Il principio di due linee parallele

di bellamysguitar
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 3 ***
Capitolo 4: *** 4 ***
Capitolo 5: *** 5 ***



Capitolo 1
*** 1 ***


 Sto gironzolando per i corridoi della mia anonima scuola da almeno cinque minuti. Il motivo di questa mia scappatella è che, visto che ieri non ho avuto la premura né di fare la versione di latino né tanto meno di copiarla, ho preferito uscire "per andare in bagno" al momento della correzione. Il problema è che lo spazio per gironzolare è alquanto ridotto, poiché se mi azzardassi a girare l'angolo di questo corridoio per raggiungere quello principale, il temibile bidello Beppe - sordomuto oltretutto - comincerebbe a urlarmi contro versi minacciosi ed incomprensibili piazzandosi su una faccia cattiva da far invidia a quella di Dwayne Johnson in Fast & Furious. E allora, considerando il fatto che i bagni non godono di un ottimo odore, faccio avanti e indietro per questo minuscolo corridoio finché qualcuno non decide di rispedirmi in classe.
Il latino non è una materia che mi dispiace, nonostante io sia fuori durante la sua ora. E' interessante, e saperlo tradurre mi fa sentire superiore a tutti quelli degli istituti tecnici della città, anche se, considerando la mia popolarità ed il mio essere così socievole, non comporta essere meglio di altri. Non c'è un'anima per il corridoio, e gli unici rumori che si sentono sono 1. i versi di Beppe in lontananza 2. il mio prof di scienze che urla insulti agli studenti in chissà quale povera classe. Sbuffo, i corridoi vuoti sono entusiasmanti quanto il Giro d'Italia. Ed io odio il Giro d'Italia. Non ho nemmeno il tempo di fare due passi avanti che noto Beppe svoltare l'angolo e con il suo sguardo fulminante mi squadra, e dopo due secondi corre verso di me urlando qualcosa di simile a "torrà! torrà!" e muovendo una mano freneticamente nell'aria. Alzo le mani in segno di resa e apro la porta della classe, sperando che la correzione della versione sia conclusa. Appena apro la porta parte uno scricchiolio assordante ed in un nano secondo mi ritrovo ventiquattro paia di occhi puntati contro, compresi quelli dalla professoressa, seduta ad una distanza elevata dalla cattedra, con su degli spessi occhiali per leggere ed il libro di latino in mano. Me ne torno a posto in silenzio, ma non essendo esattamente una persona delicata - senza tanti giri di parole, ho la delicatezza di un elefante -, riesco a dare una botta rumorosa alla mia sedia ed a farla scricchiolare mentre mi siedo sopra ad essa. La mia compagna di banco, Anna - ragazza esplosiva e dai capelli più pazzi dei miei - mi sorride gentilmente, tornando poi a guardare la sua versione immacolata sul suo grande, grandissimo quaderno. 
 
E' forse ora di fare le dovute presentazioni. Mi chiamo Beatrice - esattamente come la ragazza di 1°E linguistico con il burqa -, ed ho la sfortuna di avere sedici anni anziché venti. Non so perché vorrei avere vent'anni, probabilmente perché tutti i ventenni sono tremendamente fighi e con una vita perfetta, a differenza della mia. Punto due, se avessi vent'anni sarei fuori da quest'inferno chiamato liceo classico da un bel pezzo, anche se probabilmente sarei anche all'università. Non so se si è capito, ma oltre ad avere una parlantina fastidiosa e continua, sono una ragazza che prima di ogni cosa si lamenta. Per tutto. La mia vita è un disastro, se questo non si fosse capito. Sono la tipica ragazza dedita alla scuola fino a un certo punto, la tipica ragazza che il sabato vorrebbe uscire, ma alla fine non esce mai. E, ahimè, non per scelta. La mia principale passione è oziare, fare tra il divano e il letto con le cuffie nelle orecchie. E odio chiunque interrompa questo mio sacro rituale quotidiano (cioè tutti). 
 
Solo al suono della campanella io mi sento veramente sollevata - di essere ancora viva, intendiamoci. Ma so che il suono della campanella implica un fatto: andare alla stazione degli autobus. La stazione degli autobus - meglio conosciuta come ritrovo per persone strane - è praticamente attaccata alla mia scuola, e perciò i gas di scarico dei mostroni blu arrivano dritti dritti nella finestra della mia classe. Ci sono svariati motivi per cui odio quel posto. Punto uno, c'è gente strana, ma questo l'ho già detto. Punto due, aspettare l'autobus per mezz'ora è logorante. Punto tre, non mi piace fare la lotta per accaparrarmi un posto in autobus. Punto quattro, odio quelli che prendono il mio autobus - tanto per cambiare. 
Sbuffando sonoramente e con lo zaino in spalla mi dirigo con tutta la calma del mondo in stazione, perché in fondo non sarebbe poi così male perdere il bus, ma dubito di riuscire a far mezz'ora e passa di ritardo. Quando arrivo, come al solito, il binario sei è deserto - la mandria di trogloditi ignoranti provenienti dagli istituti tecnici deve percorrere più strada - e mi sistemo buona buona sul marciapiede, cominciando a guardarmi intorno con sospetto. Una grande abbondanza di autisti e controllori si aggira furtivamente tra i binari, a far cosa non si sa. 
Nei dieci minuti seguenti non faccio altro che sbuffare, guardare il cellulare, guardare le persone che mano a mano arrivano e sbuffare ancora. Non c'è nessuno che mi piaccia delle persone che circolano in questa stazione abbandonata da Dio. Soprattutto quelle del mio paese. 
Piano piano la stazione si comincia a riempire con l'avvento delle mandrie di trogloditi, ed i miei nervi ne risentono. Altra cosa che non sopporto è l'alta presenza di gente, che non solo mi provoca una crisi di nervi ma anche una di panico. Mi guardo intorno e casualmente incrocio lo sguardo di una persona - che non mi sta molto simpatica, oltretutto. 
- Ciao! 
dice quest'ultimo sorridente, ed io rispondo piantandomi in faccia un sorriso falso da far invidia alle più grandi attrici hollywoodiane. 
Codesto - che è anche l'unica persona che mi saluta, perché io di mio non saluto nessuno - è il mio vicino di casa e nonostante si atteggi da tipico ragazzo della porta accanto "carino e coccoloso", a me ricorda più che altro una pianta da giardino: alto, magro e apparentemente senza sentimenti. Non fraintendetemi, non penso che sia uno col cuore di ghiaccio, ma non spiccica parola nemmeno a pagarlo oro. A dir la verità nessuno della sua famiglia parla molto. Ma lui è proprio un'esagerazione! 
Mi passa accanto seguito dalla sua schiera di amiche fidate e, per qualche secondo, lo seguo con lo sguardo. Si dirigono verso la sala d'aspetto interna della stazione, quella sottospecie di stanzetta in cui si trovano interi agglomerati di uffici, bar e toilette non molto pulite. Il compagno di mia madre adora in un modo sconsiderato quel ragazzo. Dice continuamente che l'ha visto crescere, che è un bravissimo ragazzo, che da piccolo era malato e quindi veniva evitato dalle ragazze e lui, povero Cristo, ci stava tanto male. Pensate un po', io non sto male - non ho l'ebola! - eppure vengo evitata da tutti lo stesso. Bello, eh? 
 
Circa mezz'ora dopo mi ritrovo cercando di attraversare la strada dietro ad almeno cinque persone, poiché sono appena scesa dal mostro vivente chiamato "autobus". Il bus di Ponte di Piave è sempre, costantemente, pieno. Ciò che non capisco è per quale strano motivo la mattina abbiamo a disposizione tre autobus per ricoprire la stessa zona - e sono tutti alla stessa ora - mentre al ritorno ce n'è solo uno, sempre pieno. Tanto per cambiare oggi sono stata in piedi, a farmi sballottare da una parte all'altra, dopo ogni curva. Attualmente, invece, sto cercando di non morire. E solo dopo aver raggiunto il marciapiede mi sento al sicuro. Sbuffo, perché è ciò che so fare meglio ultimamente e prendo a camminare lentamente, con la mia solita calma, in fondo chi ha fretta di tornare a casa? Nel bel mezzo della mia lentezza mi accorgo che manca qualcosa: le mie cuffie. Le cerco, in entrambe le tasche, ma di loro non c'è alcuna traccia. Sto per entrare nel panico quando una voce più o meno conosciuta mi dice "guarda che ti sono cadute queste", ed una mano compare davanti ai miei occhi tenendo in pugno le mie cuffiette bianche. Mi volto ed incontro la faccia sorridente di Nicola. Sarebbe il mio vicino, quello di prima. Ha un nome. Nicola. Ed ha anche dei bellissimi occhi. Sbatto le ciglia tre, quattro, cinque volte senza spiccicare parola. Ecco, questa volta sembro io l'asociale. Ma forse, e dico forse, un po' lo sono. 
 - Grazie - rispondo, cercando di sorride gentilmente e, come sempre, non mi riesce. 
Gli strappo le mie bambine letteralmente dalle mani con forse troppa forza, e, continuando a tenere gli occhi spalancati per chissà quale strano motivo, me le ficco nella tasca del giubbotto. 
Con mia grande sorpresa, nel momento esatto in cui riprendo a camminare, noto che il caro e vecchio e silenziosissimo Nicola non si allontana da me, ed io mi ritrovo a scrutarlo schifata, perché 1. mi sta camminando accanto, 2. cammina più veloce di me. 
- Hai delle gambe sproporzionatamente lunghe - mi ritrovo a dirgli, in un momento di assoluto squilibrio mentale, trovando improvvisamente le sue gambe lunghe quanto tutto il mio corpo più interessanti della sua faccia. 
E ride. Beh, dire che ride è un po' un eufemismo perché, ripeto, questo ragazzo non è in grado di provare delle emozioni, tranne quelle che provano le piante come lui - cioè, alcuna emozione. 
- Beh sì, effettivamente sono un po' lunghe - ehi amico, è tutto ciò che riesci a dire?, vorrei dirgli, ma poi realizzo che non è proprio il caso di prendermi tali confidenze con un tipo che non ha confidenza con nessuno eccetto i suoi amichetti immaginari. 
Poi, silenzio. Nessuno dice niente, e la situazione si sta facendo più imbarazzante del dovuto. Una persona razionale e senza problemi mentali a questo punto si allontanerebbe senza dare troppo nell'occhio e saluterebbe gentilmente la persona al suo fianco, ma una psicopatica come me, andiamo a sottolineare la parola psicopatica, si ritrova ovviamente a fissarlo ed alla fine se ne esce con: - hai tagliato i capelli? 
Nicola, dal canto suo, mi punta lo sguardo addosso e inizialmente non dice nulla. Gli occhiali da vista gli sono leggermente scivolati giù per il naso e la montatura scura va a coprirgli leggermente gli occhi verdi. Guardare lui negli occhi, come qualsiasi altra persona, mi reca ansia e quindi mi trovo costretta a spostare il mio sguardo altrove, ma la scelta di puntarlo sulle sue labbra non si rivela affatto saggia. 
- Sì, li ho tagliati - risponde, cercando di risultare più gentile che scocciato. 
- Trovo che ti stessero meglio prima. Insomma, un po' più lunghi - ecco, questa è decisamente una cosa che dovevo evitare di dire. 
Mentre la mia mente vaga altrove e cerca di comandare al resto del corpo di darsela a gambe il più velocemente possibile, lui continua a scrutarmi, ed il suo livello di "scocciatezza" sembra essere salito alle stelle. Ecco, devo imparare a non cercare di avere una conversazione con un vicino-pianta. 
- No, a me piacciono più così - contento tu, contenti tutti. E questa volta, con una scusa abbastanza banale, mi allontano sul serio da lui, raggiungendo la porta del condominio in pochi secondi. Quella situazione stava diventando insopportabile. 
Faccio le scale di corsa, e solo mentre arrivo al primo piano riesco a notare una cosa: le mani mi tremano. Spaventata a morte e pensando di avere chissà quale malattia, faccio l'ultimo piano di scale e, dopo esser entrata in casa la prima cosa che dico a mia mamma è: - mi sa che ho il Parkinson. In tutta risposta lei mi manda al paese dei balocchi. 

