Piccola Peste 2

di Zola_Vi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** «I'm changed ***
Capitolo 2: *** «I don't like this place ***
Capitolo 3: *** «I dare you ***
Capitolo 4: *** «My heart doesn't exist anymore ***
Capitolo 5: *** «She was pregnant ***
Capitolo 6: *** «I won't change my idea ***
Capitolo 7: *** «I will always find you ***
Capitolo 8: *** «You'll have to do all I say ***
Capitolo 9: *** «Kiss me ***
Capitolo 10: *** «I let you be free ***
Capitolo 11: *** «Where are you? ***
Capitolo 12: *** «Are you afraid? ***
Capitolo 13: *** «You liked it ***
Capitolo 14: *** «You're an idiot ***
Capitolo 15: *** «You're the best ***



Capitolo 1
*** «I'm changed ***


Cap. 1 

 

"Ti dò il cambio io, Ploon. Prenditi un caffè."

Da giorni, ormai, ero seduta su quella tremenda sedia di plastica, in ospedale.

Tenendo le mani incrociate vicino al collo per sorreggere il capo ormai stanco di restare rigido e in allerta, fissavo incessantemente il ragazzo accanto al mio corpo.

Immobile, silenzioso e con gli occhi chiusi, sembrava dormisse.

Qualche livido sul suo corpo era scomparso, qualcun altro era rimasto.

Aveva avuto un incidente stradale, così mi avevano detto quella sera di quattro giorni prima.

Non so in che modo, erano riusciti a rintracciarmi e mi avevano avvertita.

Era da mesi che non lo sentivo, che non lo toccavo, che non lo guardavo.

Nove, forse.

"Non si sveglierà, Ploon. Non ora. Puoi riposarti un attimo."

"Aprirà gli occhi, invece."

In un singolo istante fulminai la persona che aveva disintegrato, anche se solo con una breve frase, la mia speranza di rivedere quegli occhi color smeraldo spalancati su di me, almeno per pochi secondi.

Sentii sospirare Zayn, che uscì poco dopo dalla stanza.

Poggiai la fronte sulle gambe di… del ragazzo.

E mi addormentai, cadendo in un sonno che mi riservò solo incubi.
 

“I medici dicono che sia quasi normale non si svegli. Ha subito uno shock, il cervello ha bisogno di riposo.”

“Niente… coma?”

“Per ora lo escludono.”

Sebbene avessi dovuto tirare un sospiro di sollievo, non lo feci.

Come mai avrei potuto farlo?

“Posso farti una domanda?”

Non mi mossi, sapendo a cosa sarei andata incontro.

Sbuffai, semplicemente.

Non avevo voglia di chiacchiere: l’unica cosa che volevo fare in quel momento era risedermi accanto al ragazzo steso sul lettino e guardarlo fino a che non avesse fatto anche un singolo movimento.

“Perché sei qui?”

Non spalancai gli occhi, anche se la tentazione fu davvero immensa.

D’altronde, lui non sapeva niente: nulla di quello che era realmente accaduto.

“Per il tuo stesso motivo.”

“Sai cosa intendo, Ploon. Dov’eri finita?”

Digrignai i denti e accigliai lo sguardo.

“Appena si sarà ripreso me ne andrò. Non devi preoccuparti, non ho intenzione di creare altro scompiglio.”

Lui sospirò.

E dopo alcuni secondi, dopo avermi guardata attentamente, mi afferrò per le spalle e mi strinse a se.

Colta dalla sorpresa, il mio cuore tremò.

Era da parecchio tempo che qualcuno ormai non mi abbracciava: non ne avevo sentito più la necessità, eppure un leggero senso di dolcezza percosse la mia mente.

“Un tempo ci dicevamo tutto.”

“Ma tutto cambia, Zayn.”

Mi era mancato, in fondo.

Il moretto mi aveva saputo tirar su il morale in tempi difficili, e certi gesti non si dimenticano mai.

“Anche tu? Tu sei cambiata?”

Chiusi gli occhi, cullata dalla sua voce.

Quella parole risuonarono nella mia testa, rimbalzano qua e di là.

“Sono solo cresciuta.”

Ed era vero.

Molta innocenza che aveva caratterizzato la mia vita e il mio carattere fino a nove mesi prima, adesso era scomparsa.

Anche coloro con i cuori da bambino, inevitabilmente, prima o poi, mutano.

“Sono successe troppe cose.”
 

Non avevo ancora osato toccare la sua mano.

L’ultima volta che l’avevo fatto era stato sotto casa sua.

Mi aveva baciata.

E poi aveva aspettato di vedermi rientrare in casa per chiudere la porta davanti a se.

La sera stessa ero scappata.

Lontano.

Fuori da Holmes Chapel.

Avevo preso la mia macchina e, con la musica a tutto volume, avevo salutato tutto ciò che in quel momento riusciva solo a provocarmi dolore.

Troppi ricordi.

Troppe lacrime.

Troppo di tutto.
 

*Flashback*
 

“Sei sicura? Se vuoi, posso stare qui insieme a te per stanotte.”

Quella sera, quando avevo ricevuto la lettera, lui era con me.

Ed era stato così dolce e premuroso.

Mi aveva preparato la cena e poi, silenziosamente, si era coricato accanto a me sul divano, per abbracciarmi e farmi sentire protetta.

“Non preoccuparti. Sto bene, Harry.”

Non me l’aveva chiesto due volte, sapendo mi avrebbe solo infastidita.

“Comunque sai che per ogni cosa…”

“Posso chiamarti e parlarti mentre ti guardo dalla finestra?”

“Si.”

Sorrise, e io non potei fare a meno di pensare che quello splendido sguardo fosse il più splendido di tutto l’universo.

“Ti amo.”

“Anch’io. Più di ogni altra cosa.”

*Fine Flashback*

“Se quel sentimento per te vale ancora qualcosa, ti prego, s-svegliati. Se non vuoi farlo per te, fallo per me.”


Ehi, ragazze.
Ciao a tutte, finalmente sono tornata. Scusate, davvero, per la mia assenza! 
Ho deciso di fare il Sequel di Piccola Peste perché pensavo la storia potesse ricevere una sorta di svolta improvvisa. 
Ditemi, siete d'accordo con la mia scelta? O potevo semplicemente chiudere il "primo libro"?
Aspetto i vostri commenti con piacere, mi farebbe piacere sentirvi un altro po'.
Bacioni, 
Zola.

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Capitolo 2
*** «I don't like this place ***


Cap. 2

 

*Flashback*

 

“Che hai, Piccola Peste?” 

“Non mi piace questo posto.” sospirai, appoggiando la mano al mento per sorreggermelo. 

“Si chiama ‘Ospedale’” rise lui. 

“Non mi importa come si chiama. So solo che mi dà fastidio vederti sdraiato lì su quel letto, fermo e dolorante.” 

“Guarda che sto bene, non ho male.” 

“Sei un bugiardo. Ti ho sentito lamentarti prima con Anne.” 

Aggrottò le sopracciglia, come se avessi offeso la sua virilità. 

“E’ umano soffrire.” gli feci un occhiolino.
“Non fare la gran donna. Hai solo nove anni, simpaticona. Sei ancora una nanerottola.” 

“Non c’é bisogno di aggredire.” sghignazzai divertita. 

“Il tuo segreto é al sicuro con me. Nessuno saprà che sei qui a piagnucolare… a meno che tu non faccia qualcosa per farmi cambiare idea.” 

Mi fece il verso e io gli sorrisi, irritandolo probabilmente ancor di più. 

“Sei qui per torturarmi?” 

“Sono qui perché…”

“Perché?”

“Noi ci siamo sempre l’uno per l’altro, no?” 

Lui annuì. 

“E poi la mamma mi ha detto che qui é pieno di caramelline per i bambini.” esclamai fissandone una proprio davanti a me, nel comodino. 

 

*Fine Flashback* 

 

“Ti ha cercata ovunque.” 

“E non smetteva di chiamarti.” 

“Non faceva che irritarsi, che starsene da solo, che allontanare tutti.” 

Le frasi corte, ma concise, di Gemma continuavano a risuonare per tutta la stanza, con lo scopo di farmi sentire sempre più in colpa. 

Singhiozzava. 

E io non facevo niente. 

Proprio niente. 

Non avevo il coraggio nemmeno di guardarla negli occhi. 

Soffrire non ti dà il diritto di trattare come pupazzi le persone, e io l’avevo fatto. 

Mi lamentavo che tutti mi lasciassero sempre sola, ma alla fine era esattamente ciò che avevo fatto con Harry. 

Ero stata debole, per una volta. 

E in un primo tempo avevo pensato potessi concedermelo, che fosse perdonabile. 

“Volevi pareggiare i conti, non é così?” chiese duramente, con le lacrime agli occhi. 

“Hai voluto si sentisse esattamente come ti stavi sentendo tu. O come ti eri sentita quando lui era sparito dalla tua vita.” 

Non le risposi. 

“Non sapendo con chi prendertela, ti sei vendicata su di lui per cercare conforto. Per non sentirti l’unica persona abbandonata sulla terra.” 

Corrugai la fronte. 

Come poteva essere così arrabbiata da pensare una cosa del genere?

“Ti posso capire Ploon, davvero. Solo che… pensavo fossi più matura e forte di così. Sai, ti ammiravo così tanto. Ma sembra che crescendo tu sia diventata una lastra di ghiaccio però. Non sei più la bambina dolce e buona di un tempo, quella di cui si innamoravano tutti solo parlandole per un secondo.” 

La verità era che le sue parole non facevano neanche più male. 

Non mi toccavano.

Mi dispiaceva solo vederla in quello stato per causa mia. 

“Io posso uscire se hai bisogno di restare un po’ da sola con lui.” le dissi soltanto. 

Scosse il capo, forse esterrefatta dal fatto che non avessi nulla da aggiungere. 

“Sei sempre stata come una sorella per me… ma sembra che ormai io vi abbia persi entrambi.” sentii solo sussurrarla. 

Poi uscì dalla stanza, lasciandomi nuovamente sola con Harry. 

“Sembra quasi che a noi un po’ di pace non sia mai concessa.” pensai, sorridendo tra me e me, ormai rassegnata, girandomi verso il volto del ricciolo. 

“Ma proprio per questo, forse, noi, alla fine, in un modo o nell’altro, finiamo sempre per stare insieme. Anche se… ci facciamo del male.” sospirai. 

Era da tempo che una lacrima non bagnava il mio viso, e neanche in quella circostanza successe. 

Sfiorai la guancia del ragazzo dalla voce profonda e roca, ricordandomi quanto mi piacesse farlo in passato.

“Sai, ti scrivevo ogni giorno, in delle lettere. Era per sfogarmi, per mantenere vivo il tuo ricordo per sempre… Non te le ho mai spedite, mi dispiace.” 

Continuavo a parlargli, sperando mi ascoltasse in un qualche modo.

Anche se in realtà, quella che aveva bisogno di sentire tali parole ero io, per distrarmi.

Lui non era mai stato così impotente e fragile davanti a me.

Voleva sempre apparire forte, invincibile, impenetrabile… un po’ come me.

E adesso, invece, sembrava che il destino ci stesse prendendo in giro: bastava guardarci da lontano per scorgere in noi solitudine e tristezza.

A volte alle persone davvero meravigliose succedono cose davvero orribili.

E si, certo, é la sofferenza che ci aiuta a crescere… ma é anche quella che ci cambia.

Perché a cercare per molto tempo il paradiso, si trova l’inferno.

Scusate davvero molto per la brevità del capitolo, ma nei prossimi giorno non potrò scrivere e pubblicare nulla, quindi almeno volevo lasciarvi questo piccolo pezzettino <3 
Spero ugualmente vi sia piaciuto C: 
Fatemi sapere, vi risponderò con immenso piacere! 
Un bacione a tutti, 
-Zola. 

 

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Capitolo 3
*** «I dare you ***


Cap. 3

 

“Finire all’ospedale era l’unica soluzione perché tu ti preoccupassi per me?” 

Quelle parole, udite all’improvviso e malamente, mi fecero sobbalzare sulla sedia su cui mi ero momentaneamente addormentata. 

Aprii gli occhi, per vedere i suoi. 

Verdi. 

Profondi. 

Erano esattamente come li ricordavo. 

Disteso sul letto, con i capelli scompigliati, mi guardava attentamente, accennando un tenue sorriso.

Come poteva non guardarmi con disprezzo, dopo tutto quello che avevo fatto?

Non era qualcosa di perdonabile, dopo ciò che avevamo passato insieme. 

Quello che eravamo. 

“E nonostante la situazione, ti ostini comunque a non parlarmi, a quanto vedo.” 

Abbassai lo sguardo, non sapendo cosa rispondere. 

Tuttavia, lui continuò a studiarmi, attentamente. 

Non so se fosse imbarazzo o senso di colpa, ma il mio stomaco fu ripetutamente colpito da fitte lancinanti che mi impedirono quasi di respirare regolarmente. 

“Dove sei stata.. per tutto questo tempo?”

“Ho girato un po’. Odiavo l’idea di stare ferma da qualche parte, essere legata ad un posto.” 

Lui annuì, semplicemente. 

“Ti ho chiamata tutti i giorni. Non mi hai mai risposto.” 

Non un flebile respiro uscì dalla mia bocca, non una sillaba. 

Fu strano. 

Per la prima volta in tutta la mia vita, non avevo nulla da dirgli. 

Io che parlavo nonostante un uragano invadesse la città, stetti in silenzio ad ascoltare il rumore dell’aria.

“Avevo paura di dimenticarmi il tuo viso.” 

“Esistono le fotografie apposta.”

Solo quando finii la frase, mi accorsi della freddezza delle mie parole, guardando il suo volto, immediatamente mutato. 

Lo avevo colpito dritto al cuore, un’altra volta. 

Forse facendogli credere che, al contrario suo, a me lui non fosse mancato affatto. 

Ma non cercai di migliorare la mia frase. Non cercai di alleviare la pesantezza del suo dolore. 

“Perché sei qui?” chiese serio, facendomi dimenticare il suo sorriso. 

“Io non lo so.”

Era stato come un impulso irrefrenabile.

Non appena mi avevano avvisata del suo incidente, nulla mi aveva impedito di raggiungerlo. 

Ma adesso che tutto era passato, potevo tornare sulla mia strada, da sola, definitivamente, di nuovo.

“So perché sei scappata. E so che hai una scusa molto più solida di quando lo feci io. Ma..”

“Non voglio essere giustificata, Harry. Non da te, almeno. Fidati, sarà più facile per entrambi se mi odierai.” 

S’interruppe, anche se solo per un secondo.

Fissò i miei occhi color ghiaccio, come se dovesse entrarvici dentro.

Forse con la speranza di pescarvici all’interno la bambina che ero un tempo, la persona di cui si era realmente innamorato.

“Io non lo farò, Ploon. Non ci riesco.” 

“Devi riuscirci.” 

“Perché? A quale scopo? So che non é finita. Non può esserlo. Tu provi ancora le stesse cose, lo so.” 

Scossi il capo. 

Cercai di ricordare i sentimenti provati in passato. 

Felicità. Dolore. Amore. Amicizia. 

Ma invano. 

Tutto ciò era solo un lontano ricordo. 

“Mi dispiace, ma ti sbagli. Io non provo più niente. Quella Ploon, quella che amavi, non c’é più da tempo ormai. Dovevo solo riconoscerlo.”

“Quello che non capisci é che non mi importa.”

Sorrisi. 

Era rimasto così dolce, invece.

“Non hai davvero idea di ciò che io sia realmente adesso, Harry. Ho perso tutto ciò che credevo di avere, tutto ciò che credevo di essere. I bei tempi, quando eravamo dei bambini, sono finiti ormai. Sono una donna, ormai.”

“E io un uomo. Ploon, possiamo ancora farcela noi due.”

“Non voglio nessuno al mio fianco.”

“Allora aspetterò, fin quando non sarai pronta.”

“Non lo sarò mai.”

 

“Non ti credo.”

“Come, scusa?”

Zayn era testardo, peggio di me. 

Quando si ostinava ad ottenere una cosa, non vi era verso di fargli cambiare idea.

Chissà cosa svolazzava tra la sua mente: di sicuro nulla di positivo per me. 

“Stai mentendo a tutti.”

Aggrottai le sopracciglia. 

Ero confusa, decisamente. 

Non sapevo a cosa si stesse riferendo, ma di sicuro da lì a poco lo avrei sentito surriscaldarsi e magari innervosirsi. 

“Se tu davvero non sentissi niente, non avresti problemi a tornare con noi ad Holmes Chapel.”

Vedendomi ammutolita e silenziosa, continuò a parlare senza farsi problemi.

Forse prima o poi avrebbe preteso una risposta, ma non in quel momento.

“Non vuoi tornarci solo perché hai paura.”

Sghignazzai, facendogli notare una piccola risatina ironica.

“E di cosa?”

“Dei ricordi.”

Corrugai la fronte, colpita dritta al cuore.

Zayn, nonostante tutto, rimaneva troppo intelligente per non scoprire la verità.

Lo guardai dritto negli occhi, cercando di non far scaturire nel mio sguardo la minima emozione.

Ma tutto ciò che fece lui fu sorridermi maliziosamente. 

“Facciamo una sfida.”

Quell’affermazione m’incuriosì, infiammò il mio animo. 

Era da tempo che non “combattevo” contro nessuno, ero quasi annoiata. 

In fondo sebbene avessi cominciato ad apprezzare la solitudine, ciò che non era mutato in me era il mio spirito ribelle. 

“Io scommetto che non resisterai più di sei mesi se verrai con noi, scapperai esattamente come hai fatto nove mesi fa.” 

“Così mi fai sembrare una codarda.”

Lui sorrise, semplicemente. 

E solo in quel momento mi resi conto della frase appena pronunciata.

In effetti, ero stata davvero una codarda. 

Mi disdegnai non appena me ne accorsi, e feci un evidente smorfia.

“Allora? Ci stai?”

“Non sono stupida, Zayn. E’ un tuo patetico modo per farmi tornare indietro sui miei passi.”

“Dimostrami che non lo farai. Neanche se torni a casa.”

“E tu cosa ci ottieni?” 

“Ragione. E un po’ di divertimento.”

“Divertimento?”

“E’ sempre stato uno spasso per me vederti lottare guerre perse in partenza.”

“Quando parli così sembri Louis.” sbuffai, immaginandomi quel ragazzo così dannatamente assillante. 

“In effetti é lui che mi ha ispirato. E’ sempre stato l’unico a poterti tenere testa.”

“Ma se perdeva sempre.” risi, ricordandomene. 

E a lui, in quel momento, s’illuminarono gli occhi.

“Vedi, c’é ancora una speranza. Almeno so che sai ancora ridere.”

Tornai seria, poco a poco.

“Non illuderti però. Non ti lascerò vincere, costi quel che costi.” 

“Vedremo, ragazzina.” 

Louis spuntò dal fondo del corridoio: continuava ad avere quel sorrisetto astuto e fastidioso sul viso, che sempre mi innervosiva leggermente, per non parlare del soprannome che aveva sempre amato affibbiarmi. 

Era rimasto esattamente come mesi prima: magro, non troppo alto e sempre vestito un po’ strano. 

Nonostante tutto, mi fece piacere rivederlo, anche se in quelle circostanze. 

“Sapevo fosse un’ idea tua.” gli dissi, spavalda. 

“E io sapevo avresti ascoltato solo Zayn.” 

“Comunque…” interruppe il discorso il moretto.

“Spero che Louis si sbagli. Che tu riesca a resistere.” sorrise.

Io non gli risposi, semplicemente mi girai dall’altra parte della stanza, e uscii.

EHI, RAGASSUOLE. 
Salve a tutte e buona Pasquetta <3 Tanti tanti auguri, davvero C: 
Come avete passato le vacanze? Riposate? Spero proprio di sì. 
Ma tornando a noi...
Chissà cosa succederà :O 
Ploon sembra aver accettato la sfida. Che dite? La vincerà o per la prima volta in tutta la sua vita Louis riuscirà a sconfiggerla? Ma soprattutto, vuole davvero batterla? 
E con Harry? Le cose si sistemeranno o saranno più dure di quanto si possa immaginare?
Di sicuro con lui lei é super fredda, peggio che con ogni altra persona... 
Ma chissà, chi vivrà vedrà, come dice il detto :3 
Spero che il capitolo vi sia piaciuto! Mi raccomando, fatemi sapere tutto: le vostre sensazione, le vostre idee etc. 
Buona giornata a tutti belle e un mega super bacino, 
-Zola. 

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Capitolo 4
*** «My heart doesn't exist anymore ***


Cap. 4

 

“Ha più sentito Arya?” 

Niall aggrottò le sopracciglia, forse non sapendo cosa dire: se confessarmi la verità oppure no, pensando m’importasse ancora, in un qualche modo.

“Tu dovresti saperlo.” 

“Perché ti interessa?” 

“So che sembra assurdo, ma voglio che lui sia felice, nonostante tutto.” 

L’irlandese sorrise timidamente, abbassando lo sguardo. 

“Penso non ti capiremo mai, tutti noi. Sei così… strana, a volte.” 

“Non é la risposta alla mia domanda.” 

Mi fissò per qualche istante, toccandosi le mani nervosamente. 

Aggrottai le sopracciglia.

Perché ci metteva così tanto a sputare una così piccola verità?

“Non dovrebbe essere così difficile dire un ‘si’ o un ‘no’.” affermai severa.

“Si, si sono sentiti.. Per qualche tempo.” 

“E…?” 

Alla fine sbottò, alzandosi dalla sedia nervoso. 

“Chiedilo a lui cos’é è successo. Non spetta a me dirtelo.”

Sgranai gli occhi, sorpresa. 

Non c’era affatto bisogno di reagire in quel modo.

Il biondo s’allontanò da me, andando in cucina a prendere qualcosa da mettere sotto i denti. 

Mentre lo vidi allontanarsi da me, sorrisi compiaciuta. 

Era cambiato in nove mesi: evidentemente aveva fatto palestra, poiché la sua pancetta era completamente scomparsa. 

Tuttavia, non mi dimenticai della domanda che gli avevo posto. Rimanevo comunque curiosa. 

Mi alzai dal divano su cui ero comodamente seduta per uscire a fare una passeggiata fuori casa. 

Il tempo era perfetto: poche nuvole, un sole splendente ma non caldo, aria fresca. 

“Stai scappando?” sentii sghignazzare Louis. 

Alzai gli occhi al cielo, anche se divertita da quella richiesta. 

“Vieni a fare un giro con me?” 

Annuì. 

Prese la giacca posata sul tavolo e mi raggiunse sorridente. 

Stare con lui era piacevole, come sempre. 

Il suo spirito allegro mi rasserenava, facendomi dimenticare il mio stato perenne d’amarezza e solitudine. 

Anche in mezzo ad una folla, a volte, mi sentivo completamente abbandonata a me stessa. 

“Dove andiamo?” 

“Dalla mia vecchia scuola.” 

Era da un mese, ormai, che ero ad Holmes Chapel, ma poco avevo frequentato quei posti che mi ricordavano tempi passati: a parte la casa di Harry, che ormai era diventata il mio rifugio, proprio come per gli altri. 

Avevo venduto casa mia, a chi non lo so nemmeno.

Fatto sta che non vi potevo mettere più piede. Non che mi dispiacesse, in fondo. 

 

Era proprio come l’avevo lasciata quasi un anno fa. 

Quel vecchio edificio si reggeva malapena in piedi, tuttavia, rimaneva lì e continuava a svolgere il proprio lavoro. 

In quel momento vidi una classe, un gruppo di bambini, uscire dal portone: forse una seconda elementare. 

Sorrisi pensando che un tempo, probabilmente, io ero proprio così, come quei marmocchi strillanti. 

Una bambina catturò la mia attenzione.

Canticchiava, saltellando allegramente, tamburellando i propri piedi sul terreno a ritmo della musica. 

Mi ricordò me, un tempo. 

Forse era ricca di sogni, speranze, convinzioni. 

Un arcobaleno di emozioni le vorticavano in testa, allegra. 

Guardarla gioire era un po’ come se potessi farlo io stessa. 

Ad un certo punto, però, si fermò. 

Alzò lo sguardo e mi vide. 

