L'ira degli Eroi - The End Zone

di darkronin
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Una luce nel buio ***
Capitolo 2: *** Intrusi ***
Capitolo 3: *** Padri e figli ***
Capitolo 4: *** Ri-Evocazioni ***
Capitolo 5: *** Cuori traditi ***
Capitolo 6: *** Anche le formiche nel loro piccolo s'incazzano ***
Capitolo 7: *** Il Consiglio ***
Capitolo 8: *** Vecchie conoscenze ***
Capitolo 9: *** Costretto ***
Capitolo 10: *** Delitto e castigo ***
Capitolo 11: *** Sentimento e Orgoglio ***
Capitolo 12: *** Conditions normal ***
Capitolo 13: *** Sì o no? ***
Capitolo 14: *** Le teste dell'HYDRA ***
Capitolo 15: *** Angeli metropolitani ***
Capitolo 16: *** Il laboratorio di Essex ***
Capitolo 17: *** Morte certa ***
Capitolo 18: *** Prigionieri ***
Capitolo 19: *** Truppe d'assalto ***
Capitolo 20: *** Il potere di Thor ***
Capitolo 21: *** Vita in morte ***
Capitolo 22: *** Le fiamme dell'inferno ***
Capitolo 23: *** X-Factor ***
Capitolo 24: *** I codici Xavier ***
Capitolo 25: *** Battibecchi ***
Capitolo 26: *** Di re e regine, di ombre e di gemme. ***
Capitolo 27: *** Esposti e vulnerabili ***
Capitolo 28: *** Immersi nell'oscurità ***
Capitolo 29: *** Piani occulti ***
Capitolo 30: *** Trappole ***
Capitolo 31: *** Welcome to the jungle ***
Capitolo 32: *** Six Pack ***
Capitolo 33: *** Altre realtà ***
Capitolo 34: *** Effetto Domino ***
Capitolo 35: *** Take me to the top ***
Capitolo 36: *** Akkaba ***
Capitolo 37: *** Zona Negativa ***
Capitolo 38: *** Versus ***
Capitolo 39: *** Simbionti ***
Capitolo 40: *** Umani, Superumani, Inumani ***



Capitolo 1
*** Una luce nel buio ***


Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Stan Lee, Chris Claremont, Jack Kirby, John Byrne, Dick Ayers e tutti gli altri autori Marvel, della Marvel stessa, dei Marvel studio, Walt Disney Pictures e chialtri mi fossi dimenticata per strada; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

Terza e Ultima parte della saga L'ira degli eroi.


1. Una luce nel buio.






La città sotterranea dei Morlock, al di là della paventata somiglianza con fantomatiche basi aliene ipertecnologiche, non era altro che un intricato dedalo puzzolente di canali fognari che strisciavano nelle fondamenta di tutta la grande conurbazione che aveva come fuochi le città di Los Angeles e San Francisco. Il gruppo misto composto da Vendicatori, X-Men e Fantastici Quattro era perplesso e affascinato. In men che non si dica avevano attraversato mezzo pianeta e si erano affacciati alla mattina di una radiosa giornata. Peccato che fossero ancora tutti troppo lontani da casa per cantare vittoria.
“La megalopoli pensata da Philip K. Dick per Blade Runner, abortita da Ridley Scott e che è parsa credibile solo per quella puttanata di Double Dragon1, esisteva davvero... sotto le due città ma ci aveva preso...” borbottò Henry Pym a metà del viaggio
“Risparmiaci le tue perle di cultura pop, Henry!” lo redarguì Tony Stark, malmostoso per dover fruire di quegli accessi tutt'altro che di livello luxury.
“Da che pulpito la predica... Tu che lo hai come mito: uno che creò un androide a sua immagine e somiglianza e poi fece lo scherzone al mondo scientifico morendo prematuramente...2” lo rimproverò lo scienziato di rimando.
Il portale aperto dagli Agenti dell'Atlas ad Angkor Wat sfociava direttamente sotto il Golden Gate di San Francisco. L'imbocco ai tunnel era camuffato da una grata, la cui rimozione era autorizzata solo agli addetti comunali. La scimmia Ken aveva spiegato che il cartello all'esterno era puramente decorativo. In comune, infatti, nessuno ne sapeva nulla, in realtà.
“E ora? Qual è il piano?” aveva domandato Susan affascinata dalla vista del fiume che scorreva placido sotto di loro.
“Ci penso io!” aveva risposto entusiasta Janet facendosi comparire tra le mani il proprio telefono cellulare con apertura a libretto. Aveva avviato la chiamata a uno dei primi numeri in rubrica e dopo pochi secondi di attesa era scoppiata in saluti gioviali e calorosi. “Allora ti aspettiamo là... grazie! Ti devo un favore! Ci vediamo dopo!!”
“Beh?” aveva domandato Tony, per nulla convinto.
“Prego, signori, da questa parte...” aveva esordito la donna mettendosi a capo del gruppo neanche fosse stata una guida turistica “Alla vostra destra potete ammirare...”
“Jan!” sbottò anche Pym “Vuoi dirci che succede?”
“Surprise!” aveva ridacchiato lei, continuando a decantare le bellezze della città, in cui erano sbucati come dal nulla, visibili da quel punto.
Attraversarono tutto il Golden Gate a piedi, sperando che nessuno prestasse loro troppa attenzione. Insomma... erano le otto del mattino -li aveva tranquillizzati Pepper che ben conosceva il traffico di San Francisco a quelle ore, lei che per lavoro ci passava spesso (in macchina e non in armatura volante!)- e la gente era assonnata e preoccupata dall'arrivare in ritardo al lavoro.
Meta finale di Janet Van Dyne in Pym era stata l'orrenda e gigantesca scultura in acciaio dorato collocata accanto al Golden Gate. Secondo le intenzioni dell'anonimo artista, che si era rifatto all'arte preistorica, la scultura avrebbe dovuto rappresentare una qualche divinità solare. Statua che era stata collocata giusto sopra uno dei principali accessi ai tunnel dei Morlock al di là del fiume. I mutanti facenti parte del gruppo avevano ben pensato di girare la cosa a loro favore: vista la moltitudine di freak che andavano in visita al dio solare, avevano deciso che la loro stranezza sarebbe stata un'ottima copertura per avvicinarsi alla porta d'accesso principale indisturbati poiché avrebbero potuto muoversi liberamente, mescolandosi a quella folla di svitati.
Qualcuno, probabilmente qualche vandalo o i Morlock stessi, aveva deturpato l'obbrobrio artistico ricavando un passaggio sulla parete che dava verso il bosco. Passaggio che, una volta richiuso, risultava praticamente invisibile a chi non l'avesse cercato espressamente.
Da lì era entrato anche il variegato gruppo di superumani.
Namor li aveva salutati sulla soglia: avrebbe fatto ritorno a NeoAtlantide seguendo il fiume. Li aveva salutati lasciando intendere che, in caso di necessità, potevano contare anche sul suo aiuto.
Il resto del gruppo si era quindi infilato discretamente all'interno, complice il fatto che il parco, a quell'ora, fosse ancora deserto.
Si erano messi, quindi, a cercare il modo per raggiungere Los Angeles e, ora, sfrecciavano per quelle gallerie come un gruppo di bambini in gita, divertendosi e esultando per ogni novità, con il gruppo del Baxter Buiding in testa: il genio di Reed Richards sembrava essere l'unico in grado di interpretare una semplice mappa, Johnny Storm era tutto gasato dal fatto che il resto del gruppo sembrasse dipendere da lui, per una volta, in quell'oscurità impenetrabile, mentre Susan e Ben li affiancavano per sicurezza, una sondando i dintorni, in cerca di potenziali minacce, l'altro pronto ad attaccare qualunque cosa fosse guizzata nel suo campo visivo. Ma quelle gallerie sembravano davvero vuote e abbandonate da diverso tempo.
“Non capisco...” aveva borbottato Ororo Monroe a un certo punto, mentre ancora cercavano un mezzo di locomozione per coprire i diversi chilometri che li separavano dalla loro meta “Dove possono essere spariti tutti quanti?”
“Rogue...?” l'aveva interpellata Nightcrawler, sommessamente, avendo notato la tensione della sorella. Quella aveva cercato di svicolare al suo sguardo indagatore ma quando anche la principessa africana si era avvicinata, richiamata dal teleporta, non aveva potuto far altro che sbuffare e vuotare il sacco.
“Parte dei Morlock è stata sterminata. Alcuni si sono salvati ma sono stati catturati...”
“Come lo sai?” aveva domandato Natasha raggiungendola. Il gruppo aveva momentaneamente sospeso la ricercare e anche Jhonny Storm era calato dal soffitto per ascoltare.
Rogue aveva esitato un attimo. Lei sapeva qual era la verità. Ma poteva dirla agli altri? Era già abbastanza atroce senza che tutte le persone attorno a sé la compatissero... Avrebbe mantenuto il segreto. Non per lui, ma per proteggersi da attenzioni insistenti e non richieste. Aveva alzato lo sguardo sulla parete e individuato la soluzione. Quindi aveva alzato un braccio e aveva indicato i vari graffiti che, qua e là, facevano capolino sulle pareti tondeggianti di cemento armato. Aveva poi spostato l'attenzione ad alcune zone della struttura più scure che, dopo l'applicazione di una maschera protettiva, sembravano esser state soffiate con della fuliggine. Nessuno capiva a cosa potesse riferirsi finché Tony non girò tutt'attorno al gruppo e alzò la mano a livello, mimando il gesto di scaricare uno dei suoi raggi palmari.
“Ha ragione...” aveva detto dopo aver ripetuto la cosa un paio di volte “Ma la sorgente dev'essere molto più grande e potente di un normale lanciafiamme...”
“Un atomizzatore...” Aveva azzardato anche Pym, inclinando la testa nel tentativo di riuscire a vedere le cose da un altro punto di vista. “Di circa trenta centimetri di diametro...”
“Se installato su una mano...le proporzioni porterebbero a qualcosa alto cinque metri... non potrebbe mai passare di qua! Non agilmente...” aveva replicato Reed soppesando le variabili
“Se avesse forma umanoide. Ma se fosse installato su una struttura insettoide?” aveva ribattuto T'Challa, unendosi al dibattito degli altri per la prima volta.
“Per entrare qua dentro, solo qualcosa che richiami i rettili potrebbe muoversi abbastanza agevolmente... in particolare, le serpi d'acqua. Potrebbero essere risalite facilmente tramite questi condotti!” aveva replicato Pym che non voleva essere secondo a nessuno, neanche quando si parlava di cooperare.
“Chi dice che abbiano scelto una sola forma di robot da mandarci contro?” Rogue era sbottata tra l'incredulità generale.
“Questo non cambia la mia domanda. Tu come lo sai?” aveva insistito Natasha
Rogue, a quel punto, aveva sostenuto lo sguardo della rossa “Gambit era nato ladro...” aveva appena cominciato che Kurt si era illuminato di improvvisa comprensione “Maccerto! Conosce a mena dito il linguaggio dei graffiti. Non ci vuole certo Chyper per arrivarci...”
“E come sai dei robot? Che non hanno una sola forma?” aveva rincarato la dose la spia, pronta a uno dei suoi interrogatori da manuale.
“Perché...” aveva cominciato la mutante che subito si era bloccata. Aveva tratto un paio di profondi respiri, quindi aveva ripreso “Li ho visti, nella sua memoria. Ho visto i disegni dei prototipi...”
“E lui cosa ne sapeva?” aveva domandato Ororo il cui sguardo si era fatto duro e tagliente come quello della spia.
“Remy è... era...” aveva alitato sconvolta “Il figlio di Nathaniel Essex. E' stato da lui di recente e quando... prima che lui... che noi... che io perdessi il controllo...” quasi aveva sputato quelle parole pur di trarsi d'impaccio
“Ok, a noi non frega molto né di Beautifull né di Dallas...” aveva tagliato corto Pym beccandosi l'ennesima occhiata risentita dalla moglie. A quel punto si era voltato verso Tony, chiedendo mutamente spiegazioni su cosa avesse detto di sbagliato, e quello aveva levato gli occhi al cielo per tanta dabbenaggine.
“Essex...” aveva detto Ororo con una sicurezza e una freddezza invidiabile, tipica di chi è abituato a comandare o a ridurre ai minimi fattori cose molto complicate “E' il genetista che collabora coi politici che hanno detto di voi...” aveva spiegato indicando Tony “..che siete pericolosi, con il signor Norman Osborne, che ha riorganizzato lo S.H.I.E.L.D., e con tutta quella gente responsabile di progetti come Arma Plus. E' colui nelle cui mani sono finiti i vostri brillanti progetti ed è sempre lui che collabora con coloro che vogliono detronizzarvi...” aveva aggiunto fissando i due sovrani.
“Ok. Chiaro, limpido, cristallino... Siamo nella merda!” Tony era sbottato “E allora?”
“E allora...” Janet aveva risposto indispettita puntandogli un dito al petto “Questa povera gente, già sfortunata di suo, è stata usata come bersagli di tiro al piattello per le esercitazioni!”
“Esercitazioni per cosa?” aveva domandato Ben Grimm mostrando tutta la sua perplessità
“Per attaccare tutti i superumani!” aveva risposto Pepper più intuitiva di altri supercervelloni nella sua semplicità.
“Ma la notizia è solo della settimana scorsa!” aveva replicato ancora Tony
“Ancora non lo capite? Quello è un pretesto! Chissà da quanto tempo non aspettavano altro che poter dare quel tipo di annuncio!” aveva sentenziato Janet
“Da quanto non senti Callisto?” aveva domandato Kurt alla mutante che era stata rappresentante dei Morlock
“Qualche mese... Forse anche un anno...” aveva risposto la principessa africana, sentendosi responsabile di quanto avvenuto.
Quelle tracce erano fresche ma i Morlock non erano nuovi ad attacchi di quel tipo e se anche Callisto era caduta, aveva pensato Rogue, la cosa che dava loro la caccia doveva essere spietata. Si era data della stupida per l'ennesima volta. Tante parole dolci, tante moine... tutto per ingannarla bene... l'aveva distratta, come diceva lui, alla perfezione. “Ci stanno braccando come souris!” aveva sibilò frustrata. “Topi!” aveva aggiunto, rendendosi conto di aver parlato con termini francesi assorbiti dal Cajun.
“Eliminare le difese della Terra, eliminando noi...” aveva ragionato Rogers a voce alta “Dev'essere tutto vero: Loki deve aver elaborato un piano con i potenti della Terra per poter tornare senza trovare alcun ostacolo...”
“Continuo a non essere convinto delle sue intenzioni... per quanto, devo ammetterlo, il cervo malefico abbia giocato bene la sua parte...” aveva replicato Tony
“Quale parte del ti defenestro per farti vedere che hai torto marcio non ti è chiara?” lo aveva canzonato Pepper. Per tutta risposta lui si era imbronciato.
A salvare la situazione abbastanza tesa, era intervenuto Kurt che aveva individuato una galleria secondaria dotata di un rudimentale binario sulle cui rotaie viaggiavano surrogati anteguerra di vagoni riadattati a carrozze passeggeri. Distratti da quel ritrovamento, l'argomento era caduto in silenzio.
Nemmeno si fosse trattato di un gruppo omogeneo di ragazzini in gita al parco divertimenti, i convogli erano stati ripartiti istintivamente e senza attriti: dopo i Fantastici Quattro, schierati in modalità d'assalto, si erano schierati i più giovani, più o meno avvezzi e, ciononostante, galvanizzati dall'avventura elettrizzante (i fratelli mutanti e Janet Van Dyne); dietro di loro venivano quelli indifferenti ma curiosi dell'esperienza che stavano vivendo (Pepper, Natasha, Steve ed Henry Pym); seguivano, svogliati e annoiati, quelli abituati alla velocità e dall'ego così smisurato da non poter permettere la presenza di altri individui in uno spazio così stretto (Warren e Tony). In ultimo, separati dal resto del convoglio da un carrello che conteneva le armature di Stark, viaggiavano i due africani. Più precisamente, Ororo cercava di tenersi più impegnata di quanto fosse necessario: dovendo sospingere tutta la carovana, grazie al proprio controllo delle forze elementali, Ororo cercava di ignorare il proprio compagno di viaggio e i discorsi lasciati in sospeso in precedenza. Ma T'Challa non sembrava altrettanto intenzionato a lasciar correre. Così, quando fu certo che lei stesse agitando l'aria solo per mantenere l'aura della divinità impegnata, aveva ridacchiato della messa in scena, aspettandosi la sua successiva reazione.
“E' tutta discesa, ora... puoi riposare un po'...” disse tirandola a sé. “Come ti senti? E' stretto, qui...” Domandò, alludendo alla claustrofobia di lei ma giocando sul fatto che fossero in qualche modo costretti a un contatto ravvicinato.
Ororo incespicò sui propri piedi, ancora calzati dei tacchi vertiginosi della sera prima, e, sbilanciata da quel mezzo non propriamente stabile, gli rovinò addosso. Proprio come lui aveva voluto. Il suo abbraccio era caldo e accogliente: quasi dimenticava di trovarsi sottoterra, in cunicoli che, di quando in quando, intersecavano canali fognari. Ma non era così angusto da scatenarle il panico: avevano una libertà di una mezza dozzina di metri per lato e non era più difficile che restare chiusa in una stanza qualunque. Doveva solo cercare di evitare di pensare al fatto che stessero avanzando in gallerie scavate decine di metri sotto terra.
“Allora? Che ne pensi?” domandò cercando di mantenere la sua voce il più neutra possibile.
“Che è una brutta situazione...” rispose lei, imbarazzata
“Parlavo di noi due...” replicò il re alludendo al bacio che si erano scambiati prima che la sala da ballo si trasformasse in un campo di battaglia.
“Non mi pare il momento...” sibilò di rimando la mutante
“Ah no?” lo sguardo scettico e divertito del re l'aveva rimessa al suo posto “Io penso di sì. Abbiamo un paio d'ore a disposizione. Dopo di che è probabile che ci troveremo a viaggiare su una limousine... tanto per non dare nell'occhio... tutti stretti gli uni agli altri, senza un minimo di privacy”
“Ma Callisto... i Morlock...” protestò ancora la donna
“Lo so, hai ragione: è una brutta situazione. Ma ora non puoi farci nulla...” disse aiutandola a sedersi accanto a lui su quella specie di zattera.
“Tu volevi friggere Warren!” protestò, quasi che, tornando ad aggredirlo i suoi propositi potessero cambiare.
Lui scosse la testa, deluso “Xavier non ti ha informato? Ha detto che l'unico metodo per fermare Angelo, in caso di corto circuito, è folgorarlo...”
“Te lo stai inventando al momento!” protestò lei
“L'ha detto il dottor McCoy. Ma mentre aspettiamo di risolvere la questione, possiamo ritornare a noi? A dove ci eravamo interrotti?”
“Non pensare di incantarmi con due moine!” replicò Ororo volutamente tagliente. La sera prima gli aveva quasi perdonato ogni cosa, sotto l'effetto degli ormoni che le impedivano di ragionare. Ma ora era diverso. Fece appello a tutto il suo sangue freddo, cercò di focalizzarsi sulla propria natura mutante in modo da sentirsi orgogliosamente superiore e non cedere alle sue parole.
Ma lui, come sempre, la spiazzò, forse leggendole l'anima. “Non mi permetterei mai. Sei pur sempre una dea e considero già un onore il fatto che tu mi rivolga ancora la parola. Capisco che tu sia arrabbiata con me. Ne hai tutti i motivi. Ma vorrei che valutassi le mie parole...” disse con la tranquillità che contraddistingueva un sovrano abituato a gestire beghe di ogni levatura e che non si lasciava facilmente impressionare. Neanche da una divinità “...Darci una possibilità... Non ti sto mica chiedendo di sposarmi seduta stante!” sbottò a sottolineare l'innocenza dei suoi intenti “O meglio. Te lo chiederei anche ma so che ti scalderesti subito...” si corresse. Per tutto il tempo non aveva fatto altro che guardare dritto davanti a sé, fiero e orgoglioso. Non temeva la sua reazione, né cercava di compiacerla. Le aveva esposto le sue intenzioni con lucida rassegnazione.
“Cos'è che faresti tu?” replicò lei con un tono di voce che, per la sorpresa, le sfuggì involontariamente inviperito.
T'Challa si volse a fronteggiarla. La scrutò come se fosse la prima volta che la vedeva davvero “Ti sposerei qui e ora, su questo malandato vagone di fortuna. Ora posso. Sono re. Il consigliere reale può solo sottoporre alla mia attenzione le candidate, ma la scelta spetta a me. Certo, per ufficializzare la cosa dovrei rientrare in Wakanda e seguire i protocolli, allestire una festa sontuosa che non si prepara da sola e non dal giorno alla notte... Ma a parte questi dettagli...”
“Chiamali dettagli...” ironizzò lei
“... Non vedo cos'altro dovrei aspettare. Quindici anni sono un tempo abbastanza ragionevole, credo, per sbollire la carica ormonale, riuscire a ragionare lucidamente sul partner e capire se la donna che vuoi sia o meno adatta al ruolo che intendi proporle...”
“Quindici anni sono proprio un'inezia...” sbuffò la mutante, divertita
“E dunque, mia unica dea, posso chiedertelo? O intendi folgorarmi per averlo solo pensato?”
“Ti sei comportato male...” recriminò lei, distogliendo lo sguardo “Ma in quanto divinità, sono magnanima e, soprattutto, sono superiore a certe paranoie tutte umane.” disse facendo scendere la sua concessione dall'alto: che si sentisse un pochino in colpa! Nonostante il giorno prima l'avesse quasi assolto da ogni responsabilità per un comportamento tanto meschino, con il nuovo giorno era rinsavita e tornata sulla propria posizione: avrebbe potuto lottare un po' di più per lei, se davvero ci avesse tenuto tanto.
Ma era inutile prendersi in giro: non aveva smesso di pensare a lui per un istante in tutti quegli anni, la ferita le bruciava ancora come appena inferta. Quando Forge, poi, si era fatto avanti il mondo le era crollato sulle spalle e si era voltata dall'altra parte: un altro si stava facendo avanti, chiedendole di accompagnarlo per la vita, un altro uomo che non era quello che aveva sempre amato e mai dimenticato. Quella dichiarazione l'aveva precipitata nella realtà e nella disperazione: era stata una stronza a frequentare Forge mentre il suo cuore e la sua mente erano occupate da T'Challa ed era stata una stronza anche se non aveva mai voluto ferire realmente l'altro mutante con cui si sentiva così in armonia. Soprattutto, si era svegliata bruscamente, rendendosi conto della situazione in cui si trovava: come capita nei sogni, in cui un bisogno viene soddisfatto anche per interposta persona, lei aveva curato il suo animo ferito tramite il pacifico sciamano delle pianure per rendersi conto solo all'ultimo che sovrapponeva a lui l'immagine del principe wakandiano, illudendosi che fosse questi a darle tutto ciò che, in realtà, le donava l'altro.
Ora, il suo cuore non ce la faceva più a trattenersi dall'irrorare sangue in ogni capillare, dandole un pericoloso senso di vertigine. Nonostante il tempo trascorso, lui la desiderava ancora.
Poteva concedersi a T'Challa? Certo che poteva, per la Dea! Era quello che voleva di più al mondo, che aveva anelato con ogni fibra del suo essere per anni. Aveva scoperto che non c'era malafede nelle sue azioni ma solo un egual desiderio. Finalmente otteneva quanto desiderava. Ma questa conquista non la stava ripagando con un senso di tranquillità. Al contrario, si sentiva agitata e nervosa: lo stava tenendo troppo sulla corda? Anno più anno meno, ormai, cosa importava? Oppure era stata troppo precipitosa, ponendosi in posizione di svantaggio rispetto a lui, dimostrandogli tutta la sua debolezza?
Se non fosse stata più che certa del tipo di persona che era il re dello stato africano confinante con la sua terra natia sarebbe stata vittima certa del panico. Non si stava illudendo: T'Challa era davvero buono e non avrebbe mai infierito così meschinamente sulle debolezze di chicchessia.
“Certo non è il luogo e il momento in cui mi sono sempre immaginato questa scena però... Ororo...” disse con tono solenne, portandosi la mano di lei, stretta tra le sue, al cuore “...vuoi sposarmi e condividere con me il peso della corona?”
Lo sferragliare assordante delle carrozze che imboccavano l'ennesima galleria coprirono la risposta ma il re parve ugualmente soddisfatto: si tirò addosso la donna e la baciò appassionatamente.




1    Double Dragon e la conurbazione S.F.-L.A.

2    Philip K. Dick è uno dei più grandi autori di fantascienza mai esistiti. Pazzo e visionario, nel 2005 fu creata una testa robotica -che andò persa, casualmente- e pochi anni dopo ne venne preparata una seconda versione più avanzata che, addirittura, indossa gli abiti dell'autore morto ormai 30 anni fa.

AV AV AV AV AV AV AV AV AV AV AV AV AV AV AV AV AV AV AV AV

Ben ritrovati a tutti.
Rieccomi qui, come promesso, dopo la mia trasferta Irlandese.
Peccato solo essere tornata e aver trovato un gran casino a casa e non avere, quindi, tempo per postare come previsto... d'ora in poi vedrò di organizzarmi meglio ma per un mesetto non garantisco la consueta puntualità. Mi scuso profondamente per questo!
Bene... ricominciamo da dove avevamo lasciato: il viaggio verso casa ha inizio! Non durerà molto, credetemi.
Per quel che riguarda il titolo, se siete esperti della materia, troverete interessante l'assonanza con la N-zone (in inglese si pronuncia EN... molto simile a End). Altrimenti non perdeteci troppo la testa: capirete strada facendo.

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Capitolo 2
*** Intrusi ***


2. Intrusi





Quella mattina Logan si svegliò relativamente presto. Il sole era appena sorto e, se solo fosse stato a Westchester, si sarebbe fatto una corsa tra i boschi. Erano quelli i momenti che odiava di più perché gli ricordavano tutta la sua natura animalesca. In città l'aria era sporca, grigia e dall'odore acre. Gli mancava la fragranza dell'erba bagnata, della corteccia umida degli alberi, il frullare d'ali di uccelli che s'involavano al suo passaggio. Gli mancava l'aria che entrava fredda nei polmoni, bruciando tutto lungo il percorso; gli mancava sentire il sangue pulsare in ogni sua fibra appena si fermava o i muscoli guizzare rapidi. La città non faceva decisamente per lui. Osservare l'alba da dietro un vetro e vederlo sorgere nel paesaggio irregolare e spigoloso dello skyline non dava la stessa sensazione di pace che vederlo nascere in riva al mare o tra le montagne.
Un odore conosciuto, suo malgrado, arrivò a disturbare ulteriormente quel momento di pace, in cui ancora tutti dormivano e non schiamazzavano: a ben pensarci era l'evoluzione dell'ambiente scolastico in cui aveva passato gli ultimi anni e, in fondo, non gli dispiaceva.
Ne seguì la traccia fino ad approdare a un laboratorio, quattro piani più in basso. Che cavolo ci faceva lì a quelle ore?
- Howlet, James. Alias: Logan. Affiliazione: X-Men. Nome in codice: Wolverine. Accesso: Negato.-
Scandì la voce sintetica di J.A.R.V.I.S. facendogli inarcare un sopracciglio quando provò a varcare la soglia. Era uno scherzo?
- Perdona, Logan...- cominciò l'altrettanto sintetica voce di Visione comparendogli al fianco
“Non ti preoccupare... sono abituato ai ninja...” rispose il mutante senza scomporsi “Come mai sveglio?”
-Io non dormo. Sono un sintezoide e, a meno che non mi venga staccata la corrente... - la voce, per come uscì da quella maschera rossa inespressiva, parve... imbarazzata e interdetta. -Ma mi hai frainteso: volevo chiederti se avresti gradito che ti aiutassi a passare oltre -
“Puoi far passare anche me?” domandò Logan, scettico. Aveva studiato un minimo di fisica e sapeva che il potere di Visione era completamente diverso da quello della giovane Kitty Pryde: uno era come aria l'altra poteva allineare le molecole degli oggetti e del suo corpo in modo tale da far scorrere le une tra gli spazi vuoti delle altre, senza alterarne i legami chimici. A parte quando si trattava di macchine elettroniche: quelle le mandava direttamente in tilt.
- Oh, no!- si giustificò la macchina – Ma posso andare ad aprirti dall'interno. O dialogare con il sistema informatico e vedere se riesco a convincerlo...-
“Vada per la prima!” accettò l'altro.
-Sai... - disse la voce di Visione mentre la figura si faceva gradualmente evanescente – Mi domandavo anch'io cosa ci facesse già in piedi a quest'ora. Ma pensavo foste amici...-
“Amici?” sbottò Logan non appena Visione ebbe aperto la porta e, fattosi da parte, lo fece passare.
“Con chi parli James?” domandò una terza voce dalla sala.
“Non con te!” sputò, riconoscendo l'intruso e marciando all'interno, lasciandosi Visione, perplesso, alle spalle “Si può sapere che diavolo combini?”
“Elaboro un piano!” ribatté Mystica sollevando gli occhi dal monitor di Stark
“Tsé... Nemmeno ti chiedo come sei entrata...” ringhiò lui, aggirando la scrivania e andandole alle spalle “Si può sapere che cerchi? Sicura di non essere qui a fare spionaggio industriale?”
La donna levò gli occhi al cielo. “Non mi perdoni proprio lo scherzetto, eh?” disse assumendo l'aspetto di Jean Grey.
Per tutta risposta, lui le mollò un sonoro ceffone. “Vogliamo andare avanti ancora a lungo con questa storia?” domandò imperturbabile mentre lei riassumeva le sue sembianze. Quel giorno vestiva un sobrio completo da jogging composto da canotta e short rigorosamente bianchi. Non si massaggiò la parte offesa né cercò di restituire il colpo: sapeva di aver tirato troppo la corda. Si riacconciò i capelli (quel giorno lunghi e setosi) con una matita e riprese il suo lavoro: guardando in tralice lo schermo, trafficava con pipette, provette, siringhe e protesi di silicone. “Dove hai recuperato questo armamentario?”
“Siamo in un laboratorio...” gli fece notare lei tornando a focalizzarsi su quella sfoglia di silicone e mandando il canadese in bestia per la mancata risposta.
- Ingegnoso...- sciorinò Visione inclinando la testa per osservare meglio l'operato della donna.
“Scusate tanto se non sono un genio informatico...” sbottò acido il mutante
“Non c'entra niente l'informatica...” replicò lei iniettando un liquido rosso nella membrana “Fatto...” commentò facendo sparire gli occhiali da vista e studiando da vicino il suo operato “Vieni, James, dobbiamo svegliare tutti...”
“Ehi!” Protestò lui “Eravamo d'accordo che avresti fatto quello che ti dicevo io!”
“Sì, certo...” rispose lei aggrottando le sopracciglia, non riuscendo ad afferrare il motivo di tanto livore “Non ho contravvenuto nessun ordine, mi pare. Mi son messa solo al lavoro e questo è il ringraziamento...Cos'è? Ho minato la tua autostima di grande boss? Pensi che uno come Fury non si sarebbe mai fatto mettere i piedi in testa così, non è vero?” domandò avvicinandoglisi e sfidandolo con il suo sguardo dorato “Beh, mi spiace rovinarti il gioco, ma Fury ama le donne intraprendenti e, più in generale, il personale che anticipa le sue richieste e che si mostra attivo...”
“Quando puoi fidarti del personale...” replicò lui in un ringhio
“Valentina è proprio il mio omologo tra i genezero, non ti pare?” ribatté lei stirando un sorriso compiaciuto: Logan non aveva argomenti con cui ribattere.
Infastidito da quella verità, la spintonò verso il corridoio “Fuori di qui, prima che il maggiordomo robot di Stark ci trovi... e non vorrei essere costretto a farlo a pezzi: lo stipendio di insegnante non basta a comprare un sottobicchiere di questo posto...” Quando furono abbastanza lontani dal luogo del delitto, Wolverine chiese a Visione se poteva andare a svegliare chi ancora dormiva “Anzi...” lo fermò prima che si volatilizzasse “..comunica con Jarvis... che ci pensi lui, è il suo lavoro...”
“L'hai fatto per restare solo con me, non è vero?” domandò Mystica dopo qualche istante, facendo le fusa
“Ma figurati!” replicò lui staccandosela con uno strattone dal braccio a cui si era appesa.
“Sei proprio poco galante... ma mi piace quest'aspetto di te” ghignò lei di rimando
“Non vedo l'ora che tutta questa faccenda sia finita!” ribatté lui alzando gli occhi al cielo “E prego di fare in fretta perché non so quanto resisterò ancora dal farti male...”
“Dimmi che ho capito male e che Pyro non ci aveva preso...” commentò la voce di Pietro alle loro spalle: il ragazzo, probabilmente il primo a essersi o a esser stato svegliato, aveva raggiunto il suo mentore in un batter d'occhio e aveva -evidentemente- frainteso il discorso. La sua faccia (naso arricciato -come se si fosse trovato in una fogna putrida- che storceva anche il labbro superiore e occhi sgranati) esprimeva tutto il disgusto. Lentamente, nel suo completo composto da t-shirt bianca e parigamba con un fulmine verde giusto nel settore centrale (che lasciava Logan a domandarsi se anche i suoi studenti fossero così esibizionisti – non che in quell'accoppiata di simboli ci fosse qualcosa di cui andare orgogliosi), il giovane figlio di Magneto si avvicinò a Mystica quasi a volerla strappare dalle fauci del lupo che, nella sua ottica, la stava importunando. Wolverine lasciò correre e procedette per la sua strada.
Quando raggiunsero la cucina, erano tutti riuniti attorno al tavolo e a tazze fumanti di caffè.
Eccetto Thor, che aveva già svuotato due boccali di birra. In compenso, Wade si era messo a cucinare la sua solita montagna -letterale- di pan cake. “Hanno il profumo della vittoria” spiegava a chiunque gli domandasse il motivo di tali quantità esagerate.
“Bene, cocchi... il mattino ha l'oro in bocca, quindi..”
“Fate attenzione! E se comincia a chiamarvi Wendy, scappate1!” ridacchiò Peter
“Dunque...” continuò quello scoccando al ragno un'occhiata di fuoco “Visto che voi poltrivate, qualcuno ha fatto i compiti per casa... Raven, vuoi illustrare?” disse fingendo ci fosse una perfetta armonia tra loro.
Lei sorrise complice e soddisfatta “E' presto detto!” disse attivando il tavolo olografico “Dobbiamo entrare in questo palazzo. Quando ci sono stata in visita il mese scorso, all'indomani della tentata invasione dei Chitauri, mi sono premunita di scaricarmi tutte le planimetrie e studiare i diversi congegni anti-intrusione. Perché non si sa mai... Quindi, nel livello presumibilmente adattato a detenzione, le misure di sicurezza sono notevolmente più sofisticate...”
“Dì loro cosa hai fatto” la incoraggiò il canadese, come se sapesse tutto del suo piano e non ne fosse, in realtà, completamente all'oscuro
“Per accedere, i requisiti minimi sono impronte digitali e scansione della retina. E a questo posso ovviare facilmente, è ovvio. Ma il soggetto richiedente viene sottoposto anche a una scansione biometrica: massa, volume... prelievo di sangue e campione di D.N.A.”
“E' peggio di Rikers Island2!” commentò Deadpool
“A procurarmi il campione di sangue e D.N.A.3 ho provveduto stanotte...” continuò lei, suscitando la curiosità del fotografo
“Come hai fatto?”
“Mi sono avvalsa di una Starktech di cui avevo visto la presentazione qualche anno fa: Stark aveva creato degli insetto-droni...” cominciò a spiegare.
Ma Peter, esaltato, la prevaricò “E' estate, in estate ci sono le zanzare, le zanzare succhiano il sangue... e passano nei condotti d'aerazione!”
“Precisamente!” confermò lei “Ho già provveduto a installare il materiale biologico in un apposita protesi. Il problema, resta la rilevazione del peso: la bilancia pneumatica a cui è collegata la soglia è molto sensibile e accetta un intorno di un chilo al massimo prima di far scattare l'allarme.”
“Semplice e ingegnoso” concordò Peter.
“Perché non puoi ingannarla?” domandò Deadpool perplesso e sbigottito “Puoi assumere l'aspetto di chiunque...”
“Ma non posso variare la mia massa.” replicò lei
“E quindi?” domandò Thor che non riusciva ad afferrare termini tecnici e concetti fisici a lui completamente estranei
“Allora, che lei sia grande come un drago o esile come un micio, il peso rimane lo stesso.” spiegò il professorino di scienze al liceo “Le molecole si dispongono solo in maglie più larghe o in file più serrate a secondo della necessità, giusto? E' lo stesso principio che regola Visione, solo che lui può arrivare allo stato gassoso...”
“Esatto!” confermò la donna “Motivo per cui non potevo essere io la zanzara che gli prelevava il sangue. Il peso di 56 chili concentrati in mezzo centimetro quadrato è... come se ti piantassero un coltello nella pelle...”
“Quindi non puoi ingannare la bilancia...” concluse Logan meditabondo “E io non posso prendere il tuo posto. Il mio scheletro pesa un centinaio di chili da solo...”
-Ma posso farlo io- disse Visione sbalordendo tutti quanti – Se mi mantenessi a livello gassoso, creando una cortina attorno al suo corpo, e mantenessi la forma solida solo in alcuni punti per raggiungere il peso stabilito, la macchina non dovrebbe accorgersi dell'inganno.-
“Questa sì che è una buona idea!” commentò Peter “Quando ci muoviamo?” domandò elettrizzato
“Questa sera stessa” disse Logan, perentorio.
“Ma tu non verrai!” lo corresse la donna
“Cosa? E perché?” sbottò il canadese
“Per il semplice motivo che alle porte ci sono i metal detector...” elencò levando un sopracciglio, quasi lo considerasse più ottuso di quanto apparisse “... gli ascensori sono dotati di trasduttori piezoelettrici4. Il tuo scheletro d'adamantio farebbe saltare tutto in un colpo.”
“E' vero... me n'ero dimenticato!” concordò anche Peter
“Conosci quel posto?” domandò Logan sospettoso, cercando di guadagnare tempo per trovare una soluzione
“Norman era il papà del mio migliore amico. Conoscevo quel posto come le mie tasche. Prima di queste ultime novità... e a proposito di novità, ora che ci penso... come facciamo a entrare?” tutti lo osservarono perplessi. Che razza di domanda era? “Okay, riformulo. Non pensate che dopo l'annuncio della settimana scorsa quello sarà il primo posto con un sistema mutant-detect?”
“Non c'era quando sono andata io.” rispose Mystica, pensierosa “Non ci avevo pensato, a suo tempo. Ma siamo passate io, Jean Gray ed Emma Frost. E anche Kevin Sydney. E Sinistro”
“Se ci stavano già lavorando, per renderlo commerciabile in tempi brevi, non è irragionevole pensare che fossero già installati e che fossero stati disattivati per l'occasione: sarebbe saltato ogni due secondi, con tanti mutanti nei paraggi...”
“Non ci avevo pensato...” ammise la donna “Quindi è da scartare anche l'idea alternativa, di infiltrarmi nei condotti d'aerazione per aprirvi la strada da dentro...”
“Posso andare io... Col vostro aiuto andrei direttamente al pannello di controllo e disattiverei l'allarme” si offrì Pietro
“Dimentichi che sei anche tu un mutante, cocco?” domandò sarcastico Logan
“Ma sono così veloce che nessun sensore riuscirà mai a recepirmi!” protestò il ragazzo
“Scusate.. ma non posso andare solo io? Io e Thor, magari. Nessuno di noi due è dotato di gene X. Io sono modificato ma...”
“E' un rischio. Il tuo DNA sarà già presente nelle loro banche dati. Risalire a Spider-man sarebbe il passo successivo. Thor è l'unico che può passare per umano...” concordò Logan “Disattiverà i primi allarmi ed entreremo tutti. Poi ci recheremo al livello detenzione, passando per i laboratori...”



1    Ovviamente, Peter sta citando Shinning.

2    Nel Marvelverse, Rikers Island è una piccola isola al largo di New York su cui è edificata una struttura dotata di misure detentive avanzate e che ospita i vari supercriminali, da Electro all'Uomo Porpora. Nella realtà la sua intera superficie è occupata da un carcere normale.

3    Mi sembra ovvio e scontato ma mi spiego: il DNA prelevato sarebbe cmq quello di Mystica, portatrice del gene X. Anche fosse che riuscisse a modellarlo a livello cellulare, una volta prelevato il campione, tornerebbe ad assumere l'aspetto originario e non sarebbe quindi adatto al test.


4    Trasduttore Piezoelettrico - Piezoelettricità 

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Rieccomi qui, ragazzuoli, puntuale come promesso.
Fortunatamente son riuscita a sbrigare il grosso dei miei impegni e posso postare con relativa calma il secondo capitolo. (Ora devo solo trovare il tempo per rimettermi a scrivere, perché i molti capitoli che ho di scorta non mi danno sufficiente sicurezza XD)
Come avete notato, la narrazione ora si è spostata nuovamente a New York e, per qualche capitolo, le cose saranno divise tra costa est e costa ovest (nella miglior tradizione fumettistica XD anche se i gruppi e gli intenti non c'entrano nulla con gli originali).
E, finalmente, rendiamo Thor un pò partecipativo alla vita dei Vendicatori xD può rendersi utile e fare il ladro XD
;)
alla prossima

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Capitolo 3
*** Padri e figli ***


3. Padri e figli





“Biondo! Cazzo! Potevi fartelo venire in mente prima un dettaglio del genere, no? E' del tutto irrilevante! Non lo nota nessuno se uno è biondo o moro...”
“E non dimenticare la collanina con pendente a forma di fulmine verde!” replicò sulla difensiva l'addetto alla sicurezza arrancando dietro all'uomo che marciava a passo di carica verso la sala da guerra. I passi dei due uomini rimbombavano all'interno della struttura metallica dell'elivelivolo. Fury, trattenendo a stento bestemmie e imprecazioni, quasi sfondava le porte automatiche che gli si paravano davanti. Porte che, per i suoi gusti, si aprivano troppo lentamente. “E' così vitale?” domandò ancora il rosso alle sue spalle, sulla difensiva
“Certo che lo è, pezzo di cretino irlandese!” sbottò ancora il guercio cercando di far partire i computer. Innervosito per la mancata reazione tempestiva, pigiò sull'interfono “Agente Druid a rapporto nella stanza da guerra 3. Agente Druid....”
“Che diavolo combini?” ringhiò Dum Dum andando ad allentare la presa del superiore sul pulsante e coprendo il microfono con la mano libera.
“Cerco qualcuno che sappia far funzionare questa cosa senza che io debba per forza andare al manicomio!” urlò indicando i sofisticati computer che punteggiavano la stanza.
“Val! Digli qualcosa!” Protestò ancora il fuciliere volgendosi verso la risatina che li aveva interrotti sul più bello.
“Io? Interrompere una sfuriata di Nick? Giammai! Ci tengo alla pelle!” ghignò divertita la donna, massaggiandosi la tempia. Per tutta la longitudine della testa correvano le garze a formare un anello bianco tra i suoi capelli neri striati. L'effetto era bizzarro. Avvertendo dei passi pesanti riecheggiare in lontananza, la donna si inarcò per poi lasciare il posto ai nuovi venuti.
“Ha chiamato, Signore?” domandò Sebastian Druid comparendo, ansante, sulla soglia, seguito da un'allarmatissima Daisy che, sentito il tono minaccioso del comandante, si era fiondata alle calcagna del compagno di squadra.
“Devi cercarmi un file.” sibilò l'uomo indicando le postazioni “Non ho la pazienza e la testa per mettermi a fare 'ste cose.”
“E se fossero ancora in formato cartaceo la stanza sarebbe già ridotta a una discarica...” commentò Val tornando ad appoggiarsi allo stipite ricordando i bei tempi andati quando, dopo le sfuriate di Nicholas, il metodo migliore per riordinare era armarsi si scopa e paletta.
“Zitta ed entra!” replicò lui sbrigativo.
“Non senza di me!” ringhiò Maria Hill sgusciando dentro mentre le porte scivolavano silenziose le une sulle altre. “Si può sapere che combini, ora? Quel tono non prometteva nulla di buono...”
“Cerca...” continuò lui rivolgendosi all'agente amico di Daisy, senza badare nessun altro dei presenti “Andreas Von Struker! Se ti serve l'identikit dimmelo...”
“Perché cerchi Andreas?” domandò Val sorpresa e confusa.
“Chissà perché posso cercare uno di quelle due piccole serpi...” replicò il Generale con una smorfia.
“E' questo che cerca, Signore?” domandò Druid pochi minuti dopo
“Perfetto... ora, se non ti dispiace...” disse indicandogli la porta
“Ma certo!” borbottò l'altro impacciato, la cui ultima intenzione era di indisporre la leggenda dello S.H.I.E.L.D.
Quando la porta si fu chiusa alle sue spalle, Fury studiò le persone rimaste con sguardo scettico “E voi?” domandò a Daisy e a Maria.
“Noi cosa?” ringhiarono le due in coro.
“Non è roba per voi...” replicò stringendo lo schienale imbottito della sedia davanti a sé.
“Questo lo decido io...” rispose Maria accomodandosi come se nulla fosse “Sono comandante di Vascello, in questo momento, se l'hai dimenticato. Non avrò un livello 10 come le tue pupille... ma ho diritto di sapere cosa succede a bordo della mia nave. Specie dopo che ti copro il culo.”
Fury sbuffò e con un gesto della mano acconsentì. “Ok...” disse, incapace di sbrogliare la matassa di sentimenti contrastanti che lo agitavano. “Ok... Tim si è ricordato di alcuni dettagli sul pilota del caccia che ha sganciato la bomba...” disse senza tanti giri di parole “E' lui, Tim?” disse girando il monitor verso l'amico che annuì appena “Fantastico...” sibilò Fury tra i denti. “E tu, Val... ti dice nulla?” continuò, mostrandole la foto di un bell'uomo dai lunghi capelli biondi e sguardo da pazzo.
Val strabuzzò “Nick... la somiglianza è impressionante...”
“Di chi parlate?” domandò Daisy, curiosa e agitata per tutta quella segretezza e per la rete di sottintesi che non riusciva a cogliere.
“I Gemelli Andrea e Andreas Von Strucker.” cominciò a spiegare Fury “Andrea l'avete intravista tra il personale di Stark... nei filmati della convocazione parlamentare...” disse aprendo un file di cui sapeva l'esatta ubicazione “Era un'infiltrata, ovviamente, visto che lei e suo fratello sono i successori del Barone Wolfgang Von Strucker, mio acerrimo nemico e fondatore di HYDRA. Il fatto che proprio Andreas fosse alla guida di quel dannato caccia è la prova finale che lo S.H.I.E.L.D., ai suoi vertici, è corrotto. Avevano soggiogato Dum Dum e, per essere sicuri che un valoroso e intelligente pilota non mettesse in discussione la decisione, Andreas si è preso la briga di fare tutto da sé. Probabilmente è salito a bordo insieme a Occhio di Falco e si è mimetizzato tra il personale. Così, in caso di indagine, la forma era salva, la colpa era mia, ovviamente, di quella testa calda di Fury, e del suo vice. Fattualmente, inoltre, erano certi che non ci sarebbero stati intoppi anche se Tim si fosse liberato dalla suggestione.”
“Cosa vuoi fare, ora che sai che loro sono gli artefici di tutto questo?” domandò Daisy che non vedeva alcuna soluzione alla cosa.
Fury ghignò “Dimmi Val... Qual era, esattamente, il tuo compito, una volta tornata a bordo dell'Helicarrier? Perché ci scommetto le mutande che quei due perversi si aspettavano che ti trovassimo.”
“Drogarti e portarti da loro...” rispose lei senza batter ciglio
“Come sospettavo...” disse estraendo la pistola e armandola con una fiala dal dubbio contenuto. Tutti sbarrarono gli occhi. Quindi, porse al suo braccio destro il calcio dell'arma “Fa pure...”
“Cosa?” saltò su la Hill, spaventata e confusa “Non ti permetto di fare scemenze simili! Siamo sulla MIA nave! E starai ai MIEI ordini! O, quantomeno, mi fornirai una giustificazione decente...”
Senza degnare la Hill di un'occhiata, Fury la accontentò, tenendo lo sguardo fisso sulla sua ragazza. O Ex. Ecco un altro dettaglio che avrebbero dovuto chiarire quanto prima. “Non mi anestetizzerà davvero! Mentre Val era svenuta l'ho modificata un po'. Al loro segnale farà esattamente quello per cui è stata programmata ma tornerò in me in pochi minuti. So come ragiona Andrea. E so come pensa di fregarmi. Un piano c'è già...” disse indicando con la canna la propria tempia “Qui dentro... Ora qualcuno deve solo spararmi questa cosa nel collo, non posso farlo da solo... ”
“Non posso fartelo a sangue freddo!” si ritrasse l'ex vice direttore.
Maria incrociò le braccia al petto “Mi rifiuto di assecondare questa follia. Arrangiati!”
Quando toccò a lei, Daisy nascose le mani dietro la schiena e abbassò lo sguardo sperando di sfuggire all'ordine insensato della figura paterna e Fury sorrise cinico “Ricordi quello che ti ho detto sul dovere e sul saper mettere da parte i propri interessi? Avanti!” la incoraggiò.
Lei scosse la testa violentemente, mordendosi il labbro: in quel momento desiderò non esser stata così ostinata e rimpiangeva di non esser stata sbattuta fuori dalla sala. Fury insistette e lei accettò riluttante. “Non farti tremare la mano o mi farai venire un embolo... presa salda e posizione di sicurezza... non mi farai nulla!” le disse mentre lei gli poggiava la canna della pistola sulla giugulare, gli occhi lucidi e rossi di lacrime non ancora versate.
La giovane agente chiuse gli occhi, si morse a sangue il labbro e, in un turbinio concitato di voci che le urlavano di non farlo, obbedì e sparò.

