Più forte di prima di Anonimadaicapellibiondi (/viewuser.php?uid=595524)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** A nessuno interessa il mio dolore. ***
Capitolo 2: *** Sono così triste stanotte. ***
Capitolo 3: *** Mai dimenticare chi sei. ***
Capitolo 4: *** Semplicemente stanca di tutto. ***
Capitolo 5: *** Portatemi da qualche altra parte. ***
Capitolo 6: *** Per una volta, vorrei solo che a qualcuno dispiacesse di avermi persa. ***
Capitolo 7: *** Ho dimenticato cosa significasse essere felici. ***
Capitolo 8: *** Parigi, la città dei miei sogni. ***
Capitolo 9: *** Il tuo viso è come una melodia. ***
Capitolo 10: *** E siamo semplici bambini innamorati. ***
Capitolo 11: *** Si, ho fatto degli errori. Ma la vita non esce con le istruzioni. ***
Capitolo 12: *** Un giorno tutti i miei sogni diventeranno realtà. ***
Capitolo 13: *** Eri tutto ciò che credevo di conoscere. ***
Capitolo 14: *** Dipendente da sentimenti e ricordi. ***
Capitolo 15: *** Non mi dimenticherò di noi. ***
Capitolo 16: *** E questa la chiami vita? ***
Capitolo 17: *** Fino a che rimani sarai tu il migliore dei miei mali. ***
Capitolo 18: *** Siamo giovani. ***
Capitolo 19: *** Io non ti dimenticherò mai. ***
Capitolo 20: *** Quando sei uscita da quella porta, una parte di me è morta. ***
Capitolo 21: *** Voi mi rendete felice. ***
Capitolo 22: *** Un anno fa, non mi sarei mai aspettata di vivere questa situazione. ***
Capitolo 23: *** Io la amo, non la lascio andare. ***
Capitolo 24: *** Sei tutto ciò che ho. ***
Capitolo 25: *** Niente dura per sempre. ***
Capitolo 26: *** Guarda sempre il lato positivo della vita. ***
Capitolo 27: *** Ama ogni singolo minuto della tua vita. ***
Capitolo 28: *** Il passato sa tornare a galla. ***
Capitolo 29: *** Mi piacciono i tuoi occhi, dentro c'è il mio lieto fine. ***
Capitolo 1 *** A nessuno interessa il mio dolore. ***
Cap1
Fumai
l'ultima sigaretta poi la gettai nel tombino.
-Vai
di fretta,Amber?- disse Dylan mettendo un braccio sopra le mie
spalle.
-Si,
parecchio- risposi io schiva
-Vai
a farti di eroina anche oggi?-
-stai
zitto..- alzai gli occhi al cielo pregando che si allontanasse il
prima possibile.
Si
mise a ridere mentre io avrei voluto piangere. Per tutti ero "Amber
la drogata", "Amber la svitata", "Amber la
sfigata". Ma solo io sapevo come stavano veramente le cose.
La
storia della droga è cominciata qualche anno fa quando per curiosità
decisi di provare. Poi però non riuscii più a smettere. Non credevo
di diventarne dipendente. Iniettarmi qualcosa nelle vene, sentirne
l'effetto e la sensazione quando finisce. Sentirne il continuo
bisogno, la voglia di averne sempre di più ...poi ho iniziato a
vederne i risultati. Il mio corpo era cambiato, io ero diversa. Così,
con l aiuto di mia madre e di un centro di cura sono riuscita a
disintossicarmi. Ma resto lo stesso per chi mi conosce "la
drogata". E questo mi fa male. La droga mi aveva fatto perdere
molte cose di me, molte persone. Gli amici mi avevano abbandonata,
ero dimagrita, trascuravo la scuola. Il fatto di aver perso tutti i
miei amici mi distruggeva, non mi parlavano più. O meglio, lo
facevano, ma solo per prendermi in giro. Perchè sapevano che l
argomento "droga" mi faceva star male. Dylan infatti ogni
volta che mi vedeva nominava l'eroina per ricordarmi tutte le volte
che gli davo buca per andare a farmi. Io non reagivo più perchè
tanto a nessuno interessava se stavo male. A nessuno interessava il
fatto che ero guarita e che la droga faceva parte del mio passato e
che volevo riprendermi tutto ciò che mi essa mi aveva tolto: amici,
grinta, buoni voti, chili e soprattutto un sorriso. Riguardo la
scuola e il peso qualcosa migliorava ma riguardo tornare a sorridere
beh.. questo era davvero impossibile. Era come se non fossi mai
andata in quel centro di disintossicazione, tutti fingevano di non
sapere. Tutti ancora avevano quell'idea in testa: Amber è una
drogata, stalle alla larga!
Ho
questa strana sensazione, dentro. Una sorta di ' voglia '.Non so, come
se volessi
piangere da ogni parte del corpo; come se avessi bisogno di
piangere.Il cuore, il fegato e lo stomaco, sono in subbuglio.Gli occhi
poi. A volte non me ne accorgo e lacrimo." Ma cos'è questa? Ah si, si
chiama lacrima" mi dico. Il prezzo che si paga ad essere forte. Forte per
tanto, troppo tempo.
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Capitolo 2 *** Sono così triste stanotte. ***
cap2.
Tornata
a casa mi buttai a letto. Mia madre probabilmente soffriva anche più
di me. Lei era una donna sola, mio padre era morto circa quando avevo
dieci anni. Aveva un tumore al cervello. Purtroppo avevo sempre fatto
molta fatica a ricordarlo, dopo la sua morte fu come se il mio
cervello avesse eliminato tutti i miei ricordi con lui. Mi mancava
davvero molto avere un padre. L'unica cosa che ricordai però è che
mi voleva davvero molto bene, lui mi amava. Sentivo la necessità di
parlargli, anche solo per un secondo, oppure avrei voluto sentire di
nuovo la sua voce perchè nemmeno quella ricordavo. Dopo aver cenato
decisi di fare un giro. Tutte le sere lo facevo e mi capitava anche
di dormire fuori. Mi addormentavo sul prato o a casa di qualche
sconosciuto ubriaco. Perchè quando uscivo andavo a bere, bere fino a
star male per cercare di non pensare ai problemi. So che sbagliavo a
bere così tanto avendo avuto una brutta esperienza con la droga ma
non riuscivo mai a resistere. E ogni volta puntualmente il giorno
dopo me ne pentivo amaramente: mi ripetevo di non bere più oppure al
massimo un bicchiere. Poi la sera conoscevo qualcuno e finivo per non
ricordare il giorno dopo ciò che avevo fatto la sera prima. "Sono
una stupida" mi ripetevo in continuazione. E lo ero davvero. Ma
era più forte di me. Ero un mostro ed un'ipocrita. Dicevo di essere
uscita dal circolo vizioso della droga ma poi l'alcool aveva preso il
suo posto.
Mia
madre ormai non mi fermava più perchè si era purtroppo rassegnata.
Sa che ci soffrivo, sa che volevo dimenticare il periodo della droga
e che volevo che tutto non fosse mai successo. Sa che volevo
ricominciare ma non ci riuscivo. Ormai ero cambiata. E non potevo
pretendere che il mondo intorno a me si adattasse alla nuova "Amber"
tanto in fretta. "Non sono più la tua bambina" le urlavo
quando andavo fuori di sera. La trattavo male e mi odiai per quello
ma non riuscivio a stare lontana dall'alcool perchè almeno la notte
mi aiutava a stare lontana da tutto ciò che mi faceva soffrire.
Riuscivo per un po' a stare meglio. Non sapevo perchè ma una notte
mi capitò di essere più triste, forse per l'ennesima stronzata di
Dylan. Fatto sta che quella notte sentii l'irrefrenabile bisogno di
bere più del solito pur sapendo dei danni che sarei causata. Una
vera masochista. Speravo solo che tutto ciò un giorno potesse
finire, ma almeno per quella notte, per quel momento di dolore,
pregavo solo che il barista fosse più veloce con quei bicchieri.
Ci
sono giorni in cui mi chiedo dove io trovi la forza per fare tutto
quello che faccio,senza mai cedere, ma poi rispondo a me stessa e dico:
siamo nati per "lottare";
arrendersi mai.
- Luna Del Grande
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Capitolo 3 *** Mai dimenticare chi sei. ***
cap3
Andai
al solito pub. Tutte le sere lì. -Solita birra Amber?- disse il
barista sorridente. Forse era l'unica persona che mi sorrideva. Già
l'unica, nemmeno mia madre lo faceva più.
Non
avevano un grandissimo rapporto. L'avevo molto delusa con la storia
dell'eroina e mi voleva aiutare ma, come per tutto il resto delle
persone che mi conoscevano, rimanevo comunque "la drogata".
Così dopo avermi mandata in quel centro lontano da casa aveva deciso
che era meglio starmi alla larga, era come se per lei non fossi più
davvero sua figlia ma sapevo che mi voleva bene comunque. Ed io pure.
Presi
una birra, mi accesi una sigaretta e mi guardai intorno. C'era molta
gente quella sera. Alcune ragazze ridevano tra loro e chiaccheravano.
Avrei voluto essere tra di loro, mi ricordavano molto com'ero qualche
anno fa, quando ero ancora per tutti "Amber, la ragazza
perfetta". Chiusi gli occhi ripensando ai momenti passati con le
mie vecchie migliori amiche. Jennifer, Emma, Hanna. Quattro ragazze
spensierate che volevano divertirsi. Tacchi alti, intelligenti e
chiassose. Ma sempre sincere e pronte ad aiutarsi. Sembrava davvero
che non ci saremmo mai lasciate. Invece poi è finita che sono
rimaste in tre ed io sola con i miei problemi. Stava per scendermi
una lacrima ma mi ricomposi e ordinai un'altra birra. "Ecco che
ci ricasco" pensai pentendomi subito della mia ordinazione. Mi
promisi di non ordinarne più e infatti,a mia sorpresa, fu proprio
così. Quella notte ero tornata a casa alle due ancora sobria, solo
molto stanca. Mia madre già dormiva, si era addormentata sul divano
con la tv accesa. Spensi la televisione.
-Ehi..-
disse mia madre stropicciandosi gli occhi
-scusa
non volevo svegliarti..-
-tranquilla
hai fatto bene.. non è il massimo dormire sul divano meglio che vada
a letto..- -già..buonanotte-.
Lei
non rispose al mio saluto e andò al piano di sopra mentre io aprii
il frigorifero con la speranza di trovare qualcosa da mangiare. Alla
fine presi una barretta di cioccolato. Mi sedetti sul divano e mi
soffermai a guardare una foto in una cornice sopra ad una mensola:
eravamo io,mio padre e mia madre circa tredici anni fa. Avevo circa
cinque anni ed eravamo in montagna. Eravamo così felici e belli che
mi scese una lacrima. Era una lacrima di malinconia e di vergogna per
ciò che ero diventata crescendo. Desiderai tanto essere ancora
quella bambina sulla foto. Una dolce biondina che si sentiva amata e
che rideva al mondo. E per un attimo quasi mi sentii come nella foto
ma poi, guardando il pacchetto di sigarette posato sul tavolo
ricordai chi ero veramente. Mai dimenticare il presente. Forse con me
non c'era proprio speranza. Non sarei mai tornata probabilmente ad
essere quella della foto. Non sarei riuscita mai ad essere più forte
di prima.
Scusami se non sono quella che hai sempre desiderato.
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Capitolo 4 *** Semplicemente stanca di tutto. ***
cap4
Il
giorno dopo a scuola fu come al solito un disastro. Appena arrivata
trovai il mio armadietto aperto e all'interno scoprii alcune mie
vecchie foto che mostravano la mia vecchia vita: qualcuno mi aveva
fotografata quando mi nascondevo nei bagni o dietro la scuola a
farmi. Semmai avessi trovato lo stronzo che mi aveva fatto quel
brutto "scherzo" giuro gli avrei strappato il collo. Perchè
tutta questa cattiveria?
Trovai
anche il disegno di un falò. Il famoso falò dove tutto ebbe inizio.
La sera in cui fumai per la prima volta uno spinello. La sera in cui
cominciò il mio incubo. Nel corridoio tutti intorno a me scoppiarono
a ridere e a prendermi in giro.
Corsi
in bagno. Piansi, piansi fino a vomitare. Volevo sprofondare,
sotterrarmi, nascondermi per sempre. Davvero non ce l'avrei fatta a
tornare l'Amber di sempre? Forse la risposta era no, forse con me non
c'era davvero speranza. Mi sentivo debole, mi guardai allo specchio e
non mi piacevo. Mi odiavo tremendamente. Nel bagno trovai Jennifer
che mi guardò incredula. Per un attimo non sapevo che fare: non
sapevo se scappare via per paura di altri brutti giochetti o stare lì
magari ad aspettare che mi abbracciasse come succedeva una volta se
stavo male. Non riuscivo a muovermi, lei non disse nulla
semplicemente andò a lavarsi le mani e corse via. Perchè nessuno
riuscì a rendersi conto che avevo bisogno di aiuto? Perchè nessuno
riuscì a comprendere che ero cambiata? Che volevo deciso di
ricominciare?
Non
riuscii ad entrare in classe, le lacrime mi avevano distrutta. Ero
stanca, esausta, non avevo forze. Così decisi di saltare le lezioni
e tornare a casa. Mia madre era al lavoro. Mi addormentai sul divano
sperando di non svegliarmi mai più.
Impara a cavartela da solo, che quando sarai al buio giocheranno tutti a nascondino.
(Unknown)
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Capitolo 5 *** Portatemi da qualche altra parte. ***
cap5
Mi
svegliai circa sei ore dopo. Era ormai tardo pomeriggio. Ripensai a
ciò che era successo a scuola e di conseguenza la mia
mente tornò
ai giorni scorsi e alla vita che stavo facendo. Un grande schifo. Mi
misi a riflettere. "Valeva davvero la pena sopportare tutto
questo?" la risposta arrivò subito "No, assolutamente no".
Quando
mia madre tornò dal lavoro rimase stupita dal fatto che le avevo
cucinato la cena.
-Amber?-
-si
mamma?-
-devi
dirmi qualcosa? Come mai hai preparato tu la cena?-
-Boh..non
lo so.. non avevo nulla da fare..- forse mia madre si aspettava
un'altra risposta. Si aspettava che le dicessi che l'avevo fatto per
mostrarle che le volevo bene e che desideravo fare qualcosa per lei.
In fondo era proprio la verità ma non riuscivo a dirglielo, non sono
mai stata troppo dolce con mia madre e mostrarle il bene che provavo
per lei non era mai stato da me. Preferivo farle credere che era per
noia, una cosa un po' più normale per me. In fondo io non ero mai
stata brava a dimostrare amore, affetto alle persone. Non mi definivo
una persona fredda, più che altro timida. Ho sempre avuto un po' di
paura del contatto fisico. Non con tutti ovviamente. Con una persona
sola riuscivo davvero ad essere me stessa e a non essere sempre sul
punto di chiedermi se "disturbassi". Quella persona però
l'avevo persa. Non potevo più tornare a dimostrarle affetto fisico.
Ma nemmeno a parole. Quella persona era Dylan. Proprio quel Dylan che
mi prendeva in giro, un tempo avrebbe ucciso per chi mi avesse fatto
soffrire. Era il mio ragazzo e lo amavo da impazzire. Passavamo tanto
tempo insieme e con lui potevo essere davvero "me". Potevo
dire e fare qualsiasi cosa senza preoccuparmi di essere giudicata.
Lui amava i miei difetti e questo mi aveva fatto sempre pensare.
Diceva che le mie imperfezioni mi rendevano speciale.
Poi
però ho iniziato a drogarmi. Ho iniziato a trascurarlo, trattarlo
male. E tutto questo non lo meritava. Così ci siamo lasciati.
All'inizio non provai nulla, non mi mancava. L'eroina mi aveva fatto
dimenticare cosa significasse amore, amicizia, affetto. Ero diventata
senza sentimenti, incapace di provare emozioni. Poi però, guarendo
capii quanto stupida ero ad averlo lasciato. Capii che non sarebbe
stato lo stesso senza di lui. Che lui contava davvero molto nella mia
vita. Ma ormai era troppo tardi. Ormai era arrabbiato, soffriva. E
non gli davo torto, gli avevo fatto davvero male. Così iniziò a
vendicarsi. Ma non dovevo più pensare a Dylan: la vita andava avanti
con o senza di lui. Ora dovevo pensare a me stessa, al mio futuro.
Quel pomeriggio, dopo scuola presi molte decisioni e giunsi a delle
importanti conclusioni.
Quella
sera sarebbe stata l'ultima volta che bbe vista. Avevo in mente un
progetto: partire in segreto. Via da quella città.Avevo pianificato
tutto:quella notte partii. Sarei stata lontana chilometri e
chilometri da casa. Avevo diversi risparmi ancora nascosti sotto al
mio letto. Erano soldi rubati, presi nel periodo dell'eroina. Mi
servivano per comprarla all'epoca. Partii appena mia madre si
addormentò. Presi il treno, passai la notte in una panchina in una
città molto lontana dalla mia e poi il giorno dopo avevo deciso di
prendere un volo per l'Europa: un aereo mi avrebbe portata a Parigi.
“Hai presente quella sensazione che provi mentre
prepari la valigia per partire? Hsi presente camminare per strade dove
nessuno ti conosce, dove puoi essere chi sei veramente? Ecco, io mi
sento libera. Non rimpiango ciò che mi lascio dietro, al contrario,
temo il ritorno.”
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Capitolo 6 *** Per una volta, vorrei solo che a qualcuno dispiacesse di avermi persa. ***
cap6
Il
mattino dopo controllai il cellulare. Nemmeno una chiamata: forse mia
madre non si era accorta del letto di sua figlia vuoto. Ma non c'era
da stupirsi: non era la prima volta che dormivo fuori senza
avvertire. Le avevo lasciato una lettera. Forse non l'aveva ancora
vista. Le avevo scritto di essere partita. Avevo deciso che "quella
vita" non faceva più per me. Ero stanca di quella città volevo
cambiare aria. Se voleva poteva chiamarmi, una specie di seconda
possibilità, così...perchè alla fine la speranza è l'ultima a
morire: le avevo dato appuntamento per le 13.30 davanti l'aeroporto
per salutarmi. Forse avrei anche cambiato idea se si fosse
presentata. Ma non fu così, la aspettai a lungo ma non venne.
Passarono le ore, il mio aereo partì alle 14.00. Mia mamma non mi
aveva ancora chiamata. Ripensandoci, mi pentii amaramente di averle
dato quell'appuntamento. Di aver aspettato a lungo, alzando gli occhi
ad ogni donna magra e castana che passava accanto a me.
"Sono
una stupida, credevo davvero che mia madre mi volesse bene? Che
povera illusa, le persone qui fanno schifo, non perdonano". E mi
odiavo al solo pensiero che a differenza sua, io le volevo ancora
bene. In aereo ebbi modo di pensare e di riflettere a lungo su me
stessa. Lasciare la mia città, Greensurg non mi dispiaceva nemmeno
un po'. Forse l'unica cosa che rimpiansi era non aver salutato mio
padre. Lui mi mancava così tanto ma ero certa che mi avrebbe capita e perdonata anche se avrebbe fatto di tutto per non
farmi partire. Perchè lui mi amava davvero, si vedeva dai suoi occhi
blu, così simili ai miei. Quegli occhi che ho imparato ad apprezzare
con gli anni dopo la sua morte quando ogni notte guardavo la sua foto
sul mio comodino. Il suo viso sorridente accanto al mio da bambina
imbronciata. Eravamo così belli. Avevo lasciato quella foto sul mio
comodino e pensando a lui me ne pentii. Mi addormentai e quando
arrivai a Parigi decisi di buttare il cellulare. Non dovevo essere
rintracciabile. Avrei ovviamente fatto una sim nuova, cambiato
identità e mi sarei rifatta una vita.
Notai che sul mio vecchio
passaporto c'era un piccolo cuore. L'aveva fatto mia madre con la
stoffa in un tiepido giorno d'estate. Pensandoci mi scappò una lacrima.
Non mi mancava affatto, mi faceva solo rabbia. Avrei voluto che almeno
per una volta a qualcuno fosse dispiaciuto perdermi ma evidentemente
a nessuno interessavo. Non mi ero affatto pentita di essere partita,
guardando quel cuoricino ne ero certa: avevo fatto la scelta giusta.
Parigi già mi piaceva, tutti erano gentili, c'era il sole. Inoltre
conscevo una ragazza che abitava non lontano dal centro. Eravamo
d'accordo che ci saremmo incontrate e che mi avrebbe accolta a casa
sua. Ero comunque intenta a trovarmi una casa per me ed un lavoro il
prima possibile.
Amelie, la ragazza francese che si era offerta di
ospitarmi, venne a prendermi all'aeroporto. Ci conoscevamo da circa
15 anni, da quando con i miei genitori andavo in montagna dai nonni
paterni. Mio padre era infatti francese e passavamo le vacanze
invernali sempre da loro. Così conobbi la famiglia di Amelie. Solo
una cosa mi turbava. I vicini di casa di Amelie erano proprio i miei nonni.
