A un passo da te

di Gattina Pazza
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Discorsi sulle colazioni, ovvero come guadagnare la fiducia di una ragazza ferita ***
Capitolo 2: *** 2. La marcia di Damian, ovvero la foca grassa, grossa, sbilenca e stronza ***
Capitolo 3: *** 3. C'era una volta una coppia di cretini ***
Capitolo 4: *** 4. Se ci sei cascato, questa volta sei nei guai, caro Zane ***
Capitolo 5: *** 5. Obbligo o verità per i cattivi ragazzi, ovvero una sfida a chi si ubriaca per ultimo ***
Capitolo 6: *** 6.Dimenticati chi sei e chi è lei. Dimenticatene, e non lasciarla andare ***
Capitolo 7: *** 7. La chiacchierata tanto attesa delle due di notte, ovvero il momento di chiudere la partita ***
Capitolo 8: *** 8. Uscire da una tempesta per gettarsi in un ciclone ***
Capitolo 9: *** 9. La donna che può e vuole diventare ***
Capitolo 10: *** 10. Mentre lei si allontana, lui capisce di amarla ***
Capitolo 11: *** 11. Niente è cambiato ***



Capitolo 1
*** 1. Discorsi sulle colazioni, ovvero come guadagnare la fiducia di una ragazza ferita ***


1. Discorsi sulle colazioni, ovvero come guadagnare la fiducia di una ragazza ferita
    
Mi chiedevo quando sarebbe venuto. Un po’ me lo immaginavo, che avrebbe cercato di approcciarmi, prima o poi; ero anche abbastanza curiosa del modo in cui l’avrebbe fatto. Ma, d’altra parte, speravo anche che almeno lui avesse un minimo di buon senso; e, dato come stavano le cose, non lo facesse mai. O, se proprio era così stupido da progettare una cosa simile, almeno che gli mancassero i coglioni per tentare (e dato che era uno dei migliori amici di Damian, ero convinta non potesse che condividere la sua codardia).
Ci incrociavamo ogni giorno in biblioteca. Io arrivavo alle tre, lui circa mezz’ora dopo e ormai era diventata quasi un’abitudine quella di passarsi di fianco lanciandosi sguardi furtivi. Succedeva che sedessimo in modo tale da poterci vedere e allora, anche se in modo discreto, ci tenessimo d’occhio entrambi (sentivo il suo sguardo fisso su di me e un paio di volte l’avevo pure beccato a fissarmi); altre volte eravamo sparsi nell’immensa soppalco della biblioteca adibito allo studio, ma in qualche modo ci capitava sempre di passarci accanto. E un po’ mi sentivo rassicurata dal fatto di vederlo ogni giorno lì.
Era un mercoledì della prima settimana di maggio. Lo ricordo ancora come se fosse ieri. Ormai la sala si era svuotata, dovevano essere le sette passate. Sapevo che sarei dovuta tornare, ma non volevo, anche perché il giorno dopo mi aspettava un‘interrogazione impegnativa ed ero certa che a casa non sarei riuscita a concentrarmi. E, siccome avevo sonno (la notte prima avevo dormito sì e no quattro ore e mezza) decisi di alzarmi per prendere un caffè alla macchinetta.
Mentre il dolce profumo di quel nettare senza cui non avrei potuto sopravvivere si spandeva nella saletta salendomi alle narici, qualcuno si appoggiò a braccia incrociate alla macchinetta,  affiancandomi.  –Ehi.
Alzai lo sguardo piuttosto irritata che qualcuno avesse invaso in modo così plateale il mio spazio vitale, convinta che fosse uno dei soliti tipi strani che giravano spesso in biblioteca. Innocui, ma abbastanza fastidiosi. E rimasi di stucco. Era lui. Quel… come diamine è che si chiamava? Damian me l’aveva detto non so quante volte.
-Ehi.- ripeté, dato che il primo approccio non aveva provocato nessuna reazione.
-“Ehi”.- ribattei sarcastica. Altro silenzio. Così mi decisi a domandare: –Posso fare qualcosa per te?
-Be’, in realtà…- ma qui si bloccò anche lui.
Alzai gli occhi al cielo e nel frattempo mi piegai per recuperare il caffè. –Allora io andrei.
-Aspetta.
Mi fermai per lanciargli un’occhiata perplessa. Sembrava un cucciolo perso nella neve. Così, capendo che se avessi dovuto aspettare lui (aveva già dato prova di abbastanza faccia tosta venendo a parlarmi) non ne saremmo mai saltati fuori, decisi di dargli una mano. –Hai un’aria familiare, in effetti. Ci siamo già visti da qualche parte?
-In realtà sì.- si mordicchiò un labbro. –Sei anche venuta a casa mia.
-Ero ubriaca?
-Non penso… anche se dato con chi eri sarebbe potuto essere benissimo.
-Strano che non mi ricordi. Quindi? Com’è che sono venuta a casa tua?
Un altro lungo silenzio. Qualcuno, dentro alla sala studio, tossì. Pregai con tutta me stessa che il ragazzo di fronte a me non pronunciasse la risposta giusta alla mia domanda, quella che entrambi conoscevamo benissimo e che fingevamo di non ricordare. –Ti ci ha portata Damian.- disse, dopo ancora qualche istante di esitazione.
-Ah.- resistetti per poco all’impulso di bestemmiare. 
-Non sapevate dove incontrarvi per fare quella ricerca di storia. E così, dato che viene spesso da me e non è raro che porti gente, una volta mi sono ritrovato in giro te.
-Ora torna tutta… Scusa, non sono molto brava a ricordarmi la gente, soprattutto se l’ho vista solo una volta. Pensavo semplicemente che fossi un tipo che incrocio ogni giorno in biblioteca.
-Nemmeno io sono bravo a ricordarmi la gente.
-Però di me ti sei ricordato.
-Be’, perché lui parla spesso di te.- Quella parola, la presenza che essa aveva evocato precipitarono tra di noi come petali da un albero di ciliegio appena colpito da una folata di vento… e ci caddero addosso con lo stesso peso di grandine gelata e violenta. Si accorse di aver appena detto qualcosa di molto sconveniente, data la situazione catastrofica che sussisteva attualmente tra me e “lui”; io mi limitai a guardarlo freddamente. –E poi, ci vediamo tutti i giorni in biblioteca.
-Già.- fu il mio unico commento. Quindi, con un gesto secco, gettai il bicchierino di caffè vuoto nel cestino e mossi qualche passo per tornare in sala. –Hai fatto bene a dirmi che ci conoscevamo, da sola non mi sarei mai ricordata. Ora, però, se non ti dispiace…
-Mi dispiace, in realtà.- Il tipo (di cui ancora non mi era riuscito di ricordare il nome) si frappose tra me e la porta.
-Oh, ci mancava solo il paladino della giustizia.- commentai, alzando gli occhi al cielo.
-Non voglio fare il paladino. Però lui…
-Lui, lui, lui. Sono stufa di parlare, di sentirmi dire o di pensare a lui. Damin è già abbastanza bravo a pensare esclusivamente a sé stesso da solo. Quindi non vedo perché dovrei perdere altro del mio prezioso tempo dietro ad uno come lui.
-Non è cattivo.
-No, non dico questo. Ma è un egoista, e questo forse è anche peggio.
-Non è così…
-Immagino che tu, essendo uno dei suoi migliori amici, sarai esattamente come lui. Se non peggio.
Un silenzio gelido calò su di noi. Rimanemmo a fronteggiarci così, immobili, senza dire nulla e senza che nessuno dei due accennasse al minimo gesto, di rabbia o scusa.
-Senti.- dissi quindi, un poco spazientita e con l’immagine del libro di latino che mi occupava la mente, ingrandendosi progressivamente man mano che mi ricordavo di tutto quello che dovevo ancora studiare. –Io non ho nulla contro di te, e non voglio sembrarti maleducata. Se mi dici “ehi” e poi vieni a parlarmi di quello che hai mangiato oggi a colazione, benissimo. Ti troverò noioso e cercherò di liberarmi in tutti i modi di te, ma lo farò rimanendo sempre carina e simpatica. Ma se mi dici “ehi” e poi mi tiri fuori quel pezzo di merda di Damian…- scossi la testa. -…lo capisci anche tu che è molto difficile che io rimanga carina e simpatica, no?
Lui… come diamine era che si chiamava? Ancora non riuscivo a ricordare… Be’, fatto sta che lui mi lanciò un lungo sguardo, rimanendo in silenzio. –Sei ingiusta con lui.
-Immagino.- replicai ironica, aspettandomi una risposta simile. –Probabilmente, dalla versione dei fatti fornita da Damian, sembrerà davvero che io sia una stronza. Ed è anche giusto così, perché è uno dei tuoi migliori amici. Ma non permetto a chi non ha sentito anche la mia versione dei fatti di giudicarmi.
Questo lo lasciò interdetto. Probabilmente avevo colpito nel segno. O meglio anche lui, di fronte all’evidenza schiacciante, non aveva il coraggio di ribattere (cosa in cui invece Damian era un maestro).
-Ora vado davvero. Latino non si prepara da solo.
Quindi, voltandomi, me ne andai. Nel mentre scossi ripetutamente la testa, stupita del fatto che, anche se avrei dovuto sentirmi irritata, non era affatto così; anzi, un po’ mi rallegrava che finalmente, dopo tanti giorni di osservazioni silenziosa, fosse venuto a parlarmi; anche se questo significava la perdita di quel rapporto fatto solo di sguardi a cui ormai mi ero abituata.
 
E il giorno dopo, con mia enorme sorpresa, me lo ritrovai di nuovo davanti. Questa volta non aveva aspettato che mi allontanassi per andare alla macchinetta, ma era venuto direttamente al tavolo a cui ero seduta. Gli lanciai uno sguardo piuttosto irritato. D’improvviso tutti i sentimenti che mi avevano animato il giorno prima erano scomparsi.
-Ma sei ancora qui?
-A quanto pare sì.- ribatté, appoggiandosi mollemente sul mio quaderno di fisica, che mi affrettai a spostare.
-Mi premuro di informarti che la mia posizione non è cambiata rispetto a ieri.
-Immaginavo.- Il suo sorriso luminoso non accennava a volersi spegnere. –Stamattina a colazione ho mangiato yogurt, pane tostato e marmellata.
-Come, scusa?
-L’hai detto tu, no? Se ti parlo di cosa ho mangiato, non mi sbrani. Era una promessa. E tu mi sembri una donna che mantiene quello che dice.
-Ah.- Cavoli, quel tipo mi aveva davvero messo sotto scacco.
-E tu cos’hai mangiato di buono?
-Una mela e un caffè. Molto caffè.
-Adesso si spiega perché sei così nevrotica.
-Invece tu non mangi nulla che spieghi la tua sfacciataggine.
-Colpito e affondato.- Il ragazzo di fronte a me, appoggiando le mani aperte sul libro (dopo che gli avevo sottratto il quaderno) mi sorrise. Il sorriso tipico da playboy, di chi è sicuro di piacere e vuole trasmettere a chi gli sta di fronte questo sentimento di fiducia. Molto irritante davvero. E tutto il contrario di Damian. Alto, magro senza sembrare uno stecchino, dai folti capelli castani e un sorriso bianchissimo. Quel ragazzo sembrava appena uscito da uno spot pubblicitario.
Con un gesto brusco gli tolsi il libro da sotto e presi a sottolinearlo ostinatamente a caso, per sottolineare la mia intenzione a non ascoltare una parola di più di quello che sarebbe uscito dalle sue labbra. –Non l’avrei mai detto, e detesto farlo… ma sei pure intelligente, tu per… per essere un maschio.
-Ammettilo. Stavi per dire “per essere un amico di Damian”.
-Be’, di sicuro ti dimostri suo degno compagno di stupidità, se continui a tirarmi fuori quel pezzo di merda sapendo benissimo quello che ti ho promesso ieri se l’avessi fatto.- Cominciai a sfogliare nervosamente il libro. Quel tipo (di cui continuavo, maledizione, a non ricordarmi il nome) mi rendeva nervosa. Forse perché, inconsciamente, si era fatta strada in me l’idea che prima di venire lì, o subito dopo essere uscito dalla biblioteca, avrebbe visto Damian; e l’immagine di un possibile incontro con lui che vedevo riflessa nel ragazzo di fronte a me mi spaventava.
-Pensi davvero che sia una strategia vincente quella di ringhiare e minacciare di morte chiunque ti parli di Damian? Prima o poi dovrai affrontare l’argomento.
-Di solito i miei amici hanno il buon gusto di non menzionarlo nemmeno in mia presenza e spero continuino così ancora a lungo.
-Sì, ma la città è piena di amici di Damian.
-Sì, ma finora tu sei stato l’unico abbastanza sfacciato (o stupido) che ha avuto il coraggio di venirmi a parlare.
Il tipo questa volta non trovò nulla da rispondere. Anche se avrei dovuto essere soddisfatta della mia vittoria e non lo ero, finsi comunque un’aria compiaciuta, riabbassando gli occhi sul libro.
-Com’è andato latino?- domandò all’improvviso lui, che ancora non dava il minimo cenno a volersi levare di torno.
-Scusa?
-Stavi preparando latino ieri, giusto?
-Ah, sì…
-Com’è andata?
-Abbastanza bene, grazie.
-Ottimo.- Questa volta, dopo il sorriso da playboy, il tipo si alzò dal tavolo, stiracchiandosi. –Adesso mi tolgo davvero dai coglioni.
-No, carino, adesso tu resti e mi spieghi che diamine era sta mossa.- borbottai, alzandomi a mia volta in piedi. Probabilmente parlai a voce troppo alta, perché metà della sala si voltò nella nostra direzione a fissarci.
-Che mossa?
-Mah, qualcosa del tipo: “chiedermi della mia vita dopo aver appena cercato di vendermi nuovamente al tuo carissimo amico” ti va bene come risposta?
-Io non sto cercando di venderti a nessuno, ragazzina. Voglio guadagnare la tua stima, fino a che non ti fiderai abbastanza di me da raccontarmi la tua versione.
-Cosa?
-Voglio sentirla. Hai ragione, io so solo quello che mi ha detto Damian, ma chi mi dice che non ci sia altro? O che lui mi abbia riferito solo quello che gli faceva comodo?
-Va bene, frena un attimo…- Alzando le mani per fargli cenno di rallentare perché non lo seguivo più, mi avvicinai di un passo a lui. –E perché dovrebbe interessarti?
-Questo è un segreto, ragazzina.- E detto questo mi passò una mano tra i capelli, così rapidamente che quando realizzai quello che aveva appena fatto, lui si era già allontanato di due passi. –Ora vado davvero, perché temo che se ti rimarrò davanti ancora per un secondo mi ucciderai sul serio. Ma sarò qua anche domani, sappilo…
-Aspetta!
Ancora una volta, avevo parlato troppo forte e tutta l’attenzione della sala era tornata a concentrarsi su di noi. Ah, andassero al diavolo! –Com’è che ti chiami?
-Stai scherzando? Davvero non te lo ricordi?
Alzai gli occhi al cielo e incrociai le braccia sul petto. Mamma avrebbe detto che era un gesto che proclamava la mia insicurezza in ogni declinazione possibile e immaginabile. -No, non sto scherzando.
-Pazzesco…
-Allora, me lo dici sì o no? Sai, non fraintendermi, non ti voglio aiutare nel tuo piano malato di guadagnare la mia fiducia… ma se davvero vuoi avere la minima chance, il sapere il tuo nome, sarebbe un buon inizio, non credi?
Per un attimo e, detesto ammetterlo, solo per quell’attimo le mie parole sembrarono averlo destabilizzato. Poi scoppiò in una sonora risata che, se possibile, ci attirò ulteriori maledizioni ed insulti in ogni lingua del pianeta. Che ragazzo problematico. –Zane.- disse quindi, ancora col sorriso sulle labbra. –Zane Flanders, ragazzina. Vedi di non dimenticartelo.
-Oh, qualcosa mi dice che mi renderai impossibile farlo…- mormorai, così piano che Zane non avrebbe udito nemmeno se si fosse trovato a un centimetro da me. –E difficilmente il mio istinto si sbaglia.
Rimasi ancora qualche istante in piedi, pensierosa. Certo che quella storia aveva preso davvero una strana piega. Non solo mi ritrovavo con un ex che dire stronzo era fargli un bellissimo complimento; ora pure il suo migliore amico (che a detta di Damian stesso era un bel fenomeno in quanto a comportarsi da figlio di puttana) aveva preso a ronzarmi attorno e le sue intenzioni, ovvero di saggiare il campo per il suo degno compare, erano più che chiare. E in tutto questo, dovevo pure preparare l’interrogazione di fisica. E io non ci capisco nulla, di fisica. Mi passai una mano sul viso.
Oh sì, quello si preannunciava proprio un bruttissimo ultimo mese di scuola.

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Capitolo 2
*** 2. La marcia di Damian, ovvero la foca grassa, grossa, sbilenca e stronza ***


2. La marcia di Damian, ovvero la foca grassa, grossa, sbilenca e stronza
 
Damian camminava leggermente davanti a me, col suo passo sbilenco che un poco ricordava il procedere di una foca. Azz. Non avevo mai pensato una cosa del genere di lui. Solo quando Alice aveva usato quel paragone il pomeriggio precedente mi era capitato di fare caso che sì, cazzo, la ragazzina aveva proprio ragione. Era passata poco meno di una settimana da che avevo cominciato il mio piano di assedio di Alice. All’inizio, mi fermavo da lei durante le pause o quando mi capitava di passarle di fianco mentre uscivo per fumare; gli ultimi due giorni ero andata a cercarla appositamente più volte per vedere come se la cavava con storia, mi divertiva darle fastidio mentre era concentrata sullo studio. Stavo lì a guardarla, a rubarle le matite come azione disturbante, a elencarle cosa avevo mangiato a colazione e a citare tutte le volte che potevo Damian. Non ne era contenta, e si capiva bene, però non aveva ancora chiamato la sicurezza né mi aveva denunciato per molestie. Una così sarebbe stata capacissima di farlo. E poi mi sembrava che la mia strategia iniziasse a dare i suoi frutti. Insomma, prima quando le parlavo di Damian, dire che si metteva a ringhiare era essere positivi. Ora riusciva pure a farci dell’ironia sopra (e con questo, intendo che lo aveva paragonato a tutti gli animali più ridicoli e imbranati che esistessero sulla Terra e detestavo ammetterlo, ma erano similitudini assolutamente azzeccate).
-Be’, quindi?- domandò Damian, lanciandomi uno dei suoi soliti sguardi sghembi.
-Quindi cosa?- mi riscossi, accorgendomi che il mio migliore amico mi stava parlando e non avevo ascoltato una parola di quello che aveva detto.
-Vecchio, ma ci sei? Hai beccato figa l’altra sera sì o no?
-Ah sì… ho fatto bere una e alla fine ci è stata.
-Grande! Anch’io voglio provarci una di queste sere! Mi manca fare queste cose!
-E Alice?- chiesi a bruciapelo per la sorpresa, mordendomi subito dopo la lingua per l’imprudenza.
-Alice? Cosa c’entra lei, adesso?- replicò infatti sospettoso Damian, fermandosi davanti al pakistano da cui solitamente compravamo la birra prima del calcetto.
-Be’…- mi bloccai a mia volta. Damian si era voltato per fronteggiarmi. –Insomma, credevo di aver capito che volessi parlarle e tornare con lei…- “O almeno provarci, nel caso in cui non ti uccida se fai tanto di avvicinarti a lei.”
-Sì, e con questo?
-Andare con altre quando vuoi rimetterti con la tua ex non è un’idea proprio geniale.
-Ma mica ci sto insieme adesso. E poi non lo verrà mai a sapere e intanto io mi passo un po’ il tempo.
Senza che potessi evitarlo, le parole di Alice mi tornarono alla mente: “è un egoista, e forse questo è anche peggio”. Be’, lei era stata persino gentile. Io l’avrei definito un gran pezzo di stronzo. Una grossa, grassa e sbilenca foca stronza. Ammetto che a volte anch’io, nei confronti delle mie ex, mi ero comportato di merda… molto peggio di Damian, a essere sinceri. Quindi forse non avevo il diritto di giudicarlo. Ma dalla prima volta che avevo parlato a quella ragazza, davanti ad una macchinetta scassata mentre sorseggiava un caffè schifoso e mi mandava a quel paese, ero arrivato alla convinzione che mai e poi mai avrei potuto tenere un atteggiamento simile verso di lei. Non lo so, era troppo intelligente, brillante e al contempo sensibile… persino il peggiore dei criminali ci avrebbe pensato due volte, prima di farle del male. A volte, quando era sicura che io non fossi nei paraggi, l’avevo colta a fissare nel vuoto, gli occhi lucidi e le labbra che tremavano leggermente, pallida. Poi, dopo lunghi istanti di immobilità, scuoteva la testa, si passava le mani sul viso e si rimetteva al lavoro. Anche se faceva tanto la dura, ci stava ancora malissimo. In momenti come quello, sentivo che avrei potuto prendere a sberle Damian.
Mi controllai a stento dal prenderlo davvero a botte. -Già… e quanto pensi ancora di rimandare il discorso con lei?
-Mah, adesso non ho davvero voglia di pensarci, né tempo. Prima o poi.
-Non è detto che quando te ne verrà la voglia lei sarà ancora lì ad aspettarti.
-Ma dove vuoi che vada? È cotta di me, mi aspetterà per tutto il tempo di cui ho bisogno. Che birra vuoi? Offro io.
-Se ne sei sicuro tu…
-Ma si può sapere cos’hai, oggi? Perché non fai che parlare di lei?- Damian, quasi già dentro al negozio, mi lanciò un altro sguardo sospettoso.
-Volevo solo aiutarti, amico…
-Chi te l’ha chiesto?
-Perché l’ho vista in biblioteca, l’altro giorno.- mi decisi infine a dire. Ovviamente, non avevo rivelato a Damian della mia strategia perché altrimenti (e forse non del tutto a torto) mi avrebbe caldamente invitato a farmi gli affari miei.
-Ah…
-Sembrava stare bene. Che fosse felice.- mentii ancora. Perché lo stavo facendo? Per Damian? Mi accorsi che se stavo agendo in quel modo era solo perché avrei voluto non vedere più Alice con uno sguardo sofferente fisso nel vuoto. Ma forse fare sì che Damian tornasse da lei in tempo per salvare la relazione non era la cosa migliore per lei. No, se avessi voluto davvero aiutarla avrei fatto in modo che lui non le si potesse più avvicinare, che lei non avesse la minima possibilità di ricascarci…
Quello che avevo appena detto sembrò colpire Damian. –Come immaginavo. Scommetto che devo ringraziare Tommy, per questo.
Tommy? Il compagno di classe suo e di Alice? Che c’entrava adesso, lui? Aprii la bocca per domandare, ma Damian, col volto rabbuiato, era già entrato nel negozio, lasciandomi solo. Io solitamente non ho una buona memoria, anche perché difficilmente capitano eventi abbastanza eclatanti che mi colpiscano al punto da rimanermi impressi. E un episodio così insignificante come quello di sicuro non aveva nulla di speciale, di per sé. Eppure, davanti a quel negozio con la borsa da calcetto ai piedi, solo, mi tornò in mente quel pomeriggio che Damian aveva portato Alice a casa mia.
 