Seria, studiò il mio corpo. 

Le feci un gesto con la mano, per salutarla dolcemente. 

Scappò via. 

Louis rise, divertito forse dalla scena. 

“L’hai spaventata.” 

Sbuffai, pensando di aver a che fare con un cretino. 

“O forse ha visto la tua faccia ed é stata traumatizzata.” 

Mi fece il verso e sorrise, non controbattendo. 

Poi, mise la sua mano sulla mia spalla, in segno di confidenza e tranquillità. 

Lo fulminai, spostando subito il mio corpo lontano dal suo. 

Se c’era una cosa che odiavo, ora come ora, era il contatto fisico non richiesto. 

“Scusa, non volevo infastidirti.” 

Sorpresa che potesse dire sul serio qualcosa di non sciocco lo guardai per qualche secondo in più del solito. 

“Che c’é?” 

“Niente, va.” 

Non parlai più da quel momento in poi, mi girai semplicemente intorno per vedere il paesaggio: i fiori, i prati, le villette con i giardini. 

 

“Mi aiuti a preparare la cena, Ploon?” 

Annuii, raggiungendo Liam con passo svelto. 

Posai la mia borsa sul divano del soggiorno, in testa a Zayn, che scherzosamente mi insultò, e andai a lavarmi le mani prima di sbucciare le patate. 

La porta del bagno era chiusa. 

Aspettai qualche minuto. 

Alla fine, bussai. 

“C’é qualcuno là dentro?” 

Sentii il rumore della chiavi girarsi nello stipite. 

Indietreggiai di qualche passo. 

 

Narra: Harry. 

 

Era Ploon. 

Di fronte a me, la ragazza bionda, guardava il mio volto attentamente, seria. 

Fu solo dopo molti istanti che passò lo sguardo sui miei addominali. 

Ne sembrò imbarazzarsi, come un tempo, ne compiacersi. 

Io, al contrario, ero sempre catturato dal suo bellissimo viso. 

Gli occhi color ghiaccio, sebbene meno dolci di quanto ricordassi, riuscivano inevitabilmente a catturarmi ogni volta. 

Indossava una gonna celeste, accompagnata da una camicetta bianca abbottonata fino al seno. 

I capelli, lunghi e più mossi del solito, erano raccolti in un semplice alto muccio, che la faceva sembrare ancor più pacata di quanto già non fosse. 

La treccia laterale che le pendeva costantemente sulla spalla tempo addietro, ormai era solo un lontano e tenero ricordo. 

“Ho solo bisogno di sciacquarmi questi.” disse indicandosi i palmi.

Mi misi di lato, osservandola, poiché più alto di lei, dall’alto verso il basso, passare dal corridoio alla stanza. 

Era così tranquilla, ormai. 

Delicatamente e silenziosamente, aprì il rubinetto e aspettò che l’acqua la bagnasse lentamente. 

Successivamente, con altrettanta calma strofinò l’asciugamano sul suo corpo, asciugandosi. 

“Fatto.” disse, semplicemente. 

Mi sorrise debolmente e cercò di uscire. 

Ma la fermai. 

Istintivamente, le bloccai la strada. 

Corrugò la fronte.

Cercai di non farle notare la mia agitazione, trattenendo il respiro, gonfiando il petto. 

“C’é qualche problema?” 

In effetti, era proprio quello il punto. La domanda esatta. 

Da quando era entrata in casa mia, il mese precedente, parlava con tutti, tranne che con me. 

Era come se mi evitasse. 

Volevo capire. 

Perché tanta ostilità nei miei confronti?

“Dovresti dirmelo tu.” 

Non mosse il capo di un solo millimetro, continuando a guardarmi dritto negli occhi, con estrema freddezza. 

“Ne abbiamo già parlato. Non abbiamo nulla da dirci.” 

Cercò di farmi capire di non voler essere rinchiusa e intrappolata: fece un passo avanti come per voler uscire dal bagno. 

Tuttavia, non mi spostai. 

Restammo in silenzio. 

Continuava a fissare il vuoto alla sua altezza, forse come per voler trapassare il mio corpo con lo sguardo e ammirare altro. 

“Se vuoi passare devi spostarmi tu.” 

Da quanto c’eravamo rivisti, non aveva osato minimamente toccarmi. 

A parte in ospedale mentre dormivo, che mi teneva per mano. 

Sapevo non l’avrebbe fatto neanche adesso. 

Sarebbe stata una scusa per studiarla più attentamente ancora per un po’. 

“So perché hai paura di parlarmi. O guardarmi. O toccarmi.”

Aggrottò le sopracciglia, forse infastidita. 

“Il tuo cuore sa benissimo che torneresti da me, se solo tu lo facessi.” 

“Io ascolto la mia testa, Harry. Il mio cuore non c’é più, ormai.” 

Ciao ragazze :3 
Come state? Spero sia tutto ok. 
Avete visto come sono brava? AHAH. Vi sto postando tutto velocemente! Ogni giorno c'é qualcosa per voi *0* 
Mi fa sentire in colpa farvi aspettare troppo. 
Alors, 
Come vi pare questo capitolo?
Ho voluto dar rilievo anche ai "rapporti d'amicizia" di Ploon <3 
Ho fatto bene? Parlare sempre di lei e Harry poi magari annoia :\ 
Ogni tanto bisogna variare un po'. 
E che dite? Per ora cosa preferite? Piccola Peste o Piccola Peste 2?
Spero di sentirvi presto :3 
Un bacione enorme a tutti, 
-Zola. 

 

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Capitolo 5
*** «She was pregnant ***


Cap. 5

 

"I cupcake sono pronti?" 

Annuii. 

“La torta al cioccolato?” 

La cercai per tutta la cucina con lo sguardo, poi la vidi. 

Era posata su un mobiletto basso di legno, vicino al tavolo. 

“Si, c’é.”

Durante pochi mesi avevo scoperto una nuova passione: preparare la colazione. 

Era rilassante e compiacente. 

Mi piaceva deliziare le persone accanto a me con manicaretti squisiti.

Mi impegnavo, seriamente. 

Era diventato un momento di svago necessario all’interno della mia vita, ormai. 

Quella mattina indossavo, tra l’altro, un grembiule bianco con disegnate sopra delle piccole fragoline rosse, che mi faceva apparire ancora più competente ed esperta. 

“Possiamo svegliare gli altri allora.”

Scossi il capo, sorridendogli. 

“No, lasciali dormire ancora. Mangeranno dopo, senza fretta.” 

Liam era sempre con me in quel momento della giornata.

Mi aiutava volentieri. 

In realtà, era stato lui ad insegnarmi parecchie cose utili: anche se non lo voleva ammettere. 

“Parli come se fossi la loro mamma.” sghignazzò, fissandomi con una serenità immensa, che quasi riusciva ad infondermi. 

“In realtà lo dicevo solo perché così ci sarà ancora tranquillità per un po’ di tempo.” 

Abbassò lo sguardo, afferrando un biscotto alla crema poggiato vicino ai fornelli spenti. 

“Non fare la dura quando sappiamo entrambi che non è così.” 

Non controbattei. 

Gli lasciai credere ciò che pensava fosse vero. 

Guardai fuori dalla finestra, esattamente di fronte a me.

Era una bella giornata, senza dubbio. 

I raggi del sole illuminavano il mio volto e il suo calore riscaldava piacevolmente la mia pelle. 

Tirai un lungo e calmo sospiro.

“Che c’é?” 

“Stavo pensando ad Hayley. Solitamente le giornate come queste le passavo ad abbronzarmi in sua compagnia.” 

Lui sorrise, dolcemente. 

“In realtà era lei che mi costringeva. Odiavo farlo.” risi. 

E contagiai anche lui. 

“Non l’hai più sentita?” 

“No.”

“Dovresti.”

“Forse.”

 

“Zayn, dove cazzo hai messo i miei box..”

S’interruppe di colpo, guardandomi completamente spiazzato. 

Mezzo piegato per cercare le sue cose per terra, mi fissò con sguardo sorpreso.

Spalancai gli occhi, immobilizzata. 

“…Boxer.” aggiunse dopo alcuni momenti.

Mi girai di colpo, non appena realizzai di averlo visto… senza niente addosso.

“Scusa” dissi subito, alzando notevolmente il tono di voce. 

“Non sapevo ci fossi tu qui.” 

Lo sentii sghignazzare. 

Molto probabilmente adesso stava sorridendo. 

Magari gli erano comparse anche le due fossette sulle guance bianche. 

Strizzai gli occhi, come per voler cancellare l’immagine appena vista dalla mia testa.

“Puoi girarti adesso.” 

Non lo feci, tuttavia. 

“Sul serio, Ploon. Non é un trucco.” 

Sebbene dubbiosa, alla fine mi voltai davvero. 

Il suo volto era sereno, forse divertito. 

In effetti, a pensarci bene, era stata una situazione un po’ buffa e strana. 

“Perché sei in camera mia?” 

“Cercavo…”

“Zayn.”

Accigliai lo sguardo. 

Lo disse come se fosse la cosa più ovvia del mondo.

“E’ uscito, circa un quarto d’ora fa.”

Drizzai lo sguardo altrove, a quel punto, per evitare il suo. 

“Non c’é nessun altro in casa?”

Scossi il capo.

Poi, prese la maglia nera poggiata sul suo letto e, con un rapido movimento, si coprì i propri addominali, infilandosela. 

Successivamente, con una semplice scrollata di capo si mise a posto i ricci.

“Allora io esco.”

Corrugai la fronte.

Per andare dove?

Come mai non insisteva per farmi restare con lui?

Era la prima opportunità che aveva avuto, in un mese, per farlo. 

“Dove vai?”

“Ti interessa?”

In un singolo istante riuscì a farmi venire il nervoso. 

Una rotella nel mio cervello si girò nel senso opposto e cambiò immediatamente il mio umore. 

“No. Fa come vuoi.”

Mi sorrise, stranamente. 

Solitamente quando gli rispondevo male, s’ammutoliva e s’imbronciava.

Cos’era cambiato?

Era una tattica per farmela pagare o farmi cambiare idea?

“Mi sembri leggermente nervosa.”

Lo fulminai con lo sguardo. 

Se voleva farmi incazzare, ci stava riuscendo. 

“Se vuoi venire con me basta dirlo.” mi fece un occhiolino. 

Mi infilai le mani in tasca, mentre alzai gli occhi al cielo, esasperata.

Poi gli diedi le spalle, senza neanche rispondergli.

Odiavo quando si comportava in quel modo strafottente.

“Stavo scherzando, Ploon!” lo sentii urlare.

“Divertente.” bofonchiai tra me e me. 

Scesi la scale dell’appartamento, di fretta, per ritrovarmi pochi secondi dopo nel soggiorno. 

Mi guardai intorno e sbuffai.

Non avevo voglia di stare sola, in quel momento.

Ormai ero abituata ad avere mille persone costantemente attorno e sebbene, a volte, la solitudine, dopo ore di casino, mi faceva piacere, altre mi stressava ancor di più.

“E comunque non é stata la prima volta che mi hai visto nudo, pesciolino. Non dovresti scandalizzarti.”

La sua voce profonda e roca risuonò calorosamente nel mio timpano, come un bisbiglio.

Rabbrividii sentendo il suo respiro così vicino al mio.

Mi allontanai immediatamente dal suo corpo, come se fossi spaventata.

“Smettila.”

“Di fare cosa?”

“Questo.”

Maliziosamente, mi guardò per parecchio tempo. 

Sebbene volessi incenerirlo con la sola potenza del mio sguardo, non ce la feci, purtroppo.

“Vado a salutare Gemma all’università, comunque.” 

Da quando eravamo tornati dall’ospedale non l’avevo più sentita. 

Lei se n’era andata, trasferitasi negli alloggi della sua scuola, ad appena mezz’oretta di pullman da Holmes Chapel. 

Harry l’andava a trovare ogni settimana, il weekend. 

Da quando aveva finito il tour con la sua band, s’era particolarmente dedicato alla famiglia… com’é giusto che sia. 

“Preferisci fare l’asociale qui come al solito, da sola, o sali in macchina con me?”

Corrugai la fronte, infastidita. 

Oggi aveva voglia di insultarmi?

“Io non faccio…” 

Non mi lasciò finire la frase. 

Si girò dalla parte opposta del mio corpo. 

Prese le sue chiavi dal tavolo del soggiorno e aprì la porta di casa, senza neanche degnarsi di sentirmi. 

“Ehi! Ti sto parlando.” 

Si girò, tutto d’un tratto. 

“E io ti sto ascoltando.” 

“No, non é vero.” 

Sorrise. 

“Si, invece. A differenza tua, io non mi perdo mai una parola di quello che le persone dicono, Ploon.” 

Frecciatina. 

Quella che mi aveva appena tirato era proprio una frecciatina. 

Pungente e fastidiosa, direi. 

Serrai gli occhi color oceano. 

Sospirò. 

“Quindi? Che fai?” 

“Vengo.”

Abbassò lo sguardo, nascondendo un sorrisetto compiaciuto. 

“Per Gemma. Devo parlarle.” 

 

“Lo hai fatto apposta!” 

“Hai piantato la macchina di proposito.” 

“Non ci si può proprio fidare di te, Harry.” 

“La prossima volta che succede io…”

“Cosa fai? Mi uccidi?” mi fermò.

Digrignai i denti, zittendomi. 

Non era possibile. 

Non poteva essere davvero così… subdolo e manipolatore.

Senza neanche troppa fatica, alla fine, era riuscito ad ottenere ciò che realmente voleva più di ogni altra cosa: un po’ di tempo con me. 

In mezzo alla campagna la sua dannata Porche si era bloccata.

E avrei incolpato sicuramente gli Dei se non avessi saputo con certezza che l’aveva fatto apposta. 

“Giuro che…” 

“Se stai un po’ zitta, pesciolino, forse riesco a concentrarmi.”

“Non chiamarmi in quel modo.” dissi alzando la voce, avvicinandomi al suo corpo piegato a rovistare tra i motori della sua quattro ruote. 

Si girò verso il mio volto. 

Si leccò il labbro superiore, forse perché stanco: sia di pensare ad una soluzione sia di ascoltarmi.

“E non dirmi di star zitta.” 

Alla fine, si sedette sul bordo della strada, dove l’erba si vedeva appena. 

“Ti sei già arreso?” 

“Beh. Vediamo ciò che sai fare tu.”

Sbuffai, con tutta la forza che mi era rimasta. 

“Ti detesto.” 

Lui rise. 

“Davvero, Harry.” 

I suoi occhi brillavano di una luce strana, che ultimamente non aveva visto. 

Mi soffermai ad osservarli. 

Era da tempo che non lo facevo, che non lo guardavo attentamente. 

“Ti sei incantata?” 

Scrollai la testa, alzandogli ben in vista il mio dito medio sulla faccia, con un sorrisetto beffardo disegnato sul viso. 

Poi, poco dopo, mi infilai le mani in tasca, prendendo il mio telefono. 

Selezionai il numero di Liam e cercai di chiamarlo. 

“Guarda che non c’é campo qui.” 

Non lo stetti ad ascoltare, come al solito. 

Dovette lui raggiungere il mio corpo per prendermi l’apparecchio dalle mani e confiscarmelo. 

“E come facciamo adesso?” 

“Torniamo a piedi.” fece un occhiolino.

Alzai gli occhi al cielo, esasperata. 

Non tanto dalla fatica che mi avrebbe presto aspettata, piuttosto dalla consapevolezza di dover ascoltare ore di chiacchiere di Harry. 

“Tranquilla, ti proteggo io dai lupi.” 

La voglia estrema di tirarli un pugno in faccia mi pervase irreparabilmente. 

“Non sono una femminuccia, non ho bisogno del tuo aiuto.” 

Sghignazzò, sonoramente. 

“Non sei poi cambiata così tanto, sai?” 

Mi giurai che se l’avesse detto di nuovo, l’avrei presto buttato giù da un burrone.

“Dico sul serio, Ploon.” 

“Ok.” 

 

Guardandomi i piedi mentre camminavo silenziosamente, contavo per quanto riuscissi a calciare i sassolini. 

L’aria era fresca, solo leggermente freddina. 

Sebbene ci fossero i raggi del sole a picchiare sul mio corpo, non vi era più troppo caldo, come all’inizio della mattinata.

Distese verdeggianti e ricche di colori.

Fiori dolcemente profumati. 

Alberi antichi e maestosi. 

Piccoli animali felicemente instancabili di saltellare qua e là. 

Cielo perfettamente azzurro e abitato da innumerevoli nuvole bianche latte. 

Era tutto ciò che ammiravo adesso, insieme ad Harry. 

Se vi era ancora qualcosa di immutato in me era l’amore irrefrenabile per la natura. 

Mi provocava un senso di pace e tranquillità interiore infinito. 

 

Narra: Harry. 

 

Si guardava intorno esaustivamente, come per voler scorgere ogni singolo particolare del posto. 

Sorrisi. 

Era rimasta curiosa, proprio come un tempo. 

Nonostante tutto, riusciva ancora a scorgere la vera bellezza. 

Che, alla fine, é in tutto: ma solo pochi possono vederla. 

E lei ne era sempre stata capace. 

Mi piaceva ancora studiare i suoi comportamenti: sia da vicino che da lontano. 

Ero certo che se avessi cercato senza sosta, avrei ritrovato sicuramente la mia vera Piccola Peste.

Non volevo arrendermi. 

Ne buttarmi troppo giù. 

Lei era ancora lì, rinchiusa da qualche parte nel corpo della nuova e infrangibile Ploon. 

“La smetti di guardarmi in quel modo scemo?” 

Girai il volto per posizionarlo in direzione frontale e continuare a fissare l’orizzonte. 

“Non mi scuserò per averlo fatto.” 

Sentii sospirarla, amaramente. 

Mi avvicinai al suo corpo lentamente e impercettibilmente, mentre continuai a camminare, fino a sfiorare la sua spalla. 

Quella era l’unica distanza permessami. 

“Niall, l’altro giorno, non mi ha voluto dire cosa c’é stato tra te e Arya una volta che me ne sono andata.” 

All’improvviso, tirò fuori l’argomento. 

E io corrugai la fronte. 

Ci pensava ancora?

Mi allontanai, immediatamente. 

“Come mai? Sembrava volesse mantenere un segreto.” 

Mi ammutolii, non volendo neanche io darle una risposta. 

“Dovresti dirmelo.”

“No. Non credo.” 

Accigliò lo sguardo, rallentando il passo.

Ora si stava insospettendo, più di prima. 

“Perché non vuoi dirmelo?” 

‘Perché vuoi saperlo?” 

Scrollò le spalle. 

“Così.”

“E’ per poi volermi incolpare di non averti aspettata?”

Questa volta si fermò.

E mi fissò. 

Sembrò passarono infiniti attimi, in quel semplice piccolo momento. 

“No, certo che no. So benissimo quello che ho fatto.”

Abbassai lo sguardo.

Continuai a camminare, lasciandola indietro. 

Mi misi le mani in tasca e con sguardo cupo cercai di evitare altre sue domande, sapendo benissimo che, però, non si sarebbe comunque arresa così in fretta. 

Anche se, in un certo senso, le avevo appena detto che, effettivamente, tra me ed Arya era successo qualcosa. 

“Vorrei solo tu fossi felice… anche con qualcun’altra.” 

Il tono della sua voce si fece immediatamente più pacato, quasi dolce. 

Mi colpì. 

Proprio come quelle parole. 

Mai era stata così chiara. 

Era la prova evidente: tra noi era finita. 

Per davvero. 

Voleva scegliessi un’altra. 

Lasciava il suo posto, di proposito, ad un’ altra ragazza. 

Non voleva seriamente tornare da me. 

Una fitta al cuore mi penetrò. 

E il mio cervello, completamente incosciente per pochi secondi, parlò per me. 

“L’ho messa incinta.” 

Ehi ragazze belle C: 
Ho aggiornato *-* 
Con un colpo di scena niente male AHAHAH. 
Cosa ne pensate? 
Ci siete rimaste di sasso?
E chissà cos'ha pensato Ploon in quel momento :O 
Mamma mia, qui le cose iniziano a degenerare, eh? 
Sono curiosa di cosa mi verrà in mente :') 
Non é la più pallida idea! ;) 
Spero vi farete sentire nelle recensioni <3 

Un bacione a tutte quante care mie belle fanciulle, 
-Zola. 

 

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Capitolo 6
*** «I won't change my idea ***


Cap. 6

 

*Flashback* 

 

Come pietrificata, stetti ferma a fissarlo incessantemente. 

Immobile, lo guardavo come se l’avessi incontrato per la prima volta: studiandolo, esaminandolo, cercando di capire. 

Il suo volto, distante dal mio, sembrava così duro e severo adesso. 

I pugni, ben serrati, pendevano lungo il suo corpo teso. 

Lui… stava per avere un bambino con Arya. 

Era questo che mi aveva detto. 

Niente di più, niente di meno. 

Sebbene mi aspettassi di tutto… non questo. 

Assolutamente. 

Non seppi reagire, o semplicemente parlare. 

Mi sembrò che qualsiasi parola potessi pronunciare, sarebbe stata inappropriata. 

Così non aprii bocca. 

Ne mi mossi di un solo millimetro. 

Incollata al terreno, non emisi un unico e flebile respiro. 

“Avrei dovuto dirtelo prima.” 

Abbassai lo sguardo, posandolo sui miei piedi. 

Corrugai la fronte, mentre incrociai le braccia le une alle altre. 

Improvvisamente, avevo sentito un gelido brivido attraversare il mio corpo da parte a parte. 

Scossi il capo, come per fargli capire che, in fin dei conti, non era un mio diritto essere avvisata sugli sviluppi della sua vita e se non me ne aveva voluto parlare di certo non lo avrei incolpato adesso. 

“Mi dispiace.” 

Quelle parole, così altruiste e dolci, mi scaldarono l’anima, fredda ormai da troppo tempo. 

Una piccola porticina si aprì all’interno del mio cuore, lentamente, facendo entrare all’interno di esso un emozione strana.

Non tristezza. 

Non amore. 

Forse malinconia. 

Alzai lo sguardo per incrociare quegli occhi smeraldo che tanto tempo prima mi avevano fatto follemente innamorare. 

Erano scuri, in quel momento. Serrati in una piccola fessura. 

Chissà a costa stava pensando adesso… lui. 

Cosa provava. 

Concentrai il mio sguardo sulla sua grande e forte mano. 

E in un secondo la trovai intrecciata alla mia. 

Alla velocità della luce, improvvisamente, avevo sentito il bisogno irrefrenabile di toccargliela. 

In un qualche modo per fargli capire che io in fin dei conti c’ero. 

Che anche se avessi voluto, non l’avrei lasciato solo. 

Lentamente, girò il viso nella mia direzione, forse sorpreso. 

Non mi sorrise, ne mi si avvicinò. 

Stette in silenzio, ascoltando forse i propri pensieri. 

E io feci lo stesso. 

*Fine Flashback*

 

“Che hai, Ploon?” 

Scrollai il capo, tornando dal mondo dei sogni. 

Guardai la faccia di Zayn, leggermente preoccupata. 

“Niente.” sorrisi, in modo che non mi facesse altre domande. 

“Sicura?” 

Senza farmi vedere, alzai gli occhi al cielo. 

Ormai era una abitudine, per me, farlo. 

Si facevano troppe domande inopportune in quella casa. 

Alla fine, però, feci un cenno di capo, per convincerlo della mia affermazione. 

“E’ da quando siete tornati che sia te che Harry non aprite bocca.” 

Quel nome. 

Lo cercai nella stanza, e lo trovai seduto al tavolo con Louis, mentre giocavano a carte. 

A quante persone aveva tenuto nascosto il suo segreto?

Sicuramente Niall sapeva. 

Ma gli altri?

Guardai Zayn attentamente, strizzando gli occhi per concentrarmi maggiormente. 

Sentii solo un suo ghigno. Evidentemente feci una faccia buffa. 

Alla fine, ci rinunciai. 

Non gli avrei fatto domande quella sera, non su quell’argomento. 

Tornai a guardare la televisione, in sua compagnia. 

“Sei sicura che non ti faccia paura?” 

“Cosa? Questo film? Ma va.” 

Horror. 

Thzè. 

