7 Sins

di Layla_93
(/viewuser.php?uid=571890)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sloth ***
Capitolo 2: *** The package ***
Capitolo 3: *** Glutton ***
Capitolo 4: *** Breaking ***
Capitolo 5: *** Identikit ***
Capitolo 6: *** Red Code ***
Capitolo 7: *** Visits ***
Capitolo 8: *** Vis-à-vis ***
Capitolo 9: *** False Impression ***
Capitolo 10: *** Homely ***



Capitolo 1
*** Sloth ***


“Samuel Coltry. 36 anni. Disoccupato. È stato trovato grazie alla segnalazione di una vicina che non lo ha visto uscire di casa per due settimane.”
Lestrade si avvicinò al corpo, osservando tutto ciò che lo circondava.
“È stato toccato niente prima del nostro arrivo?”
“No. La donna ha detto di essere corsa via appena ha visto il corpo.”
Annuì flebilmente, continuando ad esaminare la scena del crimine.
“Direi che è morto per asfissia, dai segni che ha sul collo, ma dovremo aspettare la perizia medica per esserne sicuri. Chiama il team.”
Con un breve cenno della testa il sergente si congedò, lasciando l’ispettore da solo nella stanza.
Continuò a girare intorno al corpo, cercando di carpire qualche indizio.
“Bel casino…” Mugugnò a mezza voce.
“Il medico legale e la scientifica saranno qui tra un'ora.”
Informò la Donovan, rientrando.
“Bene. Abbiamo del tempo, allora.”
“Tempo per cosa?” Chiese, con evidente confusione.
“Per chiamare Sherlock Holmes.”
 

 ≈

 
Si rigirò nel letto, infastidito.
Chi diavolo si metteva a bussare alla porta alle… Alle…
Allungò un braccio verso il comodino, recuperando la sveglia.
“Cristo Santo, sono solo le 6:30 del mattino!”
“John, ti sei svegliato finalmente.”
“Finalmente?” Chiese, spalancando la porta e ritrovandosi davanti al suo coinquilino.
“Ti rendi conto di quanto presto sia?!”
“Abbiamo un caso.” Fu la risposta che ricevette in cambio.
“Quando mai non ne abbiamo uno.” Mugugnò, tornando a buttarsi sul letto.
“Sembra piuttosto interessante. Vuoi venire?”
“Dammi cinque minuti...”
“Ti aspetto di sotto.”
*Perfetto inizio giornata, John* Pensò con sarcasmo mentre si preparava velocemente.
Cinque minuti dopo raggiunse Sherlock in salotto, già pronto con cappotto e sciarpa, che gli porgeva la sua giacca.
“Non c’è tempo per la colazione. Ti spiegherò i dettagli del caso in taxi.”
Con uno sbuffo irritato lo seguì giù per le scale.
“Un uomo è stato trovato sul pavimento del suo salotto questa mattina.” Disse, subito dopo aver dato l’indirizzo al tassista.
“Trentaseienne. Celibe. Disoccupato. Apparentemente senza amici o nemici.”
“E la stranezza del caso sarebbe…?”
Le labbra del detective si piegarono in un leggero sorriso.
“Le uniche ferite che ha addosso sono delle abrasioni sul collo, ma intorno al corpo non c’è nessun segno di lotta o qualcosa con cui possano esser state fatte. Inoltre non è stato visto per le scorse due settimane, prima che venisse ritrovato.”
Appena il taxi si fermò Sherlock scese velocemente, lasciando dietro di sé John a pagare la corsa con cipiglio contrariato.
“Salve John.”
“Greg.”
Si guardò per un attimo intorno.
“Dove...?”
“Dentro. Prima porta sulla sinistra.”
Accennò ad un ringraziamento con la testa, dirigendosi verso l'ingresso dell'abitazione.
“Stai attento che non prenda nulla! Arrivo tra poco!” Gli arrivò il richiamo di Lestrade quando era ormai nell'atrio.
Sospirò, costernato.
Ancora non capiva come tutti credessero che lui potesse in qualche modo ammansire il comportamento di Sherlock.
Entrando nella stanza si ritrovò davanti la schiena del detective piegato ad osservare da vicino una porzione del pavimento, ignorando completamente il corpo riverso a terra a pochi metri da lui.
“Finalmente, John. Dai un'occhiata a Coltry.”
Non perse nemmeno tempo a rispondergli che, hey, qualcuno doveva pur pagare il tassista.
E di certo non avrebbe potuto sapere dove raggiungerlo se non avesse perso qualche secondo ad interagire con Greg.
Ingoiò semplicemente la sua risposta, ancora troppo intorpidito dal sonno per ingaggiare un battibecco con Sherlock, e si accovacciò vicino al corpo.
Recuperò dei guanti dalla valigetta della polizia poco distante e si concentrò sul suo compito.
Ispezionò minuziosamente il collo, catalogando le ferite sopra impresse e cercando di farle coincidere con un qualsiasi oggetto a lui noto, mentre controllava lo stato generale del corpo per rilevarne la data del decesso.
“Allora?” Arrivò la voce del detective alle sue spalle, carica di aspettativa.
“Sembra che sia stato appeso con un cavo frastagliato o qualcosa del genere. Deve essere morto per asfissia non più di 36 ore fa.”
Il detective mugolò in risposta, aggirandolo e accovacciandosi accanto a lui.
“Abbastanza accurato, anche se hai perso qualche passaggio.”
Il *come al solito* non fu detto ad alta voce, ma risuonò chiaro nella testa di John.
“Sentiamo, allora.” Arrivò una voce alle loro spalle.
Greg si addentrò nella stanza, fermandosi a pochi passi dai due.
“Non ha mangiato e bevuto per giorni, probabilmente da quando è scomparso.” Iniziò il detective alzandosi in piedi e iniziando a camminare intorno al corpo.
“È morto per asfissia, come ha detto John, ma c'è di più.” 
Ritornò vicino al corpo, alzando la gamba destra del pantalone con una penna.
“Le vene delle gambe sono in rilievo, alcune sono scoppiate. Deve esser stato in piedi per un periodo prolungato, abbastanza da provocare un logoramento delle pareti venose in breve tempo.”
Lasciò la sua postazione, avvicinandosi alla parte superiore del corpo.
“I segni sul collo sono chiaramente stati provocati da una corda di materiale abrasivo, punterei su qualcosa di metallico a giudicare dalla mancanza di frammenti fibrosi sulle abrasioni.”
“Fantastico.” Esalò John, rimasto incantato ad osservare il detective.
“Scusa.” Aggiunse subito, accorgendosi di aver parlato ad alta voce.
Il detective si alzò nuovamente, lanciando un'occhiata finale al corpo e sopprimendo un leggero sorriso al bordo delle labbra.
Con un movimento fluido si abbassò, recuperando qualcosa da sotto il fianco della vittima.
Le iridi chiare si illuminarono.
“Direi che è tutto, Lestrade. Ti terrò aggiornato sui miei progressi.”
“Aspetta!” Gridò Greg alla figura del detective che si allontanava dalla stanza.
“John.” Esalò esasperato, girandosi verso il dottore.
“Qualsiasi cosa abbia preso Sherlock, digli di restituirla.”
“E come dovrei fare?” Fu la risposta leggermente stizzita.
“Non lo so, sei tu che ci convivi!”
Il dottore sentì il calore invadergli le guance.
Se dall'imbarazzo o dall'irritazione non avrebbe saputo dire.
“Non convivo con Sherlock. Ci coabito.” Puntualizzò, lanciando un'occhiata risentita nella direzione in cui era scomparso il detective.
“Quello che vuoi. Vedi di fargli restituire quello che ha preso o preparatevi ad un'altra ispezione antidroga.”
Sospirò rassegnato, accennando ad un consenso con la testa.
Uscito dalla casa si stupì di trovare Sherlock fermo vicino ad un taxi.
“Pensavo fossi andato via.” Disse appena gli fu accanto.
“Ho bisogno del tuo aiuto.” Fu la risposta che ricevette in cambio.
Rimase fermo sul marciapiede ad osservare il detective che entrava nel taxi, ripetendosi le inusuali parole più e più volte nella testa.
“Muoviti, John.”
Al richiamo spazientito si riscosse, raggiungendolo sul retro del mezzo.
“Sicuro di stare bene?” Chiese, adocchiandolo con curiosità.
Non aveva mai ricevuto una richiesta d'aiuto dal detective.
Non così esplicita, quantomeno.
Tutte le informazioni e le opinioni che aveva condiviso con lui erano sempre state inserite nel contesto generale del loro lavorare insieme, come qualcosa di sottinteso.
Quella richiesta diretta era qualcosa di nuovo.
“Non registro nessun mutamento nelle mie funzioni vitali, grazie.”
Lasciò scivolarsi addosso quella risposta ironica.
“Su cosa ti servirebbe il mio aiuto?”
Non riuscì ad epurare la domanda da una punta di curiosità.
Non ricevette risposta, ma davanti ai suoi occhi comparve un foglietto stropicciato.
Sospirò, allungando una mano.
“Dovresti portarlo a Scotland Yard prima che Greg faccia irruzione in casa nostra. Di nuovo.”
“Lo restituirai quando avremo finito.” Controbatté.
“Lo conosci?” Chiese prima che il dottore potesse ribattere al suo comportamento.
Si rassegnò a studiare il foglietto che teneva in mano, rimandando per l'ennesima volta le sue lamentele.
Era un semplice foglio con sopra stampata un'immagine in bianco e nero raffigurante un angelo dall'espressione pensosa, circondato da vari altri elementi e una scritta verso il margine sinistro che riportava la parola *Melencolia I*.
“Sembrerebbe un disegno in vecchio stile europeo.”
Lo osservò meglio, scavando nei suoi ricordi delle superiori, quando fu costretto a seguire un corso di storia dell'arte per acquisire crediti aggiuntivi.
“Credo che potrebbe essere la stampa di un'incisione, nel vecchio continente erano molto frequenti, soprattutto tra quattrocento e seicento.”
Alzò finalmente gli occhi dall'immagine, girandosi verso Sherlock.
Lo stava osservando con espressione concentrata e lontanamente compiaciuta.
“Venivano usate anche per immagini sacre?” Chiese, riprendendo il foglietto.
“Soprattutto per quello. Erano molto popolari durante l'Inquisizione.”
Guardò brevemente in direzione dell'autista, notando l'espressione incuriosita e disorientata che gli stava lanciando dallo specchietto retrovisore.
“Comunque faresti bene a chiedere ad un esperto. Non saprei che altro dirti riguardo quest'immagine.” Concluse, girandosi ad osservare le strade che sfrecciavano attraverso il finestrino.
Quando il taxi si fermò davanti alla National Gallery lanciò un'occhiata sorpresa a Sherlock.
Se aveva già programmato di acquisire informazioni sull'immagine da un esperto per quale motivo gli aveva chiesto di esaminare il foglio?
Si ritrovò a pagare nuovamente il tassista, mentre Sherlock lo distanziava a grandi passi.
Fu costretto a correre per raggiungerlo, salendo in silenzio la scalinata del maestoso edificio.
“Beh, a chi intendi chiedere quello che ci serve? Non so quanto sia fattibile trovare una guida disposta a darci una mano.”
“Abbiamo il nostro asso nella manica.” Fu la laconica risposta che ricevette in cambio.
Si fermarono davanti ad una porta imponente, la targhetta in ottone placcato citava *direttore*.
“Stai scherzando, vero?” Chiese, già pronto a sentirsi urlare dietro dal direttore o da qualche guardia per l'intrusione che stavano per compiere.
“Fidati.”
Cercò di rilassarsi a quella parola, ottenendo miseri risultati.
A differenza di quanto si aspettava, però, Sherlock non entrò nella stanza con prepotenza, ma bussò garbatamente.
All'invito che ricevettero, Sherlock aprì la porta, richiudendola dietro John.
Si guardò intorno puntando uno sguardo sconcertato sulla figura che troneggiava sulla sedia dietro l'ampia scrivania in mogano.
L'uomo sorrideva placido e il gesto che compì con la mano era quello di qualcuno che invitava degli ospiti a prendere posto su una delle poltrone di fronte a lui.
“Signor Holmes, la stavo aspettando.”
“Direttore Finaldi.”
“Suo fratello mi ha detto che vorrebbe un consiglio su un'immagine.”
Il detective estrasse il foglio dalla tasca interna del cappotto, allungandola sulla scrivania.
“Secondo John dovrebbe essere un'incisione europea del XV-XVII secolo.”
Gli occhi del direttore saettarono velocemente sul suo volto, compiaciuti.
“C'è ancora qualcuno che comprende qualcosa di arte là fuori, allora.”
“Ehm... La ringrazio.” Fu la risposta incerta che farfugliò, confuso dal suo stesso imbarazzo.
“È un'incisione del 1514 di Albrecht Durer. Ha molti collegamenti alchemici e filosofici, ma quello più famoso è il collegamento alla mitologia cristiana. Quest'incisione rappresenterebbe uno dei peccati capitali, l'accidia.”
Le labbra del detective si incurvarono in un sorriso trionfante.
“John.” Esalò con eccitazione mal trattenuta.
“Abbiamo per le mani un serial killer.”

 


Salve ^_^
Da un po' di tempo avevo in mente questa storia e, finalmente, mi sono decisa a pubblicare.
Spero che questo primo capitolo vi abbia incuriosito.
Non so cos'altro dovrei dire xD
Ringrazio tutti coloro che arriveranno fino a qui e spero che vorrete seguire questo mio "progetto"
Alla prossima.
xoxo

