Più forte di prima

di Anonimadaicapellibiondi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** A nessuno interessa il mio dolore. ***
Capitolo 2: *** Sono così triste stanotte. ***
Capitolo 3: *** Mai dimenticare chi sei. ***
Capitolo 4: *** Semplicemente stanca di tutto. ***
Capitolo 5: *** Portatemi da qualche altra parte. ***
Capitolo 6: *** Per una volta, vorrei solo che a qualcuno dispiacesse di avermi persa. ***
Capitolo 7: *** Ho dimenticato cosa significasse essere felici. ***
Capitolo 8: *** Parigi, la città dei miei sogni. ***
Capitolo 9: *** Il tuo viso è come una melodia. ***
Capitolo 10: *** E siamo semplici bambini innamorati. ***
Capitolo 11: *** Si, ho fatto degli errori. Ma la vita non esce con le istruzioni. ***
Capitolo 12: *** Un giorno tutti i miei sogni diventeranno realtà. ***
Capitolo 13: *** Eri tutto ciò che credevo di conoscere. ***
Capitolo 14: *** Dipendente da sentimenti e ricordi. ***
Capitolo 15: *** Non mi dimenticherò di noi. ***
Capitolo 16: *** E questa la chiami vita? ***
Capitolo 17: *** Fino a che rimani sarai tu il migliore dei miei mali. ***
Capitolo 18: *** Siamo giovani. ***
Capitolo 19: *** Io non ti dimenticherò mai. ***
Capitolo 20: *** Quando sei uscita da quella porta, una parte di me è morta. ***
Capitolo 21: *** Voi mi rendete felice. ***
Capitolo 22: *** Un anno fa, non mi sarei mai aspettata di vivere questa situazione. ***
Capitolo 23: *** Io la amo, non la lascio andare. ***
Capitolo 24: *** Sei tutto ciò che ho. ***
Capitolo 25: *** Niente dura per sempre. ***
Capitolo 26: *** Guarda sempre il lato positivo della vita. ***
Capitolo 27: *** Ama ogni singolo minuto della tua vita. ***
Capitolo 28: *** Il passato sa tornare a galla. ***
Capitolo 29: *** Mi piacciono i tuoi occhi, dentro c'è il mio lieto fine. ***



Capitolo 1
*** A nessuno interessa il mio dolore. ***


Cap1

Fumai l'ultima sigaretta poi la gettai nel tombino.

-Vai di fretta,Amber?- disse Dylan mettendo un braccio sopra le mie spalle.

-Si, parecchio- risposi io schiva

-Vai a farti di eroina anche oggi?-

-stai zitto..- alzai gli occhi al cielo pregando che si allontanasse il prima possibile.

Si mise a ridere mentre io avrei voluto piangere. Per tutti ero "Amber la drogata", "Amber la svitata", "Amber la sfigata". Ma solo io sapevo come stavano veramente le cose.

La storia della droga è cominciata qualche anno fa quando per curiosità decisi di provare. Poi però non riuscii più a smettere. Non credevo di diventarne dipendente. Iniettarmi qualcosa nelle vene, sentirne l'effetto e la sensazione quando finisce. Sentirne il continuo bisogno, la voglia di averne sempre di più ...poi ho iniziato a vederne i risultati. Il mio corpo era cambiato, io ero diversa. Così, con l aiuto di mia madre e di un centro di cura sono riuscita a disintossicarmi. Ma resto lo stesso per chi mi conosce "la drogata". E questo mi fa male. La droga mi aveva fatto perdere molte cose di me, molte persone. Gli amici mi avevano abbandonata, ero dimagrita, trascuravo la scuola. Il fatto di aver perso tutti i miei amici mi distruggeva, non mi parlavano più. O meglio, lo facevano, ma solo per prendermi in giro. Perchè sapevano che l argomento "droga" mi faceva star male. Dylan infatti ogni volta che mi vedeva nominava l'eroina per ricordarmi tutte le volte che gli davo buca per andare a farmi. Io non reagivo più perchè tanto a nessuno interessava se stavo male. A nessuno interessava il fatto che ero guarita e che la droga faceva parte del mio passato e che volevo riprendermi tutto ciò che mi essa mi aveva tolto: amici, grinta, buoni voti, chili e soprattutto un sorriso. Riguardo la scuola e il peso qualcosa migliorava ma riguardo tornare a sorridere beh.. questo era davvero impossibile. Era come se non fossi mai andata in quel centro di disintossicazione, tutti fingevano di non sapere. Tutti ancora avevano quell'idea in testa: Amber è una drogata, stalle alla larga!


Ho questa strana sensazione, dentro. Una sorta di ' voglia '.Non so, come se volessi
piangere da ogni parte del corpo; come se avessi bisogno di piangere.Il cuore, il fegato e lo stomaco, sono in subbuglio.Gli occhi poi. A volte non me ne accorgo e lacrimo." Ma cos'è questa? Ah si, si chiama lacrima" mi dico. Il prezzo che si paga ad essere forte. Forte per tanto, troppo tempo.

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Capitolo 2
*** Sono così triste stanotte. ***


cap2.

Tornata a casa mi buttai a letto. Mia madre probabilmente soffriva anche più di me. Lei era una donna sola, mio padre era morto circa quando avevo dieci anni. Aveva un tumore al cervello. Purtroppo avevo sempre fatto molta fatica a ricordarlo, dopo la sua morte fu come se il mio cervello avesse eliminato tutti i miei ricordi con lui. Mi mancava davvero molto avere un padre. L'unica cosa che ricordai però è che mi voleva davvero molto bene, lui mi amava. Sentivo la necessità di parlargli, anche solo per un secondo, oppure avrei voluto sentire di nuovo la sua voce perchè nemmeno quella ricordavo. Dopo aver cenato decisi di fare un giro. Tutte le sere lo facevo e mi capitava anche di dormire fuori. Mi addormentavo sul prato o a casa di qualche sconosciuto ubriaco. Perchè quando uscivo andavo a bere, bere fino a star male per cercare di non pensare ai problemi. So che sbagliavo a bere così tanto avendo avuto una brutta esperienza con la droga ma non riuscivo mai a resistere. E ogni volta puntualmente il giorno dopo me ne pentivo amaramente: mi ripetevo di non bere più oppure al massimo un bicchiere. Poi la sera conoscevo qualcuno e finivo per non ricordare il giorno dopo ciò che avevo fatto la sera prima. "Sono una stupida" mi ripetevo in continuazione. E lo ero davvero. Ma era più forte di me. Ero un mostro ed un'ipocrita. Dicevo di essere uscita dal circolo vizioso della droga ma poi l'alcool aveva preso il suo posto.

Mia madre ormai non mi fermava più perchè si era purtroppo rassegnata. Sa che ci soffrivo, sa che volevo dimenticare il periodo della droga e che volevo che tutto non fosse mai successo. Sa che volevo ricominciare ma non ci riuscivo. Ormai ero cambiata. E non potevo pretendere che il mondo intorno a me si adattasse alla nuova "Amber" tanto in fretta. "Non sono più la tua bambina" le urlavo quando andavo fuori di sera. La trattavo male e mi odiai per quello ma non riuscivio a stare lontana dall'alcool perchè almeno la notte mi aiutava a stare lontana da tutto ciò che mi faceva soffrire. Riuscivo per un po' a stare meglio. Non sapevo perchè ma una notte mi capitò di essere più triste, forse per l'ennesima stronzata di Dylan. Fatto sta che quella notte sentii l'irrefrenabile bisogno di bere più del solito pur sapendo dei danni che sarei causata. Una vera masochista. Speravo solo che tutto ciò un giorno potesse finire, ma almeno per quella notte, per quel momento di dolore, pregavo solo che il barista fosse più veloce con quei bicchieri.


Ci sono giorni in cui mi chiedo dove io trovi la forza per fare tutto quello che faccio,senza mai cedere, ma poi rispondo a me stessa e dico: siamo nati per "lottare";

arrendersi mai.
- Luna Del Grande

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Capitolo 3
*** Mai dimenticare chi sei. ***


cap3

Andai al solito pub. Tutte le sere lì. -Solita birra Amber?- disse il barista sorridente. Forse era l'unica persona che mi sorrideva. Già l'unica, nemmeno mia madre lo faceva più.

Non avevano un grandissimo rapporto. L'avevo molto delusa con la storia dell'eroina e mi voleva aiutare ma, come per tutto il resto delle persone che mi conoscevano, rimanevo comunque "la drogata". Così dopo avermi mandata in quel centro lontano da casa aveva deciso che era meglio starmi alla larga, era come se per lei non fossi più davvero sua figlia ma sapevo che mi voleva bene comunque. Ed io pure.

Presi una birra, mi accesi una sigaretta e mi guardai intorno. C'era molta gente quella sera. Alcune ragazze ridevano tra loro e chiaccheravano. Avrei voluto essere tra di loro, mi ricordavano molto com'ero qualche anno fa, quando ero ancora per tutti "Amber, la ragazza perfetta". Chiusi gli occhi ripensando ai momenti passati con le mie vecchie migliori amiche. Jennifer, Emma, Hanna. Quattro ragazze spensierate che volevano divertirsi. Tacchi alti, intelligenti e chiassose. Ma sempre sincere e pronte ad aiutarsi. Sembrava davvero che non ci saremmo mai lasciate. Invece poi è finita che sono rimaste in tre ed io sola con i miei problemi. Stava per scendermi una lacrima ma mi ricomposi e ordinai un'altra birra. "Ecco che ci ricasco" pensai pentendomi subito della mia ordinazione. Mi promisi di non ordinarne più e infatti,a mia sorpresa, fu proprio così. Quella notte ero tornata a casa alle due ancora sobria, solo molto stanca. Mia madre già dormiva, si era addormentata sul divano con la tv accesa. Spensi la televisione.

-Ehi..- disse mia madre stropicciandosi gli occhi

-scusa non volevo svegliarti..-

-tranquilla hai fatto bene.. non è il massimo dormire sul divano meglio che vada a letto..- -già..buonanotte-.

Lei non rispose al mio saluto e andò al piano di sopra mentre io aprii il frigorifero con la speranza di trovare qualcosa da mangiare. Alla fine presi una barretta di cioccolato. Mi sedetti sul divano e mi soffermai a guardare una foto in una cornice sopra ad una mensola: eravamo io,mio padre e mia madre circa tredici anni fa. Avevo circa cinque anni ed eravamo in montagna. Eravamo così felici e belli che mi scese una lacrima. Era una lacrima di malinconia e di vergogna per ciò che ero diventata crescendo. Desiderai tanto essere ancora quella bambina sulla foto. Una dolce biondina che si sentiva amata e che rideva al mondo. E per un attimo quasi mi sentii come nella foto ma poi, guardando il pacchetto di sigarette posato sul tavolo ricordai chi ero veramente. Mai dimenticare il presente. Forse con me non c'era proprio speranza. Non sarei mai tornata probabilmente ad essere quella della foto. Non sarei riuscita mai ad essere più forte di prima.


Scusami se non sono quella che hai sempre desiderato.

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Capitolo 4
*** Semplicemente stanca di tutto. ***


cap4

Il giorno dopo a scuola fu come al solito un disastro. Appena arrivata trovai il mio armadietto aperto e all'interno scoprii alcune mie vecchie foto che mostravano la mia vecchia vita: qualcuno mi aveva fotografata quando mi nascondevo nei bagni o dietro la scuola a farmi. Semmai avessi trovato lo stronzo che mi aveva fatto quel brutto "scherzo" giuro gli avrei strappato il collo. Perchè tutta questa cattiveria?

Trovai anche il disegno di un falò. Il famoso falò dove tutto ebbe inizio. La sera in cui fumai per la prima volta uno spinello. La sera in cui cominciò il mio incubo. Nel corridoio tutti intorno a me scoppiarono a ridere e a prendermi in giro.

Corsi in bagno. Piansi, piansi fino a vomitare. Volevo sprofondare, sotterrarmi, nascondermi per sempre. Davvero non ce l'avrei fatta a tornare l'Amber di sempre? Forse la risposta era no, forse con me non c'era davvero speranza. Mi sentivo debole, mi guardai allo specchio e non mi piacevo. Mi odiavo tremendamente. Nel bagno trovai Jennifer che mi guardò incredula. Per un attimo non sapevo che fare: non sapevo se scappare via per paura di altri brutti giochetti o stare lì magari ad aspettare che mi abbracciasse come succedeva una volta se stavo male. Non riuscivo a muovermi, lei non disse nulla semplicemente andò a lavarsi le mani e corse via. Perchè nessuno riuscì a rendersi conto che avevo bisogno di aiuto? Perchè nessuno riuscì a comprendere che ero cambiata? Che volevo deciso di ricominciare?

Non riuscii ad entrare in classe, le lacrime mi avevano distrutta. Ero stanca, esausta, non avevo forze. Così decisi di saltare le lezioni e tornare a casa. Mia madre era al lavoro. Mi addormentai sul divano sperando di non svegliarmi mai più.

Impara a cavartela da solo, che quando sarai al buio giocheranno tutti a nascondino.
(Unknown)

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Capitolo 5
*** Portatemi da qualche altra parte. ***


cap5

Mi svegliai circa sei ore dopo. Era ormai tardo pomeriggio. Ripensai a ciò che era successo a scuola e di conseguenza la mia mente tornò ai giorni scorsi e alla vita che stavo facendo. Un grande schifo. Mi misi a riflettere. "Valeva davvero la pena sopportare tutto questo?" la risposta arrivò subito "No, assolutamente no".

Quando mia madre tornò dal lavoro rimase stupita dal fatto che le avevo cucinato la cena.

-Amber?-

-si mamma?-

-devi dirmi qualcosa? Come mai hai preparato tu la cena?-

-Boh..non lo so.. non avevo nulla da fare..- forse mia madre si aspettava un'altra risposta. Si aspettava che le dicessi che l'avevo fatto per mostrarle che le volevo bene e che desideravo fare qualcosa per lei. In fondo era proprio la verità ma non riuscivo a dirglielo, non sono mai stata troppo dolce con mia madre e mostrarle il bene che provavo per lei non era mai stato da me. Preferivo farle credere che era per noia, una cosa un po' più normale per me. In fondo io non ero mai stata brava a dimostrare amore, affetto alle persone. Non mi definivo una persona fredda, più che altro timida. Ho sempre avuto un po' di paura del contatto fisico. Non con tutti ovviamente. Con una persona sola riuscivo davvero ad essere me stessa e a non essere sempre sul punto di chiedermi se "disturbassi". Quella persona però l'avevo persa. Non potevo più tornare a dimostrarle affetto fisico. Ma nemmeno a parole. Quella persona era Dylan. Proprio quel Dylan che mi prendeva in giro, un tempo avrebbe ucciso per chi mi avesse fatto soffrire. Era il mio ragazzo e lo amavo da impazzire. Passavamo tanto tempo insieme e con lui potevo essere davvero "me". Potevo dire e fare qualsiasi cosa senza preoccuparmi di essere giudicata. Lui amava i miei difetti e questo mi aveva fatto sempre pensare. Diceva che le mie imperfezioni mi rendevano speciale.

Poi però ho iniziato a drogarmi. Ho iniziato a trascurarlo, trattarlo male. E tutto questo non lo meritava. Così ci siamo lasciati. All'inizio non provai nulla, non mi mancava. L'eroina mi aveva fatto dimenticare cosa significasse amore, amicizia, affetto. Ero diventata senza sentimenti, incapace di provare emozioni. Poi però, guarendo capii quanto stupida ero ad averlo lasciato. Capii che non sarebbe stato lo stesso senza di lui. Che lui contava davvero molto nella mia vita. Ma ormai era troppo tardi. Ormai era arrabbiato, soffriva. E non gli davo torto, gli avevo fatto davvero male. Così iniziò a vendicarsi. Ma non dovevo più pensare a Dylan: la vita andava avanti con o senza di lui. Ora dovevo pensare a me stessa, al mio futuro. Quel pomeriggio, dopo scuola presi molte decisioni e giunsi a delle importanti conclusioni.

Quella sera sarebbe stata l'ultima volta che bbe vista. Avevo in mente un progetto: partire in segreto. Via da quella città.Avevo pianificato tutto:quella notte partii. Sarei stata lontana chilometri e chilometri da casa. Avevo diversi risparmi ancora nascosti sotto al mio letto. Erano soldi rubati, presi nel periodo dell'eroina. Mi servivano per comprarla all'epoca. Partii appena mia madre si addormentò. Presi il treno, passai la notte in una panchina in una città molto lontana dalla mia e poi il giorno dopo avevo deciso di prendere un volo per l'Europa: un aereo mi avrebbe portata a Parigi.


Hai presente quella sensazione che provi mentre prepari la valigia per partire? Hsi presente camminare per strade dove nessuno ti conosce, dove puoi essere chi sei veramente? Ecco, io mi sento libera. Non rimpiango ciò che mi lascio dietro, al contrario, temo il ritorno.

cap5

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Capitolo 6
*** Per una volta, vorrei solo che a qualcuno dispiacesse di avermi persa. ***


cap6

Il mattino dopo controllai il cellulare. Nemmeno una chiamata: forse mia madre non si era accorta del letto di sua figlia vuoto. Ma non c'era da stupirsi: non era la prima volta che dormivo fuori senza avvertire. Le avevo lasciato una lettera. Forse non l'aveva ancora vista. Le avevo scritto di essere partita. Avevo deciso che "quella vita" non faceva più per me. Ero stanca di quella città volevo cambiare aria. Se voleva poteva chiamarmi, una specie di seconda possibilità, così...perchè alla fine la speranza è l'ultima a morire: le avevo dato appuntamento per le 13.30 davanti l'aeroporto per salutarmi. Forse avrei anche cambiato idea se si fosse presentata. Ma non fu così, la aspettai a lungo ma non venne. Passarono le ore, il mio aereo partì alle 14.00. Mia mamma non mi aveva ancora chiamata. Ripensandoci, mi pentii amaramente di averle dato quell'appuntamento. Di aver aspettato a lungo, alzando gli occhi ad ogni donna magra e castana che passava accanto a me.
"Sono una stupida, credevo davvero che mia madre mi volesse bene? Che povera illusa, le persone qui fanno schifo, non perdonano". E mi odiavo al solo pensiero che a differenza sua, io le volevo ancora bene. In aereo ebbi modo di pensare e di riflettere a lungo su me stessa. Lasciare la mia città, Greensurg non mi dispiaceva nemmeno un po'. Forse l'unica cosa che rimpiansi era non aver salutato mio padre. Lui mi mancava così tanto ma ero certa che mi avrebbe capita e perdonata anche se avrebbe fatto di tutto per non farmi partire. Perchè lui mi amava davvero, si vedeva dai suoi occhi blu, così simili ai miei. Quegli occhi che ho imparato ad apprezzare con gli anni dopo la sua morte quando ogni notte guardavo la sua foto sul mio comodino. Il suo viso sorridente accanto al mio da bambina imbronciata. Eravamo così belli. Avevo lasciato quella foto sul mio comodino e pensando a lui me ne pentii. Mi addormentai e quando arrivai a Parigi decisi di buttare il cellulare. Non dovevo essere rintracciabile. Avrei ovviamente fatto una sim nuova, cambiato identità e mi sarei rifatta una vita. 

Notai che sul mio vecchio passaporto c'era un piccolo cuore. L'aveva fatto mia madre con la stoffa in un tiepido giorno d'estate. Pensandoci mi scappò una lacrima. Non mi mancava affatto, mi faceva solo rabbia. Avrei voluto che almeno per una volta a qualcuno fosse dispiaciuto perdermi ma evidentemente a nessuno interessavo. Non mi ero affatto pentita di essere partita, guardando quel cuoricino ne ero certa: avevo fatto la scelta giusta. Parigi già mi piaceva, tutti erano gentili, c'era il sole. Inoltre conscevo una ragazza che abitava non lontano dal centro. Eravamo d'accordo che ci saremmo incontrate e che mi avrebbe accolta a casa sua. Ero comunque intenta a trovarmi una casa per me ed un lavoro il prima possibile. 

Amelie, la ragazza francese che si era offerta di ospitarmi, venne a prendermi all'aeroporto. Ci conoscevamo da circa 15 anni, da quando con i miei genitori andavo in montagna dai nonni paterni. Mio padre era infatti francese e passavamo le vacanze invernali sempre da loro. Così conobbi la famiglia di Amelie. Solo una cosa mi turbava. I vicini di casa di Amelie erano proprio i miei nonni. Pensai a loro, a quanto mi divertivo con il nonno a giocare a scacchi e con la nonna a prepare dolci. Poi però, con la morte di mio padre mi era sempre più difficile tornare in Francia. La loro casa aveva il suo profumo, era piena di sue foto, c'era ancora la stanza in ordine con tutti i suoi giocattoli e libri. Ma, sebbene erano passati molti anni da quando non andavo più a Parigi, io e Amelie eravamo unite e ci volevamo bene. Appena la vidi corsi ad abbracciarla. Lei non sapeva nulla della mia brutta esperienza con la droga. Avevo deciso di non dire a nessuno di tutto ciò. Basta, ora per me cominciava una nuova vita. Una vita fatta finalmente di rivincite. Fatta di novità e serenità.


