Sarai sempre con noi

di _Riri_Sunflower_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** George ***
Capitolo 2: *** Angelina ***
Capitolo 3: *** Neville ***
Capitolo 4: *** Hermione ***
Capitolo 5: *** Ron ***
Capitolo 6: *** Minerva ***
Capitolo 7: *** Arthur ***
Capitolo 8: *** Molly ***
Capitolo 9: *** Lee Jordan ***
Capitolo 10: *** Ginny ***
Capitolo 11: *** Harry ***
Capitolo 12: *** Luna ***



Capitolo 1
*** George ***



"Harry Potter è una storia di magia e crescita,
sia da un punto di vista fisico che emotivo.
Non mi sorprende che la serie abbia ottenuto un successo strepitoso."
-Robin Williams (1951 - 2014)


 

Un altro giorno era cominciato. Come tutte le mattine mi alzai dal letto e scelsi accuratamente i vestiti che avrei dovuto indossare. Mio figlio era a Hogwarts, tra poche settimane sarebbe tornato a casa ed ero più che pronto a sentire cosa gli fosse capitato durante l’anno.
Mia moglie stava già preparando la colazione, si sentiva il profumo dalle scale. La raggiunsi in cucina, salutando prima la mia piccola Roxanne e mi sedetti accanto a lei per fare colazione.

«Papà, come mai non sei dallo zio Fred?» La domanda rivoltami da mia figlia fece scattare qualcosa nella mia testa. Mi alzai di scatto dalla sedia, guardai il calendario appeso sulla parete della cucina e notai solo allora che giorno fosse: erano passati esattamente 17 anni da quella notte e io ero così sovrappensiero che non mi ero reso conto che fosse già il 2 maggio. Ero così sovrappensiero che mi stavo dimenticando della persona che per vent’anni mi era stata affianco.
«Volevo prima fare colazione con le mie donne.» le risposi sorridendo, mentre controllavo di avere la mia bacchetta nella tasca dei pantaloni.
«Vuoi che mando un gufo a Ron per avvertirlo del tuo ritardo?» Angelina sapeva che quel giorno era molto tragico per me, sapeva che di solito non volevo avere contatti col mondo prima di essermi sfogato. Scossi la testa, sperando che mio fratello minore ricordasse che giorno fosse.
«Roxanne, vai in camera a prepararti: ti porto dalla nonna.» Sentii chiaramente mia moglie sollecitare nostra figlia, dandoci un po’ di tempo per parlare.
«Non è da te non…»
«Non l’ho dimenticato!» la interruppi. «È solo che… questi giorni sono passati così in fretta.» mi giustificai, ed era vero. Ultimamente ero svogliato, mi trascinavo a lavoro a fatica. Tutto era molto monotono.

Salutai Angelina e mi Smaterializzai da casa mia, per Materializzarmi a Godric’s Hollow. Ero davanti al cancello del cimitero, le gambe che mi tremavano. Avanti, George! Non è la prima volta che vieni a trovare tuo fratello. Il sole di quella mattina di maggio splendeva già alto nel cielo, illuminando tutta la via. Aprii il cancelletto ed entrai, calpestando l’erba appena cresciuta; i miei piedi conoscevano perfettamente il percorso e presto mi ritrovai davanti la sua lapide.
«Ciao Freddie.» Mi accovacciai, sfiorando con le dita le lettere che componevano il suo nome.
«Sono in ritardo, hai ragione. Non mi ero reso conto di che giorno fosse.» Diciassette anni… ricordavo quella notte fin troppo bene. Quando mi ero reso conto che Fred era a terra, senza vita, avevo abbandonato immediatamente la battaglia per stargli vicino.

Calde lacrime iniziarono a rigarmi il volto, appannandomi lievemente la vista. Mi asciugai le guance con il dorso della mano, cercando di arrestarle prima di ritrovarmi a piangere come un bambino piccolo che ha perso il suo giocattolo preferito.
Ci provavo tutte le volte, ma era più forte di me. Per i primi mesi dopo la sua morte ero parecchio irascibile: se non fosse stato per la mia famiglia, avrei passato giorno e notte su questa lastra di marmo.
«Sai, sta per concludersi il primo anno a Hogwarts di Fred. Sono curioso di sapere cosa è cambiato da quando la frequentavamo noi…» Davanti a me si formarono di nuovo le immagini della battaglia.

 
*** Flashback ***
Eravamo nella Sala Grande, i tavoli erano stati spostati per far posto ai corpi freddi di tutti i maghi e le streghe. Avevo trasportato il corpo di mio fratello in braccio, gli occhi umidi in procinto di far sgorgare tutte le mie lacrime.
Mia madre mi vide immediatamente: un urlo squarciò il cielo, richiamando l’attenzione di molti. Posai a terra il corpo freddo di Fred, rimanendo al suo fianco. Capii che i miei genitori mi avevano raggiunto quando sentii i loro singhiozzi farsi più forti.
***

«Credo abbiano istituito un giorno della memoria a Scuola. O per lo meno, spero l’abbiano fatto.» Il volto sorridente di Fred nella foto era contagioso per chiunque. Mi ritrovai a sorridere, nonostante il dolore fosse immenso.
«Mi manchi Fred, tanto. I nostri fratelli non potranno mai capire cosa provo io. È vero, anche loro ti hanno perso, ma quante ne abbiamo passate insieme? Facevamo sempre disperare la mamma quando ci invertivamo i ruoli, provavamo i nostri incantesimi su chi ci stava antipatico… sapevi sempre cosa pensavo, terminavi le mie frasi, davi voce ai miei pensieri! Sfido qualsiasi altro fratello a fare queste cose…»

Mi appoggiai con la schiena alla lapide, buttando fuori tutta l’aria che avevo nei polmoni. Approfittai di quel silenzio per rimettere in ordine le idee, cercando le parole giuste per concludere questa mia visita. Mi passai entrambe le mani nei capelli corti, tirandoli appena: avrei voluto strapparli, urlare di dolore, insultare quel Mangiamorte infame che aveva deciso di porre fine alla vita del mio fratello gemello. Nascosi la testa fra le ginocchia, tremanti di rabbia, aspettando il tempo necessario per far passare quel momento di vulnerabilità estrema.

Rimasi in quella posizione per secondi, o forse per minuti, ma a me sembravano un’eternità… Sollevai la testa e fui costretto a chiudere gli occhi per abituarmi alla luce del sole. Appena riuscii ad aprirli senza che i raggi solari mi dessero fastidio. Mi spostai leggermente, in modo che potessi guardare in faccia mio fratello, quel migliore amico che nessuno avrebbe potuto sostituire.
«Fred, da diciassette anni sento la tua mancanza, una parte di me è sparita nel nulla. Non sai quante volte mi sono svegliato nel cuore della notte piangendo e urlando il tuo nome: ero uno straccio. La nostra stanza era improvvisamente troppo grande per me. Pochi mesi dopo la tua morte ho iniziato a dormire sul divano… So che ti stai chiedendo perché non te l’ho detto prima, ma non lo ritenevo importante. Da una parte l’ho fatto anche per la mamma: ogni volta che entrava lì dentro per fare un incantesimo che sistemasse il caos, si metteva a piangere, ricordando le nostre risa.»

Fui costretto a fare una pausa: la voce mi tremava, mi sentivo la gola secca, la lingua era impastata e mi rendeva incapace di parlare. Controvoglia mi alzai e diedi un ultimo sguardo alle date incise sul marmo. Nuove lacrime incombevano minacciose, nonostante cercassi in ogni modo di non farle scivolare sulla mia pelle. Non volevo che il mio fratello preferito mi vedesse in quello stato.
«Al negozio, quello che abbiamo aperto insieme, ho appeso una nostra foto sopra la cassa, in modo che nessuno possa dimenticarsi di te. Sarà meglio che vada, prima che Ron faccia qualche disastro in mia assenza.» Una risata mi uscì dalla gola, per smorzare la tensione e la tristezza che incombevano sulla mia testa. Prima di andarmene mi guardai intorno, nonostante sapessi che nessuno andava a far visita ai propri parenti e amici defunti in pieno giorno.

«Tornerò presto a trovarti, te lo prometto. Adesso sono costretto ad andare, ma sai meglio di chiunque altro che sei sempre nei miei pensieri. Ciao Fred, trova il modo di divertirti, ovunque tu sia.»




********* Angolo autrice *********
Mai avrei pensato di cominciare una nuova storia su questo fandom, eppure eccomi qui.
Questa sarà una raccolta molto triste, in quanto ogni personaggio ricorderà con affetto Fred Weasley.
L'idea di questi pensieri mi è venuta dopo aver guardato un video-lettera di George, che "comunicava" col fratello 19 anni dopo la sua morte.
Per questo devo ringraziare Aeternum, che non solo mi ha fatto vedere il video, ma mi ha anche ispirato l'intera raccolta.

 

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Capitolo 2
*** Angelina ***


 
Avevo appena finito di pettinarmi e mi stavo appuntando i fermagli che mia madre mi aveva prestato per l’occasione. Non avevo ancora indossato il mio abito da sposa perché non volevo rovinarlo; volevo che tutto fosse perfetto, nonostante sapessi che c’era un particolare che non rendeva il mio matrimonio da catalogo.
Bussarono alla mia porta e sentii la maniglia abbassarsi: la mia migliore amica Alicia entrò sorridente, pronta a sostenermi moralmente. Il suo abito azzurro le stava a pennello, facendo risaltare il suo corpo perfetto.

«Come sta la mia futura sposa?» domandò abbracciandomi. Ricambiai quel gesto d’affetto, prima di tornare a guardare fuori dalla finestra della Tana. Gli invitati stavano chiacchierando fuori dal tendone, vedevo Ron ed Harry avvicinarsi alle loro fidanzate, baciarle e prendere posto sulle poltroncine bianche con un nastro azzurro.
«Sto bene, credo.» Mi strinsi nella mia vestaglia, chiedendomi come mai non vedevo Molly Weasley agitarsi tra amici e parenti.
«Perché George non ha voluto testimoni? Sono più che certa che uno dei suoi fratelli non avrebbe rifiutato.» Alicia non era a conoscenza di quella decisione del mio fidanzato. Sospirai, avvicinandomi al manichino su cui era stato messo il mio abito da sposa; la cerimonia stava per cominciare e io non ero neanche vestita. La mia migliore amica e compagna di squadra di Quidditch mi aiutò a prepararmi, mentre le spiegavo il motivo di quella decisione che aveva suscitato scalpore nelle nostre famiglie.
«Ti ricordi di Fred, il suo gemello?»
«Quello con cui ballasti durante il Torneo TreMaghi?» Feci di sì con la testa; il suo silenzio subito dopo mi fece capire che dovevo proseguire con il racconto.
«Fred e George avrebbero fatto qualsiasi cosa assieme, addirittura l’uno per l’altro. Dalla notte della battaglia di Hogwarts, George sente molto la sua mancanza. Qualche sera fa mi confessò che, quando entrambi si sarebbero sposati, l’uno avrebbe fatto da testimone all’altro. È per questo motivo che abbiamo deciso di non averne, non mi… non ci sembrava corretto nei suoi confronti.»

Ero pronta, dovevo solo scendere le scale e camminare tra gli invitati verso il mio futuro marito. Amavo George, ma avevo amato anche Fred in passato. La sua morte mi sconvolse molto, piansi per ore intere quando scoprii che Rookwood lo aveva ucciso. Proprio poco dopo avermi salvato.
Sospirai, mentre la mia amica finiva di aiutarmi con l’abito; adesso tutto sarebbe cambiato nella mia vita e non me ne pentivo. Feci un cenno con la testa ad Alicia e iniziò a camminare davanti a me, io subito dietro. Vidi George guardarmi e sorridere: al contrario di me, non sembrava agitato; era abbastanza tranquillo, ma forse cercava di non impazzire davanti a tutti gli invitati. Alicia si fermò alla mia sinistra, mi prese il bouquet e si sedette. Non sentivo Molly piangere e la cosa mi preoccupava, finché non la vidi perfettamente immobile accanto a suo marito.
«Ho dovuto pietrificarla. Appena sarà tutto finito la libero dall’incantesimo.» mi confessò George sottovoce mentre prendeva la mia mano nella sua. Dovetti trattenermi dallo scoppiare a ridere, e fu proprio in quel momento che mi sembrò di vedere Fred in fondo al tendone.