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Capitolo 2
*** 2 ***


Fast & Furious è la mia saga di film preferiti da quando ne ho memoria. Sono cresciuta con quei film e con la magra consolazione che, prima o poi, anche io butterò un Owen Shaw - che sarebbe in realtà una mia simpaticissima compagna di classe - giù da un aereo in tipico stile Dominic Toretto1. Ecco, Dom è sempre stato il mio eroe. Così grande e grosso, simile ad un orso senza peli, un difensore della giustizia. Ma il mio preferito, considerando anche il fatto che è sempre stato la mia cotta segreta, è Brian O'Conner: biondo, occhi azzurri, sorriso angelico e soprattutto forte e spietato. Quindi, da quando il personaggio di Brian occupa i miei pensieri, è difficile trovare un ragazzo - un comune mortale, se vogliamo capirci - che mi ricordi anche solo minimamente lui. Piuttosto, diciamo impossibile. E così, anche oggi, durante l'ultima fastidiosissima ora di matematica mi ritrovo a scrivere in maniera bizzarra e - a mio parere - artistica il nome "Brian", mentre qualche malcapitato si trova alla lavagna interrogato, con il prof che gli urla dietro cose tipo: "scrivi più piccolo! Scrivi più grande! Scrivi a lato! Non scrivere a lato!", una vera tortura insomma. 
Ora sto pregando soltanto che l'ora finisca il più velocemente possibile, e per fortuna è l'ultima. Il vantaggio di essere al biennio tuttavia è che tre volte a settimana si esce a mezzogiorno e un quarto, ma oggi non è uno di quei giorni e ciò implica vedere - tra meno di mezz'ora - tutti gli zoticoni del paese. Perché naturalmente, ogni volta che faccio cinque ore, in autobus è presente ogni minimo zoticone troglodita, senza nessun assente. Ed io, del resto, devo fare buon viso a cattivo gioco e non mostrarmi troppo scocciata dalla situazione - anche se, in realtà, lo sono fin troppo. Sto pensando a come potrei uccidere la maggior parte delle persone che non mi vanno esattamente a genio quando, come illuminato, dalla sua cattedra lontana, il prof scandisce il mio nome, invitandomi gentilmente ad andare alla lavagna. Solo mentre le mie gambe si muovono autonomamente verso la lavagna mi rendo conto che sarà una grande, grandissima giornata di merda. 
 
Sono in stazione e guardo il binario di fronte al mio, completamente assente. L'interrogazione, come immaginavo, non è andata proprio nel migliore dei modi - anche perché la matematica non è mai stata il mio forte -, tuttavia sono riuscita ad accaparrarmi un sei che, considerando la media spaventosamente orrenda del primo quadrimestre, va più che bene. 
Oggi è una giornata piuttosto calda e sembra che, per mia sfortuna, stia arrivando l'estate. Ecco, un'altra cosa che proprio non riesco a sopportare è il caldo. Odio il sudore appiccicoso sulla fronte e sul collo, odio dover lasciare la finestra aperta durante la notte, odio le zanzare, odio il fatto di trovarmi a bere in media cinque litri d'acqua al giorno. Sbuffo, cos'altro potrei fare? Lo zaino in spalla, la giaccia di pelle appoggiata al braccio, mentre il mio corpo giace, appoggiato ad una colonna lurida e arrugginita di questa stazione. A volte, sembra tutto così triste. Insomma, questa città - che in realtà sembra tutto tranne che una città -, queste persone, persino io. Anche il vociare, le risate sparse e la musica leggera che fuoriesce dagli auricolari, è tutto così triste ed insignificante. Ed io, proprio io, sono la regina delle persone insignificanti. Sorrido amaramente, e riesco a svegliarmi dal mio stato di trance solo dopo essermi resa conto che sul binario non c'è più nessuno. Alzo lo sguardo, mi volto prima a destra e poi a sinistra: in lontananza, da quel che riesco a scorgere con la mia avanzata miopia, si vede un autobus blu, abbastanza grande, parcheggiato ed etichettato con la scritta arancione "Ponte di Piave". Decido di prendermela con calma, mentre cammino verso il bus, tanto ci sarà a malapena posto per stare in piedi, figuriamoci per sedersi. Dopo aver compiuto i tre scalini maledetti - sono caduta svariate volte da quegli scalini infatti - noto con stupore che non c'è un'anima in piedi. Che bello, penso, sarò l'unica a stare in piedi! Ma mentre osservo schifata le facce smunte dei miei compaesani che pensano agli affari loro, lo vedo: vicino all'uscita posteriore c'è un piccolo, minuscolo, vuoto posto a sedere. I miei occhi si illuminano e comincio ad incamminarmi a grandi passi verso quel posto. Sento che nulla ora potrebbe demoralizzarmi, il mio sorriso va da un orecchio all'altro. Ma da che mondo è mondo, portare il mio nome implica un dovere: essere sfigati. Infatti, appena raggiunto il posto, noto che quello accanto è occupato da Mr. Asociale 2015, meglio conosciuto come Nicola. Strabuzzo gli occhi e, incapace di dire qualsiasi cosa, rimango lì, come solo una vera imbecille può rimanere. Nicola, immerso in un mondo in cui tutti sono vegetali esattamente come lui, non sembra accorgersi di niente. E figuriamoci. E così, con la voce un po' strozzata ed una strana ansia che mi cresce dentro sussurro: - è libero? 
Lui, come sempre, deve guardarmi almeno dieci secondi prima di realizzare cosa ho appena detto. Mi scruta con quei fastidiosi occhi verdi e, con un movimento veloce, si sistema gli occhiali, continuando a non dire nulla. E poi mi sorride, un sorrisetto sghembo che inizialmente mi risulta fastidioso, come tutta la sua figura del resto. Toglie lo zaino dal sedile accanto al suo ed io, finalmente, mi siedo. Posiziono lo zaino sopra le mie ginocchia, ma sento di non essere totalmente a mio agio. Mi infilo le cuffie, cerco la canzone più rilassante possibile - che, ovviamente, in questo momento sembra introvabile - ed appoggio la testa al sedile. Volto leggermente lo sguardo alla mia sinistra e lascio cadere lo sguardo sul viso di Nicola. Ha un'espressione così presa, così intensa, ogni muscolo contratto, gli occhi diventati improvvisamente minuscoli, quasi invisibili dietro gli occhiali. E, ora che lo guardo più da vicino, mi rendo conto che questo taglio di capelli non gli sta poi così male, con qualche ciocca di capelli scuri che gli cade delicata sulla fronte. Improvvisamente, all'interno delle mie cuffie, parte la melodia dolce di The Blower's daughter, e con la voce vellutata di Damien Rice e Nicola accanto, chiudo gli occhi, rilassandomi totalmente. 
 