Tieni duro, il dolore finisce.

cap6

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Capitolo 7
*** Ho dimenticato cosa significasse essere felici. ***


cap7

Io e Amelie parlammo di molte cose. Presi però una decisione: mi ero promessa di non dire a nessuno della droga. Mi aveva chiesto il motivo del mio viaggio "senza ritorno" a Parigi. Riflettei a lungo su cosa dirle. Non avevo il coraggio di essere sincera, avevo paura e vergogna. Di lei sapevo di potermi fidare, sapevo che non mi avrebbe giudicata e non mi avrebbe abbandonata ma non volevo rovinare tutto, volevo costruirmi una nuova vita. Nessuno doveva sapere del mio passato. -Amelie ecco.. è un po' complicato.. -

Decisi di inventare una scusa. Una "storiella" che mi permettesse di buttare via per sempre il periodo più brutto della mia vita. Dissi che nella mia città non trovavo un lavoro, mia madre aveva sposato un altro e avevo litigato con le amiche. Forse poteva prendere come "esagerata" la mia decisione di mollare tutto e trasferirmi a Parigi ma mi stupii. Infondo sono sempre stata per lei una "combattente" e non mi arrendevo mai facilmente o non mi abbandonavo mai facilmente alla sofferenza. Di certo l'avrei colpita con questa mia "svolta". Ma come al solito Amelie mi stupì. Più di una volta l'avevo sottovalutata. Lei era diversa dalle altre persone. Lei aveva un'anima così buona, pura, vera, che niente la intimoriva. Mi diede quasi la senzasione che già sapesse che volessi venire a Parigi. Speravo solo non dubitasse di me, speravo solo di non deluderla se un giorno avesse scoperto che le avevo detto una bugia. Un'enorme bugia, ma dovevo pensare a me stessa e ne ero certa: mi trovavo così lontana da casa mia e dal quell'inferno di Greensburg che il mio passato non poteva in nessun modo perseguitarmi.

-Ecco..Amelie..si so che potrebbe sembrarti una cosa stupida ma non riuscivo più a sopportare quella vita...ero sola, non vedevo un futuro..-

-Ehi..Amber...hai fatto la cosa giusta! Se sentivi che nella tua città stavi male beh...hai fatto bene ad andar via! Ed io ti supporterò in qualsiasi cosa farai!-

Sentii le sue parole come una carezza al cuore. Dentro di me c'erano i fuochi d'artificio. Una sensazione che non sentivo da anni. Anzi forse non l'avevo nemmeno mai provata una gioia simile. Mi scese una lacrima

-Amber perchè piangi?- disse Amelie preoccupata

-scusa amica mia... è che tutto questo mi sembra così stupendamente assurdo! Sei fantastica, mi hai detto delle bellissime parole e posso finalmente dire di essere veramente felice. Non mi sono mai sentita così-

lei mi guardò sorridente e mi baciò sulla guancia. -Amber tu sei speciale...sei rinata. E mi ritengo fortunata a conoscerti. Voglio far parte della tua vita, non permetterò più a nessuno di toglierti il sorriso- disse lei prendendomi la mano

-ti voglio bene Amelie-. L'abbracciai e sentendo il suo profumo pensai a Jennifer. Ricordai tutti quei bei momenti passati insieme. Anche quei tempi erano finiti, tutto quel passato che dovevo dimenticare. Mi mancava davvero l'affetto di un'amica. -Grazie..- dissi io sorridendo. Mi ero dimenticata cosa significasse essere felici.

-Ora ti porto a casa mia..ti ricordi dei miei genitori?-

Io annuii. Mi erano sempre stati molto simpatici. Decisi di non passare dai miei nonni, loro avrebbero potuto informare mia madre. Dovevo tagliare i ponti con il mio passato se volevo essere una persona nuova. Anche a costo di soffrire un po'.


“Ci sono dei momenti nella vita in cui non è sufficiente voltare pagina.E ‘ necessario cambiare libro.”

cap7

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Capitolo 8
*** Parigi, la città dei miei sogni. ***


cap8

Amelie riuscì a trovare una motivazione (o meglio, scusa) più che ottima al mio viaggio a Parigi. "Non riesce a trovare lavoro nella sua città, papà...e Parigi è la sua unica possibilità". Ineffetti era così. Non volevo cominciare la scuola in Francia, volevo subito iniziare a lavorare. Ero determinata come non mai a fare sacrifici, ero disposta a tutto pur di vivere a Parigi. Non mi importava la fatica, le ore dure, le differenze culturali, qualsiasi posto comunque era meglio di Greensburg. E se il posto scelto era la Francia, beh... tanto meglio! Parlavo bene il francese e in estate lavoravo sempre come cameriera in un bar vicino casa mia.

-Jean, potremmo presentarle Corinne, tua sorella...- disse la madre di Amelie

-Corinne? Oh giusto! Lei sta proprio cercando una cameriera per il suo nuovo ristorante...-

-un ristorante?-

-beh si.. è molto piccolo ma si mangia davvero bene..mia sorella è un'ottima cuoca!-

-mi piacerebbe moltissimo!- dissi io sorridendo.

I genitori di Amelie erano sempre stati gentili e adorabili con me. Fin da piccola, mi portavano con loro a fare delle belle passeggiate lungo la Senna o in montagna a sciare. Poi Jean, il padre di Amelie mi aveva insegnato molte cose e mi aveva trasmesso la passione per il pianoforte. Suonava divinamente e ricordai che io ed Amelie stavamo sedute accanto a lui ad ascoltarlo. Era pura poesia per me quella musica dolce ma allo stesso tempo profonda. Jasmine, la madre di Amelie invece era una donna tranquilla, timida e generosa. Aveva un cuore d'oro e le ho sempre invidiato quella forza nel trovare qualcosa di buono, di bello, di positivo in qualsiasi cosa e persona. Ricordai tutte le volte che da bambina cadevo, mi sbucciavo un ginocchio o combinavo un pasticcio. Lei sapeva sempre tirarmi su di morale e da questo lato Amelie era proprio come lei. Era molto diversa da mia madre. Jasmine non avrebbe mai abbandonato sua figlia o perlomeno sarebbe andata a cercarla. Per me queste persone erano parte della mia famiglia.

Parigi mi piaceva ogni minuto di più. Dopo mangiato Amelie mi propose di uscire, voleva presentarmi alcuni suoi amici. -Sono ragazzi della nostra età! Sono molto simpatici e fidati, ti troverai benissimo con loro amano conoscere gente nuova! Soprattutto se sei americana!- ridemmo insieme scegliendo il miglior vestito da indossare. Ero ansiosa, avevo paura di non piacere. Ero sempre stata insicura ma dovevo farmi forza: c'era un nuovo mondo che mi aspettava e non potevo farmi trovare impreparata. Era la mia prima sera a Parigi: dovevo essere impeccabile. Lo facevo proprio per me stessa, non tanto per apparire agli altri come una "modella americana".

D'altronde non ero di certo il genere: ero una diciottenne di un metro e sessanta con i capelli castani e non ero di certo snella e slanciata come le ragazze nei giornali.

A differenza di Amelie, ero molto più goffa anche se cercavo di migliorarmi osservandola continuamente. Ma poco mi importava in quel momento se fossi o no la più bella di Parigi, ero così felice di aver realizzato il mio sogno che non stavo a soffermarmi in quel momento su quanto dovessi dimagrire o sul fatto di tagliarmi i capelli.

Indossai un abito di Amelie: nero e argento con dei tacchi che faticavo ovviamente a portare.Ero sempre stata quel tipo di persona che amava Converse e anfibi. Indossavo qualche volta le ballerine, ma solo per le occasioni davvero importanti. Come quando Dylan mi invitò a cena a casa sua per festeggiare il compleanno di suo padre. Per la prima volta indossai un abito lungo e il rossetto rosso. Avevo stupito tutti quella volta.

-Ma come fai a stare su questi cosi tutta una notte?!- chiesi io massaggiandomi le caviglie

-sono francese! Ecco il segreto!-

-mah..so già che fra dieci minuti vorrò togliermeli!-

-eddai..adesso non fare la lamentona che ci aspetta una notte da leoni!-. Scoppiammo a ridere. Amelie mi fece finalmente conoscere i suoi amici. Si presentarono ma come spesso mi capitava, dimenticai subito il nome. Le amiche di Amelie erano davvero bellissime e proprio come lei, camminavano in modo perfetto su tacchi vertiginosi. Mi presentò anche dei ragazzi, anch'essi molto belli ed eleganti. Ad essere sincera però uno in particolare mi colpii.

-Ciao, mi chiamo Leo- disse lui sorridendo.

-Sono Amber piacere..-

Amelie mi spiegò che Leo era italo-francese. Era davvero un ragazzo carino e più volte durante la serata mi capitò di chiaccherarci. Aveva i capelli ricci, era castano e portava gli occhiali. Pensai che era completamente diverso da Dylan e mi chiesi che cosa mi avesse colpito maggiormente di lui. Era un tipo strano ma allo stesso tempo divertente.

-Quindi tu sei "l'americana che cambia vita"- disse lui timidamente

-eh già... e tu sei il ragazzo italiano!-

-italo-francese per essere precisi... mio padre è di Roma mentre mia madre è nata qui a Parigi ma si è trasferita da giovane in Italia-

-non sono mai stata a Roma...com'è?-

-un paradiso!- disse ridendo. Non ero mai stata in Italia ma mi ero promessa che prima o poi l'avrei visitata. Chissà, magari in compagnia di Leo.

Verso le due io e Amelie tornammo a casa. Prima di addormentarmi ripensai all'intensa giornata che avevo passato:l'arrivo a Parigi, l'abbraccio di Amelie, la sua famiglia e poi Leo. Pensai anche a mia madre, a cosa stava pensando, se mi stava cercando. Speravo che un po' si fosse preoccupata per me. Pensavo a Dylan, a Jenifer. A tutto ciò che mi ero lasciata alle spalle e sentii lo stomaco restringersi. Ma forse doveva andare così. Forse ero troppo per Greensburg. Ma Parigi era il mio futuro. Parigi mi avrebbe resa più forte.


Vorrei soltanto uscire da tutti i casini ed essere veramente felice, felice da far schifo.

cap8

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Capitolo 9
*** Il tuo viso è come una melodia. ***


cap9

Alcuni giorni dopo il padre di Amelie riuscii a mettermi in contatto con Corinne. Le raccontai dei miei buoni voti a scuola, inventai anche qualche bugia. Piccole bugie a fin di bene,certo. Le dissi che purtroppo non avevo finito la scuola per motivi economici ma comunque avevo esperienze lavorative come cameriera, cassiera e commessa in America. Lei mi mise in prova ed io non riuscivo a crederci. Cavolo, che fortuna. Mi sembrava un sogno. La paga poi sarebbe stata anche ottima e sarei riuscita ad affittare un appartamento nel giro di qualche mese. Ovviamente con me avrebbe abitato anche Amelie. Eravamo ormai inseparabili. Uscivamo spesso con i suoi amici che nel giro di poco tempo erano diventati anche i miei. E c'era Leo. Il motivo per cui, forse anche inconsciamente, mi truccavo e mi mettevo i tacchi. Mi curavo talmente tanto che Amelie si insospettii -vedo che hai imparato bene a camminare sui tacchi...ci tieni proprio...- disse la mia amica dandomi un bacio sulla guancia

-eh sai...mi sento più francese!- scoppiai a ridere. Avevo appena detto un'enorme cavolata e non mi stupii che Amelie non credesse per niente a quel ridicolo "motivo".

-non dirmi cazzate..Amber c'è qualcosa sotto! Su..sputa il rospo!-

-ma va! Sul serio!- dissi io continuando a ridere.

Lei mi guardò negli occhi ed io non riuscii più a sostenere il suo sguardo indagatore -ok..ok.. ecco vedi.. c'è un ragazzo che mi piace...insomma voglio dire...mi colpisce...- balbettai io alzando le mani in segno di arresa.

-lo sapevo! Fino a qualche giorno fa volevi uscire in jeans e ciabatte! E chi sarebbe questo tuo principe?-

-ehm...- imbarazzata non ero certa di dire la verità. Ma in fondo era Amelie, lei è il mio tesoro e posso fidarmi. Questa è la mia più grande certezza!

-dai a me puoi dirlo! Sono Amelie magari posso aiutarti a conquistarlo!- mi sorrise lei facendomi l'occhiolino.

-ok.. ecco..è Leo!- ero rossa in viso quasi quanto il vestito che indossavo.

-Leo?!- scoppiò a ridere. Non capivo il perchè della sua incontrollata reazione e le chiesi -che c'è da ridere?-

-Leo?! L'italiano?-

-si lui..- abbassai gli occhi. Mi pentii in quel momento di essere stata sincera. Forse aveva la ragazza o forse chissà già mi odiava. Ormai ero abituata a fare brutti pensieri e a non essere positiva. Di nuovo Amelie scoppiò a ridere.

-Scusa non prendertela..è che Leo non l'ho mai visto con una ragazza...nè ho mai sentito che piacesse ad una ragazza! Ma beh..se ti piace..posso aiutarti magari vi posso far conoscere meglio!- disse Amelie sorridendomi.

Io non potei che ridere. Non capivo come nessuna non si fosse mai innamorata di un viso come quello di Leo. Un ragazzo con i capelli ricci castani, gli occhi marroni e la pelle scura. Inoltre era spiritoso e aveva molte cose in comune con me. Avevo scoperto per esempio che ad entrambi piacevano i Green Day. Così una delle tante sere ci siamo persi io e lui a parlare della loro musica, dei concerti a cui abbiamo partecipato e di quale fosse il nostro cd preferito. Parigi mi aveva portato anche l'amore.

Mentre mi parlavi di Te ho capito che non eri cosciente della meraviglia che sei. Poi ti ho baciata per farti sapere che io invece me ne ero accorto perfettamente.

cap9

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Capitolo 10
*** E siamo semplici bambini innamorati. ***


cap10

Iniziai a lavorare, finalmente. Ero stata assunta e mi stavo davvero impegnando. Mi stupivo di me stessa, forse mi ero davvero sottovalutata nel corso degli anni. Qualche mese prima infatti non avrei mai pensato di potercela fare. Non avrei mai pensato di prendere un aereo con l'intenzione di non tornare a casa. Non avrei mai preso decisioni "affettate" senza il consiglio di mia madre.

Le giornate si stavano allungando, era primavera ed era sempre più piacevole stare all'aperto. Ogni sera uscivo con i miei nuovi amici e passavo sempre più tempo con Leo. Sembrava quasi che tutti sapessero che mi piaceva quel ragazzo e facevano di tutto per farci stare soli. Chissà, magari anch'io gli piacevo. Passeggiammo sulle rive della Senna, al chiarore della luna. Era romanticissimo e avrei voluto essere baciata. -E' bellissima questa città..- dissi io sorridendo.

-sai Amber...mi sono trasferito a Parigi dieci anni fa, quando i miei genitori hanno divorziato e all inizio devo essere sincero... odiavo questo posto..- mi raccontò lui indicando la Tour Eiffel che da lontano si intravedeva. Io l'avevo sempre trovata una vera e propria opera d'arte: con tutte quelle luci di notte era meravigliosa. Mi sembrava una giostra, un albero di Natale.

Alle parole di Leo non riuscii replicare. Non capivo come potesse odiare Parigi, una capitale

europea piena di arte, vita, gioia. Abbassai lo sguardo, i nostri amici erano molto più avanti, non avrebbero sentito nulla della sua confessione. Lui continuò dicendo che odiava Parigi perchè credeva che dal momento che i suoi genitori si fossero separati, non avrebbe più potuto rivedere suo padre dato che si era trasferito con la madre in Francia. Era impaurito e triste perchè non poteva più vedere tutti i giorni i suoi compagni di classe, giocare a scacchi con suo nonno o andare al mare. Ma poi, con il tempo, si rese conto di essersi sbagliato". Ogni estate tornava in Italia, stava con il padre, frequentava i vecchi amici e passava molto tempo al mare e in campagna. E ogni volta che tornava da sua madre gli sembrava sempre che Parigi avesse qualcosa di nuovo. Aggiunse sorridendo che quella città lo stupiva ogni volta. E io ero completamente d'accordo. Era completamente diversa da Greensburg. La città dei miei sogni contro la città dei miei incubi. Ecco, questo erano per me. Bianco e nero, gioia e tristezza, sorriso e lacrime. Ma soprattutto vita e morte perchè in America io ero già morta, mentre a Parigi ero rinata. Ero una nuova Amber con la voglia di tornare ad essere se stessa e sorridere.

Ci guardammo intensamente negli occhi. -Hai detto delle cose bellissime Leo- dissi io sorridendo e prendendogli le mani -credo di non averlo mai raccontato a nessuno- mi sussurrò all'orecchio e mi sentii importante. Era una sensazione che non provavo da molto,molto tempo. Erano anni che una persona non si confidava con me e metteva il suo cuore nelle mie mani. Avevo conquistato la sua fiducia e per me valeva più dell'oro e di qualsiasi diamante.

-Leo! Amber! Venite su! E' tardissimo!- urlarono all'unisono i nostri amici.

Guardando l'orologio notai infatti che erano le due passate. Era abbastanza tardi e dovevo tornare a casa: il giorno dopo mi sarebbe aspettata una giornata di duro lavoro. Leo mi baciò sulla guancia e prendendoci per mano corremmo dai ragazzi. Quando le nostre mani si toccarono sentii una scossa scorrermi lungo tutto il corpo. E quel bacio, che non avrei mai dimenticato, mi fece sentire più leggera, sulle nuvole.

Tornate a casa, io e Amelie ci mettemmo sul divano a bere un the. -E' stata una bella serata...- disse lei facendomi l'occhiolino, poi continuò -ti ho vista parlare con Leo, vi ho visti tenervi per mano..-.

Scoppiai a ridere. -Amelie.. abbiamo solo parlato.. -

-Parlato? Si certo...-

-giuro! Solo chiaccherato!-

-Mah... secondo me gli piaci...-

-mmm... tu dici? Beh sarebbe bello- dissi ridendo.

Ci addormentammo poco dopo. Mi ero già innamorata? No, non puo' essere. Era tutto troppo perfetto.

Innamorarmi di te non faceva parte dei miei piani, ma giuro che è la cosa più bella che mi sia mai successa in tutta la mia vita.


cap10

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Capitolo 11
*** Si, ho fatto degli errori. Ma la vita non esce con le istruzioni. ***


Si,ho fatto degli errori. Ma la vita non esce con le istruzioni.

Venerdì era il mio giorno libero così insieme ad Amelie andai a fare shopping. -Devi rifarti il guardaroba! Non c'è spazio solo per jeans e t-shirt a Parigi!- disse Amelie ridendo. Passammo tutto il giorno tra negozi di abbigliamento, scarpe e accessori. Credo di essermi spesa tutto lo stipendio quel venerdì. Amelie era ormai una persona fondamentale per me. Una sorella, la mia migliore amica. La persona su cui facevo riferimento per ogni problema.

Quella sera eravamo troppo stanche per uscire di nuovo così ci guardammo un film sdraiate sul divano. Mentre lo guardavamo, pensai che erano passati già due mesi da quando avevo lasciato l'America. Due mesi che non vedevo più mia madre, non dormivo più nel letto di qualche uomo ubriaco, non mi nascondevo più in un bagno a piangere. Pensai a quanto tempo che non toccavo l'eroina. Ero fiera di me stessa. Era ormai più di un anno e al solo ricordo di ciò che facevo provai repulsione. Ma mi sentii anche in colpa perchè non avevo detto la verità ad Amelie. Lei si fidava totalmente di me. E io le avevo mentito. Ma alla fine non potevo fare altrimenti: avrei potuto rovinare tutto! Non volevo darle preoccupazioni. Dovevamo pensare solo a divertirci, dovevo pensare solo alla mia nuova vita. "Remember me" era il titolo del film. Già, "ricordami". Sembrava lo dicesse il mio passato. Quel passato che forse, anche volendo, non sarei mai riuscita a dimenticare. Sospirai pensando a quello che era successo e a quello che mi stava accadendo.