Era impeccabile nel suo smoking, il sorriso furbo che sembrava stesse nascondendo qualche marachella, gli occhi vispi e attenti si guardavano intorno, cercando qualcuno in particolare. Sapevo che lui non poteva essere lì, lo avevo visto con i miei stessi occhi e suo fratello gemello era davanti a me che mi sorrideva al suo stesso modo.
Sentii la mano di George stringere la mia, quasi a risvegliarmi da quel sogno a occhi aperti. Aveva lo stesso sorriso che avevo visto su Fred, lo stesso sguardo. E se fosse sempre George? No, non poteva essere… Lo avevo visto benissimo, era davvero Fred. Non sapevo come avessi fatto a riconoscerlo, ma qualcosa dentro di me diceva di fidarmi del mio istinto.

La cerimonia finì in fretta, George e io eravamo sposati. Lo vidi avvicinarsi alla madre, estrarre la bacchetta dalla tasca della giacca e pronunciare alcune parole sotto voce, rompendo l’incantesimo che le aveva lanciato prima del matrimonio.
Le mie compagne di squadra approfittarono di quel momento per sommergermi di congratulazioni e abbracci, proprio un attimo prima che la mia nuova famiglia iniziasse a chiedermi speranzosi quando sarebbe arrivato il primo figlio.

Passammo il resto della giornata a festeggiare e quando alcuni invitati iniziarono ad andare via, cercai un posto tranquillo per parlare con mio marito.
«Angelina, va tutto bene?» Si leggeva in faccia che avevo qualcosa che non andava; avevo cercato di mantenere un’espressione felice per tutta la giornata, ma adesso dovevo parlare con qualcuno.
«Mi è sembrato di vedere Fred, prima.» sussurrai cercando di non apparire troppo sconvolta e spaventata. Alzai lo sguardo su mio marito e vidi sorpresa e sgomento nei suoi occhi: stentava alle mie parole, ma sapeva meglio di me quanto potesse sembrare reale una visione del genere.
«Avrei voluto che fosse qui, oggi. Non ti preoccupare, a volte mi sembra di averlo accanto e…» Non riuscì a terminare la frase, ma avevo perfettamente capito a cosa si stesse riferendo. Hermione e Ron ci avevano raggiunto, richiedendo la nostra presenza per quei pochi familiari che erano ancora alla Tana.

Quando finalmente riuscimmo ad andare nella nostra stanza senza parenti e amici intorno, parlammo nuovamente di quella specie di visione che avevo avuto.
«Credimi George, era così reale… Avrei voluto abbracciarlo e dirgli che mi dispiaceva non aver potuto fare di meglio durante la battaglia, non averlo potuto salvare…» Sentii le sue mani sui miei fianchi, i capelli che mi solleticavano la guancia.
«So cosa hai provato. Ogni giorno mi sveglio sperando che la sua morte sia solo un incubo.»
«Domani andiamo a Godric’s Hollow? Ho… Ho voglia di salutarlo…» Le mie parole lo fecero allontanare per un attimo dal mio corpo, sentivo i suoi occhi azzurri fissarmi.
«Certamente, non preoccuparti. Domani mattina ci Materializzeremo lì e poi partiremo.»

Passai gran parte della notte a pensare cosa avrei potuto dire a quella lapide di marmo, a quel ragazzo che avevo amato per un periodo della mia vita. I miei occhi fissavano il soffitto buio della stanza; George che russava appena al mio fianco. Scostai le coperte dal mio corpo facendo attenzione a non svegliare mio marito, mi avvicinai alla finestra e guardai le stelle che brillavano nel cielo.
Molte volte, dopo quella tremenda notte a Hogwarts, mi svegliavo di soprassalto nel cuore della notte urlando. Il ricordo faceva troppo male: ero tornata appositamente al Castello per combattere quella guerra contro Voldemort, lanciando incantesimi ovunque contro i Mangiamorte che cercavano di ammazzare i miei amici. In un momento di distrazione Rookwood tentò di uccidermi, qualcuno bloccò la maledizione e, un istante dopo, Fred era a terra, morto.

Mi asciugai rapidamente le lacrime che rigavano il mio volto e fu allora che lo vidi: in mezzo al prato circostante la Tana, Fred mi sorrideva. Rispetto a quella mattina, adesso indossava dei pantaloni chiari e una camicia, le mani in tasca e quei capelli rossi che parevano un fuoco acceso nella notte. Posai la mano destra sul vetro della finestra e mi avvicinai un po’ di più, cercando di vedere meglio il gemello di George.
Quel sorriso mi aveva rapito più volte, in particolar modo durante il Ballo al Torneo TreMaghi. Lo vidi passarsi una mano tra i capelli, alzare gli occhi verso la finestra in cui stavo e fare un gesto con la mano per salutarmi, prima di andarsene chissà dove, lontano da tutti.

Consapevole del fatto che quello fosse solo un sogno a occhi aperti, tornai a letto e chiusi gli occhi, col pensiero che Fred, anche se non fisicamente, sarebbe stato sempre con noi.

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Capitolo 3
*** Neville ***


 
Avevo passato l’intera notte a girarmi e rigirarmi nel letto, agitato per quello che sarebbe stato il mio primo giorno di lavoro. Alla fine, stanco per non esser riuscito a chiudere occhio, mi ero alzato e avevo guardato il sole sorgere dalla finestra della mia stanza. Mi avrebbero presentato come il nuovo professore di Erbologia subito dopo l’arrivo degli alunni del primo anno al Castello. La professoressa Sprite era stata davvero gentile nel raccomandarmi come suo sostituto non appena fosse andata in pensione.

Dopo aver preparato lo stretto necessario per quella sera, iniziai a fare un giro per il Castello ancora deserto. Era appena mezzogiorno, mancavano ancora molte ore alla cerimonia di smistamento nelle quattro Case.
Era strano che i corridoi così silenziosi, ero abituato a sentire il chiacchierio degli altri maghi sulle scale a cui “piace cambiare”. Ricordando questo aneddoto, mi fermai a metà di una rampa e aspettai paziente che si muovesse. Sentivo i quadri dietro di me borbottare, chiedendosi se fossi fuori di testa o cosa.

Camminai per tutti i corridoi del Castello, scambiando quattro chiacchiere con Nick-quasi-senza-testa; finii per sbaglio nel bagno di Mirtilla Malcontenta e cominciò a riempirmi di domande, costringendomi a scappare dopo appena cinque minuti.
Quando tornai nella mia stanza, controllai ancora una volta se fosse tutto pronto per quella sera e la prima lezione del giorno dopo: la professoressa Sprite mi aveva lasciato tutti i suoi appunti su ciò che aveva già fatto con gli alunni che aveva avuto fino all’anno prima, dandomi così la possibilità di cominciare da zero con quelli del primo anno. Controllai nuovamente l’orario che mi avevano consegnato: alla prima ora avrei avuto i ragazzi del terzo anno di Grifondoro e Tassorosso.

Non mancava molto all’arrivo di tutti gli alunni, così iniziai a prepararmi per la cena e mi diressi nella Sala Grande. Appena ci misi piede mi venne un nodo alla gola: ricordai il mio primo giorno a Hogwarts, l’ultimo giorno del primo anno quando, grazie a me, Grifondoro vinse la Coppa delle Case. Purtroppo, il ricordo più vivido era quello della notte della battaglia, Madama Chips che correva da una parte all’altra per curare i feriti, i morti che aumentavano in continuazione… senza rendermene conto, mi vennero in mente i volti dei miei amici appena mi comunicarono che uno dei fratelli di Ron era morto.
Feci appello a tutte le mie forze e mi diressi al tavolo degli insegnanti con passo spedito, superando lo sgabello su cui si sarebbero seduti i nuovi arrivati un attimo prima di essere smistati nelle Case.

«Hagrid! Che bello rivederti.»
«Neville. Oh, scusa… Professor Paciock. Dovrò abituarmi a vederti seduto a questo tavolo.»
Parlai con Hagrid e altri miei vecchi professori, raccontando cosa avevo fatto dopo il mio ultimo anno da studente. Proprio mentre stavo per dire loro qualcosa sui miei amici, vidi con la coda dell’occhio gli alunni dal secondo al settimo anno fare il loro ingresso nella Sala Grande, prendere posto ai rispettivi tavoli e iniziare a chiacchierare ad alta voce, creando confusione.

Guardai al tavolo dei Grifondoro e il respiro mi si mozzò in gola: c’era seduto tra quelli del terzo anno un ragazzo dai capelli rosso vivo, esattamente come quelli del mio amico e compagno di corso Ron. Mi avvicinai ad Hagrid richiamando la sua attenzione; volevo sapere chi fosse quel ragazzo così simile ai componenti della famiglia Weasley.
«Hai notato anche tu il rosso, vero?» mi domandò cercando di indovinare dove guardassero i miei occhi. Feci di sì con la testa, attendendo qualche informazione in più su quel ragazzo.
«È del terzo anno. Un Weasley, ovviamente! Quello è il colore tipico di quella famiglia. Se non ricordo male, è il figlio di George.» Per la seconda volta nel giro di mezz’ora, mi mancò il fiato in corpo: rammentai che Harry mi aveva detto qualcosa a proposito del figlio di George, ma in quel momento ero troppo sconvolto per ricordare anche solamente il nome.
«Non ricordi come si chiama?» domandai speranzoso, mentre cercavo di ricordare come si chiamasse uno dei nipoti di Ron.
«Fred Weasley Junior. Nessuno di noi si dimenticherà tanto facilmente quel nome.» Mi voltai verso la Professoressa McGranitt, sobbalzando perché non l’avevo sentita arrivare.
«Quel ragazzo porta il nome di un mago che si è sacrificato per salvare tutti noi… Dovrebbe esserne orgoglioso.» mormorai a voce bassa. Fummo costretti a interrompere il discorso: erano appena arrivati i ragazzi del primo anno, chi terrorizzato e chi curioso dell’ambiente circostante.

Tra i nuovi alunni di Hogwarts c’erano Rose Weasley e Albus Severus Potter. Mentre venivano smistati, sentii nominare anche Scorpius Malfoy, il figlio di Draco, che, ovviamente, venne assegnato ai Serpeverde. Sapevo che non appena l’ultimo mago si fosse seduto al tavolo della sua nuova famiglia, la Professoressa McGranitt mi avrebbe presentato come professore di Erbologia.
La cena cominciò e, per tutta la sua durata, mi sentii così fuori posto a quel tavolo che parlavo a malapena. Chiacchierai con coloro che erano appena diventati i miei colleghi, memorizzando i nomi di quelli che erano arrivati dopo che io avevo lasciato il Castello.

Pian piano, i tavoli delle quattro Case si svuotarono; i direttori accompagnarono i nuovi maghi al proprio dormitorio, illustrando lo stretto necessario per non perdersi nel Castello. Con una scusa mi allontanai, anche se in realtà volevo cercare Minerva per poterle chiedere una cosa di fondamentale importanza. Era appena uscita dalla Sala dei Grifondoro quando la trovai.

«Professoressa!»
«Signor Paciock, non sono più la sua professoressa. Può tranquillamente chiamarmi Minerva.»
Imbarazzato, farfugliai qualche parola: mi risultava parecchio difficile darle del tu. Feci una piccola pausa e alzai lo sguardo su quello della direttrice della Scuola e diedi voce ai miei pensieri: «Volevo sapere se era stata istituita una giornata della memoria, per ricordare tutti gli amici e i parenti che molti di noi hanno perso nella battaglia contro Voldemort.»