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** The package ***


Prese un bel respiro prima di entrare a Scotland Yard.
Sapeva che Greg lo stava aspettando nel suo ufficio, i messaggi in cui gli diceva di riportare indietro ciò che Sherlock aveva sottratto dalla scena del crimine erano diventati sempre più frequenti col passare delle ore.
Attraversò sicuro le varie scrivanie, ignorando caparbiamente le occhiate incuriosite degli agenti che avevano imparato a riconoscerlo come l'assistente di Sherlock... O come suo partner...
Sbuffò risentito, bussando alla porta di Lestrade.
“Avanti.”
“Greg.” Salutò, entrando nel piccolo ufficio.
“Guarda chi si vede.”
La frase, per quanto pungente, fu smorzata da uno dei sorrisi di benvenuto dell'ispettore.
“Ti ho riportato il maltolto.” Ironizzò, lasciando sulla scrivania il foglio.
“Dovrei arrestarlo per inquinamento delle prove.” Sbuffò.
“Lo so... Ma ha effettuato qualsiasi test conosciuto su quel foglio. Non un'impronta digitale, non una sostanza organica o inorganica. Niente. Il nostro uomo sa come muoversi."
Lo sbuffo che lasciò le labbra dell'ispettore fu più quieto e rassegnato del precedente.
“Va bene. Cos'altro ha scoperto il nostro detective preferito?”
“Si tratta di un'incisione del XVI secolo. Viene utilizzata come rappresentazione dell'Accidia, uno dei sette peccati capitali.”
Si leccò le labbra secche, spostando il peso da un piede all'altro.
“Il colpevole potrebbe essere un serial killer.”
È un serial killer. Seriamente, John, non credevo ci avresti messo così tanto.”
Entrambi si girarono verso la porta, da dove Sherlock li osservava con cipiglio infastidito.
“Alcuni di noi hanno bisogno di qualche minuto per elaborare un discorso.”
Il detective passò uno sguardo sfuggente su di lui, incollando gli occhi al foglio sulla scrivania.
“Abbiamo un serial killer tra le mani. Un fanatico, azzarderei. Chi altri potrebbe inserire un'immagine sacra nel contesto di un omicidio?”
La domanda rimase sospesa nell'aria, senza che una risposta fosse veramente richiesta.
“D'accordo, ma adesso cosa facciamo?”
"È troppo presto per dirlo. Non abbiamo abbastanza elementi in mano per trovare qualche sospettato. L'unica cosa che potete fare è controllare tutti i magazzini della città in cerca della vera scena del crimine. Fammi sapere quando la trovi.”
Con questo il detective si allontanò dall'ufficio.
“Deve sempre fare queste uscite drammatiche?” Chiese Greg, passandosi una mano sugli occhi.
“È fatto così, dovresti saperlo.”
Con un sorriso di scuse uscì anche lui, raggiungendo Sherlock fuori da Scotland Yard.
“Allora?” Chiese quando fu al suo fianco.
“Allora, cosa?”
“Qual'è la nostra prossima mossa?”
Un sospiro seccato abbandonò le labbra del detective.
“Nessuna, John. Non hai sentito quello che ho detto a Lestrade?”
“Beh, si... Ma pensavo fosse un modo per non dirgli qualcosa che avevi scoperto, come al solito.”
“Non questa volta. Ma credo che il nostro uomo farà presto un’altra mossa. I peccati capitali sono sette, giusto? Se sta seguendo questo schema lo sapremo presto.”
Era chiaramente seccato dalla sua impossibilità di avanzare nelle indagini, ma procedere senza elementi sicuri sarebbe stato un errore.
“Quindi... Cosa facciamo?”
“Andiamo a comprare il tea.”
Con un gesto sicuro della mano fermò un taxi.
“Tu che fai una commissione?” Chiese divertito, dopo aver dato l'indirizzo del Tesco vicino a Baker Street.
“In mancanza di altro da fare.” Fu la laconica risposta.
Entrare nel supermercato con Sherlock gli sembrava strano.
Era la prima volta che una cosa del genere capitava, non solo con lui, ma in generale.
Sin da quando aveva compiuto dieci anni era sempre andato da solo a sbrigare le commissioni, e quando spronava Sherlock a fare qualcosa intendeva sempre da solo.
Questa situazione era diversa, quasi domestica.
Scacciò il pensiero dalla mente, dirigendosi sicuro verso il reparto degli infusi.
Mentre scorreva lo sguardo sui vari tipi di tea, lanciò un'occhiata di apprezzamento ad una donna nella corsia opposta alla loro.
“Forse dovremmo preoccuparci.” Disse improvvisamente il detective, distogliendolo dalla sua contemplazione.
“Di cosa?” Chiese con evidente confusione.
“Con la tua continua ricerca di una nuova donna potresti essere un obiettivo per il serial killer. La Lussuria fa parte dei peccati capitali, se ricordo bene.”
Lo osservò sorpreso, senza riuscire a formulare una qualsiasi risposta.
Dopo qualche attimo si ritrovò a ridere sommessamente.
“Avvertiamo Mycroft, allora. Potrebbe essere un obiettivo per la Gola.”
Riprese subito a ridere, seguito dal detective.
Fu il cellulare di Sherlock a interrompere quel momento di leggerezza.
“Ci ha sentiti.” Disse, dopo aver letto il messaggio.
“Chi?”
Seguì lo sguardo del detective, puntato verso il soffitto.
“Tuo fratello non ha nient'altro da fare che spiarci tutto il giorno?” Chiese con un brivido, distogliendo gli occhi dalla telecamera.
“Si annoia facilmente.”
L'unica cosa che lo trattenne dal ridere nuovamente fu il loro arrivo alle casse automatiche.
« A te l'onore. » Mugugnò tetro, cedendogli le confezioni.
“Davvero John? Hai paura di litigare nuovamente con un dispositivo elettronico?”
La voce del detective era chiaramente alterata dall'ilarità.
“Ne riparliamo quando sarai maltrattato da una di loro.” Rispose stizzito, facendo un passo indietro.
Il sorriso divertito che incurvò le labbra di Sherlock rimase al suo posto fino al loro arrivo a casa, sebbene John avesse più volte provato a farlo scomparire.
Dopo aver abbandonato la giacca sull'attaccapanni, si diresse in cucina per recuperare l'occorrente per preparare un buon tea rilassante.
“Due gocce di latte e un cucchiaino di zucchero.” Giunse la voce di Sherlock dal salotto.
Borbottò incoerentemente verso il detective, ma, poco dopo, fece il suo ingresso nell'altra stanza con due tazze fumanti e qualche biscotto a completare quel quadretto invitante.
Consumarono le loro bevande in silenzio, entrambi persi nei propri pensieri.
Mentre stava per addentare un biscotto, una suoneria ben nota ruppe la calma della stanza.
“Il telefono, John.” Soggiunse con voce svogliata Sherlock.
“Sarebbe il tuo.” Brontolò burbero mentre, comunque, recuperava l'apparecchio dal cappotto.
“Greg.” Sospirò nella cornetta.
“John?” Chiese stupito Lestrade.
Si limitò ad un mugolio di assenso.
“Dì a Sherlock che hanno appena recapitato in centrale un pacchetto col suo nome sopra. Ovviamente ci siamo subito accertati che non fosse una bomba.”
“Che cosa contiene?” Chiese con malcelata curiosità.
“Non ne ho idea. Ho immaginato che, se l'avessi aperto, mi sarei dovuto sorbire chissà quanti insulti da Sherlock per aver rovinato nuovamente prove fondamentali.”
“Giusto. Bene. Arriviamo il più presto possibile.”
Non fece in tempo a chiudere la telefonata che una mano agguantò il suo gomito e lo trascinò verso le scale.
“Un po' di gentilezza non guasterebbe.”
“Il caso non aspetta l'etichetta.” Fu l'unico commento che ricevette mentre scendevano velocemente le scale del 221B.
Il viaggio in taxi passò velocemente e quando si ritrovarono finalmente davanti all'ufficio di Lestrade, John trepidava dalla curiosità.
“Siete stati rapidi.” Fu il commento di Lestrade alla loro entrata nel suo ufficio.
“Dov’è?”
L’ispettore indicò con un cenno del capo un pacchetto sulla sua scrivania.
Era di piccole dimensioni, incartato con una comunissima carta da pacchi marrone e nessun timbro a ricoprirne la superficie.
“È stato recapitato direttamente qui?”
“Scusa?”
Indicò con un gesto sommario della mano il pacchetto.
“Non ci sono timbri sulla carta. Non è mai passato dalle poste.”
L’espressione stupita dell’ispettore fu offuscata da quella compiaciuta del detective.
“John ha ragione.” Disse infine Sherlock, distogliendo lo sguardo dal dottore.
Rigirò per qualche istante la scatola tra le mani, osservando minuziosamente l’involucro.
Finita quella prima operazione si mise a scartarlo attentamente, ritrovandosi in mano una scatola anonima, completamente blu.
“È molto leggera.” Fu l’unico commento che uscì dalle sue labbra.
Finalmente aprì la scatola, estraendone una semplice custodia per CD.
La copertina non riportava scritte e il dischetto non sembrava essere mai stato toccato.
“Interessante…”
Il detective si appropriò della scrivania, inserendo senza troppe cerimonie il CD nel computer.
“Hey! E se fosse un virus?”
L’irritazione di Lestrade non scalfì minimamente l’entusiasmo di Sherlock.
“Chi mai starebbe così attento a non lasciare indizi su un pacchetto solo per inviare un virus.”
Lo sbuffo contrariato dell’ispettore fu smorzato dal rumore di statico che iniziò a provenire dal computer.
“È un video.” Disse John, avvicinandosi dietro al detective per poter guardare.
Dopo qualche secondo di statico lo schermo rivelò un ampio spazio e, al centro, un cavo legato per formare un cappio che penzolava dal soffitto.
All’improvviso dal lato destro dello schermo comparvero due figure. La prima, quella con le mani legate dietro la schiena, era sicuramente Samuel Coltry, la vittima.
La seconda figura aveva, invece, il volto coperto da una sciarpa e un berretto ben calato sugli occhi, ma, nonostante ciò, era ben riconoscibile come un uomo.
L’uomo mascherato spingeva l’altro verso il centro dell’inquadratura e, una volta lì, gli passava il cappio oltre la testa, assicurandolo bene al collo.
“Eccoci qui, Sammy. Tu sarai il primo a usufruire del mio progetto di ripulimento.”
La voce era stata chiaramente alterata da qualche apparecchio, troppo nasale e metallica per essere normale.
Il video continuava per alcuni minuti con le continue richieste di liberazione di Coltry.
“Te l’ho già spiegato, Sam. Se riuscirai a stare in piedi fino a quando quel timer arriverà allo zero allora sarai libero.”
Lo sguardo del prigioniero fissò qualcosa fuori inquadratura e, subito, iniziò a ribellarsi con più forza.
Il video si concluse con l’uscita dell’uomo incappucciato, seguito dalle continue urla della vittima.
“Mio Dio…” Esalò Lestrade, sconvolto.
“Cosa ne pensi, Sherlock?”
Il detective non rispose.
Riavviò il video, spostando lo sguardo da un punto all’altro dello schermo con evidente concentrazione.
“Abbiamo qualcosa su cui muoverci.”
Due paia d’occhi si fissarono su di lui, stupite.
“Uomo. Alto circa 1,75. Fanatico religioso. Ha acquistato la carta da pacchi da ‘Selfidges & co.’ Su Oxford Street.”
Per qualche secondo il silenzio dell’ufficio rimase imperturbato.
“Beh, che cosa aspetti Lestrade? Manda qualcuno a controllare quel negozio. Noi dobbiamo andare sulla scena del crimine.”
“La scena del crimine? Sai dov’è?” Chiese finalmente Greg, riscuotendosi.
Il detective ignorò la domanda, precipitandosi fuori dalla porta.
“Sherlock!” Provò a richiamarlo John, senza ottenere risultato.
“Lo detesto quando fa così.” Mugugnò Lestrade, coprendosi il volto con le mani.
La risposta di John fu un lungo sospiro rassegnato.

Ed eccomi qui con il secondo capitolo.
Mi ha stupita tantissimo la risposta positiva che ho ricevuto col primo capitolo, davvero grazie!
Spero che anche questo secondo capitolo vi sia piaciuto =)
Vi lascio con una domanda: preferireste uno slash che si concretizzi o qualcosa di più simile alla serie tv?
Alla prossima xP
xoxo


 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Glutton ***


"La prossima a sinistra e siamo arrivati." Disse, buttando l'ennesima occhiata alla mappa sul suo cellulare.
Lestrade fece una veloce manovra, imboccando la direzione appena fornitagli.
Si ritrovarono in uno spiazzo a pochi metri dalla riva occidentale del Tamigi, in una zona adibita per i capannoni di scarico.
"Spero per lui che sia qui. Non ho intenzione di inseguirlo per metà Londra." Sbuffò l'ispettore, scendendo con stizza dall'auto.
Si guardarono un po' intorno, cercando il capannone che Sherlock aveva indicato come la vera scena del crimine.
"Greg."
Con una pacca sulla spalla si premurò di ricevere la piena attenzione di Lestrade, conducendolo verso la struttura su cui campeggiava il numero 9 di un rosso scolorito.
Si affacciarono incerti oltre il portellone accostato e agganciarono subito i loro occhi alla figura del detective intento ad osservare con la sua lente tascabile la porzione di terreno sotto un cavo che pendeva dal soffitto.
"Sherlock!" Esclamò subito John, raggiungendolo con poche, rapide falcate.
"Finalmente siete arrivati. Stavo quasi per andarmene."
L'espressione che attraversò il viso del dottore fece arricciare le labbra dell'ispettore, ben conscio del battibecco che si prospettava all'orizzonte.
"Stavi per andartene." Ripeté, atono.
"È quello che ho detto."
"Stavi per andartene... Davvero, Sherlock? Credi che possiamo permetterci di inseguirti per tutta la dannata città mentre c'è un pazzo omicida in cerca di altre vittime?"
Il tono sempre più alto ed acuto del dottore riverberò dolorosamente tra le pareti di lamiera del capannone.
Per qualche istante il silenzio regnò sovrano, finché un sospiro esasperato di Lestrade sembrò sbloccare la situazione.
"Vi siete mossi con lentezza." Cercò di ribattere acidamente il detective.
"Oh, forse perché qualcuno di mia conoscenza non si è degnato a dirci dove diavolo fosse scomparso così d'improvviso dopo aver blaterato ordini."
Gli occhi del dottore sostennero caparbiamente lo sguardo contrariato di Sherlock.
"Potreste rimandare a dopo le vostre liti coniugali? Vorrei capire se siamo su una dannatissima scena del crimine."
Il sospiro scocciato del dottore fu parzialmente coperto dalla voce del detective.
"È ovviamente la nostra scena del crimine. Qui è dove è stato legato Coltry. I segni per terra sono chiari, ha lottato fino all'ultimo per riuscire a rimanere in piedi."
Si spostò un po' sulla sinistra, osservando la parete che lo fronteggiava.
"Il timer deve esser stato posizionato su quel lato. Il killer deve averlo rimosso quando è venuto a recuperare il corpo."
La domanda si dissolse in un silenzio pesante.
"C'è qualcosa che non torna..." Mormorò improvvisamente John, catturando l'attenzione degli altri due.
"Quanto era alto Coltry?" Chiese, rivolgendosi a Sherlock.
"1,69." Rispose subito.
Fece un altro giro intorno al cavo, osservandolo attentamente.
"Questo cavo è troppo in alto." Disse infine.
"Come fai a dirlo?" Chiese Lestrade, chiudendo la telefonata che lo aveva tenuto impegnato per alcuni minuti.
"Coltry era alto quanto me ed io non riuscirei mai ad infilare la testa nel cappio."
Sottolineò il concetto posizionandosi sotto al cavo e mettendosi in punta di piedi.
I capelli sfioravano a malapena il metallo.
"Quando il killer ha recuperato il corpo avrà fatto in modo di abbassare ulteriormente tutto per poter sfilare la testa..."
Aggiunse Sherlock posizionandosi davanti a lui.
"È della tua altezza." Osservò, alzando gli occhi verso il volto dell'altro.
"Quindi? Dovremo prenderla come una minaccia?" Chiese Lestrade, leggermente a disagio per la vicinanza degli altri due.
"Potrebbe." Concesse, mentre gli occhi saettavano veloci per tutto lo spazio circostante.
Dopo qualche istante d'immobilità scattò verso la parete sinistra, recuperando con velocità febbrile il cavo dall'argano.
"Sherlock, maledizione, smettila di inquinare le prove!" Ingiunse da dietro Lestrade.
"John, vieni qui." Lo chiamò, incurante dell'ammonimento.
Si avvicinò velocemente al detective, portando lo sguardo su un punto preciso del cavo che aveva catturato la sua attenzione.
"C'è del sangue qui."
"Della vittima?" Chiese l'ispettore.
"Coltry non aveva tagli sul corpo." Rispose subito John, battendo sul tempo Sherlock.
"Abbiamo il sangue dell'assassino?" Chiese con un impeto di sorpresa Lestrade.
Lo sguardo che gli lanciò Sherlock fu più eloquente di qualsiasi parola.
"E allora cos'è?" Chiese esasperato l'ispettore.
"Un indizio." Commentò semplicemente il detective.
"Dobbiamo analizzarlo e ricercarne il proprietario per dei chiarimenti." Aggiunse con una punta di eccitazione mal celata nel suo tono.
"Bene, fuori da qui."
"Cosa?"
"Mi hai sentito. Hai già girato abbastanza qua intorno. Farò prelevare dei campioni dal mio team."
Lo sguardo che saettò tra il detective all'ispettore fu chiaramente di sfida.
"Farò in modo che tu possa accedere ai campioni. È tutto quello che posso fare." Sospirò sconfitto Lestrade dopo qualche minuto di lotta silenziosa.
"Bene. Aspetterò al Barts."
Detto ciò, si girò velocemente verso l'entrata e si incamminò in silenzio.
Il saluto che il dottore rivolse a Greg fu frettoloso, troppo interessato nel raggiungere Sherlock prima che lo lasciasse nuovamente indietro.
"Stai migliorando." Osservò il detective non appena lo raggiunse sull'ennesimo taxi della giornata.
Alzò le sopracciglia in un chiaro segno di sorpresa.
"Grazie...?" Rispose incerto, quasi imbarazzato.
"Ci porti al Barts." Aggiunse subito, riportando l'attenzione sull'autista che ancora aspettava loro direttive.
Il viaggio fu avvolto nel più completo silenzio, interrotto solamente dal continuo trillare del cellulare di Sherlock, intento a messaggiare chissà cosa con chissà chi.
Arrivati all'ospedale, il detective scese velocemente dal taxi.
"Ti aspetto in laboratorio." Disse, mentre già era a metà strada dall'entrata.
"Questa giornata non finirà mai..." Esalò esasperato, pagando con gli ultimi soldi rimastigli nel borsello.
Quando raggiunse il laboratorio, Sherlock aveva già abbandonato il cappotto sull'attaccapanni ed era evidentemente concentrato su qualcosa.
Lo raggiunse alla sua postazione, sedendosi sullo sgabello di fronte a lui, e lanciò un'occhiata a quel che stava facendo.
Il detective era chino sul tavolo, con una matita precariamente in equilibrio tra due dita e lo sguardo concentrato su di un foglio mezzo scritto.
Piegò leggermente la testa, leggendo attentamente la scrittura spigolosa del detective.
"Come hai scoperto che Coltry ha abbandonato tutti i lavori che era riuscito a trovare?" Chiese stupito, senza interrompere la sua lettura capovolta.
"Sms. Ho qualche contatto che mi deve dei favori."
"Perché questa cosa non mi stupisce?" Commentò serafico.
Spostò per un attimo gli occhi sull'orologio a parete posto sopra la porta, seguendo per un po' il lento muoversi della lancetta.
"Credi davvero che quello sul cavo non possa essere il sangue del killer?" Chiese improvvisamente, rompendo la bolla di silenzio che li aveva avvolti.
Il detective non rispose, non spostò nemmeno gli occhi dai suoi appunti.
"I criminali fanno spesso degli errori." Pressò, attirando finalmente il suo sguardo.
"Normalmente, si."
"Ma...?" Soggiunse, avvertendo il senso d'incompiutezza della frase.
Il detective sospirò, abbandonando la matita sul tavolo.
"Ma credo che il nostro uomo sia molto più scaltro di qualsiasi altro criminale comune." Sospirò, riportando lo sguardo sul foglio davanti a lui.
"Perfetto..." Borbottò, disturbato dall'idea.
Per qualche minuto si concentrò sulla lettura degli appunti di Sherlock e, quando alzò lo sguardo, trovò gli occhi del detective intenti ad osservarlo.
"Riesci a leggere con semplicità al contrario." Constatò con tono pacato.
"Ho imparato un paio di trucchi durante l'addestramento militare." Rispose prontamente.
Si leccò le labbra leggermente secche, prima di parlare nuovamente.
"Dici che ci sia un collegamento tra Coltry e le prossime probabili vittime?" Chiese, indicando sommariamente una parte del foglio piena di collegamenti e frecce che finivano tutte con dei punti interrogativi.
"Ci saranno sicuramente altre vittime." Rispose semplicemente, per poi alzarsi di scatto e scomparire oltre le porte del laboratorio.
"Lunatico." Mormorò a mezza voce il dottore, scuotendo divertito la
testa.
Lesse e rilesse gli appunti nella mezz'ora che passò prima dell'arrivo di Lestrade.
"Pensavo che avresti mandato qualcuno della tua squadra." Commentò alla vista dell'ispettore.
"Pensavo che qualcuno della mia squadra avrebbe eseguito una semplice consegna." Rispose sarcasticamente.
"Dov'è Sherlock?" Aggiunse subito, guardandosi intorno.
Come risposta si limitò a scuotere le spalle.
"Non. Commentare." Disse poi, notando lo sguardo stranamente malizioso.
"Oh, qualcuno è suscettibile." Ironizzò Lestrade.
Non commentò le parole dell'altro, si limitò semplicemente a recuperare il cellulare dalla tasca posteriore dei jeans e scrivere velocemente un messaggio a Sherlock.
Ci vollero un paio di minuti prima che la figura slanciata del detective comparisse sulla soglia del laboratorio.
Non proferì parola nel sottrarre il campione dalle mani dell'ispettore, avviandosi, poi, con trepidazione verso il banco da lavoro.
Si mise all'opera, la concentrazione totalmente rivolta nel dosare accuratamente i vari agenti chimici.
"John, prendi un campione e comparalo con il database dell'ospedale e della polizia." Disse improvvisamente.
Il dottore guardò contrariato il detective, per poi rivolgere uno sguardo incerto verso Lestrade.
"Puoi darmi la password per il database di Scotland Yard?"
"Certo che può dartela." Ingiunse Sherlock dal microscopio su cui era chinato.
"Lo controllerò io. È il massimo che posso concedervi."
"Grazie, Greg." Si affettò a rispondere, prima che il detective potesse aggiungere altro.
Si misero al lavoro in silenzio, controllando ciascuno il database di loro competenza.
"Credi che il proprietario del sangue sia schedato o abbia una cartella clinica?" Chiese dopo una ventina di minuti di lavoro il dottore.
"Probabile. Il killer sta calcolando le nostre mosse. Ci ha lasciato quel pacco, poi il sangue sul cavo... Sta giocando con noi e questa è solo una mossa."
"Magnifico, era da tempo che sognavo di avere uno psicopatico del genere tra le mani." Sbuffò l'ispettore, rimettendosi al lavoro.
I minuti passarono veloci, trasformandosi presto in più di un'ora.
Gli occhi iniziavano a bruciargli per la prolungata attenzione che stava prestando allo schermo del computer, ma, proprio quando stava per alzarsi e sgranchire un po' le gambe, il computer trovò la combinazione esatta.
"Sherlock, ce l'ho!" Esclamò, facendo zigzagare lo sguardo sulle informazioni appena trovate.
"Si tratta di un'altro uomo. Daniel Bradbury. Ricoverato più volte per indigestione e attacchi di diabete."
"L'indirizzo?" Chiese Sherlock mentre già indossava cappotto e sciarpa.
"Il 27 di Mallory Street."
“Prendiamo la mia auto.” Disse Lestrade, facendosi seguire dagli altri due verso il posto i cui aveva parcheggiato.
“Se il nostro uomo fosse davvero legato a i sette peccati capitali, quale ci troveremo davanti?” Chiese l’ispettore mentre si immetteva nel traffico.
“Non c’è nessun ‘se’.” Fu tutto ciò che disse il detective, nuovamente concentrato sul suo cellulare.
Il dottore si lasciò sfuggire un sospiro esasperato.
“Dovrebbe essere la Gola, Greg.” Provvide a rispondere, nel tentativo di evitare un battibecco tra i due.
Quando finalmente arrivarono all stabile di Bradbury, si ritrovarono a suonare a vuoto al campanello.
“Brutto segno…” Mugugnò Lestrade, provando ad aprire la porta.
“Sherlock? Sherlock, che vuoi fare?” Chiese John, notando il lampo che aveva attraversato le iridi chiare.
In pochi secondi il detective aveva sfilato la pistola di Lestrade dalla fondina e, prima che uno dei due presenti riuscisse a reagire, sparò alla serratura della porta.
“Cosa diavolo credi di fare?” Inveì il dottore, seguendo l’avanzata del detective all’interno dell’appartamento.
Lestrade li seguì, preparandosi a redarguire Holmes e ad intimargli di restituire la pisola che ancora teneva in mano, ma ciò che vide lo immobilizzò.
In mezzo alla cucina, sul pavimento chiazzato di macchie rosse, giaceva il corpo esanime di un uomo totalmente ricoperto da topi.
“Ma cosa…?” Provò l’ispettore, interrompendosi per reprimere un conato dovuto all’odore della stanza.
“Questa, signori miei.” Disse solennemente Sherlock. «Questa è la Gola.”