Pensai a loro, a quanto mi divertivo con il nonno a giocare a scacchi
e con la nonna a prepare dolci. Poi però, con la morte di mio padre
mi era sempre più difficile tornare in Francia. La loro casa aveva
il suo profumo, era piena di sue foto, c'era ancora la stanza in
ordine con tutti i suoi giocattoli e libri. Ma, sebbene erano passati
molti anni da quando non andavo più a Parigi, io e Amelie eravamo
unite e ci volevamo bene. Appena la vidi corsi ad abbracciarla. Lei
non sapeva nulla della mia brutta esperienza con la droga. Avevo
deciso di non dire a nessuno di tutto ciò. Basta, ora per me
cominciava una nuova vita. Una vita fatta finalmente di rivincite.
Fatta di novità e serenità.
Tieni duro, il dolore finisce.
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Capitolo 7 *** Ho dimenticato cosa significasse essere felici. ***
cap7
Io
e Amelie parlammo di molte cose. Presi però una decisione: mi ero
promessa di non dire a nessuno della droga. Mi aveva chiesto il
motivo del mio viaggio "senza ritorno" a Parigi. Riflettei
a lungo su cosa dirle. Non avevo il coraggio di essere sincera, avevo
paura e vergogna. Di lei sapevo di potermi fidare, sapevo che non mi
avrebbe giudicata e non mi avrebbe abbandonata ma non volevo rovinare
tutto, volevo costruirmi una nuova vita. Nessuno doveva sapere del
mio passato. -Amelie ecco.. è un po' complicato.. -
Decisi
di inventare una scusa. Una "storiella" che mi permettesse
di buttare via per sempre il periodo più brutto della mia vita.
Dissi che nella mia città non trovavo un lavoro, mia madre aveva
sposato un altro e avevo litigato con le amiche. Forse poteva
prendere come "esagerata" la mia decisione di mollare tutto
e trasferirmi a Parigi ma mi stupii. Infondo sono sempre stata per
lei una "combattente" e non mi arrendevo mai facilmente o
non mi abbandonavo mai facilmente alla sofferenza. Di certo l'avrei
colpita con questa mia "svolta". Ma come al solito Amelie
mi stupì. Più di una volta l'avevo sottovalutata. Lei era diversa
dalle altre persone. Lei aveva un'anima così buona, pura, vera, che
niente la intimoriva. Mi diede quasi la senzasione che già sapesse
che volessi venire a Parigi. Speravo solo non dubitasse di me,
speravo solo di non deluderla se un giorno avesse scoperto che le
avevo detto una bugia. Un'enorme bugia, ma dovevo pensare a me stessa
e ne ero certa: mi trovavo così lontana da casa mia e dal
quell'inferno di Greensburg che il mio passato non poteva in nessun
modo perseguitarmi.
-Ecco..Amelie..si
so che potrebbe sembrarti una cosa stupida ma non riuscivo più a
sopportare quella vita...ero sola, non vedevo un futuro..-
-Ehi..Amber...hai fatto la cosa
giusta! Se sentivi che nella tua città stavi male beh...hai fatto
bene ad andar via! Ed io ti supporterò in qualsiasi cosa farai!-
Sentii
le sue parole come una carezza al cuore. Dentro di me c'erano i
fuochi d'artificio. Una sensazione che non sentivo da anni. Anzi
forse non l'avevo nemmeno mai provata una gioia simile. Mi scese una
lacrima
-Amber
perchè piangi?- disse Amelie preoccupata
-scusa
amica mia... è che tutto questo mi sembra così stupendamente
assurdo! Sei fantastica, mi hai detto delle bellissime parole e posso
finalmente dire di essere veramente felice. Non mi sono mai sentita
così-
lei
mi guardò sorridente e mi baciò sulla guancia. -Amber tu sei
speciale...sei rinata. E mi ritengo fortunata a conoscerti. Voglio
far parte della tua vita, non permetterò più a nessuno di toglierti
il sorriso- disse lei prendendomi la mano
-ti
voglio bene Amelie-. L'abbracciai e sentendo il suo profumo pensai a
Jennifer. Ricordai tutti quei bei momenti passati insieme. Anche quei
tempi erano finiti, tutto quel passato che dovevo dimenticare. Mi
mancava davvero l'affetto di un'amica. -Grazie..- dissi io
sorridendo. Mi ero dimenticata cosa significasse essere felici.
-Ora
ti porto a casa mia..ti ricordi dei miei genitori?-
Io
annuii. Mi erano sempre stati molto simpatici. Decisi di non passare
dai miei nonni, loro avrebbero potuto informare mia madre. Dovevo
tagliare i ponti con il mio passato se volevo essere una persona
nuova. Anche a costo di soffrire un po'.
“Ci sono dei momenti nella vita in cui non è sufficiente voltare pagina.E ‘ necessario cambiare libro.”
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Capitolo 8 *** Parigi, la città dei miei sogni. ***
cap8
Amelie
riuscì a trovare una motivazione (o meglio, scusa) più che ottima
al mio viaggio a Parigi. "Non riesce a trovare lavoro nella sua
città, papà...e Parigi è la sua unica possibilità".
Ineffetti era così. Non volevo cominciare la scuola in Francia,
volevo subito iniziare a lavorare. Ero determinata come non mai a
fare sacrifici, ero disposta a tutto pur di vivere a Parigi. Non mi
importava la fatica, le ore dure, le differenze culturali, qualsiasi
posto comunque era meglio di Greensburg. E se il posto scelto era
la Francia, beh... tanto meglio! Parlavo bene il francese e in
estate lavoravo sempre come cameriera in un bar vicino casa mia.
-Jean,
potremmo presentarle Corinne, tua sorella...- disse la madre di
Amelie
-Corinne?
Oh giusto! Lei sta proprio cercando una cameriera per il suo nuovo
ristorante...-
-un
ristorante?-
-beh
si.. è molto piccolo ma si mangia davvero bene..mia sorella è
un'ottima cuoca!-
-mi
piacerebbe moltissimo!- dissi io sorridendo.
I
genitori di Amelie erano sempre stati gentili e adorabili con me. Fin
da piccola, mi portavano con loro a fare delle belle passeggiate
lungo la Senna o in montagna a sciare. Poi Jean, il padre di Amelie
mi aveva insegnato molte cose e mi aveva trasmesso la passione per il
pianoforte. Suonava divinamente e ricordai che io ed Amelie stavamo
sedute accanto a lui ad ascoltarlo. Era pura poesia per me quella
musica dolce ma allo stesso tempo profonda. Jasmine, la madre di
Amelie invece era una donna tranquilla, timida e generosa. Aveva un
cuore d'oro e le ho sempre invidiato quella forza nel trovare
qualcosa di buono, di bello, di positivo in qualsiasi cosa e persona.
Ricordai tutte le volte che da bambina cadevo, mi sbucciavo un
ginocchio o combinavo un pasticcio. Lei sapeva sempre tirarmi su di
morale e da questo lato Amelie era proprio come lei. Era molto
diversa da mia madre. Jasmine non avrebbe mai abbandonato sua figlia
o perlomeno sarebbe andata a cercarla. Per me queste persone erano
parte della mia famiglia.
Parigi
mi piaceva ogni minuto di più. Dopo mangiato Amelie mi propose di
uscire, voleva presentarmi alcuni suoi amici. -Sono ragazzi della
nostra età! Sono molto simpatici e fidati, ti troverai benissimo con
loro amano conoscere gente nuova! Soprattutto se sei americana!-
ridemmo insieme scegliendo il miglior vestito da indossare. Ero
ansiosa, avevo paura di non piacere. Ero sempre stata insicura ma
dovevo farmi forza: c'era un nuovo mondo che mi aspettava e non
potevo farmi trovare impreparata. Era la mia prima sera a Parigi:
dovevo essere impeccabile. Lo facevo proprio per me stessa, non tanto
per apparire agli altri come una "modella americana".
D'altronde
non ero di certo il genere: ero una diciottenne di un metro e
sessanta con i capelli castani e non ero di certo snella e slanciata
come le ragazze nei giornali.
A
differenza di Amelie, ero molto più goffa anche se cercavo di
migliorarmi osservandola continuamente. Ma poco mi importava in quel
momento se fossi o no la più bella di Parigi, ero così felice di
aver realizzato il mio sogno che non stavo a soffermarmi in quel
momento su quanto dovessi dimagrire o sul fatto di tagliarmi i
capelli.
Indossai
un abito di Amelie: nero e argento con dei tacchi che faticavo
ovviamente a portare.Ero sempre stata quel tipo di persona che amava
Converse e anfibi. Indossavo qualche volta le ballerine, ma solo per
le occasioni davvero importanti. Come quando Dylan mi invitò a cena
a casa sua per festeggiare il compleanno di suo padre. Per la prima
volta indossai un abito lungo e il rossetto rosso. Avevo stupito
tutti quella volta.
-Ma
come fai a stare su questi cosi tutta una notte?!- chiesi io
massaggiandomi le caviglie
-sono
francese! Ecco il segreto!-
-mah..so
già che fra dieci minuti vorrò togliermeli!-
-eddai..adesso
non fare la lamentona che ci aspetta una notte da leoni!-. Scoppiammo
a ridere. Amelie mi fece finalmente conoscere i suoi amici. Si
presentarono ma come spesso mi capitava, dimenticai subito il nome.
Le amiche di Amelie erano davvero bellissime e proprio come lei,
camminavano in modo perfetto su tacchi vertiginosi. Mi presentò
anche dei ragazzi, anch'essi molto belli ed eleganti. Ad essere
sincera però uno in particolare mi colpii.
-Ciao,
mi chiamo Leo- disse lui sorridendo.
-Sono
Amber piacere..-
Amelie
mi spiegò che Leo era italo-francese. Era davvero un ragazzo carino
e più volte durante la serata mi capitò di chiaccherarci. Aveva i
capelli ricci, era castano e portava gli occhiali. Pensai che era
completamente diverso da Dylan e mi chiesi che cosa mi avesse colpito
maggiormente di lui. Era un tipo strano ma allo stesso tempo
divertente.
-Quindi
tu sei "l'americana che cambia vita"- disse lui timidamente
-eh
già... e tu sei il ragazzo italiano!-
-italo-francese
per essere precisi... mio padre è di Roma mentre mia madre è nata
qui a Parigi ma si è trasferita da giovane in Italia-
-non
sono mai stata a Roma...com'è?-
-un
paradiso!- disse ridendo. Non ero mai stata in Italia ma mi ero
promessa che prima o poi l'avrei visitata. Chissà, magari in
compagnia di Leo.
Verso
le due io e Amelie tornammo a casa. Prima di addormentarmi ripensai
all'intensa giornata che avevo passato:l'arrivo a Parigi, l'abbraccio
di Amelie, la sua famiglia e poi Leo. Pensai anche a mia madre, a
cosa stava pensando, se mi stava cercando. Speravo che un po' si
fosse preoccupata per me. Pensavo a Dylan, a Jenifer. A tutto ciò
che mi ero lasciata alle spalle e sentii lo stomaco restringersi. Ma
forse doveva andare così. Forse ero troppo per Greensburg. Ma Parigi
era il mio futuro. Parigi mi avrebbe resa più forte.
“Vorrei soltanto uscire da tutti i casini ed essere veramente felice, felice da far schifo.”
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Capitolo 9 *** Il tuo viso è come una melodia. ***
cap9
Alcuni
giorni dopo il padre di Amelie riuscii a mettermi in contatto con
Corinne. Le raccontai dei miei buoni voti a scuola, inventai anche
qualche bugia. Piccole bugie a fin di bene,certo. Le dissi che
purtroppo non avevo finito la scuola per motivi economici ma comunque
avevo esperienze lavorative come cameriera, cassiera e commessa in
America. Lei mi mise in prova ed io non riuscivo a crederci. Cavolo,
che fortuna. Mi sembrava un sogno.
La paga poi sarebbe stata anche ottima e sarei riuscita ad affittare
un appartamento nel giro di qualche mese. Ovviamente con me avrebbe
abitato anche Amelie. Eravamo ormai inseparabili. Uscivamo spesso con
i suoi amici che nel giro di poco tempo erano diventati anche i miei.
E c'era Leo. Il motivo per cui, forse anche inconsciamente, mi
truccavo e mi mettevo i tacchi. Mi curavo talmente tanto che Amelie
si insospettii -vedo che hai imparato bene a camminare sui
tacchi...ci tieni proprio...- disse la mia amica dandomi un bacio
sulla guancia
-eh
sai...mi sento più francese!- scoppiai a ridere. Avevo appena detto
un'enorme cavolata e non mi stupii che Amelie non credesse per niente
a quel ridicolo "motivo".
-non
dirmi cazzate..Amber c'è qualcosa sotto! Su..sputa il rospo!-
-ma
va! Sul serio!- dissi io continuando a ridere.
Lei
mi guardò negli occhi ed io non riuscii più a sostenere il suo
sguardo indagatore -ok..ok.. ecco vedi.. c'è un ragazzo che mi
piace...insomma voglio dire...mi colpisce...- balbettai io alzando le
mani in segno di arresa.
-lo
sapevo! Fino a qualche giorno fa volevi uscire in jeans e ciabatte! E
chi sarebbe questo tuo principe?-
-ehm...- imbarazzata non ero
certa di dire la verità. Ma in fondo era Amelie, lei è il mio
tesoro e posso fidarmi. Questa è la mia più grande certezza!
-dai
a me puoi dirlo! Sono Amelie magari posso aiutarti a conquistarlo!-
mi sorrise lei facendomi l'occhiolino.
-ok..
ecco..è Leo!- ero rossa in viso quasi quanto il vestito che
indossavo.
-Leo?!- scoppiò a ridere. Non
capivo il perchè della sua incontrollata reazione e le chiesi -che
c'è da ridere?-
-Leo?!
L'italiano?-
-si
lui..- abbassai gli occhi. Mi pentii in quel momento di essere stata
sincera. Forse aveva la ragazza o forse chissà già mi odiava. Ormai
ero abituata a fare brutti pensieri e a non essere positiva. Di nuovo
Amelie scoppiò a ridere.
-Scusa
non prendertela..è che Leo non l'ho mai visto con una ragazza...nè
ho mai sentito che piacesse ad una ragazza! Ma beh..se ti
piace..posso aiutarti magari vi posso far conoscere meglio!- disse
Amelie sorridendomi.
Io non potei che ridere. Non
capivo come nessuna non si fosse mai innamorata
di un viso come quello di Leo. Un ragazzo con i capelli ricci
castani, gli occhi marroni e la pelle scura. Inoltre era spiritoso e
aveva molte cose in comune con me. Avevo scoperto per esempio che ad
entrambi piacevano i Green Day. Così una delle tante sere ci siamo
persi io e lui a parlare della loro musica, dei concerti a cui
abbiamo partecipato e di quale fosse il nostro cd preferito. Parigi
mi aveva portato anche l'amore.
“Mentre mi parlavi di Te ho capito che non eri
cosciente della meraviglia che sei. Poi ti ho baciata per farti sapere
che io invece me ne ero accorto perfettamente.”
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Capitolo 10 *** E siamo semplici bambini innamorati. ***
cap10
Iniziai
a lavorare, finalmente. Ero stata assunta e mi stavo davvero
impegnando. Mi stupivo di me stessa, forse mi ero davvero
sottovalutata nel corso degli anni. Qualche mese prima infatti non
avrei mai pensato di potercela fare. Non avrei mai pensato di
prendere un aereo con l'intenzione di non tornare a casa. Non avrei
mai preso decisioni "affettate" senza il consiglio di mia
madre.
Le
giornate si stavano allungando, era primavera ed era sempre più
piacevole stare all'aperto. Ogni sera uscivo con i miei nuovi amici e
passavo sempre più tempo con Leo. Sembrava quasi che tutti sapessero
che mi piaceva quel ragazzo e facevano di tutto per farci stare soli.
Chissà, magari anch'io gli piacevo. Passeggiammo sulle rive della
Senna, al chiarore della luna. Era romanticissimo e avrei voluto
essere baciata. -E' bellissima questa città..- dissi io sorridendo.
-sai
Amber...mi sono trasferito a Parigi dieci anni fa, quando i miei
genitori hanno divorziato e all inizio devo essere sincero... odiavo
questo posto..- mi raccontò lui indicando la Tour Eiffel che da
lontano si intravedeva. Io l'avevo sempre trovata una vera e propria
opera d'arte: con tutte quelle luci di notte era meravigliosa. Mi
sembrava una giostra, un albero di Natale.
Alle
parole di Leo non riuscii replicare. Non capivo come potesse odiare
Parigi, una capitale
europea
piena di arte, vita, gioia. Abbassai lo sguardo, i nostri amici erano
molto più avanti, non avrebbero sentito nulla della sua confessione.
Lui continuò dicendo che odiava Parigi perchè credeva che dal
momento che i suoi genitori si fossero separati, non avrebbe più
potuto rivedere suo padre dato che si era trasferito con la madre in
Francia. Era impaurito e triste perchè non poteva più vedere tutti
i giorni i suoi compagni di classe, giocare a scacchi con suo nonno o
andare al mare. Ma poi, con il tempo, si rese conto di
essersi sbagliato".
Ogni estate tornava in Italia, stava con il padre, frequentava i
vecchi amici e passava molto tempo al mare e in campagna. E ogni
volta che tornava da sua madre gli sembrava sempre che Parigi avesse
qualcosa di nuovo. Aggiunse sorridendo che quella città lo stupiva
ogni volta. E io ero completamente d'accordo. Era completamente
diversa da Greensburg. La città dei miei sogni contro la città dei
miei incubi. Ecco, questo erano per me. Bianco e nero, gioia e
tristezza, sorriso e lacrime. Ma soprattutto vita e morte perchè in
America io ero già morta, mentre a Parigi ero rinata. Ero una nuova
Amber con la voglia di tornare ad essere se stessa e sorridere.
Ci
guardammo intensamente negli occhi. -Hai detto delle cose bellissime
Leo- dissi io sorridendo e prendendogli le mani -credo di non averlo
mai raccontato a nessuno- mi sussurrò all'orecchio e mi sentii
importante. Era una sensazione che non provavo da molto,molto tempo.
Erano anni che una persona non si confidava con me e metteva il suo
cuore nelle mie mani. Avevo conquistato la sua fiducia e per me
valeva più dell'oro e di qualsiasi diamante.
-Leo!
Amber! Venite su! E' tardissimo!- urlarono all'unisono i nostri
amici.
Guardando
l'orologio notai infatti che erano le due passate. Era abbastanza
tardi e dovevo tornare a casa: il giorno dopo mi sarebbe aspettata
una giornata di duro lavoro. Leo mi baciò sulla guancia e
prendendoci per mano corremmo dai ragazzi. Quando le nostre mani si
toccarono sentii una scossa scorrermi lungo tutto il corpo. E quel
bacio, che non avrei mai dimenticato, mi fece sentire più leggera,
sulle nuvole.
Tornate
a casa, io e Amelie ci mettemmo sul divano a bere un the. -E' stata
una bella serata...- disse lei facendomi l'occhiolino, poi continuò
-ti ho vista parlare con Leo, vi ho visti tenervi per mano..-.
Scoppiai
a ridere. -Amelie.. abbiamo solo parlato.. -
-Parlato?
Si certo...-
-giuro!
Solo chiaccherato!-
-Mah...
secondo me gli piaci...-
-mmm...
tu dici? Beh sarebbe bello- dissi ridendo.
Ci
addormentammo poco dopo. Mi ero già
innamorata? No, non puo' essere. Era tutto troppo
perfetto.
“Innamorarmi di te non faceva parte dei miei piani,
ma giuro che è la cosa più bella che mi sia mai successa in tutta la mia
vita.”
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Capitolo 11 *** Si, ho fatto degli errori. Ma la vita non esce con le istruzioni. ***
Si,ho fatto degli errori. Ma la vita non esce con le istruzioni.
Venerdì era il mio giorno libero così
insieme ad Amelie andai a fare shopping. -Devi rifarti il
guardaroba! Non c'è spazio solo per jeans e t-shirt a Parigi!- disse
Amelie ridendo. Passammo tutto il giorno tra negozi di abbigliamento,
scarpe e accessori. Credo di essermi spesa tutto lo stipendio quel
venerdì. Amelie era ormai una persona fondamentale per me. Una
sorella, la mia migliore amica. La persona su cui facevo riferimento
per ogni problema.
Quella sera eravamo troppo stanche per
uscire di nuovo così ci guardammo un film sdraiate sul divano.
Mentre lo guardavamo, pensai che erano passati già due mesi da
quando avevo lasciato l'America. Due mesi che non vedevo più mia
madre, non dormivo più nel letto di qualche uomo ubriaco, non mi
nascondevo più in un bagno a piangere. Pensai a quanto tempo che non
toccavo l'eroina. Ero fiera di me stessa. Era ormai più di un anno e
al solo ricordo di ciò che facevo provai repulsione. Ma mi sentii
anche in colpa perchè non avevo detto la verità ad Amelie. Lei si
fidava totalmente di me. E io le avevo mentito. Ma alla fine non
potevo fare altrimenti: avrei potuto rovinare tutto! Non volevo darle
preoccupazioni. Dovevamo pensare solo a divertirci, dovevo pensare
solo alla mia nuova vita. "Remember me" era il titolo del
film. Già, "ricordami". Sembrava lo dicesse il mio
passato. Quel passato che forse, anche volendo, non sarei mai
riuscita a dimenticare. Sospirai pensando a quello che era successo e
a quello che mi stava accadendo.
