Impossible

di s1mo94
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prima parte - Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Seconda parte - Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Terza parte - Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 22: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prima parte - Capitolo 1 ***


Thomas aveva aperto gli occhi già da una decina di minuti quando suonò la sveglia. La impostava solo per sicurezza, visto che era sempre in grado di svegliarsi prima che essa facesse il compito per il quale era stata progettata.
Si mise a sedere sul letto, poggiando i piedi a terra, si strofinò gli occhi e sbadigliò, prima di alzarsi definitivamente.
La prima cosa che gli venne in mente fu il compito di matematica che ci sarebbe stato alla prima ora. L’anno precedente era stato rimandato proprio in quella materia, e sperava con tutto sé stesso che non sarebbe stata una delle materie che avrebbe dovuto fare all’esame di maturità.
Andò in bagno senza fare rumore, cercando di non svegliare sua madre, la quale lavorava come cameriera in un pub. Avrebbe voluto trovare qualcosa di meglio, che non la facesse tornare a casa tutti i giorni all’alba, ma dovette adattarsi, visto che da quando il padre di Thomas era sparito nel nulla, loro dovevano sopravvivere con un solo stipendio, e la metà di esso andava via solo per pagare l’affitto della casa.
Thomas entrò nella doccia e si fece avvolgere dal getto d’acqua bollente.
Restò lì per un quarto d’ora, quindi decise di uscire. Si vestì solo per metà, poi si guardò allo specchio: i suoi capelli neri erano bagnati e disordinati, le sue guance leggermente arrossate a causa del calore dell’acqua che fino a poco fa scivolava sul suo corpo esile. Lo specchio rifletteva il suo viso privo di difetti e i suoi occhi azzurri come il mare. Occhi che nascondevano qualcosa di brutto, ma non lasciavano intendere a chi li guardava se si trattava di paura, dolore, solitudine, malinconia, tristezza o tutte queste cose insieme.
I suoi pensieri furono interrotti da un rumore di passi nel corridoio.
Il rumore si avvicinò sempre più alla porta del bagno e si accorse che non era il passo di sua madre, ma chi altri poteva esserci in casa se non lei?
Prese l’asciugacapelli che avrebbe dovuto usare per rimettere a posto i capelli, non sapendo quanta difesa avrebbe potuto dargli.
La porta si aprì e sulla soglia comparve un uomo che, pensò Thomas doveva avere poco più di quarant’anni.
- Scusami - disse quest’ultimo portando le mani avanti in segno di innocenza - non sapevo fosse occupato.
- E lei chi sarebbe? - Thomas usò il pronome di cortesia solo perché era molto educato, ma avrebbe voluto tirargli l’asciugacapelli in testa non appena lo vide. Fu fermato dalla sensazione che quell’uomo non doveva essere pericoloso, anzi, sembrava abbastanza a disagio in quel momento.
- Io…ehm…sono un amico di tua madre - rispose puntando il pollice della mano verso il corridoio.
- Giacomo? - domandò, scacciando il lieve senso di timore che aveva provato quando sentì i passi nel corridoio.
- Già - l’uomo si rilassò, sorpreso ma allo stesso tempo soddisfatto perché pensò di non dover dare troppe spiegazioni al ragazzo.
- Mia madre mi ha parlato di lei - Thomas distolse lo sguardo dall’uomo e lo rivolse allo specchio, accese l’asciugacapelli mentre con il pettine indirizzò i capelli al posto giusto e si sistemò con cura la frangetta   - non si preoccupi - riprese alzando leggermente la voce per coprire il suono dell’asciugacapelli - non sono uno di quei figli che odiano i compagni delle proprie madri, però almeno mia madre poteva mandarmi un messaggio per avvisarmi.
- Non voleva rischiare di svegliarti - ribatté l’uomo come se avesse preso le veci della donna - sono andato a prenderla a lavoro visto che soffro d’insonnia e non riuscivo a dormire quindi…
Thomas lo fermò con un gesto della mano ancora occupata dal pettine: - Non ho bisogno di alcuna spiegazione - disse accennando un timido sorriso, poi mise a posto il pettine e l’asciugacapelli - le lascio il bagno, ho finito.
Si spruzzò velocemente un po’ di deodorante, dopodiché prese la maglietta e si diresse in camera sua.
 
Vide che erano le sette e venti, tra dieci minuti sarebbe passato l’autobus, quindi non avrebbe fatto in tempo a fare colazione, così come la maggior parte delle mattine.
Si mise una felpa, il giacchetto, prese lo zaino e uscì in fretta di casa.
Abitava all’ottavo piano, quindi prese l’ascensore.
Salutò il portiere e si diresse alla fermata. Nonostante era appena fine ottobre, la temperatura era piuttosto bassa e un timido sole faceva capolino tra le nuvole innocue, non riuscendo a scaldare la città.
La fermata dell’autobus era a pochi metri di distanza dalla sua casa, quindi ci mise solo un paio di minuti per arrivare.
Lì con lui c’erano i soliti ragazzi che attendevano l’autobus, con i quali non aveva mai fatto conoscenza. L’autobus passò quasi subito; non si sorprese di non trovare il posto a sedere, visto che quei mezzi erano sempre strapieni.
Si mise le cuffie e tentò di non pensare alla verifica che avrebbe dovuto fare di lì a poco, anche se forse era meglio pensare alla verifica piuttosto che farsi inondare la mente dai suoi pensieri.
Era un bel ragazzo, e su questo non c’erano dubbi; a scuola tutto sommato riusciva sempre a prendere bei voti, eccetto in matematica, ma a lui non poteva bastare questo.
Non aveva idea di cosa sarebbe successo in futuro, aveva scelto la scuola alberghiera non perché era ferrato in qualcosa in particolare, ma perché non sapeva cos’altro fare, ed era ancora indeciso.
Non parlava mai a nessuno dei suoi problemi, e forse ciò contribuiva a farlo sentire ancora più solo di quanto non lo fosse già. Le cose cominciarono fin da subito a prendere una brutta piega: da quando aveva memoria, non riusciva a ricordare un gesto affettuoso da parte di suo padre, né una parola di conforto, solo offese. Gli diceva che non sarebbe mai dovuto nascere, che era stata la rovina della sua vita. I suoi genitori avevano appena diciotto anni quando nacque Thomas, e questo lo fece convincere, anche ascoltando le parole di suo padre, che loro non erano ancora pronti ad avere un figlio. Quell’uomo lo picchiava, a volte si limitava a qualche schiaffo, altre invece arrivava a farlo sanguinare; lo faceva appena si presentava l’occasione: se si rompeva un piatto, se si rovesciava il bicchiere col vino, se arrivava una bolletta troppo salata, la colpa ricadeva sempre su Thomas, e sua madre non faceva niente per impedire al suo compagno di essere così violento con suo figlio, forse perché aveva troppa paura, o forse per qualche altro motivo che Thomas non avrebbe mai capito.
Quando l’uomo se ne andò di casa, lui aveva tredici anni, e quello fu il giorno più bello della sua vita fino ad allora, anche se fece di tutto per nascondere la sua felicità; da allora non lo vide più. Non portava rancore verso sua madre, sapeva che non avrebbe potuto fare niente per impedire a suo padre di fare ciò che faceva. Quando l’uomo sbatté la porta di casa uscendo per non tornare mai più, Silvia, la madre di Thomas, si lasciò andare alle lacrime. Madre e figlio si abbracciarono senza parlare, consapevoli che da lì in poi sarebbe cominciata una nuova vita.
A Thomas però mancava una figura maschile al suo fianco, era sempre mancata, forse era proprio per questo che cominciò a sentire di avere qualcosa di diverso, di essere diverso, rispetto ai suoi coetanei.
Era attratto dai ragazzi, cercò di accettare la cosa quasi subito, ma non ci riuscì con molta facilità; secondo lui era una cosa sbagliata e diceva a sé stesso che poteva fare finta di niente; nessuno avrebbe mai scoperto la sua omosessualità se lui l’avrebbe nascosta. Non voleva dare un dispiacere a sua madre, e non voleva essere deriso dai suoi compagni di scuola. Dopotutto, nessuno aveva motivo di sospettare che lui fosse gay.
Non era mai stato innamorato veramente, si era preso qualche cotta passeggera per qualche compagno di classe, ma cercava sempre di reprimerla, convincendosi che non sarebbe mai potuto stare con quella persona, e che quello che provava non era giusto. Affrontava tutto da solo, e riusciva a mantenere la calma nonostante aveva miliardi di parole intrappolate nella sua mente.
Siccome si trattava pur sempre di un essere umano, e non di un robot, aveva una valvola di sfogo, senza la quale era sicuro di non riuscire a vivere: si trattava del pianoforte; quando suonava si sentiva libero, scriveva anche delle piccole composizioni cariche di malinconia. Il piano era tutta la sua vita. Sua madre gli regalò quello strumento quando compì sette anni dicendogli che era di suo padre, il nonno di Thomas, morto per colpa di un cancro quando lui ancora non era nato.
Dal primo giorno che vide quello strumento se ne innamorò, e gli risultava difficile passare un giorno senza poterlo suonare almeno una volta.
Lo stridio dei freni dell’autobus mise fine ai suoi pensieri. Era arrivato a destinazione.
 
Quando tornò a casa vide sua madre che stava preparando il pranzo in cucina. La casa in cui abitavano non era molto grande, ma ideale per poterci abitare in due. Da quando il padre di Thomas se ne era andato, anche l’aria aveva cominciato a prendere il sapore di una vera casa.
Un corridoio portava alle stanze dell’abitazione: la cucina era sulla sinistra e fungeva anche da sala da pranzo, più avanti, sempre a sinistra, c’era la camera di Thomas. Non era una stanza molto grande ma a lui andava più che bene. Non aveva nemmeno la televisione, se c’era una cosa che lo interessava, la guardava sul portatile.
Sul lato destro del corridoio invece, si trovavano la stanza di Silvia e il bagno.
- Allora? - La donna si accorse di suo figlio ma non staccò gli occhi dalla pentola - Com’è andata la verifica?
Rispose con un sospiro: - Spero di non aver preso quattro.
Sua madre si voltò verso di lui: - Non ti entra proprio in testa questa matematica.
- Già.
Il ragazzo andò in camera sua per posare il giacchetto e lo zaino. Poi, dopo essere andato in bagno per lavarsi le mani, tornò in cucina.
Si sedettero al tavolo e iniziarono a mangiare. Fu sua madre a rompere il silenzio:
- Giacomo mi ha detto che vi siete incontrati. Come ti sembra?
- Non so - rispose tenendo lo sguardo sul piatto - ci siamo scambiati solo un paio di frasi, non sono in grado di giudicarlo.
Lei annuì, poi Thomas riprese la parola, stavolta alzò lo sguardo verso sua madre:
- Comunque deve piacere a te, e l’importante è che sia una brava persona.
- Non preoccuparti, non è come papà.
Il ragazzo fece cenno di sì, ci fu un momento di silenzio, quindi Silvia fece un sospiro e assunse un’espressione non troppo serena:
- C’è una cosa che devo dirti, spero sarai d’accordo con me.
- Così mi fai preoccupare - ribatté lui assumendo a sua volta un’aria di chi non sa cosa aspettarsi.
- Sai che frequento Giacomo da un po’ di tempo, ormai ci conosciamo da più di sei mesi - Thomas annuì senza interrompere sua madre, che continuò - perciò abbiamo deciso di provare a convivere.
Il ragazzo non era contentissimo di ciò che sua madre gli aveva appena detto; in quella casa erano finalmente riusciti a creare un legame molto stretto, potevano dirsi felici di condividere quello spazio e lui non riusciva ad immaginare un’altra persona in casa con loro. Pensò comunque di non dire ciò che realmente pensava a sua madre, lei aveva diritto di essere felice, e non sarebbe stato lui ad impedirglielo.
- Va bene - disse cercando di caricare quelle tre sillabe con tutto l’entusiasmo possibile, con scarso risultato.
- Non credo che tu abbia capito - ribatté lei.
Thomas aspettò una spiegazione più dettagliata che non tardò ad arrivare:
- Dobbiamo trasferirci.
- Co…come trasferirci? - non riuscì a fare di nuovo finta di essere contento - Perché? Non può venire lui qui? Lui non ha nessuno, noi…
- Anche lui ha un figlio - lo interruppe Silvia lasciandolo a bocca aperta.
- Come ha un figlio? E perché non me l’hai mai detto?
- Non credevo ce ne fosse bisogno.
- Se ha un figlio, deve avere anche una moglie o una ragazza sparsa per il mondo come papà.
- Neanche lui era sposato, ma aveva una compagna che però è morta in un brutto incidente stradale insieme al loro secondogenito qualche anno fa - la donna cercò di spiegarsi - so che te ne avrei dovuto parlare prima, ma… - si interruppe, non riuscendo più a trovare le parole.
- No sta tranquilla, va bene - la tranquillizzò lui - però non sono sicuro di volermi trasferire.
- Lo capisco, ma qui paghiamo l’affitto e riusciamo a stento ad arrivare a fine mese. Se andiamo a vivere lì avremo due stipendi senza troppe spese, la casa è di Giacomo. Inoltre suo figlio ha la tua età e magari potrete anche diventare amici.
Pensò che la parola “fratelli” non era affatto adatta in quel momento.
- Lo ami? - le domandò Thomas abbassando lo sguardo.
Lei rimase spiazzata da quella domanda. Il ragazzo non ottenne una risposta immediata, così la guardò negli occhi e riprese a parlare:
- Dimmi che lo ami e io farò quello che desideri.
Silvia fece un sorriso a suo figlio:
- Lo amo - disse facendo cenno di sì.
- Perfetto.
Thomas non riusciva ad essere felice, Silvia se ne accorse e tentò di fargli capire una cosa che probabilmente lui non aveva ancora pensato:
- Potremo finalmente permetterci un maestro di piano.
Thomas tentò di sorridere, ma non ci riuscì.
- Non ne ho bisogno - disse infine alzandosi dalla sedia dirigendosi fuori dalla cucina, ma si fermò vicino a sua madre e continuò a parlare - ormai ho imparato a suonarlo, non mi importa di avere un maestro.
Su quello aveva ragione, in undici anni aveva imparato a suonare alla perfezione, seguendo qualche lezione on-line, scaricando degli spartiti di alcune canzoni, suonando musica classica e contemporanea; no, non lo voleva un maestro.
Mise una mano sulla spalla di lei, capendo di avere usato un tono troppo brusco:
- Scusa - disse sospirando - dimmi quando dobbiamo andare così comincio a fare le valigie.
La donna prese la mano del figlio e sorrise:
- Grazie - si limitò a dire.
Lui scosse lievemente la testa senza parlare, quindi andò in camera sua.
 
Provò a concentrarsi sul libro di storia, ma la sua mente non ne voleva saperne di fascismo o di Mussolini. Riuscì solo a pensare che presto avrebbe avuto una nuova casa, con due persone sconosciute. E se quel Giacomo era peggio di suo padre? Se suo figlio era uno di quei figli ribelli che sanno solo rispondere male e prendersela con tutti? Come avrebbe potuto vivere in quel modo?
Pensò di scacciare quei pensieri, e per farlo c’era solo un modo: guardò il suo pianoforte e capì cosa doveva fare; suonò una canzone che aveva imparato da pochi giorni, “Eppure sentire”. Chiuse gli occhi, dato che conosceva i tasti a memoria, e si lasciò andare alla melodia.
 
Sua madre sentì il figlio iniziare a suonare; stava lavando i piatti, ma lasciò stare e si diresse nel corridoio, davanti la porta chiusa della stanza di Thomas. Sentendo quella musica, e consapevole del fatto che era suo figlio a suonare, si appoggiò alla parete di fronte alla porta e si lasciò andare ad un pianto silenzioso.
Amava suo figlio alla follia, e non riusciva a perdonarsi di avergli fatto avere un padre così, ma soprattutto non si perdonava di non aver trovato la forza di difenderlo, mentre suo padre lo picchiava con violenza, ma riusciva solo a starsene immobile, e si odiava per il suo comportamento da vile. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per vedere Thomas felice, e quel trasferimento lo stava facendo anche per lui. Amava Giacomo, non come suo figlio, ma l’amore che si prova per un figlio è totalmente diverso rispetto a quello che si prova per un uomo.
Lo sapeva bene, e sapeva anche che Thomas non era d’accordo sul trasferimento, ma era sicura che si sarebbe trovato bene con Giacomo e suo figlio.
Voleva fargli avere ciò che gli era mancato: l’affetto di una figura maschile.
Silvia non era sicurissima, ma immaginava, ed era più di una semplice intuizione, che suo figlio fosse omosessuale. Lui non gliel’aveva mai detto, e questo le diede un po’ di dispiacere, anche perché secondo lei non c’era niente di male ad esserlo; però capì che forse non gliel’aveva detto per paura della sua reazione. Lei non gli avrebbe mai detto di immaginarselo, perché, se voleva, sarebbe stato lui stesso a parlargliene.
Non poteva spiegare come faceva a saperlo, se lo sentiva e basta. Forse una madre conosce suo figlio più di quanto conosce sé stessa.
Per lei era un ragazzo perfetto, tutto ciò che una madre può desiderare, e credeva di non essere all’altezza, pensava di non riuscire a fare bene il mestiere della madre.
La musica cessò, Silvia si alzò, si asciugò le lacrime e si tirò indietro i capelli neri; scosse la testa come a scacciare qualche brutto pensiero, quindi tornò in cucina a finire il suo lavoro.
 
Thomas suonò ancora per qualche minuto, fino a quando non sentì di avere finalmente la mente libera; contro la sua volontà, decise di dedicarsi nuovamente al libro di storia ancora aperto sulla scrivania.





