Miserere

di SabrinaSala
(/viewuser.php?uid=809623)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Johannes ***
Capitolo 2: *** Justus ***
Capitolo 3: *** Madonna Lena ***
Capitolo 4: *** Il Sentiero delle Rose ***
Capitolo 5: *** Un uomo debole... ***
Capitolo 6: *** Come fuoco ***
Capitolo 7: *** Confessioni ***
Capitolo 8: *** Il bacio della Rosa ***
Capitolo 9: *** Penitenza ***
Capitolo 10: *** Castigo ***
Capitolo 11: *** Espiazione ***
Capitolo 12: *** Miserere ***
Capitolo 13: *** Risveglio ***
Capitolo 14: *** Soliloquio ***
Capitolo 15: *** Ombre ***
Capitolo 16: *** Menzogne ***
Capitolo 17: *** Condanna a morte ***
Capitolo 18: *** Esecuzione ***
Capitolo 19: *** Un morto che cammina ***
Capitolo 20: *** Ribelle ***
Capitolo 21: *** Incanto ***
Capitolo 22: *** Brame ***
Capitolo 23: *** Confronto ***
Capitolo 24: *** Requiem ***



Capitolo 1
*** Johannes ***


"Miserere mei Deus secundum magnam misericordiam tuam" (" Abbi pietà di me, o Dio, secondo la tua grande misericordia").


Prologo
 
Anno Domini 1350. Città di Rosenburg. Sacro Romano Impero Germanico
  
L’aria satura di incenso riempiva i polmoni, lasciando in bocca un sapore dolciastro. Padre Joachim si schiarì la gola con un colpo di tosse. Non si sarebbe mai abituato a quel sapore. Alle sue spalle, il vescovo Winkel accelerò il passo, quasi spazientito.
Era appena suonato il vespro e il salmodiare dei monaci invadeva i corridoi del convento spingendosi fino al chiostro che i due uomini, entrambi sulla quarantina, stavano attraversando.
«Siamo arrivati. » garantì l’abate, subendo la silenziosa pressione del vescovo.
L’uomo annuì, consapevole del fatto che padre Joachim non avrebbe potuto vederlo. Ma poco importava. Era impaziente. E padre Joachim non rappresentava che una mera formalità.
Raggiunta la porta del refettorio, i due uomini si fermarono e quando l’abate esortò il vescovo ad entrare, l’uomo lanciò una prima un’occhiata all’interno.
Due volti sparuti lo fissarono dalla penombra.
Piegò le labbra severe in un mezzo sorriso, mentre le sopracciglia scure si sollevavano leggermente nell’atto di osservare i due piccoli superstiti.
«Sono sani? » domandò rivolto all’abate ma senza distogliere lo sguardo dai bambini.
L’uomo annuì vigorosamente.
«Sono sopravvissuti alla peste, eminenza», mormorò sporgendosi leggermente verso il vescovo. «Indice di una tempra piuttosto forte, non credete? »
Il vescovo serrò le labbra, senza concedergli risposta. Non ce n’era affatto bisogno.
«Cos’altro sapete di loro? » si informò. Non voleva, né doveva, avere sorprese.
Padre Joachim tornò con lo sguardo sui piccoli ospiti del monastero.
«Entrambi orfani», disse. «Quando li abbiamo trovati, il più grande faceva scudo al piccolo come a volerlo proteggere dal resto del mondo».
Konstantin Winkel soppesò le due figurine al limite della denutrizione, colpito dagli occhi grigi e dall’espressione caparbia del ragazzino più grande. Doveva avere all’incirca dieci-undici anni. Il più piccolo, forse di setto o otto anni, faceva capolino dietro le sue spalle, spalancando sui due uomini i suoi grandi occhi celesti.
«Ripuliteli e nutriteli» ordinò. «Da questo momento, li tratterete come fossero miei figli. »
L’abate sussultò, ma il vescovo non gli diede il tempo di replicare.
«Resteranno al monastero, per ora» decretò infatti «Ma badate di non fargli mancare nulla», continuò portando finalmente lo sguardo negli occhi vacui di padre Joachim. «Vi riterrò personalmente responsabile della loro educazione e preparazione», concluse. E senza più nulla aggiungere, voltò le spalle ai due miserabili e lasciò il refettorio, tornando ad affacciarsi sul chiostro.
Padre Joachim fece scattare la serratura estraendo e riponendo sotto il saio la grossa chiave di ferro.
«Non sarete troppo generoso con loro? » osservò.
Ma lo sguardo che ne ricevette in cambio lo convinse che il vescovo Konstantin Winkel sapeva molto bene quello che stava facendo.
«Non temete, padre Joachim» mormorò quest’ultimo «Riscuoterò i miei crediti. A tempo debito».


PARTE I

 
Capitolo 1 - Johannes
 


Rosenburg. Anno Domini 1365
 
Johannes lasciò gli appartamenti vescovili. Il volto tirato, un’ombra scura negli occhi grigi.
Proteggere una donna… pensò stizzito.
Non era quello l’incarico che si era aspettato di ricevere, vista l’urgenza della convocazione. Le continue lotte intestine e la necessità di uomini nei territori delle marche lo avevano illuso di essere destinato alla guida di un drappello di soldati in appoggio ai confini del regno.
Invece, era stato chiamato a fare la guardia del corpo a una donna!
Poco contava che quella fanciulla fosse la pupilla del suo padrino e benefattore, il vescovo Winkel.
Un ringhio sordo gli sfuggì dalle labbra, mentre si lasciava la cattedrale alle spalle e imboccava una serie di vicoli che lo avrebbero condotto al monastero. Justus era in attesa di notizie. Serrò la mascella, irritato per la delusione e per il sollievo che avrebbe letto negli occhi celesti dell’amico fraterno, poco incline a lasciarlo andare incontro al pericolo.
Affrettò il passo, inspirando profondamente. Respirando al contempo aria e una pioggerellina leggera e fastidiosa. Passandosi una mano tra i capelli scuri, recuperando le ciocche appiccicate sulla fronte, pensò a quell’estate che sembrava non arrivare mai.
A quell’ora, solo lui e le guardie della ronda notturna si attardavano per le strade umide. Il coprifuoco aveva sospinto i cittadini al sicuro nelle loro case. Ma quando arrivò in vista delle mura del monastero, svoltando l’angolo, quello che vide lo irrigidì.
Un serpente di mendicanti si dipanava lungo il ponte che dalla Porta Ovest dava accesso alla città per fermarsi e bivaccare nella piccola piazza antistante il monastero.  
Con rapide falcate tagliò quella moltitudine di gente fino a raggiungere l’ufficiale in seconda.
«Endres! » ne richiamò l’attenzione, afferrandolo per una spalla.
«Capitano! » gli occhi dell’uomo si dilatarono terrorizzati, al cospetto del giovane comandante delle Guardie e senza bisogno che lui glielo chiedesse, rispose alla tacita domanda di Johannes «Non è stato possibile fermarli, capitano» farfugliò confuso, scuotendo il capo e gettando rapide occhiate intorno. «Hanno iniziato a lagnarsi e protestare addossati alla Porta Ovest, battendola con i loro bastoni e mandando avanti donne, vecchi e bambini. Ai primi episodi di cedimento, abbiamo dovuto farli entrare» finì col giustificarsi.
Johannes percorse ancora una volta quella marmaglia di stracci e fetore con uno sguardo indignato, fino a cogliere la figura incappucciata che sembrava essere a capo della comitiva.
Furente, si abbatté su di essa, strattonandola con forza, mentre la figura quasi barcollò e Johannes avvertiva sotto la propria stretta un braccio incredibilmente sottile, camuffato dalla stoffa abbondante e ruvida del mantello.
«Tu! » esclamò mentre la sagoma si voltava nella sua direzione «Porta questi straccioni fuori dalla mia città! » ringhiò e senza troppi riguardi afferrò il cappuccio e con un gesto deciso lo abbassò rivelando il volto severo di una giovane donna dai lunghi capelli scuri.
Approfittando della sua sorpresa, la ragazza si liberò con uno strattone e voltandosi completamente lo affrontò. Il mento alzato perché i loro sguardi potessero incrociarsi.
«Questi straccioni, come li avete appena chiamati, dovrebbero essere una delle vostre priorità…capitano» sibilò, pronunciando l’ultima parola con disprezzo.
Johannes la squadrò furente. La sorpresa aveva lasciato il posto all’irritazione.
Nuovamente, l’afferrò per un braccio. Lo sguardo grigio appannato dalle piccole gocce di umidità che si erano aggrappate alle ciglia scure.
«Non provate ad irretirmi, signora! » sorrise sprezzante. Il petto sollevato dai respiri accelerati, lo sguardo agganciato a quello nocciola di lei.
Schiuse le labbra per parlare di nuovo. Ma la voce perentoria di Justus, alle sue spalle, lo bloccò.

 




 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Justus ***


Capitolo 2 - Justus

 
 
Senza allentare la presa, Johannes si volse intercettando lo sguardo severo di Justus.
Aveva esagerato. Lo sapeva. E gli occhi celesti del giovane chierico glielo confermarono.
Abbassò impercettibilmente le palpebre e questo bastò a Justus perché un sorriso di approvazione affiorasse sulle sue labbra sottili e rosse, in pieno contrasto con il colorito pallido del volto.
Johannes si calmò. Riportò lo sguardo in quello impertinente della ragazza. L’espressione seria.
Lei sussultò, mentre quei due occhi grigi la penetravano con durezza.
«Per questa volta…» la ammonì con tono severo «…vi permetterò di restare. Ma ricordatevi che esistono delle regole» si soffermò, come per accertarsi che il significato di quelle parole venisse compreso «E le regole vanno rispettate».
La lasciò andare. E mentre lei si ritraeva con uno strattone, turbata da quello sguardo inflessibile e dalla particolare vibrazione di quella voce roca e profonda, la mano di Johannes urtò un medaglione. Un qualche ninnolo da fattucchiera, pensò lui serrando le labbra con disprezzo, soffermandosi sulle ciocche brune che le incorniciavano il volto e le ricadevano sulle spalle dritte.
«Il Capitano è un brav’uomo» intervenne Justus, tentando di placare gli animi sovraeccitati. Attirando su di sé l’attenzione.
Colto inaspettatamente dallo sguardo della ragazza, il chierico lesse nei suoi occhi un’ultima scintilla di insolenza mista a sarcasmo. Si adombrò, in attesa di una risposta che non tardò ad arrivare.
«Siete troppo indulgente, temo…» ironizzò la bella sconosciuta avviluppandolo con i suoi occhi scuri «Ma in fondo… » sorrise scuotendo il capo «E’ il vostro ruolo ad imporvelo».
Justus sciorinò un sorriso di circostanza e sfiorandole un gomito la sospinse qualche passo più indietro, chiedendole nel contempo informazioni sugli sfortunati pellegrini che aveva condotto in città. Tentando, in questo modo,  di sottrarla all’ennesima e inevitabile bordata dell’amico. 
Ma il Capitano finse di non accorgersi di nulla. Diede ordine ai propri uomini perché rimanessero a disposizione del chierico, e prese commiato.
«Johannes…» lo richiamò Justus, muovendo qualche passo nella sua direzione, facendosi largo tra le schiere di mendicanti dalle braccia protese. Desideroso di sapere. Glielo aveva promesso!
Gli avrebbe detto tutto non appena lasciati gli appartamenti del Vescovo. Questo gli aveva promesso! Se Johannes fosse stato assegnato ad uno dei fronti caldi dell’Impero, voleva saperlo e voleva saperlo subito.
Johannes frenò la sua ansia con un cenno vago della mano.
«Ne parleremo domani…» mormorò aggrottando la fronte.  «Adesso occupati dei mendicanti» lo esortò «Ti lascio i miei uomini. Non esitare a rivolgerti a loro per qualunque cosa tu abbia bisogno». Poi, incapace di sostenere lo sguardo dell’amico aggiunse, con un debole sorriso: «O a me, se serve. Sai dove trovarmi».
Justus annuì, sollevato da quanto pensava di aver inteso. Nessuna partenza improvvisa, tantomeno un incarico pericoloso. La reazione di Johannes era chiara.  Tornò dai pellegrini con passo veloce, sollevando il saio perché non gli impedisse i movimenti, e dallo sguardo della ragazza bruna che passava, inquisitorio, dal giovane chierico dai capelli chiari al moro e intransigente Capitano delle Guardie deciso a lasciare il campo senza nemmeno voltarsi.
Era stanco, Johannes, e di pessimo umore. Desideroso solo di allontanarsi da quella piazza rumorosa, di scrollarsi di dosso lo sgradevole senso di disagio che lo opprimeva da diverse ore.
Il Vescovo, i mendicanti, Justus… Voleva solo andarsene. Raggiungere il letto e stendere le lunghe gambe stanche.
Lasciandosi gli ultimi eco di quella giornata alle spalle, il giovane capitano si immerse in un dedalo di vicoli stretti e irregolari, accompagnato dalla schiera di case a due piani, addossate le une alle altre, lambito dalla consolante carezza della sera che allungava le proprie ombre, come languide dita sottili, sulla città e tutti i suoi abitanti.
 
 
***
 

Il Vescovo Winkel dipanò lo sguardo sulle ombre scure del tardo pomeriggio, cullato dal piacevole suono delle campane che annunciavano del vespro.
In piedi di fronte alla finestra aperta, le mani allacciate dietro la schiena, in una posa che il suo segretario gli riconosceva ormai come abituale.
Fratello Erasmus, fermo alle sue spalle, non faceva segreto della spiccata antipatia che nutriva nei confronti di Johannes, né cercava di nascondere l’irritazione per l’incontro appena concluso.
Senza bisogno di voltarsi e quindi di guardarlo, Konstantin Winkel percepiva chiaramente, tramite le sue stesse parole, l’inquietudine del giovane diacono e sorrise divertito. Conosceva e poteva comprendere l’avversione di Johannes nei confronti del segretario, ma faticava a dare una precisa motivazione a quella di Erasmus… Le differenze, tra i due giovani quasi coetanei, erano molte ed evidenti. I modi decisi e virili di Johannes, dotato di un fascino duro e magnetico, indiscutibilmente attraente,  si scontravano con l’atteggiamento sfuggente e femmineo di Erasmus, i suoi modi così affettatamente garbati e a volte nervosi. Agli occhi grigi e volitivi del capitano, si contrapponevano quelli neri ed elusivi del segretario.
Si chiese se fosse realmente antipatia, quella che il diacono si premurava di mostrare nei confronti del suo pupillo, e non magari una sorta di gelosia, di invidia o addirittura semplicemente il rifiuto verso una particolare forma di “attrazione” per un uomo che aveva indubbiamente un certo ascendente…
Socchiuse le palpebre, scacciando pensieri frivoli che non lo avrebbero portato da nessuna parte, e rispose alle perentorie lamentele di Erasmus.
«Non preoccuparti… » lo rassicurò sollevando una mano come a scacciare il ronzare di un insetto fastidioso. Senza voltarsi. Lo sguardo agganciato all’orizzonte che si colorava di viola.  
«Il capitano farà quello che ha sempre fatto » proseguì piegando le labbra in un sorriso compiaciuto «Obbedirà ai miei ordini».
Si volse. E la veste purpurea frusciò sul pavimento levigato ma irregolare della stanza.
Raggiunto il piccolo scranno al centro del salone, posto di fronte al camino spento, si accomodò e fece cenno a Erasmus perché gli servisse da bere.
Il diacono si adoperò con solerzia e, sollevata una brocca di profumato vino speziato da un piccolo tavolo rotondo imbandito di frutta e formaggio, riempì un calice e lo porse al Vescovo.
«Riponete molta fiducia in lui» commentò, ancora una volta rassegnato all’evidenza, allacciando le mani in grembo e abbassando lo sguardo con riverenza.  
Konstantin Winkel si concesse una breve ma significativa risata, mentre gli occhi neri di Erasmus lo scrutavano seri e poco inclini al divertimento.
«Johannes è stato cresciuto per questo» disse «E vive per questo…» mormorò, poggiando le labbra assetate al bordo liscio e freddo del calice,  sorseggiando la bevanda color rubino. Pregustando i prossimi avvenimenti.
 
***
 
Sdraiato supino sul letto, un braccio dietro la nuca e l’altro appoggiato sul ventre piatto, pantaloni e calzari ancora indosso, Johannes accolse così, sfacciatamente seducente, le prime, impertinenti luci dell’alba.
Volse il capo verso la finestra e i sottili strali luminosi che attraverso i battenti ancora chiusi sfidavano, incandescenti, la penombra della stanza. Socchiuse gli occhi pesanti.
L’estrema stanchezza gli aveva regalato un sonno agitato, molestato da immagini alle quali avrebbe rinunciato volentieri. Perseguitato dall’eco fastidiosa di sonagli e raganelle, messaggeri dei lebbrosi… Incubi, nient’altro che incubi ad occhi aperti.
L’incontro con Konstantin gli aveva lasciato un senso di insoddisfazione e insofferenza.  Lo aveva deluso e irritato. Tanto da indurlo a reagire più duramente di quanto avrebbe voluto nei confronti dei mendicanti, di Justus e di quella donna… Tanto da fargli meritare la disapprovazione del chierico, il cui sguardo era in grado di provocare ferite ben più profonde della lama affilata della sua stessa spada. Fratello Erasmus era complice di quella irritazione. Sottostare alle sue battute, alla muta inquisizione del suo sguardo carico di supponenza lo infastidiva. Più del suo nuovo incarico.
Allungò una mano verso un sottile e polveroso raggio di sole e finse di afferrarlo. Non c’era niente di male o di svilente nel proteggere una donna…
Lasciò cadere il braccio, sfiorando la coperta ancora tirata sul letto intatto.
Tanto più che l’incarico in questione sarebbe stato di breve durata…
Tornò a fissare il soffitto di travi larghe e scure, portando entrambe le braccia dietro la nuca. Socchiuse le palpebre pesanti, provando un piacere sottile e ristoratore.
Il Vescovo non era entrato nei dettagli. Non ancora. Gli aveva solo anticipato che madonna Lena, la sua pupilla, non si sarebbe fermata a lungo. E lo aveva pregato di accettare di buon grado il nuovo incarico.
Le labbra di Johannes si piegarono in un sorriso sarcastico. Certo che avrebbe accettato. Perché quello era il suo dovere…
Una donna… pensò e inaspettatamente riaffiorò, invadente, l’immagine di lei. Quella pazza esaltata e indisponente che se non fosse stato per il provvidenziale intervento di Justus avrebbe saputo come rimettere al suo posto.
Impertinente e sciocca…  Possibile non si rendesse conto dei pericoli ai quali il suo atteggiamento sfrontato l’avrebbe sicuramente esposta? Spalancò gli occhi, pervaso da un nuovo senso di irritazione, scacciando quell’immagine insolente.
Il violento bussare di qualcuno alla porta fu quasi un sollievo.
Il richiamo concitato di Endres sortì l’effetto di svegliarlo del tutto, cancellando ogni altro fastidioso pensiero.
Svelto, saltò giù dal letto. Indossò alla meglio la veste chiara e aprì la porta al suo vice, fissandolo con sguardo interrogativo.
«Tre uomini chiedono di entrare in città, capitano» esordì il soldato ottenendo un sopracciglio alzato come risposta. «Dicono di essere la scorta di madonna Lena… » precisò.
Johannes si raddrizzò nelle spalle. Dissimulò un sospiro profondo. Ma non parve particolarmente allarmato dalla notizia. Forse solo un po’ sorpreso. In effetti, non si aspettava di dover prendere servizio tanto presto.
«Falli entrare e aspettatemi. Accompagnerò io stesso la nostra ospite al cospetto del Vescovo». Fece per terminare di vestirsi, ma la presenza ingombrante di Endres, ancora fermo sulla soglia, lo indusse a voltarsi.
Ancora un sopracciglio sollevato a mo’ di domanda.
«Madonna Lena non è con loro» rivelò il soldato con un certo imbarazzo. Più giovane di qualche anno del suo comandante, insignito della carica momentanea di capitano in seconda fino al rientro in città del più scafato e maturo Heinrich,  Endres ne subiva l’autorità più di quanto avrebbe dovuto e forse anche voluto.
Johannes si accigliò. Fissò per un lungo e silenzioso momento il volto teso del suo secondo.
«Arriverà con il resto della scorta?» domandò, esortando il sottoposto a raccontare la storia per intero mentre lui finiva di indossare gli ultimi indumenti e si allacciava la spada in vita.
L’uomo scosse il capo, facendosi da parte perché il capitano potesse lasciare la stanza. Accompagnandolo fino alla Porta Occidentale, gli spiegò dettagliatamente quanto aveva appreso.
Johannes raggiunse i tre forestieri abbigliati secondo la moda del sud, visibilmente a disagio. Con un cenno del capo ai soldati di picchetto, lasciò che gli uomini entrassero in città e farfugliassero le loro scuse.
«Abbiamo commesso un errore imperdonabile, capitano… » esordì il più grosso dei tre.
Johannes li trafisse con lo sguardo.
«Il vostro compito era quello di scortarla fin qui sana e salva. Non di farla divertire unendovi a mercanti e giullari» tagliò corto, attingendo dal racconto di Endres. Cercando una possibile e rapida soluzione al problema.
«Non l’abbiamo mai persa di vista… Fino a ieri sera, quando ci siamo accorti che era sparita» si rammaricò il più giovane, un giovanotto dai capelli rossi «Suonava il coprifuoco, ma eravamo certi di poter entrare visto chi stavamo scortando… Abbiamo soccorso un carro in difficoltà, ci siamo distratti un momento e madonna Lena era scomparsa».
Il terzo, un tipo segaligno dai capelli stopposi diede il suo personale contributo al racconto.
«Prima di lanciare l’allarme abbiamo battuto l’intera zona intorno alla città. Ma senza nessun risultato»
Johannes ne soppesò le figure. Serio. Quegli uomini rischiavano la forca. E comunque fossero andate le cose, il problema rimaneva. Madonna Lena scomparsa e la necessità di comunicare al Vescovo quell’agghiacciante notizia.
«Descrivetela a me e ai miei uomini e vi aiuteremo a cercarla» proruppe serrando la mascella, deciso a non lasciare nulla di intentato per ritrovare una ragazza che non gli era stato ancora dato di conoscere ma che già aveva bisogno del suo intervento.  E salvare la vita di quei tre disgraziati servitori.
«Conosciamo il territorio meglio di voi e potremmo avere più fortuna» concluse.
Come rompendo gli argini, i tre uomini si affrettarono a fornire  una descrizione dettagliata. Accavallandosi, aggiungendo a turno particolari utili e inutili, fissarono l’immagine definitiva della giovane donna indicandola come una ragazza molto bella, dai lunghi capelli scuri sciolti sulle spalle e penetranti occhi nocciola.
Johannes serrò le labbra. Inalando aria attraverso le narici dilatate.
«Aspettatemi qui» ordinò e attraversò la piccola piazza come un segugio sulle tracce della preda. 



IL CONFESSIONALE (ossia, l'angolo dell'autrice)
Inauguriamo quest'angolo con un ringraziamento a chi decide di affrontare quella speciale avventura che è la lettura di un "originale": GRAZIE di cuore! 
Chi mi ha conosciuta come autrice di FF spero apprezzerà anche questa nuova veste, ritrovando magari tra le mie parole, i personaggi e queste righe quel che gli è piaciuto nel Fandom che condividiamo. Chi mi scopre per la prima volta spero invece non resterà deluso e vorrà magari approfondire la mia conoscenza facendo capolino anche nello straordinario mondo delle fanfiction... là dove ho mosso i miei primi passi su questo sito. ISTANTI, JE T'AIME, OSCAR!, UNA DONNA e la storia a capitoli SOLDATO BLU, vi aspettano!

 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Madonna Lena ***


Capitolo 3 - Madonna Lena 
 
 
Era appena suonata la Prima, quando con gesti e passi volutamente controllati, il capitano Johannes percorse la navata centrale della chiesa, accompagnato da una scia di canti gregoriani e dalle inutili proteste dei monaci. Superò il transetto e si fermò all’altezza del presbiterio, scivolando al fianco della figura inginocchiata e immobile di fronte all’altare.
Le mani giunte, la ragazza gli rivolse appena uno sguardo con la coda dell’occhio.
Johannes continuò invece a fissare il crocifisso in legno lucidato. Un’espressione troppo severa sul volto per presagire qualcosa di buono.
«Spero abbiate chiesto perdono, madonna» mormorò saturando l’aria con la vibrazione roca della propria voce.  
La ragazza, allora, si voltò di scatto,  trovandosi di fronte i suoi penetranti occhi grigi.
«Avete messo in pericolo la vita di tre uomini» la rimproverò secco, agganciando lo sguardo a quello scuro e imperscrutabile di lei.
Lena si fece frettolosamente il segno della croce e scivolò sulla sinistra percorrendo la navata con passi rapidi e decisi fino a riemergere alla luce del giorno. L’aria fresca del mattino le gonfiò i polmoni, ferendole la gola. Era stata scoperta. Prima del previsto. E a strapparle la maschera era stato quell’odioso armigero.
Lui le fu subito dietro e afferrandola per un braccio la costrinse a voltarsi. Una scena già vista da entrambi.
Lena gli scaricò addosso uno sguardo impetuoso.
Johannes lasciò la presa.
«Sono arrivata sana e salva, capitano, non vedo il problema»
Il giovane la guardò dall’alto al basso. Con un certo disprezzo.
Era bella, molto bella, ma arrogante e piena di sé. E questo lo infastidiva.
Respirò a fatica, reprimendo un moto di stizza. Non avrebbe mai alzato un dito su una donna, ma quella ragazza aveva il dono di condurlo al limite della pazienza. E si conoscevano da meno di un giorno.
«Non mi interessa molto di voi» ci tenne a precisare. «E’ per i vostri uomini che mi preoccupo. La vostra bravata avrebbe potuto condurli alla forca».
Non aggiunse altro. Si limitò a fissarla negli occhi. Poi le voltò le spalle e questa volta fu lei a seguirlo, sollevando le gonne per stare al suo passo.
Nel chiostro maggiore, Justus incrociò il loro cammino. Rivolse a Johannes uno sguardo interrogativo ma il gesto secco dell’amico lo indusse al silenzio. Inutile intervenire. Conosceva troppo bene il suono cadenzato e brusco del suo passo e l’espressione adirata del suo sguardo.
«Aspettate! »
Fu Lena, che lo inseguiva affannosamente, a parlare.
«Aspettate! » ripeté cercando di attirare l’attenzione del soldato.
Poi, vedendo che con le parole non otteneva risposta, si fermò improvvisamente prima dell’arcata che li avrebbe immessi sulla strada principale della città.
Se quell’armigero era davvero intenzionato a riportarla alla sua scorta e consegnarla al Vescovo, avrebbe dovuto ascoltarla.
Non avvertendo più il fruscio di gonne alle proprie spalle, Johannes si volse. La mascella serrata.
Una sfida? Era uno sguardo di sfida quello che aveva incrociato?
Quant’era vero che si chiamava Johannes e che era il capitano delle guardie di Rosenburg, avrebbe consegnato quella capricciosa ragazzina al Vescovo e se ne sarebbe lavato le mani.
Tornò indietro di un passo ma fu subito intercettato da Justus che gli posò una mano sul braccio, avvertendone i muscoli tesi. Duri come il marmo delle statue dei Santi che vegliavano sul monastero.
«Per la nostra paladina degli oppressi, non tutti gli uomini sono degni di essere salvati» si giustificò agli occhi dell’amico.
Justus spostò la propria attenzione da Johannes alla ragazza bruna. Come a pretendere tacitamente una spiegazione.
«Maddalena Aicardo, per servirvi… » confessò lei accennando un inchino.
Justus sollevò un sopracciglio, perplesso. Quel nome avrebbe dovuto dirgli qualcosa?
Johannes chiarì la situazione.
«Madonna Lena è la protetta del Vescovo Winkel» esordì con un sorrisetto ironico che non sfuggì alla ragazza «Ma invece di lasciarsi scortare in città, ha preferito inscenare la commedia di ieri sera e passare la notte al monastero, mettendo a repentaglio la vita degli uomini che avrebbero dovuto portarla da noi… » terminò.
Lena accusò il colpo e per un istante parve abbassare lo sguardo. Ma i suoi profondi occhi scuri si sollevarono repentinamente in quelli del capitano.
«Se foste al mio posto… » mormorò avanzando di qualche passo fino a raggiungere Johannes «anche voi non sareste così ansioso di presentarvi al Vescovo» concluse superandolo senza voltarsi. Allontanandosi dal fascino magnetico di quello sguardo che sembrava scivolarle dentro come la lama sottile di una spada.  
Inspirò profondamente.
«Portatemi dai miei uomini e loro mi condurranno dal mio padrino» ordinò.
 
***
 
Nel silenzio cupo del proprio appartamento, Johannes terminò di vestirsi.
La nuova convocazione del Vescovo non l’aveva sorpreso.
Si sorprese, invece, quando Justus bussò alla sua porta con il caratteristico codice che avevano istituito fin da ragazzini, durante gli anni trascorsi da entrambi in monastero. Fino a quando, destinato all’arme, Johannes non fu costretto a lasciare l’amico tra le mura del convento.
Grugnì qualcosa che il chierico percepì come un invito ad entrare.
Johannes gli lanciò un’occhiata.
«Come mai da queste parti? » domandò pronto a schermirsi. «Se sei qui per farmi la ramanzina…»
Il sorriso di Justus lo zittì.
«Niente ramanzina. Non questa volta» gli rispose l’amico. «Sono venuto a prenderti» ridacchiò divertito dall’espressione sorpresa dell’armigero.
«Proprio così! Mi accerto che ti presenti alla riunione... di famiglia»
L’espressione tesa di Johannes si sciolse per poi riproporsi ma per altri motivi.
Quindi non era per punirlo che il Vescovo l’aveva convocato… Ma l’idea di una riunione di famiglia non lo metteva certo di buon umore.
«Andiamo» tagliò corto precedendo Justus fuori dalla porta e prendendo le scale.
Tagliando per le strade secondarie, invece di attraversare la piazza principale straripante di banchi nel giorno del mercato, avrebbero raggiunto gli appartamenti vescovili nella metà del tempo, ma Johannes preferì allungare, intrattenendosi con il chierico e raccontandogli i dettagli degli ultimi giorni.
«Quindi sarai tu ad occuparti di lei… »
I due camminavano affiancati. Assaporando la complicità e la serenità che li avevano visti crescere insieme. Diventare fanciulli, prima, e giovani uomini poi. Soldato uno e uomo di Chiesa l’altro.
Johannes dissimulò un sospiro.
Justus comprese.
Era sempre stato così. E così sarebbe stato sempre.
«Proteggere una donna, salvaguardare la sua persona,  è il compito più difficile e più importante al quale un uomo possa essere chiamato» mormorò.
Johannes fermò il proprio passo e quando Justus, facendo altrettanto, si volse a cercarlo, lo guardò negli occhi.
Le labbra di Justus si piegarono in un sorriso.
«Ne sarai all’altezza? » domandò.
 
***
 
Konstantin Winkel era evidentemente compiaciuto.
Seduto a capotavola, le dita allacciate sotto il mento, il Vescovo-Principe, reggente di Rosenburg, si abbeverava avidamente alla vista dei suoi giovani ospiti. Ignare pedine dei suoi giochi di potere.
Scivolò con lo sguardo dall’uno all’altro, mentre Erasmus, in piedi al suo fianco, gli riempiva il bicchiere di un vino speziato. Dolce nettare decisamente  inferiore a quello che i suoi occhi stavano suggendo quella sera.
«Basta così» disse fermando la mescita e allontanando con un cenno della mano il segretario.
Portando il calice alle labbra, si avvide dello sguardo di Johannes, fiero e fermo, che seguiva la ritirata di Erasmus e di quello più pacato ma altrettanto deciso di Justus. Poi si perse nella contemplazione della  deliziosa figura di Lena.
La piega compiaciuta delle labbra si accentuò.
Sollevando il calice propose un brindisi. Sorprendendo i suoi ospiti. Evidentemente meno inclini ai festeggiamenti.
«Brindo ai miei pupilli! Nessun padre potrebbe essere più orgoglioso di me, credetemi! » rise apertamente, senza nemmeno tentare di nascondere la propria eccitazione. Non quella sera. Non in quel momento…
«Johannes! » richiamò poi «Ti ho già affidato la scorta della nostra gradita ospite… » gli ricordò. Dunque si rivolse a Justus «E spero che tu, Justus, voglia essere per lei la guida spirituale di cui avrà bisogno durante la sua permanenza in città».
Richiamò Erasmus e si fece riempire nuovamente il bicchiere.
Rivolse un’occhiata lucida e acquosa, segno che il vino aveva già fatto effetto,  a Lena.
«Una permanenza che spero non sia di lunga durata, per quanto io sia contento di avere qui la mia protetta… » comunicò sorprendendo i due giovani uomini.
Leggendo nei loro occhi, si lasciò andare in una breve risata.
«Madonna Lena è promessa sposa ad un ricco e blasonato marchese»
Assaporò un sorso di vino e le proprie parole «I dettagli non sono stati ancora discussi e il futuro marito è impossibilitato a raggiungere Rosenburg per via di una fastidiosa infezione alle vie respiratorie… Ma presto tutto sarà definito» detto questo, Konstantin terminò l’ennesimo bicchiere di vino. Compiaciuto della situazione e del proprio, finissimo ordito.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Il Sentiero delle Rose ***


Capitolo 4 - Il Sentiero delle Rose



«Maddalena è uno spirito libero» confessò il Vescovo Winkel rimasto solo con Justus e Johannes «Uno splendido spirito libero» si compiacque serrando la morsa delle dita allacciate sotto al mento, i gomiti puntati ai braccioli dello scranno che aveva occupato finita la cena.
Erasmus, sedeva alle sue spalle, qualche passo indietro. Johannes e Justus di fronte a lui, così che i loro bei volti fossero pienamente illuminati dalle candele che riempivano con una certa ostentazione la stanza già carica di oggetti di pregio e di colori purpurei alternati a quelli più luminosi dell’oro.
Erano cresciuti, i suoi ragazzi… pensò l’ecclesiastico. Così com’era cresciuta Lena, bella come sua madre e fiera come quel pazzo di suo padre, tipico uomo del Sud.
«E’ per questo motivo che ho bisogno che tu, Johannes, non la perda mai di vista… Questo matrimonio è molto importante, per lei. Le garantirà un nome, se non un marito prestante…» sospirò allargando le braccia al pensiero del giovane e cagionevole marchese «Oltre che un ingente patrimonio».
Konstantin Winkel si assestò meglio sulla grossa poltrona di legno, piegandosi sul lato destro, appoggiando il volto disteso alla mano chiusa a pugno.
«Sono certo che la tua compagnia non le garantirà solo la protezione che merita, Johannes. Madonna Lena ne trarrà pieno giovamento imparando concetti come responsabilità e disciplina» sorrise volutamente lusinghiero.
Johannes abbassò lievemente le palpebre, in un muto cenno di assenso. Inorgoglito dalla fiducia che il Vescovo riponeva in lui e  dal riconoscimento delle proprie virtù morali e militari.
«Ho già disposto perché ti trasferisca nei nostri appartamenti» concluse l’uomo sviando l’attenzione da lui a Justus. Fingendo, così, di non accorgersi dell’immediato e malcelato disappunto del capitano.
«Per quanto ti riguarda, Justus… » riprese rivolgendosi direttamente al chierico in silenziosa attesa «Tu ne seguirai il cammino spirituale fino al giorno delle nozze».
Justus annuì.
Konstantin sorrise, ancora una volta compiaciuto.
«Nutro grandi speranze per Madonna Lena. Mi aspetto che voi vi prendiate cura di lei come della più preziosa delle sorelle. E so che non mi deluderete…» concluse socchiudendo gli occhi, come rivolgendo un pensiero ad un prospero e luminoso futuro, pronto a titillare un nuovo profumato calice di vino e a congedare i suoi giovani e accondiscendenti ospiti.
Alle sue spalle, Erasmus non emetteva un suono, limitandosi ad osservare ogni reazione, pronto a compiacere il Vescovo in ogni sua richiesta, indugiando più spesso del dovuto sulla figura di Johannes, ignorando volutamente il più serafico Justus.
 
***
 
Finalmente sola, Maddalena Aicardo si concesse il lusso di un sospiro liberatorio.
Hanna, la ragazza che le era stata assegnata come domestica e dama di compagnia insieme a quell’enorme camera sfarzosa, aveva appena lasciato la stanza.
Non prima di averle dato le informazioni che cercava…  
Si rigirò nel letto, incapace di prendere sonno. Consapevole della propria condizione. Pungolata dagli eventi di quegli ultimi giorni. Stanca del lungo viaggio che l’aveva condotta a Rosenburg, cittadina a nord est dell’Impero, più fredda e grigia della sua nativa Ivreja. Irritata per l’atteggiamento arrogante del capitano che le era stato messo addosso come un rabbioso cane da guardia…
Il rumore di passi nel corridoio di pietra levigata e lo spostamento di mobili nella stanza attigua, attirarono la sua attenzione distogliendola dai suoi pensieri. Istintivamente afferrò la candela ancora accesa e aprì la porta quel tanto che bastò per cogliere la figura di Johannes, fermo in attesa che due alacri servitori finissero di trasportare alcuni pesanti bauli all’interno della camera. Le dava le spalle, ma quando si voltò per varcare la soglia, i loro occhi si incrociarono per un istante. Abbastanza perché il cuore di Lena mancasse un battito, arrivandole in gola. Si ritrasse. Ricordando improvvisamente di aver indosso solo la camicia da notte, trapassata dallo sguardo penetrante dell’armigero. Istintivamente si portò una mano all’ampia scollatura, avvicinando i lembi di stoffa chiara. Fermò la porta e spense il lume con un soffio precipitoso.
Immersa nel buio, poteva ancora udire distintamente i passi del capitano spostarsi da una parte all’altra della stanza. E quando si fermarono, si sorprese a chiedersi cosa stesse facendo.
Si diede tacitamente della stupida e mordendosi il labbro inferiore si coricò, ora completamente sveglia. Ripensò alle parole di Hanna. Ai due orfani cresciuti in monastero e poi destinati a due vite diametralmente opposte. Pensò a Justus… Le piaceva! Le piacevano i suoi occhi turchesi. Un ragazzo mite e gentile. Ed era grata al Vescovo per averlo scelto come  sua guida spirituale… per aver scelto lui, piuttosto  che lo sfuggente e ambiguo Erasmus i cui occhi neri non si erano fermati nemmeno un momento durante l’intera serata…
Sollevò un braccio, fino a sfiorare la fronte con il dorso della mano. Justus aveva solo una pecca. L’affetto incondizionato che nutriva per Johannes! Sospirò. Avrebbe affrontato qualunque supplizio per lui, e fors’anche le fiamme dell’Inferno! Ne era certa.
Inspirò profondamente. Ancora Johannes!
Per quanto cercasse di non pensare a quell’armigero arrogante, i suoi occhi grigi non facevano che  tormentarla… Supponente e presuntuoso!
Si girò su un fianco arroccandosi a un cuscino. Nessuno l’aveva mai trattata con tanto disprezzo. Nessuno! Strinse gli occhi, imponendosi di dormire. Ma il battito accelerato del cuore sembrava non darle tregua, come Johannes, come i suoi dannati occhi grigi… e infrangere il silenzio ristoratore, disturbandola.  
Dal canto suo, dopo un superficiale controllo ai propri effetti personali, Johannes si era gettato vestito sul letto, avvertendo la netta differenza tra quel materasso e quello più sottile e decisamente più scomodo del suo appartamento.
Incrociò le braccia dietro la nuca, osservando il soffitto. La fuggevole figura di Lena con indosso una semplice camicia da notte dal collo sfacciatamente troppo largo gli balenò davanti costringendolo a chiudere gli occhi.
Il pudore… ecco cosa mancava a quella ragazza! Il pudore…
Strinse le palpebre pesanti e avvertì le membra rilassarsi, le carni dolere per l’eccessivo spasmo di quelle giornate scioccamente intense e per la seconda volta fu vittima innocente e prediletta di un sonno inquieto.
 