Eravamo in ritardo per il calcetto. Damian e Alice ci avevano messo più del previsto a finire qualsiasi cosa stessero combinando e quindi eravamo usciti tardi. La stavamo accompagnando alla bici e poi avremmo aspettato che Ben ci passasse a prendere con la macchina; anche se forse questo ci avrebbe fatto rimanere a piedi, Damian aveva insistito per passare a prendere da bere. Era entrato, lasciandomi da solo con lei.
Era davvero bella. Non perfetta, non una modella, ma c’era qualcosa in lei che ti attraeva inesorabilmente. Piccola e minuta, con gambe né troppo grasse né eccessivamente magre, il culo più bello che avessi mai visto (quella parte di lei sì che era perfetta), e mani dalla forma affusolata. Era la prima volta che facevo caso alle mani di una donna, ma sulle sue mi era subito caduto l’occhio. E poi aveva un bel visetto da angelo, circondato da una massa di capelli ricci e biondissimi. Penso che ciò che più mi colpì di lei furono gli occhi: grandi e dall’espressione intelligente.
Rimanemmo qualche istante in un silenzio imbarazzato. Poi, tanto per rompere il ghiaccio, commentai: -Damian continua a sostenere che ci siamo già incontrati ad un diciottesimo, ad ottobre.
-Sì, lo dice anche a me. Quello di Eva Hoffman. Giusto?
-Esatto.
-Be’, io c’ero quindi se anche tu eri tra gli invitati è probabile che ci siamo incrociati.
Risi. –Allora ci siamo visti. Ma devi scusarmi, ho una cattiva memoria. Non mi ricordo di te.
Ridacchiò a sua volta. Ricordo che pensai che se a Damian riusciva di conquistare una del genere, allora o era dannatamente bravo o i miracoli esistevano davvero. –Nemmeno io mi ricordo di te, quindi siamo pari.
-Be’, potresti almeno fingere di sforzarti.
-Non servirebbe.
-Io almeno ho la scusante che quella è stata una serata impegnativa. Avevo bevuto parecchio.
-Guarda che anche la mia non è stata semplice. La mia amica…
In quel momento Damian uscì dal negozio con le nostre birre. Mi porse la mia ed io la aprii. Quindi tornai a guardare Alice. –Dicevi, scusa?
Lei mi fissò per qualche istante, perplessa. Poi scoppiò a ridere, scuotendo la testa. Era davvero bellissima, quando sorrideva. Damian doveva mettercela tutta per non farsela scappare. –Ah, non mi ricordo assolutamente. Te l’ho detto che ho una cattiva memoria, no?
Scoppiai a ridere a mia volta. –Cavolo, Damian, questa ragazza è da sposare!
Solo allora mi accorsi del malumore con cui il mio migliore amico aveva osservato la scena e aveva accolto la mia affermazione e, per evitare problemi, mi affrettai a ricordare a tutti che eravamo in ritardo ed era meglio muoversi.
 
Mi riscossi con un sussulto solamente quando Damian, con aria irritata, mi ficcò la bottiglia di birra aperta in mano. –Vecchio, ma ci sei o ci fai, stasera?! Sembri completamente fuori…
-Ah, scusa…
-Quindi?
-Quindi cosa?
-Sveglia! Sei fatto, per caso? È la quarta volta che ti chiedo se ti interessa conoscere mia cugina. È una bella ragazza e le piaci…
Rimasi per qualche istante allibito a fissare Damian che, dopo quelle parole, recuperava il borsone da calcetto e si avviava con il suo passo da foca. Così, come se nulla fosse. Come se non gli avessi appena parlato di Alice, della ex ragazza a cui diceva di tenere tanto e di cui aveva tutto l’intenzione di prendersi gioco. Non mi mossi di un passo. Notando che non lo seguivo, né rispondevo alla sua domanda, Damian si voltò. –Zane? Si può sapere che c’è?
-Scusa, Damian, stasera pacco il calcetto.- gli comunicai lentamente. In due passi lo raggiunsi, gli ficcai la bottiglia ancora piena in mano e quindi mi misi a correre nella direzione opposta a quella dove stava andando lui.
-Ehi! Ma che…? Zane, si può sapere che cazzo fai?!
-Non posso proprio! C’è una cosa davvero importante che devo fare! Scusati tu con gli altri, saprò farmi perdonare, promesso!
Accompagnato dagli insulti di Damian mi precipitai lungo la via in direzione della biblioteca. Speravo che lei fosse ancora lì. Era tardi, le sette passate, così corsi come un forsennato. Da casa mia, vicino dove avevamo comprato le birre, non ci volevano nemmeno cinque minuti ad arrivare. Il vantaggio di vivere in centro e di avere tutto ciò che mi serviva (biblioteca, ristoranti, alcool e discoteche) sotto casa.
La sala da studio era praticamente deserta. Per un attimo ebbi paura che se ne fosse già andata… quando individuai il cespuglio di capelli biondi che oscillava al ritmo della musica che stava ascoltando. Mi accostai quasi timidamente a lei. Non si accorse della mia presenza, tanto era presa dal libro davanti a sé. Le posai una mano sulla spalla. –Ragazzina…- sussurrai quindi.
Sobbalzando, si affrettò a togliersi le cuffie. –Tu? Che diamine ci fai qui? Non te n’eri andato?
-Sì, ma sono tornato.
-Ah, che voglia di stare qua dentro….
-Nessuna, e infatti adesso usciremo, sia tu che io.- E così dicendo presi ad afferrare i colori che aveva sparso su tutto il tavolo e a ficcarli nell’astuccio.
-Ehi! Che cavolo fai, cretino?!- scattò subito lei, alzandosi in piedi e chiudendo l’astuccio con una mano.
-Ho bisogno di parlare con te.
-Adesso?! Non parliamo già abbastanza della tua colazione ogni giorno?!
-Sì, adesso.
-Mi farai impazzire, tu! Non ti capisco, non ti capisco proprio, lasciamelo dire!
-Potrai fare quello che vuoi, ma solo dopo avermi dato la tua “versione”!
A queste parole Alice, che cercava di bloccarmi dall’infilare la sua roba nello zaino, si bloccò. –Cosa?
-So che forse non sei pronta, ma io ho bisogno di sentirla. Adesso. Per favore.
Alice rimase a fissarmi per qualche istante in silenzio, a bocca spalancata, con il quaderno (di fisica, se ben ricordavo) alzato a mezz’aria. Le ci volle ancora un attimo prima di riuscire a darsi un contengo, e anche allora continuò a non parlare. –Ehi, ti va qualcosa da bere?- domandò infine, abbassando lentamente il bloc-notes, e senza smettere di fissarmi intensamente.
-Se mi permetti di offrire, sì.
Questa volta mi riuscì di farla ridere. La vista del suo sorriso mi rasserenò almeno in parte. Era persino più bello di quel che ricordassi. –Paghi pure per sentire cose che probabilmente non ti farà piacere sentire. Sei proprio matto.
-Non importa. Voglio sentirle.
-Molto bene, allora. Se smetti di provare a violentare il mio astuccio e lasci fare a me, accetto la proposta.
Annuii. E quando si mosse verso l’uscita, seguii quella ragazza per cui, almeno in quel momento, sentivo un sentimento di solidarietà più forte di qualsiasi legame mi avesse mai unito al mio migliore amico.
 

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Capitolo 3
*** 3. C'era una volta una coppia di cretini ***


3. C’era una volta una coppia di cretini
 
La birra al limone di Zane scintillava colpita dai raggi di sole delle sette di sera. Sedevamo in mezzo al parco pubblico attaccato alla biblioteca, sull’erba, e fissavamo entrambi pensierosi la vecchia che dava da mangiare ai piccioni.
-Quindi?- domandò Zane giocherellando con la sua bottiglia di birra.
-Dovresti dirmelo tu. Cosa vuoi sapere esattamente?
-Mah… Innanzitutto, scusa se mi permetto, ma questa storia è stata strana sin da subito. Insomma, una come te che si mette con un… un…
-Sì, ammetto di avere un gusto per l’orrido tutto particolare.
Zane ridacchiò. –Non l’avrei messa giù in modo così brutale, ma ammetto che rende l’idea.
-Be’, c’è poco da dire. C’era una volta una coppia di cretini. Lui era un fallito, io no. Siamo stati un anno nella stessa classe senza che ci calcolassimo minimamente, a parte i suoi commenti davvero inopportuni sul mio sedere.
-Alice, qui gli devo dare ragione, perché hai davvero un culo da erezione.
-Grazie per aver contribuito anche tu alla discussione a riguardo. Comunque sia, abbiamo iniziato ad avere un po’ più di contatti solo al quarto anno e poi in questo… be’, sai quello che è successo.
-Ha iniziato a provarci con te, ti ha conquistata…
-… mi ha intortata….
-… e ti ha invitata fuori a cena per San Valentino.
-Maledico quel giorno ogni secondo che passa di più.- Sospirai e, dopo aver bevuto l’ultimo sorso di tè freddo, mi sdraiai al fianco di Zane. C’era ancora troppa luce perché potessi tenere gli occhi aperti guardando il cielo, quindi socchiusi lievemente le palpebre. E i ricordi di quella sera mi assalirono con forza tale da mozzarmi il respiro. Pioveva. Ero irritata, perché trovare da parcheggiare era stato quasi impossibile e la mia acconciatura, con quell’umidità, sarebbe andata a farsi benedire di lì a poco, lo sapevo. Mi rividi che arrancavo con passo veloce per raggiungere il luogo dove ci saremmo incontrati. L’avevo individuato subito, in piedi accanto ai piloni della chiesa, con la mano destra in tasca e una sigaretta nell’altra. Mi ero avvicinata ulteriormente e lui si era accorto di me. Si era voltato e aveva sorriso. “Sei in ritardo.” Aveva commentato, dal momento che ero io quella in orario di solito e odiavo chi come lui non arrivava mai puntuale. “Ma sei bellissima e quindi ti perdono.”
Zane si era accorto che qualcosa in me non andava. –Alice?
-Maledico quel giorno ogni istante, ma contemporaneamente non posso fare a meno di pensarlo come uno dei momenti migliori della mia vita. Probabilmente anche allora era tutta una messa in scena. Chiariamoci, non sto incolpando Damian di questo. Sono io che mi sono illusa da sola e ho voluto nascondere la verità. E sì, ammetto che finchè è durata, ci sono riuscita piuttosto bene.
-Non so se questo ti potrà far stare meglio, ma nei due mesi in cui vi siete frequentati non faceva altro che parlare di te.
-Mi consola poco, ma grazie. Non è mai stato facile, anche in quei due mesi. Mi faceva arrabbiare spesso, quello lì, e anche io a volte gli facevo scenate per delle cavolate. Tirava fuori il peggio di me, è brutto da dire. Tutte le mie paure e le mie insicurezze lui le richiamava a galla come un incantatore fa uscire dalla cesta un serpente. Anche i miei non hanno mai visto di buon occhio questa relazione e non so se lui ti ha mai raccontato il primo incontro con mio padre, ma è stato davvero un disastro. Insomma, avevamo tutti contro e quasi nessuno ci vedeva insieme come coppia. No, non è mai stato facile, però credevo ne valesse la pena.
Zane rimase in silenzio. Sembrava colpito da tutto quello che gli avevo appena rivelato. Io ne ero stupita per prima, a dire la verità. Non avrei voluto dirgli tanto, dare voce a sentimenti che mi avevano fatto soffrire così a lungo. Però l’avevo fatto e non sapevo nemmeno il perché. Appoggiando la birra mezza piena al suo fianco, si stese accanto a me. –Continua.
-Andava tutto bene. Fino al Primo dei Grandi Disastri.
-Oh, cielo. Non fare la melodrammatica.
-E tu non mettere bocca nei nomi che do alle ere della mia storia.
-Va bene, va bene, Alice passione storiografa. Se ricordo bene il “Primo dei Grandi Disastri” è stato quello di aprile, giusto?
-Giusto, esattamente il giorno dopo che ci eravamo messi insieme.
-Azz, vero.
-Insomma, è stato tutto per una cavolata. Si è presentato in ritardo a casa mia perché la sera prima era stato in giro fino alle cinque di notte lui solo sa dove.
-In realtà credo di saperlo anch’io, ma non credo sia il caso di…
-No, infatti, lo schifo già abbastanza. Comunque sia, voleva pure andarsene prima perché doveva comprare i biglietti alla stazione, partiva il giorno dopo per andare giù dai suoi parenti. Minchia, era stato in giro tutto il giorno prima e si era ridotto così all’ultimo?! Ero così incazzata che non gli parlavo nemmeno, perché sapevo di non avere il controllo di me e che rischiavo di dire qualcosa di troppo. Be’, sai che ha fatto lui? Ha mangiato il pranzo che avevo preparato e poi ha commentato: “se deve essere così tutto il giorno, me ne vado”. E l’ha fatto. Ero così esterrefatta che non sono riuscita a fermarlo. Poi ho provato a scrivergli prima che partisse in bici, chiedendogli di tornare. Sono sicura che abbia visto il messaggio e l’abbia ignorato, fin quando non è arrivato a casa e ha potuto scrivermi: troppo tardi, non avevo voglia di litigare, sarà per la prossima volta.
-Mmmm, sì, be’, lui aveva omesso un bel po’ di particolari.
-Ah, ti avrà detto che è stata tutta colpa mia.
-Più o meno.
-Un classico. Nei giorni dopo ho provato a scrivergli, chiedendogli per quanto a lungo intendeva continuare a comportarsi da bambino. E sai qual è stata la riposta? Che non aveva voglia di parlarne e avremmo affrontato l’argomento a scuola.
-Non è uno che ama stare molto attaccato al cellulare…
-Mi pendi per il culo, Zane? Praticamente viveva in simbiosi con quel cazzo di aggeggio.
-Ok, è vero.
-E vuoi sapere il colmo? Tornati a scuola mi ha bellamente ignorato. E quando l’ho affrontato per cercare di capire che cavolo stesse succedendo, è scappato.
-Scappato?
-Sì. Si è messo a correre e io dietro.
Zane non riuscì a trattenere una risata. E non potevo biasimarlo. –Scusa, non sono riuscito a non ridere.
-Capisco benissimo, in realtà. Hai presente una palla che rotola alla velocità della luce per una discesa? Ecco, quello era lui tutte le volte che mi avvicinavo. L’unica cosa che gli ho chiesto è stata se voleva continuare la relazione. Glielo ripetevo in continuazione. E sai cosa mi sono sentita rispondere? Che non lo sapeva, e che dovevo stare calma, e che non voleva scenate.- Mi accorsi che la voce mi tremava, ma non riuscivo a smettere di parlare. –Non voleva scenate. Capisci cosa mi sono sentita dire?
Zane rimase in silenzio.
-E dire che solo pochi giorni prima andava tutto alla perfezione. Sentivo che stavo facendo la cosa giusta, anche se avevo il mondo intero contro. Che ne valeva la pena. Dio, sono stata così stupida. Mi vergogno da morire.
–Mi dispiace. So che non è di molta consolazione…
-Non fa niente. Ormai me ne sono fatta una ragione.
-Certo.- rispose Zane. Sapevamo entrambi che stavo mentendo spudoratamente.
-Eppure non riuscivo a rassegnarmi. Sai, sono una di quelle persone che quando pensano ci sia una valida ragione lottano fino alla fine.
-Accidenti…- Zane sembrava sinceramente dispiaciuto.
-Il problema è che il più delle volte lotto per le cose sbagliate. E poi, che cazzo! Immagina in che confusione mi trovassi. Non riuscivo a capire assolutamente perché se la fosse presa a quel punto… Nessuno lo capiva.
Evitai di dirlo per delicatezza, ma nessuno riusciva a spiegarsi il suo comportamento. L’occasione di avere una come me non gli sarebbe più capitata nemmeno in dieci vite, ad uno come lui. E non stavo affatto peccando di vanità; il mio ex era un fallito, mentre io no. Ero una bella ragazza, simpatica, entusiasta; perché una come me si era abbassata per mettersi con uno come lui? Non riuscivo nemmeno io a spiegarmelo. E questo lo sapeva Damian, lo sapevo io, lo sapeva Zane, lo sapevano tutti.
-Damian sa essere imprevedibile, a volte…- fu il suo unico commento.
-Già.  Be’, alla fine ho deciso di giocare il tutto e per tutto. Non l’avessi mai fatto.
-Fammi indovinare. Il Secondo dei Grandi Disastri.
-Esattamente. Forse il più umiliante.
-Ero ubriaco quando Damian me ne ha accennato o c’entrava un unicorno?
Non riuscii a reprimere un sorriso. –Non eri affatto ubriaco.
-Allora il Secondo dei Grandi Disastri me lo devi spiegare bene, perché sono curioso.
-Insomma, non mi ero rassegnata, come ti dicevo. E non potevo continuare a rimanere nello stato d’incertezza nel quale mi trovavo. Quello sì che sarebbe stato terribile. Così ho pensato ad un piano malvagio per sbloccare quella situazione di merda.
-E l’unicorno cosa diamine c’entra?
-L’unicorno in questione è Salomone, detto Salmy; è un peluche che Tommy (dovresti conoscerlo, è in classe con me e Damian) e Mara mi hanno regalato a Natale. Per fare lo scemo Damian si fingeva affezionato a lui. Quando veniva da me lo prendeva sempre sul letto, lo accarezzava e diceva che erano amanti. Era un vero cretino.- mi tirai a sedere, per far sì che Zane non potesse vedermi in viso. Ripensare a quei momenti mi faceva ancora male, anche se sapevo che Damian non si meritava nemmeno una delle lacrime che versavo per lui.
-E…?
-Scattai una foto in cui Salmy veniva tenuto sotto tiro da una pistola. Quindi preparai un messaggio di riscatto tagliando le lettere dal giornale, qualcosa del tipo: se vuoi rivederlo vivo vieni in questo posto alle tre di pomeriggio. Lavorai tutta la notte. Poi ovviamente scrissi anche due righe serie, dove gli spiegavo che l’unica cosa che volevo era sistemare le cose. Promettevo che non ci sarebbero state scenate. Sai, credevo che avesse paura di un confronto, che non avesse voglia di litigare o che so io. Non mi importava buttare via la mia dignità, in quel momento. Mi bastava solo riavere indietro quello che avevo perso.
Zane si alzò a sua volta. –Alice…
-Tommy mi incoraggiò molto in questa cosa. Mi accompagnò sul posto e mi disse che sarebbe andato tutto bene, che Damian sarebbe venuto. E fu lui che tornò da me per abbracciarmi e consolarmi, quando le ore passavano e Damian non arrivava. Era così esterrefatto… mi disse che forse Damian non era la persona migliore del mondo, ma non si sarebbe mai aspettato che ignorasse una cosa simile per codardia. O per chissà quale motivo. Non rispondeva alle chiamate di Tommy. Continuava a dirmi: non capisco come possa comportarsi così; è solo come una cane; tu sei la prima persona che ha creduto in lui dopo non so quanto tempo; come può non presentarsi nemmeno?
Sospirai e socchiusi gli occhi. Ormai non sarei più scoppiata a piangere, benchè la ferita bruciasse ancora, e parecchio; la fitta al cuore che provavo mi ricordava che anche se potevo ingannare il mondo esterno su quali fossero i miei reali sentimenti, ero ancora innamorata persa di Damian. Ma questo non lo avrei mai ammesso. Mai.
-Casa di Damian era poco distante. Nonostante le proteste di Tommy, mi ci recai e mi fermai ad aspettare sotto casa sua per almeno un’ora e mezza. Piangevo ed ero confusa, ma dovevo sistemare la faccenda. Era l’unica cosa che contava, non mi importava cosa sarebbe successo. Aspettai un’ora e mezza lì sotto. E credo che lui mi vide dalla finestra, ne sono abbastanza sicura, anche se poi ha negato. Mi ha vista, lì che piangevo per strada… e ha chiuso le tende per non vedermi. Solamente alla sette mi sono decisa a tornare a casa.
Con la coda dell’occhio notai che Zane aveva stretto le mani a pugno. –Questo Damian si era “accidentalmente” dimenticato di raccontarlo.
-Non lo biasimo. Nemmeno io avrei raccontato in giro di essere un simile codardo.
-Vai avanti.
-Solamente quando arrivai a casa mi accorsi che mi aveva scritto. Un messaggio, capisci? Non ha nemmeno avuto la decenza di chiamarmi. Si scusava, ma aveva dormito tutto il pomeriggio e aveva aperto la lettera con l’appuntamento solo allora.
-Non ci posso credere…
-Mi ha detto che il problema non ero io. Anzi, che ero perfetta. E che voleva stare con me, davvero. Solo non adesso. Mi disse di avere troppi problemi per il momento in testa, che ovviamente non mi voleva spiegare; chiedeva che lo aspettassi, non sapeva nemmeno lui bene quanto. E ovviamente non ne potevamo parlare faccia a faccia, né al telefono. Gli risposi che dovevo pensarci e parlai della questione all’unica persona che avevo voglia di sentire in quel momento.
-Tommy.
-Sì. Non avevo voglia di sentire nessun altro, perché farlo avrebbe implicato spiegare cosa era accaduto, e quello mi avrebbe uccisa. Tommy si arrabbiò moltissimo.
-Cosa ti disse?
-Che non sapeva che cazzo di problemi potesse avere uno così. Che in questo momento non aveva voglia di nulla di serio e che voleva tenermi lì solamente per avere una “figa a disposizione”, nel caso in cui un giorno avesse avuto voglia e tempo di una relazione seria. La verità, insomma.
-Non so, Alice… è stato davvero uno stronzo, un completo figlio di puttana. Ma ti assicuro, non ho mai visto uomo più felice di lui quando vi siete messi insieme.
Mi voltai di scatto verso di lui. Sapevo che Zane non aveva colpa, e che anzi forse stava cercando di tirarmi su, ma era molto più facile prendersela con lui che ragionare davvero su quello che mi aveva detto. -Sì, be’, sai cosa? Sono stufa della gente che a parole ti regalerebbe il mondo e coi fatti ti spala solo merda addosso. Avrei preferito di gran lunga che dicesse in giro che si mi stava solo usando. Almeno così me ne sarei fatta una ragione, sarebbe stato coerente dall’inizio con sé stesso.
-E quindi che hai fatto?
-Gli ho detto che non poteva aspettarlo. Che mi dispiaceva, ma non potevo. Non ci sarei riuscita. Anche per me questo è un momento un po’ particolare. A casa coi miei è un disastro, la scuola mi uccide e l’ultima cosa di cui hi bisogno è una relazione che mi destabilizzi. E sinceramente non so nemmeno perché ti sto dicendo tutte queste cose.
Zane aggrottò le sopracciglia e prese un altro sorso di birra. Non c’era nulla da fare, era proprio bello. –Senti, posso chiederti in che rapporti sei con questo Tommy?
-Tommy? In che senso?
-Insomma, non voglio accusare nessuno, però mi sembra fin troppo interessato alla faccenda per non averci un qualche interesse…
Mi venne da ridere. –Oh, so cosa stai pensando… e no. Sì, l’anno scorso Tommy mi si è dichiarato ed era innamorato perso. E ci ha riprovato questo gennaio, ma quando ha saputo che stavo per mettermi con Damian si è tirato indietro.
-Lo sapevo! Noi ragazzi non siamo così altruisti!
-Frena, Sherlock Holmes. Dopo la gita ha in programma di dichiararsi in modo spettacolare (sai, con le rose e tutto il resto) ad una ragazza della sua compagnia ed io lo appoggio in pieno. Ne parliamo quasi ogni giorno. Adesso posso davvero affermare in tutta tranquillità che è il mio migliore amico.
-Non ci credo molto…
-Eppure è così. Ed è grazie a lui che ho trovato la motivazione per mandare definitivamente a fanculo il tuo caro amico  Damian. È grazie a lui se ho aperto gli occhi.
Zane alzò un sopracciglio. –Fammi indovinare. Il Terzo Grande Disastro.
-Inizio a diventare prevedibile?
-Non tu, ma lui. Quando inizia così non può che peggiorare.
-Ed infatti è quello che è successo. E sai, credo che tu fossi pure presente, nella scena più drammatica. Ma andiamo con ordine.
Zane sospirò. –Sapevo che dovevo darti retta e prendere il pacco di birra da quattro.
-Possiamo fermarci, se vuoi. Tipo un fine primo tempo.
-Non se ne parla nemmeno. Adesso devo sapere. Tanto non ho nulla da fare. Tu?
-No. Cioè, forse dovrei andare a cena. Ma chissene importa. Non ho per nulla voglia di tornare a casa ed è meglio togliersi il dente.
-Bene, allora. Sono tutto orecchie. Sentiamo l’ultima grande stronzata di Damian. 