Nulla di più ridicolo. 

“Piuttosto tu sta attento a non pisciarti sotto.”

Rise. 

E io lo seguii, divertita dalla mia stessa frase. 

“Vedremo stanotte chi non riuscirà a dormire.”

Lo imitai facendogli il verso. 

“Tanto non sono io quello che dorme tutto solo in una stanza.” 

Mi fece un occhiolino irritante e tornò a concentrarsi fissando lo schermo del televisore, e anche io.

Tuttavia, con la coda dell’occhio, pochi minuti dopo, mi ritrovai, inconsciamente, a sbirciare… Harry. 

Appena me ne accorsi ritirai lo sguardo. 

Inarcai le sopracciglia, arrabbiata con me stessa. 

“Giura che se lo fai di nuovo ti chiudi in camera per tutta la sera finché non ti passa la voglia di fissarlo.” pensai, parlando tra me e me. 

“Giuro.” mi risposi, soddisfatta. 

 

Narra: Harry. 

 

4:00 del mattino. 

Notte fonda. 

Non riuscivo a dormire, neanche quella notte. 

Tirai un lungo sospiro e mi alzai dal letto, esausto di pensare così tanto. 

Facendo attenzione a non fare troppo casino, per non svegliare gli altri, uscii dalla mia stanza. 

Mi ritrovai in corridoio, con un silenzio di tomba e un buio pesto. 

Mi girai in direzione della camera di Gemma. Adesso di Ploon. 

Ad un certo punto, circa alle 10:00 di sera, s’era rifugiata là dentro, non dicendo neanche più una parola, e aveva chiuso la porte a chiave. 

Si era comportata stranamente. 

Solitamente era l’ultima ad andare a dormire. Era sempre stato così, da quando eravamo piccoli. 

Decisi, in modo silenzioso e lento, di avvicinarmi alla sua stanza. 

A pochi centimetri da essa, per molto tempo, il mio respiro si scontrò sulla parete della porta. 

Indeciso se bussare o lasciar perdere, alla fine lo feci.

Non sentii nessun rumore provenire dall’interno. 

Forse stava dormendo. 

Quando stavo per girare il mio corpo dalla parte opposta del corridoio per andare in cucina a prendere un bicchiere d’acqua, con movimenti impercettibili, vidi il volto di Ploon comparirmi davanti. 

Ancora perfettamente sveglia, mi guardò neanche troppo sorpresa. 

E senza dover insistere molto mi fece spazio per poter entrare.

“Che c’é?” 

“Non riuscivo a dormire.” 

Portò il capo all’indietro, come per voler farmi intendere di aver compreso. 

“Siamo in due.” 

Le sorrisi. 

Dopodiché mi soffermai a scrutare ogni singolo particolare della stanza. 

Si poteva dire tutto di Piccola Peste… tranne che fosse ordinata, anche adesso, dopo quasi un anno passato. 

“Non… dire quello a cui stai pensando.” disse divertita, accennando una risata. 

“Qui non ci entra mai nessuno e…” 

La zittii, con un semplice e dolce: “Shhh.” 

Non mi doveva affatto delle giustificazioni. 

E di certo non ero lì per rimproverarla di mettere in ordine. 

“Vuoi…” 

“Solo parlare.” 

Si sedette sul letto, aspettando che pronunciassi la prima parola. 

In modo perfetto e composto posò le proprie mani sulle ginocchia, stringendo il pigiama azzurro. 

Si guardò intorno, forse leggermente in imbarazzo. 

“Senti.. Ploon. Per oggi, io non vol..” 

“Non importa.” mi interruppe subito. 

“Non dovevo insistere.” sorrise, leggermente. 

Non aggiunsi altro, almeno per un po’. 

Appoggiai la mia testa al mobile bianco dietro di me e lasciai scivolare il mio corpo fino a terra. 

Chiusi gli occhi. 

E vidi il suo volto nella mia mente, le sue lentiggini e i suoi capelli biondi. 

Di nuovo. Come ogni volta. 

“Non ti ho mai chiamato per non farti credere che sarei tornata.” disse ad un tratto, dal nulla. 

“Per non illuderti.” 

La guardai, lasciandole il tempo di proseguire il discorso, senza aggiungere nulla. 

“Pensavo che così sarebbe stato più facile.” 

Emisi un ghigno, non di disprezzo, ma ironico. 

Mi ero reso conto che le illusioni, a volte, é meglio averle per non cadere in mille pezzi. 

Per non diventare degli stracci che camminano. 

“Non sarebbe mai potuto esserlo. Lo sai.” 

Annuì, intrecciando continuamente le proprie mani le une alle altre nervosamente. 

Evidentemente, piano piano, qualcosa in lei, della piccola e fragile Ploon, stava riemergendo. 

“Perché sei tornata?” 

Le avevo posto la stessa domanda in ospedale, ma non mi aveva risposto. 

Era stata zitta. O se n’era andata. 

“Penso tu lo sappia. Non c’é bisogno che io te lo dica.” 

Ancora ci teneva, a me. 

Sorrisi, nascondendo il mio compiacimento abbassando il capo. 

“E tu?”

“Cosa?” 

“Perché sei ancora qui con me? Dopo tutto.” 

Portai il mio labbro verso sinistra, tornando a guardarla. 

“Penso tu lo sappia. Non c’é bisogno di dirlo.” ripetei la sua stessa frase. 

Riuscii a strapparle un semplice sorriso. 

E nulla mi rese più felice. 

“Harry…” 

“Si?”

Sospirò, amaramente. 

E poi s’alzò. 

“Ora dovresti andare però.” 

Corrugai la fronte. 

Voleva già me ne andassi?

Com’era passata dal “parliamo” al “lasciami da sola”?

Mi ero forse illuso troppo di averle mosso, per un attimo, l’animo così tanto da farle dimenticare il suo intento di ignorarmi?

“Mi dispiace. Ma sai che non sarà così facile farmi cambiare idea.” disse, aprendo la porta per farmi capire di dover uscire. 

“Già.” sussurrai.

Ciao ragazze :3 
Come state? 
Io oggi ho avuto la febbre :( 
Per lo meno ho scritto però, dai... AHAH. 
Aspetto con ansia ogni vostro commento, sappiatelo <3 

Soprattutto ora che vi ho regalato più momenti tra Harry e Ploon ;) 
Ricordo a tutte che se mettete la storia tra le "preferite"/"seguite"/"ricordate" io ogni volta vi avviserò di un nuovo capitolo pubblicato! 
Detto questo vi mando un bacione, 
-Zola. 
 

 

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Capitolo 7
*** «I will always find you ***


Cap. 7

 

“Arya arriva domani.” 

Annuii, fingendo un sorrisetto felice. 

Poi mi alzai dalla mia sedia per mettere nella lavastoviglie i piatti. 

Sospirai, cercando di non farmi vedere. 

Forse fu egoistico come pensiero, ma desiderai che la rossa avesse qualche contrattempo lungo la strada per Holmes Chapel: vederla non era di certo tra la mia top 10 dei desideri. 

Non ero arrabbiata con lei, semplicemente… non ero pronta. 

Una cosa era vedere tutti i giorni Harry, un’altra era fingere di essere felice per lui ed Arya. 

Era tutto ciò che avevo desiderato i mesi precedenti, ma non addirittura in questo modo. Fino a questo punto. Con un bambino nel grembo della ragazza. 

Era il finale della favola che avevo idealizzato per diciotto anni per me. 

E anche se adesso non volevo più le stesse cose, vedere i miei sogni infranti in così poco tempo e senza preavviso… mi fece quasi male. 

Quasi. Perché siamo d’accordo che per poter soffrire si deve provare almeno qualche sentimento. 

Scrutai il volto di Harry, assorto nei propri pensieri, con la fronte corrugata. 

Non era facile per nessuno questa situazione.

Forse dovevo lasciare perdere sul serio la sfida che mi aveva fatto Louis con Zayn e andarmene. 

D’altronde, cos’altro potevo perdere?

“Aspetta, ti aiuto io.” 

La mano di Liam si posò sulla mia, gelida perché a contatto con l’acqua fredda del rubinetto. 

Spaventata poiché presa alla sprovvista, lasciai cadere il piatto per terra. 

Sbarrai gli occhi, tornando dal mondo dei miei pensieri. 

Lui mi fissò, con sguardo preoccupato e comprensivo. 

Come tutti gli altri. 

Harry, in particolare, aveva incupito maggiormente il volto. 

“Scusate.” 

Cercai di rimediare al casino combinato, prendendo frettolosamente la scopa accanto alla porta della cucina e mettendomi a scopare i pezzi rotti. 

“Lascia stare, Ploon. Faccio io.” sorrise il ragazzo castano. 

“Ok.” contraccambiai, debolmente. 

Tremavo. 

Mi guardai le braccia: la pelle d’oca regnava sulla mia pelle. 

Accigliai lo sguardo.

Dovevo smetterla di apparire così… problematica. 

Uscii dalla stanza con la preoccupazione di aver fatto notare anche agli altri che l’argomento “Arya” provocava in me evidenti disturbi. 

Sbattei la porta di casa e corsi verso il bosco. 

Verso un posto silenzioso e tranquillo, dove nessuno mi avrebbe trovata. 

 

*Flashback* 

 

“Non mi credi quando ti dico che potrei scovarti nei posti più improponibili?” 

“No.” sghignazzai, facendogli la linguaccia. 

Mi piaceva farlo innervosire. Lo avevo sempre trovato divertente. 

“Per esempio…” cominciai. 

“Se giocassimo a ‘nascondino’ in una foresta, dove mi troveresti?” 

“Questa é semplice.” sorrise. 

“Sopra un albero.” mi fece un occhiolino. 

Lo guardai per alcuni secondi, silenziosamente. 

“Ok. Giusto.” 

Odiavo quando mi dimostrava il contrario di ciò che pensavo con convinzione. 

“E comunque ho un trucco infallibile per non perderti di vista.” 

“Sarebbe?” 

“Semplice, ti tengo sempre per mano.” disse prendendomela e sorridendo dolcemente. 

 

*Fine Flashback* 

 

Canticchiavo. 

Una canzone semplice e malinconica. 

Ma almeno avevo ricominciato. 

Avevo sempre amato farlo. Ma avevo smesso, da un po’ di mesi. 

La musica era sempre stata una parte fondamentale della mia vita. Era tutto ciò che avevo sempre avuto e sempre mi era rimasto, nonostante tutto e nonostante tutti se ne fossero andati. 

“Home.” di Gabrielle Aplin.

 

“I'm a phoenix in the water

A fish that's learn to fly

And I've always been a daughter

But feathers are meant for the sky

So I'm wishing, wishing further

For the excitement to arrive

It's just I'd rather be causing the chaos

Than laying at the sharp end of this knife

 

With every small disaster

I'll let the waters still

Take me away to some place real

'Cause they say home is where your heart is set in stone

Is where you go when you're alone

Is where you go to rest your bones

It's not just where you lay your head

It's not just where you make your bed

As long as we're together, does it matter where we go?

Home

Home

 

So when I'm ready to be bolder, 

And my cuts have healed with time

Comfort will rest on my shoulder

And I'll bury my future behind

I'll always keep you with me

You'll be always on my mind

But there's a shining in the shadows

I'll never know unless I try

 

With every small disaster

I'll let the waters still

Take me away to some place real

'Cause they say home is where your heart is set in stone

Is where you go when you're alone

Is where you go to rest your bones

It's not just where you lay your head

It's not just where you make your bed

As long as we're together, does it matter where we go?

Home

 

'Cause they say home is where your heart is set in stone

Is where you go when you're alone

Is where you go to rest your bones

It's not just where you lay your head

It's not just where you make your bed

As long as we're together, does it matter where we go?

Home.”

 

Narra: Harry. 

 

Riconobbi la sua voce. 

L’ascoltai, attentamente. 

Era rimasta dolce. 

Un piccolo sussurro all’interno del mio cuore. 

La cercai sugli alberi, sopra il mio capo, ma non la trovai. 

Decisi di seguire quella musica. 

Volevo e dovevo trovarla. 

Chiederle perché avesse reagito in quel modo, prima: cosa volesse davvero. 

O semplicemente, guardarla negli occhi e dirle che anche se adesso avevo delle nuove responsabilità lei rimaneva la mia unica priorità. 

Magari non le sarebbe importato, o magari avrebbe fatto finta di non importarsene. 

Ma io glielo avrei detto, magari per farla sentire amata e non da sola. 

Lei non lo era mai. 

C’ero io, per lei, sempre. 

Doveva solo saperlo. 

 

Il suo piccolo e fragile capo era appoggiato aggraziatamente al tronco di un’ altissima e anziana quercia. 

La nostra, d’altronde. 

I suoi splendidi occhi erano chiusi, forse impegnati ad immaginare chissà quali fantasie. 

Le sue gambe, candide e magre, erano incrociate femminilmente. 

Era bellissima. 

Diversa. 

E anche in meglio. 

In quel momento sembrava così… angelica. 

Raramente l’avevo vista, in passato, così tranquilla e posata: un po’ come tutte le altre ragazze. 

E sebbene l’amassi in tutti i modi, anche la Ploon scatenata ed euforica, osservarla così in pace mi restituì un po’ di serenità. 

 

*Flashback* 

 

“Oggi la maestra mi ha detto che se pianto un semino per terra crescerà dopo un po’ di tempo un bellissimo albero nello stesso posto.” 

Sorrisi, dopo aver riso teneramente. 

“Lo scopri solo adesso?” 

Lei mi aveva dato una pacca sulla spalla, cercando di farmi male, senza successo. 

Poi era tornata ad ammirare il piccolo seme tra le proprie mani, come se fosse la cosa più straordinaria del mondo.

“Hai bisogno anche di acqua se lo vuoi far diventare alto.”

Mi aveva guardato con occhioni enormi, curiosa ed impaziente di ascoltare ciò che avevo da dire. 

“Allora verremo qui ogni giorno e innaffieremo tutto.” 

“Lo vuoi fare sul serio?” chiesi sorpreso. 

Certo” annuì. 

Mi sorrise dolcemente e mi porse la sua mano. 

“Piantiamolo insieme.” 

Scavammo un po’ di terra e poi, con estrema delicatezza, posammo il semino. 

Alla fine, dopo aver segnato la strada con delle foglie secche, eravamo andati al fiume per prendere l’ acqua. 

L’avevamo messa nelle mie scarpe e poi, molto velocemente, eravamo tornati dal seme. 

“Pronto?” 

Annuii. 

“3…2…1…” 

E avevamo così dato da bere al nostro piccolo semino, che diventò presto, il nostro speciale punto di ritrovo. 

 

*Fine Flashback* 

 

Io, per non disturbarla, mi ero posizionato vicino alle radici della grande quercia. 

Seduto per terra, in silenzio, avevo aspettato scendesse per farmi notare. 

Non volevo disturbarla, non adesso che cantava. 

Non adesso che potevo ascoltarla senza interruzioni. 

 

Quando sentii il rumore dello scrosciare delle foglie toccate dal piede di qualcun altro, girai lo sguardo.

Vidi l’esile corpo di Ploon alzarsi in piedi, da inginocchiato com’era. 

Senz’altro era rimasta agile e veloce: aveva fatto un salto abbastanza considerevole per scendere dall’albero. 

“Ehi.” la chiamai. 

Non mi sentì. 

Continuò a camminare, dandomi le spalle. 

Così, con decisione, decisi di correre verso il suo corpo, afferrandole, alla fine, il polso. 

A quel punto si girò, di scatto. 

I suoi occhi color ghiaccio puntati su di me mi scossero per un attimo, impedendomi di parlare immediatamente. 

“N-non volevo spaventarti, scusa.” 

Si prese un attimo per riconoscermi. 

Poi guardò le nostre mani unite. 

Capii che dovevo lasciarla. 

Così feci. 

“Chi ha detto che tu l’abbia fatto?” 

Mi venne voglia di alzare gli occhi al cielo, ma mi contenni. 

“Ovviamente lei non ha paura di niente. Certo, come no.” pensai. 

“Come mai sei qui?” 

“Ti ho vista correre via, prima.” 

La sentii sospirare. 

“Non…” 

“Non ti chiederò il perché.” 

Sorrise. 

E io feci lo stesso. 

“Ti va di passeggiare?” 

“Io…” 

“Non é niente di impegnativo, Ploon. Promesso.” 

Annuì, così mi misi al suo fianco. 

 

Narra: Ploon. 

 

“Ti ha detto di Arya.” 

Corrugai la fronte. 

Adesso me ne voleva parlare? 

Aveva una gran faccia tosta. 

“Sappi che non sono d’accordo almeno quanto te.” 

Lo guardai contrariata. 

Come per volerlo insultare. 

“Io non ho niente contro tutto questo.” 

Mi fissò per molti istanti, studiandomi nel minimo dettaglio. 

Forse non mi credeva. 

“Sono seria.”

“Anche io.” 

Perché non gli andava bene questa situazione?

Nel senso, se non creava problemi ad Arya, perché lui avrebbe dovuto farsi dei film a riguardo?

“Sappiamo entrambi da chi tornerà Harry, alla fine.”

Accigliai lo sguardo, senza aggiungere nulla. 

Voltai solo il mio volto per non essere costretta più a guardare l’irlandese. 

“Da te.” 

Sghignazzai, divertita da quelle poche parole. 

“Come pensi ancora sia possibile? Avrà un figlio da lei, Niall.” 

“Ma amerà sempre te.” 

Sospirai. 

Mi aveva stufata. 

Mi alzai dal divano, con il corpo teso. 

“Devi smetterla.” 

“Di fare cosa? Dirti la verità?” 

Accigliai lo sguardo, adesso arrabbiata. 

“Anche se fosse, a me non importerebbe. Mettitelo in testa una volta per tutte.” 

Lui sbuffò, stufo. 

“Stai mentendo a te stessa e a tutti noi.” 

“No.”

“Si, e per il bene di Harry e di tutti dovresti essere chiara una volta per tutte.” 

“Io lo sono stata, sempre.” 

Mi guardò un’ultima volta, severo e con sguardo cupo. 

“Non farmi scegliere tra te e Arya, Ploon. Non rendermi tuo nemico.” 

“Perché sceglieresti lei?” 

“Si, se non ti comporti da persona matura. E non cercherò nemmeno di capirti.”

Mi deluse. 

E la mia fiducia in lui, da quel momento, scomparve del tutto. 

“Bene. Sei stato molto chiaro.” 

 

“Mi spieghi perché non mi vuoi parlare adesso?” 

Louis, scandalizzato dal mio comportamento lunatico, sbarrò gli occhi per la maggior parte del tempo nel quale la nostra conversazione ebbe luogo. 

“Che ti ho fatto?” chiese con occhi da cane bastonato. 

“Mi hai proposto questa stupida scommessa.” sbuffai.

Sorrise, forse per trattenersi dal ridere. 

Stava per vincere. 

Me ne sarei andata, molto probabilmente, entro breve. 

I miei nervi, dopo un mese circa, stavano cedendo. 

“Non voglio più combattere.” 

Il suo sguardo, adesso addolcitosi, mi fissò con apprensione per tutto il tempo in cui il silenzio regnò tra di noi. 

“Ploon, posso dirti una cosa?” 

Annuii. 

“Io non intendo vincere questa scommessa sul serio. Spero di non farlo, almeno.”

Mi voltai verso di lui, sospirando. 

In fondo pure lui era mio amico, anche se ci insultavamo a vicenda costantemente. 

Ed era colui che in un momento del genere mi stava aiutando maggiormente. 

Ridendo, scherzando, facendomi pensare ad altro. 

Zayn era tanto dolce e disponibile, ma non capiva: non volevo parlare di quello che mi era accaduto, mentre lui, al contrario, insisteva. 

Louis, invece, era semplicemente… se stesso. Ed era ciò di cui avevo bisogno. Semplicità. 

Ciao ragazzuole <3
Finalmente la febbre mi é passata *0* 
Anyway... questo capitolo é lunghissimo! Ci ho messo una vita a scriverlo e rileggerlo :') 
Spero vi piaccia tanto :3 
Io, personalmente, preferisco i capitoli lunghi! Ti fanno, secondo me, entrare maggiormente nella storia :) 
Fatemi sapere la vostra opinione così in futuro potrò regolarmi eh ;) 
Detto questo... spero che tutte quante recensirete: mi fa sempre un enorme piacere ascoltarvi e rispondervi! 
Un bacione a tutte voi, 
-Zola. 

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Capitolo 8
*** «You'll have to do all I say ***


Cap. 8

 

“Perché prepari una torta?” 

Scrollai le spalle, sorridendo. 

“Mi piace farlo.” 

Vidi il suo sguardo inquadrarsi sul cioccolato fondente, rimanendovi. 

“Louis, non ci pensare nemmeno. Mi serve.” 

Rise, forse prendendola come una sfida. 

“Ti ammazzo se ci provi.” 

“Tremo.” 

Alzai gli occhi al cielo, mentre presi la farina da uno scaffale della cucina e la rovesciai in un grande contenitore. 

“E’ anche per te questa squisita…” non mi fece finire la frase. 

“Magari é immangiabile.” 

Presi un mestolo di legno e lo strinsi con la massima forza. 

“Lo vedi questo?” 

Annuì, sghignazzando. 

“Ti arriva in testa se non la finisci.” 

“Non c’é molto da distruggere qui dentro.” ammise indicandosi il capo. 

“Se lo dice da solo?” pensai, non sapendo più che dire. 

“Hai bisogno che faccia qualcosa per te?” 

Aggrottai le sopracciglia, non sapendo a cosa si riferisse. 

“Tipo?” 

“Non so. Ingredienti mancanti che devo andare a comprare, per esempio.” 

Sorrisi. 

Era incredibile come cambiasse da un momento all’altro: il secondo prima era un deficiente, quello dopo invece era ‘super’ serio. 

“No, grazie.” 

Si sedette, allora. 

E mi fissò, per svariato tempo. 

Alla fine, alzai la testa per chiedergli perché lo stesse facendo. 

“Non so cosa fare e mi diverte vederti impegnata.” spiegò. 

Nell’ultimo periodo stava molto con me. 

Forse faceva parte del piano. 

Ma, sinceramente, non mi importava. 

L’anno prima, sull’isola, avevo avuto la possibilità di conoscerlo bene, ma adesso tutto stava diventando qualcosa di più. 

Era l’unico con il quale mi divertivo davvero, come ai vecchi tempi, o quasi. 

Era l’unico che non mi ricordava di essere cambiata. 

“Sai che Arya viene nel pomeriggio, no?” chiese. 

“Perché questa domanda?” corrugai la fronte, continuando a cucinare. 

“Perché ti vedo piuttosto tranquilla.” 

“E non posso esserlo?” 

“Si, ma ieri…” 

Lo fermai solo guardandolo. 

“Vuoi davvero parlarne?” sbuffai. 

“Dipende.” 

“Da cosa?” 

Sorrise, guardando qualcosa vicino alle mie mani. 

“Dammi uno di quelli e ti lascio perdere per un po’ con questa storia.” 

Fiorellini di zucchero. 

Sorrisi. 

Solo lui era in grado di contraccambiare qualcosa di serio con qualcosa di così effimero. 

“Ci sto.” 

Gliene lanciai uno e subito se lo mise in bocca, masticandolo in tre secondi. 

“Contento?” 

“Molto.” 

 

“Ploon.”

Sorridente, gentile, bella come sempre, comparve davanti al mio corpo. 

Era ancora come la ricordavo. 

Estremamente rossa ed estremamente magra. 

Se non per… la pancia: non enorme, ma nemmeno totalmente piatta. 

Focalizzai il mio sguardo sul suo grembo. Lei lo toccò, notando la mia attenzione. 

Sebbene volessi salutarla anch’io, pronunciare il suo nome con altrettanta gentilezza, non lo feci. 

Era la prima volta che la rivedevo dopo mesi e già troppe cose erano cambiate. 

Mi presi solo alcuni secondi, alla fine, per rimuginare il tutto. 

“Ciao, Arya.” dissi, accennandole un sorriso. 

“Come ti senti?” 

Feci un passo verso di lei, per scambiarle i convenevoli. 

“Emozionata.” sospirò, forse stanca del lungo viaggio appena fatto, ma facendo apparire la propria felicità.