***
 
Lo stridulo stormire dei piccioni si elevò come una protesta all’incedere marziale di Johannes.
Era da poco passata la Terza*, quando il capitano delle guardie sorprese Madonna Lena e Hanna alle prese con i mendicanti entrati in città.
«Cosa non vi è ancora chiaro nel fatto che io debba sempre sapere dove siete? » l’aggredì con tono severo, afferrandola per un braccio e costringendola a rialzarsi dal giaciglio dell’infermo presso il quale si era fermata.
Lena lo fissò, immobile. Muta e severa come una statua dagli occhi pesanti.
Aveva trascorso la notte insonne e gliene attribuiva la colpa. L’intera colpa!
Ma visto che il capitano non poteva saperlo, decise di mostrarsi accondiscendente e di non rispondere alla sua provocazione. Almeno non a parole.
Prendendolo inaspettatamente sottobraccio, gli sciorinò il più amichevole dei sorrisi.
«Capitano! » esordì «Sono tutta vostra…»
Johannes dissimulò un leggero sussulto.
«Spero vorrete concedermi un giro della città, prima di riportarmi nella mia prigione dorata! » continuò lei, ignorando la sua protesta e  compiacendosi del suo mal celato imbarazzo.
«Capitano Johannes… io ho cercato di.. » si intromise Hanna, arrossendo e gesticolando, ansiosa di mettersi in mostra, mentre era ancora al fianco di quella sfacciata ospite straniera.
Johannes le rivolse uno sguardo comprensivo.
«So che non è non colpa vostra» la ringraziò con un accenno di sorriso.
Lena si sentì avvampare. Trapassò con lo sguardo la procace e languida dama di compagnia e il bel capitano che ostentava disprezzo solo per lei.  
Congedò Hanna con una frase che suonò più dura di quanto avrebbe voluto.
«Ritieniti libera. Sono in ottime mani» disse.
Hanna le restituì un’occhiata scura ma lei finse di non avvedersene e rivolgendosi a Johannes suggerì: «Vorrei vedere le famose rose che danno il nome alla città… »
 
***
 
L’aria fresca di quella mattina le graffiò la gola prima di gelarle i polmoni. Inerpicandosi lungo l’impervio sentiero di pietra punteggiato di sottili ciuffetti d’erba di un verde brillante, Lena si pentì di aver avanzato quella richiesta.
Johannes protese inaspettatamente la mano. Grande e dura come solo quella di un soldato poteva essere. Lei la fissò,  prima di sollevare lo sguardo e incrociare quello grigio di lui. Occhi che sembravano racchiudere quel cielo plumbeo pronto a sciogliersi in pioggia.
Con un ultimo slancio d’orgoglio,  rifiutò ogni forma di aiuto e salì di qualche piede ancora, superandolo, prima che Johannes, soffocando una risata divertita, le annunciasse la fine di quel tormento.
Al termine del sentiero, un’esplosione di rose vermiglio sembrava straripare sull’intero borgo. Un roseto sorprendentemente rigoglioso si estendeva per un’area vasta quanto il chiostro del monastero su quella balza che sovrastava la città. I rovi si inseguivano, si intrecciavano, si lanciavano nel vuoto carichi di boccioli e di fiori schiusi, animando quello spuntone di roccia altrimenti nuda e fredda come le numerose guglie circostanti.
Da lassù, la città di Rosenburg si poteva abbracciare con uno sguardo.
Ammaliata, Lena raggiunse il limite del precipizio e allargò le braccia, inspirando profondamente una miscellanea di profumi. L’odore acre della terra, quello dolciastro delle rose e insieme il presagio della pioggia, minaccia sempre più concreta.
Girandosi, rivolse a Johannes uno sguardo acceso e un sorriso che lui faticò a decifrare.
Era bella! Era molto bella… Con la pelle rosea, quasi cremisi sulle guance arrossate dalla fatica. Il respiro corto, affannoso, a sollevare il petto stretto nel busto di un abito semplice, che ne metteva in risalto la figura snella.  I capelli scuri scarmigliati. Ciocche ribelli che le sfioravano le guance…
«E’ meglio tornare » osservò il capitano innalzando un muro tra sé e quella splendida figura di giovane donna «Sta per mettersi a piovere»
Un tuono sottolineò inaspettatamente le sue parole, trasformandosi poi in un brontolio lontano.
Lena fu scossa da un brivido. Un sussulto improvviso. Sorrise. Ma non era ancora pronta a rientrare. Non si era mai sentita così libera. Così vicina al cielo.
«No» rispose scuotendo impercettibilmente il capo. Tornando a sfidarlo.
Johannes avanzò di un passo. Lena indietreggiò istintivamente.
Avvertì la sgradevole sensazione del vuoto avvilupparla, poi la fermezza di un braccio avvolgerla e cingerle la vita.
Tornò inaspettatamente a respirare, stretta tra le braccia del capitano. Addossata al suo petto.
Sollevò il viso e lo guardò negli occhi.
«Allora non è vero che mi detestate! » Si morse le labbra. Sciocca!
Non aveva trovato niente di meglio da dire. Ridacchiò nervosa, inspirando l’odore di quel giovane uomo fermo come una roccia.
«Faccio solo il mio dovere» replicò lui senza scomporsi, con quella particolare vibrazione nella voce, senza dare segno di allentare la presa.
Lena si lasciò cullare, indugiando ancora in quell’abbraccio. Piegò leggermente la testa di lato e lo squadrò di sbieco, socchiudendo gli occhi nocciola.
«Siete così ligio al dovere… » mormorò lentamente «Avete mai fatto qualcosa per il solo gusto di farla e non perché vi sia stata imposta? »
Sottili stilli di pioggia marchiarono il terreno.
Le labbra di Johannes si piegarono in un sorriso spietato, pizzicate dalle prime gocce.
«State civettando con me, mia signora? » domandò impietoso.
Lena si ritrasse, avvertendo la stretta di Johannes farsi più forte.
Indignata si liberò del suo abbraccio e incurante della pioggia che ora le sferzava il volto, fredda e copiosa, e aveva iniziato a inzupparle il vestito lo scansò e si precipitò verso il sentiero di pietra.
Ma le scarpe, poco adatte all’arrampicata e alle rocce bagnate, scivolarono sulle prime asperità.
Ancora una volta sussultò, avvertendo il braccio di Johannes cingerle la vita, subito sotto al seno e trattenerla. Si fermò, il cuore in gola, infuriata e umiliata, dandogli le spalle, e lasciò che lui la rimettesse in piedi. Avvertendo chiaramente la sua presenza, si raddrizzò e senza voltarsi, accettando l’appoggio sicuro offerto dalla sua mano, attese che lui la liberasse da quel secondo, inaspettato abbraccio.
«Riportatemi a casa» mormorò.
Inaspettatamente, Johannes la sollevò da terra.
«Così faremo sicuramente più in fretta» asserì.
 
***
 
Justus attraversava celere la piazza del mercato, quando si avvide della figura che scendeva in città lungo il Sentiero delle Rose. Proteggendosi gli occhi dall’acqua battente, riconobbe Johannes e tra le sue braccia, inzuppata fino alla punta dei capelli, Madonna Lena.
Certo che almeno uno dei due si sarebbe confidato con lui, non si curò della cosa e procedette verso la cappella.
 


Note: 
* All'incirca le 9 del mattino, secondo l'antica suddivisione del tempo e delle giornate della Chiesa Cattolica conosciuta come ORE CANONICHE.





IL CONFESSIONALE (ossia "l'angolo dell'autrice")
Ecco che la storia comincia a entrare nel vivo. Ormai, i "caratteri" dei protagonisti principali dovrebbero esservi già familiari... da questo capitolo in poi, la trama prende effettivamente avvio! Grazie a chi mi sta seguendo, a chi mi sta manifestando pensieri e preferenze con le graditissime recensioni e ai lettori silenti... Chiudo con questo capitolo una settimana di "intense emozioni e batticuori narrativi" (testimone il mio ritorno fugace nel fandom di "Lady Oscar" con la one-shot "NON TI FERMARE...") e mi immergo nella stesura del nuovo capitolo di IMMORTALITY per un diversivo e un rapito brivido VAMPIRESCO, ehehehehe! 
A prestissimo con il prossimo aggiornamento! 
Sabrina 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Un uomo debole... ***


Capitolo 5 – Un uomo debole…
 
 
Erasmus attese che il capitano e madonna Lena svoltassero l’angolo, emergendo dalla penombra che lambiva quel lungo corridoio ricco di arazzi e ritratti ecclesiastici.
Fradici. Erano fradici dalla testa ai piedi. Visibilmente infastiditi dalla sua presenza.
Il segretario passò con lo sguardo dall’uno all’altra. Impassibile. Solo una ruga severa all’angolo della bocca tradiva il suo disappunto.
«Sua Eminenza ha chiesto di parlarvi… » comunicò. Il tono affettato di sempre «Vi consiglio di rendervi presentabili…» alluse, riducendo gli occhi a due feritoie scure.
Lena sollevò le gonne, rese pesanti dall’acqua, e lo superò accennando un saluto col capo, sbrigativo e dignitoso. I lunghi capelli scuri appicciati alle spalle seminude, sul collo, sulle guance cremisi.
Johannes attese che svanisse dietro la curva a gomito del corridoio, inghiottita dall’ombra.
«Una gatta selvatica, vostra sorella… » commentò l’ecclesiastico, ironizzando con fare cameratesco, sottolineando volutamente l’ultima parola, sganciando lo sguardo dalla figura di Lena per riportarlo  sul capitano.
L’accenno di sorriso che gli increspava le labbra sottili morì all’istante.
Johannes lo trafisse con un’occhiata.
Erasmus trasalì, stringendo più forte le mani in grembo, nascoste dalle ampie maniche della tonaca.
«Vado a cambiarmi» la voce roca e tagliente gli gelò il sangue nelle vene «Dite al Vescovo che stiamo arrivando».
Erasmus si irrigidì. Gli occhi rivolti al pavimento irregolare, sdegnato, quasi umiliato. Si morse le labbra sottili fino a farsi male, allargando le narici in un respiro profondo e rabbioso.
Nelle orecchie, il suono cadenzato e marziale dei passi di Johannes che si allontanava.
 
***
 
«Maddalena! » esclamò il Vescovo Winkel quando la ragazza entrò stanza seguita dall’immancabile guardia del corpo.
«Ho una sorpresa per te, mia cara…» continuò facendole cenno di rialzarsi dopo che le sue labbra ebbero sfiorato con il consueto bacio di rito l’anello della mano che lui le aveva porto.
Lena si tirò in piedi, bella e dritta come un fuso, rivolta all’uomo che occupava lo scranno vescovile. Lo guardò in attesa.
Konstantin Winkel fece un cenno a Erasmus perché si avvicinasse, portando un involto che le venne consegnato.
«Il tuo futuro sposo fatica a rimettersi in salute, figliola, e per questo ha dovuto rimandare la partenza ancora di qualche giorno… » spiegò il Vescovo con un certo rammarico «Tuttavia, ha voluto dimostrarti le sue attenzioni inviandoti un regalo. Un ritratto.» sollevò una mano inducendola ad allentare i teli che proteggevano la miniatura.
Dissimulando il tremore alle mani e il battito accelerato del proprio cuore, Lena liberò il piccolo quadro dalla stoffa blu che lo avvolgeva. Allargò le narici, trattenendosi dal ritrarsi,  incapace di distogliere lo sguardo dal sorriso pallido del giovane che la fissava tristemente dalla piccola tavola di tela che teneva in mano. Diafano ed emaciato, il volto di quel ragazzo le strinse lo stomaco. I capelli biondi, lunghi sul collo, pettinati in modo che le grandi orecchie risultassero coperte, e gli occhi acquosi, tanto chiari da far male, le si impressero nella mente strappandole un sussulto.
«Ero certo che avresti apprezzato il suo gesto e penso che vorrai ricambiarlo» commentò l’ecclesiastico, allacciando le dita sotto al mento. Assottigliò lo sguardo e la fissò, per un tempo che a Lena parve eterno, prima di concludere e congedarla con un sorriso paterno.
«Indossa qualcosa di opportuno, figliola» mormorò «E appena sarai pronta, ti manderò il ritrattista migliore della città… ».
Il suo tono non ammetteva repliche e il gesto di commiato della sua mano faceva altrettanto.
Madonna Lena accennò un inchino, e sotto lo sguardo soddisfatto di Erasmus, immobile alle spalle del Vescovo, oltrepassò Johannes, fermo sulla soglia, e finalmente respirò a pieni polmoni l’aria fresca del lungo corridoio di pietra. Reprimendo dentro di sé, il disgusto provato alla vista di quell’uomo debole…
 
***
 
Bert Wüber sistemò il cavalletto, si passò una mano tra i capelli folti e ricci e rese grazie per il soggetto che gli era stato chiesto di ritrarre. Era stanco delle solite anziane matrone o delle bionde e massicce ragazze di città. Quella bellezza del sud, i suoi occhi nocciola, i suoi capelli scuri in netto contrasto con una pelle fin troppo chiara per le sue origini, gli dava finalmente l’occasione di affrontare un lavoro diverso dal solito e l’uso, quasi dimenticato, di colori più caldi e sensuali.
Mescolò la tonalità  che aveva preparato sulla tavolozza. Voluttuosa e  morbida. Non fosse stato per la presenza ingombrante del giovane capitano della guardia cittadina, seduto alle sue spalle, sulla panca in fondo alla stanza, quelle ore sarebbero trascorse come le più piacevoli degli ultimi anni…
Madonna Lena si spostò impercettibilmente e Bert fu pronto a riprenderla con lo sguardo e un gesto secco del pennello, intimandole “immobilità”.
La ragazza emise un flebile sospiro che prima le sollevò poi le abbassò la curva morbida del seno esposta agli occhi del pittore. E a quelli grigi di Johannes…
Anche lui immobile come una statua, pensò. Immobile e impassibile!
Si era domandata se la sua presenza fosse davvero necessaria, in quel momento. Ma l’irritazione si era presto dissolta, lasciando il posto alla consapevolezza e in parte alla soddisfazione di poterlo finalmente osservare come non le era ancora stato permesso di fare. Senza doverci discutere o distogliere lo sguardo. Decisamente bello, oltre che affascinante, Johannes trasudava stabilità e forza. Ogni suo tratto era l’espressione della virilità e della decisione. Le spalle larghe, i fianchi snelli e le gambe lunghe e sode, perfettamente accompagnate dalle braccia tornite… Arrossì, al ricordo di quelle braccia!
Al ricordo della loro consistenza, della muscolatura marmorea nascosta sotto le maniche della camicia. Braccia che l’avevano circondata e stretta, solo qualche ora prima. Il profumo della pioggia si era così mescolato a quello della pelle di lui, mentre dai capelli scuri, appiccicati sul viso e sul collo, esili gocce d’acqua, come rivoli sensuali, tracciavano il suo profilo severo scivolando poi su di lei. Trasalì. Attraversata da un brivido che partendo dalle spalle terminò nel basso ventre.
Cercò con lo sguardo la miniatura, il ritratto del suo futuro sposo. Un uomo debole… ecco quello che sembrava il marchese, e forse era meglio così. Un uomo debole le avrebbe forse concesso il tempo e lo spazio per occuparsi di quello che le stava a cuore, senza pretendere troppo da lei. Un battito di ciglia e Johannes tornò nel suo campo visivo. Vivere accanto ad un uomo come quello sarebbe stato l’Inferno, per lei… A meno che non l’amasse e lei non amasse lui… ma l’amore era l’ultimo dei presupposti sul quale il suo matrimonio si sarebbe fondato. Questo le era chiaro. Quindi, perché rischiare?
Avrebbe voluto ridere. Ridere di se stessa e dei propri pensieri. Ridere per il disprezzo che sentiva di provare per la propria persona… Il respiro le si fece corto, quasi affannoso e il petto vibrò ancora, visibilmente.
Johannes si alzò, lasciando la stanza. In silenzio.
 
***
 
Nonostante la fitta pioggia del mattino, l’aria si era fatta inaspettatamente calda. E l’aria di quella stanza addirittura soffocante.
Dopo aver lanciato un’occhiata,  apparentemente distratta, al ritratto del giovane e imbelle marchese abbandonato sulla panca, Johannes si era allontanato. Seduto alle spalle del pittore, perso nel silenzio, affascinato dai coni polverosi di luce che tagliavano la penombra, si era lasciato ammaliare da Bert e dalla sua straordinaria arte.
E si era lasciato ammaliare da lei…
Senza sottrarsi al loro sguardo, aveva sfidato quegli occhi impertinenti e finalmente immobili. E i suoi occhi, grigi e impenetrabili, le erano scivolati addosso. Avevano seguito ogni profilo, ogni dettaglio, seguendo gli orli ricamati dell’abito rosso fuoco nel quale le sue forme morbide erano state costrette. Forme che lui aveva decisamente avvertito, quella mattina. Prima tra le rose della rocca, poi sul sentiero che la collegava alla città. Cercare di evitare che cadesse, che scivolasse ripetutamente sulle pietre bagnate, afferrarla, stringerla, esitare nel lasciarla andare...
Serrò la mascella e il suo sguardo si incupì.   
Protetto dalla penombra nella quale si era consapevolmente immerso, aveva maledetto l’istinto e quell’irrefrenabile impulso di sollevarla tra la braccia e sentirsela ancora addosso… Non avrebbe dovuto farlo! Non avrebbe dovuto cedere al richiamo diabolico di quegli occhi scuri. Cedere! Come il più debole degli uomini!
Aveva provato rabbia. Una rabbia sorda. Poi aveva visto lui… quel ragazzino esile come un fuscello e pallido come uno straccio sorridergli tristemente da quella miniatura dimenticata. Quasi fosse stata gettata via. Lontano. Come avrebbe potuto quello spettro d’uomo tener testa a una donna con quel carattere?
Il pensiero successivo era stato tanto veloce da non riuscire a fermarlo: possibile che il Vescovo non avesse valutato gli effetti disastrosi di quel matrimonio?
Il senso di colpa lo aveva quindi trapassato come una pugnalata, ricordandogli che non era nessuno per mettere in discussione  l’operato del Vescovo.
Lasciò il palazzo, abbagliato dalla luce esterna.  Reclutò uno dei suoi uomini e gli chiese di sostituirlo.  
Adombrato, raggiunse il monastero, attraversò a passo svelto il chiostro e cercò Justus.
Il chierico avvertì i suoi passi quando ancora stava attraversando il  corridoio. Sollevò gli occhi turchesi dalle pergamene che stava copiando e si illuminò al suo ingresso. Poi, ricordandosi i propri doveri,  scambiò un’occhiata con i fratelli che dividevano con lui la biblioteca, assunse un’aria contrita e lo raggiunse, pronto a protestare per quell’inaspettata intrusione. Ma qualcosa nel suo sguardo torvo lo convinse a tacere e a  seguirlo senza pronunciare una parola.
 
***
 
Le acque limpide e fredde le Danubio lambivano le mura occidentali della città, scivolando lungo quelle del monastero. Johannes emerse bruscamente dal fiume, là dove l’acqua gli arrivava ancora al bacino, e camminò verso la riva con le sole brache indosso, appiccicate alle cosce come un sudario. Man mano che la sua pelle nuda si offriva all’aria del pomeriggio, piccoli brividi gli correvano lungo la schiena possente. Si passò una mano tra i capelli e poi sul volto finalmente rilassato.  Ritrovò la figura di Justus, steso al sole sull’ansa erbosa del fiume, e si lasciò cadere al suo fianco.
«Hai interrotto il mio lavoro solo per una nuotata? » domandò il chierico in risposta del sospiro soddisfatto del capitano.
Seguendo il suo esempio, Johannes si tirò a sedere, una gamba tesa e l’altra piegata per appoggiarvi un braccio e poi il mento.
Si perse nel baluginare del sole sulla pelle increspata dell’acqua. In estasiata ammirazione di quel punto del fiume che era da sempre il loro rifugio segreto. Fin da bambini.
Annuì, con un sorriso innocente.
Justus seguì il suo sguardo. Sapeva di non dover insistere. Non con Johannes. Sarebbe stato solo controproducente. Avrebbe deciso lui stesso se e quando parlargli, se avesse avuto qualcosa da dire…
«Dove hai lasciato madonna Lena? » domandò con noncuranza.
Un’ombra calò immediatamente sul volto dell’amico.
Johannes si portò entrambe le braccia dietro la nuca e si lasciò cadere di spalle sull’erba, chiudendo gli occhi.
«E’ alle prese con Bert Wüber» rispose laconico, infastidito dalle immagini che tornavano ad affollargli la mente.
Era riuscito a togliersi quella donna dalla testa, perché parlarne ancora? Perché parlare di un problema che presto si sarebbe risolto?
Avvertì l’espressione interrogativa di Justus senza nemmeno aver bisogno di guardarlo «Il suo promesso sposo le ha mandato un ritratto e lei sta ricambiando il favore» spiegò senza sollevare le palpebre.
Justus afferrò un ciuffetto d’erba sottile e lasciò che un alito di vento glielo strappasse dal palmo aperto della mano.
«Tu lo hai visto? »
Le labbra di Johannes si piegarono in un sorriso sprezzante. Quasi cattivo.
«E’ un uomo debole... » asserì, inspirando profondamente e stringendo gli occhi ancora chiusi.




IL CONFESSIONALE (ossia, l'angolo dell'autrice):
Come mi è stato giustamente fatto notare, al momento sembra che Justus abbia in questa storia un ruolo solo marginale. Abbiate fede, eheheh! Il nostro bel chierico avrà modo di farsi "notare". Certo, magari non attraversando a nuoto il Danubio come quell'esagerato di Johannes, ma avrà modo di farsi notare...
Grazie come sempre a tutti i lettori... quelli silenti e quelli che mi tengono compagnia con le loro preziose recensioni! 
A presto, Sabrina 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Come fuoco ***


       Capitolo 6 - Come fuoco




Dalla porta aperta, una lama di luce penetrò e affondò nella penombra umida della taverna. Subito dopo, una figura si stagliò sulla soglia.
La sua apparizione, silenziosa e improvvisa, zittì immediatamente gli avventori. Poi, ognuno tornò ai propri affari. I commercianti a trattare, gli artigiani a bagnarsi la gola tracannando avidamente boccali di birra schiumosa, i viandanti a rifocillarsi. Il tutto, tra risate e schiamazzi.
Johannes percorse con lo sguardo  l’assito squassato e grasso. Consumato dal passaggio di centinaia di piedi al giorno. Poi, i suoi occhi grigi risalirono lungo il bancone, fino ad incrociare l’uomo che stavano cercando. Heinrich Kraft!
«Nemmeno il tempo di tornare in città e ti infili in taverna a riempirti di birra? » lo schernì.
Il soldato, le larghe spalle impolverate, si alzò rumorosamente dallo sgabello che stava occupando, e con un cenno del capo omaggiò il superiore che non vedeva da diverse settimane. Il suo largo sorriso anticipò di poco una delle sue fragorose risate.  Biondo, poco più grande di Johannes, più massiccio e alto del capitano, Heinrich era anche più propenso al sorriso e al divertimento.
«Tutto può aspettare, capitano! La birra aromatizzata di Peter Hoffman no! » rise, accennando al boccale che teneva in mano.
Tornò a sedersi, rivolto al compagno d’armi e, mimando un brindisi, saltò tutti i convenevoli arrivando al dunque, come sua abitudine.
«Ho saputo del tuo nuovo incarico» bofonchiò, fingendo indifferenza, sorseggiando la birra e poi passandosi il dorso di una mano sulle labbra umide di schiuma.
Johannes occupò lo sgabello libero accanto al suo, senza  rispondere alla domanda, irritato dalla sua proverbiale spontaneità ma felice di riaverlo tra i suoi uomini. Lieto di sollevare il giovane Endres da un compito forse ancora troppo gravoso per lui.
Passò una mano tra i capelli bagnati, poi si pentì  e prima che Heinrich potesse riaprire bocca, insistendo sull’argomento o chiedendogli spiegazioni circa il suo tuffo nel Danubio, cambiò rapidamente discorso.
«Com’è andato il viaggio? » domandò
Non c’era bisogno di dire come avesse saputo del suo ritorno e dove trovarlo. Le notizie giravano veloci, a Rosenburg e Johannes, in qualità di capitano della guardia cittadina, era tenuto a conoscere ogni movimento di merci e persone. Che si trattasse di suoi concittadini come di emeriti sconosciuti.  Ed Heinrich non era proprio uno sconosciuto, sorrise.
«Benissimo» rispose l’altro con un’enfasi esagerata e una smorfia, facendo una mezza rotazione su se stesso e tornando a puntare i gomiti sul bancone «Il nostro Imperatore può essere soddisfatto» ironizzò.
Johannes studiò il profilo energico del proprio vice. L’importante campagna di reclutamento che lo aveva impegnato nelle ultime settimane, aveva sollevato da subito le perplessità di Heinrich. Ma era un soldato, un ottimo soldato. E come tale aveva risposto alla chiamata e aveva girato il territorio della Contea in lungo e in largo pur di scovare “carne fresca”, come era solito chiamarla, atta a rimpolpare le fila dell’esercito imperiale. Esercito al quale Johannes stesso si sarebbe unito volentieri.
«Lei com’è? » domandò  il soldato biondo, a bruciapelo, senza guardarlo. Tornando sull’ argomento che evidentemente lo interessava di più.
Johannes sollevò un sopracciglio. Serrò le labbra. Poi decise di rispondere, consapevole che altrimenti non avrebbe avuto scampo.
«Diversa» disse, e questa volta fu Heinrich a voltarsi nella sua direzione e ad alzare un sopracciglio.
«Diversa dalle nostre donne» tagliò corto Johannes.
«Non hai nient’altro da dirmi? » continuò l’armigero imperterrito, prendendo ancora un paio di sorsate di birra «Tipo… perché hai i capelli bagnati a metà pomeriggio? »
Se ne era accorto!
Insolente, sorrise Johannes, corrugando la fronte. Ma non ebbe il tempo di rispondere, perché al lieve smorzarsi della luce che arrivava dalla porta alla sua destra, seguì repentinamente il suono di una voce che conosceva fin troppo bene. 
«Non vedo come possa tenervi al corrente dei miei movimenti se non conosco i vostri! » la voce calma ma tagliente di Madonna Lena sferzò l’aria   rarefatta e umida della taverna rimanendo sospesa sulla testa degli astanti, improvvisamente immobili. Ma bruciando come un marchio a fuoco sulla pelle di Johannes.
Seguendo lo sguardo ammirato di Heinrich, il capitano si volse in direzione della ragazza, ferma sull’uscio, fasciata da un bell’abito verde, evidentemente ritenuto più idoneo ad una passeggiata in città rispetto a quello rosso indossato per il ritratto, decisamente più appariscente. Alle sue spalle, il soldato al quale aveva dato incarico di sostituirlo per il tempo di quella sua breve evasione e la giovane Hanna che esprimeva il proprio dissenso alla decisione della padrona osservando tutto e tutti con aria inviperita. Forse dimenticando che la metà degli avventori la conosceva intimamente e faticava a credere a quella sua espressione carica di sdegno ed esagerato imbarazzo.
«Ho assolto al mio dovere, madonna» disse Johannes serrando la mascella «Non siete mai rimasta sola»
Lena oltrepassò la soglia, innescando la curiosità degli avventori e l’immediata reazione di Johannes.
Alzandosi repentinamente dallo sgabello, il capitano le si parò dinnanzi, impedendole di procedere oltre, quasi a voler fare da scudo tra lei e gli sguardi del popolo.
Impudente! Si ritrovò a pensare… E per la seconda volta si chiese se quella donna avesse la vaga idea del significato della parola “pudore”.
«Il compito di scortarmi è stato assegnato a voi, capitano. Esistono delle regole. E le regole vanno rispettate» precisò la pupilla del Vescovo, incurante dell’espressione furente di Johannes. Rinfacciandogli  per ben due volte le sue stesse parole.
Il capitano serrò la mascella, intenzionato a non farsi sbeffeggiare.  ma qualcosa, nello sguardo di lei, lo fermò. Qualcosa in quegli occhi nocciola era cambiato. Una luce o forse un’ombra diversa. Johannes non avrebbe saputo dirlo.
Heinrich diede di gomito all’amico, avvicinandosi al suo orecchio destro.
«Molto diversa… » fischiò a fior di labbra, facendo riferimento alla scarna ma evidentemente precisa descrizione di poco prima, gli occhi incatenati alla giovane donna dai capelli scuri. Alta e snella, eppure morbida nei punti strategici. Un corpo deliziosamente scolpito, pensò, e un volto pericolosamente attraente, caratterizzato da quegli accesi occhi nocciola.
Accennò un inchino.  
«Le voci che circolano su di voi non vi rendono giustizia, madonna! » la adulò «Così come il tiepido giudizio del vostro “mastino”… » continuò prendendosi gioco di Johannes, aprendo quel suo grande sorriso spaccone. «Heinrich Kraft, capitano in seconda di Rosenburg, per servirvi, mia signora… »
Lena sfiorò con lo sguardo quell’imponente armigero biondo dal bel volto squadrato. La rada barbetta incolta, appena accennata, e l’ abbigliamento impolverato le dissero che l’uomo era appena tornato in città. I suoi occhi e il suo sorriso la conquistarono.
Chinò leggermente la testa e gli sorrise di rimando, con naturalezza.
«Bentornato, messere»
Heinrich le puntò gli occhi blu dritti in volto e allargò ulteriormente il proprio sorriso.
«Splendida e arguta, nostra signora… »
Lena sorrise, compiaciuta dal primo complimento che riceveva da giorni, dimentica del motivo che l’aveva condotta fino alla taverna. Il desiderio di punire Johannes. Reo, in qualche modo,  di averla “sedotta” e “abbandonata” alla mercé di un irritante ritrattista in preda all’estasi dell’ispirazione.
La complicità evidente tra quella donna e Heinrich urtò il capitano, così come quelle sdolcinate frasi da corteggiamento.
«Frena la tua baldanza, Heinrich» s’intromise «Nostra signora è promessa in sposa a un giovane marchese di belle speranze» sorrise sarcastico, puntando lo sguardo indecifrabile in quello di lei.
E quando le belle labbra rosse di Lena si serrarono indispettite, accentuò il proprio sorriso.  «Avanti!» continuò, poggiando con forza una mano sulla spalla del soldato, senza tuttavia distogliere lo sguardo dal volto tirato della ragazza «Usciamo da qui! Ho voglia di un paio di affondi! »
Heinrich, sogguardò l’amico e capitano con una certa diffidenza, allungando le labbra in un sorriso malizioso. Incerto se quelle parole fossero realmente rivolte a lui o nascondessero, invece, un qualche codice cifrato. Un qualche messaggio indirizzato alla bella straniera. Poi, deciso a non lasciarsi scappare l’occasione di un bel confronto a fil di spada, annuì energicamente.
«Ottima idea! Ho proprio bisogno di sgranchirmi le ossa con un avversario degno di questo nome! » rise afferrando il boccale e bevendo l’ultimo sorso di birra.
Chiedendo garbatamente commiato, recuperò il mantello abbandonato su uno sgabello vicino, e precedette Johannes in strada.
Ma prima di uscire, non ancora soddisfatto, il capitano lanciò alla ragazza un’occhiata e un sorriso compiaciuto.
«Avete due possibilità, madonna» esordì «Tornare al palazzo vescovile con il mio uomo e aspettarmi lì o seguirci» la sfidò, spinto da una qualche forza maligna «In entrambi i casi, sarò di ritorno  prima del Vespro»
Maddalena Aicardo non batté ciglio. Rivolse un’occhiata al soldato in attesa fuori dalla taverna, oltrepassò la soglia e accettò il braccio che questi le offriva.  
 
***
 
Un rumoroso volo di piccioni accolse il piccolo drappello in quella che era la piazza d’armi di Rosenburg, a ridosso  degli alloggiamenti dei soldati, nella zona nord est della città.
Lungo la strada che dalla taverna di Hoffmann li aveva condotti fino alla zona militare, Johannes aveva evitato accuratamente di guardare Lena e Heinrich procedere a braccetto, impegnati in una qualche divertente conversazione. Si era trincerato in un ostinato silenzio, biasimandosi e chiedendosi quale  malefico demone si fosse impossessato di lui, quel pomeriggio, suggerendogli quell’assurdo comportamento.
Ma non appena ebbe messo piede in quella che, fino a qualche giorno prima, era stata la sua casa, ogni pensiero svanì. Vinto dallo stridere della spada nell’atto di uscire dal fodero che la rivestiva.
Di fronte a lui, la voglia di scrollarsi di dosso un po’ di polvere e il ricordo delle lunghe giornate di marcia, così come i manichini debosciati  incontrati in quel suo peregrinare, Heinrich Kraft pronto all’affondo.
A distanza di sicurezza, Maddalena Aicardo, Hanna e il giovane soldato che aveva fatto loro da scorta.
I due armigeri, fronteggiandosi, sembrarono studiarsi. In realtà, cresciuti insieme nella disciplina delle armi, non ne avevano alcun bisogno e questa fase  durò il tempo di uno sguardo. Lo scontro che ne seguì fu squisitamente fisico. Maschio. Niente di accennato, di abbozzato. Ogni passo, ogni mossa, ogni affondo era la pura espressione di una  necessità fisica. La proiezione di una virilità che ambiva al proprio sfogo.
Le spade si cercavano, si fondevano, si respingevano in un gioco pericoloso e possente. Poi si cercavano ancora, in un cozzare assordante.
Lena, lo sguardo avvinto da quella prova di forza, non indietreggiò quando, spinto dall’impeto di Heinrich, impegnato a evitare il suo attacco, Johannes  rotolò fin quasi ai suoi piedi. Fermandosi ad appena un passo da lei. Chinò il capo, curiosa, e lo guardò.
Il capitano le rivolse un’occhiata fugace, assicurandosi di non averla sfiorata, ansioso di rimettersi in gioco. E quello che lei vide, fu un altro uomo…
Un uomo trasfigurato dall’eccitazione. Lo sguardo acceso, febbricitante. Le labbra tirate nel sorriso di chi si sta divertendo: malizioso, soddisfatto e compiaciuto al tempo stesso. Un uomo  ansimante. Pura essenza. Il volto impastato di polvere e sudore. I capelli appiccicati sulla fronte e sul collo.
L’espressione di quel viso, di quegli occhi grigi e di quel sorriso, il primo, vero, che gli avesse mai visto, la colpirono.
Un languore improvviso le attraversò le membra. Come un fremito incontrollato.  Schiuse le labbra, spinta da un impulso irrefrenabile, e inspirò profondamente. Le sembrò di soffocare. Impossibile distogliere lo sguardo. Socchiuse le palpebre. Sussultò. Johannes doveva essersene accorto.
Un attimo dopo si era già voltato, riportando l’attenzione sull’avversario. Catturando con gli occhi quel suo volto arrossato. Strappandole il cuore.
Con un impeto che ancora non gli conosceva, il capitano ribaltò la situazione, imponendosi su Heinrich con agilità e destrezza. E la sua superiorità non tardò ad emergere, finché la  spada del soldato scivolò a terra, mentre i due uomini, ansando, si fissavano negli occhi, sorridendosi a vicenda.
Lena emise un flebile sospiro. Il suo unico desiderio, adesso, era tornare a Palazzo. Chiudersi nella propria stanza. Concentrarsi sull’imminente fidanzamento. Si pentì di aver voluto sfidare Johannes per l’ennesima volta. Si pentì di aver risposto a quella sciocca urgenza di andarselo a riprendere, delusa quando lo aveva visto abbandonare la sala dei ritratti.
Ma Johannes decise che non era ancora giunto il momento di fermarsi. Che non ne aveva avuto ancora abbastanza. O forse che non si era ancora punito abbastanza. Gli occhi nocciola di Lena, lo avevano trafitto ancora una volta… E il Demone era tornato a parlare.
Lasciò cadere la spada. Con un gesto della mano e un sorriso indecifrabile, esortò Heinrich a proseguire a mani nude.
«Facciamo vedere alla nostra signora come si battono due veri uomini…» sibilò, alludendo all’immagine sbiadita del giovane e imbelle Marchese che per qualche strano motivo sembrava continuare a fissarlo con i suoi vacui occhi celesti.
Ma l’attacco di Heinrich non arrivò mai. E neppure la punizione che cercava, che fosse un occhio pesto o un labbro spaccato. Muscoli indolenziti o un braccio rotto.
Arrivò la voce di Lena, invece. A fermare ogni cosa.
«Onestamente, non capisco a che scopo vi battiate come due galli in un pollaio» osservò, sorprendendosi della propria compostezza.
«Ad ogni modo, credo che per oggi abbiate già fatto abbastanza» continuò, galvanizzata dall’effetto che il proprio intervento aveva sortito. «Heinrich Kraft, penso abbiate bisogno di un buon bagno e di riposarvi, dopo il vostro viaggio. E il capitano è tenuto ad accompagnarmi a casa. Volente o nolente» concluse, certa della reazione piccata di Johannes, ma confortata dal sorriso amichevole di Heinrich.
Dopo un lasso di tempo che le parve interminabile, i due uomini  recuperarono entrambi la propria spada e la fecero scivolare nel fodero strappandole un sospiro di sollievo.
Inaspettatamente, attraversò la piazza d’armi e raggiunse i due armigeri sporchi di terra e polvere.
«Vi ringrazio per lo spettacolo, messer Heinrich… Sono certa che Rosenburg gioverà del vostro ritorno» disse, sostenendo lo sguardo ammirato e divertito del soldato. Poi scoccò un’occhiata severa a Johannes. Serrò le labbra e contro ogni previsione, sollevò una mano a togliere un filo d’erba appiccicato sulla guancia sporca del capitano.
«E voi… abbiate l’accortezza di darvi una ripulita prima di varcare la soglia del palazzo. Ricordatevi che anche i muri hanno orecchie. E soprattutto, occhi» sollevando le gonne perché non si impolverassero più di quanto non fossero già impolverate, Lena voltò le spalle ai due uomini. E a Johannes. Maledicendo in cuor suo la forza misteriosa e ineluttabile che l’aveva spinta a cercare quel contatto. Strusciò impercettibilmente le dita tra loro, rievocando la sensazione di quel calore sulla pelle. Inspirò profondamente. Consapevole di quanto stesse accadendo e di dovervi porre immediatamente rimedio.
Un’infatuazione inutile. Ecco di cosa si trattava.
Una dolorosa e inutile infatuazione…
Heinrich richiamò l’attenzione del capitano battendogli con il dorso di una mano sul corsetto impolverato, all’altezza del cuore.
«Andiamo» mormorò accennando all’abbeveratoio.
Con la testa sotto il getto d’acqua corrente, il soldato ridacchiò.
«Quella ragazza è fuoco! » disse, riemergendo un attimo dopo e incrociando lo sguardo incupito di Johannes. «E ti mangia con gli occhi. Dai retta a me! » si frizionò i corti capelli biondi con le mani.
Johannes infilò la testa sotto l’acqua fredda. Senza rispondere. Ma quando tornò a respirare, aveva ancora lo sguardo di Heinrich puntato addosso, in attesa.
«Non sono tenuto a guardarla né a pensare a lei in questi termini» obbiettò, passandosi le dita tra i capelli scuri, poi sul volto ripulito. Senza tuttavia riuscire a cancellare il marchio che Lena, sfiorandolo, sembrava avergli lasciato impresso sulla guancia. «E tu dovresti fare altrettanto»
Raddrizzando le spalle larghe e imponenti, Heinrich inspirò profondamente, socchiudendo gli occhi alla luce ormai tenue di quel giorno che stava lentamente scivolando nel tramonto.
«Gli anni trascorsi in convento ti hanno rammollito, amico mio! » sentenziò «Ma anche quel monaco, Justus, sarebbe più sveglio di te! » terminò afferrando da terra il mantello e scuotendolo energicamente dalla polvere, pronto a prendere commiato.
Poi ci ripensò e lanciando un’ultima occhiata a Johannes, lo ammonì con un sorriso severo:
«Ricordati le mie parole, capitano… Chi si avvicina troppo al fuoco, finisce inevitabilmente per scottarsi… ».