Mercoledì, dopo il lavoro tornata a
casa per il pranzo trovai Amelie seduta sul divano.
-Ehi ciao! Tutto
bene?- urlai io posando la borsa sul tavolo della cucina.
Amelie si alzò e mi guardò con le lacrime agli occhi. Non
capivo ma sentivo che era successo qualcosa. Qualcosa di brutto.
-Amelie! Che succede?!- corsi per abbracciarla ma mi respinse
e indicò sul tavolo una busta. C'era un foglietto scritto a mano ed
una bustina. Era droga, o almeno sembrava e appiccicato ad essa c'era
un post-it che diceva "Non mi scappi facilmente. Tuo, Dylan".
A quelle parole sentii un brivido lungo la schiena e iniziai a
tremare. Avrei voluto piangere ma era già tanto se riuscivo a
respirare.
-Perchè non me l'hai detto?- disse lei
seria.
-avevo paura- sospirai abbassando lo
sguardo.
Avrei voluto sotterrarmi, scappare,
gridare. Sentivo qualcosa lacerarmi il cuore e lo stomaco. Una
voragine che inghiottiva tutta la felicità accumulata nell'ultimo
periodo si stava aprendo dentro di me.
-quindi sei andata via per questo...ti
drogavi- disse Amelie con la faccia schifata e delusa.
-Amelie io sono cambiata!-. Scoppiai a
piangere.
-non me l'aspettavo Amber...non
credevo.. non da te- lessi la tristezza nel suo volto, nei suoi occhi
azzurri che mi facevano paura da quanto erano seri. Era una cosa
orribile.
-Amelie ti prego... cerca di
capirmi...-
-capirti?! Avresti dovuto dirmelo! Io
ti voglio bene, io mi fidavo di te- mi urlò lei avvicinandosi.
Abbassando gli occhi dissi -Amelie...
tutti fanno errori ma pensaci... in fondo la vita non arriva con le
istruzioni... e io so di aver sbagliato, so di essere stata una
stupida, so di essermi rovinata con quella roba. Ma te lo posso
giurare: io non ho più niente a che fare con quello schifo- risposi
indicando la bustina.
Lei sembrò calmarsi. Presi il
foglietto e la bustina e li buttai in borsa.
-Tutto questo fa parte del mio
passato, basta- dissi con fermezza. Lei sospirò dandomi
l'impressione di essere ancora dubbiosa su ciò che affermavo e
questo mi distrusse. Mi ero rovinata da sola: avevo la felicità a
portata di mano, amici, una casa bellissima, una nuova famiglia, un
lavoro, Leo. La paura di perdere tutto ciò era tanta e dovevo fare
di tutto per risolvere.
-Perdonami Amelie, dovevo dirtelo
subito, non volevo lo scoprissi così, ma come sai non sono mai stata
una campionessa nell'avere coraggio...- andai per abbracciarla e
questa volta non si oppose. Mi sentii sollevata a confessarle quel
brutto segreto. Quel brutto pezzo di vita. Dovevo capire però come
Dylan avesse fatto a trovare il mio indirizzo, a trovare me.
“Ho pianto e urlato, ho perso gli occhi e il fiato.”
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Capitolo 12 *** Un giorno tutti i miei sogni diventeranno realtà. ***
Un giorno i miei sogni diventeranno realtà
Mi sembrava tutto così fottutamente assurdo.
Il biglietto, la bustina, la confessione fatta a Amelie, Dylan che mi
aveva trovata e Parigi che poteva non essere più un posto sicuro.
Quella notte non riuscii a dormire, tanto che verso mezzanotte scesi le scale e andai in cucina per prepararmi un
the caldo. Per quanto volessi farlo, non riuscii a piangere. Le
lacrime mi avevano aiutata spesso. Sentirle rigare il mio volto nei
momenti tristi mi dava conforto. Era una cosa che tutti consideravano
stupida, cupa, oscura addirittura, ma per me no: le lacrime mi
"facevano compagnia" . D'altronde, tutte le volte che
piangevo, fino a qualche tempo fa, nessuno si preoccupava di
consolarmi. E così consideravo le mie lacrime delle "amiche"
che cercavano di farmi coraggio.
Mi sedetti su una poltrona vicino alla
finestra: mi soffermai ad osservare il cielo e le sue stelle brillare
pensando se qualcuno, a Greensburg, stesse facendo la stessa cosa.
"Stupida" mi dissi pensando al fuso orario. Ma chissà, e magari si stava chiedendo dove fossi, cosa facessi, perchè avessi deciso di andarmene. Il cielo è sempre
bellissimo, con la pioggia, con il sole, di notte, di giorno. Non
come le persone, esse cambiano spesso e delle volte sono meravigliose
e delle altre diventano dei mostri. Io ne sono l'esempio: ero una
ragazza felice, una "principessa" osava dire Dylan, poi
diventai una "strega", uno "schifo", un "rifiuto
della società". Ma poi ero tornata ad essere una "principessa",
con tutti i suoi sorrisi e la sua voglia di vivere. Forse con qualche
cicatrice in più ma comunque una "principessa".
Sentii dei passi avvicinarsi a me: era Amelie.
-Hei, non riesci a dormire?- mi sussurrò lei
prendendo una sedia e mettendosi accanto a me.
Io abbassai la testa -No... non ci riesco... è
tutto così schifoso... mi dispiace ancora... sono una persona
orribile... ho... ho tradito la tua fiducia...- balbettai io
guardandola negli occhi.
Il suo sguardo si era fatto dolce, amorevole,
tenero come sempre. Era davvero la migliore amica che qualsiasi
ragazza poteva desiderare. Mi aveva già perdonata ed io non meritavo
tutto quel bene.
-Amber... lascia stare... devi dimenticarti di
oggi... ora so la verità... quel Dylan lascialo nel tuo passato...
non mi interessa sapere come ha trovato il nostro indirizzo... io ti
proteggerò... non ti voglio perdere... ora è meglio dormire...
tutto si risolverà... ci sono qui io- mi abbracciò e io in quel
momento mi commossi.
Ma Dylan non l'avrebbe passata liscia. Non
potevo sopportare l'idea che il mio passato avesse vinto di nuovo.
Dovevo risolvere quella situazione con o senza Amelie.
Chiusi gli occhi e, almeno per qualche ora,
riuscii a rifurgiarmi in un mondo tutto mio. In un mondo in cui ero
me stessa e potevo fare finalmente ciò che volevo.
Il lavoro il giorno dopo fu un vero disastro:
mi cadde un piatto, sbagliai più volte le ordinazioni e litigai con
due miei colleghi.
-Amber, tutto ok? Non mi sembri molto in forma
oggi...- disse Coraline
-Mi scusi... non so cosa mi stia succedendo...
mi perdoni... - le pregai io. Avevo un forte mal di testa e
continuavo a pensare al "regalino" di Dylan.
-Amber ascolta... sei sempre stata un'ottima
dipendente... forse è meglio che ti prendi mezza giornata libera...
non posso permettermi di perdere tempo... oggi ci sono molti clienti-
sospirò infastidita e questo mi fece sentire a disagio.
-grazie mille! Mi scusi ancora- dissi io
allontanandomi e rossa in viso.
Tornata dal lavoro trovai a casa Amelie che
studiava con Leo e Julie, una loro compagna di classe. Appena i miei
occhi incrociarono quelli di Leo sentii una scossa lungo tutta la
schiena e il mio cuore iniziò a battere più velocemente. Avevo
addirittura paura di arrossire nuovamente.
-Ciao ragazzi!- urlai posando la borsa sul
tavolo della cucina.
-Amber! Come mai sei tornata così presto?!- mi
chiese Amelie
-E' una storia lunga... beh... vedo che state
studiando... vi lascio soli... io vado di sopra!- corsi su per le
scale e dopo pochi minuti mi addormentai. Ero davvero stanchissima,
sotto stress, dentro di me c'era una tempesta. Un fulmine a ciel
sereno.
Quando mi svegliai erano le 21:00 passate e
Amelie era accanto a me a controllare Facebook.
Mi guardò e mi sorrise. -Tu non meriti tutto
questo- disse avvicinandosi a me e prendendomi fra le sue braccia. Mi
sentii davvero protetta in quel momento, un senso di calore e affetto
che solo una vera amica sapeva dare.
-Non credo sia proprio così...-
-Amber troveremo una soluzione...- mi sussurrò.
I genitori di Amelie erano fuori per cena così
io e lei ordinammo delle pizze e ci guardammo un film horror. Quella
sera pioveva, faceva pure freddo e a nessuna delle due andava di
uscire.
Ad un tratto sentimmo il campanello suonare.
-Chi diavolo è a quest'ora?!-
-Non ne ho idea... forse sono i miei... si
saranno dimenticati le chiavi a casa!- disse Amelie dirigendosi alla
porta. La ragazza aprì la porta senza nemmeno controllare chi avesse
suonato pensando fosse sua madre. Ma così non fu. Di fronte a lei
c'era un ragazzo più o meno della sua stessa età, alto, con un
cappotto beige e muscoloso. Non riusciva bene a cogliere i dettagli
del viso per colpa del brutto tempo ma capì subito che non poteva
essere nè Leo nè uno dei suoi conoscenti: l'accento americano era
davvero troppo forte.
-Amber!- urlò
Amelie impaurita. Di fronte a lei c'era Dylan il quale non disse
nulla finchè non mi vide alla porta. -Dylan...- dissi io
lentamente. Non potevo credere ai miei occhi. Mille pensieri mi
passarono per la mente. Non sapevo ben definire cosa provavo. Rabbia,
sorpresa, cattiveria, dolore? Notai i suoi capelli biondi bagnati
attaccati alla fronte, il suo viso il quale conoscevo a memoria i
particolari e il suo cappotto che io stessa gli comprai per il suo
diciottesimo compleanno. Lo vidi piangere e Amelie rimase ammutolita
nel notare che anche a me iniziarono a scendere delle lacrime.
Ci fu un lungo silenzio tra noi due, si sentiva
solo la pioggia sbattere contro la tettoia e i nostri cuori battere
fortissimo. Lui mi abbracciò ed io rimasi sorpresa del fatto che non
volevo ribellarmi. Sentii solo delle domande nascere in me. Perchè,
dopo quello che mi aveva fatto, era tornato? Mi aveva appena
minacciata, impaurita, stressata e quella sera davvero mi stava
abbracciando? Che cosa significava tutto ciò?
Mi staccai da quell abbraccio a cui non
riuscivo a dare un vero significato. -Che fai?!- chiesi io turbata:
ero proprio curiosa di sapere come mi aveva trovata e il motivo del
suo comportamento così lo feci entrare. Sapevo di potermi pentire di
dargli fiducia ma davvero avevo bisogno di spiegazioni.
-Amber... mi manchi... ti prego... perdonami...
ho preso il primo aereo appena ho scoperto dov'eri e sono corso qui
perchè ti rivoglio... ho capito quanto vali per me-
-Stai scherzando?!-
Amelie mi stava accanto e mi sentii più forte
e coraggiosa. Non avevo affatto paura in quel momento di dire e fare
ciò che mi sentivo.
-So che ho sbagliato e che ti ho fatto soffrire
molto... ma sono cambiato-
Io guardai la mia amica, lei andò di sopra ed
io passai la notte a parlare con il mio passato.
“Ho visto i miei sogni finire, gli incubi diventar veri.”
—
Noyz Narcos.
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Capitolo 13 *** Eri tutto ciò che credevo di conoscere. ***
cap13
-Credo proprio di meritare delle spiegazioni-
dissi io in tono duro
-Hai ragione... e sono venuto qui per dartele e
perchè ho capito di aver commesso molti, troppi errori- Dylan mi
prese la mano ma io la allontanai subito. Il contatto fisico non era
mai stato per me una cosa facile, tanto meno quando si parlava di
Dylan. Lui, notata quella mia reazione, abbassò gli occhi e continuò
– Parto col fatto che si, sono stato io a scriverti quel
bigliettino e a mandarti quella bustina. Volevo sapere se mi avresti
cercato. Ero convinto l'avessi fatto ma così non è stato e allora
sono venuto qui-
-Ma come facevi a sapere il mio indirizzo?-
Lui fece un mezzo sorriso e ciò mi fece
provare una grande rabbia. Che diavolo c'era da ridere in quel
momento? E' sempre stato un
grande stronzo Dylan, anche nei momenti più delicati.
-Amici... lo
dovresti sapere Amber, che io sono popolare...-
Alzai gli
occhi al cielo -Cosa intendi?-
-Credo tu sia
venuta a conoscenza di un ragazzo qui in Francia... il nome Leo ti
dice niente?!-
Strabuzzai gli
occhi e rimasi a bocca aperta. Leo?! Cosa centrava Leo in
quella storia?!
-Leo?! -
-Immagino che la tua risposta sia un si... già
è un mio caro amico... ho passato diverse estati in compagnia sua in
Italia-
Io non sapevo che dire.
-Ma come facevi a sapere che Leo mi avesse
conosciuta?-
-Beh... semplice... Facebook! Avete molte foto
insieme ho notato...- disse quasi ridendo. Odiavo da morire quando
faceva così. Io avrei voluto sotterrarmi, piangere, urlare mentre
lui se la rideva tranquillo.
-Non ti credevo così meschino...Cosa gli hai
detto di me?-
-Il necessario... tranquilla... il tuo passato
non tornerà a galla- disse lui strizzando l'occhiolino
-Il necessario?! Del tipo?-
-Il perchè ti cercavo per esempio... gli ho
raccontato della nostra storia e che sei andata via senza nemmeno
avvertire tua madre-
Io abbassai lo sguardo e pensai a tutte le cose
che mi aveva raccontato Leo. Per lui ero ormai una buona amica, si
era confidato con me e io con gli avevo raccontato nemmeno il motivo
principale per cui ero partita per la Francia. Forse Dylan mentiva,
gli aveva già raccontato tutto e io avrei perso per sempre una
persona fantastica.
-Perchè Leo non me l'ha detto? E perchè ti
fai vivo solo adesso? Ci voleva un continente diverso per farti
capire che non ero più la stessa Amber?-
-Non te l'ha detto perchè gliel ho chiesto io.
Volevo farti una "sorpresa". In realtà non mi ero messo
veramente alla tua ricerca... semplicemente un giorno, cazzeggiando
su Fb, tra le foto di Leo era comparsa la tua faccia e lì mi sono
reso conto che eri cambiata... ti sei dimostrata coraggiosa...
forte...-
Mi scappò un piccolo sorriso e non capii
perchè. Dylan mi faceva sempre un certo effetto: provavo sempre
delle emozioni in sua presenza. Che siano belle o brutte, erano pur
sempre emozioni.
-Dylan...- riuscii solamente a sussurrare io.
-Non ti chiedo subito di tornare come prima,
perdonarmi e dimenticare ciò che ti ho fatto passare... ma dammi una
possibilità... del tempo... sappiamo entrambi quanto felici eravamo
qualche anno fa-
sembrava sincero. I suoi occhi brillavano
quella notte ed io mi resi conto che ero davvero felice che fosse lì
con me.
-Adesso io devo andare... ho promesso a Leo che
sarei tornato non più tardi delle due...sono a casa sua e ci resterò
per altri due giorni... poi tornerò a Greensburg e spero in tua
compagnia- mi stampò un bacio sulla guancia.
-Io non posso...- gli sussurrai.
Lui corse alla porta e mi disse -Ti farò
cambiare idea...-
Sentite quelle parole, mi scappò un sorriso e
sperai davvero che prima o poi gli avrei dato ragione.
“So
che potremmo andare ognuno per la propria strada e ce la caveremmo
bene, ma ho visto cosa potremmo essere insieme e io scelgo noi.”
— The Family Man
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Capitolo 14 *** Dipendente da sentimenti e ricordi. ***
cap14
Il giorno dopo raccontai tutto a Amelie.
-Non ci posso credere- disse lei corrugando la
fronte
-Nemmeno io...-
-Beh... l'hai spedito fuori casa con la chiara
decisione di non vederlo mai più, no?-
Ci fu un silenzio di tomba. Probabilmente si,
avrei dovuto far così. Avrei dovuto mandarlo via, nemmeno
ascoltarlo. Non avrei dovuto nemmeno farlo entrare ma mandarlo
direttamente a fanculo. In fondo era ciò che si meritava e
giustamente Amelie avessi pensato avessi agito così. Ma non fu così.
E non sapevo come spiegarlo alla mia amica, avevo paura di deluderla.
Nuovamente.
Dal mio silenzio e dal mio sguardo, lei capì
che si sbagliava.
-Perchè Amber?-
-Non lo so...-
-Non ti ricordi cosa ti ha fatto per caso?! E'
anche colpa sua se hai vissuto anni d'inferno! Perchè diavolo ti
comporti così?!- mi urlò decisamente arrabbiata.
-Amelie... credo di essere ancora innamorata di
lui...anzi... credo di non aver mai smesso di provare dei sentimenti
per Dylan-
Lei sgranò gli occhi. L'avevo
davvero delusa quella volta.
-Io non ti capisco...- sbuffò nervosa.
-Ti giuro... mi odio per questo... ma non posso
farci nulla. Rivederlo, dopo tutto questo tempo mi ha fatto capire
molte cose e forse dice la verità: forse
lui è cambiato-
Lei fece una smorfia di delusione e mi si
spezzò il cuore. La mia migliore amica mi disprezzava. Si
preoccupava per me, sapevo che era arrabbiata per quello. Aveva fatto
di tutto per farmi tornare il sorriso e aveva paura che Dylan mi
facesse tornare depressa come molto tempo fa.
-Rimarrà qui tre giorni... non credo siano
sufficienti per capire se veramente cambierò idea su di lui ma stai
tranquilla... so quello che faccio... -
-Io ti voglio bene... non ti voglio perdere.
Voglio fidarmi di te, ti prego non farmene pentire- disse
abbracciandomi
Io le sorrisi e mi commossi. Amelie
era davvero la migliore amica perfetta. Anche quella
volta, avrei avuto il suo appoggio.
-Devo andare a scuola Amber, ci sentiamo più
tardi. Ti ripeto, io ci sarò sempre e su di me puoi contare- mi
accarezzò la guancia e io mi sentii davvero forte. Con lei al mio
fianco, anche quella volta ce l'avrei fatta.
Fortunatamente quel giorno non dovetti andare
al lavoro e, tramite Leo, riuscii a contattare Dylan e vederci per
parlare. Dovevo essere convinta di ciò che
provavo.
"Ci vediamo al Paris Pop Cafè alle 16:00.
Amber" La sua risposta arrivò poco dopo accettando
l'invinto e proponendomi per altro di darmi un passeggio. Io
rifiutai, non volevo dargli subito tutta quella confidenza. In fondo
era passato solo un giorno e se comunque non eravamo degli
sconosciuti, di certo il nostro rapporto era fragile e diverso.
Quando arrivai al locale, trovai Dylan seduto
ad un tavolino. "Bellissimo", fu
la prima cosa che pensai. I suoi capelli biondi, tagliati
sempre allo stesso modo, la camicia bianca che ero certa di avergli
regalato io. "Furbo, sa quanto amo quando se la mette".
Chissà se gli stessi brividi che sentii da lontano osservandolo, si
sarebbero trasformati in piacevoli sensazioni anche chiacccherandoci.
Mi avvicinai a lui che subito mi sorrise e mi
lanciò uno sguardo intenso.
Ricordai perfettamente ogni volta che mi
guardava così. Quando eravamo fidanzati, ogni volta che doveva dirmi
qualcosa di importante o aveva una sorpresa speciale era proprio
così. Non mi stupii d'altronde, che si comportò nello stesso modo
anche quel giorno.
-Ciao- lo salutai timidamente e palesemente
agitata
-Ciao Amber... come stai?- disse cercando di
toccarmi le mani ma io le avvicinai a me. Lui sospirò capendo che
doveva andarci più piano. Era consapevole che non sarebbe stato
facile.
-Dylan... ti prego risparmiami queste
sciocchezze... sappiamo entrambi come sto... -
Lui socchiuse gli occhi e arrossì. -Scusa...
sono stato uno stupido in tutto questo tempo-
Nel frattempo una cameriera, dopo aver
ordinato, ci portò due caffè.
Io annuii -beh, perlomeno l'hai capito... -
-Perdonami... in tutto questo tempo senza di
te, a Greensburg ho cercato di autoconvincermi di essere contento di
essermi liberato di te ma... -
-Ma?!-
-Ma non fu così... quando trovai quelle foto
su Facebook mi resi conto davvero che l'unica
ragazza che possa amare sei tu... l'unica ragazza fatta
per me è proprio di fronte a me...-
Io rimasi in silenzio, non sapevo che dire ma
dentro di me quelle parole mi fecero bene. Ero stranamente felice di
sentirmi dire che Dylan provava dei sentimenti per me.
-Amber, mi sono comportato da coglione per
troppo tempo ma facevo così perchè mi sentivo trascurato, tradito e
preso in giro. Volevo che tu provassi le stesse cose che provavo io
quando ci eravamo lasciati-
-Dylan io posso capire che ti sentivi male, che
ti faceva rabbia chi ero diventata. Ma sapevi che mi ero
disintossicata, perchè avevi continuato a farmi del male? Se mi
amavi davvero, perchè mi avevi abbandonata?!-
-Perchè credevo non avessi più bisogno di me.