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La riunione era stata sciolta da un pezzo quando Mystica si piantò davanti a Logan che cercava di fare solo del sano zapping in tv, birra alla mano. Cercando di ignorarla, reclinò appena la testa nel tentativo di guardare oltre.
“Dov'è Marie?” domandò lei, mani ai fianchi.
Ecco scoperto, pensò Logan, il vero motivo per cui è qui! Abbastanza scontato.
“Sarà in giro col suo fidanzatino e coi suoi amichetti... Fury ha detto di non preoccuparsi...” bofonchiò stendendosi sul divano in tutta la sua lunghezza..
“E tu credi a quell'uomo?” domandò lei agguerrita, spostandosi nuovamente davanti a lui.
Logan sbuffò e cercò di guardare la partita attraverso le gambe divaricate della donna. Per tutta risposta, lei si trasformò, facendosi comparire addosso il suo adorato Qipao bianco. Lui non si arrese, sguainò un artiglio e cercò di farlo passare tra la gamba e l'indumento per scostarlo, poi, come una tenda. “Tagliami e ti uccido!”
“Non per dare ragione al ragazzo...” si intromise Peter passando di là “... ma, effettivamente, visti da qui, sembra che facciate qualcosa di sconcio...”
Logan sbuffò ancora, ritrasse l'artiglio e si alzò dal divano imprecando. Scansò la donna di mala grazia e se ne andò per il corridoio.
“Una cosa che mi son sempre chiesto...” intervenne Deadpool
“Sentiamo quale altra curiosità cretina...” alitò Peter rassegnato
“...ma tu hai il potere di modificare anche gli oggetti che tocchi, oltre al tuo corpo?” concluse rivolgendosi a Mystica
“No...” sibilò lei tornando alla sua micro-mise sportiva
“Ma allora quello che indossi non è un vero vestito: è la tua pelle modificata. In realtà, quindi sei nuda!” riuscì a gridare prima che Pietro arrivasse come una furia a buttarlo gambe all'aria.
“Sta' lontano da lei, maniaco!” urlò il ragazzo livido “Che schifo!”
“Pietro datti una calmata... sono una donna adulta e mi so difendere da me...” replicò la donna all'eccessiva protezione del ragazzo.
“Mi fanno schifo! Tutti quanti! Maiali bavosi!” sputò ancora lui lasciando perplesso Peter.
“Non per fare il guastafeste... ma sei un maschio anche tu. E se non in questo modo...” riuscì a dire prima che un'occhiata gelida del ragazzo gli suggerisse di riparare sul soffitto per precauzione “Dicevo..anche tu, prima o poi, avrai pensieri simili...più o meno velati, e se non su una donna, sarà un uomo... o un alieno... o...”
“Pervertito anche tu!” strepitò il ragazzo pestando i piedi a terra
“...succederà anche tua sorella, se già non è successo..” concluse Mystica dietro di lui con un sorriso beffardo.
Pietro si volse, una strana espressione in volto, tra il disgustato, l'incredulo e il rabbioso “Non Wanda!”
“Tu dici?” disse lei assumendo le sembianze della ragazza ancora una volta. Così conciata ancheggiò fino a Wade per aiutarlo a rimettersi in piedi “Beh... se non sarà lei ad avere mire su qualcuno... saranno gli altri a farlo...” disse parlando di proposito con voce bassa e muovendosi come una pantera. “L'alternativa è che tu la chiuda in un monastero o in manicomio... ma non sarebbe al sicuro dalle tentazioni della vita nemmeno lì!” disse riassumendo il suo aspetto e artigliando l'aria come una strega, a mimare la pericolosità di quanto descritto. “Cresci, Pietro...e svezzati da questo patetico complesso che hai nei suoi confronti... lei l'ha fatto.. se n'è andata! E a questo punto mi domando se non sia più giusto lasciarla in pace...”
“La troverò anche senza il tuo aiuto!” sibilò lui “Dillo che vuoi solo star lì a giocare al gatto col topo con Logan... va pure...”
“Tu e Logan? Davvero?” domandò Peter dall'alto del soffitto
“No!” replicò lei gelida, inforcando la stessa strada che aveva imboccato anche il canadese una manciata di minuti prima.
Senza prestare più la minima attenzione al suo giovane protetto, infilò sicura un corridoio dopo l'altro, neanche fosse stata casa sua. Ma lei era una spia, abituata a memorizzare al primo sguardo ogni strada percorsa o immaginata. Sapeva esattamente dove trovarlo anche senza i supersensi che avevano quelli come lui.
Non appena aprì la porta che dava sulla terrazza ultima della torre, fu investita da una brezza agitata che le frustò i capelli in faccia. A pochi metri, Logan era appollaiato a scrutare il mondo sottostante come una bestia che attende che la preda gli passi sotto il naso.
Sicuramente l'aveva sentita arrivare ma non aveva battuto ciglio. Doveva considerare già un privilegio il fatto che non fosse scappato da lì ancora molti minuti prima.
“So che ce l'hai con me...” cominciò senza ombra di pentimento
“Ts...” sibilò lui infastidito “Per usare un eufemismo...”
“Ho solo pensato al meglio per mia figlia!” replicò la donna
“Rogue non è tua figlia!”
“Nemmeno tua!”
“Ho più diritto di considerarmi suo padre di quanto tu possa dire di essere madre sua e di Kurt... hai rovinato abbastanza quei ragazzi. Lasciali stare. Continua a rovinare i pupilli di Eric, perché non sono già abbastanza squilibrati di loro..”
“Tu sei proprio l'ultima persona sulla faccia della Terra che ha il diritto di dirmi questo! Dovresti capirmi!”
“Per Daken? Non scherziamo!”
“Come puoi essere così disumano? E' tuo figlio!”
“E' mio figlio solo biologicamente parlando. E' quanto mi resta di Itsu, se vogliamo essere sentimentali. Ma non è mio figlio! Non ho potuto crescerlo, non ho potuto amarlo. Come potrei avere nostalgia di qualcosa che non è stato? Forse per te è diverso, in quanto donna...” lei assentì brevemente “So che la gestazione vi porta scompensi ormonali ed emotivi... E con quelle che hai passato forse è comprensibile che tu ti sia tanto attaccata a quei due...”
“Ho cercato di ritrovare Kurt per tutti gli anni che siamo stati separati... Avevo solo la parola di Irene che prima o poi l'avrei ritrovato.” disse affiancandolo e perdendo il proprio sguardo all'orizzonte ripensando a come l'amica e compagna riuscisse a scrutare tra i futuri possibili.
“Ma Rogue non ha niente a che vedere con te. Avrebbe potuto essere una tua amica. Come tale, lasciala in pace, lasciala libera di fare le sue scelte, di sbagliare, di... Santo cielo, nemmeno una madre vera è così invadente... e la ragazza ha quasi trent'anni!”
“Hai molta esperienza, tu...” sibilò lei, astiosa.
“Ma vogliamo parlare di Greydon? Il figlio di Sabretooth?” domandò lui volgendosi, finalmente, a scrutarla mentre lei sbarrava gli occhi per l'improvviso ribaltamento della situazione.
“Non posso considerare un Genezero figlio mio. Non se è frutto dell'unione con un mutante.” replicò stizzita.
“Se il tuo partner fosse stato un umano, quindi, lo avresti curato come cerchi di accudire i figli altrui? Non ti sembra crudele?”
“E' stato dato in adozione, è cresciuto sereno in una famiglia come la sua...”
“E' cresciuto anche disturbato, se è per quello: stranamente odia i mutanti...forse perché sua madre se n'è sbarazzata quand'era in fasce...”
Lei scosse la chioma rossa “I mutanti sono perseguitati, strappati alle loro famiglie. Lui non ha bisogno delle mie cure. I miei figli sì.”
A quelle parole, Logan stirò un sorriso amaro “Sei contorta... forse lo eri anche prima, ma di certo Arma X ti ha fatta andar via di testa...”
“Certo, Arma X mi ha fatto molto male...” disse portando automaticamente una mano al ventre “Ma non mi ha cambiata troppo rispetto a quanto già non ero prima, James... io sono sempre stata odiata dagli umani... forse tu non puoi capire...”
“No, certo, uno che odia il proprio padre, generalizzando l'umanità tutta nell'assimilarlo a lui cosa vuoi che ne sappia di odio per gli umani...”
“Dimmi di Rogue!” lo implorò lei, improvvisamente, artigliandogli il braccio “Io... credo mi odi, dopo Muir...”
“Certo che ti odia... e non da dopo Muir, ma anche da prima... sei stata una vera stronza...”
“Non capisco cosa ci trovi in lui...” borbottò abbassando gli occhi sulla mano dell'uomo, nel punto in cui, generalmente, sbucavano le tre lame.
“Non dicevi che era innamorata di me?” ghignò lui tirando un sorso
“Anche... certi difetti si passano di madre in figlia...” replicò facendo spallucce e tornando a guardarlo dritto negli occhi “Come Daken ti odia per quello che gli è successo, esattamente come tu hai odiato tuo padre... ringrazia di avere un fattore di guarigione estremamente potente... perché il sangue di un patricida non si lava facilmente...”
Logan ghignò “Voi donne siete strane. Se sono così terribile, com'è che cadono tutte ai miei piedi?”
“Spirito da crocerossina...” replicò lei in un'alzata di spalle “E amanti del brivido...”
“Allora non dovrebbe sorprenderti che Rogue punti all'esponente rinnegato della setta dei ladri”
“Non mi piace!” sentenziò ancora la mutaforma.
“Nemmeno io sono contento, ma i tuoi metodi sono a dir poco discutibili...”
“Se tu non fossi intervenuto avrebbe funzionato!” replicò lei con livore.
“Se non ti fossi comportata in quel modo sconsiderato non avresti scatenato l'ennesima faida tra X-men e Confraternita. E dire che Magneto aveva quasi smesso di essere un pazzo terrorista, da che ha trovato il suo scoglietto da comandare...”
“Non doveva andare così...”
“E' inutile piangere sul latte versato. Continua così e ti affetto. Mi basta Scott che piange il morto per come sono andate le cose... Non è stata solo colpa tua... è stata una serie di casualità avvenute tutte insieme... anche se è vero che tu c'hai messo il carico...”
“Da quando credi alla casualità?” domandò Mystica scettica
“Non ho mai detto di crederci...”
“Hai anche smesso di fumare... sei cambiato... In meglio...”
“Non ci si libera mai del tutto da Arma X... e ho smesso perché ho scoperto che nelle sigarette c'è polonio...”
“Tu fumavi sigari...”
Wolverine grugnì “Il tabacco in generale, come pianta, ha la proprietà di attrarre il polonio. Il sigaro è fatto unicamente di foglie di tabacco... ti risparmi l'ammoniaca presente nelle cartine delle sigarette ma... credo che le radiazioni siano l'unica cosa che possano davvero nuocere a quelli come noi... per cui ho smesso... non voglio illuminarmi come una lampadina a Natale” disse strappandole un sorriso prima di offrirle una lattina di birra che lei rifiutò.
“Non sei mai stanco di questa vita?” domandò lei dopo un po', cullata dal vento che spazzava la cima della Stark Tower.
“A volte. Ma penso di avere anche un'incredibile fortuna. E' vero che ho perso molte persone care nel corso degli anni. Ma la mia vita eterna mi ha permesso di conoscerne altre ancora e, alla fine, di stupirmi ed emozionarmi grazie a loro...”
“Sì... posso capirti...” disse appuntando nuovamente lo sguardo sullo skyline “Per quello vorrei poter tornare indietro, in modo da non farmi odiare da Rogue... cambierei tante cose, tante scelte fatte... ”
“Mi dispiace, cocca: ci hanno dato una vita eterna, non il potere di tornare indietro nel tempo a sistemare i nostri casini. E anche se fosse possibile mi han detto che sarebbe meglio evitare...”
Ritorno al futuro?” domandò la rossa con sarcasmo.
“Hank McCoy!” tagliò corto lui
Dopo quella precisazione, nessuno dei due parlò per un pezzo, ciascuno immerso nei propri pensieri e nei propri ricordi.






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Bene. Sono lieta di annunciarvi che la fine di questo capitolo contiene un grosso indizio (o meglio, per la serie “Le ultime parole famose”) su come andrà a finire tutta questa storia XD
Ed ecco che abbiamo anche sistemato un grosso pezzo del puzzle, finalmente. Ovvero, chi c'era alla guida del jet e perché. Spero sia chiaro che anche il primo era un uomo soggiogato da Loki, così da non poter avanzare proteste.
Oh, il fulmine verde non è emblema solo del buon Pietro ma anche dei Gemelli Von Strucker. Che, per altro, mi aspetto di vedere almeno citati in Age of Ultron. Se alla fine di Cap-Soldato d'inverno, si vede Struker che ha 'creato' i gemelli, di sicuro non possono non menzionare il fatto che lui stesso abbia due gemelli (e che un po', forse, la cosa lo ossessioni).

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Capitolo 4
*** Ri-Evocazioni ***


4. Ri-Evocazioni






Si era fatto, ormai, mattino inoltrato quando la squadra di supereroi fece capolino tra le palme di Echo Park, al centro dell'omonima isoletta.
Janet li guidò sicura tra i vialetti del parco, tenendosi lontana dal lago, la meta più ambita dalle mamme e dai fanatici del fitness, fino a raggiungere uno spiazzo, crocevia della Park Avenue e Lemoyne Street, giusto davanti alla Chiesa Unita Pentacostale Internazionale dell'Angelus Temple.
Ad attenderli, con gran sorpresa di tutti, c'era una limousine bianca con le porte aperte e un maggiordomo in livrea che, come riconobbe la donna, si prostrò in un inchino solenne.
Janet sorrise e si infilò in auto senza indugio.
Gli altri esitarono, sconcertati.
La prima a seguirla fu Rogue, al grido di “Che figata, non sono mai stata su una Limo!”, accompagnata da Jhonny Storm per il medesimo motivo.
Rotto il ghiaccio, gli altri seguirono a ruota. Per primo Nightcrawler, preoccupato per quell'esagerata euforia della sorella, quindi Ororo, accompagnata da T'challa e tallonata da Angelo. Fu poi il turno di Tony, che mal sopportava di venir scavalcato a quel modo, e Pepper e, infine, il gruppo del Baxter Building. Solo Henry rimase indietro, offeso dal fatto che la moglie avesse chiesto aiuto a qualcun altro e dal fatto che non gli avesse detto nulla del suo piano.
Quando cedette e si accomodò all'interno, la trovò a ridere di gusto con lo sconosciuto (beh, non proprio: tutti avevano già visto il suo volto campeggiare sui manifesti pubblicitari o in televisione) aitante padrone di casa. E la confidenza che gli mostrava non gli piaceva proprio per nulla.
“10880 Malibu Point 90265” cinguettò all'autista con tono fin troppo gioviale, facendo il verso a Tony. Tutti ricordarono subito la faccia che aveva fatto il magnate quando, intervistato al riguardo, aveva fornito con rabbia e disinvoltura a mezzo stampa il suo indirizzo al terrorista che minacciava lui e i suoi cari.
La macchina si mosse pigramente e si incanalò in Glendale Boulevard prima di prendere definitivamente il largo tra le ampie e assolate strade di Los Angeles.
Solo allora Janet si ricordò di dover fare le presentazioni. Senza peli sulla lingua informò quello che era evidentemente un amico di vecchia data delle specificità di ciascuno dei suoi accompagnatori mentre, indicandoli ad uno ad uno, glieli introduceva.
“Sì?” domandò lui dopo un pò, rivolgendosi a una Rogue imbambolata, che lo fissava con insistenza, più che all'adombrato Henry “Vuoi un autografo?”
“Oh, no, scusi... non era mia intenzione...fissarLa!”
“Cosa c'è?” domandò Kurt, apprensivo, essendosi accorto che qualcosa non andava nel comportamento bizzarro della ragazza. Non che fosse propriamente strano per una ragazza restare incantata davanti a un attore famoso, ma lo sguardo di Rogue sembrava nostalgico e malinconico e, al tempo stesso, tormentato e spaventato.
Rogue si guardò attorno: tutti ormai attendevano una spiegazione. “Ecco... è... un volto conosciuto..”
“Ah!” sbottò Tony per poi tentare maldestramente di soffocare una risata attirandosi occhiate velenose “E certo! L'ho visto anch'io! Ti ho invitato, vero...?” cominciò a dire per poi girarsi verso Pepper a chiedere conferma “L'abbiamo invitato vero, alla festa di compleanno..”
“Quale?” domandò lei, alzando gli occhi al cielo, come se lei potesse ricordarsi delle centinaia di invitati a cui doveva mandare biglietti ogni volta che lui organizzava un qualunque evento.
“Quella grandiosa!”
Fu il turno di Reed sogghignare sotto i baffi. E fu il suo turno attirarsi l'attenzione dei presenti: era un uomo serio e giudizioso...era così strano vederlo ridere. “Da che ho memoria, Tony, cioè da quando sei nato, non hai mai fatto nulla che non fosse grandioso”.
Tony ignorò il commento e continuò, rivolgendosi a Pepper, come se quella gli avesse risposto “Quella che credevo sarebbe stata l'ultima... sai...” disse indicandosi il petto
“Sì, c'era...” confermò Natasha, la mano intrecciata a quella di Rogers e le gambe accavallate in modo naturalmente sensuale “L'ho spedito io, l'invito...”
Tony la folgorò con lo sguardo “Hai mandato una copia degli invitati anche a Coulson? No, perché non si sa mai, con te, cosa combinate voi super agenti segreti...” ma la spia non gli rispose.
In mezzo a quella pantomima Kurt era riuscito a rassicurare Rogue a sufficienza per farla sbottonare “So benissimo chi è il signor Simon Williams!” disse lei con voce tagliente, stanca di sentirsi trattata come una stupida cerebrolesa “Ma … mi sembra che... si... di conoscerlo personalmente... e abbastanza bene...”
“Non è possibile, Rogue...” confermò Ororo. Stava per aggiungere qualcosa che anche il diretto interessato intervenne nella questione.
“Mi dispiace, signorina... Mi avrà confuso con qualcun altro. Sono certo mi ricorderei di...”
“Carol!” sbottò Rogue alzando gli occhi, colpita dalla portata di quella presa di coscienza. “E' un ricordo di Carol Danvers...” disse, cercando una conferma negli occhi del suo interlocutore che si fece improvvisamente vigile e attento.
L'uomo si rabbuiò all'istante e ogni membro del gruppo ebbe la sensazione che, se avesse potuto, il signor Williams li avrebbe cacciati da lì in pochi secondi. Ma l'attore si limitò a commentare, in un sibilo astioso “Carol è morta!”
Rogue abbassò lo sguardo, colpevole. “Lo so... sono stata io ad ucciderla...” I lineamenti di Simon si indurirono ulteriormente, gli occhi, iniettati di sangue, lasciavano trapelare intenti omicidi e più d'uno ringraziò il fatto che fossero rinchiusi in un'auto e stipati come sardine.
“Sei stata costretta...” la interruppe subito Kurt che, con quelle parole, intendeva proteggere la sorella. Fissava ora Simon Williams con astio, quasi a sfidarlo di azzardarsi ad accusarla di qualunque cosa.
“Si può sempre scegliere...” ringhiò quello, infatti.
“Non quando il tuo potere mutante...” disse il teleporta disattivando il suo congegno olografico e rivelando la propria natura demoniaca. L'attore scartò istintivamente indietro, appiattendosi contro i sedili di pelle chiara. “... è una maledizione che ti impedisce di avere un qualunque contatto umano. A meno di non assorbire psiche, ricordi... e la vita dell'altro, in caso di esposizione, forzata, per lunghi tempi.” Le sue parole suonavano più una minaccia che una giustificazione.
Passò qualche istante in cui tutti trattennero il fiato, dubbiosi su come si sarebbe risolta la vicenda. Il dramma di Rogue, ormai, era fatto noto. Ma ciò non voleva dire che, per lei o per chiunque le stesse accanto, fosse più facile da gestire.
“Cos'è successo?” domandò l'attore, inorridito ma anche più condiscendente, notando, solo allora, come il demone tenesse stretta la mano guantata della donna fino a farsi sbiancare le nocche.
Per lasciare loro un po' di intimità, gli occupanti dell'auto scalarono in modo che Rogue potesse prendere, momentaneamente, il posto di Janet, la quale si ritrovò incastrata tra Kurt e Warren: entrambi i mutanti seguivano la compagna con sguardo attento e preoccupato; Angelo più curioso di Nightcrawler che, invece, la scrutava con evidente apprensione. Alzando lo sguardo, Janet notò che anche Virginia stava osservando i due giovani mutanti davanti a sé. Le due amiche si scambiarono un'occhiata d'intesa e stirarono un sorriso complice: c'era qualcosa su cui indagare e solo il loro sesto senso femminile le aveva indirizzate verso un dettaglio che tutti gli altri non avevano nemmeno percepito.
Per quanto tragica fosse la situazione, la cosa le elettrizzava.

AV AV AV AV AV AV AV AV AV AV AV AV AV AV

Il suo piano procedeva con estenuante lentezza. Ma almeno, procedeva nella giusta direzione.
Loki non amava i piani mordi e fuggi, in cui bastava la minima variabile a far naufragare il progetto. Si sdilinquiva tutto per i piani complessi e contorti, in cui era fondamentale avere bene in mente il modus operandi di ciascuna pedina in gioco, valutare possibili incidenti di percorso e fare in modo che, con tanti personaggi in ballo, la palla rimbalzasse adeguatamente nel verso giusto. Tanti paletti, per quanto mobili, assicuravano la riuscita dei suoi accrocchi. L'aveva imparato nel corso dei secoli. La pazienza era la virtù dei forti. E dei sadici. E degli strateghi.
Tutto andava come aveva previsto. Il trucco era prendere in considerazione le masse e non i singoli individui. Perché anche se uno solo avesse modificato improbabilmente il proprio atteggiamento, difficilmente sarebbe riuscito a incidere su una massa e, anzi, la stessa l'avrebbe riassorbito nei propri ranghi.
Stirò un sorriso compiaciuto e si spazzolò dalle vesti la polvere iridescente, ultimo residuo del ponte crollato. Ancora.
Doveva complimentarsi con Heimdall. D'altronde, che motivo avrebbe avuto il dio bianco per ostacolarlo? Lui, che tutto vedeva? Era un brav'uomo. Come sua sorella, d'altronde. Era un vero peccato che quel cretino di suo fratello avesse perso la testa per una terrestre. Anche se, si disse, doveva trattarsi più di una curiosità, uno sfizio. Lui non aveva rinunciato a Sif per vederla appassire nell'attesa di quello zotico. Non appena la guerra fosse finita, avrebbe dovuto provvedere anche a sistemare le cose sul fronte amoroso di quell'imbecille del fratello. Probabilmente, quello stupido ottuso, avrebbe pensato ancora una volta si sarebbe trattata di una cattiveria gratuita. Presuntuoso.
Stava meditando sulla cosa quando Hela irruppe nella tenda dell'accampamento a lui riservata. “Padre...” si annunciò rimuovendo l'elmo fittamente ramificato “Il dio Bianco annuncia l'apertura di un portale proveniente dalla Terra...”
“E' ora di tornare in scena...” confermò lui, aggrappandosi ai braccioli fittamente intarsiati del sedile da campo per rimettersi in piedi. “Hanno fatto in fretta...” valutò osservando il cielo. “Ricordami di non sottovalutare più i mezzi dei Guardiani”
“Sei degno dell'appellativo di dio degli Inganni, Padre...” replicò lei con un sorriso compiaciuto “A stento riesco a seguire le fila del tuo diabolico piano...”
“E' tutto quello che un padre può fare per una figlia, non trovi..?” replicò lui accennando una carezza.
“Non ingannarmi, Padre... Io sono solo un danno collaterale nei tuoi piani... sono un'ottima pedina da giocare. E ciò avvantaggia entrambi.” replicò lei, dura, accettando, però, il gesto d'affetto dell'uomo “Non hai nulla da temere. Asgard resterà in mano nostra. Non la cederò a nessuno”
“La mia speranza è che quell'idiota del tuo collega abbia capito qual è il nostro piano e che gli dei se ne stiano alla larga... o mi rovinerebbero la reputazione..”
“Credo che solo se ti sacrificassi apertamente per salvare Thor potresti macchiare la tua reputazione...”
“Cosa che non accadrà mai!” sentenziò il dio uscendo dalla tenda, scortato dalla dea degli Inferi.
“Certamente... anche se mi domando se qualcuno non sospetti qualcosa, visto il mio coinvolgimento...” lo rimbeccò puntualmente Heimdall che stazionava fuori dalla tenda. Stirò un sorriso enigmatico nel percepire su di sé lo sguardo contrariato di Loki.
“Ricordi? Sei stato soggiogato da Amora...” replicò secco il dio avanzando orgoglioso davanti ai due, diretto al portale.
“Come dimenticarlo...” lo canzonò l'altro, la cui corazza riluceva al contrasto con la sua pelle d'ebano.
In pochi minuti erano al portale: un eptagramma fiammeggiante, da cui esalavano vapori verdognoli, stava al centro di uno spiazzo appositamente preparato in precedenza. “Finalmente qualcuno che ne capisce qualcosa di magia...” commentò soddisfatto il dio dell'inganno, osservando -con una punta di stupore- il cerchio magico.
“Il figlio di Satana sa quello che fa. E anche tutti quelli che lo circondano. Forse il tuo diretto alleato avrebbe optato per un banalissimo pentacolo...” replicò Hela, compiaciuta dall'aver sorpreso l'augusto genitore. “Osborne è un dilettante... mi ha fatto visita, una volta, quando mi trovavo a Las Vegas... è un poveretto... chiunque riuscirebbe a circuirlo...”
“E pensa che uno come lui tiene in pugno il mondo intero...” sbuffò affranto il padre
“Non avviene così, di solito? Il mentecatto assurge al potere perché incline al compromesso per ingraziarsi gli altri. Il giusto si crea nemici, spaventa col suo pensiero indipendente perché esce dalla massa e rimane affossato in posizioni minori... Certo, non è sempre così, ma il più delle volte...” replicò la figlia
“Non adularmi, figlia... il buon Thor, per quanto ottuso, non è meno ricco di virtù di me... sono solo... diverse. Stenta a capire quali siano e non riesce a farle fruttare. Per mia fortuna.” disse avanzando fino al centro dell'eptagramma che, percependolo, si strinse, come un obiettivo, a formare una stella acuminata “Mi raccomando, non distruggere casa mentre non ci sono, bimba mia...” ghignò, prima che Heimdall azionasse il portale in senso inverso.
Hela si esibì in una smorfia offesa e lui scomparve in un turbine di fumo denso.
L'eptagramma si ritrasse poco dopo, verso il centro dove Loki si era posizionato, scomparendo come se fosse stato attirato dal terreno, lasciando dietro di sé solo l'ombra di marchio più scuro della terra circostante.
Heimdall la scrutò coi suoi occhi vacui ed Hela sentì che l'uomo stava leggendo la sua anima. “Andiamo...ora tocca a noi!” sbottò rabbiosa, per difendersi da quell'invadenza.
“Sei la degna figlia di tuo padre...” sorrise lui teneramente.
“Spero di essere addirittura migliore di lui...” replicò la donna, allontanandosi verso la sua tenda.





AV AV AV AV AV AV AV AV AV AV AV AV AV AV

:) E' ricomparso Loki, guarda un po'... :D
Ma di più, per ora, non vi dico ;)
Cominciate a capire il suo piano? No? Vabbè, non disperate...
Per quel che riguarda gli allegri villeggianti della Costa Ovest. Simon Williams, alias Wonder Man, alias l'uomo dalla cui mente è nata la Visione (motivo per cui c'è un gran bel dubbio sul sentimento del sintezoide per Wanda Maximoff)... che c'entra con Carol Danvers? Beh, i due, un po' a caso ma sicuramente prima/durante Secret Invasion si intrattengono amorevolmente. Nulla di profondo, cmq. Ma restano compagni di squadra nei Vendicatori. In questo caso, il ricongiungimento avviene tramite Rogue... ma pazienza...

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Capitolo 5
*** Cuori traditi ***


5. Cuori traditi






La mente di Logan e di Mystica vagava su quanto accaduto solo pochi mesi prima, tutto ciò di cui pagavano le conseguenze ancora adesso. Sembrava ormai già così lontano nel tempo eppure aveva stravolto la vita di tutti
Con la primavera, oltre alla bellezza della Natura, si erano risvegliate anche le menti delle persone. In particolare, era il periodo in cui si sperimenta qualcosa di nuovo, dal taglio di capelli alle discipline ginniche fino a stravolgere le abitudini alimentari. Era qualcosa che si poteva percepire anche in una città grigia e caotica come New York.
Ma nella periferia di Westchester, allo Xavier Institute per giovani dotati, quell'anno era stato stravolto da quella brezza profumata. Quell'anno, nessuno era rimasto immune dal cambiamento annuale. Neppure la tranquilla Jean Grey.
Era la stagione del risveglio dei sensi ma anche degli istinti omicidi e, in breve tempo, in tutto l'istituto si erano sviluppate situazioni critiche, in alcuni casi allarmanti.
Tutto era cominciato con un corso di Yoga. Nulla di allarmante, dunque. Anzi, era sembrata la giusta valvola di sfogo per le emicranie sempre più lancinanti e le visioni apocalittiche che si manifestavano a tradimento. Forse, anche loro, sintomo del cambiamento in atto.
Al programma speciale partecipavano tutti i telepati della scuola: le Naiadi di Stepford, un trio di sorelle gemelle dalla mente collettiva, la stessa Jean, Quentin Quire, Elisabeth Braddock e il nuovo acquisto della scuola, Emma Frost, una ex studentessa di Xavier che aveva tentato di aprire una succursale della stessa scuola con scarsi risultati.
Ora, gli X-men più vecchi e navigati come Logan e Mystica, un'idea di come fossero andate realmente le cose, se l'erano fatta, anche se tutto si basava su supposizioni, congetture e voli pindarici, e nessuno poteva confermare o smentire con certezza quelle teorie: i telepati più giovani erano stati tenuti all'oscuro di quelle elucubrazioni, Betsy aveva rimosso del tutto quegli eventi dalla propria memoria e la rossa si era allontanata spontaneamente (prima che Emma la imitasse per motivi ancora poco chiari). Così non era rimasto nessuno su cui indagare.
Che Emma avesse delle mire sul capo degli X-men, Scott Summers, era parso palese sin dal primo momento. Logan aveva sempre diffidato, inascoltato, di quelle strane attenzioni di cui la telepate investiva il compagno di squadra.
E non per invidia.
Quando poi pure Betsy si era buttata nella contesa dell'uomo, era scoppiato un casino di proporzioni colossali.
“E' stato allora, vero?” domandò Mystica cercando, ancora una volta, di far combaciare i pezzi. Ora che il tempo era passato e aveva calmato gli animi, ora che erano saltate fuori nuove evidenze, poteva tentare di ragionare con quell'uomo così sanguigno al suo fianco. Forse ora l'avrebbe ascoltata.
“Cosa?” domandò lui, non riuscendo a seguire il suo ragionamento. Non avevano più parlato dal loro ultimo scambio di battute sui viaggi temporali.
“La comparsa di Loki, il voltafaccia di Jean e... beh... quella storia che mi vede coinvolta...”
“Sì... e ora posso anche darti ragione... ma mettiti nei nostri panni. Chi poteva pensare che ci fossero di mezzo gli alieni e la magia? Già altre volte hai ingannato i miei sensi e in quell'occasione ho preferito fidarmi di Rogue: tu non dai poi chissà quali garanzie di fedeltà. Il tuo odore era ancora relativamente fresco a scuola poiché te ne eri andata da poco portando con te quei tre delinquenti…  Ammetto di aver sbagliato: Loki ha confuso anche me, ha giocato quello scherzo di pessimo gusto e io ci sono caduto... E di questo ti chiedo scusa...”
“Ora vorrei proprio avercela, una macchina del tempo...” sorrise la donna
“E perché?” ringhiò l'altro voltandosi verso di lei
“Hai chiesto scusa... e non avevo mezzi per immortalare la cosa... un vero peccato..”
“Faccio sempre in tempo ad affettarti, cocca, lo sai!” Lei sorrise alla sua minaccia e lui distolse lo sguardo, a disagio. “Fury chiamò la scuola mentre eravamo a Muir...”
“Che idea ti sei fatto di quello che è successo?”
“Stando così le cose... vedendo quanto può essere intricata la situazione, io penso che quello stronzo di un cerbiatto ci abbia tirato un gran bello scherzo... per toglierci dai giochi mentre attuava il suo piano di conquista della Terra... voglio dire... i mutanti, e gli X-Men in particolare, sono la prima forza supereroistica terrestre organizzata. Anche se la piramide di comando fa acqua da tutte le parti. I Vendicatori non erano ancora nati quando i nostri due gruppi si affrontavano senza quartiere in giro per mezzo mondo...”
“Rogue ti crederà?” domandò ancora la donna, ignorando le valutazioni del canadese “Ho fatto di tutto per cercare di farmi amare da lei... ma forse, il fatto che abbia sempre cercato di forzarle la mano mi ha messa in una cattiva luce...”
“Non sono nella testa della bambina... Ma credo potrebbe capire.” rispose lui, comprendendo l'ansia della donna. E anche perché, ne era certo, le cose stavano come pensava lui. Conoscendo le tempistiche, si poteva facilmente immaginare che Loki si fosse introdotto nella scuola, avesse preso il controllo di Jean e, tramite lei o per conto suo, avesse fornito a Rogue un'illusione tanto convincente da spingerla a scappare.
“Non capisco perché solo Jean...” confessò Logan “I telepati erano tutti lì... e la scuola pullula di mutanti... perché limitarsi a uno solo...?”
“E se Loki non c'entrasse nulla? Se fosse solo opera di Emma? Anche tu ti fidi di lei ancor meno che di me... ”
Wolverine si rabbuiò, pensieroso “Ammetto che almeno tu sei lineare nella tua perversione... Tu dici che Emma è riuscita a soggiogare la mente di Jean, tramite la quale avrebbe soggiogato Betsy per inscenare un tradimento a cui la rossa potesse reagire come una furia? Mi sembra un tantino contorto...”
“Hai altre soluzioni? Davvero pensi che c'entri Loki in tutto quel casino di corna...?” domandò la donna, assumendo le sembianze del dio degli inganni.
“Emma lavora per Essex. Essex ha mire su Jean e Scott da che abbiamo memoria...” enumerò l'artigliato.
“E su Rogue... anche se per motivi diametralmente opposti. Avrà mandato Emma a cercare di reclutarla. Sono stata una spia, James... so quanto possano farsi contorte certe situazioni.”
“Non mi convince. Io ho il sospetto che ci sia lo zampino di Loki. Non ho prove, ma i tempi coincidono in modo chirurgico. Forse è addirittura in combutta con Sinistro, non solo per vie secondarie tramite Osborne...”
“Quindi Loki, come prima mossa, secondo te, sarebbe venuto a Westchester, avrebbe seminato zizzania in modo da dividere il gruppo? Può starci... ma Jean ed Emma?”
“Forse non vediamo quant'è contorto il suo piano...” biascicò lui appuntando lo sguardo sulla Os.Corp Tower “Là dentro c'è il ricettacolo della mala. Tutti che hanno guadagnato terreno dopo la guerra e la destituzione di Fury... è quanto meno sospetto, non trovi?”
“Dici che ha cercato in Essex un alleato?”
“Dico che gli alieni sono qui da molto più tempo di quanto immaginiamo. Forse Essex è egli stesso un alieno... Cristo, è più vecchio di me e sempre giovane... come lo spieghi?”
“Loki arriva a Westchester...” lo ignorò lei cercando di ricollegare ancora una volta le cose “...Fa di Jean una sua pedina tramite Emma e Betsy. Quindi fa si che la rossa si consegni spontaneamente a Nataniel, provocando una scissione tra gli X-men e assicurandosi la lealtà del genetista...”
“Emma rimane a scuola per evitare che la sparizione simultanea di due telepati dia nell'occhio...” proseguì lui, ora infervorato dalla concatenazione degli eventi “...ma si allontana non appena noi ce ne andiamo per recuperare Rogue. Rogue che potrebbe essere stata messa in fuga proprio da un piano secondario e parallelo a quello che vedeva coinvolta Jean... E, guarda caso, mentre noi siamo in Scozia, qui a New York scoppia il finimondo...” conferma Logan. “Quanto alla storia di Rogue... beh... quando ne parli, sei sincera... non vedo altra soluzione che non sia un inganno o una proiezione mentale che abbia confuso la ragazza... Purtroppo è pressoché impossibile scandagliare la mente del cajun, cosa di cui ancora non mi capacito ma sembra sincero anche lui quando si difende... Dunque, Rogue scappa dalla scuola e ci costringe all'inseguimento...” Logan si imbronciò, valutando un piano così complicato.
“Se solo non avessi parlato della possibilità che Pulse poteva rappresentare per lei...” si rammaricò Mystica dopo un po', ancora ossessionata dall'ennesimo errore che aveva scavato il solco tra lei e la ragazza “...forse non sarebbe caduta così facilmente in quel tranello... Dio! Sai quanto può far male l'odio di una persona che ami?”
“Oh, sì che lo so...” replicò l'altro distrattamente. La birra era abbandonata a terra e lui si poggiava malamente sui gomiti, tenendo lo sguardo ostinatamente perso all'orizzonte, non avendo più nulla con cui impegnare le mani. “E tieni conto che non ci sei andata di mezzo solo tu... ma anche Gambit.”
“Può marcire all'Inferno, per quel che mi riguarda. E' un ladro! Ed è figlio biologico di Essex. Era nella base di Arma X quando ci torturavano, faceva il palo durante il massacro dei Morlock...”
“Ma Rogue lo assolve. Non ci dice perché ma sai che lei può sapere la verità al riguardo. E se lo perdona lei, dovresti farlo anche tu... Anche tu sei stata graziata per i tuoi atti terroristici...”
“Non permetterò mai a quel verme di starle troppo vicino! L'ha stregata, anche se non so come!”
“Non entusiasma neanche me, lo sai... ma è una sua scelta...”
Ma per Mystica il ricordo delle ingiuste accuse di Rogue bruciava ancora come una ferita fresca. Sua figlia l'aveva accusata di aver cercato di sedurre uno dei pochi uomini che le riservavano attenzioni speciali -per quanto all'epoca non volesse ammettere di esserne attratta- e di averle fatto fare la figura della sciacquetta che si diverte a tenere sulla corda i suoi pretendenti, oltre che col suo potere, anche con atteggiamenti scostanti.
Rogue sosteneva di averli beccati nel corridoio dell'ala est, quella inutilizzata e frequentata solo di rado dagli studenti che cercano un po' di pace all'interno del grande complesso pieno di vita.
Li aveva colti sul fatto: lui, il viscido che non si accorgeva di una palese menzogna (quando mai gli si sarebbe potuta avvicinare con tanta disinvoltura, visto quello che comportava il suo potere), e lei, che aveva assunto le sue sembianze per metterlo alla prova.
Questo era quello che le aveva sputato in faccia Marie: era fortemente convinta che Mystica avesse messo alla prova in modo così ignobile il suo spasimante per rivelarle, poi, in un secondo tempo, quanto fosse poco degno di strisciarle vicino.
La mutante era scappata senza voltarsi indietro, diretta all'isola di Muir, dove sperava che la dottoressa MacTaggart e la dottoressa Rao le lasciassero vedere il famigerato -quanto inesistente- mutante di nome Pulse che il centro avrebbe usato come cavia da laboratorio. Quando, infine, X-men e confraternita l'avevano rintracciata e si erano affrontati nel tentativo di difendere, ciascuno dal suo punto di vista, la reazione della giovane, Rogue era riuscita a sedare gli animi solo ammettendo a malincuore di essere scappata come una codarda davanti a quella scena che solo lei aveva vissuto. Tutti si erano stupiti poiché, normalmente, si aspettavano una reazione ben diversa: in qualunque altro caso li avrebbe prendersi a pugni. Nel mentre, a New York ferveva e finiva la battaglia con gli alieni invasori.
Così, in piena primavera, due tra le donne più toste della scuola sembravano capitolare sotto la scure del tradimento e reagivano entrambe con la fuga.
Due tipi diversi di fuga, in realtà. Mentre Rogue fece perdere le sue tracce, dirigendosi in Scozia dove i suoi compagni si sarebbero diretti su segnalazione della ex moglie del professore che aveva accolto la mutante, Jean reagiva con un taglio drastico alla sua vita di prima. L'esperienza sembrava averla indurita e aveva voluto salutare l'abbandono dell'innocenza rivoluzionando il suo look. Lì per lì nessuno si era preoccupato. Xavier non si era allarmato nemmeno quando la donna aveva fatto i bagagli e aveva trovato alloggio a Hell's Kitchen, giustificando le sue scelte con il bisogno di rendersi indipendente un po' come una giovane donna, conclusa l'adolescenza, sente il bisogno di mettersi alla prova e di allontanarsi dall'ala protettiva dei genitori. Il professore non aveva insistito per trascinarla nella missione di recupero di Rogue e le loro strade si erano divise.
Scott era rimasto a casa, disperato e depresso per quanto era successo: non poteva essere di nessun aiuto alla squadra, in quelle condizioni. Emma si era offerta di stargli vicino. E come erano poi finite le cose, tra i due, era cosa ben nota a tutti e su cui tutti malignavano. Betsy, ignara di tutto, con la mente stranamente vuota o resettata degli ultimi eventi, era rientrata a casa da Warren ma, a giudicare dagli epiteti che lui le aveva lanciato di recente, doveva esser venuto a conoscenza dell'incidente occorso tra lei e Scott. Chissà se la ragazza si era svegliata dalla sua trance e, sentendosi colpevole, aveva vuotato il sacco, certa di un'assoluzione piena da parte del suo amante o se le cose erano state riferite da terzi ad Angelo che, poi, aveva preso da parte la donna e, insieme, com'era nel suo stile, avevano provato a risolvere quel rompicapo.
Certo era che i giovani telepati della scuola erano andati a Genosha insieme a Mystica, la quale difficilmente avrebbe potuto trovarsi a Westchester il weekend in cui tutto precipitò ma nessuno ci aveva fatto troppo caso.
“Se solo Pulse non fosse stato che un progetto della Dottoressa McTaggart ma un vero mutante...” alitò infine Mystica
“Cosa avresti fatto? Non puoi costringere due persone a volersi bene contro la loro volontà... Arma X non ti ha insegnato nulla, alla fin fine...” borbottò Logan che si era ormai steso a pancia in su a osservare il cielo.
Per tutta risposta, Mystica, ancora in piedi, gli ficcò il tacco degli stivali (comparsi magicamente ai suoi piedi  in quel momento) all'altezza dello stomaco “Non dirlo!” sibilò
“Allora smettila!” disse per nulla impressionato da quella dimostrazione di forza “Pulse non era il mutante prodigio che avevi cercato di vendere a Rogue e per colpa di questo casino ci siamo trovati a combatterci ancora una volta a Muir...”
“Se potessimo vivere in un mondo dove ogni nostro desiderio potesse avverarsi...” replicò lei liberandolo e accovacciandosi su di lui per guardarlo più da vicino
“Sarebbe un mondo in cui non vorrei vivere...” borbottò Logan “Verrebbe sicuramente fuori qualche casino, come sempre. Le sconfitte fanno parte della vita ma in quel caso sarebbero più dure da affrontare”
“Ma io voglio solo l'amore di mia figlia! Dannazione!”
“Smettila di essere così ossessiva... vedrai che mollando la presa la cosa non potrà che migliorare... Mi pare sia la tecnica che ha adottato anche Gambit, di recente... e mi sembrava stesse funzionando...”
“Con me non funziona, ci ho già provato!” replicò tirandosi in piedi e scavalcandolo
“Incredibile... Raven Darkhölme che non riesce a ottenere qualcosa? Mi sembra impossibile...” ridacchiò tirandosi a sedere per osservarsi la maglia strapazzata dallo stiletto della donna che, in quel momento, gli dava le spalle e che non rispose alla sua provocazione. “Sentiamo... cosa c'è di così impossibile anche per una come te? Dio mio, sei stata addestrata da Arma X, sei stata al soldo dello S.H.I.E.L.D., la partner della calamita ambulante... dovresti essere la migliore in quello che fai...”
“Quello che faccio, come te, non è nulla di carino. E, per rispondere alla tua domanda, solo un'altra vittima di Arma X...”
“In ogni caso, ciò non giustifica il tuo fallimento” ridacchiò ancora lui, ormai incuriosito
“Sei proprio stupido quando ti ci metti...” ringhiò lei marciando verso la porta delle scale
“Ehi, cocca! Ti ho fatto un complimento! A casa mia si dice Grazie... Suvvia... dovrebbe essere il migliore del progetto per essere così ostico... e non ce ne sono molti più bravi di te e me...” disse per perdersi nei suoi ragionamenti e cercare di capire, chi tra tutti potesse essere l'obiettivo così pericoloso e di alto livello a cui puntava la donna.
“Appunto...” sibilò lei, lasciandolo ai suoi ragionamenti.
E Logan ebbe il terribile dubbio di aver infine capito chi fosse il migliore del progetto Arma X e, onestamente, non sapeva cosa pensare della cosa. E certo, la sua reazione istintiva, un brivido lungo la schiena e la pelle d'oca, non contribuì a schiarirgli le idee.