Qualcosa sta scuotendo delicatamente il mio braccio, ma i miei occhi proprio non ne vogliono sapere di aprirsi. Il mio corpo è quasi completamente sveglio, ma voglio godermi ancora qualche secondo di buio. La mia guancia è appoggiata su qualcosa di spigoloso che tuttavia non risulta affatto scomodo e riesco a percepire un profumo leggero, appena accennato, ma abbastanza buono per deliziare il mio olfatto e, a completare il tutto, la voce di Matt Bellamy mi risuona nelle orecchie. La voce di Matt Bellamy?! Spalanco gli occhi improvvisamente, rendendomi conto di non essere nel mio caldo e amorevole lettuccio ma in autobus, ancora in autobus. Alzo leggermente la testa, quel che basta per ritrovarmi gli occhi di Nicola prepotentemente puntati contro, e solo ora mi rendo conto che quel qualcosa di spigoloso ma non scomodo che premeva sulla mia guancia era la sua spalla. La sua mano è ancora appoggiata sul mio braccio e sento che tra poco, pochissimo tempo avrò un attacco di panico. Il respiro comincia a farsi sempre più corto, il cuore batte ai limiti dell'infarto e ho la gola completamente secca. 
- Scusa, non volevo svegliarti, ma dovremmo scendere alla prossima fermata - sussurra lui gentilmente, e, come per magia, il mio attacco di panico imminente comincia ad attenuarsi.
- Non volevo addormentarmi addosso a te - cerco di giustificarmi, parlando con troppa enfasi, anche perché io non volevo realmente addormentarmi addosso a lui. 
Accenna una risata, e nel bel mezzo del suo sorriso abbassa lo sguardo, per poi puntarlo nuovamente su di me. Ora, essendo stata appena svegliata e probabilmente essendo rincoglionita a più non posso, avrei voglia di dirgli che quando sorride è veramente bello. Non bello come intendono le altre ragazze, ma bello come intendo io, in modo particolare. Ma, ovviamente, tengo queste stupide ed insensate considerazioni per me. Ripeto, mi sono appena svegliata. 
- Tranquilla, non mi hai infastidito - oh, penso, in effetti la tua spalla era veramente comoda! 
Mi tolgo una volta per tutte gli auricolari, indecisa se continuare una conversazione che si preannuncia imbarazzante e alquanto stupida come l'ultima che abbiano avuto - che poi, in realtà, ci vuole coraggio a chiamarla conversazione. Mi preparo a scendere, infilo il telefono e le cuffie nella tasca più vicina e lui, sebbene in modo diverso, esegue gli stessi movimenti, precisi ed integri. Mi alzo dal sedile e nonostante l'ansia persistente, riesco a reggermi al palo più vicino, mentre l'autista fa una di quelle frenate esagerate per fermarsi alla mia fermata. Per fortuna - e molto stranamente - non perdo l'equilibrio e riesco a scendere dal mostrone blu puzzolente e lurido senza tanti problemi, tuttavia non riesco a togliermi di dosso quest'ansia esagerata. Ansia che aumenta esponenzialmente nel momento in cui Mr. Asociale si piazza accanto a me, provocandomi nuovamente quel fastidioso tremolio delle mani ingiustificabile. Nessuno di noi sembra intenzionato a parlare per primo. Solitamente non avrei problemi a farlo - sono esageratamente logorroica - ma questa volta, o meglio, con lui è diverso. Nessuna argomentazione è abbastanza convincente per far parlare un vegetale. Ma, poiché stiamo camminando forse troppo vicini, mi sembra il caso di dire anche la più grande stupidaggine che mi passi per la testa. 
- La tua spalla era piuttosto comoda - dico, senza ragionare, e sento il respiro diminuire sempre di più nei momenti in cui lui non spiccica parola. E ciò non mi piace. 
- Sono felice di aver reso il tuo sonno un po' più tranquillo - oh no, questo non dovevi dirlo. Cerco di inumidirmi le labbra, ma in un men che non si dica tornano secche, come la gola e penso che se parlassi in questo momento sembrerebbe che mi stessi strozzando. 
- Spero che tu sappia che non l'ho fatto di proposito, insomma, non mi addormenterei mai di proposito su uno come te, nemmeno con una spalla comoda come la tua, perché... perché non mi permetterei mai - sto parlando a macchinetta, ne sono consapevole. E ne è consapevole anche lui, considerando il suo sguardo divertito. 
- Come sarebbe uno come me? - una pianta, vorrei dirgli in un primo momento, ma poi faccio spallucce, perché cercare di spiegarmi sarà veramente arduo. 
- Una persona che non rientra esattamente nella mia cerchia, alquanto ristretta, di amici e familiari - rispondo, facendomi i complimenti da sola per la risposta assai convincente e per la qualità innata di saper parlare alla perfezione. La modestia. 
Nicola se la ride ed io mi sto irritando - nonostante sia una risata adorabile. Nessuno deve permettersi di ridere della mia parlantina  e/o dei miei discorsi da persona intelligente, soprattutto un ignorante/vegetale dell'Itis come lui. Perché se c'è una cosa da sapere su Mr. Asociale è che fa l'Itis. Ed ogni persona che frequenti l'Itis è mentalmente inferiore. 
- Perché ridi? - mi ritrovo a chiedergli, domanda più che legittima. Lui, come sempre, mi guarda negli occhi per alcuni secondi e poi, come se niente fosse, sorride in una maniera così dolce da riuscire a farmi sciogliere il povero cuoricino come solo la visione di un piccolo orsetto polare/cucciolo di cane potrebbe fare. Ed in effetti in questo momento, quel sorriso leggero e quegli occhi limpidi mi ricordano enormemente l'espressione candida e dolce di un cagnolino. Per qualche strano motivo, nel giro di nemmeno mezz'ora mi trovo a pensare nuovamente che, visto da vicino, nel suo viso si possa trovare qualcosa di veramente piacevole. 
- Perché sei buffa - detto da qualsiasi altra persona l'avrei preso come un insulto imperdonabile (seguito poi da un ceffone assordante, ovviamente), ma detto da lui, in questo momento, con quel tono di voce me lo fa apparire come il più bel complimento mai ricevuto. Ed è grave, troppo grave, perché sento il cuore che sbatte contro la cassa toracica energicamente, i battiti che aumentano esponenzialmente e un qualcosa che mi stringe lo stomaco che risulta fastidioso quasi quanto i suoi mezzi sorrisi. 
- Non sono buffa, sono solo particolare - sottolineo - e poi tu sei un vegetale. 
Spalanca gli occhi sorpreso per poi dire: - cosa sarei io? 
- Un vegetale. Esattamente come una pianta. Non parli. Sembra che non provi sentimenti. Esattamente come un vegetale - forse sono stata troppo sincera. 
- Mi hai osservato proprio bene - dice con tono ironico, ed io a questa sua affermazione comincio a sentire caldo ovunque, specialmente alla guance. Ed ora, me lo sento, mi verrà un infarto. Nicola mi guarda dritto negli occhi ed io comincio a sventolare una mano a mo' di ventaglio, forse troppo istericamente visto che lui scuote la testa sorridendo. 
- Non ti ho osservato! E' una cosa che si nota, punto e basta - mi rendo conto di essermi appena contraddetta. Oh Bea, avanti, è ovvio che per notare una cosa, devi almeno guardarla! Stupida, stupida, stupida. 
- Ti prometto che ti parlerò di più, ma non ti far venire un attacco di panico proprio ora, non ho fatto il corso di pronto soccorso e non so fare la respirazione bocca a bocca - lo guardo con gli occhi spalancati. Solo l'idea di Nicola che fa la respirazione bocca a bocca a me riesce a farmi partire almeno la metà dei neuroni. Ed è proprio per questo che mi ritrovo a fissargli le labbra esageratamente, tanto da riuscire a immaginarle vicino alla mie; ciò implica un aumento radicale del battito cardiaco già abbondantemente aumentato. Poi rifletto sulle sue parole e giungo alla conclusione che forse è veramente meglio che io mi dia una calmata. Respiro profondamente e riesco a recuperare la ragione. Lo guardo ed annuisco, sorridendo lievemente. 
- Va bene, ma oh, guarda, siamo arrivati a casa, io corro dentro, ciao! - e senza nemmeno dargli il tempo di ricambiare il saluto scappo, letteralmente. Apro freneticamente la porta principale e corro, per poi svoltare l'angolo più vicino. Una volta sicura di esser lontana dalla sua visuale, mi appoggio al muro, sfinita, come dopo le due ore di educazione fisica del lunedì. E solo ora riesco a recuperare un po' il senno, come il respiro, ed un battito cardiaco decente. Mentre fisso la porta azzurrina metallica dell'ascensore - non funzionante, oltretutto - si proietta davanti ai miei occhi il suo viso, con le sue mille imperfezioni, con quegli occhi verdastri in contrasto con la carnagione non chiarissima e quei capelli color cioccolato. Il completo opposto del mio adorato Brian, ma comunque capace di farmi schizzare nuovamente in modo esagerato il battito del cuore. 

1= parlando di ciò, per chi non l'avesse visto, mi riferisco ad una delle ultime scene di "Fast & Furious 6".

SPAZIO AUTRICE
Ciao! Innanzi tutto vorrei ringraziare le persone che hanno aggiunto la storia (sebbene un po' povera per ora) tra le seguite, mi fa veramente molto piacere. Come secondo punto, vorrei sapere cosa ne pensate, se vi sembra banale, scontata o sotto sotto un po' vi piace. Le opinioni altrui per me sono molto importanti, soprattutto quando scrivo. Intanto vi lascio con questo capitolo, alla prossima! :)

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Capitolo 3
*** 3 ***


Corro, corro senza tregua, il respiro corto, la pressione che sale, il sudore che mi cola giù dalla fronte. Ci sono rami a terra, erba secca, qualche albero da schivare. Sono troppo giovane per morire e sono sicura che se quel serpente riuscisse a prendermi per me sarebbe finita sul serio. E così corro, perché è l'unica cosa che posso fare. Poi, in lontanza, scorgo un minuscolo corso d'acqua che potrebbe essermi fatale. Devo pensare prima di raggiungerlo, devo pensare a come poterlo saltare. Non sono mai stata agile, non ho mai avuto alcun tipo di destrezza, me lo diceva sempre la professoressa di educazione fisica ma io, stupidamente, pensavo che i percorsi ad ostacoli che piazzava in palestra non servissero a nulla. Povera stupida, quanto mi sbagliavo. Se solo avessi imparato a farli decentemente, ora riuscire a saltare il fiume non sarebbe un problema. Mancano pochi metri ormai, i muscoli stanno per cedere, ma quando ormai ho raggiunto l'argine del fiumiciattolo, le mie gambe non si fermano ma, anzi, si estendono al momento del salto. Le gambe si allungano, diventano snodabili come quelle di una ginnasta, e pochi secondi dopo sono nell'argine opposto. Atterro con entrambi i piedi, mi volto repentinamente e noto il serpente che si sta avvicinando. Così, senza pensare, con il cuore in subbuglio riprendo la mia corsa per la vita ma, dopo pochi metri, il bosco scompare, come gli alberi, la voce degli insetti, il cielo cupo e compare l'asfalto. Il sole picchia forte, si possono sentire delle cicale cantare; mi guardo intorno confusa, la mente offuscata e poi capisco di trovarmi a San Donà di Piave. Vedo la mia scuola sulla destra, e mi do automaticamente della stupida per non averla riconosciuta subito. Però, oggi, non c'è nessuno, non c'è la solita fila all'ingresso per entrare, non c'è Beppe con i suoi versi né il vigile a smaltire il traffico. Vedo solo una sagoma di fronte a me, immobile e solo dopo essermi abituata alla luce del sole riesco a riconoscerlo: Nicola. Corro verso di lui, non dico nulla, mi precipito soltanto tra le sue braccia. E' la mia ancora di salvezza, lo stringo forte, gli accarezzo la schiena e mi godo il suo abbraccio. Il serpente è un ricordo lontano, ora voglio soltanto godere del dolce profumo della sua pelle. Alzo lo sguardo, i suoi occhi incontrano i miei e, ancora, il mio respiro si fa corto. 

