre, invece, si erano tenuti in disparte ad osservare.

"Non noto un sostanziale miglioramento dall'ultima volta, quanto all'organizzazione dei ricevimenti," osservò Akoya, una ciocca di capelli arrotolata attorno all'indice, osservando spassionatamente la folla di invitati sotto di loro.

"Gli umani fanno quello che possono," gli rispose serafico Ibushi. Lui ed Akoya da soli avrebbero potuto fare decisamente di meglio di tutta la servitù di quel palazzo. "Tu che ne pensi, Kinshiro?"

Lo spirito della luce era stato seduto in silenzio per la maggior parte del tempo, con sguardo fisso in basso ed espressione indecifrabile, probabilmente intento a giudicare male gli errori della servitù e le pecche nella disposizione degli arredi.

"Saremo noi a preparare la cerimonia per il compleanno di Atsu. Sarà tutto perfetto," disse in tono asciutto. C'era uno sguardo determinato, quasi sinistro nei suoi occhi verdi. "Non lasceremo niente al caso."

Akoya ed Ibushi si scambiarono un'occhiata divertita.

"Bellissima festa, non trovate?" esordì Ryuu, posandosi allegramente vicino alla candela in fondo al braccio dorato del lampadario. La fiamma si ravvivò alla sua vicinanza e Ryuu la accarezzò distrattamente con le dita.

"Fantastica!" approvò Yumoto, atterrando dalla parte opposta, trasportando un pasticcino più grande di lui.

Gli altri tre si scambiarono uno sguardo d'intesa, scuotendo appena la testa. I gusti dei popolani non potevano essere cambiati.

"Occorrerà apportare alcuni ritocchi a questo posto, ora che En verrà a viverci," fece Io sedendosi accanto a Ryuu e circondandogli i fianchi con un braccio. "Non c'è abbastanza oro, qui, e le sue stanze sono disadorne."

Ryuu lo guardò con un sopracciglio alzato ed un'espressione piuttosto scettica.

"Sono diciotto anni che gli ho promesso infinite ricchezze ed ancora non ho avuto l'occasione di fargliene dono," si giustificò.

"Dubito che En voglia più di quanto non possieda già," commentò Yumoto a bocca piena, dondolando i piedi nel vuoto sotto di sé e guardando gli invitati dividersi per prepararsi all'inizio delle danze.

Istintivamente, gli spiriti cercarono i loro principi in mezzo alla folla. En ed Atsushi stavano avanzando lentamente verso il centro della sala, mano nella mano. In quanto festeggiato, spettava ad En aprire le danze, e ad Atsushi toccava quindi l'onore di accompagnarlo. Dalla loro andatura, però, si intuiva quanto fossero riluttanti all'idea. In un angolo della sala, la piccola orchestra attaccò a suonare e i due principi mossero i primi passi, sotto gli occhi attenti di tutti gli invitati.

"È peggio di quanto mi aspettassi," commentò Akoya, atono, dopo aver osservato Atsushi inciampare per la seconda volta.

"Stanno facendo del loro meglio," Ibushi tentò di ammorbidirlo, ma il suo sorriso era tirato.

"Atsu ha bisogno di un partner che sappia come muoversi," fece Kinshiro, con una punta di veleno nella voce, guardando Ryuu ed Io ed accusandoli con gli occhi. "Perché non gli avete insegnato a portarsi con eleganza? "

In effetti, En si muoveva con una tale rigidità che c'era da sorprendersi che riuscisse a piegare le ginocchia, ma Ryuu, punto sul vivo, si risentì. "Oh, scommetto che tu avresti fatto un lavoro impeccabile! Certo, se qualcuno non ci avesse costretto a rifugiarci nei boschi come degli orfanelli, a quest'ora En sarebbe il ballerino migliore della corte!"

"Inoltre, mi pare che il principe Atsushi stia avendo a sua volta qualche difficoltà," aggiunse Io, assolutamente serafico, circondando la vita di Ryuu con entrambe le braccia e poggiando il mento sulla sua spalla.

Kinshiro spalancò gli occhi per l'affronto, ma Akoya intervenne prima che lo spirito della luce potesse rispondere a tono.

"I vostri inutili battibecchi non risolveranno questa esibizione imbarazzante," fece in tono pratico, cercando lo sguardo di Ibushi, che gli rispose con un cenno di assenso. I due spiriti mossero appena le mani, seguendo il ritmo del valzer, e una brezza improvvisa fece tremolare le fiamme dei lampadari.

In mezzo alla sala, En perse il controllo di gambe e braccia. Sconcertato, cercò lo sguardo di Atsushi per scoprire che anche gli occhi dell'altro principe, prima bassi per la vergogna, lo scrutavano meravigliati.