AV AV AV AV AV AV AV AV AV AV AV AV AV AV

Dunque, ecco spiegato dove fossero i mutanti durante AV. Che tutti si aspettavano, ragionevolmente, una loro comparsata. D'altronde, quando ci sono di mezzo gli alieni, i mutanti ci vanno a nozze.
L'intera vicenda è, in realtà, un collage di diverse cose realmente occorse nei fumetti.
A partire da Pulse (e il 'tradimento' di Remy con Mystica che, da vera stronza, voleva dimostrare alla figlia quanto il Cajun NON facesse per lei e come, invece, Pulse fosse pressocché perfetto. GIà la sognava in bianco...).
In realtà, mutanti in grado di annullare le mutazioni altrui è pieno il mondo... ma sono troppo giovani o sconosciuti. Pulse è il più recente e quello che mi tornava più comodo, detto onestamente. Ma nemmeno lo volevo in squadra che sarebbe diventato difficile da gestire. Quindi l'ho tradotto in un progetto (uno dei tanti) tesi a trovare una 'cura' alle mutazioni.
In realtà è un bel ragazzone biondo di cui, dopo che Rogue lo respinse a causa di un commento sul cajun, si sono perse le tracce (Mystica ha deluso pure lui). E riguardo alla vicenda di Pulse è legato anche il destino di Remy. Se non sapete cosa è successo nei fumetti, non temete: ci arriverò. Se lo sapete, avete già capito tutto ma non gongolate troppo.
La fuga di Rogue (a ben pensarci, Rogue fugge un sacco nella sua vita), invece, prende direttamente dai cartoni anni '90 quando la poveretta scappa a Muir proprio seguendo il miraggio di una cura fornita dalla Dott.MacTaggart (che altri non era che Sinistro...mi pare. Dietro c'era pure Apocalisse e in quell'occasione Angelo divenne il pennuto blu che tutti conosciamo).
Pulse, cmq, si presenta intorno all'M-day (non mi ricordo se prima o dopo).

Altre citazioni ancora -mooooolto velate (sarcasm)- riguardano il triangolo Jean-Scott-Betsy.
Nei fumetti (anni 90) è dovuto al casino che insiste su Betsy: la bella inglesina, dopo esser stata data per morta ed essere finita in Australia, insieme a un altro pugno di X-Men, varca il Seggio Periglioso e ciascuno si trova a una nuova vita: Tempesta torna bambina e lei, invece, si risveglia nel corpo della ninja asiatica Kwannon. Successivamente si capisce cosa sia successo, quando le due Psylocke identiche anche ai sensi di Wolverine, si in(s)contrano: due corpi con due menti smezzate tra loro. In soldoni, chi faceva la corte a Scott era quella metà della mente di Kwannon nel corpo numero 1. (Il corpo numero 2 morirà per il virus Legacy)

Ancora, e chiudo, c'è un pesante riferimento ad House of M (e quando mai) e, viste le recenti uscite dei fumetti, direi pure del futuro (nulla vieta che prima o poi faccia la sua comparsa anche Raze). Perché? Perché indipendentemente da tutto, i due esperimenti di Arma X si "rincorrono" -se così si può dire, in modo infantile dall'alba dei tempi. A parte la parentesi di Destiny, con cui Mystica 'allevò' Rogue, la mutaforma è zompata da un letto all'altro -sempre con bestioni poco raccomandabili- ma quando ha avuto bisogno, è sempre corsa a cercare 'protezione' dal canadese. E, ripeto, in fondo non è cattiva. Per altro, la forza di una coppia del genere è che sono entrambi contorti e sul limite tra bontà e crudeltà. Anche se Mystica viene sempre ricordata come cattiva e doppiogiochista, in realtà 1- ha sempre cercato di proteggere sua figlia...e suo figlio 2- non era lei che assassinò Graydon Creed (l'altro suo figlio) anche se tutti gli indizzi la davano colpevole) 3- fatto parte di X-Factor (anche se, appunto, nessuno si fidava di lei).
Il problema della rossa è solo che quando si incazza diventa pericolosa e sadica.

E per oggi basta spiegoni. Spero non vi siate persi e... niente...alla prossima settimana ;)

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Capitolo 6
*** Anche le formiche nel loro piccolo s'incazzano ***


6. Anche le formiche nel loro piccolo s'incazzano.






Il viaggio fino alla casa di Tony fu relativamente breve. Quando la Limousine si fermò nell'apposito spiazzo antistante la villa, Pepper dovette trattenere un gemito.
“Si può sapere cosa hai fatto?” urlò a Tony prima che quello potesse sgattaiolare fuori dall'auto, lontano dalle sue grinfie.
Al posto della villa bianca, dal design circolare e dalle ampie vetrate intelligenti, c'erano solo cumuli di macerie e blocchi ci calcestruzzo sbriciolato sul patio. Nulla lasciava intendere che, fino a pochi mesi prima, ci fosse stata una villa laddove una profonda voragine, che poteva sembrare di origine meteorica, si estendeva per decine di metri.
“Non ti preoccupare... l'aveva già mezza distrutta quando aveva picconato le pareti interne per costruirsi un acceleratore di particelle per creare l'elemento che ora alimenta i vostri generatori Ark” commentò tagliente Natasha, per nulla impressionata.
“Studiando gli appunti di papà, che, guarda caso, partivano dal Tesseract...” stava continuando lui quando un'occhiata in tralice, gelida e rabbiosa della sua rossa assistente gli suggerì che era meglio tacere all'istante.
“E' per questo che negli ultimi mesi mi hai fatto fare il giro del globo come una trottola e non mi hai mai fatto tornare a Malibù?” strepitò lei, bianca di rabbia
“Beh, ecco... in realtà...” balbettò lui cercando una scusa convincente “C'era anche il progetto della Torre a New York che....”
“E pensavi di riuscire a sistemare questo macello nel frattempo?”
“Ehm.... sì...” disse lui, illuminandosi come uno scolaretto “Stavo progettando un robot che fosse autosufficiente e...”
“Hai creato almeno 50 armature solo nell'ultimo anno!” lo zittì lei, frustrata.
“Certo, sono un genio! Mi son solo fatto un po' prendere la mano. Poi avevo Fury sempre in mezzo ai piedi che mi rompeva le palle con le sue consulenze idiote. E poi il Mandarino e poi i Chitauri...!”
“Ed ecco spiegato perché hai bisogno di una segretaria che ti stia alle calcagna come un mastino. Appena torniamo a New York organizzo tutto io...” replicò lei con professionalità apprestandosi a scendere dal veicolo. D'altronde quello era il suo lavoro. E quella era casa sua, di lui, non loro.
Simon Williams, il proprietario della lunga vettura bianca, scese con i suoi ospiti per osservare quella distruzione e per congedarsi da loro. “Ora capisco in che razza di mondo vivi...” Scherzò con Janet “Noi abbiamo gli stuntman... se penso che questo non è un set ma era una casa vera...”
“Oh, dovresti fare un film su di noi... prima o poi raccoglieremo le nostre memorie...” replicò Janet rispondendo al gioco.
“Veramente sul tuo amico il progetto è già in cantiere” commentò lui, sovrappensiero, riferendosi ad Iron Man.
“Cosa?” starnazzò Tony Stark, sentendosi chiamato in causa
“Ho sentito che si parlava di Jhonny Depp1...” concluse l'attore facendo spallucce
“Ma quello è pazzo! E pieno di tic!” protestò quello come se avesse davanti il rappresentante dei produttori. E l'attore non lo rispecchiasse in pieno.
“Anche tu...” replicò Pepper per poi far finta di non aver aperto bocca.
Janet ridacchiò, dimostrandosi d'accordo con lei. “Mandali pure da noi, se senti altre voci simili” continuò, imperterrita, rivolta all'amico attore.
Offeso, Stark si avvicinò a Pym, visibilmente innervosito dalla giovialità che la moglie mostrava a un altro uomo “Avanti, Hank!” disse prendendolo sotto braccio. “Mostrami le tue dannatissime porte... così potrò sprangartele una volta per tutte” aggiunse con un ghigno. Sperava di distogliere l'attenzione dell'amico dal simpatico quadretto pieno di fiori, arcobaleni e unicorni rosa che si stava consumando su quel che rimaneva dei gradini della sua villa. Ma Henry lo scansò di malo modo, estrasse dalla giacca un microfono portatile, se lo installò sull'orecchio destro con un movimento naturale per poi inoltrarsi tra le macerie, da solo.
“Che cavolo ti prende?” sbottò Tony, lasciato indietro.
“Il ragazzo è non poco geloso...” alitò Reed comparendo alle sue spalle come un fantasma “E sta ordinando alle formiche presenti di rintracciare i suoi congegni. Chissà dove saranno sepolti...”
“Se non saranno anche polverizzati...” borbottò Ben.
“Sono preoccupata per Janet, Reed...” disse piano Susan, avvicinandosi al gruppetto senza mai perdere di vista l'amica.
“Perché?” domandò l'uomo, torcendo senza il minimo problema il collo di 180° per poter osservare una raggiante signora Pym che si congedava da un vecchio amico.
“All'università giravano strane voci su Henry... non ci ho mai dato troppo peso. Si sa come sia facile malignare su chi è nettamente superiore alla media... però l'atteggiamento insofferente che sta tenendo Henry...”
“Su di me non c'è molto da malignare...” scherzò Reed
“Che voci?” domandò anche Tony curioso
“Beh.. girava voce che... ecco... che fosse un tipo violento. Soprattutto da ubriaco. Voci di corridoio vogliono che Janet sia già stata vittima di eccessive attenzioni da parte di Henry... prima che questo si mettesse con Maria, quasi per ripicca...”
Ben ridacchiò “E secondo te l'avrebbe sposato? Suvvia, Susie... Jan è una donna forte e non ci metterebbe nulla a mandare a cagare il marito. Soprattutto visto che è merito delle sue conoscenze e del suo patrimonio se lui è potuto arrivare dov'è. Con il suo solo genio non avrebbe fatto nulla della sua vita”
“Credo che questo dettaglio possa influire negativamente sul quadro complessivo. Un uomo orgoglioso come Henry rischia di sentirsi un totale fallito, in debito con la moglie...”
“Ma il matrimonio è un continuo scambio! Si dà e si riceve. Sarebbe un ragionamento meschino. E non mi pare che Janet faccia pesare nulla” replicò l'uomo la cui pelle era uno strato di roccia.
“Tu, io e Reed possiamo pensarla così. Mettiti nella testa di un uomo frustrato, che ha sempre pensato che gli altri volessero tarpargli le ali e con un complesso d'inferiorità grande come una casa rispetto chiunque incontrasse... Se non è già successo, potrebbe succedere...”
“Sue, amore... i litigi in una coppia sono normali, più o meno accesi. Anche se, certo, c'è chi si lascia solo per un'incomprensione su un'indisposizione momentanea...”
“Non parlo di indisposizione, Reed!” sbottò la bionda “E per risponderti, Ben, tu non hai idea di cosa possa arrivare a sacrificare una donna innamorata... O vittima di un complesso simile a quello di Stoccolma... che si può instaurare anche sul lavoro, con il proprio datore di lavoro...”
“Non è che ti preoccupi troppo?” cercò di sdrammatizzare Reed
“Se fossi una donna non la prenderesti così alla leggera...” ringhiò la moglie, offesa dal non venir presa sul serio dai suoi compagni.
“Ma quali sarebbero le attenzioni speciali che Henry le avrebbe riservato?” domandò Tony, la cui curiosità non era stata minimamente soddisfatta
“Non essere morboso!” lo bacchettò Ben
“La più pesante che ho sentito, e la fonte pare fosse la compagna di dormitorio di Janet, vorrebbe che lui le avesse rotto la mascella e incastrato la testa nella porta...”
“La gente non sa inventarsi altre cattiverie per screditare la gente?” domandò infastidito Reed
“Se devono screditarti puntano alle cose peggiori che hai e le enfatizzano...” replicò Sue “Tu sei un caso a parte, così asociale da rasentare l'autismo, tanto che l'unica cosa che potevano dire di te era che fossi un nerd maniaco della precisione...”
“Ah ah ah! Una bestia nella sua giungla di libri!” lo canzonò Tony
“Di te, invece, dicono solo che sei un alcolizzato che si attacca alla bottiglia e si circonda di donne per nascondere la propria inadeguatezza e la paura che provi nei confronti del gentil sesso... Non si direbbe proprio, vero, conoscendoti? Uno che le cambia come fazzoletti come te...”
Tony sgranò gli occhi “Touché!”
Dicerie un corno! Ci avevano preso in pieno e con più precisione di quanto non vedessero i suoi amici più intimi. Che anche per Henry fossero stati così accurati? Non poteva e non voleva pensarci. Perché avrebbe voluto dire dover prendere posizione in una questione privata tra due dei suoi migliori amici. Amici che, pure, riuscivano a nascondergli dettagli così importanti.
“Ehi!” chiamò Henry dall'altra parte della villa, arrivando di corsa, innocente, il nervosismo che l'aveva percorso in precedenza sparito nel nulla “L'ho trovato! Ma mi servono le tue armature per togliere i detriti...” Il suo comportamento genuino strideva come gesso sulla lavagna paragonato al mostro che Susan aveva appena dipinto.
“Arrivo subito...” disse Tony, scrollandosi di dosso quell'orribile idea. Non riusciva nemmeno a immaginare di trovarsi in una situazione simile e poter fare del male a Pepper. Certo, riusciva a visualizzare un'accesa discussione. Poteva anche capire uno schiaffone dato da uno dei due in un impeto di rabbia. Ma lui non era proprio il tipo. Piuttosto fuggiva dal conflitto usando l'ironia e tra i due era Pepper quella violenta: più volte si era aspettato una cinquina in faccia che, grazie al cielo, non era ancora mai giunta. Immaginò l'imbarazzo e la vergogna di essere strapazzato dalla donna amata.
Provò, quindi, a pensarsi in una situazione frustrante come quella di Henry e dovette dare mentalmente ragione a Susan: al suo posto si sarebbe sentito un verme a venir maltrattato da una donna gracile come Janet e probabilmente avrebbe aggiunto frustrazione su frustrazione.
Tuttavia, non riusciva comunque a concepire la violenza perpetrata con gratuità e con sistematicità. Insomma, una volta che ti accorgi della cazzata, di aver alzato le mani, mica insisti, no? Può capitare la volta dopo e la volta dopo ancora, come un riflesso pavloviano, ma non tutte in una volta, no? E comunque mai fino a conseguenze così estreme, giusto? Allora come giustificare quelle miriadi di donne vittime di violenze, anche sessuale? Un brivido gli corse lungo la schiena, cacciò l'idea con forza e si ricordò dove fosse e cosa dovesse fare.
“Ohi!” urlò di rimando verso le donne che si erano intrattenute con l'attore hollywoodiano “Ci siamo!” disse avviandosi e richiamando a sé le due armature perché svolgessero il lavoro sporco della rimozione dei detriti.
Pepper salutò e lo raggiunse subito.
Tony avrebbe voluto chiederle se lei si fosse mai accorta di nulla... Lei e Janet erano amiche da, praticamente, quando lo erano loro... magari una donna aveva un occhio clinico più allenato. Ma come poteva affrontare un argomento così delicato?
Alle spalle della rossa sentì Janet salutare Simon con un giulivo “Ti chiamo al più presto”.
Si volse in direzione della scena per vedere che la donna non aveva nessuna strana intenzione nei confronti del bell'attore che, invece, era rapito dalla mutante che ospitava la psiche e i ricordi della sua vecchia amica Carol Danvers.
E quella stessa mutante, per quanto grande e grossa e potente, era guardata a sua volta a vista dalla scorta di freak, lontana appena pochi passi.
In quel momento, Simon le stava giusto consegnando un biglietto da visita con quanta più grazia possibile. In quel gesto, Tony vide un grande amore inespresso. Henry poteva stare tranquillo: l'attore era interessato alla mutante... e neanche in quanto tale, probabilmente, ma per i ricordi che quella donna custodiva al proprio interno.
Dio che brutta situazione. Parlarne o non parlarne? E con chi? Ormai era inevitabile pensarci...
Ma i casini più assurdi dovevano capitare tutti a lui? Quasi avrebbe preferito tornare nello spazio con un intero grappolo di bombe nucleari al seguito che pensare alla plausibilità di quell'idea che, ora, gli si era installata nel cervello come un cancro.

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Quando Logan decise che era tempo di rientrare (e solo perché gli era venuta fame, non perché ardesse dal desiderio di affrontare nuovamente Mystica e le sue frasi sibilline), ebbe la fortuna di trovare la cucina completamente libera. Non c'era traccia di Thor né di Wade. Era un'allucinazione o un miracolo?
Aprì il frigo e lo trovò miseramente vuoto, stipato com'era di soli alcolici. I padroni di casa mancavano appena un giorno e il loro gruppetto era già riuscito a personalizzare negativamente quel posto. Erano un branco di ubriaconi, dal primo all'ultimo.
Richiuse lo sportello con un grugnito. Non fece in tempo a formulare il desiderio di un po' di sano sushi da asporto che, da qualche parte nelle vicinanze, proruppe un coro di voci che, di primo acchito, gli diedero l'illusione che fosse scoppiato un temporale.
Incuriosito, e intimamente convinto fosse Wade con il volume del maxi schermo a tutto volume, si inoltrò per le stanze alla ricerca della fonte di tanto trambusto.
Ma non poteva trattarsi di Deadpool, visto che il mercenario lo raggiunse a metà strada.
“Prima che tu lo chieda, non è colpa mia. E le mie voci dovrei sentirle solo io!”
“Non ho detto che fosse colpa tua!” replicò il mutante sguainando gli artigli. Se non era lui chi diavolo era?
“Ma l'hai pensato! Lo so per certo, i nostri pensieri comunicano!” strepitò l'altro prima che Logan gli cacciasse una mano sul volto per farlo tacere.
Arrivati che furono in quella che doveva essere la sala per i ricevimenti, in cui non avevano mai passato più di cinque minuti e sempre di passaggio, i due canadesi si trovarono davanti l'intero gruppo che era sparito nel nulla due giorni prima. C'erano tutti anche se nell'aria sentiva puzza di pesce marcio: Namor...
Logan scorse rapidamente e istintivamente i volti di tutti i presenti e si accorse che il numero era leggermente aumentato. C'erano Warren e Ororo, troppo vicina al suo ex, T'Challa, ma mancava LeBeau. Fece una nuova carrellata per avere conferma di quanto i suoi sensi gli avevano suggerito con quella fastidiosa sensazione di déja vu. Era successo qualcosa di brutto tra il francese e la piccola cavallerizza. Meglio non farne parola con Mystica o quella scriteriata sarebbe stata capace di andare in capo al mondo per cavare gli occhi al cajun.
“Vieni qui!” intimò a Kurt, andando a prenderlo letteralmente per la collottola. Lo strattonò in corridoio, lontano da sguardi indiscreti, riuscendo a passare comunque inosservato alla nuova folla. Al resto delle informazioni avrebbe pensato Wilson: pettegolo come una comare, si sarebbe premurato di avere ogni dettaglio su quell'assenza per poi correre a riferire. A lui bastava sapere che erano tornati tutti sani e salvi. “Hai qualcosa da dirmi, elfo?” quasi ringhiò, la rabbia, il nervosismo o la preoccupazione trapelavano con facilità dalla sua voce e dai suoi gesti. Ma, grazie al cielo, si confondevano tra loro e solo lui sapeva cosa lo animava davvero.
Mein Heilige Gott! Was fürchte! Was passiert?2 Che ho fatto, stavolta?”
“Cosa non hai fatto!” precisò il canadese “Rogue è sconvolta e quella testa calda di un ladro non c'è... ti sembra sufficiente? Esigo delle risposte!” Il mutante demoniaco deglutì a vuoto, terrorizzato. “Non pregare in tedesco..” lo redarguì quando lui prese a salmodiare in quella lingua senza senso, tagliente come un rasoio “... non ti capisco!” Non era del tutto vero, ma voleva che il tedesco facesse un piccolo sforzo.
“Non mi squarterai, ja?”
“Se non hai fatto nulla di male, no. E comincia a parlare prima che ti aizzi contro tua madre...” minacciò lui imprigionandogli il volto tra due dei suoi tre artigli, sempre tenendolo per il bavero: se avesse provato a scappare teleportandosi, se lo sarebbe portato dietro.






1    Vedere, per credere, la prima serie Ultimates.

2    in Tedesco (non so quanto accurato): Oh Santo Dio! Che paura! Che succede?


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Riecco tutti a casa :) Ma se credete che le sorprese siano finite qui, vi sbagliate di grosso.
Che dire di questo capitolo? Ho finalmente accennato alla natura violenta di Pym (ma non alla zoccolaggine di Janet...voglio redimerla un pochino).
Per il resto, non mi sembra ci sia granché da aggiungere... 
Quindi oggi non la tiro tanto per le lunghe e vi saluto subito.
Alla prossima! e buona fine scuola a tutti!
non per gli universitari che sono alle prese con gli ultimi esami ;) 

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Capitolo 7
*** Il Consiglio ***


7. Il Consiglio.






Descrivere quanto avveniva al Consiglio degli Dei, evento di per sé raro quanto elitario, non era impresa facile anche per il più assiduo dei suoi partecipanti.
La riunione dei diversi olimpi si svolgeva in una dimensione al contempo comune ed estranea ad ogni comunità interessata dall'evento. Le sale in cui si svolgevano queste sporadiche riunioni, durante le quali le reciproche divergente e ostilità venivano messe a tacere, erano un connubio dei diversi stili architettonici iconici: i Tori rossi giapponesi si scioglievano in colonne doriche, incisioni runiche accompagnavano le figure maestose e statiche dell'antico Egitto, piume variopinte delle popolazioni autoctone amerinde si affastellavano sui vaporosi abiti delle divinità asiatiche e via dicendo.
Come avevano notato molti archeologi e filologi terrestri, non c'era poi questa netta differenza tra una civiltà e l'altra o tra un culto e l'altro ma, opportunamente giustapposte, nell'insieme potevano dare vita a una pellicola in cui storia e religione, cultura e geografia trovavano un loro senso continuativo.
Nella sala tondeggiante, ben illuminata e di ampio respiro, giaceva un tavolo di forma circolare a cui erano seduti i maggiori rappresentanti dei principali culti terrestri. Alle loro spalle, separati dal primo gruppo tramite una recinzione che aveva funzione più decorativa che protettiva o contenitiva, stanziavano tutte le figure di questi olimpi che avessero deciso di assistere all'evento.
Una giovane donna, vestita in abiti orientali, splendenti, che entravano in netto contrasto con i serici capelli neri, si levò al di sopra dei suoi colleghi che sedevano a quel tavolo e prese la parola per condurre l'assemblea “Quanto ci riferisci, Nobile Odino, è assai grave. Tutti noi, in misure diverse, abbiamo giurato di non interferire con il progresso della civiltà terrestre. Certo...qualcuno, come voi Aesir e Vanir, sprezzante delle regole comuni, ha inviato i propri campioni tra gli uomini, i cosiddetti eroi, affinché li proteggessero attivamente da ingerenze degli altri gruppi. Come già detto in precedenza, per quanto al fine di garantire neutralità, questa scelta è essa stessa un'interferenza. Ma non siamo qui riuniti per recriminare ancora una volta le nostre reciproche scelte. Siamo qui riuniti oggi perché il Pianeta, che tutti noi abbiamo giurato di sorvegliare e proteggere, è oscurato dalla più grande delle minacce. Non si tratta di invasioni esterne alla lega dei sette reami, né una regolare invasione di civiltà provenienti da altre parti dell'universo. Sappiamo tutti perché la protezione della Terra e il suo sviluppo equilibrato sia di così vitale importanza. Come sappiamo, Thanos, alleato e supportato dal tuo figliastro Loki, voleva estendere il suo dominio proprio al pianeta Terra, portando un grave scompenso negli equilibri universali ma i terrestri ne hanno respinto una prima invasione. Ora, egli ha posto Asgard sotto assedio, tramite la sua alleanza con Loki. Ritengo che il Consiglio non possa rimanere indifferente a tutto questo dopo che lo stesso ha già sterminato una vostra colonia su Urano e non si farebbe riguardi per la piccola e splendente Asgard.”
“La colpa è di Odino che ha mal gestito la cosa: si è inimicato, tramite quell'avventato di suo figlio Thor, la metà silente già soggiogata dei sette reami, risvegliandone gli animi. In più l'altro suo figlio ha condotto la discordia tra i regni e guidato il vendicativo Thanos alle soglie di Asgard, conscio di quello che era già successo su Urano. I Vanir hanno già pagato, su Urano, appunto! Che i cugini Aesir si arrangino!” tuonò Zuras dal suo posto. “Loki ha tradito, non solo gli Aesir che lo avevano accolto ma tutti noi: ogni divinità di ogni pantheon! Egli sedeva a questa mensa come dio legittimo e, per la sua ingordigia, ha sacrificato non solo il bene comune ma tutti noi, suoi parenti, alleati, amici, la sua famiglia e ogni essere a lui pari. Quella di Loki è una presa di posizione ben precisa: egli muove guerra a tutti noi! Pensa di essere più furbo di tutti noi, ma non sa -o non ha capito- cosa lo aspetta! Quanto possa essere terribile l'ira dei padri degli dei, dei figli degli dei e dei nostri eroi. Terrestri quanto divini.”
Alle sue spalle una donna bionda, nota sulla Terra come la coposezione agli armamenti delle Stark Industries, Azura Eliot, scosse la testa, amareggiata “E' sbagliato, padre...” sibilò dura, prendendo la parola “La Terra è patrimonio di noi tutti.” disse alzando la voce per farsi sentire da tutti, nella cerchia esterna “Se Asgard cadesse, nulla impedirebbe a Thanos di affrontare ciascun olimpo qui presente. Uno alla volta, magari, sfruttando le falle delle nostre rivalità interne. E' questa l'ora in cui dobbiamo mostrarci compatti. E' questa l'ora in cui dobbiamo dimostrarci degni del titolo che gli umani hanno coniato per noi. Siamo dei, onnipotenti, onniscienti e onnipresenti. Non siamo e non dobbiamo essere, burattini della conquista di un pazzo. Quanto a Loki, non sappiamo davvero in che gioco egli si stia dilettando. Loki è il più abile tra tutte le divinità dell'inganno. Conoscendolo, potrebbe risolversi tutto in una bolla di sapone. O una mossa strategica preventivata a nostro vantaggio per mettere nel sacco Thanos così da farsi bello agli occhi del Consiglio e assurgere, di diritto, ai seggi degli dei. Perché voi tutti, in questa sala, dimenticate un dettaglio di primaria importanza. Egli fu adottato e vive con senso di frustrazione il suo ruolo. Può essere che si senta a noi superiore, come può benissimo essere che si senta manchevole e non meritevole di questo onore, né per diritto di sangue, come legittimo figlio di Odino, né come valoroso guerriero. Di lui, in definitiva, non abbiamo colto che la superficie, come lo specchio di un lago, liscio e placido, che può nascondere, al di sotto del pelo dell'acqua, mostri e guerre intestine.”
“Sagge parole, Thena. Non mi aspettavo di meno dalla dea della strategia e della saggezza.” sorrise la donna che presiedeva la riunione “Se c'è qualcuno che può riuscire a intendere i piani di Loki e squarciare il velo polveroso delle menzogne da lui tessuto, quella sei certamente tu”.
“Padre...Thena ha ragione...” aggiunse una donna dai lunghi capelli neri venati da striature verde smeraldo, rivolgendosi all'uomo che aveva lasciato a intendere che gli Aesir dovessero arrangiarsi. “Aesir e Vanir sono fratelli... non possiamo voltar loro le spalle. Quello che successe su Urano doveva essere un avvertimento a non distrarci, a mantenere i ranghi compatti e non portarci alla divisione interna come sta accadendo.”
Zuras sbuffò, scrollando le spalle, come a cacciare le parole della figlioccia Sersi. Fissò Odino nell'occhio sano. “Cosa proponete di fare? Portare tutte le nostre milizie ad Asgard, lasciando sguarniti i nostri regni? Thanos e Loki potrebbero non aspettare altro: potrebbero aver previsto questa mossa e l'assedio ad Asgard potrebbe rivelarsi uno specchietto per le allodole, atto a farci disarmare le nostre guarnigioni per poterci meglio affossare.”
“Giammai...” obiettò Amaterasu, risentita “Chiedo a voi tutti la disponibilità a prendervi carico delle difficoltà in cui versano i nostri fratelli, profughi della loro stessa terra... Essi sono riuniti alle radici di Yggdrasill. Sappiamo come viaggiare per i suoi rami sia molto più difficile che affrontare i mari universali che separano i nostri mondi. Ma è l'unica strada che abbiamo per evitare un genocidio.”
“E pensate di lasciare che Thanos conquisti la città e con essa il regno?” tuonò, poco lontano, un uomo a torso nudo, una ribelle chioma nera che segava in due il capo rasato ai lati. “Non lo permetterò mai. Né credo, alcuno degli dei della guerra possa o voglia, come me, sottrarsi a questo scontro.”
“Ares ha ragione!” acclamò improvvisamente la folla attorno alle balaustre
“Per facilitare il passaggio esiste l'antico espediente a doppio senso: una vita per una vita. I guerrieri più valorosi prenderanno il posto dei più deboli Aesir; con i loro guerrieri, combatteremo l'invasore e questi troveranno rifugio nei luoghi più tranquilli degli aderenti al Consiglio.”
“Non c'è posto sicuro, ora come ora, Ares...” disse la donna “Ma è una buona proposta. In questo modo nessun regno resterà sguarnito e gli sfollati sapranno ricompensare gli ospiti in caso di attacco. Nessuno si potrebbe accorgere di uno scambio simile”
“Un momento... E i terrestri? Lasciamo i terrestri a sbrigarsela da soli?” sbottò Sersi, la donna dai capelli verdi e neri, già intervenuta in precedenza.
“Hanno dimostrato di saper tenere testa ai Devianti potenziati...” la rimbeccò Zuras “Non hanno più bisogno di noi...”
“Ora più che mai hanno bisogno di protezione” sbottò un altro omaccione, i ribelli capelli castani e riccioluti, trattenuti appena da un diadema dorato, incorniciavano il volto duro e barbuto “Sarò il più stupido tra i presenti, ma non è difficile capire che, sconfitti i Chitauri, i terrestri hanno dimostrato di essere pronti per guerre intergalattiche e che non tarderanno a ricevere sgradite visite da altri possibili conquistatori. L'intelligenza collettiva dei Kree, la falange tecnorganica, i Badoon, la Covata... nessuno di questi aspettava altro di potersi misurare alla pari con quelli che hanno sempre considerato delle scimmie per le quali non valeva la pena sporcarsi le mani...”
“Ercole ha ragione!” acclamò la folla.
“Ercole dimentica...” disse bonariamente la dea shintoista “Che molti di noi sono già sulla Terra, in forma anonima, per prevenire simili eventualità. Il nostro compito, ora, è decidere cosa fare ad Asgard, quando anche un dio come Heimdall, che in un primo momento sembrava essere cieco alle macchinazioni di Loki, sembra palese come ora abbia tradito...”
All'improvviso, una nube rosso-nera, accompagnata, dal tipico odore sulfureo del regno dei morti, interruppe la discussione. Amaterasu si ricompose, celando la propria sorpresa, come se quell'apparizione non fosse stata casuale. Al centro del tavolo, in posa arrogante, in posizione dominante rispetto a tutti i presenti, comparve una tetra figura, armata di forcone e ammantata di lugubre mantello nero.
“Lo so io cosa sta succedendo ad Asgard!” proruppe l'uomo battendo con violenza a terra il suo scettro mentre con un colpo secco del mantello, che sembrava dotato di volontà propria, dipanava la nube che ancora aleggiava attorno al suo corpo.
“Parla, allora, nobile Plutone” lo invitò Amaterasu con un inchino che fece tintinnare tutti gli ornamenti che aveva inanellati tra i capelli.
“Hela...” disse puntando il forcone verso Odino con fare rancoroso “...Venne nel mio regno, con la sua pallida faccia nordica. Venne non già a muovere guerra, come mi ero aspettato in un primo momento, ma venne ad avvisarmi.”
“Avvisarti?” domandò Odino, fattosi estremamente attento.
Nella sala scese un silenzio tombale. Tutti sapevano il legame che intercorreva tra Hela e Loki. E, più della preoccupazione, a zittirli era la curiosità e la maldicenza pronta pronta a divampare appena appreso il succulento pettegolezzo: Hela, dea della morte, aveva forse tradito suo padre, il dio degli inganni?
Plutone accennò una risposta affermativa col capo, digrignando i denti “Delle sue intenzioni. Del piano che Loki le aveva esposto e che si sarebbe andato compiendo nel giro di poco tempo. Anche se al riguardo, è stata abbastanza vaga....”
“Figlio di un cane!” tuonò una divinità egizia brandendo la propria alabarda “Tu sapevi e non hai avvisato nessuno.”
“Sapevo e sono venuto subito..” lo corresse Plutone, la testa rasata riflesse, minacciosa, un baluginio delle torce che pendevano lungo la parete circolare “Non vi è meschinità o inganno nelle mie intenzioni. A differenza di quanto si potrebbe dire di voi e di quello che combina il vostro protetto El-Sabbath-Nur... Ma non siamo qui per polemizzare su creature millenarie da voi elaborate...” disse per sviare il dibattito. Fissò negli occhi i presenti ad uno ad uno “Sono qui per dirvi che abbiamo già un buon grado di controllo sulla situazione: il figlio di Satana, Daimon, come voi tutti sapete, è sulla Terra e collabora a una coalizione intergalattica di cui fa parte anche un membro dei Guardiani...” Plutone tirò un respiro enfatico “Hanno un contatto con Loki e lo hanno evocato sulla Terra per ordine di uno dei terrestri responsabili della sicurezza. Ma è Loki a manipolarlo e non il contrario.”
Attirato ch'ebbe l'attenzione della platea celeste, Plutone passò a illustrare quanto gli era stato riferito dai due abitanti infernali e di come il dio degli inganni avesse intrappolato Odino e avesse sfruttato la sua nuova posizione per consegnare ai Guardiani preziosi quanto pericolosi manufatti che avevano interessato la guerra scatenatasi sulla Terra ad opera di Thanos e dei suoi Chitauri. Riferì quale fosse il disegno finale del dio e di come si aspettasse di portarlo a compimento.
Per un attimo, quand'ebbe finito di esporre i fatti, il silenzio piombò pesante sui presenti. Un silenzio carico di stupore e aspettativa e ammirazione. Ma subito il vociare concitato tornò a riempire la sala, animandola di dibattiti e scambi di opinione frenetici e veementi.
“Dobbiamo stabilire le misure di contenimento!” urlava uno
“Dobbiamo mandare qualcuno sulla Terra o sarà lo sfacelo” gridava qualcun altro
“Che le Erinni facciano scempio dei loro corpi!”
“Ora basta!” tuonò l'imperturbabile Amaterasu “La Terra va sorvegliata. Se gli umani saranno latori della loro stessa estinzione è una cosa che non deve riguardarci.”
“Per Hel, Amaterasu! Come puoi dire questo dopo i millenni che li osserviamo?” sbottò Odino “Non ti piange il cuore a vedere tanti talenti sprecati?”
“Tanti talenti che l'uomo non sa gestire. Devono imparare o morire nel tentativo, come abbiamo fatto noi. Aiutarli vorrebbe dire foraggiare le loro debolezze” sbottò anche Thena, la dea saggia.
“Non stiamo parlando di portarli sulle nostre spalle, sorella!” tuonò Ercole “Ma di prenderli per mano e mostrare loro la giusta via! Eravamo...siamo noi poi così diversi? Loro trovano in noi gli stessi vizi e le stesse virtù che loro paventano e ammirano. Noi siamo le pietre miliari del loro comportamento. Siamo dunque così migliori?”
“Ha ragione il Leone dell'Olimpo!” latrò Anubi alle loro spalle
“Anche noi siamo divorati da guerre intestine e fratricide! Anche noi abbiamo grandi amori come grandi odi... perché nel cuore umano dovrebbe albergare solo la bontà o solo l'odio più feroce?” replicò un dio Atzeco tutto ricoperto di piume colorate.
“Non si tratta di bontà ma di giustizia!” replicò anche Zuras, schierandosi con la dea nipponica.
“A ben vedere...” intervenne serafico Shiva “Ognuno di noi ha un concetto diverso di giustizia... perché il concetto umano, a sua volta frammentato in una miriade di schegge diverse, dev'essere l'unico discorde? Loro si uccidono per ciò che ritengono giusto o sbagliato...”
“Allora eleviamoli subito al rango di divinità” lo schernì Plutone
“Non dice questo: non sono pronti, oggettivamente...” disse Odino “Ma concordo con il campione dell'Olimpo: dar loro una guida non equivale a preservarli dalle sfide che dovranno affrontare”
“Hanno già i nostri racconti come guida!” protestò qualcun altro, dal mucchio
“E in nostro nome, infatti, si uccidono!” replicò Thena, tagliando la testa al toro. “Pensiamo alle difese di Asgard... agli umani penseremo poi...”






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Una piccola pausa in tutto ciò che sta succedendo per mostrarvi come le azioni di Loki -e il destino della Terra- non abbiano avuto effetto solo sui due pianeti ospite e spiegare, così, cosa succederà sul fronte di Asgard.
Ciò mi permetterà di far scendere in campo due Vendicatori come Ares (Ares è tale solo sotto Osborne, chissà poi perché) ed Ercole. Ricordo a tutti che i babysitter del figlio di Ares, per altro, non sono altro che alcuni tra i migliori agenti S.H.I.E.L.D. Così il dio ha una voce diretta dal campo. Ma è una cosa che non approfondirò, volevo solo farvelo notare.
Per ora basta così ;) Alla prossima settimana!

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Capitolo 8
*** Vecchie conoscenze ***


8. Vecchie conoscenze






“Sei sicuro di quello che fai, capo?” urlò Dum Dum sopra il fragore delle turbine mentre i suoi amici si imbragavano per prepararsi al lancio.
“Tranquillo, Tim!” rispose l'altro alzando la mano a segnalare che erano pronti.
“Che Dio vi assista!” borbottò il baffuto facendosi il segno della croce.
Val, nella stiva insieme a Fury, sorrise della scaramanzia dell'amico. Diede uno sguardo fugace all'uomo che amava mentre la pancia del Quin Jet si apriva davanti a loro, sotto i loro piedi. Tese la corda per assicurarsi che fosse agganciata e saltò nel vuoto, certa che lui avesse fatto lo stesso.
Sotto, dopo il momento di vuoto allo stomaco e di luce abbagliante negli occhi, vide svettare il volgare, acuminato, post-futuristico centro finanziario dell'HYDRA che emergeva dal terreno come una nota stonata nel paesaggio circostante, una cuspide conica tondeggiante tra i grattacieli verticali e rigidi di Kyoto. La Corona
sembrava un residuato bellico, scheggiato nei suoi tre livelli di rivestimento in acciaio temperato e montato su quella struttura che ricordava -gonfiata fino ad avere le dimensioni degli edifici adiacenti- l'alloggio per una lampada o una spada laser.
La città giapponese non ferveva ancora della vitalità caotica e colorata che la contraddistingueva in ore più tarde della giornata. E quel giorno si sarebbero svegliati con un edificio in fiamme, se tutto fosse andato secondo i piani.
Scivolarono come in caduta libera, accompagnati da un vento che avrebbe tagliato la pelle se non fossero stati adeguatamente equipaggiati. Sfondarono i lucernari con gli scarponi, si sganciarono dalle loro imbracature che li avevano accompagnati in quella folle discesa e rotolarono, armi in pugno, tra le schegge scintillanti di vetro satinato. Il velivolo sopra di loro si allontanò all'istante: meno restava in posizione vulnerabile, più possibilità avrebbe avuto di rientrare alla base. I due veterani dello S.H.I.E.L.D. non persero tempo in convenevoli e aprirono immediatamente il fuoco su tutti gli agenti HYDRA che accorsero per arrestarli. Si muovevano in perfetta armonia, schiena contro schiena a spazzare con le loro raffiche ogni spicchio della sala in cui si trovavano. Una leggera pressione sulla spalla e l'altro sapeva di dover modificare appena la propria posizione, o muoversi lateralmente... il loro antico sistema di codici, che non avevano più usato da Dio-solo-sapeva-quanto-tempo, si impadroniva di loro con una naturalezza e un'istintività che entrambi credevano perdute. Forse quella notte passata assieme sulla brandina rigida e fredda dell'Helicarrier non era stata un errore completo ma un buon riscaldamento preparatorio a una danza coordinata più pericolosa e mortale che non lasciava spazio a errori di sorta.
I loro attaccanti cadevano uno dopo l'altro, le grida di dolore soffocate dalla detonazione continua di bossoli che cadevano a terra in una lugubre pioggia tintinnante e cristallina.
Dopo un tempo che parve eterno, i loro assalitori erano tutti riversi a terra in un lago di sangue e ammonticchiati in piccole cunette verde marcio: gli uomini in divisa cachi dell'HYDRA avevano cercato di usare i loro compagni già morti per proteggersi, come in trincea, ma quell'espediente era servito a poco davanti alla furia dei due migliori agenti dello S.H.I.E.L.D.
I due non fecero in tempo a complimentarsi vicendevolmente per essersi salvati la vita che Fury sbarrò l'occhio digrignando i denti, il volto contratto in una maschera di dolore, e, sotto la morsa di una potente scossa elettrica, cadde a terra svenuto.
“Ottimo lavoro, Madame Hydra...” si complimentò la voce di un giovane uomo, comparendo nella sala da una porta nascosta in uno dei pannelli di cui erano ricoperte le pareti. Il complimento era tutto per Val che osservava il taser che stringeva in mano con una smorfia tra il disprezzo e l'orrore.
“Davvero eccellente.” Concordò una donna al fianco dell'uomo “Ti sei rigirata Fury come un calzino...”
I tratti somatici dei due erano inquietantemente simili: un uomo e una donna simili come gocce d'acqua, entrambi alti, slanciati e biondi, il naso dritto e aguzzo correva sul volto come un coltello e gli occhi azzurri e torvi illuminavano di una luce sinistra il loro già tetro pallore.
I gemelli Von Strucker, figli di uno dei più alti gerarchi nazisti.
Andreas lui, Andrea lei.
Simili anche nel nome, in coppia prendevano il nome di Fenris1,il terribile e spietato cane della mitologia norrena. E come quello, promettevano ogni possibile nefandezza concepibile da mente umana.