Mi sveglio improvvisamente. Apro gli occhi sconvolta, e solo dopo aver visto la mia chitarra appoggiata in un angolo mi rendo conto che quello era solo un sogno. Uno stupidissimo ed insignificante sogno. Dallo spavento ho tirato su la schiena ma ora, una volta calmata, mi butto a peso morto sul letto e prendo a fissare la finestra sul soffitto, coperta totalmente da una tendina nera che, tuttavia, non impedisce a qualche raggio di sole di entrare. Non avevo mai fatto un sogno simile prima e, attualmente, non capisco se mi spaventi più il fatto di aver sognato un serpente - animale che mi terrorizza - o Mr. Asociale. Probabilmente la prima opzione, insomma, ho paura di ogni cosa che abbia delle zampette luride e pelose (come i ragni) o qualsiasi cosa che strisci (come i serpenti). Però, in quel sogno, Nicola era così reale. E quel profumo che ho sentito... sono sicura che fosse il suo. Basta
Scuoto violentemente la testa e mi stringo alla schiera di peluche posizionati accanto a me, dal più grande al più piccolo, cercando di non pensare più a lui. In questi ultimi giorni, dopo quell'incontro decisamente ravvicinato, sono stata rinchiusa in casa per evitare di vederlo, ma purtroppo la mia mente proietta sue immagini continuamente. E poi, stasera, molto probabilmente lo vedrò. Carlo infatti, compagno di mia mamma nonché amministratore condominiale, ha indetto una cena tra condomini - in garage, specifichiamo -, e, a dirla tutta, non poteva fissarla in un periodo peggiore. Mi alzo dal letto, mi stiracchio un po' ed il mio stomaco comincia a brontolare. La scuola è finita da pochi giorni; quando vado a scuola infatti, la mattina - poiché mi sveglio all'alba - non ho mai fame. Almeno, non così tanto. Mi trascino fino alla cucina ancora mezza addormentata, quando sopra al tavolo - pieno di briciole - noto un post-it giallo con la calligrafia di mia mamma. Me lo giro tra le mani prima di leggerlo scrutandolo come se fosse una bomba, poi leggo: "siamo andati a fare la spesa a Oderzo per stasera, se esci ricordati di chiudere la porta". No mamma, la lascio aperta. E comincio a ridere da sola, come una vera psicopatica. Appallottolo il bigliettino e lo butto da qualche parte a terra, poi con lo stomaco in protesta afferro una confezione di biscotti al cioccolato e mi metto a sbriciolare sul divano, giusto per far imbestialire mia mamma. Che ridere. 
E infatti, al suo ritorno, dopo avermi trovata stesa sulla scena del crimine - cioè il divano - con miliardi di briciole intorno, mi lancia uno sguardo infuocato e giuro di poter vedere il fumo uscirle dalle orecchie. Questo è il momento in cui fa più ridere. 
- Maiale! Quante volte ti ho detto di non mangiare sul divano! Sei un porco! Vai nel tuo porcile! - sbraita. Il mio porcile sarebbe la mia camera, che non è poi così tanto in disordine come lei vuol far credere. Quello è il mio ordine, deve capirlo in qualche maniera. 
- Suvvia, calmati, che sennò ti escono le rughe - le dico, alzandomi dal divano con la solita calma, pronta a rinchiudermi in camera mia fino a stasera, e fino a che non avrò un aspetto decente perché, chiariamoci, dover vedere Nicola per più di cinque minuti mi obbliga a dover essere almeno decente. 
 
E' sera e il caldo persiste. Sono davanti allo specchio, tutto l'armadio è sul mio letto e mia madre, dall'altra parte della porta, mi dice di muovermi. Che poi, per cosa devo muovermi? Per fare due rampe di scale? Finalmente, dopo due ore di prove e provucce ho trovato qualcosa da mettere e, fatto strano, ho un'ansia da non sottovalutare. Mi guardo allo specchio un'ultima volta, esco della mia camera e mi chiudo la porta alle spalle prima che mia mamma possa vedere il casino disumano sopra al letto. Meglio evitare. Sono veramente un fascio di nervi. Il tavolo della cucina è totalmente ricorpeto da vassoi avvolti elegantemente da uno strato di alluminio. Solo a quella vista, capisco che anche io dovrò trascinarmeli per le scale, fino ad arrivare al garage. Il garage poi, è stato addobbato per l'occasione; è stata piazzata una grande tavolata, apparecchiata in modo elegante e sofisticato, per tutti i presenti. Come se poi si potesse trasformare realmente un garage in un elegante ristorante. Missione impossibile. 
- Prendi per favore un paio di vassoi, stiamo scendendo - mi dice Carlo, indicando con lo sguardo le pietanze sopra al tavolo. Ovviamente, scelgo i vassoi più piccoli e più facili da trasportare, anche perché per me fare le scale in discesa è una grande, grandissima sfida. Quando arriviamo in garage adattato a ristorante, Nicola è già là e quando lo vedo rischio di cadere con tutti i vassoi. Mi sbrigo ad appoggiarli sul tavolo, per poi prendere un bel respiro, decisa a mostrarmi tranquilla e a mio agio. Ma, appena lo guardo, appoggiato al muro, con una camicia bianca che va ad evidenziargli l'abbronzatura ed i capelli pettinati come piacciono a me, capisco che restare tranquilla è impossibile perché 1. il cuore ha autonomamente deciso di esplodere 2. lui, ora, mi sta guardando. Mi fa un cenno con la mano accompagnato da un sorriso - bello è dire poco - ed io, scombussolata per chissà quale motivo, decido di ricambiare il saluto cercando di apparire disinvolta. In realtà, mi rendo conto di sembrare solo una marionetta. Le donne, me a parte, si divertono ad organizzare per bene i piatti, poi ci invitano a metterci a sedere. Mi siedo tra mia mamma e la signora del primo piano, la quale mi adora in maniera sconsiderata. L'unica. Di fronte a me c'è Francesco, fratello minore di Nicola - nonché suo mini sosia - ed accanto a lui c'è proprio il peggior nemico della mia mente. Mi ritrovo così a fissare il piatto, perché non ho alcuna intenzione di guardare Nicola né tanto meno suo fratello. 
Si mangia velocemente, parlo poco, scambio due parole con la signora accanto a me, un po' con mia mamma, ma non oso guardare nella sua direzione. Il motivo, sinceramente, non lo conosco. So solo che mi spaventa terribilmente l'idea di poter incrociare quei fastidiosissimi occhi magnetici, così mi limito ad abbuffarmi. Mi abbuffo, ovviamente, finché la cena non finisce e, sebbene per qualche secondo, commetto l'errore di puntare lo sguardo nella sua direzione ed incrocio i suoi occhi. Ecco, proprio questo volevo evitare, perché una volta che comincio a guardarli non smetto più. E questo, come tante altre cose, non mi piace per niente. 
Nicola, dall'altra parte del tavolo, mi fa cenno di seguirlo ed io, anche se vorrei rifiutare, non posso farlo, il mio corpo me lo impedisce. Annuisco, lui si alza ed io cerco di dire a mia mamma: - vado a farmi un giro! 
Ovviamente lei non capisce, ed io mi alzo comunque, affari suoi. Nicola è fermo davanti alla porta azzurra quando lo raggiungo, e non posso evitare di farmi catturare dalle sue spalle perfette, in armonia con il resto del corpo. Mi guarda, e quando sono abbastanza vicina, tra la confusione generale mi sussurra: - ti avevo promesso che avremmo parlato di più. 
E, dopo questa sua affermazione, sento le guance diventare esageratamente bollenti, spero solo che non se ne accorga. Poggia la mano sulla maniglia e me la spalanca davanti, invitandomi a passare per prima. Ed ecco il solito tremolio delle mani. Ci chiudiamo la porta alle spalle, incuranti del resto dei condomini che continuano a discutere tranquillamente e, senza dire una parola (tanto per cambiare), lo seguo come un cane fedele segue il suo padrone. Tira fuori dalla tasca dei jeans - perfetti addosso a lui - un mazzo di chiavi ed apre la prima porta alla sinistra della rampa di scale appena compiuta. Entriamo, ed a far rumore, oltre a quello della porta chiusa, c'è solo il battito incessante ed esagerato del mio cuore. No, non può essere a causa sua. 
- Mi stavo annoiando a morte giù - afferma, scrutandomi mentre abbandona le chiavi sopra al tavolo.
- Decisamente anche io - la risposta più stupida che potevo dare. Ma, come sempre, l'ansia sta avendo la meglio sulla mia razionalità - inesistente, se vogliamo essere sinceri. 
- Ti va di vedere un film? Se vuoi lì ho alcuni dvd, scegli quello che vuoi, io vado a prendere da bere - dice indicandomi un mobiletto lì vicino, ed io mi ritrovo ad annuire sorridendo leggermente, e l'ansia continua a salirmi. Questa probabilmente è l'occasione giusta per darmela a gambe e non farmi vedere mai più e chiudere ogni rapporto con Mr. Asociale - sempre che ci possa essere qualsiasi rapporto con un asociale del genere. Ma, alla fine, ficco il naso in mezzo a dozzine di dvd e, per mia sfortuna, non ne trovo nemmeno uno di Fast & Furious, né trovo grandi classici come Titanic o il bellissimo Orgoglio e Pregiudizio - amo il libro della mia adorata Jane Austen sconsideratamente -, ma in compenso, piazzato in un angolino scorgo Brick Mansions, ed i miei occhi si illuminano. Quel titolo significa solo una cosa: Paul Walker per tutta la serata. E, per chi non lo sapesse, Paul Walker è colui che interpreta il mio adorato Brian O'Conner in Fast & Furious, nonché uno dei miei attori preferiti e uomo che reputo "ideale". Peccato che sia morto. 
Quando Nicola torna, con una serie infinita di bevande, tra cui la birra (oh, bravo), lo fisso con gli occhi spalancati e gli dico: - hai veramente Brick Mansions?! 
- Vuoi vedere quello? 
- Sì! - esclamo, apparendo molto probabilmente come una pazza furiosa, impazzita per l'appunto solo perché godrà della vista di Paul Walker per il resto della serata. Nicola annuisce, si posiziona alle mie spalle ed allunga un braccio per afferrare il dvd. Pochi secondi, il suo petto appoggiato sulla mia schiena, il suo respiro sul mio collo e so che, poco ma sicuro, se non muoio stasera non muoio più. 
- Accomodati pure - mi dice, ed io mi siedo sul divano, mentre lui sistema il dvd. Ci mette qualche secondo e, dopo aver afferrato il telecomando si siede accanto a me. Ha un buon profumo, fresco, che sa d'estate. E' completamente rilassato - a differenza mia - e fa partire il film con nonchalance. 
- Perché hai scelto proprio Brick Mansions? - mi chiede, voltandosi un attimo verso di me. E, considerando la mia parlantina, decido che sarò completamente sincera, tanto peggio di così non può andare. 
- Perché ho una cotta sconsiderata per Paul Walker da quando ero piccola - gli confesso, e lui strabuzza gli occhi, cominciando a ridere. Ecco, questa non se l'aspettava. Mentre ride gli occhi gli diventano minuscoli ed il verde che li contraddistingue per un attimo sembra scomparire del tutto. A quella visione non posso fare a meno di sorridere anche io, e forse posso cominciare a rilassarmi. 
- Beh, in effetti era un gran bell'uomo! - ha appena smesso di ridere, ed ora mi guarda negli occhi, scombussolandomi completamente. Il film è partito, e vorrei farglielo notare, ma probabilmente a lui non importa nulla. Volto lo sguardo verso la televisione e c'è Paul, in primo piano, glielo indico e dico: - bell'uomo è un eufemismo! E' un angelo! 
E continuiamo così per un po' di tempo, continuando a fare commenti su Paul, riguardo i suoi occhi talmente tanto azzurri da sembrare di ghiaccio e rilassandoci finalmente. Poi, mentre i miei occhi si stanno deliziando della vista di un Paul Walker estremamente sexy e spietato, Nicola tranquillamente afferma: - sai, ha un fratello, quello che ha fatto Fast & Furious 7. Potresti farci un pensierino! 
Ed io, così vicina a lui, sorrido e penso di non aver alcun bisogno di un Cody Walker, perché in questo momento privilegio molto di più il ragazzo che è al mio fianco, ma questo non glielo dirò mai, piuttosto preferisco dirgli: - beh, la bellezza l'ha ereditata dal fratello, i soldi pure... quindi direi che si può fare! 
Continuiamo a guardare il film e solo dopo una mezz'oretta di silenzio mi rendo conto che il suo respiro si è fatto fin troppo regolare, così mi ritrovo a fissarlo. Ed il mio cuore, come già successo, si scioglie quando si accorge che Nicola si è addormentato. La testa appoggiata al divano, piegata leggermente verso di me, e sistemato così sembra tanto suscettibile, da ricordarmi un bambino indifeso. Non faccio caso al battito del mio cuore troppo accellerato e gli tolgo gli occhiali, perché penso che così possa dormire meglio. Mi alzo piano dal divano e glieli sistemo sul tavolo, senza far rumore spengo la tv e poi, dopo averlo guardato ancora gli passo una mano sulla guancia, augurandogli una silenziosa buonanotte. 