“Anch’io lo sarei al tuo posto.” pronunciai sinceramente. 

C’era qualcosa di estremamente magnifico in lei. 

Sapere che dentro quella pancia ci fosse una creatura, provocò in me una strana sensazione. 

Doveva essere straordinario sentire che, lentamente, dentro di te, il tuo bambino cresceva.

Ad interrompere i miei pensieri fu un rumore di passi frenetici, dietro il mio corpo, che veniva verso di noi. 

Non feci in tempo a voltarmi, che lo vidi

Con estrema velocità era corso verso… la rossa. Senza degnarmi di un solo sguardo. 

Con delicatezza le toccò il ventre, e sorrise. 

Dilatai gli occhi, rendendoli in apparenza meno duri, ammirando quella scena. 

Arya lo salutò, dandogli un semplice bacio sulla guancia. 

Sembravano così… uniti, adesso. 

Una vera famiglia. 

Era così bello vederne una… felice. 

All’improvviso, però, senza preavviso, mi toccai lo stomaco, di fretta. 

Mi girai dalla loro parte opposta, per non farmi notare troppo. 

Una insopportabile fitta pervase il mio corpo. 

Emisi tre respiri, profondi e lunghi. 

Chiusi gli occhi. 

“Calma, Ploon.”  

Questa piccola vocina, dentro la mia testa, continuava a rimbombare da tutte le parti. 

Era come un ordine. A cui, in realtà, non potevo obbedire. 

Sentii una mano poggiarmisi sulla spalla. 

Scattai verso la direzione della persona che aveva appena commesso quel gesto. 

Preoccupata fosse Harry, cercai nella mia testa una scusa plausibile ad una simile scena. 

Mi rasserenai quando notai fosse semplicemente Zayn. 

Annuì, sorridendomi. 

“Ce la puoi fare.” sussurrò. 

Mi ricomposi, drizzando le spalle. 

Poi mi girai nuovamente.

“Certo che si.” gli dissi, a bassa voce. 

“Vado a prepararti una tazza di thé, Arya.” 

 

“Come ti sembra?” 

“Chi?” 

Louis alzò gli occhi al cielo, indicandomi con impazienza la rossa, nel soggiorno. 

“Come sempre.” 

“Uhmm.” 

Aspettò alcuni istanti, riguardandola con attenzione e serietà. 

“E’ ingrassata.” 

Mi venne voglia di sbattere la testa contro il tavolo, in quel momento.

Ma poi pensai: “In fondo, lui come può sapere che il suo migliore amico l’ha messa incinta, se nessuno gliene ha parlato?”

Almeno questa era la risposta alle mie domande.

Solo Niall sapeva tutta la storia, oltre me. 

“Adesso sei più bella tu.” 

Gli tirai una gomitata, ridendo. 

“Vorrebbe dire che prima preferivi lei?” 

Semplicemente, mi guardò, estremamente divertito. 

“Sei una merda, lo sai?” 

“Beh, dai. Tu punti sulla simpatia.” 

Lo fissai ancora più male, se possibile. 

“Ah, scusa. Neanche su quella… Mi spieghi allora qual era il tuo trucco?” 

Accigliai lo sguardo. 

“Era?” 

“Beh, adesso sei diventata una suora zitella. Sbaglio o hai detto basta ad ogni qualsiasi relazione?”

“Detta così sembro…” 

“Una pazza?” 

Non potei fare a meno di ridere, e questa volta di gusto. 

“Si.” ammisi. 

 

Narra: Harry. 

 

Si stava divertendo. E anche parecchio, a quanto pareva. 

Mi girai per guardarla. 

Era con Louis, seduta vicino al tavolo della cucina. 

Piegata dal ridere, come non la vedevo da tempo, piangeva quasi. 

Corrugai la fronte, infastidito. 

Perché lui riusciva sempre a tirarla su di morale mentre io…

“Ehi, mi stai ascoltando?”

Mi voltai verso Arya, un’altra volta. 

Era da tutto il pomeriggio che parlavamo. 

Sospirai, stanco.

“Vuoi raggiungere quei due?”

Scossi il capo, abbassandolo e tenendolo fisso sul pavimento con estrema durezza. 

“Smetterebbe di ridere entro pochi secondi, o sbaglio?”

Quella frase punzecchiò i miei occhi. 

“Intendo, Ploon.” 

Annuii, fissando i suoi occhi color grigio topo. 

“Non dovresti pensare a quello che è successo.” 

Me lo stava dicendo sul serio?

Sospirò. 

“Voglio dire, non trattarla come un giocattolo rotto. Fai come Louis, comportarti normalmente. Come faresti con tutti.” 

“Lei non é tutti.” bisbigliai. 

Lei mi sentì, e sorrise dolcemente. 

“Beh, per riconquistarla devi fare come se lo fosse. Smettila di darle tutte quelle attenzioni, così dolci e apprensive, restituiscile un po’ di…” 

“Fuoco.” 

“Si, esatto.” 

Arya aveva ragione. 

Tutto quello che non voleva Ploon, adesso, era una persona che la trattasse come qualcosa da dover proteggere. 

Lei si sentiva forte e voleva dimostrare di esserlo. 

D’ora in poi, dovevo comportarmi come mai in realtà mi ero comportato con lei in tutta la mia vita. 

Pensai a cosa poter fare. 

Finché… non mi venne in mente un gioco, pericoloso quanto divertente… per me. 

 

“Dov’é il mio libro?” 

Urlava da mezz’ora, ormai. 

Come una pazza, cercava disperatamente Peter Pan, in ogni angolo della casa.

Tutti la stavano aiutando, anche se per ora senza successo. 

Ma nonostante tutto continuava ad incolpare chiunque le capitasse a tiro. 

“Harry!” 

Posai il biscotto di cioccolato che avevo fra i denti, con estrema calma. 

“Aiutami!” 

Poi, con tranquillità, le chiesi: “Perché?” 

Corrugò la fronte, fermandosi davanti al mio corpo. 

“Sai che ci tengo!” 

“Beh, non é un motivo abbastanza valido.” 

Strinse lo sguardo, facendo diventare i suoi occhi due piccole fessure. 

Mi fissò per ancora circa un minuto, stando zitta. 

“Posso andare?” sghignazzai.

“No.” mi serrò il passaggio. 

Studiò il mio viso, piegando leggermente verso destra il suo, per concentrarsi. 

“C’é qualcosa che vuoi dirmi?” 

Scosse il capo, allontanandosi dal mio corpo, definitivamente. 

Mi girò le spalle quando, immediatamente dopo, le rivolsi nuovamente la parola. 

“Io so dove si trova.” 

Si voltò di scatto.

Il suo viso si rilassò, quasi sorridendomi. 

“Dove?” 

“E’ un segreto… per ora.” 

 Mi avvicinai alla porta della cucina, subito dietro di lei, e la chiusi, molto lentamente, come se stessi per confidarle un importantissimo segreto. 

Vidi accigliò lo sguardo. 

“Cosa vorrebbe dire questo?” 

“E’ mio adesso.” 

Le fissai il volto, curioso di vedere la sua reazione alla mia affermazione. 

Probabilmente sarebbe diventato rosso fuoco. 

Incredula, non disse nulla per un po’. 

Poi si decise a contestare, com’era prevedibile facesse. 

“No.” 

“No?”

“No!” 

Alzò il tono di voce e io, sorridendo, le feci segno di abbassarla di nuovo. 

“Io credo di si, invece.”

“Dimmi immediatamente dove si trova.” scandì bene le parole, come per intimorirmi. 

Ma io non mi scomposi. 

“Cosa speri di ottenere così? Farmi tornare da te? Non é il metodo più adatto questo.” alla fine disse, cercando di colpire il mio punto debole. 

Sorrisi, ancora, in modo beffardo. 

“Non é la mia intenzione.” 

Corrugò la fronte e con passi impercettibili cercò di tornare indietro verso la porta, poiché io mi mossi verso di lei, intrepidamente e senza ripensamenti. 

Toccò la maniglia, ma non riuscì a girarla: avevo chiuso a chiave. 

Spalle contro il muro, alzò lo sguardo per guardarmi negli occhi. 

Il suo flebile respiro, adesso scostante, arrivò al mio petto. 

Mi avvicinai al suo orecchio, abbassandomi di qualche centimetro. 

“Devi fare solo ciò che ti dirò.” 


Ehi ragazze C: 
Salve a tutte!! Come state?
Non avete idea, davvero, di quello che mi é venuta in mente per il prossimo capitolo *0* 
Ho già iniziato a scriverlo ed é molto... uhmm, diverso ;) 
Scommetto di vi piacerà, proprio perché e' un po' particolare e "scottante" :3 
Spero di avermi messo curiosità AHAH. 
Recensite in tante belle, magari vi do anche qualche anticipazione :) 
Bacini, 
-Zola. 

 

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Capitolo 9
*** «Kiss me ***


Cap. 9

 

Narra: Harry.

 

“Baciami.” 

Nella stanza buia, vedevo solo lei, illuminata dai suoi bellissimi capelli biondi. 

Il suo corpo, estremamente esile e delicato, era coperto da un leggero e chiaro pigiama azzurro, profumato di rosa. 

Con la fronte corrugata, adesso, mi guardava contrariata: non avendo cambiato posizione, seduta sul letto con le gambe incrociate. 

Era notte, circa le quattro di mattina. 

Entrambi non riuscivamo a dormire. 

Così, avevo pensato di giocare un po’. Con le mie regole. 

Io, in piedi di fronte a lei, a qualche metro di distanza, sorrisi maliziosamente dopo aver pronunciato quell’ordine. 

Da due settimane, ormai, faceva tutto quello che le chiedevo. 

Ma solo adesso iniziavo a fare sul serio. 

In un modo o nell’altro, lei sarebbe stata di nuovo mia. 

“Non mi hai sentito?” 

Non rispose, neanche questa volta. 

Semplicemente prese le proprie coperte e molto velocemente vi ci si distese sotto, girandosi dalla mia parte opposta. 

Così, molto lentamente, sghignazzando notando la sua ostinazione, mi avvicinai io al suo corpo. 

Mi sedetti accanto a lei, fino a raggiungere la distanza di qualche centimetro dal suo orecchio. 

“Allora ti bacerò io.” 

Non si mosse. 

Con gli occhi chiusi, strinse solo impercettibilmente le labbra. 

Abbassai lo sguardo, ammirando il suo viso per alcuni attimi. 

Le sue guance, bianche alle estremità e rosee al centro, erano rimaste così lisce… 

Proprio come ricordavo. 

Per un attimo ebbi l’irrefrenabile voglia di accarezzargliele, ma non lo feci, alla fine. 

Sfiorai la sua bocca, rossa lampone. 

Dio! 

Da quanto non lo facevo, ormai. 

Sorrisi, nella mia mente. 

Lei non s’allontanò, per la prima volta.

Rimase lì, accanto a me, vicino al mio volto. 

Il mio petto divampò. 

il mio cuore scoppiò.

Poi, qualche istante dopo, il mio animo divenne scintilla. 

Uniti inseparabilmente, in quel attimo, la baciai. 

Strinsi le coperte per frenare le mie voglie eccessive e non rischiare di esagerare. 

Quando, invece, lei contraccambiò delicatamente, tremando. 

Lentamente, poi, spostai le mie mani sulla sua vita.

… Per poi passarle successivamente sul suo seno. 

Non osò fermarsi, neanche per un singolo istante. 

Nessuno dei due ne aveva l’intenzione, in realtà. 

Afferrai la sua maglia, estremamente concentrato, e guardandola negli occhi, gliela levai. 

Rimase in reggiseno. 

Non sorrise. E nemmeno io lo feci. 

Continuammo a baciarci, senza sosta. 

Fino a quando lei non si staccò. 

Ansimò, facendo salire e scendere freneticamente il proprio petto, schiacciato sotto il mio, cercando di riprendere fiato. 

“Vedi che…” 

Ma mi zittì. 

Afferrò nuovamente il mio collo, alzandosi leggermente dal materasso del letto, e riprese a baciarmi con passione. 

Le sue mani, adesso, stringevano i miei ricci, spettinandoli e tirandoli. 

“Era ciò che volevi.” disse, sussurrando con determinazione. 

Questa volta, mi staccai io. 

Le presi il polso, fissandola severo.

Mi focalizzai su quella dannata frase. 

“Ciò che vuoi anche tu.” 

Non rispose, fino a quando non decise quale fosse la risposta più sincera per lei. 

“Si, lo voglio.”

Sorrisi, sinceramente. 

“Ma adesso, in questo momento.” 

Accigliai lo sguardo. 

“Ti voglio, Harry. Ma non deve diventare un abitudine.” 

“Vuoi qualcosa di… clandestino e saltuario?” 

Scrollò le spalle. 

Non accennò ne ad una smorfia ne ad un sorriso. 

Gelida, continuò ad ammirarsi nei miei occhi. 

Come poteva chiedermi una cosa del genere?

Dov’era, per davvero, finita la mia Ploon?

 

*Flashback* 

 

“Che schifo quei due.” 

Alzai gli occhi al cielo, ridendo divertito. 

E la guardai fare delle strane e buffe facce, mentre, tra l’altro, gesticolava animomasemnte. 

Da giorni ormai, da quando aveva scoperto che Trisha Coleridge e Thomas Thomson avevano fatto sesso, così a caso, perché ne avevano semplicemente voglia, nella macchina del padre di lei, non faceva che parlarne, lamentandosi. 

Quei due neanche si conoscevano, secondo la sua onesta opinione. Ne avevano avuto un rapporto affettivo, prima di allora.

Borbottò qualcosa che io non riuscii a sentire, abbassando lo sguardo, e continuò a camminare per il corridoio della scuola. 

“Non é così scandaloso. E’ piuttosto normale.” 

Corrugò la fronte, gelandomi con lo sguardo. 

“Solo perché lo fanno tutti non vuol dire si debba fare.” obiettò. 

“Vedremo se dirai così anche tra qualche anno.” sghignazzai, lanciandole una frecciatina in tono di sfida. 

Poi, infilandomi le mani in tasca, ero rimasto in silenzio, continuando, invece, a sentire i suoi lamenti. 

Nonostante non fossi d’accordo con i suoi ideali, rimisi colpito dalla forza con cui ci credeva. 

Era ancora solo una ragazzina, eppure il coraggio di esprimere le proprie idee non le mancava. 

Era sicuramente molto più matura di adolescenti dell’ultimo anno o adulti. 

“Tu lo faresti?” 

Mi girai verso il suo volto, aspettando alcuni istanti per risponderle. Per pensare attentamente. 

“Dipende.” 

“Da cosa?” 

“Dalla persona che avrei davanti.” 

Sorrise, capendo a cosa mi riferissi. 

Sapeva che se davvero mi fosse importato della ragazza tra le mie braccia, non avrei fatto mosse azzardate e avventate, buttando un momento speciale per un po’ di piacere momentaneo. 

“Ma comunque non ti é concesso parlare di queste cose, Piccola Peste.” 

Rise, dolcemente. 

“Non sono più una bambina. E, tra l’altro, mi dici sempre che dovrei crescere per quanto riguarda queste cose, perché sono troppo “disinformata”!” 

“E’ vero. Ma non con troppa fretta.” 

Accigliò lo sguardo, continuando a guardarmi divertita. 

“Perché?” 

“Perché mi piacerebbe prenderti per il culo ancora per un po’.” 

“Fanculo, Harry.” rise. 

E mi diede una spallata, come al suo solito. 

 

*Fine Flashback*

 

Narra: Ploon. 

 

Voleva la guerra? 

“E guerra sia.” pensai. 

Non mi sarei piegata ancora alle sue stupide minacce. 

Che avessi rinunciato a quel dannato libro sin dal principio! 

Ormai era roba passata, in un presente piuttosto confuso e tormentato. 

Non c’era spazio per la malinconia e la tenerezza, di lontani ricordi. 

E questo dovevo farglielo capire. 

Si ostinava ancora a combattermi pur di ripescare da qualche sotterraneo la vecchia Ploon. 

Se proprio voleva amarmi, doveva farlo adesso. 

Doveva invaghirsi perdutamente della ragazza che ero diventata. 

Era, in fondo, inutile mentirmi. 

Lui non era innamorato di me, ma di ciò che invece, nella sua mente, rimanevo.

Doveva solo comprendere che, nonostante quanto ci sforziamo, ci sono cose che non possiamo sistemare. Perché sappiamo esattamente quanto possano essere profonde alcune ferite.

La luce, a volte, può diventare buio. 

 

Il suo volto e i suoi occhi, adesso estremamente scuri, scrutavano severi il mio viso. 

La sua bocca, leggermente bagnata, era estremamente serrata. 

I suoi ricci, cadenti sul suo viso perfetto, profumavano ancora di pino: come da sua richiesta, gli avevo fatto personalmente lo shampoo, divertendolo. 

Ma adesso ero io quella che rideva, guardandolo mentre rimaneva sconvolto. 

“Che c’é? Non continui nella tua impresa? A baciarmi?” sussurrai, sorridendogli in modo beffardo. 

“Ti piace farlo solo quando non lo voglio? Quando sono una sfida?” 

Lasciò la sua presa sulla mia carne. 

Ma non rispose. 

Corrugò la fronte, abbassando lo sguardo. 

“Preferirei baciarti quando…” 

“Sono in me?” 

Annuì, lievemente. 

“Come pensavo.” 

Questa era la conferma. 

Non mi amava in più. 

Per me, in realtà, provava solo odio: poiché ero colei che aveva imprigionato l’amore della sua vita nel profondo del suo animo. 

 

“Buongiorno, Ploon.” 

“Buongiorno, Arya.” 

Un sorriso raggiante, come spesso accadeva, illuminò la stanza di calore e serenità. 

Il suo. 

Della rossa si poteva dire tutto tranne che fosse una persona querula e cupa. 

Nonostante la gravidanza, continuava a svolgere i propri compiti e doveri da sola, senza mai lamentarsi. 

Quella mattina, infatti, aveva preparato lei la colazione. 

Fette biscottate con il miele e una grande brocca di latte erano riposti al centro della tavola, contornati da graziosi piatti color madre perla e posate. 

Presi una tazzina dallo scaffale più basso accanto alla porta della cucina e mi sedetti di fronte alla ragazza, non degnandola di uno sguardo: non perché fossi arrabbiata con lei, ne perché portassi rancore, ma semplicemente perché non avevo voglia di troppe chiacchiere. 

Tranquille, rimanemmo nel più profondo silenzio. 

Probabilmente i ragazzi stavano ancora dormendo. Tranne Liam, che solitamente, a quell’ora, andava a correre. 

“Non mangi più come un tempo.” sghignazzò, sorridendomi con gli occhi. 

“Mi é passata la fame.” 

Ed era vero. 

Non riuscivo più ad immagazzinare tutta quella quantità di cibo. 

Il mio stomaco si chiudeva non appena sentivo il profumo di una qualsiasi prelibatezza culinaria, o non. 

I mesi seguenti alla… fuga di mia madre, a causa dello stress, avevo fatto fatica persino a mangiare il minino indispensabile e, adesso, ne pagavo le conseguenze. Non riuscivo neanche più a riprendere. 

A cena, con gli altri, per non insospettirli, mangiavo normalmente, ma poi, quando la notte scendeva e si faceva buio, uscivo di soppiatto di casa per andare a vomitare, soprattutto quando non riuscivo a resistere. 

Per questo, come diceva sempre Harry, ero l’ultima ad andare a dormire. 

“Casa tua era…” 

“Quella lì.” gliela indicai dalla finestra. 

S’alzò, per andare ad ammirarla con più attenzione e nel dettaglio. 

“E perché l’hai venduta? Sembra bellissima.” 

Non le risposi. Non in quel momento, almeno. 

Posai lentamente la tazza di latte che tenevo custodita tra le mani. 

Il liquido fumava, ancora caldo. 

“Era troppo grande per una sola persona.”

“Io pensavo che tua madre vivesse lì con te…”

“No, non più.”

 

“Ehi, ragazzina.” 

Risi, alzando gli occhi al cielo. 

Mai sarei riuscita ad estirpare dalla mente di Louis quel fastidioso soprannome che riservava per me. 

“Che c’é?” 

“Vado al supermercato, adesso.”

Stetti ferma a guardarlo, per aspettare la continuazione del discorso. 

Ma non arrivò. 

“E quindi? Dovrebbe interessarmi?” 

Sorrise amichevolmente, abbassando lo sguardo per poi rialzarlo poco dopo. 

“Era un invito per venire con me.” 

“Ah… ed era troppo difficile chiederlo in un modo esplicito?” 

“Lo era. Ma tu sei tarda.” mi pizzicò la fronte. 

Sospirai. 

“Vengo con te.”

Mi schioccò un bacio sulla guancia, velocemente, per impedire che lo schiaffeggiassi per quel gesto, e prese la sua giacca autunnale. 

“Andiamo, allora.”

 

“Vuoi del gelato?” 

“C’é al Caffè?”

“Uhmm, no. Non mi sembra.”

“Allora no.”

Rimisi in moto il carrello e avanzammo verso il reparto della carne, il mio preferito. 

“Tocca a te cucinare oggi?”

“Già.” rispose lui. 

Lo guardai perplessa, facendolo scoppiare a ridere. 

“Allora mi prenderò un salame, nel caso tu combinassi un macello.” 

“Non puoi avere così poco fiducia in me.” 

Sghignazzai, facendogli intendere che, invece, era proprio così. 

Le sue capacità culinarie erano sicuramente discutibili, sotto molti punti di vista. 

“Dovresti farti insegnare da Liam.” 

“Perché non da te?”

“Perché non ho così tanta pazienza.” gli feci un occhiolino. 

“Pff, quante scuse.” 

Sorrisi.

“E poi diventerai una brigola umana se continuerai a mangiare quei cosi.” 

“Me ne farò una ragione.” scrollai le spalle. 

 

“Mi spieghi qual’é il tuo problema con Niall?” 

Sbuffai. 

Se c’era una persona di cui proprio non volevo parlare era l’irlandese. 

“E’ da giorni che non vi parlate o, se lo fate, vi tirate frecciatine. E’ per Arya?” 

Abbassai lo sguardo, infilando poi le mie mani gelide nella giacca. 

Il biondo mi aveva dichiarato guerra, la settimana precedente, e non avevo intenzione di supplicarlo di ripensarci. 

Se era preoccupato inutilmente per la rossa erano tutti affari suoi. 

“Non lo so.” 

“Uhmm.”

Corrugai la fronte, guardandolo. 

“Harry ha fatto qualcosa di sbagliato?” 

“No.” 

“Puoi fidarti di me, lo sai.”

Sorrisi, consapevole di quel fatto. 

Forse era lui che, invece, non poteva contare realmente su di me. 

“Lo so, Louis, ma ti sto dicendo la verità.” 

Avevo imparato a mentire, con il tempo. E adesso lo sapevo fare davvero bene. 

A volte bisogna farlo per non impelagarsi in pasticci più grandi di te, che ti potrebbero ingoiare distruttivamente. 

“Allora gli parlerò.” 

“No, ti prego.” 

Alzai il tono di voce frettolosamente, scattando come una leonessa che avvista la propria gazzella. 

“Non ce n’é bisogno.” 

Stette zitto per un po’ di tempo, senza più aggiungere altro. 

Non appena, però, arrivammo davanti a casa, si fermò qualche passo dalla porta. 

“Non me la racconti giusta tu, sappilo.” 

Ehi mie belle fanciulle <3 
Salve a tutte! 
Come state? Io il sabato sera me lo passo a casina questa volta, sono stanchina e avevo voglia di scrivere o guardare telefilm! A proposito, potreste consigliarmene uno un po' sconosciuto, visto che quelli più popolari io già li conosco tutti :3 Sono dipendente da telefilm :') E, anzi, ve ne consiglio uno vivamente: the100, stupendo *0* 
Detto questo, posso incominciare a parlare della mia storia AHAH. 
Questo capitolo mi sono divertita davvero tantissimo a scriverlo e penso e spero che vi possa piacere molto *-*
Ovviamente fatemi sapere :)
E, magari, ditemi come gradireste che le cose andassero avanti. 
Il nostro povero Harry non sa più cosa fare, ho reso Ploon un ghiacciolo e non so più come tornare indietro senza far sembrare tutto irreale :')
Ops. 
Detto questo vi auguro un buon proseguimento di serata <3 
Bacioni, 
-Zola. 