Credevo di non essere abbastanza-
-Di non essere abbastanza?! Tu sei anche troppo
per me!- gli urlai
-Cosa?!- disse abbozzando un sorriso sorpreso
-Si Dylan, ricordi tutti i nostri bei momenti
insieme? Io li ho amati uno per uno. E se vuoi la verità non ho mai
smesso di amarli-
Lui per attimo socchiuse gli occhi, gli scese
una lacrima.
-Nemmeno io, volevo dimostrarmi forte, figo,
non volevo che la gente credesse provassi dolore. Ma in tutto questo
tempo non ho che pensato a te e a quanto vorrei rivivere la nostra
storia-
Il mio cuore iniziò a battere fortissimo e le
mie mani a tremare. Ci guardammo intensamente per un tempo che non
seppi definire e poi ci baciammo. La parte
più bella del mio passato tornò a galla. L'amore
più bello della mia vita era tornato. I ricordi e le emozioni mi
travolsero di nuovo.
“Aveva il potere di trasformare il mio sorriso in lacrime, e le mie lacrime in sorriso.”
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Capitolo 15 *** Non mi dimenticherò di noi. ***
cap15
Per un attimo credetti di sognare. L'avevo
davvero baciato?! Perchè?! La cosa
che più mi diede fastidio fu il fatto di provare piacere. Sentii una
bellissima sensazione sfiorandogli le labbra e toccandogli il viso.
Ma per quanto fosse tutto così fantastico,
dovevo essere razionale. Ero partita per la Francia con uno scopo
preciso: cambiare vita. Ma quel bacio aveva rovinato tutto.
-Dylan... ti prego... non fare così- dissi
allontanandomi
-così...come? Non puoi negare di essere
attratta da me Amber...- fece Dylan abbozzando un sorriso e
accarezzandomi la guancia
-Non dico di non volerti, ma c'è un motivo se
sono andata via da Greensburg-
-Amber ascolta: la gente commette errori tutti
i giorni. Io lo ammetto: ho sbagliato e mi pento di tutto il male che
ti ho fatto. E così anche Jennifer, tua madre e tutti i nostri
amici...-
Quando sentii nominare "mia madre"
provai un senso di nervoso. Lei sapeva quindi che Dylan mi aveva
trovata, sapeva che ero in Francia e non aveva fatto niente.
-pentirsi non basta. Dylan la vita va avanti,
qui sono felice. Non posso abbandonare tutto. Amelie mi vuole bene,
ho una nuova famiglia. Non ti sei chiesto perchè mia madre non sia
venuta con te?-
A quella mia domanda detta in tono duro, Dylan
socchiuse gli occhi e notai in lui qualcosa di misterioso. Come se mi
fossi persa un pezzo della storia.
-Dylan... che c'è? Mi nascondi qualcosa?-
-Amber... non sapevo come dirtelo... speravo di
spiegartelo quando fossimo già in America...-
-spiegarmi cosa?!- dissi quasi urlando. C'era
tensione nell'aria, sentii il mio stomaco chiudersi.
-Amber tua madre è malata... dopo che sei
andata via ha provato in tutti i modi a cercarti ma non ti ha
trovata, ha iniziato a bere e un giorno...-
Io sgranai gli occhi incredula alle parole di
Dylan.
-ha fatto un grave incidente ed ora è in
ospedale...- mi guardò triste e in quel momento capii davvero che
era sincero. Conoscevo bene certi sguardi e i suoi occhi non potevano
mai tradirmi.
Mi sembrava tutto un incubo. Mia madre era
all'ospedale. La decisione che presi fu praticamente immediata.
-Partiamo- dissi in tono sicuro
Lui mi sorrise e mi prese la mano.
-Questo non significa che lascerò per sempre
la Francia, semplicemente so che mia madre ha bisogno di me e non la
posso abbandonare-
Lui annuì probabilmente soddisfatto di aver
raggiunto il suo scopo. Anche questa volta aveva vinto lui. Aveva
vinto il mio passato. Ma sapevo di essere forte e nemmeno tornare a
Greensburg mi avrebbe abbattuta di nuovo. Ero cresciuta e sicura di
me stessa.
L'unico ostacolo però era Amelie. L'avrei
delusa di nuovo, ne ero certa. Ma credeva in me, si fidava ed ero
certa che nei miei panni, si sarebbe comportata allo stesso modo.
Salutai Dylan con un abbraccio anche se lui
cercò di baciarmi. Non potevo rischiare di cascarci di
nuovo.
Quando tornai a casa trovai la mia amica seduta
sul divano a leggere un libro.
-Amber! Dove sei stata? Ti ho scritto poco fa
se ti andava un sushi!-
Io mi sedetti accanto a lei -Amelie... ti devo
parlare. Sono stata con Dylan questo pomeriggio e...-
-E?- fece lei corrugando la fronte
-Abbiamo parlato a lungo... mi ha raccontato
una cosa molto importante che mi ha fatto riflettere e prendere una
decisione-
lei incuriosita e preoccupata mi esortò a
continuare
-Ecco vedi... ho deciso di partire. Mia madre è
malata, è all ospedale. Ha fatto un incidente perchè guidava da
ubriaca. Sai, in tutto il periodo della mia essenza mi ha cercata a
lungo ed era disperata... così aveva iniziato a bere-
-Amber... voglio venire con te-
-no... è meglio di no... non ha senso... non
meriti di sprecare energie per quell'inferno... ti sto facendo
soffrire già abbastanza... me la caverò... non sarà per sempre-
-Insisto! Hai bisogno di un appoggio, di una
sicurezza-
-C'è Dylan...-
-Pff.. Dylan...- sbuffò lei
io sorrisi -Amelie non fare così... se
qualcosa va male io tornerò subito... non è la prima volta, in
fondo, che scappo da Greensburg, no?!-
-Credo in te, se è così che vuoi non posso
che darti il mio supporto- disse prendendomi le mani
-Grazie, ti voglio bene Amelie-
-sii prudente, promettimelo- disse e le scese
una lacrima.
Vedere quella lacrima rigarle la guancia mi
fece crollare. Per colpa mia era di nuovo triste. Aveva una vita
perfetta prima che arrivassi a Parigi e io gliel'avevo stravolta.
Quella sera, dopo cena, con l'aiuto di Amelie,
spiegai a Jean e Jasmine che sarei tornata in America. E dopo averlo
detto ai genitori della mia amica, fu il turno dei miei amici. E di
Leo.
Ovviamente lui già sapeva della mia decisione
tramite Dylan ma ci tenevo che lo sapesse direttamente da me.
-Non so se ringraziarti o essere arrabbiata con
te Leo... ciò che hai fatto ha portato dei grandi cambiamenti in me-
-Lo so ma... Dylan è un mio grande amico e mi
fido di lui. Molte volte mi ha aiutato e dovevo restituirgli il
favore. E poi sono del parere che tutti meritino una seconda chance-
-Forse hai ragione... solo il tempo svelerà la
verità!-
-Già... però c'è una parte di me che odia il
fatto che Dylan ti abbia trovata-
-che intendi?- chiesi turbata.
-Amber... io ci tengo davvero molto a te e...
beh ecco non è facile da dire ma... mi mancherai moltissimo quando
sarai in America... mi sono affezzionato e sto provando una strana
sensazione... come un senso di gelosia verso Dylan...-
A quelle parole mi emozionai -Leo per me è la
stessa cosa... io ti voglio bene e non devi essere geloso di lui-
Ci abbracciammo e mi scappò una lacrima di
commozzione e di malinconia pensando a tutti i momenti belli
trascorsi con lui e i nostri amici.
-Io non ti dimenticherò mai Leo, ogni momento
nostro, ogni parola tua, ogni tuo gesto è impresso nel mio cuore e
non ci sarà Stato, continente, persona che ci potrà dividere-
-Io ti amo, Amber- disse tra le lacrime e in
quel momento pensai a quanto stupida ero a credere di essere ancora
innamorata di Dylan.
“A
volte la vita, semplicemente non è come vogliamo, non è
quello che abbiamo sempre sognato, non è la nostra.
Succede anche che cerchi di cambiarla, ti sforzi, fai di tutto ma niente.
E allora non ti resta che tirare un sospiro,
la vita è incontrollabile è così e basta.”
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Capitolo 16 *** E questa la chiami vita? ***
cap16
Partimmo il pomeriggio dopo.
-Avevi già pronti i biglietti?!- chiesi a
Dylan turbata
-Certo... ti conosco... sapevo
saresti venuta con me- disse abbozzando un sorriso
Odiavo quel suo sentirsi così sicuro di sè.
-Non ti smentisci mai...-
Stavamo aspettando l'aereo e calò un lungo
silenzio tra noi. Pensai a cosa lasciavo partendo: un'amica speciale,
un ragazzo bellissimo, una famiglia e un lavoro. Già, un lavoro
sicuro e che mi rendeva indipendente. Per fortuna spiegai l'accaduto
a Corinne, la quale gentilissima, mi diede cinque giorni di ferie per
stare accanto a mia madre. Avevo solo cinque giorni e sapevo che mi
sarebbero bastati. Sapevo che tornare a Greensburg mi avrebbe fatto
invidiare la Francia e probabilmente la notte mi sarei pentita di
essere partita ma dovevo farlo. Era mia
madre e che mi fosse piaciuto o no, ero sua figlia e nonostante tutto
meritava il mio supporto.
-Comunque ti ammiro...- disse Dylan
avvicinandosi
io annuii ringraziandolo. Dylan mi ammirava
perchè ero riusciuta a tirare fuori la mia grinta. Quella
grinta e quel carattere che lo avevano conquistato.
Calò di nuovo un silenzio imbarazzante fermato
solo dall'avviso che dovevamo metterci in fila per imbarcarci.
Finalmente, dopo più di un'ora di attesa, partimmo. L'aereo mi
faceva sempre un po' di paura ma Dylan ne era davvero terrorizzato.
-Stringimi la mano- mi chiese. Non l'avevo mai
visto così preoccupato.
Io scoppiai a ridere. Era sempre stato un
ragazzo coraggioso e vederlo così lo rendeva proprio buffo. Decisi
comunque di tenergli la mano e sentii un brivido lungo la schiena.
Dopo essermi rilassato, iniziammo a
chiaccherare per combattere la noia. Mi raccontò cosa "mi ero
persa" durante la mia assenza in America. Mi parlò di Jennifer,
la quale come Dylan, era cambiata e si era resa conto che ero davvero
tornata sana ed ero rinata.
-Voglio vederla, quando atterriamo- dissi
seria, non volevo mostrare la mia ansia
-Immaginavo... verrà lei a prenderci al nostro
arrivo-
-Bene...- sussurrai e notai che Dylan iniziò a
ridere
-Che c'è da ridere,Dylan?!-
-Pensavo al fatto che
ho vinto-
-Vinto?! Che intendi?- mi innervosii di nuovo
osservando la sua sicurezza e la sua risata
-Ti avevo detto che ti avrei portata con me
entro tre giorni... e così è stato-
E' vero, aveva davvero vinto e non potevo farci
niente. Mi limitai a lanciargli uno sguardo duro e decisi di mettermi
a dormire. Ero stanca ma soprattutto non volevo più parlare con
Dylan. Ero sempre stata orgogliosa e "perdere" contro
quell'arrogante del mio ex, mi aveva fatto davvero venire rabbia. Mi
addormentai pensando al "Ti amo" di Leo e alle sue lacrime.
Non avevo mai provato un'emozione così intensa: la prima cosa che
avrei fatto appena tornata a Parigi sarebbe stata di certo baciarlo.
Lo desideravo più di prima, lo sentivo così vicino anche se a
distanza di chilometri e chilometri. "Ti amo anch'io,
bell'italiano" pensai e poi i miei occhi si chiusero per poi
riaprirsi dopo due ore.
Mi svegliai e sentii la mia pancia brontolare.
Mangiai uno snack e bevvi un'intera bottiglietta d'acqua. Dylan stava
guardando un film e, prendendogli una cuffia, mi misi a guardarlo
anch'io.
Dopo ore e ore di aereo che sembravano
interminabili, finalmente (o purtroppo? ) arrivammo a destinazione.
Come già detto, Jennifer ci aspettava e appena la vidi sentii un
tuffo al cuore. Incrociai il suo sguardo e sorrisi. Nella mia mente
passarono tutti gli anni di amicizia, tutti i bellissimi ricordi che
avevo con lei e tutte le dimostrazioni d'affetto che condividevamo.
Anche lei sorrise, non ero sicura se a me o a Dylan (o a entrambi).
Pensai che il suo sorriso era quello di sempre, bellissimo, un po'
timido ma sincero. I suoi piccoli occhi azzurri risplendevano e
desiderai fortemente un suo abbraccio.
-Ciao- disse prendendo la borsa di Dylan e
tentando di prendere anche la mia ma io feci finta di nulla. Non
volevo darle subito tutta quella confidenza. Non
eravamo certo due sconosciute, ma qualcosa era comunque cambiato, non
si poteva nascondere o fingere.
-Ciao- salutammo io e Dylan, il quale stampò
anche un bacio sulla guancia della mia vecchia amica.
Rimasi un po' scioccata da quel bacio, il loro
rapporto, seppur di amicizia, non era mai stato così "affettuoso".
-Vogliamo andare? Ho una fame da lupi!- disse
Dylan
Ci dirigemmo al parcheggio e durante tutto il
viaggio in macchina dall'aeroporto al primo Mc'Donald, solo Dylan e
Jennifer si misero a chiaccherare. Io non sapevo che dire, erano
argomenti che mi ero persa: nuove persone in città, avvenimenti,
litigi e un possibile nuovo fidanzato per Jennifer. Tutte cose
avvenute in mia assenza e perciò non potevo saperle.
Dopo aver mangiato al Mc, Dylan mi diede le
chiavi di casa mia.
-Perchè ce le avevi tu?-
-Tua madre me le ha date affinchè potessi
rilassarti un po' prima di raggiungerla in ospedale-
"Si fidava proprio di lui", pensai.
Ottenere la fiducia di mia madre è raro e rendermi conto che Dylan
c'era riuscito, mi sorprese.
-Grazie- dissi timidamente
Arrivata a casa, mi buttai sul mio vecchio
letto. Tutto era rimasto com'era: mobili, tappezzeria, odore, solo
molta più polvere e disordine. Il mio letto era perfetto a
differenza di quella di mia madre. Bottiglie di alcool circondavano
letto e divano e ciò mi rese molto triste. La immaginai seduta a
bere e sentii un vuoto nello stomaco tremendo.
Mi addormentai poco dopo con le lacrime agli
occhi.
Dylan mi passò a prendere verso le 19.00 ed
ero molto agitata. Arrivati a destinazione, corsi per le scale di
quell'orribile ospedale tenendo per mano il mio ex ragazzo. Avevo
paura di vederla.
-Vieni, sta qua- mi disse Dylan attraversando
un lungo corridoio e girando verso una stanza
Il mio cuore batteva fortissimo, non sapevo
bene cosa aspettarmi, un suo sorriso o magari dormiva. O non poteva
fare nulla perchè stava troppo male, o lacrime di gioia e
pentimento.
Ma tutte le mie aspettative andarono al diavolo
quando notai che il letto era vuoto.
“continua a farmi male tanto io ormai mi sono abituato a sanguinare”
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Capitolo 17 *** Fino a che rimani sarai tu il migliore dei miei mali. ***
cap17
Rimasi a bocca aperta e cercai lo sguardo di
Dylan. Era scombussolato e confuso quanto me. Dov'era
finita mia madre? Non c'erano vestiti, una valigia, un
segno che lei fosse la proprietaria di quel letto. Di fronte a me
c'era solo un materasso bianco e un comodino con una lampada. Era
tutto così surreale e triste.
-Dove diavolo è finita?!- dissi a Dylan pur
sapendo che anche lui si stava ponendo la mia stessa domanda
-E' proprio alle tue spalle- disse una voce che
mi sembrava piuttosto familiare. Era lei, si, era mia madre.
-Mamma!- le urlai abbracciandola. Notai delle
lacrime rigarle il volto e non sapevo se giudicarle di gioia, di
pentimento o di malinconia. Sentii il suo corpo contro il mio, ancora
debole a causa dell'incidente.
-Mi hanno appena dato l'ok per tornare a
casa... ora sto bene Amber! Mi sei mancata tantissimo! Scusa amore
mio, so che ho sbagliato ma...-
-Shhh, non ti preoccupare. La gente commette
sbagli, siamo umani ed io ti perdono-
Rimanemmo a lungo abbracciate e parlammo di
vari argomenti. Non andò tutto secondo i miei piani: non dovevo
farmi travolgere così tanto dalla situazione. Dovevo avere il
controllo sulle mie emozioni ma, vedere il sorriso di mia madre su un
corpo così cambiato e sofferente fu per me un'immagine unica.
Soffriva per me, mi amava.
Le raccontai della Francia, del mio lavoro, di
Leo, di Amelie. Non riuscii a trattenermi, non volevo avere segreti
sapevo che non mi avrebbe fermata, sapeva che non mi sarei comunque
trattenuta più del dovuto a Greensburg.
-Lo so che non
rimarrai a lungo ma ti prego, promettimi che tornerai- mi
disse prendendo il mio viso fra le sue mani
-Finchè vivremo,
sarai sempre nel mio cuore, sei pur sempre la mia mamma-
dissi con un sorriso.
Passarono, senza nemmeno accorgercene, tre ore.
-Andiamo a casa dai- mi propose mia madre
Io accettai e insieme a Dylan, ci dirigemmo a
casa per la cena.
Passammo una bella serata e quando mia madre si
addormentò, aprii il mio portatile e tramite Skype chiamai Amelie.
-Amica mia! Mi manchi tantissimo!-
-Amelie devo raccontarti un sacco di cose! Mia
madre è guarita, ora sta bene... tornerò presto!-
-E' fantastico! E tu, come stai?-
-Io?! Io sto benissimo anche se credo di farmi
coinvolgere troppo... sappiamo entrambe che questi non erano i miei
piani...-
-Amber è tua madre... ha bisogno di te e vi
volete bene. E' ovvio che sia felice di vederti e che tu sia contenta
che ora lei stia bene!-
-Come stai Amelie?-
-Mmmm.. sto bene, non mi lamento! Solito tram
tram... scuola, casa, amici- disse sorridendo
-Mi manchi davvero
molto! Ti voglio bene e ti ringrazio per avermi dato la possibilità
di essere di nuovo felice. Devo tutto a te se ora sono quella che
sono. Me ne rendo conto ogni giorno che passa e senza te non saprei
proprio che fare-
-Guarda che arrossisco!- ridacchiò lei
-E Leo?-
-So che oggi ha provato a contattarti ma eri
occupata credo...-
-Ah si, cavolo! Gli avevo promesso che ci
saremmo sentiti stasera! Cavolo che sbadata!-
-Ci sentiamo Amber! A presto!-
-Ok, au revoir Mademoiselle!-
Poco dopo chiamai, sempre via Skype anche Leo.
Passammo un'ora e mezza a chiaccherare. Mi sembrava di essere fra le
sue braccia, anche se un computer e un oceano ci dividevano.
Mi ero davvero innamorata e questa volta non
avrei permesso a niente e nessuno di perdere il mio amore.
Il giorno dopo accompagnai mia madre a fare
delle ultime visite di accertamento. Mi capitò più volte di
fermarmi ad osservarla e pensai a quanto ci assomigliavamo. Stesso
colore di capelli, stessi occhi e stesso portamento.
Sarai sempre una principessa
Diceva mio padre a mia madre e pensandoci, gli
diedi ragione. Era invecchiata, l'incidente le aveva procurato
diverse botte e lividi, ma rimaneva sempre una vera "principessa".
Finite le visite, andammo a pranzare da
"Barney's", un ristorantino molto carino dove io e la mia
famiglia andavamo spesso. Certo, prima della
morte di mio padre. Poi non ci eravamo più state: troppi
bei ricordi che diventavano brutti ricordi.
Ma quella volta, sedute ad un tavolino a
mangiare un bel piatto di pasta, pensammo solo a chiaccherare, ridere
e scherzare. Non c'era più spazio per la
sofferenza e per il rancore. Mi ero fatta coinvolgere e
avevo ascoltato Amelie, dovevo lasciare che l'amore per mia madre mi
travolgesse.
-Ma dimmi un po'... hai conosciuto diverse
persone in Francia giusto?-
-si mamma, ho molti amici ora...-
-anche qui ne hai... appena sei sparita sono
venuti tutti a cercarti...-
-ma Dylan ha detto che...-
-so cosa ha detto Dylan, sai com'è... vuole
mostrarsi insensibile, forte. Ma ti vuole molto bene e da subito ha
notato la tua assenza, e così anche Jennifer e tutti gli altri-
-Se cerchi di convincermi a rimanere a
Greensburg, questo non servirà... so dov'è il mio posto mamma...
Parigi è casa mia- dissi impaziente. Non sopportavo l'idea che
cercassero di allontanarmi da quel futuro che mi stavo costruendo.
-Amber! Non sto facendo niente di tutto questo,
solo volevo farti sapere di non ignorare l'affetto di Dylan...-
-mamma, io sono cambiata e non mi interessa
cosa abbia fatto Dylan per te e per farmi ritornare... so che ti ha
aiutata e ti ha supportata ma, la mia casa non è più in America.