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Capitolo 4
*** 4. Se ci sei cascato, questa volta sei nei guai, caro Zane ***


4. Se ci sei cascato, questa volta sei nei guai, caro Zane
 
Alice si prese per qualche istante per rirendere fiato. Non la conoscevo bene, ma era lampante quanto fosse difficile per lei parlare del Terzo Grande Disastro. –Scherzavo, prima. Se non te la senti di parlarne…
-No, no.- si affrettò a dire lei, scuotendo la testa.
-Senti, posso farti una domanda?
-Ormai puoi chiedermi quello che vuoi.
-Sei ancora innamorata?
-Cosa?
-Di Damian. 
-Giri il coltello nella piaga?
-No, però è un dettaglio importante.
Alice si voltò verso di me. Sedeva a gambe incrociate sull’erba. La luce del sole morente la colpiva di striscio; riflessi rossastri illuminarono i suoi capelli donandole un aspetto vagamente nordico. Raramente facevo caso all’acconciatura delle ragazze, le cose che mi interessavano erano altre… sempre fisiche, ovviamente. Lei aveva anche quelle, però sempre più spesso mi ritrovavo a pensare che, anche se ne fosse stata sfornita, sarebbe comunque stata una ragazza stupenda. Quando stavamo andando al parco affianco alla biblioteca, per buona parte della strada Alice aveva camminato davanti a me e ovviamente non era stato casuale (vecchia tecnica per godere di una bella visuale del culo femminile; e scusa tanto, Damian). Però, il mio sguardo era stato attirato dalla sua folta chioma riccia e ondeggiante al vento, più che dal resto.
-No.- mi rispose quindi lentamente. –Dopo quello che ho saputo due sabati fa, non posso più esserlo.
Annuii. Sapevamo entrambi che stava mentendo.
-Sabato scorso eravamo insieme io e Damian. In discoteca. È successo qualcosa lì?
-Più o meno. Già quella mattina a scuola è andato in giro a fare commenti su una tipa che non aveva mai visto, su quanto fosse bella e volesse farsela. Davanti a Tommy. Sapeva benissimo che sarebbe venuto a dirmelo. E dopo appena quattro giorni che mi aveva fatto quella tirata sui suoi problemi e sul fatto che voleva stare con me.
-Oh.
-E non è finita. Quella sera sono andata in discoteca con una delle mie migliori amiche. Tommy e Damian prima erano ad una serata tra maschi e sono arrivati verso mezzanotte e mezza.
-Lo so, c’ero anch’io.
-Ecco, allora saprai che era completamente ubriaco.
-Come ogni sabato sera.
-Appunto. E che ha provato a fermarmi due volte mentre gli passavo vicino. Mi ha preso per mano e ha cercato di trattenermi, capisci? Quel maledetto lurido schifoso.
-Alice…
-Prima che arrivaste, Tommy mi scrisse di stargli alla larga e che mi avrebbe spiegato poi. Quando sono arrivata a casa e lui pure, mi ha rivelato che Damian quella sera aveva parlato dell’amore della sua vita.
-Oh, no…
-Jenny. La sua puttana.
Chiusi gli occhi. Damian, pensai, che cazzo hai fatto? Come hai potuto?
-Ne parlava come se ci fosse appena andato. Capisci? Dopo tutto quello che mi aveva detto. Forse anche mentre stavamo insieme. Ha pagato una puttana che si chiama Jenny per farselo succhiare. Capisci?
Non trovai nulla di rispondere. La voce di Alice tremava e lei si era voltata in modo che non la potessi vedere in volto. Quasi senza rendermene conto, mi avvicinai a lei e l’abbracciai. All’inizio non reagì al mio gesto; si limitò a lasciarsi stringere con la testa appoggiata sul mio petto. Poi si girò appena e rispose all’abbraccio. Inspirai a fondo il profumo dei suoi capelli. Era buonissimo.
-Jenny è una cosa vecchia… risale a novembre o dicembre, prima che vi metteste insieme
-E chi mi assicura che non c’è tornato? Ha rovinato tutto, tutto…. Non solo quello che sarebbe potuto essere. Anche quello che c‘era già stato. Anche i momenti belli che avevamo vissuto insieme.
La strinsi più forte. –Non posso esserne sicuro, ma credo che non abbia fatto nulla mentre stavate insieme…
-Non importa più, ormai. Capisci? Ha detto tutte quelle cose davanti a Tommy. A Tommy! Come poteva pensare che non mi avrebbe detto nulla?
Qui rimasi un attimo in silenzio. –Forse ho una buona teoria a riguardo, però non so…
Alice si staccò da me. Aveva gli occhi lucidi, però era riuscita a trattenere le lacrime. –No. Ti ringrazio, ma no. Non voglio più saperne nulla di questa storia e di lui. Voglio solo dimenticare.
Come potevo dirle che Damian aveva tutta l’intenzione di riprovarci? Alice era una ragazza dalla forte personalità, ma era innamorata persa. Ci sarebbe ricascata ancora, e ancora, e ancora. Damian era il mio migliore amico; ma la ragazza di fronte a me… non potevo permettere che le facesse ancora del male. Non se lo meritava.
-Quella sera gli scrissi che non mi si doveva più avvicinare. Mai più. O gli avrei tirato un calcio nei coglioni. 
-Non so perché, ma ho l’impressione che lo faresti davvero se ci provasse.
-Senza dubbio. E ho pure bloccato il contatto. Continuava a scrivermi per sapere perché fossi così incazzata. E nonostante morissi dalla voglia di sbattergli in faccia che sapevo, non volevo far finire nei guai Tommy.
-Non posso che dire che hai fatto bene. Io non sarei stato così clemente. L’avrei menato senza spiegazioni e subito.
-Sei ancora in tempo per farlo, se vuoi.
Scoppiai a ridere. Alice aveva ritrovato la sua vena stronza, voleva dire che stava meglio. –Sono troppo magro. Mi spezzerebbe in due.
-Comunque sia, giusto l’altro giorno ha scritto ad una mia amica. Tu ne sai nulla?
-Cosa? Davvero?
-Sì, voleva sapere perché ero furiosa con lui. Che codardo.
-Non ci posso credere…
-Lei sul momento non gli ha detto nulla dietro mia direttiva. Poi ha capito che se non avesse fatto qualcosa lei Damian non si sarebbe mosso. Né l’avrebbe lasciata in pace.
-Quindi gli ha detto di “Jenny”?
-Sì. Lui nemmeno se ne ricordava. Era troppo ubriaco.
-E a parte questo, cosa ha detto a riguardo?
-Ha negato tutto, ovviamente.
Già, non era nemmeno da chiedere. Conoscevo Damian, sapevo come funzionava la sua mente piuttosto semplice.
-Pare stia andando in giro a vantarsi con tutti che vuole venirmi a parlare. Merita una medaglia per il coraggio, questo uomo.
Corrispondeva a quello che mi aveva detto lui, ovvero che voleva parlarle. –E tu?
-Io cosa?
-Cos’hai intenzione di fare, se davvero oserà presentarsi davanti a te? Lo ascolterai?
-Io… non lo so.
-Non lo sai?
-Insomma, da un lato so che non tirerà fuori altro che bugie e cazzate e proverà a farmici ricascare ancora. Quindi non dovrei prenderlo nemmeno in considerazione, o sarebbe un’umiliazione ancora più grande.
-Però…?
-Però devo sapere. Voglio sapere che cazzo ha il coraggio di venirmi a dire, quello stronzo.
-Senti, posso dirti quello che ne penso. Sinceramente?
-Qualsiasi informazione per capire il tuo amico bipolare è ben gradita.
-Bene. Ti va di fare due passi? Inizia a fare freschino.
 Ormai il sole era calato e sentivo brividi scendermi lungo la colonna vertebrale. Alice annuì, così ci alzammo e di comune accordo imboccammo il sentiero che andava dalla parte opposta rispetto all’ingresso. Lei non voleva tornare a casa, l’aveva detto esplicitamente; e anche se avrei voluto saperne il motivo, non potevo tirare troppo la corda. Non mi avrebbe risposto, e a ragione. Per quanto riguardava me, desideravo restare ancora un po’ con Alice. In quel momento, sapevo che il mio atteggiamento poteva risultare ambiguo. Che cosa avrebbe detto uno dei ragazzi, se ci avesse visti assieme? Sapevano tutti chi era Alice. E se Damian, insospettito dal mio comportamento, ci avesse seguiti? Stavo rischiando parecchio e tutto per una ragazza che conoscevo appena e che in più era l’ex del mio migliore amico. Ok, ex che aveva tutte le ragione per essere tale, ma poco importava.
Non voleva nemmeno prendere in considerazione la risposta più ovvia, ovvero che Alice mi interessasse come ragazza. Era bella, raffinata, intelligente, brillante e per nulla facile da quel punto di vista; ovvero, tutto il contrario di quello che cercavo di solito. La mia donna tipo doveva essere facile, disponibile e senza pretese;  se doveva essere brava da qualche a parte, era a letto. E a parte quello, tra tutti i possibili obiettivi che potevo scegliermi, l’ex di Damian? No, era assolutamente da escludere, nemmeno io potevo essere così scemo. Ma un semplice interesse fisico non spiegava perché avessi paccato il calcetto per stare con lei e sentire spalare merda su un amico. Decisi che era meglio accattonare la questione. Se ci sei cascato, questa volta sei nei guai, caro Zane.
-Dunque.- esordii quindi. Procedevamo lentamente lungo il sentiero. Nessuno dei due aveva fretta di andarsene. –Te lo dirò in modo schietto. Tu sei consapevole che eri innamorata di Damian, vero? So che sarà tremendo per te ammetterlo, lo sarebbe per chiunque. Ma è così.
-Devi proprio girare il coltello nella piaga?
-No, voglio solo analizzare il problema in modo oggettivo.
-Notevole.
-E non solo ne eri innamorata. Ma lo sei ancora adesso.
-Pronto? Hai sentito quello che ho detto per circa un’ora?
-Ti ho ascoltata, e ho tratto le mie conclusioni. Non avresti reagito così, se non fossi ancora interessata.
-Cazzate.
-Fatti.
-Non la voglio più sapere la tua opinione.
-E invece ti conviene ascoltarla, mia cara. So come funzionano queste cose. Lui è consapevole di avere ancora potere su di te. Non tornerebbe, se non avesse la certezza che l’avrà vinta ancora.
-Ma non sarà così. Non potrei mai tornare con lui.
-Alice, Alice. Non raccontiamocela. Una persona a cui non interessa più nulla non avrebbe reagito come te.
Questa volta rimase in silenzio.
-E lui è bravo a fregare la gente. A intortarla, come dici tu. Quindi, consiglio: non parlarci nemmeno.
Alice rimase ancora in silenzio per qualche istante. Mi ritrovai a osservare il suo profilo pensoso. –Sei esperto di queste cose.- commentò dopo un po’.
-No, semplicemente conosco Damian molto bene.
-Non mi riferivo a come funziona il cervello di quello, se vogliamo puntare sul fatto che ne abbia uno. Intendevo: da quel che so anche tu ci sai fare, nell’intortare le ragazze.
Damian aveva parlato, dunque. Be’, era ovvio. Erano stati fidanzati, dopo tutto. Non sapevo nemmeno a quale episodio si riferisse. –Ehm… quale delle tante volte?
Alice gettò indietro la testa e rise. –Non so niente, a parte della tua trovata geniale l’ultima estate.
-Oh.
-La tipa con cui stavi e hai lasciato perché in vacanza volevi… “divertirti”, mettiamola in modo elegante. Per poi pentirtene, non avendo trovata nessuna che ci stava.
-Ehi, così sembro il cattivo della situazione…
Alice mi lanciò un’occhiata molto eloquente. –Invece sei la vittima, giusto? In questo tu e Damian siete uguali.
Cazzo. Aveva centrato nel segno. –Ok, ammetto che non è stato carino. Però poi sono tornato. Strisciando, pure.
-Bella consolazione per lei.
-Però è tornata con me!
-Ah sì?
-Sì… solo per comportarsi da stronza.
-Una vendetta, insomma. Non male.
-Ma tu da che parte stai?
-Non fraintendere, Zane. Mi stai simpatico, ma lei di più.
Ma certo, quanto ero scemo? Alice si era trovata nella stessa situazione, o quasi, della mia ex. Era ovvio che parteggiasse per lei. Anche se diverse come il giorno e la notte, avevano avuto la sfortuna di trovare sulla strada due stronzi come me e Damian. –Colpito e affondato.
-Però mi sembra che tu stia migliorando.- aggiunse, forse un po’ pentita per essere stata così brutale.
Ripensai alla ragazza che giusto poche sere prima avevo fatto bere per renderla disponibile a venire con me. -Se ne sei convinta tu…
-Non parlo della tua vita sentimentale, anzi qualcosa mi dice che non voglio saperne nulla. Ma di sicuro sei una persona buona. Almeno con me lo sei.
Le sue parole mi imbarazzarono parecchio. Avevano colpito nel segno, ovvero nel problema che mi tormentava da un bel po’ di tempo. –Hai già ricevuto la tua dose di cattiveria da Damian. Il minimo che potessi fare dopo essere venuto a disturbarti era essere gentile.
Alice rise ancora. –Effettivamente, se la metti così…
Continuammo a discorrere ancora per un po’, completando il giro del parco. Le parlai dell’università, che non frequentavo, e degli esami che non davo per pigrizia. Anche su questo argomento era piuttosto informata, Damian non sapeva tenersi nemmeno la piscia, a quanto potevo constatare. Alice invece mi disse della maturità e di quanto fosse stressante; non nominò più il suo ex né i problemi a casa a cui aveva accennato in precedenza. Era la prima volta che chiacchieravamo a ruota libera, senza che i nostri discorsi fossero incentrati su Damian o sulla colazione.
Continuammo così ancora a lungo, prima di salutarci in modo imbarazzato e tornare ognuno a casa propria. Con la certezza che il giorno dopo ci saremmo rivisti di nuovo, alla stessa ora, in biblioteca. 