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“Tornatene a casa tua, avanti, che poi sigillo 'sto posto!” stava imprecando Tony Stark mentre la maggior parte dei suoi amici, 
per niente intenzionati a lasciarsi scappare il finale di quel bisticcio furioso tra il padrone di casa e il suo acerrimo amico-nemico, si accomodava sulle poltrone di pelle.
Il suo interlocutore, però, non lo considerava minimamente, più interessato a osservare di sottecchi la moglie. “Devo riprendermi Visione!” replicò atono Henry Pym, quasi a se stesso.
“Tony... Credo dovresti preoccuparti di problemi più impellenti...” si intromise Pepper con una smorfia costernata.
“Che altro succede?” domandò lui, esasperato, roteando gli occhi
Lei gli mostrò il palmare sul cui monitor, sopra alla sezione dell'edificio, lampeggiava una scritta “Stanno arrivando...” sottolineò.
Tony, buttato un occhio al display, sbiancò di colpo. “Su su, fuori di qui, tutti e due, alla svelta!” cominciando a strattonare Janet e spintonare Henry.
“Perché tanta fretta, adesso?” domandò Janet, piccata, rimpicciolendosi e sfuggendo alle sue grinfie per volare sul display ancora illuminato. “Oh-o... hai ragione...meglio andare, caro..” si corresse tornando a dimensioni normali.
“Non lascio Visione in casa di questo depravato!” replicò il marito sfidando l'altro e senza badare troppo la moglie.
“Prenditelo e sparisci, allora!” ordinò Tony, stremato.
“Chi è che sta arrivando?” domandò anche Natasha, curiosa.
Pepper le rispose tendendo le labbra nel tentativo di fingersi ventriloqua “Una squadra S.H.I.E.L.D. con cui potresti avere problemi anche tu visto che tra loro c'è anche …” disse lasciando la frase in sospeso e cercando di comunicarle il nome 
con gli occhi (nome già immaginato dalla rossa alla prima lettera dell'acronimo dell'Agenzia), prodigandosi in espressioni che oscillavano tra il curioso e il grottesco.
“Scusa, Janet...” chiamò Ororo dal suo divanetto non appena quella fu tornata alle sue dimensioni originali “Posso chiederti di quale materiale è fatto il tuo vestito? Asseconda le tue variazioni di dimensioni senza una piega”
La stilista si osservò, sorpresa “E' una tecnologia di Reed...” disse indicando il capo dei Fantastici Quattro, tutto attorcigliato intorno a sua moglie in un quadretto di effusioni diabetiche.
“Credi che sarebbe possibile modificarla in modo che si adatti ai poteri mutanti?” domandò la dea dei venti sporgendosi verso lo scienziato.
“Credo di sì...” rispose quello per poi alzare lo sguardo su T'Challa “Penso che con l'aiuto di tecnologie wakandiane sarebbe senz'altro fattibile...”
Ororo si illuminò e si voltò verso l'ex e nuovo fidanzato. Stava per formulargli una domanda che lui la anticipò “Sai già qual è la mia condizione...”
Ororo, a quel punto, si imbronciò “Si chiama ricatto!” protestò
“Atterrati!” annunciò Pepper con la smorfia di un sorriso isterico che scopriva i denti e tirava i tendini del collo. Picchiettò su palmare e chiuse la finestra di dialogo. “Ora sono problemi tuoi... io devo recuperare il lavoro perso...” disse a Stark prima di rivolgersi all'amica “Jan, tu che fai, resti?”
“Vengo con te... non voglio esserci quando scoppierà il casino...” disse allontanandosi dalla sala “E poi noi due abbiamo una missione in sospeso...” aggiunse strizzandole l'occhio.
“Che missione?” domandarono Tony e Henry in coro, dimentichi, per un attimo, della loro discussione.
“Cose da donne...” ghignarono le due in coro.
“Io prevedo guai... Reed... andiamo a casa?” domandò Susan facendosi scrocchiare il collo nel tentativo di allentare la stanchezza.
“No, Susan!!! Fammi restare!” rispose Jhonny, piagnucolando come un bambino.
“E resta, se vuoi giocare a guardie e ladri col tuo amico Peter... io voglio una doccia...”
“Guarda che ce le ho -le docce- in questa torre” replicò Tony, offeso
“Voglio le mie cose, Tony!” replicò lei “Abbi pazienza...”
Ma lui la stava già salutando con un cenno disgustato della mano. 
Sì sì, vai pure!
“Siete stati due cretini incoscienti!” Tuonò la voce di Logan fuori campo. Nella sala calò il gelo e tutti si volsero verso la parete che nascondeva i due mutanti. Pepper e Janet, che stavano salutando i presenti e si accingevano a lasciare l'ambiente, furono le prime a vedere come il teleporta Kurt fosse trattenuto al muro da un più che alterato Wolverine. Deadpool, al loro fianco, si era seduto per terra a lavorare a maglia, quasi avesse dovuto ammazzare il tempo durante un lunghissimo riepilogo.
Accortosi di aver attirato troppi sguardi, il canadese riportò a terra il compagno con poca grazia. “Deficienti!” sibilò marciando dentro e scandagliando tutt'intorno in cerca della mutante che tanto gli stava a cuore. “E ora dove si è cacciata?” ringhiò
“Se parli di Rogue è schizzata via appena siamo arrivati...” replicò Janet, accucciatasi accanto a Kurt e intenzionata a inondarlo di cure amorevoli.
Logan sbuffò e fece dietro front senza degnare nessuno di un saluto. Wade fu subito al suo fianco, inopportuno come sempre. “Un bel bacio risolve tutto!” sentenziò
Il canadese, per tutta risposta, sguainò gli artigli e glieli conficcò in pancia senza tanti complimenti per poi ritrarli lateralmente, squarciandogli tutto il fianco. Wilson imprecò dal dolore e lasciò che l'altro sparisse alla vista “Non è carino!” starnazzò “E Tony mi ammazza col suo uniraggio perché gli sto sporcando di sangue la tappezzeria...”
“Naa...” lo tranquillizzò l'interessato “Farò ricostruire l'intera sala per togliere la tua puzza di cadavere e ti porterò in laboratorio per sezionarti...” rispose serafico, per poi aggiungere, sotto la minaccia dello sguardo di Pepper “Scherzavo!”
“Non sei divertente!” piagnucolò Wade, come spaventato.
Pepper fece un cenno compiaciuto e ordinò a Janet e Kurt di seguirla al piano superiore.
“Ehi, Jan!” protestò Henry quando si fu reso conto che la moglie non rimaneva, davvero, con lui. “Non puoi farlo!”
“Non sei mio padre, Henry... torna pure a casa, ti raggiungo subito!”
“Dov'è Rogue?” irruppe anche Mystica, scarmigliata, il fiato corto e il volto stravolto dall'apprensione, comparendo sulla soglia fiancheggiata da un Quicksilver stranamente compiaciuto.
“Credo in camera sua...” rispose Tony che si sentiva inspiegabilmente sotto tiro. Non a torto. D'altronde era per fare la scorta a lui che i mutanti l'avevano seguito e, indirettamente, era responsabile di quanto occorso alla ragazza... anche se, forse, quel che era successo 
sarebbe successo comunque, indipendentemente dalle tempistiche e dal luogo.
Come Logan, la mutaforma girò sui tacchi e, senza una parola, marciò verso l'appartamento della ragazza.
Quando l'eco del suo ticchettare sul marmo del corridoio fu solo ritmo indistinguibile, il padrone di casa si permise di tirare un sospiro di sollievo e di accasciarsi nuovamente sulla poltrona di pelle. Stava per ordinare al suo maggiordomo il drink più potente che potesse procurargli che il rumore di passi cadenzati e pesanti tornò a colmare il silenzio assordante che si era venuto a creare dalla scenata dei due mutanti. “E ora che c'è?”
-Da questa parte, prego...- Sentenziò la voce sintetica di Jarvis, comparendo nella sala e indicando l'ambiente al nuovo gruppo.
“Oh, Dio...” gemette Tony “E questi chi sono, ora? Jarvis, il mio grattacielo non è un albergo.”
“Tony Stark, suppongo...” lo zittì, tagliente, una bionda fasciata in una tuta bianco ghiaccio
marchiata S.H.I.E.L.D. che la contraddistingueva come il capo-spedizione e le cui mostrine recavano solo un numero. 13. “Sono l'agente Carter e Nick Fury mi ha mandato come agente di collegamento tra i Vendicatori e quel che rimane dello S.H.I.E.L.D. originario...” Dietro di lei, in perfetto rigore marziale, due uomini e una donna si erano disposti a V, in attesa di ulteriori ordini. “Credo che Lei già conosca l'agente Barton...” disse volgendosi a indicare l'uomo armato di spada e arco dietro di sé. A quelle parole, Henry Pym, già insofferente, sbuffò innervosito. Natasha, poco più in là, aveva distolto lo sguardo dal gruppo, a disagio da quelle presenze a cui non avrebbe potuto fuggire. Cap, invece, si era proteso, come rapito, a studiare tutto il gruppo. “E l'agente Drew...” disse indicando la donna alla propria destra, la stessa che era venuta a prelevare Clint solo poche settimane prima ma che era stata anche assistente di Pepper durante l'attacco dei Chitauri “L'agente Barnes credo sia una conoscenza solo del Capitano Rogers e dell'agente Romanoff...”
Se, fino a quel momento, Steve era rimasto rapito dalla bionda, il nome della sua spalla ai tempi della Guerra fu come uno schiaffo che lo riportò violentemente alla realtà. Spostò subito la sua attenzione su quell'uomo fatto e finito, massiccio quanto lui, i cui lineamenti erano stati induriti dal tempo. Non sembrava invecchiato ma, certo, aveva perso la sua innocenza. Come anche lui, del resto.
“Bucky?” domandò, quindi, tirandosi in piedi e avanzando stentatamente verso quell'uomo dall'aspetto familiare.
L'uomo, dopo una fugace occhiata al suo superiore che, con un debole sorriso, lo autorizzava a rispondere, si volse verso il Capitano e stirò il più radioso dei sorrisi, così sincero da arrivare a fargli socchiudere gli occhi. Allargò le braccia, in un gesto di accoglienza, e disse solo “Sì, Steve... sono io!”
L'abbraccio cameratesco che si scambiarono i due uomini fu qualcosa di commovente. L'impettito Rogers che si scioglieva in un gesto tanto umano, tremante di gioia, con le lacrime agli occhi, quasi fosse al cospetto di un miracolo, manifestazione della grazia divina, e il minaccioso cyborg Bucky Barnes che, anch'egli, mostrava una parvenza di umanità, erano un'abbinata toccante.
“O mio Dio... Guardati...” Disse Steve “Non sembri nemmeno tu!”
“Tu invece sei identico a come ti ricordavo l'ultima volta...” replicò il Soldato d'inverno.
“Credevo che Natasha si stesse divertendo alle mie spalle parlandomi di te in termini di criogenia, arti bionici, addestramenti HYDRA...”
“E' questo che gli hai raccontato, Nat?” domandò l'interessato, volgendosi verso la rossa che si era alzata per affiancare Steve e fuggire lo sguardo sprezzante di Clint.
“Che altro dovevo raccontargli? Ho imparato dal migliore...” commentò lei indifferente. Ma Steve aveva notato lo sguardo che le aveva rivolto l'amico. Lo conosceva, non era passato molto tempo dall'ultima volta che l'aveva visto... cioè...non era passato molto tempo per lui... Decenni per loro. Ma Bucky non era cambiato... e conosceva quello sguardo: ferito, rassegnato... adorante. Aveva molto in comune con Clint, constatò, sollevando lo sguardo confuso su quello dell'arciere che, invece, li osservava infastidito. Cosa si era perso? Cosa gli aveva taciuto Natasha?
“Certo...” replicò James, asciutto, chiudendo il discorso quasi non volesse approfondire la conversazione. Quasi temesse di restarne coinvolto.
Cap ricordò le parole della rossa. Sul finire della Guerra Fredda il loro rapporto si era guastato e, alla fine, lei aveva vissuto il ritorno di Barnes in America come un tradimento. Ma qualcosa non quadrava: la rapidità di risposta dell'amico poteva passare per fastidio solo a un occhio superficiale. A lui, invece, sembrava che cercasse di trattenersi dal dire qualcosa di spiacevole o compromettente. Quale tassello mancava per capire il quadro completo?
Si stava interrogando sui rapporti tra i due quando la sua attenzione fu calamitata, ancora una volta dalla donna in bianco che stava battibeccando con Tony.
“Non era Coulson l'Agente di Collegamento?”
“Coulson non è la tua balia personale, Tony!”
“Meno confidenza, Agente! Posso capire che sia affascinata dalla mia carismatica personalità ma io ora sono....”
“E non tutte le donne sbavano ai tuoi piedi...” replicava la donna con fare altero e sicuro, genuinamente divertita dalla supponenza del magnate “Quindi vedi di rigare dritto se non vuoi che ti sbatta dentro per il primo motivo che mi viene in mente...”
“Scusa...” domandò Steve abbandonando a loro stessi i due ex-agenti del KGB e infilandosi in quel battibecco che sembrava troppo spontaneo e cameratesco per essere comportamento consono per un ufficiale. Non che Tony potesse notare la benché minima differenza... “Hai detto di chiamarti Carter...”
“Sharon Carter...” confermò lei dandogli una poderosa stretta di mano che lo lasciò esterrefatto.
“Sei, per caso, parente di...” cominciò che la donna lo zittì, esibendosi in una posa compiaciuta e strafottente.
“Sì! Sono la nipote di Peggy Carter... Era mia zia...” confermò con un ghigno mentre attendeva che Tony recepisse il messaggio
“Cosa?” strepitò quello, infatti
“Siamo cugini, scemo!”





1    Fenris, Fenrir o Fenrisúlfr. Si tratta sempre dello stesso cane nero che abbiamo già incontrato in precedenza.

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Bene, come avete avuto modo di leggere, la squadra si è definitivamente ricomposta. Fuochi d'artificio con Clint? Aspettate e vedrete.
Quanto a Sharon beh... la cosa che sia cugina di Tony è una forzatura tutta mia derivata dal fatto che ho fatto sì che la madre fosse anche la Peggy Carter vista nel primo film di Cap. Il rapporto di parentela tra le due non è una novità, visto che lo status cambia di volta in volta da sorelle, cugine, zia-nipote etc.
:) ecco... solo questa precisazione.
Fury? eh eh eh Ha beccato i figli del Barone Von Strucker e Val sembra aver tradito come da disposizioni iniziali. Ma vedrete che la spia delle spie se la caverà anche questa volta.
;) a presto!

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Capitolo 9
*** Costretto ***


9. Costretto






Una secchiata d'acqua gelida lo risvegliò dal suo torpore. Trasalì per un attimo, prima di ricordarsi dove fosse. La stanza spoglia e buia, illuminata solo da una squallida lampadina al centro del locale, sembrava voler essere una sala interrogatorio vecchio stampo.
“Allora è proprio vero... Niente L.M.D., 'sta volta!” ghignò maligna una voce di donna.
Andrea.
Doveva immaginarlo.
Quale doveva essere l'effetto del siero? Ah sì, permettere loro di stenderlo con un comando a distanza e, successivamente, renderlo inerme ma vigile. Peccato per loro, che la seconda parte del loro piano fosse del tutto inefficace. Cristo, però, la scarica l'aveva sentita comunque!
Ma tutto era andato secondo i piani e avrebbe avuto da ridire sulle convinzioni di Andrea circa il pisolino che si era concesso dal momento in cui era stato catturato. Aveva alterato il siero un po' a caso e il risultato l'aveva portato a risvegliarsi già durante il trasporto. Anche se non poteva sapere se si trovavano ancora a Kyoto o chissà dove in giro per il globo. Non potendo parlare e non potendo contemplare alcun paesaggio, coperto come si era trovato da un telo di spesso cotone, si era riaddormentato presto, annoiato.
Valentina era, probabilmente, presente in sala, fingendosi ancora sotto il controllo dei Von Strucker. D'altronde, perché avrebbero dovuto dubitare di lei? Il segno dell'iniezione violenta, rosso e gonfio, era ancora ben visibile sul collo esposto e la voglia di grattarsi era tremenda: aveva dimenticato quanto fosse sensibile come parte del corpo. E a proposito di corpo...ora che ci faceva caso notava come fosse stato denudato quasi completamente. Per decenza gli avevano lasciato solo la benda. Bontà loro. Non si fidavano di lui, e a ragione. Ma era una mossa che aveva calcolato. Così spogliato e perquisito non si sarebbe potuto liberare neanche nel caso in cui fosse stato libero dal loro condizionamento dato che i polsi erano ammanettati dietro la schiena. Non che fosse un gran stratagemma per immobilizzarlo. A meno che non si affidassero ancora al siero paralizzante. Probabilmente lo avevano sottovalutato, ancora una volta, e ritenevano che il contorto piano orchestrato ai suoi danni con la complicità di Loki, del CSM, di Val e Dum Dum e di chissà chi altro, fosse sufficiente a metterlo nel sacco.
Stirò un sorriso compiaciuto.
“Lo trovi divertente, Nick?” domandò ancora la donna, affacciandosi nello spicchio di stanza illuminato. La particolare luce, intensa e direzionata, che calava dall'alto come una mannaia, le scavava il volto e le lasciava profonde occhiaie sulle guance.
“Oh, credimi... dannatamente eccitante...” rise lui di rimando, deciso a stare al suo gioco.
“Lo penso anch'io... Andreas non è altrettanto d'accordo...” Poco più in là, dall'ombra, un grugnito infastidito arrivò in risposta.
Tombola! Erano tutti lì. Se c'era Andreas c'era sicuramente anche Val. Ottimo!
“Hai così paura che possa aggredirti da arrivare togliermi tutto?” replicò sarcastico il guercio “Sai che potrei essermi fatto innestare un condensatore laser sotto la benda, vero?”
“E tu hai sempre così tanta voglia di scherzare...” ghignò lei passandosi la lingua sulle labbra. Esattamente come avrebbe fatto un serpente che annusasse la paura della preda “...Sei pericoloso anche così, lo sai? Sei pur sempre un uomo e sei pur sempre... armato...” sibilò afferrandogli il mento con la mano artigliata di lunghe unghie fresche di manicure e gli impose prepotentemente un bacio violento. Un gesto di sfregio, di possesso, che di affettuoso non aveva proprio nulla. Mancò poco che, per tutta risposta, lui le mordesse quella sua linguaccia velenosa. Più che disgustato da quel gesto, fu il pensiero di qualche brutta malattia a balenargli nella mente. Paura idiota, visto che era coperto contro qualunque tipo di infezione, anche quelle che, nel mondo comune, risultavano ancora malattie incurabili.
Ma fu Andreas, il fratello, a interrompere quella situazione sgradevole. Strattonò la sorella, la trascinò lontano dal guercio con un'imprecazione e la baciò di rimando con foga e urgenza, quasi a cancellare il contatto che lei aveva avuto con l'agente S.H.I.E.L.D.
A quel punto, fu il turno di Val sbigottire. In quell'oscurità, Fury avvertì distintamente la sua sorpresa e il suo respiro che si interrompeva a metà. Per quel che lo riguardava, lui e Dum Dum già sospettavano della cosa e non ne rimase più di tanto sorpreso anche se vederlo dal vivo, a differenza delle congetture tipiche delle chiacchiere da bar, gli diede comunque un certo fastidio atavico.
Dio! Erano fratelli!
E se quello era ciò che si concedevano in pubblico, non osava pensare cosa succedesse quando restavano da soli, soprattutto conoscendo gli elementi in esame.
In ogni caso, a fargli davvero specie fu più che altro vedere Andrea sciogliersi a quel modo, lei, una novella valchiria gelida e crudele. Sarebbe stato come vedere l'integerrimo Capitan America ubriaco e delirante.
Andreas si allontanò di dosso la sorella tirandole con una certa gentilezza brutale i capelli biondi in cui aveva affondato la mano. “Non farmi più di questi scherzi...” ringhiò a monito, prima di retrocedere nell'oscurità e lasciarli nuovamente soli.

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“O.MIO.DIO!” urlò con la pelle d'oca additando disgustato la donna “Tu sei QUELLA Sharon!” Tony Stark, evidentemente colpito da singolari quanto traumatici ricordi, sedeva praticamente in braccio a Henry Pym nel disperato tentativo di frapporre tra sé e la bionda agente dello S.H.I.E.L.D. quanto più spazio possibile.
“Ci siamo persi qualcosa?” domandò Steve, dando voce al pensiero di tutti.
“Tu sei quell'odiosa marmocchia che mi ritrovavo per casa quelle rare volte che tornavo a casa dal collegio!” aggiunse per dare (più a se stesso che ai suoi ospiti) una collocazione nella sua vita  a quella sfrontata che lo osservava con raccapriccio.
“E tu sei quello stupido viziato del mio cuginetto ricco e nerd...”
“Cosa ci fai qui? Vattene subito! Non ti voglio qui! Sciò!” urlò isterico mentre Pym roteava seccato gli occhi, valutando se andarsene prima di gonfiare l'amico di botte. Allora non ci sarebbe stata astronave di sorta che l'avrebbe reso presentabile in poco tempo.
“Non ti sembra una reazione un tantino esagerata?” domandò Natasha, mani ai fianchi
“Questa disgraziata mi mordeva!” precisò il magnate “Come un cane! Ogni volta finiva che mi mozzicava! E la colpa era sempre mia, ovviamente!”
“Chissà tu cosa le facevi” la difese Steve immaginando un piccolo Tony, mandrillo e arrogante già da piccolo.
“Mi tirava le trecce” rispose quella, pacifica.
“E tu sfasciavi le mie macchine!” protestò l'altro di rimando “Eri un incubo!”
“Colpa tua che non mi permettevi di giocarci... me le strappavi di mano e davi la colpa a me se nella contesa i delicati meccanismi uscivano fuori sede o allineamento” replicò la bionda, fermissima e per nulla impressionata
“Non erano comuni macchinine, erano... Dio!” boccheggiò stremato passandosi entrambe le mani sul volto in un gesto nervoso “Sei una strega! Sparisci! Vai a sfasciare gli Helicarrier, va'!”
“Ci pensano da soli a schiantarsi ogni martedì, non temere...” replicò la donna accomodandosi sui divanetti liberi dirimpetto a lui
“Cosa fai??? Ti ho detto di sloggiare, parassita!”
“Me l'ha ordinato Fury... neanche a me garba molto l'idea...”
“Me ne fotto del cioccolatino col buco in faccia!”
“Non era il buco con la menta intorno?” gracidò Wade disteso sulla soglia a guarire. Come sempre, venne bellamente ignorato.
“Cugina... mi pare che i tuoi agenti siano persone adulte e responsabili...che sanno badare a loro stessi...”
Sharon sollevò un sopracciglio, divertita “Chi? Due che si son fatti soggiogare dagli alieni e uno a cui mezzo secolo fa fu fatto il lavaggio del cervello?” Parole che fecero ghiacciare il sangue a Tony. “No, caro! Io rimarrò qui, insieme a loro. Che tu lo voglia o no. Quindi vedi di liberarci una stanza.”
“Oh, beh...” commentò Steve, colpito “Penso che andremo molto d'accordo...”
“Sa come mettere a tacere Tony...” concordò Natasha
“Che schifo...” sibilò acido Clint, in disparte, rompendo con quel commento la strana armonia di quel battibecco. Tutti si volsero a osservarlo e lui non fece nulla per ricacciare quegli sguardi. Jessica gli andò in contro, sperando di calmarlo parlando con lui. Ma l'arciere la respinse in malo modo. “Non crediate che, perché sono stato costretto a venire qui, sia felice di questa situazione disgustosa!”
“Quella è la porta, Legolas...” lo rimbeccò Tony, già nervoso di suo, con un gesto stanco.
“Non mi provocare, Stark...” lo avvertì quello sul piede di guerra.
“Clint...” lo redarguì anche Barnes, avvicinandosi.
“Ah, taci, per cortesia... proprio tu vieni a farmi la predica? O sei solo masochista?” disse staccandosi dalla parete, pronto a rintanarsi nella sua nuova stanza. Cercò di evitare il pensiero che, forse, ora non esisteva più una stanza per Cap o per Nat, perché, con ogni probabilità, lui aveva preso il suo posto. “Sei davvero felice che il tuo idolo si sbatta la donna che ami? E lo faccia davanti a te? Fantastico! Complimenti! Ottimo esempio di sublimazione! Buon per te! Ma io non sono te!”
“Barton!” ringhiò Barnes, visibilmente alterato ma anche spaventato.
Ma Bucky non fece in tempo ad aggiungere altro che, leggera e silenziosa come una farfalla, Natasha era comparsa tra loro. Un sonoro ceffone riecheggiò nella sala, lasciando l'arciere col volto girato di lato e un segno rosso sulla guancia.
“Se hai qualcosa da dirmi, dimmela in faccia!”sibilò la spia ancora vestita a festa, quasi irriconoscibile con quella parrucca nera.
“Chi ti dice che io abbia qualcosa da dire a una puttana come te?” ringhiò lui di rimando, tornando a fronteggiarla con occhi fiammeggianti. Le sue parole, così dure e offensive, fecero trattenere il fiato agli astanti che temevano lo scatenarsi di una rissa.
“Come...?” alitò sorpresa la zarina.
“La vecchiaia si fa sentire? Sei diventata sorda? Voi russe, slave dell'est, siete tutte uguali, pronte a cambiare bandiera per assecondare il miglior offerente e trarne il maggior profitto... Dimmi, Natasha, io che vantaggi ti davo?” domandò con fare volutamente provocatorio. Cercava lo scontro, era palese.
“Ora basta, Clint!” intervenne Jessica, ma il collega non la degnò della minima attenzione.
Se la scrollò di dosso e, senza smettere di fissare la spia, continuò. “Mi domando se tu un cuore non ce l'abbia... usare così me, Bucky....”cominciò a enumerare senza staccarle gli occhi di dosso.
“Clint, sta zitto!” intervenne ancora il Soldato d'Inverno.
“Non so di cosa parli...” replicò la rossa, sicura, anche se sembrava che quelle parole l'avessero destabilizzata. Usare Bucky? Come? Di che parlava?
“...E ora Steve.” concluse Clint senza freni “Il povero, ingenuo e puro Capitano riemerso dai ghiacci e fermo al secolo scorso. Dev'essere uno spasso usare i tuoi trucchetti su di lui... se ci riesci tanto bene con noi, figurati cosa può succedere a una mente tanto semplice e fragile...”
Clint era giustamente arrabbiato. Lo sapevano tutti e nessuno lo biasimava. Aveva il coraggio di lavare i propri panni sporchi in pubblico, mettendo così in guardia tutti i presenti sulla pericolosità della donna. Poteva scegliere, indubbiamente, toni più pacati e un linguaggio meno offensivo, ma l'emozione che sgorgava sincera, comprensibilmente lo travolgeva.
Era una cosa che capivano tutti e per cui nessuno si scompose. Tutti tranne uno.
Clint non lo vide arrivare, nonostante la sua visione perimetrale e la prontezza dei suoi riflessi fossero leggendarie.
Un destro lo scaraventò a terra, lasciandolo boccheggiante e dolorante. Quando alzò lo sguardo, trovò Cap che troneggiava su di lui. “Chiedile scusa!” Intimò.
“La ragazza sa difendersi da sola, sai? Così sembri solo un vecchio sciovinista...” sputò con arroganza verso quello che era stato il suo idolo di ragazzino prima di rispondergli per le rime con un gancio sotto il mento per allontanarselo di torno.
Incassato il colpo, Steve si raddrizzò quasi non fosse successo nulla “Ho detto: chiedile scusa!” ripeté mentre con un dritto centrava in pieno Clint, nonostante questo si fosse mosso rapidamente per evitare l'impatto.
“Non avresti spaccato il muso ai nazisti senza giusta causa ma sei pronto a pestare me: fantastico! Devo averti proprio fatto incazzare...” ironizzò l'arciere tenendosi il naso sanguinante con una mano, barcollando lontano dal suo avversario.
“Sono uomini come te, soldato, che mandano in malora questo Paese” ringhiò Steve, disgustato, andando ad afferrarlo per il bavero.
“Tieni giù le mani...” replicò Clint con occhio feroce, abbandonando ogni sarcasmo, e costringendo l'altro ad allentare la presa “Non mi toccare, Cap, o, quanto e vero Dio, ti denuncio per molestie!”
“Il sexual harassment funziona anche sui maschi?” domandò Tony, interessato, al suo maggiordomo
-Faccio una rapida ricerca, signore-
“Se... Che?” domandò Steve confuso e spiazzato da quel cambio repentino d'argomento.
“E' un atto dei diritti civili, riguardante la discriminazione sul posto di lavoro, redatto nel 1964, quando tu eri Capitan Findus...” spiegò Tony, più tranquillo ora che l'attenzione di Sharon era stata calamitata dal confronto tra i due agenti.
-Signore...- l'interruppe Jarvis, zelante -La legge fu inizialmente estesa per correttezza ad ambo i sessi e mai rettificata, anzi si è estesa ed evoluta... Invero, vi sono numerosi casi di denuncia anche da parte di uomini, un fenomeno in crescente aumento. Al riguardo, trovo strano che le Sue ospiti non abbiano mai sporto denuncia contro di Lei...-
“Questo commento gratuito te lo potevi risparmiare. E comunque io non faccio nulla!” replicò Tony mettendosi a litigare col suo maggiordomo “Mica le fischio per strada e non le discrimino... la mia CEO è Pepper!”
“Ecco!” stava ringhiando Clint “... non ti prendere tutta questa confidenza solo perché abbiamo lavorato assieme!” sentenziò arrogante “O perché lei te l'ha data...”
“Non ho capito... si riferisce alla confidenza o...?” domandò Wade spezzando, con la sua battuta fuori luogo, la tensione che aleggiava sul gruppo da quando gli agenti S.H.I.E.L.D. erano piombati alla torre.
“A parte gli scherzi... Credo proprio che voi due dovreste parlarvi...” commentò Bucky beccandosi, in risposta, un'occhiataccia dai due litiganti “Mi riferivo a Clint e 'Tasha!”
“E cosa vuoi fare? Chiuderli in uno sgabuzzino finché o si chiariscono o si ammazzano?” replicò sarcastica Jessica.
L'agente Barnes si volse a guardarla, meditabondo “Potrebbe essere un'idea...”
“James!” protestarono in coro Steve e Natasha.
“Oh, andiamo... finitela di fare i bambini tutti quanti...” replicò Henry Pym che se ne era rimasto sbracato sul divano per tutto il tempo
“Credete seriamente che la nostra coppia di killer provetti possa resistere anche solo cinque minuti senza ammazzarsi se lasciata a se stessa?” gli fece eco Tony, scettico.
Fu il biondo agente 13 a sbloccare la situazione di stasi che si venne a creare a quelle parole. Marciò fino da Clint e, con poca grazia, lo strattonò lontano dal gruppo, ignorando le sue proteste. “Dannato vecchio!” sibilò, senza spiegare con chi ce l'avesse, mentre estraeva un piccolo cilindro metallico dalla tasca laterale dei pantaloni. Prima che chiunque potesse intervenire spruzzò qualcosa in faccia all'arciere che già si teneva il naso sanguinante e che, tossendo convulsamente, smadonnò irritato allontanandosi dalla donna. “Ecco, cugino... ora puoi lasciarli da soli..” replicò serafica e soddisfatta Sharon Carter tornando ad accomodarsi.





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Eccoci alla resa dei conti. :)
Dunque, Fury lo lasciamo un po' nelle grinfie dei Von Strucker (ma ci sarà davvero da fidarsi di Val?). Quanto ai ragazzi...beh... il confronto Cap-Clint l'ho voluto più che altro per ricordare come Cap abbia menato davvero Clint nei suoi primi giorni da recluta. Per insegnargli che non può contare solo su arco e frecce e che doveva imparare anche altre tecniche, ma questo è un dettaglio.
Quello che è più interessante è il fatto che si avvicina il confronto tra l'arciere e la spia. La prossima settimana capirete come mai Sharon ora si senta tranquilla a chiuderli in una stanza assieme. :)
Quanto a Bucky, non approfondirò troppo ma avete già avuto degli accenni su quello che è successo a lui e a Nat... :)
E con questo chiudo.
Buona settimana a tutti voi!

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Capitolo 10
*** Delitto e castigo ***


10. Delitto e castigo.






Nella sala il tempo sembrava essersi fermato. Gli astanti, chi sbigottito, chi allarmato, chi semplicemente incuriosito, aspettavano che l'agente 13 si degnasse di spiegare il suo comportamento. Ma la bionda non sembrava interessata a fornire alcun tipo di giustificazione. Tipico delle spie, pensò Tony con una punta di sarcasmo. Non era comunque ancora chiaro cosa diavolo avesse spruzzato in faccia all'agente Barton che, a sua volta, sembrava più seccato che destabilizzato. Nulla di tossico dunque...o no?
“Che diavolo gli hai fatto, Sharon?” fu Jessica, la cosiddetta donna-ragno per l'abilità innata che aveva di sedurre uomini di ogni tipo e manovrarli come burattini a suo piacimento, a spezzare quel muro di imbarazzato silenzio. Non si faceva molti problemi a comunicare le sue emozioni, dall'ignoranza al disagio. Era una donna schietta, diretta. A volte, però, il suo atteggiamento sincero risultava troppo duro e insensibile e finiva per allontanare le persone che la circondavano. Tanto meglio -pensava la donna cercando di ignorare quanto quei comportamenti la ferissero, mascherando il tutto con un manto impenetrabile di superiorità: evitava di spendere energie in relazioni fasulle o deboli che col tempo si sarebbero logorate comunque. E poteva benissimo fare a meno di chi non l'apprezzava. Fortunatamente, era brava nel suo lavoro e quindi non restava mai sola ma, per quanto dispotica, risultava comunque avere ottime doti di comando. Al momento, però, era allarmata dal comportamento scostante della collega e la notizia che avesse dei sospesi con l'ospite di casa, non la tranquillizzava: poteva pure avvelenare Clint tanto per fare dispetto a Tony? No...ma non ci avrebbe messo la mano sul fuoco.
“Il famoso inibitore di aggressività che Fury usa quotidianamente...” replicò lei tranquilla, un ghigno sulle labbra che calmò Jessica e allarmò Tony “Così, la Vedova è sistemata. E dubito che l'agente Barton alzerebbe mai seriamente le mani sull'agente Romanoff...”
“Chitauri a parte!” borbottò Tony poco convinto dagli esperimenti della cugina. Ripensò ai filmati di sorveglianza girati nei cunicoli dell'Helicarrier, tra il ponte di comando e l'hangar, cunicoli usati solo dai tecnici per le riparazioni. Li aveva visionati giorni dopo aver rispedito Loki a casa e aveva notato come i due agenti riuscissero a muoversi con la grazia e la fluidità di due ginnasti olimpionici, fluidità dettata da anni di allenamenti, pur in un ambiente a loro ignoto. Nessuno dei due, chi per il bene dell'altro, chi perché soggiogato, si era trattenuto. Attaccato al monitor, era sbiancato. Se non avesse saputo che le cose si erano risolte per il meglio, avrebbe urlato per l'angoscia di non sapere come sarebbe finita quella situazione così dannatamente equilibrata. Il colpo in testa all'arciere gli aveva liberato i polmoni e l'aveva lasciato ansimante alla console. Ironizzava sulla loro strana relazione ma quei due erano così letali che dovevano per forza andare d'accordo. Se uno dei due, minimamente, avesse sgarrato, l'altro non avrebbe esitato un istante a rimetterlo al suo posto. Per questo si era stupito quando i due avevano “rotto” a causa di Rogers: si aspettava una reazione ben più sanguigna da parte di entrambi. Invece erano riusciti a gestirla in maniera quasi normale. Rabbrividì al ricordo: ecco un altro tipo di relazione che non voleva assolutamente instaurare con Pepper. Dannazione. Più si guardava attorno più notava come fosse circondato solo da casi speciali e patologici. Oddio, lui non era poi così normale e forse bastava a dare quel giro eccentrico al loro sodalizio. Ma forse tutte le coppie, anche i normali civili che abitavano al di là della sua torre adamantina, erano fondamentalmente ciascuna un po' singolare e strana. Tornò a fissare la spia dai capelli rossi e a valutare quanto sapeva della donna per valutare le parole di Sharon: una volta ricevuto un incarico lo avrebbe portato sicuramente a termine, a meno che il suo obiettivo non indossasse quel particolare odore che agiva a livello subconscio, preservandolo. Forse Clint era davvero al sicuro. Ma lei? Certo si sapeva difendere e lui non era più soggiogato. Ma -come suggeriva il tarlo che Susan Storm gli aveva piantato nel cervello- anche l'amore poteva non trattenere un uomo dal fare qualcosa di cui si sarebbe pentito successivamente.
“...Ora anche lei non andrà oltre un ceffone o poco più...” stava dicendo Sharon con professionalità, a corollario della sua spiegazione.
Tony lanciò un'occhiata sbilenca all'arciere che Sharon intercettò. Spostò il peso del corpo sull'altra gamba, a richiamare l'attenzione del magnate. Gli sorrise bonariamente, lasciandogli intendere che aveva capito per cosa fosse preoccupato.
“Benissimo! Jarvis...” chiamò allora Tony “Metti i nostri due agenti -una coppia di provetti assassini, lo ricordo a tutti i presenti- in quarantena!”
- Signore...- rispose l'androide con fare puntiglioso -Noi non abbiamo una cella detentiva per la quarantena-
“Beh, creala!” replicò il magnate con aria di sufficienza, quasi il maggiordomo fosse uno scansafatiche e lavativo.
Interdetto da quella richiesta, il robot impiegò qualche secondo per ricalibrare il suo cervello positronico. Ai presenti sembrò quasi potesse sbuffare, ma il maggiordomo, semplicemente, stava valutando come ottemperare all'ordine del padrone. - Se i signori volessero seguirmi, cortesemente...- disse quindi, rivolgendosi agli agenti, prima di incamminarsi lungo i corridoi
“Prima donne, vecchi e bambini...” ghignò Barton affettando un inchino.”A quale categoria appartieni, 'Tasha? A tutte e tre...?”
Natasha lo fulminò con lo sguardo e, senza dire una parola, ticchettò via sulla scia dell'androide, strappandosi la parrucca nera e cominciando ad abbassarsi la zip posteriore dell'abito nero da sera di cui non si era ancora liberata e che avrebbe mollato da qualche parte dopo aver rubato a qualcuno una maglia e un paio di pantaloni: a un robot mica servivano i vestiti, no?
“Oddio...che giornata...” commentò Tony ributtandosi sul divano “Manca qualcuno all'appello? Deve succedere qualcos'altro?”
“L'invasione aliena e la bomba atomica l'abbiamo già avuta...” Commentò sarcastico Pym a cui ancora rodeva il fatto che la moglie avesse tagliato la corda a quel modo.
Tony non fece in tempo a rilassarsi e a chiedere al suo ferrovecchio di fiducia un drink -il più forte che avessero in dispensa- che un urlo animalesco proveniente da qualche piano sopra le loro teste, scosse le pareti in cartongesso della sala in cui erano riuniti. “E ora cosa cavolo succede?” Domandò esausto. Nonostante dai piani superiori provenissero suoni di dubbia origine, quasi fosse in corso un'altra invasione, Tony e Pym rimasero comodamente stravaccati a sorseggiare i loro drink, immersi ciascuno nei propri pensieri.
Fino a quando la loro quiete non venne disturbata prima dal rumore di vetri infranti e quindi da un boato che nulla aveva di normale. I due scienziati saltarono sul posto, insieme a quanti erano rimasti in sala, e si guardarono perplessi mentre uno strano venticello andava a scompigliare loro i capelli “Quello era il boato di un oggetto che infrange la barriera del suono...” commentò Stark tendendo l'orecchio.
Pochi minuti dopo, quando la calma si fu ristabilita e le tende tornarono a penzolare placide lungo le finestre, un ticchettio nervoso li raggiunse dalle scale. “Datemi qualcosa da bere...” ringhiò Mystica ricomparendo in sala, il volto corrucciato, i capelli arruffati e la pelle azzurrina screziata da quello che sembrava essere sangue fresco. Nonostante la pelle blu, gli occhi gonfi carichi di pianto e la voce roca e stridula non lasciavano a intendere nulla di buono.
“Fai anche due...” aggiunse Logan comparendo come un'ombra alle sue spalle, silenzioso come un felino. Non aveva gli occhi lucidi, ma qualcosa nel suo modo di comportarsi (soprattutto nei riguardi della donna, un fare quasi protettivo), nella sua voce, ferma e secca, e nella postura (le spalle scese, quasi un dolore immenso attanagliasse il suo cuore immortale, indicavano che fosse partecipe di qualunque cosa agitasse la mutaforma.

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L'ampia stanza che accoglieva lo studio personale della donna era ancora avvolto nella penombra quando vi penetrarono. Un interruttore scattò morbido e un tenue ronzio si diffuse, accompagnando il fluido e rapido movimento delle persiane che, nel giro di un minuto, si erano impacchettate ed erano state fagocitate dal soffitto, nel lungo e stretto alloggio predisposto. Un sole caldo e accogliente penetrava ora nella stanza con un'inclinazione dolce che rendeva la luce quasi soffusa “Accomodatevi...” disse Virginia, indicando le poltroncine in un angolo della stanza, lontane dalla scrivania laccata.
Janet e Kurt, che la seguivano dappresso, si inoltrarono nel ambiente arredato con gusto nonostante le apparenze spartane. Un vaso, contenente un paio di Fanfugium rossi come il fuoco, risaltava immediatamente tra le pareti color crema della stanza e contribuiva a delineare la personalità del suo occupante: forza e semplicità, grazia e determinazione.
“Dunque... il kit, il kit... dovrebbe essere qui...” farfugliò Pepper rovistando tra i cassetti perfettamente ordinati.
“Ma no, sto bene, non ti devi preoccupare...” protestò il teleporta improvvisamente a disagio per tutte quelle premure.
“Su, siediti!” lo incalzò Janet, dolcemente, accompagnandolo.
Kurt si strinse nelle spalle e lasciò che il peso gentile della mano della donna sul suo braccio lo trascinasse in basso. La coda guizzò e trovò rapidamente un anfratto accogliente in cui insinuarsi tra i cuscini di pelle.
“Ecco qui!” esultò Pepper, tornando con una raffinata scatoletta intarsiata e prendendo posto all'altro lato del sofà. Quando aprì quello scrigno intarsiato, il suo contenuto sorprese il mutante, che si aspettava rotoli di garze e cerotti, creme e unguenti, siringhe e termometri.
Invece, non c'era altro che una sorta di carillon da cui si sprigionava un intenso aroma di tiglio. E gelsomino. E forse lavanda. Ma lui non era un segugio come Wolverine. Di profumi ne sapeva ben poco.
Pepper ne estrasse un panno e lo inumidì con il contenuto della boccetta al suo interno, quindi lo porse a Kurt, la cui coda tamburellava sulla pelle tesa in palese segno di curiosità. “E'...caldo..” disse prendendolo in mano
“Una reazione chimica... L'effetto è quello delle salviette dei ristoranti cinesi e giapponesi...”
“Sa di... sandalo...?” commentò ancora il teleporta
“E' il mio trucco per sopportare Tony...” replicò la donna poggiando la scatola sul piano d'appoggio offerto da un basso tavolinetto di vetro dalla forma morbida e moderna. “Credo che, dopo la tirata d'orecchi di Logan, possa giovarti...”
“Grazie del pensiero.. ma siamo abituati a...” replicò il teleporta che, però, non ritrasse la mano dotata di sole tre dita, tozze e strane, quando Pepper la prese quasi a volerla pulire con quella salvietta. Nessuno -nessun umano- era mai stato così gentile nei suoi confronti e accolse egoisticamente quel gesto benevolo.
“Riguarda Rogue, non è vero?” domandò Janet, poggiando la mano su quella libera del giovane mutante che giaceva abbandonata sulla gamba e stretta involontariamente a pugno.
Kurt rilassò la stretta quando il tocco di lei gli palesò la sua propria reazione a quel nome. Accennò appena una risposta affermativa con la testa e, preso il panno dalle mani di Pepper, se lo passò sul volto, inalando la benefica essenza, sperando di cacciare i fantasmi che aleggiavano nella sua mente. Avrebbe voluto scomparire, inghiottito da quelle benevole volute ma, per il momento, si accontentava di nascondervi la faccia da demone “Non volevo farle del male...” disse in un rantolo angosciato.
“Ma certo che no!” sbottò Janet, comprensiva.
“Credo che la reazione di Logan fosse solo il suo modo di mostrare preoccupazione...” si aggregò anche Pepper
“Poteva esprimerlo in modo meno... meno!” la rimbeccò Janet quasi Pepper fosse la portavoce del canadese.
“Credo che non lo si possa biasimare per aver avuto una reazione così...violenta..” lo scusò Kurt riemergendo dal pezzo di stoffa “Più di altri, conosce le ombre che io e Gambit ci trasciniamo dietro. Perché lui è il primo a vivere coi suoi fantasmi...”
“Non vedo quali scheletri possa avere un ragazzo dolce come te...” lo rimproverò Janet, sorridendogli e posandogli la mano sulla guancia azzurrina, segnata dagli zigomi alti e teutonici.
“Più di quanti tu non creda. La mia vita è stata un continuo tentativo di redenzione... ma, evidentemente, la mia anima è troppo macchiata per poter sperare in un miracolo. E ciò si manifesta colpendo le persone a me care...” notando lo sguardo spaesato delle due donne, inalò ancora la sostanza che, ora, gli sembrava stranamente calmante. “Io sono il frutto di un concepimento contro la volontà di mia madre, Mystica... la donna che ha fatto irruzione poco fa, chiedendo di Rogue... e di quello che è considerato un demone, Azazel. E che scomparve nel nulla.”
“Il tuo aspetto demoniaco non è specchio del tuo animo..” lo corresse Pepper “O per primo condanneresti all'estinzione le persone sfiguratesi per salvare la vita a qualcuno? O chi nasce storpio per un difetto congenito? O, semplicemente, chi è diverso, chi non corrisponde ai canoni? Proprio tu fai un discorso simile? Un X-man?”
“No, certo che no... ma non sarei così sicuro della mia indole. Mia madre mi abbandonò appena nato... non voleva una creatura impossibile da nascondere agli occhi della gente: lei non si sarebbe mai salvata, altrimenti, dal linciaggio di cui rischiava di cader vittima. In più, le ricordavo la violenza subita. Se anche non fossi un vero demone, forse avrei meritato davvero di morire, quella notte. Le colpe dei padri ricadono sempre sui figli” recitò assente
“Quante scemenze!” lo rimproverò Janet
“Ma il destino si oppose a una mia rapida dipartita: dovevo espiare il mio tentativo di mimetizzarmi con gli uomini. Venni accolto e cresciuto da una famiglia di nomadi circensi. Che mi crebbero con amore... e che io ripagai con l'omicidio di uno dei loro figli...” ammise in un sussurro, prima di continuare con la sua confessione “Non intenzionale, certo. Fu un incidente e loro mi perdonarono... soprattutto mia sorella Amanda...” sospirò, affranto, e cercò ancora coraggio nella salvietta tiepida e profumata “Scappai per la vergogna...e mi ritrovai nuovamente braccato per il mio aspetto. Ma nulla poteva cancellare la mia colpa. Più volte ho tentato il suicidio, macchiando definitivamente e per l'ultima volta la mia anima, in cerca di una pace momentanea, sperando di non dover vedere ancora altra gente soffrire a causa mia. Ma, poiché fondamentalmente sono un vigliacco, all'ultimo momento, istintivamente, mi teleportavo altrove, qualunque fosse la modalità prescelta... Quindi finii nelle mani di Arma X, pensai di aver trovato, in Terra, l'Inferno che mi attendeva. Non mi sottrassi mai alle loro crudeltà: me lo meritavo. Come meritai di condividere la cella con mia sorella e vederla impazzire dal dolore. Era la mia punizione per il dolore inferto ad altri...”
Pepper e Janet erano basite da quella confessione. Certo, conoscevano, per sommi capi, la storia dei mutanti che ospitavano ma quella particolare visione era a dir poco agghiacciante.
“Gambit, invece... Era un ladro, certo, è stato sposato con un'assassina, un matrimonio d'interesse, combinato dalle loro logge. Per quanto i ragazzi potessero essere attratti l'uno dall'altra, Belladonna tradì, involontariamente, la fiducia di Remy e lo costrinse all'esilio forzato, convinta di poterlo seguire. Ma fu una rottura che li separò per sempre e in seguito fu Belladonna ad accusare Remy di averla abbandonata e di non aver pensato a portarla con sé. Non tutti lo sanno -è una persona fondamentalmente riservata nonostante l'aria da spaccone- ma è figlio di Sinistro, il genetista che sembra essere nascosto tra coloro che hanno cercato di screditare Tony e che si stanno muovendo per bandire mutanti e superumani... Sinistro, o meglio, Nathaniel Essex, era a capo del progetto Arma X. Non sappiamo fino a che punto Remy fosse consapevole del lavoro del padre. L'unica a conoscenza di questo dettaglio è Rogue e lei non ha mai aperto bocca al riguardo. Remy non è un santo, ma voleva bene a mia sorella. O almeno... voglio sperare che fosse così, altrimenti non l'avrei mai aiutato...”
“Certo...” lo interruppe Pepper, ancora frastornata dalla lunga sfilata di assassini, ladri, scienziati pazzi e follie generali di cui aveva appena sentito parlare.
“Quindi posso capire l'agitazione di Logan ma...” continuò Kurt, flebilmente
“Ma non credi che Gambit le avrebbe mai fatto del male volontariamente...” completò per lui Janet.
“No! Può ingannare altri... ma Logan lo avrebbe smascherato subito se...” stava spiegando, cercando di descrivere al meglio come i sensi di Wolverine coprissero anche la gamma delle emozioni che filtrano attraverso il sudore, il battito cardiaco, il calore corporeo e l'alito.
“Come ha fatto con te...” alitò Janet, spezzando il filo dei suoi pensieri, prima di alzare, piano, gli occhi su quelli del mutante, gialli come quelli di un gatto notturno.
“Non... non capisco...” tergiversò lui, sentendosi preso in trappola, la coda ora ferma e rigida.
“Tu sei innamorato di Rogue, non è vero?” domandò Pepper, più diretta, ora abbandonata sullo schienale. Lasciava a Janet il ruolo della crocerossina “Siamo donne, certe cose non ci sfuggono... non quando siamo esterne alla vicenda, per lo meno...” spiegò lei, tranquilla.
“Cosa?” sbiancò il teleporta “No! Assolutamente, no! Io non... no!”
“Calmati, Kurt!” lo redarguì Janaet vedendolo andare in iperventilazione “Non diremo nulla... non a Logan, per lo meno. E se vorrai, nemmeno a Rogue... Anche se...”
“No! No, vi prego, no! Lasciatela stare!” Urlò rizzandosi in piedi e facendo oscillare pericolosamente il tavolino d'appoggio, urtato con le ginocchia nel suo elevarsi così di scatto “Non deve soffrire ulteriormente a causa mia...”
“Quindi ci abbiam preso...” replicò Pepper, per nulla impressionata. Kurt tacque, colpevole, e abbassò lo sguardo “Sarai ben strano...” sospirò la rossa “Hai aiutato in ogni modo il tuo rivale e hai sempre fatto il buffone con lei... Posso capire la tattica del ti offro una spalla su cui piangere ma....”
“No!” sbottò lui “Rogue non deve saperlo!”
“Perché no? Non siete fratelli né avete mai vissuto realmente come tali, avete scoperto in età adulta un collegamento tra voi, lei si fida di te e...”
“Soprattutto... ho un dubbio: toccandoti non assorbe questa conoscenza?” si intromise Janet, ficcante. Ma lui non le ascoltava.
“Non posso! Ho fatto un voto!” Kurt quasi gridò. “E un giuramento...”
Pepper e Janet stavano per obiettare che, in epoca moderna, chi più prestava attenzione a voti e giuramenti? Tutti si rimangiavano la parola con abili sotterfugi – e talvolta nemmeno quelli – poteva farlo anche lui, specie se aveva giurato a un morto o a una qualche divinità.
Ma sentendolo sciorinare sommessamente un rosario, si rimangiarono quanto stavano per dire. I morti non se ne facevano nulla dei giuramenti: erano un modo che gli uomini trovavano per non fuggire alle loro responsabilità, stratagemmi pensati in momenti di lucidità per altri delle cui azioni, presto o tardi, ci si sarebbe potuti pentire, un modo per non macchiare l'orgoglio e la dignità.
Kurt riteneva che il suo affetto fosse qualcosa che doveva essere tenuto segreto, a beneficio di qualcos'altro. Le due donne si scambiarono una rapida occhiata e, insieme, desistettero: cosa ne sapevano loro della vita che aveva condotto gente come lui, delle sofferenze e degli orrori che avevano visto e di quali fossero le loro scale di valore morale? Forse avevano sbagliato anche solo a costringerlo allo scoperto: la loro curiosità aveva scoperchiato un classico vaso di Pandora, ora richiuso a forza dalla nenia del mutante. Con ogni probabilità, come nel mito, la speranza era rimasta intrappolata all'interno mentre gli orrori straziavano la sua mente.
Quel che era certo, comunque, era che i due fratelli, e i mutanti più in generale, sembravano essere perseguitati dalla malasorte, cosa su cui le due donne presero a meditare ciascuna per conto proprio.