 
Ed eccomi finalmente qui con il nuovo capitolo.
So di averci messo fin troppo, ma gli impegni mi hanno fatto perdere la cognizione del tempo =(

Spero che questo capitolo sia abbastanza buono da farvi dimenticare l'attesa...?
Alla prossima, sperando in tempi più brevi xD
xoxo

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Breaking ***


"Buongiorno, John." Lo accolse Sarah, con un sorriso.
"Buongiorno." Rispose, nascondendo dietro la mano uno sbadiglio.
Raggiunse il suo studio e chiuse delicatamente la porta dietro di sé, accasciandosi subito dopo sulle varie carte che ricoprivano la scrivania.
La serata precedente, passata dietro a Sherlock e ai suoi ragionamenti, lo avevano lasciato con una pesante sensazione di spossatezza e il fatto che in quasi tre giorni non fosse riuscito a consumare un vero pasto non giocava a suo favore.
Con un pesante sospiro si portò composto sulla sedia, preparandosi alla giornata di lavoro che lo aspettava e cercando in tutti i modi di eliminare l'idea che, una volta tornato a casa, avrebbe sicuramente trovato Sherlock ancora davanti alla parete del salotto che aveva adibito a pannello per gli indizi.
O sarebbe stato fuori in cerca di piste?
Represse caparbiamente il nodo che gli si era formato in gola al pensiero del detective in una missione solitaria mentre per la città girava uno psicopatico che, forse, aveva preso di mira Sherlock stesso.
Prese un altro respiro, sistemandosi un sorriso benevolente sul viso e cercando di ignorare un accenno di mal di testa.
La giornata passò piuttosto velocemente e, prima di quanto pensasse, si ritrovò a sistemare le varie carte e gli strumenti che aveva tirato fuori durante le ore di lavoro.
Con un piccolo sorriso soddisfatto afferrò la giacca dall'attaccapanni vicino alla porta.
"John." Lo chiamò Sarah, facendolo sobbalzare appena per la sorpresa.
"Dimmi."
"C'è un signore che vorrebbe essere visitato. Vuoi che me ne occupi io?" Chiese la donna, adocchiando la giacca nelle sue mani.
Si lasciò sfuggire un piccolo sbuffo contrariato.
"Fallo entrare."
Abbandonò la giacca sulla sedia e riprese il camice.
Mentre sistemava il colletto la porta si aprì, rivelando la figura di un uomo un po' più alto di lui.
"Si accomodi pure." Lo accolse, indicando la sedia davanti alla scrivania.
Rivolse all’uomo le solite domande di routine e, dopo un veloce controllo alle prime vie aeree, scrisse una ricetta per un semplice sciroppo per il mal di gola.
Appena l’uomo fu fuori dallo studio si lasciò andare ad un sospiro di sollievo e recuperò nuovamente la giacca dalla sedia.
“Allora io vado.” Disse, mentre passava davanti alla scrivania di Sarah.
“Aspetta!”
Al richiamo della donna fermò i suoi passi e si volse verso di lei con espressione interrogativa.
“Quel signore che hai appena visitato mi ha lasciato un biglietto per te. Ha detto di leggerlo con attenzione…?” L’incertezza nella sua voce era palese.
“Grazie.”
La salutò con un cenno del capo e si portò sulla strada davanti alla clinica.
In attesa che passasse un taxi, tirò fuori il foglietto dalla tasca della giacca e lo lesse alla luce del lampione.
 
La prossima volta non alzi troppo la voce in un capanno di lamiera, l’effetto non è stato piacevole.
 
Per un attimo corrugò la fronte, confuso da quelle parole, poi un brivido gli percorse la schiena.
Infilò nuovamente il foglietto in tasca e, senza aspettare oltre l’arrivo di un taxi, iniziò a percorrere di corsa la strada che lo avrebbe riportato a casa.
Quando finalmente raggiunse il 221B aprì velocemente la porta, ritrovandosi a pochi passi da Mrs. Hudson.
“Oh, cielo! Tutto bene, John?”
"Sherlock è in casa?" Fu la sua replica affannata.
"Oh, si. Non si è mosso per tutto il giorno. Ho provato a portargli qualcosa da mangiare, ma non ha toccato nulla."
Annuì automaticamente, iniziando subito a salire gli scalini.
"Magari potreste uscire a cena." Arrivò la voce di Mrs. Hudson mentre apriva la porta.
"Hai il mal di testa." Constatò Sherlock non appena entrò nel salotto.
"Come diavolo…? No, aspetta. Non c’è tempo per questo, ora." Borbottò, togliendosi la giacca e frugando nelle tasche.
Osservò il detective adocchiare curioso il biglietto che ne estrasse e, appena lo allungò verso di lui, gli fu velocemente sfilato dalle dita.
“Dove lo hai trovato?” Chiese il detective, mentre continuava ad osservare quel piccolo pezzetto di carta da tutte le prospettive.
“Lo ha lasciato un paziente a Sarah, appositamente per me.”
Gli occhi del detective si spalancarono in un misto di sorpresa e timore.
"Qual è il suo nome?" Chiese, con una strana nota nella voce.
"Il nome?" Fu la replica confusa.
"Si, John, il nome. Come si chiama quell'uomo? Che nominativo ha dato?" Ad ogni parola la voce del detective si faceva sempre più pressante.
Il dottore rimase per qualche secondo in silenziosa concentrazione.
"Lance... Mendel? Mankell?" Ponderò, dubbioso.
Lo sguardo che Sherlock gli rivolse lo fece sbuffare per l'irritazione.
"Chiamo Sarah, ok? Dio! Non possiamo avere tutti la tua memoria mostruosa." Borbottò, mentre scorreva i nomi sulla rubrica del cellulare.
La donna rispose prima che Sherlock potesse aggiungere altro e, quando le chiese il nome dell'ultimo paziente della giornata, ricevette un commento incuriosito.
"È importante, Sarah. Per favore."
La donna sbuffò, ma finalmente ricevette la risposta desiderata.
"Lance Mankell? Ok, grazie."
Continuò a parlare con Sarah, osservando incuriosito il frenetico digitare di Sherlock sul cellulare.
Improvvisamente il detective afferrò il cappotto e la sciarpa e si precipitò fuori dall'appartamento.
"Sherlock, aspetta! Scusa Sarah, ci vediamo al lavoro."
Infilò il telefono nella tasca dei pantaloni e seguì velocemente il detective.
Lo individuò all'angolo di Baker Street, lanciato in una corsa folle verso chissà dove.
"Sherlock!" Lo richiamò nuovamente, iniziando a correre anch'esso per raggiungere l'amico.
"Dove diavolo stai andando?" Chiese ansante quando riuscì a riguadagnare un po' di terreno.
"Lexington Street." Rispose l'altro, svoltando a destra dopo Regent's Park.
"Per quale diavolo di motivo?"
Nessuna risposta gli giunse e per alcuni minuti tutto quello che poté fare fu seguire il detective, tentando di non rimanere troppo indietro.
Dopo cinque minuti di corsa, finalmente si fermarono davanti l'entrata di un piccolo palazzo.
"Perché siamo qui, Sherlock?" Chiese con il fiato corto.
"È dove abita Lance Mankell."
Lo sguardo del dottore saettò dalla porta di fronte a loro al detective.
Un cipiglio contrariato gli si dipinse sul volto.
"Vuoi dirmi ch sei corso senza pensarci un attimo verso la casa di un sospettato? Non ti è venuto in mente di chiamare prima Lestrade o, che ne so, avvertirmi di prendere la pistola?"
Le sue parole furono totalmente ignorate dal detective, che si inginocchiò davanti alla serratura con espressione concentrata.
“Cosa diavolo stai facendo, ora?” Chiese esasperato.
“Scassino la porta.”
“Voglio sapere dove hai imparato a farlo?” Chiese in un gorgoglio camuffato dalle mani che si era portato sul volto.
“A scuola mi annoiavo e l’aula di chimica era sempre chiusa a chiave.” Arrivò l’inaspettata risposta.
Per qualche secondo rimase immobile ad osservare Sherlock trafficare con la serratura, poi, quando non riuscì più a trattenersi, si lasciò andare ad una breve risata.
“Posso facilmente immaginarti fare una cosa del genere.” Commentò divertito, sbirciando dalla fessura della porta ora aperta.
“Non sembra esserci nessuno.”
Si tirò indietro, lasciando che anche il detective gettasse un’occhiata all’interno della casa.
Con cautela si introdussero all’interno, socchiudendo nuovamente la porta dietro di loro.
Il corridoio in cui si ritrovarono era al buio, ma un leggero alone di luce filtrava da una porta accostata.
Vi si avvicinarono con passo silenzioso, lanciandosi qualche occhiata d’intendimento.
Il detective allungò una mano verso la porta, aumentando di pochi centimetri lo spiraglio di luce.
Gettarono un’occhiata circospetta all’interno della stanza, ma non notarono nulla di fuori posto.
“Resta qui, vado a controllare le altre stanze.” Gli mormorò Sherlock, senza dargli il tempo di ribattere.
“Sherlock…” Provò in ogni caso.
“Controlla il bagno, John.” Fu la sua risposta sussurrata.
Si lasciò andare ad un sospiro rassegnato, ma si decise ad aprire ulteriormente la porta e a lanciare un’occhiata sommaria alla stanza.
Era un semplicissimo bagno con il lavandino di fronte alla porta, i sanitari sulla destra e una vasca sul lato sinistro.
Fu l’acqua ai piedi della vasca ad incuriosirlo.
Si avvicinò, attento a non calpestare le zone umide del pavimento, e lasciò che i suoi occhi percorressero la superficie in ceramica bianca.
“Oh, Dio…” Mormorò, gli occhi sgranati tra la sorpresa e l’orrore.
“Sherlock!” Gridò poi, girandosi verso la porta.
In pochi attimi il detective si materializzò al suo fianco, annotando il corpo sommerso nella vasca.
“Lance Mankell.”
“Cosa? No, l’uomo che è venuto in ambulatorio non era così!” Controbatté, osservando nuovamente il volto del corpo.
“Quello non era Mankell. Era il nostro serial killer.” Gli disse, lanciandogli un portafogli tra le mani.
Quando lo aprì, trovò ad aspettarlo la carta d’identità di Lance Mankell con la foto dell’uomo che giaceva sul fondo della vasca.
Quando riportò gli occhi sul detective lo trovò intento ad osservare da vicino il corpo, senza però toccarlo.
“A quanto pare si sente abbastanza sicuro da lanciarmi un sfida diretta. L’hai visto bene in volto, John?” Gli chiese, mentre esaminava con la sua piccola lente d’ingrandimento il bordo della vasca.
 “Io… Si. Si, l’ho visto bene.”
Per qualche attimo rimase in silenziosa riflessione, poi, riscuotendosi, estrasse il cellulare dalla tasca del pantalone.
“Greg, sono John.” Disse subito, appena l’ispettore alzò la cornetta.
“Non ti ho detto di chiamare Lestrade.” Lamentò il detective, ancora immerso nell’osservazione minuziosa dell’ambiente.
“C’è un uomo morto dentro quella vasca da bagno! Cosa credi che dovrei fare, andare a preparare il tea?”
Grugnì risentito per l’occhiata che gli lanciò Sherlock e si concentrò nello spiegare sommariamente la situazione a Lestrade.
“Arriveranno tra una ventina di minuti.” Informò, mentre estraeva dal taschino della camicia un piccolo taccuino ed una penna.
Iniziò a scrivere tutto quello che ricordava dell’uomo che aveva visto all’ambulatorio.
“Un metro e settantacinque circa; occhi marroni; capelli castani; setto nasale parzialmente deviato per trauma violento; cicatrice sotto la scapola sinistra.” Lesse il detective da sopra la sua spalla.
“È tutto quello che mi ricordo.”
“Occhi e capelli possono essere facilmente camuffati. Anche la cicatrice sulla schiena è inutile, la nudità non è contemplata nella società odierna.”
Il commento puntiglioso del detective stuzzicò i suoi nervi, ma riuscì a trattenersi dal controbattere.
Quando finalmente arrivò l’ispettore con i suoi uomini, Sherlock era intento a perlustrare gli effetti personali della vittima.
“Sherlock! Da quanto tempo sei qui ad inquinare le prove?!”
“Tre quarti d’ora, più o meno.”
La risposta sardonica del detective lo fece sospirare, esasperato.
“Non abbiamo toccato il corpo, né qualunque altra cosa in bagno. I tuoi uomini possono fare il loro lavoro senza preoccuparsi di nulla. Passerò domattina per rilasciare la mia dichiarazione.”
Detto ciò oltrepassò il detective e Lestrade, ignorando le loro espressioni sorprese.
Era troppo stanco per riuscire a sopportare l’ennesimo battibecco tra i due e la conseguente discussione che ne sarebbe nata tra lui e Sherlock.
Appena mise piede fuori fu investito da una ventata di pioggia fredda, che gli provocò un brivido lungo la schiena.
E la giacca era rimasta al 221B, ovviamente…
S’incamminò per la strada, senza aspettare di vedere se il detective lo stesse seguendo o meno.
“John.” Lo richiamò Sherlock alle sue spalle, ma lo ignorò caparbiamente.
Era stanco, affamato ed infreddolito, tutto quello che voleva era tornare a casa.
“Perché non hai la tua giacca?”
Una risata priva d’umorismo gli vibrò nel petto.
“Perché ho dovuto rincorrere qualcuno di mia conoscenza all’improvviso, ecco perché.”
“Sei indisponente.” Lo accusò il detective, spostando lo sguardo affilato lungo il suo volto.
Io sarei l’indisponente?” Disse, fermandosi in mezzo al marciapiede per fronteggiare l’altro.
“Sono tre giorni che t’inseguo per mezza città. Non mi hai quasi dato tempo di mangiare o riposare per più di cinque minuti. E quel tuo atteggiamento di prima? Quello era indisponente.”
Rimase ad osservare il volto del detective fino a quando un tuono non lo riscosse.
S’incamminò nuovamente lungo il marciapiede, stringendosi le braccia al petto nel tentativo di conservare un po’ di calore.
“John...”
Il tono del detective lo incuriosì, ma continuò caparbiamente lungo il suo tragitto.
Quando una mano si chiuse sul suo braccio, costringendolo a voltarsi, provò a protestare, ma la voce gli morì in gola.
Sherlock lo stava osservando con un’intensità tale da farlo sentire a disagio.
Seguì silenzioso i gesti dell’altro, notando come le lunghe dita sciogliessero con scioltezza acquisita il nodo della sciarpa.
“Scusa.” Mormorò mentre gli legava al collo la sua sciarpa,il tono così leggero da risultare difficile credere che appartenesse all’uomo davanti a lui.
Rimase per qualche istante a scrutare il volto stranamente ammorbidito del detective, mentre il profumo leggero della sciarpa gli rendeva leggera la testa.
“Andiamo a casa.” Disse semplicemente, incamminandosi per l’ennesima volta verso Baker Street.
Questa volta aspettò che il detective camminasse al suo fianco.