Devi fartene una ragione-
Lei socchiuse gli occhi e mi prese le mani -non
insisterò più... ti chiedo solo di non dare nulla per scontato...
come sei cambiata tu, sono cambiati gli altri-
Io annuii e insieme andammo verso casa.
Quel pomeriggio mi arrivò un sms da Dylan:
"Stasera Jennifer da una festa, vieni
anche tu su. Hai bisogno di divertirti. D. "
"Ti farò sapere. A. " risposi
semplicemente. Non sapevo se andare, non che non ne avessi voglia ma,
avevo paura. Avevo paura che ci fosse ancora l'eroina, che la
tentazione prendesse il sopravvento. Decisi di parlarne a mia madre.
-Mamma, mi hanno invitato ad un party, stasera-
-Lo so... me ne ha parlato Dylan. Ci andrai,
vero? - mi rispose abbozzando un sorriso
-Non lo so... sappiamo entrambe che cosa
potrebbe succedere- dissi abbassando gli occhi
-Io mi fido di te-
mi guardò negli occhi e mi baciò la guancia
-Io no. Non mi fido di me stessa-
-Non ci sarà droga a quella festa, mi fido di
Jennifer e non sarebbe così stupida-
-si lo so, ma potrebbe esserci qualcun altro!-
-Amber ascoltami, hai bisogno di credere in
testa ed è anche per questo che stasera dovresti uscire... questa
sera dimostrerai a tutti che sei cambiata. Sei
più forte-
io annuii e ci abbracciammo. Quel sabato sera
avrei davvero avuto modo di mostrare a tutti che Amber era più
forte, più forte di prima.
"A che ora stasera? A."
"Le dieci e mezza, passo io da te. D."
“La strinse forte come se lei fosse tutta la vita e gliela volessero portar via.”
—
Ernest Hemingway
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Capitolo 18 *** Siamo giovani. ***
cap18
-Mamma... ho deciso...
stasera andrò alla festa di Jennifer-
-Sul serio?! Sono
felicissima amore mio... sono certa che ti divertirai...-
A differenza sua, avevo
qualche dubbio sul successo di quel party. Sapevo che mi sarei potuta
pentire ma, alla fine, mancavano pochi giorni alla mia partenza e
qualsiasi cosa potesse capitare, non mi sarei fermata più del
dovuto.
Dopo cena andai in camera
mia a cercare tra i miei vecchi abiti qualcosa di adatto. Notai con
stupore che tutto era tenuto benissimo, pulito e in ordine. Mia madre
non era mai stata una gran donna di casa e in genere ero sempre io a
sistemare le varie stanze e temevo che in mia assenza la nostra casa
fosse diventata un disastro. In effetti si, era così. Ma la mia
stanza era perfetta. Come se mia madre si
aspettasse che prima o poi io sarei tornata e avrei avuto bisogno di
quella camera.
Cercai a lungo e optai per
un abito nero con scollo a cuore e i miei immancabili anfibi neri.
Certo, non era il massimo dell'eleganza ma quello era il mio stile:
era ciò che mi rendeva "diversa" dalle mie coetanee. Non
mi era mai interessato molto seguire la moda, preferivo di gran lunga
personalizzare i miei outfit. Mi limitai ad una linea di eyeliner,
lucidalabbra e smalto nero. Indossai inoltre un bracciale dorato, per
dare comunque un po' di colore. Quel bracciale me l'aveva regalato
proprio Jennifer qualche Natale fa e a pensarci, sentii il mio
stomaco stringersi. Avevo tanti bei ricordi di quel gioiello: la
gioia nel scartare il pacchetto, l'abbraccio per ringraziarla. Era
tutto così bello e sapevo che non la nostra relazione sarebbe potuta
tornare come prima. Una festa non avrebbe comunque
sistemato tutto: ma era un buon inizio.
Pensai a quante volte indossai quel bracciale: cerimonie, uscite con
gli amici, occasioni particolari. Per me aveva sempre avuto un valore
importante: non era un semplice accessorio. Quel bracciale per me
significava qualcosa: l'amicizia che avevo con Jennifer. Un'amicizia
bellissima, fatta di gioia, sincerità, esserci l'una per l'altra. Ma
allo stesso tempo, un'amicizia rovinata. Un rapporto perso, buttato
via. E più ci pensavo e più mi
ripetevo che questa è la vita.
In
fondo ero una ragazza con mille sogni e tanta voglia di vivere
e non mi sarei mai pentita delle mie decisioni, di partire per la
Francia.
-Sei bellissima, tesoro mio-
disse mia madre vedendomi scendere le scale
Io sorrisi e mi osservai
allo specchio nel soggiorno. Sospirai
ricordando come mi ero ridotta fisicamente a causa della droga.
Durante quel periodo persi molti chili, la mia pelle era molto più
chiara ed ero molto fragile. Mi venne in mente quante volte Dylan mi
prendeva in giro chiamandomi "spaventapasseri" o "rospo"
e tutte le lacrime versate per colpa sua e del mio fisico. Mentre
ora, slanciata, nel mio peso ideale, sorriso smagliante, brillavo
come una stella. Ero molto emozionata e in ansia. Non
sapevo effettivamente cosa aspettarmi da quella festa, se qualcuno mi
avesse parlato, se ci fosse stata eroina, alcool ma soprattutto se
avessi avuto la possibilità di divertirmi veramente.
A fermare tutti quei
pensieri fu il mio cellulare che iniziò a squillare: era Dylan. Mi
aveva detto che era di fronte casa mia e che potevo uscire.
-Devo andare mamma, non so
se dovresti aspettarmi alzata...-
-Ora vai, ti voglio bene
Amber- disse passandomi la giacca e la borsa. Mi stampò un bacio
sulla guancia e io le accarezzai il viso.
Montai in macchina e a mia
sorpresa, in senso negativo ovviamente, Dylan mi salutò con un bacio
sulla guancia. Non riuscii a spiegarmi il motivo di quel bacio, e
soprattutto il fatto che non mi ribellai al suo gesto infatti, non
gli dissi nulla, semplicemente mi limitai ad una smorfia.
-Sei fantastica stasera,
come sempre- disse sorridendo
-Parti- dissi seccata,
odiavo i suoi complimenti fatti con quel tono di voce così spavaldo.
Il viaggio da casa mia a
quella di Jennifer durò almeno venti minuti. Venti minuti di puro
silenzio. Quando scendemmo dall'auto suonammo il campanello e
Jennifer ci aprì. La festa era all'aperto: piscina, dj, alcool e
tanta gente. "Beh, Amber che
t'aspettavi?" pensai
tra me e me.
-Vuoi
qualcosa da bere?- mi propose Dylan
-no
grazie, non ho sete...- risposi io cercando con gli occhi volti
familiari. Riconobbi infatti le mie vecchie amiche che, quando
notarono me e Dylan vennero da noi.
-Amber!
Allora sei tornata davvero!-
-Già,
eccomi qui...- abbozzai un sorriso
-Su...
vieni con noi! Ti presentiamo un po' di persone!-
Decisi
di farmi prendere dalla situazione anche stavolta. Era,
in fondo, la mia vita, avevo ormai diciannove anni e tra qualche
giorno sarei comunque ripartita. Se fosse successo qualcosa sarebbe
comunque rimasto a Greensburg e io sarei andata via.
Conobbi
molti ragazzi nuovi e mi rincontrai con vecchi amici e compagni di
classe. Sembrava
che tutti avessero dimenticato che mi soprannominavano "Amber la
drogata". Meglio così, non mi andava di
sentire gente che si scusasse per i propri errori, volevo
solo divertirmi.
Accettai
anche di bere qualche bicchiere. Si, certo, qualche. Il
lupo perde il pelo ma non il vizio.
-Siamo
giovani Amber! Solo per questa sera!- disse un ragazzo di cui non
ricordai il nome.
Così
finì che seguii il mio istinto e decisi di fare ciò che mi veniva
meglio: fare festa senza pensieri.
Ma mi
pentii amaramente di essere andata a quella festa quando scoprii di
essermi ubriacata.
Tornai a casa circa alle quattro del mattino. Mi accompagnò Dylan
fino al mio letto in quanto faticavo anche solo a salire le scale.
Votimai più volte e lui fu davvero gentile a farmi da "assistente".
-Grazie, sei fantastico- dissi confusa
Lui mi sorrise -Figurati-
Poi mi distese sul letto e se ne andò. Ma mentre stava uscendo dalla
porta della mia camera lo fermai dicendogli -Aspetta!-
-Amber?-
-Rimani qui... vicino a me-
-Cosa?- fece sorpreso e sbarrando gli occhi
-Hai capito bene... ti prego Dyl, non posso stare sola...- l'avevo
chiamato "Dyl" e questo era preoccupante. Quello era il suo
soprannome quando stavamo insieme.
-Sei ubriaca Amber...- sorrise avvicinandosi e accarezzandomi la
testa
-No... ehm... forse... non lo so... non importa... dormi qui con me-
-Non posso Amber- sospirò allontanandosi
-Perché?-
-Ho fatto una promessa... -
Io non dissi nulla, capivo ben poco della nostra conversazione.
-Amber io l'ho promesso a Leo, e a Jennifer...- continuò lui
dolcemente
-Non capisco...-
-Leo ti ama ed è mio amico. Ed ora che so questo sto cercando di
dimenticarti... non renderla più difficile- fece sempre con il
sorriso
-Ma cosa centra Jennifer?!-
-Noi stiamo insieme... e non posso più permettermi di tradirla... io
le voglio davvero molto bene e per quanto ti possa amare... è il
momento di lasciarti andare...-
In quel momento mi addormentai.
"La vita è molto, molto breve e
puoi scegliere di viverla nella maniera in cui vuoi. Puoi decidere di
buttarti via e di non esprimere te stesso solo per essere accettato,
solo per piacere alla gente.
Oppure, puoi fottutamente vivere."
— Gerard Way
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Capitolo 19 *** Io non ti dimenticherò mai. ***
cap19
Mi svegliai il mattino dopo con un forte mal di testa. Conoscevo bene
quella sensazione: i postumi della sbornia, il sovraccarico di
pensieri.
Ancora vestita, cercai di alzarmi dal letto e, notai un livido
abbastanza grande sul ginocchio. Mi spaventai non tanto per il dolore
che sentii quando appoggiai i piedi sul pavimento, ma, più per il
fatto che non ricordavo proprio nulla di com'ero riuscita a
procurarmelo. Probabilmente ero caduta da qualche scalino o
inciampata sul cemento. Tipico da me d'altronde, non avevo mai avuto
tanto equilibrio. Nè fisico, nè mentale. A
dire il vero, riguardo l'equilibrio fisico ero sempre stata una
ragazza sbadata, con la testa fra le nuvole e gomiti e ginocchia
sbucciate ma mentalmente, dopo essere partita per la Francia, avevo
raggiunto un vero e proprio equilibrio, una stabilità. Ero serena e
senza pensieri. A differenza del mio passato a Greensburg, ero molto
diversa, con mille problemi e sbalzi d'umore. No, non ero affatto
felice.
Accesi il cellulare e vidi con mia sorpresa che erano già le undici
del mattino. Era un sacco di tempo che non mi svegliavo così tardi
dato che, lavorando in Francia, avevo l'abitudine di alzarmi sempre
prima delle otto. Controllai poi se avevo ricevuto sms e infatti ne
avevo uno proprio da Dylan.
"E'
stato bello farti da assistente e spero di avere un buon rapporto con
te in futuro. Ti prometto che nessuno saprà ciò che ci siamo detti
la scorsa notte. D"
Lì per lì mi sentii molto confusa poi iniziai a riflettere. "Forza
Amber... pensa pensa pensa!" dissi fra me e me. Avevo
molte domande, relative al messaggio di Dylan, a cui non riuscii a
dare risposta. "Ma a cosa si
riferisce?" "Di che avevamo parlato?"
Decisi comunque di non mettere ulteriormente in difficoltà la mia
mente che già soffriva per i postumi.
Così mi spogliai e mi feci una doccia poi, non prima però di
mangiare qualcosa.
Con mio stupore notai che in casa c'era un silenzio assordante e
capii che mia madre era fuori. Evidentemente era andata a prendere il
pane o fare una passeggiata.
Per quanto ci provassi, non riuscii a togliermi dalla testa il
messaggio di Dylan e tutte le domande da lì collegate così decisi
di fargli una telefonata.
Dopo diversi squilli mi resi conto di quanta ansia stava crescendo
dentro di me. "Rispondi
Dylan, rispondi!"
La sua voce, quando rispose al cellulare, mi provocò un forte nodo
allo stomaco ma allo stesso tempo un senso di sollievo in quanto
avrei potuto soddisfare tutti i miei dubbi.
-Amber?-
-Dylan... che diavolo significa quel messaggio?-
Ci fu un lungo silenzio tanto che pensai fosse caduta la linea.
-Dylan, ci sei?-
-Sisi... ecco... è successa una cosa la scorsa notte... ti ho
accompagnata a casa... eri ubriaca e stavi male così sono stato con
te fino a quando ti sei addormentata-
Chiusi gli occhi per un secondo cercando di nuovo di ricordare.
Finalmente qualche frammento riemerse nella mia mente: Dylan mi
teneva in braccio e mi portava in bagno poi mi aveva stesa a letto
dopo avermi lavato il viso.
-E cosa ci siamo detti?- mormorai
Un altro lungo silenzio e sentii l'ansia aumentare.
-Ecco... è complicato... è difficile... lascia stare dai, non è
importante-
-No, voglio saperlo- dissi con fermezza
-Si hai ragione- sospirò poi continuò raccontandomi ciò che ci
eravamo detti: l'avevo invitato a fermarsi a dormire ma lui si era
rifiutato perchè sapeva di me e Leo e perchè era fidanzato con
Jennifer. Non ricordavo nulla di quella conversazione e probabilmente
era meglio così. Mi era sempre stato difficile sentirmi dire in
faccia verità scomode. Provai un forte senso di colpa, l'avevo messo
in difficoltà. L'avevo davvero messo in imbarazzo quella notte. Ero
certa dicesse la verità, conoscevo bene il mio ex ragazzo e sapevo
ormai quando mentiva, anche solo dal tono di voce.
-Scusa- mi limitai a dire
-Tranquilla... come ti senti?-
-Ora meglio... i postumi della sbornia... era da un po' che non li
provavo-
-Mi mancherai...- sospirò
La chiamata terminò lì. Mancavano ancora due giorni alla mia
partenza e il pensiero di dover lasciare Dylan, mia madre, Jennifer e
Greensburg mi fece scendere una lacrima.
Avevano
ragione, che mi fosse piaciuto o no, Greensburg era pur sempre casa
mia.
Dopo due ore dal mio risveglio, mia madre non
era ancora tornata a casa. Iniziai a preoccuparmi: non era da lei
rimanere così a lungo fuori casa sapendo che sua figlia era con lei.
Decisi allora di telefonarle ma aveva scordato il cellulare a casa.
Gli squilli infatti, provenivano dalla sua camera da letto. Il suo
nokia 1100 suonava e sul display notai la scritta "Amore".
Il
fatto che ancora aveva quel nome segnato in rubrica mi regalò un
sorriso. Mi amava davvero, solo non era molto brava a dimostrarlo. E
più passavo del tempo con lei, più mi convincevo che era così.
Notai però, un biglietto accanto al
telefonino. Era scritto da lei ed era per me.
"A
differenza tua, sono una persona debole. Volevo darti una vita da
principessa, figlia mia, ma non ci sono mai riuscita. Non sono mai
stata una brava madre ma, devi sapere, che ti amo e non ho mai smesso
di farlo. Abbiamo sofferto molto insieme, soprattutto per la morte di
tuo padre. Sappiamo bene cosa significa perdere chi amiamo e non
voglio farti piangere ancora. So che avrei dovuto dirtelo ma era più
forte di me, il tuo sorriso era così bello che non avevo la forza di
spegnertelo. Così te lo dico in un biglietto. Sono partita stanotte
mentre tu eri alla festa. Sono molto malata e mi resta poco. Non mi
cercare, non voglio rivivere quelle sensazioni provate dieci anni fa.
Ricordati solo che sei la persona più importante della mia vita e so
che sei forte. Ed è per questo che mi fido di te e so che supererai
anche questa. Perdonami"
Scoppiai a piangere incredula. Le mie mani
iniziarono a tremare e mi accasciai a terra. Controllai nell'armadio
e come dimostrava il biglietto, lei era davvero partita.
Scoppiai a piangere incredula. Le mie mani
iniziarono a tremare e mi accasciai a terra. Controllai nell'armadio
e come dimostrava il biglietto, lei era davvero partita.
Fu in quel momento che capii quanto potesse
essere prezioso avere una madre. Mia madre
si sbagliava, io non ero forte. Fingevo, credevo di esserlo.
Rilessi più volte ciò che aveva scritto e
giurai a me stessa che l'avrei trovata.
Cercai di calmarmi. In quel momento capii
perchè mia madre insisteva così tanto per farmi andare a quella
dannata festa. Non voleva salutarmi, avrebbe
fatto più male: non potevo biasimarla, in fondo, mi ero comportata
allo stesso modo quando partii per la Francia.
“Non sappiamo di avere qualcosa finché non lo perdiamo, o non incontriamo qualcuno che l’ha perso.”
—
Ciò che inferno non è, Alessandro D’Avenia
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Capitolo 20 *** Quando sei uscita da quella porta, una parte di me è morta. ***
cap20
Cercai di tornare lucida. Ne avevo passate
davvero tante e quella lettera nproprio non ci voleva. L'ennesimo
fulmine a ciel sereno. Dovevo saperlo: la
felicità è sempre temporanea. Dura poco. Il dolore invece è
permanente, a volte si nasconde ma, c'è sempre e riaffora quando
meno te l'aspetti.
Per
la felicità bisogna combattere. Per il dolore,invece, basta un
semplice errore e tante volte non è nemmeno nostro.
Ero stesa sul letto di mia madre e tra le
lacrime, strinsi forte il suo cuscino. Piansi a dirotto, tanto da far
fatica a respirare. L'ultima volta che stettii così male era per mio
padre. E la cosa si stava ripetendo. No, quella volta non dovevo
permetterlo e che mia madre lo avesse voluto o no, l'avrei sostenuta.
Ma soprattutto, l'avrei trovata.
-Non ti lascerò sola- mormorai a me stessa. La
Francia, Leo, Amelie, il lavoro, passarono immediatamente in secondo
piano. Il mio primo pensiero era scoprire dove fosse mia madre.
Il mio corpo era distrutto.
Era come se fossi morta, annegata
nelle mie lacrime. Il mio cuore faticava a battere e avevo
freddo. Per un po' non riuscii nemmeno a riconoscere i colori, vedevo
tutto in bianco e nero. Fu proprio in quei momenti che capii quanto
importante era per me la mia famiglia e quanto contasse veramente.
Con lei, se ne era andata via anche gran parte di me. La mia anima,
la mia felicità, la mia voglia di ricominciare. Ero così debole che
desiderai l'eroina e mi sentii un verme a provarne bisogno. Volevo
solo calmarmi, non provare più nulla almeno per un po'.
Ma poi ricordai le conseguenze e il mio passato
così chiusi gli occhi, pensando al male che mi aveva procurato. E fu
lì che ebbi l'occasione di riflettere sulla forza che ero riuscita a
conquistare. Così riaprii gli occhi, mi alzai dal letto e corsi a
prendere il cellulare: dovevo andare alla polizia.
Presi l'automobile e guidai molto oltre i
limiti. Dovevo fare presto. Nel frattempo mandai un sms a Dylan.
"Vieni alla centrale di polizia. E'
importante. A."
La sua risposta non tardò ad arrivare "Arrivo
subito"
Quando parcheggiai, Dylan si trovava fuori dal
comando a fumare una sigaretta.
-Che succede?!- mi disse con aria preoccupata
Io gli mostrai la lettera, era troppo difficile
da spiegare a parole. Lui, dopo averla letta, rimase a bocca aperta.
Dal suo viso capii che non ne sapeva proprio nulla, era un mistero
per entrambi.
-Entriamo- mi disse prendendomi la mano.
Quando entrammo un polizziotto ci accolse e si
presentò. A nostra volta, facemmo lo stesso.
-Mi
chiamo Amber Tallish e sono venuta qui a
denunciare una scomparsa-
Il mio cuore batteva
fortissimo. Il polizziotto, Mr Hudson, ci accompagnò in una piccola
stanza e, insieme ad un suo collega che nel frattempo compilò il
verbale, ci ascoltò. Mostrai la lettera e diedi più informazioni
possibili su mia madre. Purtroppo però, quando iniziai a parlare,
scoppia a piangere. Il dolore, a parlarne, si sente ancora di più.
Mentre Mr Hudson lesse ad alta voce la lettera scritta da mia madre,
sentii delle spade conficcarsi nel cuore. Facevo fatica a respirare,
avevo caldo pur essendo ormai autunno. Dylan fu di gran supporto: mi
teneva la mano, contribuì all'indagine dando informazioni sul suo
rapporto con mia madre. Restai sorpresa dalle cose che raccontò: mi
aveva tenuto nascosto un lato molto personale e importante del
rapporto che aveva con lei.