Salve a tutti :)
Eccomi qui con una nuova creazione (spero non fallimentare) :) vi spiego come si svolgerà il racconto: la storia è formata da tre parti, ma la prima parte è più lunga della seconda e della terza; il tutto si divide in 21 capitoli più l'epilogo. I capitoli saranno pubblicati ogni giovedì, e, salvo eventuali imprevisti, sarò puntuale con la pubblicazione, poiché la storia ce l'ho già pronta.
Per chi deciderà di seguire la mia storia, vi avviso già che il capitolo 10 sarà una delusione perché è molto corto (lo dico così eviterò insulti).
Bene, spero che questo racconto vi piaccia e ringrazio anticipatamente tutti coloro che seguiranno le vicende di Thomas e Manuel e che decideranno di lasciare qualche recensione :)
Buona lettura e a presto :)

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Manuel prese i libri e li mise sul tavolo del salone per poter iniziare studiare, sorpreso di non vedere ancora suo padre rientrare a casa; pensò di chiamarlo per chiedergli dov’era, ma si disse che forse aveva da fare quindi cambiò idea.
Fissò i volumi e fece una smorfia di disgusto; quel pomeriggio non aveva proprio voglia di fare i compiti, ma era all’ultimo anno, l’esame di maturità si avvicinava e sapeva di doversi sforzare se voleva prendere un buon voto e presentarsi al meglio al test d’ingresso per la facoltà di medicina.
Scelse lo scientifico, amava la matematica e adorava la chimica e la fisica, materie in cui non aveva difficoltà a prendere dei nove.
Aveva le idee chiare sul suo futuro, voleva fare il medico, il chirurgo per la precisione. L’idea di poter salvare delle persone lo affascinava, ed era convinto che era quello il suo destino.
Spinto dalla forza di volontà si mise a sedere e cominciò a leggere attentamente le pagine del libro di letteratura.
Dopo una decina di minuti sentì un rumore di chiavi nella serratura della porta d’entrata.
- Ehi - suo padre lo salutò entrando in casa.
- Ciao papà - rispose Manuel, che poi diede uno sguardo all’orologio affisso alla parete, notando che erano le tre meno un quarto - perché così tardi oggi?
- Mi sono dovuto trattenere in agenzia perché ci sono dei problemi con un contingente camere di un hotel.
Il ragazzo annuì, suo padre era direttore tecnico di un’agenzia di viaggi, ma il ragazzo non era troppo interessato ad entrare nei particolari della questione, così cercò di sviare il discorso:
- E questi problemi sono cominciati alle quattro e mezza del mattino? - Lo ammonì.
- Ah, mi hai sentito - l’uomo era convinto di aver fatto piano quella mattina, ma evidentemente non era riuscito a non svegliare suo figlio - non riuscivo a dormire così sono andato a trovare Silvia.
- Un orario un po’ insolito direi.
- Già - Giacomo fece una piccola pausa, ragionando sulle parole seguenti - ma non mi importa, le volevo dire una cosa. E gliela dovevo dire di persona e al più presto.
Manuel si girò verso suo padre lasciando momentaneamente lo studio: - Doveva essere una cosa davvero importante se sei andato da lei a quell’ora.
- Le ho chiesto se lei e suo figlio vogliono venire ad abitare qui da noi.
- E che ti ha detto? - Il ragazzo non si sorprese, aveva avuto occasione di conoscere Silvia quando qualche volta era andata a casa loro, e si accorse che tra suo padre e quella donna c’era un legame particolare, perciò immaginava che quel momento sarebbe arrivato prima o poi.
Inoltre suo padre era giovane, erano passati cinque anni dalla morte di sua madre e di suo fratello. Erano stati malissimo in quel periodo, e niente avrebbe mai cancellato un dolore così grande, ma il mondo andava avanti, e anche loro dovevano farlo, pur non riuscendo a dimenticare.
- Mi ha detto che doveva parlarne con suo figlio - rispose l’uomo - poi mi avrebbe dato una risposta.
- Capisco.
Manuel sapeva che Silvia aveva un figlio della sua età, e non gli dispiaceva l’idea di avere un fratellastro. Era chiaro che non avrebbe mai preso il posto del suo vero fratello, ma almeno poteva avere una compagnia sicura se la relazione tra suo padre e quella donna sarebbe durata.
Faticava a trovare amici, conosceva molte persone grazie alla scuola e alla palestra, ma nessuno poteva considerarsi un vero amico.
- Ti lascio studiare - riprese suo padre - vado un po’ a riposare; tra un paio d’ore devo tornare in agenzia.
- Non mangi niente? Ho cucinato.
- No ho preso un panino poco fa - l’uomo si diresse alle scale che portavano di sopra - Vuoi farti accompagnare in palestra dopo?
- No tranquillo, vado col motorino.
Giacomo annuì e si diresse al piano superiore.
La casa di Manuel era a due piani: il piano terra aveva un ampio salone collegato a una cucina, mentre al piano di sopra c’erano due stanze e il bagno.
La camera del ragazzo era grande per una persona sola, ma non avrebbero mai potuto immaginare che Francesco, suo fratello, sarebbe venuto a mancare così presto lasciando quella stanza e quella casa prive della sua infantile vivacità.
Manuel aveva quattordici anni quando morirono sua madre e suo fratello. Erano tutti e quattro in macchina, pronti a passare una spensierata domenica pomeriggio in famiglia, quando un’altra automobile si diresse verso di loro contromano e a tutta velocità.
Suo padre non ebbe neanche il tempo di rendersi conto della situazione, subito dopo tutto si fece buio.
Manuel si risvegliò in una stanza d’ospedale, solo, sentendo dolori dappertutto.
Dopo qualche minuto un’infermiera entrò nella sua stanza e gli fece un sorriso avvicinandosi al letto del ragazzo:
- È tutto apposto - gli disse accarezzandolo - tuo padre sta riposando nella stanza di fianco.
- Mamma? Francesco? - fece un enorme fatica a dire quei due nomi, ma l’infermiera non riuscì a dire altro, si portò una mano alle labbra e lasciò la stanza.
A quel punto Manuel capì che solo lui e suo padre erano sopravvissuti.
Riuscì a piangere soltanto al funerale, non prima, forse non aveva realizzato ciò che era successo.
Dopo un iniziale sbandamento, lui e suo padre riuscirono, dandosi forza l’uno con l’altro, a riprendere in mano le loro vite, con una piccola parte di anima che se ne era andata insieme ai loro cari quel maledetto pomeriggio.
La vita proseguiva tranquilla, niente di particolare era più successo dopo quel giorno, Manuel si immergeva nello studio e andava in palestra per scaricare lo stress scolastico.
A volte gli mancavano sua madre e suo fratello, ma era riuscito a lasciarli andare; ogni tanto piangeva, ma sapeva che in un modo o nell’altro, erano ancora insieme a lui e a suo padre.
 
Dopo aver studiato, andò in palestra, dove notò che non c’era molta gente, e Manuel sperò con tutto se stesso di non trovare la ragazza che gli faceva la corte dall’anno scorso.
Le sue speranze furono vanificate quando se la ritrovò di fronte appena uscì dallo spogliatoio, vestito per iniziare l’allenamento quotidiano.
- Ciao Manu - lo salutò la ragazza squadrandolo da capo a piedi come se fosse la prima volta che lo vide.
- Ciao Lucia - cercò di essere il più cortese possibile, un’impresa che gli riuscì solo in parte.
- Come va? - La ragazza parlava con un tono acuto, e quel modo di parlare innervosiva non poco il ragazzo.
- Tutto bene - cercò di passare oltre ma la ragazza gli si parò davanti - ti dispiace farmi passare? - le intimò lui lottando contro la voglia di urlarle contro - come vedi sono appena arrivato e ho freddo vestito così, vorrei andarmi a scaldare.
- Anch’io sono arrivata ora - ribatté entusiasta lei, che gli rivolse uno sguardo ammiccante - e devo scaldarmi.
- Bene - rispose lui rassegnandosi all’idea che Lucia sarebbe rimasta a fargli compagnia per tutto il tempo dell’allenamento.
Quella ragazza non interessava a Manuel, era carina, alta quasi come lui, capelli ricci e occhi scuri, ma non era proprio il suo tipo. Era stato fidanzato un paio di volte, ma più per gioco che per amore; non era mai stato innamorato davvero e quando arrivava il momento di andare oltre, di fare sesso, lui si fermava. Le due ragazze che si erano trovate in quella situazione non gli fecero pesare assolutamente quell’episodio, ma alla fine lui le aveva lasciate entrambe dopo un paio di mesi dicendo che non le amava, dopotutto era la verità.
Manuel non si disperò del fatto che non riusciva a trovare una ragazza che lo facesse innamorare; Pensava che prima o poi la persona giusta sarebbe arrivata, e sicuramente sarebbe stato disposto a fare l’amore con essa.
Provò così ad avvicinarsi ad altre ragazze, ma nessuna riuscì a fargli battere il cuore; loro erano felici di ricevere attenzioni da lui, d’altronde era molto bello: alto quasi un metro e ottanta, capelli biondi, con una frangetta che arrivava al sopracciglio destro, occhi color nocciola, lineamenti del viso praticamente perfetti, bocca rosea, magro ma con muscoli definiti, grazie allo sport.
Come faceva Lucia a non stargli dietro?
L’aveva conosciuto all’incirca un anno prima in palestra, e da allora iniziò a corteggiarlo, sperando che un giorno le avrebbe detto che gli piaceva.
 
Aveva da poco superato la metà del suo allenamento, e cominciò a sudare.
- Mi piaci da morire quando sollevi i pesi - esordì Lucia - le tue guance diventano tutte rosse e…
- Per favore - la interruppe lui, visibilmente imbarazzato mentre rimetteva i pesi al loro posto.
- Non ti piaccio neanche un pochino?
Manuel le si avvicinò talmente tanto che le loro labbra si sfiorarono: - No - rispose secco, poi tornò a debita distanza.
- Ma perché?
Il ragazzo non sapeva più come liberarsene, così gli venne un’idea che sarebbe stata senz’altro efficace: - Sono gay - mentì.
La ragazza rimase per un attimo spiazzata e questo lo fece illudere di aver finalmente trovato una buona scusa per liberarsene. Ma così non fu: Lucia scoppiò a ridere così forte tanto da attirare l’attenzione di due persone vicine a loro.
- Perché ridi? - Manuel si diresse a un macchinario che serviva per lavorare i muscoli dorsali e iniziò ad usarlo aspettando una risposta dalla ragazza.
- Perché a dicembre dell’anno scorso ti ho visto baciare una ragazza, quindi inventatene un’altra.
Finì l’esercizio prima di ribattere:
- Mi spii?
Lei alzò le mani in segno di innocenza: - Passavo di lì e ti ho visto.
Il ragazzo fece un lungo sospiro: - Ascolta - disse cercando di essere il più chiaro possibile - non mi piaci, mettitelo in testa. Al massimo possiamo essere amici.
- Non ti libererai di me così facilmente - disse lei con tono quasi minaccioso.
Poi si allontanò.
Manuel scosse la testa pensando che al mondo c’era davvero molta gente strana, quindi finì in pace il suo allenamento.
 
Quando tornò a casa era quasi ora di cena. Doveva cucinare lui; per le faccende domestiche avevano assunto una donna che andava a casa loro tutte le mattine per riordinare la casa, approfittando del fatto che uno era a lavoro e l’altro a scuola, la domenica si arrangiavano un po’ come potevano visto che era il giorno libero della domestica e loro restavano entrambi a casa, approfittando del giorno di festa per dormire fino a tardi.
Per quanto riguardava la cucina, Manuel cucinava a cena, visto che suo padre rientrava tardi dal lavoro, e Giacomo a pranzo. Quel giorno fu un eccezione e il ragazzo dovette cucinare sia a pranzo che a cena. Comunque non gli dispiaceva.
Quando si ritrovarono di colpo a vivere da soli fu difficile, ordinavano sempre cibi pronti, poi si dissero che non potevano continuare a mangiare sempre e solo porcherie, quindi si rimboccarono le maniche e impararono a cucinare; dopo vari tentativi e molti fallimenti, riuscirono a creare dei buoni piatti, ma Manuel scherzava sempre sul fatto che lui era migliore di suo padre.
Quando Giacomo tornò, il ragazzo aveva appena finito di apparecchiare.
Erano da poco passate le otto quando si accomodarono ai due capi del tavolo.
- Non sai cosa mi sono inventato per liberarmi di Lucia - esordì Manuel. A suo padre parlava di tutto, era lui l’unico vero amico che aveva, con i suoi coetanei parlava solo delle cose più superficiali, non riuscendo mai ad andare più a fondo; questo lo faceva sentire un po’ solo a volte, anche perché avrebbe voluto trovare un amico con cui parlare di tutto, ma aveva suo padre, e gli bastava.
- Cosa? - domandò l’uomo incuriosito.
- Gli ho detto di essere gay - rise Manuel.
Giacomo scoppiò a ridere a sua volta: - Immagino come ci è rimasta.
- Macché - la risata si spense lentamente - non mi ha creduto.
- Ah - anche suo padre smise di ridere - peccato.
Mangiarono in silenzio, poi Manuel riprese a parlare:
- Silvia ti ha risposto?
L’uomo finì di bere, quindi rispose a suo figlio:
- Sì - disse schiarendosi la gola - mi ha detto che a suo figlio sta bene l’idea del trasferimento e che saranno qui domenica.
- Dopodomani?
- Esatto.
Manuel non si aspettava che sarebbero arrivati così presto.
- Cos’è che non ti convince? - domandò suo padre vedendolo con un’espressione stupita.
- No niente - si affrettò a rispondere - sto solo pensando che adesso la nostra vita cambierà un po’.
L’uomo fece cenno di sì: - Vedrai che cambierà in meglio, e col tempo riusciremo anche a diventare una famiglia.
- Sai che non li rimpiazzeranno mai vero? - ribatté Manuel alludendo a sua madre e suo fratello.
- Lo so, ma cerchiamo di non far pesare loro questa situazione, sicuramente non vorranno sentirsi una specie di rimpiazzo - Giacomo si alzò dal suo posto e andò a sedersi vicino a suo figlio - loro sono altre persone, non sono mamma e Francesco e non prenderanno il loro posto, ma proviamoci, sono sicuro che loro, da lassù, vogliono vederci felici.
Finì sorridendo e Manuel gli sorrise a sua volta:
- Ti dispiace se ti lascio lavare i piatti da solo? - disse il ragazzo alzandosi - devo ripassare un paio di cose per domani.
L’uomo scosse la testa: - Vai tranquillo, dopotutto hai cucinato due volte oggi, perciò è giusto che i piatti li lavi io.
- Bene - ribatté soddisfatto - allora buona notte.
- Notte.
Manuel salì in camera sua, guardò il letto che per cinque anni era rimasto vuoto, e che tra due giorni sarebbe stato usato nuovamente. Molte volte aveva desiderato di svegliarsi nel cuore della notte e vedere suo fratello che dormiva tranquillamente nel letto accanto al suo; ma sapeva che non sarebbe mai potuta succedere una cosa simile.
I primi giorni in cui Francesco non c’era più, ebbe la sensazione che quella stanza fosse diventata enorme; ancora lo pensava, era troppo grande solo per lui. Gli bastava un piccolo spazio con una scrivania, un armadio e un letto, lì era tutto per due, e da un lato era felice di poter finalmente dividere nuovamente quello spazio, anche se non con suo fratello.
Decise di porre fine ai suoi pensieri e di mettersi a ripassare.
Rimase sui libri fino a quando il sonno non prese il sopravvento e gli implorò di andare a dormire.
 
Giacomo finì di lavare i piatti, poi si accomodò sul divano e accese la televisione. Non c’era niente di interessante, quindi si limitò a cambiare canale distrattamente, pensando a Silvia, che ora doveva essere a lavoro e tra due giorni quella sarebbe diventata la sua nuova casa. Era un po’ nervoso, non sapeva se si fosse trovata bene e non conosceva suo figlio, anche se a prima vista gli era sembrato un bravo ragazzo.
Pensò di offrirle un lavoro in un’agenzia non troppo lontano da lì, di cui conosceva il direttore e sapeva che aveva bisogno di un nuovo agente di viaggi, poiché quello che c’era prima l’aveva piantato in asso trasferendosi in America.
Almeno avrebbe smesso di lavorare di notte. Si disse che per quella notizia poteva attendere, ed evitare di andare a prenderla al lavoro all’alba come aveva fatto quella mattina.
Rimase in salone per quasi due ore, guardando parti di tre film diversi, poi decise di andare a dormire, anche se sapeva che non ci sarebbe riuscito molto facilmente.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Thomas finì di preparare la sua seconda e ultima valigia. Le altre cose le avrebbero trasportate con degli scatoloni, mentre per il pianoforte chiamarono una ditta specializzata in traslochi, che glielo avrebbe trasportato con un furgone fino alla nuova abitazione. 
Era la prima volta che si trovava ad affrontare un cambio di casa, era sempre vissuto lì, e non sapeva come sarebbe stato vivere da un’altra parte.
Sentì bussare alla porta della camera.
- Avanti - disse, sapendo che si trattava di sua madre.
- Mi sa che sta per arrivare un bel temporale - iniziò Silvia richiudendosi la porta alle spalle, anche se in casa non c’era nessun altro.
- Già - ribatté Thomas guardando verso la piccola finestra della sua camera, sentendo i tuoni che si avvicinavano sempre di più.
Era l’ultimo sabato di ottobre, nella notte sarebbe tornata l’ora solare e le giornate si sarebbero accorciate; tutto sommato gli piaceva quel periodo; i temporali con i loro lampi e i tuoni, per qualche strana ragione, lo rilassavano.
Si mise a sedere sul letto.
- Ho finito di preparare tutto - disse a sua madre - tu?
Lei annuì: - Mi mancano poche cose.
- Vuoi una mano?
- No, hai già fatto abbastanza oggi.
Nel primo pomeriggio, dopo pranzo, avevano preparato gli scatoloni che il giorno dopo avrebbero portato con sé, e Thomas aveva dato una grossa mano a sua madre.
Il ragazzo riprese la parola:
- Volevi dirmi qualcosa?
Silvia andò a sedersi sul letto accanto a lui:
- Perché non mi dici cos’è che ti preoccupa? - gli domandò mentre gli rimetteva a posto un ciuffo ribelle. Anche se era cresciuto, per lei restava sempre il suo bambino.
Thomas ragionò sulla risposta, fissando gli occhi scuri e penetranti di sua madre; avrebbe voluto dirle che non era sicuro di quello che stavano per fare, che aveva paura di non trovarsi bene, che tutte le notti sognava suo padre che tornava a casa per picchiarlo ancora, che aveva paura nonostante fosse ormai un adulto, che si sentiva un patetico vigliacco.
-  Nulla - disse invece - semplicemente non so cosa aspettarmi, ma so che andrà tutto bene.
Silvia incassò l’ennesima bugia di suo figlio, si chiedeva perché non le parlava mai dei suoi problemi, era tanto incapace come madre? Decise, come al solito, di non insistere.
- Vedrai che andrà tutto bene - lo abbracciò - ti voglio bene. 
- Anch’io - rispose accarezzando i capelli neri di sua madre.
Dopo qualche secondo la donna si staccò da suo figlio:
- Vado a preparare le ultime cose prima di andare a lavoro.
Si diresse alla porta, stava per uscire quando la voce di Thomas la bloccò sulla soglia:
- Ma’.
Ci mise un po’ prima di girarsi verso di lui, illudendosi che finalmente le avrebbe detto qualcosa, lo sentiva nella sua voce che voleva parlarle. Si voltò e aspettò che suo figlio riprese la parola.
- Niente - disse scuotendo la testa e abbassando lo sguardo.
Silvia si sforzò di sorridere, fece un sospiro e lasciò Thomas solo nella stanza.

Si chiese perché mai gli era balenata in testa un’idea simile: stava per dire a sua madre tutto quello che pensava, anche di essere gay; fortunatamente riuscì a fermarsi in tempo.
Non glielo diceva spesso di volergli bene, e forse questo aveva fatto scattare in lui quella molla, ma era convinto che se avesse detto a sua madre la verità, lei non gli avrebbe più rivolto la parola.
Si sdraiò sul letto a guardare il soffitto, e a quel punto lo desiderò, chiuse gli occhi e lo desiderò con tutto se stesso: voleva un ragazzo al suo fianco, lì, sdraiato sul letto accanto a lui. In quel breve momento decise di lasciar perdere i suoi ragionamenti, e pensò a come poteva essere la sua vita con una persona che lo amava.
Durò meno di un minuto, subito ricominciò a razionalizzare, dicendosi che quei pensieri erano sbagliati, che si sarebbe dovuto sposare con una ragazza e avere una famiglia per far felice sua madre, pur rinunciando alla sua di felicità.
Si lasciò andare solo per quel minuto, poi, il muro che negli anni si era venuto a creare dentro di lui, divenne ancora più resistente.
Avrebbe continuato così, quando vedeva un ragazzo che gli piaceva, doveva convincersi che non sarebbe mai potuto accadere niente tra loro, e doveva cercare di stare il più lontano possibile da lui, per evitare di rendere le cose più difficili.
Ce l’avrebbe fatta, non era poi così difficile.
 