 
Spero sempre di pubblicare in tempi brevi, ma inizio a rendermi conto che lavorare, avere una parvenza di vita sociale e mantenere una casa decente tolgono molto tempo alla scrittura...
Problemi a parte, spero che le lunghe attese non vi scoraggino nella lettura di questa storia.
Ci tengo veramente molto e spero di non deludervi mai con i miei capitoli.
Una bacio a tutti =)
xoxo 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Identikit ***


Per la terza volta in soli quattro giorni varcò l’ingresso di Scotland Yard.
Riuscì a raggiungere l’ufficio di Lestrade dopo un attento slalom tra i vari agenti che affollavano il bureau, molto più frenetici del solito.
“Hey, Greg.” Salutò, accomodandosi sulla sedia davanti alla scrivania.
“John.” Ricambiò l’ispettore senza alzare gli occhi dal documento che stava leggendo.
“Come mai tutta questa commozione?”
Un grugnito contrariato abbandonò le labbra dell’uomo.
“Immagino tu non abbia visto il telegiornale.”
“Sai che è meglio tenere Sherlock lontano dalla televisione.”
Per un attimo credette che Lestrade volesse commentare ma, con una scrollata di spalle, sembrò ripensarci e gli passò invece il documento che fino a pochi secondi prima aveva trattenuto la sua attenzione.
“Cos’è?” Chiese, schiarendosi discretamente la voce.
“Qualcuno ha avvertito i giornali su cosa sta accadendo. Abbiamo respinto un’orda di giornalisti questa mattina solo con la promessa di una conferenza stampa tra un paio d’ore.” Il tono dell’ispettore trasmetteva tutta la sua insofferenza per quella situazione.
Poggiò il comunicato stampa sulla scrivania e offrì un sorriso rincuorante all’uomo.
“Riusciremo a prenderlo. Finirà presto.” Riuscì a dire prima di cedere ad un leggero colpo di tosse.
“Lo spero.” Gorgogliò l’altro da dietro la mano che aveva portato sul viso.
“Devo andare a consegnare questo foglio a Sally, quando torno stileremo l’identikit di questo psicopatico.”
Con un breve cenno della testa si congedò, lasciandolo da solo
nell’ufficio.
Attese in silenzio il ritorno dell’ispettore ma, dopo dieci minuti, decise di utilizzare in modo proficuo quel tempo.
Provò a riportare alla mente ogni particolare che si ricordava dell’uomo che la sera prima era entrato nel suo studio.
Ignorò il brivido che lo percorse alla consapevolezza di essere stato tanto vicino al serial killer e scavò nella sua memoria.
Quali erano le sue caratteristiche?
La sua altezza era ormai un fatto accertato ed occhi e capelli, come aveva ‘gentilmente’ sottolineato Sherlock, erano facilmente camuffabili.
Anche la cicatrice sotto la scapola era inutile, a meno che non
decidessero di far spogliare ogni probabile indiziato.
Un sibilo frustrato vibrò sulle sue labbra.
Doveva assolutamente ricordare particolari utili per catturare lo squilibrato che ancora si aggirava per la città in cerca di altre vittime.
Chiuse gli occhi per concentrarsi meglio e si estraniò dal rumoroso chiacchiericcio che proveniva da fuori l’ufficio, riducendolo ad un semplice brusio di sottofondo.
Si schiarì leggermente la gola e, con una leggera spinta dei piedi, iniziò a far girare la sedia su se stessa.
Riportò la memoria alla sera prima, ricostruendo nel modo più accurato possibile quei minuti così preziosi.
Ci volle qualche secondo di concentrazione, forse interi minuti, ma finalmente riuscì a visualizzare con chiarezza l’uomo.
Aveva un volto piuttosto squadrato, con pelle lievemente abbronzata e ciuffi di capelli che ricadevano scomposti sulle tempie.
Il taglio dell’occhio non era molto grande e il naso era piuttosto lungo, con il setto parzialmente deviato sulla destra.
Indossava un semplice giaccone nero e dei jeans chiari.
Gli sembrava di aver avvertito un odore dolce quando si era sollevato la camicia per farsi visitare.
Colonia? Deodorante?
Probabilmente deodorante, l’odore era diventato per un attimo più forte dopo che l’uomo aveva smosso i vestiti.
I capelli erano sicuramente castani, in quanto anche la leggera peluria dell’addome aveva il medesimo colore.
Non sapeva dire se portasse delle lenti a contatto colorate, ma ricordava d’aver visto spuntare un paio di occhiali dalla tasca della camicia.
C’era altro?
Corrugò la fronte, cercando di concentrarsi maggiormente, mentre si dava un’altra leggera spinta, riaumentando la velocità delle rotazioni.
Ricordava di aver visto un orologio in pelle marrone al polso sinistro dell’uomo e un cerotto sul dorso della mano.
“Che stai facendo?” Chiese improvvisamente Lestrade, facendolo sobbalzare.
Puntò subito i piedi a terra per frenare l’ennesima rotazione della sedia e, con lieve imbarazzo, portò gli occhi sulla figura dell’ispettore fermo sulla porta.
“È solo un metodo per massimizzare la memoria visiva che ho imparato da Sherlock.”
“Passate troppo tempo insieme.” Sbuffò l’uomo, riguadagnando la sua posizione dietro la scrivania.
“Allora, ci mettiamo al lavoro?”
La mezz’ora seguente fu passata a stilare l’identikit.
Elencava tutti i particolari che era riuscito a riportare alla mente, mentre Lestrade li immetteva in un programma che, in breve tempo, restituì loro quello che doveva essere il volto dell’assassino.
“Che dici, è lui?” Chiese, girando lo schermo del computer in modo che potesse vederlo.
Scrutò per qualche istante l’immagine.
“Gli occhi erano leggermente più piccoli, ma oltre a quello ci siamo.”
Dopo che la modifica fu apportata poterono finalmente stampare l’identikit del serial killer.
“Abbiamo finito, finalmente.” Esalò l’ispettore, osservando con soddisfazione l’immagine.
“Speriamo che ci aiuti a trovare in tempi brevi questo psicopatico.”
Annuì il suo consenso, alzandosi finalmente dalla sedia.
“Ti lascio al tuo lavoro. Tra poco devi presentarti alla conferenza stampa.”
“Oddio…” Gorgogliò l’uomo alle sue spalle, facendolo ridere.
“Aspetta.” Ingiunse quando ormai era sulla porta.
“Dai questo a Sherlock.”
Afferrò il plico che l’ispettore gli stava porgendo e lo soppesò con sguardo curioso.
“Cos’è?”
“Le immagini trovate sulle ultime due scene del crimine e tutto quello che il mio team è riuscito a reperire sul campo. Si lamenterà sicuramente dell’inaccuratezza del lavoro, ma è importante che li abbia comunque.”
Trattenne a stento un sorriso.
“Grazie.” Si limitò a dire, per poi congedarsi definitivamente ed avviarsi verso l’uscita.
Il vento che lo accolse fuori da Scotland Yard lo fece rabbrividire e stringere maggiormente nella giacca mentre aspettava l’arrivo di un taxi.
Durante il tragitto estrasse dal plico l’identikit e si premurò di annotare sul retro tutte le informazioni che non avevano potuto immettervi.
“Sherlock.” Chiamò, appena raggiunse l’appartamento al 221B.
Si addentrò nel salotto e, notato il detective, gli lanciò un’occhiata stranita.
L’uomo era seduto al contrario sulla poltrona, con le gambe poggiate allo schienale e la testa che sfiorava il pavimento.
“Che stai facendo?” Chiese, osservandolo sistemarsi meglio per non perdere l’equilibrio.
“Massimizzo le mie capacità deduttive.” Rispose con semplicità, senza neanche rivolgergli uno sguardo.
Un leggero sospiro sfuggì al suo controllo mentre appendeva la giacca nell’ingresso, per poi sedersi davanti al detective.
“Lestrade mi ha dato questo per te.”
Depositò il plico nella mano protesa del detective, osservandolo mentre lo sfogliava velocemente.
“Che lavoro grossolano.” Lamentò, continuando comunque a sfogliare le pagine.
Passarono alcuni minuti di totale silenzio prima che il dottore fosse sopraffatto dalla curiosità e si alzasse dalla poltrona per affiancare quella di Sherlock, cercando di adocchiare i fogli che teneva in mano.
“Sherlock, non riesco a vedere niente così.” Si lamentò, cercando di sporgersi maggiormente per carpire il contenuto dei documenti.
“Stenditi, riuscirai a leggere tranquillamente.”
Il dottore lo osservò per qualche istante, interdetto.
“Stai scherzando, vero?”
Tutto quello che ricevette in risposta fu un fine sopracciglio alzato.
“No, certo. Quando mai scherzi…” Borbottò mentre si inginocchiava e poi stendeva accanto alla poltrona, sistemandosi in modo da poter leggere senza problemi insieme al detective.
Rimase per qualche minuto in silenzio, leggendo attentamente tutte le informazioni che l’ispettore e i suoi uomini erano riusciti a racimolare.
“Aspetta.”
Il detective si bloccò a metà movimento, evitando di sfogliare ulteriormente il plico.
“Queste due immagini…” Mormorò, osservando attentamente la stampa.
Prese il foglio tra le mani e lo piegò in modo da far combaciare due lati delle immagini tra di loro.
“Sono una il continuo dell’altra.”
“Come lo sapevi?” Chiese il detective, osservando con cipiglio corrugato il foglio.
“Le ho già viste. Fanno parte di un unico quadro.” Disse mentre si alzava per raggiungere il computer sul tavolo.
“Ecco, è questo qui.”
Aspettò che Sherlock si fosse sistemato normalmente sulla poltrona prima di porgergli il computer.
“Interessante.” Mormorò pensoso il detective, scorrendo lo sguardo sulla nuova immagine.
“Cosa?”
“Ha voluto iniziare la sua opera prima di essere sicuro su come procedere.”
Il detective si alzò di scatto, lasciando il computer in bilico sul bracciolo della poltrona.
“Sherlock!” Ingiunse il dottore, protendendosi per non far cadere il portatile.
“Vuoi dire che non sa cosa sta facendo?” Chiese in un sospiro, mettendo in salvo il computer sul tavolo.
“Al contrario. Una persona che lascia immagini sacre, video e presta visite a chi gli da la caccia sa esattamente cosa sta facendo.”
Lo osservò per un attimo camminare a scatti per la stanza, digitando furiosamente sul suo cellulare.
“Ti spiacerebbe elaborare il discorso?” Chiese quando capì che non avrebbe ricevuto maggiori spiegazioni.
Il detective gli lanciò un’occhiata annoiata, ma si lasciò comunque ricadere sulla poltrona e riprese i documenti in mano.
“Questo suo castigo dei peccati capitali è troppo specifico perché non vi abbia prestato lunga attenzione. Molto probabilmente ha una lista con i peccati e le rispettive pene. Ha iniziato senza essere del tutto sicuro sul come mettere in scena la sua opera, però. Quindi è una persona impaziente.” Il tono di Sherlock era pensoso, troppo preso nello studio dei documenti per prestare vera attenzione alla conversazione in atto.
“In pratica stiamo cercando un pazzo che non vede l’ora di mettere le mani sulle sue vittime.” Sbuffò, combattendo il bisogno di schiarirsi la gola.
“Non proprio.”
Il detective aspettò di avere gli occhi del dottore su di sé prima di continuare il suo discorso.
“Per qualche motivo vuole attirare l’attenzione su di sé. Il fatto che in quattro giorni abbiamo già trovato tre vittime ne è la prova. Ogni più piccolo gesto che ha compiuto è stato perfettamente calcolato per farci avvicinare sempre di più a lui.”
“Stai dicendo che vuole essere trovato?” Chiese incredulo.
Non ricevette alcuna risposta.
Il silenzio che seguì fu interrotto dopo svariati minuti dal suono acuto del cellulare di Sherlock.
Il volto del detective si illuminò non appena lesse il messaggio e si alzò di slancio per recuperare cappotto e sciarpa.
“E adesso cosa c’è?” Mugugnò il dottore, afferrando anch’esso la propria giacca e seguendo l’altro in strada.
Riuscì a salire sul taxi per un soffio, chiudendo la porta quando ormai il veicolo era già ripartito.
“Dove stiamo andando?” Chiese, dopo essersi sistemato meglio.
“Binney Street.”
“Riceverò mai una risposta soddisfacente?”
Sussultò appena quando il detective gli posizionò il cellulare davanti agli occhi.
Sullo schermo campeggiava un messaggio di Lestrade.
“Hanno già trovato l’indirizzo dell’assassino?” Esclamò, stupito.
“Come diavolo hanno fatto a trovarlo così in fretta? No, aspetta… Avranno sicuramente mostrato l’identikit durante la conferenza stampa.” Bisbigliò concitato.
“Non importa come abbiano fatto, l’importante è che sappiamo dove andare. Probabilmente l’assassino avrà pensato di riuscire a depistarci per più tempo, ma ha fatto un passo falso di troppo.”
“Fortunati noi…” Mugugnò contro la propria mano.
“Quindi? Ci basta controllare questo indirizzo per trovarlo?” Disse poi in modo intelligibile.
La sua risposta fu un gesto distratto con la testa.
“Perfetto. E perché non aspettiamo Lestrade?”
“Arriverà a tempo debito.” Tagliò corto, osservando il veloce scorrere della strada dal finestrino.
Quando finalmente il taxi fermò la sua corsa si ritrovarono davanti ad un anonimo condomino, simile ai molti che affollavano la zona.
Salirono in silenzio fino al terzo piano, fermandosi davanti alla penultima porta sul fondo del corridoio.
“Christopher Auster.” Lesse sul campanello.
“Quindi, cosa facciamo? Suoniamo?”
La risposta del detective fu di inginocchiarsi davanti alla porta e cercare di aprirla.
“Ti piace proprio scassinare serrature…” Borbottò divertito, ma si immobilizzò quando sentì una voce provenire da dentro l’appartamento.
“Maledizione, è in casa?”
“È quello che volevamo.” Rispose in un soffio il detective.
“Davvero?” Chiese con tono sardonico.
“E cosa pensi di fare, adesso? Non so se hai notato, ma non ho la mia pistola.”
“Io si.” Disse, porgendogliela.
Prima che riuscisse ad aggiungere altro il detective spalancò la porta.
Davanti a loro si presentò un salotto nascosto nella penombra e dall’aria decisamente pesante.
Il tavolo al lato della stanza era ricoperto di varie carte e libri, alcuni in precario equilibrio, altri sparsi sul pavimento.
Sulla parete campeggiava una grande stampa di un dipinto.
“Sette peccati capitali. Hieronymus Bosh, 1520-1525.” Lesse dal bordo.
“È il dipinto che ha usato per le ultime due vittime.” Mormorò, adocchiando una porta vicino all’immagine.
Fece un segno a Sherlock e, lentamente, si posizionarono ai lati.
Allungò una mano sulla maniglia e, dopo un’ultima veloce occhiata al detective, aprì la porta di colpo, puntando la pistola di fronte a sé.
“Oddio… Ci siamo fatti fregare da un televisore acceso” Mormorò sollevato, abbassando la pistola.
“Controlla questa stanza. Io torno in salotto.”
Annuì, lanciando un’occhiata intorno a sé.
La stanza era piccola e l’arredamento consisteva in un letto, un comò di fronte ad esso e il tavolino vicino alla porta su cui era posto il televisore.
La sua ricerca nei cassetti del mobile non rivelò nulla di rilevante, come anche l’ispezione del letto.
“John, abbiamo il nome di altre tre vittime.” Lo accolse Sherlock, non appena fu rientrato nel salotto.
“Vuoi dire che le ha già uccise?” Chiese,adocchiando le carte che il detective stava studiando.
La risposta del detective si perse nella concitazione degli attimi successivi.
Dalla porta d’ingresso comparve un uomo, lo stesso che aveva visto nemmeno ventiquattro ore prima.
“Christopher Auster.” Sibilò tra i denti.
Il detective si girò verso la porta, giusto in tempo per vedere Auster estrarre una pistola dalla giacca e puntarla verso loro.
“Sherlock!”
Il dottore si protese sul tavolo e, con un movimento brusco, appiattì entrambi sui fogli che lo ricoprivano, facendo in modo che la pallottola si conficcasse nella parete alle sue spalle.
“Maledizione, sta scappando!”
Senza perdere un attimo si gettarono all’inseguimento dell’uomo.
“Auster, fermati!” Gridò il detective mentre percorrevano di corsa il corridoio.
“Devo ammetterlo, siete stati più veloci di quanto avessi pensato.”
Ponderò tranquillamente.
“Ma non posso ancora venire con voi, spiacente.”
“Sei sotto tiro.” Lo avvertì John, continuando a seguirlo lungo la seconda rampa di scale.
“Anche lei, dottore.”
Nella tromba delle scale lo sparo rimbombò a lungo, lasciando dietro di sé un inquietante silenzio.

 
Salve a tutti!
Mi scuso per questa lunghissima attesa, ma devo ammettere che questo capitolo mi ha fatto dannare tantissimo!
Spero che il risultato non sia deludente.
E si, ho chiuso il capitolo nel modo più cattivo possibile.
Suspance...
Un bacio a tutti.
xoxo