------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

IL CONFESSIONALE (ossia, l'angolo dell'autrice):
"Come fuoco" mi è costato un'immane fatica! Non lo avrei mai creduto... Soprattutto perché, la sua "essenza" mi apparve subito chiara nella sua totalità, subito alla fine del capitolo precedente. Invece, forse per la voglia di presentare al meglio un personaggio come Heinrich, o per la necessità di "diversificare" ulteriormente la presa di coscienza di Lena e Johannes, alla fine ci ho lavorato molto più del previsto! 
Finita questa premessa (più uno sfogo a mio uso e consumo che qualcosa di interessante per voi, ehehehe), eccomi a disquisire sul capitano in seconda: HEINRICH KRAFT (Kraft, in tedesco è sinonimo di forza, di energia... mi sembrava per questo il cognome più adatto. Anche se ero in dubbio con un altro paio di vocaboli. Vocaboli che non posso rivelare adesso. Ne andrebbe della storia stessa! Ve li svelerò più avanti... ma voi ricordatemelo, mi raccomando! Per il resto, lascio a voi il giudizio su questo "soldatone" dal sorriso un po' spaccone. Io ho la mia idea, ma non voglio influenzarvi, eheheh! 
Al prossimo capitolo, 
Sabrina 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Confessioni ***


Capitolo 7 – Confessioni
 
 
Maddalena Aicardo sapeva di non poter chiedere al Vescovo Winkel l’allontanamento di Johannes. Non senza  una spiegazione plausibile. Ma sapeva altrettanto bene di dovergli stare lontana.
Fissò l’immagine riflessa nello specchio circolare che teneva in mano. Crogiolarsi in quella sciocca infatuazione avrebbe reso più difficile l’adeguarsi alla vita che l’aspettava e donarsi all’uomo che sarebbe diventato suo marito.
Un sussulto le attraversò lo sguardo. Ripose lo specchio e così facendo cercò di spegnere il riflesso delle proprie colpe. Di un sentimento che non avrebbe dovuto nutrire… un’attrazione che non avrebbe dovuto provare.
Ripeté quell’ultima parola a fior di labbra, “marito”, soffocata dall’immagine deludente del Marchese, suo promesso sposo, signore e padre dei suoi figli. Un uomo tanto diverso da Johannes come il giorno era diverso dalla notte. Pallido e vacuo l’uno, come l’altro era ardente e impetuoso. Avvampò. Si irrigidì.
Si morse le labbra, punendosi per quell’ennesimo, sciocco paragone. Si rivolse un sorriso sprezzante. Carico di rabbia che si tramutò presto in derisione. Si commiserò. Stupida, sciocca peccatrice.  
Afferrò nuovamente lo specchio. Lanciò un’occhiata al volto riflesso dalle guance incandescenti. Depose con decisione il disco sulla cassapanca. Lasciò il sedile damascato e si infilò nel letto inspirando profondamente. Raccogliendosi su se stessa, pregò perché la notte le risparmiasse l’ennesima tortura…
 
***
 
I resti di una cena appena toccata, languivano sul vassoio di peltro appoggiato sulla cassapanca di legno scuro.
La luce tremula di una candela si rifletteva nel ventre panciuto di un dorato bicchiere di vino, ipnotizzando lo sguardo pensieroso di Johannes sprofondato, supino, nel letto. Il presunto mal di testa che madonna Lena aveva addotto come scusa per evitare la cena, aveva dato anche a lui la possibilità di ritirarsi nella propria stanza, portandosi appresso tutti i pensieri e il disgusto di quella lunga giornata.
Il biasimo per l’accanimento dimostrato contro un uomo che neppure conosceva aumentava con il passare delle ore. Al rintocco della Compieta, una rabbia sorda portò Johannes a porsi delle domande. Irritato dalle parole di Heinrich, turbato dall’immagine impertinente della giovane Aicardo che sembrava perseguitarlo, sentendosi oltremodo colpevole agli occhi del Signore, prese finalmente sonno certo che, oltre la parete della sua stanza, una piccola strega dagli occhi nocciola dormisse beatamente consapevole del proprio fascino. Paga e soddisfatta al pensiero di quali maliziosi artifici avrebbe messo in campo l’indomani.
 
***
 
Una pioggia tiepida e leggera salutò i peccatori di Rosenburg fin dalle prime luci dell’alba.
Avendo cura di coprirsi i lunghi capelli castani e adombrarsi il viso con un mantello leggero, Lena manifestò al capitano il desiderio di raggiungere il monastero per le funzioni religiose e quando ne varcò la soglia, si allontanò frettolosamente da Johannes, senza aver mai sollevato lo sguardo, cercando tra i monaci in preghiera la rassicurante figura di Justus.
Cogliendo la sua premura e l’ansia nei suoi gesti, il chierico l’accompagnò in una zona appartata del chiostro. Al riparo da occhi indiscreti e lontano dal salmodiare  dei monaci in piena liturgia.
Il tocco lieve della sua mano nel sospingerla e accompagnarla lontano strappò a Lena un sospiro di piacevole sollievo. Prima di togliere il cappuccio, protetta dall’ombra che questo le gettava sul viso,  si ristorò alla pace profonda dei suoi occhi turchesi.
«Cosa posso fare per voi, madonna? »
La voce di Justus era calda e aromatizzata come un bicchiere di buon vino. Rotonda ma decisa.
Il cappuccio le scivolò finalmente sulle spalle, e Lena catturò immediatamente i suoi occhi blu costellati di fittissime ciglia bionde.
Justus aggrottò lievemente la bella fronte liscia.
«Qualcosa vi turba? » domandò invitandola a sedere sulla panca appoggiata al muretto che delimitava il porticato.
Maddalena Aicardo sorrise istintivamente di quella sua premura e del suo spirito d’osservazione, facendo un immediato e involontario confronto con l’atteggiamento rude di Johannes. Rimproverandosi tacitamente per quello sciocco pensiero, si irrigidì inspirando profondamente. Era così difficile tenere il capitano lontano dai propri pensieri, si domandò stizzita.
«Vorrei solo prepararmi degnamente al matrimonio» mormorò, raddrizzando le spalle ed emergendo dalle pieghe del mantello. Scrollandosi di dosso il peso di un’immagine che era decisa a dimenticare.
Justus osservò un momento di silenzio. Sogguardò i lineamenti tirati di un volto molto bello e l’ombra che ne offuscava gli occhi nocciola. Occhi che ricordava pervasi da un luce diversa, solo qualche giorno prima.
«E’ solo questo? » indagò garbatamente.
Lei annuì con un breve cenno del capo. Le labbra serrate, il petto gonfio di tensione.
«Il matrimonio vi preoccupa? »
La domanda di Justus giunse inaspettata. Logica ma inaspettata.
«Come sapete, non conosco il mio sposo…» si affrettò a schermirsi lei, con un sorriso forzato.
«Quello che so è che voi donne siete chiamate alle prove più difficili… » confessò lui, con uno sguardo complice e un sorriso che sul volto di un altro uomo Lena avrebbe definito malizioso ma che sul viso singolarmente bello del monaco trovava semplicemente e amichevolmente delizioso.
Ricambiò il sorriso e questa volta genuinamente, sentendo la tensione scivolarle via di dosso.
Consapevole di aver rotto il ghiaccio, Justus la invitò a fare due passi con un cenno della mano.
«Dovete averne visti molti, di matrimoni combinati…» osservò lei con tono più tranquillo, mentre passeggiavano affiancati.
«Molti, sì… » annuì il chierico, guardando dritto davanti a sé. «Qualcuno anche felice» disse.
Lena non faticava a tenere il suo passo, lento e costante. E trovò la cosa estremamente piacevole.
«Volete dirmi che, col tempo, potrei imparare ad amare un uomo che non conosco e che non ho scelto? »
Justus continuò a fissare un punto lontano.
«Potreste» disse con un tiepido sorriso e un lieve cruccio tra le sopracciglia bionde e ben disegnate «Con l’aiuto di nostro Signore».
Lena abbassò le palpebre sugli occhi scuri. La voce di quel chierico aveva un effetto calmante.
«Potrei…» mormorò soprappensiero, mentre un flebile sospiro le scivolò tra le labbra dischiuse.
Justus le rivolse un’occhiata garbata.
«Qualcosa vi fa credere il contrario? »
La ragazza rallentò istintivamente. Non conoscendo il futuro sposo, non avrebbe potuto azzardare nessuna ipotesi. Ma c’era la sua immagine a turbarla e soprattutto la sua sciocca infatuazione per Johannes.
«No. Niente. Non ho motivo di dubitare» mentì.
«Non sapete proprio chi sia, il vostro futuro marito? » Justus era al corrente della miniatura che il Marchese aveva fatto recapitare alla bella fidanzata sconosciuta, ma il suo ruolo gli imponeva il silenzio in merito. A meno che non fosse stata lei a confidarsi.
Maddalena Aicardo non rispose subito. Respirò l’aria umida del chiostro odorosa di pioggia e di incenso.
« Ho solo visto un suo ritratto» ammise «E come voi, so che non gode di ottima salute».
Justus annuì, ricordando le parole del Vescovo.
«E’ stato il Vescovo Winkel a sceglierlo per voi? » domandò, certo della risposta.
Lena annuì, fermandosi a sfiorare il bocciolo di una rosa che faceva capolino nel porticato di pietra.
«Quando mio padre è venuto a mancare, alcuni anni fa, mia madre ha  pregato il Vescovo Winkel affinché intervenisse, in nome della loro amicizia. Da quel momento, il Vescovo si è preso cura di noi»
Justus notò che non c’era la minima emozione nella voce della ragazza.
«Dubitate della sua scelta? »
«Non ne ho motivo» rispose lei con un tiepido sorriso. «L’amicizia che lo lega a mia madre ha radici lontane, per quel che ne posso sapere. Risale ai tempi in cui il Vescovo risiedeva a Ivreja e frequentava assiduamente la nostra famiglia»
Il silenzio di Justus la indusse a proseguire.
«In ogni caso, non appena sarò sposata, potrò disporre del patrimonio di famiglia» concluse asciutta.
«Speravate in qualcosa di diverso?» indagò il chierico con garbo.
Lena si arrestò. Spianandogli i profondi occhi nocciola dritti in volto.
«Sinceramente? » sorrise ironica. «Sì. Ma forse sto mentendo. »
Justus la guardò intensamente. Colpito e conquistato dalla sua franchezza.
Lena rise brevemente. Poi tornò immediatamente seria.
«So di essere destinata a un matrimonio d’interesse e non d’amore. E forse ho pregato in cuor mio che il mio futuro marito fosse esattamente come sembra» esitò « Un uomo debole».
Justus inspirò profondamente, volgendo lo sguardo oltre il porticato. Aveva smesso di piovere e un timido raggio di sole faceva capolino oltre il tetto del refettorio.
Aveva già sentito quelle parole. Esattamente lo stesso commento…
Tornò con lo sguardo sul profilo perfetto di madonna Lena. Sussultò inaspettatamente. Scivolò allora sul rossore che le imporporava le guance, adombrate dalle ciglia scure delle palpebre ora socchiuse nell’atto di inspirare il profumo della terra bagnata. Scrutò le belle labbra rosse, poi si concentrò sulla piccola ruga tra le sopracciglia. E per un attimo pensò a quanto quella ragazza bruna e indipendente somigliasse a Johannes.
«Eppure», proseguì lei inaspettatamente, rivolgendogli uno sguardo indecifrabile «Ho desiderato che fosse diverso… Un altro uomo». Rise ancora, ma questa volta sommessamente. «E così ho peccato…»
Justus trasalì per la seconda volta in pochi minuti.
«Può una sposa desiderare che il suo promesso sia tutt'altro uomo? Può provare tanta indifferenza nei confronti dell’uomo a cui si consacrerà di fronte a Dio per il resto della sua esistenza?» ammutolì. Improvvisamente e inaspettatamente. Così come inaspettatamente riprese a parlare.
«Ero convinta, o meglio rassegnata. Se avessi fatto un buon matrimonio, anche se privo d’amore, avrei potuto occuparmi della mia famiglia e dei più bisognosi… » mormorò con gli occhi bassi, quasi parlando a se stessa.
Jusust le sfiorò una mano con delicatezza e lei sussultò rivolgendogli uno sguardo supplice.
«Devo chiedervi perché parlate al passato? » domandò il chierico.
Lei si strinse alla sua mano con foga.
«Perché ho peccato! » ripeté. Gli occhi accesi dall’eccitazione della confessione. «Quando l’ho visto. Nell’istante stesso in cui l’ho visto… ho desiderato che fosse diverso. Ho desiderato un altro uomo! »
L’angoscia che le attanagliava il petto sembrò esplodere in quelle parole liberatorie anche se incomplete.
Justus avvertì la stretta delle sue mani farsi ancora più forte sulla sua e sollevò quella libera perché vi si appoggiasse sopra con garbo.
«Desiderare un uomo da amare non è peccato… » mormorò.
Lena improvvisamente le mani dalla stretta e sorrise scuotendo con veemenza la testa.
«Desiderare un uomo diverso dal proprio marito, sì… » ribattè.
Justus riprese a camminare, lentamente, sperando che lei lo seguisse.
«Devo ricordarvi, madonna, che non siete ancora sposata… » sottolineò, pacatamente allusivo.
Maddalena sollevò frettolosamente le gonne per raggiungerlo e superarlo di un passo, mettendo così in mostra il collo di un piede candido.
Justus distolse lo sguardo.
«Dovete solo imparare a gestire i vostri sentimenti. Non ci vedo niente di male… io come il Signore» sorrise dolcemente imbarazzato.
Quando si voltò di nuovo verso di lei,  gli occhi nocciola di quella ragazza incatenarono quelli turchesi del chierico.
«Aiutatemi in questa impresa, ve ne prego… » domandò accoratamente, afferrandogli nuovamente le mani giunte in grembo.
«Ve ne prego… » ripeté scivolando lentamente in ginocchio.
Ma prima che toccasse terra, Justus la fermò, trattenendola dal prostrarsi con una forza e una decisione tale che Lena non avrebbe mai creduto potesse avere.
«Ora et labora» sorrise lui leggendole nel pensiero. «In effetti, molto labora » ridacchiò, contento di averle strappato un sorriso. «E non sottovalutate lo sforzo di sopravvivere a Johannes! » rise candidamente, inconsapevole carnefice nel pronunciare quel nome.
Tuttavia, la dolcezza e la serenità che trasparivano da ogni suo gesto e parola  lenirono immediatamente la ferita della giovane penitente…




------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

IL CONFESSIONALE (ovvero, l'angolo dell'autrice):
Ebbene sì! Forse per colpa di Heinrich Kraft o per i sentimenti che sembrano giocare brutti scherzi ai nostri protagonisti, questo capitolo ha visto la luce in tempi molto più brevi del previsto!!! Anche se credo di mentire sapendo di mentire... perché in fondo so esattamente il motivo che mi ha spinta a buttare giù questo capitolo in tempi record... Cosa? E va bene, lo confesso (e visto il titolo, una confessione ci sta tutta!). Ho una gran voglia di scrivere il capitolo successivo, ahahahaahah! Perché? Beh, questo non posso dirvelo adesso... Ma lo scoprirete presto.
Per ora, sperando che questo aggiornamento "rapido" vi faccia solo piacere, ringrazio come sempre chi mi lascia traccia del suo passaggio con una recensione e tutti i lettori silenti, sperando che anche loro, un giorno, vorranno farsi sentire... 
Un grazie speciale a EMERALD, FRANCOISE, IRELAND, PAMINA E TANNY... in ordine alfabetico! 

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Il bacio della Rosa ***


Capitolo 8 – Il bacio della Rosa
 
 
 
«La nostra ospite è molto cambiata…» osservò serafico Erasmus.
Aveva atteso pazientemente che Hanna tornasse dal mercato, con il suo carico di fili da ricamo e ora, entrambi sulla porta d’ingresso del palazzo vescovile, immersi nella semi oscurità dell’imponente porticato che correva lungo tutta la facciata della costruzione, attendeva che gli rispondesse.
Hanna lo sogguardò, sorpresa da tanta confidenza, maliziosamente interessata all’osservazione così come al giovane segretario del vescovo. Attratta dai suoi lineamenti delicati, dalle labbra ben disegnate e da quegli strani occhi neri.
Sorrise. Ed Erasmus ricambiò il suo sorriso, consapevole del proprio fascino sottile. Abile manipolatore.
«E’ cambiata, sì! » ridacchiò Hanna,  facilmente convinta a confidarsi «Ha perso quella sua alterigia, non trovate? » poi sollevò un sopracciglio «E’ diventata la più pia delle devote… » la schernì con tono leggero, giocando con una ciocca di capelli scuri che le solleticava la guancia rosea. Sembrava divertita.
Erasmus annuì lentamente, fingendo una certa discreta soddisfazione.
«In fondo, non ci si poteva aspettare altrimenti dalla protetta di un vescovo». Tacque. Arso dal desiderio di carpire informazioni ma deciso a giocare bene le proprie carte.
Si era reso immediatamente conto di quel cambiamento…
Maddalena Aicardo parlava poco, si vedeva poco, ma soprattutto aveva un aspetto molto più dimesso e remissivo di quando era arrivata. E quel che al segretario interessava era la causa di quel cambiamento. Soprattutto se riconducibile a Johannes.
«Il capitano sta facendo un ottimo lavoro… » chiosò, tentando di aprirsi un varco sulla relazione tra la straniera e il suo mastino.
Le guance di Hanna si imporporarono involontariamente.
«Il capitano Johannes è impeccabile, come sempre» cinguettò indugiando, come assaporando il nome del bell’armigero.
Erasmus si irrigidì, ma cercò di non darlo a vedere.
Stupida ragazzina, pensò con disprezzo, la tua infatuazione è chiara come il sole.
«Forse il matrimonio la impensierisce… » mormorò con tono volutamente distratto.
Hanna si concesse una breve risata.
«La festa di domani potrebbe farle tornare il buonumore» insinuò sorridendo poi maliziosa e impudente.
Stanca di parlare di quella straniera dagli occhi bruni, sostenne con ostentazione lo sguardo indecifrabile del monaco. Arrossendo infine quando lui abbassò leggermente le palpebre e sembrò fissarla con maggiore attenzione e intensità. Occhi strani, quelli del monaco, pensava Hanna… Tanto diversi da quelli del capitano ma altrettanto affascinanti…
«La Festa della Rosa… » mormorò Erasmus, piegando un solo angolo delle belle labbra sottili e continuando a guardarla negli occhi blu costellati da fitte ciglia scure.
Entrambi conoscevano il significato più recondito del carnevale, sinonimo di divertimento e sregolatezza. Un giorno in cui lasciarsi alle spalle ogni pensiero, ogni timore, ogni remora. Un giorno dedicato alla vita e al vivere il piacere represso per mesi.
Il segretario sospirò, lasciando trasparire una certa inquietudine.
«Ho detto qualcosa che vi ha turbato, fratello Erasmus?» domandò prontamente la ragazza, facile preda delle sue manovre, ricordando di trovarsi al cospetto di un uomo di Chiesa, seppur giovane e piacente.
Erasmus fece un gesto vago con la mano, come ad allontanare un pensiero.
«Sono in ansia per Madonna Aicardo, temo… come uno sciocco! » mormorò schernendosi «Conosco la virtù del nostro capitano e questo mi rassicura. Ma se dovesse capitarle qualcosa… Non me lo perdonerei mai!» concluse.
La vide trasalire.
«Temete che il capitano… »
Il giovane ecclesiastico represse un moto di stizza e di disgusto. Poi continuò la messinscena.  
«Certo che no!» ribatté afferrando le morbide mani della ragazza.
E tenendole strette proseguì «Non era questo il mio pensiero. Ma ho bisogno di potermi fidare di qualcuno, Hanna» mormorò.
La ragazza arrossì. Poi sorrise ancora, maliziosa.
«Volete fidarvi di me?» domandò, accarezzando l’idea di una fruttuosa alleanza che la eccitò sul nascere.
Erasmus portò le sue mani alle labbra e ne sfiorò le nocche con un bacio leggero. Poi la guardò fisso negli occhi.
«Vorrei» mormorò.
Hanna avvertì il suo respiro caldo sulle dita e un brivido.
Lui indugiò, godendo della sua reazione. Lasciandole intendere quel che voleva intendere. Profondamente disgustato dal profumo di donna che gli pizzicava le narici. Sorrise.
«Dovrai essere i miei occhi e le mie orecchie… »
 
***
 
Maddalena Aicardo lasciò il monastero con passo svelto. Non rallentò neppure quando superò il capitano, fermo sul sagrato ad aspettarla. Calando il cappuccio grigio sul capo, proseguì verso quella che da giorni era diventata la sua casa e la sua prigione, il palazzo del vescovo Winkel.
Justus ne seguì ogni passo. Ogni movimento. Ogni sussulto. Fino a quando la sua figura snella non venne inghiottita da un reticolato di vicoli, celata ai suoi occhi da quella più imponente di Johannes.
Un sospiro leggero gli riempì il petto, poi scivolò attraverso le labbra dischiuse. Nonostante il tempo che avevano trascorso insieme, non era ancora riuscito a comprendere appieno il peso della colpa che la ragazza sembrava portarsi addosso. Né ad alleggerirle la coscienza. Lena e Johannes… pensò cercando con un’ultima occhiata la loro immagine tra le ombre blu di quella mattina. I loro rapporti si limitavano a qualche cenno, brevi scambi di battute, occhiate fugaci, aveva notato. E il silenzio del suo amico non prometteva niente di buono. Che tra i due ci fosse qualcosa in sospeso era inequivocabilmente chiaro. Ma né l’uno né l’altra sembravano volerne parlare. Il suo sguardo turchese si infranse sui banchi  ancora vuoti dei mercanti che si preparavano alla festa, poi scivolò sul lungo serpente di gente che dalle campagne e dai villaggi vicini si srotolava lungo le vie della città, partendo da ognuna delle porte d’accesso, fino a riempire la piazza grande. Un serpente chiassoso e colorato, ansioso di prender parte al carnevale di Rosenburg.
Forse, un giorno di festa avrebbe regalato qualche ora di sollievo a quelle anime tormentate, pensò ritirandosi piacevolmente tra le mura fresche e silenziose del monastero.
 
***
 
Da ogni porta, ogni bottega, ogni ponte di pietra la gente non faceva che riversarsi in strada.  Inarrestabile. Come rispondendo a un misterioso richiamo, un inno alla gioia e alla vita. L’intera città era preda e ostaggio di personaggi di ogni genere, tra gli schiamazzi e gli strilli dei mercanti e dei fanciulli, le risate grasse e piene degli uomini e quelle più frivole delle donne. Un’esplosione di colori e di profumi. Mantelli, maschere d’ogni sorta, e rose… Ovunque, le rose. Regine incontrastate della festa…
Lena si guardò intorno stupita. Fagocitata dalla città vestita a festa, profumata e imbellettata come una giovane sposa.
Ovunque regnava confusione. La fragorosa espressione della libertà sociale e morale, come nel più classico Carnevale.
«Chi è quella ragazza? » domandò, incuriosita dalla fanciulla che sedeva al centro del grande palco eretto nella piazza principale di Rosenburg. I suoi capelli biondissimi, legati in lunghe trecce raccolte  sulle tempie, lasciavano libera la fronte e nudo il collo bianco e sottile. Una semplice veste bianca metteva in risalto le forme ancora acerbe, mentre una corona di rose risaltava sul capo chino.
«E’ la Rosa!» proruppe Hanna, ferma al suo fianco, sorridente ed eccitata come non l’aveva mai vista «Per tradizione, ogni anno una ragazza nubile di Rosenburg viene eletta regina della festa e con un bacio la regina esercita il suo diritto di scegliere un compagno» spiegò rispondendo allo sguardo interrogativo della bella straniera. «Se l’uomo ricambia il suo desiderio o i suoi sentimenti, nessuno può impedire la loro unione… » concluse con un sorriso compiaciuto.
Lena tornò con lo sguardo sulla giovanissima regina, la rosa protagonista della festa, e provò invidia. Una struggente invidia.
«Io saprei esattamente chi baciare… E voi?» domandò Hanna, inaspettatamente.
Lena piegò le labbra in un sorriso amaro, cercando di dissimulare la delusione raddrizzando le spalle.
«Io sono promessa…» mormorò con un filo di voce.
Hanna le lanciò uno sguardo malizioso.
«Nessuna promessa vale il “bacio della rosa”! » ridacchiò, scuotendo il capo divertita di fronte alla sua ingenuità. Poi tornò a fissare il palco, curiosa di scoprire su chi fosse caduta la scelta della regina.
Lena serrò le labbra. Colpita dalla semplicità di quell’affermazione. Seguì lo sguardo di Hanna e l’invidia tornò a roderle l’anima. Sprezzante e profonda. Tanto da costringerla a voltarsi, istintivamente, e così incrociare gli occhi grigi di Johannes, fermo alle sue spalle.
Trasalì, avvolta nel suo sguardo indecifrabile. Sentendosi improvvisamente nuda di fronte a quegli occhi capaci di penetrarle l’anima e desiderò di avere indosso quel mantello grigio che per giorni l’aveva protetta, celando agli occhi del mondo lei e la sua colpa: il desiderio.
Le mancò il respiro.
Stretta nella morsa della folla che iniziava a muoversi, tentò disperatamente di allontanarsi, di cercare un rifugio sicuro, lontano da quell’uomo che entrava così prepotentemente nei suoi pensieri. Un satiro le sfiorò un mano, invitandola a seguirlo. Lei sorrise, indugiò, avanzò di un passo, poi la folla fece il resto. E come un’onda la trascinò via. Lontano. Teatrante audace e inconsapevole di una commedia di strada. Qualcuno le porse una maschera colorata perché la indossasse e qualcun altro le intrecciò i capelli. Le mani abili di una donna abbassarono il collo generoso del suo vestito, fin quasi al corsetto. Spregiudicati giullari la coinvolsero in un ballo sfrenato facendole perdere il fiato poi abbandonandola al suo destino. Non prima però di aver bagnato le sue labbra con un dolce nettare di vino.
Sollevò il capo, disorientata. E la maschera. Accaldata. Smarrita. Passò le dita tra i capelli, sulla fronte madida. Qualcuno le camminò sull’orlo del vestito. Sollevò le gonne e abbassò il capo. Le girò la testa e temette di cadere. Di perdere i sensi. Ma rimase in piedi. Sorretta inaspettatamente da due forti braccia d’uomo che tacitamente ringraziò ridendo. Addossata e aggrappata a un petto largo e profondo, stordita e leggera, le orecchie cariche di suoni e richiami, lasciò che il profumo aspro del cuoio le riempisse i polmoni. Rise. Quale errore concedere quel giorno di festa! Pensò. Quale errore lasciare che i sensi prendessero il sopravvento sulla ragione!
Chiuse gli occhi e arrossì, arrendendosi a quel senso di leggerezza, mentre il cuore le martellava in gola, tumultuoso e le faceva dolere i polsi.
L’uomo le cinse la vita, passando un braccio attorno ai suoi fianchi snelli, e l’altra mano si impresse, ardente, sulla pelle candida delle sue spalle, tra le scapole coperte dalla stoffa leggera dell’abito della festa. Maddalena Aicardo stinse appena le palpebre, lasciando che lo sconosciuto la inebriasse, stringendola forte, trasmettendole calore e desiderio. Rise ancora. Desiderando peccaminosamente un corpo che non conosceva. Chiedendosi divertita cosa avesse bevuto.E per un attimo, tutto attorno a lei sembrò svanire. La gente, il fragore… Solo la forza di quelle braccia a tenerla ben salda, a impedire che cadesse, calpestata dalla folla in delirio. Braccia che la cullavano e la custodivano come il più prezioso dei tesori.
Sollevò leggermente il volto, stuzzicata dal profumo amaro della sua pelle. Sfiorando l’incavo del suo collo con la punta del naso.
Arrossì violentemente. Improvvisamente lucida. Si oppose a quella morsa, puntando i gomiti sul giustacuore in cuoio. Sollevò la testa, staccandosi da quel petto accogliente e impallidì. Johannes!
Trattenuta, quasi immobilizzata, Lena si arrese. I pugni stretti, gli occhi sbarrati, il respiro affannoso, vorace, desideroso di cogliere quello più lento di lui, le ciocche di capelli scuri sulle guance in fiamme. E quando i loro sguardi si agganciarono, la resa fu totale e inaspettatamente galvanizzante.
«Non muovetevi» le intimò lui con voce roca, strappandole un gemito impercettibile, sollevato dall’averla ritrovata. Provato dalla voluttà di quel corpo che aderiva al suo. Perfettamente.
Da giorni non vedeva i suoi capelli ora scarmigliati e costretti in una morbida treccia semi disfatta. Da giorni non incrociava quello sguardo fiammeggiante, terribilmente irritante. Da giorni quella giovane donna si negava ai suoi occhi, diventata improvvisamente pudica e morigerata, controllata nei gesti come nelle parole. Da giorni non parlava con lei se non per ricevere ordini dettati con un tono così pacato e dimesso che stentava a riconoscerla. Qualunque fosse stato il motivo che aveva indotto Lena a quel comportamento, ne era stato sollevato, in principio. Ma in quell’istante, in quel maledetto istante, era bastato il tempo di uno sguardo, perché il suo demone tornasse   prepotentemente a farsi sentire.
«Non muovetevi» ripeté, deciso a non perderla di nuovo, mentre la processione dei teatranti ricominciava a muoversi, costringendoli a seguirla.
Lena avvertì l’intensificarsi della stretta. Annuì. Non aveva alcun desiderio di muoversi. Sorrise.
Vinti dalla folla in fermento, trascinati loro malgrado, Lena e Johannes trattennero il fiato fino a quando, espulsi da quel movimento ondeggiante, scivolarono in un vicolo e Lena si ritrovò, ansante, con le spalle al muro. Solo la stoffa leggera a proteggere la pelle dal contatto umido e ruvido della pietra. La stessa pietra che graffiava il palmo aperto di Johannes, le mani appoggiate alla parete, all’altezza delle  spalle di lei, come a imprigionarla. La sua figura a sovrastarla.
I loro occhi si incrociarono, ancora. Incatenandosi gli uni agli altri senza parole, incapaci di lasciarsi andare. Il volto sfiorato a tratti dal reciproco respiro.
Era bella, Lena, i capelli finalmente sciolti sulle spalle e sul seno ammiccante. Le ciocche brune che si alzavano seguendo il ritmo accelerato del suo respiro. Gli occhi accesi, come le guance incandescenti. Il collo lungo, candido, le spalle forti…
Uno strattone e un ubriaco superò  Johannes facendogli perdere momentaneamente l’equilibrio, sospingendolo contro la morbida presenza di lei e per un attimo, i loro corpi si sfiorarono ancora.
Il capitano seguì con lo sguardo l’uomo barcollare, poi allontanarsi annegando tra le braccia di una donna che lo aveva raggiunto ridendo sguaiatamente. Serrò la mascella e sul collo teso avvertì l’alito caldo di Lena, rimasta immobile, addossata alla parete. Stretta tra lui e il muro. Non si volse. Non subito. Temendo quello che i suoi occhi avrebbero potuto vedere. Inebriato dal profumo dei suoi capelli. Un profumo dolce e pungente che sovrastava l’olezzo di quel vicolo seminascosto e buio. Rifugio ideale di solitari peccatori.
Un movimento impercettibile, un fruscio e Johannes trasalì.
Morbide e audaci, le labbra di Lena avevano cercato le sue. Sfiorandole in un bacio inaspettato.  Indugiarono, come suggendole. Poi scivolarono via.
Si volse, arretrando di un passo.
Lei non si mosse. Addossata al muro, esausta, la consapevolezza di quel gesto inevitabile, Maddalena Aicardo lo accolse nel proprio sguardo, stregandolo con un’insolita espressione.
«Ho solo rispettato la tradizione» sorrise. Sconvolta al punto da sentirsi inaspettatamente divertita.
Johannes trasalì per la seconda volta. 



-------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

IL CONFESSIONALE (ovvero, l'angolo dell'autrice):
Prima di fare due chiacchiera, un paio di precisazioni sull'epoca in cui la nostra storia si svolge: 
- nel Medioevo europeo, era la Chiesa a dettare le regole del vivere quotidiano. Uomini e donne vivevano seguendo i dettami del Cristianesimo, temendo, pregando e lavorando per la propria anima, rifuggendo ogni forma di piacere. Anche e soprattutto quello della "carne". Anche i pensieri, quelli più audaci, erano ritenuti peccaminosi... figurarsi gli approcci "diretti". Solo il matrimonio rendeva più accettabili e lecite le relazioni carnali, purché ci si attenesse a determinate regole sul come, quanto e quando avere rapporti con il proprio coniuge.
- sempre per il presupposto di cui sopra, pochi erano i momenti di svago per i cittadini medievali. Il Carnevale o altre tradizionali feste pagane erano l'eccezione alla regola. Libere da ogni pregiudizio o remora, in queste occasioni le persone davano sfogo alle proprie necessità e frustrazioni. Dimenticando per un giorno il peso della vita quotidiana. E la Chiesa stessa sembrava chiudere un'occhio... 
- la donna, il cui peccato originale è all'origine del supplizio degli esseri umani cacciati dal Paradiso Terrestre, continua ad essere giudicata e considerata dagli esponenti ecclesiastici un essere impuro e inferiore dal quale non farsi ammaliare. Pensiero, questo, che condusse la donna ad essere tacciata di stregoneria con le conseguenze che sappiamo

Detto questo, forse vi appariranno più chiari certi atteggiamenti e timori di Lena e Johannes... prede involontarie di un desiderio che non "dovrebbero" provare. 

Ora a noi! Spero che questo capitolo un po' serrato e scarno nei dialgoghi (ma così doveva essere) vi sia gradito e vi permetta di collezionare un altro piccolo tassello per il quadro completo della storia. 
Ritroviamo Erasmus e le sue macchinazioni, salutiamo il nostro Justus e soprattutto accompagnamo Lena e Johannes tra le spire di quel serpente colorato e tentatore che è la nostra FESTA DELLA ROSA!
A presto, 
Sabrina 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Penitenza ***


Capitolo 9 – Penitenza
 
 


Johannes si prostrò.
Le ginocchia a contatto con l’impiantito gelido.
Gli occhi fissi a terra. Raccolto nell’abbraccio profumato di incenso della piccola cappella, come nel ventre materno.
La luce tremula delle candele occhieggiava, a tratti, infrangendo la penombra silenziosa. Dalle pareti, immagini di Santi gli rivolgevano occhiate fugaci. A lato dell’altare, la Vergine Maria e il suo carezzevole sorriso.
Colpevole, il soldato chinò maggiormente il capo. Riconoscendo tutta la solennità di quel refugium peccatorum. Le spalle curve, rivolte all’ingresso oltre il quale continuava, immutabile, la vita del monastero, col suo lento e melodioso salmodiare. Ignaro, o forse semplicemente indifferente al suo tormento.
L’aria fredda della cappella gli penetrava le ossa, attraverso i vestiti umidi.
Chiese perdono.  Mormorò una preghiera. Una supplica a fior di labbra. Ma nemmeno in quel momento, nell’attimo stesso della penitenza, riusciva a togliersi dalla mente gli occhi nocciola di Maddalena Aicardo… le sue labbra morbide.
Un conato e una stretta allo stomaco lo costrinsero a cacciare indietro quei pensieri peccaminosi. Strinse le palpebre. E la sua immagine si materializzò prepotente. Intensa e seducente. Come in quel vicolo. Sciocca ragazza dallo sguardo acceso di desiderio. Impertinente incantatrice.
Serrò la mascella e una ruga profonda si fissò tra le sopracciglia.
Ricordò la sua espressione. Il volto contratto in una smorfia incredula quando, afferrandola per un braccio, le aveva imposto il silenzio ringhiandole contro tutto il proprio disprezzo.
Disprezzo… pensò.
Non era piuttosto attrazione? Un’attrazione incontrollabile? Qualcosa che non aveva mai provato prima. Per nessuna. Facile confondersi…
Appoggiò il palmo aperto delle mani al pavimento, prostrandosi fin quasi a toccare la pietra con la fronte.
Che fosse l’uno o l’altro sentimento, non aveva importanza.
Non era tenuto a provarlo.
L’uno o l’altro significavano solo una cosa. Tradimento.
Tradimento nei confronti del vescovo, suo benefattore. Tradimento nei confronti del proprio incarico. Tradimento di ogni suo ideale.
Sospirò.
«Johannes…»
La voce pacata ma sorpresa di Justus lo investì come un alito di vento caldo. Poi il suo cuore si contrasse e il capitano avvertì di nuovo la morsa sgradevole del gelo.
Tradimento…
Decise di sfuggire gli occhi turchesi dell’amico.
Non si volse e Justus lo affiancò per poi inginocchiarsi al suo fianco.
«Non sapevo fossi qui», mormorò il chierico tra le mani congiunte «Perché non mi hai  mandato a chiamare? » domandò con voce sommessa e un sorriso atto a dissimulare la preoccupazione. Domandandosi il motivo che aveva portato Johannes a chiudersi in quella che era stata il loro rifugio fin da bambini. Lontano dagli occhi del mondo, lontano dalla Chiesa principale del monastero.
«Non ce n’era bisogno »,  rispose l’armigero, secco. «Hai altre cose da fare… Comunque, l’hai saputo lo stesso».
Justus si accigliò. Il tono del capitano lasciava intendere una scarsa volontà di renderlo partecipe. Si alzò, esortando l’amico a fare altrettanto.
«Non credo tu abbia così tanti peccati da scontare…» sorrise cercando i suoi occhi.
Johannes non rispose, rimanendo immobile.
Justus gli posò una mano sulle spalle. Fraterno e cameratesco.
Il suo fremito lo fece impallidire. Ritrasse la mano e la lasciò scivolare lungo il fianco magro.
Il capitano serrò la mascella, accorgendosi della sua reazione.  
Si volse finalmente a guardarlo e per un attimo i loro occhi si incrociarono. Quelli turchesi e indignati del chierico e quelli arrossati di chi non aveva dormito. O lo aveva fatto poco e male.
«Perché..? »
La voce di Justus, pallido come non lo aveva mai visto, riempì il silenzio della cappella di un tono grave e provocatorio, mentre lo sguardo,  adombrato da un sentimento molto simile all’ira, si spostava da lui alla statua della Vergine Maria.
Per tutta risposta,  anche l’armigero distolse lo sguardo. Tornando a fissare il pavimento. Sul volto, una maschera mista di imbarazzo e insolenza.
 