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Ah ah ah ah
Sorpresona! Su su, non arrabbiatevi per la poca logicità della seconda parte. :) ma ho voluto fondere due storie in una. O meglio, due personaggi. Kurt ha davvero amato (solo che poi lei l'ha mollato) Amanda Shefton, sua sorellastra ai tempi del circo e l'omicidio di cui si macchiò il demone risale proprio a quei tempi. La cosa tra i due andò avanti -tra alti e bassi- per parecchio tempo (a pensarci è sempre Amanda che tagliava la corda). Quando Kurt era a capo degli X-men (prima del Seggio Periglioso) e quando riprese il ruolo di leader nel gruppo di Excalibur.
Il suo sciorinare rosari è una strizzata d'occhio al momento in cui, anni dopo, prese i voti. Mentre la relazione -inesistente, voglio rassicurare tutti- con Rogue, è un'evoluzione di quanto lasciato intendere da Claremont in X-Men Forever (aspetto di leggere il seguito su cui ha lavorato di recente) ma nasce da un'intuizione letta ancora quando Rogue era una novità in squadra (siamo negli anni d'oro di Claremont, sempre lui, che per le sue idee sulla fine degli X-men è stato cacciato di malagrazia...sempre lui ha fatto prendere i voti a Kurt, anni dopo): lei, Kurt e -mi pare- Colosso, erano al fiume a giocare allegramente e Kurt fece un qualche scherzo alla mutante. In quello scherzo, non so perché, io lessi un qualcosa di più (Kurt non si prende certe confidenze se non con Kitty, con cui sono amici di vecchia data e tra i due non c'è nulla): Rogue era nuova, le avevano appena fatto dei complimenti e i due non sapevano ancora di avere una donna di nome Mystica in comune nelle loro vite. Se poi teniamo conto di come Claremont voleva far finire le cose (X-Men Forever) viene il dubbio che la mia interpretazione fosse pure giusta.
Ad ogni buon conto, la cosa finisce qui. Ma serviva a giustificare l'eccessiva apprensione nei confronti della donna.
Perché questi sentimenti non arrivano a Rogue? Semplice, perché quando Kurt vuole farle riprendere il controllo, si concentra su pensieri positivi, sull'affetto che nutre per lei -lo stesso fa Logan- e la consapevolezza di un sentimento così forte la riporta in qua. Proprio il fatto che si concentrino su sentimenti positivi non ha mai fatto dubitare la mutante della loro buona fede, tutto qui.
Ora non restano che due domande: cosa succederà tra Clint e Natasha? E cosa è successo a Logan e Mystica? :) continuate a leggerlo per scoprirlo.

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Capitolo 11
*** Sentimento e Orgoglio ***


11. Sentimento e Orgoglio






Kurt gli aveva fatto un ottimo resoconto. Fin troppo dettagliato. Avrebbe volentieri ammazzato di botte quell'elfo deficiente se non fosse stato l'ultimo congiunto rimasto a Rogue. O meglio, l'ultimo di cui le importasse qualcosa.
Arrivato sul pianerottolo, si era fermato, non sapendo bene come comportarsi.
Come stava reagendo la ragazza?
E lui? Come avrebbe dovuto comportarsi? Non era proprio la persona più indicata per consolare una giovane donna ferita, per quanto forte come Rogue. Anche con Betsy era stato difficile. Ma l'inglesina era in uno stato confusionale tale che aveva potuto permettersi di essere rude. E tra loro non c'erano particolari legami.
Rogue, invece, era quasi come una figlia. Erano troppo simili e aveva paura di rompere irrimediabilmente qualcosa. Così come era già successo a lui stesso.
Rimase un paio di minuti imbambolato davanti alla porta della camera, non sapendo bene cosa fare, il pugno alzato per bussare sospeso a mezz'aria. Dall'altra parte arrivavano i bassi dello stereo da cui fuoriuscivano canzoni di vario tipo a tutta potenza. Una voce angosciata, strascicata, rotta, smozzicata, straziata e disperata emergeva tra i bombardamenti ritmati e cori melodiosi storpiando con cattiveria le parole della canzone di cui cavalcava il ritornello con crudele sarcasmo o a cui rispondeva a tono: Rogue era irrimediabilmente stravolta. I stole your love, urlava con rabbia e lui riconosceva in quelle urla tutto il dolore che può provare un essere umano. La mutante non era certo persona che cedeva facilmente ai sentimentalismi ma quel particolare tipo di sofferenza gli era troppo familiare per poterlo ignorare. Ringraziò una qualche divinità a caso di avere un groppo in gola altrimenti avrebbe ceduto a ululati animaleschi per solidarizzare con la ragazza.
Scosse la testa, cercando di snebbiarsi la mente. In quelle situazioni, 
per riportare la gente alla lucidità e farle ragionare, ci voleva polso fermo. Il più delle volte un ceffone ben assestato contribuiva a scatenare l'isteria ma anche a incanalare la rabbia e la frustrazione verso l'aggressore, portando la persona colpita a scaricarsi e a rinsavire più rapidamente.
“Aspetta!” tuonò la voce di Mystica alle sue spalle. Lo affiancò quasi subito e gli artigliò un braccio. Logan sollevò appena un sopracciglio, turbato dal comportamento rigido della mutaforma che, a occhio e croce, aveva una paura dannata di quello che li attendeva dall'altra parte. Raven aveva già visto Rogue debole e bisognosa di cure. Ma quello che era avvenuto ad Arma X era nulla al confronto di un cuore spezzato. E anche lei lo sapeva bene. Tutti loro ci erano già passati.
Tranne il pivellino arrogante, figlio di cotanto padre, che li accompagnava con un sorrisino canzonatorio.
“Io entro!” la avvisò prima di calare le nocche sulla porta.
I colpi suonarono pieni e sicuri e, dall'altra parte, la voce strozzata si zittì di colpo. Un lampo, in cui immaginava Rogue col trucco colato, i capelli scarmigliati e lo sguardo confuso da cerbiatto, gli passò rapidamente per la mente e lo mosse a compassione. “Rogue, sono io, Logan...” si annunciò con quanta più dolcezza potesse esprimere la sua voce gutturale.
“Va' via!” rispose quella urlando con voce rauca. “Non voglio vedere nessuno, va' via... va' via...” supplicò con voce sempre più flebile e non ci volle un grande sforzo nell'immaginarla mentre si rannicchiava su se stessa, scossa dai singulti.
“Ora entro, che tu lo voglia o no...” disse beccandosi un'occhiataccia da Mystica.
“Anna, tesoro!” intervenne la donna appoggiando i palmi aperti delle mani sulla porta che le separava quasi ad annullare, con quel gesto, la barriera fisica che si frapponeva a loro “Vogliamo solo parlare... assicurarci che tu stia bene...”
Dall'interno la musica si era ridotta a un sussurro leggero, mentre andava scivolando verso il brano successivo. “Non voglio vedere nessuno... lasciatemi in pace!” borbottò l'altra in un borbottio appena percettibile.
Logan ruotò gli occhi “Dio, quante storie...” alitò esasperato. Ok essere gentili ma ora stavano diventando ridicole tutte e due “Dai, Rogue...” disse facendo pressione sulla maniglia e apprestandosi a entrare “Era uno stronzo... amen. Lascia perdere... evidentemente non era destino. Non che noi non te l'avessimo detto, beninteso...”
“Non essere sgradevole!” lo rintuzzò la mutaforma, più allarmata dalle parole del canadese che dalla violazione della richiesta legittima di Rogue alla solitudine “Rispetta il suo dolore!”
“Il suo dolore per chi?” sbottò spalancando la porta “Per un Casanova come quel Cajun?”
“Voi siete gli ultimi che dovrebbero aprire bocca sulla questione!” sputò Rogue vedendoli entrare nonostante le sue preghiere.
E fu così che la videro rimanendo congelati per un lungo istante sulla distruzione impregnata in ogni cosa al di là della porta: la stanza da letto era completamente sfasciata con le tende che pendevano asimmetriche, divelte dal loro supporto e strappate come stracci vecchi, la libreria che giaceva su un fianco, ogni pianale scardinato e ogni volume scompaginato a terra, il letto che sembrava accartocciarsi su se stesso e una spolverata di piume che imbiancava tutto il pavimento.
Al centro della stanza, inchiodata davanti allo stereo compatto miracolosamente incolume su cui era affastellato quel che rimaneva di un grande specchio, Rogue sedeva con un rasoio di sicurezza (che Logan riconobbe immediatamente come proprio) aperto tra le mani abbandonate in grembo, il trucco -più pesante di quello che chiunque le avesse mai visto indossare- effettivamente colato dagli occhi in tristi rigagnoli torbidi. Rogue si era cambiata: l'abito da festa giaceva in un mucchietto appallottolato in un angolo della stanza, quasi avesse voluto nasconderlo o distruggerlo. Ora aveva un look decisamente più nel suo stile quotidiano anche se troppo aggressivo anche per lei. Nonostante fossero capi già in suo possesso, il loro nuovo abbinamento contribuiva a darle un aspetto diverso: stivali bassi da motociclista; calze a rete mai messe e per questo già danneggiate, che lasciavano profonde voragini punk sulle gambe comunque protette da calze sottostanti più leggere; una maglia sformata di un designer giapponese, in perfetto stile wabi-sabi, su un corsetto verde petrolio che arrivava a lambire il bordo della gonna di cotone con lacci laterali di sapore squisitamente fetish.
“Si può sapere cosa aspetti?” urlò Mystica, con un tono improvvisamente isterico nella voce, spintonando Logan all'interno. Lui si volse appena, perplesso, a guardarla, confuso “Le vene! Valle a cicatrizzare le vene, che non faccia qualche follia! Sei l'unico con un fattore di guarigione decente! Il mio non è altrettanto rapido!”
Capita l'apprensione della donna, anche il canadese si lasciò prendere dal panico. Si volse subito verso l'X-woman e, cercando di ammansirla come fosse stata una belva feroce o un micetto spaventato e parlandole dolcemente e con fermezza mentre si muoveva con cautela verso di lei, si avvicinò alla ragazza che, però, si stava rimettendo in piedi.
“Ma quali vene! E dire che dovresti conoscermi!” urlò Rogue, in tutta risposta “Ti sembro così fragile da ammazzarmi per un uomo?”
“Io ci sono andato vicino, cocca... e direi che tra i due sono io quello più resistente...” rispose Logan con un sorriso triste “Su... ridammi il mio rasoio e usciamo a prendere una cioccolata calda, no meglio, un gelato... che non è stagione di cioccolata... ti va?”
“Al diavolo voi e il rasoio!” Urlò quella lanciando la lama aperta che si piantò come una freccetta da tiro al bersaglio nella parete già distrutta.
“Oh...” Mystica dovette trattenere un gemito angosciato e spaventato mentre scorgeva l'uso che la ragazza aveva fatto della lama. “Rogue...i tuoi capelli...” disse con una punta di disappunto nel marasma che era la sua preoccupazione.
“Ricresceranno...” sibilò lei, scoprendo orgogliosamente la rasatura laterale che si era procurata, nel tentativo di acconciarsi la chioma in una cresta selvaggia che, però, le ricadeva morbida ai lati del volto coprendo lo scempio sospeso a metà.
“Anna...” gorgogliò la donna “Parliamone... ti prego... siamo tutti preoccupati, non lo vedi? Kurt... io e Logan abbiamo messo da parte le nostre divergenze... e sicuramente anche Ororo, giù di sotto... stai male... quando una donna si massacra a quel modo i capelli...” disse cercando di avvicinarla mentre quella arretrava gradualmente verso l'ampia vetrata.
“Se fosse così preoccupata, Ororo sarebbe qui con voi e non a flirtare col suo ex. Si vede che si fida di me più di quanto non facciate voi: non sono più una bambina! Lasciatemi in pace, ho bisogno di star sola... fatemi sfogare! Lo sapete che devo sfogarmi o divento ancora più isterica! Andatevene!!! Vi prego!” Urlò Rogue con le lacrime agli occhi “Perché non lo capite mai?”
“Vuoi un bagno caldo? Ti coccoleremo, tesoro... Faremo quello che vuoi... vuoi che ce ne andiamo? Benissimo... ma ora vienici in contro... coraggio...” replicò esitante la mutaforma
“Ho detto: andatevene! Ora!” urlò la donna prima di emettere una violenta scossa che fece tremare le pareti e il pavimento della stanza. Logan e Mystica, destabilizzati, caddero a terra. “Se non ve ne andate voi...” sibilò la giovane “Me ne andrò io!”
Con un semplice tocco alla superficie trasparente alle sue spalle, la sgretolò sotto il suo tocco e, più rapida del vento, si lanciò all'esterno.
“Dannazione!” urlò Wolverine affrettandosi, quindi, alla voragine frastagliata appena aperta sulla giungla metropolitana.
“Fermo!” replicò Mystica aggrappandosi al suo braccio “Lanciandoti al piano terra e spappolandoti sul marciapiede non risolverai nulla... Pietro...” disse al giovane che, per tutto il tempo, aveva assistito alla scena, apparentemente disinteressato, dalla soglia della porta “Seguila in capo al mondo. E portamela intera! A costo di portarmela moribonda!”
“Certo, zia Mysty” ridacchiò il velocista sparendo immediatamente alla vista.
“Cosa facciamo ora?” domandò la donna, accasciandosi al suolo, disperata per la fuga di quella che riteneva sua figlia. Cielo... lei l'amava più di un'amica e di una figlia... ma dopo lo scherzetto giocatole a Westchester quella la odiava a morte. Aveva rovinato tutto e solo per il suo bene. Perché aveva cercato di metterla in guardia sul Cajun dai terrificanti occhi rossi. “Te l'avevo detto che dovevi intervenire!” sbraitò quindi a indirizzo di Logan
“Non è figlia mia! E' un'amica...” replicò quello osservando la distruzione lasciata dalla giovane nella stanza. “Se tu non fossi stata così asfissiante forse si sarebbe resa conto di che razza di persona era Gambit e invece ci si è incaponita per ripicca.”
“E' colpa tua, Dannazione!” urlò la mutaforma saltandogli addosso con rabbia cieca armata di un frammento di vetro che piantò nel corpo del canadese con tutta la forza che aveva in corpo “Tua!” replicò ancora estraendo e conficcando nuovamente il vetro trasparente zuppo di sangue nello squarcio che già andava ricomponendosi. Ma all'ennesimo colpo, Wolverine la disarmò, infastidito dall'essere usato come un puntaspillo “Era sotto la tua protezione! Aveva scelto gli X-Men e tu mi avevi promesso di tenerla d'occhio! Dovevi proteggerla!” Ora quella isterica, che -disarmata- cercava di schiaffeggiare o graffiare il mutante, era Mystica. Schizzi scarlatti le screziavano il viso inasprendo l'aria folle che albergava nei suoi occhi fluorescenti. Logan respinse con facilità i suoi assalti istintivi e per niente coordinati -nonostante la donna fosse perfettamente addestrata nel corpo a corpo- finché, stanco, non ribaltò la situazione con un colpo di reni, imprigionandola a terra col proprio corpo. Sbuffò rassegnato mentre lei continuava a dimenarsi “E' colpa tua! E' tutta colpa tua!” Urlò ancora Mystica con le lacrime agli occhi “E' colpa tua...” alitò sciogliendosi in un pianto incontrollato. Fu allora che, mosso a pietà, la liberò. Le mani che prima gli avevano martoriato il petto con pugni violenti ora le nascondevano l'espressione stravolta sul viso. Donne! Logan alzò gli occhi al cielo e si rimise a sedere. Prese la donna nel suo abbraccio e la cullò come una bambina.
Raven ora non era altro che una madre disperata per la propria figlia. Lei non respinse quella gentilezza ma, anzi, si aggrappò a lui come a un'ancora, nascondendosi nel suo abbraccio sicuro.
Logan l'aveva già vista affranta quando, dopo lo scherzetto giocato a Rogue sul conto di Gambit, la Bella del Sud le aveva urlato contro tutto il suo odio prima di sparire diretta a Muir, nella speranza di annullare il proprio potere.
Ma quell'episodio non era nulla, al confronto, rispetto a quanto stavano vivendo ora quelle due...
E, come il dolore di Rogue, conosceva a menadito anche il sentimento che ora lasciava latrante l'altrimenti algida mutaforma. Perché lo stava provando anche lui, in quello stesso momento.
L'unica differenza (a parte quella di genere che, quindi, comportava una diversa reazione fisiologica ad alterazioni emotive per via del diverso patrimonio ormonale e per la diversa conformazione fisica) stava nel fatto che lui non si era mai posto, nei confronti di Rogue, come un padre.: lui, fondamentalmente, non era così coinvolto emotivamente come la sua amica/nemica.
“Andiamo, cocca... ti serve un drink!” disse dandole un paio di pacche sulla schiena perché si alzasse, quando si fosse sentita pronta. “Che situazione di merda...” pensò tra sé

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Erano sigillati in quella che sembrava essere una stanza in disuso o uno sgabuzzino. Forse, più semplicemente, era uno dei pochi ambienti che non avevano ancora ricevuto il trattamento modernizzante operato da Stark poche settimane prima, all'arrivo dei mutanti da Westchester.
Dall'ingresso nella sala Clint non aveva più badato la compagna e si era diretto a una poltrona aggettante sulla vetrata da cui si scorgeva la Oscorp Tower mentre Natasha, recuperato qualcosa da indossare durante il percorso, si stava rivestendo di un jeans e una sobria camicetta, a spanne, tutta roba parecchio costosa.
Era intercorso qualche minuto, nel silenzio e nella calma assoluti.
“Sentiamo... cosa dovresti dirmi?” sbuffò l'arciere “Perché mi sembrava che, l'ultima volta, ci fossimo chiariti a sufficienza. Non credevo ci fosse altro da aggiungere.” disse senza cercarla con lo sguardo. I suoi occhi restavano fissi sulla torre di proprietà di Norman Osborne ma Natasha sapeva bene come l'amico potesse sfruttare ogni superficie minimamente specchiante per studiare il suo obiettivo e le sue reazioni.
“Sei tu che hai ricominciato...” precisò lei andando alla vetrata per osservare ciò che aveva catturato la sua attenzione, anche se dubitava di riuscire a scorgere alcunché.
“Perché son riuscito a dare un pugno a Capitan Perfezione?
Forse il suo scongelamento è ancora troppo recente perché l'Unesco lo includesse nell'aggiornamento della lista delle opere protette. Scusa tanto se ho attentato a tale patrimonio dell'umanità. E in modo alquanto maldestro, me lo devi riconoscere.” si lagnò lui abbandonando rumorosamente le braccia sulla seduta del mobilio che lo accoglieva.
Natasha si premette le dita sulle tempie, per cacciare un nauseante mal di testa: aveva voglia di prenderlo a ceffoni, ma già il siero inibitore si faceva sentire. E l'infantilismo del collega non aiutava. Ingoiò l'orgoglio, la vergogna e ogni altra cosa le fosse da freno in quel momento e, decisa a una piena confessione, si spostò davanti al compagno, impedendogli di continuare a distrarsi con solo lui sapeva cosa.
“Ti ho mentito...” disse senza preamboli. Dura, glaciale, tagliente, precisa, concisa. Come una lama. Come il ghiaccio siberiano.
“Che novità...” replicò lui, infastidito da quella mossa, buttando la testa all'indietro “Ma immagino tu alluda a un qualche fatto recente... cosa mi sono perso?”
“Non sono mai stata incinta...” rispose lei, cercando un ostinato contatto visivo. Se fosse riuscita a parlare con addosso i suoi occhi cristallini e la sua espressione tradita si sarebbe sentita automaticamente assolta. Ma lui non la guardava. Anzi, ora si copriva gli occhi con la mano senza nascondere un sorriso stanco di scherno.
“Tutto qui?”
Natasha si sentì, sinceramente, presa in contropiede: ogni sicurezza sparita insieme al colorito delle guance. Panico. La conversazione non stava andando come doveva... come voleva lei. Che diamine voleva dire 'Tutto qui?'?
“Non puoi avere figli, Nat. Non solo per l'isterectomia totale ma anche per tutta la merda che ti ha reso l'immortale Vedova Nera che sei. Quindi, ti prego, non offendere la mia intelligenza, per quanto misera essa sia, e dimmi qualcosa che già non sappia.” Ma Natasha era così sconcertata da non riuscire ad aprire bocca. Clint si decise a osservare la sua reazione e, trovandola basita, specificò “Budapest. Dalla tua cattura avevo fatto i compiti diligentemente e avevo voluto sapere l'impossibile sulla mia matricola... un po' come uno stalker... ma sai...ti avevo scoperta io...” L'espressione della donna tradiva, però, ancora sconcerto. Decise, quindi, di concludere fornendole l'ultima informazione che le serviva per completare il quadro “Fui io a dare a James il fascicolo che ti riguardava... lui mi aveva solo fornito informazioni parziali di quello che ricordava...”
“James sa cosa lo aspetta per questo...” sibilò Natasha, gelida, afferrando tutti i sottintesi di quella situazione.
“Per l'amor del cielo, non ricominciare! Era disperato, quel poveretto! E tu vuoi pure fargliela pagare?”
“Disperato?” fu il suo turno schernirlo con rabbia “Disperato per cosa? Per avermi abbandonata? Sì, già, ce lo vedo a versare lacrime di coccodrillo...”
“Come vuoi... Non siamo qui per parlare di te e James...” sentenziò l'arciere. Un po' si vergognava per essere sempre stato schifosamente contento che la collega non ricordasse nulla dell'amore viscerale che la legava all'agente che era stato la spalla di Rogers. Doveva solo ringraziare quelle diaboliche intrusioni che il cervello della rossa aveva subito nel corso degli anni.
Rogers... il problema, però, era sempre lui...
“Dunque?” domandò, sperando di riportare il discorso sui binari prestabiliti. “Perché mi hai raccontato una balla colossale come questa?”
La rossa sperava bastasse il dettaglio della gravidanza inesistente per spiegare tutto. Invece, ora, si trovava costretta a vuotare il sacco come chiunque altro.
“Ti volevo tenere al sicuro...” tentò, impacciata, sperando che la posa rigida e marziale in cui si costringeva potesse nascondere il tremore della voce come le mani improvvisamente sudate: non avrebbe mai cincischiato con la cerniera o con una ciocca di capelli come una comune donnetta. Mai!
“Grazie del pensiero ma so badare a me stesso... e come vedi, Fury ci vuole sul campo insieme, perché siamo ottimi agenti entrambi... quindi risparmiami la pietà...”
E ora? Che gli diceva?
I minuti passavano lenti.
Da qualche piano più in alto (o era più in basso?) avvertirono urla isteriche seguite da un rumore come di vetri in frantumi. Nessuno dei due, però, vi prestò attenzione.
Dopo quello, nient'altro turbò il silenzio in cui erano immersi. Clint non le faceva alcun tipo di pressione. Di tanto in tanto, si controllava il naso, per essere sicuro di averlo rimesso in sesto dopo il pugno che si era beccato da Cap.
Erano passati pochi minuti, o forse ore, quando Natasha si schiarì nuovamente la voce.
“Ero d'accordo con Jessica...” cominciò “Ero sicura che... beh... tra tante, meglio lei...”
“Perché ha un debole per me?” rise l'arciere “Cara mia... F
orse non ne sei stata informata: era sotto il controllo di Loki anche lei... Ma non hai risposto alla domanda. Perché mi hai mentito e perché mi volevi lontano? Bastava dirlo che non mi volevi più tra i piedi e ti davo fastidio, sarei tornato al mio appartamento e dal mio cane che non scalcia come te, la notte... Ammesso che quella peste di Kate1 non abbia cambiato la serratura all'appartamento. Bah.. pazienza, in quanto proprietario dello stabile dovrei avere un passepartout, giusto?”
“Sei un dannato idiota!” ruggì la rossa. In poche falcate lo raggiunse, con una spinta lo mandò a sbattere contro lo schienale e, prima che lui potesse reagire per quell'aggressione gratuita, gli impose un bacio che non sapeva se lui avrebbe gradito. Ci mancava solo che proprio uno come lui, noto donnaiolo, seppur più o meno involontario, la denunciasse per molestie.







1    Kate Bishop, coinquilina e partner di Clint e novella Occhio di Falco nei Giovani Vendicatori.

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Ben ritrovati ragazzi.
Prima di cominciare vi devo avvisare che la prossima settimana rischio di aggiornare in anticipo o in ritardo di un giorno. Giusto Martedì ho la bella rogna del TFA (questa lotteria per l'abilitazione all'insegnamento...). Il test comincia alle 10 e non ce la faccio nemmeno se mi impegno a essere puntuale.
Come vedete, continuo a essere solidale con tutti coloro che in questo momento stanno affrontando esami all'università o hanno appena finito la maturità. Per tanto, non affannatevi!
A proposito, colgo l'occasione per ringraziare davvero di cuore la carissima Lovecraft Kane che, cascasse il mondo, è sempre qui capitolo dopo capitolo a sostenermi. Non amo molto fare ringraziamenti pubblici (penso di averlo fatto solo all'inizio, quando la storia ha preso il via) ma lei lo merita davvero perché non salta nemmeno mezzo capitolo nonostante gli impegni (e glielo ripeto pure qui: prenditela con calma che per me è già tanto se leggete!)

Ma ora basta melensaggini.
Dunque. Rogue da una parte Clint e Nat dall'altra. Struggimento e disperazione VS orgoglio e sentimento (sì lo so che erano Orgoglio e Pregiudizio e Ragione e Sentimento...amo mescolare i titoli, specie quando sono formati in modo speculare). In misura diversa sono gli elementi che compongono entrambe le parti di oggi.
Rogue.. non potevo farle accorciare ulteriormente la chioma (ricordo che partivo da un'acconciatura tipo caschetto e non dalla folta leonina degli anni'90). Lo stratagemma per farle fare qualcosa e renderla attuale era rasarla. Solo ai lati (non ha avuto tempo di fare altro...anche se -onestamente- io sarei partita dal centro. Per motivi scenici, cioè che non la volevo come un bonzo con la pelata in cima, le ho fatto fare l'operazione nel modo mento intuitivo...) così ha adempiuto alla sua voglia di cambiare ma senza scempiarsi totalmente. Il look gotico-fetish etc, invece, l'ho preso pari pari dalla versione del cartone X-Men Evolution.
Che Raven, invece, potesse essere così melensa... sì, lo so, un po' OOC. Ma ci tenevo a mostrare un aspetto di lei che viene solitamente ignorato. Cioè, è un essere umano anche lei e, per quanto stronza, avrà dei sentimenti. Qua e là nei fumetti la si vede con gli occhi lucidi ma non si indaga mai. Di solito si attacca a Logan come una sanguissuga, se lo scopacchia e addio tristezza. Cmq non ce la mostrano mai nei momenti di debolezza (ecco, forse giusto alla morte di Destiny... e neanche: si incazza ma è presa da altro... non viene mostrato il momento in cui, a sangue freddo, le arriva la bordata dell'evento). Ed è così che la immagino. Mostra questo lato di sé solo a chi conosce davvero. Tant'è che quando torna in sala è semplicemente scarmigliata con gli occhi gonfi. Nulla più.
Anche Rogue, dal canto suo, è una persona apparentemente forte (anche se ultimamente nei fumetti la stanno dipingendo come una povera sfigata). Mentre in persone buone e calme immagino reazioni disperate e molto romantiche (nel senso ottocentesco del termine), che si struggono e rimuginno, la reazione che immagino per persone dure come loro è quella di sbottare di colpo (avendo tenuto duro fino a quel momento) e di far sfociare il tutto in una sorta di isteria. Mentre i primi si lagnano/hanno paura costantemente e quindi nel momento di vero dolore sembra solo un'amplificazione del normale, i secondi -secondo me- perdono la tramontana di colpo e possono diventare anche violenti (non per nulla, se sono così forti da reggere alla lunga, prima o poi questa forza deve pur uscir da loro).
Quanto al pianto...per quanti non lo sapessero, le donne piangono più facilmente perché, tanto per cominciare, hanno i dotti lacrimali più "deboli" e quindi le lacrime non vengono trattenute come negli uomini. La differenza fisica non si ferma lì (basta pensare a come i due cervelli siano diversi) ma buona parte delle reazioni emotive è dettata dal mix ormonale che governa gli uni o le altre. Tant'è che, in base allo stesso principio, nemmeno tutte le donne sono frignone. E qui è il caso di piantarla col femminismo da quattro soldi che vuole donne e uomini uguali. No, da donna dico, porca vacca, non siamo uguali, abbiamo conformazioni e competenze diverse, rispettiamole senza volerci per farza plasmare gli uni sulle altre e viceversa. Poi il rispetto è un altro paio di maniche e non vedo perché si debbano fare distinzioni sulla volontà o l'efficienza. Ma, se anche la medicina ci dice che siamo diversi (pensate alla pletora di malattie/stravolgimenti che colpiscono gli uni e non le altre e viceversa: osteoporosi, menopausa, tumori al seno o alle ovaie VS prostata etc), cacchio, rispettiamoci anche in questo senza volerci snaturare. Non per questo dico che le donne debbano essere tutte sceme che pensano solo a farsi belle e gli uomini solo zotici trogloditi. Diamo a Cesare, semplicemente, il proverbiale quel che è di Cesare.

Ok, basta spiegoni su perché ho scritto quello che ho scritto.
Nat e Clint... Che dire? La storia di Bucky amante di Natasha la sapevate già, sì? Solo che -come nella storia de Il soldato d'Inverno dove la sua amnesia è selettiva e voluta da un ex-alleato ora nemico di Bucky-  ho fatto in modo che lei dimenticasse tutto di Bucky e rimanesse solo lui a ricordare il loro amore. Sennò non sarebbe più finita.
Cosa succederà ora? XD eh eh eh aspettate e vedrete.
A presto!

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Capitolo 12
*** Conditions normal ***


12. Conditions normal






Con sua grande sorpresa, nonostante il desiderio che le cose andassero in quel verso e a dispetto di quanto lui le aveva lasciato intendere in precedenza, Clint rispose al suo bacio, tirandola a sé. Non servirono parole per spiegare le scuse di una e la comprensione dell'altro. Sapevano tutto di come ragionavano e, svelato il tassello mancante che era stato sostituito con una patetica menzogna, ogni cosa andava al suo posto.
“Non devi preoccuparti per me...” la rassicurò lui quando si staccarono per riprendere fiato.
“Non è facile non pensarci...” cercò di giustificarsi lei
“Ci penserai più in là... prendila come viene... magari Normie mi ammazza domani e ti liberi del mio peso mortale...” scherzò lui strappandole un sorriso tirato.
“Scemo!” rispose prima che lui tornasse ad annullare lo spazio tra loro.
Il contatto, ora, si era fatto più violento, selvaggio e animale, forte di anni repressi a negare una chimica innegabile. I corpi di due agenti così ben addestrati avevano, in quel frangente, un'autonomia e una precisione uniche nel loro genere nel cercare quanto bramavano.
In un lasso di tempo incredibilmente breve furono mezzi nudi: le mani di lui che accompagnavano ogni movimento del corpo sinuoso di lei, quelle di lei che cercavano un appiglio tra i corti capelli del biondo e, non trovandolo, ripiegavano sulla larga schiena, affondandovi le unghie come a cercare la salvezza.
Un mugolio, tra il dolore e il piacere, sfuggì alle labbra dell'arciere mentre Natasha si irrigidiva improvvisamente. Di scatto lo allontanò da sé, ponendo tra loro tutta la distanza di cui erano capaci le sue esili quanto forti braccia.
Nemmeno il tempo di capire cosa stesse succedendo, Clint la vide alzarsi, allontanarsi di qualche passo prima di piegarsi su se stessa e, cercando di trattenere i propri ricci ribelli, vomitare il contenuto del suo stomaco che si contraeva a intervalli regolari.
“Oddio...” alitò Clint reclinando la testa all'indietro, realizzando cosa fosse successo “Potevi dirmelo che ti facevo così schifo...” aggiunse quindi con fare melodrammatico.
“Deficiente!” sputò la rossa quand'ebbe finito e si fu tirata lentamente in piedi.
“Serve una salvietta, 'Tasha?” la canzonò lui
“Che cosa ci trovo in te è un mistero...” ringhiò lei “Dammi una mano a pulire...”
“E' il tuo vomito!” rispose lui mettendosi comodo a osservare la scena dell'infallibile Vedova Nera alle prese con un compito così terreno e ingrato.
“Che cavaliere...” replicò lei, roteando gli occhi. E, per ripicca, prese la maglia di lui, che giaceva abbandonata poco lontana, e si adoperò a usarla al meglio come straccio d'emergenza.
“Sei davvero una serpe!” allibì lui
“Non mi dire che era la tua preferita...” strabuzzò lei, fingendosi ingenuamente sorpresa e imbarazzata per l'errore “Mi pareva che il tuo armadio fosse colmo di magliette nere identiche a questa...”
“E' il siero di Fury che ha come effetto collaterale tanta stronzaggine?” replicò lui di rimando alzatosi dalla sua postazione. Con sadismo non indifferente, afferrò la camicetta di lei e la lasciò cadere nella pozza residua. Subito Natasha gli scoccò un'occhiata carica d'odio ma un conato minacciò subito di tornare a farla piegare in due “Non vorrai mica lasciare la stanza in queste condizioni: Stark ti uccide...” ghignò ancora Clint.
“Aspetta che passi l'effetto del siero e vedrai...” minacciò la rossa
“Uuuuh... devo prepararmi a una seduta sfiancante di sesso selvaggio, 'Tasha?” domandò schernendola.
“No, a dormire all'addiaccio!”
“E' estate..” precisò lui con un sorrisetto poco convinto.
“Non importa... chiederò a Ororo di far nevicare... sai... solidarietà femminile!”
“E' giocare sporco” si imbronciò il cecchino.
“Più di questo?” cercò di intimorirlo lei mostrandogli la maglia sporca con la chiara intenzione di sbattergliela in faccia in caso la reazione di lui non le fosse piaciuta.
“Mi farò costruire una tenda termo-resistente da Tony...” replicò Clint scoccandole un bacio a stampo, dichiarando così cessata ogni ostilità. “Solidarietà maschile!” La prese per mano, aiutandola ad alzarsi, e si avviò all'uscita. Premette un pulsante a parete e J.A.R.V.I.S. si attivò automaticamente. “Sono Clint Barton, Agente S.H.I.E.L.D., codice...”
- So chi è, Agente Barton...- sentenziò la voce sintetica -Come posso aiutarla?-
Perplesso dalla risposta del robot e domandandosi se fossero già stati tutti schedati, si chinò verso quello che credeva un microfono per rispondere al suo interlocutore cibernetico “Ecco... pensavo che per uscire di qui dovessi provare un qualche codice...”
- No, Signore... Anche se il signor Stark stava pensando di tesserarvi tutti...-
Clint ignorò il discorso del tesseramento, immaginando una carta di credito che fungesse da chiave d'accesso: sarebbe stata molto comoda in quei frangenti. Doveva parlargliene. “E come facciamo a uscire di qui, allora?” domandò nell'evidenza di non avere alcun passepartout e nessuna credenziale da esibire.
-Perché vuole uscire, signore?-
“Come perché? Perché abbiamo finito di chiarirci e la condizione per uscire era questa: non ci siamo ammazzati e abbiamo fatto pace. Più o meno...”
-Interessante definizione per una copula mancata-
“Insomma, Jar! Ci fai uscire o no?”
-Certo, Signore: la porta è aperta-
“Ah, Jarvis... non è che puoi dare una pulita? Natasha è stata male... nel caso il dettaglio ti fosse sfuggito”
-Ho già provveduto a mobilitare gli elettrodomestici interessati...-
“Ah... e, Jarvis, puoi evitare di riferire a qualcuno quello che è successo? Anche a Tony, se possibile... Non ho visto telecamere ma non si sa mai... E' un po' imbarazzante...”
- La mancata copula o l'espulsione di succhi gastrici da parte dell'agente Romanoff?-
Clint squadrò l'occhio rosso di guardia all'ingresso e poi Natasha, quasi a chiederle il permesso “Entrambe!” sibilò prima di allontanarsi.

AV AV AV AV AV AV AV AV AV AV AV AV AV AV

Davanti agli occhi si estendevano, come le onde schiumose di un mare in tempesta bloccato nella sua violenza da una fotografia, le cime delle montagne più basse e ugualmente innevate che incoronavano il picco da cui osservava la valle al tramonto. Gli ultimi raggi di sole lasciavano pennellate ora rosse, ora oro, ora violacee sulle pareti che salivano al cielo come gigantesche torce accese per fugare i presagi della notte.
Faceva freddo.
Nonostante fosse estate, si trovava comunque, letteralmente, in cima al mondo, con la neve onnipresente sotto di sé: le nuvolette di vapore che si condensavano uscendo dalla sua bocca erano la prova lampante della temperatura che regnava in quel posto da sogno. Ma non percepiva il freddo, non era un problema per il suo corpo -praticamente nudo per quelle latitudini- come non lo era l'aria rarefatta.
E lì, senza anima viva che potesse compatire il suo dolore o essere disturbata dai suoi sfoghi, Rogue continuava a cullarsi in un abbraccio desolato, cantando sulle note delle canzoni proposte dal suo lettore Mp3: ogni canzone che le arrivava nelle cuffie suonava canzonatoria o deprimente, nonostante, fino a pochi giorni prima, le fossero sembrati i brani più allegri, capaci di darle la carica quando si sentiva stanca. Ora non riusciva a vederne altro che il retrogusto amaro come la bile.
“Certo che hai dei gusti orridi... Prima assordi tutti con Survivor, poi piangi sentendo Gambler che è allegra e non depressiva come quell'altra porcata di In the Shadow che ti sei sparata... e ora ti spacchi le corde vocali con Zombie... Anche se sembri straziata come Sia in She Wolf1...e in questo sembri la versione femminile di Wolverine... dì, non ti starai compiacendo della tua situazione?” domandò, con un sarcasmo irritante, la voce beffarda di Pietro, il mutante che stava alle costole di Mystica.
Stava a un paio di metri di distanza, a un'altezza tale che, semplicemente volgendo lo sguardo alla sua destra, Rogue l'avrebbe visto osservarla dal basso verso l'alto. Che ragazzino odioso. Alzò lo sguardo, risentita da quell'intrusione.
“Se te lo stai domandando, mi hanno spedito loro sulle tue tracce... e, a meno che tu non vada sulla Luna, posso seguirti ovunque...” ghignò ancora Pietro, braccia conserte.
Rogue tornò a posare lo sguardo su di lui. Lo fissò a lungo, non sapendo bene cosa dire.
“Se sei preoccupata per me, non esserlo...” replicò ancora il mutante, senza essere interpellato. “A te sembro fermo, ma in realtà mi muovo così rapidamente da tenermi caldo...”
E, in effetti, a ben vedere, la neve ai suoi piedi si era ormai sciolta. Quel ragazzino era un portento. Fastidioso ma comunque in gamba.
Inibita dalla sua presenza, ora Rogue non riusciva più né a urlare né a piangere, anche se l'ennesima canzone, al posto di tirarle su il morale la stava facendo sentire piccola piccola. Si limitò, per tanto, a seguire, muta, scandendo solo con le labbra, il testo che conosceva a memoria.
“Tanto prima o poi ti finiranno le batterie...” riprese Pietro, imperterrito “Lo sai, vero, che più fa freddo più rapidamente si consumano?” domandò con un ghigno saccente che si trasformò in uno radioso di trionfo quando lei si lasciò sfuggire un'espressione sgomenta. “E non credere che tenermi il muso possa farmi cambiare idea...” continuò “Sono abituato a star da solo, quindi per me non è affatto un problema farti compagnia. O meglio, star solo accanto a te che rimani convinta di esser da sola...”
“Finiscila!” sbottò allora la mutante strappandosi le cuffie di dosso e alzandosi in piedi.
“Perché? Che mi fai altrimenti?” la sfidò lui.
“Ti faccio vedere io!” ringhiò quella saltandogli letteralmente addosso.
Quando atterrò, tuttavia, si ritrovò ad affondare i pugni nella neve. Si guardò attorno, sconcertata “Non credere che sia così scemo da farmi toccare da te... mi basta già quel fastidiosissimo canadese di Northstar, come rivale... Tu sei veloce, certo, ma gradirei restare io quello più rapido tra noi due” replicò Pietro, seduto nel punto lasciato vacante dalla donna, quasi a rispondere alla domanda che lei non aveva posto. “Ti avviso... possiamo andare avanti in eterno con questo giochino stupido finché non sarai così stanca da cadere addormentata. Allora, ti prenderò e in dieci minuti sarai di nuovo a New York. Quindi, te lo chiedo per cortesia, perché non risparmi tempo e fatica a entrambi?”
Ma Rogue non accolse la richiesta del ragazzo e spiccò un altro balzo verso di lui.
Pietro sospirò affranto “Mai uno che capisca al primo colpo quant'è fastidioso tutto ciò...”
In un batter di ciglia, Rogue si ritrovò nuovamente al posto di Pietro ma l'istante successivo era schiacciata a terra dal peso del ragazzo che, non si sa come, era riuscito ad atterrarla. Fisica, probabilmente. Avrebbe dovuto stare più attenta quando spiegavano certe cose a scuola.
“Vogliamo tirarla per le lunghe? E' inutile che tu provi ad afferrarmi, perché nell'istante in cui tu dovessi quasi riuscirci io mi sposterei fuori dalla tua traiettoria... sei come un film visto a rallentatore.”
Sbattendo il muso contro la propria impotenza davanti a quel ragazzino sfacciato e sentendosi veramente inerme forse per la prima volta in vita sua, Rogue abbozzò un cenno con la testa. Si arrendeva.
“Ora sì che ragioniamo...” commentò soddisfatto il giovane
“Sei irritante quanto Quentin Quire...” replicò lei
“Saremo pur amici per qualcosa...” replicò lui in tono di sfida. “A parte gli scherzi, ora che finalmente mi parli... te la senti di tornare?”
Rogue, per tutta risposta, scoppiò in una risata isterica, in parte colpita da quella strana gentilezza che lui le dimostrava “Hai fatto tutta questa strada per chiedermi questo? Non per trascinarmi via di peso?”
“Preferirei un minimo di collaborazione...” replicò il velocista facendo spallucce “Hai disturbato abbastanza la meditazione dei bonzi pelati? Sai che solo per questa cosa potresti starmi simpatica? Anzi... già il fatto che tu non sia nella Confraternita depone a tuo favore... un po' meno il fatto che tu sia la figlioccia dell'artigliato e di Mystica... ma non posso pretendere la perfezione dalla vita, no?”
“Ehi, ragazzino... non provarci!” sillabò
Fu il turno di Pietro rimanere momentaneamente sbalordito per quell'uscita che proprio non capiva da dove traesse spunto. “Figurati se ci provo con una vecchia come te... e poi mia sorella sarebbe gelosa...” replicò, quindi, avendo capito con che tipo di donna aveva a che fare. Una tsundere: forte fuori, tenera dentro. Bastava un accenno di complimento e donne come quella, poco avvezze alle carinerie e forse induritesi esteriormente per questo, perdevano completamente la testa. Pensò a quanto gli aveva raccontato Mystica. Sì, corrispondeva alla perfezione. E, se il cajun era stato attento la metà di lui, era facile intuire perché la mutaforma temesse un comportamento scorretto da parte del giovane ladro di New Orleans.
“Ah!” sbottò invece quella, mani ai fianchi, sentendosi finalmente in terreno sicuro “Cresci, mocciosetto... Tua sorella non ti resterà attaccata per sempre... comincia a farti una vita tua, prima che sia troppo tardi... poveretta quella che ti prende... dovrà essere una lunatica... come te.”
“Non ti permettere!” Pietro, viola di vergogna e imbarazzo, urlò così velocemente che la mutante percepì solo uno scoppio vuoto nell'aria. In compenso, l'incarnato paonazzo, incassato tra i candidi capelli troppo simili a quelli del padre ed enfatizzati dalla felpa verde e dal niveo biancore tutt'intorno, era uno spasso colossale che il ragazzo ignorava completamente.
“Tu guarda se doveva capitarmi uno col complesso per la sorella...” borbottò Rogue scuotendo la testa, ormai in parte dimentica del proprio dolore.
“Guarda, carina, che, se solo volessi, potrei farti di tutto e il tuo potere non avrebbe la minima influenza su di me!” sbottò Pietro sempre più incollerito.
“Come no! Tremo di paura...” ribatté lei, godendo nel canzonarlo.
“Il mio sistema accelerato mi permetterebbe di toccarti quanto voglio... per te non sarebbe passato nemmeno un secondo e il tuo potere non si sarebbe nemmeno attivato”
“Fai sul serio?” domandò, allora, perplessa e incuriosita. Paura e speranza erano sentimenti troppo facili da vedere nelle sue reazioni.
E Pietro se ne accorse “Certo! Ma, come ho detto, non mi piacciono le MILF”
“Senti, mocciosetto.. ora mi hai stancata! Non ti stavo insidiando, se è di questo che hai paura. Tu o l'anima di tua sorella... Era solo curiosità...”
“Non intenderai mica ammazzarmi per avere il mio potere e poter così avere una vita pseudo normale...?”
“No!” replicò esasperata “Ma la voglia di tirarti un pugno sul muso, quella sì, è una gran tentazione...”
Pietro stirò un sorriso beffardo, intravedendo la soluzione alla sua missione. “Prima devi riuscire a prendermi!” gridò, già lontano, mentre l'eco della sua voce si propagava tra le montagne.
La mutante osservò la scia di foschia sollevata dal ragazzo al suo passaggio sulla neve fresca e sorrise. Inutile commiserarsi. Remy non sarebbe tornato, che l'avesse abbandonata, tradendola, o che fosse morto. E se, invece, era vivo e vegeto e davvero l'amava, sarebbe tornato e di certo non avrebbe gradito trovarla in quello stato pietoso. Nello sciagurato caso fosse sano e salvo ma privo di memoria non avrebbe saputo da dove cominciare le ricerche. Sarebbe dovuta tornare a Westchester e chiedere di utilizzare Cerebro anche se quella macchina si era già dimostrata difettosa in un paio di occasioni e sempre quando era coinvolto il Cajun. Nel peggiore dei casi sarebbe stato vivo, con la memoria al suo posto, ma minimamente intenzionato a contattarla. Motivo in più per non darsi pena per lui.
Non sarebbe stato semplice superare la perdita ma doveva provarci. Lei era forte, era il sostegno di mezza scuola. Ciò non voleva dire che non potesse avere i suoi momenti di debolezza ma che sapeva come riprendersi, come affrontare il dolore e razionalizzare era la sua strada. Certo... fino a quel momento aveva svicolato, anche troppo, nascondendo sotto il tappeto la polvere generata dal suo animo in frantumi. Ma sapeva fare i conti con se stessa.
“Se non muovi quelle chiappe flaccide da vecchia trentenne, cara la mia Bella del Sud, ci penso io a prenderti a calci...” cominciò una voce nella sua testa.
Già. In fondo lei, a differenza del resto del mondo, non era sola: aveva una personalità ospite che un tempo aveva odiato ma che ora, forse, poteva rivelarsi un balsamo per la sua sanità mentale. La forte personalità di Carol Danvers condivideva con lei il corpo in cui era stata riversata. Preservare quel corpo che avevano in comune, cercare di non far soffrire troppo il cuore che condividevano lo doveva anche a lei. Logorarlo con struggimenti come quello non era da loro, da nessuna di loro due. Quel cuore forte del sud non si sarebbe spezzato facilmente, né metaforicamente né fisicamente. Ma doveva a Carol un certo riguardo: era suo dovere conservarsi sana nel caso in cui, un giorno molto lontano, avesse deciso di cedere il posto alla Danvers. E la bionda aveva tutto il diritto di trovare un corpo non rovinato dagli eccessi perché era colpa sua e del suo potere mutante se Carol non aveva più un suo proprio corpo di cui prendersi cura ma doveva accontentarsi di guardare la vita di un'altra scorrerle sotto gli occhi da dietro un vetro insonorizzato.
Rogue aveva la responsabilità di due vite. Per quanto potesse definirsi tale un'esistenza ingabbiata in un corpo come quello.
“Allora???” urlò dalla vallata la voce baritonale di Pietro “Ti arrendi subito, schiappa?”
Quel demente avrebbe potuto provocare una valanga se avesse continuato a zigzagare tra la neve e a emettere urla del genere. Rogue sbuffò: altri bambini a cui tener testa.
Riprese il lettore mp3, osservò il titolo che scorreva sul piccolo schermo e sorrise.
La invitava alla velocità, alla vita e alla distruzione, alla gioia e allo strazio. Fino a dieci minuti prima, lo sapeva, sarebbe rimasta a crogiolarsi nell'idea di essere latrice di morte, una mietitrice di anime2. Ora, la attendeva una sfida più grande, gravida del peso di questa sventura. Un'avventura che, presto o tardi, sarebbe finita per tutti e tanto valeva affrontarla pienamente, nella speranza di guadagnarci più di quanto avrebbe perso: la vita continuava suo malgrado. E come non passava giorno senza che pensasse a Cody e Carol di certo non avrebbe mai dimenticato il suo personale demone dagli occhi di fuoco.
“Je arrive!” urlò di rimando, orgogliosa di sé, mentre le note ipnotiche e il fremito dello xilofono accompagnavano la sua improvvisa picchiata. Lei la sua bomba l'aveva lasciata, inesplosa, sull'Himalaya. Magari si sarebbe rivelata solo un'illusione e presto sarebbe tornata a deprimersi. Sorrise cercando di non pensarci e canticchiò per farsi coraggio
“Conditions normal and you're coming home”3
Avrebbe raggiunto Pietro e, come un rapace, l'avrebbe afferrato per le spalle mentre lui, erroneamente convinto di riuscire a prevedere ogni sua mossa, si sarebbe dibattuto come un topo in trappola; quindi avrebbe fatto rotta alla volta di New York, per tornare, entrambi, a casa. In volo. Per grande gioia del piccolo albino.