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Red Code ***


Tutto intorno era silenzio.
Il riverbero dello sparo si era ormai spento, tutto quello che ne rimaneva era una strana eco nella sua testa.
Sentì come in lontananza i passi di Auster affievolirisi sempre più, finché non furono del tutto interrotti dal pesante tonfo del portone.
"John?" Gli arrivò da dietro la voce di Sherlock.
Prese un lento respiro, pronto a rispondere al richiamo del detective, ma una fitta al fianco lo fece vacillare.
Portò una mano leggermente tremante ad aprire la cerniera della giacca e, subito, i suoi occhi furono catturati da una macchia rossa che si stava velocemente allargando sulla stoffa chiara del maglione.
Per qualche secondo osservò con stupita incredulità la chiazza cremisi, facendo aleggiare le dita a pochi centimetri da essa.
"Sherlock.." Riuscì a mormorare prima che una fitta di dolore gli spezzasse il repiro.
Si incurvò su se stesso, lasciando cadere la pistola dalla stretta ormai tenue della sua mano e artigliandosi il fianco con l'altra.
Provò a cercare il sostegno della parete, ma le dita scivolarono, facendolo sbilanciare in avanti.
Rotolò dolorosamente lungo la rampa di scale, stringendo i denti ogni volta che il suo corpo colpiva uno spigolo.
Quando finalmente raggiunse la base delle scale lasciò andare un respiro tremulo.
Rimase immobile per qualche attimo, cercando di distendere i muscoli per alleviare un po' del dolore che avvertiva.
"John!" Sentì Sherlock chiamarlo nuovamente.
Avvertì le dita affusolate del detective controllare con cauta febbrilità il suo stato generale e solo in quel momento si rese conto della forza con cui manteneva chiusi gli occhi.
Quando riuscì a rilassare i muscoli contratti del volto poté lanciare un'occhiata intorno a sé.
Il suo sguardo fu catturato dalla quantità di sangue che colorava le scale, decisamente troppo per provenire solo dalla sua ferita al fianco.
"Fermo, fermo. Non muoverti." Lo bloccò concitato l'altro quando provò a muovere un braccio.
"Lestrade, abbiamo un 10-53." Disse poi al telefono, continuando a tener ferma la sua mano in una stretta leggera.
Sentì il tono alterato dell'ispettore provenire dalla cornetta.
"John." Fu l'unica cosa che disse il detective dopo una lunga pausa, facendo poi scomparire il telefono in una delle tasche del cappotto.
Nei minuti che seguirono osservò Sherlock sfilarsi guanti e sciarpa ed utilizzare quest'ultima per fermare il lento flusso di sangue che ancora non si arrestava.
"Arrivano." Mormorò il detective, lanciandogli un'occhiata veloce.
"Tra poco saranno qui, John. Ci vorrà solo... Solo..."
La sua voce si spense lentamente, perso dietro il filo di un ragionamento che non riusciva a completare.
"Trentasette minuti." Riuscì a mormorare, trattenendo a stento un rantolo di dolore.
"Come?"
"Trentasette minuti. Il tempo che ci vuole per arrivare dal Barts a qui in macchina. In ambulanza forse trenta. Se accendono le sirene."
Si concedette di offrire al detective un sorriso rassicurante, deformato ai margini dall'ennesima fitta.
"Dovresti applicare più pressione." Aggiunse poco dopo, lanciando un'occhiata verso il suo fianco.
"Dovresti risparmiare le forze, non parlare di continuo." Gli rispose Sherlock, pigiando comunque con più fermezza la sciarpa sulla ferita.
"Tendo a parlare molto quando sono nervoso." Sibilò tra i denti, cercando di muovere un po' il fianco in cerca di una posizione meno dolorosa.
"John." Lo richiamò Sherlock, bloccando con cautela i suoi movimenti.
"John!" Ripeté con voce più ferma, riuscendo ad intrecciare i loro sguardi.
"Andrà tutto bene."
La risata che tossì fra i denti gli fece guadagnare un'occhiata confusa e severa da parte del detective.
"Scusa." Mormorò, riprendendo fiato.
"Ma l'ultima volta che mi hanno detto quelle parole sono finito su un letto d'ospedale a Kandahar per quasi tre mesi con nessuna prospettiva di reintegro nella mia posizione."
Per qualche attimo gli occhi del detective lo osservarono attentamente.
"Non siamo in Afghanistan." Disse lentamente.
"Tra qualche minuto arriverà l'ambulanza. In poche settimane sarai di nuovo a rincorre criminali per Londra."
Un'altra risata scivolò tra le sue labbra, molto più leggera della precedente.
"Se è l'unico consulente investigativo al mondo a dirmi tutto questo, allora deve essere vero."
Il tenue sorriso che nacque sul suo volto fu ricambiato da uno più incerto, ma non meno sincero.
Il silenzio che ne seguì fu calmo, quasi confortante.
Lasciò scivolare lo sguardo dal volto del detective, alle scale dipinte di rosso, alla porta da cui Auster si era dileguato chissà quanti minuti prima.
"È scappato." Mormorò improvvisamente, senza spostare gli occhi dalla porta.
"Non importa." Fu la risposta che arrivò dopo qualche secondo di silenzio.
Rimase in silezio, troppo stupito dalla risposta del detective per riuscire a trovare qualcosa da dire.
Dopo qualche minuto serrò le palpebre, infastidito dal mal di testa che la luce gli aveva lentamente provocato.
Sentiva il corpo sempre più pesante, come se il sonno lo stesse pian piano trascinando nell'oblio.
"John!"
La voce di Sherlock lo riscosse, spingendolo ad aprire stancamente gli occhi.
"Cosa?"
"Sono qui. Sento le sirene. Non addormentarti, ok?" Gli chiese con tono pressante.
"Non stavo dormendo..." Protestò debolmente, perdendo la lotta per mantenere gli occhi aperti.
"John!"
Avvertiva le mani di Sherlock scuoterlo con vigore, ma non riusciva a rispondergli.
Era stanco, troppo stanco.
Pian piano una pesante coperta nera si appropriò della sua mente...
"JOHN!" Provò nuovamente a scuotere il dottore, ma non riuscì ad ottenere nessuna risposta.
"No, no, no, no." Inziò a ripetere concitato mentre controllava le funzioni vitali.
Il polso era debole, ma ancora presente e il respiro era leggero e fin troppo breve.
Il silenzio dell'androne fu improvvisamente rotto da voci e passi concitati, ma nonostante ciò non staccò gli occhi dal volto pallido del dottore
"Signore, si allontani." Ingiunse qualcuno.
Ignorò la voce, rimanendo immobile al fianco dell'amico, le mani ancora impegnate a premere la sciarpa sulla ferita.
"Oddio..." Sentì la voce familiare di Lestrade esalare a pochi passi da lui.
Un paramedico si approfittò di quel piccolo momento di distrazione, riuscendo ad allontanarlo e prendere il suo posto.
"Deve dirci cosa è successo." Chiese uno degli uomini che circonadavano il corpo inerme di John.
"Lui... Auster gli ha sparato al fianco. È... È caduto per le rampe di scale. Ha sbattuto la testa. È svenuto da un paio di minuti." Rispose confusamente, stringendo la sciarpa tra le dita.
In quelli che gli sembrarono pochi attimi John fu munito di collare e caricato su una tavola spinale.
Seguì i paramedici fuori dall'edificio, ma, quando provò a salire sull'ambulanza, fu bloccato fermamente.
Seguì con sguardo impotente le sirene lampeggianti allontanarsi, lasciandolo solo al bordo della strada.
Passarono diversi minuti prima che avvertisse la voce di Lestrade richiamarlo, distogliendolo dalla silenziosa contemplazione delle sua mani.
Erano completamente ricoperte di sangue.
Il sangue di John.
"Sherlock." Riprovò l'ispettore, reclamando la sua attenzione con un lieve tocco sulla spalla.
"Andiamo." Disse improvvisamente, incamminandosi velocemente sulle scale.
"Sherlock!"
Salì velocemente le scale, evitando con attenzione maniacale le chiazze rosse che le coloravano.
"Cosa diavolo stai facendo?" Chiese Lestrade quando furono all'interno dell'appartamento di Auster.
"Auster. Ha segnato i nomi delle sue prossime vittime. Questi fogli, tutta questa stanza, è il lavoro di qull'uomo." Rispose concitato mentre cercava febbrilmente il foglio su cui aveva notato la lista di nomi.
"Era qui, dannazione." Mormorò, sparpagliando documenti ovunque.
"Sherlock, calmati. Stai inquinando le prove."
Ignorò il richiamo, estraendo da una pila di fogli quello che stava cercando.
"Questi sono i nomi che Auster ha indicato come prossime vittime. Dobbiamo mandare delle pattuglie a questi indirizzi per intercettarlo."
"Sherlock.." Iniziò incerto Greg.
"Cosa stai aspettando?!" Chiese affannato, osservando attentamente l'ispettore seguire finalmente le sue direzioni.
"Ho mandato delle unità sul posto. Ci faranno sapere a breve."
"Ok, ok." Esalò, passandosi una mano tra i capelli.
"Fermo." Lo bloccò Lestrade, passandogli un fazzoletto.
"Le tue mani..." Indicò con tono incerto.
Si pulì le mani lentamente, osservando con sguardo perso la stoffa del fazzoletto tingersi di rosso.
"Vuoi parlarne?" Chiese cauto Greg.
"Mi sta chiedendo se voglio rilasciare adesso la mia dichiarazione, ispettore?"
"No." Rispose calmo, ignorando il tono gelido.
"Ti sto chiedendo se hai bisogno di parlare. Con un amico." Chiarì.
Gli occhi del detective si puntarono sull'uomo, fissi in uno sguardo impenetrabile.
"L'appartamento era vuoto." Disse dopo lunghi attimi di silenzio, spostando lo sguardo sulla stampa del dipinto di Bosh.
Lestrade rimase silenzioso, in ascolto.
"Stavo controllando queste carte." Disse, passando lievemente le dita sulla pila di fogli che penzolavano dai bordi del tavolo.
"Auster ci ha sorpresi qui. Ha aperto il fuoco." Continuò, spostando l'attenzione sui fori che le pallottole avevano provocato nel muro.
"John ci ha appiattiti sul tavolo, poi lo ha inseguito per il corriodio. Io li ho seguiti."
Si allontanò dal tavolo per avvicinarsi alla porta ancora aperta.
"Ci ha detto che era troppo presto per venire con noi. Ha aperto il fuoco." Si interruppe brevemente per raccogliere un respiro un po' più tremulo rispetto agli altri.
"Il resto lo hai sentito prima." Concluse, il tono più duro e secco.
"Starà bene, Sherlock." Cercò di rassicurarlo Lestrade.
"Davvero? Da quando hai una laurea in medicina?" Replicò con astio, passandosi nuovamente le mani tra i capelli.
Sentì gli occhi dell'ispettore rimanere a lungo su di lui, ma nulla fu aggiunto alla conversazione.
Dopo un po' sentì l'ispettore spostarsi verso il tavolo e un leggero fruscio di carta riempì il silenzio della stanza.
Non si voltò a guardare l'inutile tentativo dell'uomo di trovare il sistema che Auster aveva utilizzato per il suo insano disegno, semplicemente rimase immobile vicino alla porta.
Lasciò cadere nuovamente lo sguardo sulle mani ancora parzialmente colorate di rosso, prendendo un lento respiro tremulo.
"Ok..." Mormorò d'improvviso, girandosi di scatto verso Lestrade ed unendosi a lui nell'analisi dei documenti di Auster.
Iniziò a comporre delle pile disordinate con tutti i fogli dal contenuto simile, distruggendo il lavoro che l'ispettore aveva fatto fino a quel momento.
Il tempo sembrò dilatarsi e la sua mente si perse dietro il filo di nuovi ragionamenti che ogni nuovo documento gli suggeriva.
Quando giunse al visionamento dell'ultimo foglio chiuse gli occhi, iniziando a catalogare tutte le informazioni che aveva acquisito all'interno del suo Mind Palace.
Un leggero suono lo distrasse per un attimo, ma lo rilegò alla perifieria della sua percezione, continuando ad elaborare quella che sperava essere la soluzione finale del caso.
"Sherlock!" Lestrade si intromise di prepotenza nei suoi pensieri, scuotendolo per una spalla.
"Ero nel mio Mind Palace, Lestrade. Non devi mai intrometterti quando sono nel Mind Palace." Sibilò, allontanandosi dalla presa dell'uomo.
"Nemmeno quando ho novità sul caso?" Chiese piccato l'altro, indicando il telefono illuminato che stringeva in mano.
Il detective gli lanciò un'occhiata truce, ma non aggiunse altro.
"Le mie pattuglie sono arrivate ai tre indirizzi che gli ho indicato." Iniziò Lestrade, pacato.
Sherlock lo seguì con lo sgurado.
"Due delle persone indicate sono state trovate morte nei loro appartamenti." Continuò, lanciando un'occhiata al telefono per leggere velocemente qualcosa.
"Isaac Rosen, 34 anni. Morto carbonizzato vicino alla centralina elettrica del su condominio. I miei uomini pensavano fosse stato un incidente, ma vicino al corpo hanno trovato un immagine sacra, come le altre volte."
Girò brevemente il cellulare nella sua direzione lasciandogli vedere la foto sfocata del disegno.
Gli occhi gli scattarono automaticamente verso la stampa attaccata al muro.
"Abbiamo il nostro peccatore d'Ira." Disse, riconoscendo il quadrante corrispondente.
L'ispettore annuì brevemente, umettandosi le labbra.
"Ben Kinsey, 48 anni. È stato trovato nel giardino sul retro della sua abitazione. Sembra che Auster si sia divertito ad imporgli un collirio a base di acido. Presumibilmente morto per emorragia. Tra le mani stringeva questa immagine."
"Invidia." Constatò, collegando la foto alla gemella sulla stampa di Bosh.
"Cinque vittime, il cerchio si stringe." Mormorò, continuando ad osservare l'immagine attacata al muro.
"Non è finita qui, Sherlock." Lo richiamò Lestrade.
"La terza pattuglia ha trovato padre Lloyd in una pozza di sangue sul letto della sua sacrestia. Auster lo ha costretto ad evirarsi da solo." Disse in un brivido, riponendo il telefono in tasca ed estraendone le chiavi della macchina.
"Come fanno i tuoi uomini a dire che è stato costretto a farlo da solo?" Chiese scettico.
"È stato trovato sul suo letto. Vivo." Chiarì, avviandosi verso le scale.
Il detective lo seguì a breve distanza.

 
Salve a tutti =)
Mi spiace per l'attesa biblica, ma ho avuto più difficoltà del solito a trovare del tempo libero per scrivere >_<
Questo capitolo, tra l'altro, mi è risultato il più difficile da scrivere in quanto volevo conferire a Sherlock un lato più umano rispetto ai capitoli precedenti e, se devo essere sincera, non sono convinta al 100% del risultato quindi rimetto a voi il giudizio.
Il caso sta iniziando a volgere verso la sua conclusione e tutti i punti in sospeso saranno finalmente svelati =)
Spero che siate ancora interessati a questa storia, se così fosse vi ringrazio infinitamente per la pazienza che mi riservate =)
xoxo