Vidi il suo volto inizialmente sorpreso, prima di subire una trasformazione e diventare uno sguardo pieno di apprensione. Si avvicinò a me e mi esortò a camminare insieme a lei per i corridoi del Castello, prima di tornare alla Sala Grande dove tutti i colleghi ci stavano ancora aspettando.
«Purtroppo no. Solo noi professori ricordiamo quel giorno ormai, ma credo che sia il momento di far riflettere tutti gli alunni su quello che accadde quella notte di diciannove anni fa.»
«Sono felice che lo abbia preso in considerazione. Ancora non riesco a capacitarmi di quello che accadde quella notte.» sussurrai a voce così bassa che riuscii a malapena a udire le mie stesse parole.
«L’anno passato ricevetti una lettera da George Weasley: mi chiedeva se era possibile chiamare la Sala Comune dei Grifondoro come il fratello scomparso. Pensi che sia una buona idea?»
«Assolutamente sì! Sa, credo che le Sale di ogni Casa abbiano bisogno di essere ribattezzate, e credo di avere in mente anche i nomi adatti per ognuna di esse.» Eravamo ormai di fronte al tavolo degli insegnanti, tutti i nostri colleghi che ascoltavano la nostra conversazione, in particolar modo i direttori di Corvonero, Tassorosso e Serpeverde. Fu proprio il direttore di quest’ultima a domandarmi quali fossero i nomi che pensavo di attribuire a tutte le case.
«Per i Serpeverde, avevo pensato a Severus Piton. I Tassorosso, invece, avranno la Sala Comune intitolata a Cedric Diggory, nonostante non sia morto nella battaglia di diciannove anni fa. Per Corvonero sarà Mirtilla Malcontenta e, per i Grifondoro, Fred Weasley.»

Tutti si scambiarono un’occhiata prima di dare la loro approvazione; la Direttrice della Scuola mi disse che era un ottimo modo per ricordarli e si ritirò nel suo ufficio per istituire un proclama che annunciasse il giorno dei morti nella seconda Battaglia di Hogwarts. Soddisfatto di ciò, andai nella mia stanza, il pensiero del giovane Fred Weasley Junior nella testa: George avrebbe fatto qualsiasi cosa per salvarlo quella notte, e dare il nome del gemello al figlio fu un gesto che nessun altro avrebbe avuto il coraggio da fare, per il semplice fatto che spettava a lui.

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Capitolo 4
*** Hermione ***


 
Angolo autrice: questo capitolo partecipa al contest sul forum di EFP Pagine Perdute
 

«Mamma!»
Appena tornata a casa dal lavoro, sentii le urla dei miei figli che si scatenarono nel momento esatto in cui sentirono i miei passi dentro casa. Mi accovacciai di fianco alla porta d’ingresso e allargai le braccia per abbracciare entrambi i miei piccoli.

«Bentornata, tesoro.» Vidi la sorridente figura di mio marito apparire dalla cucina e dare l’ordine ai nostri bambini di andare a lavarsi le mani in modo che potesse darmi un bacio di bentornato.
«Hanno fatto i capricci?» domandai non appena riuscii a togliermi il cappotto e la sciarpa, trasformandomi da donna in carriera a mamma e casalinga.
«Solo quando dovevano fare il riposino; per il resto sono stati degli angioletti.»

Cenai con la mia famiglia e preparai i miei figli per farli addormentare. Avevo già dato loro la buonanotte quando mio figlio Hugo mi chiamò: «Mamma, cosa sono i Tornei TreMaghi?» Mi bloccai sulla soglia al sentire quelle parole e, lentamente, mi voltai verso di loro e li guardai un po’ perplessa e un po’ curiosa di sapere come avevano sentito parlare di questo Torneo.
«Papà vi ha raccontato qualcosa?» Accesi l’abat-jour sopra il comodino di Rose ed entrambi si misero seduti ad ascoltare tutto ciò che riguardava questo famoso Torneo, come si svolgeva e le varie prove che ogni mago partecipante avrebbe dovuto affrontare.

«Ogni cinque anni, le tre scuole di magia più prestigiose d’Europa si riuniscono per dare inizio al Torneo Tremaghi. Il primo Torneo fu giocato alla fine del 1200, mentre l’ultimo Torneo venne disputato a Hogwarts nel 1994.»
«Come mai furono gli ultimi?» mi domandò Rose, interrompendomi. Mi voltai verso di lei e sorridendole, le carezzai i capelli notando la sua espressione curiosa e attenta su un argomento di cui avevano appreso l’esistenza solo quel pomeriggio.
«Furono gli ultimi perché i giudici erano corrotti, inoltre morì un ragazzo della nostra scuola, cosa che non sarebbe mai dovuta accadere.» La mia voce risuonava risoluta, tanto che mio marito apparve sulla soglia della camera dei bambini. Si sedette sul letto di Hugo e ascoltò il mio racconto senza proferire parola.

«Quell’anno, gli organizzatori dei giochi avevano deciso di far partecipare solo gli studenti che avevano compiuto 17 anni di età, ma qualcuno riuscì a raggirare il sistema.» Ricordavo perfettamente la pozione che avevano bevuto Fred e George per poter entrare nel cerchio magico. Solo al pensiero mi misi a ridere, suscitando ancora più curiosità nei miei figli.

«In che senso, mamma?» Quasi senza che me ne accorgessi, mi ritrovai il minore dei miei piccoli accanto alla sorella, i suoi grandi occhioni mi fissavano impazienti di scoprire ogni particolare su un Torneo a cui loro non avrebbero mai partecipato.
«Vedi, a questo Torneo poteva partecipare un solo studente per scuola. Chiunque, che quell’anno avesse già compiuto 17 anni, poteva mettere il proprio nome nel Calice di Fuoco, in modo da poter essere scelto. Noi- dissi guardando per un secondo Ron, che mi aveva raggiunto sul letto della nostra primogenita –eravamo troppo piccoli per partecipare. Uno dei professori, però, mise il nome dello zio Harry nel Calice, facendolo diventare il quarto partecipante ai giochi.»

Rose e Hugo si scambiarono uno sguardo sorpreso prima di tornare a guardare noi: avevamo stuzzicato la loro curiosità, costringendoci a spiegare tutto e facendoli andare a dormire tardi. Ron e io ci guardammo e sospirammo, consapevoli di ciò che stavamo per fare.

«Sapete, lo zio George e lo zio Fred volevano partecipare a tutti i costi.» Avevamo già parlato loro dello zio Fred, l’unico Weasley che non avevano mai conosciuto. Nel nominarlo, però, mi venne un nodo alla gola: come un flashback, vidi nei miei occhi la tristezza dipinta sul volto di tutti i familiari di Ron attorno al corpo freddo di Fred, gli occhi gonfi dal pianto di ognuno di loro… pensai per un attimo a come i due gemelli si divertivano a stuzzicare chiunque gli capitasse a tiro.
Senza che me ne accorgessi, mi stavo asciugando una lacrima scappata di nascosto. Fortunatamente i miei figli non se ne accorsero; erano così assorti dal racconto del padre sulla prima prova del Torneo che non si rendevano conto di cosa stesse accadendo attorno a loro.

«Dopo la prima prova hanno fatto subito la seconda?» domandarono in coro i miei bambini. Scossi la testa ridendo, spiegando loro che la vigilia di Natale si teneva il tradizionale Ballo del Ceppo.
«Avete ballato insieme?» chiese immediatamente Rose, immaginandosi i suoi genitori a ballare insieme. Non volevo rovinare quella scena che si era creata nella sua testolina, ma ero più che certa che Hugo mi avrebbe fatto mille domande non appena avrei nominato Viktor Krum.

«Ehm, ecco… io e la mamma in quel periodo non andavamo molto d’accordo. Litigammo anche durante il Ballo. Però posso assicurarvi che era bellissima.» Mi voltai verso l’uomo che avevo sposato e trovai i suoi occhi azzurri a fissarmi, lucidi per l’emozione e il ricordo di quella sera.
«Allora con chi avete ballato?» Rose si era praticamente seduta sulle ginocchia di suo padre, mentre Hugo si faceva largo tra le coperte del letto della sorella per salire sulle mie gambe, desideroso di ricevere le mie coccole.
«Papà ballò con una ragazza della nostra scuola, mentre io ballai con Viktor Krum.»
«Il campione di Quidditch?» mi interrogarono contemporaneamente i miei figli. Sia io che mio marito annuimmo, notando con piacere l’ammirazione nei loro occhi. Raccontammo le altre prove, di come entrambi eravamo stati scelti per andare nel Lago Nero ed essere salvati dai partecipanti. Evitammo di spiegare come morì Cedric, rischiando di traumatizzare i bambini.

«Dai ragazzi, adesso andate a dormire.» Rimisi Hugo a letto e uscimmo dalla camera, lasciandoli finalmente dormire. Scesi le scale e mi fermai in salotto, aspettando che Ron mi raggiungesse.

«Hai notato che nessuno di noi ha sposato i propri accompagnatori al Ballo del Ceppo?» dissi poggiando il bacino sul tavolo rotondo. Mio marito sbuffò, avvicinandosi a me; le nostre labbra si sfiorarono delicatamente, prima di posare le nostre fronti l’una contro l’altra.
«Ho visto la tua reazione quando hai nominato Fred.» sussurrò guardandomi negli occhi. Mi tornò nuovamente il nodo alla gola, consapevole di quanto lui e tutta la sua famiglia avesse sofferto. Rimembravo il giorno del funerale, le lacrime di George che scendevano copiose sulle sue guance.

Distolsi lo sguardo, muovendo la testa, l’espressione seria sul mio volto.
«Ehi, non pensarci… Manca anche a me, ma è proprio per questo motivo che ho deciso di aiutare George al negozio. Non sarò spiritoso come lui, ma sto facendo di tutto per portare in alto il suo nome.»
«Lo so, Ron. Ti stimo moltissimo per questo. So bene quanto ti manchi, però sai quanto me che lui vivrà sempre qui…» Posai una mano sul suo petto in corrispondenza del cuore. «Lui sarà qui, nel nostro cuore, sempre con noi.»

 

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Capitolo 5
*** Ron ***


 
L’orologio segnava le 7 e 12; tra pochi secondi mio figlio sarebbe entrato nella stanza urlando che dovevo alzarmi e accompagnarlo a comprargli il regalo di compleanno. Quel giorno Hugo avrebbe compiuto dieci anni: ormai mancava sempre meno al giorno in cui sarebbe arrivata la sua lettera di ammissione ad Hogwarts; facendo diventare ansiosi tutti noi. Come predetto, la porta della camera si spalancò e un euforico bambino dai capelli rossi corse verso il letto e iniziò a saltarci sopra.

«Papà, papà! Alzati! Dobbiamo comprare il mio regalo!» Faceva così da quando aveva cinque anni; la prima volta che lo fece Hermione si spaventò moltissimo, tanto che entrambi credemmo avesse fatto un brutto sogno.
«D’accordo Hugo, mi alzo. Intanto vai a vestirti e scendi a fare colazione.» gli dissi una volta che smise di saltellare sul materasso. Lo vidi correre via, dandomi così la possibilità di prepararmi. Avevo già avvertito George che sarei andato al negozio con Hugo quella mattina, prima che nostra madre arrivasse per portarlo alla Tana. Finii di lavarmi e vestirmi e corsi al piano di sotto, dove Hermione aveva preparato la colazione per tutti quanti. Al posto di mio figlio, c’era una lettera indirizzata a lui; non ci misi molto a capire che il mittente era sua sorella.