Da un’altra parte di Roma, Manuel, come ogni sabato, aveva appena ordinato la pizza.
Guardò l’orologio e vide che erano da poco passate le sei.
Decise di non andare in palestra, pioveva a dirotto e se andava con il motorino si sarebbe fatto sicuramente una doccia non piacevole, e inoltre era sabato; ci sarebbe tornato direttamente lunedì.
Aprì il libro di filosofia e iniziò a leggere attentamente, con il rumore del temporale in sottofondo che rendeva lo studio abbastanza piacevole.
Erano quasi le otto quando finì di studiare; tra poco sarebbe tornato suo padre e anche la pizza doveva arrivare a momenti. 
Neanche finì di studiare che sentì suonare il citofono; andò ad aprire e aspettò sulla porta un ragazzo che teneva con la mano sinistra un ombrello, e con la destra un cartone contenente la cena ordinata da Manuel.
Quest’ultimo diede venti euro al ragazzo di fronte a lui e gli disse di tenere il resto. 
L’altro ringraziò e sparì nel temporale.
Dopo cinque minuti, anche Giacomo tornò a casa.
- Porca miseria - disse l’uomo mentre richiudeva la porta alle spalle e si asciugò le scarpe sul tappeto d’entrata - fortunatamente ho avuto la buona idea di portarmi dietro l’ombrello.
Manuel si limitò a sorridere.
Cenarono in silenzio, ognuno assorto nei propri pensieri. 
Quella sera non ci sarebbero stati piatti da lavare, così, dopo aver sparecchiato, Manuel si sedette sul divano e suo padre prese un film in dvd.
- Ma quello l’abbiamo visto un centinaio di volte - protestò il ragazzo allargando le braccia.
L’uomo guardò il cofanetto che conteneva il disco e si strinse nelle spalle:
- Però è bello - affermò.
Manuel sospirò e si arrese all’idea di vedere quella commedia comica, di cui sapeva a memoria praticamente ogni battuta.
Alla fine del film, il ragazzo decise di prendere la parola:
- E così domani vengono.
Per tutta la sera non ne avevano parlato, Manuel era un po’ nervoso all’idea, non sapeva spiegarsi il perché , ma non ce la faceva a fare finta di nulla. La cosa che più di tutte sperava, era che quel ragazzo fosse abbastanza cordiale e non come certi tipi ignoranti e senza cervello che, per sua sfortuna, aveva avuto modo di conoscere; inoltre anche Silvia avrebbe vissuto con loro. 
In fondo c’erano delle novità che stavano per presentarsi nel suo quotidiano.
- Sì - rispose suo padre - mi raccomando, facciamogli trovare la casa in buone condizioni.
- Stamattina Teresa ha fatto il suo lavoro - ribatté il ragazzo riferendosi alla domestica - domattina non ci sarà alcun casino, perciò sta tranquillo.
- Ci tengo a fare bella figura, la prima impressione è molto importante.
Manuel roteò gli occhi e rivolse lo sguardo verso suo padre:
- Pa’ non sono clienti dell’agenzia.
- Lo so - si giustificò l’uomo - ma voglio che Silvia e Thomas si sentano subito a casa, perciò domani quando ti svegli ti rifai il letto, non come le altre domeniche.
- Agli ordini capitano - ironizzò il ragazzo, che poi si alzò dal divano, diede la buona notte a suo padre e andò in camera sua.
Prima di addormentarsi, prese un libro dalla sua scrivania. Gli piacevano le storie fantasy, soprattutto quelle con i vampiri.
Dopo aver letto un paio di capitoli, rimise il libro al suo posto, indossò il pigiama e si sdraiò sotto le coperte. 
Il sonno non ci mise molto a trascinarlo con sé.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Thomas si svegliò alle nove passate; la domenica si svegliava sempre a quell’ora, ma quella notte aveva dormito di più a causa del passaggio all’ora solare, e se ne accorse, visto che si sentiva un po’ stordito.
Si mise a sedere e tentò di recuperare nei meandri della sua memoria le immagini di un sogno che non raffigurasse suo padre, ma non ci riuscì. Il suo sguardo gelido era un chiodo fisso nella sua mente ogni volta che si svegliava.
Provò a fare mente locale; si accorse subito che non pioveva, anche se dal buio che riempiva la sua stanza, il cielo doveva essere coperto.
Andò in bagno senza dare troppa importanza al suo aspetto fisico, tanto tra qualche minuto avrebbe fatto la doccia e si sarebbe sistemato.
Dopodiché, si diresse in cucina, dove vide sua madre seduta al tavolo, intenta a sorseggiare il caffè.
- Buongiorno - le disse entrando in cucina.
- Ehi - rispose sua madre voltandosi verso di lui. Aveva l’aria di chi non aveva dormito per niente, e in effetti era riuscita a riposare solo un paio d’ore - c’è ancora del caffè se vuoi - continuò indicando la caffettiera sul ripiano della cucina.
Thomas annuì e ne prese un bel po’; doveva ancora svegliarsi del tutto.
- Allora? - riprese la donna - sei pronto?
Lui annuì dall’altro capo del tavolo: - Dammi solo il tempo di fare una doccia.
- Non preoccuparti, anch’io devo darmi una sistemata prima di andare.
- Riusciamo a portare tutto in una volta? - chiese lui non rendendosi conto di quanta roba avevano.
- Dovremmo farcela - affermò lei - non è tantissimo, il furgone oltre al pianoforte porterà anche gli scatoloni che non entrano in macchina.
Thomas fece cenno di sì, bevve l’ultimo sorso di caffè, poi disse a sua madre che sarebbe andato a lavarsi.
Prese gli unici vestiti che aveva lasciato fuori dalla valigia, e andò in bagno. Notò che doveva radersi; non sopportava la barba e appena gli cresceva un po’, se la toglieva, si radeva una volta ogni due giorni per evitare di farla crescere. 
Dopo una mezz’ora uscì dal bagno.
Decise di suonare il piano per l’ultima volta in quella casa; chi poteva sapere se dove stava andando avrebbe potuto suonarlo tranquillamente come nella casa che stava per lasciare; sperò di sì.
Come sempre, si lasciò trasportare dal suono della musica fino a quando sua madre non entrò nella sua stanza e gli disse che dovevano andare.

Era quasi mezzogiorno quando sua madre accese l’auto e iniziò a guidare.
Thomas era seduto sul lato del passeggero, sul sedile posteriore e nel portabagagli c’erano le valige e qualche scatolone, il resto l’avrebbe trasportato il furgone.
Era quasi mezzogiorno, anche se sembrava più tardi, probabilmente a causa del cambio dell’ora.
Thomas guardò fuori dal finestrino: nonostante fosse un giorno di festa, il traffico era sempre intenso e i rumori di clacson non mancavano.
Guardò in cielo e vide che era coperto, nemmeno uno sprazzo di luce in lontananza, anzi, minacciava di piovere da un momento all’altro. La temperatura era leggermente più alta rispetto ai giorni precedenti, ma faceva comunque abbastanza freddo.
Arrivarono a destinazione dopo poco meno di mezz’ora, e Thomas sentì l’ansia cominciare a salire quando sua madre aprì lo sportello dell’auto.
- Siamo arrivati - disse lei cercando di spronare suo figlio rimasto immobile.
Thomas annuì, quindi aprì anche lui lo sportello e scese dall’auto.
Presero le quattro valige, due a testa, e Thomas seguì sua madre che si stava dirigendo ad un cancello grigio appena dietro l’automobile parcheggiata. 
Silvia suonò al citofono, rispose Giacomo:
- Chi è?
- Tesoro siamo noi - rispose lei, che poi si rivolse a suo figlio - cerca di sorridere un po’ dai.
Ma per Thomas non era affatto facile sorridere, si sentiva nervoso ma non poteva spiegare il perché.
Giacomo apparve davanti a loro.
- Ciao - salutò entusiasta. Diede un bacio sulle labbra a Silvia e sorrise a Thomas.
- Salve - rispose quest’ultimo.
- Non gliel’hai detto?  - l’uomo si rivolse alla sua fidanzata parlando a bassa voce, poi lei si girò verso suo figlio:
- Non vuole che gli dai del lei - gli disse.
- Va bene, allora… - il ragazzo fece una piccola pausa, poi fece un sorriso forzato - ciao.
- Così va meglio - rispose sorridendo a sua volta - prego entrate.
L’uomo accompagnò Silvia e Thomas verso la porta d’entrata, che era separata dal cancello grazie a un modesto giardino con un paio d’aiuole curate.
La casa era dipinta di bianco, e da fuori sembrava molto spaziosa e bella.
L’uomo entrò seguito da Silvia, stava per entrare anche Thomas, ma rimase bloccato sulla soglia: davanti a lui c’era Manuel, e nel momento esatto in cui i loro sguardi si incrociarono, il cuore di Thomas si bloccò per un momento e gli salì fino in gola; nella sua mente si fece spazio un’idea che provò con tutta la sua forza di volontà a ricacciare indietro, ma non ci riuscì: dovette ammettere a sé stesso di non aver mai visto niente di così bello.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Manuel era appoggiato alla parete, vide che l’altro ragazzo era rimasto sulla porta a fissarlo, e non seppe per quale ragione, ma per un  momento sentì come se qualcuno gli avesse appena sferrato un pugno in pieno stomaco.
Non si soffermò a pensare a quella strana sensazione e si diresse verso il ragazzo, mentre suo padre e Silvia erano già entrati.
- Thomas giusto? - gli domandò tendendo la mano in avanti in segno di saluto.
- S…sì - ricambiò il gesto cercando di non farsi vedere troppo agitato, anche se non ci riuscì a pieno. Le loro mani si toccarono; Thomas non avrebbe voluto staccarla mai più.
- Io sono Manuel - rispose l’altro sorridendo, poi mollò la presa.
- Perché non accompagni Thomas in camera? - intervenne Giacomo, che nel frattempo era già diretto al piano di sopra con Silvia.
Lui annuì, prese una delle due valige e fece cenno all’altro di seguirlo.
Salirono le scale, Thomas sentiva il suo cuore battere a mille, il ragazzo davanti a lui era troppo bello, quegli occhi erano così divini da non poter essere reali.
Si morse il labbro inferiore e pensò che doveva smetterla, non lo conosceva neanche e già gli faceva quell’effetto, doveva assolutamente limitare quei pensieri; doveva calmarsi.
Entrarono in camera e Thomas fu invaso da un profumo forte e penetrante, si sentì svenire per una frazione di secondo pensando che quello era con tutta probabilità il profumo di Manuel.
- Che ne dici? - disse quest’ultimo sorridendo - ti piace?
L’altro si guardò intorno: le pareti erano bianche, alla sua sinistra c’erano due letti singoli, non troppo distanti l’uno dall’altro, più avanti un armadio a due ante. Al centro c’era una grande finestra che faceva entrare molta luce, nonostante il cielo fosse coperto; alla loro destra c’era un altro armadio e due scrivanie, una delle quali aveva una tv e un pc.
Thomas si limitò ad annuire, non sapendo ancora quale dei due sarebbe stato il suo letto.
- Dormirai qui - disse Manuel quasi leggendogli nel pensiero e indicando il letto più vicino alla porta.
Thomas accennò un sorriso e si mise a sedere sul materasso; notò che era abbastanza comodo e capì che si sarebbe presto abituato a dormire lì.
- E così da oggi siamo fratellastri - esordì Manuel sedendosi sul suo letto, trovandosi così uno di fronte all’altro.
Thomas faceva di tutto per evitare quegli occhi, sapeva che se li avesse incrociati nuovamente, un altro fiume in piena l’avrebbe travolto, si limitò ancora ad accennare.
- Perché non parli? - Manuel era dispiaciuto, pensò di aver sbagliato qualcosa, ma non riuscì a ricordare un comportamento errato in quei pochissimi minuti.
- Scusami - rispose finalmente, si costrinse a guardarlo, e, come aveva previsto, il cuore gli salì nuovamente in gola, ma era convinto che doveva conviverci ancora per poco, e presto quello che provava si sarebbe esaurito; si trattava solo dell’impatto iniziale, si disse - sono un po’ timido con chi non conosco.
Dopotutto non era una bugia.
- Capisco - ribatté l’altro abbassando lo sguardo, per la gioia di Thomas, ma lo rialzò quasi subito, un sorriso gli comparve sul volto - comunque avremo modo di conoscerci - poi si alzò - scusami devo andare un attimo in bagno - indicò l’armadio dall’altra parte della stanza - quello è vuoto, puoi mettere lì la tua roba.
- Grazie - rispose l’altro mentre osservava Manuel uscire e richiudersi la porta alle spalle.
Non doveva andare in bagno, si appoggiò alla porta che aveva appena chiuso e tentò di respirare lentamente.
Che gli stava succedendo? Non solo quella sensazione allo stomaco quando i suoi occhi incrociarono quelli blu dell’altro, ma sentiva il suo cuore battere all’impazzata quando rimasero soli nella stanza.
Chiuse gli occhi, fece un respiro profondo e si disse che tutto dipendeva dalla consapevolezza che da quel giorno avrebbe avuto un nuovo fratello. Era l’unica spiegazione plausibile.
 
Il furgone con il resto delle cose di Thomas e Silvia giunse a destinazione poco dopo il loro arrivo; sistemarono ciò che poterono, portarono il pianoforte in camera dei ragazzi, vicino alla finestra, e lasciarono la maggior parte degli scatoloni davanti all’entrata; avrebbero sistemato tutto dopo aver mangiato.
Il primo pranzo insieme non fu nulla di troppo formale, Manuel cambiò posto, invece di sedersi al capo della tavola, si accomodò alla destra di suo padre; di fronte a lui c’era Silvia, mentre alla sua destra fece accomodare Thomas, il quale non sapeva se essere felice o meno di stare così vicino a quel ragazzo. Pensò a come avrebbe fatto a reprimere quelle emozioni, avrebbero vissuto insieme, mangiato e dormito a pochi centimetri di distanza.
Comunque doveva farcela, magari col tempo poteva avere la possibilità di conoscere il suo carattere e probabilmente non si sarebbe rivelato nulla di speciale.
Manuel fece una battuta dicendo che finalmente, grazie alla presenza di Silvia, non avrebbe più mangiato le cose orribili che cucinava suo padre.
Risero tutti e quattro; per dei brevi, quasi impercettibili momenti, sembravano una vera famiglia.
 
Nel pomeriggio, dopo aver sistemato praticamente tutto, Giacomo e Silvia decisero di uscire lasciando i ragazzi soli, chiedendogli di lavare i piatti che erano ancora sporchi.
I due si misero a lavoro senza parlare troppo, ogni tanto uno spostava il suo sguardo sull’altro, tentando di non farsi vedere.
Una volta finito, Manuel prese la parola:
- Io dovrei studiare - disse rimettendo a posto il panno che aveva usato per asciugare i piatti.
- Anch’io ho delle cose da fare - rispose Thomas - con questa storia del trasloco ho trascurato un po’ la scuola.
Si diressero in camera, ognuno prese il materiale che gli serviva, Thomas si diresse a una delle due scrivanie, ma vide Manuel che stava uscendo:
- Sono abituato a studiare giù - disse quest’ultimo.
Thomas annuì e lo seguì per le scale, si accomodarono negli stessi posti del pranzo, uno accanto all’altro.
Fuori un tuono annunciò l’inizio di un temporale, ormai all’ordine del giorno. Prima di iniziare i compiti, diedero entrambi uno sguardo all’orologio dietro le loro spalle: segnava le cinque e trenta, ma già era buio.
Dopo una mezz’ora di totale silenzio, Thomas sbuffò, attirando l’attenzione di Manuel.
- Problemi? - domandò quest’ultimo alzando gli occhi dal libro.
- Questa dannata matematica - rispose l’altro poggiandosi allo schienale della sedia - non ci capisco niente.
Manuel scoppiò a ridere.
- Cosa c’è di tanto divertente? - protestò Thomas leggermente adirato.
- No scusami - la risata si trasformò in un sorriso appena accennato - è solo che la matematica è la materia più facile che possa esistere.
Thomas alzò un sopracciglio: - Sei forse un alieno?
- Ma quale alieno - Manuel spostò lo sguardo sul quaderno dell’altro - fammi vedere che roba è.
- Tutto per te - ribatté alzando le mani.
Dopo una manciata di secondi, il ragazzo biondo si voltò verso l’altro e gli fece un cenno con la testa:
- Dai che ti spiego al volo.
- Non voglio disturbarti - rispose Thomas - hai già i tuoi compiti da fare.
- Non ti preoccupare, ho quasi finito.
Il moro ringraziò e ascoltò con attenzione la spiegazione di Manuel; incredibilmente, era riuscito finalmente a capire.
- Visto che non è poi così difficile?
- Già - rispose Thomas come se gli avessero appena detto il numero esatto delle stelle nell’universo.
- Quando hai qualche problema basta chiedere.
La conversazione finì e sorrisero entrambi. Richiusero i libri poco prima che Giacomo e Silvia tornassero a casa. Manuel era a farsi una doccia, Thomas invece stava sistemando nell’armadio le ultime cose che erano rimaste in valigia.
Sentì la porta della camera aprirsi, si voltò e vide ciò che non avrebbe mai voluto vedere: Manuel aveva soltanto dei boxer neri addosso.
Il respiro gli si fermò, guardò il corpo perfetto del ragazzo davanti a lui. In quel momento pensò che Dio aveva perso uno dei suoi angeli più belli, gli mancavano praticamente solo le ali.
- Perché mi fissi?
La voce del biondo lo ridestò. Si girò velocemente verso l’armadio, maledicendosi per aver pensato una cosa del genere.
- Non ti sto fissando - cercò di giustificarsi mentre sentiva di arrossire. Aveva finito di sistemare i suoi vestiti, ma fece finta di continuare a mettere a posto per non farsi vedere dall’altro in quello stato.
- Sì - insistette Manuel - mi stavi fissando.
- Ti dico di no.
Il biondo fece un sorriso che Thomas non poteva vedere: - Va bene, era soltanto una mia impressione.
- Già.
Manuel si rivestì e il moro finalmente si girò; sicuramente era meglio vederlo in quello stato rispetto a come l’aveva visto prima, anche se non si era ancora abituato a quella bellezza.
- Ma tu davvero sai suonare questo coso?
Domandò Manuel cambiando discorso, avvicinandosi allo strumento nero.
- Non è un coso - ammonì Thomas, avvicinandosi a sua volta.
- Hai ragione scusa - sorrise l’altro - ti va di farmi sentire qualcosa?
- Io…ecco…non so se…
Solo sua madre l’aveva sentito suonare. Quando suo padre abitava ancora con loro, Thomas suonava soltanto quando l’uomo era fuori casa. Per qualche ragione si sentiva in imbarazzo all’idea che qualcun altro poteva sentirlo.
- Dai su non fare il timido - Manuel gli diede una pacca sulla spalla in segno di incoraggiamento.
- Va bene - si arrese infine sospirando, poi gli puntò un dito contro - però non mi giudicare.
L’altro alzò le braccia e si appoggiò con la schiena al lato dell’armadio, con le braccia incrociate, in attesa della musica.
Thomas si sedette sulla seggiola davanti allo strumento, ma era indeciso sul da farsi:
- Che canzone vuoi sentire?
Manuel fece una risatina sorpresa: - Vuoi dirmi che sai suonare qualsiasi canzone?
- Beh proprio tutte no, se mi chiedi una canzone che non so suonare ti dico di dirmene un’altra.
L’altro annuì, si passò una mano tra i suoi biondi capelli per poi risistemarsi con cura la frangetta. Dopo qualche secondo il suo viso si illuminò:
- With or without you - disse schioccando le dita - degli U2, la sai fare?
Thomas sorrise: - Sì.
Iniziò a suonare, trasportando Manuel insieme a lui in un’altra dimensione. Il ragazzo appoggiato all’armadio si mosse quasi come fosse una piccola calamita attirata da un enorme magnete; si fermò al lato del piano, guardando le dita di Thomas muoversi su quei tasti bianchi e neri come se per lui fosse la cosa più naturale del mondo; alzò lo sguardo verso gli occhi di Thomas, che si spostarono fino ad incrociare i suoi. Era come se il mondo si fosse fermato. Poi la melodia cessò ed entrambi tornarono sulla Terra. Si guardarono ancora per un lungo istante, poi Manuel ruppe il silenzio:
- Sei bravissimo - gli disse quasi sussurrando.
- Grazie - rispose Thomas accennando un sorriso e abbassando lo sguardo. Sentiva di stare arrossendo nuovamente.
- Ragazzi è pronto - la voce di Silvia somigliava al suono di una sveglia quando si sta sognando qualcosa di bellissimo: completamente inopportuno.
 
Per quella sera i ragazzi non si rivolsero più la parola, erano troppo assorti nei loro pensieri.
Thomas pensava che se in un solo giorno quel ragazzo gli aveva fatto provare cose mai sentite prima, cosa poteva succedere in una settimana? O in un mese? Si chiedeva se fosse riuscito anche quella volta a mettere da parte i suoi sentimenti e a combattere i suoi desideri.
Manuel invece si sentiva confuso: provava un affetto inspiegabile nei confronti di Thomas, si erano appena conosciuti ma subito sentì che si era venuto a creare tra loro un legame particolare; quando smise di suonare, provò anche l’impulso di abbracciarlo.
Entrambi quella notte, tormentati da questi pensieri, fecero fatica a prendere sonno.
 