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Visits ***


"Padre Lloyd è attualmente in sala operatoria." Esordì Lestrade, comparendo da dietro l'angolo del corridoio.
"Ne avranno per delle ore."
Il detective accolse la notizia con un breve cenno del capo, continuando a camminare nervosamente lungo la fila di finestre che si apriva su un lato del corridoio.
"Penso che potremo parlare con lui non prima di domani." Aggiunse, sedendosi stancamente su una sedia poco distante e seguendo con lo sguardo il tragitto ripetitivo dell'altro.
"Ho anche parlato con il medico di John." Offrì Greg con tono cauto dopo vari minuti di silenzio.
Sherlock bloccò i suoi passi, senza però voltarsi verso di lui.
"L'operazione è andata bene." Disse subito, conscio della tensione che si era impadronita delle spalle del detective.
"L'hanno portato da poco nella stanza 116. Diminuiranno gradulamente il dosaggio dei farmaci per farlo risvegliare senza rischi." Concluse, osservando la schiena rigida di Sherlock rilassarsi appena.
"Bene, è meglio che vada. Ho una pila di verbali da compilare che mi aspetta." Soggiunse quando capì che Sherlock non avrebbe detto niente.
"È orario di visite ancora per mezz'ora." Disse come saluto, scomparendo dietro l'angolo da cui era venuto.
Non appena i passi dell'ispettore si furono allontanati si mise in moto.
Quando finalmente raggiunse la camera 116 si fermò, osservando per qualche istante i numeri impressi sul legno.
Prese un breve respiro e, allungata la mano, aprì la porta.
La luce era parzialmente ostruita dalle leggere tende e l'aria era densa dell'odore di disinfettante.
Gli occhi del detective saettarono subito sul letto poggiato sul lato destro della stanza.
John era lì, con il viso pallido attraversato da una cannula nasale e una flebo di fisiologica attaccata al suo braccio.
Si avvicinò lento, sedendosi sullo sgabello vicino alla sponda del letto.
Rimase in silenziosa osservazione, spostando periodicamente l'attenzione dal monitor del pulsossimetro, al lento gocciolare della flebo, al viso disteso di John.
"Auster ha commesso un altro passo falso." Esordì, impacciato.
"La sua ultima vittima è qui in ospedale. Ma non potremo parlarci fino a domani." Continuò, con tono lieve.
Lasciò passare alcuni minuti in silenzio, incerto su ciò che avrebbe potuto dire.
Allungò lentamente una mano, sfiorando lievemente il dorso di quella del dottore.
"John..."
"Oh, non sapevo che il signor Watson avesse visite."
La voce che improvvisamente ruppe la quiete della stanza lo fece sobbalzare e, velocemente, ritirò la mano.
"Mi spiace, ma devo chiederle di andarsene. L'orario delle visite è terminato." Aggiunse l'infermiera quando ebbe raggiunto i piedi del letto.
La osservò per qualche attimo mentre controllava la flebo e il tracciato del pulsossimetro, per poi alzarsi lentamente dallo sgabello.
"Aspetti!" Lo fermò la donna quando aveva ormai raggiunto la soglia della porta.
"Può tornare domattina, se vuole."
"Grazie." Rispose asciutto, lanciando un ultimo sguardo al dottore.
Abbandonò velocemente l'ospedale, cercando subito un taxi per raggiungere Baker Street.
Quando fu arrivato notò il battente del portone stranamente dritto.
Salì rapidamente i diciassette scalini per raggiungere il 221B e, aperta la porta con veemenza, si diresse deciso in cucina.
"Salve Mycroft, quale sgradita sorpresa."
"Buon pomeriggio, Sherlock." Rispose tranquillo il fratello, seduto sulla sua poltrona.
"Cosa ti porta qui?" Chiese guardingo, poggiando distrattamente la sciarpa scura di sangue all'interno dell'acquaio.
Gli occhi di Mycroft seguirono il suo movimento, attenti.
"Come sta il dottore?"
Le spalle del detective si tesero impercettibilmente.
"Sempre a mettere il naso negli affari altrui, vedo." Commentò aspro, raggiungendo rigidamente la poltrona di John.
"Sei stato tu a mettermi in mezzo a tutto questo." Puntualizzò tranquillamente.
"Ricordo di aver fatto una telefonata al direttore Finaldi non più di quattro giorni fà."
"Stanne fuori, Mycroft. " Disse freddo, stringendo le dita sul bracciolo della poltrona.
"Sherlock." Sospirò l'uomo, passando l'ombrello da una mano all'altra.
"Sai che potrei aiutarti. Non serve che tu sia così testardo."
"Stanne. Fuori." Ripeté secco, lanciandogli un'occhiata glaciale.
L'uomo resse il suo sguardo per lunghi secondi, impassibile.
Quando Mycroft liberò un sospiro costernato e, lentamente, si alzò dalla poltrona, Sherlock rimase immobile, seguendolo solo con gli occhi.
"Prima o poi capirai che non sono tuo nemico, fratellino." Commentò desolato, incamminandosi lentamente verso l'uscita.
Non appena il tenue tonfo della porta decretò l'uscita di scena di Mycroft dal 221B, una serie di passi veloci risuonarono per la breve rampa di scale, annunciando l'arrivo di Mrs. Hudson.
"Come sta, Sherlock?" Chiese la donna quando raggiunse finalmente la porta dell'appartamento.
Il detective la ignorò, portandosi davanti al pannello che lui e John stavano utilizzando per raccogliere tutti gli indizi sul 'caso Auster'.
"Suo fratello mi ha detto di John." Continuò con tono preoccupato.
"Mio fratello ama intromettersi in cose che non lo riguardano." Commentò aspro, senza rivolgerle una sola occhiata.
"Questo vostro antagonismo è così puerile." Sospirò sconsolata, iniziando ad aprire i pensili della cucina.
"Non voglio il tea." Disse con tono annoiato, girandosi finalmente verso di lei.
"Oh, ma un buon tea aiuta sempre. Ma solo questa volta. Non sono la governante, dopotutto." Puntualizzò, continuando il suo operato.
Quando una tazza fumante fu posata sul tavolino, insieme a dei sandwich, storse la bocca.
"Non ho fame." Ribadì, quando Mrs. Hudson gli avvicinò incoraggiante il piatto col cibo.
"Ma sono giorni che non la vedo mangiare! Le serviranno forze per catturare il criminale che ha fatto del male al nostro John." Protestò la donna, preoccupata.
Il detective non rispose, semplicemente allungò una mano e prese un sandwich, iniziando a dargli piccoli morsi.
"Bene, la lascio mangiare tranquillamente." Si congedò la donna.
"Dovrebbe anche dormire." Aggiunse, chiudendo delicatamente la porta dietro di sé.
Continuò a masticare lentamente, osservando con sguardo perso la poltrona vuota davanti a lui.
Quando ebbe finito lasciò tutto sul tavolino e, abbandonata la giacca sui cuscini del divano, si avviò su per gli scalini.
La camera di John era piccola, ma accogliente, con un unico maglione sulla sedia della scrivania ad intaccarne il perfetto ordine.
Si avvicinò lentamente al letto e, senza togliersi nemmeno le scarpe, vi si lasciò scivolare sopra.
Si svegliò poche ore dopo, le prime luci dell'alba che filtravano pigramente dalle tende semi-aperte.
Quando rientrò lentamente in salotto lasciò vagare lo sguardo in giro, senza soffermare l'attenzione su nulla in partiolare, ma quando gli occhi caddero sul pannello degli indizi si bloccò.
Lasciò vagare lo sguardo sulle varie stampe e appunti, collegandoli mentalmente con le carte che aveva trovato nell'appartamento di Auster il giorno prima.
Un'idea attraversò velocemente la sua mente e, come una molla, balzò in avanti.
Recuperò il plico che la mattina precedente aveva abbandonato sul tavolino ed iniziò ad inserirvi disordinatamente tutti i documenti relativi al caso.
Quando ebbe finito recuperò giacca e cappotto, raggiungendo velocemente la strada.
"New Scotland Yard." Disse secco al tassista, ancor prima di aver chiuso la portiera dietro di sé.
Passò il tempo della corsa a sfogliare i documenti che aveva recuperato, continuando a collegare gli indizi all'interno del suo Mind Palace.
Quando il taxi si fermò gettò alcune banconote verso l'autista, entrando velocemente dentro alla centrale di polizia.
Si mosse sicuro tra le scrivanie del bureau, chiudendosi la porta dell'ufficio di Lestrade alle spalle non appena lo raggiunse.
Nei minuti in cui rimase in attesa dell'ispettore si mise a spargere fogli per tutta la scrivania, ricostruendo così il pannello che poco prima aveva smontato dalla parete del suo salotto.
Si allontanò dal suo operato di una paio di passi, osservando pensoso quel mosaico di documenti.
Quando la porta alle sue spalle cigolò lievemente non si girò.
"Sherlock." Esordì Lestrade, stupito.
"Come mai qui?" Chiese, raggiungendo la sua sedia.
"Abbiamo un caso su cui lavorare." Replicò asciutto,continuando ad osservare il mosaico.
"Ed è il motivo per cui hai fatto esplodere una copisteria nel mio ufficio?" Si lamentò, adocchiando sconfortato la confusione che il detective era riuscito a creare nei pochi minuti in cui si era assentato.
"Mi serve poter avere sottocchio il quadro completo delle mosse di Auster." Replicò, girandosi su se stesso.
"E devi farlo qui perché...?" Si informò, cercando di recuperare i documenti di cui aveva bisogno da sotto una pila di fogli.
"Lavoro meglio quando posso parlare con qualcuno." Rispose meccanicamente, lanciando un'ultima occhiata intorno.
"Dove sono i documenti di Auster?" Chiese, quando si rese conto della loro assenza nell'ufficio.
"I miei ragazzi li stanno impacchetando in questo momento." Sospirò, lasciandosi andare stancamente contro lo schienale della sedia.
"Cosa?!" Tuonò il detective.
"È passato un giorno! Cosa avete fatto finora?"
"Catalogato ogni singola prova all'interno dell'appartamento?" Chiese calmo l'ispettore, segnando qualcosa sul documento che stava leggendo.
"Tutto questo tempo?" Ribadì Sherlock, muovendosi nervosamente per la stanza.
"Sherlock." Sospirò Lestrade, abbandonando il suo documento.
"Capisco che tu voglia prendere Auster, soprattutto dopo quello che ha fatto a John." Disse serio, alzandosi dalla sedia ed avvicinandosi a lui.
"Ma questo non deve intaccare il lavoro che stiamo facendo. Dobbiamo muoverci con cautela."
"Come se il tuo team lavorasse bene." Ribatté aspro il detective, allontanandosi di un passo dall'uomo.
"Fanno il loro meglio." Intercesse.
Nel silenzio che seguì, Lestrade tornò sulla sua sedia, osservando la composizione di fogli che aveva creato l'altro.
"Hai detto che lavori meglio se puoi parlare con qualcuno." Iniziò, facendo scivolare lo sguardo sulle varie immagini e sugli appunti che riempivano la scrivania.
"E volevi le carte di Auster." Continuò.
"Hai una teoria, vero?"
"Che domanda inutile." Borbottò il detective, roteando gli occhi.
"Vuoi condividerla?" Chiese, trattenendo uno sbuffo.
"A che scopo? Non abbiamo i documenti, non posso controllare." Ribatté aspro.
"Tu spieghi, io controllo." Disse tranquillo Lestrade.
"Ma davvero? E io cosa dovrei fare?" Chiese stizzito, lanciandogli un'occhiata affilata.
"Una doccia." Fu la semplice risposta.
Un fine sopracciglio si arcuò verso l'alto.
"Sherlock, lo so che consideri la mia capacità osservativa pari a quella di un bambino, ma anche io riesco a vedere che porti ancora i vestiti di ieri." Disse l'ispettore, lanciandogli un'occhiata comprensiva.
"Siete diventati tutti mamme chiocce?" Domandò esasperato, passandosi una mano tra i capelli.
La domanda non trovò risposta e, dopo qualche attimo di silenzio testardo, sbuffò.
"Ho trovato il collegamento tra le vittime." Esordì, iniziando a prendere delle carte dalla scrivania.
"C'è un collegamento?" Chiese stupito Lestrade, ricevendo un'occhiata affilata da parte del detective.
"Tra gli effetti personali delle vittime c'era sempre il solito depliant." Continuò, mostrando i documenti che aveva raccolto.
Erano i vari depliant ritrovati tra gli effetti personali delle vittime.
"Sono tutti su un gruppo di ascolto cattolico." Osservò l'ispettore, facendo scorrere lo sguardo attento sui fogli.
"Gestito da padre Lloyd." Sottolineò Sherlock.
"Ha saputo come muoversi. Era all'interno della parrocchia, forse dentro il gruppo stesso, ed ha studiato i suoi soggetti con attenzione prima di dare il via al suo progetto." Concluse Sherlock, abbandonando i documenti sulla scrivania.
"Che bastardo." Mormorò Lestrade, passandosi una mano sul viso.
"Bene, abbiamo qualcosa su cui muoverci." Sospirò subito dopo, alzandosi dalla sedia.
"Dove stai andando?" Chiese Sherlock, osservando l'ispettore avvicinarsi alla porta dell'ufficio.
"Devo controllare a che punto sono i miei uomini con i documenti di Auster." Rispose l'uomo mentre recuperava la giacca dall'attaccapanni.
"E a controllare tutte le informazioni che abbiamo sulla vita di questo psicopatico." Aggiunse, aprendo la porta.
"Vengo con te." Disse subito, raggiungendo l'uomo.
"Non se ne parla. Torna a casa."
"E fidarmi del lavoro degli agenti di Scotland Yard?" Chiese gelido.
"Dovresti imparare ad adattarti." Ribatté Lestrade.
"E torna a casa a farti una doccia!" Aggiunse, sparendo tra la confusione che animava il bureau.

 
No, no è un miraggio.
Ho veramente pubblicato in tempi umani.
Lo so, non succede nulla, ma siamo alle battute finali della storia e condensare tutto in due capitoli non mi piaceva come idea :-\
Penso di potervi dire che ci rileggiamo a breve anche per il prossimo capitolo, visto che ne ho già scritto più di metà ;-)
Grazie a tutti =) <3
xoxo

 

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Vis-à-vis ***


"Non voglio più mettere piede in un ospedale." Sospirò sollevato, conquistando il centro del salotto.
"Hai un controllo tra quindici giorni." Giunse la voce di Sherlock alle sue spalle, seguita dal lieve tonfo della porta.
"Sono un dottore. Posso controllare da solo se le ferite si stanno rimarginando senza complicazioni." Sottolineò testardo, sedendosi lentamente sulla poltrona.
Il detective gli lanciò un lieve sorriso, scomparendo dietro la porta a vetri.
"Sono colpito." Disse dopo qualche minuto, lasciando vagare lo sguardo in giro.
"Di cosa?" Chiese il detective dalla cucina.
"Non hai distrutto l'appartamento." Rispose, mantenendo a stento un tono serio.
"Sei stato via una sola settimana." Ribatté l'altro, rientrando nel salotto.
"Tieni." Aggiunse con tono lieve.
Gli occhi del dottore seguirono meravigliati le mani del detective mentre poggiavano delicatamente una tazza di tea sul tavolino.
"Grazie." Rispose stupito.
Avvolse le dita attorno alla ceramica calda, sorseggiando cautamente il liquido zuccherino.
Lasciò vagare gli occhi per la stanza, soffermandoli curiosi sul pannello degli indizi stranamente vuoto.
"Dove sono finiti tutti i nostri documenti?"
"Nell'ufficio di Lestade." Rispose semplicemente l'altro, sedendosi anch'esso sulla poltrona.
"Ah. E come procede il caso?"
Il detective lo osservò a lungo con sguardo serio.
"Vuoi davvero parlarne." Disse infine, lanciando un'occhiata stupita al dottore.
"Perché non dovrei?" Chiese curioso.
"Auster ti ha sparato." Rispose con uno strano tono.
John si limitò ad osservarlo, le sopracciglia arcuate per sottolineare la sua confusione.
La resa del detective arrivò con uno sbuffo.
"Sappiamo che Auster ha scelto le sue vittime da un gruppo di ascolto religioso guidato da padre Lloyd, l'unico ad essere sopravvissuto al gioco del nostro serial killer." Iniziò Sherlock, portando le mani congiunte sotto il mento.
"Lestrade si è occupato di interrogare il prete, ma non ne è venuto fuori molto. Sembra che Auster gli si sia presentato con una scusa. Lo ha minacciato con una pistola, costringendolo ad evirarsi da solo."
"Dio..." Esalò il dottore mentre un brivido attraversava la sua schiena.
"Ed Auster? Nessuna idea di dove possa essere?"
"Nascosto da qualche parte a progettare il suo prossimo omicidio. Lestrade non ha trovato ancora nulla che possa ricondurci a lui."
Il dottore lo osservò per qualche attimo con cipiglio pensieroso.
"E tu?"
"Io, cosa?"
"Cosa hai scoperto? Fai sempre ricerche sotto il naso di Greg."
Il detective accavallò le gambe, spostando lo sguardo da quello del dottore.
"Mi ha messo all'angolo." Mugugnò risentito, lanciandogli una veloce occhiata.
"Ti ha messo all'angolo?" Ripeté, stupito.
"No, aspetta. Ti sei lasciato mettere all'angolo? Non è da te." Si corresse, lanciando una lunga occhiata al detective.
"Non ero al mio massimo. Non mi sembra nulla su cui prolungarsi oltre." Rispose rigido Sherlock, lanciandogli un'occhiata incerta.
Gli occhi del dottore studiarono attentamente l'amico, scorgendone la linea stanca delle spalle e il colorito leggermente più pallido delle guance.
Lasciò andare un tenue sospiro e, lentamente, si alzò dalla poltrona per avvicinarsi a quella dell'altro.
"Potresti alzarti?" Chiese con tono lieve.
Sherlock lo studiò per qualche istante, incerto.
"Non voglio mangiarti, sai." Ironzzò il dottore, scorgendo la sua esitazione.
"Ne sono consapevole." Rispose il detective, alzandosi.
"Ma grazie per la rassicurazione."
Le labbra di John si arcuarono in un sorriso divertito e, dopo un breve attimo di stallo, avvolse le braccia intorno all'amico, eliminando la distanza tra di loro.
"Sarebbe meno strano se tu rispondessi all'abbraccio." Mugugnò il dottore senza muoversi dal petto del detective.
"Oh, giusto."
Le braccia del detective si avvolsero delicatamente attorno alle sue spalle, spingendolo ad avvicinarsi un po' di più al suo calore invitante.
"Grazie." Disse lievemente, senza muoversi ancora.
"John, non..."
"Potresti, per una volta, evitare di polemizzare?" Chiese con finto fastidio.
Il detective rispose con un semplice movimento della testa, stringendo un po' di più le dita attorno alla stoffa del maglione sulle sue spalle.
Rimase per qualche attimo ad assaporare il calore di quel gesto, poi, schiarendosi imbarazzato la gola, lasciò andare la presa.
"Si, beh, forse... Forse è meglio se vado a riposarmi un po'." Borbottò, lanciando un sorriso impacciato al detective.
Salì lentamente le scale, stando attento a non far tirare troppo i punti sul suo fianco.
Quando raggiunse la sua stanza si diresse subito verso il letto, sfilandosi solo le scarpe prima di stendersi cautamente.
Con gli occhi fissi al soffitto lasciò che i suoi muscoli si rilassassero, lasciandogli sentire la stanchezza che li permeava.
Respirò lentamente, stupendosi nel sentire l'odore di Sherlock ancora così intenso.
"Cosa...?" Mormorò confuso, lasciandosi rotolare su di un fianco.
Premette il naso sul cuscino, ritrovandoci le tracce fruttate dello shapoo del detective.
"Quello stupido." Borbottò, lasciando che le palpebre si chiudessero lentamente.
Quando riaprì nuovamente gli occhi trattenne a stento un grido.
Sherlock era seduto sulla scrivania, i piedi poggiati sulla sedia e i gomiti posati sulle ginocchia.
Lo stava osservando attentamente, senza spostare lo sguardo dal suo viso.
"Sherlock." Lo richiamò, alzandosi a sedere sul letto.
"Ha chiamato Lestrade." Disse il detective, continuando a scrutarlo attento.
"Qualcosa di nuovo?" Chiese, passandosi una mano sul viso per scacciare via i residui di sonno.
"Solo l'ulteriore conferma dell'inettitudine di Scotland Yard. Vuole che vada a dare delucidazioni su alcuni dei documenti che Auster aveva sparpagliato per il suo salotto."
"Oh, beh... Buona fortuna." Ironizzò, lasciando scivolare i piedi oltre il bordo del letto.
Il detective si alzò velocemente dalla sua postazione, senza abbandonare la presa del suo sguardo dal volto del dottore.
"Ci metterò poco." Disse, uscendo dalla sua stanza.
Il dottore rimase seduto sul letto, osservando confuso la porta.

[...]