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Capitolo 4
*** 4 ***


Ancora non mi spiego per quale strano motivo io sia stata così "dolce" ed "apprensiva" nei confronti di un Nicola addormentato, ieri sera. Il punto è che, quando l'ho trovato lì, addormentato come un bambino, non ho saputo resistere. Sembrava così innocente, così indifeso, bisognoso di protezione. E, sinceramente, sarei rimasta lì seduta accanto a lui, a guardarlo dormire in pace con il mondo. 
Solo a fare questi piccoli pensieri tuttavia penso di essere totalmente impazzita. Non ho mai provato nulla, e dico nulla eccetto lo schifo più totale verso le persone dell'altro sesso - Paul Walker non conta, ovviamente. Ed ora, in questo preciso istante, sto cercando di spiegarlo ad Annabarbara, meglio conosciuta come mia migliore amica, che tuttavia dall'altra parte del telefono non sembra proprio afferrare il concetto principale. 
- Secondo me ti piace - afferma, e solo a sentire le suddette parole, sulla mia faccia compare un'espressione di profondo schifo, attenuata solo al pensiero del suo viso. 
- No che non mi piace, brutta sciocca - le dico un po' scocciata - è solo che ho una buona considerazione riguardo lui. 
Sento Annabarbara sbuffare dall'altra parte, lei fa sempre così. Ci conosciamo dall'asilo, o meglio, ci siamo conosciute grazie ai nostri rispettivi papà, amici fin dall'adolescenza. Se ricordo bene, in sedici anni di amicizia abbiamo litigato solo una volta, e proprio quella volta non ci siamo parlate per un mese. La colpa, ad esser sinceri, non era nemmeno la mia, ma di mia mamma. Come sempre. Ma questa è un'altra storia. 
- Che nel tuo caso significa che ti piace - sbuffo, è proprio dura di comprendorio. Scuoto la testa, sarebbe da pazzi pensare che ad una come me possa piacere uno come quel Nicola. Però... 
- Uffa! Non mi piace, non mi piace, non mi piace! - insisto a dire. Poiché sento il bisogno costante di parlare di qualsiasi cosa mi accada e mi riguardi - descrivendo il tutto nei minimi dettagli, senza tralasciare nulla - solitamente non riesco a tenere i segreti per molto, soprattutto quelli importanti, quindi, nel momento in cui insisto a dire "non mi piace", non risulto molto credibile. Ma, per una volta, la situazione riguarda principalmente me, e nessun altro. 
- Oh tranquilla, non ho intenzione di interrompere questa telefonata finché tu, Bea, non confesserai che ti sei presa una cotta grande come una casa per il tuo vicino di casa! 
Annabarbara è sempre stata testarda e caparbia. Non si arrende facilmente, a differenza mia. Se vuole ottenere qualcosa, alla fine ci riesce sempre, a differenza mia. 
Sbuffo, nuovamente, e stranamente me ne resto in silenzio. Il ventilatore gira da destra a sinistra e viceversa da almeno mezz'ora, rinfrescandomi di tanto in tanto, anche se con i ventinove gradi che ci sono solo in camera mia, ciò risulta alquanto difficile. Non dico nulla, ma penso a Nicola e rivivo attimo per attimo la serata vissuta in sua compagnia. Probabilmente, di sotto, nessuno si sarà accorto della nostra assenza, presi com'erano a parlare dei fatti loro. E penso al suo profumo, che assomigliava tanto a quello del sogno, che mi ha ricordato il forte odore dei fiori del vecchio giardino di mia nonna, in Sardegna. E penso anche al fatto che non sarebbe poi così male stringermi a lui come in quel maledetto sogno e lasciarmi assuefare dal suo profumo. Ma questo, ahimè, non posso dirlo ad Annabarbara, perché in fondo andrebbe a dimostrare la sua tesi nella quale si afferma che io, Beatrice Pavan, abbia "una cotta grande come una casa per il mio vicino di casa". 
- Allora dovrai rimanere in linea per molto tempo, perché io non confesserò un bel niente! - sbraito - e poi cosa vuoi che me ne importi, tanto paghi tu. 
Annabarbara comincia a ridacchiare e dice qualcosa che non riesco a capire e che, sinceramente, non ho nemmeno voglia di capire. Alzo una gamba su, poi la ributto giù, lancio i peluche giù dal letto e faccio tremila giravolte sopra il lenzuolo immacolato, tutto mentre la mia migliore amica mi racconta dei fatti accaduti nella sua città - distante dalla mia oltre quattrocento chilometri -, ed io rido nei momenti giusti, faccio domande ma non mi dimostro realmente interessata. Perché oggi, si sa, ho la testa altrove. Ma non è un altrove sconosciuto, è un altrove vicino, un altrove molto vicino. 
- Bea? - mi chiama Annabarbara - sei ancora lì? 
- Mh? Sì, scusa - le rispondo, ora presa a fissare il soffitto/finestra - ti spiace se ci sentiamo più tardi? 
E alla sua risposta negativa, dopo un'ora e qualche minuto di telefonata finalmente stacco. Solitamente parlare con lei mi fa più che piacere, ma oggi i miei pensieri sono troppo prepotenti, e la mia attenzione è totalmente concentrata su di essi. Guardo il cellulare, inserisco la password (la data di nascita di Paul Walker, poco fissata mi dicono) e noto una miriade di notifiche, che, oltretutto, di solito non ho. Le prime sono tutte di Whatsapp, il gruppo della classe. Non ho la minima intenzione di controllare quei messaggi, ovviamente. La seconda è una richiesta di aggiornamento per alcune app (27 aggiornamenti? E' uno scherzo?) ma è la terza a catturare la mia attenzione, un messaggio di Facebook. Quello sì che decido di aprirlo! Quando lo apro ovviamente, a vedere il nome di chi l'ha mandato, mi viene un piccolo infarto. E' proprio lui, Mr. Asociale! Essendo nel panico più totale e non capendo più nulla, decido che sia meglio prima respirare di leggere. Ma poi, come al solito, mando a quel paese i miei buoni propositi e mi precipito a leggere, con le mani tremolanti tanto da riuscire a malapena a tenere il telefono in mano: 
"Ciao! Quando i miei ieri sera sono tornati a casa, mi hanno trovato addormentato. Inutile dirti che quando mi hanno svegliato mi sono chiesto dove fossi finita, e soprattutto per quale motivo fossi senza occhiali (all'inizio nemmeno li ritrovavo, ad esser sincero). Quindi, grazie per avermi garantito un sonno un po' più comodo, se così lo vogliamo definire e scusa, perché ti avevo promesso di parlare, ma alla fine mi sono addormentato. Ho intenzione di recuperare, comunque." 
Fisso il cellulare immobile, lo stomaco sottosopra e gli occhi spalancati. Nicola, questa volta, mi ha veramente sorpresa perché 1. quello non sembra veramente un messaggio scritto da un vegetale 2. ho una voglia matta di rivederlo. Fisso la tastiera del mio smartphone, devo assolutamente rispondere qualcosa, qualsiasi cosa che non mi faccia apparire più fuori di testa di quel che sono realmente. Ma suvvia, chi vogliamo prendere in giro, io sembrerò sempre e comunque una malata mentale!
Comincio a digitare piano, scrivendo in un italiano fluido e pulito: 
"Ehi!" - ehi? - "scusami se sono scappata senza salutare (in realtà ti ho salutato, ma non te ne sei accorto), ma non volevo interrompere il tuo sonnellino. Per il resto, figurati. Ho fatto ciò che avrebbe fatto piacere a me. E così hai intenzione di recuperare? Beh, chi ti dice che io voglia?
Bene, sto riflettendo sul fatto che io non abbia mai risposto così a nessuno, nemmeno alla mia migliore amica. E questo è veramente tutto. 
Nicola, dal canto suo, non impiega molto a rispondere, anzi, appena l'icona della sua chat si illumina, il cuore fa i bagagli e decide di andarsi a fare una passeggiata perché, detto tra noi, è proprio stanco di sbattere contro la cassa toracica a causa di un certo Nicola - e, in un certo senso, ci spero ancora che il mio battito eccessivamente accellerato non sia causato da lui. 
"Se non avessi voglia probabilmente non avresti nemmeno risposto, o almeno non avresti fatto alcun commento sulla questione. Approfittiamo del vento e andiamo a farci una passeggiata... tra dieci minuti qua sotto? Ti aspetto"
E a questo punto non mi disturbo nemmeno a rispondergli, perché, credetemi, è già tanto che io sia ancora qui, viva e vegeta a parlare. Non riesco a realizzare ancora il fatto che Nicola, Mr. Asociale 2015, colui che ha milioni di amiche (tutte simili a modelle), colui che, da quando vivo qui, non ho mai trovato particolarmente simpatico, mi abbia appena detto di andare a fare una passeggiata con lui. Ora, ora sì che sono nel panico! Sto per avere una crisi isterica, e non solo perché devo effettivamente uscire con lui, ma anche perché non riesco a controllare il mio cuore imbestialito e le emozioni che vanno per i fatti loro, è questo perciò che mi fa sentire tremendamente, immensamente stupida. 