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Capitolo 5
*** 5. Obbligo o verità per i cattivi ragazzi, ovvero una sfida a chi si ubriaca per ultimo ***


5. Obbligo o verità per i cattivi ragazzi, ovvero una sfida a chi si ubriaca per ultimo
 
Aspettavo Zane seduta sulla panchina di fronte a casa sua. E nel frattempo, mi chiedevo pure che cavolo mi fosse saltato in mente. Quel ragazzo mi confondeva. Prima, gli rivelavo dei miei trascorsi con Damian e mi facevo pure abbracciare da lui come forma di consolazione. Ci capiamo? Ero partita col presupposto di ignorarlo o di farlo scappare a gambe levate e finivo uno, con l’eleggerlo a mio confidente; due, a farmi consolare da lui; e tre, passarci insieme il venerdì sera. Robe da pazzi, pensai scuotendo la testa, davvero robe da pazzi.
Solo un’ora prima ero tranquillamente seduta in biblioteca a studiare. Be’, tranquillamente era una parola grossa. Avevo litigato furiosamente con mia madre di persona e con mio padre al telefono. Volevano tenermi a casa dalla gita, per paura che succedesse qualcosa con Damian (e non a torto, effettivamente; ma quelli, come avevo avuto modo di sottolineare più volte, erano fatti miei). Quando Zane era venuto a parlarmi, si era accorto subito che qualcosa non andava. Così, senza rendermi bene conto di cosa stava succedendo, avevo finito per accettare un invito a passare la notte con lui. Poteva suonare male, ma non avevamo cattive intenzioni, nessuno dei due. Almeno, non io; e Zane… be’, credo che solo un idiota ci avrebbe provato con una ex furiosa quale io ero; in più, dubitavo di essere il suo tipo di ragazza. Quindi potevo stare tranquilla.
I miei ufficialmente sapevano che ero a dormire a casa di una delle mie migliori amiche; sapevo che lei, avvertita, mi avrebbe retto il gioco. Avevo lasciato un bel biglietto chiaro e conciso sul tavolo, quando ero andata a casa a cambiarmi, affrettandomi per non correre il rischio di incrociarli. Non erano stati contenti della cosa (telefonata furiosa di papà e messaggi minatori di mamma), ma chissene importava. Il giorno dopo c’era assemblea a scuola ed ero troppo incazzata per preoccuparmi delle conseguenze.
Zane uscì in quel momento dal portone di casa sua. Mi bastò un’occhiata per accorgermi che era elegantissimo: jeans, mocassini e camicia, più giacca da play boy e l’immancabile sciarpina. –Su chi devi fare colpo?- lo salutai alzandomi. –Credevo non dovessimo andare in un locale e mi sono vestita come una stracciona.- Qui indicai con disappunto i miei blue jeans e la felpa.
Per qualche istante il manichino del negozio lì accanto ebbe più vita del volto di Zane. Quindi scosse la testa. –Lascia stare, sono un idiota. Un vero idiota.
-Mi rendi partecipe del motivo, così posso darti una mano ad insultarti?
-Hai mangiato?- domandò, ignorandomi e avviandosi verso la parte opposta al centro.
-No, adesso che mi ci fai pensare. Volevo essere fuori di casa prima che arrivassero i miei.
-Dai, ti offro una pizza.
-E io la offro a te.
-Non esiste che lasci pagare una ragazza.
-E non esiste che io mi faccia offrire da un ragazzo, se mi sta simpatico.
-Più parli più mi accorgo che hai delle teoria assurde.
-Non ti lamentare, visto che questa va a tuo vantaggio! Odio sfruttare la gente che mi sta simpatica.
-Ah, non odi “sfruttare la gente” in generale però.
-Ovviamente no. Anzi, mi diverto parecchio a farlo con chi non si merita la mia stima.
-Non so se essere inquietato o felice perché sono degno della tua stima.
-Posso essere un’avversaria temibile, quindi siine contento!
In quel momento, camminando di fianco a Zane, mi sentivo così leggera che avrei voluto cominciare a correre. La mia preoccupazione era evaporata non appena l’avevo visto. Dondolavo avanti e indietro canticchiando nei momenti di silenzio. Mi accorsi che Zane mi osservava di sottecchi e gli risposi con un sorriso; distolse subito lo sguardo, la cosa sembrava metterlo a disagio. Mah, ero troppo contenta per pensarci. Quella giornata era cominciata male e stava per finire anche peggio, quando era arrivato lui con quel suo invito inaspettato. Datemi della sempliciotta, ma anche se fossimo stati tutta la sera a fissarci negli occhi in silenzio, mi sarei divertita. In più, da quando mi ero confidata con lui, riuscivo a pensare a Damian molto meno; non lo citavo più in continuazione con le amiche come facevo prima, fosse anche solo per prenderlo per il culo, e nemmeno con Zane lo avevo più nominato. Non ne sentivo il bisogno.
Mangiammo in una pizzeria di basso profilo e fuori dal centro (immagino per evitare incontri sgraditi con quella foca di un ex che mi ritrovavo), pagando a metà il conto. Quindi recuperammo la sua bici e partimmo. Zane, per essere così magrolino, aveva più forza di quanto mi aspettassi nelle gambe e sfrecciava lungo le vie deserte come un fulmine; io stavo appollaiata sul portapacchi, persa a osservare le luci della città. Zane pedalò instancabile fino alla zona industriale ai margini del centro. –Ehi, non è che in realtà sei un maniaco e che mi hai portata qui per stuprarmi?
-Taci, scema. Non sono mica così disperato.
-Già, mi dicono di no.
-Chi ti dice?
-Mah… le voci girano.
Mi piaceva stuzzicarlo a quel modo; stavo bluffando, non sapevo assolutamente nulla e volevo vedere se avrebbe abboccato all’amo o meno.
-Chi mi ha visto l’altra sera in discoteca?
-Ah, allora sei abbastanza disperato da rimorchiare in discoteca?
-Mi hai fregato, ragazzina!
Mentre la discussione si concludeva così, Zane fermò la bici davanti ad un capannone apparentemente abbandonato.  Scendemmo entrambi e lui mi guidò verso l’ingresso, una porticina laterale  scardinata. L’interno era quasi completamente occupato da mobili o vecchio ciarpame accatastato alla rinfusa; Zane si mosse con un’esperienza disarmante attraverso quel labirinto. –Sei sicuro che non ci sia roba tossica, qui dentro?
-Potrei chiederti la stessa cosa della brodaglia che prendi alla macchinetta e ti spacciano per caffè.
-Touchè.
Zane mi guidò fino a una specie di “radura” ricavata tra le cataste, dove si trovavano tre poltrone disposte a cerchio, una luce a batteria e una stufetta.
-Non ci credo.
-Quando ero più piccolo venivo qua con gli amici a bere di nascosto. Sai, anche andando in discoteca nessuno ci prendeva sul serio.
-Alcuni del vostro gruppo difficilmente riuscirei a prenderli sul serio anche ora.
-Credo di aver capito a chi ti riferisci. Ma dove l’hai conosciuto?
-Sempre allo stesso diciottesimo famoso dove ci saremmo incontrati pure io e te.
-Ah, è stata una serata piena, quella.- Zane, dopo aver acceso luce e stufa, si lasciò cadere su una poltrona, mollando lo zaino con cura ai suoi piedi. Quindi fece cenno di accomodarmi. –Prego, fai come se fossi a casa tua.
Mi sedetti nella poltrona accanto alla sua, raggomitolandomi come una gatta. –Scommetto che ora rimpiangi di esserti messo in tiro. Per quale motivo poi me lo devi spiegare.
-Taci, ragazzina, ho il cambio qua dentro. E non solo quello.
Lo guardai incuriosita estrare con un certo orgoglio alcune bottiglie dallo zaino. –Mmm, interessante. Vodka alla pesca, sambuca e…
-… tequila. Ma credo che non reggerai fino a poterla bere. Le regole sono chiare.
-Per chi mi hai presa?! Reggo benissimo l’alcol! E poi, che regole?
-Voi donne sostenete tutte la stessa cosa. Tu, poi, sei pure ridicola.
-Quando ti avrò dato la merda e ti starò sorreggendo mentre sbocchi l’anima, vedremo.
-Non peserai più di quaranta chili e vuoi bere tequila. Dovrei portarti all’asilo, altro darti da bere.
-Ne peso quarantotto! E comunque, prima mi spieghi il gioco prima possiamo vedere chi ha ragione.
-È semplice. Io ti faccio una domanda, tu mi rispondi. Se mi accorgo che stai bluffando, ti aspetta uno shottino e l’obbligo di rispondermi sinceramente. Se stai dicendo la verità e io diffido di te, tocca a me bere. L’ordine degli shot è due vodka, tre sambuche e due tequila. Poi se c’è ancora qualcuno rimasto in piedi, si va avanti riprendendo dall’inizio.
-Insomma, è l’obbligo o verità per i cattivi ragazzi.
-Solamente se hai qualcosa da nascondere.- Zane mi sorrise. Era seduto con le gambe aperte e le mani giunte in mezzo ad esse, sporto verso di me. Nonostante lo avessi preso in giro fino ad allora, dovevo ammettere che così conciato faceva la sua belle figura, quel ragazzo. Che fosse bello l’avevo sempre pensato, però. –Dato che è la prima volta che giochi, ti concedo l’onore di iniziare. Così potrai scegliere se e quanto cominciare soft…
-Hai mai fatto una cosa a tre?
-Cosa?
-Una cosa a tre. Due ragazze e te. Due maschi e una ragazza. Tre maschi. Tutte le possibili combinazioni che ti vengono in mente.
Zane gettò indietro la testa e rise. –Meno male che dovevi partire soft.
-Io non l’ho mai detto. Sei tu che ne eri convinto.
-Giusto. Comunque no, mai. E me ne rammarico.
-Bugia!
Zane mi fissò con gli occhi che luccicavano. Quindi prese la bottiglia di vodka, un bicchiere da shot e me li porse. –Bevi.
Buttai giù la vodka tutto d’un sorso; la gola mi bruciò per qualche secondo. Non distolsi un istante gli occhi da Zane. –Tocca a te.
-Sei vergine?
Gettai indietro la testa e risi. –Sì.
-Questo è vero. Altrimenti mi sarebbero arrivate voci in altro senso.
-Hai mai ricevuto dei pali da una che ti piaceva parecchio?
-No.
-Bevi.
Zane ridacchiò. –Non mi chiedi nemmeno se mento?- però si versò un bicchierino di vodka e lo bevve. –Quanti ragazzi hai avuto?
-Due.
-Impossibile.
-E perché?
-Sei troppa bella.
La sua risposta mi sorprese. –Non ho mai detto che non ne avrei avuto la possibilità; anzi, ho dovuto friendzonare fin troppa gente per i miei gusti. Però sono molto selettiva.
-Ah sì?
-E anche scema, quindi commetto parecchi errori.- gli risposi vagamente e pensando: chi vuole intendere, intenda.
-Tommy era uno dei due?
-No. Lui non lo considero come un mio ex, siamo stati insieme quattro giorni.
-Poveretto.
-Hai scazzato, comunque. Bevi.
-Sei terribile. Non me ne fai passare una.
-Mi piace vincere. Tocca a me. Facciamo che ti rigiro la domanda. Quante fidanzate?
-Che poca fantasia.
-Rispondi.
-Definisci ragazza. Una scopata o relazione pseudo-seria?
-Entrambi.
-Il primo caso non te lo so quantificare, per quanto riguarda il secondo, ne ho avute due. La prima è durata cinque mesi, la seconda tre.
-Bene, mi fido.
-E fai male. La prima non è durata cinque mesi, ma tre. E la seconda cinque settimane.
-Che bastardo!- esclamai ridendo e prendendo il bicchierino che mi porgeva.
-Voglio vederti ubriaca al più presto.
-Ti dovrò deludere, allora.
Continuammo a farci domande inutili sulla nostra vita sessuale ancora per un po’. Progressivamente capitava sempre meno che uno dei due sbagliasse, così passammo ad argomenti meno scontati come l’amicizia, l’infanzia, la scuola. Senza che me ne rendessi conto trascorsero diverse ore. Quando tornai a guardare l’orologio, mi accorsi che era quasi l’una. La testa mi girava abbondantemente, ma avevo bevuto lo stesso meno di lui. Zane aveva già lo sguardo lucido e rideva fin troppo spesso a commenti che di divertente non aveva nulla. Dopo qualche giro del gioco mi ero accorta che ogni volta che mentiva stringeva appena le mani. Da lì era stato facile non sbagliare più quando dovevo valutare se la sua risposta era vera o no.
Zane era andato in bagno. Sosteneva che ce ne fosse uno funzionante annesso all’edificio. Aveva preso a piovere e dalla poltrona troppo larga in cui ero accoccolata guardavo fuori dalla finestra la pioggia che batteva sui finestroni del capannone. Zane, tornando verso di me, inciampò in un secchio abbandonato.
-Merda!
Quando si avvicinò abbastanza, notai che si era tolto la camicia e la reggeva in una mano. –Zane, che stai facendo?
-Sono scomodo, voglio cambiarmi.- rispose cominciando a frugare nel suo zaino.
-Forse è meglio se la chiudiamo qui…
-Assolutamente no! Tu devi ubriacarti.
-Sì, ma tu non devi andare in coma etilico.
Zane estrasse dalla borsa una felpa nera e la indossò sopra alla canottiera. Quindi iniziò a sbottonarsi i pantaloni. –A chi toccava fare la domanda?
-A me. Ma… non starai pensando davvero di toglierti i pantaloni…
Come risposta, si sfilò i jeans mezzo inciampando. Non so perché, ma mi venne da distogliere lo sguardo. Avevo già visto dei ragazzi in boxer, con uno ci avevo anche dormito. Era infantile che mi trovassi tanto in imbarazzo, ma non potevo farne a meno. Mi domandai anche se era il caso di aiutarlo a vestirsi, perché non mi sembrava in grado divriuscirci da solo; ma l’idea mi provocò una tale confusione che rimasi ferma immobile al mio posto. Di colpo mi resi conto di dove mi trovavo, ovvero in un capannone abbandonato; a fare cosa, cioè un gioco alcolico basato su domande idiote; e soprattutto con chi, il migliore amico del mio ex. Che diamine stavo facendo? Cosa mi era saltato in mente?
-Tocca a te, vero?
-Zane, ecco…- Voglio tornare a casa, pensai, ma poi mi accorsi che era sbagliato. Non volevo tornare a casa, lungi da me desiderare una cosa simile. Semplicemente, desideravo andarmene da quel posto, da lui, dalla confusione che sentivo in testa.
-Dai, Alice.- Zane, dopo essersi infilato i pantaloni della tuta, barcollò verso di me. Quindi si lasciò cadere sulla mia stessa poltrona, incastrandosi nello spazio che avevo lasciato libero. –Fammi una domanda.
Zane appoggiò il gomito sullo schienale dietro e una guancia sulla mano. Mi guardava intensamente. –Su…
-Ecco, non saprei…                   
-Come, non sai?
Presi un profondo respiro. Mi sentivo così confusa che mettere insieme una frase di senso compiuto mi pareva un impresa impossibile. –Ehm … sei mai stato innamorato? Innamorato sul serio?- mormorai infine, chiedendogli la prima cosa che mi era venuta in mente.
Zane tacque per qualche istante. Notando che non rispondeva, osai alzare lo sguardo verso di lui. Mi stava fissando in silenzio, impietrito per la domanda. Strano, gliel’avevo posta proprio perché non volevo metterlo in difficoltà e quello mi sembrava un quesito piuttosto semplice.
-No.- rispose alla fine, molto lentamente. –Fino a un po’ di tempo fa, ti avrei risposto di no. Però ultimamente… non so più se questa sia la risposta giusta.
Ed improvvisamente tra di noi calò il silenzio. 

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Capitolo 6
*** 6.Dimenticati chi sei e chi è lei. Dimenticatene, e non lasciarla andare ***