Mercoledì, dopo il lavoro tornata a casa per il pranzo trovai Amelie seduta sul divano. 

-Ehi ciao! Tutto bene?- urlai io posando la borsa sul tavolo della cucina.

Amelie si alzò e mi guardò con le lacrime agli occhi. Non capivo ma sentivo che era successo qualcosa. Qualcosa di brutto.

-Amelie! Che succede?!- corsi per abbracciarla ma mi respinse e indicò sul tavolo una busta. C'era un foglietto scritto a mano ed una bustina. Era droga, o almeno sembrava e appiccicato ad essa c'era un post-it che diceva "Non mi scappi facilmente. Tuo, Dylan". A quelle parole sentii un brivido lungo la schiena e iniziai a tremare. Avrei voluto piangere ma era già tanto se riuscivo a respirare.

-Perchè non me l'hai detto?- disse lei seria.

-avevo paura- sospirai abbassando lo sguardo.

Avrei voluto sotterrarmi, scappare, gridare. Sentivo qualcosa lacerarmi il cuore e lo stomaco. Una voragine che inghiottiva tutta la felicità accumulata nell'ultimo periodo si stava aprendo dentro di me.

-quindi sei andata via per questo...ti drogavi- disse Amelie con la faccia schifata e delusa.

-Amelie io sono cambiata!-. Scoppiai a piangere.

-non me l'aspettavo Amber...non credevo.. non da te- lessi la tristezza nel suo volto, nei suoi occhi azzurri che mi facevano paura da quanto erano seri. Era una cosa orribile.

-Amelie ti prego... cerca di capirmi...-

-capirti?! Avresti dovuto dirmelo! Io ti voglio bene, io mi fidavo di te- mi urlò lei avvicinandosi.

Abbassando gli occhi dissi -Amelie... tutti fanno errori ma pensaci... in fondo la vita non arriva con le istruzioni... e io so di aver sbagliato, so di essere stata una stupida, so di essermi rovinata con quella roba. Ma te lo posso giurare: io non ho più niente a che fare con quello schifo- risposi indicando la bustina.

Lei sembrò calmarsi. Presi il foglietto e la bustina e li buttai in borsa.

-Tutto questo fa parte del mio passato, basta- dissi con fermezza. Lei sospirò dandomi l'impressione di essere ancora dubbiosa su ciò che affermavo e questo mi distrusse. Mi ero rovinata da sola: avevo la felicità a portata di mano, amici, una casa bellissima, una nuova famiglia, un lavoro, Leo. La paura di perdere tutto ciò era tanta e dovevo fare di tutto per risolvere.

-Perdonami Amelie, dovevo dirtelo subito, non volevo lo scoprissi così, ma come sai non sono mai stata una campionessa nell'avere coraggio...- andai per abbracciarla e questa volta non si oppose. Mi sentii sollevata a confessarle quel brutto segreto. Quel brutto pezzo di vita. Dovevo capire però come Dylan avesse fatto a trovare il mio indirizzo, a trovare me.

Ho pianto e urlato, ho perso gli occhi e il fiato.

cap11



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Capitolo 12
*** Un giorno tutti i miei sogni diventeranno realtà. ***


Un giorno i miei sogni diventeranno realtà

Mi sembrava tutto così fottutamente assurdo. Il biglietto, la bustina, la confessione fatta a Amelie, Dylan che mi aveva trovata e Parigi che poteva non essere più un posto sicuro.

Quella notte non riuscii a dormire, tanto che verso mezzanotte scesi le scale e andai in cucina per prepararmi un the caldo. Per quanto volessi farlo, non riuscii a piangere. Le lacrime mi avevano aiutata spesso. Sentirle rigare il mio volto nei momenti tristi mi dava conforto. Era una cosa che tutti consideravano stupida, cupa, oscura addirittura, ma per me no: le lacrime mi "facevano compagnia" . D'altronde, tutte le volte che piangevo, fino a qualche tempo fa, nessuno si preoccupava di consolarmi. E così consideravo le mie lacrime delle "amiche" che cercavano di farmi coraggio.

Mi sedetti su una poltrona vicino alla finestra: mi soffermai ad osservare il cielo e le sue stelle brillare pensando se qualcuno, a Greensburg, stesse facendo la stessa cosa. "Stupida" mi dissi pensando al fuso orario. Ma chissà, e magari si stava chiedendo dove fossi, cosa facessi, perchè avessi deciso di andarmene. Il cielo è sempre bellissimo, con la pioggia, con il sole, di notte, di giorno. Non come le persone, esse cambiano spesso e delle volte sono meravigliose e delle altre diventano dei mostri. Io ne sono l'esempio: ero una ragazza felice, una "principessa" osava dire Dylan, poi diventai una "strega", uno "schifo", un "rifiuto della società". Ma poi ero tornata ad essere una "principessa", con tutti i suoi sorrisi e la sua voglia di vivere. Forse con qualche cicatrice in più ma comunque una "principessa".

Sentii dei passi avvicinarsi a me: era Amelie.

-Hei, non riesci a dormire?- mi sussurrò lei prendendo una sedia e mettendosi accanto a me.

Io abbassai la testa -No... non ci riesco... è tutto così schifoso... mi dispiace ancora... sono una persona orribile... ho... ho tradito la tua fiducia...- balbettai io guardandola negli occhi.

Il suo sguardo si era fatto dolce, amorevole, tenero come sempre. Era davvero la migliore amica che qualsiasi ragazza poteva desiderare. Mi aveva già perdonata ed io non meritavo tutto quel bene.

-Amber... lascia stare... devi dimenticarti di oggi... ora so la verità... quel Dylan lascialo nel tuo passato... non mi interessa sapere come ha trovato il nostro indirizzo... io ti proteggerò... non ti voglio perdere... ora è meglio dormire... tutto si risolverà... ci sono qui io- mi abbracciò e io in quel momento mi commossi.

Ma Dylan non l'avrebbe passata liscia. Non potevo sopportare l'idea che il mio passato avesse vinto di nuovo. Dovevo risolvere quella situazione con o senza Amelie. 

Chiusi gli occhi e, almeno per qualche ora, riuscii a rifurgiarmi in un mondo tutto mio. In un mondo in cui ero me stessa e potevo fare finalmente ciò che volevo.

Il lavoro il giorno dopo fu un vero disastro: mi cadde un piatto, sbagliai più volte le ordinazioni e litigai con due miei colleghi.

-Amber, tutto ok? Non mi sembri molto in forma oggi...- disse Coraline

-Mi scusi... non so cosa mi stia succedendo... mi perdoni... - le pregai io. Avevo un forte mal di testa e continuavo a pensare al "regalino" di Dylan.

-Amber ascolta... sei sempre stata un'ottima dipendente... forse è meglio che ti prendi mezza giornata libera... non posso permettermi di perdere tempo... oggi ci sono molti clienti- sospirò infastidita e questo mi fece sentire a disagio.

-grazie mille! Mi scusi ancora- dissi io allontanandomi e rossa in viso.

Tornata dal lavoro trovai a casa Amelie che studiava con Leo e Julie, una loro compagna di classe. Appena i miei occhi incrociarono quelli di Leo sentii una scossa lungo tutta la schiena e il mio cuore iniziò a battere più velocemente. Avevo addirittura paura di arrossire nuovamente.

-Ciao ragazzi!- urlai posando la borsa sul tavolo della cucina.

-Amber! Come mai sei tornata così presto?!- mi chiese Amelie

-E' una storia lunga... beh... vedo che state studiando... vi lascio soli... io vado di sopra!- corsi su per le scale e dopo pochi minuti mi addormentai. Ero davvero stanchissima, sotto stress, dentro di me c'era una tempesta. Un fulmine a ciel sereno.

Quando mi svegliai erano le 21:00 passate e Amelie era accanto a me a controllare Facebook.

Mi guardò e mi sorrise. -Tu non meriti tutto questo- disse avvicinandosi a me e prendendomi fra le sue braccia. Mi sentii davvero protetta in quel momento, un senso di calore e affetto che solo una vera amica sapeva dare.

-Non credo sia proprio così...-

-Amber troveremo una soluzione...- mi sussurrò.

I genitori di Amelie erano fuori per cena così io e lei ordinammo delle pizze e ci guardammo un film horror. Quella sera pioveva, faceva pure freddo e a nessuna delle due andava di uscire.

Ad un tratto sentimmo il campanello suonare. -Chi diavolo è a quest'ora?!-

-Non ne ho idea... forse sono i miei... si saranno dimenticati le chiavi a casa!- disse Amelie dirigendosi alla porta. La ragazza aprì la porta senza nemmeno controllare chi avesse suonato pensando fosse sua madre. Ma così non fu. Di fronte a lei c'era un ragazzo più o meno della sua stessa età, alto, con un cappotto beige e muscoloso. Non riusciva bene a cogliere i dettagli del viso per colpa del brutto tempo ma capì subito che non poteva essere nè Leo nè uno dei suoi conoscenti: l'accento americano era davvero troppo forte.

-Amber!- urlò Amelie impaurita. Di fronte a lei c'era Dylan il quale non disse nulla finchè non mi vide alla porta. -Dylan...- dissi io lentamente. Non potevo credere ai miei occhi. Mille pensieri mi passarono per la mente. Non sapevo ben definire cosa provavo. Rabbia, sorpresa, cattiveria, dolore? Notai i suoi capelli biondi bagnati attaccati alla fronte, il suo viso il quale conoscevo a memoria i particolari e il suo cappotto che io stessa gli comprai per il suo diciottesimo compleanno. Lo vidi piangere e Amelie rimase ammutolita nel notare che anche a me iniziarono a scendere delle lacrime.

Ci fu un lungo silenzio tra noi due, si sentiva solo la pioggia sbattere contro la tettoia e i nostri cuori battere fortissimo. Lui mi abbracciò ed io rimasi sorpresa del fatto che non volevo ribellarmi. Sentii solo delle domande nascere in me. Perchè, dopo quello che mi aveva fatto, era tornato? Mi aveva appena minacciata, impaurita, stressata e quella sera davvero mi stava abbracciando? Che cosa significava tutto ciò?

Mi staccai da quell abbraccio a cui non riuscivo a dare un vero significato. -Che fai?!- chiesi io turbata: ero proprio curiosa di sapere come mi aveva trovata e il motivo del suo comportamento così lo feci entrare. Sapevo di potermi pentire di dargli fiducia ma davvero avevo bisogno di spiegazioni.

-Amber... mi manchi... ti prego... perdonami... ho preso il primo aereo appena ho scoperto dov'eri e sono corso qui perchè ti rivoglio... ho capito quanto vali per me-

-Stai scherzando?!-

Amelie mi stava accanto e mi sentii più forte e coraggiosa. Non avevo affatto paura in quel momento di dire e fare ciò che mi sentivo.

-So che ho sbagliato e che ti ho fatto soffrire molto... ma sono cambiato-

Io guardai la mia amica, lei andò di sopra ed io passai la notte a parlare con il mio passato.


Ho visto i miei sogni finire, gli incubi diventar veri.
—  Noyz Narcos.

cap12

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Capitolo 13
*** Eri tutto ciò che credevo di conoscere. ***


cap13

-Credo proprio di meritare delle spiegazioni- dissi io in tono duro

-Hai ragione... e sono venuto qui per dartele e perchè ho capito di aver commesso molti, troppi errori- Dylan mi prese la mano ma io la allontanai subito. Il contatto fisico non era mai stato per me una cosa facile, tanto meno quando si parlava di Dylan. Lui, notata quella mia reazione, abbassò gli occhi e continuò – Parto col fatto che si, sono stato io a scriverti quel bigliettino e a mandarti quella bustina. Volevo sapere se mi avresti cercato. Ero convinto l'avessi fatto ma così non è stato e allora sono venuto qui-

-Ma come facevi a sapere il mio indirizzo?-

Lui fece un mezzo sorriso e ciò mi fece provare una grande rabbia. Che diavolo c'era da ridere in quel momento? E' sempre stato un grande stronzo Dylan, anche nei momenti più delicati.

-Amici... lo dovresti sapere Amber, che io sono popolare...-

Alzai gli occhi al cielo -Cosa intendi?-

-Credo tu sia venuta a conoscenza di un ragazzo qui in Francia... il nome Leo ti dice niente?!-

Strabuzzai gli occhi e rimasi a bocca aperta. Leo?! Cosa centrava Leo in quella storia?!

-Leo?! -

-Immagino che la tua risposta sia un si... già è un mio caro amico... ho passato diverse estati in compagnia sua in Italia-

Io non sapevo che dire.

-Ma come facevi a sapere che Leo mi avesse conosciuta?-

-Beh... semplice... Facebook! Avete molte foto insieme ho notato...- disse quasi ridendo. Odiavo da morire quando faceva così. Io avrei voluto sotterrarmi, piangere, urlare mentre lui se la rideva tranquillo.

-Non ti credevo così meschino...Cosa gli hai detto di me?-

-Il necessario... tranquilla... il tuo passato non tornerà a galla- disse lui strizzando l'occhiolino

-Il necessario?! Del tipo?-

-Il perchè ti cercavo per esempio... gli ho raccontato della nostra storia e che sei andata via senza nemmeno avvertire tua madre-

Io abbassai lo sguardo e pensai a tutte le cose che mi aveva raccontato Leo. Per lui ero ormai una buona amica, si era confidato con me e io con gli avevo raccontato nemmeno il motivo principale per cui ero partita per la Francia. Forse Dylan mentiva, gli aveva già raccontato tutto e io avrei perso per sempre una persona fantastica.

-Perchè Leo non me l'ha detto? E perchè ti fai vivo solo adesso? Ci voleva un continente diverso per farti capire che non ero più la stessa Amber?-

-Non te l'ha detto perchè gliel ho chiesto io. Volevo farti una "sorpresa". In realtà non mi ero messo veramente alla tua ricerca... semplicemente un giorno, cazzeggiando su Fb, tra le foto di Leo era comparsa la tua faccia e lì mi sono reso conto che eri cambiata... ti sei dimostrata coraggiosa... forte...-

Mi scappò un piccolo sorriso e non capii perchè. Dylan mi faceva sempre un certo effetto: provavo sempre delle emozioni in sua presenza. Che siano belle o brutte, erano pur sempre emozioni.

-Dylan...- riuscii solamente a sussurrare io.

-Non ti chiedo subito di tornare come prima, perdonarmi e dimenticare ciò che ti ho fatto passare... ma dammi una possibilità... del tempo... sappiamo entrambi quanto felici eravamo qualche anno fa-

sembrava sincero. I suoi occhi brillavano quella notte ed io mi resi conto che ero davvero felice che fosse lì con me.

-Adesso io devo andare... ho promesso a Leo che sarei tornato non più tardi delle due...sono a casa sua e ci resterò per altri due giorni... poi tornerò a Greensburg e spero in tua compagnia- mi stampò un bacio sulla guancia.

-Io non posso...- gli sussurrai.

Lui corse alla porta e mi disse -Ti farò cambiare idea...-

Sentite quelle parole, mi scappò un sorriso e sperai davvero che prima o poi gli avrei dato ragione.


“So che potremmo andare ognuno per la propria strada e ce la caveremmo bene, ma ho visto cosa potremmo essere insieme e io scelgo noi.”
— The Family Man

cap13

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Capitolo 14
*** Dipendente da sentimenti e ricordi. ***


cap14

Il giorno dopo raccontai tutto a Amelie.

-Non ci posso credere- disse lei corrugando la fronte

-Nemmeno io...-

-Beh... l'hai spedito fuori casa con la chiara decisione di non vederlo mai più, no?-

Ci fu un silenzio di tomba. Probabilmente si, avrei dovuto far così. Avrei dovuto mandarlo via, nemmeno ascoltarlo. Non avrei dovuto nemmeno farlo entrare ma mandarlo direttamente a fanculo. In fondo era ciò che si meritava e giustamente Amelie avessi pensato avessi agito così. Ma non fu così. E non sapevo come spiegarlo alla mia amica, avevo paura di deluderla. Nuovamente.

Dal mio silenzio e dal mio sguardo, lei capì che si sbagliava.

-Perchè Amber?-

-Non lo so...-

-Non ti ricordi cosa ti ha fatto per caso?! E' anche colpa sua se hai vissuto anni d'inferno! Perchè diavolo ti comporti così?!- mi urlò decisamente arrabbiata.

-Amelie... credo di essere ancora innamorata di lui...anzi... credo di non aver mai smesso di provare dei sentimenti per Dylan-

Lei sgranò gli occhi. L'avevo davvero delusa quella volta.

-Io non ti capisco...- sbuffò nervosa.

-Ti giuro... mi odio per questo... ma non posso farci nulla. Rivederlo, dopo tutto questo tempo mi ha fatto capire molte cose e forse dice la verità: forse lui è cambiato-

Lei fece una smorfia di delusione e mi si spezzò il cuore. La mia migliore amica mi disprezzava. Si preoccupava per me, sapevo che era arrabbiata per quello. Aveva fatto di tutto per farmi tornare il sorriso e aveva paura che Dylan mi facesse tornare depressa come molto tempo fa.

-Rimarrà qui tre giorni... non credo siano sufficienti per capire se veramente cambierò idea su di lui ma stai tranquilla... so quello che faccio... -

-Io ti voglio bene... non ti voglio perdere. Voglio fidarmi di te, ti prego non farmene pentire- disse abbracciandomi

Io le sorrisi e mi commossi. Amelie era davvero la migliore amica perfetta. Anche quella volta, avrei avuto il suo appoggio.

-Devo andare a scuola Amber, ci sentiamo più tardi. Ti ripeto, io ci sarò sempre e su di me puoi contare- mi accarezzò la guancia e io mi sentii davvero forte. Con lei al mio fianco, anche quella volta ce l'avrei fatta.

Fortunatamente quel giorno non dovetti andare al lavoro e, tramite Leo, riuscii a contattare Dylan e vederci per parlare. Dovevo essere convinta di ciò che provavo.

"Ci vediamo al Paris Pop Cafè alle 16:00. Amber" La sua risposta arrivò poco dopo accettando l'invinto e proponendomi per altro di darmi un passeggio. Io rifiutai, non volevo dargli subito tutta quella confidenza. In fondo era passato solo un giorno e se comunque non eravamo degli sconosciuti, di certo il nostro rapporto era fragile e diverso.

Quando arrivai al locale, trovai Dylan seduto ad un tavolino. "Bellissimo", fu la prima cosa che pensai. I suoi capelli biondi, tagliati sempre allo stesso modo, la camicia bianca che ero certa di avergli regalato io. "Furbo, sa quanto amo quando se la mette". Chissà se gli stessi brividi che sentii da lontano osservandolo, si sarebbero trasformati in piacevoli sensazioni anche chiacccherandoci.

Mi avvicinai a lui che subito mi sorrise e mi lanciò uno sguardo intenso.

Ricordai perfettamente ogni volta che mi guardava così. Quando eravamo fidanzati, ogni volta che doveva dirmi qualcosa di importante o aveva una sorpresa speciale era proprio così. Non mi stupii d'altronde, che si comportò nello stesso modo anche quel giorno.

-Ciao- lo salutai timidamente e palesemente agitata

-Ciao Amber... come stai?- disse cercando di toccarmi le mani ma io le avvicinai a me. Lui sospirò capendo che doveva andarci più piano. Era consapevole che non sarebbe stato facile.

-Dylan... ti prego risparmiami queste sciocchezze... sappiamo entrambi come sto... -

Lui socchiuse gli occhi e arrossì. -Scusa... sono stato uno stupido in tutto questo tempo-

Nel frattempo una cameriera, dopo aver ordinato, ci portò due caffè.

Io annuii -beh, perlomeno l'hai capito... -

-Perdonami... in tutto questo tempo senza di te, a Greensburg ho cercato di autoconvincermi di essere contento di essermi liberato di te ma... -

-Ma?!-

-Ma non fu così... quando trovai quelle foto su Facebook mi resi conto davvero che l'unica ragazza che possa amare sei tu... l'unica ragazza fatta per me è proprio di fronte a me...-

Io rimasi in silenzio, non sapevo che dire ma dentro di me quelle parole mi fecero bene. Ero stranamente felice di sentirmi dire che Dylan provava dei sentimenti per me.

-Amber, mi sono comportato da coglione per troppo tempo ma facevo così perchè mi sentivo trascurato, tradito e preso in giro. Volevo che tu provassi le stesse cose che provavo io quando ci eravamo lasciati-

-Dylan io posso capire che ti sentivi male, che ti faceva rabbia chi ero diventata. Ma sapevi che mi ero disintossicata, perchè avevi continuato a farmi del male? Se mi amavi davvero, perchè mi avevi abbandonata?!-

-Perchè credevo non avessi più bisogno di me. Credevo di non essere abbastanza-

-Di non essere abbastanza?! Tu sei anche troppo per me!- gli urlai

-Cosa?!- disse abbozzando un sorriso sorpreso

-Si Dylan, ricordi tutti i nostri bei momenti insieme? Io li ho amati uno per uno. E se vuoi la verità non ho mai smesso di amarli-

Lui per attimo socchiuse gli occhi, gli scese una lacrima.