«Tanti auguri tesoro!» Mia moglie si fiondò ad abbracciarlo, riempiendolo di baci e carezze, nonostante lui sembrasse non gradire molto; si sedette al suo posto e guardò con attenzione la busta prima di aprirla.
«È la mia ammissione a Hogwarts?» domandò speranzoso. Hermione e io ci scambiammo un’occhiata, prima di infrangere il suo sogno.
«No, quella arriverà il prossimo anno. Quella lettera è di Rose.» dissi cercando di non deluderlo troppo. In realtà sapeva benissimo che la lettera della Scuola gli sarebbe arrivata solo l’anno successivo, ma sperava di varcare i cancelli del Castello il prima possibile.
«La leggo quando torno dalla nonna. Adesso voglio andare con papà a comprare il regalo!» La sua testardaggine mi fece sorridere: gli avevo promesso la settimana prima che lo avrei accompagnato ai Tiri Vispi Weasley, perché lo zio George gli avrebbe regalato un oggetto magico a sua scelta. Dire che non stava più nella pelle era un eufemismo.
«Va bene, andiamo. Dai un bacio alla mamma e compriamo questo regalo.» Salutai rapidamente mia moglie, per il semplice motivo che mio figlio mi tirava per la giacca, mettendomi fretta. Dopo meno di un minuto, ci trovammo davanti all’ingresso del negozio in cui mio fratello e io lavoravamo. L’emozione che si dipinse sul suo volto era indescrivibile così, per sorprenderlo ancora di più, lo presi per mano ed entrammo.

«Buon compleanno, Hugo! Scegli ciò che vuoi. Quello sarà il mio regalo di compleanno per te, anche se a sborsare i galeoni sarà tuo padre.»
«Grazie, George. Il tuo affetto verso di me aumenta ogni giorno di più, vero?» mormorai ironicamente. Mentre scambiavo un paio di battute con mio fratello maggiore, mio figlio curiosava da uno scaffale all’altro alla ricerca del regalo perfetto. George lo affiancò, in modo che potesse illustrargli a cosa servissero tutti quegli oggetti.

Improvvisamente, quasi come un sogno a occhi aperti, mi tornò alla mente il giorno dell’apertura. Molti degli amici dei miei fratelli erano presenti, divertiti e sorpresi da ciò che era si trovava nel locale. Io, ovviamente, ero con Hermione ed Harry; avevo visto qualcosa di interessante da comprare, così richiamai la loro attenzione.

«Quanto costa?» domandai mostrando a George e Fred l’oggetto in questione.
«Cinque galeoni.» risposero in coro. Niente sconto per uno dei fratelli minori?
«E per me?» chiesi nuovamente, cercando di fargli capire che ai familiari bisognava ridurre un pochino il prezzo.
«Cinque galeoni.» ripeterono, senza battere ciglio. Ma lo facevano apposta?
«Sono vostro fratello!» dissi un po’ disperato. Si guardarono per una frazione di secondo, poi diedero la loro sentenza.
«Dieci galeoni.» Stavano scherzando, non è vero?

Vidi mio figlio correre verso di me, un oggetto magico tra le mani e gli occhi lucidi, soddisfatto e contento nell’aver trovato il suo regalo ideale. Senza dire una parola lo presi per mano sorridente e lo portai alla cassa, feci il giro del bancone e guardai sull’etichetta di carta quale fosse il prezzo.
«Miseriaccia! George, ma costa tantissimo!» protestai, mio fratello rideva sotto i baffi, conscio che mi sarei lamentato per il costo dell’oggetto magico.
«Poche lamentele e tira fuori i galeoni dalla tasca, Ron. Tuo figlio ha scelto questo; io non posso costringerlo a cambiarlo solo perché costa tanto.» si giustificò George alzando le spalle. Esasperato, misi l’equivalente del prezzo nella cassa del negozio, tornai da mio figlio e lo accompagnai fuori, per fargli usare la Metropolvere così da poterlo far arrivare a casa dei miei genitori.

«Buon compleanno figliolo. Divertiti dalla nonna.» Lo feci andare via, mentre mi salutava con la sua mano paffuta e il volto allegro e felice. Mi presi cinque minuti per non rattristarmi sul flashback sui miei fratelli. La foto di Fred e George sorridenti era appesa sopra la cassa, per omaggiare i primi proprietari, di cui uno scomparso. Non ero bravo come lui a fare gli scherzi, ma non potevo lasciare solo il suo gemello. Non mi sarei mai comportato come Percy. Io non ero né lui né Fred, ma ero un Weasley, e ne ero fiero.

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Capitolo 6
*** Minerva ***



A Hogwarts era già arrivato settembre: gli studenti dal secondo al settimo anno erano già arrivati con le carrozze al castello e stavano sistemando i loro bagagli nei dormitori. Avevo dato il bentornato agli alunni della mia casa ed ero quasi pronta per accogliere i giovani maghi e le giovani streghe che avrebbero cominciato quell’anno la loro avventura alla Scuola di Magia e Stregoneria. Aspettai che il gargoyle di pietra si spostasse per farmi passare per poter entrare nell’ufficio del Preside a prendere il Cappello Parlante.

Una nuova generazione di maghi avevano appena oltrepassato le enormi porte del castello prima di arrivare alla Sala Grande, dove i tavoli delle quattro Case aspettavano i loro nuovi compagni. Come mio dovere, avevo già sistemato il vecchio Cappello Parlante sullo sgabello sul quale si sarebbe seduto il ragazzo di turno prima di essere smistato. Ero seduta al tavolo degli insegnanti, la professoressa Sprite alla mia destra e Madama Chips dall’altro lato cercavano di allungare il collo per vedere le facce dei nuovi arrivati.

Il Preside fece il solito discorso di benvenuto, tutti che ascoltavano in silenzio. Emisi un sospiro silenzioso guardando la pergamena arrotolata davanti al mio piatto: quanti figli dei miei ex alunni avrei trovato quell’anno? Non avevo avuto il coraggio di controllare prima di quella sera.

«Adesso, la professoressa McGranitt, direttrice della casa dei Grifondoro, chiamerà ognuno di voi per far decidere al Cappello Parlante in quale Casa dovrete essere smistati.» Con queste parole capii che era arrivato il mio turno. Presi la lista dal tavolo e mi alzai, diretta allo sgabello che era stato sistemato quasi al centro del tavolo dei professori.
Da quella posizione vedevo chiaramente le espressioni sui volti di quei ragazzini: alcuni erano spaventati, altri curiosi, altri ancora impazienti di raggiungere i propri compagni. Srotolai la lista e lessi il primo nome; la ragazza si fece avanti e si sedette sullo sgabello, in attesa di essere assegnata ad una delle quattro Casate di Hogwarts, quella che sarebbe diventata la sua famiglia. Il Cappello gracchiò un «Tassorosso» e il tavolo di quella Casa iniziò ad applaudire per accogliere la loro nuova compagna.

La cosa andò avanti per un bel po’, finché non arrivai a un nome fin troppo familiare. Ormai rimanevano pochi ragazzi in attesa di essere smistati e, alzando lo sguardo, riuscii finalmente a vedere una familiare chioma rossa che spiccava tra le altre. Deglutii, sperando di aver letto male il nome, ma appena posai nuovamente gli occhi sulla pergamena ebbi la conferma del nome.

«Fred Weasley Junior.» Alle mie spalle i miei colleghi iniziarono a bisbigliare, consci anche loro del nome appena sentito pronunciare dalle mie labbra. Un ragazzo snello con gli occhi vispi si fece largo tra i pochi rimasti e salì quei pochi gradini per raggiungere il Cappello Parlante.

«Un Weasley? Questo nome l’ho già sentito… Bando alle ciance! Grifondoro!» Il Cappello fece la sua scelta e tutto il tavolo della mia Casa applaudì, accogliendo il nuovo arrivato. Completai lo smistamento degli ultimi maghi rimasti e tornai al mio posto, ancora sotto shock a causa del nome di quel ragazzo. Madama Chips al mio fianco si sporse un po’ verso di me: «Minerva, ha lo stesso nome di quel ragazzo…»
«Lo so. Ho avuto come l’impressione di essere tornata a tanti anni fa, quando i gemelli Weasley avevano appena fatto il loro ingresso a Hogwarts.» Tutti ricordavamo quei ragazzi, così pazzi, spiritosi e divertenti. Ricordavamo anche quella notte di maggio, in cui molti di noi persero la vita contro Voldemort, tra cui uno dei figli di Arthur e Molly Weasley.

Passammo la cena chiacchierando di ogni argomento possibile, anche se ogni tanto la mia mente tornava a quel ragazzo seduto al tavolo di fronte a me e al suo parente morto tra le braccia del fratello in questa stessa sala. Finimmo di cenare e accompagnai i nuovi giovani Grifondoro nel dormitorio, spiegando loro alcune cose importanti del castello o delle lezioni in generale.

Mentre salivamo le scale per raggiungere il quadro della Signora Grassa, sentii la voce di un ragazzo parlare ai suoi nuovi amici: «Fate presto a salire: alle scale piace cambiare!» Mi voltai per vedere chi fosse stato a pronunciare tale frase e vidi che il “colpevole” fu proprio Weasley. Mi fermai, lasciandomi superare dai ragazzi; appena il ragazzo mi fu accanto lo bloccai mettendogli una mano sul braccio.
«Come fai a sapere delle scale?» Era una domanda stupida, ne ero consapevole, ma forse in quel modo avrei potuto sapere di più su di lui. Alzò le spalle con un sorriso che ricordava tanto quello dei gemelli e mi rispose dicendo semplicemente «Me lo ha detto mio padre. Era alunno di questa scuola come mia madre.» e continuò a salire i gradini fino al ritratto. Feci un rapido ripasso di tutta la famiglia Weasley, di chi dei miei ex alunni poteva essere il padre di quel ragazzo. C’erano tre possibilità, però realizzai che non era quello il momento di pensarci.

Entrai nella Sala Comune e diedi le ultime indicazioni, Weasley sembrava già a conoscenza di ogni cosa. Che fosse il figlio di Ron? No, non gli assomigliava lontanamente. Non poteva essere figlio di Bill, sua moglie Fleur non aveva frequentato la Scuola di Hogwarts. L’unico che rimaneva era proprio il gemello del povero Fred, George.

«Weasley, posso farle una domanda?» La maggior parte dei suoi compagni si stavano già sistemando nelle proprie camere, io dovevo sapere molte cose sul suo conto.
«Sì, professoressa?» Nella sua voce di undicenne c’era qualcosa che mi ricordava quei ragazzi identici.
«Il tuo nome ha suscitato scalpore tra i professori di questa Scuola. Anche se è passato del tempo, tutti noi ricordiamo bene una terribile notte…»
«Professoressa McGranitt, posso solo immaginare quello che avete passato. Più di una volta mi è stato raccontato quello che accadde la notte in cui uno dei miei zii perse la vita. Ma la mia famiglia mi racconta anche degli scherzi che mio padre e suo fratello facevano proprio tra le mura di questo Castello, facendo arrabbiare e divertire lei. Se proprio devo essere sincero, sono fiero di avere questo nome.»

Quelle parole mi colpirono: mai mi sarei aspettata un discorso simile da un ragazzo di undici anni. Mi sedetti su una delle due poltrone vicino al caminetto, anche se il ragazzo avrebbe dovuto raggiungere i suoi compagni di stanza.
«Tuo padre è George, vero?» domandai, sebbene mi aveva già dato molte informazioni utili. Lui annuì, sorridendo proprio come facevano suo padre e il fratello. Segretamente, sperai che non fosse un caso disperato come loro, o sarebbe finito in punizione ogni volta che ne aveva l’occasione.

«Porti il nome di un mago che è morto combattendo per la libertà. Anche io ne sarei orgogliosa.» Il giovane Fred si portò una mano ai capelli, imbarazzato.
«Deve chiedermi altro, professoressa?»
«No, ma aspettati domande del genere da tutto il personale scolastico. Tuo padre e suo fratello hanno portato una ventata d’allegria in questa Casa. Vedremo se ne combini tante quante loro.» Mi alzai e uscii dalla Sala Comune, dando la possibilità al ragazzo di andare a dormire per affrontare il suo primo giorno di scuola l’indomani.

Appena il quadro della Signora Grassa si richiuse, mi appoggiai alla sua cornice, sospirando forte. Proprio mentre stavo per andarmene, la Signora Grassa decise di farmi alcune domande.
«Quel ragazzo con i capelli rossi, credo di averlo già visto.»
«È un Weasley. Ne sono passati tanti per queste scale.»
«È identico ai gemelli, non ti pare?»
«Non solo quello: ha anche lo stesso nome. Buonanotte, Signora Grassa.»