Il giorno dopo era primo novembre, quindi non dovettero andare a scuola. Quando Thomas si svegliò, gli ci volle qualche secondo per capire dove si trovava, convinto di essere ancora nella sua vecchia abitazione. La realtà lo colpì allo stomaco dicendogli che era in una nuova casa e che a qualche centimetro da lui c’era la persona più bella che avesse mai visto.
Si alzarono quasi nello stesso momento. 
- Buongiorno - disse Manuel con voce assonnata.
- Giorno - rispose Thomas.
Il biondo si alzò barcollando e andò ad aprire la finestra; dopo quattro giorni di pioggia, il cielo appariva sereno.
Thomas rimase a fissare l’altro ragazzo, concentrandosi sui suoi capelli: erano spettinati, ma comunque perfetti, proprio come lui.
Scosse la testa per scacciare quel pensiero, Manuel se ne accorse:
- Incubi? - gli chiese.
- No per niente - rispose Thomas mettendosi in piedi; la domanda del biondo gli fece pensare che fu una delle pochi notti in cui non sognò suo padre - vado a farmi una doccia.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Passò poco più di una settimana. Silvia accettò di lavorare nell’agenzia che gli aveva proposto Giacomo, così potevano stare più tempo insieme, lavorando quasi nello stesso orario.
Manuel continuava ad andare in palestra. Quella sorta di affetto che provava per Thomas non accennava a diminuire, anzi, aumentava ogni giorno di più, ma si diceva che era suo fratello e provava quelle cose perché aveva già iniziato ad affezionarsi e a volergli bene.
Thomas, dal canto suo, sapeva l’effetto che gli faceva Manuel. Lo vedeva in boxer praticamente tutti i giorni, e il desiderio di stringere a sé quel corpo e di baciare quelle labbra, era più forte di qualsiasi altra cosa. Anche Manuel lo aveva visto un paio di volte a petto nudo, e Thomas ebbe la sensazione di essere osservato, ma pensò che erano soltanto sue fantasie, frutto dei suoi desideri proibiti.
Tutte le sue cotte erano durate meno di una settimana, ma quella aveva qualcosa di diverso, forse perché abitava insieme a lui e non poteva fare a meno di parlargli. Una volta lesse su internet che una cotta dura al massimo quattro mesi, dopodiché è amore. Lui non ci credeva molto, ma la prese per buona e si disse che, se quella cosa era vera, aveva ancora tempo per smettere di pensare a Manuel sotto quel punto di vista.
Quel pomeriggio di metà settimana, Thomas e Manuel erano soli in casa, come capitava sempre, dato che i loro genitori lavoravano.
- Perché non vieni anche tu in palestra? - esordì Manuel mentre richiuse il libro sul quale fino a poco fa stava studiando.
Erano entrambi seduti al tavolo del salone.
- Non fa per me - rispose Thomas rifiutandosi anche solo di pensarci. Se fosse andato anche in palestra con lui, i tentativi di smettere di desiderarlo sarebbero risultati ancora più inutili. Doveva passare il meno tempo possibile insieme a Manuel, ed era contento che il pomeriggio se ne andasse per un po’.
- Va bene non insisto - ribatté Manuel comprensivo - è solo che vedo che sei sempre a casa, volevo farti uscire un po’, non ce l’hai una ragazza?
Thomas si irrigidì e iniziò a muovere nervosamente la gamba, avrebbe voluto evitare quel discorso più di qualsiasi altro.
- Mi sa che ho toccato un tasto dolente - riprese il biondo, tentando di far riprendere colui che già considerava come un fratello - se vuoi…
- Non ce l’ho la ragazza ok? - Thomas alzò il tono di voce, tanto da far sobbalzare l’altro ragazzo; non aveva mai reagito così con nessuno, ma la cosa sembrò farlo stare meglio, quindi decise di continuare - è la mia vita e me la gestisco io. Se non esco non sono fatti tuoi, quindi vedi di non impicciarti e lasciami in pace.
Pensò che forse aveva esagerato, ma non gli importò, prese il libro sul quale stava studiando e si diresse in camera sbattendo la porta.
Manuel rimase lì con gli occhi sbarrati; gli aveva fatto male sentire Thomas urlargli contro in quel modo. Decise che la cosa non poteva finire lì così andò da lui.
Entrò in camera e vide il ragazzo moro sdraiato sul suo letto, con il viso nascosto tra le braccia.
Manuel si avvicinò e si accorse che stava singhiozzando, si sedette e gli poggiò una mano sulla schiena senza dire niente.
Fu Thomas a parlare:
- Scusa - riuscì solo a dire.
- Tommy dai tirati su - lo invitò l’altro - non è successo niente.
Il moro si mise a sedere accanto a lui, con lo sguardo fisso davanti a sé, come quando un bambino sa di aver fatto una cosa sbagliata e aspetta le urla di sua madre. A Manuel sembrò la persona più indifesa del mondo, continuò ad accarezzarlo sulla schiena.
- Non voglio farmi vedere in questo stato - Thomas stava lottando con tutto sé stesso per smettere di far uscire le lacrime.
- Piangere non è segno di debolezza - lo giustificò Manuel, che poi assunse un’aria interrogativa - perché non mi dici cos’hai? Non è possibile che stai così solo perché ti ho chiesto se hai una ragazza.
- No tranquillo - Thomas tirò su col naso e si asciugò gli occhi - è tutto ok.
L’altro non gli aveva creduto, ma non ebbe tempo di ribattere che gli fu posta una domanda:
- E tu ce l’hai una ragazza? - il ragazzo moro non sapeva come riusciva a resistere all’impulso di stringerlo, sentì la mano del fratello staccarsi dalla sua schiena, mettendo fine all’illusione che l’avrebbe abbracciato.
Manuel scosse la testa: - Ne ho avute un paio, ma mai niente di serio. Adesso c’è una in palestra che mi fa la corte, ma a me non interessa - fece una pausa, poi spostò la testa da un lato - stai cambiando discorso ma con me questa tattica non funziona.
- Che vuoi dire?
- Che non ti lascerò in pace fino a quando non mi dici che ti passa per la testa.
La determinazione di Manuel fece un po’ paura a Thomas.
- Facciamo così - riprese il biondo alzandosi da quel letto e sedendosi sul suo - se tu mi parli, io ti dico una cosa che non ho mai detto a nessuno.
- Perché ti interessa così tanto che io ti dica cos’ho? - Thomas era stupito, mai nessuno, nemmeno sua madre aveva insistito così tanto per farlo parlare, e infatti non aveva mai parlato con un’altra persona, si era sempre tenuto tutto dentro.
- Perché sei mio fratello - rispose l’altro, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
Decise di fidarsi, non gli avrebbe certo detto che era gay e che si era preso una cotta per lui, ma gli avrebbe comunque parlato di una cosa che teneva dentro da tanto, troppo tempo.
- Va bene - disse Thomas - mi hai convinto.
Manuel sorrise soddisfatto, aspettando che l’altro parlasse.
- Il primo ricordo che ho di mio padre sono i suoi occhi pieni di odio - Thomas si stupì sentendo la sua bocca pronunciare parole che non gli erano mai uscite prima di allora - non mi chiamava mai per nome, si rivolgeva a me dicendomi stupido, o qualche altra cosa, ma non mi ha mai chiamato Thomas. Mi picchiava continuamente, mi lanciava qualsiasi cosa aveva davanti, un paio di volte mi mandò anche in ospedale; disse ai dottori che ero caduto dalla bicicletta - fece una risata amara, il suo sguardo era fisso nel vuoto, sembrava quasi che stesse parlando da solo - lo odio con tutto me stesso. Mia madre si limitava a piangere implorandogli con la voce di smetterla, ma tutto ciò che otteneva erano le urla di mio padre che le diceva di stare zitta e andarsene. Forse aveva paura che potesse fare del male anche a lei, per questo non si mise mai tra me e mio padre. Era un mostro.
- Io - Manuel lo fissò, provando per lui una compassione che mai aveva provato prima, poi sospirò, non sapendo cosa dire - mi dispiace.
- Non preoccuparti - rispose Thomas facendogli un cenno con la mano - anzi, grazie di avermi ascoltato.
- Non dirlo neanche - Manuel desiderò abbracciarlo, ma pensò che era inopportuno.
- Ora tocca a te - ribatté il ragazzo moro ricordandogli il patto fatto poco prima.
- Già - il viso gli si scurì di colpo - prima te lo dico e meglio è - Thomas si preoccupò, non avendo mai visto quell’espressione sul viso del fratellastro - ti sembrerà una cosa stupida, ma per me non lo è.
- Tranquillo - lo spronò l’altro - non sono qui per giudicare.
- Quel maledetto pomeriggio eravamo in macchina, quando chiesi a mio fratello di scambiarci di posto - gli occhi di Manuel si fecero lucidi, ma non cadde nessuna lacrima - non so perché lo feci, forse solo perché ero abituato a stare a sinistra e non a destra come quel pomeriggio, o chissà per quale altro stupido motivo - fece una pausa e Thomas immaginò le parole che stava per dire - dovevo esserci io al suo posto, ero io a dover morire, non lui.
Stavolta le lacrime uscirono, e l’altro fece di tutto per provare a consolarlo.
- Non puoi saperlo, forse sarebbe morto lo stesso.
Manuel quasi ignorò ciò che gli era stato detto: - Mio padre non lo sa, era impegnato a guidare e non si è accorto di niente.
- Neanche questo puoi sapere - continuò Thomas - probabilmente non te l’ha mai detto per non farti sentire in colpa.
L’altro non rispose, nascose il viso tra le mani singhiozzando silenziosamente, Thomas non riuscì a resistere e si rifiutò di combattere ancora contro i suoi desideri: si alzò e si andò a sedere accanto a Manuel.
- Non è colpa tua – gli sussurrò piano all’orecchio, poi, finalmente, lo abbracciò.
Manuel desiderava quel contatto, specialmente in quel momento, e strinse a sé l’altro come se fosse la cosa più preziosa al mondo.
Thomas sentì il suo cuore battere talmente forte da fargli male, e sentì anche il battito accelerato dell’altro ragazzo, affondò il naso nella sua spalla, riempiendosi i polmoni del suo odore, ancora più forte di quando lo aveva sentito il primo giorno entrando in quella camera.
Sarebbe rimasto così per sempre.

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Passarono quattro mesi, marzo si presentò bene, con delle belle giornate che anticipavano la primavera e poche piogge.
Dopo il giorno in cui si aprirono l’uno con l’altro, le cose presero una piega diversa: il loro rapporto divenne più solido, si confidavano l’uno con l’altro riguardo alle cose che gli capitavano, anche se Thomas continuava a tenere per sé il segreto più importante. Forse quella teoria della cotta che diventa amore, non era poi così sbagliata, e questo gli faceva davvero paura, anche perché Manuel non avrebbe mai ricambiato i suoi sentimenti; lui al massimo gli voleva bene, e poi, oltre ad essere due uomini, erano fratelli, quindi era doppiamente sbagliato amarlo.
Più i giorni passavano, più capiva che non avrebbe mai dovuto dirgli ciò che provava veramente, per non rischiare di rovinare l’equilibrio che si era venuto a creare tra loro.
Comunque, lo stesso Thomas non riusciva ad ammettere di essersi innamorato.
Manuel non accettò ancora, e chissà se mai avrebbe accettato, quello che provava per il suo fratellastro. Forse per paura, o chissà per cosa, si convinse che tutto ciò che sentiva era semplice affetto. Non avendo mai provato realmente cosa significasse amare, non riusciva a capire che si era innamorato di Thomas.
Stavano per mettersi a tavola, quando sentirono suonare al citofono.
- Accomodatevi - disse Giacomo - vado io.
Thomas e Manuel si sedettero ai loro posti.
- Chi è? - chiese l’uomo al citofono. 
Non ottenne risposta, così decise di uscire.
- Probabilmente è qualche ragazzino che si diverte - affermò frustrato - adesso mi sentono.
Uscì di casa e poco dopo al suo posto entrò un uomo che aveva all’incirca l’età dei due adulti in casa.
Silvia lanciò un breve urlo di terrore, Thomas sgranò gli occhi e d’istinto afferrò la mano del fratellastro stringendola più che poteva.
Manuel non capì inizialmente, e guardò l’altro ragazzo con aria incredula, ma quando l’uomo cominciò a parlare si rese conto di chi fosse.
- Silvia amore mio - cominciò.
- Vattene immediatamente - disse lei cercando di non far tremare la voce.
- L’hai sentita? - Giacomo rientrò in casa - vattene.
- E tu chi ti credi di essere? - il padre di Thomas si girò verso l’altro uomo, ma non gli diede troppa importanza, e tornò a parlare con la sua ex fidanzata - sono cambiato ora, e sono tornato per riprendermi te e lo stupido.
- Bada a come parli di Thomas, stronzo - Manuel scattò in piedi lasciando la mano dell’altro ragazzo.
- E tu che vuoi? - ribatté lui dirigendosi verso di loro.
Giacomo lo prese per un braccio nel tentativo di fermarlo, ma tutto ciò che ottenne fu un pugno in pieno volto che lo fece cadere a terra. Silvia si avvicinò immediatamente al suo compagno, mentre l’altro uomo continuava verso i due ragazzi.
- Adesso tu e tua madre venite via con me - era dall’altra parte del tavolo e incrociò lo sguardo di Thomas, il quale rimase pietrificato sulla sedia; la vista di suo padre l’aveva sconvolto, era come se stesse rivivendo tutta la violenza subita in passato.
- Tu non porti via proprio nessuno - ribatté Manuel.
L’uomo però fece finta di niente, fece il giro del tavolo e si avvicinò a Thomas, che però non mosse il suo sguardo, poteva sentire il respiro di suo padre sul collo.
- Mi hai sentito? - insistette l’uomo - alzati e andiamo.
Manuel però si mise tra Thomas e suo padre: - l’unico che deve andarsene sei proprio tu.
- Adesso mi hai stufato ragazzino - l’uomo colpì Manuel con un pugno, ma non cadde a terra come suo padre, anzi, reagì e scaraventò su quell’uomo tutta la rabbia che provava per ciò che aveva fatto in passato al suo fratellastro. Continuò a colpirlo con una serie di pugni sul viso.
Thomas finalmente riuscì a muoversi: - Manuel basta! - gli urlò alzandosi, poi gli si avvicinò e abbassò il tono della voce - non c’è bisogno di tutto questo.
Manuel smise di scagliare pugni, aveva il fiatone e non si rese neanche conto di aver usato la violenza contro qualcuno; l’uomo si rimise in piedi a fatica, borbottò qualcosa di incomprensibile e poi scappò via.
 
Quella sera a cena non parlarono molto, erano tutti visibilmente sconvolti da ciò che era accaduto. A Thomas gli si chiuse lo stomaco, e non mangiò praticamente niente, rimase a tavola solo per rispetto degli altri, ma appena finirono si diresse in camera; da una parte era felice di sapere che Manuel era intervenuto e l’aveva difeso, ma dall’altra aveva avuto paura della furia con la quale il ragazzo si era accanito contro suo padre; sembrava che l’avesse potuto uccidere da un momento all’altro.
Thomas era sdraiato sul suo letto a guardare il soffitto, perso nei suoi pensieri, quando Manuel entrò nella stanza.
Quest’ultimo si mise a sedere sul suo letto, guardando l’altro ragazzo:
- Scusami - cominciò il biondo - non so cosa mi sia preso, è solo che…
Thomas lo fermò con un gesto della mano, quindi volse lo sguardo verso di lui: - Grazie - disse - se non ci fossi stato tu, sicuramente mi avrebbe picchiato ancora.
Il loro discorse si concluse lì.
Dopo qualche minuto, Manuel si alzò e andò a sedersi accanto a Thomas, il quale era sempre sdraiato:
- Tommy devo dirti una cosa.
Il moro sentì il suo stomaco contorcersi, si mise a sedere con le gambe incrociate, in modo da poter guardare Manuel negli occhi.
Quest’ultimo non parlò, si avvicinò alle labbra del suo fratellastro spinto dall’istinto; il suo cuore batteva così forte da fargli male, mentre Thomas cominciò a respirare affannosamente, sentendo che tutti i muscoli del suo corpo si stavano contraendo. Erano ormai a pochi centimetri di distanza, Manuel avvicinò definitivamente le sue labbra a quelle dell’altro, ma Thomas si spostò di scatto, facendo quasi cadere in avanti Manuel, che ormai si aspettava il contatto con le sue labbra.
Thomas cercò di giustificare quella sua mossa, ma non gli vennero in mente le parole:
- Io…
Manuel si sentì ridicolo, che gli era venuto in mente?
- Ti prego fai finta di niente - implorò il biondo scuotendo la testa mentre tornava al suo letto.
Ma Thomas non poteva fare finta che non fosse successo niente, voleva essere capace di far tornare indietro il tempo di qualche secondo, ma capì che, nonostante desiderasse con tutto sé stesso quel bacio, aveva fatto la cosa giusta.
Si sdraiò nuovamente e vide Manuel che si stava spogliando per mettersi il pigiama e andare a dormire; non si stancava mai di vedere quel corpo perfetto, cosa avrebbe dato per poterlo avere anche solo per un istante; ma il peso delle conseguenze sarebbe stato troppo forte da sopportare.
Manuel scosse la testa: - Al diavolo.
Si diresse verso l’altro ragazzo, gli si sdraiò sopra e gli bloccò le mani.
Thomas sbarrò gli occhi, avrebbe voluto fuggire ma il suo cuore gli suggeriva di lasciarsi andare per una volta. Chiuse gli occhi e sentì le labbra di Manuel poggiarsi delicatamente sulle sue. Si lasciarono andare a un bacio appassionato, poi Thomas liberò le sue mani dalla stretta di Manuel e lo abbracciò, stringendolo sempre più forte; anche se non voleva, si costrinse a parlare.
- Manu - disse con la voce che tremava, spostando leggermente la testa di lato per togliere la bocca da quella dell’altro - stiamo sbagliando.
- Lo so - disse l’altro quasi ansimando e guardandolo negli occhi - ma voglio fare lo sbaglio più bello della mia vita.
Thomas si lasciò andare al desiderio, capì che tra i due non era l’unico a volere quella cosa.
Non c’era bisogno di parole, solo i loro respiri affannati riempivano il silenzio. La passione cresceva e i loro corpi si desideravano sempre di più. L’imbarazzo della prima volta li colpì ma era troppo debole per poter fermare l’ardore che ormai si era impossessato di loro. I due ragazzi si mischiarono la pelle, le ossa, gli odori, i respiri, i battiti, le anime.
Thomas, se avesse potuto, avrebbe fermato il tempo. Finalmente il suo desiderio si stava avverando, e non gli importava di ragionare; Manuel non pensò a cosa stava succedendo, si sentiva talmente bene che nulla aveva più importanza. Lui, Thomas, insieme, quello era tutto ciò che importava.
 
Il ritorno alla realtà fu come una brusca caduta.
Manuel si rialzò, guardando l’altro ragazzo incredulo e rivestendosi in fretta e furia.
Thomas sentì salire le lacrime, si rivestì anche lui e si girò verso la parete per non farsi vedere mentre piangeva.
Il ragazzo biondo spense la luce e si mise a dormire senza dire una parola.
Neanche un sonnifero sarebbe riuscito a farli addormentare quella notte.

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Per una settimana intera non si rivolsero più la parola, era come se fossero diventati di colpo estranei. Non fecero più i compiti nello stesso luogo, Manuel non aiutava più Thomas con la matematica, non si salutavano nemmeno.
Giacomo e Silvia se ne accorsero, chiesero cosa stava succedendo ma nessuno dei due ebbe il coraggio di rispondere.
Silvia pensò che suo figlio si era innamorato di Manuel, e che glielo aveva detto.
Le cose non stavano proprio così, ma in parte aveva intuito. Avrebbe voluto parlare a suo figlio, ma, come sempre, non lo fece.
Spiegò al suo compagno che probabilmente avevano litigato per qualche ragazza, e che presto sarebbero tornati a parlare.
Manuel cercò di evitare Thomas il più possibile, qualcosa dentro di lui gli diceva che non aveva fatto niente di male, che poteva dirgli che provava qualcosa e affrontare la realtà della situazione. Ma non seguì il suo cuore: la testa gli diceva che a lui piacevano le ragazze, anzi, aveva deciso di provarci con Lucia per provare a dimenticare quell’assurda storia.
Thomas si sentiva in colpa per quello che era accaduto tra loro: avrebbe voluto respingerlo, evitare di cedere al desiderio, per non trovarsi in quella spiacevole situazione, che lo faceva sentire in bilico tra l’inferno e il paradiso.
Era ancora consapevole che tra lui e Manuel non sarebbe successo nulla, ma voleva tornare alla situazione di prima, voleva tornare ad essere suo fratello, nulla di più.
 
Era un pomeriggio di metà marzo, il cielo era sereno; la primavera era entrata ufficialmente e lo si sentiva dall’aria.
Thomas stava studiando in camera, Manuel in salone. I loro genitori, come al solito, erano a lavoro
Ad un certo punto, il moro pensò che non potevano continuare così, gli avrebbe parlato e avrebbe cercato di risolvere la situazione.
Scese determinato e rivolse finalmente la parola al suo fratellastro:
- Dobbiamo parlare - gli disse.
Manuel alzò lo sguardo verso di lui: - Lo credo anch’io.
Thomas andò a sedersi vicino all’altro, voleva cominciare lui, ma fu il biondo a prendere la parola per primo:
- Non so cosa mi sia preso quella notte, ma avevi ragione tu, è stato uno sbaglio - Thomas annuì, l’altro continuò a parlare - Tommy, io non sono gay.
- Nemmeno io - mentì il moro; nonostante le parole dell’altro gli fecero male, doveva andare così - forse ci siamo lasciati andare un po’ troppo.
- Già. Dobbiamo semplicemente dimenticare ciò che è successo.
Thomas sapeva che quella sera, con ogni minimo dettaglio, dal ritorno di suo padre fino a ciò che era successo con Manuel, sarebbe rimasta per sempre dentro di lui, e dimenticarla era impossibile.
- Allora - sospirò il biondo - amici, anzi, fratelli come prima?
Thomas annuì. I due si abbracciarono e anche Manuel, nel profondo della sua anima, sapeva che non sarebbe stato affatto facile dimenticare ciò che era successo.