6. Dimenticati chi sei e chi è lei. Dimenticatene, e non lasciarla andare.
 
-Sei mai stato innamorato? Innamorato sul serio?
-No. Fino a un po’ di tempo fa, ti avrei risposto di no. Però ultimamente… non so più se questa sia la risposta giusta.
Non so, quando mi pose quella domanda mi scoppiò come una bomba dentro e spazzò via i fumi dell’alcol che mi annebbiavano la mente. Fino ad allora era andato tutto bene; ero riuscito a godermi la serata come se mi fossi trovato in compagnia di una persona qualunque. Alice era lì, in amicizia, potevo fare quello che volevo in sua presenza, almeno per quel che la riguardava: per lei non ero un uomo, ma il migliore amico del suo ex. Poi, mi ero seduto accanto ad Alice (dopo essermi spogliato di fronte, ma questo era un altro discorso); mi ero trovato accanto a lei come mai prima ero stato; e poi mi aveva posto quella domanda. L’unica che non avrebbe dovuto farmi, perché mi avrebbe messo di fronte al fatto che non l’avevo invitata fuori per farle un favore; e non mi ero certo tirato e messo elegante per andare in un vecchio capannone abbandonato; e che speravo si ubriacasse per poterla baciare. Certo, non mi sarei azzardato ad andare oltre… però, se almeno fossi riuscito a fare quello, forse avrebbe smesso di vedermi semplicemente come il migliore amico di Damian. Forse mi avrebbe visto come un uomo.  utte quelle verità mi caddero addosso quando mi pose quella domanda. E la risposta, che dapprima avevo cercato di nascondere persino a me stesso, mi salì alle labbra spontaneamente.
-Oh. Ma dai…- commentò quindi ridendo. Non potevo sbagliarmi, aveva avuto un attimo di esitazione prima di rispondere. Aveva capito, intuito che mi stavo riferendo a lei?
-Non so se sia proprio così…
-Quindi ti faccio bere o no?
-Decidi tu.
-Facciamo di no. Te la abbono, per stavolta. Però voglio saperne qualcosa di più.
Non riuscivo a staccarle gli occhi di dosso. Era tutta raggomitolata, piccola come un gattino, con le mani infilate nelle tasche della felpa. Prima, quando ero ancora sobrio, ero riuscito a dissimulare un poco il fatto che la volevo disperatamente. Ma ora, ubriaco com’ero, mi stava uccidendo esserle così vicino e non poterla toccare. Lo sapeva questo, lei? Mi stava stuzzicando apposta?
-Be’, posso dirti che non sono sicuro che questo sia amore. È una cosa piuttosto recente. Però è un sentimento completamente diverso da qualsiasi cosa abbia provato finora.
-Ah…
-Lei mi piace fisicamente, molto. Ma non è solo questo.
-Certo, deve pure essere una che non fa tante storie, immagino.  
-Sì. No. Cioè…
-Deciditi, Zane.
-Se fosse una facile non mi piacerebbe così tanto.
-Lasciamo indovinare. Però sarebbe tutto più semplice, se lo fosse.
-Be’, sì. Anzi, non so.
-Sei una persona decisa, mi dicono.
-Insomma, sono ubriaco. E poi la situazione è complicata.
Alice alzò le mani in segna di resa. –Va bene, mi fermo qui.
-Come? Non sei curiosa?
-Certo. Ma ne ho abbastanza nella mia vita di complicazioni, per aggiungere anche quelle degli altri.
Rimasi a guardarla per qualche istante in silenzio. Aveva capito qualcosa? Non voleva che andassi avanti per paura che l’avrei costretta ad accorgersi dell’evidenza? Oppure si riferiva ad altro? –I tuoi?- domandai quindi dopo un’illuminazione improvvisa.
Lei non rispose. Lentamente volse il viso verso la finestra alla nostra destra. La pioggia batteva incessante sui vetri.
-Non so che tipi siano i tuoi, ma non deve essere facile. Anche che si siano interessati così tanto alla tua relazione amorosa…
-E non solo a quella. Anche alla amicizie, ai voti a scuola, al mio modo di vestirmi e truccarmi. Hanno da dire su tutto, quei due.
Provai a immaginare come dovesse essere abitare sotto lo stesso tetto con persone del genere. E non ci riuscii. –Non deve essere facile.
-So… anzi, immagino che lo facciano per il mio bene. Perché vogliono che abbia il meglio. È come se loro si fossero costruiti nella testa un’immagine di me che non corrisponde alla realtà: sai, la tipica ragazza perfetta, che non beve, non va in discoteca, studia e frequenta solo persone per bene. Io non volevo deluderli, soprattutto mio padre, e quindi facevo di tutto per conformarmi a quel modello. Ma poi…
-Poi hai capito che non potevi più continuare a vivere in un modo che non avevi scelto tu.
-Sì. E così, poco a poco ho preso a discostarmi da quello che volevano. E sono iniziate le discussioni. Il problema è che adesso ho solo una grande confusione in testa. Quando sono in mezzo alla gente o sono impegnata in qualcosa, non è un grande problema. Ma appena mi fermo un attimo e ascolto, sento il caos che mi rimbomba nel cervello. Non è una bella sensazione.
-No, immagino.
-Scusa, Zane. Non so perché finisco sempre con il fare questi discorsi tristi con te. Devo essere noiosa.
-Nemmeno per idea.
-È strano anche per me. Sei la prima persona con cui parlo seriamente di questa cosa. Le mie amiche sanno che ho problemi in famiglia, ma con nessuna di loro mi sono mai aperta. Con te è facile tirare fuori le cose. Forse perché non ci conosciamo così bene. 
Mi accorsi che Alice aveva contratto la mano e stringeva una manica della felpa, così forte che le nocche le erano sbiancate. Delicatamente, posai la mano sulla sua. Lei sussultò e voltò di scatto la testa verso di me. –Non importa il perché. Non mi dà fastidio se ti sfoghi, anzi. Questo posto è sempre vuoto, quindi possiamo tornarci tutte le volte che i tuoi trovano da lamentarsi di qualcosa.
Lei tornò a girarsi verso di me. Ubriaco com’ero, mi era difficile leggere l’espressione del suo viso in penombra. Vedevo i contorni sfuocati e a malapena riuscivo a trattenermi dallo sporgere il viso verso di lei. L’unica certezza che avevo era questa: che era bellissima. E che le cose che le stavo dicendo le pensavo davvero. E che volevo stringerla, e tenerla tra le mie braccia per quella notte, e il giorno successivo, e quello dopo ancora. Per tenerla lontano da quei genitori che non la capivano e da Damian.
-Grazie.- sussurrò quindi.
-Di cosa?
-Di tutto. Insomma, sei partito con l’idea… non so nemmeno quale fosse il tuo obiettivo iniziale, se farti semplicemente i cazzi miei o farmi tornare con Damian. Be’, la cosa è partita così e sei finito a farmi da psicologo. Mi sento in debito.
-Parlare dei nostri problemi era solo una scusa per bere in compagnia.
Alice mi sorrise. Sembrava contenta del fatto che stessi cercando di alleggerire la tensione che si era creata dicendo cose a caso. Tuttavia, non avevo la minima intenzione di lasciarle la mano; con quella libera presi la bottiglia di sambuca aperta e ne bevvi un sorso. Quindi gliela porsi.
-Nessuno ha sbagliato.
-Non importa. È per festeggiare la fine della seduta.
Alice rise e, dopo aver preso la bottiglia, bevve a sua volta. –E per inaugurare la tua.
-Mmm, vuoi psicanalizzarmi?
Alice piegò la testa di lato. Diamine, se faceva così era davvero irresistibile. –Ammetto che mi incuriosisci, sì.
-Come ti incuriosisce un animale raro che non hai mai visto?
Un sorriso malizioso le comparve sulle labbra. –Un pochino. È la prima volta che incontro uno come te.
-Lo stesso posso dire io di te.
-Ma io sono stata studiata abbastanza, ora tocca a te. E visto che hai provato a sviarmi, bevi.
Obbedii ridendo. –Se la punizione alla ribellione è questa, prevedo che sarò molto cattivo.
-Allora, caro Zane. Raccontami un po’ di te.- Alice si sporse nella mia direzione, con fare civettuolo. O forse era solo una mia impressione dovuta all’alcol, che all’improvviso fosse diventata più provocante? Era la proiezione di un mio desiderio? Stava davvero provandoci con me? Nessuna ragazza mi aveva mai fatto andare tanto nel pallone, prima d’allora.
-Cosa vuoi sapere?
-Lascio decidere a te l’argomento di partenza.
-Mmmm. Tanto per cominciare, sono un fallito.
-Ehi! Sono io che ti devo prendere in giro, non puoi farlo da solo.
-Sono una persona onesta. Metto subito le cose in chiaro.
-Ma davvero?
-Sì, e se c’è una cosa che so è che non sto andando  da nessuna parte con la mia vita.
-Andiamo sul melodrammatico.
-Forse. Ma è la verità. Continuo ad andare all’università, e non me ne importa nulla. I miei mi sgridano e tagliano i viveri, ma in qualche modo trovo sempre i soldi per le sigarette e l’alcool. Passo la notte alla playstation e non studio nulla, mi sveglio tardi, mi abbuffo e poi vado in giro con amici che se possibile sono messi peggio di me… Insomma, tutti in stile Damian.
Era stato il mio turno di voltarmi per non guardarla. Alice, al contrario, mi fissava intensamente. –Quindi?- mi domandò dopo un lungo silenzio.
-Quindi cosa?
-Non so, mi dai tanto l’impressione di uno che è immerso nella confusione, ma non se ne cura. Come se ti trovassi nell’occhio del ciclone, e ti tappassi la bocca e chiudessi le palpebre per fingere che non sia così. Capisci?
-Non so. Forse è così.
-Invece io sto facendo esattamente il contrario. Anch’io sono nel cuore della tempesta, però a differenza tua tengo gli occhi ben aperti, sbarrati. Mi accorgo della confusione attorno e ne sono terrorizzata.
-Entrambi siamo fermi.
-Sì, è così.- annuì lei. –Sappiamo che dobbiamo fare qualcosa. Che non potremo rimanere immobili in eterno e prima o poi ci toccherà prendere in mano la situazione e cambiare quello che non funziona. Ma adesso siamo troppo spaventati o pigri per farlo.
Tornai a voltarmi verso di lei. Adesso era Alice che fissava un punto indefinito del pavimento. “Se prendo la tua mano, va bene lo stesso?” avrei voluto chiederle. “Perché sento che se lo facessi, ogni cosa andrebbe al suo posto.”
-Sai.- continuò all’improvviso dopo una breve pausa. –Ho letto da qualche parte che solamente quando tutto sembra perduto e ci sembra di avanzare alla cieca, troviamo la nostra strada. Sembra proprio una di quelle cavolate da romanzo da quattro soldi.
“No. Io la mia strada penso di averla trovata proprio nel momento di massima confusione, incontrando te.”
-Però non riesco a fare a meno di crederci. Che cosa strana.
-Nemmeno io.- replicai laconico, impegnato com’ero a far sì che la mia parte ancora sobria non permettesse a quella ubriaca di straparlare o di saltarle addosso.
-Zane? Stai bene?
-Sì.- mentii, prendendo un altro sorso dalla bottiglia. Alice mi imitò poco convinta.
-Forse dovresti smettere di bere.
-Ho un anno più di te, ragazzina. Ho cominciato a bere quando tu portavi i pannolini. Porta rispetto.- In realtà, sapevo che aveva ragione. Se avessi continuato a bere, non avrei più risposto delle mie azioni in modo razionale. E con lei che mi era così vicina, cosa sarebbe accaduto?
Questo la fece ridere; anche lei, ormai, non doveva essere più di tanto sobria. Subito dopo aver posato la bottiglia per terra, allontanò con dolcezza la mano dalla mia e si alzò. Camminò per qualche istante dandomi le spalle, lo sguardo fisso sulla solita finestra. Guardai la sua figura di spalle che avanzava nella penombra. –Oddio, ormai sono ubriaca anch’io. Quando inizio a parlare dei massimi sistemi filosofici vuol dire che sono davvero partita.
-Io sono ufficialmente ubriaco, quindi potresti insultare mia madre che ti darei pure ragione.
Alice si era fermata a metà della stanza. La sua schiena ritta davanti a me sembrava la meta di tutti i miei desideri. –Visto che siamo in tema…. Hai mai desiderato sparire?
-Sparire? Nel senso di morire?
-Ma no, scemo. Intendevo: ti è mai venuta voglia di scappare da questo posto dove ti conoscono tutti e dove bene o male ti conformi a ciò che la gente si aspetta da te?
Rimasi zitto. Effettivamente, non avevo mai visto la cosa in questi termini. Un posto dove la gente che mi conosceva si aspettava un certo comportamento da me, e inconsciamente io mi ci conformavo. Perché così era più facile, meno impegnativo, meno tutto…
-A volte mi capita di passare davanti alla stazione dei treni e fermarmi.- continuò intanto Alice, sempre seguitando a darmi le spalle. –Mi viene da pensare: e se scappassi? Se prendessi un treno che mi portasse lontano da qui, in un posto dove nessuno mi conosce e posso essere chi voglio?
Forse a causa dell’alcol che avevo in corpo un pensiero mi sorse alla mente: se arrivassimo davvero in un posto del genere, io e lei, forse potrei stringerla tra le mie braccia senza problemi. In un luogo dove lei non fosse Alice e io non mi chiamassi Zane. E se lei e Damian si fossero incontrati in un posto del genere, forse non avrebbero avuto tanti problemi; la loro relazione non avrebbe suscitato tanto scalpore, forse le cose sarebbero andate molto più lisce… No, non avevo mai preso in considerazione prima d’allora quello che Alice mi stava dicendo. Eppure mi sembrava assolutamente corretto, qualcosa di molto profondo, una verità scomoda che non potevo più ignorare.
Mi alzai in piedi molto lentamente. Afferrai la camicia che mi ero tolto prima e la misi sulla testa, in modo che coprisse buona parte del volto lasciando scoperta solo la bocca. Quindi mi avvicinai ad Alice, che intanto continuava a parlare. Lentamente le avvolsi le braccia attorno alla vita. Sentii che tratteneva il respiro, accorgendosi che finalmente era giunto il momento che entrambi sapevamo sarebbe arrivato, prima o poi.
-Zane…
-Zane? Chi sarebbe questo Zane? Non so di cosa tu stia parlando. Io sono “l’uomo senza volto”, signorina.
Alice non parlò per qualche istante. Poi voltò lentamente la testa per lanciarmi uno sguardo stranito, probabilmente notando solo allora il mio travestimento. –“L’uomo senza volto”?
-Esattamente. Passavo giusto di qua e l’ho vista, cara signorina.
-Sì?
La strinsi più forte a me. Dopo il primo momento di confusione si era abbandonata all’abbraccio; il suo corpo minuto premeva contro il mio e attraverso i vestiti avvertivo il calore che emanava. –Sì. E sono rimasto folgorato dalla sua bellezza.
-Per essere un uomo senza volto è uno che da parecchia importanza all’aspetto fisico.
-Mi lasci finire. La prima cosa che ho notato è stata quella. E poi che aveva un sorriso contagioso e irresistibile. E occhi da sognatrice pieni di una forza incredibile.
-Chissà se è davvero così.
-Penso proprio di sì.- La stringevo così forte a me che forse, col senno di poi, le feci male; ma Alice non si ribellò mai a quella stretta, anzi, posò le sue piccole mani sulle mie braccia come se fosse la cosa più naturale del mondo. Le mani di quella ragazza, che volevo così disperatamente da tradire il mio migliore amico; e che non volevo lasciare andare per nulla al mondo. “Dimenticatene. Dimenticati del tuo nome, di Damian, di chi è Alice. Pensa solamente a questo corpo che stai stringendo, e alle mani che sono posate sulle tue, a questi capelli in cui stai affondando il volto. Dimenticatene e almeno per stanotte, almeno finchè non sorgerà il sole, non lasciarla andare.” –Io non so chi lei sia, cara signorina; e allo stesso identico modo, lei non ha la minima idea di quale sia il mio nome. Qua non c’è nessuno che si aspetta nulla da noi; possiamo essere quello che vogliamo.
La donna tra le mie braccia non rispose. Con delicatezza si divincolò appena dalla mia stretta, solo per voltarsi verso di me. Potevo scorgere il suo viso che brillava pallido nell’oscurità da sotto la camicia. Con un gesto deciso mi prese il viso tra le mani. –Che strano.- commentò quindi, non capivo se in modo ironico o meno. –Somigli molto ad una persona che conosco.
“Dimenticati chi sei e chi è lei. Dimenticatene e non lasciarla.” –Spero sia un complimento.
-Sì, lo è.- rispose dopo averci riflettuto su per qualche istante. –La persona in questione mi piace molto.
Aumentai la pressione delle mie mani sulla vita sottile di quella ragazza. –Meno male.- sussurrai in un filo di voce.
Poi, lentamente, lei si alzò sulla punta dei piedi e mi baciò. Fu tutto così naturale e spontaneo, che quasi mi venne da chiedermi perché avessimo atteso tanto per farlo. La strinsi più forte, ancora e ancora, premendo le labbra contro le sue con foga, mentre le lingue si attorcigliavano. Senza osare altro, per paura che questo spezzasse la magia di quel momento.
Sì, in quel momento stavamo scappando, io e lei, mano nella mano. Lontano da quella città dove lei era l’ex di Damian e io il suo migliore amico, e dove non saremmo mai potuti stare insieme. Correvamo, sperando che quella notte non finisse mai, per non essere costretti a svegliarci ritornando nella realtà dove non potevamo che vivere separati.
“Dimenticati di tutto. E soprattutto, non lasciarla andare. Per nulla al mondo.” 

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Capitolo 7
*** 7. La chiacchierata tanto attesa delle due di notte, ovvero il momento di chiudere la partita ***


7. La chiacchierata tanto attesa delle due di notte, ovvero il momento di chiudere la partita
 
Quando arrivò il messaggio, mi stavo lavando i denti nel minuscolo bagno della nostra stanza a Madrid. Erano le due passate di notte. Dopo aver finito di parlare con Tommy sul pianerottolo tra le nostre due camere, ero tornata dentro con tutta l’intenzione di infilarmi nel letto e dormire; le mie amiche stavano già ronfando da quel bel pezzo. La stanza si trovava immersa nel silenzio e nell’oscurità; la vibrazione del cellulare risuonò come un rombo nell’immobilità assoluta che mi circondava.
“Ho visto che hai parlato con tutti. Che ne dici se lo facciamo anche io e te?”
Era Damian, ovviamente. Mi odiai per questo, ma il mio cuore perse un battito quando lessi quelle parole. Prima dell’una, altri due nostri compagni di classi, alleati del mio stupido ex, si erano presentati alla porta per pregarmi di accettare di parlare con lui. “Io?” avrei voluto rispondere loro. “Io devo accettare di parlare con lui, dopo tutto quello che ho fatto per riuscirci?”. Ridicolo, semplicemente ridicolo; senza nemmeno una parola, avevo richiuso la porta in faccia ai suoi leccapiedi. Tommy, immaginandomi in difficoltà, mi aveva invitata fuori a fare due chiacchiere ed era rimasto piacevolmente sorpreso di trovarmi felice e contenta. Diamine, lo ero anch’io! E non mi comportavo così solo per non farlo preoccupare; mi sentivo davvero tranquilla e serena come non mai. Entrambi concordavamo sul fatto che Damian fosse troppo codardo per venire a parlarmi di persona, ne eravamo fermamente convinti. E poi arrivava quel messaggio.
Il mio primo pensiero quando lo aprii, lo ammetto, corse a Zane. Con un gesto automatico portai la mano alla bocca; sentivo ancora sulle labbra il sapore del suo bacio, per quanto tempo passasse non voleva saperne di andarsene, non si affievoliva nemmeno un po’. Zane era stato chiaro con me, quel giorno nel parco: ero ancora innamorata di Damian e se gli avessi dato modo di parlarmi, sarebbero stati cazzi amari. Però, dopo ciò che era accaduto tra noi, era come se Damian fosse sparito della mia mente, un errore madornale cancellato da una gomma purificatrice.
“Adesso che sei ubriaco? Ne sei sicuro? Già capisci poco da sobrio.”
Ora, tutti i miei pensieri erano concentrati su Zane. Su quello che sarebbe potuto accadere tra di noi; e sopra ogni altra cosa, quello che non avremmo mai avuto, ovvero un rapporto come quello di chiunque altro.
La risposta non si fece attendere. “Non sono ubriaco e non capisco perché devi offendere. Comunque, accetti?”
Con molta calma, finii di lavarmi i denti accuratamente; quindi legai i capelli e controllai allo specchio il mio volto. L’occhio mi cadde sulla bocca umida, e ancora una volta mi tornò in mente Zane. Anche allora, tutto ciò a cui riuscivo a pensare era Zane. Lo amavo? La risposta era no, ovviamente, senza alcun dubbio. Si trattava dunque di attrazione fisica? Dubitavo, avrei potuto trovare ragazzi altrettanto belli ma che mi dessero meno complicazioni di un amico del mio ex. E quindi…?
I ricordi della notte trascorsa in quel capannone riemersero vividi nella mia mente.
 
Dopo quel lungo bacio, io e Zane ci staccammo e rimanemmo per qualche istante immobili l’uno di fronte all’altro. Mi aspettavo che lui dicesse qualcosa; ed invece si era limitato a stringermi nuovamente a lui, infilandomi nuovamente la lingua in bocca. Le sue mani iniziarono a salire e scendere lungo la mia schiena, senza però che osasse portarle in zone calde e pericolose. Infine le infilò tra i miei capelli, per tenermi meglio la nuca. Dopo qualche minuto di petting, capii che se non avessi fermato io l’uomo senza volto, prima o poi le sue mani si sarebbero infilate sotto la felpa. Così, con un gesto dolce ma deciso, lo staccai da me.
-Però, per essere un uomo senza volto baci davvero bene.
-Lo stesso posso dire di lei, signorina.
-Ora sarà meglio dormire, però.- replicai, tornando verso la poltrona e lasciandomi cadere sopra.
La delusione nel volto di Zane, anche se coperto, fu palese. -Certo.- replicò piccato, prima di sdraiarsi a propria volta sul divano affianco.
Sentendomi un po’ in colpa, prima di addormentarmi gli dissi: -Domattina faremo una bella colazione sostanziosa per farci passare la sbornia.
-Attenta in quello che si impegna, domattina le farò mangiare tante di quelle calorie che starà male.
-Allora si dovrà prendere cura di me anche tutto domani.
-Penso non sarà così tremendo.
-Mmmm, posso essere molto viziata, quando voglio.
La mattina dopo, quando Zane si era alzato, io ero già in piedi da quel bel pezzo, con una maglietta a maniche corte e pinocchi di ricambio che mi ero portata dietro, perfettamente truccata e in ordine.
-Però.- commentò Zane stropicciandosi gli occhi. –Non finirò mai di stupirmi della capacità di voi donne di sembrare umane di prima mattina con appena un po’ di trucco.
-Posso truccare anche te, se vuoi.
-Grazie, penso che passerò.
-Ehi, Zane. Sai cosa mi è successo ieri sera, dopo che ti sei addormentato?
-Cosa?
-Si è presentato un tipo che ha detto di essere un “uomo senza volto.”- fu pronunciando quelle parole che mi voltai verso Zane. Prima, mentre rassettavo la stanza, gli avevo sempre dato le spalle.
Il suo viso era dominato da un’espressione di sorpresa, probabilmente si stava domandando dove volessi andare a parare. –Sì?
-Già. Mi ha baciata.
-Uh.
-Baciava abbastanza bene. Gli ho promesso che ci saremmo rivisti.
-Ne sarà stato felice.
-Chi lo sa. Lo spero. Io vorrei rivederlo. Però, prima di poterlo fare, devo sistemare qualche faccenda.
Zane, alzatosi, prese a raccogliere in modo poco convinto i vestiti che aveva buttato alla rinfusa sul pavimento. –Damian?
-Direi proprio di sì. Adesso più che mai, sono convinta di doverlo incontrare.
-Mmmm. Sai cosa ne penso.
-Sì, lo so perfettamente. E ti ringrazio perché ti preoccupi per me.
-Ma no…
-Però voglio poter tornare dal mio uomo senza volto a testa alta. E solo chiudendo una volta per tutte con quello lì posso riuscirci.
-E immagino non ci sia modo di farti cambiare idea.
-Proprio così.- Guardavo Zane dritto negli occhi, parlando con una determinazione che ormai da molto tempo mi era estranea e che invece era sempre stato il mio modo solito di affrontare le persone e la vita. –Né i miei genitori che vogliono tenermi a casa da Madrid, né tu riuscirete a fermarmi.
-Ne dubito anche io.- Zane scosse la testa, ridendo. Quindi indicò con un cenno della testa la sua bici appoggiata lì di fianco. –Allora, andiamo a mangiare quei carboidrati di cui dicevamo prima?
-Agli ordini!
Mentre ci avviavamo verso la bici, con le borse sulle spalle, Zane mi lanciò uno sguardo carico di sottointesi. –Allora, parlami un po’ di questo signore senza volto.
-Cosa vuoi sapere esattamente? Che cosa abbiamo fatto?
-Più che quello, perché non mi dici cosa avresti voluto ti facesse?
-Oh-oh-oh. Che domanda pericolosa. Se ti mento sarò costretta a bere?
Così, sparando un’idiozia dopo l’altra, salimmo sulla bici e ci allontanammo da quel capannone che, silenzioso, avrebbe mantenuto per sempre il segreto di ciò che era accaduto nella notte tra me e Zane appena passata.
 
Tornai di colpo al tempo presente. Il messaggio di Damian lampeggiava ancora sullo schermo del mio cellulare. Mi accorsi che avevo paura; un timore irrazionale che, quando me lo fossi ritrovata di fronte, il sentimento che ancora mi legava a lui tornasse a divampare più potente che mai e mi facesse cadere di nuovo nella sua trappola. Strinsi forte tra le mani il cellulare. “No, mi dissi, andrà tutto bene. Ormai, non puoi più tornare indietro”. Zane mi attendeva a casa, gli avevo promesso che appena sistemate le cose con Damian avrei rincontrato il mio uomo senza volto. E come aveva detto lui una delle prime volte in biblioteca, ero una donna di parola, io; non avrei lasciata inadempiuta la mia promessa.
“Va bene. Tra due minuti fuori”, digitai in fretta. Inviai. Ormai non potevo più tornare indietro. Era ora di chiudere quella partita una volta per tutte.  
 