"Ci stanno facendo qualcosa, non è così?" bisbigliò Atsushi, incredulo. Lo sentivano; era un vento invisibile, sottile, che avvolgeva i loro corpi e li spingeva gentilmente di qua e di là, sollevandogli le braccia, piegandogli le ginocchia e sostenendo le loro schiene, obbligandoli a muoversi secondo la sua volontà.

Prima che En potesse scrollare le spalle, come a dire che non ne aveva idea, entrambi furono coinvolti in una piroetta che li lasciò con un leggero capogiro e senza fiato, mentre i loro piedi continuavano a muoversi alacremente in una trama di passi che stentavano perfino a capire.

Qualcuno, nella folla di cortigiani lì attorno, si lasciò sfuggire un complimento. Atsushi, sorpreso ed imbarazzato, cercò di voltarsi per cercare con gli occhi gli spiriti e pregarli di smetterla, ma En lo richiamò con un sussurro divertito.

"Fa' finta di nulla, Atsushi. Ci stanno apprezzando."

L'altro ragazzo tornò a guardarlo in viso, le guance arrossate sotto la montatura degli occhiali.

"Solo perché prima eravamo pessimi," rispose aggrottando le sopracciglia, mentre un sorriso si faceva lentamente strada sulle sue labbra.

"Quel che conta è che siamo bravi ora," replicò En, sorridendo apertamente.

Senza doversi preoccupare di quello che facevano piedi e mani, l'unica cosa a cui dovevano porre attenzione era il contatto tra i loro corpi, fugace e sincronizzato. Ciuffi di capelli oscuravano loro la vista a tratti, ma nessuno dei due ragazzi distolse gli occhi da quelli dell'altro. Sullo sfondo, gli abiti da festa del resto della corte erano un caleidoscopio di colori, e l'aria creata dal loro continuo girare su se stessi un vento fresco. Le loro gambe erano così leggere che gli sembrava quasi di volare - e se fosse stato davvero così, nessuno dei due si sarebbe sorpreso, né gli sarebbe importato più di tanto.

Un passo dopo l'altro, una giravolta dopo l'altra, danzarono sulle note della musica, guidati dalla magia. Poi, senza che potessero rendersi conto di ciò che stava accadendo, si scoprirono a baciarsi, le loro labbra attratte le une sulle altre da una forza invisibile.

Il valzer terminò, e i due si trovarono appoggiati l'uno all'altro, le fronti premute assieme, le gambe improvvisamente pesanti. Senza fiato, rimasero immobili anche mentre l'orchestra attaccava con il secondo brano e tutti gli altri invitati iniziavano a danzare attorno a loro.

Fu allora che Yumoto spuntò dal nulla tra di loro, le gambe penzoloni dalla spalla di En.

Atsushi lo guardò, accigliandosi. "Non farci baciare davanti a tutti, adesso. Non sta bene."

"Ma è stato uno spettacolo meraviglioso!" ribadì lo spirito, assolutamente deliziato.

Atsushi scosse la testa, arrendendosi. "Niente più magia, d'accordo? D'ora in poi, credo proprio che possiamo cavarcela da soli," affermò, cercando con lo sguardo gli occhi di En.

Questo annuì e gli strinse nuovamente la vita. "Non è detto che sia stata solo opera della magia," ammiccò in tutta risposta ed Atsushi si lasciò sfuggire un sospiro divertito.

Lentamente, mossero qualche nuovo passo, incuranti del ritmo della musica e di che cosa stessero facendo le coppie intorno a loro. Atsushi sorrideva, non era più rosso d'imbarazzo, e ad En importava davvero poco di mettere i piedi al posto giusto.

"Ogni tanto faccio ancora fatica a distinguere che cosa è reale e che cosa non lo è," ammise Atsushi nell'orecchio di En, per poi ritrarsi con un sussulto.

En gli rivolse uno sguardo di scusa. "Direi che, se non fosse reale, non ti avrei appena pestato un piede."

Atsushi scosse la testa con una risata e continuarono a danzare.

Yumoto, tornato sul lampadario, li osservò, mento poggiato sulle mani, con un'espressione soddisfatta. Sogno, realtà, poco importava se si accettava che, alle volte, le due dimensioni non dovessero per forza escludersi a vicenda.

 

 

Fine

 


 

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Note: incredibilmente, sono riuscita a mettere la parola "fine" a questa storia! Ci è voluto un po', ma personalmente mi ritengo molto soddisfatta del risultato. Già essere riuscita a finirla è, in sé, un bel traguardo. I ringraziamente più che doverosi vanno innanzitutto a Yuki, che se l'è betata dall'inizio alla fine e mi ha dato suggerimenti preziosi, ed ovviamente anche a tutti quelli che l'hanno letta e hanno lasciato un commento. Spero che la storia vi abbia intrattenuto e, se vorrete lasciare un'ultima recensione per farmelo sapere, ne sarò solo felice~

 

 

 

 

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