1 Questa canzone è uscita ad agosto, pochi mesi dopo il film (che cmq è ambientato a fine primavera). A conti fatti, più o meno dovremmo essere arrivati davvero ad agosto anche noi, in questa fic. Se qualcuno è pignolo può controllare... io ho perso il conto XD
Il testo si adatta alla perfezione "Mi hai cacciato come un lupo [...] Mi sono sentita come un cervo davanti a dei fanali […] il brivido dell'uccisione/ sai che è peccato/ Giacio con i lupi/ sola, sembra/ pensavo di essere parte di te"

2 Nome che, per altro, ha in Age of X

3 Enola Gay è il celebre singolo del 1980 degli Orchestral Manoeuvres in the Dark il cui testo recrimina lo sgancio della bomba atomica su Hiroshima dall'omonimo bombardiere americano.

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Eccomi, scusate il ritardo preannunciato ma ieri son tornata stanca morta: alle 8 l'ingresso -per la conta- a mezzogiorno ne sono uscita. Pranzo veloce e poi tornare a casa @_@
Abbiate pietà ma son reduce di quel carnaio (e io me ne cucco solo uno...)
PS: il sito è stato out tutto il giorno, chiedo scusa per il ritardo.

Ed ecco, finalmente, ripristinata la Clintasha :D siete contenti? io sì ù_ù
Per tutto il resto... Solo una cosa... quando Rogue profetizza l'incontro di Pietro con una Lunatica a caso, il riferimento è tutto per sua (ex)moglie Crystal. Sti due si son presi e rimollati tante di quelle volte da far invidia ad Havoc e Polaris... oh già... Lorna -Polaris- Dane è sua sorella (sorellastra a esser precisi)... mi sa che è nel sangue dei Maximoff-Lensher... Solo non mi risulta che Lorna abbia fatto le stronzate di Pietro (tipo conficcarsi le scegge dei Cristalli Terrigeni nel torace...)
Cmq Crystallia Amaquelin è un'Inumana. E' stata fidanzata storica di Johnny Storm (la torcia umana dei F4) e ha avuto flirt con Sentry e il Cavaliere Nero... Ah già...è stata data in sposa anche al Kree Ronan l'accusatore durante la guerra segreta. Ora, piccola considerazione personale. Nei Guardiani della Galassia di prossima uscita Ronan sembra essere il nemico principale. In AV c'è Pietro... non è che in uno dei due film tirano finalmente in ballo gli Inumani? Avevo letto di voci che volevano il film su di loro -oltre che su Namor, Pantera Nera e il Dott.Strange- Vabbè, vedremo...
Crystal è sorella di Medusa (moglie del re Freccia Nera) ed è sempre stata Vendicatrice. I suoi poteri riguardano la manipolazione dei 4 elementi (anche se, a ben guardare, si tratta dell'influsso che esercita sulle molecole di Ossigeno).
Gli Inumani sono esseri umani geneticamente modificati dai Kree -di cui sopra- che li crearono per risolvere la loro stagnazione genetica oltre che per avere potenti soldati da sguinzagliare contro gli Skrull. Queste modifiche comportavano una vita di 150 anni, superforza, riflessi prontissimi etc. Più evoluti dei terrestri, si isolarono. In seguito si scoprì che l'esposizione alle nebbie terrigene attivava i loro poteri inumani. Mutati, dunque e non mutanti.Ogni mutazione è diversa dalle altre. Sorprendente quanto il confine sia labile e più volte ricorra nei racconti della Marvel.
In Silent War, addirittura, qualcuno viene esposto due volte alle nebbie e le nuove modifiche sono qualcosa di grottesco.
Perché, però, parlo di Lunatici? Perché Attilan, la capitale, è stata spostata dalla Terra alla zona Blu della Luna (unico posto in cui si possa respirare) anche se attualmente si trova su Hala, Madre Patria dei Kree (è stata trasformata in astronave...)...
Cmq, Crystal e Pietro hanno una figlia che, manco a dirlo, si chiama proprio Luna.
Domanda legittima: vedremo mai Crystal in azione (se non abbiamo mai visto gli Inumani)?
:) continuate a leggere e lo scoprirete.


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Capitolo 13
*** Sì o no? ***


13. Si o no?






Non vedendola tornare, Tony si era allontanato dal soggiorno, certo che nessuno avesse realmente bisogno della sua compagnia, per cercare Pepper. Non che fosse un tipo possessivo, tutt'altro, ma non gli piaceva troppo l'idea di saperla sola con quella fastidiosa di Janet. Era vero che quella era stata la prima vera amica della rossa da quando era entrata a far parte delle Stark Industies ma lui continuava a trovarla insopportabile e, potendo, avrebbe voluto evitare di frequentarla.
Erano state le prime donne, loro due, insieme a Sue Storm Richards, a introdursi di prepotenza in ambienti prettamente maschili dove anche una semplice segretaria era guardata con aperto disprezzo per la sua presunta inferiorità (anche se Tony sapeva benissimo come le donne, ora che avevano accesso a un'istruzione superiore, stessero erodendo solidi confini in campi un tempo considerati appannaggio prettamente maschile).
Neanche l'avesse richiamata col pensiero, l'irriverente Janet comparve nel corridoio civettando garrula con quel demone blu dall'aria così afflitta e depressa che un angolo del suo cervello gli avrebbe voluto suggerire di farsi un goccetto. I due gli passarono accanto, salutandolo appena. Ma accidenti! Quella era casa sua e tutti si sentivano in diritto di fare quello che più gli pareva. Ecco un'altra cosa di cui discutere con Pepper. Volevano giocare agli eroi? Avevano bisogno di uno statuto che stabilisse regole e confini. E tessere. E lui sarebbe stato il capo di quel gruppo di folli. Lui avrebbe messo casa e soldi, lui avrebbe dettato legge. Non Rogers con la scusa che era il più vecchio del gruppo anagraficamente parlando, non per vita vissuta realmente. Anche perché a voler essere sinceri c'era il mutante, Logan, dall'età imprecisata. E come gruppo avrebbero dovuto anche discutere delle loro interazioni coi governi mondiali. Non esisteva che gli Stati Uniti legassero loro le mani solo perché erano nati e vivevano sul suo territorio. Avevano un potere che doveva essere messo al servizio di tutti. Ma Fury aveva ragione: il popolino li avrebbe visti come una minaccia. Dovevano giocarsi bene le loro carte.
Era immerso in quei pensieri quando, dopo averla cercata a lungo, trovò Pepper nella sua camera da letto, vestita di verde (un colore che adorava, su di lei: le metteva in risalto gli occhi e le conferiva una luce particolare, rilassata e radiosa), intenta a rimirarsi nello specchio.
“Dobbiamo parlare” dissero in contemporanea quando i loro sguardi si intercettarono.
Mentre Tony si imbronciò, a quella simultaneità, Pepper ne sorrise e gli fece cenno di proseguire. “Dove stai andando?” domandò lui, completamente dimentico di quello di cui voleva discutere. Si era cambiata e aveva imbracciato una di quelle orrende borsette più lunghe che alte in cui stavano quattro cose in croce.
“Christine Everhart” disse solo lei con un sorriso smagliante, esibendo un bigliettino da visita.
“No!” fu la pronta quanto secca risposta del magnate
“No?” domandò la rossa, divertita.
“No!” replicò lui come se lei fosse scema “Eravamo d'accordo!”
“Non eravamo d'accordo proprio su nulla, invece!” protestò lei, cominciando a innervosirsi.
Non si era irritata immediatamente e la cosa avrebbe dovuto insospettirlo ma il suo cervello multitasking ora era in overload per un unico pensiero. “Non voglio scandali!”
“Perché basti tu, no?”
“Perché il tuo nome è correlato al mio! E finché sono io che danneggio me stesso è un conto ma che tu mi ficchi nei casini, questo non posso permetterlo...”
Lei aggrottò le sopracciglia “Quindi...? Vuoi dirmi che dovrei fare il contrario di quello che voglio fare?” si accertò esibendosi in una perfetta litote degna del miglior oratore avesse mai varcato aule di tribunale. Donne!
Lui la squadrò per un attimo, in cerca di un qualche trabocchetto o possibile fraintendimento. “Esattamente!” confermò
Solo allora lei parve rabbuiarsi e Tony la scrutò perplesso. Da quando era così intraprendente ed esibizionista da non vedere l'ora di finire mezza nuda sulle copertine dei peggiori rotocalchi?
“Signor Anthony Stark” sillabò lei, prendendo le distanze. Alzò il mento sfidandolo altera “Il suo atteggiamento è quello del vero e perfetto stronzo quale Lei è sempre stato. Troverà la mia lettera di dimissioni domani mattina, sulla sua scrivania... Non si preoccupi, in concomitanza troverà anche la mia stanza completamente liberata dai miei effetti personali”
Ma che diamine stava succedendo? Aveva bevuto? Era così che appariva agli altri quando lo faceva lui?
Preoccupato, la strattonò e, tra le sue proteste, le annusò l'alito “Non hai bevuto...” constatò cercando di scrutarle le pupille.
“Ma ti sei drogato?” protestò lei
“Tu, piuttosto, che vuoi andare a farti fotografare come... come... nuda! Dannazione!”
“Cosa?” sbalordì lei, più arrabbiata che sorpresa.
“Santo cielo... non ti ho ancora visto nemmeno io nuda... se escludiamo la volta che eri sotto i ferri. Non te l'ho mai detto perché non credevo fosse importante, ma te l'ho innestato io il generatore. Certo i medici ti hanno aperta e ricucita però io... io... io... giuro che non ho guardato! Non avevo tempo e testa! Ero concentrato dalle tue interiora, ok?” Lei lo studiava perplessa, sconvolta da quella dichiarazione come se non c'entrasse nulla coi loro discorsi o come se non gli credesse “Pepper, rifiuto le tue dimissioni e, come eravamo d'accordo, tu non andrai da Vanity per nulla al mondo.” le intimò
“Tony...” cominciò lei, guardandolo ora come se fosse stato un cretino matricolato.
“Nulla di quello che dirai potrà farmi cambiare idea!” la minacciò
“Ma sei scemo?” sbottò la rossa, alzando la voce di un'ottava per prevaricare l'uomo “Stavo andando a dire che rifiutavo. Mi sembrava educato declinare di persona. E qua non abbiamo molto da fare....”
“Non stavi andando a...?” allibì lui, rivedendo tutta la conversazione in ottica diversa. Pepper aveva avuto tutte le ragioni per essere furiosa: dal suo punto di vista l'aveva trattata niente di più di un corpo da esibire, come una delle tante che avevano avuto accesso alla sua camera da letto. Si dette mentalmente dell'imbecille.
“Beh...vista la foga con cui ti sei espresso al riguardo, potrei acconsentire solo se davvero mi accompagnassi... Sarebbe anche un'ottima strategia per tutti coloro che volessero trovare un punto debole in Iron Man.” Celiò lei “Fornendo un punto debole che non c'è più, un Mandarino si concentrerebbe a invalidare quel sistema che sarebbe collocato solo come specchietto per le allodole...”
“Sei un genio...” alitò Tony. Forse aveva ragione. Avrebbe dovuto convincere l'opinione mondiale di essere un povero malato di cuore che sopravviveva solo grazie alle sue scoperte scientifiche. E nessuno aveva la più pallida idea di quanto aiuto potesse aver bisogno la scienza in tempi come quelli, dove metodi provati in laboratorio e teorie sensate erano attaccate dai primi ciarlatani che, privi di basi storiche o sperimentali che fossero, convincevano le masse ignoranti di colossali cazzate. Erano tempi di fobia scientifica in una continua caccia alle streghe. Streghe che si mettevano da parte solo quando tornava comodo, per arrestare un assassino o inchiodare un uomo libertino alla sua paternità. Per il resto, l'importante era demolirne la credibilità a favore di magie e complotti alieni.
Non che negli ultimi anni tutto ciò non si fosse rivelato vero, ma lo era stato in modo completamente svincolato dalle panzane spacciate per sacrosanta verità nei circoli esoterici.
Teorie così complesse e corrette che anche la gente di Asgard -e quindi alieni- basavano la loro magia su una forma avanzata ed evoluta di scienza.
Gente ignorante, quella che parlava per sentito dire, senza dati reali, fidandosi del presunto esperto (che sistematicamente si rivelava non essere mai tale e che argomentava in modo capzioso) a cui, però, tornavano comode le auto elettriche, aerei sempre più sicuri o gli smartphone, frutto di decenni di ricerche tanto quanto ogni altra branca della scienza. Che poi alle loro spalle ci fosse una Big Pharma o un cartello delle armi che calcavano la mano sugli acquisti, ciò non voleva dire che i prodotti non fossero tutti e in toto genuini nelle intenzioni dei loro creatori.
Certo... Gente come lui aveva contribuito non poco al aspetto demoniaco dell'evoluzione.
Sbuffò, desiderando poter tornare sui suoi passi e accorgersi prima dell'insensatezza del suo operato: non bastava la nuova rotta impressa all'azienda, doveva affondare di più la lama nell'opinione pubblica e non importava se per raggiungere lo scopo doveva servire il suo corpo a una rivista, in un'ideale sacrificio umano. Era un po' meno sicuro di dover vendere la propria relazione, vendere l'allure della love story V.I.P., della Bella Cenerentola che conquista la Bestia Capitalistica.
“Se mi spogliassi anch'io?” domandò Tony riemergendo dal film che si era fatto in testa.
“Da quando sei così esibizionista?” replicò lei preoccupata, salvo ritornare immediatamente sui suoi passi “Domanda scema...Quando mai non lo sei stato?”
“Cosa ne pensi?”
“Che allora io posso restare a casa...” rispose la donna, incrociando le braccia al petto “Basti tu a rubare tutta la scena”
“Io da solo non ci vado in quel covo di vipere allupate e isteriche!” protestò l'uomo improvvisamente capriccioso.
“Sai cosa ti chiederò in cambio!” fu la risposta di lei, che suonava quasi come una sfida.
“Eh?” domandò come inebetito. Quand'è che avevano stabilito un compenso per una cosa che lui voleva evitare a tutti i costi?
Ma la domanda gli scivolò di mente quando lei gli posò le labbra delicate sulle sue.
Il contatto fu breve e intenso, al punto da lasciarlo boccheggiante e affamato: ne voleva ancora. Perché diamine lei si comportava in quel modo? Da perfetta sadica? Lo sapeva, no, che la cosa lo sconvolgeva? E lui perché diamine non riusciva a lasciarsi andare, perché cercava quasi di fuggire quei contatti, concedendosene pochissimi, come se fosse stato un obeso a dieta ferrea.
“Preferirei avere un anticipo... ma troveresti qualche scusa” lo informò lei con un ghigno divertito “... Certo anche un bel brillante non mi farebbe schifo...”
“Vuoi un altro generatore Ark?” domandò lui ancora rintronato.
Per tutta risposta, lei gli scoccò un'occhiata risentita “Si chiamano anelli, Tony... gioielli di fine oreficeria, tanto perché non ti vengano in mente strane scappatoie.”
Quello per poco non si strozzò con la saliva, intuendo a cosa alludesse l'amica-collega-compagna. Davi alle donne un'unghia e si prendevano tutto il braccio, comprese le chiavi dell'auto e della casa... parassiti!
Pepper sorrise vittoriosa “Niente Torre, niente doppio cognome...” elencò “Non ti sto chiedendo nulla di così vincolante, in fondo, non trovi?” disse tornando a baciarlo ma ora “E un gioiellino da Tiffany non ti manderebbe certo in bancarotta. E' triste doversi fare i regali da soli”
Ma Tony era ora completamente lucido e quella manifestazione d'affetto gli scivolava addosso come acqua fresca anche se doveva ammettere che aveva ragione.
Poteva farcela. Non gli chiedeva nulla di impegnativo.
A meno che lei non intendesse condurcelo un passo alla volta.
“Ne parliamo al nostro rientro...giuro...” tagliò corto, scansandola appena, pronto ad andarsene da quella iena di Christine. Donne! Figlie del diavolo tutte quante.
“Tony...” lo richiamò Pepper
“Sì?” ubbidì prontamente lui facendo retromarcia come un burattino ubbidiente
Lei gli posò una mano sulla guancia rasata “Non voglio forzarti ma voglio che tu capisca anche il mio punto di vista... soprattutto se faccio -e, credimi, viene naturale- un paragone con le altre...”
“Pepper... io...” cercò di giustificarsi lui, sentendosi improvvisamente colpevole
“Shh...” lo rincuorò lei prima di allontanarsi verso la porta, e quindi verso l'ascensore, con aria soddisfatta “Janet mi ha detto tutto del tuo complesso di Edipo...”.
Ancora una volta Tony strabuzzò. Ma quale complesso? Cosa aveva raccontato a Pepper quella deficiente? E perché lei sembrava così soddisfatta, ora? Alla prima occasione l'avrebbe fatta vedere a quella stupida figlia di papà amante del futile e dell'inutile!
“No, ferma un attimo!” intimò andando ad afferrarle il polso per costringerla ad ascoltarlo “Non è così!” disse solo dopo aver cercato inutilmente di mettere ordine nella sua testa “Non è così, chiaro? So che può sembrare strano, soprattutto a te...” continuò sotto il suo sguardo indagatore “...ma... ho paura di fare un casino, d'accordo?”
“E dov'è il problema?” domandò lei trattandolo con un po' troppa condiscendenza
“Il problema è che non voglio fare casini... con te... ti basta?” domandò imbarazzato “Sì, insomma, non mi sono mai dovuto confrontare davvero con cose del genere. Di solito mi svegliavo e me la battevo in officina e che quelle si arrangiassero a trovare la strada di casa...”
“Sì, ricordo...” convenne lei, divertita. Era lei ad accompagnarle alla porta, abiti freschi di tintoria espressa alla mano.
Era divertita? Dannazione! Lui cercava di essere serio e sincero: non aiutava affatto!
“Sai che sono un pelo iperattivo...”
“Appena un po'...”
“... e sai che odio perdere più tempo del necessario in cose inutili come dormire...”
“Certo, dormire non serve proprio a nulla...” lo canzonò lei
“... io vorrei solo essere sicuro di non tagliare la corda, dopo, come faccio di solito... o per lo meno di non offenderti nel caso accadesse. E io..”
“Tony...” lo zittì lei dolce e comprensiva posandogli un dito sulle labbra e fermando quel fiume in piena. “Sei ansioso, lo sai?”
“Non sono affatto ansioso!”
Lei roteò gli occhi “Come vuoi... Comunque, dopo Happy sono forse la persona che ti conosce meglio... quindi non devi preoccuparti...”
“Non penserai che sono uno stronzo e che ti sto solo usando?”
“Se metterai il mio nome sul contratto della torre...” cominciò. Vedendo come quello si stesse di nuovo agitando, si affrettò a precisare “Stavo scherzando... anche se... sai... non tutte la pensano così e di certo -spero tu questo lo sappia- io non voglio approfittarne... ma... sai... per quanto io sia brava a capirti, tu non è che sia proprio il massimo della chiarezza di uomo e...” fece una smorfia, cercando di darsi coraggio “A volte avrei bisogno di qualcosa che mi ricordi dove stiamo andando... cosa vogliamo da noi? C'è un noi?”
Tony rimase interdetto per un attimo “Ti ho fatto pensare questo?” allibì
“Beh, sai... per quanto una si aspetti poco da te... la speranza è sempre che tu molli i tuoi giocattolini per cinque minuti...”
“No no no no! Pepps... No...voglio dire... Mi sto riducendo come Reed?”
“Un po'...” ammise lei facendo spallucce
“No!” alitò prendendola tra le braccia, quasi volesse consolarla. La rossa era seriamente confusa dal suo comportamento ma non protestò: mai rifiutare gesti spontanei d'affetto da parte di Tony Stark “Come... voglio farti capire che... non è così! Sei importante!” aggiunse allontanandosela appena di dosso per poter allacciare i loro sguardi. Le mani le carezzavano ritmicamente le spalle “Voglio dire... se non ci fossi stata tu a sostituirmi il primo generatore forse sarei anche morto... nonostante i tuoi urletti da donna isterica schifiltosa...”
Pepper non si offese e, anzi, ridacchiò al ricordo. Nessuno a parte lei sapeva del difetto di Tony, il suo punto debole... si era esposto solo con lei. Anche se sempre col suo fare arrogante.
“Baciami, scemo!” lo rimproverò lei col sorriso sulle labbra
“Subito” gli scappò prima di chinarsi su di lei, cosa che la divertì ancora di più.
Dopo qualche minuto di sbaciucchiamenti ed effusioni varie, Tony si ritrasse di colpo e negli occhi di Pepper balenò la delusione.
“Ma non dovevi andare?” domandò affannato
“Mi stavo solo preparando... l'appuntamento è nel pomeriggio...” disse demoralizzata, pronta a sciogliere l'abbraccio.
Ma lui la trattenne. “Cosa stai facendo?” domandò confuso
“Beh...” cercò di argomentare lei, imbarazzata
“Credevo che volessi...” cominciò lui per arrestarsi subito, improvvisamente imbarazzato a sua volta “Sì, insomma...”
“Ma non eri tu che...” balbettò lei
“Beh...” fece con un'alzata di spalle e un sorriso sghembo, come se quello giustificasse tutto.
Non riuscì ad aggiungere altro che lei gli saltò al collo, baciandolo con foga.
“Lo prendo per un sì?” domandò poco dopo, riemergendo dai suoi capelli ramati
“Non rovinare tutto!” sbuffò lei ricacciandolo in camera e chiudendosi la porta alle spalle.


AV AV AV AV AV AV AV AV AV AV AV AV AV AV

Scusate il ritardo di oggi ma ho avuto in impegno improvviso.
Dunque, finalmente sistemato anche Tony. Lui, i suoi complessi, le sue paure.
Forse l'ho fatto più fragile e attento di quanto possa essere in realtà ma spero di aver compensato adeguatamente coi suoi momenti di distrazione. Proprio non ci arriva, a volte.
Dal prossimo capitolo torna tutto normale. O quasi. Rientrano i mutanti, rientrano Clint e 'Tasha e vedremo chi incontreranno Tony e Pepper nella sede di Vanity... nel loro pomeriggio :)
Per ora, passo e chiudo.
A presto

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Capitolo 14
*** Le teste dell'HYDRA ***


14. Le teste dell'HYDRA






La donna si ricompose e tornò a essere la stronza che Fury conosceva bene. Tuttavia, negli occhi le permaneva un languore residuo del tocco del fratello. Se non si fosse trattato di Andreas, che le assomigliava come una goccia d'acqua, ne avrebbe quasi sorriso. Invece erano due depravati incestuosi, probabilmente due narcisisti pompati dal padre che, fondamentalmente, erano spaventati dal confronto con qualcosa di diverso da se stessi. Insomma, il tipico atteggiamento dei razzisti
“Allora, Nick....” disse Andrea, affabile. “Sei qui per un motivo ben preciso...”
“Non lo dubito... darsi tanta pena per elaborare un piano così contorto deve nascondere intenzioni incommensurabili...” replicò lui divertito e schifato.
“Oh, non sono così oscure... si tratta, in verità, di una cosa molto modesta... Io e mio fratello, ritenendoti il più valido degli avversari, volevamo proporti di entrare nelle file di Hydra.” annunciò Andrea alzando il mento orgogliosa della propria proposta.
Ma Fury agrottò le sopracciglia, perplesso “Me? Un nero? Con voi, pazzi ariani, innaturalmente tendenti all'albinismo? Gran bello scherzo, bella. Dai... ora che hai rotto il ghiaccio, puoi dirmi di cosa si tratta. Davvero.”
“La nostra proposta è serissima.” Replicò Andrea “Non a caso ti abbiamo fatto terra bruciata attorno. Nel corso di tutti questi anni ci siamo resi conto che sei uno di quei personaggi che è preferibile avere al proprio fianco... E penso che si possa trovare un accordo.”
“Io coi Von Struker? Il padrino di Capitan America con gli alleati di Teschio Rosso? Il miglior agente S.H.I.E.L.D. con HYDRA? No, grazie!”
Ma lei non perse il suo aplomb “Pensaci, Nick... Cosa ci rende diversi?”
“Il fatto che siete nazisti in testa e ignorate le più basilari nozioni storico-biologiche?”
“Oh, Nick... non capisci che le differenze etniche sono questioni sorpassate? Ebrei, neri, zingari... A chi importa più?”
“Magari a tutti quelli che ancora oggi vengono linciati in nome di queste differenze?”
Andrea arricciò il naso “Le masse sono stupide. Arrivano con mezzo secolo o più di ritardo a ciò che le grandi menti hanno già teorizzato e sviluppato... Sono, per definizione, simili alle mandrie animali. Anche se il singolo può ergersi nel mare dei suoi simili ne viene subito inglobato di nuovo. Per quello servono pastori che le guidino!”
“E quindi? Qual è la nuova frontiera di resistenza? I superumani?” replicò scocciato “Perché, nel caso non lo sapessi sono anche in quel circolo elettivo”
Andrea rise di gusto “Oh no, caro Nicholas... anche questa è storia vecchia... tu, io... siamo già superumani. I nazisti cercavano di ottenere proprio questo. E lo stesso gli americani col progetto Rinascita, e i russi con una miriade di progetti, non ultimo il celebre Vedova Nera. No... dobbiamo fare fronte comune. L'umanità tutta. Contro gli invasori alieni che vengono per colonizzarci e sfruttarci!”
“Oh certo, le teorie di Icke e di Sitchin1 mi mancavano davvero all'appello.”
“Vogliono insozzarci con la loro mostruosità, sottrarci le risorse energetiche infiltrandosi in tutte le organizzazioni mondiali che detengono il potere...”
“E cosa vi fa pensare che, se sono così superiori a noi e così malintenzionati, l'umanità intera possa respingere queste minacce, tanto per cominciare? O meglio. Respinti una volta, potremmo resistere ancora a lungo? Se loro sono arrivati fin qua, forse non è così assurdo pensare che ci avrebbero già sterminato se solo avessero voluto. Soprattutto, come potremmo competere con una tecnologia che non può minimamente reggere il confronto?” domandò, sorvolando sul fatto che gli alieni fossero sulla Terra ormai da almeno un secolo -se non anche qualche millennio- e che loro, HYDRA, ne erano stati i principali sfruttatori. O forse, l'idea gli venne solo allora, le armi che i nazisti avevano elaborato avrebbero dovuto servire proprio a contrastare le ondate invaditrici e non agevolarle? Poco importava, comunque. Erano pazzi come cavalli.
“Non era questo lo scopo dell'Area 51....?” domandò di rimando la donna, puntando l'attenzione sulle malefatte nordamericane “Come di tutte le diverse versioni del vostro progetto Arma Plus? Lo scopo non era farsi la guerra tra noi, ma per noi! Nemmeno la minaccia di attacco a tutta la Terra può sciogliere le riserve del primo agente segreto del pianeta?” domandò affabile e suadente. Come una serpe. Una delle molte che si ramificavano dal corpo centrale di HYDRA. Ne uccidevi una, e due ne prendevano il posto.
In ultimo, ragionò Fury, ci aveva preso, insomma, solo che Andrea era troppo accecata dalla sua prospettiva per ammetterlo. Così rispose diversamente, spostando ancora una volta il discorso su un altro fronte “Si tratta sempre di un noi e un loro! Se vengono in pace non c'è motivo di attaccarli...”
“Lo dicevano anche i nostri vecchi degli ebrei...” replicò lei facendo spallucce.
“Non avrete mai la mia collaborazione per questo.” fu la secca risposta dell'uomo. Una risposta che aveva trattenuto fino a quel momento.
“Giusto... dimenticavo che la tua cara amica e direttore dello S.W.O.R.D., su al Vertice, ha sangue alieno nelle vene...”
“Evita di farmi la predica... Che tanto dietro al nuovo direttore, Osborne, ci siete voi. E Osborne opera con quel sociopatico di Loki...”
“Non insultarci!” sbottò la donna “Noi non lavoriamo con quel pazzo. E, tanto meno, lavoreremmo con quel rifiuto cosmico che ha lanciato l'attacco alla Terra! A parte non prendere ordini da nessuno, tutt'al più ci si può accusare di fraternizzare col Club Infernale!”
“Oh, certo! La più pia delle associazioni di Boy Scout...” sbuffò Nick roteando l'occhio “Razzisti che cercano di proteggere la purezza della razza umana da contaminazioni mutanti, quando i loro vertici ne sono impregnati come spugne e commerciano schiavi terrestri con tecnologie aliene”
“Vedo che non sei aggiornato, Nick...” gongolò ancora lei “Il Club Infernale ha subito un drastico rinnovamento. Diciamo pure che ora tra questo e il CSM non c'è più alcuna differenza: sono le stesse quattro persone a comandare l'una e l'altra cosa...”
A quella rivelazione, Fury non poté non sbigottire mentre molti tasselli andavano a incastrarsi al posto giusto. Usando un induttore di immagini che li aveva sempre mostrati nella loro versione futura e invecchiata. Non suonava, quindi, più tanto strano che avessero sempre preferito incontri virtuali: temevano che lui potesse svelare l'inganno. Ed erano loro che non volevano una squadra di Vendicatori e che, in quel senso, avevano fomentato il clima generale di odio per i mutanti e per i superumani in generale! Erano loro che avevano lanciato l'ordine di un attacco nucleare a New York, la cui concentrazione di anomalie era ben nota a tutti e non solo allo S.H.I.E.L.D. Erano sempre loro che stavano dietro alla sparizione della tecnologia custodita nei laboratori delle più grandi menti mondiali. Loro avevano sabotato la stazione orbitante dello S.W.O.R.D. nel tentativo di impedire agli agenti del Vertice, troppo impegnati a sistemare i propri problemi, di intervenire in soccorso degli Inumani che vivevano nel lato Blu della Luna. Al riguardo, Nick doveva ringraziare Maria di aver avuto l'intuizione giusta al momento giusto e che il dottor Henry McCoy fosse stato nello spazio con la fidanzata per individuare e correggere immediatamente il problema, contenendone i danni. Tuttavia, assieme a molti morti, diversi Inumani erano dati per dispersi: non vi era alcuna traccia di loro in alcun angolo di Attilan, la loro città incastonata in un cratere, unica zona in cui fosse possibile la vita. Nemmeno se messi alle strette si sarebbero avventurati fuori dalla bolla e avrebbero abbandonato i cristalli terrigeni, parte integrante della loro cultura e della loro mutazione, nelle mani degli invasori.
I membri del CSM o Club Infernale, ormai era lo stesso, erano sempre stati alle spalle di tutti i progetti schifosamente eugenetici in cui si torturavano la popolazione umana e mutante al fine di creare guerrieri che potessero competere con le forze di invasione aliene. Loro avevano creato ibridi umano-alieni. E se erano in combutta con Essex, che aveva contribuito allo sviluppo della razza inumana, considerata ora aliena, non doveva più meravigliarsi che questi esseri, tenuti segreti agli occhi di tutti i terrestri, fossero stati attaccati.
Avevano torturato gli stessi visitatori extraterrestri, fornendo loro un casus belli che poteva anche giustificare le azioni di Loki, per quel che ne sapeva lui.
Ma, ancora, erano loro che avevano messo il pianeta intero nelle mani di quello stesso pazzo psicopatico pur di guadagnare il potere sulla Terra, come vassalli di un impero intergalattico, magari contrabbandando merci terrestri, dai materiali preziosi alle specie più esotiche, ivi compresa l'umanità stessa. Non era un mistero di come già nella tratta degli schiavi ci fossero stati neri che lavoravano al fianco dei bianchi in quel tipo di commerci. Se i Fenris fraternizzavano con il Club Infernale, automaticamente erano alleati di Loki e lacchè alla pari di Osborne, checché ne dicessero loro.
Avevano cercato di fronteggiare l'invasione per giustificarla, eventualmente in un secondo tempo, come tentativo di mostrarsi degni di una seconda chance, in modo che il pianeta venisse risparmiato dallo sterminio ma potesse rivelarsi un'efficace arma nelle mani dei conquistatori. Per ottenere la qual cosa avevano dovuto dividere i compiti tra buoni e cattivi in un perfetto e coordinato gioco delle parti: quelli che volevano salvare il mondo e quelli che volevano dominarlo; quelli che volevano proteggere i civili grazie a un potenziamento genetico contro coloro che volevano contrastare quelle stesse aberrazioni per mantenere quel potere nelle mani di pochi eletti. Tutto faceva parte di un piano contorto e meticoloso.
Possibile che Loki, in tutta la sua astuzia di dio dell'inganno, si fosse fatto intrappolare in una rete di complotti tutta umana? No, non lo credeva davvero possibile. Ma non aveva nemmeno prove che dimostrassero il contrario.
Il CSM era l'altra faccia del Club Infernale e, a sua volta, ciascuna manifestazione della stessa moneta pilotava le azioni ora dello S.H.I.E.L.D., ora dell'Hydra con tutte le rispettive ramificazioni. Da una parte, geni scientifici, carismatici armaioli e modesti filantropi sostenevano la comunità superumana che si auto difendeva come poteva ora nella platea pubblica con accorati discorsi e ora in campo con i loro poteri non umani a cui si contrapponeva una politica vessatoria sostenuta dalla ricerca dell'A.I.M., dalle fonti energetiche della Roxxon, dagli armamenti dell'HAMMER, da scienziati folli quanto geniali come Essex o Zola2, tutti protetti dal corpo di assassini della Mano, ninja addestrati a proteggere tutti questi segreti. E tutti, dal primo all'ultimo, più o meno consapevolmente, si rifacevano allo stesso grande burattinaio. Ecco perché la pretesa ostilità tra le due agenzie gli era sempre parsa troppo sospetta: qualcosa, istintivamente, non gli tornava.
Il gioco delle parti che conducevano gli interessati si svolgeva comunque sulla pelle della popolazione civile, più o meno indifesa, che fosse umana, superumana o aliena. Ed era una situazione che andava fermata al più presto.
“Allora... visto che alla fine stiamo dalla stessa parte, Nicholas...” sorrise Andrea mentre con l'unghia dell'indice percorreva i tratti somatici dell'uomo, ignara delle sue elucubrazioni “Non trovi sia meglio allearsi? Saremmo una bella squadra...”
“Andrea cara...” rispose lui sorridente “Va pure a dare il culo al tuo incestuoso fratello e risparmiami queste puttanate!” replicò fermissimo e serafico.
L'offesa arrivò più violenta di una frustata e la bionda si ritrasse quasi scottata. “Ti pentirai della tua scelta” replicò altera, cercando di non dare a vedere quanto fosse imbufalita. Schioccò le dita e Val emerse dalle ombre, alle sue spalle “Ti farò un ultimo regalo, in memoria della nostra lunga amicizia... Non sperare di ricorrere alla capsula di cianuro nei molari: te l'abbiamo già rimossa. Come vedi, S.H.I.E.L.D. e HYDRA usano, ancora una volta, gli stessi accorgimenti. Lascerò che sia la tua amata a straziare le tue carni. Gli italiani non hanno le palle per fare le cose, neanche con l'acqua alla gola: hanno bisogno di una spinta e, quando sono già affogati, se qualcuno di esterno dà loro un pretesto, allora scatenano tutta la loro brutalità. E credimi, la storia insegna che sanno essere dei veri macellai... Oh! Già... tu eri presente al vilipendio del cadavere del loro dittatore settant'anni fa...” Sorrise cinica “La tua cara contessina non è da meno. Tanto più se è stata manipolata da noi... Oh, dimenticavo... sono cose che già sai...”
“Giusto, i tedeschi mangiapatate, invece, sono degli esperti in abomini, frustrati come sono da un clima rigido e una storia che li ha visti privati dei loro tre quarti di nobiltà, del loro impero plurisecolare seppur sempre frammentato in tanti regni diversi...”
“Non sprecherò altro fiato con te, Nick!” sibilò lei, raddrizzandosi, colpita nel vivo.
“Lasciami indovinare? Sono uno sporco negro cresciuto nelle piantagioni di cotone e non so far altro che ubbidire, Sì, Sahib? E non dovrei, quindi, alzare troppo la cresta?” ghignò lui, per nulla intimidito da quella situazione.
“Come dicevo, abbiamo superato la fase di odio razziale. Come la moderna psicologia giustifica in parte le teorie Lombrosiane3, a sua volta, l'antropologia associata alla geografia, allo studio delle lingue e delle religioni4, conferma che l'ambiente e la cultura determinano le persone per quelle che sono e gli stereotipi sono più che validi, in generale. Salvo sfumare nei bordi per coloro che sono cresciuti in ambienti culturalmente più ricchi”
“Oh certo... voi siete passati dalla Germania alla Svizzera, immagino, passando per Vienna per il ballo delle debuttanti, giusto? Chi era il tuo cavaliere? Andreas o …....”
“La tua insolenza è qualcosa che, lo ammetto, mi ha sempre affascinato. E che mi mancherà. Addio, Nick... noi dobbiamo andare... i trattati intergalattici ci aspettano...” lo salutò la donna, dandogli le spalle per lasciarlo solo con Val.
Non era sicuro che i Fenris se ne fossero andati, quindi continuò a recitare la sua parte. Alzò lo sguardo sulla compagna e vide che i suoi occhi brillavano di rabbia e desiderio di vendetta. La sua ragazza.
Inclinò la testa di lato, a sfidarla “Bene, Val... vediamo quanto odio represso hai nei miei confronti...”
Per tutta risposta l'ex vice direttore dello S.H.I.E.L.D. si sfilò un bowie dallo stivale e lo fece roteare in mano con l'abilità di un giocoliere mentre, con un'occhiata, gli indicava l'altro stivale. Là c'era un secondo coltello. D'altronde, il piano l'avevano elaborato assieme. Ammesso che il ragionare dando per scontato di sapere come l'altro avrebbe reagito potesse essere considerato tale.
Quando una luce diversa balenò nello sguardo della donna, Fury si preparò all'impatto. Tutto avvenne così rapidamente che i gemelli Von Strucker non ebbero tempo di realizzare che la seduta di torture si era evoluta nella liberazione dell'ostaggio.
Val diede un pugno al suo superiore, mandandolo gambe all'aria. Nick si rannicchiò in posizione fetale per far scivolare i polsi sotto di sé e oltre le gambe. Quindi alzò i polsi, continuando l'ideale rotazione delle braccia, appena in tempo per intercettare con la fascetta da elettricisti, che gli ancorava i polsi in una morsa rigida e tagliente, la lama che Val stringeva nel pugno che l'aveva colpito. Come la plastica si fu spezzata, la super spia invertì la direzione di rotazione delle sue braccia, proprio mentre Val spiccava un salto in alto per oltrepassarlo e lasciargli, così, la visuale libera. Le sue mani scivolarono sul corpo della donna fino a raggiungere con la mano libera lo stivale e sfilare il pugnale assicurato in posizione inversa rispetto al normale utilizzo.
Val atterrò rotolando alle sue spalle in una capriola perfetta mentre lui riguadagnò la posizione di sicurezza rotolando a sua volta sulla schiena assecondando il moto impressogli dalla donna col suo pugno. Come si arrestò, con un poderoso colpo di reni che avrebbe potuto dargli lo slancio per un'altra capriola in avanti, le braccia oscillarono naturalmente in avanti a causa del contraccolpo e il guercio ne sfruttò la spinta per lanciare il coltello di cui si era appena armato.
Un movimento naturale, dettato da ore di allenamenti. La fluidità era diventata parte integrante del suo istinto e sapeva che non avrebbe mai mancato il bersaglio.
Avvertì un gemito soffocato, subito seguito da quello sorpreso e sgomento del suo bersaglio e seppe che, sia il suo colpo sia quello di Val, avevano centrato il loro obiettivo: due agenti S.H.I.E.L.D., i vertici, contro due leader di HYDRA, i gemelli Von Strucker.
“Per essere un vecchio, nudo come un verme e stordito dalle droghe, te la cavi bene col lancio dei coltelli...” si complimentò Valentina raggiungendolo alle spalle, le mani piantate sui fianchi, il peso del corpo che gravava tutto su una gamba sola.
Fury si rimise in piedi come se avesse appena colto una semplice margherita e non assassinato una persona e, nonostante la situazione tutt'altro che idonea, si esibì in una posa marziale e superiore, alzando il mento e incrociando le braccia al petto. “Mia cara, sono fermo all'età di quarant'anni, non dimenticarlo!” ghignò per poi darle un buffetto sulla guancia.
Si volsero, quindi, entrambi, per vedere il risultato della loro azione coordinata. Le teste dell'HYDRA erano cadute. Ne sarebbero spuntate altre? Era presto per dirlo. E al da farsi avrebbero pensato dopo. Ora dovevano tornare a guidare le loro truppe.



1    Se vi interessa la connessione tra le teorie complottiste aliene (di cui David Icke e Zecharia Sitchin sono due dei principali esponenti) e i riferimenti di cui il è infarcito il Marvelverse, vi invito a leggere questo post.

2    Essex ormai lo conoscete, Zola, invece è uno degli acerrimi nemici di Cap e solitamente appare come un grottesco robot sul cui monitor campeggia il suo bel faccione. Lo si è visto anche in Cap: Soldato d'inverno.

3    La moderna medicina ha determinato una stretta relazione tra tratti somatici e malattie genetiche (familiarità o affezione alle stesse). Se la cosa può essere evidente laddove i tratti siano fortemente riconducibili all'una o all'altra malattia, con l'aiuto di tecnologia e software avanzati si è arrivati a determinare, con un accuratezza del 99,7% , partendo solo da una fotografia di una persona 'normale' e sana, tutte le malattie di cui può soffrire o di cui può essere portatore quel dato soggetto. Determinate malattie, inoltre, determinano anche parte del carattere ed ecco come le teorie Lombrosiane tornano alla ribalta.

4    Non è infatti un caso che le religioni monoteiste, che aspirano a un aldilà migliore si siano sviluppate in zone aride e altre, cicliche e caratterizzate da reincarnazioni, in zone monsoniche.
Lo stesso vale per il linguaggio associato alla geografia: parlate dure, caratteri duri e climi rigidi, parlate morbide e melodiose, caratteri allegri (e cialtroni) a climi che invitano all'ozio (o meglio, dove non puoi lavorare se non vuoi morire per colpi di calore o disidratato). E da questo si determina la società: da una parte famiglie che si formano precocemente, dall'altra reti allargate e tardive. Sono questioni affascinanti.


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Ta-dan! Ecco finita, finalmente, la parentesi SHIELD/HYDRA. Il quadro comincia a essere un po' più chiaro? Lo spero.
Che altro dirvi? Per il momento credo non serva aggiungere altro.
A presto!!
(e per chi riesce a vederli, buoni Guardiani della Galassia: io non so quando riuscirò ad andare...)