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Passarono un paio di giorni, il rapporto tra Thomas e Manuel tornò alla normalità, sembrava davvero che non fosse accaduto niente, per la gioia dei loro genitori, ma i due facevano solo finta: non si volevano perdere, e per farlo, dovevano continuare a reprimere le proprie emozioni. Manuel lo faceva senza avere chiari i suoi sentimenti, Thomas invece, sapeva di essere innamorato, ma lo teneva per sé.
Erano entrambi sdraiati nei propri letti, immersi nei loro pensieri, quando Manuel ruppe il silenzio:
- Credo di essermi innamorato di una mia compagna di classe.
Quella frase colpì Thomas come un pugnale, per la prima volta nella sua vita provò gelosia.
- Ne sei sicuro? - domandò cercando di non far capire le proprie emozioni.
- Beh - sospirò - è carina, e poi sembra interessata a me. Secondo te dovrai provarci?
Thomas pensò che qualunque ragazza poteva interessarsi a un angelo così, e questa consapevolezza gli fece comprendere ancora di più che Manuel non sarebbe mai stato suo e loro non potevano essere altro se non fratelli.
- Non so - rispose, non avendo alcuna voglia di dare consigli di quel genere al ragazzo di cui era innamorato così tanto da avere paura dei suoi stessi sentimenti - se ti piace provaci.
- Domani la faccio venire a casa così te la faccio conoscere.
- No! - esclamò il moro mettendosi a sedere senza dare neanche il tempo all’altro di finire la frase.
Manuel aggrottò la fronte: - Perché?
Thomas si rese conto di aver esagerato con la sua reazione, così tentò di uscirne al meglio:
- Perché magari si vergogna, oppure è troppo presto per invitarla a casa.
- Ma se ci conosciamo da due anni.
A quel punto Thomas dovette arrendersi: - Allora può andare bene invitarla.
Manuel aveva imparato a conoscere il fratellastro, vide che qualcosa non andava nella sua espressione, si mise anche lui a sedere e si trovarono uno di fronte all’altro:
- Cos’hai? - continuò prima che l’altro potesse rispondere - e non dirmi niente perché non  ti credo.
- Sono solo preoccupato perché non ho ancora trovato il tema della tesina - pensò che poteva reggere come scusa.
- Sicuro che è solo questo?
- Guarda che non è una cosa da niente, mancano tre mesi all’esame e non so ancora come presentarmi.
- Vedrai che ti verrà presto un’idea.
- Già.
Decisero di dormire, Manuel non credeva veramente di essersi innamorato, ma quella ragazza era bella, e poteva fargli dimenticare tutte quelle strane sensazioni che provava verso il suo fratellastro.
Thomas sentiva di crollare da un momento all’altro, non seppe per quanto tempo ancora sarebbe riuscito a tenere per sé i suoi sentimenti.
 
Il pomeriggio successivo, mentre Thomas e Manuel stavano studiando, qualcuno suonò al citofono:
- Deve essere Noemi – disse Manuel uscendo.
Dopo qualche secondo, rientrò con una ragazza, e Thomas si sentì subito a disagio.
- Tommy lei è Noemi, la ragazza di cui ti parlavo.
Manuel fece le presentazioni, il moro tese la mano all’amica del fratellastro, poi prese i suoi libri e si diresse alle scale:
- Vi lascio soli - disse senza permettere all’altro di ribattere.
Thomas andò in camera sua e si mise a sedere alla scrivania per continuare a studiare.
Si sentiva estremamente geloso della ragazza, ma si disse che era solo un’amica, anche se Manuel gli aveva detto di provare qualcosa per lei, non era detto che i suoi sentimenti fossero ricambiati.
Si odiò per quel pensiero egoista.
Dopo circa un’ora, sentì di avere sete, così decise di scendere a prendersi un bicchiere d’acqua. Quando si trovò sull’ultimo gradino però, vide che Manuel e Noemi erano sdraiati sul divano a baciarsi; non avrebbe sopportato un secondo di più quella scena, corse in camera reprimendo la sete.
Chiuse la porta, si appoggiò ad essa e si portò le mani ai capelli, scosse la testa provando a dimenticare ciò che aveva appena visto; ma come faceva? Le lacrime cominciarono a scendere e si lasciò scivolare fino a ritrovarsi seduto a terra.
Che sciocco era stato; si era illuso che prima o poi qualcosa tra loro sarebbe successo, e solo allora si accorse quanto fortemente ci aveva sperato.
Quell’immagine però mise fine alle illusioni che fino a pochi minuti prima nemmeno pensava di essersi fatto.
Si mise a sedere sul letto del fratellastro, prese il suo cuscino e lo annusò. Si perse in quell’odore che si trasformò di colpo in una lama tagliente per la sua anima. Quello stesso odore che lo faceva impazzire, ora lo stava uccidendo.
Non aveva forza per rimettersi a studiare, cambiò letto e si sdraiò sul suo, dove i ricordi lo travolsero come un’onda anomala.
In quel letto avevano fatto l’amore, lui era convinto che anche Manuel provasse le stesse cose, sentiva che ci aveva messo passione, si era sentito un tutt’uno col corpo dell’altro ragazzo, ma evidentemente si era sbagliato.
Si sdraiò a fissare il soffitto, pensando a quanto era stato ingenuo.
 
Silvia tornò leggermente prima dal lavoro quella sera; vide Manuel e Noemi che stavano parlando seduti al tavolo del salone.
- Ciao ragazzi - disse sorridendo.
- Ciao Silvia – rispose Manuel, mentre la ragazza la salutò con un semplice “buonasera”.
- Dov’è Thomas?
- Sta studiando in camera sua.
Lei annuì, si incamminò verso le scale per andare in camera sua e prepararsi per fare una doccia, ma quando passò davanti alla camera dei ragazzi, sentì i singhiozzi di suo figlio. Decise di bussare.
- Chi è - Thomas rispose con la voce rotta dal pianto.
- Sono io - rispose sua madre - posso entrare?
Non ottenne risposta, ma decise di aprire ugualmente. Vide suo figlio seduto sul letto, appoggiato alla parete con le ginocchia piegate fino al mento, tenendosi le gambe con le braccia.
- Che succede? - Domandò sua madre avvicinandosi preoccupata.
- Succede che sono un completo idiota.
Quella era la risposta più esaustiva che suo figlio le aveva dato in diciannove anni di vita; pensò che finalmente si sarebbe aperto, se sedette vicino a lui e cercò di trovare le parole giuste per farlo sfogare.
- Chi ti ha detto queste stupidaggini?
- Nessuno - si asciugò le lacrime, aveva le guance arrossate e gli occhi gonfi - è così e basta.
Silvia gli passò una mano tra i capelli leggermente scomposti:
- Io non penso affatto che tu sia un idiota, invece di commiserarti così, perché non mi dici cos’è che ti riduce così?
Thomas guardò sua madre negli occhi: - Promettimi che non ti arrabbierai, non lo sopporterei.
Lei sorrise: - Prometto.
- Io non sono come tu credi che sia - il ragazzo sentì il battito cardiaco accelerare, come l’avrebbe presa quando sarebbe venuta a sapere di avere un figlio gay? Ma ormai aveva iniziato e doveva completare il discorso
La donna sapeva che a breve gli avrebbe detto la verità, decise di alleggerirgli un po’ la pressione che sicuramente stava provando con una domanda che lo spiazzò:
- Vuoi dirmi che mi sono sbagliata e che non sei omosessuale?
Thomas sbarrò gli occhi: - Che…come… - rimase senza parole. Sua madre lo sapeva?
- Tesoro - ricominciò tornando ad accarezzargli i capelli - pensavi davvero che non me ne fossi accorta?
- Già - il ragazzo ebbe l’impressione che sua madre non era dispiaciuta, ma voleva averne la conferma - beh visto che lo sai, che ne pensi? E perché non mi hai mai detto che lo sapevi?
- Perché pensavo che prima o poi saresti stato tu stesso a dirmelo - smise di accarezzarlo - vuoi sapere cosa ne penso? Non mi importa se ti piacciono le ragazze o i ragazzi, per me è la stessa cosa, io voglio solo vederti felice, ed è questa l’unica cosa che conta.
- Grazie - Thomas ebbe l’impressione di essersi liberato da un enorme macigno, a questo punto sentiva il bisogno di continuare - però non ho finito.
Silvia immaginava anche cosa gli avrebbe detto successivamente, ma fece finta di niente, preferendo che Thomas si liberasse di ogni singola parola che era intrappolata dentro di lui.
- Ti ascolto - gli disse.
- Credo di essermi innamorato. Ti sembrerà assurdo e terribilmente inadeguato, ma - fece una pausa, incerto se continuare o meno a parlare - è Manuel - sospirò infine.
Silvia se lo aspettava, non era sicura come del fatto che suo figlio fosse gay, ma lo aveva intuito che era innamorato del suo fratellastro.
- Sai che è come se fosse tuo fratello vero? - gli domandò cercando di non essere troppo brusca.
- Lo so. È anche per questo che sto così, prima l’ho visto baciarsi con quella ragazza e… - le lacrime salirono ancora, sua madre lo abbracciò cercando di consolarlo, Thomas si strinse a sua madre e continuò a parlare tra le sue braccia - perché fa così male? Perché?
Restarono abbracciati per qualche minuto, poi Silvia si staccò, tenendo suo figlio per le spalle:
- Sono sicura che troverai il ragazzo giusto per te, ma devi toglierti Manuel dalla testa, questa storia può solo farti del male.
Thomas scosse la testa: - Mamma noi - fece una pausa, poi abbassò lo sguardo - noi abbiamo fatto l’amore.
Silvia rimase sconvolta da quella confessione, questo davvero non se lo aspettava.
- Cioè voi…
- Sì - la interruppe il ragazzo - ecco perché non ci siamo parlati per una settimana, ecco perché non potrò mai dimenticarlo.
- Ascolta - Silvia provò a fare mente locale, fortunatamente la metà delle cose che suo figlio le aveva detto se le aspettava, altrimenti non sapeva come avrebbe reagito - questo è sbagliato, lui non è come te, non potrà mai ricambiare i tuoi sentimenti.
- Ma io provo una cosa troppo forte per lui, sento che c’è un legame, l’ho sentito quella notte, non posso essere il solo a provare questo, non può essere a senso unico.
- Ti stai illudendo - sua madre capì che suo figlio si era innamorato davvero, purtroppo però era la persona sbagliata - lui ti vuole bene perché ti considera suo fratello, ma non ti ama, e quella notte voleva soltanto togliersi una voglia.
Le ultime parole di Silvia suonarono come una sentenza.
- Mi dispiace - riprese lei - ma devi accettare la realtà. Siete fratelli, e i fratelli non si fidanzano.
Si alzò diretta alla porta; quando aprì, si trovò Manuel davanti.
 
Silvia sbarrò gli occhi, chiuse la porta alle sue spalle e parlò più piano che poté:
- Da quanto tempo sei qui fuori?
- Sono appena arrivato - si affrettò a rispondere lui.
- Bene.
La donna si diresse in camera sua.
Manuel aveva mentito, era salito pochi secondi dopo la donna per prendere un quaderno in camera, e sentì tutto ciò che madre e figlio si erano detti.
Capì che Thomas era innamorato di lui, sentì un brivido che non seppe spiegarsi, ma doveva fare finta di non sapere nulla. Entrò in camera ma non gli rivolse lo sguardo. Si affrettò a prendere il quaderno che gli serviva e tornò in salone da Noemi, la quale lo stava aspettando impaziente.

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Thomas aveva una domanda che gli ronzava nella mente.
- Dormi? - chiese al fratellastro.
- No - rispose Manuel nel buio della stanza - cosa c’è?
- Posso chiederti una cosa?
- Dimmi.
- Perché quella notte hai voluto - si interruppe - si insomma, hai capito.
Thomas sentì l’altro sbuffare, avrebbe voluto vedere la sua espressione, ma la luce era spenta e poteva solo sentire la sua voce.
- Perché ti amo - rispose il biondo - e lo rifarei ancora, e ancora, e ancora.
- Di…dici sul serio? Non mi stai prendendo in giro vero?
Thomas non credeva alle sue orecchie, in risposta Manuel si alzò e si diresse verso il suo letto.
- Dimmi se questo ti sembra una presa in giro.
Manuel lo baciò, ancora più intensamente della prima volta, non vedevano niente e questo eccitò Thomas ancora di più.
Mentre si baciavano, il moro sentì un fastidioso suono avvicinarsi, sempre più veloce e sempre meno piacevole.
Aprì gli occhi e si accorse amaramente che si trattava solo di un sogno meraviglioso.
 
- Beh? - Esordì Manuel in piedi davanti al suo letto - vuoi alzarti o no?
- Eh? - Thomas si sentiva così intontito che credeva di aver bisogno di un defibrillatore - sì sì, ora mi alzo.
Quando si mise in piedi barcollò leggermente, ormai non fece quasi più caso a Manuel che si spogliava; l’aveva visto completamente nudo, aveva posseduto, anche se solo per una sera, quel corpo meraviglioso, e anche se lo desiderava ancora, forse anche più di prima, doveva accettare la realtà, così come gli aveva detto sua madre il giorno prima.
Prese i suoi vestiti e andò a farsi una doccia.
Manuel rimase solo in camera; prima di scendere a fare colazione, si preparò lo zaino, pensando a quello che suo fratello provava per lui; pensò che quella notte Thomas voleva quel rapporto, e con tutta probabilità lo voleva ancora. Manuel voleva solo evitare di farlo soffrire, ma come si doveva comportare? Era stato spinto da chissà quale istinto quella sera, e sapeva che anche lui provava qualcosa per Thomas, ma non era amore, e si rifiutava anche solo di pensarlo.

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


Quel pomeriggio, Manuel si stava preparando per andare in palestra, mentre Thomas stava componendo una sua canzone al piano.
- Tommy - cominciò Manuel, decise di dirglielo, non voleva continuare così, doveva sapere quale ennesima piega avrebbe preso il loro rapporto - so tutto.
Thomas lasciò la matita con la quale stava scrivendo delle note su un foglio:
- Tutto cosa? - sperò con tutto sé stesso di non sentire le parole che poco dopo uscirono dalla bocca del fratellastro.
- So che sei innamorato di me - affermò il biondo sedendosi ai piedi del letto - so che sei gay, che hai desiderato e desideri ancora fare l’amore con me. Ti ho sentito ieri sera mentre ne parlavi a tua madre.
Thomas scosse la testa: - No - sussurrò - non dovevi saperlo.
- Non ha più importanza ormai - il biondo sbuffò - perché non me l’hai detto Tommy? Quella sera avrei evitato di comportarmi così se solo me l’avresti detto. Avrei evitato mille altre cose se avessi saputo.
- È proprio questo che non voglio - ribatté Thomas, affranto - non voglio che il nostro rapporto cambi, io sto bene così.
- Accidenti Tommy, capisci anche tu che ormai non può più essere lo stesso.
- Perché?
- Perché io non voglio farti stare male, ma mi rendo conto che qualsiasi cosa io dica o faccia è sbagliata.
Ci fu un momento di silenzio, poi il moro disse una cosa che fece rimanere di stucco Manuel:
- Dimmi che non mi ami. Dimmelo guardandomi negli occhi e mi metterò l’anima in pace una volta per tutte, ti dimenticherò, farò tutto quello che vuoi - si spostò e andò a mettersi in ginocchio davanti a lui - ma dimmelo.
Thomas non seppe il perché di ciò che aveva detto, ma dentro di lui sapeva che il suo sentimento era in qualche modo ricambiato, e che Manuel non ce l’avrebbe fatta a dire ciò che gli aveva chiesto.
Il biondo rimase fermo dov’era, guardando suo fratello dall’alto verso il basso; provò a dire ciò che gli aveva chiesto, ma quegli occhi blu si presentavano come un ostacolo insormontabile per le parole, che non riuscirono ad andare dalla sua mente alla sua bocca. Spinto dallo stesso impulso di quella notte, avvicinò le labbra a quelle di Thomas, gli stampò velocemente un bacio sulle labbra, quindi scappò con il suo zaino, senza dire nulla, verso la palestra.
Thomas non riuscì a non sorridere.
 
Erano al buio, in camera, ma Thomas non stava sognando; la notte era iniziata da un po’, il giorno dopo era domenica e non sarebbero andati a scuola.
Il moro gli porse la stessa domanda che gli aveva fatto in sogno:
- Dormi? - Per un attimo sperò che quel sogno si trasformasse in realtà.
- Non ci riesco - rispose Manuel.
- Perché mi hai baciato oggi?
Anche quella sera, come nel sogno, voleva vedere la sua espressione; l’altro ci mise un po’ prima di rispondere:
- Volevo farti felice - mentì, non dicendo che quel gesto gli era venuto dal cuore e che l’avrebbe rifatto, se solo la sua mente non glielo impediva.
- Non dire cavolate - protestò Thomas - se l’hai fatto è perché lo volevi anche tu. Ti ho chiesto di dirmi che non mi ami ma non sei riuscito a farlo.
Manuel si alzò e accese la luce, si andò a sedere accanto all’altro che invece rimase sdraiato:
- Hai ragione Tommy - ammise - non sono riuscito a dirti che non ti amo perché non è del tutto falso - una lieve speranza cominciò a farsi spazio dentro Thomas - ti amo come un fratello, voglio dire - fece una pausa, ragionando sulle sue parole cercando di non ferire l’altro - i fratelli si amano, in un certo senso, no?
- Io - al moro la speranza si spense subito - credo di sì.
- Bene.
Manuel si alzò per spegnere la luce e tornare al suo letto, ma Thomas lo fermò:
- Aspetta - disse.
- Che c’è? - domandò l’altro rimettendosi seduto.
- Ti va di sdraiarti accanto a me? Solo per un po’.
Thomas non sapeva il perché di quella richiesta, e si pentì di averglielo chiesto, ma Manuel sorrise e si sdraiò accanto a lui sotto le coperte.
Restarono in silenzio per un po’, a fissare il soffitto e ad ascoltare i loro respiri calmi e regolari, poi Manuel ruppe il silenzio:
- Non capisco - disse.
- Cosa? - domandò il moro voltando lo sguardo verso di lui. Il biondo fece lo stesso e le loro labbra erano a pochissimi centimetri di distanza.
- Mi sento benissimo, non dovrebbe accadere.
Non dissero altro, il moro prese delicatamente la testa dell’altro e se la portò al petto, Manuel poteva sentire chiaramente il battito del cuore di Thomas.
- Non ti da fastidio se ti accarezzo i capelli vero? - domandò quest’ultimo.
Il biondo scosse dolcemente la testa, poi dopo qualche secondo riprese la parola:
- Perché?
Thomas non capiva: - Cosa?
- Perché io? Perché ti sei innamorato di me?
Il moro continuava ad accarezzare la testa del fratello sul suo petto, aveva paura che quel momento poteva finire da un momento all’altro:
- Non credo esista una risposta - ribatté cercando di essere il più onesto possibile - dal primo giorno che ti ho visto ho capito che non saresti stato una semplice cotta come quelle che ho vissuto in passato. Ho cercato di reprimere i miei sentimenti, di fare finta di niente e di non pensarti, ma dalla sera in cui abbiamo fatto l’amore ho accettato quello che provavo per te, anche se tutto ciò mi fa paura.
Non si guardavano negli occhi, continuavano a fissare il soffitto.
- Mi dispiace - rispose Manuel.
- Di cosa?
- Di non riuscire a ricambiare ciò che tu provi per me; io farei qualsiasi cosa per te, darei la mia stessa vita per proteggerti, ti voglio bene, ma ti vedo come un fratello.
- Lo so, sta tranquillo, a me basta sapere che ci sei, e adesso sono talmente felice da non riuscire a desiderare altro.
I due fratelli restarono così fino a quando il sonno non li trascinò via con sé.