***
 
Le dita sottili di Justus si muovevano delicate e sapienti sulle larghe spalle martoriate di Johannes. La flagellazione alla quale il capitano si era sottoposto aveva lasciato un arabesco di tracce fresche dai bordi arrossati e a tratti sanguinanti.  
Seduto sullo sgabello di legno, stritolato dal silenzio che permeava quella piccola cella angusta e dall’indignazione di Justus, l’armigero lasciava che l’amico si prendesse cura di lui. Il sollievo dell’unguento applicato pazientemente sulle ferite gli strappò un sospiro silenzioso. Erano soli. Chiusi nell’alloggio spoglio e spartano del giovane monaco.
«Non mi piace quando non parli… » mormorò, sperando di infrangere la sua cortina di silenzio.
Justus sembrò rimanere indifferente al suo appello.  Non rispose subito, continuando a spalmare con dovizia il balsamo sulle ferite aperte.  Gli occhi chiari fissi sulle spalle muscolose e devastate dell’amico.
«Sei tu che hai qualcosa da dirmi… » ribatté infine, laconico. Senza accennare a smettere la medicazione.
Esasperato, Johannes gli afferrò un polso. Impedendogli ogni movimento.
Justus si decise a sostenere il suo sguardo. Le belle labbra sottili serrate per la disapprovazione.
Johannes intensificò la stretta.
«Provo cose… che non dovrei provare» confessò inaspettatamente l’armigero.
Per niente impressionato, Justus usò la mano libera per allentare la sua morsa.
Si pulì le mani con uno straccio di stoffa grezza e ripose il vasetto di balsamo su una mensola accanto al letto.
«Non mi sembra così grave…» rispose spazientito, dandogli le spalle.
«Sì, se quello che provo è per Maddalena Aicardo»
La voce profonda di Johannes aveva riempito la stanza. Soffocandola.
Justus si raddrizzò nelle spalle. Chinò leggermente il capo in avanti,  socchiudendo gli occhi. Schiuse le labbra, senza parlare. Dando forma a un pensiero recondito, nascosto in qualche punto lontano della sua coscienza. Tutto stava cominciando a chiarirsi…
«Anelo ogni suo sguardo… il suo respiro… La sua immagine mi tormenta» ancora la voce di Johannes. Roca e perentoria. Leggermente incrinata, eppure dura.
«Glielo hai detto? » domandò il chierico, senza voltarsi.
«No»
«Credi che lei ricambi? »
«No» mentì il soldato, istintivamente. Tacendo l’atteggiamento provocatorio della ragazza e il suo gesto sconsiderato, forse un gioco… Stupidamente teso a proteggerla. Evitando, se possibile, di comprometterla.  
«Desiderare una donna non è peccato…» osservò Justus, voltandosi finalmente a guardarlo. Carezzando con sguardo benevolo e sofferente la figura immobile sullo sgabello, le spalle nude, piegate in avanti, le braccia abbandonate sulle cosce, lo sguardo cupo. Ritrovando in quel giovane uomo scolpito l’immagine del compagno di infanzia.
Johannes si schermì con un sorriso cinico sulle belle labbra tese.
«Sì, se quella donna è la protetta del mio Vescovo e promessa a un altro uomo»
Justus inspirò profondamente. Il disagio del soldato era profondo e reale.
«Cosa pensi di fare? » si informò, temporeggiando. Cercando il modo di potergli offrire conforto.
«Aspettare… » affermò l’altro, alzandosi dallo sgabello e afferrando bruscamente i propri indumenti abbandonati sul letto.  «Tra non molto quella donna lascerà  Rosenburg per raggiungere il suo Marchese… e io sarò libero» sorrise ancora e in quel sorriso,  Justus ravvisò il tentativo di dissimulare l’amarezza.
«E’ così che pensi di occupare il tempo aspettando che se ne vada? » lo incalzò accennando alle spalle segnate dal flagello di cuoio.
Johannes terminò di vestirsi, reprimendo una smorfia di dolore.
«Temo di perdere il controllo…» tagliò corto.
Il chierico lo trafisse con uno sguardo carico di tensione e rimprovero.
«Non lo perderai » sostenne. Ma inaspettatamente Johannes lo afferrò per le spalle, fissandolo negli occhi con tutta l’esasperazione che gli covava dentro.
Il lieve ma inarrestabile vibrare delle sue narici, gli disse più di quanto avrebbe voluto sapere.  
«Non capisci, Justus! » ringhiò il capitano «Non penso a lei come a una Santa o a una sorella… » esitò, evitando di scendere nei dettagli «I suoi occhi mi danno il tormento. E’ come una febbre... Guardo quella donna e la desidero come non ho mai desiderato nessun’ altra…  La desidero in modo indegno. E’ un Inferno, Justus… E io sto bruciando tra le fiamme di quell’Inferno» Johannes mollò la presa e rise. Rise di gusto. Di se stesso e dell’amico che, chiaramente, non poteva capire. Poteva essere più sincero? Più schietto e preciso? Doveva spingersi oltre e parlargli del suo profumo? Delle sue labbra morbide e di quei capelli nei quali avrebbe tanto desiderato affondare le mani per stringerla e attirarla a sé? No, non poteva… per rispetto dell’amico e del suo abito talare.
Justus ne rimase turbato. La sua accorata confessione, lo colpiva.
«Capisco benissimo, invece…» mormorò a fior di labbra, insinuandosi tra le pieghe amare della sua risata. «Capisco meglio di quanto tu creda… » continuò, pensando a madonna Lena e alle sue parole. «Posso solo consigliarti di non darti tormento inutilmente…»
Cercò il suo sguardo, impossibilitato a confidare quel che sapeva e che ormai era certo di aver compreso. Deciso ad alleviare in qualche modo la sua sofferenza. Ma questo gli sfuggì, cinico e divertito.
Johannes si portò sulla soglia della cella. Fermandosi un istante prima di andarsene.
«Hai ragione…» mormorò piegando le labbra in un sorriso amaro. «Inutilmente»  ripeté l’ultima parola poi uscì a passo svelto. Senza che Justus avesse il tempo di replicare. Di Johannes rimaneva solo l’odore dell’unguento a saturare la stanza.
 
***
 
Heinrich prese posto accanto all’uomo che, seduto al banco della taverna, fissava immobile il boccale di birra scura che gli stava di fronte.
«Capitano» mormorò con un sorriso, passandosi una mano tra i capelli arruffati.
Johannes gli rivolse un’occhiata stanca. Afferrò il boccale e bevve  una sorsata abbondante del profumato liquido scuro.
«Sei tu, il capitano…» osservò poi con voce roca. «Non l’hai ancora capito? »
L’altro accentuò sorriso e ordinò rumorosamente da bere.
«Meglio non montarsi la testa, amico. Mantengo le buone abitudini aspettando che rientri nei ranghi» ridacchiò. Poi sollevò un sopracciglio, insolente. «Non adempi al tuo dovere di guardia del corpo, oggi? »
Johannes affondò nuovamente le labbra nella birra ormai calda e mugugnò qualcosa di incomprensibile.
Heinrich si strinse nelle spalle.
«Devo forse aspettarmi di vederlo entrare di nuovo come una furia da quella porta, il tuo bel corpo? » sghignazzò, con un chiaro riferimento alle forme sinuose di madonna Lena.
Johannes si accigliò.
«Smettila» lo ammonì. Poi, con tono più pacato continuò:
«E’ stata convocata dal vescovo… Questioni personali»
L’altro non si lasciò scoraggiare.
«Dimmi la verità… » riprese con aria da cospiratore, dopo aver bevuto un paio di sorsi. «Cosa le hai fatto? »
Johannes si spazientì.
«Niente» asserì senza comprendere la domanda.
Heinrich sollevò di nuovo un sopracciglio e gli diede una pacca sulla spalla facendogli ingoiare un’esclamazione di dolore.
«Non avevo dubbi che tu non ci avessi fatto niente… » lo schernì.  «Parlo del suo umore. Del suo stato d’animo. Sembra diversa negli ultimi giorni. E’ spenta… non so se mi spiego»
Johannes si liberò del suo braccio, ancora appoggiato sulle spalle.
«E’ una donna» si limitò a rispondere, sperando che Heinrich capisse che non era in vena di scherzare e cambiasse argomento.
L’altro continuò imperterrito.
«Sicuramente è una gran femmina» ammiccò, intenzionato a strappargli un sorriso o, alla peggio, provocarlo e guadagnarci un duello. Non aveva importanza se a fil di spada o a mani nude.  Johannes gli mancava. Innegabilmente.
Ma la sua reazione fu tutt’altra… si alzò dallo sgabello. Pagò la consumazione lasciata a metà e si diresse alla porta.
«Aspetta! » tentò inutilmente di fermarlo. «Cosa ti succede, capitano! Hai perso il senso dell’umorismo? » gli urlò dietro.
L’altro non si fermò. Non si volse e non rispose. E ad Heinrich non rimase che tornare a sedersi e cercare uno svago altrove. Magari tra le moine delle cameriere o della bionda  Angela, la bella e sfrontata figlia del locandiere. L’unica capace di dargli sempre del filo da torcere…
 
***
 
Completamente piegato in avanti, chino fino a sfiorare il collo muscoloso e teso del frisone lanciato al galoppo, quasi a fondersi con esso, Johannes inspirava l’aria tagliente e carica di pioggia.  Il volto sferzato dal vento, gli occhi socchiusi. Lontano dalla città, dagli sguardi indiscreti, dalle chiacchiere, dai suoi occhi… Non le aveva dato il tempo di spiegarsi. Non le aveva chiesto cosa significasse quel bacio né le parole che ne erano seguite. Uno stupido gioco? La voglia di infrangere le regole? L’ebbrezza della festa?
E questo perché le sue spiegazioni non erano importanti. Non quanto la consapevolezza di quello che aveva scoperto nel momento stesso in cui la folla gliela aveva sottratta. Nell’attimo stesso in cui era sparita davanti ai suoi occhi….
Ritrovarla, stringere quel corpo morbido e seducente, desideroso di vivere, di abbandonarsi e forse perdersi tra le braccia di un uomo, lo aveva sconvolto.
Perché lui l’avrebbe soddisfatta…
L’avrebbe presa, amata e compromessa… Lì, in quello stesso momento. In quello stesso posto. Incurante della folla che li circondava, caotica e sbadata, indifferente. L’avrebbe fatto. Sì.  L’avrebbe fatta sua… Dolcemente, prepotentemente…
Eccome se l’avrebbe fatto.
E non avrebbe aspettato di essere soli, nascosti in un vicolo buio e maleodorante…  
Strinse le briglie fino a far apparire livide le nocche.
Spronò Shatten, ancora e ancora. Nel folle tentativo di lasciare tutto alle spalle. Di riprendere il controllo. Inutilmente.
Le sue labbra morbide erano ancora lì… Sulle sue. Marchio indelebile della colpa dalla quale era intenzionato a fuggire. Si rassegnò.
Avvertì il respiro affannoso del frisone. Lo rallentò, portandolo lentamente al trotto. Inspirò profondamente e si concesse un sorriso stanco. Diede un paio di colpetti affettuosi al collo possente di Shatten finalmente rilassato.
La corsa li aveva spossati ma rigenerati entrambi, pensò, prendendo la strada del ritorno. Un ritorno lento e piacevole. Ecco come desiderava che fosse. Al resto avrebbe pensato poi…
Il cigolio inconfondibile di una carrozza attirò la sua attenzione. Frenò l’animale e attese, al ciglio della strada sterrata, che il mezzo e la sua scorta emergessero dalla macchia.
E quando i primi cavalieri lo raggiunsero, sulla difensiva, si presentò rassicurandoli.
Uno degli uomini retrocesse fino alla carrozza e un giovane emerse dal panneggio che ne arricchiva la struttura interna.
«Coincidenza fortunata! » sorrise candidamente quest’ultimo. «Spero vogliate scortarci fino alle mura cittadine…» disse rivolto a Johannes, alzando la voce perché lo sentisse.   
Visto il suo silenzio, l’uomo dallo sguardo vacuo si imporporò, imbarazzato, e proseguì:
«Vogliate innanzitutto perdonare la mia stoltezza…» si scusò. «Marchese Edelbert di Thuringia» comunicò con garbo. 





-------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
IL CONFESSIONALE (ossia, l'angolo dell'autrice)

Eccoci finalmente! Dopo una pausa che mi ha esasperata, costretta da situazioni contingenti a rimandare la chiusura di questo capitolo, con il mio capitano sulle "spine" (passatemi la "battuta") siamo qui e riprendiamo da dove eravamo rimasti... o quasi, eheheeh! Delusi? Abbiate fede... A qualcuno non c'è bisogno che lo ripeta, vero?  
E adesso due parole sulle new entry!  Una è SHATTEN (traduzione di OMBRA) il frisone morello (quindi nero, completamente nero) di Johannes e l'altro... mah, aspetto le vostre "congetture" in merito!

A presto con il prossimo aggiornamento che torna a ritmi regolari, e il solito grazie a voi che leggete, recensite e soprattutto gradite! Dimenticavo!!! Ringrazio EMERALD che ha voluto condividere con me la follia di dare un volto "umano" ai protagonisti di questa storia... Ognuna ha il suo modo di vedere cose e personaggi. Qualche volta le idee e le percezioni collimano, altre sembrano andare in direzioni opposte... chi vuole unirsi a questo gioco è il BENVENUTO! Il casting è aperto!!!

Sabrina 



 

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Castigo ***


Capitolo 10 - Castigo





«Una serata piacevole, non trovate? »
La voce delicata del marchese scivolò attraverso i pensieri di Johannes che, come il giovane Edelbert, attendeva nel chiostro che Lena terminasse l’incontro giornaliero con Justus.
A quelle parole, un flebile sospiro sfuggì dalle labbra socchiuse dell’armigero, che tutto avrebbe pensato, tranne che a una piacevole serata.
Le braccia incrociate sul petto, le spalle appoggiate a una delle colonne del porticato, Johannes abbassò lo sguardo sul marchese che occupava la panchina di pietra al suo fianco. Posizione, quella, che gli garantiva la possibilità di indugiare in quella sua muta contemplazione senza che l’altro ne avesse coscienza.
Giovane, forse più del previsto, pallido ed emaciato come appariva nel ritratto, Edelbert aveva un sorriso gentile e un’espressione, seppur vacua, innocente.
Il capitano represse un moto di rabbia istintiva, a quella constatazione,  e si chiese cos’altro avrebbe dovuto sopportare.
«Sono contento di questa mia visita» proruppe l’altro, ignaro di tutto, lo sguardo rivolto alla gradevole figura di Lena che emergeva a tratti, dall’altra parte del chiostro, tra una colonna e l’altra. «Non mi sarei perdonato di partire per il confine senza averla potuta incontrare» mormorò in un sorriso sbiadito.
Johannes corrugò la fronte in silenzio.
«Non fraintendete, capitano» riprese Edelbert con calma. «Non sapevo nemmeno chi fosse, fino a quando non mi hanno comunicato il suo nome e la decisione di mio padre» ridacchiò schernendosi. Poi fece una leggera torsione e sollevò lo sguardo sull’armigero. «Converrete con me che non sono esattamente il tipo d’uomo di cui una giovane potrebbe innamorarsi a prima vista…» mormorò.
Johannes avvertì un leggero e innegabile imbarazzo, ma l’altro continuò imperterrito.
«Ho un patrimonio e una posizione sociale. Questo è quanto»
«Quanto basta» sostenne il capitano in evidente disagio. Cercando di chiudere così quell’assurda conversazione.
Edelbert stese le labbra sottili e pallide in un sorriso divertito.
«Siete arguto… non mi sorprende!» osservò. Poi lasciò gli occhi inquieti di Johannes, che non chiedevano di meglio, per tornare a cercare madonna Lena. «Maddalena Aicardo è una fanciulla deliziosa e bellissima» disse e un guizzo d’orgoglio gli accese lo sguardo celeste imporporandogli le gote altrimenti emaciate «Ed è mia, nonostante tutto, vedete?» mormorò con la voce rotta dall’emozione. Forse dall’eccitazione.
Johannes serrò la mascella e ingoiò una serie di improperi.
Edelbert si volse nuovamente a guardarlo.
«Non credete che sia un uomo fortunato? » sorrise con quella sua aria innocente e disarmante «Sempre che torni illeso dal fronte».
Il capitano si irrigidì.
 
***
 
Maddalena Aicardo tirò delicatamente in avanti il bordo del cappuccio che le copriva la nuca e soprattutto il volto. Decisa a nascondere allo sguardo sempre troppo attento di Justus gli occhi lucidi e arrossati. Accanto a lei, il chierico non aveva modo di dissimulare, invece, una piccola ruga tra le sopracciglia chiare. Dalla parte opposta del chiostro, due uomini ad attenderla.
Uno era il capitano delle guardie cittadine, Johannes. Prestante, taciturno e altero. L’altro, un giovane emaciato e sottile, il giovane marchese suo promesso sposo.
Un groppo alla gola impediva alla ragazza di beneficiare serenamente dell’ incontro giornaliero con la sua guida spirituale. Il ricordo fin troppo nitido di labbra tanto diverse tra loro rischiava di portarla alla soglia della follia. Quelle agognate di Johannes, dure fino a far male e quelle delicate e tremule di Edelbert che sfioravano la sua mano un attimo dopo le presentazioni di rito.
«C’è qualcosa che volete dirmi, Maddalena?» la interrogò Justus, rompendo il filo dei suoi peccaminosi pensieri.
Arrossendo, Lena scosse lievemente il capo e il chierico continuò:
«Avete dissolto i vostri dubbi, quindi? »
Dal fondo del cappuccio, la voce della ragazza emerse atona.
«Edelbert è la miglior soluzione che mi potesse essere offerta…» asserì asciutta, senza dar peso al concetto appena espresso.
Justus trasalì e la ruga in mezzo agli occhi si fece più profonda.
«Parliamo di un uomo, Maddalena… del vostro futuro marito» la corresse garbatamente.
Lena distolse finalmente lo sguardo dalle due figure maschili intente in una qualche conversazione e lo portò in quello turchese di Justus, avvampando di nuovo.
«Perdonatemi… Ero sovrappensiero. Ho usato parole indegne»
Il giovane si fermò e quando anche lei ebbe arrestato il proprio passo, cercò e strinse le sue mani, allacciate in grembo. Erano gelate.
«Sinceratevi della situazione e dei vostri sentimenti» disse cercando i suoi occhi stanchi. «Non è scritto nel Vangelo che dobbiate soffrire, se la soluzione ai vostri tormenti è a portata di mano, libera e giusta» continuò.
Lena trasalì, poi inspirò profondamente. Chinò repentinamente il capo e sfiorò le mani del chierico con un bacio leggero.
«Voi siete il mio unico conforto…» mormorò, su quelle nocche colte inaspettatamente dal suo fiato caldo.
Justus avvertì un incomprensibile istinto a ritrarsi, un doloroso tremore ai polsi. Ricacciò indietro quella sgradevole sensazione e strinse maggiormente le mani della ragazza.
«Desidero solo il vostro bene, sorella…» disse, sorprendendosi lui stesso dell’ultima parola pronunciata.
Lena cercò finalmente il suo sguardo e lo sostenne. Dimentica delle lacrime e delle notti insonni.
 
***
 
La presenza di Edelbert e delle sue guardie, sollevò momentaneamente Johannes dall’impegno assunto nei confronti di Maddalena Aicardo. Il giovane e irrequieto capitano poté così permettersi qualche giorno di solitario ritiro e contemplazione, lontano dagli sguardi inquisitori di Erasmus. Ma quando decise di parlare, approfittando dell’ultima occasione ufficiale, prima della partenza del marchese per il confine, quegli occhi neri e acrimoniosi furono i primi a sfiorarlo con diffidenza.
Nell’ampio salone dove il Vescovo aveva deciso di raccogliere i propri ospiti e commensali, dopo la ricca cena di commiato, calò un repentino silenzio. Johannes abbandonò il proprio posto, alle spalle dello scranno vescovile, e si prostrò profondamente dinnanziall’uomo che lo occupava, cercando di cancellare dal proprio campo visivo Justus, in piedi alla sua destra, e Lena, dalla parte opposta.
Si umettò le labbra, e ricacciando indietro il groppo che gli stringeva la gola come la mano di un assassino, prima sollevò lo sguardo sul Vescovo, poi lo abbassò, socchiudendo le palpebre.
«Vogliate perdonare il mio ardire e concedermi la possibilità di servirvi come non ho potuto fare finora, Eminenza…» iniziò.
Konstantin Winkel si mosse sulla sedia e si sporse leggermente in avanti, la mano sinistra stretta al bracciolo di legno intarsiato, lo sguardo sorpreso, la mascella serrata.  
Johannes percepì quel movimento e prima che l’uomo potesse parlare, continuò:
«Prego il mio Vescovo di benedirmi. Ora e sempre. E di accettare la mia decisione» esitò, per meglio scandire le parole successive «Chiedo umilmente che mi venga concesso di unirmi agli uomini della scorta del Marchese Edelbert  di Thuringia, diretto al confine, e così all’esercito imperiale»
Edelbert trasalì, sorpreso ma contento. Eccitato come un bambino da quell’inaspettata richiesta.
A Maddalena Aicardo e Justus mancò il respiro, invece.
Il chierico si irrigidì, accennando un passo avanti. Poi dischiuse le labbra come per protestare ma non uscì un fiato.
Lena, al contrario, strinse le dita attorno la stoffa rossa dell’abito, mentre contemporaneamente si cingeva lo stomaco. Serrò le labbra, gli occhi sgranati rivolti all’impiantito.
Il fruscio di una veste scosse Johannes dallo stato di torpore irreale nel quale era caduto.
«Voi…» la voce aspra di Erasmus sferzò l’aria, subito zittita da un cenno del vescovo.
«Ho ascoltato attentamente le tue parole, ragazzo» esordì questi con tono grave «E sebbene sia sorpreso dalla tua impertinenza, riconosco nella tua accorata richiesta il profondo desiderio di servire il tuo Vescovo e il nostro Impero» continuò. «Non posso ignorare le tue parole… Non al cospetto del nostro giovane marchese, pronto a raggiungere il confine» allentò la tensione concedendosi un mezzo sorriso magnanimo «Il marchese non avrà che da trarre giovamento, dalla tua presenza, e così la nostra Maddalena, sapendolo in mani più che sicure» proseguì, sollevando il mento e abbassando lo sguardo sul proprio capitano.  «Hai la mia benedizione, ragazzo. E sono certo che non ti allontanerai da Rosenburg senza aver predisposto al meglio  la nostra milizia».
Il Vescovo aveva parlato.
Johannes fece un cenno d’assenso, e senza sollevare lo sguardo allungò una mano verso quella dell’ecclesiastico così da poterla stringere e sfiorare con un bacio riconoscente. Nonostante il fastidioso pizzicore alle labbra seguito a quelle parole, balsamo per il suo cuore malato ma al tempo stesso calate come una scure sul suo futuro.
«Saprò ripagare la vostra fiducia» mormorò, grato.
Rimettendosi in piedi, senza volgere lo sguardo attorno, Johannes si allontanò in direzione della porta, seguito dagli uomini della scorta del marchese con i quali avrebbe preso accordi per l’indomani.
Justus si morse le labbra, reprimendo l’impulso di corrergli dietro. Cercò lo sguardo di madonna Lena, sempre rivolto all’impiantito, vitreo e immobile, e non poté evitare di notare il pallore diffuso sul suo volto e la stretta spasmodica della mano alla stoffa rossa. In netto contrasto, l’accenno di sorriso che le piegava un angolo della bocca.
 
***
 
Maddalena Aicardo ringraziò con un cenno del capo la giovane sentinella che l’aveva accompagnata al piano superiore e aveva bussato alla porta per lei.
La risposta a quel bussare la fece trasalire.
Con un sorriso rivolto alla guardia che l’aveva assecondata,  accogliendola in caserma perché si riparasse dalla pioggia fitta e silenziosa di quella notte, dissimulò quello sciocco sussulto pregandolo poi di lasciarla sola sull’uscio, inzuppata dalla testa ai piedi, appesantita da un mantello  fradicio.
Allo schiudersi della porta, due occhi grigi la passarono da parte a parte, prima sorpresi poi carichi di rabbia.
«Voi?!» ringhiò Johannes, raggiungendola e cercando nel corridoio una scorta che non trovò, prima di tornare ad occuparsi di lei. Insensata creatura capace di rodergli l’anima. La fissò tra il furente e l’incredulo: possibile si fosse allontanata da sola dal palazzo del vescovo?  
Indifferente alla reazione dell’armigero, madonna Lena avanzò di un passo, superando la soglia e guardandosi attorno nella stanza spoglia,  dove il capitano era tornato quella sera stessa per disporre gli ordini di servizio e meglio prepararsi alla partenza.
Johannes l’afferrò sgarbatamente per un braccio, costringendola a voltarsi, la mano che affondò nella stoffa bagnata,  abbracciato dal suo caldo sguardo nocciola. Pregò affinché riuscisse a controllarsi.
«Vi riaccompagno a palazzo» disse con un tono che non ammetteva repliche. Non aveva intenzione di ascoltarla. Né di restare con lei in quella stanza.
Cogliendo un fremito di esitazione, Lena si liberò dalla stretta, continuando a sostenere il suo sguardo.
«Non sono arrivata fin qui perché mi riportiate a casa… » si ribellò. «Vorrei che mi diceste il perché, prima! » lo provocò.
Alla luce tremula di una candela che irradiava un bagliore giallastro, Johannes sogguardò quel volto pallido, che l’acqua di quella notte doveva aver reso gelido, e le ciglia scure alle quali minuscole gocce di pioggia erano rimaste impigliate. Le labbra spiccavano più vivide che mai, quella notte, e i capelli bagnati conferivano a quella giovane donna irragionevole un aspetto così fragile e seducente da torcergli lo stomaco.
Le volse le spalle, perché non si accorgesse della trasfigurazione che la sua sola presenza aveva  operato sul suo giovane e irrequieto corpo.
«Non dovreste essere qui» ribatté con voce roca.
«E voi non dovreste partire» replicò lei, quasi accavallandosi alle sue parole, aggrappandosi alle gonne umide e, con gli occhi scuri, a quelle ampie spalle coperte da una semplice camiciola grezza.
«Togliete quel mantello inzuppato e indossate il mio» rispose il soldato, afferrando dall’unica sedia la cappa di stoffa scura e porgendogliela senza voltarsi. «Vi accompagno a casa e farò in modo che nessuno si accorga della vostra assenza»
Lena sorrise. Slacciò il nastro che le assicurava mantello sulle spalle e lasciò che cadesse ai suoi piedi. Pesante. La sua figura emerse prorompente, stagliandosi contro le pareti disadorne della stanza. Una figura che Johannes non poteva vedere con gli occhi ma che avvertiva chiaramente con tutti gli altri sensi.
Un fruscio di gonne e Lena lo superò con passo spedito. Decisa, avanzò verso la porta e la chiuse, appoggiandosi di schiena al pannello di legno, fissandolo, provocatoria.
«Potrebbe essere troppo tardi» disse, piegando le labbra frementi in un cinico sorriso.
Johannes inspirò profondamente, con le labbra serrate. Maledicendo una situazione che non sarebbe potuta essere peggiore. Rivestendo madonna Lena con uno sguardo che non riusciva più a tenere a freno. Avanzò fino a raggiungerla. Afferrò il suo polso sinistro, staccando dalla porta di legno il palmo di quella mano gelida.
«Ve lo ripeto… Non dovreste essere qui! » le ringhiò a denti stretti, a un soffio dal suo orecchio. Tanto vicino da farle avvertire ogni più recondita sfumatura di quella voce profonda.
Il respiro di Lena accelerò, facendosi più corto.
«Qual è il problema, capitano…» mormorò, sadica. «Di cosa avete paura..? » lo sfidò, liberandosi il polso e afferrandogli rabbiosamente la mano, portandosela poi sul seno che affiorava candido dall’abito bagnato, irrorato di pioggia.
«Di questo? » chiese alludendo al battito veloce del proprio cuore «O di questo?! » terminò assecondando lo spasmo di Johannes e il suo ritrarsi ma solo perché la mano di lui si appoggiasse questa volta al suo petto in fiamme. Mettendolo per la seconda volta in pochi giorni di fronte a una realtà dalla quale, l’armigero,  aveva finalmente deciso di scappare…
Il capitano dilatò lo sguardo, schiudendo le labbra, per poi lasciarsi sfuggire un sorriso crudele.
Sciocca! Pensò divorandola con lo sguardo. Che bisogno c’era di mettergli la mano sul cuore? Pensava davvero che non avvertisse l’assordante battito che gli squassava il petto, raggiungendo dirompente la gola, pulsante fino a far male?
Con la mano libera afferrò quel polso sottile e questa volta lo strinse più forte, costringendola a lasciarlo andare.
«Vi riporto a casa» disse, esitando un attimo di troppo su quella mano che avrebbe voluto accarezzare. Baciare fino a consumarla.
La scostò, liberando la porta.
«Johannes…» mormorò Lena mordendosi le labbra, il mento che fremeva di astio e vergogna. Rifiutata per la seconda volta.
L’armigero dischiuse la porta, fermandosi  sulla soglia un attimo dopo.
«Non abbiamo più niente da dirci» mugugnò, e senza degnarla di uno sguardo, lasciò la stanza precedendola nel lungo corridoio avvolto dal silenzio bagnato di pioggia…




----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

IL CONFESSIONALE (ossia, l'angolo dell'autrice)

Eccoci alla fine di un capitolo un po' sofferto, per quanto mi riguarda... Credo che sia evidente l'amore che provo per Johannes e più andiamo avanti, più faccio fatica a mettere nero su bianco certi passaggi. Alcne cose mi consolano nell'affrontare i capitoli successivi, ma tante altre mi turbano... Chissà se avrete le mie stesse sensazioni! Per ora, senza anticiparvi nulla, vi rimando al prossimo aggiornamento.

A presto e il solito grazie a tutti i lettori... Alle mie care e preziosissime "commentatrici" (che con le loro parole e le loro analisi profonde mi spronano ogni capitolo un po' di più) e a tutti quelli che ancora non conosco, Ma mai dire mai, giusto?

Sabrina 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Espiazione ***


Capitolo 11 – Espiazione
 
 
Erasmus indugiò sulla figura incappucciata che, lentamente, stava allontanandosi dal palazzo. Poi si ritrasse dalla finestra, riportando lo sguardo all’interno della stanza.
L’irritazione per l’indulgenza del vescovo verso il capriccio di Johannes stentava a stemperarsi, nonostante il tempo trascorso. Poco gli importava quali fossero le sue motivazioni; che il vescovo Winkel  avesse colto l’occasione per aumentare il proprio prestigio alla corte di re Carlo, grazie a quell’inattesa opportunità, o per rinsaldare l’alleanza con il casato del giovane e scialbo Edelbert. Davvero, non gli importava.
Un flebile sospiro gli scivolò tra le labbra sottili. Gli doleva la testa.
Si portò una mano alle tempie e prese a massaggiarsele piano.
Altrettanto lentamente, di malavoglia, riprese a concentrarsi sul proprio, improrogabile lavoro…
 
***
 
Maddalena Aicardo aveva chiesto e ottenuto di trasferirsi al monastero. Da qualche giorno, occupava uno degli alloggi della foresteria,  imponendosi quella che agli occhi dell’intera Rosenburg era sembrata una scelta di clausura e di preghiera in attesa del ritorno di Edelbert. In realtà, l’unica possibile espiazione ai pensieri e ai desideri che si facevano beffe di lei, straziandole impunemente il cuore,  finalmente lontana dagli sguardi ostili di Erasmus e da quelli troppo curiosi di Hanna.
L’ennesimo rifiuto di Johannes l’aveva umiliata, facendola sentire terribilmente sciocca.  Il desiderio letto nei suoi occhi… filtrato dalla sua voce roca…  svelato senza ombra di dubbio dal linguaggio di quel corpo sfacciatamente maschio, la frustrava.
La consapevolezza che il capitano fosse attratto da lei, non aveva reso le cose più facili. La sua partenza al seguito di Edelbert era stato un chiaro messaggio. Lui, come lei, vedeva in quell’attrazione qualcosa di assolutamente peccaminoso. Qualcosa da mettere a tacere a tutti i costi. E lei, come lui, aveva infine deciso di negare quell’infatuazione. Dimenticare. Questa la soluzione.
Lena inspirò profondamente, aggrottando le sopracciglia in uno sguardo che andava ben oltre il confine del chiostro dove aveva cercato sollievo nell’aria fresca del mattino.
Strinse il foglio che teneva in mano, spiegazzandolo e avvertendone così tutta la concretezza. Ripercorse mentalmente le parole tracciate in quel messaggio. Lette più e più volte nell’assurda ricerca di qualcosa che non c’era.
Poche righe, vergate con una grafia delicata ed elegante da chi aveva voluto darle notizie di sé e della propria salute. Edelbert…
Si morse istintivamente il labbro inferiore e abbassò lo sguardo, provando irritazione e vergogna.
Da Johannes nemmeno un cenno.
Quel pensiero le dipinse un sorriso amaro sulle labbra. Un sorriso che non sfuggì a Justus, fermo al riparo di una colonna a guardarla. Impegnato a soppesare quella figura e la sua gradevole presenza. Una compagnia che era diventata presto una piacevole abitudine. Che occupava la maggior parte del suo tempo.
Il chierico seguì la linea perfetta di quel profilo crucciato. Si soffermò sulle ciglia scure, leggermente abbassate sugli occhi spenti. Poi tornò sulle labbra e su quella smorfia amareggiata che gli strinse lo stomaco.
Deglutì. Non faticava a comprendere Johannes e la sua infatuazione. Non solo perché Lena era decisamente affascinante, ma colta e intuitiva, uno spirito acuto che gli riempiva le giornate come non avrebbe mai pensato potesse accadere. Le loro dissertazioni, le argomentazioni, talvolta accese, e i suoi sorrisi, quando si accorgeva di aver oltrepassato il limite ed era pronta a chiedere scusa, erano diventati per lui irrinunciabili. Di questo si era accorto. E di questo si rammaricava, vedendo nell’affetto per quella ragazza qualcosa di inaspettato e indebito.
Ignara di quei pensieri. Maddalena Aicardo strinse ulteriormente le dita attorno alla lettera ormai stropicciata.
«Così la rovinerete…» mormorò Justus, emergendo dall’ombra.
Per niente sorpresa dalla sua presenza, Lena gli rivolse un pallido sorriso. Docile e pensierosa come Justus non l’aveva mai vista.
Le dita allentarono la morsa e il foglio sembrò emettere un sospiro di sollievo.
«In fondo, reca solo buone notizie» continuò il chierico, sfilandole la lettera dalle mani e ripiegandola con delicatezza fino a sfiorare il sigillo del marchese. Gli occhi turchesi concentrati su quell’operazione, lievemente adombrati dalle ciglia chiare.
Sollevò lo sguardo, incrociando quello mesto di lei, e trasalì intimamente.
Lena non pronunciava mai il nome di Johannes, eppure i suoi occhi non facevano che riflettere la sua immagine. Occhi grandi e scuri che penetravano l’anima, così come i suoi profondi sospiri.
«Tornerà presto da voi…» gli sfuggì, in un misto di sincera speranza e ansia di schermirsi dai propri molesti pensieri. E gli occhi di lei lo trafissero, improvvisi. Come accesi, inaspettatamente, da una luce improvvisa. «Non passerà molto tempo che tornerà da voi…» ripeté convintamente, a fior di labbra, volendo credere lui stesso in quelle parole. Volutamente enigmatico.
Lena si chiese infatti di chi stesse parlando e per un attimo si illuse che quelle parole fossero riferite a Johannes.
Si rimproverò, tacitamente. Affossando quel pensiero e carezzandone un altro. Meno accorato. Meno sincero.
Annuì.
«Ho risposto alla sua lettera» mormorò. «Non mi resta che aspettare» concluse, serbando per sé il motivo dell’attesa.
 
***
 
Il mormorare sommesso degli uomini si mescolava allo scorrere del Saale, scuro e corroborante, rischiarato dalle torce e dal fuoco dei bivacchi notturni. Johannes lasciò che lo sguardo rincorresse le scintille di luce a pelo d’acqua, tornando con la mente al Danubio. Attraversò l’accampamento, appesantito dalla corazza e dalla polvere, desideroso di lasciarsi cadere esausto sul proprio giaciglio.
Con la coda dell’occhio colse i colori di Rosenburg sulle gualdrappa di una cavalcatura nei pressi dell’alloggiamento di Edelbert e si arrestò. Un piede in procinto di scavalcare l’ennesimo soldato ubriaco, la mano sull’elsa della spada.
La luce tremolante delle candele gli consentì di scorgere la figura di Edelbert muoversi sgraziatamente dietro i panneggi della sua tenda.
Indugiò. E quell’esitazione fu sufficiente perché il messaggero di Rosenburg, nell’uscire,  facesse sì che il marchese si accorgesse di lui.
«Capitano! » lo richiamò Edelbert, con un gesto ampio della mano. «Entrate» lo invitò.
Johannes dissimulò un moto di stizza, ricacciò indietro il gorgoglio di una protesta e  penetrò nell’alloggio arredato sfarzosamente.
«Notizie da Rosenburg» gongolò il marchese, con un  sorriso ebete sulle labbra sottili. «Pensavo vi facesse piacere saperlo» continuò ordinando che gli venisse servito da bere.
Johannes annuì, rifiutando la coppa d’argento e il vino che conteneva.
«Avete ragione… » mormorò Edelbert «come sempre» ridacchiò nervosamente, scostando egli stesso il bicchiere che gli veniva porto. «L’alba è vicina» ricordò arrossendo.
Johannes ne soppesò la figura, chiedendosi per quale motivo quel giovane imbelle fosse stato spedito al confine col rischio di lasciarci la pelle. Per tutto quel tempo, Edelbert era rimasto nelle retrovie, al riparo da ogni possibile attacco. Ma l’indomani, il pallido marchese avrebbe dovuto presentarsi in prima linea, esorcizzando la paura e fomentando le truppe.
Così, con quell’unica e assurda comparizione, avrebbe portato a termine il proprio dovere e servizio e avrebbe potuto fare ritorno a casa.
Equivocando il silenzio di Johannes, Edelbert  non indugiò oltre. Dispiegò la lettera giunta da Rosenburg e ne lesse avidamente il contenuto. Tra sé. Senza emettere un fiato.
Le sue gote pallide s’imporporarono e un fremito gli attraversò le spalle magre. Poi sollevò lo sguardo a cogliere quello impenetrabile dell’armigero. Sorrise.
«Mi aspetta con ansia… » mormorò, visibilmente emozionato. «L’avreste mai creduto? » ridacchiò, dissimulando l’ evidente imbarazzo.
Johannes si raddrizzò nelle spalle e inspirò profondamente. Serrò le labbra, poi gli concesse un mezzo sorriso, abbassando le palpebre sugli occhi stanchi.
«E’ la vostra promessa sposa» osservò, colto da un’improvvisa voglia di essere lontano da lì. Da quella tenda sfarzosa, dal suo nobile e ingenuo occupante eccitato da chissà quali fantasie amorose.
«Se non avete bisogno di me…» mormorò, tentando di liberarsi da quella disgustosa morsa allo stomaco.
Edelbert sembrò non ascoltarlo. Si tormentò il labbro inferiore, guardandosi le mani e il carteggio che trattenevano. Poi rivolse un’occhiata ai panneggi e infine tornò con lo sguardo sul capitano.
«Chiede il permesso di raggiungere la nostra dimora e di attendere lì il mio ritorno» mormorò sottolineando il tutto con un sorriso fanciullesco. «A questo punto, credo proprio di dover brindare! » asserì, afferrando il calice che aveva poco prima scansato.
Ingollò il liquido rosso e corposo, avvertendo un subitaneo calore in fondo allo stomaco. Tossì. Riportò lo sguardo in quello inespugnabile di Johannes.
«Le risponderò domani. Ora è tardi e siamo stanchi» sorrise. «Ritiratevi, capitano, e pensate se volete mandare un messaggio a Rosenburg, approfittando della mia risposta» lo congedò sorridendo, sotto la spinta di quell’euforia.
Johannes sollevò il telo che fungeva da porta. Una zaffata d’aria umida lo investì provocandogli un conato. In silenzio, lasciò la tenda diretto al proprio alloggiamento.
 
***
 
Una fitta nebbia saliva dal fiume, nascondendo dispettosamente le rive erbose. Lattiginosa e fredda, riempiva le narici e le membra. Seducente e pericolosa.
Shatten sollevò uno zoccolo e il suo sbuffo caldo investì il braccio di Johannes che lo accarezzava piano,  in attesa che Edelbert facesse la propria comparsa.
Fagocitato da un’armatura troppo grande per la sua figura esile e minuta, il giovane marchese emerse dagli strali di nebbia. Pallida apparizione inghiottita da piastre d’argento e decorazioni in oro. Lo sguardo disorientato.
«Siete pronto?» domandò Johannes, una volta al suo fianco, inserendosi tra gli ufficiali.
Edelbert, il capo nascosto dall’elmo ingombrante, annuì quasi impercettibilmente. Attorno a loro, l’esercito dispiegato in attesa di ordini e di quell’incoraggiamento di cui il marchese avrebbe dovuto essere foriero.
Improvvisamente, un urlo penetrò la nebbia.
Il destriero bianco di Edelbert si impennò e l’elmo scivolò a terra per il contraccolpo. Dalla sponda nascosta del Saale, un’orda di soldati nemici si gettò sul giovane marchese, volta  al massacro.

 
***
 
Nella frescura umida della propria cella, Justus si lasciò cadere in ginocchio sull’impiantito irregolare e freddo. Il breviario tra le mani, lo sguardo turchese rivolto alla croce affissa al muro, sopra il suo letto.
Dalle sue labbra caste e gentili si levò una rituale litania. Una preghiera. Una richiesta. Forse più d’una. 




------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
IL CONFESSIONALE (ovvero, l'angolo dell'autrice)

Comincio questo angolino con un GRAZIE alle lettrici di sempre (pregevoli commentatrici o silenti compagne di viaggio) e a chi si è unito da poco alla lettura volendo lasciare il suo COMMENTO! Grazie infinite a tutte!!!

Passo adesso a un paio di NOTE:

1 - Nel Medioevo, le donne venivano accettate nei monasteri come lavoratrici laiche.
2 - Breviario: libretto di preghiera


E ora al capitolo! Poca azione, tanti pensieri... ma ogni tanto ci vuole!  Ognuno di noi necessita di ritagliarsi un momento di solitario silenzio per rimuginare su qualcosa: una scelta, un atteggiamento, il proprio futuro... Potevano esimersi i nostri protagonisti? Certo è che la scelta del luogo e del momento operata da Johannes non sembra essere delle migliori. Sembra piuttosto una costante, la sua, quella di non azzeccarne una dopo l'altra, non credete?
Vi lascio così, con questo "finale" un po' aperto a mille ipotesi e deduzioni... Mi farà piacere leggere le vostre, prima di esporvi le mie!