-Nemmeno io, volevo dimostrarmi forte, figo, non volevo che la gente credesse provassi dolore. Ma in tutto questo tempo non ho che pensato a te e a quanto vorrei rivivere la nostra storia-

Il mio cuore iniziò a battere fortissimo e le mie mani a tremare. Ci guardammo intensamente per un tempo che non seppi definire e poi ci baciammo. La parte più bella del mio passato tornò a galla. L'amore più bello della mia vita era tornato. I ricordi e le emozioni mi travolsero di nuovo.

Aveva il potere di trasformare il mio sorriso in lacrime, e le mie lacrime in sorriso.

cap14

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Capitolo 15
*** Non mi dimenticherò di noi. ***


cap15

Per un attimo credetti di sognare. L'avevo davvero baciato?! Perchè?! La cosa che più mi diede fastidio fu il fatto di provare piacere. Sentii una bellissima sensazione sfiorandogli le labbra e toccandogli il viso.

Ma per quanto fosse tutto così fantastico, dovevo essere razionale. Ero partita per la Francia con uno scopo preciso: cambiare vita. Ma quel bacio aveva rovinato tutto.

-Dylan... ti prego... non fare così- dissi allontanandomi

-così...come? Non puoi negare di essere attratta da me Amber...- fece Dylan abbozzando un sorriso e accarezzandomi la guancia

-Non dico di non volerti, ma c'è un motivo se sono andata via da Greensburg-

-Amber ascolta: la gente commette errori tutti i giorni. Io lo ammetto: ho sbagliato e mi pento di tutto il male che ti ho fatto. E così anche Jennifer, tua madre e tutti i nostri amici...-

Quando sentii nominare "mia madre" provai un senso di nervoso. Lei sapeva quindi che Dylan mi aveva trovata, sapeva che ero in Francia e non aveva fatto niente.

-pentirsi non basta. Dylan la vita va avanti, qui sono felice. Non posso abbandonare tutto. Amelie mi vuole bene, ho una nuova famiglia. Non ti sei chiesto perchè mia madre non sia venuta con te?-

A quella mia domanda detta in tono duro, Dylan socchiuse gli occhi e notai in lui qualcosa di misterioso. Come se mi fossi persa un pezzo della storia.

-Dylan... che c'è? Mi nascondi qualcosa?-

-Amber... non sapevo come dirtelo... speravo di spiegartelo quando fossimo già in America...-

-spiegarmi cosa?!- dissi quasi urlando. C'era tensione nell'aria, sentii il mio stomaco chiudersi.

-Amber tua madre è malata... dopo che sei andata via ha provato in tutti i modi a cercarti ma non ti ha trovata, ha iniziato a bere e un giorno...-

Io sgranai gli occhi incredula alle parole di Dylan.

-ha fatto un grave incidente ed ora è in ospedale...- mi guardò triste e in quel momento capii davvero che era sincero. Conoscevo bene certi sguardi e i suoi occhi non potevano mai tradirmi.

Mi sembrava tutto un incubo. Mia madre era all'ospedale. La decisione che presi fu praticamente immediata.

-Partiamo- dissi in tono sicuro

Lui mi sorrise e mi prese la mano.

-Questo non significa che lascerò per sempre la Francia, semplicemente so che mia madre ha bisogno di me e non la posso abbandonare-

Lui annuì probabilmente soddisfatto di aver raggiunto il suo scopo. Anche questa volta aveva vinto lui. Aveva vinto il mio passato. Ma sapevo di essere forte e nemmeno tornare a Greensburg mi avrebbe abbattuta di nuovo. Ero cresciuta e sicura di me stessa.

L'unico ostacolo però era Amelie. L'avrei delusa di nuovo, ne ero certa. Ma credeva in me, si fidava ed ero certa che nei miei panni, si sarebbe comportata allo stesso modo.

Salutai Dylan con un abbraccio anche se lui cercò di baciarmi. Non potevo rischiare di cascarci di nuovo.

Quando tornai a casa trovai la mia amica seduta sul divano a leggere un libro.

-Amber! Dove sei stata? Ti ho scritto poco fa se ti andava un sushi!-

Io mi sedetti accanto a lei -Amelie... ti devo parlare. Sono stata con Dylan questo pomeriggio e...-

-E?- fece lei corrugando la fronte

-Abbiamo parlato a lungo... mi ha raccontato una cosa molto importante che mi ha fatto riflettere e prendere una decisione-

lei incuriosita e preoccupata mi esortò a continuare

-Ecco vedi... ho deciso di partire. Mia madre è malata, è all ospedale. Ha fatto un incidente perchè guidava da ubriaca. Sai, in tutto il periodo della mia essenza mi ha cercata a lungo ed era disperata... così aveva iniziato a bere-

-Amber... voglio venire con te-

-no... è meglio di no... non ha senso... non meriti di sprecare energie per quell'inferno... ti sto facendo soffrire già abbastanza... me la caverò... non sarà per sempre-

-Insisto! Hai bisogno di un appoggio, di una sicurezza-

-C'è Dylan...-

-Pff.. Dylan...- sbuffò lei

io sorrisi -Amelie non fare così... se qualcosa va male io tornerò subito... non è la prima volta, in fondo, che scappo da Greensburg, no?!-

-Credo in te, se è così che vuoi non posso che darti il mio supporto- disse prendendomi le mani

-Grazie, ti voglio bene Amelie-

-sii prudente, promettimelo- disse e le scese una lacrima.

Vedere quella lacrima rigarle la guancia mi fece crollare. Per colpa mia era di nuovo triste. Aveva una vita perfetta prima che arrivassi a Parigi e io gliel'avevo stravolta.

Quella sera, dopo cena, con l'aiuto di Amelie, spiegai a Jean e Jasmine che sarei tornata in America. E dopo averlo detto ai genitori della mia amica, fu il turno dei miei amici. E di Leo.

Ovviamente lui già sapeva della mia decisione tramite Dylan ma ci tenevo che lo sapesse direttamente da me.

-Non so se ringraziarti o essere arrabbiata con te Leo... ciò che hai fatto ha portato dei grandi cambiamenti in me-

-Lo so ma... Dylan è un mio grande amico e mi fido di lui. Molte volte mi ha aiutato e dovevo restituirgli il favore. E poi sono del parere che tutti meritino una seconda chance-

-Forse hai ragione... solo il tempo svelerà la verità!-

-Già... però c'è una parte di me che odia il fatto che Dylan ti abbia trovata-

-che intendi?- chiesi turbata.

-Amber... io ci tengo davvero molto a te e... beh ecco non è facile da dire ma... mi mancherai moltissimo quando sarai in America... mi sono affezzionato e sto provando una strana sensazione... come un senso di gelosia verso Dylan...-

A quelle parole mi emozionai -Leo per me è la stessa cosa... io ti voglio bene e non devi essere geloso di lui-

Ci abbracciammo e mi scappò una lacrima di commozzione e di malinconia pensando a tutti i momenti belli trascorsi con lui e i nostri amici.

-Io non ti dimenticherò mai Leo, ogni momento nostro, ogni parola tua, ogni tuo gesto è impresso nel mio cuore e non ci sarà Stato, continente, persona che ci potrà dividere-

-Io ti amo, Amber- disse tra le lacrime e in quel momento pensai a quanto stupida ero a credere di essere ancora innamorata di Dylan.

A volte la vita, semplicemente non è come vogliamo, non è quello che abbiamo sempre sognato, non è la nostra.
Succede anche che cerchi di cambiarla, ti sforzi, fai di tutto ma niente.
E allora non ti resta che tirare un sospiro,
la vita è incontrollabile è così e basta.

cap15

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Capitolo 16
*** E questa la chiami vita? ***


cap16

Partimmo il pomeriggio dopo.

-Avevi già pronti i biglietti?!- chiesi a Dylan turbata

-Certo... ti conosco... sapevo saresti venuta con me- disse abbozzando un sorriso

Odiavo quel suo sentirsi così sicuro di sè. -Non ti smentisci mai...-

Stavamo aspettando l'aereo e calò un lungo silenzio tra noi. Pensai a cosa lasciavo partendo: un'amica speciale, un ragazzo bellissimo, una famiglia e un lavoro. Già, un lavoro sicuro e che mi rendeva indipendente. Per fortuna spiegai l'accaduto a Corinne, la quale gentilissima, mi diede cinque giorni di ferie per stare accanto a mia madre. Avevo solo cinque giorni e sapevo che mi sarebbero bastati. Sapevo che tornare a Greensburg mi avrebbe fatto invidiare la Francia e probabilmente la notte mi sarei pentita di essere partita ma dovevo farlo. Era mia madre e che mi fosse piaciuto o no, ero sua figlia e nonostante tutto meritava il mio supporto.

-Comunque ti ammiro...- disse Dylan avvicinandosi

io annuii ringraziandolo. Dylan mi ammirava perchè ero riusciuta a tirare fuori la mia grinta. Quella grinta e quel carattere che lo avevano conquistato.

Calò di nuovo un silenzio imbarazzante fermato solo dall'avviso che dovevamo metterci in fila per imbarcarci. Finalmente, dopo più di un'ora di attesa, partimmo. L'aereo mi faceva sempre un po' di paura ma Dylan ne era davvero terrorizzato.

-Stringimi la mano- mi chiese. Non l'avevo mai visto così preoccupato.

Io scoppiai a ridere. Era sempre stato un ragazzo coraggioso e vederlo così lo rendeva proprio buffo. Decisi comunque di tenergli la mano e sentii un brivido lungo la schiena.

Dopo essermi rilassato, iniziammo a chiaccherare per combattere la noia. Mi raccontò cosa "mi ero persa" durante la mia assenza in America. Mi parlò di Jennifer, la quale come Dylan, era cambiata e si era resa conto che ero davvero tornata sana ed ero rinata.

-Voglio vederla, quando atterriamo- dissi seria, non volevo mostrare la mia ansia

-Immaginavo... verrà lei a prenderci al nostro arrivo-

-Bene...- sussurrai e notai che Dylan iniziò a ridere

-Che c'è da ridere,Dylan?!-

-Pensavo al fatto che ho vinto-

-Vinto?! Che intendi?- mi innervosii di nuovo osservando la sua sicurezza e la sua risata

-Ti avevo detto che ti avrei portata con me entro tre giorni... e così è stato-

E' vero, aveva davvero vinto e non potevo farci niente. Mi limitai a lanciargli uno sguardo duro e decisi di mettermi a dormire. Ero stanca ma soprattutto non volevo più parlare con Dylan. Ero sempre stata orgogliosa e "perdere" contro quell'arrogante del mio ex, mi aveva fatto davvero venire rabbia. Mi addormentai pensando al "Ti amo" di Leo e alle sue lacrime. Non avevo mai provato un'emozione così intensa: la prima cosa che avrei fatto appena tornata a Parigi sarebbe stata di certo baciarlo. Lo desideravo più di prima, lo sentivo così vicino anche se a distanza di chilometri e chilometri. "Ti amo anch'io, bell'italiano" pensai e poi i miei occhi si chiusero per poi riaprirsi dopo due ore.

Mi svegliai e sentii la mia pancia brontolare. Mangiai uno snack e bevvi un'intera bottiglietta d'acqua. Dylan stava guardando un film e, prendendogli una cuffia, mi misi a guardarlo anch'io.

Dopo ore e ore di aereo che sembravano interminabili, finalmente (o purtroppo? ) arrivammo a destinazione. Come già detto, Jennifer ci aspettava e appena la vidi sentii un tuffo al cuore. Incrociai il suo sguardo e sorrisi. Nella mia mente passarono tutti gli anni di amicizia, tutti i bellissimi ricordi che avevo con lei e tutte le dimostrazioni d'affetto che condividevamo. Anche lei sorrise, non ero sicura se a me o a Dylan (o a entrambi). Pensai che il suo sorriso era quello di sempre, bellissimo, un po' timido ma sincero. I suoi piccoli occhi azzurri risplendevano e desiderai fortemente un suo abbraccio.

-Ciao- disse prendendo la borsa di Dylan e tentando di prendere anche la mia ma io feci finta di nulla. Non volevo darle subito tutta quella confidenza. Non eravamo certo due sconosciute, ma qualcosa era comunque cambiato, non si poteva nascondere o fingere.

-Ciao- salutammo io e Dylan, il quale stampò anche un bacio sulla guancia della mia vecchia amica.

Rimasi un po' scioccata da quel bacio, il loro rapporto, seppur di amicizia, non era mai stato così "affettuoso".

-Vogliamo andare? Ho una fame da lupi!- disse Dylan

Ci dirigemmo al parcheggio e durante tutto il viaggio in macchina dall'aeroporto al primo Mc'Donald, solo Dylan e Jennifer si misero a chiaccherare. Io non sapevo che dire, erano argomenti che mi ero persa: nuove persone in città, avvenimenti, litigi e un possibile nuovo fidanzato per Jennifer. Tutte cose avvenute in mia assenza e perciò non potevo saperle.

Dopo aver mangiato al Mc, Dylan mi diede le chiavi di casa mia.

-Perchè ce le avevi tu?-

-Tua madre me le ha date affinchè potessi rilassarti un po' prima di raggiungerla in ospedale-

"Si fidava proprio di lui", pensai. Ottenere la fiducia di mia madre è raro e rendermi conto che Dylan c'era riuscito, mi sorprese.

-Grazie- dissi timidamente

Arrivata a casa, mi buttai sul mio vecchio letto. Tutto era rimasto com'era: mobili, tappezzeria, odore, solo molta più polvere e disordine. Il mio letto era perfetto a differenza di quella di mia madre. Bottiglie di alcool circondavano letto e divano e ciò mi rese molto triste. La immaginai seduta a bere e sentii un vuoto nello stomaco tremendo.

Mi addormentai poco dopo con le lacrime agli occhi.

Dylan mi passò a prendere verso le 19.00 ed ero molto agitata. Arrivati a destinazione, corsi per le scale di quell'orribile ospedale tenendo per mano il mio ex ragazzo. Avevo paura di vederla.

-Vieni, sta qua- mi disse Dylan attraversando un lungo corridoio e girando verso una stanza

Il mio cuore batteva fortissimo, non sapevo bene cosa aspettarmi, un suo sorriso o magari dormiva. O non poteva fare nulla perchè stava troppo male, o lacrime di gioia e pentimento.

Ma tutte le mie aspettative andarono al diavolo quando notai che il letto era vuoto.


continua a farmi male tanto io ormai mi sono abituato a sanguinare

cap16

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Capitolo 17
*** Fino a che rimani sarai tu il migliore dei miei mali. ***


cap17

Rimasi a bocca aperta e cercai lo sguardo di Dylan. Era scombussolato e confuso quanto me. Dov'era finita mia madre? Non c'erano vestiti, una valigia, un segno che lei fosse la proprietaria di quel letto. Di fronte a me c'era solo un materasso bianco e un comodino con una lampada. Era tutto così surreale e triste.

-Dove diavolo è finita?!- dissi a Dylan pur sapendo che anche lui si stava ponendo la mia stessa domanda

-E' proprio alle tue spalle- disse una voce che mi sembrava piuttosto familiare. Era lei, si, era mia madre.

-Mamma!- le urlai abbracciandola. Notai delle lacrime rigarle il volto e non sapevo se giudicarle di gioia, di pentimento o di malinconia. Sentii il suo corpo contro il mio, ancora debole a causa dell'incidente.

-Mi hanno appena dato l'ok per tornare a casa... ora sto bene Amber! Mi sei mancata tantissimo! Scusa amore mio, so che ho sbagliato ma...-

-Shhh, non ti preoccupare. La gente commette sbagli, siamo umani ed io ti perdono-

Rimanemmo a lungo abbracciate e parlammo di vari argomenti. Non andò tutto secondo i miei piani: non dovevo farmi travolgere così tanto dalla situazione. Dovevo avere il controllo sulle mie emozioni ma, vedere il sorriso di mia madre su un corpo così cambiato e sofferente fu per me un'immagine unica. Soffriva per me, mi amava.

Le raccontai della Francia, del mio lavoro, di Leo, di Amelie. Non riuscii a trattenermi, non volevo avere segreti sapevo che non mi avrebbe fermata, sapeva che non mi sarei comunque trattenuta più del dovuto a Greensburg.

-Lo so che non rimarrai a lungo ma ti prego, promettimi che tornerai- mi disse prendendo il mio viso fra le sue mani

-Finchè vivremo, sarai sempre nel mio cuore, sei pur sempre la mia mamma- dissi con un sorriso.

Passarono, senza nemmeno accorgercene, tre ore.

-Andiamo a casa dai- mi propose mia madre

Io accettai e insieme a Dylan, ci dirigemmo a casa per la cena.

Passammo una bella serata e quando mia madre si addormentò, aprii il mio portatile e tramite Skype chiamai Amelie.

-Amica mia! Mi manchi tantissimo!-

-Amelie devo raccontarti un sacco di cose! Mia madre è guarita, ora sta bene... tornerò presto!-

-E' fantastico! E tu, come stai?-

-Io?! Io sto benissimo anche se credo di farmi coinvolgere troppo... sappiamo entrambe che questi non erano i miei piani...-

-Amber è tua madre... ha bisogno di te e vi volete bene. E' ovvio che sia felice di vederti e che tu sia contenta che ora lei stia bene!-

-Come stai Amelie?-

-Mmmm.. sto bene, non mi lamento! Solito tram tram... scuola, casa, amici- disse sorridendo

-Mi manchi davvero molto! Ti voglio bene e ti ringrazio per avermi dato la possibilità di essere di nuovo felice. Devo tutto a te se ora sono quella che sono. Me ne rendo conto ogni giorno che passa e senza te non saprei proprio che fare-

-Guarda che arrossisco!- ridacchiò lei

-E Leo?-

-So che oggi ha provato a contattarti ma eri occupata credo...-

-Ah si, cavolo! Gli avevo promesso che ci saremmo sentiti stasera! Cavolo che sbadata!-

-Ci sentiamo Amber! A presto!-

-Ok, au revoir Mademoiselle!-

Poco dopo chiamai, sempre via Skype anche Leo. Passammo un'ora e mezza a chiaccherare. Mi sembrava di essere fra le sue braccia, anche se un computer e un oceano ci dividevano.

Mi ero davvero innamorata e questa volta non avrei permesso a niente e nessuno di perdere il mio amore.

Il giorno dopo accompagnai mia madre a fare delle ultime visite di accertamento. Mi capitò più volte di fermarmi ad osservarla e pensai a quanto ci assomigliavamo. Stesso colore di capelli, stessi occhi e stesso portamento.

Sarai sempre una principessa

Diceva mio padre a mia madre e pensandoci, gli diedi ragione. Era invecchiata, l'incidente le aveva procurato diverse botte e lividi, ma rimaneva sempre una vera "principessa".

Finite le visite, andammo a pranzare da "Barney's", un ristorantino molto carino dove io e la mia famiglia andavamo spesso. Certo, prima della morte di mio padre. Poi non ci eravamo più state: troppi bei ricordi che diventavano brutti ricordi.

Ma quella volta, sedute ad un tavolino a mangiare un bel piatto di pasta, pensammo solo a chiaccherare, ridere e scherzare. Non c'era più spazio per la sofferenza e per il rancore. Mi ero fatta coinvolgere e avevo ascoltato Amelie, dovevo lasciare che l'amore per mia madre mi travolgesse.

-Ma dimmi un po'... hai conosciuto diverse persone in Francia giusto?-

-si mamma, ho molti amici ora...-

-anche qui ne hai... appena sei sparita sono venuti tutti a cercarti...-

-ma Dylan ha detto che...-

-so cosa ha detto Dylan, sai com'è... vuole mostrarsi insensibile, forte. Ma ti vuole molto bene e da subito ha notato la tua assenza, e così anche Jennifer e tutti gli altri-

-Se cerchi di convincermi a rimanere a Greensburg, questo non servirà... so dov'è il mio posto mamma... Parigi è casa mia- dissi impaziente. Non sopportavo l'idea che cercassero di allontanarmi da quel futuro che mi stavo costruendo.