Nemmeno venti minuti dopo, mi richiusi la porta della stanza alle spalle. Era stata la scena più patetica a cui avessi mai assistito. Damian a stento si reggeva in piedi tanto era ubriaco; io lo fissavo in silenzio, ascoltando le ennesime bugie che voleva propinarmi: mi parlò del fatto che temeva di essere bocciato; di quando era rimasto coinvolto in una rissa, al mare, e uno dei suoi migliori amici aveva rischiato di morire e che ora viveva su una sedia a rotelle; sul nemico che lui stesso aveva mandato in coma, e che ora per questo rischiava la galera. Io ascoltai tutto quello che aveva da dirmi in silenzio, ponendo solo qualche secca domanda quando il racconto si faceva troppo confuso. Aggiunse che era convinto Tommy fosse ancora innamorato di me e volesse approfittare della nostra temporanea rottura per portarmi via da lui; che aveva detto certe cose davanti a lui per vedere se me le sarebbe venute a riferire o no, cosa che poi aveva fatto. Anche allora, io rimasi in silenzio; fu difficile trattenermi dall’osservare che stava facendo tutto da solo e che Tommy non c’entrava assolutamente nulla col fatto che mi stesse perdendo.
Dopo che ebbe finito, mi alzai dallo scalino su cui ero appollaiata. –Bene, ti ringrazio.- Quindi mi avviai verso la mia stanza.
-Come? Tutto qui?
-Direi che non si sia altro da aggiungere.
-Ma…
-Buonanotte, Damian.
-Sei una gran stronza, sai?! Dopo tutte le scene che hai fatto per parlarmi, mi molli così?!
-Per tornare da me dovevi approfittarne finché avevo ancora gli occhi coperti di prosciutto; l’errore è stato tuo. Ora ti vedo per quello che sei: una grassa foca vittimista del cazzo.
Damian era rimasto ammutolito. Probabilmente non aveva capito che la metà delle cose che gli avevo detto. –Che significa?
-Che ti auguro la buonanotte. E ti prego di girarmi alla larga, d’ora in poi. Sei una persona che non può darmi assolutamente nulla, quindi penso sia meglio per entrambi troncare ogni rapporto. Ciao, Damian.
E così ero tornata dentro. Mi sentivo talmente leggere che avrei potuto mettermi a correre e saltare in mezzo alla stanza. Ce l’avevo fatta! Mi ero liberata di lui, una volta per tutte! E non avevo tentennato nemmeno una volta! Ero così eccitata che non sarei mai riuscita a dormire. Così mi infilai nel bagno, mi sedetti sul water e aprii Whatsapp; anche se erano le due e mezza di lunedì notte, doveva esserci qualcuno sveglio, a casa. Quando aprii la chat si Zane, il suo online mi fece balzare il cuore in gola. Senza un attimo di esitazione attivai la chiamata via internet.
Lui rispose dopo nemmeno un istante. –Alice.
-Zane. Che ci fai ancora sveglio?
Un sospiro dall’altro capo del telefono. –Ecco… Damian mi ha informato qualche ora fa che voleva parlarti. Così… sì, insomma, sono rimasto sveglio ad aspettare notizie.
Scoppiai a ridere. –Non ci credo! Quel cretino!
-Ehm… siete tornati insieme, quindi?
-Cosa?
-Mi sembri parecchio felice e da come parli di lui…
-Sei completamente fuori strada! Gli ho appena dato il ben servito!
-Davvero?
-Sì, ed è stato uno dei momenti migliori della mia vita! Sono così felice che non riuscirò mai a prendere sonno. Per questo ho iniziato a vedere se trovavo qualcuno ancora sveglio!
-Be’… hai trovato me.
-Sì, esatto. E ti dirò. Sono felice che tu sia la prima persona a cui l’ho rivelato.
-Anche io, Alice.
-Vuoi sapere cosa mi ha detto?
-No, per favore. Mi ha già abbastanza disgustato con il suo comportamento fino ad oggi, non voglio sapere altro.
Appoggiai la testa contro la parete del bagno freddo. –Adesso basta parlare di Damian, però. Non voglio pensarci più, mai più. Da questa sera è una storia chiusa. Che cosa stavi facendo prima che ti chiamassi?
-Giocavo alla play.
-Giusto, domanda scontata.
-E pensavo a te.
Trattenni il respiro e strinsi con più forza il cellulare. 
-Anche questo era scontato?
-No.
-Quando tornerai dalla gita?
-Giovedì sera.
-Credo che dovremmo vederci. Cioè, che dovresti incontrare il tuo uomo senza volto, come da promessa.
-Sì, credo anch’io.- gli diedi ragione con la gola stretta in una morsa. –Dove?
-Mi ha detto che sabato mattina si troverà a Bologna per alcune commissioni. Se tu prendessi il treno di mezzogiorno? Potreste mangiare insieme e farvi un giro in tutta calma.
-Mi sembra una buona idea.
-Perfetto.
-Zane.
-Mmm?
-Esattamente che cosa pensavi di me, poco fa?
-Che ero preoccupato. Ti vedevo già tra le braccia di Damian e non potevo sopportarlo. Sei meravigliosa, e non meriti che uno stronzo simile ti prenda in giro di nuovo.
Trattenni ancora il fiato. D’improvviso, il mio entusiasmo scese di una tacca. Zane, non potevo scordarmelo, era pur sempre un amico di Damian, e questo doveva pur significare qualcosa;  da quel poco che sapevo delle sue scorse relazioni con il gentil sesso, ne traevo la conclusione che fosse inaffidabile quanto se non più del mio ex. Stavo forse allontanandomi da un disastro per attirare a me una calamità ancora maggiore? Probabilmente era così, ma in quel momento non mi importava.
-Non dovresti essere dispiaciuto per il tuo amico?
-Lo sono, infatti, perché ha perso un’occasione che non gli si presenterà mai più nella vita. E se adesso non lo capisce, prima o poi se ne renderà conto e si roderà le mani.
-Che ruffiano!
-Domani gli scriverò fingendo di non sapere nulla. Però non gli dirò che mi dispiace, e che speravo ce l’avrebbe fatta, perché sarebbe una bugia.
Ancora appoggiata alla parete del bagno, socchiusi gli occhi. In quel momento non avevo voglia di pensare a nulla, assolutamente a nulla; niente preoccupazioni o ansia per Zane, notti in bianco a chiedermi quali fossero le sue reali intenzioni. Semplicemente, saremmo usciti a Bologna insieme; ci saremmo baciati e forse saremmo andati anche oltre. Non mi interessava. Volevo solo vederlo, semplicemente quello. Sentirmi tranquilla al suo fianco, a quel ragazzo da cui ero legata con uno strano rapporto che non rientrava né nella categoria di amicizia né in quella amorosa. Sapevo solo che avo bisogno di lui. E questo bastava.
-Zane.
-Sì?
-Ho voglia di vederti. Non vedo l’ora che sia sabato.
-Anche io, ragazzina, anche io. Torna presto da Madrid. 

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Capitolo 8
*** 8. Uscire da una tempesta per gettarsi in un ciclone ***


8. Uscire da una tempesta per gettarsi in un ciclone
 
La stazione dei treni pullulava di persone in movimento. Appoggiato alla parete accanto al bar all’uscita, attendevo. Era il punto di incontro stabilito con Alice, quello. Sentivo il cuore battermi a mille, mentre scrutavo la folla per individuare un cespuglio di capelli ricci e biondi avanzare verso di me. Il suo treno era arrivato da qualche minuto, lei sarebbe dovuta essere lì a breve. Un po’ avevo paura di quello che sarebbe potuto accadere, anche perché io per primo non avevo idea di come mi sarei dovuto comportare o di cosa lei si aspettasse da me. Distolsi per qualche istante gli occhi dalla folla per concentrarmi sullo schermo del cellulare: nessun messaggio o chiamata. Dov’era finita…? 
Quando tornai ad alzare lo sguardo, me la ritrovai di fronte che avanzava a passo sicuro. Indossava stivaletti con un tacco abbastanza alto e spesso, pantaloni blu scuro e attillati e una camicia che le stava a pennello, sotto ad una giacca stretta in vita. Era dannatamente sexy, ben truccata e coi capelli stirati che le arrivavano fin quasi al sedere; non mi ci volle molto a capire che se si era tirata a tal punto era esclusivamente a vantaggio mio. Si era messa carina per me, e solo per me.
-Buongiorno.- mi salutò fermandosi a qualche passo da me. Con un gesto calmo si tolse gli occhiali da sole.
-Buongiorno.- le risposi con un filo di voce.
-Tutto bene? Sembri strano.
-No… cioè, sì. Sì, sto bene.
-Ottimo.- Le labbra di Alice si stirarono in un sorriso; sembrava davvero più serena e rilassata dell’ultima volta. –Hai detto che sapevi già dove portarmi a pranzo. Andiamo? Sto morendo di fame.
Mentre ci avviavamo verso il ristorante tipico che mi ero fatto consigliare da uno dei miei amici di lì, ascoltai Alice che mi raccontava entusiasta di tutte le bellezze di Madrid. Dacché era arrivata, non ci eravamo nemmeno sfiorati. Lei continuava a chiacchierare e ridere, guardando fisso davanti a sé, mentre io non potevo che lanciarle occhiate perplesse. Una volta dentro, pranzammo in modo discreto, continuando a chiacchierare del più e del meno. Quando arrivò il momento di pagare, sfoderai la carta di credito; avevo dovuto pregare la mia matrigna quattro giorni per avere un anticipo sufficiente sulla paghetta (ridotta all’osso per via delle mie pessime performance agli esami) da permettermi di portarla a mangiare in un posto che non fosse il McDonald’s.
-Che stai facendo?- domandò subito Alice non appena notò la mossa.
-Te l’ho già detto, non esiste che faccia pagare ad una ragazza quando usciamo.- Il ch, era anche piuttosto vero; anche se alle precedenti ragazze, piuttosto raramente, avevo offerto tutt’al più un drink o l’aperitivo. Era la prima, forse la seconda volta che offrivo il pranzo ad una donna.
-Anche tu con questi atteggiamenti da maschio alfa?
-Si chiama “galateo”, ragazzina.
-Scusami tanto. Nemmeno fosse un appuntamento!
-Ma questo è un appuntamento.- la corressi; non appena ebbe udito queste parole, si zittì immediatamente ed ebbi modo di pagare senza ulteriori interruzioni. Sembrava avesse messo il broncio, come avrebbe fatto una bambina a cui è stato proibito di guardare il suo cartone preferito. Mi piaceva sentirla parlare del più e del meno come aveva fatto sino ad allora; tuttavia, non riuscivo a pensare ad altro che al momento in cui avremmo affrontato l’argomento che entrambi sapevamo di dover trattare.
Una volta usciti dal ristorante, ci accorgemmo immediatamente che il flusso di gente che si accalcava nei portici e sulla strada era così intenso da risultare claustrofobico. Per due volte rischiammo di perderci di vista in pochi metri. –Dove sta andando tutta questa gente?- domandò Alice incuriosita, quando ci fermammo attaccati alla parete per evitare di essere separati.
-Me n’ero dimenticato! Oggi c’è una manifestazione politica piuttosto importante qui nel centro!
-Ah… questo significa niente shopping, immagino.
-Andiamo nel parco.- le dissi; quindi, senza guardarla, le presi la mano. Era piccola e morbida, più minuta di quanto avessi immaginato fino ad allora. Le sue dita si intrecciarono alle mie con naturalezza. –Là potremo parlare tranquillamente.
Girai alla prima laterale che mi si presentò davanti. –Le tue mani sono caldissime.- commentò dopo poco Alice, aumentando appena la presa.
-Sono le tue ad essere fredde. Sei vestita poco.
-Penso che se non avessi gli stivali alti dovresti piegarti un po’ per tenermi la mano.
-Riesci a starmi dietro con quei trampoli?- mi premurai subito di chiederle, dal momento che stavo mantenendo un’andatura piuttosto rapida per allontanarci il più in fretta possibile dalla calca.
-Sono abituata, dopo tredici anni di danza classica camminare su questi non è niente.
-Anche tu, mi spieghi perché ti sei messa quei cosi per andare in treno?- In realtà credevo già di sapere la risposta, ma volevo esserne certo.
-Tu sei altissimo, volevo almeno arrivarti alle spalle, se mi riusciva. E anche che mi trovassi carina.
Dopo aver svoltato in direzione del parco, ci fermammo a causa di un semaforo rosso assieme ad un gruppo di ragazzi di circa quindici anni. Con un certo orgoglio notai che la stavano guardando tutti in modo piuttosto ammirato. –Davvero?
-Sì. Quindi?
-Quindi cosa?
-Mi trovi carina?!- sbuffò spazientita Alice, probabilmente irritata di aver dovuto ripetere la domanda due volte.
-No, non direi.- replicai quindi con molta calma, girandomi verso di lei, che mi era di fianco. Un’espressione di stupore e disappunto si dipinse sul suo volto. –Non carina. Sexy. Ti trovo molto sexy.
Alice aprì la bocca, senza emettere alcun suono. Il semaforo da rosso era divenuto verde, e la gente in attesa attorno sfrecciò sulla strada per passare dall’altro lato. Ma non noi. Sporgendomi verso di lei, avevo dato un bacio rapido ad Alice. Dopo quel gesto, riprendemmo il cammino in silenzio. Il parco si apriva sconfinato davanti a noi. In silenzio, come una qualsiasi delle coppie che si scorgevano attorno a noi, imboccammo l’entrata e ci sistemammo sulla prima panchina appartata che trovammo, protetti alla vista da una fitta muraglia di cespugli e alberelli.
Le sarei saltato addosso nel momento stesso in cui ci sedemmo, ma qualcosa nel suo contegno mi suggerì che era la mossa sbagliata da fare, con una come lei. Lentamente, Alice si tolse la giacca, la piegò accuratamente e la posò al suo fianco, per poi ravvivarsi i capelli. Il sole caldo di maggio illuminava la sua figura facendola risplendere di una luce quasi divina. Solo dopo quei gesti calcolati, lei si voltò verso di me. –Quindi.- iniziò con un sorriso. –Finalmente ci rivediamo, signor uomo senza volto.
-Eh già.- risposi con un filo di voce. Ora che finalmente era giunto il momento tanto atteso, tutti i discorsi che mi ero preparato in quei cinque giorni d’attesa erano scomparsi dalla memoria. Rimaneva solamente la presenza di lei al mio fianco e il suo profumo penetrante.
Alice allungò una mano e iniziò a giocherellare con le mie dita. –Siamo proprio una coppia di cretini.- sentenziò quindi. –Ne convieni?
-Mi trovi abbastanza d’accordo.
-Ne ho parlato con la mia migliore amica, la stessa a cui aveva scritto Damian. Mi ha detto che sono pazza e di lasciare perdere. Credo abbia ragione…
-No!- esclamai di botto. La mia mano si era stretta attorno alla sua con forza. –Non ci penso nemmeno a lasciar perdere!
-E quindi? Cosa dovremmo fare? Stare insieme?
-Io… non so…
-Scopare? Vederci ogni tanto, quando riusciamo? Scappare in un’altra città? Andare a vivere insieme?
Alice elecava quella serie di ipotesi a macchinetta, in modo casuale e all’apparenza senza alcun intento ironico, ma contemporaneamente nemmeno prendendo seriamente in considerazione quello che stava dicendo. –È così importante dare un etichetta a quello che c’è tra noi?
-In un primo momento, quando ti ho telefonato a Madrid e quella sera nel capannone, credevo di no. Che in fondo non m’importava. Amore, attrazione, amicizia: che senso aveva stare a scervellarsi su una cosa simile?
-E cos’è cambiato, adesso?
-È cambiato che sono stufa della confusione in cui ho vissuto gli ultimi due mesi. È giunto il tempo per me di iniziare a rimettere insieme i pezzi, e non posso farlo se esco da una tempesta per gettarmi in un ciclone. Capisci?
-Sì, capisco.- Certo, quello che stava dicendo era chiaro e assolutamente giusto. Aveva senso. Ma non riuscivo ad accettarlo, questo non sarebbe mai successo.   
-Riflettici, Zane. Se penso a me e te, tutto quello che mi viene in mente sono le cose che non avremo mai e i problemi che si presenteranno alla porta.
-Sì, lo so che non sarebbe semplice…
-Cosa vuoi tu da me?- mi domandò a bruciapelo Alice, dopo essersi alzata e aver preso a passeggiare avanti e indietro. Il suo tono di voce non era acido né accusatorio, semplicemente curioso.
-Io… nel senso…
-Non lo sai nemmeno tu, vedi? Non possiamo continuare a essere amici e basta? Parlare in biblioteca e fare qualche serata di bevute insieme nel capannone? Non basta questo?
-No!- risposi con tono sicuro. Alice si voltò verso di me; non so perché, ma qualcosa mi disse che mi stava mettendo alla prova, che volveva capire quali fossero le mie reali intenzioni con lei. –Non mi basta questo. Io voglio te.
Alice socchiuse gli occhi e sospirò. –Stare insieme?
-Anche. Ma non solo questo. Non so come spiegarlo.
-E le tue scopa-amiche?
-Le ho già smollate.
-Non era questo che volevo sapere.
-Che cosa ti serve quindi? Che cosa devo dirti per convincerti che sono serio?
-Non capisci? Zane, se comincio… qualsiasi cosa con te sarò messa uguale se non peggio a quando stavo con Damian.
-Però lo vorresti, non è vero?
-Forse. Ma qua il punto non è quello che voglio, altrimenti sarei tornata da Damian strisciando.
Sapevo che stava dicendo la verità, che una piccola parte di lei era ancora legata a Damian, al tempo trascorso con lui; però mi fece male lo stesso sentire Alice ammetterlo così ad alta voce.  –Ma vorresti stare anche con me. È inutile che dici “forse”, so che è così.   Altrimenti non ti saresti messa in tiro perché ti trovassi carina.
-Questo è solo orgoglio femminile.
-Cazzate, lo sappiamo entrambi. Mi sembra di averti già dimostrato che ci tengo a te, che mi preoccupo di quello che ti succede.
-Anche Damian all’inizio lo faceva. Poi hai visto com’è andata a finire.
Alice mi fissava torva ritta in piedi davanti a me, con le braccia incrociate sul petto. Stava sulla difensiva, era piuttosto ovvio; anche se il suo tono era sempre gentile e rideva nei momenti giusti, senza cattiveria, capivo benissimo quanto fosse difficile per lei affrontare quella discussione. Che stupido ero; come avevo fatto a dimenticarmi che Alice portava ancora fresche nel cuore le ferite della storia con Damian? Non volevo chiudere con lei, ma l’ultima cosa che desideravo era metterla a tal punto in difficoltà. Così mi alzai e mi avvicinai a lei per poi posarle una mano sul braccio. Alice sussultò a quel tocco, ma non si scostò.
-Hai ragione, scusa.
-No, scusa tu. È un insulto paragonarti a quello. So che non dovrei, ma faccio davvero molta fatica a fidarmi di qualcuno, in questo momento.
-Soprattutto di me.
Alice esitò. -Sì, soprattutto di te.
-Credo sia piuttosto comprensibile, in realtà. Però non ti chiedo molto.
-No?
-No. Dammi solo un mese. Un mese per dimostrarti che so prendermi cura di te e che anche se non potremo far sapere subito a tutti di noi… ne varrà la pena.
-Zane…
La presi per la vita e la baciai con passione; Alice non cercò di divincolarsi, anzi se possibile si avvinghiò con ancora più forza a me.
-Sei scorretto, però. Chiedermi una cosa simile e poi baciarmi.
-Voglio solo mostrarti che non sei coerente con quello che dici.
-Non mi metti nelle condizioni di esserlo.
La strinsi con più forza a me, ridendo. –Se essere scorretto è l’unico modo per ottenere una misera chance di conquistarti, non ho problemi.
Alice aveva appoggiato le mani sul mio petto e si era messa a giocherellare con uno dei bottoni della chiusura. –Se volessi essere scorretto ci sono tante cose che potresti fare per convincermi…- mormorò col viso a pochi centimetri dal mio. Sembrava essersi rassegnata al fatto che non volevo saperne di lasciarla andare.
-Eccitante.
-Parlavo di massaggi alla schiena e ai piedi, pervertito.
-Quelli sono scontati, ma il mio servizio include anche molti extra piuttosto gradevoli.- Per provare le mie parole mi piegai verso di lei e cominciai a mordicchiarle il collo. Alice rise.
-Mmm, i tuoi extra prevedono di farmi il solletico?
Mi staccai da lei con una finta faccia arrabbiata. –Questi sono solo i preliminari.
-Sono curiosa, allora.
-Attenta a quello che dici, o non mi tratterrò più.
Alice mi lanciò uno sguardo malizioso. –Nessuno ti ha mai detto di farlo.
Non appena ebbe pronunciato quella frase la trascinai di forza alla panchina e senza tanti complimenti iniziai a baciarla e a infilare le mani in tutti i posti che potevo raggiungere senza spogliarla. Dopo cinque minuti, si staccò ansimando e chiedendomi una pausa. Quindi si accoccolò in braccio a me; una parte della sua gamba aveva strusciato all’altezza del cavallo dei miei pantaloni, quindi era impossibile non avesse sentito quanto ero eccitato, però non commentò.
Usando la fotocamera del cellulare, controllò la situazione del suo collo, su cui spiccavano due enormi succhiotti. –Però.- commentò quindi ridendo. –Niente male. Per un po’ non potrò andare in giro scollata.
-E fallo. Chissene importa.
-Ti ricordo che non posso dire a nessuno che mi vedo con te. E siccome non voglio passare per la troia di turno… penso che andrò di sciarpa.
Iniziai ad accarezzarle la parte bassa della schiena. –Alle tue amiche puoi dirlo.
-No. Ho deciso che lo manterrò un segreto. Se cominciassero a farmi notare che questa è una cazzata ancora peggiore della storia con Damian mi sentirei in colpa per loro; vogliono solo il mio bene, alla fine.
-Non credo che sia un complimento, questo…
-Infatti. Ma lasciamo stare le discussioni. Dove eravamo rimasti…?
Cogliendo subito la palla al balzo, allontanai dalla mia mente tutti i pensieri e tornai ad immergere tutto il mio essere nell’odore di Alice. 