Tornai nella mia stanza, ancora sconvolta da ciò che avevo appreso dal giovane Fred Weasley. Mi sedetti sul letto e iniziai a pensare ai loro primi anni scolastici, le loro marachelle che, in modo inspiegabile, riuscivano sempre a strappare un sorriso a tutti. Con il ricordo di due miei alunni inseparabili, mi addormentai, pensando al dolore che aveva provato George quando vide il corpo senza vita del fratello, quando la morte li aveva separati dopo vent’anni passati insieme.

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Capitolo 7
*** Arthur ***


 
2 maggio 2018, Ministero della Magia.

Passeggiavo per uno dei corridoi del secondo livello con diversi faldoni sotto il braccio, chiacchierando con un mio collega mentre raggiungevamo il mio ufficio. Mancavano pochi metri alla mia porta, quando una voce richiamò la mia attenzione e quella del mio collega.

“Tra venti minuti comincia la commemorazione dell’anniversario della Battaglia di Hogwarts.”

Mi sentii mancare: erano passati vent’anni da quella notte. Fui costretto ad appoggiarmi alla parete alla mia destra, placando il respiro come meglio potevo.
«Arthur, va tutto bene?» domandò il mio collega. Annuii, cercando di assumere un’espressione diversa da quella che avevo in quel momento. Raggiunsi velocemente il mio ufficio e posai l’enorme malloppo di fogli che dovevo leggere e controllare; mi stavo preparando per la commemorazione, quando il mio sguardo cadde sulla foto della mia famiglia che tenevo sulla scrivania. La presi tra le mani e la guardai attentamente: era una delle poche volte che eravamo tutti e nove insieme, Ginny avrà avuto otto anni, sorridevamo tutti fregandocene di ogni problema. Fred e George avevano deciso di vestirsi da beduini, facendo impazzire come sempre Molly.

“Dieci minuti alla commemorazione del ventennale della Battaglia di Hogwarts.”

Posai la foto e uscii dal mio ufficio, dirigendomi verso il luogo in cui tutti i miei colleghi e io avremmo ricordato i maghi morti per salvare il mondo magico da Lord Voldemort.

Come me, altri che lavoravano al Ministero avevano perso amici, familiari e colleghi quella notte. Percy era già lì, sicuramente pensava a suo fratello. Mi avvicinai, posandogli una mano sulla spalla; i nostri occhi si incrociarono velocemente e potei notare che i suoi erano già arrossati dal pianto.

«Non riesco a credere che siano passati vent’anni.»

«Stento a crederci anche io. Tuo fratello sarà sicuramente a Godric’s Hollow in questo momento…» risposi sospirando. Kingsley era ancora impegnato a parlare con alcuni colleghi: lui era lì, ricordava bene quanto ognuno di noi avesse sofferto.

«Prima di tornare a casa ci andrò anche io. È molto tempo che non vado a trovare Fred.» Guardai mio figlio e gli sorrisi debolmente, ricordando quei momenti in cui eravamo tutti seduti intorno alla tavola della Tana a parlare, ridere e scherzare. Quante volte Molly sgridava i gemelli perché continuavano a fare scherzi durante il pasto? Qualche volta toccava a me farlo, ma loro sapevano che sotto sotto mi divertivo a vederli fare i dispetti a tutti.

Kingsley iniziò, come faceva da diciannove anni, un breve discorso su quanto coraggiosi erano stati quei maghi e streghe che avevano perso la vita nella battaglia contro il Signore Oscuro. Pensai anche a Tonks e Remus, al piccolo Ted che non li aveva mai conosciuti. Mi asciugai rapidamente gli occhi e tornai ad ascoltare le parole che il mio amico e Ministro stava pronunciando per l’occasione.

Facevamo la commemorazione ogni anno alla stessa ora, quando mancavano dieci minuti all’una del pomeriggio; spesso quando tornavamo a casa per mangiare, molti approfittavano di quel momento per raggiungere i propri cari al cimitero. I primi anni Molly e io andavamo sempre la sera a Godric’s Hollow, trovando a volte Ron e Ginny. Sapevamo bene che George ci andava la mattina prima di andare a lavorare, nonostante non capissimo per quale motivo non voleva aspettare almeno uno di noi. Neanche Angelina era riuscita ad andare mai con lui, sebbene fosse sua moglie.

Estrassi l’orologio dalla giacca e guardai l’ora: mancavano due minuti all’una, segno che la commemorazione era quasi finita. Kingsley parlò nuovamente, mormorando parole di conforto e, appena terminò, tutti tornammo nei nostri uffici.

Raggiunsi immediatamente il mio piano e, senza fermarmi, entrai nel mio ufficio e andai alla mia scrivania, riprendendo tra le mani quella foto che facemmo in Egitto tanti anni prima. Molte cose erano cambiate da allora; a parte Charlie tutti si erano sposati, tutti avevano avuto dei figli, regalando a me e mia moglie dei nipoti fantastici e adorabili.

Seppur riluttante, posai la fotografia e tornai al mio lavoro, concentrandomi come meglio potevo. La giornata passò abbastanza velocemente, quasi volando e non mi resi subito conto che era già ora di tornare a casa. Stavo per uscire dal mio ufficio ma qualcosa mi rimandò indietro: senza pensarci, presi la fotografia che tanto avevo guardato quel giorno e la infilai nella mia ventiquattrore. Raggiunsi i miei colleghi e tornammo ognuna dalle nostre famiglie.

Mi ritrovai nel camino del salotto di casa mia, un po’ impolverato dalla fuliggine rimasta attaccata alla canna fumaria e dalla polvere usata per tornare a casa.

«Arthur, finalmente! Vieni, datti una pulita e andiamo a trovare Fred.» La voce di Molly proveniva dalla cucina, ma dopo pochi attimi me la ritrovai davanti, un sorriso triste sulla bocca e gli occhi lucidi. Presi la foto dalla valigetta e la posai sul ripiano vicino a una recente immagine di tutti i nostri nipotini.

Ci prendemmo per mano e ci Materializzammo a Godric’s Hollow: come immaginavo, molti andavano a trovare i familiari morti durante la battaglia, tanto che nel cimitero c’era un via vai continuo di maghi e streghe che arrivavano o andavano via.

Camminammo vicini fino alla lapide di nostro figlio e la trovammo perfettamente pulita e con i fiori freschi e profumati. Piegai una gamba e seguii con le dita il nome di mio figlio inciso nella pietra; alle mie spalle Molly singhiozzava senza ritegno. Mi voltai un attimo a guardarla e l’abbracciai, dandole la possibilità di piangere sulla mia spalla.

«Fa sempre un ottimo lavoro. Dovremmo venire anche noi più spesso come fa George.» La mia voce era rotta dal pianto, nonostante il mio viso non fosse ancora rigato dalle lacrime che mi stavano già offuscando la vista. Molly di scostò dal mio corpo e si mise a guardare la foto che ritraeva sorridente uno dei suoi figli.

«Hai ragione, Arthur. Eppure non ci riesco: mi sento male tutte le volte. Se penso che avrei potuto perdere anche Ginny, io… io…» La interruppi, sapendo molto bene dove volgevano i suoi pensieri.

«È tutto finito Molly. Sono passati vent’anni…»

«Sai quante volte guardo l’orologio e vedo la sua lancetta ferma? Perdere un figlio è la cosa più brutta che possa capitare a un genitore.»

«Lo so, lo so. Ma noi non l’abbiamo perso per sempre.» Le asciugai con le dita le guance rigate dalle lacrime; sapevo bene che i nostri figli odiavano vederci tristi, così provai a ripetere quel gesto che ogni tanto loro facevano a noi.

«Fred sarà sempre qui» dissi posando la mano sopra il mio cuore. «Fred sarà sempre con noi.»







*******************Angolo autrice*******************
Siamo già al settimo capitolo di questa raccolta e abbiamo appena superato la metà.
Per chi mi segue su Facebook, sa che mi sto dando da fare per completare gli ultimi capitoli, quali Lee Jordan, Luna, Ginny ed Harry.
Non so quando, la giudicessa (dio, che nome orribile!) del contest "Pagine perdute" darà il suo responso al capitolo di Hermione: non appena saprò qualcosa vi dirò il risultato.
Domani è il 1° aprile, compleanno dei miei amatissimi Fred e George. Possiamo immaginare benissimo cosa succederà in quel giorno: George non andrà subito a lavoro, si Materializzerà a Godric's Hollow per "festeggiare" con il suo gemello. Scusate, mi è entrato un elefante in un occhio, vado a toglierlo...
Prossimo capitolo sempre tra due settimane!
Vi auguro buona Pasqua e non mangiate troppe uova ;)

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Capitolo 8
*** Molly ***




Ginny e Ron mi avevano avvertito tramite gufo che avrebbero portato i loro figli alla Tana, così da poter andare a lavoro senza preoccupazioni. Ero ancora dentro casa, i dolci che avevo preparato erano già stati tirati fuori dal forno e si stavano raffreddando sul tavolo della cucina. Stavo per controllare l’orologio per vedere dove fossero finiti i miei figli insieme ai miei nipoti quando sentii le urla di quest’ultimi provenire dal giardino.

«Nonna!» Lily e Rose mi corsero incontro appena mi videro apparire sull’uscio di casa, urlando felici e contente di vedermi e di passare la giornata con me. I piccoli James, Hugo e Albus erano troppo concentrati a guardare le figurine trovate nelle Cioccorane, controllando i personaggi per non perdersi il momento in cui sarebbero scomparsi dalle carte per andare a quelle di qualcun altro.

«Ciao bambini! Salutate e andate dentro, io arrivo subito.» dissi spettinando a ognuno di loro i capelli, suscitando in loro un sorriso seguito da una piccola risata. Non ebbi il tempo di parlare un po’ con i miei figli perché sentimmo un rumore provenire dall’interno della casa; Ginny, sentendo quel frastuono, cominciò a sbuffare, sicura che uno dei suoi figli avesse fatto qualche danno, preparando il discorso da fare al teppista di turno.

«Ciao mamma, siamo arrivati.» La voce di George fece capolino dal camino mentre una nube di polvere si liberava nel mio salotto. Fred Junior uscì saltando dal camino atterrando sul tappeto, mi salutò e subito dopo si dedicò ai suoi cugini, mostrandogli gli oggetti che aveva portato dal negozio del padre; Roxanne, invece, fece un passo per volta e mi abbracciò un attimo prima di salutare George e augurargli buona giornata al negozio.

Guardai il disastro che aveva fatto mio figlio usando la MetroPolvere; misi le mani sui fianchi, inclinai leggermente la testa e assunsi un'espressione contrariata.

«George Weasley, ti sembra il modo di entrare nella tua vecchia casa?» dissi, poco prima di mettermi a ridere: ormai i miei figli sapevano che non li sgridavo veramente, ma i miei nipoti si divertivano sempre a vederci recitare quella scenetta.

«Cavolo, George, stai quasi superando Ron in stupidità» esordì Ginny, fingendo di non ricordare che suo fratello era proprio al suo fianco.

«Ehi, io non sono stupido!» esclamò lui lamentandosi. Salutai tutti e tre, dicendo loro di sbrigarsi ad andare a lavoro; appena sparirono nel camino, mi voltai verso i miei nipoti, contenta come non mai di averli anche quel giorno lì con me.
Siccome che era una bella giornata di sole, decidemmo di giocare nel giardino circondante la Tana, in modo che avessero più spazio per divertirsi. Tutto procedeva a meraviglia, la mattinata era passata velocemente e l'ora di pranzo stava per arrivare.

Mentre i ragazzi si rincorrevano, entrai un momento in casa per preparare la tavola, quando sentii la voce di uno di loro che si lamentava: «Ahia, mi hai fatto male!»
Sapevo benissimo che i miei figli erano grandi e non potevano essere loro qui con me, ma c’era qualcosa nella voce di uno dei miei nipoti che somigliava così tanto a quella di Ron che mi venne in automatico pronunciare le stesse parole che dicevo quasi vent’anni fa.