-Amber! Non sto facendo niente di tutto questo, solo volevo farti sapere di non ignorare l'affetto di Dylan...-

-mamma, io sono cambiata e non mi interessa cosa abbia fatto Dylan per te e per farmi ritornare... so che ti ha aiutata e ti ha supportata ma, la mia casa non è più in America. Devi fartene una ragione-

Lei socchiuse gli occhi e mi prese le mani -non insisterò più... ti chiedo solo di non dare nulla per scontato... come sei cambiata tu, sono cambiati gli altri-

Io annuii e insieme andammo verso casa.

Quel pomeriggio mi arrivò un sms da Dylan:

"Stasera Jennifer da una festa, vieni anche tu su. Hai bisogno di divertirti. D. "

"Ti farò sapere. A. " risposi semplicemente. Non sapevo se andare, non che non ne avessi voglia ma, avevo paura. Avevo paura che ci fosse ancora l'eroina, che la tentazione prendesse il sopravvento. Decisi di parlarne a mia madre. -Mamma, mi hanno invitato ad un party, stasera-

-Lo so... me ne ha parlato Dylan. Ci andrai, vero? - mi rispose abbozzando un sorriso

-Non lo so... sappiamo entrambe che cosa potrebbe succedere- dissi abbassando gli occhi

-Io mi fido di te- mi guardò negli occhi e mi baciò la guancia

-Io no. Non mi fido di me stessa-

-Non ci sarà droga a quella festa, mi fido di Jennifer e non sarebbe così stupida-

-si lo so, ma potrebbe esserci qualcun altro!-

-Amber ascoltami, hai bisogno di credere in testa ed è anche per questo che stasera dovresti uscire... questa sera dimostrerai a tutti che sei cambiata. Sei più forte-

io annuii e ci abbracciammo. Quel sabato sera avrei davvero avuto modo di mostrare a tutti che Amber era più forte, più forte di prima.

"A che ora stasera? A."

"Le dieci e mezza, passo io da te. D." 

La strinse forte come se lei fosse tutta la vita e gliela volessero portar via.
—  Ernest Hemingway

cap17

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Capitolo 18
*** Siamo giovani. ***


cap18

-Mamma... ho deciso... stasera andrò alla festa di Jennifer-

-Sul serio?! Sono felicissima amore mio... sono certa che ti divertirai...-

A differenza sua, avevo qualche dubbio sul successo di quel party. Sapevo che mi sarei potuta pentire ma, alla fine, mancavano pochi giorni alla mia partenza e qualsiasi cosa potesse capitare, non mi sarei fermata più del dovuto.

Dopo cena andai in camera mia a cercare tra i miei vecchi abiti qualcosa di adatto. Notai con stupore che tutto era tenuto benissimo, pulito e in ordine. Mia madre non era mai stata una gran donna di casa e in genere ero sempre io a sistemare le varie stanze e temevo che in mia assenza la nostra casa fosse diventata un disastro. In effetti si, era così. Ma la mia stanza era perfetta. Come se mia madre si aspettasse che prima o poi io sarei tornata e avrei avuto bisogno di quella camera.

Cercai a lungo e optai per un abito nero con scollo a cuore e i miei immancabili anfibi neri. Certo, non era il massimo dell'eleganza ma quello era il mio stile: era ciò che mi rendeva "diversa" dalle mie coetanee. Non mi era mai interessato molto seguire la moda, preferivo di gran lunga personalizzare i miei outfit. Mi limitai ad una linea di eyeliner, lucidalabbra e smalto nero. Indossai inoltre un bracciale dorato, per dare comunque un po' di colore. Quel bracciale me l'aveva regalato proprio Jennifer qualche Natale fa e a pensarci, sentii il mio stomaco stringersi. Avevo tanti bei ricordi di quel gioiello: la gioia nel scartare il pacchetto, l'abbraccio per ringraziarla. Era tutto così bello e sapevo che non la nostra relazione sarebbe potuta tornare come prima. Una festa non avrebbe comunque sistemato tutto: ma era un buon inizio. Pensai a quante volte indossai quel bracciale: cerimonie, uscite con gli amici, occasioni particolari. Per me aveva sempre avuto un valore importante: non era un semplice accessorio. Quel bracciale per me significava qualcosa: l'amicizia che avevo con Jennifer. Un'amicizia bellissima, fatta di gioia, sincerità, esserci l'una per l'altra. Ma allo stesso tempo, un'amicizia rovinata. Un rapporto perso, buttato via. E più ci pensavo e più mi ripetevo che questa è la vita.

In fondo ero una ragazza con mille sogni e tanta voglia di vivere e non mi sarei mai pentita delle mie decisioni, di partire per la Francia.

-Sei bellissima, tesoro mio- disse mia madre vedendomi scendere le scale

Io sorrisi e mi osservai allo specchio nel soggiorno. Sospirai ricordando come mi ero ridotta fisicamente a causa della droga. Durante quel periodo persi molti chili, la mia pelle era molto più chiara ed ero molto fragile. Mi venne in mente quante volte Dylan mi prendeva in giro chiamandomi "spaventapasseri" o "rospo" e tutte le lacrime versate per colpa sua e del mio fisico. Mentre ora, slanciata, nel mio peso ideale, sorriso smagliante, brillavo come una stella. Ero molto emozionata e in ansia. Non sapevo effettivamente cosa aspettarmi da quella festa, se qualcuno mi avesse parlato, se ci fosse stata eroina, alcool ma soprattutto se avessi avuto la possibilità di divertirmi veramente.

A fermare tutti quei pensieri fu il mio cellulare che iniziò a squillare: era Dylan. Mi aveva detto che era di fronte casa mia e che potevo uscire.

-Devo andare mamma, non so se dovresti aspettarmi alzata...-

-Ora vai, ti voglio bene Amber- disse passandomi la giacca e la borsa. Mi stampò un bacio sulla guancia e io le accarezzai il viso.

Montai in macchina e a mia sorpresa, in senso negativo ovviamente, Dylan mi salutò con un bacio sulla guancia. Non riuscii a spiegarmi il motivo di quel bacio, e soprattutto il fatto che non mi ribellai al suo gesto infatti, non gli dissi nulla, semplicemente mi limitai ad una smorfia.

-Sei fantastica stasera, come sempre- disse sorridendo

-Parti- dissi seccata, odiavo i suoi complimenti fatti con quel tono di voce così spavaldo.

Il viaggio da casa mia a quella di Jennifer durò almeno venti minuti. Venti minuti di puro silenzio. Quando scendemmo dall'auto suonammo il campanello e Jennifer ci aprì. La festa era all'aperto: piscina, dj, alcool e tanta gente. "Beh, Amber che t'aspettavi?" pensai tra me e me.

-Vuoi qualcosa da bere?- mi propose Dylan

-no grazie, non ho sete...- risposi io cercando con gli occhi volti familiari. Riconobbi infatti le mie vecchie amiche che, quando notarono me e Dylan vennero da noi.

-Amber! Allora sei tornata davvero!-

-Già, eccomi qui...- abbozzai un sorriso

-Su... vieni con noi! Ti presentiamo un po' di persone!-

Decisi di farmi prendere dalla situazione anche stavolta. Era, in fondo, la mia vita, avevo ormai diciannove anni e tra qualche giorno sarei comunque ripartita. Se fosse successo qualcosa sarebbe comunque rimasto a Greensburg e io sarei andata via.

Conobbi molti ragazzi nuovi e mi rincontrai con vecchi amici e compagni di classe. Sembrava che tutti avessero dimenticato che mi soprannominavano "Amber la drogata". Meglio così, non mi andava di sentire gente che si scusasse per i propri errori, volevo solo divertirmi.

Accettai anche di bere qualche bicchiere. Si, certo, qualche. Il lupo perde il pelo ma non il vizio.

-Siamo giovani Amber! Solo per questa sera!- disse un ragazzo di cui non ricordai il nome.

Così finì che seguii il mio istinto e decisi di fare ciò che mi veniva meglio: fare festa senza pensieri.

Ma mi pentii amaramente di essere andata a quella festa quando scoprii di essermi ubriacata.

Tornai a casa circa alle quattro del mattino. Mi accompagnò Dylan fino al mio letto in quanto faticavo anche solo a salire le scale. Votimai più volte e lui fu davvero gentile a farmi da "assistente".

-Grazie, sei fantastico- dissi confusa

Lui mi sorrise -Figurati-

Poi mi distese sul letto e se ne andò. Ma mentre stava uscendo dalla porta della mia camera lo fermai dicendogli -Aspetta!-

-Amber?-

-Rimani qui... vicino a me-

-Cosa?- fece sorpreso e sbarrando gli occhi

-Hai capito bene... ti prego Dyl, non posso stare sola...- l'avevo chiamato "Dyl" e questo era preoccupante. Quello era il suo soprannome quando stavamo insieme.

-Sei ubriaca Amber...- sorrise avvicinandosi e accarezzandomi la testa

-No... ehm... forse... non lo so... non importa... dormi qui con me-

-Non posso Amber- sospirò allontanandosi

-Perché?-

-Ho fatto una promessa... -

Io non dissi nulla, capivo ben poco della nostra conversazione.

-Amber io l'ho promesso a Leo, e a Jennifer...- continuò lui dolcemente

-Non capisco...-

-Leo ti ama ed è mio amico. Ed ora che so questo sto cercando di dimenticarti... non renderla più difficile- fece sempre con il sorriso

-Ma cosa centra Jennifer?!-

-Noi stiamo insieme... e non posso più permettermi di tradirla... io le voglio davvero molto bene e per quanto ti possa amare... è il momento di lasciarti andare...-

In quel momento mi addormentai.

"La vita è molto, molto breve e puoi scegliere di viverla nella maniera in cui vuoi. Puoi decidere di buttarti via e di non esprimere te stesso solo per essere accettato, solo per piacere alla gente.
Oppure, puoi fottutamente vivere."

— Gerard Way

cap17

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Capitolo 19
*** Io non ti dimenticherò mai. ***


cap19

Mi svegliai il mattino dopo con un forte mal di testa. Conoscevo bene quella sensazione: i postumi della sbornia, il sovraccarico di pensieri.

Ancora vestita, cercai di alzarmi dal letto e, notai un livido abbastanza grande sul ginocchio. Mi spaventai non tanto per il dolore che sentii quando appoggiai i piedi sul pavimento, ma, più per il fatto che non ricordavo proprio nulla di com'ero riuscita a procurarmelo. Probabilmente ero caduta da qualche scalino o inciampata sul cemento. Tipico da me d'altronde, non avevo mai avuto tanto equilibrio. Nè fisico, nè mentale. A dire il vero, riguardo l'equilibrio fisico ero sempre stata una ragazza sbadata, con la testa fra le nuvole e gomiti e ginocchia sbucciate ma mentalmente, dopo essere partita per la Francia, avevo raggiunto un vero e proprio equilibrio, una stabilità. Ero serena e senza pensieri. A differenza del mio passato a Greensburg, ero molto diversa, con mille problemi e sbalzi d'umore. No, non ero affatto felice.

Accesi il cellulare e vidi con mia sorpresa che erano già le undici del mattino. Era un sacco di tempo che non mi svegliavo così tardi dato che, lavorando in Francia, avevo l'abitudine di alzarmi sempre prima delle otto. Controllai poi se avevo ricevuto sms e infatti ne avevo uno proprio da Dylan.

"E' stato bello farti da assistente e spero di avere un buon rapporto con te in futuro. Ti prometto che nessuno saprà ciò che ci siamo detti la scorsa notte. D"

Lì per lì mi sentii molto confusa poi iniziai a riflettere. "Forza Amber... pensa pensa pensa!" dissi fra me e me. Avevo molte domande, relative al messaggio di Dylan, a cui non riuscii a dare risposta. "Ma a cosa si riferisce?" "Di che avevamo parlato?"

Decisi comunque di non mettere ulteriormente in difficoltà la mia mente che già soffriva per i postumi.

Così mi spogliai e mi feci una doccia poi, non prima però di mangiare qualcosa.

Con mio stupore notai che in casa c'era un silenzio assordante e capii che mia madre era fuori. Evidentemente era andata a prendere il pane o fare una passeggiata.

Per quanto ci provassi, non riuscii a togliermi dalla testa il messaggio di Dylan e tutte le domande da lì collegate così decisi di fargli una telefonata.

Dopo diversi squilli mi resi conto di quanta ansia stava crescendo dentro di me. "Rispondi Dylan, rispondi!"

La sua voce, quando rispose al cellulare, mi provocò un forte nodo allo stomaco ma allo stesso tempo un senso di sollievo in quanto avrei potuto soddisfare tutti i miei dubbi.

-Amber?-

-Dylan... che diavolo significa quel messaggio?-

Ci fu un lungo silenzio tanto che pensai fosse caduta la linea.

-Dylan, ci sei?-

-Sisi... ecco... è successa una cosa la scorsa notte... ti ho accompagnata a casa... eri ubriaca e stavi male così sono stato con te fino a quando ti sei addormentata-

Chiusi gli occhi per un secondo cercando di nuovo di ricordare. Finalmente qualche frammento riemerse nella mia mente: Dylan mi teneva in braccio e mi portava in bagno poi mi aveva stesa a letto dopo avermi lavato il viso.

-E cosa ci siamo detti?- mormorai

Un altro lungo silenzio e sentii l'ansia aumentare.

-Ecco... è complicato... è difficile... lascia stare dai, non è importante-

-No, voglio saperlo- dissi con fermezza

-Si hai ragione- sospirò poi continuò raccontandomi ciò che ci eravamo detti: l'avevo invitato a fermarsi a dormire ma lui si era rifiutato perchè sapeva di me e Leo e perchè era fidanzato con Jennifer. Non ricordavo nulla di quella conversazione e probabilmente era meglio così. Mi era sempre stato difficile sentirmi dire in faccia verità scomode. Provai un forte senso di colpa, l'avevo messo in difficoltà. L'avevo davvero messo in imbarazzo quella notte. Ero certa dicesse la verità, conoscevo bene il mio ex ragazzo e sapevo ormai quando mentiva, anche solo dal tono di voce.

-Scusa- mi limitai a dire

-Tranquilla... come ti senti?-

-Ora meglio... i postumi della sbornia... era da un po' che non li provavo-

-Mi mancherai...- sospirò

La chiamata terminò lì. Mancavano ancora due giorni alla mia partenza e il pensiero di dover lasciare Dylan, mia madre, Jennifer e Greensburg mi fece scendere una lacrima.

Avevano ragione, che mi fosse piaciuto o no, Greensburg era pur sempre casa mia.

Dopo due ore dal mio risveglio, mia madre non era ancora tornata a casa. Iniziai a preoccuparmi: non era da lei rimanere così a lungo fuori casa sapendo che sua figlia era con lei. Decisi allora di telefonarle ma aveva scordato il cellulare a casa. Gli squilli infatti, provenivano dalla sua camera da letto. Il suo nokia 1100 suonava e sul display notai la scritta "Amore".

Il fatto che ancora aveva quel nome segnato in rubrica mi regalò un sorriso. Mi amava davvero, solo non era molto brava a dimostrarlo. E più passavo del tempo con lei, più mi convincevo che era così.

Notai però, un biglietto accanto al telefonino. Era scritto da lei ed era per me.

"A differenza tua, sono una persona debole. Volevo darti una vita da principessa, figlia mia, ma non ci sono mai riuscita. Non sono mai stata una brava madre ma, devi sapere, che ti amo e non ho mai smesso di farlo. Abbiamo sofferto molto insieme, soprattutto per la morte di tuo padre. Sappiamo bene cosa significa perdere chi amiamo e non voglio farti piangere ancora. So che avrei dovuto dirtelo ma era più forte di me, il tuo sorriso era così bello che non avevo la forza di spegnertelo. Così te lo dico in un biglietto. Sono partita stanotte mentre tu eri alla festa. Sono molto malata e mi resta poco. Non mi cercare, non voglio rivivere quelle sensazioni provate dieci anni fa. Ricordati solo che sei la persona più importante della mia vita e so che sei forte. Ed è per questo che mi fido di te e so che supererai anche questa. Perdonami"

Scoppiai a piangere incredula. Le mie mani iniziarono a tremare e mi accasciai a terra. Controllai nell'armadio e come dimostrava il biglietto, lei era davvero partita.

Scoppiai a piangere incredula. Le mie mani iniziarono a tremare e mi accasciai a terra. Controllai nell'armadio e come dimostrava il biglietto, lei era davvero partita.

Fu in quel momento che capii quanto potesse essere prezioso avere una madre. Mia madre si sbagliava, io non ero forte. Fingevo, credevo di esserlo.

Rilessi più volte ciò che aveva scritto e giurai a me stessa che l'avrei trovata.

Cercai di calmarmi. In quel momento capii perchè mia madre insisteva così tanto per farmi andare a quella dannata festa. Non voleva salutarmi, avrebbe fatto più male: non potevo biasimarla, in fondo, mi ero comportata allo stesso modo quando partii per la Francia.


Non sappiamo di avere qualcosa finché non lo perdiamo, o non incontriamo qualcuno che l’ha perso.
—  Ciò che inferno non è, Alessandro D’Avenia

cap19

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Capitolo 20
*** Quando sei uscita da quella porta, una parte di me è morta. ***


cap20

Cercai di tornare lucida. Ne avevo passate davvero tante e quella lettera nproprio non ci voleva. L'ennesimo fulmine a ciel sereno. Dovevo saperlo: la felicità è sempre temporanea. Dura poco. Il dolore invece è permanente, a volte si nasconde ma, c'è sempre e riaffora quando meno te l'aspetti.

Per la felicità bisogna combattere. Per il dolore,invece, basta un semplice errore e tante volte non è nemmeno nostro.

Ero stesa sul letto di mia madre e tra le lacrime, strinsi forte il suo cuscino. Piansi a dirotto, tanto da far fatica a respirare. L'ultima volta che stettii così male era per mio padre. E la cosa si stava ripetendo. No, quella volta non dovevo permetterlo e che mia madre lo avesse voluto o no, l'avrei sostenuta. Ma soprattutto, l'avrei trovata.

-Non ti lascerò sola- mormorai a me stessa. La Francia, Leo, Amelie, il lavoro, passarono immediatamente in secondo piano. Il mio primo pensiero era scoprire dove fosse mia madre.

Il mio corpo era distrutto. Era come se fossi morta, annegata nelle mie lacrime. Il mio cuore faticava a battere e avevo freddo. Per un po' non riuscii nemmeno a riconoscere i colori, vedevo tutto in bianco e nero. Fu proprio in quei momenti che capii quanto importante era per me la mia famiglia e quanto contasse veramente. Con lei, se ne era andata via anche gran parte di me. La mia anima, la mia felicità, la mia voglia di ricominciare. Ero così debole che desiderai l'eroina e mi sentii un verme a provarne bisogno. Volevo solo calmarmi, non provare più nulla almeno per un po'.

Ma poi ricordai le conseguenze e il mio passato così chiusi gli occhi, pensando al male che mi aveva procurato. E fu lì che ebbi l'occasione di riflettere sulla forza che ero riuscita a conquistare. Così riaprii gli occhi, mi alzai dal letto e corsi a prendere il cellulare: dovevo andare alla polizia.

Presi l'automobile e guidai molto oltre i limiti. Dovevo fare presto. Nel frattempo mandai un sms a Dylan.

"Vieni alla centrale di polizia. E' importante. A."

La sua risposta non tardò ad arrivare "Arrivo subito"

Quando parcheggiai, Dylan si trovava fuori dal comando a fumare una sigaretta.

-Che succede?!- mi disse con aria preoccupata

Io gli mostrai la lettera, era troppo difficile da spiegare a parole. Lui, dopo averla letta, rimase a bocca aperta. Dal suo viso capii che non ne sapeva proprio nulla, era un mistero per entrambi.

-Entriamo- mi disse prendendomi la mano.

Quando entrammo un polizziotto ci accolse e si presentò. A nostra volta, facemmo lo stesso.

-Mi chiamo Amber Tallish e sono venuta qui a denunciare una scomparsa-

Il mio cuore batteva fortissimo. Il polizziotto, Mr Hudson, ci accompagnò in una piccola stanza e, insieme ad un suo collega che nel frattempo compilò il verbale, ci ascoltò. Mostrai la lettera e diedi più informazioni possibili su mia madre. Purtroppo però, quando iniziai a parlare, scoppia a piangere. Il dolore, a parlarne, si sente ancora di più. Mentre Mr Hudson lesse ad alta voce la lettera scritta da mia madre, sentii delle spade conficcarsi nel cuore. Facevo fatica a respirare, avevo caldo pur essendo ormai autunno. Dylan fu di gran supporto: mi teneva la mano, contribuì all'indagine dando informazioni sul suo rapporto con mia madre. Restai sorpresa dalle cose che raccontò: mi aveva tenuto nascosto un lato molto personale e importante del rapporto che aveva con lei.