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Capitolo 9
*** 9. La donna che può e vuole diventare ***


9. La donna che può e vuole diventare
 
“Ehi, ti va di venire a casa mia domani sera? I miei sono fuori, puoi passare la notte da me”; il messaggio di Zane scintillò sullo schermo del mio cellulare. Dopo una rapida occhiata, lo girai e tornai a dedicarmi sul libro che avevo davanti. Accidenti, quella sì che era una brutta situazione. Provai a concentrarmi sulle parole stampate, ma con scarso successo. La mente non faceva che tornare alle due settimane appena trascorse e all’invito per la sera successiva.
Con Zane le cose andavano bene. Ci sentivamo sempre per messaggio, cominciando la giornata con un buongiorno un po’ timido e terminandolo con una buonanotte molto più calda. Eravamo usciti tre volte, sempre fuori dal centro per non ritrovarci in “zona Damian”; prendevamo un caffè, seguiva una passeggiata nel parco tenendoci per mano e concludevamo limonando su una panchina. Non era male, come programma.
Però quell’invito ovviamente mirava a qualcosa di ben preciso, che io non ero sicura di essere pronta ad affrontare. Zane sapeva che non ero ancora andata a letto con nessuno e avevo letto da qualche parte che gli uomini adorano le vergini, gli dà la sensazione di essersi impossessato di una parte intima di loro, se riesce a rubare la loro prima volta. E Zane mi piaceva molto, però non mi fidavo ancora così tanto di lui. Certo, per quel sabato non dovevo preoccuparmi, perché avevo già acconsentito ad andare a ballare con un’amica… ma come mi sarei comportata la prossima volta che me lo avesse chiesto? Dovevo parlargli e illustrargli le mie riserve, o ci avrei solo fatto la figura della puritana? Mi passai entrambe le mani sul viso, sospirando.
Quando le tolsi e tornai a riaprire gli occhi, mi accorsi di non essere più sola. –Stai davvero ignorando i miei messaggi come sospettavo, allora.
Zane si avvicinò di un passo al tavolo della biblioteca su cui ero praticamente sdraiata. Non riuscii ad evitare che un’espressione colpevole mi si dipingesse sul volto. –Era così ovvio?
Lui sorrise appena. Quindi si accomodò sulla sedia accanto alla mia, dopo averla avvicinata. –No, in realtà. Rispondi solo meno e in modo più ambiguo e stringato del solito. Non è così ovvio. Però ormai ti conosco.
-Ci parliamo praticamente da cinque settimane, e i primi sette giorni non valgono perché non facevo che insultarti. Cosa ne vuoi sapere di me?
-Evidentemente abbastanza, visto che ho capito che mi stai evitando.
-Non ti sto propriamente evitando.
-Però...?
-Be’…
-Concludo io: però la mia proposta ti ha messo in difficoltà.
-Ma no!- provai a dire. -… sì.- mi arresi subito dopo.
-E sai cosa?  Capisco che potesse essere fraintesa.
-Non è che non mi piaci, Zane.
-Ok, evita uscite come queste, sembra che mi stai lasciando.
Piegai appena in avanti la testa, senza riuscire a reprimere un sorriso. –Scusa, ma davvero. Non mi sento pronta per andare fino in fondo.
-E infatti non è quello che voglio. Però possiamo almeno dormire insieme, no?
-Cosa?- mi accorsi di aver riso con troppa forza e che parecchie teste si erano voltate nella nostra direzione, per poi abbassarsi. Ormai eravamo conosciuti tra i frequentatori della biblioteca come i due rompiballe e la quasi totalità di loro si era rassegnata alla confusione che facevamo quando eravamo insieme. Però piacevamo come coppia, quindi nessuno ci aveva ancora detto nulla. –Zane, dai. Nessuno ci crederebbe.
-Perché no?
-Vuoi davvero solo dormire?
-Ovvio che no, scema. Vorrei fare un sacco di altre cose con te su un letto. Credimi, non puoi nemmeno immaginare quante. Però, finchè non lo vuoi anche tu… be’, mi sparerò dei gran porno e basta.
-Sei matto.- fu l’unico commento che mi venne in mente.
-Credo anch’io. Allora, siamo d’accordo?
-È che ho già promesso a Kate che sarei andata al Pool con lei…
-Kate? Quella che abita vicino a me, in centro?
-Sì…
-Perfetto, allora! Dì ai tuoi che vai da lei a dormire e quando uscirete vi verrò a prendere quasi là davanti.
Gli lanciai un’occhiata sospetta. –“Quasi” davanti?
Prima di rispondere Zane distolse lo sguardo. -Ci potrebbe essere gente che conosco al Pool…
-Già.- abbassai a mia volta lo sguardo. Non avevo il diritto di sentirmi così delusa. Sapevo sin dal momento in cui avevo accettato di dare un mese a quella storia assurda che le cose non potevano che andare così, e in nessun altro modo. Eppure, non riuscivo a non avvertire una punta di insofferenza. –Non ci avevo pensato, scusa.
-Alice…
-Va bene così, Zane.- gli assicurai, azzardando un sorriso e cercando di apparire sicura di me. –Allora, a che ora vogliamo fare sabato?
Senza dire una parola, Zane mi prese il viso tra le mani e mi baciò. In quel momento, ogni cosa andò al suo posto; non immaginavo che la scelta che avevo appena preso avrebbe segnato la mia vita in modo radicale.
 
Quella sera la discoteca si riempì all’inverosimile; comprensibile, d’altronde, dato che era una delle ultime settimane di giugno. Tutti i ragazzi più piccoli ancora in città si riunivano alla Pool il sabato sera per divertirsi e festeggiare adeguatamente l’inizio dell’estate. Ovviamente, c’era anche parecchia gente che come me si trovava nel bel mezzo degli esami. Forse non era un’idea brillante quella di andare a festeggiare proprio allora, ma il mio esame era fissato tra due settimane e dopo aver preso quasi il massimo del punteggio agli scritti… be’, mi meritavo un po’ di sano divertimento. Kate, che potevo definire la mia migliore amica, era l’essere umano con cui in quel periodo avevo contatti più volentieri; l’unica che conoscesse dal primo all’ultimo minuto della mia storia con Damian e che sapeva dell’esistenza di Zane (avevo provato a mentirle a riguardo, raccontandole che avevo chiuso anche con lui, ma ovviamente mi conosceva bene e non si era fatta fregare).
Dopo due drink eravamo entrambe allegre e felici al punto giusto e ci ritrovammo a ballare come pazze tra di noi; venivamo universalmente considerate (e ne eravamo consapevoli) come belle ragazze, gli occhi di tutti i maschi attorno a noi ci erano puntati addosso e la cosa non ci infastidiva minimamente. Metti una bella ragazza scatenata e che vuole divertirsi, e aggiungi pure che non sembri una tipa facile da quel punto di vista e il piatto è servito. Anche se non me ne vantavo in giro, mi faceva piacere che i ragazzi mi guardassero.
Dopo una scappata al bagno, verso mezzanotte e mezza, io e Kate ci ributtammo nella mischia. Non passarono nemmeno cinque minuti che lei sbiancò in volto, cosa di cui mi accorsi nonostante l’oscurità. La guardai preoccupata perché mi spiegasse. Kate biascicò qualcosa di confuso, che ovviamente non riuscii a capire a causa della musica frastornante. A quel punto, avvicinandomi a lei con uno strattone, esclamò: -Zane è qui. E non è da solo.
Mi voltai di scatto nella direzione verso cui lo sguardo di Kate era fisso. E mi si gelò il sangue nelle vene. Aveva ragione. Zane era appena arrivato. E non da solo. –Merda…- mormorai. Anche in mezzo alla confusione, credo che Kate percepì il tremore della mia voce, perché mi prese immediatamente la mano. –Vuoi che ce ne andiamo?- mi alitò nell’orecchio.
-No.- risposi subito, scuotendo la testa. –Perché dovrei scappare? Non ho fatto nulla di male a Damian e mi basterà ignorare Zane finché sarà con lui.
-Alice, questa storia non andrà a finire bene.
-Stai tranquilla, Kate. Anzi, sai che ti dico? Passiamoci pure davanti, voglio vedere se si azzarda solo a guardarmi.
Kate, un po’ con delle suppliche e un po’ minacciandomi, riuscì a farmi desistere dall’intento, ma ci spostammo a lato in modo da riuscire a parlare senza avere i soliti maschi idioti che cercano di palparti sulla pista da ballo.
-Ma non doveva venirci a prendere all’uscita?
-Evidentemente il programma della serata è cambiato. Ho lasciato il cellulare a casa, non aveva modo di avvertirci.
-Sì, certo che però poteva evitare di venire proprio qui con quel pattume camminante.
-Dio, Kate, è per questo che ti amo.
-Lo so, lo…
Fu allora che le voci ci interruppero. Nonostante la musica e la confusione, raggiunsero le mie orecchie e mi rimbombarono in testa come se mi fossi trovata in una radura deserta. –Stronza!
-Sparisci, racchia!
-Porta la tua faccia da troia da qualche altra parte!
Mi voltai lentamente. Il gruppo di Damian si trovava a poca distanza tra noi. Di nome li conoscevo tutti, dal primo all’ultimo gente che non potevo soffrire. Il mio ex se la rideva di gusto, completamente ubriaco. Ma ancora peggio degli insulti e della sua faccia compiaciuta era il fatto che Zane, con gli occhi fissi su di me, era quello che gridava più forte di tutti. In un attimo lessi tutto quello che non poteva dirmi a voce: il rimpianto per ciò che stava facendo e anche le motivazioni. Era stata un’idea di uno degli altri per vendicare Damian e il modo in cui l’avevo rifiutato in gita; e ovviamente tutti avevano approvato. Perché avrebbero dovuto provare la minima compassione per me? E se solo lui si fosse tirato indietro, avrebbe destato sospetti sconvenienti. Lessi tutto questo nei suoi occhi, unito al rimorso e seppi che non credeva nemmeno ad uno degli insulti che mi stava tirando addosso. Però, con la stessa certezza, seppi che quella era la fine.
Kate non rimase inerte come me e subito si scagliò come una furia contro al gruppo di idioti, che si disperse rapidamente con risa di scherno. L’unico a non muoversi di un millimetro fu Zane, che mi rimase davanti imbambolato. Gli sorrisi dolcemente, l’ultimo gesto di gentilezza che promisi gli avrei riservato. Non lo odiavo affatto, anzi. Zane si era rivelato fondamentale per me, se non ci fosse stato lui al mio fianco, probabilmente sarei caduta nuovamente tra le braccia di Damian. E mi piaceva ancora, stavo bene in sua compagnia. Forse la scintilla che era scoccata tra noi un giorno avrebbe potuto tramutarsi in amore saldo e duraturo.
Ma la me stessa che sapevo di poter e volevo diventare, non avrebbe mai accettato una situazione simile. Così gli sorrisi, perché il giorno dopo avrei dovuto essere crudele con lui, per far crollare definitivamente il ponte che si era creato tra di noi. Non so se Zane lo comprese, ma per me la nostra breve storia terminò in quell’istante, non quando lo mollai il giorno seguente. Una frase mi rimbombò in testa e se prima l’avevo giudicata banale, solo allora mi resi conto di quanto fosse vera, in realtà: a volte è necessario rinunciare a fare ciò che ci renderebbe felici, e scegliere quello che è giusto per noi, quello che ci meritiamo. Zane era la felicità, in quel momento; e contemporaneamente la cosa giusta per me stessa era lasciarlo.
Mentre questi pensieri mi attraversavano la mente, mi avvicinai a Kate, che continuava a gridare ingiurie a destra e a manca. Posandole una mano su una spalla, senza smettere di sorridere un solo istante, le sussurrai: -Ora è il momento di andare, Kate.
-Alice…
-Va tutto bene. Non fare quella faccia sconvolta. Non è successo nulla.
-Quei figli di puttana…
-Senti, posso chiederti un favore?
-Certo, tutto quello che vuoi.
-Posso venire a casa tua come avevo raccontato ai miei?
Kate mi guardò per un lungo istante. –Certo.- mi rispose prima di abbracciarmi. La lasciai fare, lei mi strinse così forte che mi venne da chiudere gli occhi. L’ultima persona che mi aveva stretto a quel modo era Zane, anche lui a pochi passi di distanza, e immobile di fronte a me. E mi guardava spaesato come un cucciolo abbandonato a lato della strada. Ma non ricambiai quello sguardo, sarebbe stato troppo.
-Andiamocene.- ribadii staccandomi. Mi sentivo soffocare, dovevamo uscire da quel posto.
Kate non se lo fece ripetere. Scoccando un’ultima occhiata di traverso a Zane, mi prese per mano e si avviò a passo spedito verso l’uscita. Lasciai che mi trascinasse, sgombrando la mente dai pensieri che si accavallavano uno dietro l’altro. Uscimmo da quel posto con dignità, ed io non mi voltai nemmeno una volta indietro, nonostante sentissi gli occhi di Zane fissi su di me mentre mi allontanavo da lui definitivamente. 

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Capitolo 10
*** 10. Mentre lei si allontana, lui capisce di amarla ***


10. Mentre lei si allontana, lui capisce di amarla
 
Per circa quattro giorni non si era fatta viva. Subito dopo l’accaduto, l’avevo tempestata di messaggi durante la notte di sabato e per tutto il giorno dopo. Non mi aveva bloccato, il che era un grande sollievo. Significava che non voleva chiudere del tutto i ponti con me; non ancora, almeno. Semplicemente, visualizzava e non rispondeva. Provai ad adottare la strategia del “ti lascio sola a sbollire la rabbia; potrai contattarmi quando ti senti pronta”. Ed aveva funzionato: mercoledì sera, dopo quattro giorni di silenzio,  Alice mi scrisse per ordinarmi di presentarmi alle sette di sera di giovedì davanti alla biblioteca. L’avrei accompagnata a casa e nel frattempo avremmo parlato. Non persi l’occasione per chiederle come stava e come andava la preparazione dell’esame, ma lei ignorò le mie domande dalla prima all’ultima. Poco male, ci saremmo visti il giorno dopo; eppure, non riuscivo a liberarmi di uno spiacevole presentimento. Furono le ventiquattro ore più lunghe della mia vita; ovviamente, finii per ritrovarmi nel luogo dell’appuntamento alle cinque, ma non ebbi il coraggio di entrare. Non le avrebbe fatto piacere sapere che le avevo disobbedito. Così attesi col cuore in gola per altre due ore.
Alice uscì dalla biblioteca alle sette spaccate; mi venne da pensare che probabilmente anche lei stesse aspettando quel momento con ansia. Ciononostante, il suo viso non tradiva la minima emozione, impassibile come quello di un dipinto. Malgrado la maschera di serietà che mi spaventò parecchio, abituato com’ero a vederla sempre allegra e contenta, non riuscii a non pensare che era ancora più bella dell’ultima volta che ci eravamo incontrati. Mi individuò subito e con un cenno del capo mi invitò a seguirla.
-Ehi, ragazzina. Come te la pas…?
-Non sono molto in vena per i convenevoli.- mi bloccò subito, imboccando la via per il centro.
-Va bene, d’accordo. Certo, nessuno problema. È logico…
-Ti ringrazio per la comprensione.
-Sì, senti, però… Non lo considerare un convenevole, ma l’accordo non prevedeva che ti accompagnassi a casa?
-Sì, esatto.
-Be’, non voglio criticarti, ma … non stiamo andando nella direzione sbagliata?
-No, non direi.
-Ah… no?
-No, lunedì mi sono trasferita temporaneamente a casa di Kate. Starò da lei fino alla fine dell’esame, a casa no ce la facevo più. Mi sembrava di impazzire. Poi deciderò il da farsi.
-Cavoli, avresti potuto dirmelo…
-Ci ho pensato e dopo aver tirato le somme, mi sono accorta di non avere alcun motivo per farlo.
La voce di Alice divenne di colpo tagliente e gelida. Non riuscii a fare a meno di deglutire rumorosamente. –Capisco il tuo punto di vista. Però ora vorrai che tu capissi il mio…
-Ho pensato anche a quello in questi giorni.- mi fermò ancora una volta, sostando qualche passo di fronte a me. –E ho tratto alcune conclusioni.
-Senti, riguardo all’altra sera…
Alice non replicò, limitandosi a voltarsi con volto inespressivo.
-È stata una decisione presa all’ultimo minuto, quella di venire.
-Sì, immaginavo.
-Non sapevo come fare per contattarti.
-So anche questo.
-Non potevo non schierarmi con Damian, o avrebbe sospettato qualcosa. Anche se lui era ubriaco, molti tra noi avrebbero notato la cosa.
-Se mi fossi trovata al tuo posto avrei fatto la stessa cosa.
-Non penso nemmeno una delle cose che ti ho urlato.
-Di questo non ho mai dubitato.
Mi fermai, allibito. Se si fosse arrabbiata, se avesse gridato in preda all’ira, se mi avesse colpito con tutta la forza che aveva, mi sarei sentito come una merda, ma di fatto sarebbe stata una reazione comprensibile, con cui sarei persino stato d’accordo: aveva tutto il diritto di essere incazzata con me. Ma la reazione glaciale e controllata che Alice opponeva a ogni mia parola mi destabilizzava; mi terrorizzava, addirittura.
-Perché fai così?
-“Così”?
-Perché non ti arrabbi? Ne avresti tutto il diritto. Perché non mi dici che sono uno stronzo, così posso darti ragione?
-Non ti voglio dare questa soddisfazione. Anche perché non sono arrabbiata e non penso tu sia uno stronzo.
D’un tratto, dietro alla maschera gelida che indossava, scorsi un’incrinatura di cui cercai di approfittarmi immediatamente. –Non è tutto qui, non può essere tutto qui.- Feci un passo nella sua direzione, essendomi sorta la convinzione che se fossi riuscito a raggiungerla e a stringerla, sarei stato in grado di farla desistere da qualsiasi decisione avesse preso.
-Non ti avvicinare!- gridò Alice, tirandosi di scatto indietro. Alzò d’istino le braccia, incrociandole a mo’ di difesa sul petto. –Non osare venirmi vicino!
-Non voglio farti nulla…
-Lo so! Lo so, però se mi sei troppo vicino potrei non riuscire a fare quello che devo.- Alice continuava a tenere le braccia ben alzate e il volto fisso a terra per non guardarmi.
-Forse allora non è questo che vuoi dirmi.
-Non mettermi le parole in bocca, Zane.- Lentamente, dopo aver stretto i pugni, Alice abbassò le mani; tuttavia continuò a tenere gli occhi bassi. –Sono tante le cose che voglio e che sono sbagliate. Continuare con te sarebbe una di queste, forse la prima della lista.
-Alice, io ti piaccio, no?
-Certo che sì, scemo! Ed è per questo che mi devi stare lontano.
-So che ti ho ferita…
-Lo sai?- D’improvviso Alice piantò uno sguardo accusatore su di me. –Non credo proprio. Non penso tu riesca nemmeno ad immagine come mi sono sentita.
Questo mi zittì. In effetti, non potevo nemmeno indovinare che cosa le era passato per la testa quella sera. Di sicuro non cose troppo piacevoli. Almeno non per me, di quello potevo stare sicuro.
-Ma non è questo il problema. Per quanto tu mi abbia umiliata e ferita, sarei stata disposta a passarci sopra. A questa e a molte altre cose. Come sono passata sopra a tutte le cattiverie di Damian.
Quello fu un grosso colpo per me, lo ammetto. Mi sarei aspettato di tutto da quel confronto, oltre che mi paragonasse a lui. –Io ci tengo tantissimo a te. Voglio proteggerti e che tu sia felice.
-Lo so, lo so. So che mi vuoi più bene di quanto Damian abbia mai fatto, anche nei nostri momenti migliori. E anche il fatto che talvolta metti prima te stesso a me lo posso accettare. Per un po’, potrei anche farcela.
-Io…
-Ma poi tutta questa situazione tornerebbe a trasformarmi nella persona che non voglio essere, e che ero diventata mentre stavo con Damian. La gelosia e il rancore mi farebbero dire cattiverie che non penso, avvelenandomi. Non voglio più stare con una persona che mi faccia sentire così.
-Non ti darò mai motivo di dubitare di me.-  mi affrettai a dirle, disperato. La stavo perdendo, questo mi era più che chiaro. Alice si trovava in piedi davanti a me, almeno fisicamente; ma dal suo sguardo capivo che ormai la sua anima si era rintanata nei buio da qualche parte, e ad ogni parola si ritraeva sempre più da me. La stavo perdendo e quella era l’unica cosa che avrei voluto evitare. Come potevo trattenerla? –Saprai sempre dove sono e con chi. Non ti toccherò finchè non lo vorrai. Aspetterò tutto il tempo che ci sarà bisogno.
Lei rimase in silenzio, incurante di quello che le stavo dicendo. –Il problema non sei tu. Questa volta non sei tu ad essere insostenibile, ma la situazione. E quella è in stallo, perché tu non rivelerai mai ai tuoi amici di me. Né io voglio che tu lo faccia.
-Per favore, Alice… per favore. Con nessuna ragazza prima di te mi è mai sembrato di poter costruire qualcosa. Tu sei la prima persona vera con cui ho stretto un legame.
-Mi dispiace, Zane. Non mi chiamare più e non cercare di contattarmi. Se mai dovessimo incrociarci da qualche parte, comportiamoci come se non ci conoscessimo. Per favore.
-Non penso di poterlo fare.
-Chiedi a Damian le indicazioni. Saprà dirti molto bene come fare.
Ancora una volta le sue parole furono sferzanti al punto di costringermi al silenzio. Non credevo che fosse capace di tanta cattiveria. O meglio, sapevo che poteva tirare fuori un lato tremendo del suo carattere. Ma fino ad allora l’aveva indirizzato solo contro Damian, mai rivolto a me.  
-Alice, se c’è qualsiasi cosa che posso fare, tu dimmela, e sarà fatta.
Lei rimase in silenzio qualche istante, pensierosa. –Ti ho mentito, prima.- aggiunse quindi. –In realtà so benissimo cosa voglio fare. Darò la maturità e poi me ne andrò da qui.
-Te ne andrai?
-Sì. Passerò l’estate lontana da qui e dalla mia famiglia. Una mia cara amica andrà in Inghilterra, ha dei parenti con una casa enorme in campagna, là. Vorrei visitare la Svezia e tutti i paesi nordici. Ho risparmiato abbastanza da poter fare quello che voglio per almeno tre mesi. Poi vedrò se tornare o rimanere ancora là trovandomi un lavoro. Credo che se le chiedessi di portare con me un amico non farebbe storie.
-Davvero mi vorresti con te?
-Sì, e forse questo sarebbe l’unico modo per restare insieme. Ma c’è una condizione.
Il mio cuore perse un battito. Prima ancora che lei parlasse sapevo già cosa mi avrebbe chiesto.
-Damian e tutti i tuoi amici dovranno essere informati su dove andrai. E soprattutto con chi.
Socchiusi gli occhi. –Lo sai che questo…
-Immaginavo.- mi bloccò Alice, con un sorriso amaro, senza lasciarmi il tempo di finire.
-Aspetta! Non mi sento di farlo adesso e in modo così brutale! Ma se questa storia continuasse, un giorno forse…
Alice mi aveva già dato le spalle, allontanandosi di qualche passo. –Sai cosa ti dico? Lascia stare la cosa dell’Inghilterra. Scherzavo.
-No, Alice…
-Zane, è ora di finirla, e questa volta dico sul serio. Mi dispiace, ma è così. Non credere che per me sarà meno facile dimenticarti. Ti penserò tanto, tantissimo, già lo faccio. Quest’estate lontana da qui e da dovunque potremo incrociarci sarà un bene per entrambi.
La vidi allontanarsi da me, lentamente, ma con fermezza, un passo dopo altro. Mi sembrava di non riuscire più a respirare, e la mia mente era nella confusione più totale. Quello non era uno scherzo. Davanti ai miei occhi esplose vivido il ricordo della prima volta che avevamo parlato in biblioteca, davanti alla macchinetta del caffè. Lei con un bicchiere in mano che mi mandava sostanzialmente a quel paese. Tutte le volte che la vedevo china sui libri quando entravo in biblioteca, e un sorriso spontaneo mi nasceva sulle labbra. Alice nel prato, con i capelli indorati dal sole, che mi parlava del suo passato e tremava. Alice che rideva ubriaca nel capannone abbandonato; la sua figura che mi dava le spalle mentre passeggiava parlandomi dei suoi sogni di fuga, subito prima che l’abbracciassi e la baciassi. Alice che mi si avvicinava alla stazione, bellissima e maliziosa. Il viso di Alice che si dipingeva di delusione e rancore, quando avevo iniziato ad urlare insulti che non pensavo.
Tutto questo vidi nella figura di lei che si allontanava a spalle basse, senza voltarsi nemmeno una volta. Rimasi a fissarla finché non fu sparita dietro l’angolo; e ancora rimasi immobile, inebetito, finchè le gambe non presero a dolermi. Con il magone alla gola mi lasciai scivolare sulla panchina più vicina. Se n’era andata davvero ed ero certo che non sarebbe mai tornata indietro. Quella era forse l’ultima volta che vedevo e parlavo con la prima donna che avessi mai amato nella mia vita.
Alice… Sentii il mio cervello, il mio corpo intero che gridava nel silenzio.
Da quel momento in poi, mi convinsi che non l’avrei più rivista. Non potevo sapere che il destino non aveva ancora finito con noi e che anche se sarebbe occorso parecchio tempo, ci saremmo rincontrati ancora una volta.