Dieci minuti dopo quel messaggio, nonostante il trucco sfatto ed i capelli impazziti, mi trovo davanti al mio condominio, profondamente convinta che Nicola si stesse solo prendendo gioco di me e perciò oggi, qui, non si presenterà. In teoria non dovrebbe importarmene nulla - anche perché non l'ho invitato io ad "uscire" -, in pratica, invece, m'importa e per questa ragione mi sento ancora più cretina, imbecille e chi più ne ha più ne metta. Ma i miei dubbi e le mie paure si placano nel momento esatto in cui vedo Nicola uscire da casa sua, con un paio di occhiali da sole a specchio a coprirgli gli occhi una maglia attillata che lascia ben poco all'immaginazione. Si avvicina, e per ogni suo passo il ritmo del mio cuore aumenta di un battito. E comincio a sentire un caldo infernale, picchia proprio forte il sole oggi - certo, il sole. 
- Pensavi che ti avrei dato buca? - ora mi leggi nel pensiero?, penso.
- Sinceramente sì - e lui comincia a ridere. Ecco, cominciamo bene la nostra "passeggiata". Per evitare di far trapelare qualsiasi emozione diversa dallo schifo dal mio viso - impresa assai ardua -, lo guardo impassibilmente e lui, improvvisamente, smette di ridere. Colpito e affondato. 
- Ma sono qui!
- Taci - e comincio a camminare. Il mio giochetto da "mi fai terribilmente schifo" sembra funzionare alla perfezione, poiché Nicola cammina accanto a me - tenendosi tuttavia a circa uno o due passi di distanza - senza emettere parola. Sorrido tra me e me, in fondo mi piace tenerlo in pugno.
- Dov'eravamo rimasti dunque, ieri sera? - lo interpello, senza chiedergli la direzione che stiamo prendendo, tanto non m'importa. Il venticello che si scontra con la pelle risulta piacevole, a contrasto con il sole che picchia forte, che colora, che in fondo rende tutto un po' più felice. Nicola - o dovrei dire il Vegetale - si toglie gli occhiali ed i suoi occhi, illuminati da questa potente luce del sole, risultano ancora più verdi, ancora più lucenti, ancora più espressivi. E, come al solito, inizialmente non dice nulla, ma mi guarda e basta. Questo suo comportamento, questa apparente riflessione sulle parole, mi dà sui nervi; sarà perché io, quando devo dire qualcosa, la dico e basta, senza pensare tanto. 
- Ti sei accorta nuovamente della mia esistenza? - vorrei dirgli che per quant'è bello sarebbe difficile, veramente difficile, non accorgermi di lui, ma preferisco evitare. Questo suo commento, acido ma che contempla la realtà allo stesso tempo, in un certo senso mi tocca. 
- Come se potessi non accorgermi della tua esistenza - e glielo dico quello che penso, perché la mia lingua e il mio istinto non hanno mai un freno. Nicola inarca le sopracciglia, apre leggermente le labbra e non dice nulla, ma lo vedo che è sorpreso. Non chiede spiegazioni, mi scruta, se le cerca da solo, come se le parole fossero superflue. Tuttavia, per una come me, le parole non sono mai superflue. 
- Smettila di guardarmi così, ti prego. Non ti piace parlare? 
- No.
- L'avevo notato - e mi sorride dolcemente, mentre continuiamo a camminare vicini ed io mi concentro su ogni particolare del suo viso. Cos'è che mi attrae tanto? Non ha gli occhi azzurri - come quelli di Paul, ah -, non è biondo - come Paul, ah -, non ha il sorriso angelico che va da un orecchio all'altro - come Paul, ah -, ha la carnagiano scura - non come Paul, uffa - ed infine non sembra avere alcuna passione eccetto il silenzio. Cosa ci può essere d'interessante in un ragazzo apparentemente vuoto dentro? 
- Parlami di te - gli dico, perché voglio sapere se esiste una qualche fiamma al suo interno. 
- Sediamoci - mi indica una panchina, immersa in un prato verde, con qualche bambino che gioca qua e là. Si siede, appoggia gli occhiali sulle sue gambe e mi guarda, mentre mi siedo accanto a lui; poi sposta lo sguardo altrove, si guarda intorno, tra gli alberi, le case e le persone che passano. 
- Vuoi che ti parli di me, giusto? - annuisco - sono dell'opinione che se vuoi scoprire qualcosa riguardo una persona, tu debba analizzarla. E lo stesso vale quando qualcuno vuole scoprire me, infatti preferisco che tu mi scopra volta per volta, se ti rivelassi tutto ora non ci sarebbe più alcun gusto a giocare, o sbaglio? 
Non ha tutti i torti, in effetti. Mi guarda negli occhi. I suoi occhi verdi sembrano confondersi con i miei insignificanti occhi marroni. E perdo il lume della ragione. 
- No, non sbagli affatto - sospiro, e distolgo lo sguardo dal suo - ma voglio sentirti parlare, tutto qua. 
- Perché? 
- Perché mi piace la tua voce - glielo dico, senza tanti peli sulla lingua - la stessa lingua che poco dopo mi mordo. Mi piace sentirlo parlare, per la prima volta preferisco ascoltare qualcuno piuttosto che parlare a qualcuno. E glielo dico guardandolo negli occhi, quasi sfidandolo.
- Allora ti dirò tutto ciò che vorrai sapere.
Vorrei sapere tante, troppe cose su di lui. Innanzi tutto vorrei chiedergli per quale motivo la mia mente, il mio corpo ed ogni mio senso sia attirato da lui. Ecco, a questo non penso che saprebbe rispondere - ricordiamoci che è pur sempre lui! 
- Perché parli così poco? - gli chiedo, guardandolo con la coda dell'occhio, come se fossi superficiale a tutto, persino alla sua risposta. 
- Chi te lo dice che parlo poco? - chiede mentre il vento gli smuove leggermente i capelli corti - a me piace parlare... solo con le persone giuste. 
E dopo che l'ha detto, lo guardo per qualche secondo negli occhi, il mio sorriso sarcastico si spegne e mi rendo conto di esser dispiaciuta. Stacco gli occhi dai suoi e guardo i bambini che corrono, felici, spensierati. Oh, quanto vorrei anche io esser spensierata, giocare con le barbie e guardare i cartoni animati - in realtà li guardo ancora, ma dettagli. Invece io, dal basso della mia stupidità, siedo accanto a questo Nicola, con la mente più offuscata del mio paesino in un giorno di nebbia, e per la prima volta non parlo. Tanto, che senso ha parlare con qualcuno che non è interessato a parlare? Semplice, non ha senso. Così mi alzo e, senza proferire parola, e comincio ad incamminarmi verso casa, decisa a non voltarmi. Per chi non l'avesse capito, anche io so essere testarda, se m'impegno. Ma dopo pochi passi Nicola, con una grazia inesistente, mi prende per un braccio obbligandomi a fermarmi. 
- Perché te ne vai? - mi chiede, mentre smuovo violentemente il braccio, cercando di togliermelo di torno una volta per tutte. Che cretino! Che odio! Che... che tutto!
- Lasciami immediatamente! Ognuno fa quel che vuole! Vattene a parlare con i tuoi amici e lasciami in pace, Vegetale - gli urlo, e lui prende a fissarmi con uno sguardo a metà tra lo sconvolto e il divertito. I miei nervi non ne posso più, ed ora ho solo voglia di andarmene a casa, mettermi a guardare Fast & Furious - che mi dà sempre la carica - e non uscire di casa mai più. Tuttavia c'è qualcosa che mi impedisce di farlo, ed è qualcosa che capisco in fondo solo ora. Il cuore che batte a dismisura, le mani tremolanti, l'incertezza nel parlare e quella ricerca continua dei suoi occhi, del suo sorriso: mi piace. Sì, Nicola mi piace nonostante io non sappia nemmeno cosa significhi "avere una cotta per un ragazzo". Probabilmente sto vaneggiando, probabilmente è tutto un sogno - come quello di ieri notte -, ed io nella realtà non provo esattamente nulla per il mio bellissimo vicino di casa. Ma, giusto per dare una maggiore prova della mia instabilità mentale, sbotto: - Possa l'ira funesta degli dei immortali cadere su di te! 
Sì, tutto normale. Soprattutto per una studentessa del liceo classico fissata con la cultura greca. Ma, per un troglodita ignorante, questa è l'ennesima prova dei miei vaneggiamenti... e forse di un po' d'interesse. 
- Non mi dire che ci sei rimasta male per quello che ho detto prima - sta per ridere, glielo leggo in faccia, e tra poco anche le mia mano libera riderà, soprattutto dopo che si sarà schiantata contro quel suo adorabile, perfetto viso. Prendo un respiro profondo, mi mordo violentemente il labbro, cerco di non mostrare il mio evidente nervosismo. Poi lui riesce, come spesso ormai, a calmarmi, a scombussolarmi, e chi più ne ha più ne metta. Finalmente mi libera il braccio, si avvicina di poco e mi appoggia una mano sulla guancia, delicatamente, e con dolcezza me l'accarezza, mentre tra di noi viene a crearsi un gioco di sguardi. Nicola, vorrei dirgli, cosa ti prende? 
- Non volevo offenderti - sussurra, ed io scuoto la testa e facendomi prendere da chissà quale forza, la mano che tiene appoggiata sulla mia guancia gliela afferro, e la stringo nella mia. Fisso l'unione delle nostre mani, così diverse, incompatibili, esattamente come me e Nicola. Ma unite. 
Non ho mai capito la matematica - e mai la capirò -, però so una cosa: due rette parallele non possono incrociarsi. Ma, visto che delle leggi matematiche non mi è mai importato nulla, continuo a stringere la mano di Nicola e, nel mio piccolo, so di aver annullato uno dei principi della geometria. 