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Capitolo 15
*** Angeli metropolitani ***


15. Angeli metropolitani






“Cosa diciamo, ora?” domandò quand'ebbero girato l'angolo.
“Dobbiamo dir loro qualcosa?” replicò la rossa levando un sopracciglio, scettica: se pure avevano confidato qualcosa a qualcuno era evidente come nessuno avesse mai spifferato nulla o collegato i fatti. Quindi che motivo c'era di rendere improvvisamente tutti quanti partecipi del loro chiarimento? L'avrebbero fatto singolarmente, così come, allo stesso modo, in passato, solo alcune persone erano a conoscenza dei loro segreti. “Saranno fatti nostri come ci siamo chiariti...”
“Come se bastasse a tacere quelle comari... Poi ci vedono arrivare così...” disse indicandola: era in pantaloni e reggiseno. “Almeno a Cap lo dovresti dire...”
Natasha sbuffò in quello che era uno strano tentativo di reprimere una risata “E' stato lui a costringermi a questo...” sibilò lei
“Sennò non mi avresti mai spiegato nulla, giusto...?” replicò offeso stringendola in un abbraccio tra il cameratesco e il possessivo. Lei assentì appena “Allora lo sanno già...”
“Clint...” replicò lei, guardandolo in tralice, lasciando a intendere che non doveva farsi scrupoli, se voleva, a tenere segreta la cosa: tanto li canzonavano già da tempo e su di loro circolavano le peggiori leggende e aspettative. Infrangere certi sogni, pur confermandoli, poteva avere pericolose ripercussioni.
Quando fecero il loro ingresso nella sala da cui si erano allontanati più di mezz'ora prima, trovarono Steve che conversava amabilmente con la nipote del suo primo amore; Janet seduta accanto a suo marito, addormentato in posizione scomposta sul divano, che discuteva animatamente con Ororo di moda, schizzando bozzetti su un blocco notes che poi mostrava sistematicamente al re wakandiano che dava segno di non afferrare i concetti espressi; Mystica che cercava di parlare con suo figlio, offeso dalla presenza della donna, con la mediazione del canadese che se ne stava tra i due pelle blu, una gamba accavallata mollemente sull'altra, a sorseggiare una birra. Deadpool sedeva per terra, davanti a loro, a seguire la vicenda, fazzoletto alla mano come se fosse stato davanti a una telenovelas sudamericana di seconda categoria; James e Jessica stavano appollaiati alla vetrata, scrutando lo skyline della città che si estendeva come un tappeto di mattoncini colorati sotto di loro.
Johnny Storm e Peter Parker non erano presenti in sala, probabilmente infrattati da qualche parte a provare un qualche programma di simulazione di realtà virtuale, così come Tony e Pepper, probabilmente impegnati a rilasciare qualche comunicato stampa dopo l'attacco al Triskelion. Altra assenza, altrimenti ingombrante presenza, era il pennuto X-Men dalla pelle cianotica.
Inizialmente, nessuno sembrò accorgersi dell'ingresso in sala dei due agenti, ma dopo pochi istanti, sentirono Logan annusare l'aria “Dio, Wade!” sospirò “Puzzi di vomito...”
“Non sono io!” protestò il mercenario colto di sorpresa.
“Come mai vi presentate in cotal guisa, semi ignudi?” domandò Thor comparendo magicamente alle spalle dei due agenti, calamitando su di loro l'attenzione di tutti gli altri.
“Natasha è stata male...” spiegò asciutto Clint “Qualcuno sa dove posso trovare la lavanderia?” chiese mostrando la palla di cotone sporco che teneva in mano.
“Ti ha aggredito?” domandò l'agente 13 alzando appena lo sguardo
“Ci ha provato...” replicò lui facendo spallucce
“Tutto a posto?” domandò James squadrandoli con occhio attento
“Diciamo di sì...” rispose l'arciere cercando di fuggire allo sguardo del collega che, però, sembrava saperla lunga.
D'improvviso, qualcuno bussò alla finestra e tutti si volsero a osservare il giovane Worthintong in tenuta pressoché adamitica che, le ali spiegate a tenerlo sospeso all'altezza dei loro sguardi, urlò l'avviso che arrivò ovattato “Stanno arrivando!”
“Chi è che arriva?” domandò Clint mentre i mutanti presenti in sala schizzavano su per le scale senza batter ciglio. Lanciò un'occhiata alla rossa e si mise a correre alle calcagna del gruppo. Solo Pym fu abbandonato in sala, beatamente nel mondo dei sogni perché anche T'Challa seguì Ororo: ciò che angustiava lei era anche affar suo.
Fecero appena in tempo ad accalcarsi tutti nella sala con l'angolo bar al piano superiore, tanto amata da Stark, che videro Rogue atterrare delicatamente sul pavimento di marmo scuro, lasciando rotolare a terra il giovane e imprecante Pietro Maximoff.
“Dannata strega!” urlò a indirizzo della mutante “Mi vien da vomitare!”
“No, ti prego, che ci ha già pensato qualcun'altro, oggi” se ne uscì Wade
“Odio le Montagne Russe” sibilò il ragazzo strattonandosi lontano da Rogue. “Anche se sono lente come lumache!”
“Mocciosetto!” ghignò la mutante responsabile di tanto malessere mentre Kurt le saltava al collo “Tranquillo...” disse al fratellastro per rassicurarlo “Sto bene... più o meno..”
“Mai più!” sbraitò ancora il ragazzino dai capelli argentini
“Si può sapere che tutto è successo?” lo rimproverò burbero Logan.
“Questa pazza che viaggia più veloce di un jet si è messa a fare i giri della morte perché ascoltava canzoni stupide dei Beach Boys, dei Pet Shop Boys o dei Rednex1
“Sei proprio un rammollito!” si schifò Mystica “Ci credo che sei la delusione di tuo padre”
“Ma andate un po' a farvi un giro tutti quanti!” Sbraitò infastidito “E poi cosa sono queste tenute discinte?” la sua voce si alzò di un'ottava mentre indicava, disgustato, Warren, Clint e Natasha “Quanta promiscuità... ha proprio ragione Quentin, quando dice che la cosa che vi riesce meglio è...2
“E finiscila!” lo rimbeccò Mystica dandogli uno scappellotto sul coppino.
Era ormai ora di pranzo e, finito di rampognare Pietro, tutti avevano cominciato i preparativi personali per il pasto: chi andava a lavarsi, chi a rivestirsi, chi ancora doveva pregare prima di avvicinarsi al cibo e così via.
Rogue stava seguendo il flusso di persone davanti a sé, che da lì a pochi metri si sarebbe diviso, lasciandola sola coi propri sensi di colpa (e con una stanza distrutta da rimettere in sesto), quando una voce che ben conosceva la fece fermare e voltare.
“Magnifica creatura...” la apostrofò Warren spiegando, nella sala ormai vuota, le sue ali metalliche in una sorta di inchino.
Le scappò un ghigno. Il bell'angelo doveva sempre esagerare nelle sue dimostrazioni d'affetto. La sera prima non aveva avuto modo di osservarlo bene, presa com'era dal vortice di emozioni che stava vivendo al fianco di Gambit... Un nodo alla gola si serrò così improvviso che faticò a deglutire e a ricacciare indietro le lacrime. Sarebbe stata forte, si ricordò. Forte per se stessa, per Carol, che viveva in lei, per Kurt, per Logan e Mystica che l'amavano come una figlia, per Pietro che si era dato tanto da fare e per tutti gli altri che aveva fatto quasi morire di spavento.
Riportò l'attenzione sull'uomo davanti a sè che sembrava perplesso e la scrutava con curiosità e apprensione. E che continuava a starsene mezzo nudo con tutta la disinvoltura di questo mondo. Tanto lei non era affatto in imbarazzo, proprio no. Non tanto perché era davvero un bel vedere, ma per l'idea che lui potesse concedersi una tale libertà che a lei, pudore a parte, era preclusa.
Era davvero un bell'uomo e non c'era da stupirsi che la frigida Betsy avesse perso la testa per lui. Certo, adesso aveva quella sfumatura malaticcia che faceva sembrare i suoi capelli d'oro una cascata di fibre ottiche. Ma Warren era altro oltre che un bell'involucro. Era di una bontà sconcertante, limpido come un cristallo.
Ora appariva così sereno, eppure Rogue ricordava le immagini del notiziario che aveva visto al Baxter Building quando, quella sera di poche settimane prima, il mutante aveva attaccato le industrie di suo padre in preda a una rabbia cieca. Era livido, furibondo, non lo aveva mai visto in quello stato. Era l'angelo della vendetta in persona.
“Warren sei un bell'adulatore ma io ho già i miei pensieri con un altro...” disse con un sorriso triste.
“Non capisco, creatura del cielo...” disse lui serio “Ci conosciamo?”
Rogue si sentì mancare la terra sotto i piedi. Quella sera non aveva prestato troppa attenzione al mutismo dell'angelo, né al suo sguardo sperduto e confuso. Logan e Kurt gli avevano accennato solo brevemente quanto era avvenuto alla villa. Se lei si sentiva così disperata, come poteva sentirsi Bets, la sua fidanzata?
Warren aveva perso la memoria. Completamente.
Avrebbe dovuto capirlo dal suo nuovo modo di porsi: quella prosopopea, quella bontà così affettata... Per quanto fosse tranquillo e pacato, era un uomo deciso, combattuto tra il suo essere mutante e il suo essere figlio di un uomo che cercava con ogni mezzo di nascondere quella verità.
“Sì, Warren... ci conosciamo... da tanto tempo..” disse guardinga
“Siamo amici?” domandò ancora lui, lo sguardo acceso di nuovo interesse
“Direi di sì.” rispose orgogliosa “Di solito ci alleniamo insieme. Tu, io e Tempesta...”
“Perché sai volare anche tu?”
“Sì...”
“E come fai?” domandò ancora quello, curioso. Le ali si erano ritirate a un ingombro minimo e lui ora le stava girando attorno come un rapace che cercasse di scoprire il punto debole della preda.
“Non lo so... è un potere che ho rubato, Warren...”
“Non si deve rubare...” replicò lui, corrucciato
“Lo so, caro... Per questo devi starmi lontano... e non toccarmi...” lo avvertì lei, notando come le braccia di lui si fossero alzate istintivamente, pronte a scrutarla più da vicino, perché solo toccando si poteva dare peso a un'idea, a un'immagine.
“Forse posso curarti...” si offrì il biondo protendendo ulteriormente le mani “Ho un potere... un dono...”
“Credimi, Warren... è come se avessi accettato, davvero... non voglio farti del male...”
“Ma...” la incalzò lui
“Niente ma... ti ringrazio, ma non posso rischiare...”
“Sei buona, dunque...” non voleva essere una dimostrazione di precedente mancanza di fiducia ma Rogue non poté fare a meno di sentirsi dipinta come un demone. Come succedeva a suo fratello. “Non avrei mai pensato di incontrare una simile tormentata bellezza...” aggiunse ancora l'angelo.
“Ah, no, Warren, stammi lontano!” disse lei stendendo il braccio in avanti. Ma Angelo, che sembrava avere problemi a recepire il messaggio, le afferrò la mano guantata e se la strinse al petto, come fosse stata un peluche, cullandola tra le sue. “Ci mancava solo un Angelo marpione...” sbottò la donna ritirando bruscamente la mano e frapponendo tra loro ancora più spazio, spiccando un salto e mettendosi a galleggiare in aria: Warren non avrebbe potuto fare altrettanto. O sì? Forse era una mossa stupida, dato che il vecchio Warren poteva manovrare agilmente anche in poco spazio. Se aveva un po' di fortuna il nuovo angelo non aveva ancora piena padronanza dei suoi poteri. Ma, al momento, non le veniva in mente nulla di meglio e non voleva essere troppo dura con un povero smemorato.
“Decisamente sei più una Valchiria...” sorrise compiaciuto quello estendendo le proprie ali metalliche. Erano così lisce e specchianti che Rogue poteva vedere lo skyline alle proprie spalle.
“Ah, no, Mein Freud!” l'esternazione di Kurt congelò Warren sul posto “Stalle alla larga!” disse raggiungendoli in un banf fumoso. Quindi si volse verso Rogue “Tutto bene?” Lei annuì appena, distogliendo imbarazzata lo sguardo da quello del fratello: quanti altri grattacapi gli doveva dare? “Avanti, caro Cupido...” ringhiò ancora Kurt un po' troppo veemente, la coda lanceolata che frustava l'aria “La signora vuole essere lasciata in pace...”
“Io non....” cercò di giustificarsi l'angelo. Alzò lo sguardo su Rogue, quasi cercando di farsi capire e perdonare da lei “Io non volevo turbarti o metterti in alcun modo a disagio... spero tu possa concedermi la tua fiducia...”
“Sì, Warren, lo so... ma è colpa mia... sono io che sono molto suscettibile, negli ultimi tempi...”
Così dicendo, tornò a poggiare i piedi a terra, facendo però in modo di venirsi a trovare alle spalle di Kurt. E quel giorno non aveva davvero più la forza di allontanare qualcuno che cercava solo di essere gentile con lei. Non quel giorno.

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Mano nella mano, Tony e Pepper avanzavano impacciati per i corridoi lucenti e accoglienti di Vanity. Ciò che avevano condiviso non li aveva cambiati minimamente: Tony continuava ad essere l'arrogante e presuntuoso di sempre e Pepper continuava a rintuzzarlo istericamente ogni due secondi, allibendo per i sempre nuovi e inesplorati livelli di demenza che poteva raggiungere il suo capo/amante/supereroe personale. Era qualcosa che, in fondo, la faceva vergognare. Ma era anche parte consistente del suo amore per lui.
Attendevano ormai da cinque minuti fuori dall'ufficio di Christine. Tony era così annoiato e pentito della sua scelta che faceva di tutto per dare una cattiva impressione. Pepper, dal canto suo, si sentiva come una madre con un figlio intrattabile in un luogo in cui non sta bene alzare la voce.
Quando, finalmente, la porta si aprì, Tony non fece in tempo ad alzarsi in piedi che andò a sbattere il naso contro un armadio d'uomo comparso dal nulla. Stava già per attaccare briga con quella scimmia scesa dagli alberi e calatasi in sobri abiti da bodyguard che una voce nota gli impedì di farsi trasformare in sottiletta sotto i pugni del bestione.
“Anthony?” chiamò il biondino sulla soglia dell'ufficio
“Daniel?” domandò lui di rimando.
“Vi conoscete?” domandarono in coro Pepper e Christine per poi sorridersi vicendevolmente a quella coincidenza.
“Diamine se ci conosciamo!” il sorriso sul volto del giovane Daniel si allargò fino a diventare abbacinante “Luke, lascialo andare...” disse al gorilla di poche parole che folgorò Tony con uno sguardo, considerando chiuso il contenzioso.
Ma Tony, che non sapeva quando smetterla, aggiunse, rivolto all'agente di sicurezza “Guarda che con me i tuoi trucchetti Jedi non funzionano, Power Man!”
Luke lanciò un'occhiata d'approvazione al suo datore di lavoro, affinché gli desse l'autorizzazione a polverizzare quell'uomo arrogante all'istante. “No, Luke... lascia perdere! So che è difficile...” rispose quello di rimando, un po' come si fa con un cane non troppo ubbidiente, per poi andare a dare una pacca sulle spalle a Tony a mo' di saluto.
“Sono difficile?” replicò Stark con fare innocente, cercando l'appoggio della sua accompagnatrice che, però, si limitò a guardarlo trucemente. “A-ehm... ok...” bofonchiò cercando di rimettersi in carreggiata “Qual buon vento ti porta qui, Rand?”
“Un intervista, che altro?” replicò quello, ridendosela per la domanda stupida
“E così avrà due pezzi grossi sullo stesso numero?” sbottò Iron Man verso la giornalista, rea di cercare di guadagnarsi il pane infilando due calibri da novanta (o meglio...uno da novanta e uno a salve) nel suo giornaletto.
“Mettiti calmo, Tony!” lo rabbonì il biondo “Erano solo quattro chiacchiere. La vera intervista si terrà più avanti, in occasione della presentazione in borsa uno dei nostri nuovi prodotti...”
“A-Ehm...” fece quindi Christine alle loro spalle, richiamandone l'attenzione. “Mi dispiace interrompere la rimpatriata ma io ho un'agenda zeppa di impegni...Vogliamo procedere?”
“Peps...?” domandò Tony inclinando il capo verso la giornalista, invitando il suo amministratore delegato a procedere all'interno mentre lui si intratteneva ancora qualche minuto all'esterno.
La rossa alzò gli occhi al cielo: come sempre toccava a lei sbrogliarsela.
“Senti, Danny...” disse allora il miliardario in armatura agguantando il collega e portandolo lontano dal suo bestione “Sai nulla di Stephen?”
“Strange?” domandò l'altro confuso, non comprendendo appieno perché di tanta segretezza. Fece comunque cenno a Luke di restare dov'era. “L'ultima volta che l'ho visto era diretto in Nepal o da qualche parte nelle montagne Himalayane. Sai, dopo l'incidente alle mani le ha provate tutte per ritrovare il suo posto nel mondo. Gli incubi che ha cominciato ad avere subito dopo di certo non hanno aiutato. Visto che io ne avevo tratto beneficio, gli ho consigliato la via della meditazione e gli ho dato una mano in quel senso.”
“Sì... beh, mi dispiace non esserci stato ma io ho avuto altre cose a cui pensare...come saprai... E, in ogni caso, il miglior consiglio che avrei potuto dargli sarebbe stato di attaccarsi alla bottiglia, quindi...” replicò Tony, valutando quanto fosse meschino e di poco aiuto agli amici in confronto al buon Daniel. Anche se la Rand-Meachum Corporation non era neanche lontanamente ai livelli della Stark, a livello umano, tra lui e Danny, c'era un abisso. Tony, in qualche modo, rivedeva se stesso in Stephen Strange e forse per quello non si era fatto in quattro per aiutarlo. Se mai, all'epoca dei fatti, il suo ego gli avesse concesso di concentrarsi su qualcun altro all'infuori di se stesso.
Conoscendolo e conoscendosi, nessuno dei due avrebbe voluto l'aiuto dell'altro. E poi lui, di recente (qualche annetto), era cambiato e non sapeva davvero come relazionarsi coi suoi vecchi amici. Forse, imporre la sua presenza, come sempre, era la strada da seguire.
“Tu e Stephen siete molto simili e credo che sia arrivato al metodo Stark per conto suo” lo consolò il biondo. “Cosa ti serve da Stephen? Posso provare a contattare il maestro da cui l'ho mandato...”
“In realtà sono io che ho un'informazione per te... Pare... e sottolineo PARE, che sia prigioniero di Norman Osborne”
“Il tuo migliore amico, quello che ora è direttore dello S.H.I.E.L.D.?” Ironizzò Daniel che si teneva più informato di lui su quanto avveniva nel mondo.
“Normie non è mio amico!” precisò il magnate in un ringhio.
“Lo so, scemo!” ridacchiò nervosamente il biondo “E quindi? Che intendi fare? Nel caso fosse provato, ovvio...”
“Prima di tutto, voglio scoprire se è vero. Dopodiché, se confermato, intendo liberarlo!”
“Se serve una mano, fammi un fischio.” si offrì l'altro. “Anche se non credo vorrei essere coinvolto in una delle tue risse da bar.”
“Con tutto il rispetto, Danny. Ma non credo che il tuo amico Mace Windu possa fare molto di più che intimidire la gente con lo sguardo, né tu confonderla con i tuoi trucchetti marziali dalla Bruce Lee... e comunque le mie non sono risse da bar!”
Ma Daniel, al posto di offendersi, ridacchiò “Giusto, sono più uno sparatutto demenziale. Ma, amore di mamma... tu non sai cos'è il Pugno d'Acciaio, vero? Non preoccuparti. E credimi che anche Cage può fare parecchio male. Non a caso abbiamo messo su una società di eroi in affitto.”
“Eroi in affitto?” Stark storse il naso “E che roba è?”
“Diciamo che cerchiamo di coprire quella fetta di mercato che i Super, troppo impegnati con minacce internazionali o cosmiche, sono costretti a ignorare. Sai, le minacce dei criminali da strapazzo: la gente è ben disposta a darci qualcosa in cambio, anche se non ci serve. Da lì, l'idea!”
“Sarà...” bofonchiò Stark, scettico.
“Signor Stark, se permette, ora ci serve anche la sua persona...” Comunicò la giornalista con un sorriso irritato, interrompendo l'allegra riunione, con la testa appena fuori dallo spiraglio della porta..
Il magnate sbuffò. Che altro c'era? Pepper non aveva sbrigato tutto? Christine aveva parlato della necessità di avere la sua persona. Che servisse il suo corpo? Un brivido gli corse lungo la schiena ma irritare Pepper in generale non era una buona idea, figurarsi in una giornata strana come quella. Non era il caso di riuscire a rovinare tutto nonostante le mille cose fatte dall'alba fino a quel momento.
Lasciò andare Danny Rand e la sua truce guardia del corpo e si addentrò nella sala, paventando di entrare nella tana di qualche bestia feroce: aveva lasciato due donne da sole e, per quanto poco potessero essere amiche, era facile che avessero stretto una qualche subdola alleanza contro di lui.






1    Per la precisione Surfin USA, Go West e Old Pop in an Oak

2    “Oltre ai viaggi nel tempo e al tornare dai morti, la cosa che facciamo più spesso è intrallazzare tra noi” Quentin Quire alla nuova/giovane Jean Gray (Wolverine e gli X-men 18, Non è un peccato essere felici di essere vivi)


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Dunque, ecco ricomposto il gruppo alla Stark Tower.
E citiamo anche Danny Rand e Luke Cage, ovvero Iron Fist e Power Man. Al riguardo, volevo spiegare i giochi di parole di Tony.
Luke è anche il nome del protagonista di Guerre Stellari, mentre Mace Windu è il Jedi interpretato da Laurence Fishburne (Morpheus di Matrix, per intendersi).
Che dire? Devo scappare a lezione, ci risentiamo con più calma più avanti.

Baci a tutti!

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Capitolo 16
*** Il laboratorio di Essex ***


16. Il laboratorio di Essex






Un fumo impercettibile alla vista ma denso e penetrante all'olfatto impregnava ogni angolo di quell'asettico laboratorio. L'odore era dolce e al contempo acre, come se qualcosa di zuccherino avesse preso fuoco. Ma tutto giaceva intatto sui banconi e una miriade di spie led rosse e verdi lampeggiavano placidamente, incuranti dei due visitatori.
A un occhio non abituato alle stranezze le cose potevano sembrare stridere tra loro.
L'uomo conduceva il ragazzino curioso tra file di scaffali in cui erano stipati libri di medicina e ampolle con animali in formaldeide, i cui corpi deformati dalla curvatura del vetro e gonfiati dal liquido in cui erano immersi facevano capolino qui e là, come mostri che sbucavano dalle nebbie dei calderoni delle streghe medievali.
Il ragazzino era divertito da quel Gran Tour e osservava con distacco le attrezzature che si lasciava alle spalle: tecnologie antiquate e sorpassate da eoni ma che, in quel luogo, sembravano essere l'ultimo ritrovato scientifico. Si domandava come facessero a essere ancora tutti vivi con quella miseria e con quella arretratezza culturale. E c'era chi difendeva e amava quelle patetiche creature bipedi. Era come coccolare e proteggere delle formiche! Ce n'erano anche troppi.
Selezione naturale, aveva detto qualcuno.
Perché dovevano prendersi la briga di non interferire con quelle scimmie? Adulti... chi li capiva era bravo.
Certo, c'era qualche esemplare che poteva assurgere al ruolo di animale da compagnia. Ma nulla più. Come i suoi amichetti. Erano dei bravi cagnolini ubbidienti. A volte un po' indisciplinati ma, proprio come i cani, pendevano dalle sue labbra e cercavano di compiacerlo convinti che lui non sospettasse dei loro traffici.
Sogghignò. Bambini. Erano una variabile trascurabile nel suo piano più grande ma molto più utili degli adulti di cui si era circondato. Avrebbero potuto essere una valida spina nel fianco per i suoi oppositori ma non erano nemmeno così terrificanti da compromettere definitivamente i suoi piani.
Il Club Infernale poteva continuare a esistere. Lui di certo non li avrebbe distrutti. Erano troppo divertenti. E un ottimo lasciapassare per futuri scherzi di cattivo gusto ai danni dell'intera galassia.
L'uomo davanti a sé, all'inizio del loro giro, gli aveva raccomandato di non toccare nulla (come se un ammonimento verbale potesse dissuaderlo da fare qualunque cosa, ivi compreso usare la magia). Norman Osborne era convinto di essere un grande esperto in fatto di arti mistiche e occulte ma tutto il merito della sua -scarsa- conoscenza andava al suo alleato latveriano che ben comprendeva la portata di un'invocazione simile e che, giustamente, si era tenuto in disparte. Chi l'aveva colpito profondamente, invece, erano i pezzentelli che avevano lavorato per aprire il portale.
Non si meravigliava del Figlio di Satana che, per altro, da bravo attore, aveva finto di non averlo mai incontrato prima. O forse la sua stazza ridotta l'aveva confuso realmente lasciandogli quell'indecifrabile quanto fastidiosa sensazione di déjà vu.
Non si meravigliava nemmeno dell'uomo dallo sguardo vacuo, i capelli attorcigliati tra loro -e per questo probabilmente luridi-, con un marchio stampigliato in fronte.
Chi lo aveva piacevolmente sorpreso erano gli altri. Le due ragazzine -una più spaventosa dell'altra, positivamente parlando-, il vecchio guaritore storpio e il delinquente in cui si rispecchiava con nostalgia.
Interruppe le sue valutazioni quando quel viscido di Norman si fermò davanti a una porta che sembrava sprangata dall'interno.
“Io ora ti lascio..” disse quasi avesse paura di quello che si celava dall'altra parte.
Loki si accorse che le mani dell'uomo erano sudate, anche se non gliele aveva toccate, e che tremavano impercettibilmente. A confermare quella sensazione, nel giustificare la sua assenza all'incontro, Norman prese a gesticolare nervosamente, in un modo di cui, forse, non si rendeva nemmeno conto: mani in tasca prima, tra i capelli un secondo dopo e a stirarsi il bavero della giacca quello seguente ancora. Per non parlare della voce secca e gracchiante con cui aveva difficoltà ad articolare una semplice frase di commiato. Dettagli che tradivano, comunque, anche una certa propensione alla scissione della personalità: quelli come lui li riconosceva ad occhi chiusi e, se possibile, se ne teneva alla larga poiché, nella follia, c'era un oceano di verità. Verità che lui voleva tenere celata. E solo un matto avrebbe potuto capire il suo diabolico piano. Tant'è che proprio la piccola Wilhelmina Kensington, particolarmente folle e crudele, era, paradossalmente, la sua interlocutrice più brillante.
Il Loki ragazzino, impertinente come i suoi amichetti del Club Infernale (e, lo sapeva, Norman ne era infastidito), congedò l'uomo con un gesto sprezzante della mano.
Quando fu solo fulminò il massiccio portone d'acciaio domandandosi perché il suo ospite avesse così a cuore la segretezza di quella struttura.
Non dovette aspettare molto che le paratie presero a scorrere su binari, seppur ben oliati, con un sibilo sinistro. Scardinarli era pressoché impossibile: al posto di un una traversina sporgente dal terreno, vi erano tre solchi, spessi diversi centimetri e profondi almeno una spanna, in cui lastre, altrettanto grosse, estrudevano percolanti dal fondo delle porte e scorrevano senza sforzo, probabilmente agevolate da ingranaggi alla fine dei piccoli pozzi.
Una luce soffusa si fece strada ai suoi occhi non appena le paratie la lasciarono filtrare. E con essa una strana musica esotica, ipnotica e sensuale. Il suono del Sitar, incalzato dalla Tabla e accompagnato dal Bansuri, era inconfondibile. E gli ricordava fastidiosamente quello che poteva essere il suo pallido corrispettivo Hindu: il cianotico Krisha che però, al massimo, era stato ladro di burro da bambino.
Varcò la soglia e una penetrante quanto pungente zaffata di incenso lo investì, strappandogli un colpo di tosse.
“I bambini non devono fumare...” sorrise una voce melliflua tra le nebbie.
Loki evitò di precisare che lui non era propriamente un bambino ed evitò anche di rimbeccare quello squinternato sul fatto che il fumo proveniva dalla stanza e che forse qualcosa era andato a fuoco, più precisamente il suo cervello.
L'importante, in fondo, era che lavorasse. Se cominciavano a battibeccare, quello scemo sarebbe andato in crisi mistica e avrebbe smesso di fare il suo dovere. Si addentrò nello strano laboratorio, domandandosi se avesse operato la propria scelta con saggezza.
Tutt'intorno era un proliferare di cristalli, piramidi, acchiappasogni e amuleti di ogni tipo.
Uno scienziato che credeva nella magia. O erano sulla stessa lunghezza d'onda o si era affidato a un ciarlatano.
“Siamo curiosi, eh?” domandò lo strano figuro avvicinandosi, i lunghi capelli neri lasciati ricadere setosi sulle spalle. Sembrava un fantasma, tanto era pallido.
“Non dite che lo sono tutti i ragazzini?” replicò lui, pronto.
Nathaniel Essex sorrise, compiaciuto “Ne conosco solo uno che, finora, mi abbia risposto così a tono...” lo sguardo folle del genetista parve adombrarsi per un attimo. “Volevate sapere dei risultati conseguiti, giusto?” disse, cambiando argomento senza aspettarsi risposta e guidandolo per le stanze di quella seconda parte di laboratorio.
Il fatto che quelle stanze fossero piene di drappi colorati, incensi e candele, nonostante fossero laboratori, templi della ragione e della sistematicità, dava a Loki una strana sensazione: quella porta divideva due mondi, due approcci alla scienza completamente in antitesi tra loro.
Camminavano in silenzio quando il ragazzino si fermò di colpo, attirato da un oggetto insolito.
“Bello, vero?” commentò orgoglioso il suo ospite con occhi che brillavano di un'emozione incommensurabile.
Dietro una teca tetragonale di vetro stava la statuetta recante l'effige di quelli che per gli umani non erano che divinità egizie: immortali, onnipotenti...
Su un lato, quello rivolto allo spettatore, si stagliava il massiccio En Sabah Nur. Alle sue spalle, altrettanto orgoglioso e fiero, il faraone Rama-Tut. Entrambi erano armati dandosi le spalle a vicenda in un precario equilibrio di forze. Nessuno dei due prevaricava sull'altro.
“Coraggio... proseguiamo...” lo invitò l'uomo poggiandogli una mano sulla schiena.
Loki si lasciò guidare senza protestare ma la presenza di qualcosa che ricordasse l'esistenza dell'X-terno e del viaggiatore temporale più noto come Kang il conquistatore o Immortus gli dava da pensare. Le stesse divinità Egizie si erano pentite di aver interferito con l'evoluzione terrestre, dando a quei due uomini i mezzi per equipararsi agli dei. Nei circoli divini, c'era anche chi sosteneva che questi due singoli uomini avrebbero potuto compromettere l'intero continuum spazio-temporale e, di più, l'integrità non solo del loro ma di tutti gli universi, del cosiddetto Multiverso.
Cose come questa non favorivano nessuno ed erano forse l'unico motivo per cui tutte le entità dell'universo intero, al di là delle piccole e fisiologiche scaramucce tra i singoli, cercavano di cooperare pacificamente. Ed era per quello che esistevano i Guardiani della Galassia.
Quando finalmente furono nell'ultima stanza notò subito ciò che più gli interessava. Le capsule che contenevano i corpi addormentati erano appoggiate alla parete in posizione reclinata e la curiosità lo spinse innanzi: da Asgard li aveva visti tutti con largo anticipo, li conosceva bene ed ora erano così... irriconoscibili. Alle sue spalle, Essex sogghignò.
“A volte dimentico quanto possiate essere curiosi e pericolosi voi bambini...”
“Motivo per cui non hai mai avuto figli?” replicò Loki. Non voleva essere una domanda ma una constatazione.
Il genetista chinò la testa, divertito “Già... mi tollero a mala pena da me. Non oso pensare cosa possa essere avere delle mie copie più giovani in giro per casa...”
Il giovane dio asgardiano appuntò lo sguardo sulla capsula alla sua destra, pensando all'assurdo modo, molto ingegnoso, che il genetista aveva utilizzato in quel secolo per riprodursi. Non si riproduceva come ogni essere umano per trasmettere il proprio patrimonio genetico al tempo, accoppiandosi con un essere di sesso opposto che potesse accogliere quel lascito. Lui si riproduceva nel vero senso del termine: si clonava. Creava una versione di sé più giovane, quel tanto che bastava a fargli comprendere in breve tempo i progressi raggiunti fino a quel momento ma non troppo adulta in modo da risparmiare, per in ogni generazione, un paio d'anni. Miracoli della scienza, in quel posto non tanto dimenticato dagli dei, ottenuti con una tecnologia ancora sperimentale. Si domandava come avesse fatto quel genio folle ad attuarla un secolo prima, quando tutto ciò era ancora fantasia. Le arti magiche, certo, glielo avrebbero permesso, ma dubitava che Essex, uomo di scienza terrestre che ancora non coglieva il sottile confine tra scienza e magia, si potesse essere affidato a simili rimedi.
In compenso gli piaceva fare di se stesso quello che i terrestri, riferendosi alle macchine, chiamavano upgrade. Gli innesti, gli incroci e le selezioni, tanto nelle piante quanto negli animali, erano cosa nota all'umanità dall'alba dei tempi ma nessuno aveva mai osato procedere su un essere umano. Tanto meno con successo.
Con quel pensiero in mente si domandò ancora una volta come lo scienziato avesse potuto manipolare a quel modo quello che lui considerava solo un altro suo corpo mentre nella realtà era più un figlio, dotato di carattere, volontà e desideri propri. Nemmeno lui sarebbe arrivato a un tale livello di perfidia.
“Dunque...” cominciò Essex, ignorando il vortice di pensieri nella testa del dio “Questi sono la mia selezione. Ammetto di esserne fiero e non mi capita spesso. Di certo sono migliori del mio più riuscito insuccesso, grazie al cielo confinati sulla Luna e, se Dio vuole, anche sterminati. Lo so che sembra una contraddizione in termini ma quelli che io definisco Inumani sono tutto fuorché un vanto scientifico. Si sono evoluti per schemi erratici e casuali. La scienza, per essere tale, deve essere replicabile e affidabile. In una parola, dimostrabile. E con loro quattro...” disse indicando le vasche amniotiche “... ho ottenuto il pieno sviluppo di altrettanti processi.” Si schiarì la gola e passò a illustrargli i suoi vanti, tre maschi e una femmina. “Tu sai come io abbia una predilezione per la famiglia Summers...” cominciò “...e, quindi, per le donne che i due eredi hanno scelto come compagne di vita. Di conseguenza, sono riuscito, grazie al tuo aiuto, a impadronirmi degli uni e delle altre senza sforzo. L'allontanamento volontario, la depressione o la rabbia hanno fornito la giusta copertura. Scott e Alex sono ora le mie fidate guardie del corpo. Mi piace chiamarli prelati. Un po' di misticismo non guasta mai. Il contributo di Jean è stato fondamentale per portare a termine la fase 3 del mio piano che li riguardava: così, ecco Cable. Ma ne parleremo più avanti. Il fantolino è di là che dorme con sua madre o meglio... col suo clone. Per quel che riguarda la giovane Lorna, dunque... ho scoperto delle cosine interessanti che possono giustificare l'attrazione di Alex. La cosa mi elettrizza!” cinguettò giulivo. Loki levò un sopracciglio. Ci mancava solo che cominciasse a parlare in falsetto e a strepitare come una donnetta... povero pazzo geniale. “Non sto qui a spiegarti ma, posso assicurarti che la piccola Lorna è una terza figli di Lord Magnus in persona.” vomitò in un colpo solo il genetista estasiato ed emozionato. La notizia incuriosì notevolmente il giovane dio che cercò, però, di non mostrarsi colpito. “Se ti stai domandando come ho fatto a farle accettare il ruolo di Pestilenza...”
“Quale fantasia aveva quest'uomo...” pensò tra sé, sarcastico, Loki “Copiare pari pari tutta l'apocalisse di Giovanni...”
“...Prima l'ho convinta di essere afflitta da un nuovo e incurabile male che colpisce solo i mutanti...” Proseguì lo scienziato “Quindi l'ho manipolata in modo tale che ora il suo potere influisca direttamente sulla biologia ospite e induca sintomi paragonabili a questo fantomatico Virus Legacy. Per quel che riguarda Carestia... beh.. il giovane Shiro è rimasto vittima di un malaugurato incidente stradale con la moto il giorno stesso in cui mio figlio è venuto a trovarmi. Perdette le gambe. Troncate di netto. Mi ha scongiurato di salvarlo, in qualunque modo. Era uno dei miei migliori Marauder e valeva la pena tentare. Ironico come un innesto da cellule di Salamandra, l'animale che secondo il mito vive e si nutre di fuoco, quale il potere dello stesso Shiro, lo abbia salvato. Inoltre, sono riuscito a modificare il suo potere di combustione in modo che acceleri il metabolismo altrui e, così facendo, renda i suoi attaccanti deboli e affamati...” elencò mentre si spostava verso gli altri due involucri.
Loki sbarrò gli occhi e digrignò i denti. Sorpreso, forse impaurito. Di certo, colpito.
Al di là del vetro, nella sostanza vischiosa e giallognola, il volto coperto dal respiratore, giaceva inerme e privo di sensi il suo più acerrimo e stupido nemico terrestre nella sua forma umana. Un brivido gli corse lungo la schiena all'idea che quell'uomo, più gracile di lui, potesse aprire improvvisamente aprire gli occhi, liberarsi dalle imbracature e, spaccando il vetro, emergere da quella placenta artificiale sotto la sua altra forma. Non era quello scienziato un po' vile a preoccuparlo ma il mostro verde che ora appariva di uno spento grigiastro che poteva prenderne il posto: non temeva il dottor Banner ma il suo violento alterego chiamato Hulk.







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Sorpresi? spero di sì. Avevo promesso che, mio malgrado, avrei fatto rientrare HULK dalla finestra e voilà.
Dunque, in questo capitolo ci sono un paio di cosine da spiegare per coloro che non hanno mai letto i fumetti o visto i cartoni.
    Kang il Conquistatore, il cui vero nome è Nathaniel Richards (un altro Nat... quando dico che hanno tanta fantasia...) e che è preso direttamente dal padre di Reed Richards dei F4, è un viaggiatore spazio-temporale che, nel corso della sua esistenza, ha assunto diversi nomi e identità arrivando a scontrarsi con se stesso più volte. Kang solitamente ha questo vestito pseudo medievale verde e viola e il volto blu. Le altre incarnazioni sono Rama-Tut, faraone egizio la cui Sfinge nascondeva una macchina del tempo, e Immortus, cioè un Kang più vecchio che cerca di rimediare alle cazzate fatte nella sua gioventù (per i lettori semplicemente compaiono ora qua ora là senza apparente filo logico).
    L'altro Nathaniel, invece, è -a seconda delle versioni- ora alleato ora fedele servitore di Apocalisse, un bestione blu e viola che si intravede nella scena extra dopo i titoli di coda del film Giorni di un futuro passato. En Sabah Nur risulta essere il primo mutante della storia (è nato nel 3000 a.C.) e acerrimo nemico di Rama-Tut. Se non ricordo male -e in caso mi concedete la classica licenza poetica- è un X-terno (un essere pressoché immortale) come lo erano Samuel -Cannonball- Guthrie e altri nemici del primo gruppo di X-Force (che, erroneamente, ce l'avevano con Sunspot, il suo migliore amico).
    Ed è Apocalisse che fornisce a Essex i suoi strani marchingegni alieni. Insieme i due combineranno grandi casini, tipo clonare Jean Grey in Madelyne Pryor. In tutto questo, Cable. Figlio di Scott e Madelyne, spedito nel futuro per salvarlo dal virus tecnorganico che ne invade il corpo (con cui proprio il caro Apocalisse l'aveva infettato) ed allevato da Rachel Grey, ipotetica futura figlia di Scott e Jean, Cable risulta essere il classico eroe -Edipo, Zeus, etc-, allontanato o nascosto per evitargli la morte preventiva (le solite profezie che poi si avverano), destinato a sconfiggere il cattivo.
In tutto sto casino, NON vi parlerò di Stryfe, perché vorrebbe dire che vi voglio male e voglio annodarvi il cervello.
    Essex, dunque. In una realtà alternativa continua imperterrito coi suoi giochetti, ma quel che è interessante de L'Era di Apocalisse (oh, guarda, che caso) è che lui, insieme alla Bestia Nera (un McCoy proprio stronzo), giocano con i DNA altrui con molta leggerezza. In questa realtà, oltre a essere il rovesciamento di Giorni di un fururo passato, in cui sono gli umani a essere perseguitati (Una versione precedente di House of M, insomma) Nathan (noto nell'universo classico 616 come X-MAN) è costruito in laboratorio, Scott e Alex Summers sono fedeli alti ufficili di Apocalisse. E sono cattivi (poi qualcuno si redime, ovviamente, ma è sintomatico perchè son sempre loro a sbroccare spesso e volentieri), Jean e Logan sono sposati, Quicksilver sta con Ororo e -_- Rogue e Magneto hanno un figlio... il Cajun? Ripiega (perché continua cmq a provarci) con Lila Cheney, teleporta e cantante.
Spiegati i prelati, veniamo ai poveretti intubati in vasche amniotiche: non sono altro che uno dei ripetuti tentativi di Essex di creare dei superguerrieri. Li ho presi un pò a campione, nel senso che nella realtà non coesistono mai tutti insieme ma appartengono a generazioni diverse di cavalieri.
Quindi, Sole Ardente e Polaris sono stati spiegati (e presi pari pari da com'erano in realtà) e ricoprono il ruolo di Carestia e Pestilenza. La giustificazione dei loro poteri, però, è più o meno inventata. Nel senso che mi son messa a ragionare come Essex e dato A (i personaggi) e dato C ( i cavalieri) ho ricavato B (come cacchio ci sono arrivati).
Nell'originale a cui faccio riferimento (una delle tante generazioni di Cavalieri, appunto), il ruolo di Guerra è ricoperto da Gazer, mutante sconosciuto ai più. Perché metterci Hulk, dunque? Per diversi motivi (a parte che non ci volevo anonimi o sconosciuti):

1- Banner finisce spesso nelle mani di scienziati crudeli che vogliono replicare-rubare il suo DNA e i poteri di HULK (anche qui, approfondirò, non temete)

2- In questo modo, scagliandolo contro i Vendicatori (nel più classico degli scontri), strizzo l'occhio non solo alla prima formazione (quando, cioè, ne persero il controllo e dovettero riformare il gruppo) ma anche al ciclo di World War Hulk.

3- Molto banalmente, Gazer era un mutante (e non un mutato) grigio che poteva reggere le radiazioni senza venirne danneggiato tanto da essere ingaggiato dalla NASA per una missione in orbita che solo lui poteva sostenere. Hulk, come detto in uno dei capitoli iniziali di Preludio, in origine era grigio ma il suo era un colore difficile e che, soprattutto, ricordava troppo il mostro di Frankenstein. Sostanzialmente, inoltre, è figlio delle radiazioni, quindi...

4- In realtà HULK è stato davvero Guerra (ed era verde) ma la cosa non compare nelle pagine degli X-Men né in quelle dei Vendicatori ma solo nelle pagine dedicate al Gigante di Giada. Motivo per cui in Vendicatori: l'età degli eroi insieme a Wanda, Spiderman e Wolverine.