«Fred, George, smettetela di dare fastidio a vostro fratello!» Mi sarei aspettata di sentire i miei figli ribattere in coro, giustificandosi che non erano stati loro a far del male al loro fratellino, nonostante fossero sempre loro i responsabili; non sentii volare una mosca da dietro di me, segno che avevo detto o fatto qualcosa di sbagliato.

Improvvisamente capii: mi voltai lentamente, sul mio volto vi era un misto di terrore e sgomento, sentivo il freddo penetrarmi nelle ossa… Guardai uno ad uno i miei nipoti negli occhi, avevano tutti la stessa espressione stampata in faccia. Fui costretta ad appoggiarmi a una delle sedie della cucina per reggermi in piedi, le gambe erano diventate improvvisamente di gelatina, la vista annebbiata.

«N-nonna?» La voce di Roxanne mi risvegliò dai miei pensieri, alzai per un secondo la testa verso di lei e fui costretta ad ammettere l’enorme errore che avevo fatto. Mia nipote, non del tutto sicura che fossi tornata in me, scostò una sedia e mi ci fece sedere, cercando di essermi d’aiuto il più possibile; Rose si avvicinò cautamente, timorosa di vedermi in preda a un crollo psicologico.

«Nonna, stai bene?» domandò Roxanne, la sua tenera voce poteva essere paragonata a una foglia tremante. «Hai… hai confuso Hugo con lo zio Ron…» Era anche lei senza parole, non era mai capitato fino ad ora che chiamassi per sbaglio i miei nipoti con i nomi dei miei figli, ma era appena successo. Forse stavo diventando vecchia, era abbastanza plausibile come cosa; erano sempre stati i gemelli a farmi gli scherzi scambiandosi tra di loro, ma da quando George aveva perso un orecchio non avevo più avuto questo problema, almeno finché non rimase l’unico…

«Io… Io… Ragazzi, mi dispiace tanto. Io…» Non riuscii a completare la frase che cominciai a piangere. Nascosi il volto tra le mani per non farmi vedere, nonostante fossi circondata dai miei familiari. Sentii una mano posarsi sulla mia spalla come a consolarmi senza capire realmente di chi fosse.

«Non ti devi preoccupare, nonna. Sappiamo quanto ti manchi Fred, e anche quanto io te lo ricordi.» Mi asciugai gli occhi rapidamente prima di volgere lo sguardo verso il nipote che portava il nome di mio figlio, quel nipote così uguale a suo padre che chiunque l’avesse visto, si sarebbe spaventato nel notare la somiglianza con i gemelli…

Non riuscii più a trattenermi, cominciai a piangere a dirotto davanti a loro, ricordando Fred e George appena nati, i loro primi passi, il giorno che ricevettero la lettera di ammissione ad Hogwarts… i miei ragazzi erano cresciuti insieme, sin da prima ancora di venire al mondo, e da quando Fred non c’era più, George ne sentiva la mancanza più di chiunque altro. Anche io passavo i primi tempi a piangere tutta la notte, non facendo dormire Arthur che tentava inutilmente di consolarmi.
Come se mi avessero letto nel pensiero, mi portarono l’unica foto in tutta la casa che non si muoveva: sapevano che era l’unica scattata con una fotocamera babbana e raffigurava tutti i miei figli, forse una delle poche in cui eravamo tutti insieme.

«Scommetto che i vostri genitori vi hanno raccontato tutto di Fred.» riuscii a dire tra un singhiozzo e l’altro. Annuirono contemporaneamente, Fred Jr era forse quello che ne sapeva più di tutti, però non ne aveva mai abbastanza di sapere cosa avesse fatto suo padre con il suo gemello.

«Sai nonna, ho deciso che quando finirò la scuola, aiuterò papà e lo zio al negozio. Lo conosco meglio di chiunque altro presente in questa stanza.» La risolutezza con cui Fred pronunciò quella frase mi fece sorridere: era così uguale a suo padre, e non solo fisicamente, ma anche caratterialmente, che non si poteva non scambiare per il vero Fred. Sebbene non ci fosse un piccolo George al suo fianco, chiunque l’avesse incontrato per strada lo avrebbe potuto scambiare benissimo per mio figlio.

Proprio guardando mio nipote mi resi conto di quanto mi mancasse uno di loro, un pezzo della mia famiglia, di come me lo ricordasse in tutto e per tutto, di come avrei voluto vederlo sposato con una bellissima donna, con dei stupendi bambini dai capelli rossi che lo inseguivano e facevano gli scherzi proprio come lui.

Alzai lo sguardo verso il soffitto cercando di cacciare indietro le lacrime, sapendo bene quanto mi fosse difficile in quel momento.

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Capitolo 9
*** Lee Jordan ***




Lo stadio stava cominciando a riempirsi; maghi e streghe prendevano posto sugli spalti in attesa che la partita cominciasse.
I giocatori delle due squadre erano ancora negli spogliatoi mentre l'arbitro era già a centro campo con la scatola delle palle che avrebbe liberato solo qualche minuto più tardi.
Alcuni miei colleghi stavano lanciando l’incantesimo Sonorus, così da non rischiare che una parte dello stadio non sentisse la mia telecronaca.
Erano passati tanti anni da quando facevo il commentatore a Hogwarts: la professoressa McGranitt mi sgridava sempre quando mi esaltavo un po' troppo, specie se a giocare erano i miei amici.
 
Il mio collega annunciò l'ingresso in campo delle mascotte, segno che mancava sempre meno all'inizio della partita. A giocare oggi c'era la squadra femminile di Quidditch, il ché significava che la moglie di Harry e quella di George avrebbero cavalcato le loro scope e fatto qualsiasi cosa per vincere e divertirsi.
Proprio mentre la mascotte della squadra avversaria faceva capolino in campo, ecco che notai alcune persone dai capelli rossi; presi il mio Omniocolo e mi voltai nella loro direzione: riconobbi immediatamente uno dei migliori amici di Hogwarts, George, che aveva in braccio la figlia piccola. Al suo fianco c'erano Ron, Hermione ed Harry con il più grande dei suoi figli. Intravidi anche Ted Lupin, che prese immediatamente posto accanto al figlio di Angelina.
 
Cercai con lo sguardo gli altri componenti della famiglia Weasley, contandoli più volte, sicuro che mancasse qualcuno all'appello. Poi, come un fulmine a ciel sereno, capii perché non avrei mai trovato sugli spalti Fred.
Dovetti trattenermi dal piangere; ricordare quella notte era molto doloroso.
Fui costretto a tornare in me, la partita stava per cominciare e i giocatori stavano facendo il loro ingresso in campo.
 
Dissi i nomi di tutti loro in ordine di entrata, prima quelli della squadra avversaria e successivamente quelli della squadra che giocava in casa. Non appena pronunciai i nomi di Ginny Weasley e Angelina Johnson, lo stadio emise un boato di applausi, urla e schiamazzi: erano le favorite dai fans, tutti ci aspettavamo un'accoglienza simile.
 
La partita cominciò subito dopo, la pluffa e i bolidi erano già in campo che sfrecciavano tra i giocatori, mancava solo il boccino.
 
«Benvenuti a questa entusiasmante partita di Quidditch! Le Holyhead Harpies sono le favorite, ho sentito che in tanti scommettono su una loro vittoria. Ecco, hanno appena inserito il boccino d’oro: ora i Cercatori dovranno cominciare a darsi da fare.»
 
«Qual è il risultato della scommessa, Lee?»
 
«Centoquaranta a centotrenta per le Harpies. Weasley che prende il Boccino.» Se fosse veramente finita in quel modo la partita, avrei di certo esultato come facevo a Hogwarts tanti anni prima.
 
La partita era un susseguirsi di punti tra le due squadre, battitori e cacciatori si inseguivano, i portieri facevano del loro meglio per evitare che la squadra avversaria facesse punto. I cercatori, invece, rincorrevano il Boccino, sfrecciando sulle loro scope ed evitando di essere presi in pieno dalla Pluffa e dai Bolidi.
 
«So che eri a scuola con due giocatrici delle Harpies. Come se la cavavano in campo?»
 
«Oh, erano bravissime. Oliver Baston era un ottimo capitano, sapeva come dirigere la sua squadra. La sorpresa più grande fu quando Harry Potter, ancora al primo anno, entrò nella squadra. Ecco perché sua moglie Ginny è diventata una delle più formidabili: sicuramente gli avrà insegnato qualche trucco.»
 
«Giocava anche la Johnson, vero?»
 
«Sì! Prese il posto di Capitano una volta che Baston si diplomò. Bravissima anche lei. Così come la sua amica Alicia.» Mentre parlavamo, le Harpies lanciarono la Pluffa in uno dei tre anelli, raggiungendo così i cento punti.
 
«Per la barba di Merlino, se continuano così vinceranno sicuramente come ha scommesso l’intera tribuna. Queste ragazze sono un portento!» Il mio collega era un continuo parlare, entusiasta di come la squadra femminile di Quidditch giocasse.
 
Per fortuna, quando segnarono, interrompemmo il nostro discorso del Quidditch a Hogwarts, o avrei dovuto ricordare i miei due più cari amici Fred e George. Sentii un nodo alla gola nel ricordarli per i corridoi del Castello o nel nostro dormitorio: con loro era sempre uno spasso, sempre a fare scherzi pur di non annoiarsi e, soprattutto, per far impazzire i professori.
 
Ricordai anche le serate che passavamo Fred e io a parlare su Radio Potter, cambiando ogni volta la frequenza per non essere scoperti dai Mangiamorte. Fu proprio pensando a Fred che ricordai la battaglia: ero tornato apposta al Castello, non appena avevo saputo che c’era bisogno di bacchette in più per sconfiggere il nemico giurato di tutti i maghi e le streghe.
 
Imposi a me stesso di non pensarci, di concentrarmi sulla telecronaca, e fino alla fine della partita ci riuscii. Controllai il tabellone di fronte a me e vidi che la squadra avversaria era in leggero vantaggio, venti punti appena.
 
«Le Harpies hanno ripreso il controllo della partita, Spinnet sfreccia nella metà campo avversaria, la Pluffa ben stretta al corpo. È appena entrata nell’area di rigore ed eccola che tira… CENTRO! Le Harpies stanno recuperando, ora hanno solo dieci punti di distacco dall’altra squadra. Centoventi a centodieci. Vediamo se i pronostici sono veri.»
 
Cominciai a seguire più attentamente i Cercatori, controllando attentamente chi prendesse il Boccino che, a giudicare da come volavano i due avversari, era dalla parte opposta rispetto alla nostra postazione. La scopa di Ginny era sempre più avanti, vedevo il suo braccio teso che tentava di prendere la piccola pallina dorata, ma questa non solo non si fece prendere, ma si librò alta per far perdere ancora tempo.
 
La partita proseguiva; il portiere della squadra avversaria non riusciva più a bloccare la Pluffa che le favorite continuavano a lanciargli, raggiungendo così in poco tempo il risultato di centotrenta a centotrenta. Ancora una Pluffa e avrebbero fatto rimanere l’intero stadio col fiato sospeso.
Dopo oltre mezz’ora in cui nessuna delle due squadre segnò punti, sentii più che vedere il mio collega alzarsi dalla tribuna, urlando a squarciagola dentro il microfono che fece echeggiare la sua voce in tutto lo stadio.
 
«CENTOQUARANTA A CENTOTRENTA! La folla è in delirio; i pronostici si stanno avverando e, se così fosse, manca solo Ginny Weasley che prende il Boccino!»
 
Mi venne in mente la prima partita di Potter, quando per sbaglio ingoiò quella minuscola pallina d’oro. Era una partita contro Serpeverde, quando Malfoy non faceva ancora parte della squadra.
 
Tenevo l’Omniocolo a portata di mano, controllando di tanto in tanto cosa stessero combinando i due Cercatori, quando finalmente vidi la sorellina dei miei migliori amici alzare il braccio verso il cielo, rimanendo in equilibrio sulla sua scopa: aveva preso il Boccino.
 