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


La mattina successiva, fu Thomas ad aprire gli occhi per primo.
Notò che Manuel si era mosso nel sonno: stava dormendo di fianco, praticamente attaccato al suo corpo, e teneva un braccio sul petto del moro.
Quest’ultimo lo guardò, quando dormiva sembrava ancora più bello.
Manuel iniziò a muoversi, aprì gli occhi e subito si accorse della posizione in cui era; neanche due secondi per realizzare di essersi svegliato che già era in piedi davanti al letto.
- S...scusami - disse iniziando a grattarsi la testa con l’indice - non volevo…
- Non preoccuparti - sorrise Thomas mettendosi seduto.
- Abbiamo dormito nello stesso letto? - Manuel era diverso rispetto alla sera precedente, ma Thomas fece finta di non accorgersene - a quanto pare - il biondo si rispose da solo, sussurrando appena e portando il suo sguardo da un letto all’altro.
- Guarda che non abbiamo fatto niente di male - Thomas cercò di farlo ragionare.
- Sì invece - ribatté l’altro, alzando leggermente il tono della voce e sedendosi sul letto che quella notte era rimasto vuoto - ti sto solo illudendo - si portò una mano alla fronte - Tommy, non deve succedere mai più.
Thomas però non era dello stesso parere, e provò a farglielo capire:
- Manu io non mi sto illudendo - si mise a sedere anche lui, in modo da stargli di fronte - so che tre noi non può esserci più di questo - disse alludendo alla sera precedente - e me ne sto facendo una ragione, ma non allontanarti da me, non lo sopporterei.
- Tommy - Manuel sbuffò - quanto potrai resistere in questo modo? Quanto passerà prima che proverai a baciarmi? So che non riuscirai e resistere e che vorrai di più, e non credo di sopportare nemmeno io questa situazione. Noi siamo fratelli.
- Lo so ma…
- Non ho finito - lo interruppe - dimenticati quella notte, dimenticati ieri sera, dimenticati che ieri pomeriggio ti ho baciato - si alzò e si andò a mettere in ginocchio accanto a lui, lo guardò negli occhi e proseguì, scandendo ogni singola parola che venne dopo per farla entrare nella testa di Thomas e non farla uscire mai più - Tommy, io non sono innamorato di te.
Si alzò e uscì dalla stanza, lasciando Thomas pietrificato. Ci mise qualche minuto a rendersi conto di quello che gli era appena stato detto.
 
Manuel corse in bagno e si chiuse a chiave. Le lacrime cominciarono ad uscirgli e poco più tardi arrivarono anche i singhiozzi.
Aveva appena detto a suo fratello di dimenticarsi tutto ciò che era successo, ma lui stesso non lo avrebbe mai dimenticato, quindi non poteva pretendere una cosa simile da Thomas.
La sera precedente si era sentito bene, e quella notte, quando avevano fatto l’amore, tutto era stato perfetto e bellissimo.
Ma le sensazioni che aveva provato dal primo giorno che vide Thomas, gli facevano paura.
Una paura che cresceva giorno dopo giorno, sguardo dopo sguardo, così come il suo sentimento.
Perché in effetti l’amore a volte è talmente forte da fare paura.
Quel pensiero lo mise definitivamente al tappeto; aveva deciso: non doveva più vedere Thomas; pensò che dovette resistere solo qualche altro mese, poi, una volta finita l’estate, si sarebbe trasferito a Bologna per frequentare l’università. Poteva studiare a Roma, ma suo padre aveva creato un buon fondo economico per permettergli di studiare; inoltre, se non ce l’avrebbe fatta con i soldi che Giacomo aveva messo da parte, si sarebbe trovato un lavoretto.
Sì, stargli lontano era l’unica soluzione.
 
FINE PRIMA PARTE

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Capitolo 13
*** Seconda parte - Capitolo 13 ***


Passarono ben cinque anni da allora.
Manuel raggiunse il suo primo obiettivo, riuscendosi a laureare in medicina con centodieci e lode. Il prossimo passo sarebbe stato quello di specializzarsi in chirurgia generale; si sarebbe goduto l’estate, e a settembre avrebbe iniziato la specializzazione, sempre a Bologna.
Riuscì anche a prendere la patente, ma non aveva abbastanza soldi per comprarsi un’auto.
Stava tornando a casa a dare la bella notizia a suo padre e a Silvia, i quali non sapevano ancora che si era laureato.
Si stava preparando psicologicamente all’incontro con Thomas, chissà come era diventato e se si era dimenticato di lui.
In quegli anni, Manuel non lo vide mai, né si tenerono in contatto; il giorno prima della sua partenza, gli disse che la lontananza gli avrebbe fatto solo che bene e sicuramente sarebbe riuscito a dimenticarlo.
Il problema però era che lui stesso non riuscì mai a togliersi dalla testa i momenti passati col suo fratellastro, anzi, la lontananza peggiorò le cose e gli fece capire quanto lo amava. Ogni tanto si portava qualche ragazza nella casa che aveva affittato a Bologna, per fare sesso e cercare di dimenticare, ma nessuna fu in grado di fargli sentire neanche lontanamente ciò che aveva provato con Thomas.
Questo però non cambiò i suoi pensieri; era pronto a dirgli che si era fidanzato da due anni con una ragazza, che voleva sposarsi e avere una famiglia con lei. Non era vero, ma pensò che prima o poi quella bugia sarebbe diventata realtà, ed era meglio mettere le cose in chiaro fin da subito.
Non avrebbe mai ceduto, la ragione doveva prevalere sul sentimento: loro due insieme era un pensiero sbagliato.

Thomas riuscì a diplomarsi con ottanta centesimi: rimase soddisfatto di quel voto, anche perché, alla fine di maggio, ancora non aveva pronto l’argomento per la sua tesina.
Per due anni cercò invano qualche impiego, fino a quando non trovò un lavoro full time in un call center, ma viveva ancora con sua madre e Giacomo. Continuava sempre a suonare il pianoforte e a comporre suoi pezzi. Anche lui riuscì a superare gli esami per la patente, e, grazie al lavoro, decise che presto si sarebbe comprato una macchina non troppo costosa.
Aveva provato a fidanzarsi con un ragazzo, ma si accorse che lo aveva fatto solo per cercare di dimenticare Manuel, così dopo due mesi nei quali si accorse che non c’era nulla da fare, lo lasciò.
Nonostante fosse passato tutto quel tempo, i suoi sentimenti non si affievolirono, anzi, stargli lontano era un calvario. Pensava costantemente a lui, sperando che un giorno sarebbe tornato e avrebbero fatto l’amore ancora una volta. Era solo un’illusione, ma doveva aggrapparsi a quella speranza per non affondare.
Gli mancava così tanto che era come se qualcuno gli avesse tolto l’aria e lo costringeva a respirare gas.
Nei primi tempi in cui se ne era andato, poteva sentire ancora il suo profumo nella sua camera. Prendeva il cuscino del fratellastro, e si riempiva i polmoni di quell’odore. In qualche modo, lo faceva sentire ancora vicino a lui.
Col passare dei giorni però, l’odore iniziò ad andare via, e Thomas dovette iniziare a lottare contro la solitudine.
Qualche volta, Giacomo e sua madre erano andati a trovare Manuel a Bologna, ma lui si era sempre rifiutato, forse per paura di vederlo felice con qualcuna, o per qualche altra cosa che non poteva essere in grado di spiegare.
Erano tutti e tre a tavola, pronti ad iniziare a cenare.
Giacomo non sapeva ciò che era successo tra suo figlio e Thomas, Silvia mantenne il segreto e il figliastro non gli disse niente.
Ad un tratto, sentirono suonare il citofono.
I tre si guardarono, interrogandosi su chi poteva essere a quell’ora.
Giacomo andò a rispondere:
- Chi è?...O mio Dio non ci credo.
Il viso gli si illuminò di gioia e uscì fuori di corsa. 
Thomas stava già immaginando di chi si poteva trattare, infatti, pochi secondi dopo, l’uomo rientrò, seguito da suo figlio.
- Manuel! - esclamò Silvia, alzandosi dalla sedia per andare ad abbracciarlo.
Thomas rimase fermo immobile al suo posto, come la sera in cui da quella stessa porta era entrato suo padre. La persona non era la stessa, ma la reazione somigliava molto a quella di qualche anno prima.
Sentì come se il suo cuore avesse ripreso a battere dopo un lungo periodo di inattività.
Manuel stava sorridendo, ma quando i suoi occhi incrociarono quelli di Thomas, si fece serio.
Un tornado di emozioni miste a ricordi entrò nella testa dei due ragazzi.
Thomas pensò che era ancora più bello di come se lo ricordava, aveva i capelli leggermente più corti, ma lo stesso viso angelico di prima.
Il moro non ce la fece a reggere un secondo di più quello sguardo, si alzò lasciando l’intera cena sul piatto e corse in camera.
- Probabilmente si sente male - si affrettò a dire Silvia, immaginando cosa stava capitando realmente suo figlio.
- Vado a posare la mia roba - disse Manuel, dirigendosi verso le scale - ah dimenticavo - riprese - ho già cenato.
Salì le scale, l’incontro con suo fratello era imminente, tra pochi secondi, si sarebbero parlati di nuovo, dopo quella che parve un’eternità.

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


- Non saluti neanche tuo fratello?
Manuel entrò nella stanza, posò la valigia ai piedi del suo letto e si mise a sedere di fronte a Thomas.
- Sei uno stronzo - rispose quest’ultimo, aveva voglia di scaricargli addosso tutto il dolore che aveva provato in quel periodo.
- Non dirmi che ancora non hai dimenticato quello che è successo - ribatté il biondo.
Thomas si mise in piedi e alzò leggermente il tono di voce:
- Io non dimenticherò mai quello che è successo, ci ho provato, ma ogni giorno era sempre peggio, e non sopportavo di starti lontano. Mi sei mancato un casino Manu.
Quell’ultima frase la sussurrò appena.
- Tommy ascolta - lo sguardo di Manuel si fece serio - anche tu mi sei mancato, ma io ho dimenticato tutto, sto con una ragazza da due anni, io la amo e lei mi ama, credo che ci sposeremo e avremo una famiglia.
- Fantastico - Thomas fece una risata sarcastica e tornò a sedersi sul suo letto - lasciami solo, so che è anche la tua stanza ma avrai sicuramente delle cose da raccontare a mia madre e a tuo padre.
- Tommy dai non…
- Per favore - insistette il moro - solo un po’, ti prego.
Manuel si arrese, uscì dalla stanza e chiuse la porta, ma invece di tornare in salone, si mise seduto sul pavimento, con la schiena appoggiata alla parete accanto alla soglia.
Non sapeva come aveva fatto a recitare, ogni singolo muscolo del suo corpo gli diceva di stringere e baciare suo fratello fino a togliergli il respiro, ma la sua testa glielo impedì.
Pensò che tra tre mesi sarebbe tornato a Bologna, quindi forse poteva lasciarsi andare per poi tornare a fare finta di non provare più niente. Ma cosa avrebbe risolto? Avrebbe solo fatto ancora più male a suo fratello e a sé stesso.
D’un tratto sentì Thomas suonare il pianoforte, riconobbe la canzone dalle prime note: “With or without you”, la stessa che suonò il primo giorno in cui si erano incontrati. La barriera costruita dalla sua mente non poté più reggere, andò in frantumi ascoltando quella melodia.
Aprì la porta di scatto e la richiuse con un tonfo che fece sobbalzare Thomas. Manuel si diresse verso di lui, lo prese per le spalle e lo baciò, ma l’altro lo respinse quasi immediatamente, alzandosi di scatto:
- Mi spieghi che cazzo stai facendo? - Domandò con la voce rotta dal pianto.
Il biondo si accorse delle lacrime che solcavano il viso di suo fratello:
- Tommy io ti amo - quelle parole gli uscirono da sole, come se non fossero state pensate, venivano direttamente dal cuore.
- Che? - Thomas era sconvolto e confuso - falla finita di prendermi in giro, io non sono un giocattolo.
- Lo so Tommy, lo so - Manuel andò verso il moro, il quale però continuava ad indietreggiare per allontanarsi dall’altro ragazzo - ti chiedo scusa, ho sbagliato sin dall’inizio, dovevo essere sincero con me stesso e con te, ma adesso lo sono, ti prego non respingermi.
- Basta Manu - continuò Thomas, facendo appello a tutte le sue forze per non cedere alla tentazione - non sei in te, e come quella notte, non stai ragionando. Se adesso facciamo l’amore, dopo mi tratterai ancora come se avessi tentato di ucciderti.
Manuel si sentiva uno stupido. Si sedette ai piedi del suo letto, e si lasciò cadere all’indietro. Cominciò a piangere, sentendosi in colpa per tutto.
- Adesso per favore non metterti a fare così - ricominciò Thomas - non mi incanti.
Il biondo non rispose, si rannicchiò su sé stesso, con il viso rivolto dalla parte opposta rispetto a dov’era suo fratello.
Quest’ultimo si accorse che non era affatto una messinscena e gli si strinse il cuore. Voleva lasciarlo lì a piangere, per fargli immaginare almeno lontanamente come era stato lui per cinque anni, ma gli si avvicinò, si sedette accanto a lui e gli accarezzò i capelli. Quanto gli era mancato quel contatto.
- Ehi - disse il moro quasi con un sussurro - ma che ti prende?
Manuel continuava a singhiozzare, senza rispondere, così Thomas continuò:
- Se ti dicessi che io in questo stato ci sono stato per cinque anni?
Manuel si girò, costringendo l’altro a togliere la mano dai suoi capelli:
- Davvero?
Thomas annuì, accennando un mezzo sorriso:
- Davvero. Però la differenza è che io ero solo, mentre tu adesso hai qualcuno vicino.
- E tua madre? Perché non ne hai parlato con lei?
- Perché non volevo darle fastidio, e poi mi avrebbe detto nuovamente che dovevo dimenticarti. In quel momento era l’unica cosa che non volevo sentirmi dire.
Manuel si mise a sedere accanto a suo fratello e gli prese la mano.
- Prima dicevi sul serio? - gli domandò Thomas, stringendogli la mano a sua volta, come se avesse paura che poteva di colpo scomparire lasciandolo nuovamente solo - sul serio mi ami?
L’attesa di quella risposta sembrava non finire mai.
Alla fine Manuel annuì:
- Ci ho messo un bel po’ per capirlo, ma sì, ti amo.
- E quella ragazza? - Thomas credeva che si sarebbe svegliato da un momento all’altro.
- Non c’è nessuna ragazza - Manuel decise di abbattere quel suo muro mentale una volta per tutte e lasciarsi andare. Non gliene importava niente delle conseguenze, non voleva più soffrire e non voleva far star male suo fratello - Tommy per me esisti solo tu.
- Non mi sembra vero che mi stai dicendo queste cose.
- Vieni qui.
Si abbracciarono per un lungo istante, poi Manuel prese la parola:
- Credi davvero che tra noi possa funzionare?
Thomas si staccò dall’abbraccio: - Mia madre non ha problemi ad avere un figlio gay, ma non credo che appoggerà mai una nostra relazione, per quanto riguarda tuo padre - fece una pausa, sospirando - ho avuto modo di conoscerlo e mi è parso di capire che non ama molto quelli come noi, quindi non so.
- E se lo scopriranno?
- Manu - il moro gli prese entrambe le mani per cercare di rassicurarlo - abbiamo venticinque anni, non quindici, possiamo decidere cosa fare delle nostre vite, e se non ci accetteranno, beh, pazienza. Poi comunque non è detto che lo debbano venire a sapere per forza
- Comunque non credo sia il caso di parlargliene, almeno non fino a quando non saremo sicuri di...
Thomas annuì, come se avesse letto nel pensiero del fratello: - Certo.
Si sdraiarono, come quella notte di tanti anni fa, solo che in quel momento il letto era di Manuel, ed era Thomas che appoggiava la testa sul corpo dell’altro.
- Sai - riprese il biondo - la specializzazione la farò qui a Roma, non c’è bisogno di andare fino a Bologna.
Thomas sorrise, allungò la testa e lo baciò sulle labbra; quel bacio fu la scintilla che riaccese il fuoco dentro di loro. Quella volta fu ancora più intensa della prima; erano spinti dal desiderio di possedersi e avevano la consapevolezza che, forse, il loro complicato rapporto, avrebbe trovato un po’ di pace.
 
Una volta che ebbero finito di fare l’amore, si abbracciarono stretti l’uno all’altro, entrambi con la paura di perdersi nuovamente.
Prima di addormentarsi, nelle menti di entrambi si formarono dei pensieri.
Manuel si sentiva rinato, aveva avuto troppa paura di quel sentimento per ammetterlo prima, ma adesso era finalmente pronto ad accettare la situazione e tutto ciò che sarebbe venuto dopo.
Thomas, dal canto suo, pensò che la sofferenza provata in quei cinque anni, era stata ripagata con gli interessi.

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


Il mattino successivo, si svegliarono praticamente nello stesso momento; si guardarono negli occhi, felici di rendersi conto che la realtà era più bella di qualsiasi sogno.
- Sei ancora qui - sussurrò Thomas sorridendogli, finalmente Manuel non aveva reagito male a ciò che era successo.
- E dove dovrei andare? - rispose con lo stesso tono di voce, e gli mise una mano sul viso - sei davvero bello sai?
Thomas scosse piano la testa: - No, tu sei bello.
I due non volevano staccarsi, si guardarono ancora, specchiandosi l’uno negli occhi dell’altro, fino a quando Thomas si rese conto di dover andare a lavorare.
- Accidenti è tardissimo - disse il moro alzandosi, prese velocemente qualche vestito dal suo armadio, poi andò in bagno per farsi la doccia.
Per Thomas era stata la notte più bella della sua vita, superò anche quella di cinque anni prima, perché Manuel era rimasto lì con lui, gli aveva detto che lo amava, e sapeva che volevano entrambi la stessa cosa. Aveva aspettato per così tanto tempo quel momento, che gli sembrava di star vivendo un sogno.
Aveva le farfalle nello stomaco e si sentiva come i primi giorni che parlava con suo fratello.
Quell’ultima parola lo fece riflettere: mancava il legame sanguigno, ma erano fratelli a tutti gli effetti. Credeva che non potevano essere una coppia come tutte le altre, ma ci sperava.
 
Manuel rimase sdraiato ancora nel suo letto, sentiva caldo, ma non sapeva se quel calore dipendeva dalla notte appena trascorsa con Thomas o dall’estate che stava iniziando.
Pensò al perché ci aveva messo tutto quel tempo, perché era stato cinque anni lontano da lui se provava quel sentimento così forte? Trovò una risposta che però non riuscì a soddisfarlo in pieno: quel tempo era stato necessario per poter fare chiarezza. Era tornato a casa con l’intenzione di dirgli una bugia e di lasciarlo andare per sempre, ma probabilmente aveva pensato di farlo perché aveva paura che suo fratello l’avesse dimenticato.
Aveva provato a mentirgli, ma Thomas non l’aveva affatto dimenticato, anzi, si era dispiaciuto tantissimo quando gli disse che aveva una ragazza, e lì capì che quello che si era venuto a creare tra loro era qualcosa di indistruttibile. La musica suonata dal suo Tommy gli toccò le corde dell’anima, e fece così quell’ultimo passo che gli permise di mettere da parte tutte le sue paure.
 
Quel giorno a pranzo Thomas non c’era, avrebbe lavorato fino alle quattro del pomeriggio, come tutti i giorni, eccetto la domenica.
Manuel decise di parlare subito a suo padre e a Silvia della decisione che aveva preso:
- Voglio restare qui per la specializzazione - disse sperando che non gli venissero poste troppe domande.
- Perché? - domandò suo padre.
- Perché sono stato lontano di casa abbastanza, ora voglio restare qui.
A Manuel non era dispiaciuto vivere a Bologna, tutto sommato si era trovato anche bene, ma decise di giocare la carta della nostalgia.
- Ma dicevi di trovarti bene lì - insistette suo padre.
- Infatti era così, ma ora voglio continuare qui.
- Va bene.
Suo padre alla fine decise di appoggiare la decisione di suo figlio senza pretendere ulteriori spiegazioni. 

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


I primi due mesi estivi passarono in fretta.
Thomas riuscì a comprarsi una macchina e qualche sera potevano uscire, dicendo ai loro genitori che si sarebbero visti con degli amici, ma erano soltanto loro due. Comunque gli adulti non scoprirono la loro relazione quasi proibita.
La domenica andavano al mare sul litorale, approfittando del giorno in cui Thomas non lavorava; aspettavano il tramonto prima di tornare a casa.
Si baciavano sia per strada che sulla spiaggia, senza fare caso agli occhi indiscreti della gente. Dormivano insieme tutte le sere, non importava se il letto era per una sola persona, dormivano così vicini che lo spazio bastava.
Passarono dei momenti stupendi, e il loro amore cresceva giorno dopo giorno.
Era un sabato sera di metà agosto e il caldo riempiva la loro stanza.
Erano tornati a casa da poco e si stavano spogliando per mettersi a dormire. Spensero la luce e si sdraiarono entrambi sul letto del moro, il quale mise la sua testa sul petto dell’altro. Dopo qualche minuto, Thomas prese la parola:
- Stai dormendo?
- No - rispose Manuel.
- Ho bisogno che tu mi prometta una cosa - disse stringendolo ancora di più a sé.
Manuel gli accarezzò i capelli: - Cosa?
- Promettimi che qualsiasi cosa succeda, non mi lascerai mai.
- Tommy non succederà niente, dormi adesso.
- Promettimelo, ti prego.
- Te lo prometto - disse poi Manuel.
Infine si lasciarono prendere dal sonno.
 