 

 

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Capitolo 10
*** «I let you be free ***


Cap. 10

 

"Tra pochi giorni é Natale." 

Annuii, alzando lo sguardo dal libro che stavo leggendo proprio in quel momento. 

Era stupendamente interessante. 

E il ragazzo mi aveva appena interrotta.

"Si, so quali feste ci sono a Dicembre, Louis." 

 

Lui alzò gli occhi al cielo, forse stufo della mia continua strafotenza e poca gentilezza. 

Da ore ormai ero sdraiata sul divano nel soggiorno, silenziosa e tranquilla, mentre lui continuava a muoversi freneticamente, non riuscendo nemmeno a star seduto.

All’inizio mi aveva urtato i nervi, ma adesso, ormai, ci avevo fatto l’abitudine. 

“Qual’é il tuo problema?” risi. 

“Mi sono dimenticato di fare il regalo ad Eleanor.”

Mi schiacciai una mano sulla fronte, sconcertata dalla sua sbadataggine epocale. 

“Sei il solito.”

“Non insultare, ragazzina.” 

Sghignazzai, guardandolo leggermente alterato. 

“Andiamo in centro, allora.” 

Mi alzai in piedi e, in quattro e quattr’otto, chiusi il libro. 

Scossi il mio corpo facendo alcuni movimenti frenetici, per riscaldarmi, e presi i guanti caduti per terra. 

“Davvero?” accigliò lo sguardo. 

“Certo.” scrollai le spalle. 

Il suo volto era sinceramente sorpreso, rimasto fermo nella stessa posizione di pochi minuti prima, a fissarmi con aria stupida. 

Corrugai la fronte, non capendo che cosa avesse. 

“Hai intenzione di muoverti o ti devo portare in braccio fino a là?”

Si alzò di scatto e corse nell’ingresso per recuperare le nostre giacche. 

Sorrisi. 

Ero conscia del fatto che non si aspettasse così tanta disponibilità da parte mia. 

Ma aiutarlo era sicuramente la cosa giusta da fare. 

E poi avevo voglia di fare qualche passo per sgranchirmi le gambe. 

Mi passò, al volo, il mio cappellino bianco di lana e mi fece un occhiolino. 

“Let’s go.” 

 

I nostri piedi, riscaldati da stupendi e bollenti stivali marroni e neri, affondavano nella neve straordinariamente chiara e senza alcuna macchia. 

Il freddo, fortunatamente e miracolosamente, era sopportabile. 

Anche perché, diciamolo, mi ero coperta come un’ eschimese al Polo Nord. 

Toccai con una mano un singolo fiocco di neve cadente dal cielo. 

Era così bello poterlo fare. 

L’aria era fresca, pulita. 

Il suo profumo era così piacevole e dolce. 

La città, completamente bianca, era talmente… magica. 

I miei compaesani avevano già appeso decorazioni natalizie dappertutto, che lampeggiavano e illuminavano le stradine di ogni singola via. 

La mia anima prese fuoco nel vedere il suo amato paese così felice e armonioso. 

Guardai Louis, altrettanto rapito da un simile spettacolo. 

Sorrideva.

Lo interruppi, come interruppi il momento speciale di contemplazione, lanciandogli una palla di neve, inevitabilmente, sulla faccia. 

“Ehi!” 

Gli feci una linguaccia e risi, di gusto.

Era da tempo che non giocavo con qualcuno. 

“Eri così… imbambolato.” 

“Io a differenza tua mi emoziono.” 

Gli feci il verso, meritandomi una spinta per terra. 

Il mio corpo, adesso infreddolito, era completamente ricoperto da neve gelida. 

Digrignai i denti, cercando di trattenermi per non morire di freddo. 

“Non dici più nulla?” 

“Sei morto, Tomlinson.” 

Precipitosamente, mi scaraventai sul suo corpo, che, immediatamente, troppo impegnato a farsi una sonora risata, crollò a terra. 

Continuava a divertirsi e scuotere la testa, mentre io tentavo di infilargli, a forza, la neve dappertutto.

Seduta sopra il suo stomaco, ridevo come ormai non ero più solita fare da tempo. 

“Te lo meriti.” gli urlai in faccia. 

“Anche se fosse, sono più forte io.” 

Senza alcuna fatica, mi prese i polsi. 

Con una mossa velocissima, ribaltò la situazione. 

Adesso ero io, completamente immobilizzata, ad essere bloccata dal suo corpo, molto più muscoloso e pesante del mio. 

I miei capelli, ormai completamente fradici, erano a stretto contatto con il terreno. 

“Lasciami immediatamente.”

“Perché dovrei?” sghignazzò.

“Perché…” 

Non continuai.

Mi fermai. 

Corrugai la fronte. 

Mi soffermai sul suo volto.

Tuttavia non vidi lui, per un attimo… 

… ma Harry. 

Ricordi. 

 

*Flashback* 

 

“Ora non scappi più.” 

Il suo viso pallido e bianco come il latte, riscattato dagli immensi ed incantevoli occhi smeraldo che lo rendevano di una bellezza ineffabile, si trovano a pochi centimetri di distanza da me.

Mi teneva stretta, serrandomi la vita con le sue gambe. 

Sentire il suo corpo così vicino al mio, mi rese la pelle d’oca. 

Delle strane e piccole vibrazioni volevano far tendere il mio volto verso il suo, perdutamente. 

Tuttavia, il mio perfetto autocontrollo, me lo impediva, per fortuna. 

Amava follemente Liz, non dovevo mai dimenticarlo. 

Anche se in quel momento, solo per un istante, fu proprio quello che feci. 

Io. 

Lui. 

Nient’altro in mezzo. 

Nessuno ostacolo. 

“Ti si é congelata la lingua, pesciolino?”

Sorrise, dolcemente, come solo lui sapeva fare: addolcendomi il cuore teneramente. 

Premette nuovamente le sue mani, con delicatezza, sui miei polsi, accarezzandomeli leggermente. 

“Ti faccio male?” 

Scossi il capo, debolmente. 

Per qualche inspiegabile ragione, riuscivo solo ad ammirarlo senza aggiungere nulla. 

Quel piccolo ed infinito attimo, silenzioso e così intenso, era già tutto, per me. 

“Posso chiederti una cosa?” 

Annuii, questa volta. 

Ma lui non parlò. 

Nessun suono uscì dalla sua bocca, rossa per il freddo. 

Mossi le sopracciglia, per fargli capire che, adesso, aspettavo la sua domanda. 

Serissimo, non accennò comunque a nessun cambiamento. 

“Tu sei diversa.” 

Corrugai la fronte.

Da chi?

Cosa intendeva, esattamente?

“Sei così allegra e vivace… Un puntino colorato in un mondo di ragazze grigie.” 

 

*Fine Flashback* 

 

“Tutto bene, Ploon?” 

Scossi il capo, come per tornare nel mondo reale e contemporaneo. 

Gli occhi celesti di Louis, quasi preoccupati e spalancati, erano puntati sui miei.

Accigliai lo sguardo, guardandolo meglio. 

“Cosa c’é?” 

Mi presi alcuni istanti per rispondere, per pensare a come formulare la frase che avevo in mente in modo fine e poco rozzo. 

Ma, alla fine, optai per la schiettezza e sincerità. 

“Hai una caccola che ti sta per uscire dal naso.” dissi schifata. 

Stette zitto. 

E poi, alla fine, controllò se la mia affermazione fosse vera: si girò e… non voglio sapere cosa fece. 

Risi, sicuramente divertita dalla scena. 

“E’ così che conquisti le ragazze?” 

S’alzò in piedi, guardandomi male, ma, infondo, divertito anche lui. 

“Beh, non devo farlo con te.” fece un occhiolino, porgendomi la mano per aiutarmi ad alzarmi dal terreno. 

Non l’accettai. 

Feci tutto da sola. 

“Pff, testarda.” 

“Con quella mano ti sei toccato le narici, scemo.” 

“E quindi? E’ solo…” 

Lo zittii, prima che potesse continuare con qualche stronzata. 

“Sei uno schifoso.” 

Rise, abbassando lo sguardo. 

“Come vuoi.”

 

“Mi stai evitando?” 

Questa volta, la parola, gliela rivolsi io. 

Da settimane non osava neanche più guardarmi in faccia. Dopo quella strana e folle notte in camera mia. 

Aveva finito di ricattarmi per davvero?

“Perché mi sembra di si.” 

Contro ogni aspettativa fui io che lo serrai in camera sua, chiudendo a chiave la porta, ormai, dietro di me. 

“Per quale motivo?” 

Volevo sentirmela dire da lui: la verità. 

Ciò che sapevo sin dall’inizio. Che lui, ormai, non mi amava più davvero. 

Avrei fatto qualsiasi cosa pur di sentire ciò che realmente provava, adesso, per me. 

Per comprendere. Capire fino a che punto si sarebbe spinto pur di farmi tornare da lui. O se si sarebbe arreso in fretta, come, alla fine, credevo. 

“Ti lascio libera.” 

Si prese alcuni istanti per sospirare intensamente e alzare lo sguardo verso il mio. 

Duro, mi ricordava esattamente colui che sei anni prima mi aveva… abbandonata. 

Quella storia era lontana, ormai, ma il suo sguardo ribelle e così dannatamente serio ancora non riuscivo a dimenticare che effetto aveva avuto su di me, da ragazzina. 

Corrugai la fronte. 

“Non ti sforzerò più.” 

“Tu fai la tua vita, io farò la mia. Avevi ragione.” continuò.

Poi venne verso di me, a pochi passi di distanza.

Mi porse la mano.

“La chiave.” 

Abbassai lo sguardo, guardandomi la mano.

Senza accennare a nient altro, poi, gliela porsi. 

La prese, con salda stretta. 

E uscì. 

Proprio come se quello fosse un ‘Addio’. 

 

Narra: Harry. 

 

Dirle quelle parole, giuste ma così difficili, mi era costato dannatamente caro. 

Tuttavia, sapevo fosse la cosa giusta da fare. 

Forse una pausa a tutto questo avrebbe fatto bene ad entrambi. 

Io avevo bisogno di pensare lucidamente, come da tempo non facevo più. 

E continuare a dimostrarle il mio amore non era un giusto modo per farlo.

Non mettere un momentaneo ‘Fine’ alla nostra storia, anche da parte mia, era stato un errore. 

Avevo passato un mese d’inferno, guardandola migliorare lentamente, ma senza di me. 

Dovevo riuscire a trovare la tranquillità, anche senza di lei. 

 

Ciao ragazze :3

Scusatemi se ci ho messo una settimana a scrivere e pubblicare questo capitolo, ma é stata davvero impegnativa! :') 

Non vedo l'ora sia estate, non ce la faccio più psicologicamente... Anche se il tempo atmosferico fa ancora schifo qui a Genova D: 

Ora mangio, va. 

Si, lo so, sono l'unica persona nel mondo che pranza alle tre e mezza del pomeriggio :( 

Spero recensirete e vi farete sentire, sapete che mi fa piacere ascoltarvi e rispondervi. 

Un bacione, 

-Zola. 

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Capitolo 11
*** «Where are you? ***


Cap. 11

 

Narra: Ploon

 

”Louis, cazzo, finisci di difenderla! E' stata una stronza!" 

"Ma cosa stai dicendo? Pensi a quello che dici, Harry?"

"Ha reso pubblica una questione estremamente privata, te ne rendi conto?!" 

"Sono sicuro che..."

"Io mi fidavo di lei! Come ha potuto solo lontanamente farlo?" 

"Non stai ragionando. La conosco, non farebbe mai una cosa del genere." 

“Tu non la conosci! E non centri nulla, comunque. Fatti i fatti tuoi." 

"Sei completamente rincoglionito? Qualcuno ti ha fatto il lavaggio del cervello?"

"STAI ZITTO, HO DETTO!" ringhiò. 

Sbarrai gli occhi. 

Feci qualche passo indietro dal suo corpo, spaventata. 

"MA CAZZO HARRY SVEGLIATI, LEI NON HA FATTO NULLA!" 

"E come fai a saperlo? Non so neanche chi sia questa... ragazza che ho di fronte." mi guardò, con disprezzo. 

"Sei davvero serio?"

"E tu sei proprio come lei. Un bastardo. Non dovresti stare dalla mia parte? Sei un mio fottuto amico!" 

"Ma lei non ha fatto niente, cazzo." 

"Sei un povero coglione se pensi di poterti fidare di quella!" 

"Harry lei non farebbe mai una cosa del genere! Cazzo, la conosci. Sai com'é fatta!" 

"No... non lo so più. E' cambiata." 

"Sei tu che sei diventato un coglione!" 

"Cazzo Louis finiscila!" 

Strinsi i pugni. 

Pronunciai qualche parola, ma strozzata, non udibile. 

Alla fine, però, uscì la voce. 

"BASTAAAAAAAAAAAAAA." 

Si girarono tutti verso di me, muti. 

"Basta." sussurrai. 

Abbassai il volto, fino a concentrarmi talmente tanto da non far colare nemmeno una lacrima dai miei occhi rossi.

Se c'era una cosa che proprio non sopportavo era vederli litigare. A causa mia, per di più. 

Erano come dei fratelli e per colpa di una 'stronzata' litigavano come dei bambini.

I miei casini dovevano restare tra la sottoscritta ed Harry: il tutto non doveva degenerare più di quanto già non stesse facendo. 

La stanza, al mio sguardo quasi affollata, ospitava tutti: Arya, Zayn, Niall, Liam, Louis, Harry e me. 

Ero imbarazzata, mortificata, arrabbiata, delusa, amareggiata. 

Se c'era una cosa che odiavo era stare al centro dei dibattiti: far notare le mie debolezze e i miei problemi a tutti coloro accanto a me. Essere giudicata. Ed ero certa che l'irlandese e la rossa lo stessero facendo, silenziosamente. 

Digrignai i denti e li serrai in una salda stretta, stringendo anche i muscoli del corpo, ormai irreparabilmente teso. 

Voltai le spalle a tutti e, senza alcun ripensamento, uscii da quella casa, maledettamente scottante. 

 

*Flashback*

 

“Sei stata tu, non é vero?” 

Avevo immediatamente smesso di ridere, al suo arrivo. 

Louis, accanto a me, lo guardò perplesso, leggermente adirato. 

Con violenza e velocità aveva sbattuto il giornale stropicciato, che poco prima teneva nelle mani, sul mio letto. 

Corrugai la fronte, non capendo assolutamente a cosa si riferisse.

Non raccolsi immediatamente quel pezzo di carta. 

Stetti ferma a guardare lui, Harry. 

Sembrava arrabbiato, parecchio. 

Il suo volto, in quel momento, era tutt’altro che dolce e tranquillo. 

Riuscivo persino a vedergli la mandibola perfettamente tesa. 

Che cazzo gli avevo fatto, adesso?

“Prima pagina.” disse serio. 

Così, senza aspettare un altro minuto, afferrai quel giornale. 

“Harry Styles, presto padre.” lessi tra me e me. 

Spalancai gli occhi, domandandomi come i paparazzi avessero potuto scoprire una cosa del genere. 

La questione era inquietante quanto, adesso, spinosa. 

“Sei felice, adesso?”

Accigliai lo sguardo, adesso incupitomisi. 

“Pensi che io abbia fatto una cosa del genere?” 

“Ne saresti capace, ormai.” 

“Perché avrei dovuto?” 

“Ti ho fatto ben capire di non voler avere più a che fare con te.” 

Silenzio. 

Sia nella mia mente, che nella stanza. 

Finalmente l’avevo detto, quello che voleva per davvero. 

Semplicemente, continuammo a guardarci come se di fronte avessimo un nemico. 

Delusione, odio e disprezzo: ecco cosa si capiva provassimo l’uno per l’altra, in quel momento. 

“Vendetta. Pensi sia per questo.” 

Non so se mi facesse più pena o tristezza. 

Tuttavia questa era la conferma: poteva farmi ancora del male. 

Perché mi ferì, un’altra volta. 

Non fece un cenno di capo, ne nient’altro, ma capii di aver detto esattamente ciò che aveva pensato. 

“Sei davvero un idiota, Harry.” 

 

*Fine Flashback*

 

Narra: Louis. 

 

“Non dovresti intrometterti. Non butta bene.” 

Corrugai la fronte e fissai Liam per molto tempo, pensando a come potesse essere così codardo. 

Harry si stava comportando come un bambino capriccioso, bisognava farglielo capire. 

Invece gli altri sembrava se ne fottessero e preferissero fare finta di nulla. 

Aveva messo in cinta Arya. Non era una cosa su cui passare sopra tanto facilmente. 

E sebbene quello glielo potessi concedere, era stato un errore, non potevo permettere trattasse in quel modo disgustoso Ploon.

Ero estremamente convinto della sua innocenza. 

E se una persona cambia, non bisogna per forza fargliene una colpa o trattarla come una malata. 

 

Presi velocemente la giacca posata sul divano del soggiorno e corsi velocemente via da quella casa, cercando di raggiungere la bionda. 

Non doveva stare da sola in un momento del genere. 

Ultimamente ne aveva passate tante, anche se non ne voleva parlare, e non avevo intenzione di vederle fare una stronzata. 

Calciai un sasso, facendolo volare dalla parte opposta della strada. 

Quella poteva essere la testa di Harry, nei miei pensieri. 

Sbuffai, alzando gli occhi al cielo, esasperato. 

Mai avrei immaginato potesse essere così difficile rimettere quei due insieme. 

Forse non c’era più speranza davvero. 

Anche se, in fondo, sapevo si potesse credere ancora in qualcosa. 

L’odio, sebbene un sentimento negativo, a volte può essere manifestazione d’un amore complesso e apparentemente impossibile. 

“Ma dove sei?”

Alla fine, girando e rigirando per la città, la trovai. 

Seduta su una panchina nel parco più lontano dalla nostra abitazione, deserto e completamente innevato, aveva catapultato la propria testa sulle proprie gambe, coperte da calzamaglie nere. 

Doveva aver freddo. 

Mi tolsi la giacca, come qualsiasi altro ragazzo avrebbe fatto, e dopo essermi avvicinato al suo corpo lentamente, gliela poggiai sulle cosce, sorridendole. 

Non contraccambiò, semplicemente mosse leggermente il labbro verso l’alto. 

Poi, decisi di sedermi accanto a lei, stando in silenzio. 

“Mi dispiace per la scenata di prima.” 

Scrollai le spalle, senza spostare il volto verso il suolo o verso di lei, e continuando a fissare l’altalena di fronte a me. 

“E grazie… per avermi difesa.”
“Lo farò sempre.” 

Questa volta emise un ghigno. 

“Non ho bisogno di essere protetta.” 

“Oh, stai un po’ zitta Ploon. A tutti fa piacere sentirsi così.” 

Doveva smetterla di fingere con me. 

Di farmi credere che fosse invincibile. 

Tutti, anche se nelle proprie profondità, possono sentire la sofferenza. Perché è uno di quei sentimenti impossibili da smettere di provare. 

Io ci tenevo a lei, volevo fosse sincera, almeno con me. 

“Avrei voluto prenderlo a pugni.” 

“Non ti avrei fermato.” 

Risi, guardandola fare lo stesso con debolezza. 

“Stai bene?”

Sospirò, abbassando lo sguardo. 

“Passerà.” 

Non era vero.
Se c’era una cosa che avevo capito di lei era che proprio nulla, in lei, passava. Tutte le emozioni e i sentimenti provati restavano vivi, nella sua persona, per sempre. 

“Harry non pensa davvero tutte quelle cose. E’ solo…” 

“Ferito.” continuò lei. 

“Già.” 

 

Narra: Ploon. 

 

Avevo vomitato. Un’altra volta. Nello stesso giorno. 

Mi trattenni i capelli con le mani gelide, affinché non si sporcassero. 

Emisi un lungo e stanco sospiro, buttando, alla fine, il mio corpo a terra. 

Le mie forze, ormai, giorno dopo giorno, erano sempre più deboli. 

Io mi sentivo sempre più vulnerabile nella mia invulnerabilità. 

Nessuno vedeva. Nessuno capiva. Nessuno provava quello che stavo provando io. 

Era frustrante sapere che nulla potesse davvero aiutarmi, se non me stessa. 

Dovevo trovare il coraggio dentro la mia anima e usarlo per incominciare una nuova vera vita. 

Ma la domanda era: volevo davvero iniziare un altro capitolo?

O volevo semplicemente smetterla di combattere?

Per la prima volta, dopo tanto tempo, piansi. 

Ma seriamente. Fino a farmi venire male al petto. Fino a sentire pulsare tremendamente la mia testa.

Le lacrime nere, incontrollate, scendevano come una cascata su una roccia, producendo un enorme schianto contro le mie guance. 

Singhiozzai, rendendo il respiro, già affannato, ingestibile. 

Tutti quei pianti repressi in passato, adesso, si mischiavano in uno solo, straziante. 

E definitivo. 

 

*Flashback* 

 

“Sai che crederò sempre e solo a te.” 

Sghignazzai, emettendo un semplice ‘pff’, come per fargli capire che non gli credevo affatto. 

“E se mentissi?” 

“Tu già menti, pesciolino. Ma riconosco quando lo fai.” 

“Non é vero.” risi. 

“E so di cosa saresti capace e di cosa no.” 

Questo era vero. 

Lui poteva dire di sapere per davvero cosa avrei potuto o no fare. 

In pratica, vivevamo le giornate insieme da dodici anni, mi conosceva forse meglio di me stessa. 

“E’ per questo che non hai creduto a Liz? Quando ti ha detto che… sono innamorata di te?”

Mi fissò, per un po’, non dicendo nulla. 

Poi sorrise. 

E mi si avvicinò, lentamente, con sguardo sicuro. 

“Lo chiederò a te e crederò solamente a ciò che tu mi dirai.” 

A quel punto, il mio cuore aveva iniziato a battere, forte e incontrollato.

“Ora?” 

Fece un cenno di capo.

“Beh, io…”

“Uhm, uhm” fece, per farmi capire che stava ascoltando e aspettando la risposta. 

“Io ti voglio bene.” 

“Tutto qui?” 

“Si.”

Semplicemente e concisamente gli avevo detto l’affermazione che sapevo volesse sentirsi dire. 

E, ovviamente, non s’accorse dell’imbroglio: quando si trattava dei sentimenti che provavamo l’uno per l’altro, mai capivamo niente. 

 

*Fine Flashback*

 

Narra: Harry. 

 

Sdraiato sul mio letto, con le mani incrociate dietro la testa, restavo in silenzio, pensando. 

Con fronte corrugata e occhi scuri mi domandavo cosa dovessi fare, adesso. 

Restare ad Holmes Chapel non aveva più un senso. Ne cercare di sistemare le cose con Ploon. 

Era finita. Definitivamente. 

Ma il tour con la band, per ora, era terminato. I nostri manager ci avevano concesso il nostro momento di ‘riposo’. 

Cosa potevo inventarmi? Sia per tenere a bada i giornalisti, sia per proteggere Arya e il nostro bambino da eventuale stress, sia per tornare a ridere e scherzare e non preoccuparmi di nulla, come un tempo. 

Di certo, la prima cosa da dover fare per compiere almeno un punto della lista, era cacciare la mia ex ragazza da casa mia. 

Ma non potevo. Ne volevo. 

Dove sarebbe andata, da sola?

Ne Louis, d’altronde, me l’avrebbe permesso. 

Ultimamente passava molto tempo con la bionda, e adesso aveva iniziato persino a difenderla, mettendomisi contro senza alcun problema. 

Sbuffai. 

Calciai con forza un cuscino vicino ai miei piedi, facendolo cadere a terra. 

Non potevo perdere anche il mio migliore amico. 

Mio fratello. 

 

“Harry?” 

Lentamente, ma con sguardo perplesso, Arya entrò nella stanza, appoggiandosi alla porta, finché non la guardai come per chiederle cosa stesse succedendo.

“C’é una persona che vorrebbe vederti.” 

Accigliai lo sguardo e mi voltai dall’altra parte, non fissandola neanche più negli occhi. 