«La partita termina con la vittoria delle Harpies per centoquaranta punti contro i centotrenta della squadra avversaria. Ginny Weasley ha appena preso il Boccino d’Oro! Ginny Weasley ha preso il Boccino d’Oro!» urlai come facevo quando ero ancora studente, con la differenza che non c’era la professoressa McGranitt a rimproverarmi.
 
Dopo i festeggiamenti, lo stadio cominciò a svuotarsi. Finalmente potevo ripensare ai miei amici e ricordare la morte di Fred. Il pensiero di quella notte era troppo doloroso, non riuscii a fermare le mie lacrime.
 
Avevo passato molti anni insieme a lui e a George; demmo vita a Radio Potter, facendoci divertire come dei matti; combattemmo insieme, fino a quando il suo corpo non raggiunse nella Sala Grande tutti quelli degli altri che avevano perso la vita. Dopo quel giorno, non mi feci più sentire per tanto tempo; non avevo neanche il coraggio di farmi vedere al Tiri Vispi. Fred e George mi mancavano molto e avrei dovuto recuperare almeno il rapporto con George, ricordando l’amico e il fratello che non c’era più.




********Angolo Autrice********
Ieri sono usciti i risultati del contest "Pagine Perdute", in cui era in gara il capitolo Hermione di questa raccolta.
Non è proprio andato malaccio: il Pov si è candidato ottavo, con un punteggio di 54,50/60.
Potete trovare il commento della giudicessa come recensione nel capitolo in questione, oppure nella mia pagina facebook e come nota nel mio gruppo facebook.
Alla prossima con il capitolo di Ginny!

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Capitolo 10
*** Ginny ***



Quella mattina avevo un annuncio da fare alla mia squadra di Quidditch. Ero ancora fuori dalla sede, quella in cui ci allenavamo duramente quasi ogni giorno della settimana.
La borsa con la mia divisa ai miei piedi, la scopa tenuta con la sinistra e la mano destra sulla mia pancia che faceva su e giù sopra la stoffa della mia maglia, rassicurando il mio terzo figlio.

Decisi di varcare la soglia, anche se non ero pronta a dire addio alle mie compagne di squadra. Nonostante entrassi in quel palazzo almeno cinque volte la settimana, mi guardai intorno, cercando di memorizzare il più possibile la struttura dell’edificio: appena superata la porta d’ingresso si potevano trovare due rampe di scale, una in salita che portava agli uffici amministrativi della società e alla sala riunioni, dove ci riunivamo sempre per discutere dell’ultima partita; l’altra in discesa, che portava direttamente agli spogliatoi.

Si poteva accedere agli spogliatoi anche dal piano superiore e, una volta cambiate con la divisa della squadra, uscivamo nel giardino interno del palazzo, che era stato abilmente trasformato in campo da Quidditch.
Sedute intorno al tavolo ovale c’erano tutte le mie compagne di squadra, tutte concentrate a guardare una piantina in scala del campo per studiare nuove strategie di gioco.

«Ciao a tutte.» dissi facendo notare la mia presenza. La prima a girarsi fu proprio mia cognata Angelina, dapprima sorridente e, appena notò che non ero ancora in divisa, storse la bocca, come a farmi capire che ero in ritardo per l’allenamento.
«Ginny, come mai non sei pronta?» mi chiese la Spinnet alzando per la prima volta il capo dalla piantina.
Abbassai lo sguardo imbarazzata, scegliendo con cura le parole da dire prima di dare la notizia. Feci un respiro profondo e, facendomi coraggio, alzai la testa e annunciai loro che avevo qualcosa di importante da dire.
Si misero tutte sull’attenti, Angelina si appoggiò al tavolo imitando in questo modo Oliver Baston.
«Lascio la squadra. Mi spiace dirvelo in questo modo ma… ma non posso più allenarmi a Quidditch.»
«Cosa? Va tutto bene, Ginny?»
«Sì, tutto bene Alicia. È solo che ho deciso di dedicarmi alla mia famiglia, soprattutto con il terzo figlio in arrivo.» mormorai arrossendo leggermente e mordicchiandomi le labbra, consapevole di aver sconvolto l’intera squadra con queste novità.
«Sei di nuovo incinta?» L’entusiasmo di Angelina si poteva percepire anche dall’altra parte del paese, felice di diventare nuovamente zia. Annuii con la testa, aspettandomi da un momento all’altro il suo abbraccio stritolatore.

La capitana delle Harpies si avvicinò a me e mi abbracciò, consapevole del fatto che non ci avrei ripensato e che la mia ultima partita ormai l’avevo giocata. A turno vennero a salutarmi tutte, ultima mia cognata, ancora su di giri.
«Ci mancherai, lo sai?» mi dissero in modo affettuoso. Ripetevo a me stessa come mantra di non mettermi a piangere, ma se mi dicevano tutte quelle cose non sarei riuscita nell’impresa. Promisi loro che sarai andata a trovarle ogni tanto e, quando avrei potuto, avrei fatto il tifo per loro allo stadio.

Una volta terminati i saluti, uscii dal portone principale e mi ritrovai in strada, il vento che mi sferzava i capelli facendoli andare davanti agli occhi. Mi guardai intorno e, appena fui sicura che non c’erano Babbani in giro, mi Smaterializzai per andare a Godric’s Hollow.
Quel posto mi metteva i brividi, ma era anche molto tempo che non andavo a trovare mio fratello. Lentamente, aprii il cancello del cimitero e iniziai a camminare sui primi fiocchi di neve che attecchivano al suolo. Leggevo i nomi sulle lapidi evitando di guardare le date di nascita e di morte, almeno finché non mi ritrovai di fronte alla tomba dei genitori di Harry.
In quelle foto, così giovani e sorridenti, mi facevano venire una stretta al cuore: avevano fatto di tutto per salvare il loro unico figlio senza riuscirci fino alla fine. Mi soffermai solo qualche minuto, la voglia di conoscerli era tanta, così come quella di Harry, che avrebbe voluto passare più tempo con loro.

Percorsi qualche altro metro, la neve cominciava a coprire l’erba e in un attimo mi ritrovai di fianco alla tomba di Fred. Mi accovacciai, sorridendo alla foto che si muoveva facendo facce buffe. Ricordavo perfettamente il giorno della sepoltura: la mamma continuava a urlare piangendo “Perché lui?”, papà cercava di consolarla invano; Bill e Charlie facevano di tutto per non mostrarsi deboli, ma tutti sapevamo che erano in procinto di piangere; Ron ed Hermione si stringevano a vicenda, sostenendosi l’un l’altro; Harry mi abbracciava stretta, come se dovessi cadere da un momento all’altro, e poi c’era George, silenzioso ma con il volto rigato dalle lacrime. A vederlo in quel momento non sembrava neanche lui, non era il fratello che era sempre stato.

«Ciao Fred. Finalmente sono venuta a trovarti.» dissi a quella fotografia che mi fissava sorridente. Sprofondai le ginocchia nella neve fresca, cercando di non far caso ai pantaloni che si bagnavano. Cosa potevo dire a quell’immagine? Istintivamente mi portai una mano alla pancia, trovando in questo modo un argomento di cui parlare.
«Stamattina ho lasciato la squadra delle Harpies. Mi è dispiaciuto molto farlo, ma non ho alternativa. Come mai? Semplice: stai per diventare di nuovo zio. Non riuscirei a stare dietro alla casa, ai miei figli, a mio marito e alla squadra.»

Mi immaginai una scena impossibile: ero a casa da qualche giorno dopo aver partorito, mio figlio tra le braccia che si stava addormentando, James e Albus che scorrazzavano per casa facendo chiasso, Harry che riceveva gli ospiti che si susseguivano in continuazione per dare il benvenuto al nuovo piccolo di casa. Niente di strano, finché non appariva Fred in jeans e camicia. Ed era veramente lui, perché George era al suo fianco, con il gaio sorriso d’un tempo e si vedeva lontano un chilometro che entrambi erano entusiasti del nipotino appena nato.

Tornai in me quando un moto di nausea mi costrinse ad allontanarmi per qualche istante. Non appena mi fui ripresa mi avvicinai nuovamente alla tomba di mio fratello e, con un nodo in gola, lo salutai.
«Si sente la tua mancanza, fratellone. Non fare troppi scherzi a chi è con te adesso. Ciao Fred, ti voglio bene.»

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Capitolo 11
*** Harry ***



Era una mattina come un’altra, mia moglie si stava preparando per andare alla sede de "La Gazzetta del Profeta" mentre io controllavo che nella mia borsa ci fosse tutto quello che mi sarebbe servito a lavoro.

«Ginny, torno a casa più tardi! Passo a Godric’s Hollow per salutare i miei genitori…»
«Va bene, Harry. Ci vediamo stasera.» mormorò lei, Lily Luna davanti al camino per Smaterializzarsi a casa dei miei suoceri. Uscii un attimo dopo che le donne di casa sparirono dalla mia vista, camminando con gli altri maghi e streghe che andavano a lavorare. Molti entravano nelle cabine telefoniche, altri nei bar per poi rifugiarsi in bagno e usare la Passaporta per arrivare al Ministero della Magia o alla Gringott.

La giornata trascorse molto velocemente, stando sempre in allerta per proteggere i maghi che avevano bisogno di protezione. Non vedevo l’ora di tornare a casa dalla mia famiglia, nonostante quella mattina avessi detto a Ginny che sarei andato dai miei genitori. Quando finalmente finì il mio orario di lavoro uscii dall’edificio a passo svelto, cercando il modo più rapido per arrivare alla mia prima meta.

Dopo quindici minuti ero già a destinazione. Camminavo a passo svelto tra le lapidi per raggiungere quella di Lily Evans e James Potter. Accanto a me i bambini correvano allegri con i loro sacchetti a forma di zucca, impazienti di racimolare più caramelle possibile in questa sera.

Ultimamente, ogni 31 ottobre, passavo un po’ di tempo a Godric’s Hollow. Non ci ero andato per molti anni, dovevo rimediare quella mia mancanza.
Mi avvicinai a passo svelto alla loro lapide, guardando incantato la foto incastrata nel marmo che si agitava. Cominciai a spiegar loro cosa facevo, come stavano Ginny e i miei figli; raccontavo di come mi sarebbe piaciuto presentarglieli e, soprattutto, parlando a una lastra fredda e confidando che le persone che celava potessero sentirmi, esprimevo come ero orgoglioso di loro, i miei genitori, che avevano fatto di tutto pur di salvarmi, sacrificando la loro stessa vita.
Passai una buona ora accovacciato davanti ai loro nomi, domandandomi più volte come sarebbe stata la mia vita se tutto ciò non fosse mai successo, se Voldemort non li avesse uccisi, se io non avessi avuto la cicatrice…

Le campane cominciarono a suonare, scoccando sette rintocchi. Mi alzai, pronto per andarmene, quando qualcosa mi bloccò: mi girai e continuai a camminare all’interno del cimitero, passando indifferente vicino a tombe di persone sconosciute; finché non mi fermai. Di fronte a me spiccava il nome di mio cognato Fred, colui che, insieme al resto della sua famiglia, si era sacrificato per salvare me.

«Ehi Fred. È un po’ di tempo che non ci vediamo…» Mi sedetti di fronte alla sua fotografia sorridente, che a sua volta fece sorridere anche me. Leggere l’anno di nascita e di morte era orribile, soprattutto sapendo come la sua vita è stata tragicamente interrotta.
«Immagino che tuo fratello ti racconti sempre cosa succede. Ron se la cava abbastanza bene al negozio, ma non è come avere te dietro il bancone. Quante volte Hermione gli ha detto che era uno stupido, accusandolo di avere la sfera emotiva di un cucchiaino?» Mi misi a ridere, ricordando bene la scena appena descritta.
«Ti ricordi quando tu e George siete entrati con le scope nella Sala Grande durante un esame della Umbridge? In quel momento avete risollevato il morale a tutta la scuola. E non avete avuto l’occasione di vedere la reazione degli altri professori! Ancora oggi non so dirti chi era quello più entusiasta della vostra bravata.»