La mattina successiva, Giacomo decise di chiedere a suo figlio e a Thomas se volevano passare una giornata diversa tutti insieme, visto che non lo avevano praticamente mai fatto.
Entrò nella camera dei ragazzi senza bussare:
- Ragazzi che ne dite se… - le parole gli si strozzarono in gola, rimase immobile sulla soglia, a vedere i due ragazzi abbracciati sul letto di Thomas; avevano addosso soltanto i boxer.
Entrambi si alzarono in piedi di scatto.
- Pa’ non saltare a conclusioni affrettate - si affrettò a dire Manuel, ma Giacomo lo fermò con un gesto della mano:
- Non voglio sentire neanche una parola - disse.
L’uomo era chiaramente sconvolto. La sua idea di passare una bella domenica tutti insieme andò in frantumi.
Lasciò la stanza sbattendo violentemente la porta.
- E ora? - domandò Thomas, sapendo che Manuel era preoccupato quanto lui.
- Gli passerà vedrai - il biondo cercò di rassicurare suo fratello, ma era lui il primo a non credere alle sue parole.
- E se non fosse così? Che succederà?
- Tommy non ti preoccupare - lo prese per le spalle cercando di scuoterlo, ma la paura si stava impossessando di lui - siamo adulti, non siamo dei bambini, vedrai che capiranno e andrà tutto bene.
Thomas non ne era convinto, così Manuel lo abbracciò e glielo ripeté ancora:
- Andrà tutto bene.
 
- Chissà da quanto va avanti questa storia - Giacomo era in salone a parlare con Silvia - e noi non ne sapevamo niente.
- Io sapevo che mio figlio era gay - rispose la donna, sedendosi sul divano, guardando il suo compagno che camminava spazientito per tutta la sala.
- Tu lo sapevi? - l’uomo si fermò - e perché non me l’hai detto?
- Pensavo che non fosse il caso, e poi non avrei mai immaginato che potesse stare con tuo figlio.
La donna mentì, o almeno non disse tutta la verità, non dicendogli che Thomas le aveva confidato di essere innamorato di Manuel.
- Va bene - Giacomo cercò di calmarsi e andò a sedersi sul divano accanto a sua moglie - io non so tu come la vedi, ma Manuel non lo accetterò mai, Thomas è tuo figlio e se vuoi tenerlo va bene.
- Che intendi con “se vuoi tenerlo”?
- Manuel mi ha deluso tantissimo, non voglio un figlio così, preferisco vederlo morto piuttosto, quindi lo manderò a Bologna, con la forza se fosse necessario.
- Aspetta amore cerca di ragionare, è comunque tuo figlio - Silvia provò a prendere parzialmente le difese dei ragazzi, ma l’uomo sembrava irremovibile.
- Non mi importa - Giacomo alzò il tono della voce - sono due depravati, e se tu vuoi difenderli fa pure.
L’uomo sembrava non ragionare più.
- Almeno proviamo a parlargli - insistette Silvia.
- Per sentirmi dire cosa? Che si amano o altre stupidaggini? Mio figlio non è un finocchio, e troverò il modo per farlo tornare sulla retta via.
Giacomo si alzò e uscì in fretta di casa, aveva bisogno d’aria.
Silvia rimase sul divano a chiedersi quali sarebbero state le conseguenze di quella storia.

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Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***


Quando Giacomo tornò, quasi all’ora di pranzo, vide i due ragazzi e Silvia in salone, in attesa di ascoltare le sue parole.
L’uomo si andò a sedere al tavolo insieme alla sua famiglia, e prese la parola:
- Ho avuto modo di pensare a quello che ho visto e alle decisioni che prenderò - tutti e tre ascoltavano in silenzio - tu andrai a studiare a Bologna - disse puntando il dito verso suo figlio, mantenendo un tono calmo - può darsi che stando lontano torni a pensare come un essere umano. Se non fosse per tua madre avrei cacciato di casa a calci anche te - disse spostando lo sguardo verso il moro - ma ormai hai un lavoro e presto te ne andrai da solo di casa.
- Papà sono stati quei cinque anni che ho passato lì a farmi capire di essermi innamorato di Thomas - obiettò Manuel - poi ormai sono grande, non puoi comandare la mia vita.
- Io posso eccome - riprese Giacomo aspettandosi quella reazione - sono io che ti pago l’università, dipendi ancora da me, quindi sono io a decidere dove studierai.
- Ma io posso trovarmi un lavoro qui. Io e Thomas ce ne andremo di casa e vivremo lontani da te, ma non puoi dividerci.
Il moro prese la mano di suo fratello e scosse la testa, facendogli capire che non aveva senso continuare.
 
Quel giorno Manuel e Thomas decisero di non pranzare, erano in camera entrambi seduti sui propri letti.
- Andiamocene - esordì il biondo.
- Che? - Thomas si sorprese.
- Andiamo via Tommy, dimostriamogli che non può decidere per noi.
- E dove? Cosa…
- Non importa - lo interruppe - saremo io e te, è questo quello che conta. Ti ho fatto una promessa ieri sera e devo mantenerla.
Thomas sorrise amaramente: - Ti ho fatto promettere quella cosa perché sapevo che prima o poi sarebbe arrivato il momento di separarci, ho provato a credere che saremmo stati felici, ma - fece una pausa - sai anche tu che il nostro amore è impossibile.
- No Tommy non ti puoi arrendere così. Io… - non sapeva più come continuare, Thomas invece era sicuro di quello che stava dicendo:
- Tu andrai a Bologna e diventerai un chirurgo eccezionale, io resterò qui e me ne andrò di casa appena possibile - il moro si spostò e andò a sedersi accanto a lui - ci terremo in contatto grazie ai cellulari e potremo vederci ogni tanto, anche se la relazione a distanza non sarà per niente facile.
- No infatti. Ma tu meriti di meglio.
Thomas gli prese le mani: - Ma che stai dicendo?
- Non meriti uno che non riesce a mantenere una stupida promessa e…
Il moro lo interruppe poggiandogli il dito indice sulla bocca:
- Io non potrei desiderare di meglio, per questo credo sia impossibile, è troppo bello per poter essere vero.
Non parlarono più, si baciarono intensamente, dimenticandosi per un attimo che tra qualche giorno si sarebbero separati ancora una volta.
 
- Pensi che se tuo figlio vada a Bologna non troveranno il modo per vedersi? Avranno i telefoni, internet, e poi credo che siano innamorati.
L’uomo rise sarcastico: - Innamorati dici? Sono fratelli, mio figlio starà passando un brutto momento e avrà bisogno di essere consolato - si fermò un attimo -  non ti preoccupare, ho già in mente un piano per non farli rivedere mai più.
Silvia non era sicura di voler entrare nei particolari. Giacomo sembrava fuori di sé, si sentiva tradito da suo figlio, per un attimo ebbe l’impulso di andare da lui e rinfacciargli il fatto di aver chiesto a suo fratello di spostarsi quel giorno nella macchina. Desiderava che fosse l’altro figlio ad essere sopravvissuto, e non quella specie di scherzo della natura.
Avrebbe fatto di tutto per far tornare suo figlio ad essere normale, era ancora in tempo,
e sapeva come doveva comportarsi.
 
Quell’ultimo mese passò troppo in fretta per Manuel e Thomas. Si goderono ogni singolo istante passato insieme, tutti i momenti dovevano essere perfetti, anche il semplice risveglio.
Giacomo non aveva più fatto alcuna scenata, mentre Silvia si limitò a fare finta che non fosse accaduto niente.
Manuel decise, con l’appoggio del fratellastro, di continuare gli studi a Bologna. Si sarebbero separati, ma il loro amore era forte e, anche se sembrava impossibile, poteva resistere alla lontananza e a Giacomo.
Dentro di loro avrebbero voluto andarsene di casa per vivere da soli e in pace, senza più nessuno che potesse giudicarli, ma a Thomas non sembrava la giusta soluzione, pensava che Giacomo avrebbe trovato il modo per tormentarli, e così convinse anche il biondo a seguire le decisioni del padre.
Le valige erano pronte, la mattina successiva Manuel sarebbe partito di nuovo, e quella era l’ultima notte che avrebbero passato insieme.
Thomas era seduto sul suo letto, con il viso triste a guardare Manuel che era intento a prepararsi i vestiti che avrebbe indossato il giorno dopo.
Nonostante fosse metà settembre, il caldo si faceva sentire, e entrambi i ragazzi indossavano solo i boxer.
- Ho passato l’estate più bella della mia vita - cominciò Thomas.
- Ehi - Manuel andò a sedersi accanto a lui - lo stai dicendo come se non dovessimo vederci mai più, ci saranno molti altri giorni in cui staremo insieme.
Thomas abbassò lo sguardo: - e se troverai una ragazza? Mi dimenticherai e tutto questo resterà solo un ricordo.
Il biondo gli tirò su il mento con l’indice per poterlo guardare negli occhi:
- Tommy non ci sarà nessuna ragazza, io ti amo e nessuno potrà mai rimpiazzarti - Thomas si sforzò di sorridere, poi Manuel continuò - anche se tu credi che il nostro amore sia impossibile, io ci tengo a mantenere la promessa che ti ho fatto.
Lo baciò con dolcezza, poi sempre più intensamente, quindi si lasciarono cadere sul letto.
- Abbiamo ancora un’altra notte - disse Manuel tra i gemiti - a domani ci penseremo domani.
Fecero l’amore come se il giorno dopo il mondo dovesse finire.
In quei tre mesi le loro anime si erano unite fino a diventare una cosa sola. Quella notte non sarebbe stata eterna, e anche se avessero dato tutto perché ciò fosse possibile, la mattina arrivò presto.
Manuel si svegliò prima di suo fratello, tolse la mano di Thomas dal suo petto e fece scivolare la sua testa sul cuscino, cercando di non svegliarlo.
Si vestì fissando il viso e il corpo di Thomas, i suoi occhi erano chiusi, avrebbe voluto guardarli ancora una volta, ma sapeva che se l’avesse fatto, non sarebbe riuscito ad aprire quella porta.
Se ne sarebbe andato senza salutare il suo Tommy.
Si chinò su di lui e gli diede un bacio sulla fronte, una lacrima scivolò sulle sue guance. Sentiva il respiro calmo e regolare del fratello.
- Ti amo - gli sussurrò piano.
Poi prese i suoi bagagli, aprì la porta, guardando intensamente ancora una volta il fratellastro, cercando di imprimere quell’immagine nella memoria, per poterla tenere dentro di sé il più a lungo possibile.
Spinto da una forza che non credeva di poter avere, uscì dalla sua stanza sperando che si sarebbero rivisti presto.
 
Thomas si svegliò, ma non c’era il petto di Manuel a fargli da cuscino, si guardò intorno, sperando disperatamente di vederlo ancora lì, ma le sue valige non erano più ai piedi del suo letto, questo gli fece capire che se ne era andato senza salutarlo.
Le lacrime iniziarono a rigare il suo viso: di Manuel era rimasto solamente il profumo.

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Capitolo 18
*** Capitolo 18 ***


Decise di alzarsi, poteva sentire il sapore delle labbra di Manuel sulle sue, il calore della sua pelle morbida e calda a contatto con la sua, avrebbe rinunciato a lavarsi per non mandare via la sensazione di averlo ancora addosso.
Quando si avvicinò alla porta, il suo sguardo si posò su un foglio piegato sul pavimento vicino alla soglia.
Lo prese e lo spiegò, immaginando che si trattava di una lettera di Manuel.
Ciò lo rese felice, ma quando lesse le parole in essa contenute, preferì essere cieco piuttosto che aver visto quella lettera:
 
Thomas,
quando leggerai questa lettera io sarò in viaggio per Bologna e probabilmente non ci rivedremo mai più viste le cose che sto per dirti.
Sei stato così ingenuo a credere che io possa essermi innamorato davvero di te.
Io non sono gay, tu non mi sei mai piaciuto, e se qualche volta venivo a letto con te, era soltanto per sfogarmi un po’.
Io ho una ragazza a Bologna, e non vedo l’ora di incontrarla di nuovo; lei non saprà mai quello che c’è stato tra noi.
Quando io e te facevamo sesso, pensavo a lei, ecco perché ci mettevo così tanta passione.
Sicuramente ora mi odierai e non vorrai vedermi mai più, ma non mi importa, io ho la mia vita e spero solo che tu riesca a fartene una decente.
Addio,
                                                                                             
                                                                                                                 Manuel”
 
Thomas si lasciò cadere sul letto, quelle parole gli avevano colpito il cuore, rompendolo in mille pezzi.
Guardò incredulo la lettera che stringeva nelle sue mani, chiuse gli occhi e sperò che quando li avrebbe riaperti, quella lettera non esisteva più, e lui era ancora nel suo letto con Manuel.
Ciò non accadde, la lettera era ancora tra le sue mani. Iniziò a strapparla fino a quando i pezzi di carta diventarono minuscoli coriandoli bianchi.
Un lacerante urlo di disprezzo e negazione attraversò tutta la casa.
 
Silvia sobbalzò mentre stava finendo la sua colazione; Giacomo invece rimase impassibile come se quell’urlo fosse all’ordine del giorno.
- Che è successo? - disse Silvia preoccupata, diretta in camera di suo figlio.
Giacomo la fermò: - Credo che mio figlio abbia detto la verità a Thomas. Quando l’ho accompagnato alla stazione mi ha detto di avergli lasciato una lettera in cui gli diceva di non averlo mai amato.
- Ma come… - Silvia era incredula, si bloccò sul primo scalino prima di tornare al suo posto.
- Te l’avevo detto che mio figlio non era un finocchio.
Giacomo sorrise sadicamente, era stato lui a mettere quella lettera in camera dei ragazzi, facendo così credere a Thomas che fosse stato Manuel a scrivere quelle parole.
Per evitare che i due si sarebbero messi in contatto e avessero scoperto la verità, fece la stessa cosa anche con suo figlio, lasciandogli una falsa lettera di Thomas in una tasca della valigia.
 
Manuel fu fortunato a trovare ancora libera la casa che aveva preso in affitto fino a tre mesi prima.
Dovette trovare però un altro lavoro per potersi mantenere, pensò comunque che non sarebbe stato poi così difficile;  era disposto a fare qualsiasi cosa gli avrebbero offerto.
Cominciò a disfare le sue valige non appena arrivò nel piccolo appartamento non lontano dall’università.
Ebbe finito di sistemare quasi tutto, quando aprì, solo per controllare, una tasca in cui era sicuro di non aver messo alcunché.
Con suo stupore però, trovò un foglio piegato in due, lo aprì e gli spuntò un sorriso capendo che era una lettera del suo Tommy.
 
“Manuel,
Credo sia arrivato il momento di essere sincero.
Non sono affatto innamorato di te, ma mi è piaciuto prenderti in giro per poterti scopare ogni volta che volevo.
Devo dire che sei molto bravo, uno dei migliori con i quali sono stato, e devo dirti che in quegli anni in cui non eri a casa sono stato con molti ragazzi.
So che quando leggerai questa lettera non vorrai vedermi mai più e un po’ mi dispiace perché so che non potremo più fare sesso, ma saprò come rimpiazzarti.
Mentre tu stai leggendo questa lettera, probabilmente starò già al telefono con uno dei miei amichetti.
Ah quasi dimenticavo.
In bocca al lupo per i tuoi studi.
                                                                                                                 Thomas”
 
 
Il sorriso sulla bocca di Manuel si trasformò in un’espressione di disgusto: come poteva essere vero? Non riusciva ad accettare nemmeno una parola che era contenuta in quella lettera.
Thomas sembrava così sincero quando erano insieme, sembrava davvero innamorato, ma quella sensazione gli fece capire quanto era stato ingenuo per non aver intuito prima che si trattava solo di una presa in giro.
Stracciò la lettera e la buttò nel cestino dell’immondizia; non voleva piangere, Thomas non meritava le sue lacrime, ma non ce la fece a trattenersi. Si sdraiò sul letto con la schiena rivolta al soffitto, nascondendo il viso tra le sue braccia.
Iniziò a singhiozzare, non era mai stato così male prima d’allora.
Tutti i momenti fantastici vissuti insieme inondarono come un fiume in piena la mente di Manuel, e il pensiero che era stato tutto falso lo gettò ancora di più nella disperazione.
Odiava suo fratello per quello che gli aveva fatto, e sperò di dimenticarsi al più presto di lui.

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Capitolo 19
*** Terza parte - Capitolo 19 ***


Manuel aveva appena finito un estenuante turno in ospedale e stava tornando a casa da sua moglie.
Erano passati dieci anni da quando lesse la finta lettera di Thomas.
Da allora non si erano più rivisti, neanche si erano mai fatti una telefonata, d’altronde Manuel non aveva niente da dirgli, se non che lo odiava con tutto sé stesso per ciò che gli aveva fatto, ma non lo chiamò mai.
Aveva fatto un’enorme fatica per riuscire a dimenticarlo, e ancora non c’era riuscito del tutto. Quella storia aveva lasciato un’enorme cicatrice nella sua anima, che ogni tanto gli faceva pensare ancora a Thomas; dopotutto era stato il suo primo vero amore.
Durante il primo anno di tirocinio, incontrò una ragazza in un bar e se ne innamorò, non come aveva amato suo fratello, era convinto che mai nessuno poteva riuscire a sostituirlo, ma ciò non gli impedì di andare avanti.
Fu lei a fare il primo passo: Manuel era seduto ad un tavolo a fare colazione, quando gli si avvicinò una ragazza dai capelli neri, non troppo lunghi, occhi azzurri e qualche lentiggine sul viso:
- Che ci fa un bel ragazzo come te tutto solo?
Gli aveva detto, lui non aveva molta voglia di parlare con qualcuno, erano passati quattro anni dalla storia con suo fratello ma la ferita era ancora aperta.
Comunque fece accomodare quella ragazza vicino a lui, si cominciarono a conoscere, e Manuel pensò che poteva provare a dimenticare Thomas.
All’inizio sperò che suo fratello potesse soffrire, poi col tempo il rancore verso di lui si affievolì, anche se non del tutto.
Si disse che se continuava ad odiarlo così, non avrebbe mai potuto dimenticarlo. Sapeva comunque che suo fratello non stava affatto soffrendo: a volte leggeva il suo nome su qualche titolo di coda di un film o sui testi di qualche canzone. Era con tutta probabilità diventato un compositore, a meno che non si trattasse di un omonimo, ma sapeva che non poteva essere così. Conosceva la musica di suo fratello, molte volte l’aveva ascoltata, e in quei film e in quelle canzoni, sentiva il suo tocco. Chi poteva immaginare che dietro quelle fantastiche melodie si nascondeva una persona così sadica, capace solo a prendere in giro gli altri.
Manuel decise quindi di rifarsi una vita lontano da Thomas, e ci stava riuscendo: nonostante la sua giovane età, era diventato uno dei chirurghi più bravi dell’ospedale, e aveva una moglie di cui era abbastanza innamorato.
Si era dimenticato parte dei lineamenti di Thomas in tutto quel tempo, non si ricordava più il suo profumo, e non sapeva se esserne felice o meno.
L’unica cosa che nella sua mente rimbombava ancora come se il tempo non fosse mai passato, erano i suoi occhi: gli occhi più belli che avesse mai visto, e non poteva ancora capacitarsi del fatto che quello sguardo celestiale nascondeva qualcosa di diabolico e perverso.
Parcheggiò nel vialetto di casa.
Sua moglie era insegnante d’inglese in un liceo linguistico, e stava probabilmente preparando la cena quando Manuel scese dall’auto.
Avevano comprato casa da poco più di un anno. A Manuel piacque subito quell’abitazione perché gli  ricordava quella in cui aveva vissuto a Roma. Si erano sposati da pochi mesi e stavano provando a mettere su famiglia.
Con due stipendi potevano permettersi di pagare il mutuo e crescere un figlio.
Manuel non tornò più nella sua città natale, si era stabilito a Bologna e non vide più nemmeno Silvia e suo padre. Di lui non voleva saperne più niente, visto come la pensava sull’omosessualità, e, anche se lui aveva nascosto il suo orientamento sessuale, non gli andava di incontrare nuovamente suo padre.
- Amore sono a casa.
Disse entrando dalla porta.
- Ehi.
Veronica lo baciò per salutarlo. Lei non sapeva assolutamente niente di quello che aveva vissuto con Thomas, era solo a conoscenza del fatto che aveva un fratellastro con quel nome ma con il quale non aveva mai legato molto. Non poteva esistere bugia più grande. Sua moglie non si accorse neanche che quel nome, di tanto in tanto appariva in televisione, suscitando una reazione, sempre abbastanza composta, di suo marito.
- Devo dirti una cosa che spero ti renderà felice - disse lei con un sorriso.
Manuel non sapeva cosa aspettarsi: - Dimmi.
- Vieni - Veronica lo fece sedere sul divano e gli prese entrambe le mani, lo guardò negli occhi prima di continuare - sono incinta.
Manuel rimase stupito da quella rivelazione: - Ma è fantastico - riuscì a dire, cercando di sorridere.
Abbracciò sua moglie, che ricambiò la stretta.
Sarebbe diventato padre, la cosa lo rendeva felice, ma mai avrebbe creduto di avere un figlio, specialmente nel periodo in cui era con Thomas.
Comunque quella era la realtà, il destino gli stava soltanto chiedendo di provare ad essere felice con la sua famiglia. 