"L'intelletto medio della polizia si sta abbassando ulteriormente." Si lamentò appena raggiunse la cucina del 221B.
"Ho dovuto spiegare la stessa cosa tre volte. Tre volte." Continuò scocciato, riempiendosi un bicchiere d'acqua.
"Nel tempo che ho perso avrei potuto continuare il mio esperimento sulla coagulazione del sangue a diverse temperature."
Prese un sorso e, confuso dalla mancanza di una risposta, si avviò in salotto.
"John?"
Il silenzio dell'appartamento fu rotto dall'infrangersi del bicchiere sul pavimento.
Sulla parete del salotto, sul pannello che avevano utilizzato per collezionare gli indizi del caso, campeggiava la stampa di un'immagine.
Si avvicinò lentamente e, arrivato a pochi passi, allungò le dita leggermente tremanti.
Le fece correre lungo le linee dell'immagine, soffermandosi maggiormente sull'indirizzo segnato a penna su uno dei bordi inferiori.
Dopo qualche secondo di immobilità sembrò risvegliarsi di colpo e, strappata l'immagine dal pannello, scattò verso il cassetto in cui John teneva la pistola, per poi precipitarsi in strada.
"L'indirizzo sul bordo sinistro. Presto!" Tuonò al tassista, lanciandogli il foglio in grembo non appena fu salito.
Ignorò il borbottare scocciato dell'uomo e, recuperato il telefono dalla tasca del cappotto, chiamò Lestrade.
"Avanti, rispondi." Inveì al prolungarsi del tono fisso della linea libera.
"Maledizione!" Gridò quando partì la segreteria telefonica.
Fece volare velocemente le dita per la tastiera, mandando un messaggio all'ispettore.
"Signore." Lo richiamò la voce incerta del tassista.
"Siamo arrivati."
Lanciò delle banconote a caso sul sedile anteriore e, sceso dall'auto, si guardò velocemente intorno.
Era davanti ad una chiesa, la stessa in cui si tenevano gli incontri del gruppo di ascolto da cui Auster aveva scelto le sue vittime.
Scartò subito l'entrata principale, percorrendo velocemente il perimetro esterno dell'edificio per trovare un'entrata posteriore che potesse condurlo alla sua meta.
Appena localizzò una porta sul lato destro vi entrò, ritrovandosi in un breve corridoio.
Si mosse velocemente, raggiungendo l'unica porta accostata.
"John!" Esclamò quando vide la figura del dottore riversa senza conoscenza su una sedia sgangherata nel mezzo dellla stanza.
In poche falcate raggiunse l'amico e le mani saettarono subito a controllare i segni vitali e qualsiasi tipo di ferita.
Quando trovò un leggero boccio dietro la testa del dottore trasse un respiro più pesante degli altri, colto da un improvviso moto di rabbia.
"Ben arrivato signor Holmes." Lo salutò Auster, comparendo sulla soglia della stanza.
"Che cosa gli ha fatto?" Chiese Sherlock girandosi di scatto, la rabbia che vibrava attraverso il suo sguardo glaciale.
"Gli ho chiesto gentilmente di seguirmi, ma non ha voluto collaborare." Disse pacatamente l'uomo, addentrandosi nella stanza.
"Sa, quando mi ha visto ha capito che volevo utilizzarlo per arrivare a lei. Ha provato a ribellarsi, ovviamente." Continuò, camminando in cerchio attorno al detective e al dottore.
"È stato molto toccante." Aggiunse con un sorriso inquietantemente placido.
"Perché non mi ha contattato subito? John non c'entra niente con il suo progetto malato. Sono io il suo obiettivo." Sibilò Sherlock, posizionandosi in modo da coprire John con il proprio corpo e facendo scivolare la mano nella tasca del cappotto.
"Oh, ha certamente ragione." Concesse Auster, estraendo con noncuranza la pistola da dietro la schiena.
Sherlock fece lo stesso, puntandola verso Auster.
"Lei è l'uomo superbo per eccellenza. Così pieno di sé. Così convinto della sua superiorità rispetto a tutto e tutti." Continuò come se nulla fosse.
"E pensa che uccidendomi avrà risolto qualcosa?" Lo provocò il detective, seguendo attentamente ogni minima oscillazione della pistola stretta nella presa di Auster.
"Ha commesso cinque omicidi, tentando di camuffarli in prove da superare per raggiungere un qualche tipo di purificazione dal peccato. Pretenzioso, direi. E alquanto ipocrita, anche." Lo apostrofò gelido.
"Lei crede?" Chiese l'uomo, continuando il suo lento accerchiamento.
Il detective annuì pacato.
"Sa, c'è un nome per quello che lei ha imposto alle sue vittime."
"Ma davvero? E sarebbe?"
"Attrizione." Offrì Sherlock, cercando di rispecchaire i movimenti dell'uomo per poter continuare a fare scudo al dottore.
Auster gli sorrise divertito.
"Può darsi che lei abbia ragione." Concesse.
"Ma ciò non cambia che quelle persone abbiano avuto ciò che meritavano."
La mano che stringeva la pistola si spostò lentamente, andando a puntare la canna nera all'altezza del fianco del detective.
Perfettamente in linea con la testa di John.
"Mi spiace che padre Lloyd non si sia unito agli altri." Continuò, umettandosi le labbra con un veloce passaggio della lingua.
"Ma non si preoccupi, appena avrò finito con lui andrò a rimediare al mio errore."
Gli occhi di Sherlock saettarono per un istante sulla figura del dottore scompostamente appoggiata alla sedia.
"Sono io il suo obiettivo." Ripeté cauto.
"Vero." Confermò Auster, tranquillo.
"Ma non è me che vuole uccidere." Affermò flebilemente.
"Ancora esatto." Lo schernì l'uomo, aggiustando la mira.
"Perché?"
"È molto semplice." Iniziò, spostandosi lateralmente per avere una traiettoria migliore.
Sherlock specchiò i suoi movimenti.
"Voglio che lei diventi il simbolo del mio progetto. Tutti potranno vedere che anche lei, così superbo del suo intelletto, della sua logica, è in realtà un comune peccatore come tutti gli altri. Che non può salvare nemmeno la persona a cui tiene di più." Spiegò l'uomo, tirando indietro il cane della sua semiautomatica.
"Che, in realtà, non è che un ipocrita." Accusò a denti stretti.
Il colpo esplose subito dopo, rimbombando tra le pareti della stanza.
"Lei è un uomo fortunato, signor Holmes."
Il detective trasse un veloce respiro, tirandosi su a sedere.
"John." Esalò sorpreso, districandosi dalla presa del dottore.
"Da quanto sei sveglio?" Chiese, mentre tornava velocemente a tenere sotto tiro l'uomo davanti a loro.
"Abbastanza da levarti dalla sua traiettoria." Replicò il dottore, alzandosi faticosamente.
"Che ritrovo commovente." Cantilenò Auster.
"Peccato che sia così breve." Continuò, puntando la pistola sul dottore.
In una veloce mossa Sherlock si abbassò a recuperare la pistola da terra, trascinando con sé l'amico e, presa velocemente la mira, esplose due colpi.
L'uomo cadde a terra con un tonfo sordo.
"John." Esalò sollevato quando il dottore si alzò lentamente dal pavimento.
"Gli hai sparato." Mormorò sconcertato il dottore, lanciando un'occhiata al corpo riverso a terra di Auster.
"Stava per spararti." Rispose di rimando, degnando di un breve sguardo l'uomo.
"È morto?" Chiese incerto, lasciandosi cadere sulla sedia poco distante.
"No, è solo svenuto." Rispose in un soffio, cadendo in ginocchio davanti al dottore.
"Sherlock! Cosa c'è? Sei ferito?" Chiese subito preoccupato, ancorando le mani alle braccia del detective per non farlo scivolare fino a terra.
"È solo l'adrenalina che abbandona il mio sistema. È una risposta biologica normale." Esalò il detective, poggiando la fronte su una spalla del dottore.
"Ho pensato che saresti morto." Ammise dopo qualche attimo di silenziosa immobilità.
"Per la seconda volta in due settimane ho pensato che saresti morto."
"Sherlock..." Lo richiamò incerto il dottore, stringendo appena la presa delle sue mani.
Il detective staccò piano il viso dalla sua spalla e gli lanciò uno sguardo lucido, colmo della paura che lo aveva pervaso fino a pochi istanti prima.
Stava per dire qualcosa, ma l'improvvisa vicinanza dei loro volti lo bloccò.
Si scambiarono un veloce sguardo e, d'improvviso, la distanza tra le loro labbra fu annullata.
Il bacio con cui Sherlock gli rubò l'aria lo colse totalmente alla sprovvista.
La bocca del detective si muoveva rabbiosa sulla sua, rendendo il bacio quasi doloroso, ma, nonostante tutto, non si ritrasse.
Lasciò che le loro labbra si scontrassero, rincorrendole quando le avvertiva allontanarsi dalle sue.
Quando alla fine il bacio giunse alla sua conclusione rimasero comunque vicini, condividendo i loro respiri affannati.
"Sherlock! John!" Proruppe nel silenzio la voce di Lestrade, irrompendo improvvisamente nella stanza insieme ad altri due agenti.
"È in ritardo, ispettore." Lo canzonò il detective, alzandosi lentamente in piedi.
"Che è successo?" Chiese pressante, correndo a controllare Auster.
"Ha aperto il fuoco." Rispose Sherlock, puntando uno sguardo duro sull'uomo a terra.
"Ho reputato opportuno fare in modo che non potesse nuocere a nessuno fino al vostro arrivo."
"Sparandogli alla gamba e alla spalla?" Chiese esasperato Lestrade dopo aver incaricato uno degli agenti di chiamare un'ambulanza.
"È stata legittima difesa." Si intromise il dottore, alzandosi cauto dalla sedia.
Avvertì subito lo sguardo di Sherlock su di sé, penetrante e scrutatore come sempre.
"John, il tuo fianco." Disse turbato l'ispettore, adocchiandolo cautamente.
Lasciò cadere gli occhi verso il basso, trattenendo a stento un grugnito di protesta.
"Si sono strappati un paio di punti." Mugugnò contrariato, alzando il maglione per poter dare un'occhiata.
"Attento." Lo redarguì subito Sherlock, premendo un fazzoletto sulla ferita.
Per un breve istante i loro occhi si incontrarono, ma l'arrivo dei paramedici interruppe il momento, spingendoli ad allontarsi.
"Dio, quanti documenti dovrò compilare per questo casino." Brontolò Lestrade, osservando Auster mentre veniva caricato su di una barella e trasportato fuori dalla stanza.
"Fate in modo che ci sia sempre almeno un agente di guardia alla sua stanza in ospedale." Istruì i suoi agenti, dimettendoli con un veloce cenno del capo.
"Bene." Disse subito dopo, rivolgendosi al dottore e al detective.
"Immagino che dobbiate fare un salto all'ospedale per quei punti saltati. Vi accompagno io."
I tre uomini si avviarono in silenzio verso l'uscita.

 

Ed eccomi qui con un altro capitolo =)
Questa volta ho rispettato la promessa, ho aggiornato in tempo record ;-)
Il capitolo è più lungo del solito, ma non ho trovato punto migliore per tagliare senza che ci fosse una ripetizione dello stesso tipo di suspance.
La storia è praticamente finita, tra uno, massimo due, capitoli il sipario calerà momentaneamente su qesta avventura.
Vorrei ringraziare chi mi ha seguita e sostenuta, ma lo farò con calma nell'ultimo capitolo =)
Per ora vi mando un bacione ed un abbraccio <3
xoxo

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** False Impression ***


"Non pensavo di rivederla così presto." Disse il medico quando entrò nella stanza in cui l'aveva lasciato qualche minuto prima un infermiere del pronto soccorso.
"Non è stata una mia scelta." Ribatté, seguendo con lo sgurdo l'uomo che si infilava un paio di guanti in lattice.
"Si tolga il maglione e si sdrai." Lo istruì, prendendo posto su di uno sgabello vicino al lettino.
"Allora, come ha fatto a strapparsi i punti?" Gli chiese, tastando intorno alla ferita.
"Sono caduto da una sedia." Rispose vago, trattenendo un sibilo di dolore.
"Ha avuto un capogiro?" Indagò l'uomo, recuperando un kit per le suture.
"No, solo una sfortunata congettura." Borbottò infastidito.
Il medico lo osservò a lungo con espressione cupa.
"È avvenuto a casa?" Si informò l'uomo, iniziando ad applicargli i punti.
"Si..." Rispose incerto, non volendo attirare troppa attenzione sui veri avvenimenti della serata.
"E il suo convivente era con lei." Disse sicuro il medico, ultimando la sutura.
"Noi non... Ahh, mi arrendo." Borbottò confusamente, passandosi una mano sulla faccia.
L'uomo passò velocemente una garza imbevuta di disinfettante sulla ferita, provocandogli un sibilo di fastidio.
"Può rivestirsi." Lo informò, allontanandosi da lui e sfilandosi i guanti.
"Meno male..." Borbottò a mezza voce, indossando nuovamente il maglione.
"Può andare signor Watson, ma stia più attento." Lo avvisò il medico, osservandolo con una strana espressione in volto.
"Certamente." Si limitò a dire, cercando di offrire un sorriso più convincente possibile.
Quando la porta dell'ambulatorio si chiuse alle sue spalle lasciò andare un sospiro di sollievo.
"John." Si sentì chiamare dopo qualche passo nel corridoio.
"Sherlock." Disse, girandosi verso il detective.
"Pensavo fossi con Lestrade da Auster."
"Lo ero." Confermò, lanciando un'occhiata oltre alle sue spalle.
"Il tuo medico mi sta osservando come se fossi un criminale."
Lanciò anche lui un'occhiata alle sue spalle, appena in tempo per notare il dottore osservarli in modo strano, per poi allontanarsi dalla parte opposta.
"Mi stavi dicendo di Auster." Disse, riscuotendo entrambi da quell'attimo di distrazione.
"Si rifiuta di parlare finché non ci sarai anche tu." Gli rispose cupamente, riportando gli occhi su di lui.
"Oh, e perché?" Chiese incuriosito, seguendo i passi affrettati del detective lungo il corridoio.
"Non ne sono sicuro, ma se accettiamo farà una confessione spontanea." Disse il detective, fermandosi davanti ad una porta.
"Te la senti?" Chiese, rivolgendogli un'occhiata mentre afferrava la maniglia.
"Assolutamente no." Sospirò, riluttante.
"Andiamo?" Chiese comunque, lanciando un sorriso accennato al detective.
Sherlock lo osservò per qualche attimo, per poi aprire lentamente la porta.
"Ahh, il caro dottor Watson!" Esclamò Auster non appena la porta si chiuse con un leggero tonfo alle loro spalle.
"Deve essere sollevato di avere ancora il suo prezioso amico al suo fianco." Disse poi, rivolto a Sherlock.
"Siamo entrambi qui, come voleva." Rispose il detective, lanciandogli un'occhiata glaciale.
"Allora?" Chiese pressante Lestrade, staccandosi dalla parete a cui si era poggiato.
"Manterrò la mia parola, ispettore." Affermò pacato.
L'ispettore annuì, lanciando una veloce occhiata verso la porta.
"Se esco fuori a fare una telefonata dovrò pentirmene?" Chiese serio, lanciando uno sguardo all'espressione cupa che oscurava il volto del detective.
"Vai pure, Greg. Possiamo resistere per qualche minuto." Lo rassicurò il dottore, sorridendogli incoraggiante.
Lestrade si lasciò sfuggire un mugolìo incerto e, dopo una veloce occhiata tra Auster e Sherlock, lasciò la stanza.
Per qualche istante la stanza rimase immersa nel silenzio.
"Sono curioso." Disse improvvisamente il dottore, portando lo sguardo su Auster.
"Per quale motivo voleva che anche io fossi qui?"
"È stato una pedina importante nel mio gioco. Ritenevo opportuno che fosse presente per l'atto finale, anche se si è svolto a mio sfavore." Commentò placido l'uomo.
"Tutto qui?" Chiese, lanciando un'occhiata incredula all'amico.
"Ah, capisco." Esclamò divertito, sistemandosi sul letto.
"Credevate forse che vi avrei rivelato i motivi profondi delle mie azioni." Sogghignò, lanciando un'occhiata divertita al dottore.
"Qualcosa del genere." Commentò asciutto Sherlock, incrociando le braccia al petto.
"È qui che sta il punto della questione, vero? Ciò che la incuriosisce." Disse con tono lieve, spostando lo sguardo dal dottore al detective.
"Perché l'ha fatto? Cosa l'ha spinto? Qualcosa che è successo nella sua infanzia? Un evento scatenante nell'arco della sua vita? Una malattia mentale, forse." Elencò placido e canzonatorio, aprendosi in un sorriso subdolo.
"Ne ha ancora per molto?" Chiese il detective con una punta di fastidio nella voce.
"Dipende, lei si aspetta veramente di trovare una motivazione diversa da quella che le ho già fornito?" Ribatté subito Auster.
Gli occhi dell'uomo si spostarono lentamente tra il dottore e il detective, derisori.
"Quindi, per lei, tutti quegli omicidi sono un qualche tipo di purificazione per la società?" Chiese incredulo John.
"Non che questa società se lo meriti." Sibilò risentito l'uomo.
"Ma sono convinto che la mia opera potrà essere di esempio a qualcuno che, come me, si rende conto del livello di perdizione a cui si è arrivati." Continuò, scandendo lentamente le parole.
"Ne è sicuro? Non credo che qualcuno vorrà emularla dopo che il tribunale avrà finito con lei." Disse Sherlock, inchiodandolo con una dura occhiata.
"Esisterà sempre qualcuno che sognerà al di fuori delle regole della società." Commentò sicuro Auster.
Alcuni secondi passarono silenziosi, interrotti solo dal tonfo leggero di passi fuori dalla porta.
"Sa, mi dispiace di non essere stato io a strapparle il suo prezioso amico." Disse improvvisamente, lanciando un'occhiata affilata al detective.
"Niente di personale, ovviamente." Aggiunse, spostando momentaneamente l'attenzione sul dottore.
"Ovviamente." Borbottò, adocchiando freddamente l'uomo sul letto.
Il detective si spostò lentamente verso il dottore.
"È così semplice leggerla, lo sa?" Chiese divertito Auster, seguendo il lento incedere di Sherlock verso John.
"Lei crede?" Chiese con tono di sfida il detective, studiando con sguardo attento i lineamenti dell'uomo.
"Certamente." Rispose con un sorriso.
"Chiunque riuscirà a sottrarle il caro dottor Watson l'avrà in pugno." Affermò, osservando soddisfatto il tendersi dei muscoli del viso del detective.
"Non sono stato io e forse non sarà nemmeno il prossimo criminale che affronterete, ma stia attento signor Holmes." Continuò, sorridendo placido.
"Prima o poi qualcuno riuscirà ad arrivare al suo cuore e quel giorno tutti potranno vedere la sua natura. La sua debolezza."
Il detective rimase in silenzio, alternando nervosamente lo sguardo tra il dottore e Auster, il tutto sotto lo sguardo divertito dell'ultimo.
"Sarà visibile a tutti quello che veramente nasconde nella sua mente. Senza il suo collegamento con la società sarà perso. Sarà solo." Sibilò ancora maligno, iniziando poi a ridere cupamente.
"Si rende conto che tutti quelli che ora la conoscono, che la apprezzano non sono mai esistiti prima dell'arrivo del nostro caro dottorino?"
Per l'ennesima volta la stanza cadde in un profondo silenzio, disturbato solo dal lieve respirare dei tre uomini.
"Non le pare di essere un po' troppo compiaciuto per un uomo con una sentenza sicura di ergastolo?" Chiese il dottore, cercando di spezzare la tensione crescente che avvertiva nell'aria.
"Può darsi." Concesse Auster, rivolgendogli la sua attenzione.
"Ma ciò non toglie che sono riuscito a mettere sotto scacco il grande Sherlock Holmes." Concluse, rivolgendo un sorriso velenoso verso il detective.
Qualsiasi risposta a quel commento fu interrotta dal ritorno di Lestrade nella stanza.
"Cosa è successo?" Chiese subito l'ispettore, avvertendo la tensione che aleggiava tra i tre uomini.
"Nulla." Rispose asciutto il detective, raddrizzando la schiena.
L'ispettore gli riservò un'occhiata dubbiosa.
"Il nostro lavoro è finito. Andiamo." Disse poi, guadagnando con poche falcate l'uscita.
"Aspetta!" Esclamò il dottore, lanciando un'occhiata indecisa verso Lestrade.
"Vai da lui." Sospirò l'ispettore, scuotendo la testa.
"Ma vedete di restare reperibili su cellulare.
"Grazie Greg." Offrì un sorriso sincero all'uomo e, lanciata un'ultima occhiata di disdegno verso Auster, abbandonò la stanza.
Lanciò una veloce occhiata intorno, individuando in breve il detective.
"Sherlock." Lo richiamò lievemente, raggiungendolo un po' zoppicante.
"Hey, fermati." Provò a chiedere, ma il detective continuò a camminare lungo il corridoio.
"Testardo come sempre." Borbottò contrariato, allungando una mano verso il braccio dell'amico, riuscendo finalmente ad arrestarne l'avanzata.
"Sherlock." Ripeté, lasciando la presa della mano.
"Quello che ha detto Auster... Sai che non è vero." Disse sicuro, scrutando attento il volto del detective.
"Certo." Rispose con tono piatto l'altro, senza incontrare il suo sguardo.
Un sospiro affranto lasciò le labbra del dottore.
"Sherlock, non è vero." Ripeté con più forza, cercando di legare il suo sguardo a quello dell'amico senza risultati.
Il detective evitò per qualche attimo il suo sguardo, preferendo farlo scivolare sulle porte che si affacciavano sul corridoio.
Quando finalmente i loro occhi si incontrarono, poté leggere in quelli dell'amico un senso di inquietudine che mai vi aveva scorto.
"Sai perfettamente quando ti sto mentendo, vero?" Chiese cauto, cercando di allontanare il leggero senso di ansia che stava cercando di propagarsi nel suo stomaco.
"Non vorrei deluderti John, ma sei molto semplice da leggere." Rispose secco il detective.
Un angolo della bocca del dottore si stese impercettibilmente verso l'alto, in un sorriso trattenuto.
"Bene, allora ascoltami attentamente." Commentò calmo.
"Quello che ha detto Auster non è vero." Ripeté nuovamente.
"So che prima che lavorassimo insieme eri più... Distaccato da quelli che ti circondano, ma ci sono sempre stati. Lestrade, la signora Hudson, tuo fratello... Ti erano accanto da ben prima del mio arrivo." Disse sicuro, osservando le reazioni del detective, apparentemente impassibile.
Prese un breve respiro, cercando di calmare il battito accelerato del suo cuore.
"Sono io che non potrei essere quel che sono se non ti avessi incontrato." Disse lievemente, attirando finalmente lo sguardo del detective su di sé.
L'attenzione del detective lo fece tentennare per un attimo, ma, stringendo forte i pugni, si risolse a finire il suo discorso.
"Se Mike non ci avesse presentato quel giorno... La verità è che ero io quello solo. Sono io che ti devo moltissimo. Quello che ha detto Auster..." Disse con tono basso, spostando lo sguardo da quello del detective.
"Lui non ti conosce. Non sa chi sei veramente." Concluse piano, ma sicuro.
Il detective osservò attentamente la figura del dottore, improvvisamente più piccola di quanto se la ricordasse.
Sembrava che con quelle parole, con quella specie di confessione, si fosse tolto un peso dalle spalle, riuscendo al contempo a rischiarare il suo umore.
Con passo incerto si avvicinò a John e, con movimenti impacciati, avvolse le spalle dell'amico in un abbraccio breve.
Il dottore gli riservò uno sguardo confuso, subito distratto dal richiamo di Lestrade.
"Greg." Disse sorpreso, cercando di aumentare furtivamente la distanza tra sé e il detective.
"Qualcosa non va?"
"Ditemelo voi." Ribatté esasperato, evitando di commentare la scena che aveva visto pochi istanti prima.
"Perché quel dottore pensa che Sherlock ti trattenga in una relazione abusiva?" Chiese con un sorriso, indicando la figura del medico dall'altro capo del corridoio.
Gli occhi del dottore e del detective scattarono verso il punto indicato dall'ispettore.
"Sapevo che aveva qualcosa in mente." Commentò divertito Sherlock a suo beneficio.
"Perché a me?" Esalò invece sconcertato, passandosi una mano tra i capelli.
"Tranquillo Greg. Ha solo frainteso la mia ritrosia a rivelare la dinamica dell'incidente che mi ha fatto strappare i punti." Borbottò imbarazzato, lanciando un'occhiata risentita alla risata poco velata che si lasciò sfuggire il detective.
"Ne ho abbastanza. Andiamo a casa." Mugugnò, iniziando ad allontanarsi dai due uomini che lo osservavano divertiti.
Sherlock lo raggiunse subito, continuando a combattere con un sorriso impertinente che gli stuzzicava le labbra.
"Rimanete reperibili!" Li richiamò Lestrade, osservandoli mentre si allontanavano.
"Quei due mi faranno impazzire." Mormorò tra sé e sé, sorridendo appena.