“Dice che é importante.” 

“Non mi interessa.” 

Sentii sospirare la rossa, che, poi, mi si avvicinò. 

Mise la sua mano sulla mia spalla. 

“Non puoi evitare tutti, adesso. Hai pur bisogno di qualcuno, no?” 

Le accennai un sorriso, proprio come fece lei. 

Poi, tornai serio. 

“Di chi si tratta?” 

“Tuo figlio.”

Prese la mia mano con la sua, cautamente e con delicatezza.

Lentamente, la spostò sul suo grembo. 

Sentivo… qualcosa all’interno muoversi. 

Un piccolo ometto o una tenera bambina scalciava contro le pareti della pancia della propria mamma. 

Un avvenimento straordinario e mozzafiato, in una giornata di pura merda. 

“E’ da tutto il giorno che fa così.” 

Accarezzai il punto in movimento, sorridendo lievemente, forse come uno stupido.

“Noi ci saremo sempre per te, qualsiasi cosa accada.”

Passai il mio sguardo sul suo, così sicuro e dolce allo stesso tempo. 

Era bellissima.

Per davvero. 

“E se…” 

La fermai. 

E la baciai. 

Ciao cicciette *0* 
Come state? 
Tra poco arriva l'estate, che bellezza! 
Ma, apart for that, io sono molto perplessa in questo momento riguardo alla storia. 
Mi piace eh... ma forse per voi é un po' troppo depressa?
Non so, vi ammorba? 
Ditemelo se é così :O
Perché ammetto che potrebbe annoiare visto che, per ora, sembra che tra Harry e Ploon non possa finire con il lieto fine :( 
Non so... ditemi voi :) 
Io vi ascolto e vi rispondo con le mie impressioni <3 
Mi raccomando fatemi sapere per favore, 
-Zola. 

 

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Capitolo 12
*** «Are you afraid? ***


Cap. 12

 

Narra: Ploon. 

 

“Dove sei stata?”

Era buio. 

Completamente. 

Saranno state, probabilmente, le tre. 

Le luci erano spente, tutte quante. 

Ogni persona, dentro la casa, dormiva sicuramente. 

O almeno, ognuna tranne lui. 

I miei occhi, ancora non abituati alla notte, non riuscirono a focalizzare la sagoma di fronte a loro. 

Chiusi la porta dell’ingresso dietro di me, lentamente. 

Emisi un lungo sospiro, sentendo che, purtroppo, ancora si sentiva leggermente l’odore del vomito provenire dalla mia bocca. 

Qualche conato ancora saliva dal mio stomaco fino a raggiungermi la gola. 

Ma, con determinazione, almeno adesso, che non ero sola, lo rigettavo giù. 

Stetti ferma, posando le chiavi sul mobiletto sotto al grande e vecchio specchio, vicino al mio corpo. 

“Non sono affari tuoi, mi sembra.” 

La sua voce, tuttavia, ero riuscita a riconoscerla. 

Come non avrei potuto?

Sentii alcuni passi avvicinarmisi, prima lenti. Poi, veloci e scattanti. 

Capii, dal respiro di fronte al mio, che adesso, contro la mia voglia, eravamo davvero vicini. 

Forse pochi centimetri ci dividevano. 

Probabilmente, adesso, teneva la fronte corrugata, ed anche le sue sopracciglia. 

Mi sentii sollevata dal fatto che, almeno durante il buio della notte, non fossi costretta a vedere le sue smorfie mentre mi fissava e studiava. 

Da settimane, ormai, andavamo avanti così. 

“Questa é casa mia. E voglio sapere cosa fa la gente che vi ci abita.” 

Sghignazzai, scuotendo il capo in segno di disapprovazione. 

Non era proprio nessuno per controllarmi. 

Non lo avrei permesso, per lo meno, senza lottare. 

“Fai un interrogatorio anche ad Arya quando esce per prendere un po’ d’aria?” 

“Lei non devo tenerla d’occhio.” 

Stetti zitta. 

E imprecai dentro di me. 

Ma mi trattenni per non spingerlo lontano da me e comportarmi come un essere superiore. 

“Ti sollevo dall’incarico. Non sei costretto a sapere cosa faccio ogni singolo secondo della mia vita.” 

“Ma io lo voglio sapere.” 

“E perché? Visto che pensavo non volessi più avere a che fare con me.”

“Forse solo per infastidirti.” 

Sorrise, e lo capii dal fatto che emise uno strano verso, simile ad un ghigno. 

Adesso, dopo questa affermazione, volevo davvero sputargli in faccia. 

“Posso andare?” chiesi facendo un passo in avanti. 

Il mio naso sfiorò il suo petto. 

Appena lo intuii, mi spostai, nuovamente. 

“Hai paura di me adesso?” 

“No. Voglio solo starti lontana.”

Sentii sospirarlo, ma non amaramente. Sembrava arrabbiato, adesso. 

Afferrò con forza le mie braccia, senza farsi nessuno scrupolo, e in pochi secondi, mi sbattè contro il muro. 

Gemetti, molto piano. 

Un’ intensa scossa mi fece tremare la schiena. 

Alzai il viso per incrociare i suoi occhi color smeraldo. 

Riuscii a vederli. 

Scuri, profondi. 

Non volevo abbassare lo sguardo, non questa volta, non rendendomi debole. 

Potevo benissimo sfidarlo, senza timore. 

Non disse nulla. 

E nemmeno io. 

Restammo in silenzio, guardandoci. 

Da tempo, ormai, non stavo accanto a lui così a lungo. 

Anche se solo per un attimo, sorrisi al pensiero. 

I miei sentimenti erano sicuramente contrastanti. 

Non lo odiavo soltanto. 

Era stato il mio primo amore. Non era possibile dimenticarlo. 

“Perché lo hai fatto, Ploon?” 

Corrugai la fronte, insieme al ventre dolorante. 

Continuava a credere che fossi stata io a tradirlo. 

Bruciava, questa ferita e consapevolezza.

“Mi fidavo, nonostante tutto.” 

“Non sono stata io.” 

Posò la sua fronte sulla mia. 

Cosa voleva fare?

Era arrabbiato, ma perché, allora, essere così… delicato?

Alternava momenti di disprezzo puro, a momenti di tenera malinconia. 

Stava impazzendo almeno un po’ quanto lo stessi facendo io?

“Dimostrami che sbaglio.” 

“Ci conosciamo da diciannove anni, Harry. Basterebbe fidarti sul serio, e non solo a parole.” 

Portò le sue mani sulle mie guance, accarezzandomele lentamente. 

Una piccola lacrima scivolò dai miei occhi, attraversando le sue dita. 

Sperai non la sentisse.

“Era necessario arrivare a questo punto?” 

Scrollai le spalle. 

Sinceramente, non sapevo che pensare, ne che dire. 

“Posso chiederti una cosa?” 

Feci un cenno di capo, leggero. 

“Louis… ultimamente come mai tu e lui siete così…” 

“Uniti?” 

Annuì. 

“Non mi giudica.” 

Allontanò il suo viso dal mio, così da studiarmi con maggiore attenzione. 

Rilassò il viso, un po’. 

“E’ questo che vorresti, non é vero? Che io non ti giudicassi?” 

Non mi mossi. 

Non dissi nulla. 

Sapeva già la risposta. L’aveva sempre saputa. Ma l’aveva ignorata. 

“Io non lo faccio, Ploon. Ero solo preoccupato.” 

Ero

Adesso, non gli importava più. 

“Non devi esserlo.” 

Irrigidendomi, allontanai il suo corpo dal mio. 

“So badare a me stessa.” 

“Vorrei prendermi cura io di te.” 

Mi mancò il fiato, al suono di quella dolce frase. 

Lo trattenni, come. 

Dovevo resistere. 

Adesso, soprattutto, che lui non poteva. 

“… stai con Arya, no?”

Aggrottò le sopracciglia. 

“Me l’ha detto Zayn. L’hai baciata.” 

“Non stiamo proprio insieme.”

Abbassò lo sguardo, taciturno. 

“Ero arrabbiato quando l’ho fatto.”

“Con me.” sussurrai. 

Non rispose, non ce ne fu bisogno. Lo sapevo già. 

“Ploon, io…” 

“Lo so.” 

Sapevo esattamente cosa volesse dire. 

‘Ti amo’. 

Era ciò che avrei voluto fare anche io. 

Ma la mia mente lo impediva categoricamente, in ogni singolo istante. 

“Harry…”

“Si?”

Esitai nel porgli quella domanda. Solo affrontare l’argomento, mi rendeva cupa. 

“Riuscirai ad amare Arya, prima o poi?” 

Sapevo pensasse ancora a me. 

Ma l’idea di averlo vincolato per sempre alla mia persona, irreparabilmente e inconsciamente, mi sembrava… terribile.

Volevo fosse felice, prima o poi. 

E con me non era possibile. Non dopo tutto quello che avevo passato. 

“E’ questo che vuoi?” 

Aggrottai le sopracciglia. 

“No” pensai. 

Ma non lo dissi. 

“E’ questo che farebbe un buon padre.” 

Il bambino meritava una famiglia felice e unita. 

… proprio come non lo era stata la mia. 

Il solo ricordo mi pizzicò lo stomaco. 

Strinsi la mia mano al petto, cercando di trattenere il dolore con la forza. 

Ma grugnii, senza volerlo, e finii per portare entrambi i palmi attorno alla vita, che si contorceva dolorosamente. 

Lo notò, e scattò verso di me, immediatamente. 

Preoccupato, come se dovessi svenire da un momento all’altro, mi afferrò i fianchi. 

“Sto… bene.” 

“Non dire stronzate.” 

Senza fare troppa fatica, mi sollevò e mi prese in braccio. 

Mi cullai tra le sue braccia, guardandolo attentamente. 

Il suo profumo era ancora lo stesso di anni prima, Chanel. 

Appoggiai il capo al suo torace, ascoltando il battito del suo cuore pulsare normalmente. 

“Ploon.” 

Annusò l’aria, come se vi trovasse qualche strano intruso, facendo una smorfia disgustata. 

“Puzzi di vomito.” 

Fissò i miei occhi severo, fermandosi sulle scale. 

“Non ho… digerito bene la cena.” sussurrai, non troppo convincente. 

Avrebbe capito. Prima o poi avrebbe capito sicuramente. 

Se non oggi, domani. 

Mi teneva d’occhio, l’aveva detto. 

Iniziai a tremare, sentendo un po’ di freddo. Vedendo i suoi occhi accusatori e severi su di me. 

“Non mi mentire un’altra volta, Ploon. Devi dirmelo se c’é qualcosa che non va.” 

La sua prima frase mi irritò.

Doveva finirla con quella storia.  

“Mettimi giù.” 

Corrugò la fronte, e non lo fece. 

Alzai il tono di voce, e lo ripetei con più convinzione.

“Harry, fallo o…” 

“O?” 

Non risposi alla domanda. 

Abbassai lo sguardo, ancora infuriato. 

“Lasciami in pace.” 

Sbuffò, stufo. 

Riprese a camminare verso la mia stanza. 

Io, ascoltando attentamente i passi dei suoi piedi sul pavimento, restai immobile, trattenuta dai muscoli della sue braccia. 

“Sei sempre più lunatica.” 

Gli lanciai un’occhiataccia. 

La ricevette e stette zitto, senza aggiungere nulla.

Mi posò sul letto, coprì il mio piccolo corpo con le coperte azzurre, e si sedette accanto. 

“Ora dormi.” 

“Con te qui? Neanche morta.” 

“Io non me ne vado, rassegnati.”

Lo guardai ancora per qualche secondo. 

Perché doveva essere così dannatamente testardo?

Io lo ero almeno quanto lui però. 

Non avevo intenzione di accontentarlo. 

Finché non se ne fosse andato, io non avrei dormito. 

 

Narra: Harry. 

 

Giuro che il mio istinto fu quello di soffocarla con il cuscino, pur di farla addormentare.

Ma non lo feci, perché un brutto presentimento, da quando avevo sentito quella puzza di vomito, mi aveva raggiunto. 

E se davvero tutte le sere, da quando era arrivata ad Holmes Chapel, le aveva passate a vomitare in giro per la città? 

E se io non me ne fossi accorto? Non me lo sarei mai perdonato. 

All’inizio, quando l’avevo vista rientrare in casa, avevo scherzato per darle fastidio, ma adesso ero serio. 

L’avrei controllata da più vicino. 

Al diavolo il mio segreto rivelato. 

Lei superava tutto. Ogni mio problema. 

“Se non ti arrendi, mi corico qui vicino a te e ci resto tutta la notte.” 

Forse pensò ne fossi capace, perché finalmente chiuse gli occhi. 

Sorrisi, nel vederglielo fare. 

Avevo vinto io, questa volta. 

“Buonanotte, Ploon.” 

 

 

La mattina seguente, la luce penetrante dalla finestra, non troppo accecante perché invernale, mi svegliò. 

Piccola Peste, ancora, dormiva. 

Sghignazzai. 

Sembrava tutto tranne che una principessa, adesso. 

Le mancava la bava la bocca, ed era perfetta per un set fotografico imbarazzante.

Poiché seduto per terra, con la schiena appoggiata al mobile bianco attaccato alla parete blu della stanza, mi alzai, sgranchendomi un po’ le gambe. 

Dormire per terra non era sicuramente una tra le cose che amavo fare.

Mossi il capo, lasciando che i miei ricci si scuotessero per bene.

Mi tolsi la maglia, sporca e sudata, ormai. 

La lanciai nell’angolo della stanza, con noncuranza.

A petto nudo, mi avvicinai alla bionda. 

Persino nel sonno teneva lo sguardo imbronciato. 

Le accarezzai una guancia, e subito si rigirò nel letto, brontolando. 

Feci attenzione a non toccarla, mentre le rimboccai le coperte. 

“Harry.” sussurrò. 

Sorrisi. Almeno l’abitudine di chiamarmi nel sonno non l’aveva persa. 

Era dolce il fatto che lo facesse ancora. 

 

“Disturbo?”

In un primo tempo, decisi di non girarmi in direzione di quella voce. 

Ma, alla fine, mi costrinsi a farlo. 

Scossi il capo. 

Vidi il corpo della rossa avanzare verso di me, rilassato, mentre guardava dormire Ploon. 

“Non sei venuto a dormire con me questa notte.” 

Nell’ultimo periodo, da quando avevo litigato con Louis, avevo sempre passato le notti insieme ad Arya, coricato vicino a lei. Forse, in realtà, con la speranza di ferire e far ingelosire Ploon. 

Me ne pentii solo in quel momento. 

Non era corretto, per nessuno. 

“Sono stato qui.” ammisi. 

Lei annuì, solamente. 

Forse la ferii. 

Ma non me ne importò, poiché sapevo di starle dicendo la verità, almeno.

Sapeva quanto me come stessero le cose. 

E poi non stavamo proprio… insieme. Almeno non ne avevamo ancora parlato. 

“E’ cambiato qualcosa?” 

“No.” 

Mi domandai come si dovesse sentire. Una seconda scelta, forse. 

Il pensiero mi innervosì. Non potevo trattarla così. 

Ma non potevo nemmeno fingere. 

Era un bel casino. 

“Non sono arrabbiata.” 

“Lo sei mai?” le sorrisi. 

“Esplodo difficilmente.” 

Al contrario mio. E quello di Piccola Peste. 

Forse per questo tra di noi c’erano sempre così tanti problemi: perché eravamo due teste calde. 

“Scusa Arya.” 

Mi mise una mano sulla spalla, accarezzandomela lentamente, come al solito. 

“Si é sentita poco bene, stanotte. Per questo non sono venuto.” 

Sentii il bisogno irrefrenabile di dirglielo, questa volta, come per giustificarmi. 

In fondo, a lei ci tenevo. 

Ma mi sarei sempre preoccupato di più per Ploon. Volevo esserci in caso di bisogno. 

“Cosa ha avuto?” 

“E’ quasi svenuta.” esagerai. 

“Sicuro sia tutto ok, adesso?” 

Feci un cenno di capo, tornando a sorvegliare Piccola Peste. 

“Ti preparo la colazione, allora. Devi essere stanco.” 

“Grazie.” 

 

“Ancora qui?” 

I suoi occhi color oceano, finalmente, si spalancarono. 

“Sempre.” le sorrisi, in modo beffardo. 

Alzò gli occhi al cielo e, solo successivamente, mi colpì leggermente la spalla con un pugno, forse volendomi far capire di non essere ancora incazzata con me. 

Risi. 

Adesso sembrava di buon umore, al contrario del solito. 

“Da quanto mi guardi dormire?” 

“Da quanto mi basta per ricattarti con foto imbarazzanti, se volessi.” 

Strizzò gli occhi, e se li strofinò aiutandosi con le mani. 

“Lo hai già fatto poco tempo fa e non ti é andata bene.” 

“Esistono le seconde occasioni, sai?” 

Le feci un occhiolino, e lei si alzò poco dopo.

Mi guardò il petto nudo e, anche se impercettibilmente, capii si sentì leggermente in imbarazzo. 

“Esci, devo cambiarmi.” 

“Già, puzzi ancora di vomito.” 

Mi fulminò con lo sguardo, immediatamente. 

Capii di aver detto qualcosa di inopportuno. 

Forse la faccenda era davvero più grossa di quello che voleva far apparire. 

“Non devi dirlo a nessuno.” 

Corrugai la fronte. 

“Prometti, Harry.” 

“Perché?” 

“Non sono affari tuoi.” 

“Se si tratta di te, lo sono.”

Abbassò lo sguardo, con severità, toccandosi la maglietta lercia. 

Provò con un fazzoletto recuperato dal suo comodino, presa da una specie di mania incontrollabile, a scrostare la sporcizia ormai solidificatasi.  

Senza successo. 

“Posso aiutarti se…” 

“Non rovinare tutto. Non adesso.” 

Tutto cosa?

Forse intendeva quella specie di rapporto insolito che avevamo stabilito la notte precedente? 

Che poi, esattamente, cos’era successo?

L’avevo aggredita, in un primo tempo. E lei mi aveva odiato. 

E poi, tutto ad un tratto, era cambiato lo scenario. 

I nostri corpi si erano ritrovati a pochi centimetri di distanza e i nostri cuori avevano parlato al posto delle nostre menti. 

Poteva davvero tutto questo essere una specie di nuovo inizio?

Niente più litigate e occhiatacce?

Lei leggermente si era lasciata andare. Davvero voleva continuare per questa strada?

E cosa, io, esattamente, dovevo tenere segreto, per lei?

Ragazzuole! *0*
In questo momento dovrei studiare per la verifica d'inglese... e invece eccomi qui a scrivere :')
Ahah sono senza speranze. Ma avevo l'ispirazione e non potevo non aproffittarne <3 
Capitolo totalmente dedicato alla coppietta non troppo felice *0* 
Questi due ci fanno proprio penare. 
Ma darvi un bacetto vi fa proprio schifo? AHAH. 
Vabbe, passiamo oltre. 
Sto già scrivendo il seguito :) 
Recensite, ragazze. Ditemi se vi é piaciuto! 
Era da tempo che non dedicavo intero spazio ad Harry e Ploon insieme. 
Buona lettura e un bacio grande a tutte, 
-Zola. 

 

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Capitolo 13
*** «You liked it ***


Cap. 13

 

Narra: Ploon. 

 

Natale. 

Finalmente era arrivato. 

L'avevo aspettato, davvero impazientemente. 

Il profumo d' abete inondava l'intero soggiorno, esattamente come quello della legna bruciata nel caminetto. 

Un rilassante scoppiettio proveniva proprio da lì. 

Seduta sul divano, mi divertivo ad ammirare quello spettacolo, leggendo, quando non mi distraevo, il mio libro. 

Le calze per l’epifania, proprio appese di fronte a me, mi fecero sorridere, ricordandomi le piccole sorelle di Louis. 

Chissà com’erano cresciute nell’ultimo anno!

Alla loro immagine nella mia mente si sovrappose quella del bambino di Harry, in un ipotetico futuro. 

Presto lo avrei visto scorrazzare per casa. 

Risi, immaginandomelo esattamente uguale al padre. 

Ma divenni dubbiosa quando pensai, che, alla fine, però, non avrebbe assomigliato, invece, anche a me. 

Ma ad Arya. 

Non era questo che avevo sognato per tutta la vita, in fondo. 

Sospirai e abbassai lo sguardo, guardandomi le mani. 

Custodivo ancora attorno al polso il bracciale che Harry mi aveva regalato.

Quello di sua madre. 

Forse dovevo restituirglielo. 

Lo toccai, girandolo e giocandoci. 

Mi ci ero affezionata, ormai. 

Era l’unico ricordo vivido e presente del nostro amore. Di quello che ne era rimasto. 

Avevo fatto bene ad allontanarlo definitivamente da me, con così tanta sicurezza e durezza?

Avevo riiniziato a pensare ai suoi occhi, al suo sorriso, ai suoi gesti, al suo profumo. 

Scossi il capo. 

Dovevo smetterla. 

“Non si può tornare indietro. Faresti la figura della cogliona, Ploon.” mi sgridai. 

Dovevo dimostrare a Niall che si sbagliava, che non sarei ritornata sulle mie decisioni, cambiandole. 

Sarei apparsa indecisa, se l’avessi fatto. 

E non volevo. Non potevo. 

“Assorta nei tuoi pensieri?” 

Sobbalzai, girando di scatto la testa verso la fonte del suono. 

Sorrisi, quando vidi Zayn. 

“Più o meno.” 

Da tempo, ormai, non parlavamo più come prima. 

Mi mancava, davvero tanto. 

Ma lui non voleva ancora capire che proprio non poteva pretendere di parlare nuovamente con l’ingenua e tenera Ploon. 

Così lo avevo evitato, in realtà, per fuggire al problema. 

“Mi fai un po’ di spazio?” 

Avvicinai le gambe al petto, stringendomele intorno alle braccia per scaldarmi. 

Lo guardai, mentre lentamente sorseggiava la propria cioccolata. 

“Secondo te cosa mi ha regalato Liam?”

Scoppiai a ridere. 

Il loro rapporto era strano, anche se speciale, e chissà cosa potevano essersi davvero fatti a vicenda. 

Di sicuro, adesso, ero curiosa di scoprirlo. 

“Non hai voglia di spacchettare tutto?” 

“Solo un po’.” confessai, sorridendogli. 

Alzò gli occhi al cielo, bofonchiando: “Come no.” 

“Ehi!” 

“So benissimo che non vedi l’ora di aprire il mio.” mi fece un occhiolino.

“Non dovevi disturbarti, lo sai.”

“Non fare la nonna, Ploon. Era logico te lo facessi.” 

Aggrottai le sopracciglia, sorpresa positivamente da quella frase. 

“Perché lo sarebbe?” 

“Perché a te ci tengo troppo.” 

Come se un ago affilatissimo mi attraversasse il cuore, quella frase mi colpì. 

Non lo avevo più considerato. Lo avevo sostituito con Louis. E lui continuava, invece, a considerarmi la sua più grande amica. 

Come ci riusciva? A non detestarmi?

“Davvero?” 

“Avevi qualche dubbio?” rise, allontanando il suo sguardo dal mio. 

“No. E’ che…” 

“Che per te non é lo stesso.” finì la frase prima di me, come per volerla sentire dire in fretta così da non doverla ascoltare più. 

“Non é proprio questo, Zayn. Lo sai.” 

Sorrise, svelandomi un po’ di tristezza nello sguardo. 

“Ti voglio ancora bene, esattamente come te ne volevo allora, un anno fa.” 

“Lo so. E non dovrei pressarti in questo modo.” sospirò. 

Aveva capito. 

La mia anima s’alleggerì, pensando che, forse, poteva davvero accettarmi per quella che ero diventata. 

Avvicinai la mia mano alla sua, istintivamente e velocemente. 

Mi fissò stupito, senza dire nulla. 

“Voglio quanto te che questa amicizia non finisca mai.”

“Allora lasci che ti aiut…” 

Non finì. 

E io me ne compiacqui. 

Capì da solo di star per commettere un errore. 

Era abbastanza intelligente da sapere che, ormai, un aiuto era l’unica cosa che non volevo. 

Mi faceva sentire debole. E lo ero stata già abbastanza ai miei occhi, per colpa di tutti gli abbandoni che avevo dovuto affrontare in soli diciannove anni. 