A presto, 
Sabrina 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Miserere ***


Capitolo 12 – Miserere
 
 
 
Lentamente, a piedi, guidando il cavallo per le redini, varcò la Porta Orientale. Attraversò il lungo ponte di pietra, che cavalcava il Danubio in piena. Penetrò in una città grondante acqua, percossa da una pioggia battente e fredda. Una città stanca, in procinto di scivolare nell’abbraccio della sera.  Poi si fermò. Sollevando lo sguardo, oltre il bordo irregolare del cappuccio calato sul capo. Immobile. Sostenendo il peso della cappa ormai fradicia.
La facciata del monastero, velata di un grigiore umido e arcano,  gli apparve in tutta la sua fredda imponenza. Granitico monito al peccatore, indulgente rifugio per il pellegrino. Chinò il capo.
Un colpo leggero alle briglie e il cavallo ripartì quieto al suo fianco.
Girando attorno all’edificio, evitò l’accesso principale. Cavallo e cavaliere imboccarono quindi l’ingresso posteriore. Raggiunsero le stalle e qui si separarono.
L’uomo penetrò il chiostro con decisione, diretto allo scriptorum, in cerca di un monaco. Uno in particolare. Sapeva dove trovarlo e, probabilmente, di trovarlo solo.
Giunto al riparo, con un gesto secco si spogliò del mantello, liberandosi di quel peso, scaricandolo lungo il cammino.
«Johannes!» proruppe Justus in un fremito, vedendoselo comparire dinnanzi, sollevandosi a mezzo dal proprio scranno.
Poi, le mani tremanti,  abbandonò gli arnesi da copista e titubante mosse qualche passo in direzione del capitano, esitando e fermandosi prima di raggiungerlo, turbato dal suo aspetto cupo e da un’insolita espressione che non gli riconosceva e che gli trasfigurava il volto, indurito da giorni di viaggio, provato dalla pioggia battente, giocato dalle ombre delle fiamme che dalle torce appese alle pareti proiettavano su di loro una macabra danza di luci e di ombre.
Deciso a scalzare quella sgradevole sensazione e di godere solo del suo ritorno, Justus afferrò una lucerna da un tavolo vicino e  finì per raggiungerlo. Un sorriso impacciato e timido sulle labbra dischiuse. Grato al Cielo per quell’inaspettata sorpresa.
«Lei dov’è? » fu l’unica risposta di Johannes. La voce atona, bassa e tesa. Le labbra serrate.
Justus impallidì. Inspirò profondamente, cercando l’ennesima chiave di accesso al suo sguardo impenetrabile, ma nel contempo gli indicò l’edificio della foresteria.
Senza battere ciglio, Johannes lo scostò, con la pressione di una mano sul braccio, e lo superò lasciandoselo alle spalle, pallido e costernato.
Il suo passo cadenzato e pesante riempì la stanza, poi si perse lungo i corridoi ghermiti dalla penombra, mescolandosi ai salmodiare dei monaci in preghiera e all’odore dolcemente amaro dell’incenso.
 
***
 
Fradicio. I capelli scuri appiccicati sul collo e  sulla fronte. Le ciglia imperlate di gocce ad offuscare la vista.
Non si era fatto annunciare. Non aveva bussato. Non si era fatto scrupoli a spalancare quella porta e poi chiudersela alle spalle, cogliendo Maddalena Aicardo di sorpresa. Immobilizzandola nella roccaforte inespugnabile dei suoi occhi grigi, torvi e torbidi come non li aveva mai visti. Togliendole il fiato.
«Questa è la sua risposta»,  disse senza giri di parole,  porgendole una lettera sigillata, sporca e umida di pioggia.
Lena trasalì.
Non c’era molto da dire e nemmeno da chiedere. Il mittente di quella lettera era chiaro. Il messaggero, invece, uno spietato scherzo del Destino. Possibile che Johannes sapesse? Si domandò avvampando.
Decisa a non lasciar trasparire l’imbarazzo e l’irritazione, la ragazza si morse impercettibilmente il labbro inferiore, indurendo lo sguardo e raddrizzandosi nelle spalle. Imponendosi di mettere a tacere lo stomaco e i suoi spasmi violenti,  la voglia e il desiderio di manifestare la propria emozione per il suo inatteso ritorno, il crepitio sulle guance in fiamme. 
Allungò una mano verso la lettera, facendo un passo avanti e chinandosi leggermente verso il braccio non completamente teso  di Johannes, indispettita dal suo atteggiamento arrogante, e in quell’attimo le loro dita si sfiorarono.
Lui le afferrò il polso, lasciando cadere l’epistola, attirandola bruscamente a sé. Senza una parola. Prepotente.
Furiosa, Lena sollevò il mento in un moto di sfida. Pronta a reagire a quell’ulteriore e inutile umiliazione. E quando i loro occhi si incrociarono, trasalì di nuovo.
Johannes catturò quegli occhi scuri che sostennero il suo sguardo e allora affondò le dita tra i folti capelli castani, possessivo, e con un gemito, carpì le sue labbra, come se non avesse mai desiderato altro.
Un bacio duro. Opprimente. Egoista. Una necessità urgente.
«Questa è la mia», ruggì sulla sua bocca, staccandosi da lei.
Ma ad un suo battito di ciglia, incredulo consenso, le afferrò il viso con entrambe le mani, baciandola di nuovo e impetuosamente, con la stessa irrefrenabile urgenza, crescente ed esasperata. L’urgenza di agire, di imporsi, di cancellare immagini, suoni e parole. Di cancellare l’eco di una colpa espiata e lontana, lasciata sopire tra gli strali di una nebbia lattiginosa e fredda. L’idea disgustosa di altre labbra, altre mani che l’avrebbero altrimenti toccata.  Suggendo quelle labbra morbide fino a quando con divenne un abbeverarsi alla fonte che aveva per troppo tempo evitato. Assetato, affamato, deciso a prendere e pretendere… Per una volta consapevole ma indifferente al peccato.
La sua irruenza, costrinse Lena ad arretrare, fino a trovare il muro con le spalle e qui fermarsi. Assediata e in trappola.
Inebriata, sorpresa, quasi soffocata, dal suo impeto inatteso, sfiorò con le dita il volto ruvido, freddo di pioggia e un mugolio di piacere le gorgogliò tra le labbra, spontaneo e irrefrenabile. Pensò alla “Rosa”, pensò a quel vicolo maleodorante e nascosto. Pensò a quel che sarebbe potuto succedere allora e non successe. Alle sue mille domande. Sospirò silenziosamente. Non lo fermò, né lo rifiutò.
Johannes non rallentò, né esitò.
Slacciò il nastro che arricciava il collo ampio della camicia. Fece affiorare i seni, rotondi e morbidi, profumati e tiepidi come le colline in primavera. Li afferrò, tra le mani un misto di stoffa e carne,  e li strinse con la rude determinazione del desiderio. Vi sprofondò. Una mano scivolò più in basso, fino ad afferrarle i fianchi, attirarla ancora più vicino, sollevare le gonne, cercare tra le sue gambe calde. La desiderò, la cercò, la prese.
Era sua. Sua e di nessun altro, sembrò affermare in un gemito gutturale e primitivo come il suo istinto.  
Vinta dal suo trasporto, Lena si lasciò guidare e amare.  Abbandonata a gemiti e gesti che non conosceva ancora ma che scoprì naturali e istintivi. Radicati nel suo essere donna. Aggrappata alle spalle di quell’uomo fattosi ardore,  come al  disperato tentativo di emergere dal baratro di un futuro imposto. Donna tra le braccia di colui che aveva scelto e non semplicemente e passivamente accettato.
Lo invitò, lo cercò, lo accolse. E il suo stomaco si contrasse ancora e gli spasmi si susseguirono implacabilmente deliziosi e languidi, fino a quando si sentì persa, stordita e vinta. Fragile involucro incapace di contenere una sensazione terribile e grandiosa al tempo stesso.
Sua. Sua e di nessun altro, pensò. Persa e poi ritrovata. Sotto a quel corpo spudoratamente scolpito dalla disciplina, ormai vinto da un desiderio irrefrenabile e dannato, che l’aveva prima testardamente respinta poi voluta e infine avuta. Virilmente conquistata. Un affondo dopo l’altro. Un gemito dopo l’altro.  Espugnandola come fosse stata una deliziosa e affascinante roccaforte di sospiri. Esitando solo nell’attimo di chiedere e poi cogliere il suo ennesimo ma irrinunciabile consenso. Senza parole. Solo cenni. Solo sguardi.
E allora capì di amarlo. E trattenne il fiato. E fu piena e paga di un amore che non si era mai nemmeno illusa di poter provare.
Il peccato si era compiuto. Una volta e poi un’altra ancora. Lasciando i due giovani amanti stremati e finalmente privi di pensieri.
Fuori, sotto la pioggia battente e implacabile, Justus. Addossato alla parete della foresteria, scivolato a terra, quasi rannicchiato. Aveva visto fin troppo, aveva udito fin troppo. Confessioni, preghiere, gemiti... E il ruggito sordo ed esigente di Johannes nell’attimo in cui  l’aveva presa e fatta sua.
Gli occhi sbarrati, vitrei, rivoli d’acqua fredda che dai capelli fradici gli rigavano il volto come lacrime copiose, il monaco si era fatto il segno della croce, più e più volte… Snocciolato il rosario con dita e labbra tremanti.
«Miserere mei Deus secundum magnam misericordiam tuam»
Abbi pietà di me, mio Signore, secondo la tua grande misericordia…
Combattendo l’opprimente senso di vuoto, si sollevò da terra. Si affacciò alla piccola finestra. Guardò i due corpi nudi e addormentati sul letto. Allacciati l’uno all’altra. Abbandonati l’uno all’altra. I lunghi capelli scuri di Lena rivestire il torace profondo di Johannes, le belle labbra di lui sfiorare appena la fronte liscia di lei.
Bellissimi e dannati…
Strinse i pugni, affondando le dita nella stoffa fradicia del saio. Si allontanò a passo svelto, preoccupandosi che altri  non si affacciassero a quello scempio. 



____________________________________________________________________________________________________

IL CONFESSIONALE (ovvero, l'angolo dell'autrice):

«Miserere mei Deus secundum magnam misericordiam tuam»
Abbi pietà di me, mio Signore, secondo la tua grande misericordia…


La "frittata" è fatta! 

Apro questa chiacchierata riportando le parole di Justus, sconvolto e fradicio, addossato a quella parete.
Che dire, con questo capitolo si chiude la PRIMA PARTE del racconto e ci si affaccia sulla SECONDA... Troviamo forse alcune risposte, ma rimaniamo con una serie di interrogativi. Punti in sospeso che verranno ripresi, non vi preoccupate, e spiegati al momento opportuno, ma sui quali, come sempre, sarò contenta di leggere le vostre impressioni e supposizioni! 
Capitolo un po' noioso, lo ammetto, fatto di sospiri e percezioni, ma necessario passaggio per gli avvenimenti futuri...

Sperando di avervi accompagnato in una lettura comunque gradevole, chiudo con i dovuti e sentiti ringraziamenti alle mie care lettrici! Contenta che di tanto in tanto qualcuna in più, tra le più silenziose, decida di farmi sentire la sua preziosa voce! GRAZIE DAVVERO!

A presto,
Sabrina 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Risveglio ***


Parte II


Capitolo 13 – Risveglio
 
Strali di nebbia… Un profumo dolciastro che impasta la gola, penetra i polmoni, soffocante e subdolo... Le urla, il clangore delle spade… Poi, un secco e frenetico bussare.
Johannes si svegliò di soprassalto, riemergendo dall’abbraccio lattiginoso di una nebbia infausta, ricacciando indietro quello sgradevole sapore.
Nudo. Su quel letto che stentava a riconoscere. Chiome castane ad accarezzare le membra indolenzite e il calore fragile di una presenza addormentata al suo fianco. Lena!
La nuova raffica di colpi, contro la porta chiusa dall’interno, lo riportò bruscamente  alla realtà. Al peccato. Al tradimento. All’amore che si era consumato tra le mura consacrate del monastero, in quell’umida notte di pioggia…
Svelto, afferrò le brache e le indossò. Abbandonò il giaciglio e il corpo nudo fu ghermito dall’aria fresca del primo mattino.
«Aprite» sibilò una voce a metà tra il perentorio e il sussurro che non stentò a riconoscere. L’unica che gli avrebbe dato sollievo in quel momento: Justus!
Si accostò al pannello di legno ruvido. Poi lanciò un’occhiata alle piccole finestre che si affacciavano sul cortile ancora deserto. Aveva smesso di piovere. Albeggiava. E Justus era solo.
Sfilò il chiavistello. Socchiuse il battente quel tanto che bastò ad intercettare lo sguardo severo del monaco e proteggere Lena e la sua seducente nudità.
Immobile, il volto pallido, Justus sembrava una maschera di cera dall’espressione indignata, carica di una collera che l’amico non gli riconosceva e si sentì colpevole. Si vergognò di se stesso, degli impulsi primitivi che lo avevano riportato a Rosenburg e infilato prepotentemente nel letto di quella giovane donna fino ad allora incontaminata.
«Indossa questi e vattene da qui! », lo investì bruscamente il chierico, il cuore in tumulto, incapace di scacciare le immagini e i suoni che si rincorrevano nella sua mente annebbiata alla vista del corpo seminudo di Johannes.
Trafitto dai suoi occhi turchesi, il giovane accettò senza ribattere e senza fare domande.  Afferrò il saio che gli veniva porto, accostò la porta e terminò rapidamente di rivestirsi, raccogliendo da terra il fagotto dei propri abiti.
Quando sollevò lo sguardo dal pavimento, incrociò quello sorpreso e allarmato di Maddalena Aicardo, finalmente sveglia. Irresistibile nella sua nudità.  
Johannes avvertì un fremito scuoterlo interamente e il desiderio impossessarsi ancora di lui e del suo giovane corpo che scopriva improvvisamente non ancora sazio di baci e carezze.  Reprimendo un gemito, si piegò su di lei, le catturò le labbra.  Le afferrò il volto, con entrambe le mani, lasciando cadere la tonaca sul letto tiepido, irretito dal sensuale richiamo di quella strega dagli occhi nocciola.  
«Sbrigati! » sollecitò la voce dalla soglia.
E Lena riconobbe Justus e il suo carico di ansia mista ad una rabbia sorda, trattenuta a stento. Avvampò, all’idea che il chierico sapesse. Le labbra di Johannes lasciarono le sue e lei comprese istintivamente la necessità e l’urgenza di quel brusco distacco.
In silenzio, osservò il proprio amante indossare l’abito talare e le sue labbra rivolgerle uno stentato sorriso  contaminato dalla preoccupazione. Ma i suoi occhi, i suoi straordinari occhi grigi, non le erano mai sembrati tanto fermi e decisi. Privi di una qualsiasi ombra di dubbio o di rimpianto.
Inspirò, poi lasciò che l’aria scivolasse piano tra le labbra dischiuse, consapevole della propria follia.  Ma non avrebbe rinnegato nemmeno un ansito di quella notte. Comunque fossero andate le cose.
Incapace di accostarsi a lei senza desiderare di fermarsi, Johannes decise di congedarsi con un semplice cenno del capo.
Qualunque parola sarebbe stata inutile. Troppo poco. E comunque troppo. Bisognava solo andarsene e farlo in fretta.
 
***
 
Il passo svelto, il cappuccio calato sul capo, le mani nascoste nelle ampie maniche del saio, Justus e Johannes si lasciarono alle spalle l’edificio della foresteria. A testa bassa, attenti a non destare la curiosità dei monaci più mattinieri, fratelli tra i fratelli, percorsero in silenzio i lunghi corridoi immersi nella penombra rosea del mattino.
Quale protetto del vescovo, Justus godeva nel monastero come in città di una totale libertà di movimento e di azione, seppure nel rispetto della “regola” che aveva scelto di abbracciare e questo gli diede la certezza di un colpevole vantaggio sulla comunità che stava vivendo il proprio sonnolento risveglio.
Il chierico precedeva Johannes, imponendogli il ritmo e il rispetto del silenzio che macerava tra loro.
L’imbarazzo era palpabile. Johannes se ne rendeva conto. Concreto come l’umidità che trasudava dalle pietre e penetrava le ossa. Greve come il lamentoso salmodiare dei primi cantori del mattino.
«Fino a che punto hai intenzione di ignorarmi?» si lamentò approfittando di una svolta  e affiancando finalmente il giovane monaco, protendendosi verso di lui.
Per tutta risposta, Justus lo trapassò con uno sguardo che non ammetteva repliche né interpretazioni.
Johannes represse un istintivo moto di stizza e tacque.
Tacque, rispettando ancora una volta il suo silenzio.
Fino alle scuderie.
Qui, si liberò della tonaca e approfittando dell’atmosfera ovattata delle stalle, tra gli sbuffi caldi dei cavalli a riposo e il sapore aspro del fieno, decise che era arrivato il momento di parlare.
Avvicinandosi a Shatten, rivolse uno sguardo interrogativo al chierico intento a controllare sella e finimenti.
«Justus…»  esordì.
L’altro serrò inaspettatamente la mascella e Johannes allungò una mano per sfiorarne la spalla e tentare di aprirsi un varco nell’ostinato muro di silenzio dietro il quale l’amico si era trincerato.
Justus lo scansò.
«Vattene» disse, senza sollevare lo sguardo da terra. Certo che se lo avesse fatto, in quel preciso momento, non avrebbe saputo giustificare le ombre che lo attraversavano.
Incurante di quell’intimazione, ma soprattutto inconsapevole dei demoni che si prendevano beffe dell’amico, Johannes mosse un passo avanti, nella sua direzione.
«Ho bisogno di parlarti» disse.
Le belle labbra di Justus presero, allora, una piega amara e vagamente cinica.
«Potevi pensarci prima…» rispose, socchiudendo gli occhi turchesi, e tuttavia senza guardarlo, come se il pagliericcio sparpagliato sul pavimento della stalla fosse più interessante del volto adombrato dell’amico.  «Ci sarebbero state molte cose da dire. Prima» precisò. «Ma hai deciso di agire. Di fare di testa tua. Come sempre, del resto. Senza riflettere» lo accusò, sollevando lo sguardo e guardandolo improvvisamente negli occhi.
Johannes trasalì. Spiazzato.
Un rimprovero. Uno dei tanti.  Ci era abituato.
Ma quella mattina, quel rimprovero, quelle parole e soprattutto quegli occhi turchesi, offuscati da un sentimento indecifrabile, forse rancore, lo ferirono come non avevano mai fatto prima.
«Non era questo il modo, Johannes… »
Gli occhi di Justus tornarono a lambire il pavimento e il suo tono, fino ad allora alterato, si fece più  sommesso. Quasi un sussurro.
Johannes serrò la mascella, si irrigidì e furono le sue labbra, allora, a piegarsi in un sorriso sprezzante.
«Dimmi, chierico… » ringhiò.  «Esiste davvero un modo giusto e uno sbagliato di prendere e dare amore?» lo sfidò.
Amore!
Justus riportò repentinamente lo sguardo in quello torvo dell’armigero. Ma non fece in tempo a cogliere il significato profondo di quelle parole, ché Johannes continuò:
«L’ho desiderata e l’ho respinta» disse, passando il dorso di una mano sul muso caldo di Shatten, gli occhi rivolti all’animale e alla sua morbida criniera ondulata. «Ma non c’è stata punizione o penitenza che me l’abbia tolta dalla mente… Lo capisci questo?» rise afferrando e stringendo le briglie con una mano. Poi si rilassò. Lasciò cadere i finimenti. Socchiuse le palpebre e accentuò il sorriso, passandosi il palmo della una mano sulla mascella. «Non poteva essere sua… » decretò. «Non lei… ».
Ammutolì. Gli occhi ancora rivolti lontano da quelli turchesi di Justus che ora lo fissavano inquieti. Desiderosi di sapere.
«Ho espiato le mie colpe, Justus» disse rompendo improvvisamente il silenzio. «Su quel campo di battaglia, ho salvato la sua vita e mi sono ripreso la mia» ringhiò. «Mi sono preso lei…» affermò addolcendo improvvisamente il tono della voce. E altrettanto improvvisamente, come aveva rotto il silenzio, intercettò lo sguardo del chierico «Niente che lei non volesse» chiarì, prima che un imbarazzato silenzio si frapponesse ancora tra loro.
I due giovani uomini sostennero tacitamente i rispettivi sguardi così come le rispettive posizioni. Testardamente.
«L’hai compromessa… » mormorò Justus, con voce tremula. «Te ne rendi conto?» lo incalzò, severo.
Se anche poteva credere alle parole e ai sentimenti dell’amico, il chierico non poteva evitare di metterlo di fronte a una realtà che sarebbe stata presto pericolosa per entrambi. Per lui, l’altero capitano della Guardia cittadina e per lei, la pupilla del vescovo, promessa sposa a un giovane blasonato, un ottimo partito.
«No» fu la risposta. «Non se diventasse mia moglie»
Justus non riuscì a definire e a dare un nome alla sensazione che provò in quel preciso momento. Sollievo e rispetto? Timore? Invidia o forsanche gelosia?
«Parlerò con il vescovo» continuò Johannes, imperterrito. «Si è dimostrato generoso con me. Capirà e non mi negherà il suo appoggio»
Justus dissimulò un fremito leggero che lo percorse dalla testa ai piedi. Inspirò profondamente, nel tentativo di acquietare lo spirito.
«E quali argomenti porterai a sostegno della tua richiesta? » domandò infine, sarcastico. «Cosa gli dirai? » continuò «Che vi siete scoperti innamorati, inaspettatamente? » avvertì un’ombra passare nello sguardo di Johannes. «Che avete tradito la sua fiducia, lasciandovi travolgere dalla passione tra le mura del monastero, in una notte di pioggia? » Deglutì e si umettò le labbra secche. «Stai molto attento alle parole che userai, Johannes… » concluse.
Johannes distolse lo sguardo. Afferrò le redini e condusse lentamente il cavallo fuori dalle scuderie. Montò in sella. Poi tornò con lo sguardo sull’amico.
«Va’ da lei» lo pregò, cercando ancora una volta i suoi occhi e indirizzando poi Shatten verso la porta del monastero che avevano varcato solo qualche ora prima.  
Justus annuì, stanco. La notte insonne cominciava a pesare.
Evitò di trattenerlo. Evitò di fargli domande. Erano tante le risposte che avrebbe voluto avere e sentire. Ma non era quello il momento. Spossato dalle emozioni e dai sentimenti confusi e negativi provati in quelle ultime ore decise di ritirarsi e pregare, non prima di aver assolto, per l’ennesima volta, ai suoi doveri di fratello e di amico.
 
***
 
Johannes inspirò avidamente l’odore di casa. La luce che filtrava attraverso i battenti socchiusi della stanza, al secondo piano della costruzione militare, rivelò ai suoi occhi insaziabili profili e sagome familiari.  Solo, con il peso di una colpa che stentava ora a non definire la più dolce delle gioie, sedeva sul bordo del letto. il volto affondato tra le mani. I pensieri tornavano sempre a lei, Maddalena Aicardo. Si alzò e lentamente iniziò a spogliarsi, assaporando ad ogni movimento l’odore di lei. Di quella giovane donna capace di strappargli gemiti e involontari sorrisi. Quell’odore lo avvolgeva,  lo rivestiva come un’eccitante carezza. Lo sentiva addosso, sulla pelle, sulle vesti. Impossibile non avvertirne l’aroma dolciastro. E inaspettatamente si chiese se anche per lei fosse lo stesso. Se nella stanza, sul quel letto, su quello splendido corpo fosse rimasta traccia del suo odore, la sua fragranza maschia e aspra. Avvertì il sangue scorrergli più veloce nelle vene, i polsi dolere. Desiderio! Pensò.
Si schiarì istintivamente la gola. Ricacciò indietro un ruggito, un gorgoglio animalesco. Nessuno avrebbe dovuto sospettare… tantomeno il vescovo o Erasmus.
Afferrò un panno pulito e lo immerse decisamente nell’acqua calda del bacile che lambì, avida, la sua mano. Lo strizzò con forza, percependo rivoli d’acqua tiepida percorrere e perdersi nella parte interna dell’avanbraccio. Lo passò energicamente sulle braccia, detergendo muscoli e tendini. Lo passò sul petto, sul ventre piatto, sui fianchi e la schiena… godendo di quella ruvida carezza  fino a piegare inaspettatamente le labbra in una smorfia di dolore. Allentò la pressione e passò delicatamente sulla ferita ancora fresca della quale, per un attimo, si era dimenticato o voluto dimenticare.
 
Sfiorò con le dita la pelle lesionata, subito sotto la spalla destra, e con la mente tornò all’alba di qualche settimana prima, al giovane marchese e alla sua espressione esterrefatta di fronte al nemico e all’agguato che gli era stato teso.
Ricordò il rumore, i suoni, il sapore ferroso del sangue… Le urla concitate degli ufficiali e quel manipolo di soldati votati alla morte. Sentì la carne lacerarsi di nuovo, sotto la spalla, e la sua stessa voce ordinare a Edelbert di muoversi, di seguirlo, di restare al suo fianco, mentre la mano destra irrorata di sangue afferrava le redini del cavallo, riottoso, e lo trascinava lontano.  Ordini dettati con rabbia e determinazione. Il tentativo di riscuotere dal torpore un uomo debole, altrimenti destinato a soccombere.
E vide la sua gratitudine. Gratitudine e ammirazione fondersi in quegli occhi celesti, troppo acquosi per essere gradevoli. Una gratitudine inaspettata,  la redenzione. L’espiazione di tutte le colpe. Dimenticate, mondate. Era libero.
Un paio di giorni più tardi, il marchese aveva scritto la lettera in risposta alle richieste di Lena e lo aveva congedato, esprimendo il desiderio che fosse lui stesso a consegnare la missiva non appena si fosse rimesso in forze…
Johannes appoggiò le mani al bacile. Osservò il pelo dell’acqua ormai tiepida poi vi affondò il volto fino alle tempie. Sulle labbra una piega amara, quasi sarcastica.
 
***
 
Konstantin Winkel ripiegò accuratamente la lettera che teneva in mano. Si sollevò dallo scranno, fece un cenno a Erasmus perché rimanesse alla sua postazione e si portò alla finestra che dava sulla cattedrale.
«Il giovane Edelbert è rimasto molto colpito dal tuo coraggio» commentò, rivolto a Johannes, ora in piedi alle sue spalle. «Tanto, da chiedermi di rinunciare a te»  proseguì lentamente.
Johannes, che per la prima volta veniva messo al corrente del contenuto di quella seconda missiva, sollevò le sopracciglia. «Desidera averti ancora al suo fianco» riprese il vescovo «Al suo servizio, per la precisione… » concluse restando immobile, le mani serrate dietro la schiena eretta, gli occhi immersi nell’orizzonte sereno di quella mattina di fine estate. Riflettendo su parole che gli avrebbero semplicemente strappato un sorriso di mera soddisfazione, in un altro momento.
«Concedetemi la mano di madonna Lena, eminenza» ribadì il capitano «e disponete di me come meglio credete».
Erasmus, seduto alla scrivania ingombra di carte, si afferrò all’abito talare, mordendosi istintivamente il labbro inferiore, indignato per l’insolenza del capitano, irritato dall’espressione serafica del vescovo che, ancora, non tradiva la benché minima reazione.   
Konstantin Winkel, infatti,  aveva ascoltato attentamente il suo pupillo esporre la propria richiesta e chiedere la sua intercessione.
Non aveva risposto. Preferendo leggere, prima di esprimersi, quel che il marchese aveva voluto comunicargli in quella manciata di righe che altro non era se non un elogio a Johannes e al suo ardore.
« La determinazione non ti ha mai fatto difetto» commentò finalmente, stringendo la morsa delle mani dietro la schiena e voltando il capo quel tanto che bastava a scorgere l’armigero con la coda dell’occhio.
Johannes non si scompose.
«La nostra Lena è al corrente delle tue intenzioni?» domandò Konstantin con tono pacato, riportando lo sguardo oltre la finestra.
«No» rispose Johannes. E in effetti non mentiva. Non aveva più visto Maddalena Aicardo dalle prime luci dell’alba, quando l’urgenza della fuga lo aveva sottratto al più dolce dei risvegli.
«E cosa ti garantisce che ricambierà il tuo… entusiasmo? » s’informò ancora il vescovo.
Johannes inspirò profondamente, leggendo in quella nota di sarcasmo una risposta positiva alla propria richiesta.
«Sarò il più devoto dei mariti» disse, chinando leggermente il capo. «Ve lo garantisco».
Konstantin sorrise.
«Non nutro alcun dubbio, in merito alla sincerità dei tuoi propositi…» commentò. « Le tue qualità non sono messe in discussione», concluse voltandosi finalmente e cercando i suoi occhi, carichi di una fierezza senza paragone. Aveva sempre ammirato le virtù di quel ragazzo, fin da quando era solo un bambino. Una creatura sfortunata che aveva inaspettatamente trovato, in lui, il suo benefattore.
«Concedimi qualche giorno per ragionare e sistemare le cose» disse carezzandolo con uno sguardo indecifrabile. «Fino ad allora, non far parola di questa conversazione con nessuno… » pregò. «La questione è molto delicata. Ma credo che tu lo capisca» concluse.
Johannes annuì, cercò la mano dell’uomo e sfiorò con le labbra l’anello episcopale.
Il vescovo tornò a sedersi.
«Il marchese preannuncia il suo imminente ritorno a Rosenburg…» riprese, massaggiandosi il mento. «E’ quindi necessario che ti allontani dalla città»
Johannes represse a stento un sussulto.
«Porterai mie notizie a un caro amico, nei territori a nord della contea… » continuò Konstantin Winkel, ignorando volutamente la sua espressione contrita. «Erasmus ti consegnerà la mia lettera, e tutto quanto ti sarà necessario per il viaggio, questa sera stessa», allacciò le dita sotto al mento «Per quando sarai di ritorno, tutto sarà sistemato» decretò, dichiarando chiusa la conversazione.  
Il capitano inspirò profondamente. Si prostrò in un cenno di commiato e lasciò la stanza senza aggiungere una parola.
Kostantin Winkel fissò la porta a lungo, trincerandosi dietro un silenzio inespugnabile. Alle sue spalle, Erasmus fremeva di una rabbia sorda e repressa, intenzionato a scaricare l’intera frustrazione su Hanna, pedina inutile, colpevole ai suoi occhi di non essere stata in grado di soddisfare le sue richieste. Detestava l’arroganza di Johannes e la sua maledetta perfezione capace di confonderlo lasciandolo inerme e sciocco al suo cospetto.
«Vescovo Winkel…» mormorò cercando conforto nell’ecclesiastico.
Per tutta risposta, l’uomo sollevò la mano destra, imponendogli il silenzio.
«Fa’ quello che ho detto» disse perentorio «Johannes deve lasciare la città»  continuò senza voltarsi. «Riguardo a Maddalena Aicardo, non è il caso che resti al monastero un giorno di più» ordinò, osservando poi un attimo di silenzio.
Facendo leva sui braccioli, lasciò nuovamente lo scranno e tornò alla finestra.
«E’ arrivato il momento di chiamare il bastardo boemo» sibilò senza aggiungere altro o degnare il segretario di una qualche, ulteriore spiegazione. Considerando quindi chiuso l’argomento.  
Erasmus, gli occhi fissi su quell’imponente figura ecclesiastica, sussultò. Poi, un sorriso affiorò sulle sue labbra sottili, mitigando in parte la collera che  Johannes aveva fatto montare. 


-------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
Omaggino! 
A dire il vero, quest'immagine, la prima che ritrae i protagonisti di questa storia in stile "manga", è nata a seguito del capitolo precedente. Alcuni di voi l'hanno già vista pubblicata in altra sede... La riporto anche qui, per completezza, e spero che vi piaccia! In fondo, se avete voglia di leggerlo, il solito (ma questa volte più "pesante") angolino dell'autrice... 


Image and video hosting by TinyPic
IL CONFESSIONALE (ovvero, l'angolo dell'autrice):
Eccoci finalmente a noi, con l'inizio di questa seconda parte che riprende i fili interrotti dalla passione che ha caratterizzato il capitolo precedente... Cosa dire a discolpa di questo mio ritardo? La verità, come suggerirebbe Justus. E quindi eccola:  era necessario un mio coinvolgimento emotivo, perché potessi scrivere questo capitolo. Avevo la necessità di calarmi nuovamente in quel del "Medioevo" e di "sentire" fortemente i personaggi e il loro modo di essere, uno dopo l'altro... Gli impegni serrati di queste ultime settimane, purtroppo, me lo hanno impedito. E fino a quando la “magia” non si è compiuta, non ho potuto scrivere ed esprimermi al meglio. Era necessario che fossi lì, con Johannes e poi con Justus, che ne avvertissi i pensieri, le emozioni. lo struggersi e il lacerarsi  dell’anima. Esagerata, direte voi... E in effetti a volte mi sento in "odor di neuro". Poi incrocio lo sguardo con Johannes e capisco che per me è proprio così! Deliri a parte, credo che alcune delle vostre domande abbiano trovato risposta nelle elucubrazione del "giorno dopo"... non esattamente il più classico, forse, non quello che Lena si sarebbe forse aspettata... E voi? Cosa vi sareste aspettati da questo capitolo? E dai personaggi tutti?

Attendo, come sempre ansiosa, il vostro graditissimo riscontro e le vostre domande! 

A presto,
Sabrina  



 

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Soliloquio ***


Capitolo 14 – Soliloquio
 
 
 

Maddalena Aicardo si portò una mano alle labbra. Le sfiorò delicatamente con le dita, seguendone il profilo, quasi giocando con la loro morbida consistenza, suggendole poi lentamente, appagata dal sapore di Johannes del quale ancora erano intrise.
Socchiuse le palpebre sugli occhi stanchi. Arrossati e lividi.  
La precipitosa partenza del capitano, alle prime luci dell’alba, l’aveva come svuotata. Esattamente come era successo il mattino precedente, quando l’urgenza della fuga lo aveva strappato via da quel letto caldo, e da lei. Sorpresa e disorientata ma pronta a vivere nuovamente  quel timore tramutatosi in mero desiderio. Egoista, pretenziosa, arrogante. E al tempo stesso capace di cedere e di plasmarsi, docile, come non era mai stata prima.
Cosa restava, ora, in quella stanza, spoglia e disadorna? Un corpo vuoto, un involucro inutile e fragile. Anima e cuore avevano lasciato Rosenburg insieme a Johannes.
L’incontro frettoloso di quella mattina, nel silenzio umido delle stalle, lontano da occhi e da orecchie indiscrete, le aveva portato conferme e strappato l’ultimo barlume di razionalità.
Il capitano le aveva spiegato brevemente ogni cosa, mozzandole il fiato, contravvenendo per la prima volta agli ordini del vescovo e alla sua richiesta di massimo riserbo, votato al rispetto di colei che sarebbe presto diventata sua sposa. La cui serenità e incolumità erano diventate improvvisamente le sue massime priorità a discapito di qualunque altro aspetto.  Lo aveva confidato a lei, così come a Justus, ancora una volta complice della loro follia.
Si irrigidì.
Fratello Justus… pensò. Pallido e teso come non lo aveva mai visto. Gli occhi rivolti a terra. Taciturno e schivo.
Dalla notte precedente, la sua amichevole gentilezza si era tramutata in dovuta e affettata cortesia. I suoi occhi turchesi, schietti e pronti a cogliere ogni sguardo, ogni cenno, ogni tremito non si erano mai più rivolti direttamente a lei.
Sospirò, provando una profonda amarezza, temendo il giudizio troppo severo di quel giovane chierico biondo che in quelle lunghe settimane aveva imparato non solo a conoscere ma anche ad amare.
Amare… sussultò.
Si morse il labbro inferiore, a guisa di una dolorosa punizione, aggrappandosi alle gonne e  abbassando repentinamente il capo sul petto come se avesse azzardato troppo, rivolto a Justus un pensiero di troppo. Un amore casto, certo, ma pur sempre un sentimento troppo terreno se dedicato ad un uomo di chiesa…
 
 
***
 
Justus inspirò profondamente.
Nei suoi occhi turchesi, la luce tremula delle candele sembrava riflettersi instabile come i suoi più oscuri pensieri.
Serrò le palpebre, nel tentativo puerile di confondersi con le lamentose litanie delle lodi mattutine. Fondersi con la ruvida pietra della cappella, immobile e sereno come le statue dei Santi che la custodivano proiettando le loro ombre adoranti verso l’immagine della Vergine Maria. Dimenticare il suo essere uomo e mortale. Il sangue… la carne… il dolore…
Lieve, il calore delle fiamme si profuse sulle sue guance confondendosi con il suo avvampare.
Risollevò a mezzo le palpebre, sfiorando con lo sguardo le pietre levigate e scure dell’impiantito. Le labbra serrate in una smorfia di rimprovero. I muscoli tesi. Deglutì.
Per chi fosse quel rimprovero era la sua unica certezza.
Snocciolò il rosario, con dita rapide ed esperte, e le sue labbra profane si schiusero nella preghiera.
In silenzio, mormorando parole sacre e consolatorie, si batté il petto. E nella solennità di quella cappella, accettò la colpa. La propria colpa…
 
***
 
Il legno marcio delle scale scricchiolò al suo passaggio.
Sinistra proiezione dell’oscurità che ancora avvolgeva il piano superiore, senza una parola, Ludwig lanciò sul bancone la somma dovuta per l’ospitalità e si diresse alla porta.
Il locandiere afferrò la scarsella, senza fretta, e la infilò nell’ampia tasca del grembiule senza nemmeno darsi la pena di contare il danaro. E quando il boemo ebbe varcato la soglia, chiudendosi la pesante anta di legno alle spalle, trasse un profondo sospiro di sollievo.
Come ogni volta.
Sui trent’anni, più alto della media e prestante, i capelli biondo cenere lunghi sul collo e scarmigliati tanto da far intravvedere a stento gli occhi celesti, il cavaliere boemo incuteva timore. E se non fosse bastato il suo sguardo, a gelare il sangue nelle vene, la lunga cicatrice sotto l’occhio sinistro avrebbe fatto il resto.
Se ne andava, per ora. Chissà se sarebbe tornato, si domandò l’oste.
Fuori albeggiava.
Le mascelle serrate in un’espressione dura e indecifrabile, Ludwig montò in sella. Trattenne la cavalcatura, poi si piegò in avanti, sussurrando qualche parola al suo orecchio e la spronò in direzione di Rosenburg.
Una manciata di ore lo divideva dalla sua destinazione. Avrebbe varcato le porte della città molto prima della Terza.
Allungò le labbra in un sorriso di scherno. Fratello Erasmus sarebbe stato contento, pensò, rievocando la breve conversazione del giorno precedente, divertito dall’imbarazzo e dal timore che il frate cercava inutilmente di dissimulare in sua presenza. Vile e ipocrita, lo disprezzò.
Disprezzò l’intera categoria alla quale apparteneva. Poi lasciò che Erasmus e la sua vigliaccheria gli scivolassero via di dosso, come granelli di polvere, disinteressato alla motivazione di quella convocazione come di quelle  precedenti.
Non gli importava lo scopo della chiamata, ma il fine ultimo della sua risposta. Solo quello…
 
***
 
Konstantin Winkel sollevò il mento spingendo lo sguardo verso l’orizzonte. La luce livida dell’alba restituiva agli occhi degli uomini il confine tra cielo e terra, tra umano e sovrumano.
Immobile, di fronte alla finestra della camera da letto, le spalle dritte, le braccia allacciate dietro la schiena, il vescovo inspirava profondamente l’aria fresca del mattino.
«Alea iacta est» mormorò senza tradire la minima emozione. Il dado è tratto… ripeté tacitamente, piegando un solo angolo delle labbra in quello che sarebbe potuto sembrare un sorriso ma che nessuno avrebbe potuto giurare lo fosse davvero, nemmeno Erasmus.
Una piccola ruga profonda si incise tra le sopracciglia. Un pensiero molesto. Più degli altri. Ludwig… 
Seccato, Konstantin volse bruscamente le spalle alla finestra e attraversò la stanza, accompagnato dal fruscio del pesante strascico di stoffa della vestaglia. Raggiunto un piccolo tavolo rotondo, afferrò la lettera che vi aveva riposto, scorse con un’ultima, rapida occhiata l’elegante scrittura di Edelbert, poi avvicinò un angolo della lettera alla fiamma gaudente di una candela e attese…
 
***
 
Incapace di trattenersi oltre, Johannes lanciò definitivamente Shatten al galoppo, deciso ad allontanarsi il più in fretta possibile. Da Rosenburg, da Maddalena Aicardo, da Justus e dall’uomo che vi avrebbe presto fatto ritorno, Edelbert…
Respirava a pieni polmoni, le labbra serrate, gli occhi rivolti a nord, alla sua destinazione, consapevole che, in quel momento, una qualunque esitazione lo avrebbe riportato dritto tra le braccia di Lena, nel suo letto, tra le spire voluttuose dei suoi lunghi capelli castani, arso dai suoi occhi nocciola, avido affamato delle sue labbra morbide e sensuali…
Si sentì sciocco, come un ragazzino. Si incupì.
Si aggrappò alle redini, piegandosi in avanti, facendosi un tutt’uno con il frisone.
Cancellò ogni pensiero, ogni dolorosa pulsazione, offrendosi a viso scoperto al vento freddo del mattino così come si era rimesso al vescovo. Provò una profonda gratitudine e questo pensiero gli permise di proseguire, ignorando la tentazione di tornare indietro e di riprendersi prepotentemente la propria vita...