Dylan infatti, mentre io ero in Francia, era diventato per mia madre, un secondo figlio. La veniva a trovare quasi tutti i giorni e passava molto tempo con lei. Una delle tante lacrime che versai quel giorno, fu anche per la commozzione delle parole di quel ragazzo.

-Conosco la signora Tallish dai tempi del liceo, non capisco il suo comportamento ragazzi. Sono molto sorpreso e, insieme alla mia squadra, faremo il possibile per trovarla-

Fu tutto quello che Mr Hudson ci disse. A dire la verità, mi sarei aspettata qualcosa di più concreto, ma confidavo in quell'uomo e comunque mi ero promessa che l'avrei cercata io stessa perciò, se non l'avrebbero contattata loro, l'avrei fatto io.

Uscita dalla caserma decisi di tornare a casa per parlare con Amelie e Leo.

-Ehi tesoro! Come stai?- mi chiese Amelie

-Amelie... ti devo parlare... è molto importante-

-Dimmi pure...-

-Non torno a casa... non ora perlomeno- abbassai gli occhi mentre glielo comunicai. Seppur ci fosse un computer a dividerci, la sentivo proprio di fronte a me e sentivo i suoi occhi tristi sui miei.

-C..che cosa?- balbettò sorpresa e triste

-Si è così... mia mamma è scomparsa... so che è una cosa strana e nemmeno io ancora non ci credo... mi sono svegliata stamattina e di lei è rimasta solo una lettera. Mi ha scritto che è malata ed è andata via perchè non vuole che la veda soffrire come è successo con mio padre-

Ci fu un lungo silenzio ed entrambe iniziammo a piangere.

-Amber, ti voglio raggiungere il prima possibile. Hai bisogno di me-

-No.. non posso permetterlo... hai la tua vita... vedrai che la troverò... c'è Dylan con me-

-Amber... sappiamo entrambe che il supporto che ti da quel ragazzo non è lo stesso che ti do io...-

-Amelie non fare così...-

-Tu sei parte della mia famiglia e la famiglia non si lascia. Io non ti lascio-

Mi commossi alle sue parole.

-Ti adoro e va bene, se proprio te la senti, ti aspetto-

-Preparo già le valigie! C'è una mamma da trovare!-

Dopo aver parlato con Amelie, chiamai anche Leo e gli raccontai le stesse cose dette a Amelie. Anche lui espresse il suo desiderio di partire per Greensburg. Ovviamente avevo voglia di vederlo ma, non volevo metterlo nei guai. Non volevo farlo soffrire, non volevo vivesse gli stessi sentimenti che provavo io. Ad una persona così bella, perfetta, stupenda, non potevo permettere di provare sentimenti così bui come il dolore. Ma non potevo resistere al suo insistere così dolce. Così accettai e insieme alla mia migliore amica, partì per Greensburg. 



La gente perde la testa quando sta perdendo chi ama.
—  Dr. House 

cap20

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Capitolo 21
*** Voi mi rendete felice. ***


cap21

Verso le 9 del mattino sentii il campanello suonare. Corsi alla porta impaziente sapendo chi mi sarei trovata di fronte: la mia migliore amica e Leo, il bellissimo ragazzo che mi mancava da impazzire.

-Amber!- urlò Amelie buttando le sue braccia attorno al mio collo e stringendomi in un forte abbraccio

-Ehi Amelie.. mi strai stringendo troppo... così mi ucciderai!- dissi scherzando

Di certo avevo bisogno di sorridere, di ridere, di rimanere, anche solo per un po', con la mente altrove. Non dovevo piangermi addosso ma tirare fuori gli artigli e mostrare la mia grinta.

-Mi sei mancata così tanto amica mia!- disse sorridendo e sentii il mio cuore battere all'impazzata

Quando ci staccammo dall'abbraccio notai finalmente una testa castana piena di ricci spuntare da dietro con due pesanti valigie. Rimasi a bocca aperta per l'emozione: il mio amore, il ragazzo più bello del mondo era proprio di fronte a me, non c'era più nessun computer a dividerci.

-Amber- sussurrò e mi corse incontro

-Leo!- urlai e ci stringemmo in un forte abbraccio, tanto che mi sembrò di non riuscire a respirare più. Chiusi per un attimo gli occhi inebriata da quel suo profumo che tanto mi mancava. Sentii la sua pelle sulla mia, i nostri battiti battevano allo stesso ritmo e le nostre labbra si incontrarono in un bacio da film holliwoodiano.

-Mi sei mancata così tanto- disse lasciandomi dall'abbraccio e tenendomi le mani

-Anche tu...- socchiusi gli occhi cercando di frenare lacrime di gioia.

Non potevo non essere felice, loro erano la mia famiglia.

-Vedrai.. la troveremo- disse in tono serio e speranzoso guardandomi negli occhi

In quel momento capii che davvero avremmo trovato mia madre. Con loro ce l'avrei fatta, loro erano la mia potenza. L'amore vince su tutto e con un po' di pazienza e determinazione saremmo riusciti nella nostra piccola grande "missione".

Accompagnai i due ragazzi nel soggiorno e mostrai loro la casa. -Questa è la cucina.. niente di che però tutto sommato è accogliente e immagino già il profumo delle tue lasagne italiane Leo! Le devi cucinare assolutamente stasera- dissi indicandogli il forno

Lui mi sorrise e aggiunse -certo! E questa foto? Sei tu?- prese una fotografia inserita in cornice. Avevo cinque anni e sorridevo a papà che come un vero fotografo, mi dava indiazioni su come mettermi in posa. Mi sentivo una piccola modella e il fatto mi divertiva molto.

-Amber? Tutto ok?- mi chiese Amelie risvegliandomi da quel dolce ricordo

-Si ehm.. Leo si avevo cinque anni...- abbozzai un sorriso

-Eri proprio una bella bambina... e lo sei tutt'ora- disse baciandomi la guancia

Provai un brivido lungo tutta la schiena. Avevo davvero bisogno delle sue attenzione, del nostro contatto fisico e della nostra intesa. Leo era un vero toccasana, una medicina a qualsiasi malattia.

Avevano ragione, Leo e Amelie, quando insistevano sul fatto che avevo bisogno di loro.

-Venite su, vi mostro il soggiorno..-

Il salotto era forse la parte della casa che più preferivo: nella mia infazia, avevo davvero molti ricordi felici. Prima di entrare a far parte del brutto giro della droga, in quella stanza passavo molte serate con Jennifer a raccontarci segreti, mangiare pop corn guardando le nostre serie tv preferite. Ma non solo, ogni 25 dicembre io e i miei genitori aprivamo i regali seduti sul divano e accanto ad esso c'era sempre un bellissimo albero di natale che preparavo con gran gioia insieme alla mamma.

Ma dopo la morte di papà l'albero, il natale e il soggiorno non erano più gli stessi. La morte porta via un sacco di cose, a chiunque. Io e mia madre non eravamo le uniche a portare i segni di quel dolore, anche la casa ne aveva risentito. Quel pensiero mi diede ancora di più la spinta a voler trovare mia madre a tutti i costi. Non potevo permettermi di perdere anche lei. Quel salotto non poteva rovinarsi di più.

Continuai mostrando il resto della casa: la mia stanza, il bagno e la camera da letto dei miei genitori. Guardando il letto matrimoniale e il disordine che vi era pensai al dolore e ai pianti che avevo avuto poco fa alla scoperta della lettera. Mi vergognai un po' di com'era rimasta la camera e di essermi dimenticata di rifare il letto. Ma non potevo farci niente, quella stanza mostrava il mio effettivo stato d'animo: un vero disastro pieno di disordine e caos.

Amelie e Leo notarono la mia tristezza nel guardare quella camera. Non volevo fargli star male a loro volta così, proposi di mangiare qualcosa.

-Beh, immagino abbiate fame... vi va un croissant? C'è una pasticceria qui vicino che fa delle deliziose brioches alla crema!-

-Mmm... in effetti un po'di fame ce l'avrei!- disse Amelie

Dopo circa venti minuti arrivammo al locale e ordinammo le delizie che avevo consigliato a Amelie e Leo e tre caffè.

-Allora ditemi, come vanno gli studi?- dissi addendanto il mio croissant

-Mmm... come al solito... per ora ho l'insufficienza in matematica e scienze- mi spiegò Leo deluso

-Chissà perchè non mi stupisco! Ma ti impegni un po'?- dissi ridendo

-Beh... più o meno... Amelie mi sta dando una mano comunque-

-Cosa? Una mano? Un braccio ti sto dando! Amber... fare matematica con lui è una vera e propria impresa eroica! Ci vuole una pazienza enorme... Leo si distrae in continuazione! Per lui persino una mosca è più interessante di un algoritmo!- disse Amelie bevendo il suo caffè

Leo si finse offeso mentre io e la mia "sorellina" ridemmo. Loro mi rendevano davvero felice. I loro sorrisi mi riempivano il cuore e il loro volermi bene in un modo così dolcemente incondizionato mi facevano sentire importante per qualcuno. 

Finito il break, decidemmo di tornare a casa per sistemare le varie valigie.

-Ragazzi... come facciamo con i posti letto?- chiese Amelie in una smorfia

-Ehm... non c' avevo pensato- dissi imbarazzata

-Dormo sul divano se per voi non è un problema-

-Mmm... io credo sia meglio che tu dorma con la tua ragazza nel letto matrimoniale ed io dormirò in camera di Amber!-

Io e Leo ci guardammo intensamente. Desideravo molto passare la notte con lui e per Leo era la stessa cosa: accettammo allora la proposta della mia amica.

"Amelie, sei fantastica" pensai tra me e me.

A pranzo Leo ci preparò la pasta con il ragù.

-Eh.. si vede proprio che sei mezzo italiano!- dissi io complimentandomi per la sua bravura nel cucinare

Nel pomeriggio decisi di incontrare Dylan. In fondo, era molto amico di Leo e pensai sarebbe stato bello che si rivedessero. Avevo preso in considerazione l'idea che il mio ex mi avrebbe aiutato molto nelle mie ricerche. Voleva molto bene a mia madre e a quanto mi pareva, sapeva tanto quanto me su di lei. Durante la mia assenza, aveva colmato il vuoto che mia madre aveva provato non avendo più sua figlia vicina a lei. All'inizio fu una situazione imbarazzante ricevere Dylan a casa. Il mio ex e il mio fidanzato nella stessa stanza. Ma i due ragazzi avevano sempre avuto un bellissimo rapporto e niente gli avrebbe divisi tanto che iniziarono subito a scherzare e chiaccherare. Amelie fu inizialmente diffidente nei riguardi di Dylan. Sapeva bene come si era comportato in passato e non sopportava l'idea che qualcuno avesse potuto farmi così male. Ma le ripetei di nuovo le parole dette la notte dopo la festa. Dylan aveva promesso: voleva essere fedele e aveva rispetto per Leo. Così la invitai ad essere gentile e stringere amicizia.

Eravamo in quattro, unire le forze era la cosa migliore.

-Sei riuscito a trovare qualcosa? Hai qualche piano?- chiesi a Dylan

-Beh... diciamo che un'idea ce l'avrei... dovremmo andare all'ospedale dov'era stata ricoverata tua madre... forse lì sanno qualcosa... avrà pur avuto un medico che la seguiva-

-Già... sono d'accordo con te... andiamo...-

Guidai fino all'ospedale. Accanto a me si sedette Leo che notando la mia forte tensione, mi strinse la mano. Per un attimo i nostri occhi si incrociarono e mi calmai. Ne ero certa, sarebbe andato tutto bene.

Arrivati all'ospedale ci dirigemmo quasi correndo verso il reparto dov'era stata ricoverata mia madre.

-Salve, mi chiamo Amber Tallish. Avrei bisogno di un'informazione- mi rivolsi ad una donna sulla quarantina seduta ad una scrivania. Era la responsabile dell'archivio del reparto

-Certo, mi dica pure signorina Tallish-

-Ecco... so che probabilmente è privacy ma... mia madre è scomparsa e io ho bisogno di voi per ritrovarla- il mio cuore batteva a mille

-Come scusi? Dovrebbe andare dalla polizia- disse accigliata

-No ecco...mi sono espressa male... mia madre si chiama Monica Tallish... è stata ricoverata in quest'ospedale per circa cinque giorni, la settimana scorsa... è stata vittima di un'incidente a causa dell'alcool ed è malata... guardi ho la sua cartella clinica... solo che mancano delle carte... sapevamo dei suoi problemi con l'alcolismo ma non ci aveva detto nulla della sua malattia... perciò abbiamo bisogno dell'aiuto del medico che l'ha visitata... forse sa dirci qualcosa-

La donna rimase a bocca aperta e si mise a controllare la cartella clinica.

-Oh si... ora ricordo... è stata ricoverata qui più volte... sempre per lo stesso motivo... l'alcool-

Io abbassai lo sguardo, ero così triste al pensiero di aver ridotto mia madre ad una donna talmente disperata da non poter far altro che darsi al bere. Con la mia partenza io ero rinata e lei stava già cominciando a morire. Ed era tutta colpa mia. Lo era sempre stata.

-Ora cerco il nome di sua madre nel nostro archivio.. mi ci vuole solo un momento...-

-Certo..-

Dopo più di dieci minuti la signora disse di aver trovato il nome.

-Oh! Tallish Monica!- dopo qualche secondo però notai un'espressione negativa nella sua faccia. Non riuscii bene a definirla: triste, sorpresa, delusa?

Di certo sentivo che la sua faccia non prometteva nulla di buono.

-Scusate un momento...- disse la donna deglutendo e si diresse verso un lungo corridoio.

Il mondo fa meno paura se hai qualcuno vicino che ti stringe la mano.

cap21


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Capitolo 22
*** Un anno fa, non mi sarei mai aspettata di vivere questa situazione. ***


cap22

Mentre la donna si allontanava, sentii gli occhi di tutti i miei amici guardare me. Aspettavano tutti una mia reazione. L'aspettavo anch'io. Amber, ma in che casino ti sei cacciata?

Cercai di rimanere lucida ma l'ansia mi stava facendo crollare. Iniziai ad avere caldo, il mio cuore batteva a ritmo sempre più accelerato e il mal di testa si faceva sempre più fastidioso.

Leo si avvicinò a me e mi prese la mano -Andrà tutto bene, te l'ho promesso-

Io abbozzai un sorriso ma ero davvero preoccupata. In quel momento mi resi conto di quanto fosse facile sprofondare e che bastasse così poco per distruggermi.

Amelie, notata la mia ennesima faccia triste, venne ad abbracciarmi. Mi stampò un bacio sulla guancia. Mi offrì un cioccolatino -ti ricordi queste delizie?-

-già... ne eravamo ghiotte da piccole... cavolo quanto tempo è passato- sorrisi al ricordo riaffiorato mettendo in bocca quel quadratino dolce. Si chiamava "Luna" ed io e Amelie ne mangiavamo uno al giorno: era per noi un vero e proprio rito. Il gusto di quel cioccolatino mi riportò alla mente la casa di Amelie, i nostri momenti passati insieme quando eravamo piccole e tutte le passeggiate fatte con lei per i boschi. Quel dolce quadratino mi calmò. Ma come faceva Amelie, ad essere sempre così speciale? A sapere sempre ciò di cui avevo bisogno? Vorrei proprio essere come lei: così perfetta, dolce, gentile, disponibile. Invece io ero solo un disastro, nella mia mente c'era una continua guerra. Disordinata, impaziente, impulsiva e talvolta cattiva. Soprattutto con me stessa. Ma forse era proprio per questo che io e Amelie eravamo così tanto legate. "Gli opposti si attraggono", dicono alcuni, magari è proprio così. Io e lei ci completiamo.

Finalmente la donna tornò, insieme però ad un medico. Scoprimmo poi essere il dottore che seguiva mia madre. Di lui non sapevamo nulla.

-Salve, sono Amber Tallish e sono la figlia di Monica Tallish... - non riuscii a finire la frase che venni interrotta dal medico.

-Mi dispiace, sua madre non è qui signorina Tallish... non posso darle ulteriori informazioni. La signora ha espressamente richiesto di non dare notizie della sua partenza a nessuno ed io devo seguire la sua volontà- disse sconfortato, probabilmente quell'uomo mi capiva ed era tremendamente mortificato per non poter far nulla ma decisi di non arrendermi. Mia madre andava trovata.

-La prego! E' importante! Sono sua figlia... mi ha scritto una lettera e la prego... non mi neghi il dolore che mia madre sta provando... sono giovane e non merito tutto questo- dissi tra le lacrime, non riuscivo più a controllare le mie emozioni. La delusione era troppa, mischiata alla rabbia e alla paura che forse era già troppo tardi.

Il dottore sospirò, chiuse gli occhi e guardò la donna che gli fece un cenno. Non sapevo decifrare quel loro linguaggio così mi limitai ad attendere che quell'uomo parlasse. Avevo bisogno di informazioni e non poteva non darmele. Ero tutto ciò che restava di Monica Tallish.

-Sua madre mi ha parlato molto di lei, signorina Tallish. So la sua storia, so di suo padre. Conosco le sue sofferenze, la capisco-

-E allora la prego... non mi faccia soffrire di nuovo. Io posso aiutare mia madre- dissi singhiozzando

-Signorina Tallish... mi segua- mi fece un cenno e mi accompagnò nel suo ufficio. Amelie, Leo e Dylan fecero per seguirmi ma la donna li fermò. Sospirai pensando che era meglio così. Dovevo saperlo prima io, se fosse stato così grave, perchè non potevo permettere alle persone che amavo di più di sentire le parole crude della medicina. Avrei spiegato loro in parole più "dolci".

-Si accomodi...- disse il dottore indicandomi una sedia

-Allora? La prego... ho bisogno di informazioni- il mio cuore batteva a mille e le mie mani tremavano. Avevo paura delle cartelline poste sulla scrivania dal medico. Erano molto simili a quelle della mia prima notte all'ospedale quando venni ricoverata per overdose. Di quella notte avevo solo scene in bianco e nero. Mia madre che gridava, gli infermieri accanto a me ed io che non sentivo più nulla. Credevo davvero di essere morta, quella volta. Non ricordavo più il mio nome, non ero capace a parlare. Non provavo sentimenti, era troppo difficile e stancante per il mio cervello. Ogni tanto mi capitava ancora di fare incubi riguardo quella notte ma perfortuna, da quando dormivo nella stanza di Amelie, lei c'era sempre per calmarmi. Mi svegliavo di soprassalto, sudata e talvolta tremante. Lei mi teneva stretta a sè e mi consolava. Ed io mi sentivo più forte.

-Signorina Tallish...- mi richiamò il medico appoggiando le mani sulle scrivania

Io abbassai gli occhi, non sapevo che dire. Avevo la gola secca per l'agitazione e esortai il dottore a continuare.

-Sua madre la conosco da molto tempo... è una brava persona... quando è stata ricoverata qui mi ha parlato molto di Lei. So che entrambe avete sofferto molto e mi diceva spesso quanto sentiva la sua mancanza. Ecco non è facile la mia professione quando ci sono situazioni famigliari di questo genere-

-La prego... venga al dunque- lo incalzai. Ero troppo tesa per seguire un discorso così

-Certo mi scusi... so che è molto tesa e sta vivendo un brutto momento. Allora le dico come stanno le cose: sua madre è molto malata-

-Questo già lo so- dissi seria

-La dipendenza dall'alcool ha portato molte conseguenze tra cui la cirrosi... è una malattia degenerativa e non si puo' curare...per questo avevamo prescritto dei farmaci e preso in considerazione l'idea del trapianto ma sua madre aveva rifiutato tutto ciò- il dottore iniziò a mostrarmi alcune carte riguardanti la malattia di mia madre e alcune sue visite. Mi aveva riempita di bugie, perchè doveva tenermi nascosto tutto questo? La capivo, sapevo che significava soffrire ma non riuscivo a spiegarmi perchè avesse negato l'appoggio e l'aiuto di chi le voleva bene e la possibilità di migliorare il suo stato di salute.

-Rifiutato?!- dissi incredula

-Già... non riusciamo a spiegarci il perchè, sebbene siamo a conoscenza dei rischi che avrebbe portato l'intervento del trapianto... avremmo potuto capire la paura... ma la signora Tallish non era spaventata era... potrei dire... piuttosto convinta che fosse sbagliato cercare di rallentare l'evoluzione della cirrosi e quindi lasciare tutto così come stava andando- disse il medico

Non capivo. Era tutto così dannatamente orribile. Era come se mia madre volesse morire.