Io stavo bene anche così, in fondo. 

Riuscivo a guardarmi allo specchio, senza impallidire. 

L’unico motivo, in realtà, per cui tutti mi consideravano pazza, era quello che mi spingeva a non voler intraprendere un legame speciale con nessuno, per non rischiare di soffrire. 

Volevano tutti farmi comprendere che non é possibile rinunciare a una cosa del genere, nella vita, perché, altrimenti, é come buttarla via. 

Ma io, per ora, almeno, non ne volevo ancora sapere. 

Mi era già stato fatto abbastanza. 

Non potevo rischiare di cadere più in basso di quanto già avessi fatto. 

Bastava poco per farmi precipitare nel baratro e non riuscire più a rialzarmi. 

Dovevo ancora… risolvere alcuni problemi. 

Di cui, per adesso, più o meno in modo superficiale, era a conoscenza solo Harry. 

Proprio lui, tra l’altro. 

L’unica persona che, in fondo, sapevo potesse farmi cambiare ogni idea sul prototipo di vita che avevo ‘sognato’ per i miei anni a venire. 

 

“Tutto bene?” 

Girai il volto verso i suoi occhi, sempre più verdi e penetranti, studiandoli perplessa. 

Possibile fosse sempre così… bello?

“Perché non dovrebbe esserlo?”

Indicò le mie mani, con lo sguardo. 

“Le tue unghie sono praticamente ridotte all’osso e non fai altro che muovere la gamba nervosamente da mezz’ora.”

La fermai, abbassando lo sguardo su di essa. 

“Certo che é tutto ok.”

Emise un ghigno, non preoccupandosi di nascondermelo. 

“Che c’é da ridere?”

“Non potevi che darmi questa risposta, giusto?” 

Arricciai il naso, sentendo odore di litigata in arrivo.

O almeno, da parte mia.  

Odiavo le domandine retoriche piazzate nel bel mezzo di una conversazione solo per infastidire l’altro. 

“In che senso?” 

Sbuffò, buttando la propria testa sullo schienale del divano, stravaccandosi anche su quello.

“Ohu. Rispondimi.” 

Sorrise, di nascosto. Vidi l’angolo della sua bocca alzarsi all’insù e una piccola fossetta pronunciarsi sulle sue guance. 

“Ti diverti a farmi incazzare?” 

“Molto.” 

Il mio istinto sarebbe stato quello di spaccargli la faccia, prenderlo a schiaffi e magari ucciderlo. 

Ma risi, senza alcun motivo. 

Aprì gli occhi, prima chiusi, per guardarmi farlo.

Forse pensò fosse l’ultima volta che avrebbe potuto vedermi così. Felice accanto a lui. 

“Allora?” 

“‘Allora’ cosa?” 

“Stiamo aspettando te per aprire i regali, da circa mezz’ora.” 

Sbarrai gli occhi. 

“Come? No, non é possibile. Stavano tutti dormendo fino a poco fa e…” 

Alzò gli occhi al cielo, sorridendo. 

“Un’ora fa, Ploon. Ora sono pronti.” 

Aggrottai le sopracciglia, domandandomi come potessi non essermene accorta. 

“Hai la testa tra le nuvole.” 

Già. 

E guarda caso… la colpa era solo di una persona! 

“La tua.” pensai. 

“Per qualche motivo in particolare?” mi chiese, con attenzione e serietà. 

Scossi il capo, facendo attenzione a non indirizzarlo verso il suo, per non rischiare di fargli capire la verità. 

“Ok.” 

“Allora andiamo.” disse dopo.

 

Il mio regalo era stato fatto solo per, beh… Louis. 

O almeno, se per regalo si intende qualcosa di davvero carino. 

A Liam e a Zayn avevo fatto una stronzatina. 

Mentre a Niall mi ero categoricamente rifiutata di fare qualcosa, ormai da un mese ci potevamo reggere a stento, ad Arya avevo, invece, regalato qualcosa per il bambino: semplice e tenero. 

E con Harry… mi ero presentata a mani vuote. 

Ci avevo pensato a lungo e anche cercato qualcosa in qualche negozio, ma alla fine non ero riuscita a trovare nulla che potesse convincermi… o farmi sentire meno ipocrita nel farglielo. 

Neanche lui, comunque, mi porse niente. Con mio sollievo, in fondo. 

“E quello per chi é?”

Un ultimo pacchetto, rosa e piccolino, era ancora rimasto sotto l’albero, pronto per essere aperto. 

“Per Arya.”

La voce di Harry, sicura e tranquilla, rispose alla mia domanda.

Sentii un piccolo formicolio allo stomaco, quando ricevetti la risposta. 

Non si era fatto alcun problema nel dirmelo. 

Guardai la rossa, sorridente al massimo, rivolgersi con lo sguardo a quello del ricciolo. 

“Davvero?”

“Uhmm, uhmm.”

Alzatasi dalla propria sedia, con estrema delicatezza e femminilità, raccolse da terra il proprio regalo. 

Lentamente, una volta risedutasi, lo aprì. 

Una magnifica collana d’argento, risplendente, le illuminò gli occhi grigi. 

Rimasi stupita ed esterrefatta, per un momento, anche io. 

Non seppe che dire, per alcuni secondi. 

Lo notai poiché aprì la bocca, ma senza far uscire alcun suono. 

Così, per precederla, fu Harry ad avvicinarsi a lei, chinandosi per guardarle il viso dal basso.

Sorrise, in quel modo che solo lui sa fare.

Non penso fu gelosia, ma qualcosa mi punzecchiò, vedendo quella scena smielata. 

“Sei tu che li hai spinti a stare insieme.” 

Ecco cosa mi diceva lo sguardo di Louis dall’altra parte della stanza. 

Lo fulminai con gli occhi, ma scoppiò comunque a ridere. 

Lo detestavo. Seriamente. 

Mi raggiunse lo stesso, poco dopo. 

“Questo é per te, ragazzina.”

Mi lanciò un pacchetto, rischiando di farlo cadere sul pavimento. 

Fortunatamente, lo presi al volo. 

Mi fece un occhiolino e mi fissò con curiosità. 

Forse, e anche giustamente, non vedeva l’ora lo aprissi. 

“Ho paura.” sghignazzai. 

“Spiritosa.” 

E invece, con gran stupore, mi accorsi di aver appena ricevuto uno dei regali più dolci e stupendi che avessi mai potuto desiderare. 

Una nostra foto, incorniciata in un bellissimo porta-foto di vetro con decorazioni floreali, insieme e abbracciati, sull’isoletta, un anno prima. 

Forse l’unica. 

Sorrisi, mostrando senza preoccuparmi di risultare troppo entusiasta tutti i denti, come non ero più solita fare.

“Quindi? Ti fa schifo come credevi avrebbe fatto?” 

“Non ho mai detto questo.” scossi il capo, guardandolo ancora come il ragazzo più tenero su questo mondo. 

“Allora non mi abbracci?”

Senza farmi pregare troppo, mi avvicinai a lui, di fretta. 

Avvolsi le mie braccia attorno alla sua schiena, stringendolo forte attorno a me. 

Come poteva non volerglisi un bene dell’anima?

Seppure dannatamente spavaldo, rimaneva un tesoro. 

“Ti voglio bene, lo sai?”

Così. 

Senza pensarci troppo, le parole uscirono da sole. 

Mi stupii di me stessa. E me ne compiacqui, come molto probabilmente fece lui. 

“L’hai detto sul serio?” rise, alzandomi da terra e facendo svolazzare i miei piedi in aria. 

Risi, di gusto.

“Forse. Ma non ti ci abituare, capito?” 

 

“Ti va di uscire?” 

Accigliai lo sguardo, fissandolo per alcuni secondi senza dire niente. 

Il suo viso era corrugato, come nervoso. 

Che strano…  

Ultimamente era sempre di buon umore. 

“Solo noi?” 

“Perché no?” scrollò le spalle. 

“Perché…” 

Alzò gli occhi al cielo e mi prese la mano. 

Senza troppe moine mi fece alzare dalla sedia. 

Poi me la lasciò, portandosi la sua nella tasca dei pantaloni. 

“E’ solo un giro.” 

Era il giorno di Natale, in fondo.

Potevo fare un eccezione e comportarmi come una persona senza freni mentali? 

Mi porse la giacca, con tranquillità e uscimmo di casa. 

Il freddo gelo mi si ruppe in faccia, facendomi rabbrividire. 

Rannicchiai il collo per avvicinarlo ancora di più alla sciarpa e sentire il suo piacevole calore.

Guardai il viso di Harry. 

Vidi la sua mascella serrata e il suo sguardo rivolto al vuoto. 

Come incantata, non potevo fare a meno di non togliere il mio sguardo dal suo profilo. 

Vederlo così silenzioso e pensieroso, mi aveva sempre affascinata, in un modo o nell’altro. 

Forse lo notò, poiché si girò verso di me. 

“Andiamo?” 

Feci un cenno di capo. 

Iniziammo a camminare, lentamente e a piccoli passi. 

Le strade, piccole e ricoperte totalmente di neve, erano completamente desolate. 

Qualche fiocco di neve scendeva sulle nostre teste, ogni tanto. 

Gli guardai la mano, forse gelida. 

Si era dimenticato i guanti.

Sarebbe diventata rossa, a breve. 

Istintivamente, senza pensare, avvicinai la mia alla sua. 

Chiusi gli occhi, per un istante. 

Divenni leggermente rossa, probabilmente. 

Abbassai lo sguardo, guardando il terreno e facendo attenzione a non vedere la sua espressione. 

“Le avevi fredde?” 

Sorrise, semplicemente. 

“Un po’.”

Rimasi in silenzio, non rispondendo nient'altro a quella affermazione. 

Chissà dove mi stava portando, adesso. 

Ero leggermente curiosa. 

Ok… molto. 

Dopo una decina di muniti, con i piedi sempre più gelidi e i visi sempre più bianchi, entrammo in un bar con poche persone dentro. 

Decise di sedersi ad un tavolo, vicino ad una finestra, e con una piccola candela al centro. 

Feci lo stesso, mi posizionai di fronte a lui, silenziosamente. 

“Dovevo darti una cosa.” 

Dalla sua giacca, nera e lunga, tirò fuori un piccolo pacchetto giallo, il mio colore preferito. 

Strabuzzai gli occhi, leggermente. 

Lui mi aveva fatto un… regalo?

Davvero?

Guardai dubbiosa il suo volto, sempre assorto nei propri pensieri. 

Forse si stava chiedendo se lo stessi per accettare o ridarglielo indietro. 

Alla fine, gli presi dalle mani quel piccolo oggetto. 

“Aprilo.” 

Feci come disse. 

Tolsi, con estrema cura, il fiocchetto bianco posatoci sopra. 

Prima di continuare, tentai di dirgli qualcosa. 

“Io non ho nulla, Harry.”

“Non importa.”

Mi sentii in colpa. Decisamente tanto. 

Come avevo potuto essere così stupida da pensare che lui non avrebbe pensato a me, almeno a Natale?

“Continua.” 

Indicò con lo sguardo il pacchetto. 

E io obbedii. 

In meno di dieci secondi, notai di avere tra le mani uno dei ricordi più belli che potessi ricordare. 

La collana di fiori che, anni prima, ancora quando eravamo piccoli, lui aveva costruito apposta per me. 

O almeno me la ricordava. 

Questa, a differenza di quella originale, era fatta d’oro. 

“I-io… Harry non…” 

Sorrise, notando il mio stupore. 

“Non ero sicuro ti potesse piacere.” ammise, immediatamente sollevato. 

“Stai scherzando?” mi feci scappare una risata, felice. 

“Ho ritrovato l’altro giorno, in cantina, sai, quella di tanti anni fa. E allora mi é venuto in mente di…” 

“Non posso accettare.” 

Il suo viso, che era diventato improvvisamente sereno, s’incupì nuovamente. 

“E’ troppo, Harry.”

“E’ il gesto che conta, no?” 

“Si, appunto per questo. Potevi farmi una schifezza qualsiasi. Io non ti ho regalato nemmeno quella.  Non c’era assolutamente bisogno di tutto questo. Non me lo merito.”

Abbassò lo sguardo, facendo comparire una fossetta sul suo volto, per poi rifarla scomparire subito. 

“A me non importa, Ploon. Non volevo presentarmi a mani vuote e non l’ho fatto. Ora accettalo.” 

Sospirai, indecisa.

Perché doveva dimostrarsi sempre più corretto e dolce di me?

Era impossibile odiarlo fino in fondo, in questo modo. 

“Va bene.” mi rassegnai, alla fine. 

Sorrise, facendomi un occhiolino, divertendosi. 

Ricambiai senza pensarci troppo.

E poi…

per quanto mi facesse strano persino pormela, quella domanda, gliela feci.

Avevo bisogno di sapere. 

“Harry.” 

“Si?”

Lasciai trascorrere del tempo. 

Poi, optai per una cosa rapida e indolore. 

“Cosa siamo per te adesso? Amici?” 

Vidi il suo sopracciglio avere uno scatto nervoso. 

Forse neanche lui, in fondo, sapeva rispondere. 

La settimana precedente si era messo con Arya. 

Forse era scorretto, da parte mia, chiedergli una cosa del genere. 

Alzò le spalle, senza pronunciare alcuna risposta. 

“Secondo te?” 

Mi colpì dritta al cuore. 

In fondo, solo quel piccolo organo sapeva davvero la verità su di me. 

Su di noi.

“Io andrei a prendere qualcosa da bere, adesso.” 

Indicò il bancone e s’alzò. 

“Va bene, allora.”

Feci lo stesso e lo raggiungemmo, grazie a pochi passi. 

Ordinò due cioccolate calde: entrambe per lui. 

Io niente. 

Lo studiai mentre bevve. 

Sorrisi, di nascosto. 

“Avevi sete?” 

“Ho freddo.” tremò. 

“Freddo?”

Dentro a quel bar si scottava, invece, altroché. 

Mi ero tolta persino la felpa. I caloriferi dovevano essere bollenti. 

“Ma se fa un caldo allucinante qua dentro!” corrugai la fronte. 

Non aggiunse altro, abbassò solo il capo. 

Si comportava in modo strano. 

“Aspetta un attimo…”

Avvicinai la mia mano alla sua fronte. 

La ritirai subito. 

“Tu scotti, Harry!” 

“Sto bene.” 

Strinse i propri glutei e cercò di mantenersi in piedi in modo fermo e rigido, troppo. 

I suoi muscoli, adesso, stavano cedendo, piano piano. 

“Dobbiamo tornare a casa.” 

“Voglio restare ancora un po’ qui… con te.” 

Avvicinò la sua mano alla mia. 

Lo guardai, allarmandomi. 

Non é che iniziava anche a delirare, adesso?

Il suo volto, impercettibilmente, forse per lui, s’avvicinò sempre di più al mio. 

“Harry… non fare il bambino. Hai la febbre, devi riposare.” mi allontanai, mettendo le mani nel suo petto e indietreggiando con la testa da lui. 

“Dove credi di andare?” sorrise, maliziosamente. 

Ok. 

Ora si che era completamente andato. 

“A casa, perciò muoviti.” 

“Eh dai.” 

Imbronciò il volto. 

“Su, veloce.”

“Dammi un bacio.” 

Spalancai gli occhi, incredula. 

Che cosa?

“Non ti chiedo troppo.” 

Stavolta, davvero velocemente, mi prese i fianchi. 

Gemetti, presa alla sprovvista. 

Il mio cuore accelerò, immediatamente. 

“Lasciami…” cercai di dire, bisbigliando. 

“Ti amo.” 

Il mio cuore si fermò. 

Strizzai gli occhi. 

Una lacrima, adesso, rischiava di scendermi sul viso. 

“Stai delirando.” 

Avvicinò le proprie labbra alle mie. 

Così, improvvisamente. 

E io non mi staccai. 

Rimasi lì, incollata a lui, incapace di muovermi. 

Il mio dannato corpo non riusciva proprio a negarsi un po’ di… piacere, con lui. 

Continuò.

Non si fermò neanche per un secondo. 

Mai, in tutta la mia vita, avevo ricevuto un bacio così appassionato e, allo stesso tempo, lento. 

Avvicinai le mie mani al suo collo, accarezzandoglielo e tenendoglielo stretto, cercando però di non fargli, allo stesso tempo, male. 

Le sue mani, dai miei fianchi, salirono. 

Il mio corpo vibrò. 

Il mio respiro si fece affannato. 

Cercai di dire qualcosa, ma lui mi trattenne. 

Per nessuno motivo al mondo, adesso, volevo allontanarmi da lui. 

Stringerlo intorno a me, sentire il suo profumo e la sua carne premuta sulla mia, come la sua bocca, era l’unica cosa che contava. 

Quando, però, un morso mi fece tornare stabile mentalmente. 

Lo spinsi indietro, toccandomi il labbro, adesso sanguinante. 

Bruciava, maledettamente tanto. 

“Ti é piaciuto.” sorrise compiaciuto.

Poi… crollò addosso a me, che, a stento, riuscii a tenerlo in piedi senza cadere anche io a peso morto. 

 
Gente, questo capitolo é stramaleddettamente lungo! D: 
AHAHAH spero non vi annoi <3 
Ma mi sono lasciata trasportare mentre ascoltavo Michele Bravi, lo amo profondamente :') 
Sooo... 
Uhm uhm, Harry che scotta e delira ;) 
Ne vogliamo di più di momenti del genere, magari?
E Ploon sembra sempre più "tenerona" :) 
Vediamo, cosa vi aspettate dal prossimo capitolo?
Fatemi sapere, sono curiosa! 
Buona serata ragazze mie, 
-Zola. 

 

 

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Capitolo 14
*** «You're an idiot ***


Cap. 13 

 

Narra: Ploon. 

 

“Come sta?” 

“Un po’ meglio, penso. Si é appena svegliato.” 

Alta. 

Magra. 

Capelli neri e mossi, più del solito. 

Occhi uguali al fratello, solo un po’ più chiari. 

Gemma. 

Era tornata: dopo un lungo e primo semestre all’università. 

Sarebbe rimasta ad Holmes Chapel per qualche settimana, giusto le vacanze di Natale. 

Le sorrisi, abbassando lo sguardo.

L’ultima cosa che volevo fare era discutere, adesso. 

Non le parlavo da quando Harry aveva lasciato l’ospedale per tornare a casa. 

Sinceramente, ero persino leggermente imbarazzata dal nostro silenzio. 

Non l’avevo chiamata, ne ero andata a trovarla. 

Ci avevo provato una volta, é vero, ma poi era successo il contrattempo con la macchina di Harry. 

E poi non avevo avuto il coraggio di rifarlo. 

Forse perché, senza neanche un pelo sulla lingua, era l’unica che, chiaro e tondo, diceva apertamente ciò che pensava. E non sarebbe stato nulla di positivo, sicuramente. 

Stette di fronte a me per qualche minuto, fissandomi silenziosamente. 

“Vuoi entrare?” 

Ebbi la forza di guardarla, in quel momento. Me lo imposi. 

Ormai sembrava costantemente arrabbiata con me, nemmeno un accenno di sorriso, per me, le compariva sul volto, da quando l’avevo rivista. 

Feci un cenno di capo, come risposta alla sua domanda. 

“E’ da solo, gli farà piacere un po’ di compagnia.”

“La tua soprattutto.” aggiunse alla fine, senza timore di farsi sentire. 

Mi studiò, per vedere che effetto avesse avuto quella frase su di me. 

“E’ fidanzato con Arya, lo sai. Vero?” 

“Questo non vuol dire che non preferisca la tua presenza alla sua.” 

Non aggiunsi altro. 

Sapevo avesse completamente ragione. 

“Mi dispiace, Gemma.” bisbigliai, come per trattenere quelle parole nella mia mente. 

“Per cosa? Per esserti comportata come una stronza?” 

Sospirò. 

Io aggrottai le sopracciglia: quel nomignolo mi infastidì. 

“Facevo solo ciò che sentivo.” 

“E cosa senti adesso, invece?” 

A questa domanda, in realtà, non sapevo ancora rispondere. 

Grazie all’aiuto di Louis, in minima parte, ero riuscita a migliorare qualcosa in me. 

Ma restava un mare di distanza, ancora, tra la vecchia Ploon e la nuova. 

Ne sapevo, sul serio, cosa provassi. O se provassi qualcosa. 

Scrollai le spalle. 

“E’ importante?” 

“Dipende. Non voglio che Harry soffra ancora.” 

Un groppo in gola mi paralizzò. 

Lui, in passato, mi aveva distrutta. 

E adesso, sua sorella, mi stava dicendo che avevo fatto la stessa con lui. 

“Non succederà, te lo prometto.” 

Scosse il capo, in segno di disapprovazione evidente: “Non farlo. Non promettere cose che sai benissimo non potresti mantenere. Non sai nemmeno tu quello che vuoi, Ploon. Come puoi, essendo conciata in questo modo, gestire sia la tua vita che quella di un’ altra persona? E’ già tanto se riesci a mantenere intatta la tua.” 

Come osava, senza alcun pudore, dirmi tutto ciò?

Senza, in fondo, neanche un minimo di delicatezza.  

Era la verità, tutta, ma faceva decisamente troppo male. 

Strinsi i pugni, cercando di trattenere la frustrazione. 

Era arrabbiata, le era concesso. 

Ma non doveva permettersi di giudicarmi. 

Non le risposi e forse notò, dalla mia fronte corrugata, il mio nervosismo. 

Forse le fece persino piacere vederlo. 

Non sapeva niente di me, da un po’. 

Non poteva sputare sentenze che, per quanto vere, provocassero così tanto senso di colpa. 

Sorpassai il suo corpo e, senza ripensamenti, aprii la porta della stanza di suo fratello, chiudendola velocemente dietro di me, come per voler far scomparire dalla mia vista Gemma. 

Chiusi gli occhi, come per volere dimenticare il suo volto e allontanarlo dalla mia mente. 

Feci un respiro profondo, per riprendere il fiato perso durante la contrazione della pancia a causa della tensione. 

Portai le mani sulla fronte, lavandovici alcune ciocche di capelli biondi e portandoli indietro insieme a tutti gli altri. 

Perché i miei rapporti con le persone iniziavano ad essere solo e unicamente conflittuali?

 

Spostai il mio volto verso il letto all’angolo della stanza, vicino alla finestra. 

Il corpo di Harry, coperto solamente al di sotto della vita, si stendeva proprio lì, completamente, occupandolo tutto. 

I suoi occhi mi fissavano. Ormai da qualche minuto. 

Quando me ne accorsi, mi raddrizzai. 

Schiarii la voce e lo guardai cercando di sembrare il più a mio agio possibile. 

“Tutto bene?”

“Dovrei chiedertelo io.” dissi indicandogli il termometro sul comodino.

Sorrise, genuinamente. 

Feci lo stesso, con discrezione. 

Rimasi, poi, in silenzio, non sapendo, in realtà, cosa dire. 

L’ultima volta che l’avevo visto noi… 

“Harry, prima…”

“Ti ho baciata.” 

Abbassai lo sguardo, fissandomi le mani per non notare il suo viso. 

Mi sentivo terribilmente in colpa. 

Come avrei guardato Arya, d’ora in poi?

“E tu non mi hai fermato.” 

Era vero. 

Ma maledettamente orribile. 

Gli dicevo una cosa e poi gliene dimostravo un’ altra?

Lo illudevo?

Forse, più che lui, prendevo in giro me stessa. 

Era stato un semplice momento di debolezza. 

Ma… indimenticabilmente bello. 

“Non…” 

Cosa avevo da dire a mia discolpa?

Nulla. 

“Riinizi a balbettare in mia presenza.” sorrise, dolcemente. 

“Non ti vedevo farlo da tempo.” 

Le mie asserzioni, ormai da qualche settimana, non erano più chiare e concise, come, invece, quelle di mesi prima. 

Era un po’ come se, non sapendo il perché, mi fossi, piano piano, sciolta. 

Come se la sua presenza, adesso, mi mettesse in soggezione. 

“Vieni qui.” 

Corrugai la fronte, perplessa. 

Perché voleva lo raggiungessi?

“No, sto bene dove sono.” 

“Ploon.”