Salve a tutti.
Scusate questo ritardo, ma ammetto di aver avuto una sindrome da pagina bianca immane per questo capitolo, per non contare gli impegni =(
Possiamo dire che la storia ha un suo finale in questo capitolo, ma sto ragionando se aggiungere un ultimo capitoletto.
Non so se la fine del caso vi sia piaciuta, in effetti Auster non ha dato una ragione straordinaria per i suoi crimini, ma penso che l'orrore sta proprio in questo: un uomo apparentemente normale che, per una sa visione distorta di moralità, decide di agire lui stesso sulla società...
Ok, smetto di dilungarmi e, aspettando di aggiungere (forse) l'ultimo capitolo, vi lascio con un grazie immenso per l'attenzione che avete riservato a me e a questa mia storia mettendola tra ricordate\seguite\preferite o a chi solo ha letto.
Un grazie ENORME va a chi ha recensito, dandomi feedback e felicità allo stesso tempo.
Grazie a tutti! ^^
xoxo

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Homely ***


"Non voglio più vedere un dottore per il resto del mese." Gorgogliò non appena varcò la soglia del 221B.
"Vorrei ricordarti che tu stesso sei un dottore." Commentò leggero Sherlock, seguendolo all'interno dell'appartamento.
"Vorrà dire che mi terrò lontano dagli specchi." Replicò, ridacchiando appena.
Il viso del detective si contrasse in una smorfia divertita.
"Che ne dici se preparo qualcosa?" Chiese, dirigendosi verso la cucina, ma i suoi passi si fermarono a poca distanza da essa.
Le schegge di un bicchiere erano sparse tra l'ingresso della cucina ed il salotto, contornate da una piccola chiazza umida.
"Cosa è successo?" Chiese confuso, lanciando un'occhiata al detective.
"Mi è scivolato di mano." Rispose semplicemente, raggiungendolo lentamente.
Osservò silenzioso mentre Sherlock raccoglieva cautamente i pezzi di vetro, per poi buttarli nel secchio.
"Sherlock." Provò ancora.
"Cosa è successo?"
"Credo di aver già risposto a questa domanda." Replicò rigido, sistemandosi i pantaloni leggermente spiegazzati.
"Ed io deduco che non mi hai detto tutto." Replicò secco, puntando lo sguardo deciso sul detective.
"Da quando riesci a dedurre qualcosa?" Chiese aspro l'altro, sostenendo caparbiamente lo sguardo.
"In generale? Raramente. Con te? Sempre, ormai." Rispose cauto, quasi incerto.
Le sue parole rimasero sospese nel silenzio che le seguì, interrotto da una breve ed improvvisa risata del detective.
"Cosa?" Chiese il dottore con espressione confusa.
"Niente, solo..." Iniziò l'altro, interrompendosi subito.
Una scintilla di esitante paura attraversò il suo volto.
"Non credo sia una conversazione che nessuno di noi due è veramente pronto ad affrontare." Disse infine, allontanandosi un po' dal lui.
"Di che stai parlando? È solo un bicchiere." Obiettò, confuso.
Il detective scosse lentamente la testa.
"Come sempre ti focalizzi sulla cosa in sé e non su cosa suggerisce." Borbottò, avvicinandosi al caminetto.
"Come credi che si riuscito a trovarti dopo che Auster ti ha preso?" Chiese esitante, mantenendo lo sguardo fisso sulla parete.
Il dottore seguì la traiettoria del suo sguardo, incontrando il pannello degli indizi ormai vuoto.
"Ha lasciato un'immagine..." Esalò piano.
Il detective annuì lentamente.
"Sono tornato a casa dopo aver finito a Scotland Yard." Iniziò, girandosi nuovamente verso di lui.
"Ti stavo parlando mentre prendevo un bicchiere d'acqua."
"E sei venuto in salotto quando non mi hai sentito rispondere. Con il bicchiere ancora in mano." Concluse in un sussurro.
Il detective si limitò ad annuire.
Un silenzio opprimente cadde tra i due, interrotto dai tenui rumori del traffico attutiti dalla finestra chiusa.
"Io non..." Iniziò il dottore, ma dovette interrompersi subito per schiarire la gola chiusa da un fastidioso nodo.
"Non ti ho ringraziato per essere venuto in mio aiuto." Disse piano, adocchiando le spalle del detective.
"Quindi... Grazie."
"John." Sospirò Sherlock, girandosi verso di lui.
"Non ce n'è bisogno. Non dopo quello che hai detto all'ospedale."
"Quello che...." Mormorò confuso il dottore, ma si interruppe bruscamente quando la conversazione gli tornò in mente.
Gli occhi del detective vagarono per qualche istante sulla sua figura, concentrandosi sui muscoli rigidi delle spalle e la linea tesa delle labbra.
"Come ho detto, non è qualcosa che siamo veramente pronti ad affrontare." Disse piano, avvicinandosi lentamente alla libreria.
"Di cosa stai parlando, Sherlock?" Chiese incerto il dottore dopo qualche attimo di silenziosa riflessione.
"Non fare lo stupido, John. Non ti si addice." Lo ammonì duro il moro, lanciandogli un'occhiata affilata da sopra una spalla.
"Giusto..." Mormorò, spostando lo sguardo su un punto imprecisato del pavimento.
"Non c'è molto di cui parlare." Aggiunse poi a voce un po' più alta, spostando lo sguardo sul volto del detective.
Un sopracciglio di Sherlock si arcuò verso l'alto, esprimendo meglio delle parole la sua incredulità.
"Ci siamo baciati." Constatò asciutto.
"Tu mi hai baciato." Protestò con tono tremulo.
"Non ricordo di essere stato respinto."
Le spalle del dottore si irrigidirono impercettibilmente.
"Ho sbattuto la testa, probabilmente ero confuso." Provò a ribattere, spostando nuovamente lo sguardo verso il pavimento.
"Una settimana fa e non abbastanza forte da causarti problemi fino ad oggi." Rispose a tono il detective, assottigliando lo sguardo.
Il dottore sospirò sconfitto, dondolando sul posto.
"Dove vuoi arrivare, Sherlock?" Chiese lentamente, ignorando il battito improvvisamente accelerato del cuore.
"Da nessuna parte. Ti ho detto ben due volte, tre con questa, che non è il momento adatto per parlarne. Non per te, quantomeno."
Gli occhi del dottore si spalancarono impercettibilmente, sorpresi dalla risposta del detective.
"Tu vuoi parlarne." Soffiò tra le labbra, adocchiando la figura del moro.
"È così strano?" Chiese con finta calma, cercando di non fissare lo sguardo su di lui.
"Io non... Tu..." Balbettò confuso, passandosi una mano tra i capelli.
"Da quando vuoi parlare di sentimenti, Sherlock?" Chiese in un soffio.
"Da quando ho imparato a conoscerli." Rispose pacato il detective.
"Da quando ho incontrato te."
Un respiro tremulo abbandonò le labbra del dottore.
"Pensavo tu considerassi i sentimenti un difetto chimico. Che fossi sposato con il tuo lavoro." Si ritrovò ad obiettare, attirando lo sguardo attento del detective su di sé.
"Tu sei parte del mio lavoro." Rispose serio, osservandolo dritto in volto.
Quello sguardo lo fece sentire a disagio per l'intensità con cui si concentrava su di lui, come se fosse la prova chiave di un caso particolarmente difficile.
Spostò il peso da un piede ad un altro, sospirando pesantemente.
"Sherlock, cosa..." Iniziò incerto, spostando lo sguardo imbarazzato.
"Non capisco dove dovrebbe portarci questa conversazione." Esalò con tono incerto.
"A discutere per una nostra relazione, credo." Rispose pensieroso, il tono rigidamente contenuto.
Gli occhi del dottore si spalancarono e, con un rigido passo, retrocesse verso la cucina.
Per un po' spostò gli occhi lungo la figura del detective, cogliendone la linea tirata della mandibola e la scintilla di timore che brillava negli occhi.
"Ti rendi conto di quello che stai proponendo?" Chiese lentamente, quasi a testare la realtà della situazione che stava vivendo.
"Ovviamente."
"E...?" Soggiunse con tono incerto.
Il detective gli lanciò un'occhiata più intensa della precedente.
"Non so cosa vuoi che aggiunga."
"Non sai... Sherlock, dannazione! Ti rendi conto che mi hai proposto di... Di..." Si bloccò a metà frase, frenato da un nodo alla gola.
"Avere una relazione, John. Con me."
Il tono non aveva più la patina di distacco di poco prima, ma si era tinto con una sfumatura di chiara incertezza.
Un altro sospiro abbandonò le sue labbra e, come sopraffatto dalla gravità della conversazione, si avvicinò alla poltrona per lasciarcisi cadere sopra, una mano a coprire parzialmente i suoi occhi.
"Io non... Non so che dire..."
"Potresti iniziare con cosa ne pensi." Suggerì Sherlock, raggiungendo con passo lento la sua poltrona.
"È complicato." Esalò dopo qualche minuto di pesante silenzio.
Lasciò vagare lo sguardo per la stanza, senza soffermarsi su nulla in particolare.
"Non ho mai pensato di avere un qualche tipo di relazione con un altro uomo." Sottolineò duro.
"Ma....?" Lo spronò, avvertendo l'incompiutezza della frase.
Gli occhi del dottore si puntarono in quelli grigi del detective.
"Ma è diverso. Quello che c'è tra noi... Non credo che molti definirebbero il nostro rapporto come semplice amicizia." Ammise pesantemente.
"Non ti sto chiedendo cosa ne pensi la gente. Voglio sapere cosa ne pensi tu."
"Io..." Iniziò, ma si bloccò subito.
Lanciò l'ennesima occhiata a Sherlock, seduto in proda alla poltrona e, come colto da una scossa improvvisa, si alzò di scatto, raggiungendo la finestra con poche falcate.
"John."
"Non è solo amicizia, va bene? Io non... Non so quando o perché sia iniziata, ma quello che ci lega non potrei definirlo come un rapporto di amicizia. Ed è assurdo perché non abbiamo mai fatto niente per alimentare questo... Qualsiasi cosa sia!" Sbottò, gesticolando nervosamente.
Il detective lo raggiunse lentamente, poggiando con delicatezza una mano su una sua spalla.
Avrebbe potuto facilmente sottrarsi a quel contatto, ma non trovò la forza o la voglia di farlo.
"Non capisco." Borbottò dopo qualche attimo di stallo.
"Se sai che c'è di più fra di noi, perché cerchi di ignorarlo?"
"Mi fa paura." Ammise John, distogliendo lo sguardo da quello di Sherlock.
"Questa cosa è semplicemente successa. Se... Se veramente intraprendessimo una relazione dove pensi che ci porterebbe? Siamo già disposti ad uccidere l'uno per l'altro. Siamo pronti a morire."
"E dove pensi che ci porterebbe l'ignorare tutto questo?" Chiese il detective facendo scivolare la mano dalla spalla alla nuca del dottore.
"Hai sempre detto che i sentimenti sono un difetto chimico. Che vanno contro la logica." Gli ricordò nuovamente in un soffio, lasciando vagare gli occhi sul volto dell'altro.
"Perché sei così ostinato, ora?"
"Forse ho trovato qualcuno per cui ignorare le mie convinzioni." Mormorò, avvicinando lentamente i loro volti.
"Forse non voglio rischiare nuovamente di perderti senza che tu sia stato veramente mio." Soffiò piano sulla bocca del dottore.
"Non sono gay." Protestò debolmente, la lingua che andava ad umettare inconsciamente le labbra.
"Lo so." Ribatté il detective con un sorrisetto, eliminando gli ultimi centimetri che li separavano.
Il bacio che si scambiarono fu differente dal primo, dettato principalmente dall'adrenalina del momento.
Fu lento, quasi studiato, pieno dell'incertezza che ancora aleggiava nella mente di entrambi.
Quando si separarono John lanciò un'occhiata incerta a Sherlock, ma portò comunque con cauta lentezza le mani a cingere la vita del detective.
"Quindi..." Provò il dottore, senza però sapere come continuare.
"Quindi." Ripeté il detective con un piccolo sorriso a incurvargli le labbra.
"Idiota." Lo apostrofò con affetto.
Prese un veloce respiro, raccogliendo un po' di convinzione.
"Quindi." Disse nuovamente, lanciando un'occhiata ammonitrice a Sherlock.
L'uomo si limitò a sbuffare, divertito.
"Questo dove ci porterebbe?"
"Credo che la società lo definisca 'frequentarsi'." Offrì il detective, sorridendo appena.
"Tu che ti abbassi ad usare un'etichetta della società?" Chiese con tono divertito.
"Delle volte possono essere utili." Concesse con uno sbuffo.
"Abbiamo visite." Disse poi, volgendo l'attenzione verso la porta.
"Cosa..." Provò a chiedere, ma la sua domanda fu bloccata dall'ingresso di Mrs. Hudson.
Le mani del dottore scivolarono subito ai suoi lati, cercando di mettere un minimo di distanza tra lui e Sherlock.
"Sherlock, ha riportato a casa il nostro John!" Esclamò commossa la donna, avvicinandosi ai due con passi affrettati.
Il dottore si ritrovò tra le braccia della donna, confuso da quello slancio d'affetto.
"Sto bene, Mrs. Hudsn. Non si preoccupi." Si ritrovò a mormorare rassicurante, restituendo impacciato l'abbraccio.
"Non fate mai più una cosa del genere, voi due. Dovete essere più attenti." Li redarguì la donna, lanciando ad entrambi un'occhiata di rimprovero.
"Certo, ci scusi." Rispose subito il biondo, adocchiando severo l'espressione esasperata che aveva attraversato il volto del detective.
Mrs. Hudson li osservò divertita, scuotendo appena la testa.
"Sarà meglio che scenda. Ho lasciato una teglia di biscotti in forno." Disse calma, offrendo ai due un sorriso.
"Ve ne porterò un piatto, più tardi. Ma solo questa volta."
"Non è la governante, sì. Grazie Mrs. Hudson." Completò divertito il dottore.
La donna scosse affettuosamente la testa, avvicinandosi lentamente alla porta.
"Potete pure tornare alle vostre effusioni, cari." Disse, aprendo la porta dell'appartamento.
"Cosa?" Chiese con tono strozzato il dottore, osservandola con sguardo spaurito.
"L'avevo detto che sarebbe bastata una sola stanza." Giunse la voce della donna dalle scale, una punta di compiacimento a colorarne il tono.
"Oh, Dio..." Mormorò a fior di labbra il dottore, lasciandosi cadere sulla poltrona.
"Era proprio necessario quel commento?" Chiese flebile, adocchiando il detective.
"Aspetta di tornare a Scotland Yard. O da mio fratello." Disse divertito il moro, addentrandosi nella cucina.
"Oh, Dio!" Ripeté con più enfasi, coprendosi il volto con le mani.
"Sei sempre in tempo per tirarti indietro." Offrì pacato Sherlock.
Gli occhi del dottore individuarono la figura del detective poggiata allo stipite della porta a vetri.
Ne osservò brevemente i lineamenti rigidi del viso e la punta di incertezza negli occhi.
"No." Rispose convinto, raddrizzandosi sulla poltrona.
"È quello che facciamo. Affrontare avventure. Insieme. Non sarà diverso per questa."
Nella penombra della stanza il sorriso del detective sembrò rischiarare i dubbi che ancora affollavano la sua mente.  


Salve a tutti ^^
Che dire?
Non posso credere di essere arrivata alla fine di "7 Sins".
Era iniziato come un progetto casuale, ma col tempo mi sono affezionata alla storia e a tutti voi che, in un modo o in un altro, l'avete sostenuta.
Quindi GRAZIE per aver seguito questo mio piccolo scritto ed avermi sostenuta.
Sul capitolo vorrei solo dire una cosa: so che Sherlock risulta un po' OOC, ma nel canone che ho in testa Sherlock si è reso finalmente conto di quanto John significhi per lui (e viceversa, ovviamente) e ha razionalizzato alla meglio i suoi sentimenti, arrivando alla conclusione che quello che c'è tra loro due porti logicamente ad una relazione.
Non è per cercare di convincervi delle mie idee che dico tutto questo, ma solo per farvi capire il punto di vista da cui è stato visto e scritto questo capitolo.
Credo di non avere altro da aggiungere, se non ripetere nuovamente GRAZIE.
Con questo capitolo si chiude definitivamente la storia.
Non so se in futuro scriverò qualcosa di correlato, quindi vi dirò un semplice arrivederci.
<3
xoxo

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3151514