-E non avete fatto nulla per farle cambiare idea?-

-Mi creda... abbiamo provato di tutto... abbiamo chiamato anche uno psicologo... ma niente da fare. So che sembra assurdo e in trent'anni di carriera ho incontrato poche persone come sua madre. Testarde e diffidenti riguardo la medicina. La signora Monica aveva dei momenti in cui si sentiva molto meglio, alcune cure le faceva... diceva che lo faceva per lei signorina Amber- abbozzò un sorriso cercando il mio sguardo ma io tenevo gli occhi bassi per controllare le emozioni. Un anno fa non mi sarei mai aspettata di vivere una situazione del genere.

-E poi? Cos'è successo dottore? Perchè non è più qui?-

L uomo sospirò ancora in dubbio se essere sincero o mantenere il segreto. Poi però incrociando il suo sguardo gli pregai di nuovo di rispondermi, di dire la verità.

-E poi un giorno ricevemmo una telefonata. Avevamo mandato a casa sua madre perchè la sua condizione stava migliorando e non necessitava più di stare in ospedale. Ci chiamò dicendo di essere stanca di "trafficare" se così possiamo dire... con l'ambiente dell'ospedale e così, nacque un grande dibattito in quanto io e altri miei colleghi ci eravamo opposti a questa scelta- disse indicando di nuovo le cartelle e con uno sguardo triste

-E che conseguenze ha portato?-

-C'è stato un gran caos... molta burocrazia... avvocati... ma alla fine purtroppo sua madre ha ottenuto ciò che voleva... uscire dall'ambiente ospedaliero-

-Ma quando sono tornata in America mia madre andava a delle visite-

-Certo, avevamo fatto un patto con la signora Tallish... non le avevamo dato l'obbligo di rimanere in ospedale ma doveva fare alcune visite periodiche-

-E cosa mi saprebbe dire della sua scomparsa? E' davvero importante dottore che lei sia sincero con me- poggiai le mani sul tavolo ancora tremanti per l'agitazione

-Certo... ha ragione signorina Tallish... dirò come stanno le cose...la notte della scomparsa di sua madre lei ci telefonò- sospirò il medico abbasso gli occhi cercando la forza per parlare, poi continuò

-Disse di voler partire. Non riusciva più a mentire con lei, signorina Tallish-

-Vi ha detto dove andava?-

-Un'amica... ci disse solo "un'amica"- disse ed una lacrima rigò la sua guancia.

Non avevo bisogno di altre informazioni. Sapevo chi era "un'amica" e senza dire nulla, presi la mia borsa e corsi da Leo, Amelie e Dylan.

Vinceremo contro tutti e resteremo in piedi
—  Guerriero, Marco Mengoni

cap22

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Capitolo 23
*** Io la amo, non la lascio andare. ***


cap23

-Amber!- urlarono in coro Dylan, Amelie e Leo.

Ero sudata e il cuore batteva a mille. Fu difficile trovare le parole giuste per spiegare ciò che il dottore mi aveva detto. Cercai di calmarmi e Amelie mi porse una bottiglietta d'acqua.

-Allora? Che ti ha detto?- chiese con ansia Dylan

deglutuii e poi dissi -mia madre soffre di cirrosi, una malattia degenerativa, senza una cura. I medici le avevano prescritto dei farmaci e proposto il trapianto ma lei aveva rifiutato. Dopo un periodo di ricovero sembrava che la sua situazione stesse migliorando ma poi...-

Bevvi un'altro sorso d'acqua, avevo la gola secca e le mani tremanti.

-poi disse di non voler più ricevere cure mediche e molti medici si opposero alla sua decisione. Riuscirono però a stipulare un patto e mia madre faceva delle visite periodiche e nella notte in cui lei scomparse...- iniziai a piangere, ero distrutta. Pensare a mia madre che prendeva le sue cose e se ne andava, fu per me un'immagine orribile. Come aveva potuto farmi questo? Perchè? Avrei sofferto comunque, che lei ci fosse o no. Anzi, in sua assenza soffrivo di più. Non sapere come stava, che faceva, cosa pensava mi mandava in paranoia.

-Amber?- Amelie corse ad abbracciarmi per darmi forza. Avevo bisogno di quell'affetto che solo lei sapeva darmi. Quel bene che solo una vera amica sapeva dare.

-Scusatemi... - dissi singhiozzando, poi ripresi dicendo che mia madre comunicò al dottore di essere in partenza. Non aveva specificato la destinazione e aveva solo alluso ad un'amica-

-un'amica?- fece Amelie sorpresa

-già.. ed io so di chi si tratta- dissi con sguardo duro. Ero più determinata che mai a riavere con me mia madre

-E chi è?- mi chiesero tutti e tre in coro

-Elsa- dissi guardando con le lacrime agli occhi Dylan

-Elsa? E chi sarebbe?- fece Amelie. Ovviamente lei non sapeva di chi parlassi ma, Leo e Dylan la conoscevano benissimo. Era la madre di Dylan. Una madre molto legata alla mia, per via dell'alcool. Si conobbero ad una delle tante riunioni organizzate da psicologi per aiutare le persone che vivevano la stessa dipendenza di mia madre. Elsa non aveva un buon rapporto con il figlio. Da quando i genitori di Dylan divorziarono e il padre decise di risposarsi, sua madre si era data all'alcool per cercare di placare il dolore. Non sopportava l'idea di dover lasciare suo marito. Ma quella relazione era diventata insopportabile e Dylan aveva deciso in seguito, di abitare con il padre perchè si sentiva amato, in famiglia, a differenza del comportamento della madre che lo trattava male e non faceva altro che bere. Dylan non vedeva Elsa da molto tempo, si era trasferita in un condominio poco lontano da Greensburg ma la distanza era abbastanza da poterla evitare il più possibile. Non voleva vederla, parlarle, sentire il suo odore di vodka e whisky. Ricordai la prima (ed ultima) , in cui incontrai Elsa. Dylan doveva passare da lei per farle firmare alcune carte. Senti un nodo alla gola quando notai negli occhi della donna la disperazione. Era brutta ma, i suoi occhi nascondevano qualcosa di bellissimo. Il dolore l'aveva resa orribile. Le borse sotto agli occhi, il look trasandato, i vestiti sporchi. Le parole che si scambiarono i due, erano fredde e prive di significato reale. Era ovvio che Dylan non intendesse visitare la madre per chiederle come stava. Ed era anche ovvio che a lei non interessasse firmare il permesso per la gita a scuola.

-Amber? Dylan? Leo?- Amelie si accorse del nostro scambio di sguardi

-Amelie... Elsa è mia madre- disse Dylan ad occhi bassi

-Ah... e... come mai è amica con Monica?-

-Si sono incontrate alle riunioni della psicologa- spiegò lui

Io annuii e cercai di calmarmi. Eravamo sempre più vicini a mia madre. Ora dovevamo solo dirigerci da Elsa. Dovevamo farlo subito, non dovevano esserci scuse. Non c'era tempo da perdere.

-Ora dobbiamo andare... vi porterò io da mia madre- annunciò Dylan

Ci dirigemmo, in macchina, fino all'appartamento. Nel parcheggio due uomini fumavano una sigaretta e una coppia si scambiava dei baci. Io e Leo ci scambiammo uno sguardo veloce.

-Ti amo- sussurrò Leo prendendomi la mano

Salimmo le scale e l'ansia si faceva sempre più sentire. Avevo un forte mal di testa e mal di stomaco. Mi sentivo strana, forse stanca. Ma allo stesso tempo ero agitata, speranzosa e forte.

Con Leo che mi stringeva la mano mi sentivo meglio. Come se avessi avuto un'armatura che mi proteggeva da qualsiasi ostacolo e dolore.

Dylan bussò alla porta e dopo qualche minuto (che a me sembrò un'eternità) sua madre gli aprì.

-Dov'è!- urlò Dylan attraversando la porta

La madre rimase a bocca aperta notando il comportamento del figlio e notando le persone in sua compagnia. Quel giorno non era ubriaca, si vedeva dai suoi occhi. Era diversa, non aveva lo sguardo perso e l'atteggiamento menefreghista che mi era familiare, qualche tempo fa, nella mia vita.

Seguimmo Dylan nel soggiorno. Era rimasto tutto proprio come ricordavo: un semplice divano, una piccola tv e l'insopportabile odore di muffa che rendava la casa davvero inospitale.

Nel soggiorno non c'era nessuno, nemmeno in cucina.

-Di chi stai parl...?- chiese Elsa ma non riuscì a finire la frase, non c'era affatto bisogno. L'avevamo trovata. Avevo trovato mia madre. Ce l'avevo fatta.

-Mamma...- dissi avvicinandomi a lei con le lacrime.

Mia madre era distesa sul letto a guardare la tv. Quando mi vide, scoppiò a piangere. Non sapevo bene il motivo del suo pianto: gioia, tristezza, vergogna? Era felice di vedermi, triste perchè stava male? Si vergognava per avermi detto delle bugie e scappata via nel cuore della notte?

Qualunque sia stato il motivo, in quel momento non mi interessava proprio di nulla. Volevo solo abbracciare mia madre. Stare con lei, darle forza. Non avevo voglia di arrabbiarmi, quando la vidi, con gli occhi gonfi e le lacrime agli occhi, pensai solo al bene che le volevo.

-Non lasciarmi mai più- le sussurrai stringendola a me

-Non lo farò...grazie per avermi trovata, non volevo mi vedessi così.. per questo sono sc..-

-shh... non importa... ora siamo qui, io e te... ed è questo l'importante-

Era davvero quello l'importante. Averla tra le mie braccia, sapere che era viva. Sapevo che stando con lei avrei accettato dolori e avrei dovuto far sacrifici, ma "per amore si fa".

-Ora facciamo le valigie... si torna a casa, mamma- dissi baciandole la guancia

Descrivere mia mamma vorrebbe dire parlare di un uragano in tutta la sua potenza.
(Maya Angelou)

cap23

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Capitolo 24
*** Sei tutto ciò che ho. ***


cap25

Era passato ormai più di un mese da quando mia madre era di nuovo nella nostra casa. Era malata, non l'avevo certo dimenticato e dopo giorni di riflessione decisi di starle accanto. Le spiegai quanto ci tenevo a lei.

-Tesoro, sei l'unica persona che ho al mondo... l'unica che amo... sei la mia vita- disse felice quando le rivelai la mia decisione.

-Mamma, voglio starti vicina e ti voglio bene... - le dicevo sorridendo.

Ma non potevo ignorare l'altra faccia della medaglia. Non potevo dimenticare il fatto che restando in America avrei rinunciato a Leo, Amelie e tutta la mia vita che mi ero costruita. Non fu certamente facile spiegare loro che sarebbero stati in due nell'aereo dall'Ohio per la Francia.

-Ti amo Leo, spero capirai- dissi tra le lacrime il giorno della loro partenza.

Vedere il viso dei miei due compagni grigio come il fumo di una sigaretta mi fece davvero male. Sentii una spada lacerarmi il cuore. Mi sentivo così in colpa.

-Ti amo anch'io... mi mancherai- mi sussurrò lui, abbracciandomi

Amelie poco dopo si aggiunse a quell'abbraccio fatto di amore, amicizia, gioia, tristezza, onestà, sincerità, ricordi. Sentire i loro corpi accanto stretti al mio fu una sensazione meravigliosa e paurosa al tempo stesso. Meravigliosa perchè sentivo i loro sentimenti per me, il loro grande affetto ma al tempo stesso avevo paura. Paura di non poterli rivedere mai più. E se Leo si innamorasse di un'altra? E se mi dimenticassero? E se iniziassero ad odiarmi per averli lasciati partire senza di me? E se cambiassi idea e decidessi per tutta la vita di vivere a Greensburg?

-Amber...- mi sussurrò Amelie prendendomi la mano

-si?-

-Voglio darti questa... è per ricordarti che io ci sarò sempre per te e non dimenticarti mai che anche se siamo lontane i nostri cuori saranno sempre vicini e per qualsiasi cosa tu basta che mi chiami e correrò da te-

Amelie mi porse una collana d'argento con un ciondolo a forma di "A". A come Amelie, A come Amber, A come amicizia.

-Sei la migliore amica perfetta...io ti adoro- dissi commossa indossando la collana

Capii che non li avrei più visti per un bel po' di tempo solo quando arrivò il taxi per l'aeroporto.

Mi era difficile realizzare che avrei vissuto d'ora in poi una vita senza di loro. Ovviamente ci saremmo incontrati spesso, sentiti spesso ma, vivere ogni giorno fianco a fianco alla propria migliore amica o uscire alla sera con il fidanzato, non è come sentirsi su Whatsapp o chiamarsi su Skype. "Perchè deve essere tutto così complicato?" mi ripetevo spesso.

Rimasi affacciata alla finestra a vedere il taxi giallo correre lungo la strada e mi scese un'altra lacrima. Mia madre si avvicinò e appoggiò la sua testa sulla mia spalla.

-Doveva proprio essere bello vivere a Parigi...-

-Bello... bellissimo... intenso...gioioso...- abbozzai un sorriso

-Mi dispiace, amore mio- si sedette sul divano e io la seguii

-Di che stai parlando?!- non capivo il motivo per cui chiedermi scusa.

-E' solo colpa mia se tu ora sei qui a piangere... -

-Mamma... io sono tua figlia ed è importante che io mi occupi di te... la tua felicità è tutto ciò che voglio ora... -

-Non avrei dovuto bere così tanto, mettermi in pericolo... rovinarmi da sola-

-Era colpa mia se ti eri ridotta così... ho commesso sbagli anch'io ... tutti li commettiamo-

-Sei così saggia Amber... -

Ci abbracciammo e in quel momento pensai che avevo davvero preso la giusta decisione. Mia madre aveva bisogno di me e io non potevo tirarmi indietro. Non potevo, ma soprattutto non volevo.

E così cominciarono le visite mediche, i medicinali e le cure. Il medico mi aveva avvertita, era una situazione grave dove non c'erano cure ma la possibilità del trapianto. Ci volle molto tempo, pazienza, affetto per convincere mia madre all'operazione.

I giorni precedenti l'operazione furono per me una gran prova di forza. Mia madre doveva fare molte visite, esami. Mi sorprendeva giorno dopo giorno. Era davvero una donna forte ed io andavo fiera di lei.

-Tieni duro, è quasi finita- le dicevo dopo ogni esame

La sua vita era come un'altalena. C'erano giorni in cui stava talmente bene che voleva persino andare al mare, fare una gita mentre altri in cui non faceva altro che dormire e non aveva nemmeno la forza di parlare. Odiavo quei momenti. Le stavo talmente vicina che ormai provavo molta empatia nei suoi confronti e qualsiasi suo stato d'animo lo percepivo anch'io.

Vederla soffrire procurava in me gran dolore. La notte, quando non mi vedeva piangevo, sola, nel mio letto. Ma di fronte a lei mi ero promessa di darle sempre forza, mostrarle positività e farle coraggio.

-Sei così coraggiosa- mi diceva spesso accarezzandomi la guancia

Io non ci credevo molto, era il mio dovere, il mio cuore mi diceva di farlo. Affrontavamo tutto insieme. Fino a quando arrivò il giorno dell'operazione.


Gli angeli vengono se tu li preghi, e quando arrivano ti guardano, ti sorridono e se ne vanno per lasciarti il ricordo di un sogno lungo una notte, ma che vale una vita. Vivilo in fondo perché lui non torna più.
—  Tiziano Ferro

cap25

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Capitolo 25
*** Niente dura per sempre. ***


cap25

Un anno dopo la data del trapianto...

Mia madre si sta riprendendo, giorno dopo giorno. E' rinata ed io, con lei. La vita di mia madre sta tornando normale, felice e serena. Vorrei poter dire la stessa cosa della mia. Purtroppo ben poco dura per sempre. Durante quest'ultimo anno sono tornata tre volte in Francia. Alla terza ho deciso di non tornare più. O perlomeno non per lo stesso motivo per cui ero tornava le volte precedenti. Se credevo che l'amore tra me e Leo fosse puro, forte, vero... mi sbagliavo alla grande. Dopo pochi mesi la nostra relazione già barcollava. Potrei dare la colpa alla distanza, tanto per lavarmi le mani. Ma dentro di me so che non è stato un continente a lasciarci. Delle volte succede e basta. La prima volta che sono tornata dopo il trapianto, sembrava ancora tutto come prima, com'era sempre stato. Avevo passato una settimana bellissima. Ricordo che era primavera e insieme, io e Leo eravamo andati a Nizza, al mare. Sembrava tutto davvero bellissimo. Troppo bello. Troppo bello, per essere vero ovviamente. Avevamo fatto tanti progetti e mi aveva promesso di venire a trovarmi in America. Promessa mai mantenuta. Quando sono tornata la seconda volta, in occasione del suo compleanno, notavo già che tra noi era cambiato qualcosa. Meno parole, meno confidenza. Eppure a baciarlo sentivo le stesse bellissime farfalle nello stomaco, la stessa voglia di sentirlo tra le mie braccia. Era meraviglioso ma al tempo stesso, quando parlavo con lui avevo paura. Non era più lo stesso Leo ma non volevo ammetterlo. Quando si tiene troppo ad una persona e si hanno tanti bei ricordi insieme si perdona tutto, si diventa cechi. Ma poi ho finalmente aperto gli occhi alla realtà.

Dopo esser tornata in America avevo deciso di parlarne con mia madre e con Dylan. Per noi due ormai, Dylan era uno di famiglia. Pranzavo spesso insieme la domenica e se non potevo aiutare mia madre, lui era sempre disponibile. Parlando con loro del mio rapporto con Leo riuscii a riflettere e a capire molte cose. Mi dovevo svegliare, la scintilla non brillava più. Dovevo lasciare Leo. La nostra relazione mi faceva solo soffrire e non me lo meritavo. Mi riempivo di paranoie, non sentivo nemmeno più la voglia di collegarmi a Skype la sera per parlare con lui. Così, due mesi fa decisi di partire nuovamente per Parigi e di lasciarlo. Non potevo farlo via Internet, mi sembrava triste.

-Hei Amber, non sapevo fossi tornata- disse Leo quando bussai alla sua porta

-Non mi fermerò molto... devo solo parlarti e poi me ne vado- dissi entrando a casa sua

Ad un certo punto sentii una voce a me molto familiare provenire dalla stanza di Leo.

-Leo, chi è?-

Era Amelie. Quando la vidi sbarrai gli occhi e rimasi a bocca porta. Era sulla porta con la camicia aperta e il rossetto sbavato. Quando mi vide ebbe la mia stessa reazione.

-Amber...- disse avvicinandosi a me

-Non mi toccare!- urlai dirigendomi alla porta

-Amber aspetta!- cercò Leo di prendermi la mano per fermarmi ma io ero già corsa verso il cancello

Non amavo più Leo, per lui non mi dispiaceva molto se mi avesse tradita con un'altra. Ma la cosa che mi fece più male fu il tradimento di Amelie. Perchè l'aveva fatto? Tutti i suoi "ti voglio bene" erano solo parole vuote. Il mio cuore si era appena spezzato in milioni di pezzi. Come un puzzle che probabilmente nessuno sarebbe mai più riuscito a ricomporre. Il dolore attraversava completamente il mio corpo, le lacrime rigavano il mio viso e la delusione che sentivo dentro non mi permetteva di essere lucida. Perchè la vita deve essere sempre così dura? Mi merito davvero tutto questo dolore?

Con il tradimento di Amelie e Leo una buona parte di me era completamente morta. Loro, nell'ultimo tempo erano diventati tremendamente importanti per me. Erano la mia forza, mi avevano aiutato a sorridere di nuovo. E proprio loro, che erano fonte esclusivamente di gioie, da quel giorno diventarono per me solo fonte di tristezza, delusione e rabbia. Mi strappai la collana e la gettai nel primo cestino che trovai. Sentivo subito il bisogno di rimuovere il più possibile i ricordi di Leo e Amelie. Fotografie, regali, bei messaggi.

"Mi manchi" scrissi in un sms a Dylan, mentre ero in aeroporto.

"Anche tu bellissima".

Sorrisi leggendo la sua risposta. E' fantastico avere persone che ti vogliono bene. Persone come mia madre e come Dylan. E mentre aspettavo l'aereo per tornare a casa mi resi conto di quanto possa essere bella casa mia. E come al solito, me ne accorgo quando sono lontana. Non mi dispiace più aver perso Amelie e Leo. Certo, all'inizio ammetto fu difficile abituarmi alla loro assenza, ma il dolore se ne poco a poco, se ne sta andando. Leo e Amelie per me rappresentano oggi il passato, "la vita va avanti, Amber", diceva spesso papà. E di questo insegnamento ne ho fatto tesoro.

Noi cercheremo l'amore altrove, solo una cosa rimane sicura, ognuno avrà la propria vita e proprio questo fa paura.   