Fine prima parte
(to be continued… Buon anno a tutti!)

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Capitolo 11
*** 11. Niente è cambiato ***


AFTER ALL THESE YEARS
 
11. Niente è cambiato

 
Aveva i capelli più lunghi dell’ultima volta che l’avevo vista, ma non nutrivo il minimo dubbio: era lei. Avanzava con passo sicuro lungo la via, su tacchi vertiginosi che sembravano non metterla minimamente in difficoltà. E quando mai era successo? Volteggiava su trampoli altissimi già due anni prima, quando era ancora una ragazzina. E quella che stavo osservando ben protetto dietro gli occhiali da sole era una donna; mi domandai in che momento del tempo che eravamo stati lontani fosse avvenuta in lei quella trasformazione. Durante la sua permanenza di sei mesi in Inghilterra? Oppure durante l’anno in cui mio padre mi aveva spedito a lavorare come cameriere da un amico in Francia?
Si fermò all’improvvisa per estrarre il cellulare dalla borsa di marca. Lo osservò per qualche istante e poi sorrise deliziata, scuotendo la testa. Le era arrivato un messaggio dal suo uomo, da colui che l’aveva trasformata nella donna elegante che sfilava per le vie della città? Chi era, lui? Che cosa rappresentava per lei?
Riprese a camminare, e il cappotto di marca che le cadeva perfettamente attorno al corpo le sventolò alle spalle. Mi sembrava così bella che il fiato si mozzò in gola il respiro; com’era possibile che mi facesse ancora quell’effetto dopo tutto il tempo che era passato? Avevo trascorso il primo anno cercando di non pensare a lei e di resistere all’impulso di presentarmi sotto casa sua per sapere dai genitori dove si trovasse esattamente per poterla raggiungerla; immagino che i suoi dovessero sentirsi affranti quanto me per averla persa. Ero certo che non avesse chiuso in maniere più simpatica con loro di quanto avesse fatto con me.
Ad un certo punto, mi venne il dubbio che mi avesse visto. Aveva rallentato progressivamente il passo, il capo reclinato nella mia direzione. Gli occhiali scuri m’impedivano di vedere la traiettoria del suo sguardo, ma un brivido mi attraversò la schiena… e solo lei era in grado di produrre quell’effetto su di me con una sola occhiata. Era quasi ferma, ormai.
-Zane!!
Due braccia esili mi si allacciarono attorno al collo da dietro. Amy mi si strusciò contro tutta contenta di vedermi. –Ti ho chiamato tre volte e tu non mi hai nemmeno sentita! Si può sapere a cosa stai pensando?!
-Io…- balbettai, girandomi per quanto la sua stretta me lo permettesse.
-Oh, hai di nuovo quello sguardo trasognato che ti viene qualche volta. A chi stai pensando, traditore?!- esclamò Amy subito prima di stamparmi un bacio sulle labbra.
Con il panico addosso, tornai a voltarmi verso la donna che non avevo ancora dimenticato. E benchè avessi cercato di fare null’altro che quello negli ultimi due anni e quattro mesi e credessi di esserci riuscito, era bastata la sua visione da lontano per farmi ritornare a quel giorno d’estate in cui l’avevo osservata allontanarsi da me per sempre. Ed ora eccola lì in piedi che mi fissava. Non avevo più dubbi sul fatto che mi avesse notato; sorrideva impercettibilmente e avrei messo la mano sul fuoco che mi stesse osservando in modo malizioso dietro gli occhiali.
-Ah, ma quella la conosco!- esclamò Amy, facendomi trasalire. Era spuntata oltre la mia spalla e guardava ammirata nella direzione del mio sguardo. Lei, intanto, era passata oltre e continuava per la sua strada, superba e fiera.
-La conosci?
-Sì! Viene in università con me. La sua è una specie di leggenda. È arrivata durante il primo anno dopo parecchi mesi dall’inizio del semestre e ha dato tutti gli esami prendendo il massimo dei voti. Nessuno sa come ci sia riuscita, ma è così. Ora è al secondo anno con me, e non passa di certo inosservata. Guarda quant’è elegante! E poi la sua fama scolastica la precede!
Già, era tipico di lei. Arrivare e stupire tutti sfoggiando prima la sua intelligenza e poi la sua bellezza, avvolta nel mistero. Guardai la sua figura di spalle avanzare a passi decisi lungo strada e sentii la morsa del passato stringermi lo stomaco.
-Zane?
Silenzio. Lei si era bloccata in mezzo alla strada, sembrava sul punto di voltarsi. Pregai con tutto me stesso che lo facesse. Che si voltasse nella mia direzione e sorridesse. I due anni di lontananza sarebbero stati spazzati via come uno strato di polvere dal soffio di un bambino.
Ma non lo fece. Ovviamente.
-Zane?
Non sarebbe stata Alice, la mia bellissima e fiera Alice, se l’avesse fatto. Non l’avrei amata a tal punto, se fosse stato semplice.
-Zane!
-Scusa.- mi voltai con un sorriso amaro verso Amy. –Scusa, amore. Ho un po’ di mal di testa.
La mia ragazza sorrise con innocenza e mi prese le guance. –Quando fai così non sai quanto sei cucciolo!
-Non puoi dire ad un uomo che è cucciolo!
-Allora devo pensare che sia una bugia e mi stessi tradendo col pensiero?
Portai tutta la mia attenzione a lei, per verificare quanto facesse sul serio.–Ancora con questa storia…
-Magari ti sei innamorato a prima vista di Alice Marin.
Fu come se Amy mi avesse appena colpito allo stomaco con un pugno ben assestato. –Alice… Marin?
-La ragazza che è appena passata.
-Ah…
-Magari l’hai vista e hai pensato che te la faresti volentieri. E poi te ne sei innamorato a prima vista.
Sarebbe stato un colpo troppo grosso per lei se le avessi detto che anche se non era andato esattamente come aveva ricostruito, il risultato era lo stesso? Ovvero che amavo quella ragazza alla follia?
-Che idee assurde che ti vengono in testa, amore. Guardi troppi film.- Ridacchiai nervosamente. Non sapevo nemmeno io da dove avessi tirato fuori la forza per mentire. Amy si aggrappò al mio braccio. Sembrava non esserci accorta di quanto la situazione mi avesse turbato. Io e lei stavamo insieme ormai da quattro mesi.
Sette mesi dopo la partenza di Alice (quindi dopo nemmeno un mese che lei, da quel che avevo saputo da Amy, era tornata in Italia) mio padre, irritato al limite dell’estremo, si era rifiutato di continuare a pagare le tasse universitarie di un nullafacente come me; subito dopo mi aveva comunicato di essersi stufato pure di mantenermi, per poi spedirmi a spaccarmi la schiena in Francia a fare lo schiavo per il suo degno compare.
Quando ero stato richiamato in patria perché il vecchio si sentiva magnanimo e voleva concedermi un’altra possibilità, non avevo avuto dubbi. Giurai che mi sarei impegnato al massimo per laurearmi e trovare un lavoro decente il più presto possibile. Avevo un po’ tagliato i ponti con la vecchia compagnia; mentre ero in Francia c’eravamo sentiti per un certo periodo di tempo, ma progressivamente le chiamate, i messaggi e le promesse di venirmi a trovare erano diminuite, fino a cessare del tutto. Damian fu il primo a sparire. Per lui, per gente come loro, avevo perso Alice. Solamente quando fui tornato, si ripresentarono tutti uno dopo l’altro. Damian (che studiava a Milano ma non trovandosi per nulla bene tornava a casa ogni fine settimana) per primo, invitandomi a far serata per festeggiare il mio ritorno con tutto il gruppo riunito. Per poco non gli risi in faccia. Andare a ubriacarci assieme? Era quello il massimo che riusciva a propormi dopo un anno di lontananza? Alla fine andai con loro, solo per rimanere tutta la sera seduto con il broncio su un divanetto. Nessuno di loro si accorse di nulla. Sorseggiando l’unico drink che mi ero concesso, passai la notte a calcolare quanti esami sarei riuscito a dare quel semestre.
Dopo un mese arrivò Amy. Paradossalmente me la presentò la famosa ex che avevo mollato per divertirmi durante l’estate. La notai, non era assolutamente male: carina, esuberante e molto stupida. Ma l’elemento più importante era che assomigliava ad Alice: capelli ricci e biondi e occhi scuri e grandi; anche se ovviamente l’illusione si infrangeva non appena apriva bocca. Quella fu la prima cosa che pensai quando ci incontrammo, e fu anche il motivo principale che mi spinse a chiederle di uscire. Dopo due appuntamenti finimmo a letto insieme e le chiesi di diventare la mia ragazza. Per la prima volta nella mia vita mi ritrovai in una relazione che volevo mantenere e che intraprendevo con la ferma intenzione di non tradire la ragazza. Amy non era cattiva e col tempo mi affezionai a lei; e poi, era notevole il vantaggio che talvolta osservandola di spalle riuscissi a convincermi che Alice fosse con me nella stanza. Quelle erano le uniche fantasticherie che mi concedessi su quella ragazza, che per il resto ero riuscito ad allontanare dalla mia mente dopo molti sforzi.
Ed ora, eccola di nuovo qui che girava per la città. Vestita con un’eleganza impeccabile, avanzava verso di me. Ci incrociavamo, mi sorrideva maliziosamente. E passava oltre senza il minimo turbamento. D’improvviso Amy mi apparve in tutta la sua banalità. Come avevo potuto pensare che sarebbe bastata una così per sostituirla?
E fu così che l’unico avvenimento che avrei voluto evitare per il resto dei miei giorni mi piombò addosso in una ventosa giornata d’autunno.
 
Quella sera era in programma un torneo di calcio alla play station a casa mia. Non avrei voluto organizzare un’idiozia simile, ma piuttosto che starmene tutta la sera rintanato a pensare ossessivamente alla fugace apparizione di Alice preferivo di gran lunga perdere il tempo così. Il gruppo si riunì in camera mia all’incirca alle dieci di sera, munito di alcol in abbondanza per affrontare la serata; eravamo in una decina, gli amici più stretti della vecchia guardia. Il programma era quello di giocare un torneo ad eliminazione indiretta, in modo da protrarre la cosa il più a lungo possibile, fino a che non fossimo stati troppo ubriachi per continuare a giocare.
Parlai poco quella sera, di cattivo umore com’ero, ma ovviamente nessuno se ne accorse.
Damian e gli altri che non stavano giocando in quel momento sedevano per terra passandosi la bottiglia di vodka e facendo un gran baccano. Li guardavo con espressione torva, ma erano troppo ubriachi o menefreghisti per farci caso. Dopo essermi arrovellato per quasi due ore su ogni particolare dell’incontro di quel pomeriggio mi sentivo parecchio irritato e di certo quei caproni non aiutavano per nulla.
Non so come successe, ma ad un certo punto udii qualcuno dire a voce ben altra e chiara: -Oggi ho visto la tua ex in centro, Damian. Sai quella molto bella che era in classe con te?
Un silenzio di tomba calò sulla stanza. Mi accorsi che tutti gli occhi erano puntati su di me. E, nello stesso istante, registrai che a parlare ero stato io.
-Ma chi? Alice?- domandò Damian, corrugando la fronte.
-Sì, credo si chiamasse così…
-Sai che roba. La incontro di continuo, in giro.
La sua risposta mi lasciò interdetto. –Sì? Io è la prima volta che la rivedo da… da non so quanto.
-Anche io la incontro sempre in facoltà.- s’inserì Greg. -Cazzo, vecchio. Già prima era una tipa da stupro, ma ora è diventata incredibile. Me la scoperei volentieri.
-Lo so, l’ho vista. Mi pento di essermela lasciata sfuggire. Era una rompicazzo, ma ne valeva la pena. Potevo farmela e poi mollarla.
-Cazzo, è quello che penso ogni volta che la vedo.
-Sei stato un vero coglione, Damian!
Rimasi in silenzio, ammutolito. Cioè, quegli idioti che mi ritrovavo davanti l’avevano vista tutti quanti; probabilmente si erano pure sparati una sega pensando a lei; e poi non uno di loro che dicesse un emerito cazzo su di lei, nelle nostre riunioni settimanali? Dovevo venirlo a sapere così, incrociandola per strada.
Avevo deciso di bere poco per rimanere abbastanza lucido da studiare il giorno dopo, ma cambiai idea in fretta. Non potevo essere sobrio per quello che intendevo fare. Dopo aver buttato giù tre cicchetti di vodka, mi alzai. –Vado a prendere le sigarette. State pure.
Non credo nemmeno che mi sentirono. Con il cuore in gola uscii di casa e mi precipitai giù per le scale, per poi allontanarmi in tutta fretta dall’appartamento. Quando fui sicuro di essere abbastanza lontano dall’appartamento, estrassi il cellulare e aprii la rubrica. Era il primo numero tra tutti. “Alice”. Non avevo mai trovato la forza per cancellarlo. Ovviamente dopo che c’eravamo separati, avevo provato a chiamarla non so quante volte, senza che lei rispondesse mai. Dopo un po’ smisi, più che altro per paura di passare per un maniaco.
Suonò a vuoto due volte. Tre. Quattro. Socchiusi gli occhi. Cosa mi faceva credere che avrebbe risposto? Perché rendersi ridicolo ancora una volta di fronte a lei? Allontanai il telefono per annullare la chiamata.
Clic.
Mi bloccai di scatto. Dall’altra parte c’era silenzio, ma se ascoltavo attentamente riuscivo ad udire il suono di un respiro. Del respiro di lei.
-Alice.
Una breve pausa. –Zane.
-È da tanto che non ci si sente.- fu l’unica cosa che riuscii a balbettare. Non avevo preparato nessun discorso, perché non mi aspettavo che rispondesse davvero.
-Già. Due anni ormai.
-E due mesi.
Un risolino dall’altra parte. –Come passa il tempo.
Rimanemmo zitti per qualche secondo. Dall’altra parte sentivo un lieve brusio. Dove si trovava, ora? Se solo lo avessi saputo sarei corso da lei in quell’istante esatto, anche a costo di attraversare la città.
-Perché mi hai chiamato, Zane?
-Perché avevo bisogno di sentire la tua voce.
-Mm.
-Sei tornata. Perché non mi hai detto nulla?
-Perché avrei dovuto?
Mi mordicchiai il labbro inferiore. –Per avvertirmi che avrei potuto morire d’infarto in qualsiasi momento per strada, se ti avessi incontrato.
-Esagerato.
-No. Non hai la minima idea di quello che ho provato oggi.
-È carina.- commentò con indifferenza Alice, ignorando il mio ultimo commento.
-Chi?
-La tua ragazza. Si chiama Amy, giusto?
-Sì. È lei che mi ha detto di te. E della leggenda che ti si è creata attorno.
-Ah, tutte quelle storie. Non sapevo girassero ancora.
-È proprio da te.
-Cosa?
-Arrivare e sconvolgere tutti coloro che ti stanno attorno, e poi sorprenderti che sia successo. Non hai la minima idea del potere che puoi esercitare sulle persone.
Alice rimase in silenzio qualche istante. –Be’, forse hai ragione. Lascia che ti dica una cosa, però. Sconvolgere a questo punto le persone non è una cosa piacevole. Sono stufa. A me è successo solo una volta che una persona mi sconvolgesse nello stesso modo. E sono dovuta scappare.
-C’è una cosa che non sono riuscito a dirti quell’ultimo giorno che ci siamo visti.
-Lo so, Zane. E anch’io non ti ho detto qualcosa, perché non volevo farlo.
-Ti amavo. Ti amavo, davvero, Alice.
–Anch’io.
-Sì, ma…
Dall’altra parte si sentì una voce stagliarsi più forte delle altre. –Devo andare.- disse in tutta fretta.
-No, aspetta!
-Salutami Amy. Siete una bella coppia.
Poi riattaccò ed io mi ritrovai con un telefono inutile tra le mani, sconvolto nel profondo. Pur avendole rivelato quello che non ero riuscito a dirle allora, non le avevo esposto il vero motivo per cui l’avevo chiamata. Ovvero, che non era cambiato assolutamente nulla da quel giorno.
Nonostante fossero passati due anni e due mesi, l’amavo ancora come allora, e forse più di prima. 

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