Lo studiai con sospetto. 

Ma, alla fine, feci come aveva chiesto. 

Mi sedetti accanto a lui, facendo attenzione a non sfiorarlo nemmeno. 

“Sembra che tu ti stia concentrando per fare la cacca.” 

“Come, scusa?” risi, naturalmente. 

Quella frase mi colse di sorpresa e mi rese, allo stesso tempo, meno nervosa. 

“Rilassati. Non succederà niente tra di noi, ok?” 

“Come l’ultima volta?” sghignazzai. 

Mi stupii, proprio come lui. 

Mai avrei pensato di poter pronunciare quella frase con così tanta disinvoltura. 

Rise, facendomi sorridere. 

Era così bello vederlo felice. 

Come se uno spicchio di sole mi entrasse nel cuore e lo illuminasse completamente. 

“Gemma ti ha dato fastidio?” 

“Dobbiamo proprio parlarne?” 

Alzò le sopracciglia, capendo la risposta nella sua mente. 

Non aggiunse altro sull’argomento. 

E io neppure. 

“Prima mi hai fatto una domanda.” interruppe il silenzio creatosi, rimanendo serio. 

Accigliai lo sguardo, cercando di ricordarla. 

“Mi hai chiesto che cosa fossimo noi due, adesso.”

Il mio cuore, in un lampo, incominciò a battere più forte. 

Forse temevo quella risposta.

“Per te sono un amico?” 

Pronunciò quella parola con riluttanza e disprezzo, buttandola fuori dalla propria bocca con enorme sforzo. 

“Non saprei… I-io…” 

“Per me tu non potrai mai esserlo, Ploon.”

Come immaginavo. 

E, forse, come speravo. 

“Come faccio, dopo aver provato un amore così grande per te, a dimenticarmene, eh?”

Beh. 

Io non avevo di certo la soluzione. 

Avevo lo stesso problema, in fondo. 

Abbassò lo sguardo, guardandosi il petto con aria amareggiata. 

“Non devi per forza reprimerlo.”

Istintivamente, avvolsi la mia mano alla sua. 

Scottava. Aveva ancora la febbre. 

“Basta che tu lo custodisca come ricordo.” 

“Perché accontentarsi se si può avere di più?” 

Sospirai. 

Perché doveva rendermi tutto ancora più difficile?

“Noi siamo diversi dai tuoi genitori, Ploon.” bisbigliò, alzandomi il volto verso il suo. 

“Io mi fido del nostro amore. Non finirebbe, mai. E lotterei per te per tutta la vita.” 

Era questo il problema. 

E lui lo sapeva perfettamente. 

“Non ti lascerei.” 

“Lo hai già fatto.” sorrisi, cercando di non rendere più dura di quanto già non fosse quella verità. 

Fissò i miei occhi, con una tale profondità da perforarmi il petto. 

“Pensavo mi avessi perdonato.”

“L’ho fatto.” abbassai lo sguardo per non reggere il suo, così infelice. 

“Ma a volte le ferite si riaprono.” 

“E si combattono. Sei forte, la persona più combattiva e coraggiosa che conosca, Ploon. Possiamo farcela, insieme. Tu puoi superarla.” 

Mi alzai. 

Sentii il bisogno irrefrenabile di muovermi. 

Gli occhi, adesso, iniziavano a pizzicare. 

Mi girai dalla parte opposta del suo corpo, e mi strinsi lo stomaco con la mano. 

“Harry, stai con Arya. Aspetti un bambino da lei.” 

“E’ questo il problema?”

Non risposi. 

Non avevo intenzione di intensificare la piaga che si stava già creando, i nostri problemi. 

“Mi hai spinto tu con lei.” 

“E’ la cosa giusta da fare.” 

“Per chi?”

“Per il bambino… e per tutti.” 

Non aggiunse altro. 

E nemmeno io. 

Sospirò, semplicemente. 

Non uscii dalla stanza.

Non so perché.

Forse per non dover incontrare Gemma. O Arya. O Niall. 

Non avevo voglia di parlare con nessuno, adesso.

Se non con lui. 

Andai verso la finestra, affacciandomici. 

L’aria fresca mi rilassò il viso, fu piacevole.

A volte le stanze chiuse mi soffocavano. Soprattutto in momenti come questi.  

 

Sentii, all’improvviso, un altro sospiro accanto al mio. 

Mi voltai immediatamente. 

Le mani di Harry, ferme e sicure, erano appoggiate al calorifero vicino ai miei fianchi, così da serrarmi vicino a lui e non farmi scappare.

Alzai il capo per guardare i suoi occhi, poggiati sui miei. 

“Dimmi la verità.” 

Dilatai gli occhi. 

Cosa intendeva, esattamente?

“Non provi niente se faccio così?”

Spostò il suo corpo ancora più vicino al mio, premendocisi contro. 

Accarezzò la mia guancia destra, sorridendo lievemente. 

“O così?” 

Strinse la mia vita attorno alla sua forte stretta, con determinazione. 

E, dopo avermi spostato i capelli dalla fronte, mi baciò delicatamente. 

“Harry, basta.” mi staccai, questa volta velocemente. 

“Non mi arrenderò.” 

“Non l’avevi già fatto? Pensavo che mettersi con Arya ne fosse una dimostrazione.”

Corrugò la fronte. 

E mi guardò severo, per molto tempo. 

“Ero incazzato, lo sai.” 

“Mi odiavi.” 

“Ne avevo motivo.” 

Istintivamente, al suono di quella stupida frase, misi una mano sul suo petto per allontanarlo dal mio, con tutta la forza del mio corpo. 

Si spostò, senza farmi resistenza. 

“Ancora con questa storia, Harry? Davvero?”

“Ti ho perdonata, Ploon. Non c’é bisogno d’incazzarsi.” 

Emisi un ghigno, istericamente. 

Com’era possibile che fosse così cieco?

“Non sono stata io! Quante volte te lo devo ripetere?” 

“Eri l’unica a sapere.” 

Buttai fuori dal mio corpo tutta l’aria. 

E il mio viso molto probabilmente andò in escandescenza. 

Sentii le guance avvampare. 

“E io che pensavo stessimo facendo un passo avanti.” sghignazzai, amaramente. 

Lo vidi accigliare lo sguardo. E per me fu troppo.

Mi staccai dal calorifero e feci per uscire da quella dannata stanza. 

Mi prese il polso, mentre ero sul punto di aprire la porta. 

“Lasciami.” 

“No.” 

“Lasciami, ho detto!” 

Lo fece. 

E io, senza pensarci due volte, uscii da lì. 

“Idiota.” pensai. 

 

I miei passi, come ormai mi ero accorta da parecchi minuti, non erano gli unici a rimbombare per la strada. 

E sebbene andassi a passo spedito, qualcuno continuava a rincorrermi con determinazione. 

Stufa, alla fine, sbuffai. 

“Che cazzo vuoi ancora, eh?”

Mi girai per studiare una volta per tutte il suo viso contrariato. 

Harry, sempre lui.

Stava male, aveva la febbre, e anche piuttosto alta. 

Ma evidentemente non gli importava a sufficienza. 

Era un incosciente. Un bambino. 

“Forse non hai capito, Ploon.”

“Che cosa?!” urlai alterata, nervosa. 

“Che per quanto tu mi possa trattare male, io ti inseguirò ovunque scapperai.”

“Perché?” corrugai la fronte, incredula. 

“Se pensi davvero che io possa farti davvero qualcosa di così orribile come rovinarti la vita davanti al mondo intero, perché mi vuoi ancora?”

Non rispose. 

Ma non abbassò nemmeno il volto verso terra. 

“E’ così difficile capire che ormai tu fai parte, totalmente, di me?”

Salve a tutti cari e care! :)
Eccomi tornata, finalmente, dopo settimane di pausa.. Scusatemi davvero tanto, ma il mio computer ha avuto dei seri problemi! Si é fermato all'improvviso e ho dovuto farlo "riparare." Metto tra virgolette perché comunque é ancora mezzo matto e va lentissimo.. 
ODIO PROFONDO PER I VIRUS. 
Ma cercherò ugualmente di postare qui su EFP almeno un capitolo alla settimana!:3 

Alors, 
litigate su litigate su litigate per Ploon e Harry, eh. 
Però meglio di niente, no? Almeno adesso si parlano! 
... e si sbaciucchiano, ogni tanto ;) 
AHHAHA spero che il capitolo vi piaccia e visto che non ci sentiamo da un po' di sentirvi anche per recensione! :D 
Un abbraccio forte, 
-Zola. 

 

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Capitolo 15
*** «You're the best ***


Cap. 15 

 

“Potresti cercare di capirmi, ogni tanto.”

“Capire cosa, eh?” 

“Che ti amo.”

Aggrottai le sopracciglia, ascoltando quelle parole. 

Non cercai nemmeno di protestare. 

Poi continuò. 

“E che dici un’ enormità di cazzate! Non fa bene a nessuno questa storia, ne tantomeno noi staremo meglio separati.”

“… sai che é così, Ploon” continuò, abbassando il tono di voce e ammorbidendolo. 

“Mi manchi” poi aggiunse. 

Sospirai, continuando a guardarlo severamente. 

“Perché? Perché ti manco? Tutto ciò che ti davo io potrebbe dartelo chiunque.”

Sorrise, abbassando il viso per un attimo verso il terreno. 

“Perché penso sempre alla tua risata, perché sorrido solo al pensiero della tua voce, perché mi diverti, perché sei dolce, perché sei la persona più buona che esista, sempre pronta a porre al primo posto gli altri piuttosto che se stessa, perché sei un vulcano in piena eruzione, perché non stai un attimo ferma e zitta, perché mi metti sempre il buon umore e riesci a trovare le parole giuste per descrivere qualsiasi mia emozione, perché sei forte, perché sei sensibile e non riesci a mentire, perché non sopporto quando vuoi avere ragione, perché sei testarda, perché sei orgogliosa e a volte insopportabile, perché sento che hai bisogno di essere protetta, perché ogni volta che fisso i tuoi occhi impazzisco! Non posso fare a meno di amarti, Ploon… Non posso proprio…- 

Stetti zitta, incapace di aggiungere altro. 

Cosa potevo rispondere, d’altronde, a parole bellissime come queste?

Lentamente, cercò di avvicinarsi al mio corpo. 

E io mi costrinsi a dire qualcosa per fermarlo. 

“Puoi sopravvivere senza tutto questo, Harry” tagliai corto. 

Assunse, a quel punto, un’ espressione contrariata, corrugando la fronte. 

“Sei ancora più testarda di quanto già tu non fossi” grugnì. 

Mi offesi e la presi, giustamente, sul personale. 

“Da che pulpito” controbattei. 

Ci guardammo con occhi sfidanti, e riuscii forse anche ad incenerirlo con lo sguardo. 

Sembravamo due bambini che litigavano per la vittoria e il proprio orgoglio. 

“Hai finito?”

“Di fare cosa?”

“Di contraddirmi?”

Sbuffai, e abbassai il capo. 

Nonostante tutto, quando discutevo con lui il mio petto si rimpiccioliva e percepivo crampi dappertutto. 

“Dici di amarmi…” bisbigliai. 

Lui addolcì il volto, immediatamente. 

“Ma ti fideresti di me se fosse davvero come dici tu.” 

Silenzio. 

Il suo viso mutò completamente. 

Impenetrabile e serio, adesso mi guardava con ancora più attenzione e severità, come per memorizzare ogni singola parte del mio corpo. 

Gli avevo ripetuto mille volte quella frase, eppure continuava a non voler capire. 

A non voler ascoltare. 

Forse sentiva di aver sbagliato, in fondo. 

O forse era davvero troppo cocciuto. 

“Davvero dubiti del mio amore per te, Ploon? Dopo tutto ciò che abbiamo passato?”

Non risposi a questa frase. 

Mi sentii stupida. 

“Pensavo la stessa cosa di mia madre… sai?”

Non disse nulla e io continuai dopo un po’.

“Ne avevamo passate tante insieme, ma comunque lei mi ha lasciata.” 

Lo dissi con freddezza, come se non mi importasse. 

“Ploon.” 

Iniziò così il suo discorso. Con il mio nome. 

Quel nome che pronunciava sempre quando eravamo ancora bambini. 

E sentii già un groppo in gola pronto a scoppiare vorticosamente. 

“Lascia che io mi prenda cura di te, ti prego.” 

Fu la prima volta, dopo un anno e qualche mese, che sentire quella frase non mi infastidì. 

Ma mi rassicurò. 

Avevo bisogno di lui, lo percepivo. 

Lo guardai. 

I suoi morbidi e neri ricci gli cadevano sul viso disordinatamente, comprandogli leggermente il naso. 

Sembrava così sicuro di quello che diceva, che quasi cedetti alla sua proposta. 

Volevo cullarmi tra le sue braccia, sentire il profumo della sua pelle senza domandarmi se fosse giusto o sbagliato, dopo tanto tempo.

Ma pensai, di nuovo, non potessi mai più concedermelo. 

Sospirai e deglutii, per placare l’ansia creatasi. 

“Dovresti tornare a casa, Harry. Hai la febbre.”

Scrollò le spalle. 

“Davvero. Potresti cadere a terra da un momento all’altro, come prima.”

Sorrise, dolcemente. 

“Ci tieni a me.” 

Abbassai il viso sul suo petto, per non doverlo guardare negli occhi. 

“Certo che ci tengo.” sussurrai. 

E lui capì dal mio labiale le parole. 

“Ploon.” 

“Si?” alleggerii il tono della voce, facendolo tornare normale per rendere la conversazione meno seria. 

“Fuggi via con me.”

Alzai un sopracciglio, sconcertata e quasi divertita all’improvviso da quella affermazione. 

“Eh?”

Rovinai lo strano momento tranquillo e dolce creatosi. 

“Come gli vengono certe idee?” mi chiedevo.

"È ciò che ti ho proposto un anno fa, ma non mi avevi dato una risposta.”

Lo guardai come si guardano i pazzi e gli dissi: "La mia risposta è no.” 

Mi stava odiando e lo capii dalla sua faccia scocciata. 

Forse si sentii preso in giro.

"Senza offesa, ma a volte mi chiedo se tu sia ubriaco oppure no." 

"Forse sarebbe meglio che lo fossi" aggiunse, a bassa voce .

"Torna da Arya e smettila di flirtare con me.” 

Decisi di prendere questa storia e la sua proposta con leggerezza, per non rendere tutto ancora più drammatico e pessimista. 

Alzò gli occhi al cielo e io mi resi conto di dover smetter di scherzare con i suoi sentimenti. 

Tornai seria e raggiunsi il suo corpo.

"Facciamo un patto?" 

La domanda mi uscì spontanea e lui sbarrò gli occhi, curioso.

"Cerchiamo di non litigare più, d'accordo? Proviamo ad essere... buoni amici, per ora.” 

Corrugò la fronte, ma alla fine pensai di averlo sorpreso e convinto allo stesso tempo.

Mi prese la mano.

"Va bene" 

La strinse e cercò di sorridermi come se fosse contento della proposta. 

Sogghignai tra me e me: in realtà fece schifo quella soluzione. 

Ma fu già meglio di niente, no?

 

“Dovresti rasarti i capelli a zero.”

Corrugai la fronte, presa alla sprovvista da quella proposta insolita. 

“Puoi ripetere?” 

Louis rise e, sdraiato sul letto, decise poco dopo di sedersi a gambe incrociate, con i piedi sul copriletto, proprio di fronte a me. 

Mi lanciò una patatina e, prima di parlare, aspettò di sentire lo sgranocchiare dei miei denti a contatto con il cibo. 

“Sola da una parte, intendo. Sarebbe figo.” 

Cercai di visualizzarmi con la fantasia senza alcun capello nel lato destro della testa. 

Sorrisi, compiaciuta. 

“L’idea é carina, ma a me starebbe male quel taglio.” 

Corrugò la fronte. 

“Perché?”

“Sta bene alle more, non alle bionde.”

Sbarrò gli occhi, prima tacendo, poi ridendo. 

“E chi ha deciso questa stronzata?” 

“Io.” dissi fiera, facendogli la linguaccia. 

Alzò le mani come simbolo di rassegna e cambiò argomento. 

“Manchi tantissimo a Phoebe, al telefono mi chiede sempre di te, sai?”

“Davvero?”

Annuì, sorridendomi come un bambino. 

“Sarebbe dolce poterle rivedere, entrambe le gemelle, dico.” 

“Organizzerò qualcosa.”

“Bravo.”

Gli diedi una amichevole pacca sulla spalla e, questa volta, mi coricai io a peso morto sul letto. 

Sentii una mano pizzicarmi il braccio, poco dopo. 

“Sei molesto, lo sai?”

“E anche molto curioso.” aggiunse da solo. 

Accigliai lo sguardo, non capendo quella affermazione fino in fondo. 

Dove voleva arrivare?

“Cos’é successo oggi con Harry?” mi fece un occhiolino, con una faccia stupida stampata sul volto. 

“Nulla che possa interessare anche te.” 

Non smise di molestarmi fino a quando non detti segno di vita e incominciai a parlare di nuovo. 

“Siamo amici, adesso.” 

Lasciò la presa sul mio corpo. 

Evidentemente era sorpreso. 

“Sembri una nonnetta in cerca di gossip.” sbuffai, sghignazzando. 

Lasciò cadere la propria testa accanto alla mia, con gli occhi rivolti al soffitto. 

“Abbiamo fatto una specie di patto.” affermai convinta. 

Emise un ghigno e io mi voltai verso di lui, pronta a tirargli un pugno per ogni evenienza. 

“Le persone normali diventano amiche semplicemente perché lo vogliono, non perché fanno un patto.” 

In effetti, aveva ragione. 

Ma noi, in fondo, io ed Harry, non eravamo persone del tutto sane mentalmente. 

Imitai la sua voce e gli feci il verso: mi diede un pizzicotto e scoppiammo a ridere insieme. 

“Louis…” 

Mi presi alcuni secondi per capire se fosse il caso, o no, di fargli quella domanda. 

“Dimmi.” 

“Secondo te sono noiosa?” 

Fece una faccia strana, che mi intimorì per un certo attimo. 

Forse la sua risposta sarebbe stata un ‘si’. 

“Perché questa domanda?” sorrise. 

“In realtà, perché ho paura di questa cosa.”

“Di essere noiosa?”

“Si.” 

Ok, ero strana. 

Ma, in fondo, penso che tutti abbiano questo timore, no?

“Stai scherzando, vero?”

Scossi il capo, alla ricerca dei suoi occhi per una risposta. 

“Nell’ultimo periodo nessuno ride in mia presenza.”

Sghignazzò. 

“A parte te.” 

“Beh, ci credo, Ploon. Uccidi con lo sguardo qualsiasi persona ti passi accanto.” 

Chiusi gli occhi, ripensandoci. 

Non aveva tutti i torti. 

“Ma, in ogni caso, non sarai mai noiosa. Non corri nessun rischio.” 

“E perché?” 

Sorrise, dandomi un semplice bacio sulla guancia, teneramente. 

“Perché sei Ploon Sloan, nessuno ti batte per pazzia.” 

Riuscì a contagiarmi, come al solito, con la sua allegria. 

“Dici così perché ti ricordi com’ero un tempo.” 

“Sei rimasta ancora quella ragazza, e lo sai anche tu.” 

Aveva ragione. 

Dovevo solo… sciogliermi ancora un po’. 

“Non ti sei stufato di ascoltarmi mentre mi lagno?”

“In realtà non lo fai mai. Sono io che ti faccio parlare, altrimenti resteresti in silenzio e ti terresti tutto dentro.” 

Mi fece un occhiolino e io seppi che aveva perfettamente ragione. 

“Quindi non vale come lamento.” 

Me ne compiacqui, di questa verità. 

Sentirmi una persona querula mi avrebbe buttata ancora più giù. 

“Grazie.” 

 

Quella sera, andando a dormire, appena tornata dal bagno dopo essermi fatta la doccia, trovai una piccola lettera sopra il mio letto azzurro. 

Sobbalzai, leggermente. 

E, per un attimo, pensai al peggio. 

L’ultima volta che avevo letto una cosa del genere… non era finita bene. 

Cautamente, presi quell’oggetto tra le mani come se dovesse bruciare da un momento all’altro. 

Quando vidi la scritta ‘ornitorinco’, però, mi tranquillizzai, sorridendo immediatamente. 

Louis. 

Era sua. 

Velocemente, così, decisi di aprirla. 

E, riconoscendo la sua orribile calligrafia, mi persi tra le parole. 

 

*Lettera.* 

 

“Mi chiedi di dirti come sei, eh? Beh, intanto inizio con il dirti che sei una rompi palle assurda… e questo esclude già automaticamente la noia, quindi tranquilla. E poi sei una ragazza molto complessata, é vero, che di tutto ne fa una tragedia. Una ragazza d’oro che pur di aiutare qualcuno sta male lei. Hai quello spirito di allegria che fai alla fine sempre ridere. Credo che tu sia la ragazza più solare e più allegra. Anche quando sei triste, riesci a non farlo vedere alla gente perché sai, che se tu sei giù, molta gente non avrebbe quel sorriso stampato in faccia. Chi non ti conosce direbbe che sei una di quelle persone che non sta mai male, che ha un motivo per scherzare anche sulla cosa più seria, direbbe anche che un po’ invidierebbe la tua forza di volontà e quell’ espressione sempre positiva e forte. É bello questo, ma infondo sei anche sensibile: ci rimani male per una frase, una parola o semplicemente uno sguardo diverso. Molte volte ci pensi a questo, anche tutto il giorno, magari ti chiudi in camera tua, con la musica a tutto volume, a pensare, a viaggiare, a cercare un motivo, un semplice motivo del comportamento che ha avuto quella persona nei tuoi confronti; ma non ti piace essere compatita, e quindi stai in silenzio, non a molti dici di stare male... neanche alla persona per cui stai così. Mi piace di te il tuo ottimismo, sei una persona che vede sempre “il bicchiere mezzo pieno”, quel tipo di persona che se ti dice che “passerà” puoi stare certo che per davvero “passerà”. Un’ amica che veramente tutti vorrebbero, ci si può fidare di te, sei una ragazza meravigliosa, credimi. Fai la dura con le persone, piuttosto che dirgli un “ti voglio bene” le prenderesti a schiaffi, piuttosto che ricevere un abbraccio manderesti tutti a fanculo, ma non perché non ti piace tutto questo, ma perché non sei fatta per parole dolci o gesti teneri, anche se, infondo impazzisci se una persona te li fa e provi una sensazione che nessuno può capire. Direi che sei fantastica, stupenda, meravigliosa... ed é davvero il minimo, sei molto più di quelle tre parole. E sai benissimo anche tu, che se anche quella persona che ho appena descritto, in questo momento si vede raramente, é ancora lì che aspetta il momento giusto per uscire.”

 

*FineLettera.*

 

Lasciai cadere, subito dopo averlo letto, quel pezzo di carta a terra. 

E corsi, uscendo da camera mia, verso il ragazzo che l’aveva scritta. 

Aprii la porta della sua stanza, sebbene sapessi ci fossero anche altre persone pronte per andare a dormire, e gli saltai al collo. 

Lo strinsi forte, come fa un bambino con la propria mamma. 

Rimase senza parole, poiché non disse nulla. 

Forse sorrise, e basta. 

Gli diedi un semplice bacio sulla guancia. 

E sussurrai al suo orecchio: “Sei il migliore.” 

Lo sentii ridere. E io risi con lui. 


CIAO RAGAZZI E RAGAZZE. 
Come state? Ormai l'estate é incominciata *-*
Quanta gioia adesso é nell'aria AHAH. 
Il mio computer ha ancora dei problemi e devo aspettare o di ripararlo o di cambiarlo completamente.. quindi abbiate pazienza con me, scusate!! D:
Harry e Ploon amici eh. Uhmm. 
Cosa ne pensate?
Ce la faranno? O Harry continuerà, sebbene sia già fidanzato, a provarci con la sua bionda?! BAH, CHI VIVRÀ VEDRÀ ;) 
Detto questo, mi auguro di sentirvi nelle recensioni <3 
E buona fortuna a tutti coloro che devono affrontare esami! 
Un bacio a tutti, 
-Zola. 


 

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