-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
 
IL CONFESSIONALE (ovvero, l'angolo dell'autrice):

Cosa posso dire, se non che il BELLO della scrittura è di scoprire ogni volta emozioni nuove? Ebbene sì, credo di essermi INNAMORATA per la seconda volta da quando ho iniziato la stesura di MISERERE! Di chi? Di cosa? Non vi dico nulla di più... ma leggerò volentieri le vostre ipotesi e supposizioni...
Per il resto... capitolo piuttosto corto e un po' anomalo, forse, nella sua composizione... Ma, anche questo, necessario per "oliare gli ingranaggi".

Per chi se lo domandasse, la TERZA (orario d'arrivo previsto da Ludwig a Rosenburg) corrispondeva alle 9 del mattino circa; Justus vorrebbe fondersi con le LODI MATTUTINE, e quindi siamo sempre a ridosso dell'alba; e la frase in latino pronunciata dal vescovo è proprio quella indicata qualche parola dopo: IL DATO E' TRATTO... che poi sembra non essere la traduzione effettiva della famosa frase pronunciata da Cesare. Si vocifera fosse: IL DADO è STATO LANCIATO (ipotesi più idonea al significato che le viene dato). 

Basta, non vi tedio oltre, mi crogiolo nel mio "amore" e aspetto di sentire, se vorrete, la vostra VOCE! Intanto, vi ringrazio e vi saluto tutti con affetto (recensori e silenti). 
Al prossimo aggiornamento!
Sabrina 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Ombre ***


Capitolo 15 – Ombre
 
 
 
«La vostra decisione mi ha colto di sorpresa» ammise Edelbert, paonazzo.
Konstantin Winkel allargò i gomiti sui braccioli, allacciò le mani sotto al mento e fissò il giovane che gli sedeva di fronte.
«Di sorpresa… ma non impreparato» sorrise, allusivo.
Il marchese distolse lo sguardo, imbarazzato, arrossendo fino alla punta delle orecchie.
«No, certo… » balbettò «Sono pronto a prendere in moglie madonna Lena domani come oggi stesso, se lo credeste opportuno» replicò gonfiando il petto ma ottenendo solo di apparire, agli occhi dell’ecclesiastico, ancora più esile di quello che era.
L’uomo sollevò impercettibilmente un sopracciglio. La differenza tra Johannes e il pallido marchese non poteva essere più evidente e marcata, sospirò. Un solco incolmabile.
Dissimulando il proprio disgusto per quella diafana figura imbelle, piegò le labbra in un sorriso d’intesa.
«Comprenderete il mio sollievo nel sapere che la mia pupilla lascerà Rosenburg con tutti gli onori e le attenzioni tributate alla vostra signora sposa, piuttosto che a una fanciulla solo promessa…» sorrise pacato e accattivante.
Prima di rispondere, Edelbert tentò di nascondere la propria eccitazione, ma il tono aspro della sua voce lo tradì inequivocabilmente.
«Siete un padrino attento e generoso, eccellenza…» disse, schiarendosi la gola. «Non sarò certo io a contraddirvi» concluse,  giocando con il bordo dorato della manica. Poi, sollevò lo sguardo sul vescovo «Immagino che madonna Lena sia emozionata quanto me», sperò.
Il vescovo accentuò il proprio sorriso.
«Madonna Lena verrà a conoscenza del vostro proposito solo questa sera a cena…» rispose sornione e complice. «Non c’era motivo di coinvolgerla e allertarla senza aver prima ottenuto il vostro consenso» continuò alzandosi improvvisamente dallo scranno ed ergendosi in tutta la propria, imponente figura.
Edelbert se ne sentì sovrastato. Fagocitato. Una sensazione sgradevole, mitigata dall’ammirazione per un uomo tanto carismatico e potente.
Il vescovo Winkel lesse quell’arrendevole complicità negli occhi del marchese e se ne compiacque.
«Officerò io stesso la cerimonia» disse stringendo gli occhi e puntando lo sguardo in quello vacuo del giovane. «Spero di farvi cosa gradita» si schermì, simulano una modestia che non gli apparteneva.
Edelbert si sciolse in un sorriso fanciullesco, imbarazzato ma contento.
«Sarà un onore, eccellenza!» balbettò confuso e grato per quella nuova e generosa offerta.
Il vescovo strinse le mani dietro la schiena.
«Ora andate» lo congedò, «Avrete certamente necessità di restare solo con i vostri pensieri e di prepararvi all’incontro di questa sera» e senza più degnarlo di uno sguardo,  richiamò Erasmus, immobile alla scrivania fino a quel momento, lasciando intendere al marchese di avere altre questioni urgenti di cui doversi occupare.
Ancora visibilmente emozionato, Edelbert annuì. Accennò un inchino e lasciò la stanza.
«Ora puoi tornare a respirare, Erasmus » commentò il vescovo appena furono da soli. «E’ bastato anticipare i tempi e prendere qualche precauzione in più» concluse. 
Erasmus si frizionò lentamente le mani, sempre troppo fredde, che teneva allacciate in grembo.
«Non ho mai dubitato, eccellenza» chiosò, abbassando lo sguardo.
Il vescovo lo fulminò con un’occhiata. Una stilettata di rabbia e sprezzante ironia.
«Frivolo e infingardo come una donna! » sibilò. Poi, sollevati con un gesto secco i lembi del lungo e ricco abito talare,  si portò alla finestra. Rise, di una risata cattiva. «Ma se fossi diverso, caro il mio segretario, non saprei che farmene di te» concluse.
Le labbra di Erasmus si concessero un sorriso mentre un brivido gli attraversò la schiena a tradimento. Per quanto lo conoscesse e conoscesse le sue mire, non poteva dirsi certo delle effettive intenzioni del vescovo. Meglio non abbassare la guardia…
 
***
 
La luce tremula delle candele arabescava le pareti della stanza là dove erano spoglie, disegnando giochi di ombre fin sui grandi arazzi raffiguranti scene di caccia e libagione.
Konstantin Winkel attese che i bicchieri dei suoi commensali fossero pieni poi, sollevando per primo il calice, li invitò a brindare.
«Domani a quest’ora, avrò il piacere di avere alla mia tavola il marchese e la marchesa di Thurinja…» esplicitò, compiaciuto dall’effetto che le sue parole sortirono sugli ospiti.
Seduto alla sua sinistra, Justus represse un sussulto.
Mordendosi le labbra, che si erano istintivamente schiuse per parlare, il giovane lanciò uno sguardo dall’altra parte del tavolo, agganciando gli occhi nocciola di Lena e il tremito della sua mano.  
Al fianco della promessa sposa, Edelbert si sciolse in un timido sorriso, rivolgendole un’occhiata audace e nel contempo impacciata.
 «Il vostro padrino ha molto a cuore la vostra sicurezza e la vostra felicità» mormorò azzardando di avvicinarsi al suo orecchio e sfiorandole la mano libera con delicatezza. «Crede sia meglio per noi tutti che le nozze abbiano luogo domani stesso, così che affrontiate il viaggio verso la vostra nuova dimora come mia moglie… » si soffermò assaporando il suono di quella parola, poi proseguì: «E possiate godere di un ruolo di maggior prestigio e sicurezza», si fermò ancora cercando i suoi occhi. «Domani, al battere della Sesta*, sarete la mia signora…».
Maddalena Aicardo sentì il cuore fermarsi in quel preciso momento. Le labbra dischiuse, incapace di emettere un qualunque suono, Lena si sentì avvampare. Il cuore batteva all’impazzata. In petto, nei polsi, nelle tempie. Faceva male. Annebbiava la vista e  anche i pensieri. E mentre lo stomaco si torceva al tocco di quella mano fredda e molle, d’un tratto comprese che non c’erano dubbi. Che le parole del vescovo non avevano altra interpretazione che quella.
«Spero tu sia contenta » suggerì l’ecclesiastico, apprezzando il retrogusto che il vino rosso e speziato gli aveva lasciato in bocca.
Lena sollevò il mento, inspirando profondamente e umettandosi le labbra secche.
«Sono… sorpresa» rispose, sostenendo lo sguardo indecifrabile dell’uomo.  
Justus aggrottò le sopracciglia, in attesa. Gli occhi turchesi, mai così grandi, fissi sulla ragazza.
«Piacevolmente… sorpresa?» azzardò Edelbert, prendendo coraggio.
Lena represse a stento un fremito e istintivamente ritrasse la mano, liberandosi di quella pallida e melliflua del marchese. Socchiuse le palpebre perché non si percepisse il suo disgusto e il suo profondo disagio.
«Decisamente… sorpresa» asserì.
Konstantin Winkel scoppiò in una sonora e compiaciuta risata.
«Frenate i vostri ardori, mio giovane marchese» blandì. Poi, rivolto alla ragazza «Domattina avrete tutto il tempo di prepararvi alla cerimonia che io stesso officerò» mormorò velatamente minaccioso. «Ora finiamo di cenare».
«Vorrei il permesso di tornare al monastero con fratello Justus…» ribatté lei, velando nuovamente lo sguardo con le ciglia scure, volutamente pudica. «Comprenderete la mia necessità di confrontarmi con la mia guida spirituale…» mormorò cercando di gestire il panico.
Il vescovo appoggiò rumorosamente il calice sul tavolo.
«Non sarà necessario» le sorrise. «Fratello Justus può sicuramente trattenersi con noi fino alla cerimonia di domani» suggerì sogguardando il chierico.
Un velo di silenzio calò sugli astanti. Gli occhi di tutti rivolti al giovane monaco. Quelli del vescovo, in paziente attesa; quelli del marchese, fiducioso; quelli di Erasmus, divertiti e scaltri. E infine, quelli di Maddalena Aicardo capaci di scavargli l’anima.
«Sicuramente» confermò questi, abbozzando un sorriso. «Lasciate solo che avvisi il mio padre superiore e mi procuri quanto mi è necessario»
«E sia» sorrise il vescovo, conciliante. «Intanto, darò disposizioni perché al tuo ritorno sia pronta una stanza»
Justus annuì, umile e ossequioso. E a capo chino, attraverso le ciglia bionde, immagine netta tra le ombre, colse il volto teso di madonna Lena e il suo tremito.
 
***
 
«Quanta fretta!» sorrise Ludwig emergendo dall’ombra e sollevando il volto, sotto al cappuccio. Abbastanza perché l’altro lo riconoscesse.  
Fratello Erasmus ebbe un sussulto, fermandosi improvvisamente là dove il lungo corridoio si apriva in un gioco di nicchie e di anfratti. Svelto, riprese il controllo e la candela che portava in mano prima che cadesse sul pavimento di pietra.
Nonostante il battito accelerato del cuore e l’evidente tremito delle labbra, indirizzò all’intruso uno sguardo affilato.  
«Vi ho detto e ripetuto che non dovete farvi vedere a palazzo» sibilò adirato.
Per tutta risposta, il boemo soffiò provocatorio sulla fiamma, spegnendola, poi rise sommessamente. La lunga cicatrice messa in risalto dall’arabesco di luci e di ombre che le torce, disposte lungo le pareti, allungavano sul suo volto affilato e pericolosamente attraente.
«Non preoccuparti, frate. Non per me… » mormorò, enigmatico.
Erasmus si ritrasse istintivamente, pronto ad allontanarsi, innervosito da quell’inquietante presenza. Ma l’altro non aveva alcuna intenzione di lasciarlo andare. Non ancora. Non subito…
Sembrava divertirsi. Come un gatto si diverte con un topo.
«Immagino i motivi del vescovo… » disse infatti il boemo «Ma non i tuoi, frate. Cosa ci guadagni, tu, in questo affare…» lo provocò, senza permettergli di distogliere lo sguardo. Come ipnotizzandolo.
Erasmus avvertì la gola farsi secca e la testa dolere. Gli occhi celesti del boemo erano trasparenti come acqua ghiacciata e nonostante la scarsa illuminazione sembravano riflettere una luce demoniaca.
Attratto da quel volto spigoloso, il frate deglutì e rispose a quell’eccitazione nel solo modo in cui poteva. Aggressivamente.
«Tu! » rise sprezzante, dimenticando ogni formalità. «A quale titolo ti permetti di pensare! Non sei pagato per pensare, o sbaglio?  »
L’altro si eresse in tutta la propria magnificenza.
«Calmati frate! » ringhiò minaccioso, un mezzo sorriso sulle labbra perfette, sempre più divertito.
«Sono il segretario…» tentò di protestare Erasmus, ma Ludwig lo precedette, interrompendolo.
«Il segretario particolare del vescovo… lo so» lo fissò in silenzio. «Spero che questo titolo ti valga qualcosa, frate, quando il tuo padrone brucerà all’Inferno!» lo apostrofò.
Erasmus avvampò. Allargò le narici, inspirando rabbiosamente, quasi annaspando, e sollevò istintivamente una mano per colpirlo.  
Ludwig lo bloccò, fermandogli il braccio a mezz’aria. Stringendogli il polso fino allo scorgere una smorfia di dolore sulle sue labbra sottili.
«Vuoi schiaffeggiarmi, frate? Madonna Lena lo farebbe con maggiore  efficacia», rise. «Vattene, frate, e fa molta attenzione. Per muoversi nell’ombra, bisogna sapersi orientare... » lo congedò sprezzante, lasciandolo andare.
Erasmus si massaggiò il polso dolente e dopo un attimo di esitazione si allontanò carico di rancore.
 
***
 
Justus affrettò il passo. L’aria fresca della sera penetrava le ossa, trapassando il saio e strappandogli piccoli brividi.
Attraversò la piazza d’armi, deserta, attento a non farsi notare da un drappello di soldati di ronda così come dalla sentinella di guardia, e scivolò nei locali del capitano senza farsi annunciare.
Heinrich Kraft sollevò lo sguardo dalle carte che stava leggendo e le sue labbra si piegarono in un sorriso beffardo.
«Toh! Chi si vede! » divertito da quell’inaspettata intrusione, l’armigero biondo si alzò dalla sedia e girò attorno al tavolo per poi appoggiarvisi e guardare Justus a braccia conserte.
«Qual buon vento ti porta da queste parti, prete? » sogghignò, stuzzicandolo come sempre  «Nostalgia del caro, vecchio Johannes? »
«Ascoltami!» esordì Justus zittendolo, «e per una volta non fare domande… »
Pallido e teso, il chierico si accorse solo in quel momento di non aver nemmeno preso in considerazione l’ipotesi che Heinrich non fosse al suo posto. Inspirando profondamente, afferrò la sua mano e gli cacciò nel palmo una lettera sigillata.
«Dai incarico al tuo uomo più veloce e fidato di raggiungere Johannes e consegnargli questo messaggio» ordinò. E di fronte all’espressione accigliata dell’uomo, aggiunse: «Adesso! Stanotte!»
Sorpreso e allarmato dalla sua determinazione, Heinrich tacque. Scrutò il volto di Justus, poi strinse la lettera in pugno e annuì senza aggiungere altro.
Il chierico rispose con un cenno del capo altrettanto eloquente. Grato al capitano di aver compreso la situazione e di aver accettato, per una volta, di mettere da parte il suo atteggiamento smargiasso. Non era il momento, quello, di perdersi in chiacchiere.
Sollevato dalla complicità dell’armigero, l’unico del quale sentiva di potersi completamente fidare, Justus lasciò la stanza così come era arrivato. Scivolando furtivo nell’ombra della sera.
Arrivato in vista del palazzo vescovile, rallentò il passo, imponendosi di controllare la respirazione affannata. Infilò le mani nelle ampie maniche della tonaca e chinò il capo, rivolgendo gli occhi a terra. La più tradizionale andatura religiosa lo aiutò a regolare il battito accelerato del cuore. Camminare, e non correre, lo aiutò a pensare.
Immerso in una serie di ragionamenti tortuosi, si avvide della figura che gli si faceva incontro solo quando se la trovò al fianco. Anch’essa in abito talare, come lui procedeva lentamente lungo la strada, ma provenendo dalla direzione opposta.
Accennò un saluto, distratto. Poi qualcosa attirò la sua attenzione. Qualcosa di insolito. Una lunga cicatrice che affiorava appena su quel volto dall’ombra creata dal cappuccio.
Si accigliò. L’altro sorrise, amabile.
«E’ bene non attardarsi in strada a quest’ora, fratello» mormorò lo sconosciuto in tono gentile. «Non è dato sapere quali insidie si nascondano nell’ombra…»
Justus annuì di rimando. Ripeté il saluto. E separandosi, entrambi ripresero a camminare…



---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
* Sesta: secondo la Liturgia delle Ore, la Sesta corrisponde circa al nostro mezzogiorno.

IL CONFESSIONALE (ossia, l'angolo dell'autrice): 

So di chiedervi sempre tanta pazienza... non solo nell'aspettarmi (anche se ogni tanto ho brillato non solo per regolarità, ma anche per rapidità, ehehehe!), ma soprattutto nell'attendere che tutti i TASSELLI vadano al loro posto! 
Questa volta, però, vi ho dato un "pezzettino" in più per comporre il "puzzle"... non dite di no!?! Cosa? Più d'uno? Mah... e quali saranno mai questi tassellucci? 
Mentre aspetto i vostri ragionamenti in merito (spesso decisamente azzeccati!), vi CONFESSO (è un "confessionale", dopotutto, no?) che a distrarmi dalla pesante ASSENZA del nostro Johannes (ma vi avevo detto che in questa seconda parte altri personaggi si sarebbero ritagliati molto più spazio...), è stato lo scontro LUDWIG / ERASMUS... Beh, anche il ritorno di Heinrich non mi ha fatto di certo male.
Insomma, come sempre finisco per parlare dei nostri "ometti", tralasciando - vi sembrerà - madonna Lena... Vi anticipo che parleremo molto di lei, nel prossimo capitolo! 

Grazie come sempre a tutti voi che mi seguite, a chi mi fa sentire regolarmente la sua voce e a chi vorrà unirsi a questo piccolo ma graditissimo coro!

A presto,
Sabrina 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Menzogne ***


Capitolo 16 – Menzogne

 
 
La piccola cappella era satura di incenso, così come di un silenzio imbarazzato e greve.
Gli occhi stanchi di Justus trovarono quelli esasperati di Maddalena Aicardo, inginocchiata compostamente di fronte a lui. Dal suo viso, dalla sua pelle, ogni calore sembrava essere scomparso, come se l’afflusso di sangue si fosse fermato ore prima. Solo il ritmico sollevarsi del seno tradiva la sua profonda agitazione.
«Il vescovo…» mormorò la ragazza a labbra asciutte. 
Lo sguardo adombrato del chierico abbandonò il profilo morbido di quel seno e scivolò giù, sino alle sue mani, strette in grembo e livide. Erano soli. Finalmente.
Come non accadeva da giorni. Dopo che, con una certa riluttanza, Hanna aveva acconsentito ad andarsene.
Dal ritorno al palazzo vescovile di madonna Lena, la presenza di quella giovane donna civettuola era risultata quasi ingombrante. Difficile da eludere. Soffocante come il profumo dolcemente amaro dell’incenso che permeava l’aria della cappella privata del vescovo.
Cogliendo il senso del suo discorso, Justus non ebbe bisogno di ascoltare altro e la precedette, continuando la frase che lei aveva appena accennato.
«E’ evidente che il vescovo ha tradito la fiducia di Johannes» commentò, facendo un cenno perché si alzasse e prendesse posto al  suo fianco.
Lena obbedì, poi sollevò improvvisamente la testa, agganciando nuovamente i suoi occhi.
«Perché illuderlo, allora?»
Ciocche di capelli scuri le danzarono sul seno per qualche istante, evidenziando la vibrazione contrariata della sua voce.
Una fitta dolorosa attraversò la testa del chierico, per scemare rapidamente in un brivido.
Justus si alzò, deciso a mettere tra loro una anche pur minima distanza. Le volse le spalle e, stringendo gli occhi, fissò un punto indistinto sulla pavimentazione consumata.  
«La determinazione di Johannes è pari alla sua lealtà…» rispose. « Konstantin Winkel ne è consapevole», continuò. «Il vostro matrimonio deve essere molto importante per lui» esitò, affrontando il pensiero successivo come avrebbe potuto affrontare una pugnalata alla schiena. «E’ stato più facile blandire e allontanare Johannes che pensare di tenergli testa… », concluse.
Deglutì, ingoiando una boccata nauseante di incenso. Boccone amaro, come la delusione che provava in quel preciso momento.
«Io… » la voce flebile di Maddalena Aicardo gli giunse all’orecchio, debole protesta.
Volgendo il capo, in modo da poterla vedere oltre la propria spalla, Justus si concesse un misero sorriso.
«Non vi illudete… Gli uomini sono corrotti e corruttibili», sostenne. «Tutti» continuò, esitando solo il tempo necessario a incrociare ancora il suo sguardo. «E gli uomini di Chiesa non fanno eccezione».
Inspirò profondamente, volgendosi infine verso di lei che sembrava elaborare le sue parole, trincerata dietro a un pericoloso silenzio.
Justus mosse un passo avanti. Ma si fermò un attimo prima di raggiungerla, godendo del riverbero che la luce delle candele accendeva su quelle labbra scolpite.
Fu Lena ad avanzare. Si portò alla sua altezza e inaspettatamente gli sfiorò il lobo di un orecchio con quelle stesse labbra.
«Me ne andrò! » disse. «Ora. Subito».
Istintivamente la mano di Justus salì a stringerle un braccio.
«Io non ho il potere di…» protestò schermendosi.
«Non vi chiedo di aiutarmi! » sussurrò lei, ancora al suo orecchio. «Solo di non tradirmi… Ma di questo ne sono certa» concluse con un sorriso. Debole e sincero come forte e intrigante risultava la sua determinazione.
Vinto da quel contatto, dalla sua conturbante vicinanza, Justus socchiuse le palpebre. Non gli era mai sembrata tanto simile a Johannes come in quel preciso momento. Audace e testarda!
Si aggrappò a quel pensiero. Intensificò la stretta della mano sul suo braccio e la allontanò da sé.
«Non fate cose di cui potreste pentirvi» suggerì guardandola negli occhi e costringendola a sedersi di nuovo. «Se anche fuggiste, cosa rivolvereste? Avreste tutti gli uomini del vescovo alle calcagna e così quelli del marchese» le ricordò, cercando di indurla alla ragione. Le mani che scivolarono su quelle gelide di lei, avvertendone e condividendone il tremito  «Vi mettereste in pericolo… E mettereste in pericolo anche Johannes».
Lena si adombrò e Justus comprese di aver colto nel segno, disprezzandosi per aver fatto consapevolmente uso del nome dell’amico per fermarla.
La ragazza sembrò irrigidirsi e il chierico non faticò a capire quanto si sentisse in trappola. Sapeva di non avere alcuna voce in capitolo.
Che le sue idee, i suoi desideri, in quanto donna e pupilla di un vescovo, non potevano in alcun modo essere ascoltati e presi in considerazione.
Ma quello che Justus poteva solo intuire era lo strazio di un cuore e di un’anima che gridavano tutta la loro disperazione.
Maddalena Aicardo serrò le labbra, mordendosi poi quello inferiore e ritrovandovi, o illudendosi di ritrovarvi, il sapore di Johannes. Dell’uomo che l’aveva avuta e amata. Che l’aveva fatta sua con un’irruenza e un desiderio che ancora la stordivano.
Poteva dimenticare tutto e asservirsi al destino e agli scopi del vescovo?
Justus osservò quella giovane donna e ne rispettò il fragoroso silenzio.  Poi sollevò il mento, preparandosi a emettere quella che sarebbe risultata come la più terribile delle sentenze.
«Sposatevi», disse.
Lena, che aveva momentaneamente distolto lo sguardo, cercò immediatamente gli occhi del chierico. Vacillò, di fronte alla loro fermezza, e quasi ripugnata si levò in piedi, ritraendosi a ogni contatto.
Justus raccolse le mani in grembo. Ferito da quello sguardo. Trattenendosi dal desiderio di raggiungerla e stringerla forte a sé, in un abbraccio che doveva e voleva essere consolatorio.
«Ho mandato un messaggio a Johannes» rivelò, rimanendo immobile. «Né io né voi abbiamo il potere di fermare il vescovo…» continuò poi, alzandosi a sua volta. «Sposatevi», ripeté guardandola fissamente negli occhi. «Io sarò alle spalle del vescovo. Guardate le mie labbra e ripetete i voti nuziali con me», disse. «In questo modo, pronuncerete le vostre promesse verso l’uomo che amate davvero senza mentire, almeno voi, dinnanzi a Nostro Signore» concluse respirando a fatica tra le spire dolciastre dell’incenso.
Maddalena Aicardo impallidì. Serrò le labbra e inspirò profondamente.
Justus le tese una mano. Ferma come il suo sguardo. E quando Lena l’accettò, titubante e sorpresa, sollevò l’altra e le porse una piccola fiala.
«Non giacete con Edelbert, solo questo…» mormorò dissimulando l’imbarazzo per quell’argomento. «Adducete le motivazioni che preferite e, se serve, aiutatevi con questa», indicò con lo sguardo il liquido trasparente. «Gli darà torpore… Abbastanza per addormentarsi senza infastidirvi troppo. Mescetelo nel vino e attendete che abbia effetto. Non ci vorrà molto», concluse con espressione grave. L’idea di madonna Lena tra le braccia del giovane e imbelle marchese era sgradevole tanto da torcergli le budella.
Maddalena Aicardo afferrò la fiala e la mano che ancora la stringeva, poi incatenò Justus con lo sguardo, ignara di metterlo ancora una volta con le spalle al muro. Di trapassarlo cuore e anima.
«Non so come ringraziarvi… » mormorò con la voce rotta dall’emozione, solleticando il volto pallido del monaco con il proprio respiro.
Justus scosse leggermente la testa.
«Non è me che dovete ringraziare, madonna Lena»  rispose con una nota stridula nella voce. «Ma piuttosto l’amore che nutro per voi… » sostenne infine, con delicata fermezza. «Per voi e per Johannes» aggiunse.
 
***
 
Nella solennità della cattedrale, Maddalena Aicardo percorse la navata. Lentamente. Il volto pallido. Gli occhi arrossati. Il mento sollevato, indice dello sdegno che provava. Aggrappata all’immagine di Justus che emergeva alle spalle del vescovo di Rosenburg…


------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
 
 
 
 
 
IL CONFESSIONALE (ossia, l’angolo dell’autrice):
 
2016! Buon anno e buon SEDICESIMO capitolo! Lo ammetto, è stato un caso, una coincidenza non voluta determinata dal malfunzionamento della mia connessione internet, ehehehe! Ma come "casualità" la trovo carina!
Ancora una volta, a un capitolo “movimentato” ne segue uno più “intimo”, forse…
In ogni caso, siamo all’ennesimo punto di svolta ed ecco che la sorte di madonna Lena “pende” letteralmente dalle labbra del nostro Justus… e dalla sua missiva, ovviamente!
Le vostre congetture, ipotesi, supposizioni stanno per prendere forma. A breve, saprete quali risulteranno le più azzeccate! Per ora, spero che la lettura sia stata gradevole… i prossimi avvenimenti, a Rosenburg, potrebbero non esserlo altrettanto.
Qualche “spoiler”?
Naaaaa… ho detto fin troppo e SAPETE che non amo gli spoiler, ehehehe!
Invece, vi chiedo di darmi una mano! A far cosa? Beh, a scegliere il volto più adatto al BOEMO! Grazie ad alcune di voi,  MISERERE ha un cast molto interessante… A dire il vero, c’è addirittura più di una proposta per personaggio. Quindi, perché fermarci? Continuiamo il nostro gioco! Chi vedreste bene nei panni di Ludwig?
Attendo vostre,
Sabrina 

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Condanna a morte ***


Capitolo 17 – Condanna a morte
 
 
Justus varcò frettolosamente la soglia del monastero. E frettolosamente raggiunse la propria cella. Soffiò sulle mani gelide, il volto tirato, reso ancora più sottile dall’aria fredda del primo mattino, l’espressione contrita di chi sta rimuginando,  faticando a lasciare andare lo strascico di fastidiosi pensieri.
«Eri con lei?» domandò greve una voce dall’ombra.
Gli occhi sbarrati, il chierico smorzò il brivido che gli avrebbe altrimenti attraversato le spalle, percuotendolo con l’intensità di una frustata. Riconosceva quella voce. L’avrebbe riconosciuta sempre e comunque.
Si volse. Le pupille, finalmente assuefatte all’oscurità di quell’alloggio freddo e angusto, colsero la sagoma di Johannes emergere a tratti dall’ombra.  
«Eri con lei? » ripeté l’armigero, immobile. Le braccia abbandonate lungo i fianchi. Il petto gonfio di stizzoso rancore.
Justus si rimangiò istintivamente tutte le domande, il sorriso, il sollievo… Lo sguardo cupo e distaccato di Johannes lo atterriva.
«No» mormorò laconico, abbassando gli occhi. «Non la vedrò prima del vespro» aggiunse.
La voce roca di Johannes ne richiamò subito l’attenzione, ma non fu quella a ferirlo quanto la piega aspra del suo sorriso.
«Ti ho dato ascolto, chierico. Sei contento? »
Il disprezzo con il quale gli si era improvvisamente e volutamente rivolto, a lui,  all’amico d’infanzia, caro come un fratello, gli raggelò il sangue nelle vene. Eppure non riuscì a smettere di fissarlo.
Il tremito della sua mascella rivelava una rabbia a stento repressa. Lo scatto involontario delle narici diceva quello che il capitano non voleva rivelare con le parole. Non ancora, almeno. La sua profonda frustrazione. L’impotenza. Il disgusto per una delusione capace di svuotargli anima e corpo.
Il bagliore freddo dei suoi  bulbi oculari squarciava la penombra come quelle parole avevano lacerato il cuore del chierico.
«E’ stato meglio così». Sostenendo non solo il suo sguardo ma la propria convinzione, Justus rimarcò  la decisione che lo aveva portato a pregare Johannes di temporeggiare. Di non irrompere a Rosenburg. Di non essere impulsivo e quindi imprudente.  Di non rischiare in alcun modo la vita. Sua, di Maddalena Aicardo e di tutti coloro che si sarebbero trovati loro malgrado coinvolti in quella situazione. Per quanto increscioso fosse, per quanto fosse difficile, quella era l’unica soluzione.
Johannes socchiuse le palpebre, filtrando l’immagine di Justus tra le ciglia scure e  ricordando ogni singola parola tracciata su quel maledetto messaggio. Avvertendone l’eco nelle orecchie e nella testa.  
«Non sai quello che mi hai chiesto…» disse.
«Solo di fidarti di me».
«Fiducia…» sogghignò l’armigero. «Parli ancora di fiducia» una pausa carica di rancore sottolineò le sue parole. «Tu e la tua Chiesa…» aggiunse. «Mi fidavo di un uomo di Chiesa. Mi fidavo di quell’uomo come mi sarei fidato di un padre»
Non aggiunse altro. Non ce n’era bisogno.
«Lena sta bene. E’ quello che conta» replicò Justus, lentamente. Consapevole di essere sul punto di scatenare tutti i Diavoli dell’Inferno. Incapace di negare quanto affermato da Johannes. Deluso e disgustato egli stesso da una casta che avrebbe dovuto elevarsi al di sopra degli intrighi e del fango e che invece scopriva essere essa stessa intrigo e fango.
Nel sentir pronunciare  quel nome, Lena, Johannes fece istintivamente un passo avanti e si fermò appena in tempo per non afferrare e stringere il sottile e candido collo di Justus tra le dita di una mano.
Un attimo prima che le emozioni lo sopraffacessero, che una rabbia folle e sorda lo travolgesse.
Fermo di fronte a lui, tanto vicino da sentirne il respiro anche se flebile e mozzato, sorrise sbeffeggiando il chierico.
«Credi veramente che stia bene?» ringhiò.
Justus provò una stretta allo stomaco. Poi un senso di nausea. Non  si lasciò intimorire.
«Va tutto bene» confidò, ignorando volutamente la sua provocazione. «Ti sta aspettando» aggiunse più dolcemente, seppure preoccupato.
Queste ultime informazioni parvero ammansire Johannes e per un attimo il suo sguardo sembrò tornare quello di sempre. Ruvido ma complice.
Justus sentì di potersi sbilanciare.
«Qualcuno sa che sei qui? »
Johannes lo scrutò in un lungo momento di silenzio.
«So di non dovermi esporre» rispose. «Non ancora» aggiunse velando queste ultime parole di minaccia.
Il chierico decise di non dar peso a quella sgradevole sensazione.
«Cosa hai intenzione di fare?» si informò, palesando la propria completa disponibilità.
Un tonfo secco nel corridoio fece scattare Johannes verso la soglia. Uno sguardo all’esterno per sincerarsi di non correre pericoli inutili e i suoi occhi grigi tornarono a catturare quelli di Justus.
«Domani è giorno di mercato» rispose. «Fai in modo che Lena si convinca a uscire dal palazzo. A tutto il resto, penserò io»
Justus si sporse istintivamente verso l’amico.
«Posso portarle un tuo messaggio, stasera. O accompagnarla io stesso, con una scusa, domani al mercato» suggerì.
Johannes sostenne il suo sguardo in silenzio. Di nuovo.
«No».
Il chierico schiuse le labbra per ribattere ma l’armigero lo precedette imponendogli il silenzio.
«Non voglio che tu corra rischi inutili» disse. «Né tu né altri».
Aveva imparato la lezione. Non  era questo che Justus gli aveva chiesto in quel suo accorato messaggio? Non essere impulsivo, non rischiare la vita, sua e di chi gli stava a cuore?
Justus comprese. Si morse la lingua e avvampò per quanto l’amico gli stava rimproverando con il proprio silenzio.
«Andrà al mercato» promise.
 
***
 
Maddalena Aicardo tentò di ignorare il frastuono. Gli occhi arrossati, il volto pallido e teso, percorreva la Via dei Mercanti senza prestare attenzione a quello che la circondava.
Erano bastati quei pochi giorni infatti, a renderla spenta e svogliata. Accesa solo nella Fede e nel tentativo di eludere i propri doveri coniugali. Suo marito, nonostante lo sgomento iniziale e un certo rammarico, sembrava essersi momentaneamente arreso all’attesa e la corteggiava  penosamente dedicandole tutto il proprio tempo e le proprie attenzioni. In merito al matrimonio non consumato, Lena lo aveva pregato di mantenere quel minimo di riserbo che Edelbert le aveva facilmente garantito.
Suo malgrado, Lena aveva finito per cedere alle insistenze di fratello Justus che sembrava scorgere in quella passeggiata un toccasana per il suo spirito devastato.
La voce di Hanna alle sue spalle raccontava di una qualche storia... Attorno a lei, colori e profumi sembravano voler risvegliare i suoi sensi assopiti…  Ma ogni cosa, ogni suono, ogni persona le ricordava beffardamente lo stato di impotente prigionia nel quale era caduta senza avere nemmeno la possibilità di dibattersi. Farlo avrebbe significato porre l’attenzione del vescovo sulle persone che voleva tenere al sicuro.
Qualcuno la urtò violentemente, strappandola al rancore e a quei cupi pensieri. Sollevò istintivamente lo sguardo. Improvvisamente fiera. Gli occhi come tizzoni ardenti desiderosi di scoprire, attaccare, incenerire. Pronta a sfogare in una singola azione e su una singola e ignara persona tutta la propria frustrazione.
Ma non appena due occhi grigi catturarono il suo sguardo, le mancò il fiato. Annaspò e nemmeno se ne accorse. La gola secca, le labbra riarse.
Per il tempo di un istante, Johannes la fissò in silenzio. Il volto teso, adombrato dal cappuccio scuro, la figura nascosta dal mantello. La guardò e di nuovo la fece sua. Sua e di nessun altro.
Svelto, senza dire una parola, le girò attorno senza mai smettere di fissarla  negli occhi. Le sfiorò una mano e qualcosa le scivolò nel palmo. Ma era troppo grande la sorpresa perché lei se ne rendesse conto. Dischiuse le labbra, in un muto tentativo di trattenerlo. Incapace di emettere un suono. E così si accorse di come tutto, ora, intorno a lei tacesse. Sovrastato dal fragore di quegli occhi grigi.
Johannes si allontanò,  lasciando che la folla lo inghiottisse e  svanì davanti ai suoi occhi.
Dietro di lei, arrancando, Hanna si fece largo fino a raggiungerla, lamentandosi e lanciando improperi all’indirizzo di un fantomatico balordo mendicante reo di averla strattonata e allontanata dalla sua signora.  
Maddalena Aicardo avvertì il vuoto risucchiarla di nuovo. Inciampò, lasciando che il pezzo di carta che teneva in palmo le scivolasse dalla mano. Lo cercò con gli occhi, tra i piedi e le stoffe che strusciavano malamente sul selciato. Lo cercò negli occhi di Hanna, che si era fermata a un passo da lei e riprendeva fiato borbottando. Lo cercò nella disperazione che le era scesa sul cuore.
Cosa le aveva consegnato Johannes? Cosa le aveva scritto?
Improvvisamente, il mercato esplose di nuovo in tutto il suo assordante fragore. Maddalena Aicardo si sentì avvampare. Si guardò attorno.
Premurosa, Hanna le sfiorò un braccio e la invitò a rientrare…

 
***
 
«Hai appena emesso una condanna a morte»
Hanna, che stava lasciando le stanze del vescovo, sussultò.
Da una nicchia del lungo corridoio perennemente in penombra, emerse l’uomo dal volto sfregiato. Le braccia incrociate sul petto, non fece alcun tentativo per fermarla.
La ragazza indietreggiò, come avesse visto il diavolo in persona e un’esclamazione strozzata le si spense tra le dita della mano portata istintivamente sulle labbra. Afferrò le gonne e con passo incerto tentò di superarlo, ignorando volutamente la sua affermazione. Poi, vinta dal peso di quell’accusa e da quei terrificanti occhi celesti che continuavano imperterriti a fissarla, si fermò.
«Non so di cosa state parlando. E se vi riferite a quel pezzo di carta, non so nemmeno cosa ci sia scritto… come potrei? » si ribellò sprezzante. «Dimenticate che non so leggere?»
«Non sai leggere… Ma ti illudi di saper far bene i tuoi conti».
Non un’accusa, questa volta, ma una riflessione.  
«Hai condannato un uomo a morte solo per compiacerne un altro che non ti darà mai quello che credi ti abbia promesso…»
Hanna ispirò profondamente e sollevò il mento indignata.
«Non sapete di cosa parlate… »  ribatté, arrossendo violentemente. Il boemo piegò le labbra in un sorriso amaro. Provava pena, per quella ragazza.
«Al contrario di te, io so leggere… e non solo le parole» disse.
Hanna lo squadrò in silenzio, scoprendosi innegabilmente attratta da quello sconosciuto il cui fascino passava dalla cupa intensità dello sguardo al taglio severo delle labbra. Dalle spalle larghe al petto ampio e forte. Un uomo che incontrato altrove avrebbe fatto fremere di piacere e non di terrore.
«Io non vi credo… » deglutì
«Non ti chiedo di farlo» sottolineò lui, «Ma di fare attenzione»
Non vi era alcuna minaccia in quelle parole. Piuttosto una delicata nota di preoccupazione. Hanna ne fu colpita. Quasi ammaliata.
«Allontanati da qui» continuò Ludwig. «Vattene per non tornare» suggerì, freddo.
La ragazza strinse con forza le mani alle gonne. Indispettita e indignata da quelle parole. Ma in cuor suo, qualcosa le diceva che quell’uomo avrebbe anche potuto avere ragione.
Si allontanò. Ripensò a quella mattina al mercato. Al piede che maliziosamente e tempestivamente faceva sparire un pezzo di carta. Allo sgomento di Maddalena Aicardo. Alla soddisfazione letta negli occhi neri e maliziosi di Erasmus. Occhi avidi, occhi rapaci…
Non sapeva chi fosse l’uomo nell’ombra. Quali fossero i suoi rapporti col vescovo. Forse non era altro che qualcuno come lei, qualcuno che dava in attesa di ricevere… Qualcuno capace di instillare nella sua mente un po’ frivola il dubbio che il momento della riscossione non sarebbe arrivato mai…



--------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
IL CONFESSIONALE (ossia, l'angolo dell'autrice):

Eccomi nuovamente calata nelle atmosfere medievali in quel di Rosenburg. Prima di tutto, mi scuso con chi ha dovuto attendere il nuovo capitolo così a lungo e ringrazio tutti per la pazienza e l'incoraggiamento ricevuto in queste settimane. Settimane intense e cariche di lavoro (una parte di questo lavoro lo condividerò volentieri con chi di voi avesse voglia di seguirmi prossimamente) che mi hanno impedito di dedicarmi con la necessaria serenità ai nostri "fanciulli"!