Dylan infatti, mentre io ero
in Francia, era diventato per mia madre, un secondo figlio. La veniva
a trovare quasi tutti i giorni e passava molto tempo con lei. Una
delle tante lacrime che versai quel giorno, fu anche per la
commozzione delle parole di quel ragazzo.
-Conosco la signora Tallish
dai tempi del liceo, non capisco il suo comportamento ragazzi. Sono
molto sorpreso e, insieme alla mia squadra, faremo il possibile per
trovarla-
Fu tutto quello che Mr
Hudson ci disse. A dire la verità, mi sarei aspettata qualcosa di
più concreto, ma confidavo in quell'uomo e comunque mi ero promessa
che l'avrei cercata io stessa perciò, se non l'avrebbero contattata
loro, l'avrei fatto io.
Uscita dalla caserma decisi
di tornare a casa per parlare con Amelie e Leo.
-Ehi tesoro! Come stai?- mi
chiese Amelie
-Amelie... ti devo
parlare... è molto importante-
-Dimmi pure...-
-Non torno a casa... non ora
perlomeno- abbassai gli occhi mentre glielo comunicai. Seppur ci
fosse un computer a dividerci, la sentivo proprio di fronte a me e
sentivo i suoi occhi tristi sui miei.
-C..che cosa?- balbettò
sorpresa e triste
-Si è così... mia mamma è
scomparsa... so che è una cosa strana e nemmeno io ancora non ci
credo... mi sono svegliata stamattina e di lei è rimasta solo una
lettera. Mi ha scritto che è malata ed è andata via perchè non
vuole che la veda soffrire come è successo con mio padre-
Ci fu un lungo silenzio ed
entrambe iniziammo a piangere.
-Amber, ti voglio
raggiungere il prima possibile. Hai bisogno di me-
-No.. non posso
permetterlo... hai la tua vita... vedrai che la troverò... c'è
Dylan con me-
-Amber... sappiamo entrambe
che il supporto che ti da quel ragazzo non è lo stesso che ti do
io...-
-Amelie non fare così...-
-Tu sei parte della mia
famiglia e la famiglia non si lascia. Io non ti lascio-
Mi commossi alle sue parole.
-Ti adoro e va bene, se
proprio te la senti, ti aspetto-
-Preparo già le valigie!
C'è una mamma da trovare!-
Dopo aver parlato con
Amelie, chiamai anche Leo e gli raccontai le stesse cose dette a
Amelie. Anche lui espresse il suo desiderio di partire per
Greensburg. Ovviamente avevo voglia di vederlo ma, non volevo
metterlo nei guai. Non volevo farlo soffrire, non volevo vivesse gli
stessi sentimenti che provavo io. Ad una persona così bella,
perfetta, stupenda, non potevo permettere di provare sentimenti così
bui come il dolore. Ma non potevo resistere al suo insistere così
dolce. Così accettai e insieme alla mia migliore amica, partì per
Greensburg.
“La gente perde la testa quando sta perdendo chi ama.”
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Capitolo 21 *** Voi mi rendete felice. ***
cap21
Verso le 9 del mattino
sentii il campanello suonare. Corsi alla
porta impaziente sapendo chi mi sarei trovata di fronte:
la mia migliore amica e Leo, il bellissimo ragazzo che mi mancava da
impazzire.
-Amber!- urlò Amelie
buttando le sue braccia attorno al mio collo e stringendomi in un
forte abbraccio
-Ehi Amelie.. mi strai
stringendo troppo... così mi ucciderai!- dissi scherzando
Di
certo avevo bisogno di sorridere, di ridere, di rimanere, anche solo
per un po', con la mente altrove. Non dovevo piangermi addosso ma
tirare fuori gli artigli e mostrare la mia grinta.
-Mi sei mancata così tanto
amica mia!- disse sorridendo e sentii il mio cuore battere
all'impazzata
Quando ci staccammo
dall'abbraccio notai finalmente una testa castana piena di ricci
spuntare da dietro con due pesanti valigie. Rimasi a bocca aperta per
l'emozione: il mio amore, il ragazzo più
bello del mondo era proprio di fronte a me, non c'era più nessun
computer a dividerci.
-Amber- sussurrò e mi corse
incontro
-Leo!- urlai e ci stringemmo
in un forte abbraccio, tanto che mi sembrò di non riuscire a
respirare più. Chiusi per un attimo gli occhi inebriata da quel suo
profumo che tanto mi mancava. Sentii la sua
pelle sulla mia, i nostri battiti battevano allo stesso ritmo e le
nostre labbra si incontrarono in un bacio da film holliwoodiano.
-Mi
sei mancata così tanto- disse lasciandomi dall'abbraccio
e tenendomi le mani
-Anche tu...- socchiusi gli
occhi cercando di frenare lacrime di gioia.
Non
potevo non essere felice, loro erano la mia famiglia.
-Vedrai.. la troveremo-
disse in tono serio e speranzoso guardandomi negli occhi
In
quel momento capii che davvero avremmo trovato mia madre. Con loro ce
l'avrei fatta, loro erano la mia potenza. L'amore vince su tutto
e con un po' di pazienza e determinazione saremmo riusciti nella
nostra piccola grande "missione".
Accompagnai i due ragazzi
nel soggiorno e mostrai loro la casa. -Questa è la cucina.. niente
di che però tutto sommato è accogliente e immagino già il profumo
delle tue lasagne italiane Leo! Le devi cucinare assolutamente
stasera- dissi indicandogli il forno
Lui mi sorrise e aggiunse
-certo! E questa foto? Sei tu?- prese una fotografia inserita in
cornice. Avevo cinque anni e sorridevo a papà che come un vero
fotografo, mi dava indiazioni su come mettermi in posa. Mi sentivo
una piccola modella e il fatto mi divertiva molto.
-Amber? Tutto ok?- mi chiese
Amelie risvegliandomi da quel dolce ricordo
-Si ehm.. Leo si avevo
cinque anni...- abbozzai un sorriso
-Eri proprio una bella
bambina... e lo sei tutt'ora- disse baciandomi la guancia
Provai un brivido lungo
tutta la schiena. Avevo davvero bisogno delle sue attenzione, del
nostro contatto fisico e della nostra intesa. Leo
era un vero toccasana, una medicina a qualsiasi malattia.
Avevano ragione, Leo e
Amelie, quando insistevano sul fatto che avevo bisogno di loro.
-Venite su, vi mostro il
soggiorno..-
Il salotto era forse la
parte della casa che più preferivo: nella mia infazia, avevo davvero
molti ricordi felici. Prima di entrare a far parte del brutto giro
della droga, in quella stanza passavo molte serate con Jennifer a
raccontarci segreti, mangiare pop corn guardando le nostre serie tv
preferite. Ma non solo, ogni 25 dicembre io e i miei genitori
aprivamo i regali seduti sul divano e accanto ad esso c'era sempre un
bellissimo albero di natale che preparavo con gran gioia insieme alla
mamma.
Ma
dopo la morte di papà l'albero, il natale e il soggiorno non erano
più gli stessi. La morte porta via un sacco di cose, a chiunque. Io
e mia madre non eravamo le uniche a portare i segni di quel dolore,
anche la casa ne aveva risentito. Quel pensiero mi diede ancora di
più la spinta a voler trovare mia madre a tutti i costi. Non potevo
permettermi di perdere anche lei. Quel salotto non poteva
rovinarsi di più.
Continuai mostrando il resto
della casa: la mia stanza, il bagno e la camera da letto dei miei
genitori. Guardando il letto matrimoniale e il disordine che vi era
pensai al dolore e ai pianti che avevo avuto poco fa alla scoperta
della lettera. Mi vergognai un po' di com'era rimasta la camera e di
essermi dimenticata di rifare il letto. Ma non potevo farci niente,
quella stanza mostrava il mio effettivo stato d'animo: un vero
disastro pieno di disordine e caos.
Amelie e Leo notarono la mia
tristezza nel guardare quella camera. Non volevo fargli star male a
loro volta così, proposi di mangiare qualcosa.
-Beh, immagino abbiate
fame... vi va un croissant? C'è una pasticceria qui vicino che fa
delle deliziose brioches alla crema!-
-Mmm... in effetti un po'di
fame ce l'avrei!- disse Amelie
Dopo circa venti minuti
arrivammo al locale e ordinammo le delizie che avevo consigliato a
Amelie e Leo e tre caffè.
-Allora ditemi, come vanno
gli studi?- dissi addendanto il mio croissant
-Mmm... come al solito...
per ora ho l'insufficienza in matematica e scienze- mi spiegò Leo
deluso
-Chissà perchè non mi
stupisco! Ma ti impegni un po'?- dissi ridendo
-Beh... più o meno...
Amelie mi sta dando una mano comunque-
-Cosa? Una mano? Un braccio
ti sto dando! Amber... fare matematica con lui è una vera e propria
impresa eroica! Ci vuole una pazienza enorme... Leo si distrae in
continuazione! Per lui persino una mosca è più interessante di un
algoritmo!- disse Amelie bevendo il suo caffè
Leo
si finse offeso mentre
io e la mia "sorellina" ridemmo. Loro mi rendevano davvero felice. I
loro sorrisi mi riempivano il cuore e il loro volermi bene in un modo
così dolcemente incondizionato mi facevano sentire importante
per qualcuno.
Finito il break, decidemmo
di tornare a casa per sistemare le varie valigie.
-Ragazzi... come facciamo
con i posti letto?- chiese Amelie in una smorfia
-Ehm... non c' avevo
pensato- dissi imbarazzata
-Dormo sul divano se per voi
non è un problema-
-Mmm... io credo sia meglio
che tu dorma con la tua ragazza nel letto matrimoniale ed io dormirò
in camera di Amber!-
Io
e Leo ci guardammo intensamente. Desideravo molto passare la notte
con lui e per Leo era la stessa cosa: accettammo allora la
proposta della mia amica.
"Amelie, sei
fantastica" pensai tra me e me.
A pranzo Leo ci preparò la
pasta con il ragù.
-Eh.. si vede proprio che
sei mezzo italiano!- dissi io complimentandomi per la sua bravura nel
cucinare
Nel
pomeriggio decisi di incontrare Dylan. In fondo, era molto amico di Leo
e pensai sarebbe stato bello che si rivedessero. Avevo preso in
considerazione l'idea
che il mio ex mi avrebbe aiutato molto nelle mie ricerche. Voleva
molto bene a mia madre e a quanto mi pareva, sapeva tanto quanto me
su di lei. Durante la mia assenza, aveva
colmato il vuoto che mia madre aveva provato non avendo più sua
figlia vicina a lei. All'inizio
fu una situazione
imbarazzante ricevere Dylan a casa. Il mio ex e il mio fidanzato nella
stessa stanza. Ma i due ragazzi avevano sempre avuto un bellissimo
rapporto e niente gli avrebbe divisi tanto che iniziarono subito a
scherzare e chiaccherare. Amelie fu inizialmente diffidente nei
riguardi di Dylan. Sapeva bene come si era comportato in passato e non
sopportava l'idea che qualcuno avesse potuto farmi così male. Ma
le ripetei di nuovo le parole dette la notte dopo la festa. Dylan aveva
promesso: voleva essere fedele e aveva rispetto per Leo. Così la
invitai ad essere gentile e stringere amicizia.
Eravamo in quattro, unire le
forze era la cosa migliore.
-Sei riuscito a trovare
qualcosa? Hai qualche piano?- chiesi a Dylan
-Beh... diciamo che un'idea
ce l'avrei... dovremmo andare all'ospedale dov'era stata ricoverata
tua madre... forse lì sanno qualcosa... avrà pur avuto un medico
che la seguiva-
-Già... sono d'accordo con
te... andiamo...-
Guidai fino all'ospedale.
Accanto a me si sedette Leo che notando la mia forte tensione, mi
strinse la mano. Per un attimo i nostri occhi si incrociarono e mi
calmai. Ne ero certa, sarebbe andato tutto bene.
Arrivati all'ospedale ci
dirigemmo quasi correndo verso il reparto dov'era stata ricoverata
mia madre.
-Salve, mi chiamo Amber
Tallish. Avrei bisogno di un'informazione- mi rivolsi ad una donna
sulla quarantina seduta ad una scrivania. Era la responsabile
dell'archivio del reparto
-Certo, mi dica pure
signorina Tallish-
-Ecco... so che
probabilmente è privacy ma... mia madre è scomparsa e io ho bisogno
di voi per ritrovarla- il mio cuore batteva a mille
-Come scusi? Dovrebbe andare
dalla polizia- disse accigliata
-No ecco...mi sono espressa
male... mia madre si chiama Monica Tallish... è stata ricoverata in
quest'ospedale per circa cinque giorni, la settimana scorsa... è
stata vittima di un'incidente a causa dell'alcool ed è malata...
guardi ho la sua cartella clinica... solo che mancano delle carte...
sapevamo dei suoi problemi con l'alcolismo ma non ci aveva detto
nulla della sua malattia... perciò abbiamo bisogno dell'aiuto del
medico che l'ha visitata... forse sa dirci qualcosa-
La donna rimase a bocca
aperta e si mise a controllare la cartella clinica.
-Oh si... ora ricordo... è
stata ricoverata qui più volte... sempre per lo stesso motivo...
l'alcool-
Io
abbassai lo sguardo, ero così triste al pensiero di aver ridotto mia
madre ad una donna talmente disperata da non poter far altro che
darsi al bere. Con la mia partenza io ero rinata e lei stava già
cominciando a morire. Ed era tutta colpa mia. Lo era sempre stata.
-Ora cerco il nome di sua
madre nel nostro archivio.. mi ci vuole solo un momento...-
-Certo..-
Dopo più di dieci minuti la
signora disse di aver trovato il nome.
-Oh! Tallish Monica!- dopo
qualche secondo però notai un'espressione negativa nella sua faccia.
Non riuscii bene a definirla: triste, sorpresa, delusa?
Di certo sentivo che la sua
faccia non prometteva nulla di buono.
-Scusate un momento...-
disse la donna deglutendo e si diresse verso un lungo corridoio.
“Il mondo fa meno paura se hai qualcuno vicino che ti stringe la mano.”
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Capitolo 22 *** Un anno fa, non mi sarei mai aspettata di vivere questa situazione. ***
cap22
Mentre la donna si
allontanava, sentii gli occhi di tutti i miei amici guardare me.
Aspettavano tutti una mia reazione. L'aspettavo anch'io.
Amber, ma in che casino ti sei
cacciata?
Cercai
di rimanere lucida ma l'ansia mi stava
facendo crollare. Iniziai ad avere caldo, il mio cuore
batteva a ritmo sempre più accelerato e il mal di testa si faceva
sempre più fastidioso.
Leo si
avvicinò a me e mi prese la mano -Andrà
tutto bene, te l'ho promesso-
Io
abbozzai un sorriso ma ero davvero preoccupata. In
quel momento mi resi conto di quanto fosse facile sprofondare e che
bastasse così poco per distruggermi.
Amelie,
notata la mia ennesima faccia triste, venne ad abbracciarmi. Mi
stampò un bacio sulla guancia. Mi offrì un cioccolatino -ti ricordi
queste delizie?-
-già...
ne eravamo ghiotte da piccole... cavolo quanto tempo è passato-
sorrisi al ricordo riaffiorato mettendo in bocca quel quadratino
dolce. Si chiamava "Luna" ed io e Amelie ne mangiavamo uno
al giorno: era per noi un vero e proprio rito. Il gusto di quel
cioccolatino mi riportò alla mente la casa di Amelie, i nostri
momenti passati insieme quando eravamo piccole e tutte le passeggiate
fatte con lei per i boschi. Quel dolce quadratino mi calmò. Ma
come faceva Amelie, ad essere sempre così speciale? A sapere sempre
ciò di cui avevo bisogno? Vorrei proprio essere come lei:
così perfetta, dolce, gentile, disponibile. Invece
io ero solo un disastro, nella mia mente c'era una continua guerra.
Disordinata, impaziente, impulsiva e talvolta cattiva. Soprattutto
con me stessa. Ma forse era proprio per questo che io e Amelie
eravamo così tanto legate. "Gli opposti si attraggono",
dicono alcuni, magari è proprio così. Io e lei ci completiamo.
Finalmente
la donna tornò, insieme però ad un medico. Scoprimmo poi essere il
dottore che seguiva mia madre. Di lui non sapevamo nulla.
-Salve,
sono Amber Tallish e sono la figlia di Monica Tallish... - non
riuscii a finire la frase che venni interrotta dal medico.
-Mi
dispiace, sua madre non è qui signorina Tallish... non posso darle
ulteriori informazioni. La signora ha espressamente richiesto di non
dare notizie della sua partenza a nessuno ed io devo seguire la sua
volontà- disse sconfortato, probabilmente quell'uomo mi capiva ed
era tremendamente mortificato per non poter far nulla ma decisi
di non arrendermi. Mia madre andava trovata.
-La
prego! E' importante! Sono sua figlia... mi ha scritto una lettera e
la prego... non mi neghi il dolore che mia madre sta provando... sono
giovane e non merito tutto questo- dissi tra le lacrime, non riuscivo
più a controllare le mie emozioni. La
delusione era troppa, mischiata alla rabbia e alla paura che forse
era già troppo tardi.
Il
dottore sospirò, chiuse gli occhi e guardò la donna che gli fece un
cenno. Non sapevo decifrare quel loro linguaggio così mi limitai ad
attendere che quell'uomo parlasse. Avevo bisogno di informazioni e
non poteva non darmele. Ero tutto ciò che
restava di Monica Tallish.
-Sua
madre mi ha parlato molto di lei, signorina Tallish. So la sua
storia, so di suo padre. Conosco le sue sofferenze, la capisco-
-E
allora la prego... non mi faccia soffrire di nuovo. Io posso aiutare
mia madre- dissi singhiozzando
-Signorina
Tallish... mi segua- mi fece un cenno e mi accompagnò nel suo
ufficio. Amelie, Leo e Dylan fecero per seguirmi ma la donna li
fermò. Sospirai pensando che era meglio così. Dovevo saperlo prima
io, se fosse stato così grave, perchè non potevo permettere alle
persone che amavo di più di sentire le parole crude della medicina.
Avrei spiegato loro in parole più "dolci".
-Si
accomodi...- disse il dottore indicandomi una sedia
-Allora?
La prego... ho bisogno di informazioni- il mio cuore batteva a mille
e le mie mani tremavano. Avevo paura delle cartelline poste sulla
scrivania dal medico. Erano molto simili a quelle della mia prima
notte all'ospedale quando venni ricoverata per overdose. Di quella
notte avevo solo scene in bianco e nero. Mia madre che gridava, gli
infermieri accanto a me ed io che non sentivo più nulla. Credevo
davvero di essere morta, quella volta. Non ricordavo più
il mio nome, non ero capace a parlare. Non provavo sentimenti, era
troppo difficile e stancante per il mio cervello. Ogni tanto mi
capitava ancora di fare incubi riguardo quella notte ma perfortuna,
da quando dormivo nella stanza di Amelie, lei c'era sempre per
calmarmi. Mi svegliavo di soprassalto, sudata e talvolta tremante.
Lei mi teneva stretta a sè e mi consolava.
Ed io mi sentivo più forte.
-Signorina
Tallish...- mi richiamò il medico appoggiando le mani sulle
scrivania
Io
abbassai gli occhi, non sapevo che dire. Avevo la gola secca per
l'agitazione e esortai il dottore a continuare.
-Sua
madre la conosco da molto tempo... è una brava persona... quando è
stata ricoverata qui mi ha parlato molto di Lei. So che entrambe
avete sofferto molto e mi diceva spesso quanto sentiva la sua
mancanza. Ecco non è facile la mia professione quando ci sono
situazioni famigliari di questo genere-
-La
prego... venga al dunque- lo incalzai. Ero troppo tesa per seguire un
discorso così
-Certo
mi scusi... so che è molto tesa e sta vivendo un brutto momento.
Allora le dico come stanno le cose: sua madre è molto malata-
-Questo
già lo so- dissi seria
-La
dipendenza dall'alcool ha portato molte conseguenze tra cui la
cirrosi... è una malattia degenerativa e non si puo' curare...per
questo avevamo prescritto dei farmaci e preso in considerazione
l'idea del trapianto ma sua madre aveva rifiutato tutto ciò- il
dottore iniziò a mostrarmi alcune carte riguardanti la malattia di
mia madre e alcune sue visite. Mi aveva riempita di bugie, perchè
doveva tenermi nascosto tutto questo? La capivo, sapevo che
significava soffrire ma non riuscivo a spiegarmi perchè avesse
negato l'appoggio e l'aiuto di chi le voleva bene e la possibilità
di migliorare il suo stato di salute.
-Rifiutato?!-
dissi incredula
-Già...
non riusciamo a spiegarci il perchè, sebbene siamo a conoscenza dei
rischi che avrebbe portato l'intervento del trapianto... avremmo
potuto capire la paura... ma la signora Tallish non era spaventata
era... potrei dire... piuttosto convinta che fosse sbagliato cercare
di rallentare l'evoluzione della cirrosi e quindi lasciare tutto così
come stava andando- disse il medico
Non
capivo. Era tutto così dannatamente
orribile. Era come se mia madre volesse morire.