Mi venne in mente il giorno in cui mi avevano consegnato la Mappa del Malandrino, facendomi conoscere tutti i passaggi segreti per arrivare a Hogsmade senza essere visto, e quando li avevo conosciuti insieme a quel ragazzo di undici anni che presto diventò il mio migliore amico. L’avevo capito subito, appena li avevo visti, che saremmo diventati amici.
Non era stato facile a dire addio a tutti gli amici che erano morti quel giorno al Castello; pensai al dolore di Molly e Arthur, alla disperazione di George e ai lunghi e tristi silenzi degli altri fratelli. Non potevo dire che sapevo cosa si provava, nonostante in passato assistetti alla morte di Sirius e Dobby: non era la stessa cosa. Automaticamente, portai una mano sulla cicatrice e ne tracciai la forma: era lì da tanti anni, ormai indolore da quel giorno.

«Mi dispiace Fred. Mi sarebbe piaciuto vedere se tu e George sareste invecchiati allo stesso modo di come avevate fatto qualche anno fa, quando cercaste di aggirare la linea dell’età per mettere i vostri nomi nel Calice. Racconterò ogni cosa ai miei figli, in modo che nessuno possa dimenticarsi di te. Ciao amico.» mormorai alzandomi un po’ infreddolito.

Dopo venti minuti ero di nuovo a casa, pronto a essere abbracciato dalla mia bambina. Come previsto, Lily Luna mi corse incontro, facendomi tornare spensierato dopo una giornata di lavoro. Mentre mia figlia continuava a giocare in attesa che la cena fosse pronta, Ginny mi chiese come mai avevo fatto tardi.
«Di solito quando vai a Godric’s Hollow torni a casa prima. C’è stato qualche inconveniente?» La sua voce era un misto tra l’ansioso e la speranza che non mi fosse accaduto nulla. Come biasimarla? Ero sempre tornato a casa puntualissimo, l’unica eccezione di orario era appunto per la sera del 31 ottobre, ma questa volta era diverso. Mi sedetti su una sedia intorno al tavolo e le feci segno di fare lo stesso; non volevo che la bambina di dieci anni in salotto sentisse cosa avevo fatto dopo il lavoro: era troppo piccola per capire perché ogni anno andavo al cimitero a salutare i miei genitori.

«Nessun inconveniente, stai tranquilla. Ho fatto più tardi perché mi sono fermato davanti la tomba di Fred.»
«Oh… hai fatto benissimo, Harry. Sai, mi manca ogni giorno. Voglio bene a tutti i miei fratelli, anche se non l’ho mai dimostrato e da quando Fred non c’è più, è come se mancasse un pezzo di me.»
Colto alla sprovvista da quelle parole, la abbracciai istintivamente: se la conoscevo abbastanza bene, sarebbe scoppiata a piangere nel giro di pochi secondi, come fece proprio un istante dopo.
«Manca a tutti, Ginny. Puoi stare certa che lui è sempre con noi. Lo sarà sempre.»

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Capitolo 12
*** Luna ***


 
Mio marito e io eravamo in cucina a preparare la colazione per i nostri figli; la finestra sopra il lavello era aperta e faceva entrare quella frizzante brezza mattutina nella stanza. Avevo già incantato la macchina per la stampa del nuovo numero del Cavillo, così non avrei perso tempo per le mie ricerche.

L’intera casa era immersa nel silenzio, segno che i miei gemelli stavano ancora dormendo. Ci stavamo godendo quella pace quando due gufi fecero notare la loro presenza sul davanzale della finestra, nel becco una lettera ciascuno. Non impiegai più di un secondo a riconoscere il sigillo di Hogwarts; presi loro le buste e li ringraziai subito prima di rompere il silenzio che ci avvolgeva: «Bambini, alzatevi!» urlai per farmi sentire al piano superiore.

Due facce ancora assonnate sbucarono dal ballatoio, senza capire esattamente cosa stesse accadendo e perché li avevo chiamati a gran voce. Il sonno sparì completamente dai loro volti appena videro le buste che Rolf aveva messo ai loro posti, rendendoli consapevoli di cosa stesse accadendo.

Entusiasti, corsero giù per la scala a chiocciola e si sedettero immediatamente a tavola prendendo la lettera di ammissione e rigirandola nelle mani più volte. Alla fine decisero di aprirla, leggendo attentamente le poche righe, che comunicavano loro che a settembre avrebbero cominciato la Scuola, e la lista delle cosa da comprare per il primo anno.

«Mamma, possiamo andare oggi a Diagon Alley?» Lorcan era impaziente di comprare l’indispensabile, ma più di ogni altra cosa preferiva entrare nei negozi dalle vetrine colorate e la confusione nelle strade.

«Prima fate colazione e dopo la mamma vi porta a comprare il necessario.» disse mio marito mentre finiva di leggere l’ultimo articolo su “La Gazzetta del Profeta”.

Per il resto della colazione si svolse in silenzio, piena di occhiate d’intesa tra i miei figli. Di solito se la prendevano con calma a fare le cose, ma quel giorno cercavano di essere il più rapidi possibili: dopo neanche venti minuti, eccoli pronti davanti al camino, impazienti di usare la Metropolvere per arrivare a Diagon Alley.

Non potevo biasimarli: anche io alla loro età ero eccitata quando ricevetti la lettera. Mio padre e mia madre erano fieri di me, così come Rolf e io lo eravamo dei nostri figli.

Appena ci trovammo per le vie di Diagon Alley, mi ritrovai a guardare le vetrine dei negozi, tutte colorate e piene di novità, come il nuovo modello di scopa.

Dopo la caduta di Voldemort, Diagon Alley era tornata al suo splendore originario, facendo riaprire negozi storici che durante quegli anni erano stati costretti a chiudere per paura. L’unico che in quel periodo di terrore era appena nato era il negozio di Fred e George.

I miei figli camminavano al mio fianco, ammirando con stupore la varietà di maghi e streghe che passeggiavano insieme a noi; chi entrava in un negozio, chi ne usciva, chi faceva un salto alla Gringott per prelevare il denaro necessario alle compere.

Avevamo quasi finito di prendere il necessario elencato nella lista allegata alla lettera, quando all’improvviso mi bloccai, fissando l’insegna magica del negozio dall’altro lato della strada.

«Mamma?» Lysander si fermò accanto a me guardandomi preoccupato. Non riuscivo a dire una parola, guardavo semplicemente l’ingresso di quel negozio. Lorcan imitò il fratello, tirando con una mano il cappotto per attirare la mia attenzione. Mi voltai verso di loro, cercando di sembrare il meno triste possibile, nonostante non fosse facile: rivedere dopo anni l’insegna del Tiri Vispi Weasley mi strinse il cuore, facendomi tornare alla memoria quello che fu il giorno più malinconico per la famiglia Weasley.

«Va tutto bene, mamma? Sembri preoccupata…» mormorarono loro in coro, scrutandomi con attenzione.

«Sì, tutto bene. Ecco, io…» non riuscii a dire altro, perché in quel momento vidi Ted, il figlio di Tonks e Remus, uscire dall’edificio, portando con sé i figli di Harry e Ginny. «Entriamo lì.» dissi con fare risoluto, non facendo caso alle espressioni confuse sulle facce di Lorcan e Lysander.

Attraversammo la strada, giungendo davanti all’immenso ingresso del negozio di scherzi tanto amato dai ragazzi di Hogwarts. Spinsi la porta, entrando nel posto più magico di tutta la vita: ovunque mi giravo c’erano oggetti perfetti per fare gli scherzi agli amici o ai compagni antipatici; quasi cacciai un urlo quando mi accorsi all’ultimo momento che un Orecchio Oblungo era proprio all’altezza del mio volto.

«Come mai siamo entrati qui?» domandò Lorcan, notando con rammarico che non c’era niente che poteva servire a lui e suo fratello per la Scuola.

«I proprietari di questo negozio sono miei amici. Ho la stessa età della loro sorella più piccola.» Continuai a girare per il negozio, curiosando tra gli scaffali e guardando divertita gli oggetti che dimostravano ai clienti come funzionavano. Stavo salendo la scala per andare al piano superiore quando mi bloccai a metà: era impossibile non notare la foto di Fred sopra la cassa in cui Ron e George si stavano dando da fare.

Vedendola mi si inumidirono gli occhi, offuscandomi la vista per qualche minuto. Chiusi le palpebre, in modo da non farmi vedere in quelle condizioni dai miei figli che ammiravano stupiti tutto ciò che li circondava.

«Luna! Che piacere vederti. Sempre convinta dell’esistenza dei Nargilli?» Riconobbi al voce di George in un batter d’occhio. Asciugai rapidamente quelle lacrime che stavano per scivolare lungo il mio viso e sorrisi al proprietario dell’emporio.

«Ciao, George. Certamente: sosterrò la mia tesi sempre. Sto facendo visitare il negozio ai miei figli.» Se non fosse per il fatto che aveva perso un orecchio, avrei potuto affermare che mi trovavo davanti Fred. Sapevo bene che lui non c’era più, ma la loro somiglianza mi fece venire i brividi.

«Mamma, questo posto è bellissimo! Perché non ci hai portato prima?» strillarono in coro, elettrizzati da tutte le scoperte che avevano appena fatto.

Sorrisi a George che non perse un attimo nel cercare qualche arnese da regalargli, raccomandando loro di usare quegli oggetti soltanto in giardino. Ringraziammo tutti e tre e andai a salutare Ron, chiedendogli di estendere il saluto anche a Hermione, Harry e Ginny.

Terminate le compere tornammo a casa e, dopo aver cenato, misi a letto quei due terremoti che non vedevano l’ora di provare tutte le cose che avevamo acquistato nell’arco della giornata. Anche mentre stavo per spegnere la luce della loro stanza, ecco che si misero a parlare del negozio di George, continuando anche dopo che mio marito e io gli avevamo dato la buona notte.

Non appena chiusi la porta, lacrime silenziose fecero capolino sul mio viso: incombevano minacciose dal momento che posai gli occhi sull’insegna del Tiri Vispi, resistendo fino a quel momento.

«Luna, che succede?» Rolf si avvicinò a me con aria preoccupata, studiando un modo per farmi smettere di piangere. Lo guardai negli occhi, nonostante vedessi tutto offuscato, e lo rassicurai che non c’era niente di cui preoccuparsi.

«Sono entrata al Tiri Vispi con i ragazzi.» confessai alla fine. Quella frase bastò per fargli capire il motivo delle mie lacrime e tentò di consolarmi come meglio poteva.

«Non ho mai conosciuto quel ragazzo, ma da come me ne hai parlato in passato, doveva essere davvero eccezionale.»

«È così, tesoro. Non mi sorprende che abbiano appeso una sua foto in negozio. Ammetto che non ero molto loro amica, ma non dimenticherò mai Fred Weasley.»




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ANGOLO AUTRICE

Siamo alla fine. Questo è l'ultimo capitolo della raccolta.
Scrivere questi capitoli non è stato affatto semplice. Far ripercorrere a tutti i personaggi un dolore così grande ha fatto male anche a me. Non so se scriverò altre storie su Harry Potter ma, nel caso lo facessi, spero vivamente che voi lettori -silenziosi e non- passiate nuovamente da questo profilo.
Con questo vi ringrazio davvero tanto, perché vi siete commossi insieme a me leggendo questi brevi capitoli. In quanti di voi mi hanno scritto di non riuscire a recensire in modo decente da quanto piangevate?
Ora, se permettete, devo ringraziare due persone in particolari, due amiche: Aeternum, che mi ha ispirato l'intera raccolta (come avevo detto al capitolo di George) a cui gliela dedico dicendole semplicemente grazie per avermi fatto vedere quel video, mi è stato molto d'aiuto. L'altra amica è GiadaGrangerCullen, la mia pazientissima Beta, che ha corretto tutti questi momenti di vita quotidiana dopo la morte di Fred. Grazie davvero, tesoro.
È brutto mettere la spunta su "completa", ma se non avesse fine, sarebbe ancora più straziante.
A presto, spero.

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