Ora a noi! Se con il capitolo 16 abbiamo inaugurato le avventure dei nostri in questo 20-16, a chi fosse superstizioso non sarà sfuggita la coincidenza (assolutamente casuale!) con il titolo e il numero di QUESTO capitolo: 17! Un po' mette i brividi, non pensate?
Ma veniamo al capitolo... Oltre alla grande emozione di tornare ad occuparmi di questi personaggi (mi erano mancanti tanto, ma tanto), spero di avervi trasmesso anche qualche dettaglio in più... o anche in meno. Per cominciare, apriamo il toto-biglietto e il toto-nominato. Mi spiego:

1 - Cosa ci sarà scritto in quel biglietto?
2 - Chi sarà mai il "condannato a morte"?

Per finire, una curiosità: cosa ne pensate di Ludwig?

Grazie per essere tornati di qua e a presto,
Sabrina!

 

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Esecuzione ***


 

Capitolo 18 - Esecuzione 


Erasmus arretrò di un passo, senza tuttavia distogliere lo sguardo dall’imponente figura del vescovo rivolta, come di consueto, alla finestra.
L’uomo non parlava, limitandosi a respirare profondamente. E nonostante le braccia fossero abbandonate lungo i fianchi, i pugni stretti lasciavano intendere uno stato d’animo lontano dall’essere sereno.
«Eccellenza…»
Konstantin Winkel accolse il suono di quella voce con una smorfia disgustata. Una rabbia sorda partiva dallo stomaco e gli montava in petto. A stento riusciva a reprimerla. La mascella serrata, la fronte che pulsava dolorosamente, il vescovo sollevò un braccio in un gesto secco.
Erasmus sussultò.
«Fai in modo che Edelbert abbia questo biglietto».
Esitante, il segretario si avvicinò e recuperò il messaggio che il vescovo tratteneva nella mano sollevata, facendo bene attenzione a non emettere fiato. Mai aveva visto l’uomo tanto turbato ma era certo che non fosse la delusione a scavarne il volto, in quel momento, bensì la collera e l’indignazione. Un’ira profonda dovuta alla certezza di essere stato tradito. Non dispiacere, dunque. Ma arroganza.
Sogghignò. Che gli sciocchi imparassero a stare al proprio posto!
Lui, la lezione, l’aveva imparata da molto, molto tempo…
Ma non tutti potevano vantare la sua stessa malizia.

***

Adducendo la scusa di un leggero malessere, Maddalena Aicardo si era liberata dell’incombenza del pasto. Aveva negato a Edelbert, preoccupato per la sua salute, l’accesso alle proprie stanze e, rimasta sola, si stava ora  crogiolando nel dubbio e nel tormento.  Non si dava pace, rimproverandosi di aver perso maldestramente quello che doveva essere un messaggio di Johannes, consolata dal pensiero che il caotico scalpiccio dei passanti avesse certamente disperso e invalidato quel biglietto e il suo misterioso, forse pericoloso, contenuto.
Come aveva potuto essere tanto sciocca? La sorpresa, forse, lo sgomento. Ma potevano essere una reale giustificazione?
In piedi, le spalle alla finestra che filtrava una luce spenta, quasi malata, incolore e incapace di infondere tepore a quella stanza umida, 
strinse le mani in grembo fino a farsi male. Serrò forte le palpebre. Avvertì il cuore accelerare il battito e gli occhi di Johannes squarciare il buio. Avvampò e sedette sul letto. Doveva fare in modo di sapere, decise. E Justus era la sua unica speranza.
Raccolse le gonne, mai così ingombranti, e raggiunta la finestra guardò verso il giardino interno del palazzo. Soldati di Rosenburg e armigeri del marchese stazionavano lungo tutto il perimetro del chiostro. Si accigliò, domandandosi se fossero sempre stati tanto numerosi. Le campane del monastero avevano appena annunciato la Nona e il giorno, nonostante l’estate non fosse ancora finita, stava lentamente spegnendosi.
Lena ispirò profondamente, a labbra serrate. Batté un paio di volte le palpebre. Cosa fare?
Attendere!
Attendere pazientemente il Vespro,  si disse. E con esso il sopraggiungere del chierico.
Se Johannes aveva deciso di essere prudente, chi era lei per muovere passi avventati?
Emise un sospiro, dunque acuì lo sguardo e si aggrappò nuovamente alla stoffa morbida delle gonne.
Rabbia! Era rabbia quella che le serrava la gola… Una rabbia incontrollata e sciocca, lo sapeva. Tuttavia, il pensiero che il capitano l’avesse raggiunta, vista e sfiorata e non l’avesse portata via con sé, strappandola al destino che altri avevano scritto per lei, l’accese di un rancore sordo. Rise. Incurante del fatto che qualcuno avrebbe potuto sentirla.
Si lasciò scivolare sui morbidi cuscini di uno scranno e appoggiò i gomiti sui braccioli rigidi e poco confortevoli. Poi si portò le mani al viso e passò le dita tra i capelli lunghi e sciolti sulle spalle. Lentamente. Avvertendone il passaggio sulla cute e immaginando le ciocche scuri scivolare tra di esse. Infine, raccolse le mani sulle labbra. Non aveva perdonato Johannes e non sapeva quando lo avrebbe fatto, indipendentemente dal fatto che lo desiderasse. E in quella luce malata e scialba, in completa solitudine, evocò dai ricordi la sua figura, la sua voce roca e inconfondibile, il suo odore, il suo calore. Lasciò cadere indietro la testa. Il collo esposto. Le palpebre socchiuse così come le labbra. E con le stesse labbra ritrovò e assaporò quelle turgide di Johannes…

***

Johannes evitò accuratamente le sentinelle di ronda, ben attendo a che lo schiocco del mantello sullo stivale di cuoio non attirasse l’attenzione dei soldati.
Rimase immobile. Le spalle addossate al muro di cinta del palazzo vescovile, il volto adombrato dal pesante cappuccio.
Le lunghe lingue rosse del tramonto si erano presto tramutate in sottili strali violacei ora divorati da un nero ammiccante di piccole stelle. E mentre dal monastero risuonava  il richiamo della Compieta, l’ombra di un sorriso stirò le labbra di quello che un tempo era stato il più orgoglioso capitano delle guardie.
Cosa ne rimaneva? Un amante stolto. Incapace di ragionare con la razionalità che gli era stata inculcata fin da bambino. Uno stolto e un miserabile.
Ma cosa importava, se l’uomo che lo aveva tolto dalla strada ora ve lo costringeva, riducendolo alla stregua di un ratto?
Raddrizzò le spalle, che pensieri di tradimento e vergogna gli avevano incurvato, sgombrò la mente e gettò uno sguardo all’interno del giardino. Il campo era libero. Nessuna guardia o sentinella.
Svelto, Johannes scivolò nel chiostro, mantenendosi a ridosso della cinta, e si confuse tra le fronde rigogliose di una giovane quercia e rami rampicanti dell’edera.
Rispettando la sua volontà, Justus aveva evitato il consueto appuntamento del Vespro e così di lasciarsi ulteriormente coinvolgere.
Ora, dunque, non restava che attendere…

***

Justus affrettò il passo. Poi, accorgendosi di essere rimasto solo con Johannes, dall’altra parte della piccola piazza, si fermò cercando riparo nell’ombra.
Carico di tensione, il chierico attese che l’amico facesse la propria mossa. Gli era stato intimato di restare lontano dal palazzo vescovile, quella sera, ma non gli era stata elargita alcuna spiegazione. Sapeva dell’incontro di quella mattina al mercato, tra Johannes e Lena, e lo sapeva perché lui stesso era lì, mescolato alla folla colorata e festante. Ma non sapeva niente più di questo e l’ostinato riserbo dell’amico lo preoccupava.
Contravvenendo ancora una volta ai suoi ordini, camuffati da consigli, si era dunque appostato nei pressi del palazzo, lo aveva intercettato e infine seguito…

***

Dopo una cena frugale, Edelbert decise di rompere gli indugi.
Sorbì poco elegantemente un ultimo calice di vino, assicurò lo stropicciato pezzo di carta tra la maglia e il corsetto e raggiunse il giardino.
Fermandosi poco oltre la soglia del palazzo, rischiarata dalla fiamma rossastra delle torce, sollevò lo sguardo verso la finestra di sua moglie e attraverso la bifora cercò la sua sagoma snella e seducente.
Ne immaginò le chiome sciolte, la veste da notte, le guance accese… Ma solo quello poteva fare. Immaginare.
Serrò la mascella, indispettito. Stanco di aspettare.
Non le aveva concesso fin troppo tempo?
Corroborato dal vino che gli scorreva nelle vene e stuzzicato a dovere dai suoi stessi commensali, ignari di quell’ingrato digiuno,  decise che quella notte Maddalena Aicardo sarebbe stata sua.
Sua o di nessun altro.
Prima, però, aveva un’altra questione da risolvere. Una sorta di enigma.
Con un sorriso cattivo che stentava a riconoscersi, pregustò prima notte di nozze… Passò istintivamente la lingua sulle labbra. Avvertì il sapore speziato del vino e rise tra sé prendendosi gioco del povero e fin troppo serio Erasmus che mai avrebbe potuto assaporare le gioie del talamo nuziale.
Avanzò di un passo. Poi un altro.
E mentre il pavido Edelbert, acceso dall’acool, si lasciava alle spalle la luce amica delle torce, il cuore di Johannes perdeva un battito.
Cosa portava il marchese, evidentemente alterato, nel giardino a quell’ora?
Lanciò uno sguardo alla finestra dietro la quale sapeva trovarsi la stanza di Lena, completamente buia. Poi si appiattì contro la parete, imponendosi di rimanere immobile e in assoluto silenzio.
Forse, così facendo, Edelbert non si sarebbe accorto di lui ed espletate eventuali necessità fisiologiche sarebbe rientrato a palazzo lasciando via libera a Lena e al loro piano di fuga.
«C’è nessuno? » domandò il marchese. «Io sono qui» disse.
Johannes corrugò la fronte. Che lo stesse cercando?
Sollevò istintivamente la testa e il suono del suo respiro si fece chiaramente udibile. Che anche Lena lo avesse tradito?
Mentre la sua attenzione passava di nuovo dalla sgraziata figura di Edelbert alla finestra di Maddalena Aicardo, con la coda dell’occhio colse un’ombra travolgerlo. Quasi attraversarlo. Poi, il giovane marchese traballante, malfermo sulle gambe esili e torte, portare le mani al petto dove un fiore umido e scarlatto si apriva troppo velocemente.
Il capitano gli fu istintivamente addosso e lo accompagnò a terra, mentre con una mano, Edelbert si afferrava al cappuccio strappandolo via.
«Voi! » esclamò sorpreso, piegando la testa sulla spalla destra di Johannes, come a cercare un rifugio sicuro. «Voi…» mormorò in un debole sorriso, le labbra esangui sulla guancia tesa dell’armigero. «Non siete stanco di soccorrermi?». Tossì.
Johannes serrò le mascelle, ricacciando indietro le imprecazioni che gli salivano alle labbra.
Edelbert cercò le sue mani. Le trovò e le strinse, imbrattandole del proprio sangue caldo. Troppo caldo e troppo copioso.
In capitano ne poteva avvertire l’odore, acre e ferroso, consapevole della propria impotenza. E negli attimi concitati che seguirono, dimentico del pericolo al quale si era esposto, cercò la ferita per tamponarla e trovò l’elsa di un pugnale. Uno stiletto sottile che aveva attraversato il giovane cuore del marchese.  Edelbert sussultò, come rispondendo a una fitta dolorosa. Uno spasmo.
L’altro si irrigidì, respirando a fatica, mentre le ultime parole del marchese, flebili come un sospiro, venivano fagocitate dalle grida di allarme e dal passo pesante degli armati in arrivo.
Johannes, ancora in ginocchio, strinse tra le braccia il corpo esanime del giovane e sfortunato marchese. Volse un’occhiata attorno, tra i viottoli del giardino sui quali rapidamente si moltiplicavano le guardie. Colse tra le ombre l’immagine di Justus e con un cenno del capo gli intimò di restare fermo là dove si trovava. Sollevò lo sguardo verso i piani alti e finalmente la vide. Lei. Lena. Che richiamata dal frastuono si era sporta alla finestra, pallido fantasma della donna che era.  
«Johannes!» la voce perentoria di Heinrich, richiamò il giovane alla realtà dei fatti. Incrociò i suoi occhi, mentre l’altro, apparentemente senza sforzi, respingeva l’assalto degli uomini del marchese pronti a esigere altro sangue.   
«Capitano! » disse Erasmus, irrompendo sulla scena e richiamando l’attenzione di Heinrich Kraft, «Arrestatelo! »
Heinrich gli rivolse uno sguardo torvo, ma questi, reprimendo l’istinto di arretrare, insistette:
«Arrestatelo!»
Sulla soglia del palazzo vescovile, Kontantin Winkel, illuminato dalle torce poste ai due lati del portone,  si ergeva immobile. Statuario come un giudice supremo. A quella distanza, Johannes non poteva vederlo, ma si sarebbe detto certo di quel sorriso diabolico. Demone tra le fiamme dell’Inferno.



-------------------------------------------------------------------------------------------------
IL CONFESSIONALE (ovvero, l'angolo dell'autrice):

Apro questa conversazione scusandomi per la formattazione un po' strana di questo capitolo. In questo periodo sto "litigando" decisamente con software e programmi vari e non appena avrò risolto queste dispute mi adoperrerò per rimettere le cose a posto. Vista la prolungata assenza delle ultime settimane, ho preferito non attendere oltre!

E ora a noi! Sono passati tanti, tanti anni dal mio primo racconto e se penso al "fattaccio" protagonista di questo capitolo, quasi rabbrividisco. Allora, a quei tempi, non avrei mai permesso che Edelbert morisse. Edelbert o chiunque altro. Questa "perdita", invece, era decisa fin dal principio. Quasi un perno attorno al quale parte della storia avrebbe mosso i suoi passi. Rispondendo alle mie domande in calce al  capitolo precedente, qualcuno di voi ha inserito il marchese tra le possibili "nomination". Ora non resta che scoprire il perché di questo assassinio e dove ci porterà la vicenda.

Perdonate la chiacchierata "monotematica" su un personaggio poco gradito ai più... Un personaggio che in altra sede è stato ribattezzato SEMOLA  e sul quale abbiamo scherzato e ironizzato un po', inserendolo addirittura nel gioco del CASTING! Un personaggio "nato" per essere "sacrificato"...

Con un groppo in gola, vi ringrazio come sempre per la lettura e la pazienza. Ringrazio le affezionate, chi recensisce e le lettrici silenti invitandole, quando avranno voglia, a farsi sentire.

Un GRAZIE ENORME al Maestro UMBERTO ECO...

Sabrina
 

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** Un morto che cammina ***


Capitolo 19 – Un morto che cammina
 
 
«Quest’uomo è accusato di aver commesso una delle azioni più riprovevoli che si possano concepire. L’aggressione e l’omicidio di un innocente. Un innocente disarmato. Un marchese».
La voce aspra di Erasmus riecheggiava nell’ampia sala degli incontri, riversandosi cupa sugli astanti. «Reato ben più grave se teniamo conto che quest’uomo è un soldato, un capitano. Colui al quale abbiamo affidato fiduciosamente la nostra vita per anni. E, peggio, è il pupillo del nostro amato vescovo»
Alle spalle del segretario, Konstantin Winkel occupava silenziosamente uno scranno di legno scuro, intarsiato e decorato in oro. I gomiti puntati sui braccioli, le dita allacciate sotto al mento, a coprire parzialmente le labbra tirate, il vescovo manteneva un inespugnabile silenzio.
Albeggiava.
Dopo aver trascorso le ultime ore nelle prigioni di Rosenburg, Johannes  era stato condotto al palazzo vescovile dove stava subendo quello che, a tutti gli effetti, sembrava un processo sommario.
Non si era opposto all’arresto, facilitando quantomeno il compito ad Heinrich Kraft, già impegnato a soffocare sul nascere  le violente reazioni degli uomini del marchese.
In piedi, il mento sollevato e la mascella serrata, i polsi legati dietro la schiena, l’armigero ascoltava in silenzio le accuse che gli venivano mosse, attraversando Erasmus con lo sguardo. Senza quasi vederlo. Ogni suo pensiero era rivolto all’uomo che lo aveva salvato per poi dannarlo, mentre sul braccio sinistro, la pressione della mano di Heinrich, fermo al suo fianco, si faceva sempre più forte a ogni parola scandita del segretario.
Justus, accorso con la scusa di fornire il proprio supporto spirituale, non aveva potuto lasciare il fianco del vescovo e cercava con gli occhi una qualche reazione in Johannes che gli permettesse di intervenire in suo favore.
Ma il giovane capitano era deciso a non parlare e a non coinvolgere in quella sgradevole faccenda nessuno che non lo meritasse.
Nella stanza, gremita dagli uomini del marchese, decisi a rivendicare il diritto di giudicare e condannare il colpevole, il corpo esanime del giovane Edelbert era stato adagiato su un piano di marmo e velato con un telo di garza leggera e trasparente.
«Sono stato fedele al marchese» osservò Johannes, penetrando con la voce fonda e possente la litania di Erasmus. «Gli ho salvato la vita in battaglia» proseguì. «E gli stessi uomini che oggi fremono per avere la mia, mi sono testimoni».
Un mormorio, quasi un sussulto, percorse i soldati di Turinja e il loro capitano premette la mano sull’elsa della spada.
Johannes attraversò con lo sguardo la stanza e chi la occupava.
Sapeva che nessuno avrebbe potuto contraddirlo a riguardo.
E quando gli occhi grigi trovarono Erasmus, questi  avvertì un brivido, rapido e violento, scendere lungo la schiena e si morse istintivamente il labbro inferiore, allargando le narici.
«Per questo pensavate di meritare una ricompensa? » sibilò.
Sciocco, sciocco Johannes! Pensò. Se si fosse dimostrato più disponibile nei suoi confronti… Se fosse stato più gentile… «Non avete fatto mistero della vostra infatuazione per Madonna Lena, promessa sposa al marchese, e ne avete chiesto la mano al vescovo ben sapendo quanto sciocca fosse la vostra pretesa» rivangò.
Johannes accusò il colpo e il sorriso bieco che attraversava le labbra dell’ecclesiastico.
«Siete stato allontanato per questo! » decise di affondare il segretario. «Ma siete tornato e avete preteso quello che non poteva essere vostro? » insinuò crudele e mellifluo. «Tradendo la fiducia dell’uomo che vi ha tolto dalla strada, salvato dalla peste e vi ha elargito tutta la sua munificenza»
Johannes serrò ulteriormente la mascella, facendo guizzare i muscoli della guancia. La sua ira, la sua frustrazione e la sua impotenza non facevano che eccitare Erasmus.
Forte  di quell’inaspettato status di superiorità, estrasse un biglietto dalla tonaca e lo sollevò a mezz’aria.  
«Non lo avete forse attirato volontariamente in giardino? » accusò.
Johannes riconobbe il pezzo di carta sul quale aveva vergato luogo e ora dell’appuntamento.
Quel biglietto, sporco di una macchia color vermiglio, era destinato a Lena e a lei soltanto! Come poteva trovarsi tra le mani di Erasmus e prima ancora in quelle di Edelbert? Perché era certamente di Edelbert il sangue che lo aveva macchiato!
Il marchese doveva esserne venuto in qualche modo in possesso… ma era sicuramente ignaro dell’identità di chi lo avesse scritto, non essendo firmato. E la sua ultima frase, quella notte, lo confermava.
Si era recato al luogo dell’appuntamento senza immaginare chi vi avrebbe trovato e, soprattutto, all’oscuro del destino che era stato scritto per lui…  
Johannes provò una dolorosa fitta allo stomaco. Nonostante tutto, non poteva odiarlo e l’idea di averne in qualche modo e involontariamente causato la morte, lo disgustava.
Ma dov’era Lena?
Le corde che gli bloccavano i polsi, incrociati dietro la schiena, sembrarono farsi più strette così come il sangue gli sembrò scorrere nelle vene con maggiore impeto.
Solo allora, cercò lo sguardo di Justus sostenendolo per un istante, e Justus trasalì.
Erasmus, avvedendosi del cambiamento che aveva portato l’armigero a respirare più in fretta, lo incalzò.
«Non rispondete? » e di fronte al suo ostinato silenzio, irritato da un atteggiamento interpretato come un’offesa personale, continuò:
«Negate di averlo scritto? »
Johannes piegò istintivamente un angolo delle labbra.
«Non se reca la mia firma» rispose lentamente, la voce arrochita dalla collera.
Erasmus tacque. Soppesò la figura dell’armigero una volta di più e inspirò profondamente.
«In ogni caso…» disse riprendendo colore, «non sono tenuto a farvi un processo, ma semplicemente ad assicurarmi che ne abbiate uno». Con un cenno del capo, il segretario fece intendere ai soldati del marchese di avvicinarsi e prendere in consegna quello che era stato il capitano di Rosenburg.
Johannes dissimulò la tensione e l’ecclesiastico dai piccoli occhi neri sorrise malignamente.
«Nonostante l’affetto che il vescovo ha sempre provato e dimostrato per voi, infatti, non può negare l’accaduto, offendere o recare maggiore danno al marchesato che ha perso il proprio erede» continuò. «E’ volontà di sua eccellenza dimostrare la sua completa integrità e neutralità alla faccenda. La sua unica preghiera è che a colui che è stato per anni il suo protetto sia garantito un giusto processo» e dopo un attimo di pausa, riprese: «Qualunque sarà la  sentenza del tribunale di Turinja, non si opporrà né farà valere il proprio titolo».
Eccola la sentenza, pensò Johannes trattenendo a stento un sorriso carico di disgusto. Incrociò lo sguardo di Heinrich, incupito e incredulo, e rilassò i muscoli facendo intendere al compagno d’armi di non preoccuparsi e di lasciarlo andare senza colpi di testa.
Le guardie del marchesato lo circondarono e lo presero in custodia.
«Partiremo oggi stesso», asserì il comandante. «E riferiremo ai signori di Turinja la collaborazione di vostra eccellenza»
Heinrich annuì, teso.
«Fornirò un manipolo di nostri uomini al convoglio», disse.
«Non ce ne sarà bisogno» rispose Erasmus. «Gli uomini del marchesato garantiranno una scorta più che adeguata al feretro e all’accusato» concluse assestando un ultimo colpo a Johannes.
Heinrich Kraft lo trapassò con lo sguardo, desiderando torcergli il collo pallido e sottile.
«Se questo è il volere del nostro vescovo…» rispose, cercando conferme.
Konstantin Winkel si sollevò dallo scranno. Impenetrabile, cercò lo sguardo di Johannes.
«Madonna Lena vestirà il lutto a Rosenburg. Tra le persone che le sono più care» disse, ignorando volutamente il resto della conversazione. «In un secondo momento, raggiungerà il marchesato e si farà carico di tutte le responsabilità che il suo ruolo di moglie e di vedova comportano» aggiunse.
Johannes trattenne il respiro. Il vescovo gli stava lanciando indirettamente un messaggio e una minaccia: niente e nessuno si sarebbe mai frapposto tra lui e i suoi piani.
Represse l’istinto di guardare Justus.
Annaspò. Se anche era condannato, non avrebbe mai permesso  che Lena o Justus finissero nella medesima morsa che lo stava lentamente stritolando. Che il vescovo avesse riconosciuto nelle poche parole vergate su quel disgraziato biglietto la sua grafia poteva darlo per certo. Che sapesse del coinvolgimento di Lena e del chierico non era invece così scontato. Tacere, per il momento, gli sembrava ancora la soluzione migliore. Serrò la mascella e sostenne senza alcuna esitazione lo sguardo dell’uomo.
 
***
Ludwig si allontanò. Aveva sentito anche troppo, ed era troppo esperto e acuto per non aver intuito le prossime mosse del vescovo. La freddezza di quell’uomo,  l’avidità e l’assoluta mancanza di umanità e di misericordia cristiana non erano certo un segreto per lui, eppure riuscivano sempre e in qualche modo a sorprenderlo. Come se, da qualche parte in quella sua anima dannata e corrotta, albergasse ancora una piccola luce. La flebile convinzione che anche il peggiore degli uomini potesse in fondo redimersi. Sciocchezze, pensò. L’olezzo di quell’anima marcia si avvertiva a distanza.
Scrollandosi quel senso di disgusto di dosso, scivolò lungo il corridoio in penombra dove le torce stavano lentamente ma inesorabilmente perdendo vigore. Tra non molto, se nessuno si fosse premurato di governarle a dovere, si sarebbero spente e il buio avrebbe regnato incontrastato.
Sorrise a quel ragionamento. E il suo pensiero cercò distrazione in colei che era la vera protagonista della vicenda. La bella Maddalena Aicardo. La seducente pedina di quel gioco diabolico. 


-------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

IL CONFESSIONALE (ossia, l'angolo dell'autrice): 

Ecco che le carte si sono mescolate nuovamente... ed ecco che Johannes è sempre nei premi! Ne siete sopresi? Ma soprattutto, vi aspettavate da lui una reazione diversa?
Questa volta non posso dilungarmi troppo, in questo nostro angolino, perché rischierei di fare qualche "spoiler" involontario, visto che siamo vicini, troppo vicini, alla resa dei conti (almeno per qualcuno) e lascio tutto a voi e alla vostra fervida immaginazione! 

Attendo fiduciosa i vostri commenti e le vostre ipotesi e vi ringrazio come sempre!

A presto,
Sabrina 


 

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** Ribelle ***


Capitolo 20 – Ribelle
 
 
Konstantin Winkel lasciò scivolare lo sguardo oltre la finestra. Le mani allacciate dietro la schiena eretta, nella posa che assumeva abitualmente.
La sua voce calma riempiva la stanza.
Madonna Lena, gli occhi rivolti a terra, ne percepiva la vibrazione. Era leggera. Quasi indifferente, mentre il vescovo assicurava un accorato cordoglio per la sua precoce condizione di vedova.
«Avrai tutto il mio sostegno» diceva. «In questo momento difficile, così come nella gestione del tuo nuovo patrimonio».
Patrimonio! Lena serrò istintivamente le labbra.
Edelbert era morto e Johannes era stato accusato di omicidio e tradimento…  Le era stato impedito di vederli, entrambi. Ed entrambi  viaggiavano verso  nord. Uno per esservi sepolto, l’altro per essere giudicato e, probabilmente, giustiziato. Ma nella voce del vescovo non vi era traccia di alcun sentimento in merito. Come se la cosa non lo riguardasse affatto.
Sollevò la testa con rabbia.
«Non ho diritto ad alcun patrimonio» disse. «Il matrimonio non è stato consumato» confessò malignamente. Solo per incrinare quell’insopportabile tranquillità del vescovo.  Poi tacque, in attesa che l’uomo cercasse il suo sguardo. E così fu.
Konstantin Winkel la fissò, immobile. Un solo sopracciglio alzato.
Maddalena Aicardo sostenne il suo sguardo. Un improvviso afflusso di sangue le imporporò le guance accaldate e con esso si riaffacciò la determinazione, quel carattere che credeva aver perduto per sempre, tra le svolte di un destino beffardo.
«Il matrimonio sarà dichiarato nullo» continuò, spietata. «Io sono pronta a ritirarmi in convento, se lo ritenete opportuno».
Mentì,   sapendo di mentire.
Sul volto del vescovo calò una maschera imperscrutabile. Poi, inaspettatamente, una risata gorgogliante e un paio di falcate e l’uomo la raggiunse.
Le sollevò delicatamente una mano e se la portò alle labbra, sfiorandola appena, per poi chiuderla tra le mani giunte e rispettare un momento di silenzio.
Un sorriso bieco gli piegava le labbra sottili, mentre le palpebre, calate sugli occhi, celavano i suoi pensieri più reconditi.
«Consumato o meno» mormorò accentuando il sorriso, «nessuno oserà mettere in dubbio la virilità del tuo povero marito» disse. «E se anche fosse… » la trapassò improvvisamente con lo sguardo «Sistemeremmo le cose come meglio ci aggrada» ammiccò velando di dolcezza una minaccia.
Lena sollevo il mento esponendosi spudoratamente a quello sguardo, torvo e tagliente come non lo aveva mai visto.
«In quanto a te, mia pupilla…» proseguì il vescovo, « Porterai il lutto, come si conviene, e ci faremo carico del tuo nuovo titolo e del patrimonio dello sfortunato marchese. E non appena i tempi saranno maturi, suggellerai un nuovo contratto matrimoniale» rivelò stringendole la mano. «E’ questo il tuo dovere, rammentalo» concluse con un tono che non ammetteva repliche.
Lena inspirò profondamente, sdegnata, cercando di liberare la mano dalla morsa del vescovo, le cui poco velate minacce non ottennero di renderla più docile.
«Edelbert è morto… Il vostro protetto è accusato del suo assassinio e voi non pensate che al patrimonio e al dovere…» lo sfidò apertamente, senza tuttavia riuscire a divincolarsi.
«Edelbert ha fatto esattamente quello che doveva fare e in quanto a Johannes…» il vescovo lasciò la frase in sospeso, mentre una smorfia  alterava i tratti del suo profilo perfetto «Ha tradito la mia fiducia» riprese, dissimulando una profonda irritazione. «Ma non è più un mio problema…» affermò, deciso a chiudere il discorso.
Lena avvertì il battito accelerato del cuore arrivarle fino in gola, spezzandole il respiro. Johannes era stato giudicato senza appello, dunque.  E non per l’assassinio di Edelbert, ma perché macchiato di un reato ben più grave, agli occhi del vescovo. La disobbedienza!
Eppure, ne era certa, Konstantin Winkel ignorava ancora qualche passaggio di quello che credeva essere un complotto ordito alle sue spalle dall’uomo che più di ogni altro avrebbe dovuto essergli fedele, sempre. Solo il pensiero di compromettere Justus la trattenne dall’andare oltre. Dal girare temerariamente il coltello nella piaga del vescovo, dando libero sfogo alla delusione e alla collera che si portava dentro.  Di confessare i sentimenti che la legavano a Johannes, di avergli ceduto carnalmente così come non era accaduto con il suo povero, indesiderato ma legittimo marito…
Avvertì tutta l’irrazionalità della situazione, le parole del vescovo riecheggiarle nelle orecchie e, con disgusto, ebbe la certezza di essere semplicemente una marionetta nelle mani di un abile stratega.
«Fantocci…» mormorò, le labbra che tremavano per l’indignazione. «Solo questo siamo sempre stati, dunque» sorrise, reclinando leggermente il capo e lo sguardo. E dopo un attimo di silenzio, carica di disprezzo, incalzò: «E’ solo questo che sono per voi? Solo un fantoccio?»
Konstantin Winkel avvertì un leggero formicolio alla mascella e il respiro farsi più pesante. Le sfiorò l’ovale del viso con la mano libera e sorrise a sua volta.
«Uno splendido fantoccio…» sussurrò al suo orecchio, vinto dall’irritazione e dal livore. Poi si ritrasse a guardarla ancora negli occhi, intrattenendosi con una ciocca dei suoi capelli scuri. «Splendida e testarda come tuo padre», disse d’un tratto,  calando finalmente la maschera indossata fino a quel momento. «Ma ero stato avvertito. Tua madre mi aveva messo in guardia in merito al tuo carattere ribelle», le carezzò nuovamente il volto e lei si ritrasse istintivamente.
L’uomo emise una risatina divertita.
«Tua madre… Lei sì che si dimostra compiacente… Consapevole del proprio ruolo di donna», la schernì afferrandole bruscamente il volto e costringendola di nuovo a guardarlo. «Avresti dovuto imparare qualcosa da lei» ringhiò a fior di labbra, trasfigurato dalla collera.
«Pensavo che finalmente avessi capito quale fosse il tuo posto e il tuo potenziale. Che avessi intuito come usare a tuo e a nostro favore le grazie di cui generosamente disponi…» ne soppesò la piacevole figura con lo sguardo torvo. «Ma non è così, evidentemente. E me ne dispiace. Le occasioni vanno colte…» affermò.  
«Tutta la vostra generosità…» sibilò Lena di rimando «Tutto il vostro affetto… non sono che una sordida farsa!»
Konstantin Winkel la guardò fissamente negli occhi. Le labbra piegate in un accenno di sorriso. Indecifrabile.
Poi l’attirò a sé, le afferrò entrambi i polsi e li sollevò a mezz’aria,  fino a che le mani di lei non furono all’altezza del suo viso e, volgendosi verso la porta, richiamò l’attenzione di Erasmus rimasto per suo volere in disparte.
«Le guardie!» ordinò con voce greve. «Svelto» disse inducendolo a chiamare gli armigeri.
Qualche attimo più tardi, un manipolo di soldati varcò la soglia della stanza e prese in consegna quella che era stata la pupilla del vescovo, rea, a suo dire, di averlo aggredito.
«Voglio credere sia stato il dolore per la tua recente perdita a farti sragionare» commentò in tono volutamente rammaricato « Ma come vescovo, è mio  preciso dovere indagare ogni caso di presunta eresia» disse come per giustificare la richiesta di reclusione. «Ve ne prego…» concluse poi prendendo mestamente posto sullo scranno e  rivolgendosi direttamente agli armati, «Usatele dei riguardi. E’ pur sempre la mia protetta»
 
***
 
Justus attraversò la piazza d’armi, raggiunse il corpo di guardia, bussò tre volte alla porta e attese che qualcuno gli aprisse e gli spiegasse il reale contenuto del messaggio che il capitano Kraft gli aveva fatto recapitare.
«Ti aspettavo, prete» lo accolse Heinrich, fissando il volto trafelato e pallido del giovane chierico.
«Lei dov’è? » domandò Justus, senza preamboli.
Il capitano accennò col capo alla porta chiusa in fondo alla stanza dalla quale si aveva accesso alle prigioni.
Ancora fermo sulla soglia, Justus si passò una mano tremante tra i capelli biondi, poi si massaggiò la nuca e la base del collo.
«L’accusa?»  domandò con voce flebile ma ferma.
Seguì un lungo attimo di silenzio, durante il quale Heinrich catturò di nuovo lo sguardo del chierico.
«Eresia» disse, serrando immediatamente dopo la mascella.
Le narici di Justus si allargarono, nel penoso tentativo di immettere più rapidamente aria nei polmoni. L’armigero lo invitò ad entrare e
il ragazzo si fermò al centro della stanza. Il capitano si chiuse la porta alle spalle.
«Cosa sta succedendo? » domandò.
Justus ignorò la sua richiesta.
«Portami da lei» lo pregò, azzardando un passo verso il corridoio che scendeva alle prigioni.  
Heinrich lo afferrò per un braccio, trattenendolo. Certo, così, di costringerlo a voltarsi. Ma il chierico rimase impassibile. Solo allentò la tensione delle spalle e il capitano emise una sorta di brontolio sommesso.
«Devi darmi una spiegazione, prete… » gli intimò. «Prima Johannes e adesso madonna Lena. Te lo ripeto: cosa sta succedendo? »
Justus chinò lentamente il capo. Espirò, emettendo tutta l’aria che aveva trattenuto fino a quel momento nei polmoni. Sentì le palpebre pesanti.
Infine si decise a raccontare quanto necessario affinché il soldato continuasse a fidarsi di lui e, soprattutto, rimanesse fedele ai suoi  fratelli.
Terminato il racconto, Heinrich cadde pesantemente sulla panca accanto al tavolo.
«Non sono certo di cosa il vescovo sappia e cosa semplicemente intuisca» continuò Justus. «Ma sono certo che Johannes è innocente e non dubito della fede di Maddalena Aicardo»
L’armigero si passò una mano sul mento, accarezzando l’ispida peluria bionda che lo ricopriva e desiderò ardentemente un boccale di birra. Amara e carica di schiuma.
«Ho messo uno dei miei uomini alle calcagna del convoglio» disse inaspettatamente, lo sguardo rivolto alle tavole di legno grezzo del pavimento. «Ma non nutro molte speranze», confidò.
Poi, sollevando gli occhi su Justus, tornò a preoccuparsi della sua nuova e inattesa ospite.
«Non dovrebbe essere il tribunale a confermare l’accusa di eresia?» domandò perplesso e amareggiato.
Justus inspirò profondamente.
«Non in questo caso» disse. «Essendo coinvolto il vescovo in persona, lui stesso può giudicare e condannare l’accusato».
Heinrich strinse le mani, che teneva appoggiate sulle cosce, a pugno. Si sentiva inerme e questo lo infastidiva.  
«E’ certo che entrambi hanno perso i favori del loro padrino… » ironizzò con un cinico sorriso. «E tu? Cosa mi dici di te, prete? » domandò a bruciapelo, agganciando lo sguardo del chierico.
Justus sollevò leggermente il mento.
«Ti prego… » rispose sostenendo lo sguardo greve del capitano. «Portami da lei».
 