-E non
avete fatto nulla per farle cambiare idea?-
-Mi
creda... abbiamo provato di tutto... abbiamo chiamato anche uno
psicologo... ma niente da fare. So che sembra assurdo e in trent'anni
di carriera ho incontrato poche persone come sua madre. Testarde e
diffidenti riguardo la medicina. La signora Monica aveva dei momenti
in cui si sentiva molto meglio, alcune cure le faceva... diceva che
lo faceva per lei signorina Amber- abbozzò un sorriso cercando
il
mio sguardo ma io tenevo gli occhi bassi per controllare le emozioni.
Un anno fa non mi sarei mai aspettata di vivere una situazione del
genere.
-E poi?
Cos'è successo dottore? Perchè non è più qui?-
L uomo
sospirò ancora in dubbio se essere sincero o mantenere il segreto.
Poi però incrociando il suo sguardo gli pregai di nuovo di
rispondermi, di dire la verità.
-E poi
un giorno ricevemmo una telefonata. Avevamo mandato a casa sua madre
perchè la sua condizione stava migliorando e non necessitava più di
stare in ospedale. Ci chiamò dicendo di essere stanca di
"trafficare" se così possiamo dire... con l'ambiente
dell'ospedale e così, nacque un grande dibattito in quanto io e
altri miei colleghi ci eravamo opposti a questa scelta- disse
indicando di nuovo le cartelle e con uno sguardo triste
-E che
conseguenze ha portato?-
-C'è
stato un gran caos... molta burocrazia... avvocati... ma alla fine
purtroppo sua madre ha ottenuto ciò che voleva... uscire
dall'ambiente ospedaliero-
-Ma
quando sono tornata in America mia madre andava a delle visite-
-Certo,
avevamo fatto un patto con la signora Tallish... non le avevamo dato
l'obbligo di rimanere in ospedale ma doveva fare alcune visite
periodiche-
-E cosa
mi saprebbe dire della sua scomparsa? E' davvero importante dottore
che lei sia sincero con me- poggiai le mani sul tavolo ancora
tremanti per l'agitazione
-Certo...
ha ragione signorina Tallish... dirò come stanno le cose...la notte
della scomparsa di sua madre lei ci telefonò- sospirò il medico
abbasso gli occhi cercando la forza per parlare, poi continuò
-Disse
di voler partire. Non riusciva più a mentire con lei, signorina
Tallish-
-Vi ha
detto dove andava?-
-Un'amica...
ci disse solo "un'amica"- disse ed una lacrima rigò la sua
guancia.
Non
avevo bisogno di altre informazioni. Sapevo chi era "un'amica"
e senza dire nulla, presi la mia borsa e corsi da Leo, Amelie e
Dylan.
“Vinceremo contro tutti e resteremo in piedi”
—
Guerriero, Marco Mengoni
|
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Capitolo 23 *** Io la amo, non la lascio andare. ***
cap23
-Amber!- urlarono in coro
Dylan, Amelie e Leo.
Ero sudata e il cuore
batteva a mille. Fu difficile trovare le parole giuste per spiegare
ciò che il dottore mi aveva detto. Cercai di calmarmi e Amelie mi
porse una bottiglietta d'acqua.
-Allora? Che ti ha detto?-
chiese con ansia Dylan
deglutuii e poi dissi -mia
madre soffre di cirrosi, una malattia degenerativa, senza una cura. I
medici le avevano prescritto dei farmaci e proposto il trapianto ma
lei aveva rifiutato. Dopo un periodo di ricovero sembrava che la sua
situazione stesse migliorando ma poi...-
Bevvi un'altro sorso
d'acqua, avevo la gola secca e le mani tremanti.
-poi disse di non voler più
ricevere cure mediche e molti medici si opposero alla sua decisione.
Riuscirono però a stipulare un patto e mia madre faceva delle visite
periodiche e nella notte in cui lei scomparse...- iniziai a piangere,
ero distrutta. Pensare a mia madre che prendeva le sue
cose e se ne andava, fu per me un'immagine orribile. Come
aveva potuto farmi questo? Perchè? Avrei sofferto comunque, che lei
ci fosse o no. Anzi, in sua assenza soffrivo di più. Non sapere come
stava, che faceva, cosa pensava mi mandava in paranoia.
-Amber?- Amelie corse ad
abbracciarmi per darmi forza. Avevo bisogno di quell'affetto che solo
lei sapeva darmi. Quel bene che solo una
vera amica sapeva dare.
-Scusatemi... - dissi
singhiozzando, poi ripresi dicendo che mia madre comunicò al dottore
di essere in partenza. Non aveva specificato la destinazione e aveva
solo alluso ad un'amica-
-un'amica?- fece Amelie
sorpresa
-già.. ed io so di chi si
tratta- dissi con sguardo duro. Ero più determinata che mai a
riavere con me mia madre
-E chi è?- mi chiesero
tutti e tre in coro
-Elsa- dissi guardando con
le lacrime agli occhi Dylan
-Elsa? E chi sarebbe?- fece
Amelie. Ovviamente lei non sapeva di chi parlassi ma, Leo e Dylan la
conoscevano benissimo. Era la madre di Dylan. Una madre molto legata
alla mia, per via dell'alcool. Si conobbero ad una delle tante
riunioni organizzate da psicologi per aiutare le persone che vivevano
la stessa dipendenza di mia madre. Elsa non aveva un buon rapporto
con il figlio. Da quando i genitori di Dylan divorziarono e il padre
decise di risposarsi, sua madre si era data all'alcool per cercare di
placare il dolore. Non sopportava l'idea di dover lasciare suo
marito. Ma quella relazione era diventata insopportabile e Dylan
aveva deciso in seguito, di abitare con il padre perchè si sentiva
amato, in famiglia, a differenza del comportamento della madre che lo
trattava male e non faceva altro che bere. Dylan non vedeva Elsa da
molto tempo, si era trasferita in un condominio poco lontano da
Greensburg ma la distanza era abbastanza da poterla evitare il più
possibile. Non voleva vederla, parlarle, sentire il suo odore di
vodka e whisky. Ricordai la prima (ed ultima) , in cui incontrai
Elsa. Dylan doveva passare da lei per farle firmare alcune carte.
Senti un nodo alla gola quando notai negli occhi della donna la
disperazione. Era brutta ma, i suoi occhi nascondevano qualcosa di
bellissimo. Il dolore l'aveva resa orribile. Le borse sotto agli
occhi, il look trasandato, i vestiti sporchi. Le parole che si
scambiarono i due, erano fredde e prive di significato reale. Era
ovvio che Dylan non intendesse visitare la madre per chiederle come
stava. Ed era anche ovvio che a lei non interessasse firmare il
permesso per la gita a scuola.
-Amber? Dylan? Leo?- Amelie
si accorse del nostro scambio di sguardi
-Amelie... Elsa è mia
madre- disse Dylan ad occhi bassi
-Ah... e... come mai è
amica con Monica?-
-Si sono incontrate alle
riunioni della psicologa- spiegò lui
Io annuii e cercai di
calmarmi. Eravamo sempre più vicini a mia madre. Ora dovevamo solo
dirigerci da Elsa. Dovevamo farlo subito, non dovevano esserci scuse.
Non c'era tempo da perdere.
-Ora dobbiamo andare... vi
porterò io da mia madre- annunciò Dylan
Ci dirigemmo, in macchina,
fino all'appartamento. Nel parcheggio due uomini fumavano una
sigaretta e una coppia si scambiava dei baci. Io e Leo ci scambiammo
uno sguardo veloce.
-Ti
amo- sussurrò Leo prendendomi la mano
Salimmo le scale e l'ansia
si faceva sempre più sentire. Avevo un forte mal di testa e mal di
stomaco. Mi sentivo strana, forse stanca. Ma allo stesso tempo ero
agitata, speranzosa e forte.
Con
Leo che mi stringeva la mano mi sentivo meglio. Come
se avessi avuto un'armatura che mi proteggeva da qualsiasi ostacolo e
dolore.
Dylan bussò alla porta e
dopo qualche minuto (che a me sembrò un'eternità) sua madre gli
aprì.
-Dov'è!- urlò Dylan
attraversando la porta
La madre rimase a bocca
aperta notando il comportamento del figlio e notando le persone in
sua compagnia. Quel giorno non era ubriaca, si vedeva dai suoi occhi.
Era diversa, non aveva lo sguardo perso e l'atteggiamento
menefreghista che mi era familiare, qualche tempo fa, nella mia vita.
Seguimmo Dylan nel
soggiorno. Era rimasto tutto proprio come ricordavo: un semplice
divano, una piccola tv e l'insopportabile odore di muffa che rendava
la casa davvero inospitale.
Nel soggiorno non c'era
nessuno, nemmeno in cucina.
-Di chi stai parl...?-
chiese Elsa ma non riuscì a finire la frase, non c'era affatto
bisogno. L'avevamo trovata. Avevo trovato mia madre. Ce
l'avevo fatta.
-Mamma...-
dissi avvicinandomi a lei con le lacrime.
Mia madre era distesa sul
letto a guardare la tv. Quando mi vide, scoppiò a piangere. Non
sapevo bene il motivo del suo pianto: gioia, tristezza, vergogna? Era
felice di vedermi, triste perchè stava male? Si
vergognava per avermi detto delle bugie e scappata via nel cuore
della notte?
Qualunque sia stato il
motivo, in quel momento non mi interessava proprio di nulla. Volevo
solo abbracciare mia madre. Stare con lei, darle forza.
Non avevo voglia di arrabbiarmi, quando la vidi, con gli occhi gonfi
e le lacrime agli occhi, pensai solo al bene che le volevo.
-Non
lasciarmi mai più- le sussurrai stringendola a me
-Non lo farò...grazie per
avermi trovata, non volevo mi vedessi così.. per questo sono sc..-
-shh... non importa... ora
siamo qui, io e te... ed è questo l'importante-
Era davvero quello
l'importante. Averla tra le mie braccia, sapere che era viva. Sapevo
che stando con lei avrei accettato dolori e avrei dovuto far
sacrifici, ma "per amore si fa".
-Ora facciamo le valigie...
si torna a casa, mamma- dissi baciandole la guancia
Descrivere mia mamma vorrebbe dire parlare di un uragano in tutta la sua potenza.
(Maya Angelou)
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Capitolo 24 *** Sei tutto ciò che ho. ***
cap25
Era passato ormai più di un
mese da quando mia madre era di nuovo nella nostra casa. Era malata,
non l'avevo certo dimenticato e dopo giorni di riflessione decisi di
starle accanto. Le spiegai quanto ci tenevo
a lei.
-Tesoro, sei l'unica
persona che ho al mondo... l'unica che amo... sei la mia vita- disse
felice quando le rivelai la mia decisione.
-Mamma, voglio starti vicina
e ti voglio bene... - le dicevo sorridendo.
Ma
non potevo ignorare l'altra faccia della medaglia. Non
potevo dimenticare il fatto che restando in America avrei rinunciato
a Leo, Amelie e tutta la mia vita che mi ero costruita. Non fu
certamente facile spiegare loro che sarebbero stati in due nell'aereo
dall'Ohio per la Francia.
-Ti
amo Leo, spero capirai- dissi tra le lacrime il giorno
della loro partenza.
Vedere
il viso dei miei due compagni grigio come il fumo di una sigaretta mi
fece davvero male. Sentii una spada lacerarmi il cuore. Mi
sentivo così in colpa.
-Ti amo anch'io... mi
mancherai- mi sussurrò lui, abbracciandomi
Amelie poco dopo si aggiunse
a quell'abbraccio fatto di amore, amicizia,
gioia, tristezza, onestà, sincerità, ricordi. Sentire i loro corpi
accanto stretti al mio fu una sensazione meravigliosa e paurosa al
tempo stesso. Meravigliosa perchè sentivo i loro sentimenti per me,
il loro grande affetto ma al tempo stesso avevo paura. Paura di non
poterli rivedere mai più. E se Leo si innamorasse di un'altra? E se
mi dimenticassero? E se iniziassero ad odiarmi per averli lasciati
partire senza di me? E se cambiassi idea e decidessi per tutta la
vita di vivere a Greensburg?
-Amber...- mi sussurrò
Amelie prendendomi la mano
-si?-
-Voglio darti questa... è
per ricordarti che io ci sarò sempre per te e non dimenticarti mai
che anche se siamo lontane i nostri cuori saranno sempre vicini e per
qualsiasi cosa tu basta che mi chiami e correrò da te-
Amelie mi porse una collana
d'argento con un ciondolo a forma di "A". A
come Amelie, A come Amber, A come amicizia.
-Sei la migliore amica
perfetta...io ti adoro- dissi commossa indossando la collana
Capii che non li avrei più
visti per un bel po' di tempo solo quando arrivò il taxi per
l'aeroporto.
Mi era difficile realizzare
che avrei vissuto d'ora in poi una vita senza di loro. Ovviamente ci
saremmo incontrati spesso, sentiti spesso ma, vivere ogni giorno
fianco a fianco alla propria migliore amica o uscire alla sera con il
fidanzato, non è come sentirsi su Whatsapp o chiamarsi su Skype.
"Perchè deve essere tutto così complicato?" mi ripetevo
spesso.
Rimasi affacciata alla
finestra a vedere il taxi giallo correre lungo la strada e mi scese
un'altra lacrima. Mia madre si avvicinò e appoggiò la sua testa
sulla mia spalla.
-Doveva proprio essere bello
vivere a Parigi...-
-Bello... bellissimo...
intenso...gioioso...- abbozzai un sorriso
-Mi dispiace, amore mio- si
sedette sul divano e io la seguii
-Di che stai parlando?!- non
capivo il motivo per cui chiedermi scusa.
-E'
solo colpa mia se tu ora sei qui a piangere... -
-Mamma... io sono tua figlia
ed è importante che io mi occupi di te... la
tua felicità è tutto ciò che
voglio ora... -
-Non avrei dovuto bere così
tanto, mettermi in pericolo... rovinarmi da sola-
-Era colpa mia se ti eri
ridotta così... ho commesso sbagli anch'io ... tutti li commettiamo-
-Sei così saggia Amber... -
Ci abbracciammo e in quel
momento pensai che avevo davvero preso la giusta decisione. Mia madre
aveva bisogno di me e io non potevo tirarmi indietro. Non potevo, ma
soprattutto non volevo.
E così cominciarono le
visite mediche, i medicinali e le cure. Il medico mi aveva avvertita,
era una situazione grave dove non c'erano cure ma la possibilità del
trapianto. Ci volle molto tempo, pazienza, affetto per convincere mia
madre all'operazione.
I giorni precedenti
l'operazione furono per me una gran prova di forza. Mia madre doveva
fare molte visite, esami. Mi sorprendeva giorno dopo giorno. Era
davvero una donna forte ed io andavo fiera di lei.
-Tieni
duro, è quasi finita- le dicevo dopo ogni esame
La sua vita era come
un'altalena. C'erano giorni in cui stava talmente bene che voleva
persino andare al mare, fare una gita mentre altri in cui non faceva
altro che dormire e non aveva nemmeno la forza di parlare. Odiavo
quei momenti. Le stavo talmente vicina che ormai provavo molta
empatia nei suoi confronti e qualsiasi suo stato d'animo lo percepivo
anch'io.
Vederla soffrire procurava
in me gran dolore. La notte, quando non mi vedeva piangevo, sola, nel
mio letto. Ma di fronte a lei mi ero
promessa di darle sempre forza, mostrarle positività e
farle coraggio.
-Sei così coraggiosa- mi
diceva spesso accarezzandomi la guancia
Io non ci credevo molto, era
il mio dovere, il mio cuore mi diceva di farlo. Affrontavamo
tutto insieme. Fino a quando arrivò il giorno
dell'operazione.
“Gli angeli vengono se tu li preghi, e
quando arrivano ti guardano, ti sorridono e se ne vanno per lasciarti il
ricordo di un sogno lungo una notte, ma che vale una vita. Vivilo in
fondo perché lui non torna più.”
—
Tiziano Ferro
|
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Capitolo 25 *** Niente dura per sempre. ***
cap25
Un anno dopo la data del
trapianto...
Mia madre si sta
riprendendo, giorno dopo giorno. E' rinata
ed io, con lei. La vita di mia madre sta tornando normale, felice e
serena. Vorrei poter dire la stessa cosa
della mia. Purtroppo ben poco
dura per sempre. Durante quest'ultimo anno sono tornata
tre volte in Francia. Alla terza ho deciso di non tornare più. O
perlomeno non per lo stesso motivo per cui ero tornava le volte
precedenti. Se credevo che l'amore tra me e Leo fosse puro, forte,
vero... mi sbagliavo alla grande. Dopo pochi mesi la nostra relazione
già barcollava. Potrei dare la colpa alla distanza, tanto per
lavarmi le mani. Ma dentro di me so che non è stato un continente a
lasciarci. Delle volte succede e basta.
La prima volta che sono tornata dopo il trapianto, sembrava ancora
tutto come prima, com'era sempre stato. Avevo passato una settimana
bellissima. Ricordo che era primavera e insieme, io e Leo eravamo
andati a Nizza, al mare. Sembrava tutto davvero bellissimo. Troppo
bello. Troppo bello, per essere vero ovviamente. Avevamo fatto tanti
progetti e mi aveva promesso di venire a trovarmi in America.
Promessa mai mantenuta. Quando sono tornata la seconda volta, in
occasione del suo compleanno, notavo già che tra noi era cambiato
qualcosa. Meno parole, meno confidenza. Eppure a baciarlo sentivo le
stesse bellissime farfalle nello stomaco, la stessa voglia di
sentirlo tra le mie braccia. Era meraviglioso ma al tempo stesso,
quando parlavo con lui avevo paura. Non era più lo stesso Leo ma non
volevo ammetterlo. Quando si tiene troppo ad una persona e si hanno
tanti bei ricordi insieme si perdona tutto,
si diventa cechi. Ma poi ho finalmente aperto gli occhi
alla realtà.
Dopo esser tornata in
America avevo deciso di parlarne con mia madre e con Dylan. Per noi
due ormai, Dylan era uno di famiglia. Pranzavo spesso insieme la
domenica e se non potevo aiutare mia madre, lui era sempre
disponibile. Parlando con loro del mio rapporto con Leo riuscii a
riflettere e a capire molte cose. Mi dovevo svegliare, la scintilla
non brillava più. Dovevo lasciare Leo. La nostra relazione mi faceva
solo soffrire e non me lo meritavo. Mi riempivo di paranoie, non
sentivo nemmeno più la voglia di collegarmi a Skype la sera per
parlare con lui. Così, due mesi fa decisi di partire nuovamente per
Parigi e di lasciarlo. Non potevo farlo via Internet, mi sembrava
triste.
-Hei Amber, non sapevo fossi
tornata- disse Leo quando bussai alla sua porta
-Non mi fermerò molto...
devo solo parlarti e poi me ne vado- dissi entrando a casa sua
Ad un certo punto sentii una
voce a me molto familiare provenire dalla stanza di Leo.
-Leo, chi è?-
Era Amelie. Quando la vidi
sbarrai gli occhi e rimasi a bocca porta. Era sulla porta con la
camicia aperta e il rossetto sbavato. Quando mi vide ebbe la mia
stessa reazione.
-Amber...- disse
avvicinandosi a me
-Non mi toccare!- urlai
dirigendomi alla porta
-Amber aspetta!- cercò Leo
di prendermi la mano per fermarmi ma io ero già corsa verso il
cancello
Non amavo più Leo, per lui
non mi dispiaceva molto se mi avesse tradita con un'altra. Ma la cosa
che mi fece più male fu il tradimento di Amelie. Perchè
l'aveva fatto? Tutti i suoi "ti voglio bene" erano solo
parole vuote. Il mio cuore si era appena spezzato in
milioni di pezzi. Come un puzzle che
probabilmente nessuno sarebbe mai più riuscito a ricomporre.
Il dolore attraversava completamente il mio corpo, le lacrime
rigavano il mio viso e la delusione che sentivo dentro non mi
permetteva di essere lucida. Perchè la vita
deve essere sempre così dura? Mi merito davvero tutto questo dolore?
Con il tradimento di Amelie
e Leo una buona parte di me era completamente morta. Loro,
nell'ultimo tempo erano diventati tremendamente importanti per me.
Erano la mia forza, mi avevano aiutato a sorridere di nuovo. E
proprio loro, che erano fonte esclusivamente di gioie, da quel giorno
diventarono per me solo fonte di tristezza, delusione e rabbia. Mi
strappai la collana e la gettai nel primo cestino che trovai. Sentivo
subito il bisogno di rimuovere il più possibile i ricordi di Leo e
Amelie. Fotografie, regali, bei messaggi.
"Mi manchi"
scrissi in un sms a Dylan, mentre ero in aeroporto.
"Anche
tu bellissima".
Sorrisi
leggendo la sua risposta. E' fantastico avere persone che ti vogliono
bene. Persone come mia madre e come Dylan. E mentre aspettavo l'aereo
per tornare a casa mi resi conto di quanto possa essere bella casa
mia. E come al solito, me ne accorgo quando sono lontana. Non mi
dispiace più aver perso Amelie e Leo. Certo, all'inizio ammetto fu
difficile abituarmi alla loro assenza, ma il dolore se ne poco a
poco, se ne sta andando. Leo e Amelie per me rappresentano oggi il
passato, "la vita va avanti,
Amber", diceva spesso papà. E di questo insegnamento ne ho
fatto tesoro.