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Capitolo 20
*** Capitolo 20 ***


Thomas era a casa a scrivere una delle sue composizioni.
Il suo successo iniziò quando decise di mettere i suoi pezzi in Internet per vedere cosa pensavano le persone di quello che suonava.
Un giorno un regista riuscì a mettersi in contatto con lui e gli chiese se poteva comporre qualche pezzo per un film che stava progettando. Thomas non poteva essere più felice.
Accettò subito e da quel giorno iniziò a comporre basi musicali e colonne sonore per dei film, sempre riscuotendo un certo apprezzamento.
Grazie a quel successo, che arrivò circa tre anni dopo il giorno in cui Manuel se ne era andato, riuscì a comprarsi un appartamento in un palazzo nel centro di Roma.
Non vedeva l’ora di andarsene da quella casa, ogni centimetro quadrato di quell’abitazione gli ricordava tutti gli attimi vissuti con suo fratello.
Ogni tanto si vedeva con sua madre, le raccontava che era felice della sua vita, anche se Manuel gli mancava.
Non riusciva a capire il perché di tante bugie, si era sentito come mai in vita sua, credeva di essere amato, ma non era così, e quello era ciò che lo faceva sentire peggio.
Ad aiutarlo nell’impresa di mettere da parte la storia con suo fratello, ci pensò un ragazzo, che incontrò in un supermercato poco dopo aver compiuto trentadue anni.
Se non fosse stato per Federico, Thomas non si sarebbe mai avvicinato a lui; non fece neanche caso alla presenza di qualcuno che lo stava osservando, poiché era troppo intento a pensare se sarebbe stato meglio comprare le penne o i fusilli.
- Oh mio Dio non ci credo - aveva detto Federico vedendo Thomas davanti a lui.
Il moro si girò e rimase colpito dalla bellezza del ragazzo davanti a lui: aveva i capelli castani, più corti dei suoi, gli occhi verdi e dei lineamenti del viso che somigliavano vagamente a quelli di Manuel.
“Non può avercela con me”, pensava Thomas guardandosi intorno, ma vide solo gente disinteressata alla voce del ragazzo.
- Dici a me? - gli chiese continuando a voltare lo sguardo a destra e a sinistra.
- Sei Thomas Bianchi non è vero? - il ragazzo di fronte a lui era speranzoso, Thomas sorrise, contento di rispondere positivamente alla sua domanda:
- Sì sono io, è la prima volta che qualcuno mi riconosce.
- Scherzi? Io sono un tuo fan, anzi - si mise a cercare frettolosamente una penna e un foglio nella sua tracolla - perché non mi fai un autografo?
Le persone vicine si stavano chiedendo chi mai fosse quel ragazzo, visto che un altro gli stava chiedendo l’autografo, ma nessuno era riuscito a riconoscerlo. Quando si diventa compositori, alcuni riconoscono il nome dell’autore, ma pochi conoscono l’aspetto della persona.
- Molto volentieri - rispose incredulo, nessuno gli aveva mai chiesto un autografo - com’è il tuo nome?
- Federico.
- Bene - riconsegnò il foglio e la penna al ragazzo - piacere di averti conosciuto.
Thomas fece per allontanarsi, diretto alle casse per pagare la sua spesa, ma Federico lo fermò:
- Aspetta - gli disse - ho un sacco di cose da chiederti, ti va di camminare un po’?
Quella sera finirono per darsi un appuntamento, e poi un altro, e un altro, fino a quando Thomas non capì di essersi innamorato. Era felice perché finalmente poteva accantonare la storia con Manuel, ma non era sicuro che anche l’altro provasse le stesse cose.
Inizialmente i loro incontri erano solo appuntamenti tra amici, con Federico che diceva a Thomas di conoscere tutte le sue composizioni, e lui che rimaneva stupito da quanto quel ragazzo aveva seguito la sua carriera iniziata da poco.
Una sera erano seduti su una panchina a guardare il tramonto.
- Ho visto molti tramonti con mio fratello - Thomas aveva raccontato tutto a Federico, di come si era innamorato e di quanto aveva sofferto, e l’altro lo ascoltava ogni volta che voleva parlarne - ma quello di stasera ha qualcosa di particolare.
Si avvicinò e lo baciò delicatamente sulle labbra, ma si pentì:
- Scusami ti prego - disse imbarazzato - non pensare male.
- Non posso credere che tu l’abbia fatto davvero - il tono di voce di Federico era tremolante e incredulo, si vedeva che era emozionato, e questo lasciò interdetto Thomas -sogno questo momento da quando ti ho visto in foto per la prima volta, non è possibile che sia vero.
- Dici sul serio? - il moro sperò che quello che provava fosse ricambiato.
- Sì ma tanto probabilmente ora mi sveglierò in camera mia, pronto per sprecare un altro giorno della mia vita - disse credendo davvero di trovarsi in un sogno - quindi è inutile che mi illudo.
- Vediamo se è davvero un sogno - Thomas lo baciò ancora, stavolta più intensamente, poi lo guardò negli occhi - beh - continuò sospirando - a me sembra tutto vero.
 
Probabilmente non riuscì a raggiungere il sentimento che aveva provato per suo fratello, ma quella con Federico era una storia totalmente diversa: i suoi genitori lo avevano accettato e non avevano opposto resistenza quando il figlio andò a vivere con Thomas. Non c’erano limiti, a Thomas piacevano i genitori di Federico e viceversa. Anche Silvia approvò quella relazione, sapendo finalmente che suo figlio era felice.
Inoltre Federico sembrava innamorato veramente; il moro pensava che, anche se non sarebbe mai riuscito a dimenticare il passato, suo fratello, dopo quello che gli aveva scritto, non meritava la sua tristezza.
I due stavano insieme da quasi tre anni, a volte litigavano come accade in qualsiasi coppia, ma erano sempre disposti a fare pace.
Thomas aveva finalmente trovato la persona giusta.

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Capitolo 21
*** Capitolo 21 ***


- Domani devo andare a un congresso a Firenze, ma non ho per niente voglia.
Manuel e Veronica stavano cenando, la televisione era accesa ma faceva solo da sottofondo alle loro chiacchiere.
Fuori pioveva, novembre era iniziato da poco e non c’era ancora stata una bella giornata.
- Guarda il lato positivo - rispose sua moglie - ti riposi dal lavoro per una giornata.
- Preferisco fare un’operazione di dodici ore piuttosto che andare a sentire degli esperti che parlano di nuove cure sperimentali e altra roba simile.
- Vedrai che sarà meno noioso di quanto immagini.
- Lo spero.
Finirono la cena in silenzio, poi decisero di andare a dormire.
- Come lo chiamiamo? - domandò Silvia con un sorriso, mentre era pronta per sdraiarsi accanto a suo marito.
- Eh? - Manuel era distratto, e sentì solo l’ultima parte della domanda di Veronica.
- Ti ho chiesto come vogliamo chiamarlo - ripeté lei, appoggiando la testa sulla spalla di Manuel.
- Se è maschio mi piacerebbe chiamarlo Thomas - disse quelle parole senza pensarci, era troppo stanco per ragionare.
Lei alzò la testa e lo guardò negli occhi, un po’ stupita:
- Come tuo fratello? Perché?
- No non è perché ci si chiama mio fratello - disse rendendosi conto di dover trovare una scusa - è solo che mi piace il nome, tutto qui.
- Ve bene - Veronica riprese la posizione di prima - Thomas è un bel nome tutto sommato, ma se è femmina la chiamiamo Giada.
- Ok amore - rispose Manuel sbadigliando, in quel momento voleva solo dormire - adesso però dormiamo che domani mi aspetta una giornata noiosissima, non vorrei addormentarmi al congresso.
Veronica appoggiò l’idea del marito e, dopo qualche minuto, si addormentarono.
 
- Tanto so che fa schifo.
Thomas era in salone con il suo ragazzo a lamentarsi della sua ultima composizione.
- Amore non fa per niente schifo - Federico provò a consolarlo, sapeva che era nervoso poiché il giorno dopo doveva incontrarsi con un regista per scegliere la colonna sonora di un film - a me piace e sono sicuro che piacerà anche al regista.
- Lo dici solo perché sei di parte.
- No - Federico andò a sedersi accanto a lui davanti al piano - lo dico perché è così.
- Forse è meglio che lascio perdere quest’incontro - continuò Thomas con tono arrendevole.
- Ma che dici? - l’altro non era affatto d’accordo - devi andarci, poi male che va ti dice di no, ma almeno ci devi provare - fece una pausa, poi gli mise una mano sulla spalla - ti accompagno.
Thomas sorrise: - Grazie ma non voglio disturbarti, hai il tuo libro da finire, so che ci tieni.
- Il mio libro può aspettare, e poi tengo molto di più a te.
- Va bene - sospirò infine - ti farò partecipare al mio fallimento.
- Sei un po’ troppo pessimista - Federico gli mise un braccio intorno al collo - domani andremo a Firenze e colpiremo quel regista dritto al cuore, vedrai.
Thomas era felice di avere un ragazzo su cui contare, c’era sempre, in qualsiasi situazione, bella o brutta.
- Grazie - gli disse.
- Non devi ringraziarmi - si alzò e si diresse verso la camera da letto - adesso però andiamo a letto che si è fatto un po’ tardi.
 
L’incontro con il regista era andato come immaginava Federico.
L’uomo si era detto soddisfatto di ciò che Thomas aveva composto per il film e si era concluso tutto con la firma di un contratto:
- Hai visto che è andata alla grande? - disse Federico mentre erano diretti alla stazione per tornare a casa.
Erano da poco passate le undici del mattino, il cielo era sereno e c’era la classica atmosfera di fine estate che accompagna i primi giorni di settembre.
- Già - rispose Thomas - stavolta non credevo che sarebbe stato così facile.
- Questo è perché ti sottovaluti sempre.
Risero entrambi.
Una volta arrivati alla stazione, controllarono a che ora e a quale binario c’era il treno per Roma. Fecero il biglietto e si diressero verso il sottopassaggio.
 
Manuel era alla stazione con abbondante anticipo rispetto al congresso, che sarebbe iniziato nel primo pomeriggio.
Decise di andare a quell’ora perché non sapeva dove si trovava la sede dell’evento, né tantomeno come arrivarci; avrebbe comunque chiesto informazioni a qualche passante del posto.
Scese nel sottopassaggio, e dopo aver fatto qualche metro, davanti a sé vide un immagine che lo fece bloccare di colpo. Alcuni passanti gli andarono addosso, chi per fretta, chi perché era distratto e non aveva visto che qualcuno era fermo in mezzo alle altre persone.
Lui comunque non si accorse degli altri che lo urtavano, sentì come un colpo sordo partire dalla bocca dello stomaco ed espandersi velocemente per tutto il corpo: cominciò a respirare affannosamente, il cuore gli batteva all’impazzata e la salivazione gli si era completamente azzerata.
Superato lo shock iniziale, decise di andargli contro, ma più si avvicinava, più il suo cuore accelerava il battito e le gambe tremavano.
- Guarda chi c’è - disse, facendo tutto il possibile per nascondere ciò che stava provando dentro.
Thomas fu attirato dalla voce, quando notò Manuel davanti a lui, il mondo si fermò di colpo. Non aveva mai creduto di poterlo rivedere, era innamorato di Federico, ne era sicuro, ma rivedere suo fratello gli fece rendere conto che quello che aveva provato in passato era qualcosa di indescrivibile, non era un semplice amore, era qualcosa di più, che durava nel tempo e neanche la lontananza poteva spezzare, nonostante quella lettera.
- Bastardo - rispose il moro avvicinandosi a Manuel, con Federico che non capiva cosa stava succedendo - che vuoi?
- Scusa - il biondo fece una risata sarcastica - com’è che mi hai chiamato?
- Bastardo - rispose con aria arrabbiata, gli occhi erano ridotti a due fessure - ma forse è anche un complimento.
- Ma come ti permetti? - sbottò Manuel - se tra noi due c’è un bastardo quello sei tu.
- Che cosa? - Thomas si sforzò di mantenere la calma, anche se sembrava impossibile - mi hai fatto soffrire come non mai, su quella lettera hai scritto cose che non avrei mai pensato di…
- Aspetta - lo interruppe - quale lettera?
- Idiota, fai anche finta di niente? Quella che mi hai lasciato in camera il giorno in cui sei andato via.
Thomas aveva voglia di prenderlo a pugni, ma era così bello che non avrebbe potuto farcela. Erano passati dieci anni dall’ultima volta che si videro, ma il suo volto non era cambiato granché.
- Mi prendi in giro? - Manuel era visibilmente confuso - sei tu che mi hai lasciato una lettera nella mia valigia.
- Cosa? - Thomas non ci stava capendo niente - io non ho scritto nessuna lettera, e se mai l’avessi scritta, di certo non avrei detto cose che ti avrebbero fatto soffrire.
- Amore tutto bene? - Federico intervenne nella conversazione.
- Sì è tutto apposto - rispose Thomas tenendo lo sguardo fisso sul viso di Manuel, che si illuminò di colpo.
- Mio padre - affermò il biondo con tanta amarezza.
- Tuo padre?
- Sì - Manuel si appoggiò alla parete del sottopassaggio, aveva voglia di sprofondare - non avrebbe mai accettato una nostra relazione, e se tu non mi hai scritto quella lettera, e io non te ne ho lasciata nessuna, solo lui può averlo fatto.
Una consapevolezza odiosa cominciò a farsi spazio nelle menti dei due ragazzi, in quel momento stavano pensando pressoché la stessa cosa: erano riusciti ad andare avanti solo perché le parole in quelle lettere li avevano convinti che tutto ciò che c’era stato tra loro era finto. Di colpo, scoprirono che quelle lettere erano false, mentre tutto ciò che c’era stato tra loro, era spaventosamente vero.
Thomas si appoggiò alla parete accanto a suo fratello, incurante di Federico che li stava osservando, a qualche centimetro di distanza.
- Forse sarebbe stato meglio continuare a vivere senza sapere la verità - cominciò Thomas.
- No - obiettò il biondo - ora finalmente posso smettere di odiarti, e continuare ad amarti come ho sempre fatto.
Thomas lo guardò, il suo viso assunse un’espressione accigliata:
- Come vedi io mi sono rifatto una vita - disse facendo cenno verso l’altro ragazzo - e credo che anche tu ne abbia una.
Manuel annuì: - Ho una moglie e aspetto un figlio da lei.
- Che? - Thomas alzò il tono della voce, spostando e mettendosi davanti a lui - tu sei gay - disse più piano - se stai con una donna non potrai mai essere felice.
- Tommy io potrei essere felice solo se sto con te, non esistono né uomini né donne che possono farmi provare le stesse cose che sento per te - fece una pausa abbassando lo sguardo - se tu ci sei riuscito sono felice per te.
- Amore perdiamo il treno - Federico interruppe nuovamente la conversazione dei due.
- Comincia ad andare - rispose - ti raggiungo subito.
L’altro annuì e si diresse verso il binario in cui avrebbero dovuto prendere il treno.
- Io non ci sono riuscito - continuò voltandosi nuovamente verso Manuel - io amo Federico, ma non come ho amato te, e ora che ho scoperto che tutto ciò che ho pensato di te in questi dieci anni era falso…
Lasciò la frase a metà, sospirò e si nascose il viso tra le mani.
Manuel gli prese le braccia e gliele rimise giù, delicatamente:
- Facciamo ancora in tempo a ricominciare, se quello che abbiamo pensato l’uno dell’altro era falso, allora possiamo far rivivere le stesse emozioni di dieci anni fa - strinse le mani di suo fratello - Tommy, so che lo vuoi anche tu.
Thomas rimase a pensarci per qualche secondo, ma poi la ragione prevalse sul sentimento; scosse la testa:
- Ho un ragazzo che mi ama - cominciò - e tu stai per avere un figlio, ormai le cose sono andate così, non c’è più modo di tornare indietro - sospirò, le prossime parole fecero fatica ad uscirgli - dobbiamo pensare che questo incontro non ci sia mai stato, dobbiamo continuare a comportarci come abbiamo fatto fino ad ora, altrimenti non riusciremo più a vivere.
- Se questo deve essere solo un sogno - disse Manuel avvicinandosi - almeno rendiamolo perfetto.
Lo baciò, Thomas voleva opporsi, ma il contatto con quelle labbra che aveva amato e sempre desiderato non glielo permise; si baciarono intensamente, come se tra qualche secondo il mondo fosse andato in frantumi, incuranti delle altre persone che passavano di lì. Poi Thomas si staccò:
- Adesso devo proprio andare - disse tenendo le mani di Manuel.
Quest’ultimo si limitò ad annuire, e abbassò lo sguardo. Quel bacio aveva scritto la parola “fine” ad una storia tormentata e impossibile.
Si guardarono per un’ultima volta; in quell’incrociò di sguardi passò nella loro mente un film della loro storia, dalla prima volta che si videro, ai tramonti estivi visti sulla spiaggia, dalla sofferenza provata per la lontananza, alla gioia di ritrovarsi, dalla loro prima notte insieme, al momento in cui lessero quelle lettere false, dalle volte in cui si erano detti di amarsi e avevano dormito stretti l’uno all’altro, sperando che tutto quello sarebbe stato infinito, fino ad arrivare ad allora.
Thomas lo guardò ancora, cominciando a camminare lentamente  all’indietro verso il binario; si tennero la mano fino a quando la distanza tra i due divenne troppo ampia per un contatto diretto, Thomas si voltò e cominciò a camminare piangendo, non gli importava se Federico l’avesse visto in quello stato.
Anche a Manuel salirono le lacrime, e si lasciò scivolare a terra.

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Capitolo 22
*** Epilogo ***


Da quel giorno i due ragazzi non si videro mai più.
Thomas a volte provava il rimpianto di non essere andato con suo fratello, ma non poteva fare altrimenti. L’odio che provava per Manuel scomparve nel momento in cui scoprì che quella lettera non l’aveva scritta lui. L’amava con tutta l’anima, ma non se la sentiva di andare con lui e rovinare la vita della moglie di Manuel e di Federico.
Quest’ultimo aveva chiesto spiegazioni quel giorno alla stazione. Thomas gli disse la verità, dicendogli anche che quello che provava per suo fratello era qualcosa di inspiegabile, ma Federico rispose che era il suo primo amore ed era normale che non l’avrebbe mai dimenticato, quindi non ne fece un dramma e continuò a stare con lui.
Manuel e Veronica chiamarono il loro figlio Thomas, come avevano deciso. Per Manuel non era il massimo, visto che ogni volta che lo chiamavano, gli tornava alla mente suo fratello. Continuò a mentire a sua moglie, non parlandogli mai di ciò che era successo.
Lui avrebbe dato qualsiasi cosa per poter stare di nuovo con suo fratello, ma come poteva abbandonare sua moglie e suo figlio?
 
Il destino, aiutato da Giacomo, separò i due fratelli, i quali continuarono ad amarsi a distanza.
Forse il loro era un amore troppo forte per essere possibile, o forse non c’era alcuna spiegazione.
A volte si cerca sempre di razionalizzare, quando magari le cose semplicemente accadono, senza nessun perché, e l’unica cosa da fare è accettarle, evitando di cercare delle spiegazioni che probabilmente non esistono.




Note autore

Ciao a tutti :)
Siamo quindi arrivati alla conclusione di questa storia...un po' mi dispiace perché a questo racconto ho dato tanto e per me significa molto...
Spero che vi sia piaciuto e vorrei ringraziarvi se siete riusciti ad arrivare fino a questo punto :)
Ringrazio coloro che mi hanno lasciato almeno una recensione e che spero abbiano continuato a seguire la storia: AnnaEraFelice, Black Daleko e Stivaneo.
Un grazie speciale va però ad alessandroago_94, che mi ha sostenuto dal primo all'ultimo capitolo e che mi ha permesso di continuare a pubblicare questa storia :)
Grazie anche a Niaile, che ha recensito tutti i capitoli :) A presto (speriamo con qualche nuova storia) :)

 

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