------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 
 
 
IL CONFESSIONALE (ossia, l’angolo dell’autrice):
 
Se siete giunte fino a queste note, avrete collezionato una serie di informazioni utili alle prossime supposizioni, immagino!
Per quanto mi riguarda, parto con una confessione: MAI CAPITOLO FU PIU’ DIFFICILE! Perché siamo giunti ad uno snodo importante? Forse… Ma soprattutto perché la protagonista è tornata prepotentemente LENA e si sa, mi trovo MOOOOOOLTO più a mio agio con i personaggi maschili! Fortuna che nel finale, Justus e il neo-capitano Kraft mi hanno fatta rilassare un po’… Comunque, dal prossimo capitolo sarà tutto molto più facile e le parole sono già qui che premono per uscire!
Ma veniamo alla storia… definireste tutto questo un “colpo di scena”? O ve lo aspettavate?
Intanto che ci pensate, io mi rimetto all’opera… Ve l’ho detto che le parole del prossimo capitolo scalpitano per uscire (cari i miei “ragazzi”)!!!
A prestissimo,
Sabrina 

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** Incanto ***


Capitolo 21 - Incanto
 
 
Justus rallentò il passo, temendo che il battito tumultuoso del proprio cuore si rivelasse chiaro e forte nel silenzio opprimente delle segrete.
Si fermò in fondo alle scale. Laddove lo stretto corridoio di pietra si apriva sulla grande stanza suddivisa in piccole celle. Un fastidioso indolenzimento alle gambe lo trattenne dal raggiungere d’impeto la donna che stava cercando.  Sospinse allora lo sguardo oltre la volta, seguendo il percorso irregolare della parete. E la trovò mentre, inconsapevole di essere osservata, passava lentamente una mano tra i lunghi capelli scuri, sciolti sulle spalle, districando le ciocche che intessevano mirabili arabeschi sulla pelle chiara, dolorosamente luminosa in contrasto con l’abito di tessuto nero. Dalla bocca di lupo, una luce opaca irradiava la cella, rivestendo Maddalena Aicardo di un’aurea evanescente.
Soggiogato da quella visione, Justus ne percorse l’intera figura, vinto dalla sua avvenenza. E nel seguire il percorso, inconsciamente sensuale e lascivo, di quella mano che indugiando sul collo esile e bianco scendeva poi a sfiorare distrattamente il seno, si scoprì a schiudere le labbra. A trattenere il fiato.
Vacillò, corrugando la fronte e inspirando profondamente fino a quando la voce di Heinrich, immobile sino ad allora alle sue spalle, spezzò l’incanto.
«Avanti!» lo esortò brusco l’armigero, oltrepassandolo e dandogli libero accesso alla cella.
Justus annuì e con lo stesso cenno del capo ringraziò Heinrich che si affrettò a lasciarsi soli.
In piedi, in fondo alla piccola stanza, Lena non si era mossa di un passo, limitandosi a rivolgere al chierico uno sguardo profondo e distaccato al tempo stesso, ombreggiato dalle lunghe ciglia scure.
«Fratello Justus» mormorò senza tradire alcuna emozione.
La sua bellezza era disarmante. Le spalle erette, l’espressione accigliata, le labbra serrate, imbronciate.
Justus finì nuovamente avvinto dal fascino di quegli occhi nocciola. Occhi che avevano perso ogni traccia di timore, di rassegnazione. Ardenti come la prima volta che lo avevano catturato, penetrandogli l’anima.
«Non dovreste essere qui» asserì in un soffio, cercando in quello sguardo una complicità della quale non vi era più alcuna traccia.
«Non è quello che pensa il vescovo…» rispose lei, caustica.
Justus avanzò di un passo, accorciando la distanza che li separava in quella cella e rifiutandosi di credere che quella spirituale fosse diventata incolmabile.
«E’ solo un equivoco» mormorò cercando di convincersi della veridicità di quelle parole.
Lena rise sommessamente.
«Non sono più la pupilla di Konstantin Winkel, fratello Justus.  Ma la sua spina nel fianco… visto che non rispondo alle sue aspettative come invece farebbe mia madre» sibilò sarcastica.
«Vostra madre? » quelle parole sfuggirono alle labbra del chierico prima che potesse fermarle.
Maddalena Aicardo sollevò il mento, serrando le labbra con disprezzo e inspirando profondamente l’aria umida delle prigioni. «Non mi sono mai fatta illusioni in merito al mio ruolo di donna. E voi lo sapete. Ma non ho mai pensato di servirmene spudoratamente, facendone pura merce di scambio»  eruppe, la voce vibrante di rabbia. «Ora andatevene! » disse inaspettatamente.
Justus trasalì e lei lo trapassò con lo sguardo. Decisa a respingerlo.
«Non fatemi questo…» lamentò  il chierico, convinto che la donna  avrebbe letto in quelle parole il significato più puro e non quello torbido, indice della sua debolezza.
«Non è a voi che sto facendo un torto» rispose lei, come previsto. «Non pensatelo. Mai! » aggiunse, sapendo di non potersi sbilanciare oltre. «Ma non farò alcun passo indietro. Se è per questo che vi hanno mandato da me».
Justus scosse leggermente la testa, sostenendo fieramente il suo sguardo e le proprie argomentazioni.
«Non sono qui per conto di nessuno», disse. «Se non per me stesso».
Ed era vero. Questa volta. Tremendamente sincero.
Lena accennò un sorriso e volse lo sguardo ad un punto imprecisato della parete di pietra. «Potrei dire lo stesso» ridacchiò, mentre le chiome scure ricadevano in avanti nascondendole parte del volto.
Raggiungendola, inaspettatamente Justus le afferrò entrambe le mani e attirò di nuovo su di sé la sua attenzione, ma il ricordo del vescovo Winkel indusse Lena a sottrarsi bruscamente a quel contatto.
Justus indietreggiò. Tra i due calò un insopportabile silenzio.
«Non permettetegli di farvi ancora del male» la pregò il chierico,  anteponendo ancora una volta il proprio dovere e il bene di lei alla delusione per quel rifiuto.
Maddalena Aicardo lo sogguardò in silenzio. Fredda come non era mai stata. Indecifrabile agli occhi turchesi di Justus.
«Andatevene» ripeté voltandogli le spalle. «Non voglio compromettervi» concluse.
Le labbra del giovane si piegarono in un pallido sorriso.
«E’ tardi per questo» ribatté lentamente, scoprendosi cinico. «Non posso fare a meno di pensare a voi…» disse. Lo sguardo torvo. I pugni stretti lungo i fianchi snelli. Il capo leggermente reclinato in avanti.
Se si fosse voltata, Lena avrebbe visto la disperazione accorata di un giovane uomo esposto alla gogna delle proprie debolezze e desideri. Ma non si volse e con voce ferma e implacabile inflisse a quell’anima persa e trasfigurata una nuova bordata.
«Smettete di tormentarvi, allora» lo esortò. «Non voglio la vostra compassione né la pietà di nessuno. Non ne ho bisogno».
 Le braccia di Justus la circondarono improvvisamente.
Forti e decise, la strinsero fino a farle mancare il respiro.   
Più alto di Lena di una buona spanna, Justus affondò il volto tra i suoi capelli. Annaspò nel suo profumo di donna. Cercò e le sfiorò la gota vibrando a quel contatto, sentendosi al contempo fragile e immensamente potente.
«Otterrò di assistervi, anche questa volta… » le mormorò all’orecchio prima di appoggiare il mento sul capo della donna e desiderare intensamente che il tempo si fermasse in quel preciso istante.
 

---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
 
IL CONFESSIONALE (ovvero l’angolo dell’autrice):
Questa volta, lascerò a voi ogni commento, pensiero e intuizione.
Io, Justus e Lena abbiamo parlato abbastanza, non trovate?
Meglio lasciar decantare…
A voi mie care lettrici – manifeste o silenti!
Un abbraccio (forte come quello di Justus) e al prossimo capitolo… altre parole che premono per uscire!

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** Brame ***


Capitolo 22 – Brame
 
 
Justus si rivestì. Lentamente.
La stoffa ruvida del saio gli graffiò la pelle, trascinandosi impietosa sulle ferite aperte e strappandogli una smorfia di dolore che stentò ad abbandonare il suo volto pallido e madido di sudore.
Soffriva. E per questo provò un’intima soddisfazione, mitigata dall’amara consapevolezza di quanto fosse inutile quella stessa sofferenza. Inutile! Si disse, perché il ricordo di quel corpo morbido non lo abbandonava. Il profumo di quei capelli scuri lo inebriava. Ancora e ancora. Facendolo sentire preda di un sortilegio, un incantesimo che la sua volontà non era riuscita a spezzare.
E niente di tutto questo era giusto.
Era consapevole delle proprie debolezze. Della propria vulnerabilità in quanto uomo. E lo accettava. Così come gli avevano insegnato i suoi maestri. Riconoscere per evitare…
Ma non era il desiderio a impensierirlo, nonostante fiaccasse la sua forza, la sua mente, la sua Fede… Poteva accettarlo, sì. Poteva concedersi di amare… fino a quando fosse rimasta un’innocente distrazione. Fino a quando si fosse posto dei limiti e li avesse rispettati. Certo. Ma non poteva permettersi di desiderare quella donna…
Tutte. Ma non quella.
Eppure, ogni fibra del suo corpo reclamava e bramava  il tepore di quell’abbraccio peccaminoso, nei meandri umidi e freddi di una desolante prigione. Un corpo pronto ad accendersi come non lo era mai stato. Più le sue braccia indugiavano in quella stretta, più il suo corpo reagiva, chiedeva, pretendeva. E allora aveva pregato intensamente perché entrambi  dimenticassero Johannes. Perché il tempo si fermasse mentre erano esattamente lì… insieme.
Quella che seguì, fu invece una dolorosa consapevolezza. La necessità di allontanarsi da quella figura sensuale che non rispondeva alle sue richieste…
Deglutì.  Un movimento e la stoffa del saio gli strappò di nuovo sussulto.
Un sospiro flebile, un moto di disgusto e lo sguardo cercò il flagello, abbandonato sul letto.  Si disprezzò, vergognandosi per il modo in cui aveva deprecato Johannes quando era ricorso allo stesso rimedio. Quando, nella stessa cella e nella stessa complice penombra, ne aveva medicato le ferite del corpo e dell’anima.
Johannes…  pensò, e uno spasmo violento gli strinse lo stomaco.
Abbassò le palpebre. Espirò.
Il senso di colpa lo divorava. Lo consumava più del desiderio che nutriva per quella giovane donna bruna dagli occhi di brace.
Serrò le labbra riarse e afferrò da una mensola due vasetti che si nascondevano dietro un prima fila di bricchi e di ampolle. Sbriciolò un pizzico del loro contenuto in un piccolo mortaio di marmo e iniziò a pestare e a mescolare. Dosando, mano a mano, gli ingredienti con dell’acqua. Una stilla di sudore gli percorse la guancia, partendo dalla tempia, alla base dei sottili capelli biondi.
Albeggiava.
Guardò cupamente il composto ottenuto, poi si preparò per uscire.
 
                                                                                                       ***
 
Un nuovo colpo di tosse. Un dolore forte al petto. Un brivido.
Maddalena Aicardo ravviò i capelli, passandosi poi una mano sulla fronte gelata.
Fratello Justus ritirò il piccolo boccale dalle sue mani. Finalmente vuoto.
«Tornerò tra qualche ora» disse accennando l’ombra di un sorriso. «Voi cercate di riposare, nel frattempo».
Lo sguardo di Lena, febbricitante, si accese per un attimo di scherno.
«Non ho molto altro da fare, quaggiù» asserì allargando un braccio ad indicare lo spazio messo a sua disposizione.
Ad un paio di giorni dalla partenza del convoglio che le aveva portato via Johannes, forse per sempre,  e dall’incarcerazione, niente sembrava essere cambiato.  Nessuna notizia dell’uomo che amava e nessun passo indietro da parte del vescovo.
E nonostante l’impegno del nuovo comandante a rendere sopportabile il suo inaspettato soggiorno nelle carceri cittadine, la desolazione delle segrete apparì disarmante.
«Riposate» ripeté Justus adombrandosi e voltandole le spalle senza aggiungere altro.
E mentre il chierico lasciava la cella, un nuovo colpo di tosse ruppe il silenzio umido.
Colto  da un attimo di esitazione, Justus si fermò. Poi, lottando contro un opprimente senso di nausea e il desiderio di voltarsi e stringerla ancora tra le braccia, finalmente si allontanò lasciandola sola.
Lena ne seguì la figura, fino a quando una volta di pietra ruvida non la nascose al suo sguardo.
Arretrando, cercò con una mano il sedile di legno su cui uno scrupoloso Heinrich aveva fatto adagiare un pagliericcio perché ne mitigasse la durezza.  Sedette senza smettere di guardare verso le scale che la separavano dalla luce del giorno nascente.
Le visite di fratello Justus, sempre più frequenti, erano di contro sempre più brevi. Pensò allora al suo distogliere lo sguardo quando lei lo cercava.  Ricordò il suo abbraccio. Impulsivo e forte.  E i suoi occhi nocciola, arrossati e lucidi, si adombrarono.  Sollevò il mento. Si passò una mano sul collo indolenzito e teso. Era stanca. Stanca anche di perdersi in quei fastidiosi pensieri. Stanca di ipotesi e di complotti. Desiderò di svuotare la mente. Bramò il silenzio dell’anima. Si addossò con la schiena al muro, avvertendone la ruvida e fredda consistenza. Socchiuse le palpebre ricavandone un immediato sollievo. Non voleva pensare. Non desiderava sapere. Non ora. Non in quel momento.
Stanca, il petto scosso da brevi singulti, scivolò in un sonno profondo.
 
                                                                                                         ***
 
«Hai qualcosa da dirmi?» esortò il vescovo, esortando Erasmus con un’occhiata severa. .
Il segretario finse di non cogliere la nota aspra della sua voce.
«Vi vedo affaticato, se me lo permettete» rispose zelante, sistemando le pergamene sparse sulla scrivania.
Il vescovo si concesse un mezzo sorriso sprezzante e tornò a fissare lo sguardo lontano.
«Qualcuno che si preoccupa per me! » si schernì. «Sembra che ultimamente tutti facciano a gara per deludermi… » brontolò, stizzito. Poi ridacchiò tra sé. «Non tu, segretario. Fedele come una sguattera»
«Non io» confermò l’ecclesiastico, deciso a ignorare ogni provocazione del vescovo. «E nemmeno il Boemo… » azzardò, desiderando maggiori informazioni su quella misteriosa e inquietante figura.  
Konstantin Winkel voltò appena la testa e lo sguardo in direzione del giovane e sfacciato segretario.
«Non parlare di cose che non conosci e che non ti riguardano» lo redarguì con un ringhio sordo, prima di tornare a scrutare il cielo oltre il vetro della trifora.
Sfacciato ma non completamente stolto, pensò. Perché in effetti, Ludwig si stava rivelando un complice più fedele di quanto avesse immaginato. Quali che fossero le sue reali intenzioni…


-------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
IL CONFESSIONALE (ovvero, l'angolo dell'autrice):

Leggendo le mie storie (qui o sul fandom "oscariano"), vi starete sicuramente chiedendo se sono una fan sfegata di docce o bagni gelati e di auto-flagellazione, eheheheh. Diciamo che... "non sono cattiva. Mi disegnano così!"
Scherzi a parte, credo che in questo momento tutti i personaggi di questa storia abbiamo qualche problema da risolvere. Anche più di uno... Volete aiutarmi a dar loro una mano, raccogliendo gli indizi, i segnali e i nuovi tasselli disseminati tra queste righe? Aspetto le vostre supposizioni, come sempre!
E come sempre, un GRAZIE ENORME a tutti i lettori - recensori o silenti - che sono giunti fino a qui. Voglio rassicurarvi!  Ancora un pizzico di pazienza, una manciata di capitoli e tutti i tasselli saranno al loro posto... o quasi.

A presto,
Sabrina 

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** Confronto ***


Capitolo 23 –  Confronto
 
 
Barbagli di luce tra le ciglia chiare e il giorno raggiunse tremolante i suoi occhi celesti.
Ludwig sollevò le palpebre bruscamente, la testa e poi le spalle, sciogliendosi  dall’abbraccio tiepido del mantello nel quale aveva trascorso la notte. Contro la schiena, il tronco ruvido dell’albero, solido sostegno di uno sfiancante dormiveglia.
Maddalena Aicardo aveva popolato i suoi incubi. I suoi occhi scuri lo avevano accusato, orgogliosamente, e il suo bel viso si era presto confuso con quello più nordico, ma altrettanto attraente, di una giovane donna bionda.
L’uomo si passò una mano sul mento, avvertendo il fastidioso pizzicore della barba incolta, e con quel gesto cercò di scacciare dagli occhi il ricordo di quelli dolci e un po’ tristi di una vecchia levatrice, che incrociavano i suoi per poi sciogliersi in una morsa che gli attanagliava lo stomaco.
Serrò la mascella, nauseato dalle ombre che popolavano il suo passato.  
Scattò in piedi e calò pesantemente il cappuccio sul capo, prima di avanzare  di un paio di passi. Definitivamente sveglio.
Con il palmo di una mano, sfiorò il ventre caldo del cavallo che brucava placido accanto al suo giaciglio. Poi, scivolò nel folto del bosco, fermandosi prima di raggiungere la  radura e il bivacco allestito dal convoglio funebre.
Seguì con lo sguardo il rituale della sveglia, lo stesso che si ripeteva ogni mattina, e cercò Johannes.
Lo trovò. I polsi legati, il capo eretto, accompagnato per un braccio da un soldato che intendeva farlo rientrare in quel piccolo carro coperto che da giorni era diventata la sua prigione.
Da quando erano partiti, Johannes non aveva dato segno di cedimento. Non una parola, non un gesto, non un lamento.
Notevole, pensò il boemo socchiudendo le palpebre, quasi a mettere meglio a fuoco ogni dettaglio.
Ma questo non lo avrebbe salvato, considerò cinicamente. Anzi.
Se proprio doveva essere sincero, per la prima volta dopo anni, Ludwig  si sarebbe trovato ad avere un motivo per uccidere.
Un motivo personale…
Sollevò lo sguardo verso il cielo. Gli strali violacei, strascichi della notte appena trascorsa, si stavano velocemente stemperando nella luce del giorno nascente.
Era arrivato il momento di mettersi in marcia.
Per l’ultima volta, pensò, e un sorriso gli sfiorò le labbra.
Rapido e silenzioso tornò sui propri passi. Montò in sella e attese che il convoglio ripartisse. Allora, incitò dolcemente il cavallo perché lo seguisse, mantenendosi ad una certa distanza, e godette della sua andatura cadenzata, senza perdere di vista la carovana. Ma non appena la compagnia raggiunse la boscaglia e si trovò sormontata e stretta nella morsa di un intricato gioco di rami, emise un fischio acuto e modulato.
Un attimo dopo, il convoglio venne assaltato.
 
***
 
Lo sguardo del vescovo Winkel indugiò impassibile sulla figura sofferente di Maddalena Aicardo, ancora chiusa nel suo silenzio assordante. Un silenzio carico di accuse e di deplorazione che gli occhi nocciola, cerchiati, arrossati, e incastonati in un volto sempre più pallido non gli lesinavano.
Indifferente a tutto questo, Konstantin Winkel le girò le spalle e abbandonò le prigioni.
Compiacente o meno che fosse, l’ormai ingente patrimonio di quella ragazza gli apparteneva di diritto.
Con la morte di Edelbert, Lena ereditava i beni del marchese e qualunque fosse stata la sua decisione in merito, in qualità di tutore o di vescovo accusatore, Winkel li avrebbe presi comunque in carico.
Salendo la breve rampa di scale che lo avrebbe ricondotto in superficie, Konstantin afferrò bruscamente le gonne purpuree e strinse istintivamente la mascella, indispettito.
Che si lasciasse morire! Se questo era il suo desiderio, pensò. Lei o un’altra poco importava. Bastava guardarsi attorno, per trovare nugoli di ragazze celibi da assoggettare alle proprie intenzioni. Meglio, dunque, qualcuno di più malleabile…
Sua madre, la vedova Aicardo, se ne sarebbe fatta una ragione. In fondo, una lauta ricompensa e qualche promessa sussurrata nell’intimità avrebbero lenito qualunque delusione o sofferenza in merito.
Un sorriso bieco gli piegò le labbra. Da quanto tempo non si concedeva una riposante visita a Ivreja?
Un afflusso di passione gli scaldò improvvisamente il petto e il suo pensiero si scontrò inaspettatamente con Johannes, condannato dall’amore di una donna.
Peccato, si disse, il coraggio e l’integrità di quel ragazzo gli sarebbero stati davvero utili, se solo si fosse lasciato manovrare fino in fondo.
E invece si era lasciato incantare da una femmina, da una fatae. La donna sbagliata, purtroppo. E quello stolto aveva rischiato di mandare in fumo i piani di una vita…
I caratteri forti, in fondo, erano difficili da piegare. Lo sapeva bene, Konstantin. Ma bastava disfarsene. Sorrise malignamente. L’importante era liberarsene in tempo. Eliminare ogni figura scomoda.
E Johannes, ormai, non era più un problema…
 
***
 
Ludwig era stato chiaro fin dal principio. Nessuno dei briganti, assoldati lungo il cammino,  si sarebbe dovuto avvicinare al prigioniero.
Johannes era suo. Soltanto suo!
Con un ringhio sordo, levò dunque il braccio contro chi stava rompendo l’accordo.
«No!» tuonò, scaraventandolo a terra. «Lui è mio!» ricordò, scandendo ogni parola.
Poi afferrò bruscamente Johannes per le corde che gli stringevano i polsi e lo trascinò lontano dalla mischia. 
Fu solo quanto si ritenne al riparo da occhi indiscreti, che la spada di Ludwig si abbatté sulle corde, liberando il prigioniero. Subito dopo, il boemo gettò a terra un’arma e lo invitò a servirsene.
«E’ inutile che mi guardi!» sogghignò, rispondendo aspramente alle tacite domande del giovane. «Non mi conosci».
Deciso a rimandare le presentazioni, Johannes tentò di raggiungere i cavalieri di Turinja, intenzionato a dar loro manforte, ma
Ludwig, gli bloccò la strada parandoglisi davanti con il cavallo.
«E’ di me che ti devi preoccupare, adesso» lo schernì, smontando prontamente di sella.
Poco incline ad approfondire quella conversazione, Johannes gli lanciò un’occhiata torva.
«Devo? » ironizzò, impaziente.
«Sono qui per te…» rispose l’altro, puntandogli minaccioso la spada al petto e girandogli attorno, lentamente. Come volesse studiarlo con attenzione. «Per ucciderti», concluse.
Irritato da quell’atteggiamento e dal temporeggiare dello sconosciuto,  più che dalle sue sconclusionate parole, anche Johannes si prese il tempo necessario ad osservarlo, giudicandolo in breve un avversario temibile.
Alto e prestante, il cavaliere aveva uno sguardo freddo e tagliente. Movimenti agili e decisi, dettati dall’esperienza, che lasciavano intendere un’innata capacità di offesa.
«Per conto di chi?» ribatté, allora, provocatorio.
Le labbra di Ludwig si piegarono in un sorriso di scherno che sollevò leggermente la lunga cicatrice sulla guancia sinistra.
«Ti servirà a poco saperlo» mormorò.
«Voglio solo il nome di chi dovrò cercare… » specificò Johannes. Gli occhi grigi impenetrabili e la voce roca, profonda e incredibilmente tranquilla.
Ludwig dilatò impercettibilmente lo sguardo. Compiaciuto dalla sua sicurezza, se non dalla sfrontatezza.  Così come già ne aveva apprezzato l’orgoglio e la determinazione.
E questo lo infastidì.
Si abbatté su di lui con un primo colpo e subito dopo un secondo.
Johannes parò il primo e indietreggiò per evitare l’altro.
Il boemo ebbe così modo di saggiarne la forza e la scaltrezza. Esattamente quello voleva.
Si fermò, facendo roteare la grande spada dalla lama perfetta, sogguardando l’avversario come un lupo avrebbe guardato la preda. Le labbra dischiuse, il mento leggermente alzato. Poi chinò la testa di lato, sul petto, serrò la mascella e il taglio di un sorriso cattivo gli attraversò il volto affilato.
Quello che seguì fu uno scontro carico di tensione e di rabbia. Uno scontro fisico e serrato, tanto da togliere il fiato a entrambi.
«Perché non approfittarne quando ero legato!» ansimò Johannes.
«Troppo facile» rispose l’altro, arrivandogli inaspettatamente  sotto. «E meno interessante», concluse sapendo bene qual era, invece, la risposta sincera a quella domanda.
Voleva guardarlo negli occhi, conoscerlo, avere la meglio su di lui, dimostrandogli la propria superiorità. Annientarlo.
Questo era il motivo.
Ammazzarlo a tradimento non gli avrebbe portato alcun beneficio.
Lo avrebbe ridotto a un numero. Uno tra i tanti a cui aveva tolto la vita per molto, molto meno…
Quello che Ludwig cercava, con Johannes, era un confronto. Un faccia a faccia rimandato per anni.
Approfittando di un’inaspettata esitazione dell’avversario, Johannes lo respinse facendo leva sulle braccia, ma il boemo era scaltro, oltre che agile, e non si lasciò sopraffare.
Le spade si incrociarono ancora e il loro clangore riempì il silenzio della piccola radura, fino a quando il boemo riuscì a stringere Johannes contro il tronco di un albero secolare.
Johannes trasalì. Il sorriso famelico di Ludwig a ghermirlo, avido.
Poi, con la coda dell’occhio, colse il riflesso di una lama alle spalle del suo assalitore e riconobbe inaspettatamente nel nuovo arrivato un soldato di Rosenburg.
Con un colpo di reni si liberò dall’assedio,  in tempo per frapporsi tra questi e il boemo.
«No! » ringhiò, fermando l’irruenza del giovane soccorritore.
Ludwig sussultò, scartando di lato.
Sorpreso, incolume ma irritato, spostò lo sguardo dal soldato di Rosenburg a Johannes.
«Troppo facile e meno interessante» rispose questi alla sua tacita domanda, senza mai smettere di guardarlo negli occhi.
Autoritario, diede ordine al ragazzo di allontanarsi e si mise di nuovo in guardia. Pronto all’ennesima esplosione di rabbia del boemo che non si fece attendere.
Ludwig serrò la mascella. Il respiro corto, collerico.
Si scagliò contro Johannes, l’elsa impugnata con entrambe le mani. Poi lo mancò. Intenzionalmente.  E abbatté la lama sul terreno aspro e sassoso, assorbendo senza battere ciglio le vibrazioni di quel colpo violento e deciso.
Trascinandosi dietro la spada, si fiondò su Johannes.
«E’ per questo che ha scelto te? » sbraitò, afferrandolo per il bavero con la mano sinistra. «Per la tua lealtà? Il tuo coraggio?» continuò digrignando i denti, gli occhi celesti ridotti a due feritoie cariche di un rancore violento.
Poi espirò e un’inattesa freddezza mitigò la sua espressione.  
«Ma forse è solo perché sei uno stolto… » rise sommessamente.
Mollò la presa. Arretrò di un paio di passi e rinfoderò la spada.
Johannes restò immobile. Lo sguardo torvo e la fronte corrugata  di chi cerca di comprendere.
«Tieni davvero a quella donna? »  gli domandò inaspettatamente il boemo, con tono greve.
Ma non ebbe bisogno di risposte.
Il guizzo di terrore e determinazione che aveva attraversato lo sguardo di Johannes parlò per lui.
«Vattene! » ringhiò allora. «Va’ da lei» ripeté, voltandogli le spalle nel raggiungere il proprio cavallo. «Quel tuo amico frate non sarà in grado di proteggerla» lo scacciò, sottolineando le  parole con un gesto brusco del braccio. Un gesto plateale che cercava di scacciare, al contempo, gli strascichi molesti dei suoi incubi.
«Chi sei?» domandò finalmente Johannes, disorientato da quell’atteggiamento ma intenzionato a capire.
Il boemo volse appena la testa e lo guardò da sopra una spalla, valutando l’opportunità della risposta.
«Saremmo potuti essere fratelli »  sogghignò infine. «Ma un figlio bastardo non serve a niente» asserì, cinico. «E’ solo un intralcio. Meglio due sconosciuti scampati miracolosamente alla peste. Orfani e devoti» concluse prima di montare in sella.
Dall’alto, concesse ancora uno sguardo a Johannes.
«Il destino, a volte, sa essere beffardo… » rise  «E quei figli prediletti stanno ribellandosi. Uno dopo l’altro… », poi tacque. Non aveva null’altro da aggiungere.
Si piegò, avvicinandosi alle orecchie frementi del cavallo e con una carezza gli sussurrò qualcosa. Un debole nitrito e Ludwig sollevò una mano in un cenno di saluto.
Con la morte di Edelbert, aveva così finito di assecondare i capricci del vescovo. E se aveva fatto bene i suoi calcoli, gli restava un ultimo incarico da assolvere…




--------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

IL CONFESSIONALE (ovvero, l'angolo dell'autrice):

Tanti piccoli dettagli sono stati finalmente svelati, in un capitolo che vede quasi un solo protagonista: il BOEMO.
Perdonerete questa sorta di "assolo", ma era necessario, arrivati a questo punto.
E ora, come sempre, il mio GRAZIE a tutti i lettori che hanno avuto la pazienza di seguirmi fino a qui. Ancora qualche capitolo e tutti i nodi verranno al pettine!

A presto,
Sabrina 

Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** Requiem ***




Capitolo 24 – Requiem


 
Leggerezze…
Il vescovo Winkel si passò una mano sul mento, prima di ricondurla in grembo all’altra che l’attendeva, severa, dietro la schiena.
Sciocche leggerezze… Imprudenze che, a quel punto della sua vita, avevano rischiato di minare la sua reputazione.
Quel maledetto boemo… Tanto simile alla madre nei tratti, quanto nell’ostinazione. L’ostinazione che aveva dimostrato nel farlo nascere…
Konstantin serrò la mascella. Trasfigurato dalla rabbia a stento repressa nel ripercorrere gli eventi nei quali era stato subdolamente trascinato, trent’anni prima, a causa di quella donna...
Una leggerezza, si ripeté. Una relazione clandestina e interessante che lo avrebbe di certo condotto un gradino più in alto, nella scala politica e sociale del Paese, se quella stupida non fosse rimasta gravida proprio durante l’assenza del principe, suo marito.
Una femmina deliziosa. Un’amante mite e remissiva. Una giovane gatta che aveva a un certo punto estratto e affilato le unghie, minacciando di rovinarlo se fosse successo qualcosa, qualunque cosa, a lei o al bambino che portava in grembo.
Il vescovo Winkel si allontanò dalla finestra, raggiunse lo scranno d’oro e porpora e vi si lasciò cadere pesantemente, allacciando poi le dita sotto al mento.
Ma cosa si era aspettata che facesse? Pensò. Che si prendesse carico e cura di quel figlio bastardo? E a cosa gli sarebbe servito? In quel momento della sua scalata poteva solo essere un intralcio. Se non, addirittura, un lasciapassare per la forca…
Eppure, nonostante i molteplici tentativi, non era riuscito a liberarsene.
«Ludwig…» biascicò velenosamente, aggrottando la fronte ed evocando davanti agli occhi stretti e cattivi l’immagine bionda di quel figlio mai voluto.
Dilatò lo sguardo e roteò gli occhi. Abbeverandosi avidamente di tutto quello che lo circondava.
Fidarsi delle donne? Pensò con un ghigno malevolo. Mai!
Non avrebbe dovuto farlo con Brigitta e tanto meno con quella sudicia levatrice…
Gli mancò un battito. Come quel giorno. Quando i suoi occhi, dall’interno della carrozza che lo trasportava,  avevano intercettato, del tutto casualmente, quelli celesti di un fanciullo biondo… Un giovane straccione che non sarebbe dovuto esistere.
Furioso per il tradimento e le menzogne di quella donna, aveva ordinato di mettere a ferro e fuoco il suo maledetto villaggio.
Ma Ludwig era tornato. Ancora e ancora. A popolare i suoi incubi…
Si portò una mano alle labbra aride e  inspirò profondamente, allargando le narici in un eccesso di rabbia.
Ma ormai non aveva più importanza, espirò. Proprio quel suo figlio bastardo era divenuto il mezzo ideale e insperato attraverso il quale si stava facendo strada verso la più alta gloria terrena: la sede episcopale di Treviri. Il ruolo di Principe Elettore. L’immunità.  
Si addossò allo schienale. Espirò ancora e profondamente e le sue labbra si tirarono in un sorriso compiaciuto.  Socchiuse le palpebre, deliziandosi del dolce nettare di ricordi più piacevoli.
Con la Aicardo era stato tutto diverso. Perché la Aicardo era diversa. Sapeva il fatto suo, quella donna.  Sapeva come darsi e come ottenere qualcosa in cambio. Non voleva intralci. Come lui del resto. Qualcuno avrebbe anche potuto definirla una maliarda. Una strega. Una splendida strega che in cambio di una vita agiata gli aveva ceduto, senza troppi indugi, ogni  diritto decisionale su quella ragazza testarda e bellissima. Ma Maddalena Aicardo non era come Therese…
Un flebile colpo di tosse lo riscattò da quei pensieri, appena prima che diventassero amari come la bile.   
«Parla» ordinò al giovane che si era fermato sulla soglia, alle spalle della seduta.
Erasmus avanzò di un passo. Le mani conserte nella maniche abbondanti.
«Fratello Justus mi prega di avvisarvi che le condizioni di madonna Lena sono critiche» mormorò, quasi fosse timoroso di riempire con la propria voce il silenzio di quella stanza ammantata d’ombra e livore.
Il vescovo annuì severamente.
«Crede che non supererà la notte» concluse il segretario, atono.
Kostantin Winkel, sollevò leggermente un sopracciglio.
«Dammi notizia della sua dipartita, se dovesse accadere» rispose.
«E ora lasciami. Voglio riposare un poco» lo congedò.
Erasmus annuì, come se l’altro potesse vederlo e, rapido, si allontanò lungo il corridoio rischiarato dalla luce abbacinante delle fiaccole.
 
 
***
 
Justus emise un flebile sospiro, pallido e magro come non era mai stato. Consumato nel corpo e nell’anima al pari di Lena che stava lentamente spegnendosi tra le sue braccia.  
Nella penombra della piccola cella, a malapena rischiarata dalle torce che ardevano nello spazio antistante, Maddalena Aicardo respirava a fatica. Rannicchiata sul giaciglio di paglia, la fronte madida di sudore, emetteva un respiro simile a un rantolo che minacciava di fermarsi  ogni volta.
Justus le sedette accanto. E in silenzio, continuò a guardarla.
Ogni gemito di lei era una pugnalata per lui. Eppure, non  poteva farne a meno. Le sarebbe rimasto accanto fino all’ultimo respiro.
Ma quando inaspettatamente la mano di Lena si aggrappò al suo braccio, stringendosi alla stoffa ruvida del saio, il giovane sussultò.
«Johannes…» mormorò lei a fior di labbra. «Johannes…» ripeté a voce più alta, facendo ricorso alle ultime forze che aveva in corpo.
Justus dilatò lo sguardo. La sollevò a sedere sul pagliericcio. Le afferrò il volto con entrambe le mani e la costrinse a guardarlo negli occhi, nonostante lo sforzo che questo le avrebbe comportato.
Lo sguardo spento di Lena sembrò guizzare per un attimo di una luce profonda.
Il loro respiro si confuse.
«Maddalena!»
Fu un’esclamazione disperata e soffocata quella affiorò alle labbra del chierico, mentre il debole accenno di un sorriso ammorbidì quelle di lei.
In un moto d’impeto, Justus la strinse a sé portandosela al petto. La circondò con le braccia tremanti perché non vedesse. Non vedesse le lacrime che gli riempivano gli occhi stanchi e non le sentisse cadere copiose e pesanti come la sua coscienza sul pavimento di pietra.
Affondò il volto tra i lunghi capelli scuri, baciandole la sommità del capo. Teneramente. Convulsamente.
Poi si fermò. Impietrito.
La luce fredda dell’alba ferì la penombra.
Maddalena Aicardo non si muoveva. Non respirava.
Lentamente, Justus si staccò da lei. Ma prima, depose  un ultimo bacio, quasi un sigillo, una tacita preghiera, sulla fronte di quel corpo esanime.
Un vuoto improvviso gli calò nel petto. Opprimente. Levò la testa di scatto e subito dopo uno scalpiccio confuso lo indusse a voltarsi verso il corridoio che conduceva alla porta.
«Fermati Johannes! »
L’ordine di Heinrich cadde nel vuoto.
Come una furia, l’armigero si precipitò giù dalle scale, percorse il budello di pietra e si proiettò come un fantasma nello spiazzo sul quale si aprivano le celle.
«Spostati! » ringhiò allontanando decisamente Justus e strappandogli la donna dalle braccia.
Ma quando la strinse a sé, inginocchiato al suo capezzale, comprese di essere arrivato tardi. Troppo tardi. Le lunghe ciglia scure celavano occhi non ardenti, mentre le labbra dischiuse non trattenevano alcun alito di vita.
Johannes affondò la testa tra l’incavo della sua spalla. Cingendole la nuca con una mano, mentre l’altra stringeva forte quel corpo che era stato suo. Per poco. Troppo poco tempo.
La cullò. Dondolando dolcemente avanti e indietro. Trattenendo in gola il proprio ruggito. Rigettando le lacrime. Chiedendo intimamente indietro l’anima di colei che lo aveva vinto.  
Paralizzato dal suo dolore, Heinrich si era fermato sulla soglia.
«Johannes…» mormorò, senza azzardarsi ad avvicinarsi o intervenire.
Fu Justus  ad osare. Posò delicatamente una mano sul braccio dell’amico. Il volto rischiarato appena da un flebile sorriso.
Johannes lo respinse, poi lo guardò da sopra una spalla, mentre le parole dell’uomo che lo aveva aggredito e poi lasciato andare gli risuonavano forti nella testa.
«Non sei stato in grado di proteggerla…» sibilò a denti stretti. Gli occhi rossi, umidi.
Justus si ritrasse ma continuò a guardarlo negli occhi, mentre scuoteva la testa, come a voler rifiutare quell’accusa.
«Tu e la tua gente…» continuò Johannes, crudele «Me l’avete portata via! » concluse.
«Johannes! » intervenne Heinrich, turbato dal suo atteggiamento e dalla reazione del chierico. «Tu non dovresti essere qui…» si giustificò quando gli occhi grigi di Johannes,  freddi come l’acciaio delle lame più dure, lo trafissero.
Le labbra dell’ex-capitano delle guardie si piegarono in un sorriso cinico e cattivo.
«Nessuno di noi dovrebbe essere qui…» disse.
«Johannes!» una voce acuta e sorpresa si unì inaspettatamente al coro.
I tre uomini, raccolti al capezzale di madonna Lena, si rivolsero contemporaneamente al nuovo arrivato: Erasmus.
Il segretario del vescovo, che aveva raggiunto le prigioni in cerca di qualche novità che lo distraesse dalla noia di quegli ultimi giorni, prima dilatò lo sguardo poi lo strinse in direzione dell’armigero, cercando di dominare l’afflusso improvviso di sangue che gli irrorava il volto altrimenti spento.  «Voi! » osservò, incredulo.
Sollevando un sopracciglio, si domandò se Ludwig avesse fallito o se Johannes, invece, avesse avuto la meglio sul sicario inviato dal vescovo…
Dissimulando irritazione e stupore con una falsa risata, Erasmus raccolse le gonne e avanzò di un passo, mentre alle sue spalle si palesava la sua scorta e un manipolo di guardie.
«Tutti e tre ancora una volta insieme, i pupilli del nostro vescovo!» gracchiò. «Oh! Mi correggo…» chiosò malizioso notando il corpo esanime di Maddalena Aicardo ancora stretto tra le braccia di Johannes « Siete rimasti in due!»
Un attimo dopo aver pronunciato queste parole, Erasmus ebbe l’occasione di sentirsi addosso Johannes come non gli era mai stato concesso prima.
In un impeto d’ira, adagiata delicatamente la sua giovane amante sul giaciglio, l’armigero lo aveva travolto. Afferrandolo minacciosamente per il bavero e costringendolo contro la parete di pietra. Desideroso di stringere le dita attorno a quel collo, di premere e affondare il pollice contro  il pomo d’Adamo  che saliva e scendeva ansiosamente sulla gola del segretario e porre fine alla sua inutile e infausta esistenza.
Heinrich fu pronto a trattenerlo.
Libero da quella morsa, Erasmus non si allontanò subito, indugiando con lo sguardo sul volto trasfigurato dall’odio di Johannes, ancora proteso verso di lui. Provò un brivido. Aggrottò la fronte. Poi indietreggiò terrorizzato dai suoi stessi pensieri che anelavano a un nuovo e più soffocante contatto, foss’anche mortale.
«Guardie! » urlò portandosi una mano alla gola dolorante e disgustato dal proprio desiderio. «Arrestate quest’uomo! »
I soldati, alle spalle di Erasmus, scambiarono uno sguardo con il loro capitano e Heinrich li rassicurò con un cenno del capo.
Non avrebbe potuto aiutare Johannes neppure volendo, in quella situazione, si disse. Ma avrebbe almeno potuto evitare il peggio e per la seconda volta si trovò a trattenere l’amico nel nome della legge o di qualcosa che voleva spacciarsi per tale… 


----------------------------------------------------------------------------------------------------------------

IL CONFESSIONALE (ovvero, l'angolo dell'autrice):

Ci siamo... Siamo alla tornata finale e già sento un po' di magone!
Chi mi segue anche su altri lidi, sa che raffreddore e una serie di impegni di lavoro mi hanno tenuta un po' lontana dal web e causato qualche ritardo. Per MISERERE, direi che aggiungere anche una forte dose di "lacrimucce" trattenute lì, tra le ciglia, al pensiero che tra poco questa storia si concluderà, ha fatto il resto...

Ma non pensiamoci adesso!

Dalle vostre recensioni, ho scoperto che la figura di Ludwig, il Boemo, vi ha colpiti positivamente... INTERESSANTE! 
Ora, se state leggendo queste note è perché avete già letto il capitolo e ve lo posso dire: mamma mia come mi mancava Johannes! Johannes che, pur comparendo anche nel capitolo precedente, aveva dovuto cedere il passo e i riflettori proprio a Ludwig facendo così - e faccio mie le "sacrosante" parole di un'amica - una certa misera figura. Insomma, se Ludwig non avesse deciso di lasciarlo andare, secondo voi, chi avrebbe visto il confronto di spade?

Ringraziandovi sempre per la pazienza e per la costanza nel seguirmi, a presto con quelli che saranno (salvo complicazioni) gli ultimi due capitoli di questa nostra storia...

Sabrina 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3156634