-L'amore altrove, Francesco Renga e Alessandra Amoroso

cap25


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Capitolo 26
*** Guarda sempre il lato positivo della vita. ***


cap26

Quando arrivai a casa, la prima cosa che feci fu abbracciare fortissimo mia madre. La donna della mia vita, la persona più importante che io conosca.

-Amber... amore mio- disse lei sorridendo

-Mamma... mi sei mancata così tanto-

Le spiegai cos'era successo: scoprire Leo e Amelie insieme, il tradimento. La parte più difficile di tutta quella vicenda però, fu vedere gli occhi tristi di mia madre mentre le raccontavo di quanto "quei due francesini" furono stronzi con me.

-Non ci credo... da loro due non me lo sarei mai aspettata- disse mia madre corrugando la fronte

-Lo so... nemmeno io- abbassai lo sguardo perchè mi era davvero troppo difficile guardare in faccia mia madre. Decisi allora di abbandonarmi tra le sue braccia e riposare nel posto più sicuro per me: vicina al suo cuore.

Più tardi, ricevetti un sms di Dylan: mi chiedeva di uscire per un caffè insieme a Jennifer e altri amici. Accettai e mi venne a prendere verso le cinque del pomeriggio. Raccontai cosa mi era successo e proprio quel giorno capii che solo stando vicini a chi si vuol bene, si guarisce. E' solo l'amore, l'amicizia, solo chi ci vuole bene che sconfigge l'odio.

-Se fossi stata in te gli avrei mollato due sberle a Leo e alla sua "amichetta" beh... meglio che me ne stia zitta!- disse Jennifer con una smorfia di disgusto

-Non ti meritano assolutamente Amber... non devi stare male per loro- mi consolò Dylan

-Dai, stasera ti portiamo a ballare!-

Io ovviamente accettai. Dopo nemmeno un giorno dal mio ritorno in America ero già di buon umore. Avevo forse già dimenticato tutto? Bastava davvero così poco ad essere di nuovo felice?

Beh, se davvero fosse così allora si, la mia storia con Leo era davvero priva di veri sentimenti.

Dopo il caffè, Dylan mi accompagnò a casa.

-Ti vengo a prendere per le dieci... ok?-

-Va bene, grazie mille per oggi- dissi sorridendo e stampandogli un bacio sulla guancia. Dylan ricambiò il mio sorriso e ripartì.

Quando rientrai mia madre già preparava la cena.

-Ciao tesoro!- mi salutò, mentre pesava la pasta

-Buonasera mamma... - dissi saltellando per casa. Ero super felice. Non vedevo l'ora di passare una serata insieme ai miei amici. Rivedere vecchie facce, riallacciare rapporti. Mi sentivo pronta alla vecchia vita. Non parlo del periodo della droga, parlo di quello prima, quando ero semplicemente una ragazza felice, serena, forte. Anzi, mi consideravo anche più forte dopo aver superato tutte quelle difficoltà. Una vita che se pur appartenente al passato era più presente che mai!

-Esci?- mi chiese mia madre vedendomi particolarmente felice

-Eh si mamma... passa Dylan alle dieci... andiamo in discoteca!-

-Oh benissimo... questa è la figlia che voglio! Niente lacrime, quei francesini non meritano proprio la tua minima considerazione!-

-Hai ragione mamma... ti voglio bene- dissi sorridendo

Per l'occasione scelsi un paio di jeans corti e una canotta bianca. Lipgloss rosa e un sorriso così splendente... da fare invidia al sole.

Scendendo le scale, notai mia madre a bocca aperta.

-Sei stupenda bambina mia-

Io sorrisi timidamente e la ringraziai -grazie mamma-

-Gli assomigli così tanto...- sussurrò e le scese una lacrima.

Sapevamo bene entrambe a chi si riferiva. A papà. Era proprio così: ero uguale a lui. Gli stessi occhi, i capelli scuri e lo stesso sorriso timido ma al tempo stesso meraviglioso.

-Mi manca- le dissi abbracciandola

-Ehi tesoro mio... è qui con noi... lo è da sempre... non ci abbandona mai... non dimenticarlo- mi accarezzò la guancia e mi persi nel suo sguardo. Quegli occhi verdi, di una donna che ha perso l'uomo della sua vita, erano tremendamente spaventosi, affascinanti, chi non si sarebbe innamorato di una così?!

Quel momento dolce fu interrotto dallo squillo del mio cellulare: era Dylan.

-Ora vai tesoro... ti voglio bene-

-Te ne voglio anch'io- dissi stampandole un bacio sulla guancia

Le sorrisi per l'ennesima volta chiudendo la porta e lentamente mi avviai verso l'auto di Dylan.

"Arrivi ad un punto in cui devi tirarti su, smettere di piagnucolare e iniziare a vivere"

cap 26

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Capitolo 27
*** Ama ogni singolo minuto della tua vita. ***


cap27

-Sei bellissima- disse Dylan quando montai nella sua auto

In effetti, quella sera mi sentivo davvero meravigliosa. Mi sentivo bene. Non parlo del mio outfit o di com'ero truccata ma parlo di come stavo d'incanto dentro di me, nel mio cuore.

Riallacciare i rapporti con Jennifer e i miei vecchi amici era una cosa che mi stava letteralmente elettrizzando e non vedevo l'ora di arrivare alla festa.

-Grazie Dylan- lo ringraziai sorridendo

La discoteca non era molto lontana da casa mia e infatti, nel giro di venti minuti, eravamo già arrivati. Jennifer e gli altri nostri amici ci stavano aspettando all'entrata. Dylan salutò la sua ragazza con un bacio e guardandoli provai tenerezza e un pizzico d'invidia.

-Amber! Ma ciao! Sei stupenda stasera!- Jennifer corse ad abbracciarmi

-Ehi Jennifer! Anche tu sei proprio meravigliosa!-

-Ah Amber... ti presento Michael, mio fratello. E' appena tornato da Chicago! Sei rimasta l'unica a non conoscerlo!- disse Jennifer

"Wow" apprezzai fra me e me. Michael era proprio carino. Cavolo, mi sono appena lasciata e già penso ad altri ragazzi?! Mi venne in mente Leo, poi Amelie, poi ciò che avevano fatto. Così non sentii alcun bisogno di dar loro conto dei miei pensieri e delle mie azioni perciò al diavolo questi problemi!

-Ciao- disse sorridendo Michael. I suoi capelli biondi rispendevano alle luci dei lampioni di fronte la discoteca. Di certo non fu un'incontro romantico ma pazienza, l'immaginazione avrebbe lavorato un po'!

-Piacere, Amber- ricambiai il sorriso e insieme agli altri, entrammo.

Io e Michael passammo la serata a ballare e chiaccherare. Beh, chiaccherare in discoteca non è mai stato facile ma in un modo o nell'altro, riuscivamo a capirci.

Era proprio una brava persona e mi stava davvero simpatico. Delle volte mi scappava da ridere quando Jennifer e Dylan ci guardavano e ci divevano che "stavamo proprio bene insieme".

Come se io e lui già fossimo innamorati. A differenza di molte persone, anche se la mia storia con Leo era finita decisamente molto male, avevo ancora voglia di amare qualcuno.

E chissà, magari quella di Michael, sarebbe stata un'ottima occasione. Ma per quella sera lì, volevo comunque pensare solo a divertirmi. Rincontrai inoltre, vecchi amici delle medie e del liceo.

Bevetti solo un bicchiere di alcool e mi sentii fiera di me. Avevo imparato la lezione. Avevo imparato ad essere forte ed ora nessuno poteva fermarmi.

Erano le tre e io e Dylan tornammo a casa. Salutai tutti e in modo particolare Michael.

-Ho passato proprio una bella serata, Michael- gli dissi con un sorriso

-Anche io- fece lui e mi baciò sulla guancia.

Chiusi per un attimo gli occhi. Volevo tenere viva e ben impressa nella mente quella sensazione. Sentirmi così meravigliosamente bene, felice e strabiliante. Se avessi potuto dare un colore a quella sensazione beh... sarebbe stata un'esplosione d'oro!

Quando tornai a casa mia madre già dormiva. Quella notte mi addormentai col sorriso, era ovvio.

La mattina mi ritrovai una sorpresa nel cellulare: sms da numero sconosciuto.

"E' stata una serata favolosa, spero di rivederti. Michael"

Dentro di me suonavano le campane. Ero troppo felice. Un "buongiorno" meraviglioso. Ma cos'ho fatto mai per meritarmi tutto questo?!

Dopo essermi vestita scesi giù a fare colazione.

-Ciao Amber guarda qua... ti ho preparato i pancakes che ti piacciono tanto!-

-Oddio mamma grazie! Buongiorno!-

-Com'è andata ieri sera?-

-Bene anzi, direi benissimo! Ho conosciuto il fratello di Jennifer. Si chiama Michael! Ha appena finito gli studi a Chicago ed ora è tornato a Greensburg!-

-Oh... e com'è? Carino?- mi fece mia madre, strizzando l'occhiolino

-Direi proprio di si... assomiglia molto alla sorella- sorrisi

La nostra conversazione venne interrotta dal suono del campanello.

-Aspettavi qualcuno?- chiesi io a mia madre

-No, non mi pare...-

-Vado ad aprire allora!-

Mi diressi all'entrata e chiesi chi fosse.

-Sono John Dièz, Amber Tallish vive qui?-

Prima che io rispondessi, sentii i piatti della colazione che mia madre teneva tra le mani, cadere a terra.

OK, questa è la mia vita.
E desidero che tu sappia che sono felice e triste al tempo stesso, e che sto ancora cercando di capire come ciò sia possibile.
—Charlie, Noi siamo infinito.

cap27

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Capitolo 28
*** Il passato sa tornare a galla. ***


cap28

Mia madre corse alla porta. Non ci capivo nulla. Chi diavolo era John Dièz? E perchè mia mamma era così nervosa, preoccupata, strana?

Guardai prima mia madre, poi John Dièz. Sembrava si conoscessero piuttosto bene. I loro sguardi non erano sorpresi, come se aspettassero questo momento da molto tempo.

-Beh, allora si... tu sei Amber- disse lui rivolgendomi uno sguardo più tranquillo

-Si... ma... chi è lei?- ero davvero curiosa. Il suo nome non mi era affatto familiare. Il suo viso non mi ricordava nessuno, eppure mia madre lo conosceva. Ne ero certa.

-Non le ha detto niente, signora?- disse John rivolgendosi a mia madre

-Allora? Mi spiegate?!- dissi io

Lasciammo entrare John Dièz e ci sedemmo a tavola. Mi doveva parlare: era qualcosa di serio, me lo sentivo. Qualcosa di importante che mia madre sembrava volesse nascondermi.

-Che sta succedendo?!- quasi urlai, ero giustamente agitata

-Avresti dovuto dirglielo, sapevi che prima o poi questo momento sarebbe arrivato... prima o poi sarei tornato- fece Dièz a mia madre in tono severo

-Signorina Tallish, forse non sa che la sua partenza per la Francia ha portato molte conseguenze che forse, nemmeno lei aveva calcolato- disse poi, rivolgendosi a me

-Di che sta parlando?- cercai risposte negli occhi di mia madre

-Amber, tesoro, quando sei partita, nessuno sapeva dove tu fossi. Io ti ho cercata a lungo come ben sai, in tanti l'abbiamo fatto. L'ha fatto ovviamente anche la polizia-

-Lo so... e quindi?-

-La polizia, mentre ti cercava, ha scoperto anche altre cose su di te... su di noi, riguardanti il nostro,il tuo...passato- mia madre era molto seria ma ora i suoi occhi sembravano sinceri e determinati

-Cose... del tipo?- chiesi anche se avevo già capito di che "passato" si trattava. Un "passato" che era tornato di nuovo a galla, ma che presto ero certa, avrei di nuovo sconfitto. Mi ero rialzata e non avevo nessuna intenzione di cadere ancora.

-I rapporti con molti spacciatori... attività illegali, furti-

-Ma per queste cose sono già stata processata mamma... che cosa centra tutto questo con quest'uomo?-

-Secondo la legge non hai ancora scontato la tua pena...- disse in tono secco John Dièz

Rimasi a bocca aperta. Che significava? Cavolo, questa non ci voleva. Perchè la vita deve essere così dannatamente complicata? Stava andando tutto così fottutamente bene. Stavo vivendo un meraviglioso presente, perchè il passato deve sempre vincere?!

-Lo so tesoro, avrei dovuto dirtelo... ma non trovavo le parole giuste-

-Ok, sarò sincero e non la tirerò per le lunghe, sono un assistente sociale mandato dalla polizia di Greensburg. Quando Lei se ne era andata a Parigi, noi abbiamo contattato sua madre poichè, signorina Tallish, Lei doveva scontare ancora una parte della sua pena. ... non si tratta di carcere stia tranquilla... Lei dovrà occuparsi per sei mesi della città... si tratterà di un lavoro per il bene della cittadina che ogni ragazzo sotto i 21 anni deve compiere quando commette reati come i suoi signorina Tallish, è la legge e seppure so benissimo quanto Lei sia cambiata e quanto tempo è passato, Lei come tutti deve rispettarla ed il mio compito sarà fargliela rispettare- disse l'uomo porgendomi dei documenti

Rimasi a bocca aperta. Non mi era nuova l'attività del "mostriamo quanto sappiamo essere utili alla città". Non era la prima volta che dovevo sottostare agli ordini di qualche assistente sociale ma cavolo, proprio adesso non ci voleva. Stava andando tutto così bene. Guardai mia madre sconfortata e trovai nei suoi occhi un po' di coraggio. Firmai le carte per l'adesione con l' amaro in bocca.

John Dièz andò via poco dopo.

Quando l'uomo uscì dalla porta, guardai mia madre con le lacrime agli occhi.

-Sono stanca- dissi correndo in camera mia

Di nuovo, il mio "passato" si stava prendendo gioco di me.

Mi buttai a letto, in lacrime. Meritavo davvero tutto questo? Le cose stavano andando così bene, dovevo immaginare che qualcosa mi avrebbe di nuovo sconvolta. Mia madre venne a bussare alla mia porta.

-Piccola, su... ho sbagliato a non dirti nulla... avrei dovuto essere sincera-

-Mamma per favore, lasciami sola- le pregai nascondendo la testa sotto le lenzuola

Mia madre entrò e si avvicinò a me. Sentivo il suo profumo, il suo meraviglioso profumo.

-Mi dispiace- disse poi stendosi accanto a me

-Dovevo immaginarlo... stava andando tutto troppo bene- dissi asciungando le lacrime

-Tesoro, si tratterà solo di alcuni mesi-

-Lo so, ma mi fa comunque male pensare di dover far di nuovo i conti con i miei sbagli-

-E' la vita, non possiamo farci niente. Ma vedrai che superato questo non capiterà più di avere a che fare con queste cose. Ti conosco Amber, sei cresciuta e sei maturata. Ora hai imparato la lezione, sei cambiata-

-Mamma, ti voglio bene- dissi abbracciandola

Sapeva sempre cosa dire. Ma come faceva a essere così stupenda?

-Dai, adesso asciughiamo queste lacrime e andiamo a fare la spesa- fece mia madre con un sorriso.

"Ce la farò anche questa volta. Ormai sono una campionessa nel superare le difficoltà", pensai tra me e me.


Vorrei ricordassi tra i drammi più brutti che il sole esiste per tutti.
—  Tiziano Ferro, il sole esiste per tutti

cap28

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Capitolo 29
*** Mi piacciono i tuoi occhi, dentro c'è il mio lieto fine. ***


capfinale

Un anno dopo...

-Mamma, sei pronta?! Dylan è arrivato a prenderci! - chiamai dal piano di sotto mia madre. Lei era ancora in camera sua a sistemarsi i capelli. Eravamo in ritardo. Il matrimonio del fratello di Jennifer e Michael non ci avrebbe di certo attese.

Ebbene si, ero tra gli invitati: Zac ormai, era diventato mio "cognato". Io e Michael ci eravamo fidanzati e da quando ci eravamo conosciuti la mia vita si faceva sempre più bella.

Era passato un anno da quando John Dièz bussò alla mia porta. Ed erano sei mesi che avevo finito di pulire le strade della mia città sotto ordine dei servizi sociali. In certi momenti credetti davvero di non farcela, di arrendermi. Di mandare tutto al diavolo. Ma con Michael al mio fianco, riuscii a superare tutto. Michael è tutt'oggi la mia forza.

-Tesoro, che dici?! Come sto?- disse mia madre scendendo le scale

Era bellissima, rimasi a bocca aperta. I suoi capelli tenuti sciolti scendevano sulle spalle in modo splendido e il suo vestito rosa avrebbe fatto invidia a qualsiasi donna a quel matrimonio, ne ero certa.

-Sei stupenda, mamma- le dissi facendole l'occhiolino

-Grazie amore! Anche tu! Questo vestito ti dona un sacco!- fece lei indicando il mio abito blu.

Ineffetti mi sentivo proprio una principessa. Una regina, azzarderei. Dopo tutto quello che avevo passato, ora mi sentivo una vera donna. Pensai per un attimo a com'ero un anno fa e a come ero cresciuta. Mi scappò un sorriso per la soddisfazione. Avevo stima di me stessa, ero orgogliosa di chi ero diventata. "Amber, sii felice di chi sei. Sei cambiata e questo lo vedi solo a te stessa" ripensai alle parole di Michael quando mi vide piangere per la prima volta. Quella volta capii veramente che lo amavo e provai la meravigliosa sensazione di sentirsi amati.

-Ora andiamo!- mi disse mia madre prendendo le nostre borsette e il regalo per gli sposi.

-Buongiorno principesse!- ci salutò Dylan facendoci salire in macchina

-Ciao Dyl!- dicemmo in coro, io e mia madre

-Allora, pronte per una bella abbuffata?!-

Io e mia madre annuimmo ridendo.

-Dov'è la chiesa?- chiese Dylan

Mia madre diede indicazioni al nostro fantastico autista e partimmo.

Arrivo puntali, per fortuna. Odiavo essere in ritardo anche se spesso mi succedeva. Appena mi vide, Michael mi salutò con un bacio.

-Tesoro, sei bellissima! Salve signora Tallish!- mi disse guardandomi negli occhi e poi salutò con un bacio sulla guancia mia madre che gli sorrise felice. Le piaceva molto Michael e non potevo che essere contenta di ciò, dopo tutte le brutte facce che le avevo fatto conoscere, finalmente uno, come diceva lei, "buono"!

-Anche tu, Michael!-

Quel ragazzo era proprio il mio principe. Sentire il suo corpo stringere il mio, mi faceva battere il cuore fortissimo. Solo un'altro uomo amavo allo stesso modo, ma quest'uomo purtroppo non lo potevo avere con me. Era lontano, lontanissimo. Oltre questo cielo. Era il mio papà, il mio re che ero certa, in quel momento pensava le stesse cose che mi aveva appena detto il mio ragazzo.

-Forza entriamo, Zac è già dentro e Claire arriverà a momenti!- fece Michael facendoci entrare in chiesa. Ci accomodanno accanto a Jennifer e Dylan.

Poco dopo, entrò la vera protagonista di ogni matrimonio: la sposa. Claire era meravigliosa. Indossava un abito bianco a sirena che le risaltava il suo fisico perfetto. Rimanemmo tutti a bocca aperta e Zac sembrava quasi avesse gli occhi a cuoricino.

-E' davvero bellissima- mi sussurrò mia madre

-Concordo!- risposi io

Io e Michael ci guardammo negli occhi e ci sorridemmo.

-Un giorno lo sai, vero, che ti farò attraversare anche a te questa chiesa in un abito come quello di Claire?!- mi fece il mio fidanzato

A quelle parole mi scese una lacrima per la commozzione.

-Ti amo- sussurrai a Michael

Quando la cerimonia terminò andammo tutti al ristorante per festeggiare i due sposi. Fu una festa memorabile: l'ambiente era stupendo, un giardino grandissimo, la piscina, una torta enorme e buonissima, tante lacrime di gioia e risate a volontà. Michael fece anche un discorso per il fratello. Parlò anche di me dicendo a tutti che da lì a poco mi avrebbe sposata. "Speriamo" pensai io.

Quella giornata, ora che ci penso, è una delle più belle della mia vita. Sono felice di essere Amber Tallish. Sono orgogliosa della vita meravigliosa che sto vivendo, di tutto ciò che ho passato e che ho superato. Mi sono trovata in difficoltà, sono caduta ma mi sono sempre rialzata. Sono una donna, una donna forte. Forte più di prima.

FINE

Sono gli anni più duri, ma dicono i migliori

-Chiara, Straordinario

capfinale

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