ANGOLO AUTRICE
Salve! Più che angolo autrice questo dovrei chiamarlo angolo dei ringraziamenti perché, anche oggi, vorrei ringraziare chiunque legga questa storia! Un bacio, al prossimo capitolo. 

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Capitolo 5
*** 5 ***


Attualmente, ciò che sto facendo, è fissarmi la gonna del vestito ad occhi spalancati. Gli occhiali da sole mi scivolano lentamente giù dal naso - trainati un po' dal sudore, un po' dal fatto che io sia con la testa rivolta verso il basso. Ecco, per l'appunto, la mia gonna è completamente bagnata, perché qualcuno ha deciso di versarmi un bicchiere d'acqua addosso, gelata poi. Quindi sono un paio di minuti che fisso il mio indumento sconvolta, perché io odio avere i vestiti bagnati. Si dia il caso infatti che io consideri i miei vestiti più o meno come figli. E questo dovrebbe spiegare tutto. 
- Dai, c'è caldo, se magari andiamo al sole si asciuga - bel tentativo, ma non funziona così, almeno non con me. Mi concedo di staccare gli occhi dalla mia gonna per fulminarlo con lo sguardo. Bastardo, brutto, bruttissimo bastardo che non è altro! 
- Ti prego non mi uccidere - continua, ed ora mi viene un po' da ridere, un po' per la situazione, un po' per la mia faccia, un po' perché lui è l'ultima persona con cui pensavo di poter passare un pomeriggio di fine giugno. Però non rido, ed il motivo è semplice: 1. se ridessi, smetterebbe di prendermi sul serio, 2. se ridessi, farei cadere la maschera da persona dura e inflessibile - che in realtà non sono. 
- Dai Bea, se vuoi te l'asciugo io!
- Prova ad avvicinarti e giuro che ti mollo una sberla che ti faccio rimanere stupido più di quanto tu non sia già! - e qui è lui che comincia a ridere. La sua risata, a differenza di quella di tutti gli altri, è piacevole e non dà sui nervi: non ha una risata rumorosa e fastidiosa, né una risata asmatica - tipo la mia -, ma una delicata, non troppo pronunciata, non una di quelle che attirano inevitabilmente l'attenzione. Però a me piace, soprattutto perché è la sua. Mentre lui ride, io non posso fare a meno di ridere. 
- Sono perdonato? - dice, smettendo di ridere improvvisamente. Ed io, ormai con il cervello da un'altra parte, gli sorrido e gli sussurro: - perdonatissimo. 
- Dai, andiamo da un'altra parte!
Ecco, questa è una di quelle giornate che posso definire "perfette". Per chi non l'avesse capito, la persona con cui ho battibeccato fino ad ora - dei battibecchi gentili, dai - è Nicola, ed ora mi sta camminando accanto, sventolandosi freneticamente una mano per togliersi il caldo di torno - alquanto improbabile, poiché sono le tre del pomeriggio. Non abbiamo più parlato di quelle nostre strane "effusioni" di quel giorno, al parco. Il fatto che non ne parli, tuttavia, non significa che quelle sue carezze non mi siano piaciute, anzi, solo che penso sia un argomento decisamente troppo imbarazzante, perché in quel momento, in quell'ambito, sembravamo decisamente una coppia di giovani innamorati, anche se non lo siamo. Ora lo sto guardando, ma lui non sembra accorgersi di nulla, così preso dai suoi pensieri - privi di significato, probabilmente -, e devo dire che guardarlo mi piace. Soprattutto se non se ne accorge. 
- Smettila di guardarmi, scema - sospira - piuttosto guarda dove metti i piedi!
Beccata. Gli faccio la linguaccia e continuo a camminare nelle strade di Ponte di Piave, vuote a quest'ora. Ponte di Piave - meglio conosciuto da tutti come "Ponte" - è un minuscolo paesino privo di ogni significato, con un'alta presenza di smog (quasi peggio di Padova), in cui si possono trovare circa quindici bar nel giro di cinquecento metri, un fiume verdastro (che sarebbe il Piave) e gente decisamente poco interessante. Il sole rende l'asfalto rovente, e solo il contatto tra la suola delle mie converse e il terreno mi fa bruciare i piedi. Non è una bella sensazione. Affatto. 
- Ci siamo concentrati sui punti filosofici del conoscere una persona, ma alla fine non so nemmeno quale sia il tuo colore preferito - ed è la verità. Non so quale sia il suo colore preferito - anche se, effettivamente, non è un'informazione vitale -, mentre il mio penso sia abbastanza intuibile. 
- Ho due colori preferiti: il bianco e il nero - ma certo, è ovvio, è juventino - ed il tuo?
- Il verde - come i tuoi occhi, sarebbe da dirgli, ma mi prenderebbe sicuramente per una maniaca, che poi non sono. O forse sì. 
- Film preferito? - procedo con l'interrogatorio, tanto ormai abbiamo cominciato. Ed in fondo, ma molto in fondo, non è per niente male scambiare due parole con lui così, scherzosamente. 
- Una notte di leoni. Tutta la trilogia - e quasi mi strozzo quando me lo dice. Mi batte una mano sulla schiena (serve a poco, caro Nicola), e tra la tosse cerco di riprendermi. Beh, la mia reazione è più che legittima. Potrei esporre per due ore i motivi per cui io e questo film non andiamo esattamente d'accordo: 1. c'è Justin Bartha (che è un gran figo), ma è come se non ci fosse 2. è un film per dementi totali (come Nicola) 3. se il mio futuro marito avesse amici del genere, lo mollerei seduta stante. 
- Dai! E' in testa alla classifica dei film più stupidi del decennio! - Nicola se la ride, perché probabilmente lui non pensa che lo sia. Insomma, se lo pensasse sarebbe un po' come darsi automaticamente dello stupido. E non sbaglierebbe totalmente. Peccato che sia uno stupido molto, molto, bello. 
- E sentiamo, miss, qual è il suo film preferito? - oh, è qui che ti volevo. Sorrido maleficamente e, dopo essere piazzata uno sguardo fiero e solenne dico: - Fast & Furious. Tutti e sette. 
- Ah cavolo, che film! Trasmette principi importanti, valori della vita... ma dai, chi vogliamo prendere in giro! - e lo fulmino con lo sguardo. Perché nessuno, nemmeno Mr. Asociale meglio conosciuto come Nicola, può criticare la mia saga di film preferita.
- Beh, la fratellanza, l'amicizia, l'amore per la famiglia sono valori da niente, no? - sto diventando acida, il mio tono di voce sta diventando acuto come quello di una bambina e so che presto, molto presto, Nicola se ne renderà conto e allora cominceremo a battibeccare. In questo periodo, in effetti, io e Nicola abbiamo battibeccato spesso, perché i nostri non possono definirsi propriamente litigi. Ecco, sono simili a quelli che ho durante l'anno con il professore di matematica, con l'unica differenza che Nicola un po' (ma solo forse) mi piace. O almeno mi piace la faccia che mostra quando è con me. Tuttavia resta uno dei pochi ragazzi con il quale io riesca a parlare senza molti problemi.
- Suvvia, questi valori li abbiamo trovati solo nel settimo, e sono sicuro che se Paul non fosse morto il film sarebbe stato completamente diverso! - ora la mano mi pulsa, più di quello che dovrebbe pulsarmi. Ciò significa solo una cosa: tra poco gli darò un sonoro schiaffo, e tutto ciò perché ha nominato l'unica persona che non doveva nominare in vano (cioè Paul). Se ne accorge che in questo preciso momento vorrei ucciderlo. Quindi accantono ogni fantasia nascosta riguardo il fatto che vorrei stare tra le sue braccia - come nel famoso sogno - e, solo dopo aver preso la carica, gli mollo una manata sul braccio talmente tanto forte da lasciargli il segno. Sul suo braccio abbastanza scuro infatti si può notare l'immagine di cinque dita colorate di rosso, molto nitide oltretutto. 
- Aia! - si massaggia il punto della botta - tu sei completamente pazza! Cos'ho detto di sbagliato? 
- Hai nominato Paul, in vano! - i suoi occhi mi scrutano, non si staccano dalla mia faccia. Ecco, il suo sguardo mi trasmette suggestione, mi spaventa e comincio a sudare freddo. Inevitabilmente. Ormai sembra che sempre, in sua presenza, il mio corpo debba ribellarsi. Il cuore, i polmoni, lo stomaco, il fegato, i reni, ogni organo ed ogni muscolo del mio corpo è completamente in subbuglio, preso da una frenesia improvvisa ingiustificabile, e tutto nel corpo si smuove, come se al suo interno ci fossero insetti di ogni tipo con grandi pungiglioni fastidiosi. Soprattutto, quando lui mi guarda in questo modo, sembra che il mio cuore stia urlando, e nonostante tutto vorrei che mi guardasse così per sempre. Mi piacciono i suoi occhi, soprattutto quando illuminati dal sole - come in questo momento -, mi piace la forma che hanno, mi piace il mondo in cui li socchiude per guardare intensamente, mi piace il fatto che riescano a farmi sentire piccola piccola e a mio agio contemporaneamente. E giuro che non vorrei guardarlo così ossessivamente negli occhi - anche perché una volta ho letto che se due persone si guardano negli occhi per più di dieci secondi significa che vogliono fare sesso insieme, ed io non sono molto sicura di voler fare sesso con lui, insomma -, ma sono come una calamita, ed il fatto che io lo stia fissando così da almeno trenta secondi mi spaventa. E quindi punto lo sguardo altrove, sebbene mi dispiaccia, ed è allora che lo vedo, un piccolo insetto simile ad una zanzara che gli passeggia allegramente sul collo, mentre lui è ignaro di tutto. Allungo una mano - per quanto mi è possibile, considerando la sua altezza - e gliela appoggio delicatamente sul collo (per togliergli la zanzare eh). Lui non si muove inizialmente - e nemmeno la mia mano -, ma poi mi ritrovo a farfugliare qualcosa simile a "hai un insetto sul collo", balbettando, ovviamente. Nicola, in tutta risposta, si avvicina troppo in troppo poco tempo, facendomi sobbalzare. Giuro, vorrei togliere la mia mano dal suo collo - tanto ormai la zanzara sarà morta -, ma con lui così vicino sento di dovermi tenere, perché rischio veramente di svenire. Ecco, soffio al cuore, ribellati e trasformati in una malformazione cardiaca che mi provocherà un infarto in un'età precoce, così la finiamo qui! Ma, ovviamente, non muoio - purtroppo - e Nicola comincia a sussurrare qualcosa, con le labbra talmente tanto vicine al mio orecchio da riuscir a sentirne il calore. Non mi tocca, ma è come se le sue mani fossero ovunque. E mi auguro solo che questa vicinanza esagerata non gli permetta di sentire il mio battito cardiaco esagerato. 
- Dovremmo smetterla di guardarci in quel modo - e tu dovresti smetterla di farmi impazzire così, penso, ma sai non si può avere tutto dalla vita! Ed ecco, appena mi allontano di qualche passo da lui, provo l'inevitabile sensazione di vuoto e per un attimo, un minuscolo, quasi inesistete attimo, penso di aver bisogno di stare vicino a lui. 