Noi
cercheremo l'amore altrove, solo una cosa rimane sicura, ognuno
avrà la propria vita e proprio questo fa paura.
-L'amore
altrove, Francesco Renga e Alessandra Amoroso
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Capitolo 26 *** Guarda sempre il lato positivo della vita. ***
cap26
Quando arrivai a casa, la
prima cosa che feci fu abbracciare fortissimo mia madre. La
donna della mia vita, la persona più importante che io conosca.
-Amber... amore mio- disse
lei sorridendo
-Mamma...
mi sei mancata così tanto-
Le spiegai cos'era successo:
scoprire Leo e Amelie insieme, il tradimento. La parte più difficile
di tutta quella vicenda però, fu vedere gli occhi tristi di mia
madre mentre le raccontavo di quanto "quei due francesini"
furono stronzi con me.
-Non ci credo... da loro due
non me lo sarei mai aspettata- disse mia madre corrugando la fronte
-Lo so... nemmeno io-
abbassai lo sguardo perchè mi era davvero troppo difficile guardare
in faccia mia madre. Decisi allora di
abbandonarmi tra le sue braccia e riposare nel posto più sicuro per
me: vicina al suo cuore.
Più tardi, ricevetti un sms
di Dylan: mi chiedeva di uscire per un caffè insieme a Jennifer e
altri amici. Accettai e mi venne a prendere verso le cinque del
pomeriggio. Raccontai cosa mi era successo e proprio quel giorno
capii che solo stando vicini a chi si vuol bene, si guarisce. E'
solo l'amore, l'amicizia, solo chi ci vuole bene che sconfigge
l'odio.
-Se fossi stata in te gli
avrei mollato due sberle a Leo e alla sua "amichetta"
beh... meglio che me ne stia zitta!- disse Jennifer con una smorfia
di disgusto
-Non
ti meritano assolutamente Amber... non devi stare male per
loro- mi consolò Dylan
-Dai, stasera ti portiamo a
ballare!-
Io ovviamente accettai. Dopo
nemmeno un giorno dal mio ritorno in America ero già di buon umore.
Avevo forse già dimenticato tutto? Bastava
davvero così poco ad essere di nuovo felice?
Beh, se davvero fosse così
allora si, la mia storia con Leo era davvero priva di veri
sentimenti.
Dopo il caffè, Dylan mi
accompagnò a casa.
-Ti vengo a prendere per le
dieci... ok?-
-Va bene, grazie mille per
oggi- dissi sorridendo e stampandogli un bacio sulla guancia. Dylan
ricambiò il mio sorriso e ripartì.
Quando rientrai mia madre
già preparava la cena.
-Ciao tesoro!- mi salutò,
mentre pesava la pasta
-Buonasera mamma... - dissi
saltellando per casa. Ero super felice. Non vedevo l'ora di passare
una serata insieme ai miei amici. Rivedere vecchie facce,
riallacciare rapporti. Mi sentivo pronta
alla vecchia vita. Non parlo del periodo della droga, parlo di quello
prima, quando ero semplicemente una ragazza felice, serena, forte.
Anzi, mi consideravo anche più forte dopo
aver superato tutte quelle difficoltà. Una vita che se pur
appartenente al passato era più presente che mai!
-Esci?- mi chiese mia madre
vedendomi particolarmente felice
-Eh si mamma... passa Dylan
alle dieci... andiamo in discoteca!-
-Oh benissimo... questa è
la figlia che voglio! Niente lacrime, quei francesini non meritano
proprio la tua minima considerazione!-
-Hai ragione mamma...
ti voglio bene- dissi sorridendo
Per l'occasione scelsi un
paio di jeans corti e una canotta bianca. Lipgloss rosa e un sorriso
così splendente... da fare invidia al sole.
Scendendo le scale, notai
mia madre a bocca aperta.
-Sei
stupenda bambina mia-
Io sorrisi timidamente e la
ringraziai -grazie mamma-
-Gli
assomigli così tanto...- sussurrò e le scese una
lacrima.
Sapevamo bene entrambe a chi
si riferiva. A papà. Era proprio così: ero uguale a lui. Gli stessi
occhi, i capelli scuri e lo stesso sorriso timido ma al tempo stesso
meraviglioso.
-Mi
manca- le dissi abbracciandola
-Ehi tesoro mio... è qui
con noi... lo è da sempre... non ci
abbandona mai... non dimenticarlo- mi accarezzò la
guancia e mi persi nel suo sguardo. Quegli occhi verdi, di una donna
che ha perso l'uomo della sua vita, erano tremendamente spaventosi,
affascinanti, chi non si sarebbe innamorato di una così?!
Quel momento dolce fu
interrotto dallo squillo del mio cellulare: era Dylan.
-Ora vai tesoro... ti voglio
bene-
-Te ne voglio anch'io- dissi
stampandole un bacio sulla guancia
Le sorrisi per l'ennesima
volta chiudendo la porta e lentamente mi avviai verso l'auto di
Dylan.
"Arrivi ad un punto in cui devi tirarti su, smettere di piagnucolare e iniziare a vivere"
|
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Capitolo 27 *** Ama ogni singolo minuto della tua vita. ***
cap27
-Sei bellissima- disse Dylan
quando montai nella sua auto
In effetti, quella sera mi
sentivo davvero meravigliosa. Mi
sentivo bene. Non parlo del mio
outfit o di com'ero truccata ma parlo di come stavo d'incanto dentro
di me, nel mio cuore.
Riallacciare i rapporti con
Jennifer e i miei vecchi amici era una cosa che mi stava
letteralmente elettrizzando e non vedevo l'ora di arrivare alla
festa.
-Grazie Dylan- lo ringraziai
sorridendo
La discoteca non era molto
lontana da casa mia e infatti, nel giro di venti minuti, eravamo già
arrivati. Jennifer e gli altri nostri amici ci stavano aspettando
all'entrata. Dylan salutò la sua ragazza con un bacio e guardandoli
provai tenerezza e un pizzico d'invidia.
-Amber! Ma ciao! Sei
stupenda stasera!- Jennifer corse ad abbracciarmi
-Ehi Jennifer! Anche tu sei
proprio meravigliosa!-
-Ah Amber... ti presento
Michael, mio fratello. E' appena tornato da Chicago! Sei rimasta
l'unica a non conoscerlo!- disse Jennifer
"Wow" apprezzai
fra me e me. Michael era proprio carino. Cavolo, mi sono appena
lasciata e già penso ad altri ragazzi?! Mi venne in mente Leo, poi
Amelie, poi ciò che avevano fatto. Così non sentii alcun bisogno di
dar loro conto dei miei pensieri e delle mie azioni perciò al
diavolo questi problemi!
-Ciao- disse sorridendo
Michael. I suoi capelli biondi rispendevano alle luci dei lampioni di
fronte la discoteca. Di certo non fu un'incontro romantico ma
pazienza, l'immaginazione avrebbe lavorato un po'!
-Piacere, Amber- ricambiai
il sorriso e insieme agli altri, entrammo.
Io e Michael passammo la
serata a ballare e chiaccherare. Beh, chiaccherare in discoteca non è
mai stato facile ma in un modo o nell'altro, riuscivamo a capirci.
Era proprio una brava
persona e mi stava davvero simpatico. Delle
volte mi scappava da ridere quando Jennifer e Dylan ci guardavano e
ci divevano che "stavamo proprio bene insieme".
Come se io e lui già
fossimo innamorati. A differenza di molte persone, anche
se la mia storia con Leo era finita decisamente molto male, avevo
ancora voglia di amare qualcuno.
E chissà, magari quella di
Michael, sarebbe stata un'ottima occasione. Ma per quella sera lì,
volevo comunque pensare solo a divertirmi. Rincontrai inoltre, vecchi
amici delle medie e del liceo.
Bevetti solo un bicchiere di
alcool e mi sentii fiera di me. Avevo
imparato la lezione. Avevo imparato ad essere forte ed ora
nessuno poteva fermarmi.
Erano le tre e io e Dylan
tornammo a casa. Salutai tutti e in modo particolare Michael.
-Ho passato proprio una
bella serata, Michael- gli dissi con un sorriso
-Anche io- fece lui e mi
baciò sulla guancia.
Chiusi per un attimo gli
occhi. Volevo tenere viva e ben impressa
nella mente quella sensazione. Sentirmi così
meravigliosamente bene, felice e
strabiliante. Se avessi potuto dare un colore a quella sensazione
beh... sarebbe stata un'esplosione d'oro!
Quando tornai a casa mia
madre già dormiva. Quella notte mi addormentai col sorriso, era
ovvio.
La mattina mi ritrovai una
sorpresa nel cellulare: sms da numero sconosciuto.
"E' stata una
serata favolosa, spero di rivederti. Michael"
Dentro
di me suonavano le campane. Ero troppo felice. Un "buongiorno"
meraviglioso. Ma cos'ho fatto mai per
meritarmi tutto questo?!
Dopo
essermi vestita scesi giù a fare colazione.
-Ciao
Amber guarda qua... ti ho preparato i pancakes che ti piacciono
tanto!-
-Oddio
mamma grazie! Buongiorno!-
-Com'è
andata ieri sera?-
-Bene
anzi, direi benissimo! Ho conosciuto il fratello di Jennifer. Si
chiama Michael! Ha appena finito gli studi a Chicago ed ora è
tornato a Greensburg!-
-Oh... e
com'è? Carino?- mi fece mia madre, strizzando l'occhiolino
-Direi
proprio di si... assomiglia molto alla sorella- sorrisi
La
nostra conversazione venne interrotta dal suono del campanello.
-Aspettavi
qualcuno?- chiesi io a mia madre
-No, non
mi pare...-
-Vado ad
aprire allora!-
Mi
diressi all'entrata e chiesi chi fosse.
-Sono
John Dièz, Amber Tallish vive qui?-
Prima
che io rispondessi, sentii i piatti della colazione che mia madre
teneva tra le mani, cadere a terra.
OK, questa è la mia vita.
E desidero che tu sappia che sono felice e triste al tempo stesso, e
che sto ancora cercando di capire come ciò sia possibile.
—Charlie, Noi siamo infinito.
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Capitolo 28 *** Il passato sa tornare a galla. ***
cap28
Mia
madre corse alla porta. Non ci capivo nulla. Chi
diavolo era John Dièz? E perchè mia mamma era così nervosa,
preoccupata, strana?
Guardai prima mia madre, poi John Dièz. Sembrava si conoscessero
piuttosto bene. I loro sguardi non erano sorpresi,
come se aspettassero questo momento da molto tempo.
-Beh, allora si... tu sei Amber- disse lui rivolgendomi uno sguardo
più tranquillo
-Si... ma... chi è lei?- ero davvero curiosa. Il suo nome non mi era
affatto familiare. Il suo viso non mi ricordava nessuno, eppure mia
madre lo conosceva. Ne ero certa.
-Non le ha detto niente, signora?- disse John rivolgendosi a mia
madre
-Allora? Mi spiegate?!- dissi io
Lasciammo entrare John Dièz e ci sedemmo a tavola. Mi doveva
parlare: era qualcosa di serio, me lo sentivo. Qualcosa di importante
che mia madre sembrava volesse nascondermi.
-Che sta succedendo?!- quasi urlai, ero giustamente agitata
-Avresti dovuto dirglielo, sapevi che prima o poi questo momento
sarebbe arrivato... prima o poi sarei tornato- fece Dièz a mia madre
in tono severo
-Signorina Tallish, forse non sa che la sua partenza per la Francia
ha portato molte conseguenze che forse, nemmeno lei aveva calcolato-
disse poi, rivolgendosi a me
-Di che sta parlando?- cercai risposte negli occhi di mia madre
-Amber, tesoro, quando sei partita, nessuno sapeva dove tu fossi. Io
ti ho cercata a lungo come ben sai, in tanti l'abbiamo fatto. L'ha
fatto ovviamente anche la polizia-
-Lo so... e quindi?-
-La polizia, mentre ti cercava, ha scoperto anche altre cose su di
te... su di noi, riguardanti il nostro,il tuo...passato- mia madre
era molto seria ma ora i suoi occhi sembravano sinceri e determinati
-Cose... del tipo?- chiesi anche se avevo
già capito di che "passato" si trattava.
Un "passato" che era tornato di nuovo a galla,
ma che presto ero certa, avrei di nuovo sconfitto.
Mi ero rialzata e non avevo nessuna intenzione di cadere ancora.
-I rapporti con molti spacciatori... attività illegali, furti-
-Ma per queste cose sono già stata processata mamma... che cosa
centra tutto questo con quest'uomo?-
-Secondo la legge non hai ancora scontato la tua pena...- disse in
tono secco John Dièz
Rimasi a bocca aperta. Che significava?
Cavolo, questa non ci voleva. Perchè la vita deve essere così
dannatamente complicata? Stava andando tutto così fottutamente bene.
Stavo vivendo un meraviglioso presente, perchè il passato deve
sempre vincere?!
-Lo so tesoro, avrei dovuto dirtelo... ma non trovavo le parole
giuste-
-Ok, sarò sincero e non la tirerò per le lunghe, sono un assistente
sociale mandato dalla polizia di Greensburg. Quando Lei se ne era
andata a Parigi, noi abbiamo contattato sua madre poichè, signorina
Tallish, Lei doveva scontare ancora una parte della sua pena. ... non
si tratta di carcere stia tranquilla... Lei dovrà occuparsi per sei
mesi della città... si tratterà di un lavoro per il bene della
cittadina che ogni ragazzo sotto i 21 anni deve compiere quando
commette reati come i suoi signorina Tallish, è la legge e seppure
so benissimo quanto Lei sia cambiata e quanto tempo è passato, Lei
come tutti deve rispettarla ed il mio compito sarà fargliela
rispettare- disse l'uomo porgendomi dei documenti
Rimasi a bocca aperta. Non mi era nuova l'attività del "mostriamo
quanto sappiamo essere utili alla città". Non era la prima
volta che dovevo sottostare agli ordini di qualche assistente sociale
ma cavolo, proprio adesso non ci voleva. Stava
andando tutto così bene. Guardai mia madre sconfortata e
trovai nei suoi occhi un po' di coraggio. Firmai le carte per
l'adesione con l' amaro in bocca.
John Dièz andò via poco dopo.
Quando l'uomo uscì dalla porta, guardai mia madre con le lacrime
agli occhi.
-Sono stanca- dissi correndo in
camera mia
Di nuovo, il mio "passato" si stava prendendo gioco di me.
Mi buttai a letto, in lacrime. Meritavo
davvero tutto questo? Le cose stavano andando così bene,
dovevo immaginare che qualcosa mi avrebbe di nuovo sconvolta. Mia
madre venne a bussare alla mia porta.
-Piccola, su... ho sbagliato a non dirti nulla... avrei dovuto essere
sincera-
-Mamma per favore, lasciami sola- le pregai nascondendo la testa
sotto le lenzuola
Mia madre entrò e si avvicinò a me. Sentivo il suo profumo, il suo
meraviglioso profumo.
-Mi dispiace- disse poi stendosi accanto a me
-Dovevo immaginarlo... stava andando tutto troppo bene- dissi
asciungando le lacrime
-Tesoro, si tratterà solo di alcuni mesi-
-Lo so, ma mi fa comunque male pensare di dover far di nuovo i conti
con i miei sbagli-
-E' la vita, non possiamo farci niente.
Ma vedrai che superato questo non capiterà più di avere a che fare
con queste cose. Ti conosco Amber, sei cresciuta e sei maturata. Ora
hai imparato la lezione, sei cambiata-
-Mamma, ti voglio bene- dissi
abbracciandola
Sapeva sempre cosa dire. Ma come faceva a
essere così stupenda?
-Dai, adesso asciughiamo queste lacrime e andiamo a fare la spesa-
fece mia madre con un sorriso.
"Ce la farò anche questa volta. Ormai
sono una campionessa nel superare le difficoltà",
pensai tra me e me.
“Vorrei ricordassi tra i drammi più brutti che il sole esiste per tutti.”
— Tiziano Ferro, il sole esiste per tutti
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Capitolo 29 *** Mi piacciono i tuoi occhi, dentro c'è il mio lieto fine. ***
capfinale
Un
anno dopo...
-Mamma, sei pronta?! Dylan è arrivato a prenderci! - chiamai dal
piano di sotto mia madre. Lei era ancora in camera sua a sistemarsi i
capelli. Eravamo in ritardo. Il matrimonio del fratello di Jennifer e
Michael non ci avrebbe di certo attese.
Ebbene si, ero tra gli invitati: Zac ormai, era diventato mio
"cognato". Io e Michael ci eravamo fidanzati e da
quando ci eravamo conosciuti la mia vita si faceva sempre più bella.
Era passato un anno da quando John Dièz bussò alla mia porta. Ed
erano sei mesi che avevo finito di pulire le strade della mia città
sotto ordine dei servizi sociali. In certi
momenti credetti davvero di non farcela, di arrendermi. Di
mandare tutto al diavolo. Ma con Michael al mio fianco, riuscii a
superare tutto. Michael è tutt'oggi la mia
forza.
-Tesoro, che dici?! Come sto?- disse mia madre scendendo le scale
Era bellissima, rimasi a bocca aperta. I suoi capelli tenuti sciolti
scendevano sulle spalle in modo splendido e il suo vestito rosa
avrebbe fatto invidia a qualsiasi donna a quel matrimonio, ne ero
certa.
-Sei stupenda, mamma- le dissi facendole l'occhiolino
-Grazie amore! Anche tu! Questo vestito ti dona un sacco!- fece lei
indicando il mio abito blu.
Ineffetti mi sentivo proprio una
principessa. Una regina, azzarderei. Dopo tutto quello che
avevo passato, ora mi sentivo una vera
donna. Pensai per un attimo a com'ero un anno fa e a come
ero cresciuta. Mi scappò un sorriso per la soddisfazione.
Avevo stima di me stessa, ero orgogliosa di chi ero diventata.
"Amber, sii felice di chi sei. Sei cambiata e questo lo vedi
solo a te stessa" ripensai alle parole di Michael
quando mi vide piangere per la prima volta. Quella volta capii
veramente che lo amavo e provai la
meravigliosa sensazione di sentirsi amati.
-Ora andiamo!- mi disse mia madre prendendo le nostre borsette e il
regalo per gli sposi.
-Buongiorno principesse!- ci salutò Dylan facendoci salire in
macchina
-Ciao Dyl!- dicemmo in coro, io e mia madre
-Allora, pronte per una bella abbuffata?!-
Io e mia madre annuimmo ridendo.
-Dov'è la chiesa?- chiese Dylan
Mia madre diede indicazioni al nostro fantastico autista e partimmo.
Arrivo puntali, per fortuna. Odiavo essere in ritardo anche se spesso
mi succedeva. Appena mi vide, Michael mi salutò con un bacio.
-Tesoro, sei bellissima! Salve signora Tallish!- mi disse guardandomi
negli occhi e poi salutò con un bacio sulla guancia mia madre che
gli sorrise felice. Le piaceva molto Michael e non potevo che essere
contenta di ciò, dopo tutte le brutte facce che le avevo fatto
conoscere, finalmente uno, come diceva lei, "buono"!
-Anche tu, Michael!-
Quel ragazzo era proprio il mio principe.
Sentire il suo corpo stringere il mio, mi faceva battere il cuore
fortissimo. Solo un'altro uomo amavo allo stesso modo, ma quest'uomo
purtroppo non lo potevo avere con me. Era lontano, lontanissimo.
Oltre questo cielo. Era il mio
papà, il mio re che ero certa, in quel momento pensava le
stesse cose che mi aveva appena detto il mio ragazzo.
-Forza entriamo, Zac è già dentro e Claire arriverà a momenti!-
fece Michael facendoci entrare in chiesa. Ci accomodanno accanto a
Jennifer e Dylan.
Poco dopo, entrò la vera protagonista di ogni matrimonio: la sposa.
Claire era meravigliosa. Indossava un abito bianco a sirena che le
risaltava il suo fisico perfetto. Rimanemmo tutti a bocca aperta e
Zac sembrava quasi avesse gli occhi a cuoricino.
-E' davvero bellissima- mi sussurrò mia madre
-Concordo!- risposi io
Io e Michael ci guardammo negli occhi e ci sorridemmo.
-Un giorno lo sai, vero, che ti farò attraversare anche a te questa
chiesa in un abito come quello di Claire?!- mi fece il mio fidanzato
A quelle parole mi scese una lacrima per la commozzione.
-Ti amo- sussurrai a Michael
Quando la cerimonia terminò andammo tutti al ristorante per
festeggiare i due sposi. Fu una festa memorabile: l'ambiente era
stupendo, un giardino grandissimo, la piscina, una torta enorme e
buonissima, tante lacrime di gioia e risate a volontà. Michael fece
anche un discorso per il fratello. Parlò anche di me dicendo a tutti
che da lì a poco mi avrebbe sposata. "Speriamo"
pensai io.
Quella
giornata, ora che ci penso, è una delle più belle della mia vita.
Sono felice di essere Amber Tallish. Sono orgogliosa della vita
meravigliosa che sto vivendo, di tutto ciò che ho passato e che ho
superato. Mi sono trovata in difficoltà, sono caduta ma mi sono
sempre rialzata. Sono una donna, una donna forte. Forte più di
prima.
FINE
Sono gli anni più duri, ma dicono i migliori
-Chiara, Straordinario
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