L'ultima volta che ho provato qualcosa di così simile sconvolgente ed emozionante allo stesso tempo è stato al concerto dei Muse, nel luglio del duemila tredici. Ma ricordiamo che i Muse sono i Muse, e che le loro canzoni sono da pelle d'oca. Invece Nicola, al contrario del trio inglese, è un normale essere umano che apparentemente non ha nulla di speciale, anzi, sembra avere qualcosa in meno. Eppure, contando la sua immensa stupidità ed il suo essere così naturalmente scemo, mi fa comunque girare la testa. Letteralmente. Se infatti penso a lui - come in questo momento -, la testa comincia a farsi pesante e tutto intorno comincia a girare. Inizialmente, da brava fissata che sono con le malattie, ho pensato di avere qualcosa di simile ad un tumore al cervello, poi mi sono resa conto che a pesare erano soltanto i miei pensieri. E probabilmente, se ora fossi a scuola, starei con la testa appoggiata sul banco, la faccia schiacciata, gli occhiali spostati e la mente altrove. Tutto durante l'ora di scienze, ovviamente. Ma, purtroppo, sono seduta in una sedia decisamente scomoda ad addentare un hamburger grande quanto tutto il mio stomaco in un locale americano in pieno stile anni cinquanta. Tutto ciò a qualche decina di chilometri da casa (e da Nicola), ed in compagnia dei miei (oh che gioia) e della loro fidata compagnia di amici. Tutto sommato, l'hamburger è veramente buono, sembra sciogliersi in bocca. Anche il locale, alla fine, non è poi così male. Ci sono bandiere americane ovunque, le pareti sono in legno, tappezzate di foto che ritraggono pin-up, Elvis Presley e Beatles, anche le cameriere sono molto graziose, vestite di camicie in jeans e bandane rosse. Ed è strano che mi piaccia un posto così tanto alla prima visita, se consideriamo il fatto che sono dovuta andare a Roma sedici volte prima di farmela piacere sul serio. E penso che sarebbe una cosa carina scrivere un messaggio a Nicola, dirgli che mi farebbe piacere se anche lui vedesse questo posto così confortevole, ma poi mi ricordo che purtroppo - o per fortuna - non abbiamo quel tipo di rapporto. 
- Bea, allora, come sono andati gli esiti finali? - mi chiede Susy, l'amica di mia mamma, mentre mangia qualcosa di sconosciuto ma che appare certamente appetitoso. 
- Mi hanno rimandato - e quasi si strozza. Questa sono sicura che non se l'aspettasse. Ebbene sì, la sottoscritta è stata rimandata in greco, perché di greco quest'anno non ho veramente capito niente. Però, poteva evitare di mandarmi a settembre con un piccolissimo cinque e mezzo, considerando i bei voti nelle altre materie. La mia faccia quando ho visto gli esiti appesi in una parete della mia scuola è stata certamente strana: inizialmente pietrificata, poi sorpresa, poi tremendamente divertita. Insomma, quel "sospeso" accanto al nome "Pavan Beatrice" mi è sembrato un po' uno scherzo. Ma quando mi sono resa conto che non lo era, ho cominciato a ridere. 
- In cosa? - in diritto, vorrei dirle, giusto per vedere se ci crede. 
- Greco - rispondo masticando l'enorme hamburger. Ancora. 
- Mi dispiace - sembra essere veramente dispiaciuta per questa mia "caduta di stile", ma purtroppo non sono un genio e, probabilmente, mai lo sarò.
- Anche a me - e chiudo la conversazione, perché non mi è mai piaciuto svelare i miei voti agli altri, mi innervosisce (tanto per cambiare). E così torno a pensare a Nicola, tanto ormai faccio solo quello - no, non mi preoccupo per greco. Penso che a volte, la maggior parte delle volte, riesca a farmi saltare i nervi peggio di Lewis Hamilton che vince un Gran Premio - si provi ad immaginare la mia gioia perciò dopo ogni Gran Premio -, insomma, con quelle sue affermazioni da perfetto imbecille, con quel suo tono da sotuttoio ed il suo atteggiarsi da bambino che ha perso la mamma, eppure, strano ma vero, non lo cambierei di una virgola. E non ho mai sopportato le persone troppo diverse da me, ma ora, con l'odore delle patatine fritte sotto al naso, mi lascio trasportare - per una volta - da ciò che mi dice quella vocina stridula dentro di me, e comincio a fissare il muro come una demente, solo perché pensare a Nicola è bello perché, nonostante ora fuori stia piovendo, dentro di me splende il sole.

ANGOLO AUTRICE 
Ciao, a chiunque si diletti a leggere questa sottospecie di storia! Come al solito, ringrazio chi si prende la premura di leggere questo mio particolare esperimento, ma in secondo luogo ci terrei veramente tanto a sentire qualche opinione in più. Potete anche dirmi: "ehi, è una cagata assurda!", è pur sempre un'opinione. Sì, insomma, cosa ne pensate dei personaggi, della storia in sé o quello che volete. Al prossimo capitolo!

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