E ora preparatevi. Chi può mai essere l'ultimo cavaliere, detto Morte?? un grande assente, avanti, si accettano scommesse :D

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Capitolo 17
*** Morte certa ***


17. Morte certa.






“Bene” sibilò divertita la voce dell'uomo che si faceva chiamare Sinistro mentre Loki impietriva davanti allo scienziato intrappolato nella vasca amniotica “Conosci già il nostro Guerra...”
“Chi non lo conosce?” replicò secco, celando con la sua saccenza il terrore per l'ultimo ricordo traumatico che aveva, ancora troppo recente per essere stato già dimenticato, della Terra.
“Giusto...” concesse l'uomo, portandosi i lunghi capelli neri come la pece dietro l'orecchio “Hai ragione! Hulk è tra i superumani più amati. Ancora mi domando perché...”
“Possiamo procedere oltre?” domandò Loki, impaziente, fingendo di essere più interessato agli sconosciuti che a un banale e ben noto fenomeno da baraccone urlante. O almeno, così sembrò al genetista. In realtà, voleva solo togliersi dalla portata di quelle orrende manone e mettersi a una distanza di sicurezza il più presto possibile.
Essex si imbronciò ma gli fece cenno di procedere. Al dio, però, sembrò che il genetista volesse aggiungere qualcosa al riguardo e, all'ultimo momento, si fosse trattenuto quasi per fargli dispetto “Ed ecco qui il mio capolavoro. Morte. D'altronde non poteva essere diversamente. La materia prima, modestamente, è la migliore sul mercato, ben arricchita dai principi attivi del sangue dei Summers, come ti ho già spiegato...”
“Come lo hai convinto? Il nostro piano non ha funzionato come speravamo...” domandò Loki, curioso, occhieggiando l'uomo nella vasca.
Essex indugiò con lo sguardo sul volto troppo simile al suo al di là del vetro o forse sul proprio riflesso. L'unica differenza rimarchevole tra lui, che stava al di qua del vetro, asciutto, in raffinati abiti preziosi, e l'altro giovane uomo intrappolato in quella gabbia soffocante, trattenuto da cinghie e respiratore, era il marchio rosso splendente che il primo recava in fronte, in omaggio ad antichi culti orientali.
Anzi... ora che prestava attenzione, uno sembrava il negativo dell'altro e non si trattava solo di uno strano gioco di luci: i capelli del prigioniero erano così chiari e la sua pelle così scura che sembrava avesse trascorso la sua vita nel deserto del Sahara, il cui sole implacabile e l'aridità perenne soli potevano avergli cotto la pelle e schiarito i capelli a quel modo. O un bagno in chissà quale sostanza tossica e corrosiva.
“Ha fatto tutto da solo.” Rispose il genetista, più che soddisfatto “Anche lui come gli altri. Non ho minimamente interferito, proprio come avevi chiesto. Mi si è avvicinato in un primo momento, per chiedermi uno dei miei gingillini. Il fatto che si fosse abbassato a chiedere aiuto proprio a me, significava che il passo era quasi compiuto. Gli serviva solo un incentivo. L'ennesima dimostrazione che i suoi soli sforzi non sarebbero bastati a coronare il suo stupido sogno romantico. Beh... avrà pur preso da qualcuno, no?” ridacchiò Essex, orgoglioso delle proprie origini ottocentesche “E' un clone un po' troppo intraprendente ma, in fondo, agisce proprio come mi aspetto da lui. Così ho fatto in modo che trovasse ciò che cercava ma opportunamente camuffato per servire i miei scopi.”concluse inclinando la testa di lato, come a concedere una grazia benevola a quello sciocco.
“Mi fa quasi pena...” commentò il ragazzino, rivedendo se stesso in quel giovane mutante. Lui aveva giocato scherzi molto pesanti a Sif nel tentativo di farsi notare e aveva ottenuto solo di farsi odiare. Con Sygin era addirittura dovuto ricorrere alla magia per farsi accettare. Sapeva bene cosa volesse dire essere disperati. Per amore o per affetto. Di una donna o dei genitori. Lui lo era stato per tutta una vita lunga millenni.
“Oh, è solo carne da cannone!” sentenziò l'altro, liquidando la sciocchezza come un mero accidente e frantumando l'animo del dio sotto i tacchi scintillanti, ignaro delle forti emozioni che potevano governare il piccolo grande ingannatore “Ti ho già detto che sono restio a vedere mie piccole copie starnazzanti. Con lui, l'eccezione alla regola, ho deciso di agire diversamente: ha avuto una vita normale, un'infanzia, amori tragici e odi profondi. Ma come tutti gli altri suoi predecessori è un mio strumento e servirà i miei scopi.” Loki tacque e non replicò oltre. Ora più che mai desiderava che tutto il suo complicato piano prendesse la giusta via, tanto su Asgard quanto su Midgard. Essere fautore del dolore altrui non lo toccava affatto. Ma rispecchiarsi in una delle sue pedine cambiava tutto. “Quando ha visto vanificato anche il suo ultimo ed estremo tentativo di autonomia...” riprese il genetista “...Io ero là, pronto ad accoglierlo, in tutti i sensi. Quando ha aperto gli occhi e gli ho spiegato come fossero andate le cose, mostrandogli come avesse rischiato la vita inutilmente, il disgraziato si è messo a piangere. Non l'aveva mai fatto...era sempre stato così... forte, scanzonato, intraprendente. Sembrava che nulla potesse ferirlo e me ne compiacevo. Era perfetto! Era come avrei dovuto essere. Certo, un po' troppo buono per i miei gusti, ma aveva tutto ciò che io non avevo. E poi quel pianto. Ha rovinato tutto!” concluse seccato
“E tu?” lo interrogò il dio degli inganni con fare meschino.
“Io cosa?” replicò lo scienziato quasi infastidito, riemergendo dai ricordi.
“Hai mai pianto?”
Essex esitò “Sì” disse dopo un po', quando il peso di quella verità sembrò minacciare di schiacciarlo “Sì. Quando ho avuto modo di...” gli occhi scarlatti, privi di espressione, si velarono di lacrime “...E' una cosa stupida, voi ragazzini non potete capire quanto un uomo, per quanto dedito a una materia fredda e logica come la scienza, possa cedere davanti alla propria umanità. E' una contraddizione in termini, ma ci sono dei momenti in cui anche noi siamo irrazionali. E speravo che lui fosse diverso”
“Perché non l'hai salvata come salvavi te stesso?” domandò Loki capendo che la donna era morta di vecchiaia mentre quello strano uomo le era sopravvissuto.
Essex scosse la testa “Scoprì i miei esperimenti, il mio laboratorio: vide l'uomo che ero realmente e non la facciata pulita della nobiltà di cui si era innamorata. Fuggì nel cuore della notte. All'epoca non avevo i mezzi per ritrovarla. La rincontrai solo in quello che fu, infine, il giorno della sua morte. Era fragile, in un modo molto diverso rispetto a quando la conobbi. Era... vecchia, esile...sembrava fatta di... carta. Spirò tra le mie braccia, nell'illusione di un ultimo valzer, un mio dono per lei. Quella fu l'unica occasione in cui piansi. Ma, comunque, non lo feci come questo coniglio rammollito. Io mantenni la mia dignità difronte alla morte. Lui si è raggomitolato su se stesso pregando di essere morto davvero. Razza di stupido e ingrato!”
“E dunque?”
“Dunque?” strabuzzò lo scienziato, lo sguardo interrogativo stampato in volto. Evidentemente pensava che le conclusioni, che solo lui conosceva, fossero arrivate al suo interlocutore per via telepatica “Gli ho semplicemente detto che la mia offerta era ancora valida. Gli ho ricordato che potevo renderlo potente. Questo cretino! Con quel pianto idiota mi stava gettando in faccia la mia stessa offerta: era la prova che non l'aveva mai considerata seriamente, che non se la ricordava nemmeno! Pensava al qui e ora, al senso di abbandono e tradimento. Non so neanch'io perché ho voluto riproporgliela...” Essex sbuffò e folgorò l'uomo inerme nella vasca “Si è raddrizzato e, in pratica, mi ha detto di fare di lui quello che volevo. A patto che fosse in grado di toccare, senza subire danni, la sua bella...”
Il ghigno sadico che si estese sulle labbra dello scienziato fu talmente sinistro, in onore del suo nome, da inquietare lo stesso Loki “Povero sciocco...”
“Perché?” domandò il dio in un soffio. Si malediceva per non aver avuto abbastanza tempo, in quel periodo, da spiare la vita sulla Terra e sapere, così, in anticipo le mosse fatte dagli altri concorrenti. Odiava essere nell'ignoranza.
“Perché, mio giovane amico... cosa vuoi che comporti l'essere Morte?” domandò con fare complice, come se fosse ovvio “Non desidererà altro che ucciderla! Tragico, non trovi? I nostri novelli Romeo e Giulietta...” esplicò con fare teatrale “E se non bastasse ora potrà certamente toccarla senza che lei gli rechi danno... ma sarà lui, le Diable Blanc, a nuocere gravemente a chiunque avrà la sventura di trovarsi sul suo cammino.”
In quel momento Loki non invidiò l'uomo nella teca e quasi si sentì un graziato. Quale sciagura doveva essere vivere un amore come il suo ed essere una marionetta nelle mani di un padre pazzo e sadico quanto lo era Nathaniel Essex? Al confronto, la stupidità di Odino, che pretendeva che entrambi i suoi figli divenissero re, risultava la tenera e debole illusione di un vecchio rincoglionito. Ora vedeva in un'altra luce anche la rivalità con Thor. Almeno lui aveva qualcun altro con cui prendersela e talvolta, forse, confidarsi. Ma quell'uomo, figlio, e al tempo stesso clone, di Sinistro, non aveva nessuno che lo aiutasse in quella follia che era la sua vita, nessuno che controbilanciasse il vortice di assurdità che lo risucchiava. L'unica relazione che aveva era con un proprio doppio, malvagio ed esperto, che tutto era fuorché suo pari, che lo manipolava e lo vergava con la frusta per poi promettergli ricompense misere. Era un doppio negativo, riflesso in uno specchio deformante: dove uno, pur con un trascorso burrascoso, era fondamentalmente una brava persona, l'altro all'apparenza di successo, era un pazzo psicopatico come tutti i suoi alleati.
Nathaniel Essex e Remy le Beau, due facce della stessa medaglia.

AV AV AV AV AV AV AV AV AV AV AV AV AV AV

Nella torre situata al centro di New York, fervevano i preparativi, i piani, le discussioni, per l'azione programmata per quella sera stessa.
Sharon Carter aveva preso la situazione in pugno e, supportata da Rogers e gli altri agenti S.H.I.E.L.D., aveva rivisto e migliorato il piano grezzo, seppur eccellente, di Mystica.
La sera arrivò rapidamente e i diversi gruppi si prepararono a entrare in azione.
Dalla loro avevano solo la modalità con cui condurre il maggior numero di persone nei pressi della Os.Corp Tower senza farsi notare. L'edificio, infatti, traboccava rilevatori di anomalie ma all'esterno ne era spoglio per evitare agli agenti della sorveglianza di impazzire con tutte le segnalazioni che sarebbero potute arrivare da parte di quelli che erano, di fatto, semplici cittadini e non malintenzionati.
Rogue, Ororo e Warren, dunque, avevano il compito di trasportare e celare i cinque agenti più il loro infiltrato, Thor, il quale, avviluppato nel bozzolo etereo di Visione, si sarebbe identificato come dottor Donald Blake.
Tony aveva cercato di contattare Rand, per avere un umano vero da propinare alle macchine di Osborne, ma il cellulare risultava staccato: forse era impegnato e, sempre forse, con un preavviso così stringente, non si sarebbe dato comunque disponibile. Lui e il suo potente gorilla. Doveva reclutarlo quando l'aveva incontrato alla sede del giornale. Dannate giornaliste bionde dal tempismo inappropriato.
Avevano scelto quel mezzo di trasporto inusuale, il volo, non solo per evitare problemi connessi al parcheggio ma anche per consentire un'azione lampo sia in penetrazione che in estrazione, qualora le cose fossero andate storte.
Kurt, Peter e Johnny (che aveva voluto partecipare a tutti i costi a quella specie di sabotaggio) avrebbero seguito a debita distanza.
Il re del Wakanda aveva istruito Thor sulle procedure da adottare per eludere la sorveglianza: lui, Tony e Hank (che, insieme alla moglie, non aveva più voluto allontanarsi da quel posto, ora che le cose cominciavano a farsi divertenti) avrebbero monitorato lo svolgersi della missione dall'attico della Stark Tower, pronti a intervenire in caso di problemi.
Infine, Mystica, Logan, Wade e Pietro avrebbero presidiato le strade e comunicato ogni attività sospetta.
Quando il gruppo si mosse era già un nuovo giorno. Ma a New York difficilmente si poteva assistere a un reale avvicendamento con la notte: era una metropoli che non dormiva mai, con luci sfavillanti che dissipavano le tenebre a qualunque ora; macchine che sfrecciavano lungo le strade con gli altoparlanti a tutto volume con più frequenza che durante le ore diurne; gente in strada, chiassosa e allegra, sempre in giro come novelli vampiri. A metà novecento, New York aveva preso di prepotenza il testimone di Città delle luci che era stato di Parigi fino a quel momento.
Infine, giunse il momento di mettersi all'opera.
Il gruppo aerotrasportato atterrò davanti all'ingresso principale con un soffio. Il viaggio era stato piacevole per alcuni e naturale per altri mentre gli agenti federali, addestrati a ogni evenienza, avevano provato l'ebrezza di un volo libero senza imbracature. A condizione che non fossero troppo concentrati sulla loro missione per prestare attenzione a un dettaglio così insignificante.
Toccata terra, i tre mutanti si riposizionarono a distanza di sicurezza, nei pressi del tetto di un palazzo fatiscente gestito dalla mafia russa. Rimasero sospesi in aria, pronti a lanciarsi all'interno, sulla scia di Thor.
Quello era il momento della verità.
Davanti all'ingresso principale della torre, il dio norreno lanciò appena uno sguardo preoccupato alla sua protesi, domandandosi quanti controlli di quel tipo avrebbe dovuto superare prima di poter disinnescare la rete antimutanti che, nei rapporti recuperati da Mystica, era denominata Bastion. Perché tutto quello che sapevano era che c'era un controllo all'entrata, un dispositivo per rilevare le anomalie genetiche e un pannello di controllo per disinnescare il tutto. Ma la quantità precisa di questi sbarramenti era un'incognita e Thor si trovò a sperare che il sangue contenuto nei polpastrelli di silicone fosse sufficiente a sopperire alla domanda degli stessi. La sua apprensione era dovuta, più che altro, alla sua incompatibilità con la missione: privo dei suoi poteri divini era solo un debole umano che qualunque cosa avrebbe potuto danneggiare. Ma era circondato da gente in gamba e ciò lo rincuorava quanto bastava da non avere nessuna esitazione.
Prima di procedere oltre, lanciò un'occhiata agli agenti che si erano disposti a raggiera attorno a lui, quasi a proteggerlo.
Sharon accennò un sorriso e lui avanzò verso la grande porta a vetri scorrevole. Subito, in risposta a un sensore di fotoelettrico, un raggio verde lo investì in tutta la sua altezza e lui si fermò di colpo: questo non era previsto.
-Richiesta conferma firma biologica- gracchiò una voce femminile sintetica. Quindi la luce mutò aspetto. Dapprima si trattò di un'unica linea orizzontale a cui se ne aggiunse una verticale a formare una croce. Quindi, una dopo l'altra, doppioni di quelle che si andarono a organizzare in una rigida scacchiera. Un secondo dopo era tutto finito.
-Soggetto: Umano. Potete accedere.-
Thor si voltò, ora allarmato, a cercare il sostegno degli altri. Natasha gli riservò un sorriso di sufficienza. Quindi, per loro, era tutto calcolato? Erano cose così ovvie per i mortali?
Avanzò ulteriormente e le porte di vetro lo ingoiarono nel buio dell'androne.
Un passo e violenti luci azzurrine presero a sfrigolare isteriche nei neon che si accedevano in minimi punti strategici. Davanti a sé il banco ovale d'accoglienza. A separarli solo un'altra porta di vetro. Lì venivano gestiti i permessi agli accessi: inutile costringere i vertici della piramide aziendale ad attivarli dall'alto che non potevano avere la certezza del momento dell'accesso del singolo esentato dalla restrizione 0T; molto meglio dare istruzioni dettagliate alla reception e che se la sbrigassero loro al momento opportuno.
Un altro passo e sentì qualcosa scattare.
-Non ti muovere...- intimò una voce distorta nell'auricolare. Poteva essere chiunque di quelli rimasti a casa.
Passò qualche istante e Thor cominciò a sudare freddo per la preoccupazione.
-Ancora... ancora... un altro pò!- commentava la voce al di là del microfono, dapprima una supplica quindi un ringhio infastidito -Visione, appesantisci appena il carico! Incredibile a dirsi, il caro Normie pesa più del possente Thor.-
Il biondo dio norreno non si rese nemmeno conto di quello che stava facendo il sintezoide, avviluppato come una nuvola eterea attorno al suo corpo. Sapeva solo che, alla torre dove viveva, c'erano tre brillanti menti impegnate ad auscultare il terreno sotto i suoi piedi tramite una sorta di stetoscopio molto sensibile e incastonato nei tacchi delle sue scarpe lucide. Come novelli scassinatori (a quanto pareva, l'esperto era T'Challa, il quale a sua volta aveva imparato tutto dalla regale Ororo. Un dettaglio che aveva lasciato i più sbigottiti, ritenendo che l'unico ladro nel gruppo fosse il ben noto assente) erano in attesa del segnale che decretava il raggiungimento del peso ideale, in modo da evitare armamento di qualunque dispositivo di sicurezza fosse stato messo a guardia dell'edificio.
-Ci siamo!- commentò la voce -Visione, mantieniti in questo stato. Thor, procedi!-
A terra non c'erano segni di variazioni nella pavimentazione e dovevano supporre che l'intero piano fosse costituito da una gigantesca piastra piezoelettrica e che, quindi, la questione di variazione di peso fosse costantemente monitorata e messa in discussione.
Thor alzò guardingo un piede, poi l'altro e poi l'altro ancora, avanzando guardingo. Anche se non c'erano evidenze e la cosa non portava alcun miglioramento si sentiva più tranquillo così, dato che aveva l'impressione di camminare sulle uova.
Raggiunse la seconda porta di vetro e, per farsi strada, fu costretto a poggiare una mano sulla superficie liscia e trasparente. Sapeva quello che lo attendeva e, stavolta, si protesse gli occhi con la mano libera. Una luce sfolgorò nell'atrio e un nuovo scanner esaminò le impronte digitali della mano dell'uomo poggiata sul vetro.
Luce verde. Via libera.
Thor raggiunse, quindi, con lentezza esasperante, la postazione di comando.
Il tavolo era liscio e sgombro di carte, quasi asettico nella sua perfezione. Un paio di rettangoli neri giacevano qui e là sulla sua lunghezza come altrettanti mousepad dimenticati dai rispettivi proprietari. Poggiò la mano a palmo aperto su uno di questi.
Un'altra scansione.
E, questa volta, una puntura al dito indice.
-Firma: Norman Osborne. Rriconosciuta. Attivato comando vocale...- tornò a gracchiare da altoparlanti nascosti chissà dove tutt'intorno la voce sintetica.
Thor deglutì a vuoto visibilmente nervoso. Si toccò istintivamente la gola, sperando che quella diavoleria umana, a cui non era abituato, facesse il suo dovere. Si sarebbe sentito molto più sicuro con un incantesimo, ma doveva forzatamente fidarsi della tecnologia locale. Essere umano lo rendeva particolarmente nervoso.
“Disattivazione Sistema Difensivo Bastion” disse con voce sicura e stentorea che, però, gli suonò completamente estranea: un'ottava più bassa, viscida e gracchiante. Nemmeno Loki aveva un timbro simile. “Autorizzazione: accesso mutanti e mutati” continuò, seguendo quanto gli veniva suggerito in cuffia.
-Comando: Errato. Riprovare-
Il panico si impadronì di lui per poi defluire subito dopo: era stato riconosciuto come Osborne. Non c'erano problemi. Era notte fonda. Anche il creatore del sistema poteva sbagliarsi a quelle ore, no? Semplicemente doveva evitare di dire cose di cui poteva pentirsi.
-Riprova così...- gli suggerirono in cuffia.
Thor poggiò nuovamente la mano sulla piastra e una nuova puntura gli bucò, questa volta, il dito medio.
“Disattivazione Sistema Difensivo: Bastion. Accesso consentito a sette mutanti, sette superumani e un cyborg. In aggiunta altri due individui da definire.”
-Comando: Accettato. Protocollo: Zero Tollerance: non operativo. Sistema Difensivo Bastion: disattivato-
Non contento, Thor poggiò la mano per una terza scansione e puntura.
“Disattivazione registro firma biologica per chiunque si trovi all'interno della struttura”
-Comando: …  Attendere, prego. Elaborazione in corso...- sentenziò la voce. Dopo qualche istante, in cui la macchina sembrò pensare alla richiesta, questa tornò a parlare -Disattivare registro firma biologica anche per... Norman? ...Osborne?-
“Disattivazione registro firma biologica per tutti i presenti, ivi compreso me stesso, il sottoscritto, Norman Osborne” comunicò il dio che cominciava a stancarsi di quel dialogo sterile.
-Comando: Accettato. Vuole documentazione di questa richiesta?-
“No, non conservarne traccia negli archivi. E rimuovi i blocchi di sicurezza all'area detentiva.”
-Comando: Accettato. Blocchi di sicurezza area detentiva, rimossi. Progetto: Ultron, disattivato.-








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Scusate il ritardo ma sono rientrata ieri da Londra e domani riparto. Ho smontato un bagaglio, devo finire di fare la segnalazione del danneggiamento dello stesso e ho reimpacchettato tutto.
Abbiate pietà
Ma veniamo a noi.
Ah ah ah ah ah :D mi volete bene vero?
Dopo Hulk ho fatto tornare Remy. :) il mio preferito. Solo che come al solito faccio la stronza... vabbè, ormai lo sapete.
Ma bando alle ciance e spieghiamo.
Di LeBeau c'è poco da dire (a parte che Le Diable Blanc è uno dei suoi soprannomi e qui l'ho utilizzato in connessione al colore dei capelli e al suo ruolo di Morte)
Per quel che riguarda, invece, l'operazione da Osborne. Beh... Bastion è uno dei villain più famosi degli X-men. Sentinella umanoide, perse la memoria dopo il passaggio nel Seggio Periglioso (quando gli X-men furono creduti morti) e al suo risveglio non ricordava più cosa fosse e quale fosse il suo scopo finché non incrociò Graydon Creed e ricordò il suo imperativo di salvare l'umanità dal gene mutante. Quale modo migliore se non sradicarlo del tutto, terminando i mutanti?
La sua Operazione: Zero Tollerance, nata dalla morte di Creed e dalla sconfitta del potentissimo Onslaught (fusione di Xavier e Magneto che ha portato tutti gli eroi della Terra NON mutanti a sacrificarsi per fermarlo) ha rischiato di fare casini davvero seri. Ogni tanto, ovviamente, come in tutti i plot Marvel, torna dalla tomba..se così si può dire.  (perché i cretini non possono lasciare in pace i resti di Bastion). Zero Tollerance aveva lo scopo di annullare ogni potere mutante del pianeta. Sfruttando i Protocolli Xavier scritti in Shi'ar, Bastion è anche riuscito, come prima cosa, ha mettere fuori gioco tutti gli X-men. Almeno, quelli 'principali'. Gli altri erano in giro per lo spazio con Deathbird.

Mi piacevano i nomi, quindi li ho adottati a metafora del programma di protezione. Il bastione e la tolleranza zero contro tutti i non umani.
E, alla fine, la chicca. Preparatevi.
Eh sì, sta arrivando XD Addolcito ma arriva.

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Capitolo 18
*** Prigionieri ***


18. Prigionieri






In sala di controllo, Henry Pym era sbiancato non appena la voce sintetica della OsCorp aveva finito di parlare.
“Ha proprio detto Ultron, vero?” borbottò atono e sconvolto.
“Mmmm” fece Tony, volgendosi per osservare Janet e capire se lei ne sapeva di più su quella strana reazione. Ma la donna scosse la testa. “Sì... mi pare proprio di sì... Qualcosa non va?”
“Quello stronzo!” sbottò allora lo scienziato “Ha rubato anche il mio progetto di sorveglianza!”
“Il tuo cosa?” domandò anche T'Challa perplesso
Ma Pym non badava nessuno “Falli uscire di lì!” disse a Tony prima di cercare di strappargli il microfono per la sua inoperosità. “Falli uscire di lì, subito! Cazzo!”
“Si può sapere che ti prende?” domandò Janet andando a stringergli le spalle nel tentativo di calmarlo. Lui, però, se la scrollò di dosso di malagrazia.
“Non ho tempo per spiegarvi. Tony, T'Challa... il Progetto: Ultron era ancora in fase di elaborazione e già nella sua terza versione era predisposto per non venire mai disattivato. Ogni tentativo di farlo, rende il sistema di sorveglianza più implacabile. Si arresta, questo è vero, ma solo per pochi minuti e solo per attirare la preda in trappola, al centro della ragnatela.”
A quel punto, fu il turno di Tony impallidire. Agguantò il microfono e attivò la comunicazione “A tutti i Vendicatori in area, convergere immediatamente sull'obiettivo. C'è un dettaglio che abbiamo scoperto solo ora. Gli ostaggi e Thor sono in pericolo. Il Programma: Ultron, appena disattivato, è una trappola. O fate uscire Thor immediatamente oppure andate a parargli il culo. Muovetevi!”
“Quanto è potente questo sistema difensivo?” domandò Janet, allarmata
“Inarrestabile. L'avevo progettato addirittura con uno scheletro adamantino per proteggere i circuiti. L'unica via di uscita che vedo, nel caso dovessero incontrare quelle guardie robotiche, è disassemblarlo per trazione o riuscire a infilare qualcosa di microscopico al suo interno che poi riesca a sabotarlo...” Pym era disperato. Si prese la testa tra le mani nel tentativo di calmarsi “Forse riesco a riprogrammarlo a distanza...” stava borbottando “...se inserissi una stringa nel codice di...”
Janet e Tony si fissarono “Pensi quello che penso io?”
“Miniaturizzazione!” commentò Tony “Le particelle Pym possono ridurre tutto a dimensioni nanometriche. Ma io non ho tempo di progettare un drone con quelle misure specifiche. I droni insetto presentati ala fiera internazionale di Hong Kong tre anni fa non sono adatti al lavoro di chirurgia...”
“Ma io potrei farlo... e potrei operare con semplici forbici ridimensionate...” ghignò Janet che già pregustava l'avventura.
“Te la senti davvero?” domandò Tony, preoccupato. Lei gli strizzò l'occhio, complice.
“Non esiste!” sbottò Henry, svegliandosi d'improvviso. I loro discorsi, relegati a un brusio di sottofondo, erano balzati in primo piano non appena aveva intuito le intenzioni della moglie e come volesse fare qualcosa di estremamente stupido.
“Henry... cosa vuoi fare? Lasciare lì tutti i tuoi amici? Almeno guadagneremo un po' di tempo, in questo modo...” replicò lei con tono calmo e pacato. Affrontarlo di petto ora era la cosa più sbagliata da fare. Lui si morse le labbra, per niente convinto da quella soluzione rischiosa “Vedi altre soluzioni?” rincarò ancora lei “Ti darò tutto il tempo di elaborare il codice ma devo essere pronta a intervenire...guadagnare tempo per mettere tutti al riparo. Me la saprò cavare...”
“Dì che in realtà non vedi l'ora di indossare una tutina corazzata e poter fare la spaccona...” borbottò Tony, divertito. Lei gli rifilò un'occhiata di ghiaccio, che nascondeva un certo divertimento.
“Fai attenzione...” disse solo Pym tornando a fissare i monitor.
“Vado e torno...” giubilò la donna.
“Dov'è che vai?” domandò Tony
“A casa tramite le nostre porte: mi serve il mio costumino. Sapevo che mi sarebbe tornato utile. Come le nostre porte... vedi che sono utili?” replicò ancora lei, divertita.
Tony roteò gli occhi al cielo. “Spicciati. Poi ti ci porto io a velocità luce, alla torre. Che più siamo meglio è...”

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Thor non aveva fatto in tempo ad ascoltare tutta la comunicazione di Tony che già gli agenti S.H.I.E.L.D. erano tutti all'interno dell'edificio, schierati, armi in spianate, come mantidi piegate su loro stesse e pronte all'attacco. Visione si scorporò e, allontanatosi da lui, si ricompose al suo fianco.
-Credo sia opportuno apportare una modifica al codice di accesso del personale...anche se per sicurezza abbiamo dato un lasso di giusto due persone- commentò -Non avevamo calcolato l'intervento di Wasp e Iron Man...o forse vengono solo loro per questo motivo?-
“E chi è Wasp?” domandò Jessica Drew da dietro il suo visore domandandosi quanti altri svitati dovessero unirsi alla festa.
-La signora Janet Van Dyne in Pym- replicò il sintezoide che, per uniformarsi alla tenuta dei soldati presenti in sala, aveva optato per l'assunzione di un guardaroba totalmente mimetico in cui spiccavano un visore rosso rubino e fregi oro.
“Muoviamoci!” ordinò Mystica irrompendo nella sala come se fosse stata lei a comandare. “Abbiamo poco tempo!”
-Non ti preoccupare, Visione...- interferì la voce di Tony nell'auricolare di tutti -Attenderemo che scatti la trappola per intervenire. Inutile farla scattare anzitempo con un'intrusione così sconsiderata. Magari ce la fate da soli...-
“Di qua...” ringhiò Wolverine dopo aver fiutato per bene la sala.
“Quicksilver, vai in perlustrazione!” Ordinò Sharon Carter, prevenendo la mutaforma e ristabilendo la piramide di comando. “Logan, tu sei un segugio... stagli dietro.”
Logan le scoccò un'occhiata divertita mentre un gentile venticello all'interno di quell'ambiente chiuso scompigliava i capelli di quanti non li avessero raccolti. “Certo, cocca... come faccio a star dietro a chi viaggi a queste velocità? Andiamo, Pietro!” disse poi, agguantando il ragazzo “Dimmi se hai visto qualcosa di strano!”
Si inoltrarono, tre a tre, lungo i corridoi bui che si illuminavano man mano che avanzavano e si addentravano nella torre. I sotterranei erano un labirinto di vicoli ciechi, stanze che si affacciavano tutte uguali su budelli infiniti e anch'essi identici gli uni agli altri. Ma Logan li guidò con sicurezza anche quando persero il segnale GPS e cominciarono a non ricordare da quale parte erano venuti.
Dopo un tempo che parve eterno, il segugio si fermò davanti al muro che delimitava uno dei tanti vicoli ciechi
“Ci siamo persi?” domandò Steve perplesso, osservando la parete liscia. Al suo fianco, invece, Bucky si preparò in posizione di attacco. Clint, Natasha e Jessica lo imitarono subito, come tutti i mutanti. Solo lui, Sharon e Warren restarono immobili e perplessi.
“Sono qui dietro..” commentò il canadese.
Senza attendere istruzioni, Visione affondò nel muro senza lasciarvi alcun segno del suo passaggio, trapassando la parete come un vero fantasma.
“E noi come passiamo?” domandò anche Sharon che dubitava potessero passare tutti in quel modo. “Nightcrawler?”
“Nein... Se non so dove vado non posso farlo... potrebbe esserci un mobile o un nuovo muro non segnato nella piantina in cui mi rimaterializzerei...”
Per tutta risposta, Logan sguainò gli artigli “Con questi!”
-I prigionieri sono da questa parte...- confermò Visione ricomparendo dal muro e scomparendovi nuovamente dentro subito dopo.
“Il muro è spesso almeno quaranta centimetri, James...” replicò Mystica affiancando il canadese, per nulla turbata dalla strana visione del sintezoide che passava i muri come uno spettro. “I tuoi artigli misurano meno della metà.”
“Hai altre soluzioni, sorella?” domandò quello, sprezzante.
“Le mie Katane sono di Carbonario... forse possono qualcosa...” si intromise Wade
“Anche le mie ali pare possano fare abbastanza danno... fatemi tentare... non abbiamo molto tempo...” aggiunse Warren.
Con un mezzo inchino, Logan si fece da parte e lasciò tentare i due strambi.
“Non sarebbe più facile se rompessi il legame tra le molecole creando con le mani un'onda disarmonica che...” cominciò Pietro, irriverente, irritato da quelle lungaggini.
“Così ci crollerebbe l'intero palazzo addosso, genio! Un onda del genere non può essere concentrata, a meno che la superficie su cui insisti non sia separata da ciò che la circonda” sbuffò l'uomo ragno dall'alto del suo essere insegnante di materie scientifiche “Ma non gliel'insegnate un po' di fisica a questi ragazzi?”
Logan ringhiò e il ragno capì di dover tacere.
Nel frattempo, Wade, fascia in fronte, si era lanciato contro la parete al grido di “Banzai”. La spada era riuscita a trapassare il muro ma ora il mercenario non riusciva a estrarla. Dopo vani tentativi, Logan lo scansò di malagrazia e cedette il passo a Warren.
L'angelo cianotico spiegò le ali in tutta la larghezza del corridoio e, assicuratosi che tutti si fossero messi al riparo, scagliò una raffica di lame taglienti contro la parete.
Il muro ne risultò scalfito brutalmente ma non compromesso in modo definitivo. Qua e là le lame erano riuscite a perforare il calcestruzzo armato e da quei fori filtrava aria fresca e umida.
“Ora farei intervenire Rogue...” commentò Ororo. Tutti, tranne Peter Parker che annuì concorde, si volsero a guardare stralunati la dea dei venti “Beh..” replicò facendo spallucce “Qualcosa l'ho imparato da T'Challa...”
“'Ro ha ragione...prego, bimba...” aggiunse Logan.
Warren cedette il posto a Rogue con un innato fare cavalleresco per il quale la mutante sarebbe anche potuta arrossire, un tempo. Ma ora aveva ancora incatenata addosso la mente del cajun e quella gentilezza, paradossalmente, le suscitò un moto d'invidia. Era lei che invidiava Betsy per essere costantemente al centro di quelle gentilezze o era Remy che si dimenava geloso? Guardò la parete, cercandone il punto più indebolito da quella raffica di colpi, quindi ci si scagliò addosso con una spallata. L'impatto, che parve violento e che generò un boato che scosse le pareti tutt'intorno, non sembrò intaccare minimamente la ragazza che, invece, volò letteralmente attraverso lo squarcio e atterrò malamente nella sala adiacente.
La temperatura era più bassa che nel resto dell'edificio, quasi i suoi gestori volessero preservare i corpi di quegli sfortunati prigionieri che ora riuscivano a vedere chiaramente: sembravano privi di sensi, appesi come erano, più simili a quarti di bue in circolo in una cella frigorifera. Le catene che li trattenevano erano delle trappole tra le più tecnologiche che la mutante avesse mai visto, dall'aria più moderna e letale di quelle che aveva sperimentato come soggetto di Arma X.
A terra, attorno a uno strano pentacolo a sette punte con scritte in un alfabeto che non conosceva e in netto contrasto con il mobilio circostante, spuntavano come stalagmiti mozziconi di ceri ormai esausti. L'odore di incenso impregnava la sala.
“Wanda!” urlò Pietro e in un batter di ciglia era già al fianco della ragazza mora.
“Illyana?” sbottarono in sincrono Logan e Kurt. Il primo si affrettò a scavalcare i calcinacci mentre il secondo si teleportava accanto alla bionda. Per quanto fosse sorella dell'uomo che aveva ferito la sua migliore amica, Kurt sapeva benissimo che la giovane Rasputin non aveva nulla a che fare con il comportamento scorretto del colosso d'acciaio. E poi, in qualche modo, apparteneva pur sempre alla loro strana famiglia allargata, mutante o umana che fosse. Ma era bello poterla considerare come una sorella genetica, unita a loro anche in quell'avventura o disgrazia che era l'essere mutanti.
Alla spicciolata, la sala si riempì e tutti si affaccendarono intorno a quelle strane manette, tentando di capire come operare per la rimozione.
I prigionieri non sembrarono nemmeno rendersi conto delle nuove presenze, del brusio concitato attorno a loro e dei tentativi di liberarli. Erano deperiti e fiacchi, privi di volontà alcuna, come se non avessero mangiato o dormito a sufficienza per settimane. Molto più probabilmente, invece, era stata l'evocazione a cui erano stati costretti a deprivarli di ogni briciolo di energia. Perché erano semplici esseri umani e non potenti dei norreni abituati a queste cose.
“Allora, elfo...che ci dici?” borbottò Logan poco dopo, visto che, secondo lui, il teleporta e tecnico del gruppo se la stava prendendo con la dovuta calma.
“Non riesco a capire come funziona e vorrei evitare casini come quello dell'ultima volta...” disse feroce fissando il compagno dritto negli occhi. Logan addolcì l'espressione, ricordando quale fosse lo sciagurato evento di cui Kurt si sentiva responsabile, e cercò di calmarsi: il demone blu stava facendo del suo meglio ma il peso dell'errore occorso al bracciale inibitore di Rogue lo faceva esitare più del normale perché il compagno di squadra non era il primo scemo che passava per strada, avendo imparato un sacco di cose dal tecnopate Forge. “Ci servirebbe uno dei geni scientifici rimasti alla torre...” continuò Kurt, meditabondo “O di McCoy che è a spasso nello spazio profondo con la fidanzata”.
Al centro del macabro cerchio, intanto, Thor osservava l'eptagono e le scritte relative “Loki...” sibilò dopo un pò.
“Prego?” domandò Steve avvicinandolo, circospetto e perplesso: il nome familiare l'aveva messo in guardia.
“Loki è di nuovo su Midgard...” lo informò il dio, spiccio.
“Chi è che può fare una cosa tanto barbara?” intervenne Sharon affiancando i due, studiando il cattivo gusto di quella specie di altare sacrificale “Pensavo di averle viste tutte... invece li hanno lasciati vivi per... non capisco per cosa, se hanno ottenuto il loro scopo, evocando questo dio delle malefatte...”
“Ricordiamoci che è una trappola...” commentò Jessica.
“E che dovremmo muoverci...” aggiunse anche Bucky tenendo d'occhio l'orologio.
“A meno che non aspettino proprio che i dispositivi vengano rimossi...” fu la fredda analisi di Natasha “Odierei aver ragione in questo caso...”
Sharon si volse a studiarla. Dopo pochi istanti, valutato ch'ebbe il sottotesto della rossa ordinò a Kurt di teleportarsi all'esterno, contattare la base e di aspettare il segnale per condurre in quella stanza Iron Man e Wasp, perché probabilmente mancava davvero poco a un loro intervento riparatore.
“Chi può essere così folle da voler, spontaneamente, evocare mio fratello a discapito dell'intera umanità...arrivando a servirsi anche di bambini innocenti?” continuò Thor ringhiando, i pugni, stretti lungo i fianchi, tremanti di rabbia repressa.
“Di matti ce ne sono tanti al mondo...” commentò ancora Sharon, incurante di quello che potevano scatenare le sue parole.
Un'improvvisa scarica elettrostatica spazzò la sala, facendo saltare lampade e sfrigolare isterici i led di sicurezza. Ororo, l'unica che sapesse generare e leggere quel tipo di segni, riconobbe in Thor il generatore di tale rabbiosa elettricità azzurrina che aveva frustato l'area circostante. Da quello che sapeva lei, al dio era interdetto per supremo ordine reale l'utilizzo dei suoi poteri. Forse, però, l'azione dettata dal desiderio di vedere una Terra migliore, di proteggerla, erano la chiave per la reintegrazione nei ranghi. Il dio, da parte sua, sembrava non esserne conscio, concentrato com'era a capire come potessero, gli uomini, odiarsi l'un l'altro a quel modo. Le parole di sberleffo del fratello gli risuonavano nelle orecchie crudeli: secondo lui gli uomini erano una razza inferiore che andava guidata con fermezza. In quei momenti, Thor faticava a non trovarsi solidale con lui. Ma Loki aveva stretto alleanze con quelle bestie, almeno apparentemente. Perché il fratellastro non era tipo da lasciare tracce non volute dietro di sé. Era un uomo che non si fidava di nessuno e per nessuno si sarebbe fatto incastrare. Era un uomo dalla mente contorta i cui piani erano sempre ammantati dalle bugie, le quali, a loro volta, erano avvolte nelle spire venefiche dell'inganno. Era quello che gli umani chiamavano scatole cinesi o matriosche. Con lui non si sapeva mai a quale interpretazione dei fatti credere perché, probabilmente, quella corretta non era nemmeno contemplata nel novero.
Ma quella semplice scarica di elettricità, frutto del nervosismo per l'impotenza in cui versava il dio, fu sufficiente a far scattare il sistema difensivo.
Una batteria di led rossi si attivò in rapida successione e un ronzio sordo salì lentamente dalle pareti metalliche tutt'attorno.
“Qualcosa non va...” sibilò Logan, i cui sensi iper-sviluppati avevano registrato il cambiamento nella stanza.





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Chiedo scusa per il ritardo con cui posto ma mi son presa via a cercare materiali per Lucca Comics (ecco, spoilerone...se qualcuno di voi ci viene, rischia di incrociarmi XD) e ho dimenticato di aggiornare, complice anche il fatto che son stata via tutta la settimana e ho perso la cognizione del tempo.
Per il resto...ecco che Ultron torna alla ribalta. E Logan scopre l'acqua calda.
Il capitolo è un po' affollato ma, trattandosi di vendicatori, quando mai non lo è? Ecco perché di solito loro -come gli x-men- si dividono in squadre...
Che altro dirvi? Niente... spero non sia stato troppo pesante come capitolo...ma siamo sempre in fase di transizione (per me lo è ogni capitolo che separi l'inizio dalla fine).
Un abbraccio a tutti e scusate ancora il ritardo.

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Capitolo 19
*** Truppe d'assalto ***


19. Truppe d'assalto







Come fantasmi scheletrici, letali e silenziosi, un plotone di robot raccapriccianti invase la prigione. Il ronzio dei loro processori e il movimento meccanico dei servo pistoni  ben oliati era appena percepibile.
- Identificazione intrusi: Mutanti. Affiliazione: X-Men. Operazione: Contenere o Terminare.
- Identificazione intrusi: Superumani. Affiliazione: Vendicatori. Operazione: Terminare.
- Identificazione intrusi: Umani. Affiliazione: S.H.I.E.L.D. Operazione:  Ignorare.
“Adoro quando i robot ti spiegano le loro intenzioni!” ghignò Logan prima di saltare al collo di quello più vicino. Sfoderò i suoi artigli ma quelli, come lame senza filo, scivolarono sulle curve metalliche del robot senza intaccarlo. “Fanculo!” sbottò
“Mi hanno classificato come X-Men??? Finalmente qualcuno che capisce qualcosa” giubilò Deadpool
“Fanculo anche a te!” ringhiò Logan tra i denti, allarmato dalla loro situazione e infastidito dalla stupidità del compare.
“Che succede?” domandò Rogue allarmata
“Adamantio...” replicò lui con un grugnito. “Si va di forza bruta.” la incitò. Mentre lei prendeva il volo, Logan si volse agli agenti dotati di pochi o nulli poteri “Ci pensiamo noi, voi state al riparo finché potete...” Ma le parole gli morirono in gola quando vide un secondo plotone di esseri robotici avanzare nella sala. “Ok, voi liberate gli ostaggi... tanto dovrebbero ignorarvi, per il momento. Forse il computer centrale sta cercando nella banca dati se siete con Osborne o contro di lui”
Nel frattempo, il primo plotone si era ormai attivato e da diversi altri pertugi filtrava un'inquietante luce rossa. Mentre Logan e Ororo impartivano ordini, gli altri aveano cominciato a cercare punti deboli in quelle strutture. Pietro aveva provato a fare entrare in risonanza quelle stupide macchine, rompendole dall'interno, ma non riusciva a trovare la giusta frequenza.
“Giù!” gli urlò Rogers a un certo punto, dall'altra parte della sala. Al velocista bastò una frazione di secondo per capire -e vedere- le intenzioni del Capitano. Il disco gli appariva fermo, sospeso nello spazio buio della sala. Non capiva cosa potesse quello scudo da eroe da cartolina, ma lo assecondò: un'istante prima che lo scudo si abbattesse sul robot, lui si allontanò di un passo, mettendosi al sicuro.
L'istante dopo, la testa dotata di antenne e dall'inquietante ghigno di una zucca di Halloween rotolava per terra, distaccata dal corpo: lo scudo era entrato nella giusta risonanza per indebolire il metallo. Certo, il Vibranio non avrebbe mai incontrato alcun tipo di ostacolo. Ma il robot, in risposta a quell'aggressione, stava già protendendo le mani dal cui palmo si stava sprigionando un intenso bagliore sanguigno, tutto rivolto verso Roger.
“Continua a funzionare!” Urlò il capitano sopra la calca.
Dall'altra parte della sala, anche Rogue era arrivata alla medesima conclusione. La donna usava gli arti disarticolati del robot contro di lui come clave ma quello continuava ad avanzare impietoso. “Anche la testa è armata!” urlò di rimando, pronta a proteggersi con le braccia di adamantio strappate al robot, avendo notato uno strano bagliore in quell'orrenda fessura che fungeva da bocca e, probabilmente, da altoparlante. Ma la fornace che stava per scaricare la potenza di un megawatt contro la donna fu distratta dal contraccolpo di un laser che lo sbalzò lontano.
“Si chiama Enchephalo-Beam... e quello stronzo sta usando le mie armi!” ringhiò Stark comparendo nella mischia. “Ok! L'ho copiato dal distruttore Asgardiano mandato al seguito di Thor qualche anno fa...” si giustificò poco dopo, sentendosi lo sguardo penetrante del dio pungergli la schiena.
“Sai cosa è successo?” domandò Rogers raggiungendolo. Per quanto poco potessero contro quelle macchine da guerra, gli agenti S.H.I.E.L.D. si erano rifiutati di mettersi al riparo. Jessica, Sharon e Raven armeggiavano intorno alle manette dei prigionieri, protetti da un campo di impenetrabile generato da scariche ininterrotte prodotte da Ororo.
“Osborne ha rubato progetti, idee che avevamo anche solo nella testa a me, Pym, Reed e Dio solo sa a chi altro”
“C'è un modo di fermare queste macchine?” domandò ancora Rogers mentre Bucky, lì affianco, non lesinava i colpi sferrati dal suo arto bionico: Cyborg contro Robot, difficile prevederne l'esito.
“Certo!” replicò l'altro osservando il lavoro di squadra tra Rogue, Pietro e Logan: i primi due staccavano a forza pezzi della macchina, chi a colpi di pugni, chi svitando i fermi che tenevano insieme la corazza, mentre il secondo recideva tutto ciò che svolgeva il compito di tendini e muscoli. Nonostante tutto, i singoli pezzi restavano attivi e cercavano di colpire gli aggressori con quei maledettissimi fasci di energia. “Apritemi un varco al torace!”
“Fosse facile...” ringhiò qualcuno dalla folla.
“Io, io, io!” si sbracciò Deadpool “Una spada al carbonadio può tutto!”
“Cretino! Tutto contro un mutante! Nulla contro un robot di Adamantio! Serve il vibranio! Per quello lo scudo di Cap, dove passa, recide come un bisturi!” lo rimbeccò Wolverine che insisteva nello scontro tra la lega adamantina dei suoi artigli e quella della corazza del robot.
“Detto, fatto!” sbottò Clint. “Vibranio, giusto?” chiese mentre caricava una punta al suo arco, dopo aver riposto la katana.
La freccia sibilò in aria, lasciando la corda tesa a vibrare per il contraccolpo. Il cuneo si aprì un varco nella corazza. Prima che il robot avesse modo di capire cosa stesse accadendo, il motore in miniatura issato sulla scocca cominciò a emettere un leggero ronzio e la vibrazione così scaturitane riuscì ad amplificare le crepe che si erano venute a creare nella corazza.
A quel punto, Tony si scagliò contro il robot danneggiato, assestò un pugno direttamente nella spaccatura e penetrò all'interno con uno sbuffare di stantuffi e pistoni che gli conferivano maggiore potenza distruttiva. Quindi aprì il palmo e liberò la fatina, in cui si era trasformata Janet, che stringeva in pugno “In bocca al lupo” mormorò prima di ritrarsi.
Non era chiaro se bastasse infettare un androide o dovessero operare singolarmente per ciascuno nello stesso modo: l'avrebbero scoperto presto.
All'interno del robot, Janet si fece strada tra cavi, schede madri, microprocessori, fusibili e condensatori. Una giungla tecnologica rischiarata appena dagli inquietanti relè che, qui e là, si accendevano secondo un complicato schema coreografico ma che riuscivano a schiarirle la via quanto bastava. L'essere così piccola, inoltre, la rendeva quasi cieca ed Hank aveva studiato dei dispositivi di supporto alle loro forme miniaturizzate: occhiali dalle lenti composite, dispositivi audio che amplificassero le loro voci e rendessero la frequenza umana percepibile anche dalle loro piccole orecchie. L'esempio che le aveva fatto il marito, nello spiegarle la necessità di quei dispositivi, era stato di tipo biblico. La pupilla o il canale auditivo erano come la mitologica cruna dell'ago in cui sarebbe dovuta entrare la famigerata corda e non il più famoso cammello -come aveva replicato lei a suo tempo- che, invece, era diventato sinonimo di ignoranza.
La cosa che era stata poi ripresa dagli appartenenti a quella strana cricca del club dei piccoli geni della scienza -a cui appartenevano Henry, Tony e Reed- e che usavano per insultarsi vicendevolmente al punto che gli estranei non capivano perché illustri scienziati si dessero del cammello a vicenda al posto di usare improperi molto meno velati. Janet sorrise al ricordo e riportò la mente alla spiegazione offerta dal marito.
Bisognava, quindi, far sì che la corda in questione si assottigliasse alle dimensioni di un filo, per poter essere ingugliata e, quel tipo di conversione, era ciò che la loro tecnologia, studiata su imitazione degli organi degli insetti -che erano fatti a quel modo per un motivo ben preciso- rendeva possibile.
Le forme che avevano ripreso avevano un che di artistico e Janet si sorprendeva sempre nello scoprire come la natura avesse tanti pattern così tecnologicamente avanzati e moderni, belli ed eleganti e funzionali. Non serviva guardare all'arte per avere ispirazione. I campioni di Henry erano più che sufficienti a stuzzicare la sua fantasia. I prototipi stessi, per quanto nulla avessero di artistico, avevano una certa armonia pur nella loro semplicità funzionale. Principio che era poi alla base della natura stessa.
Anche il paesaggio alieno e metallico in cui si era infilata aveva qualcosa di affascinante. Non fosse stata concentrata a cercarne il cuore per sabotarlo, avrebbe apprezzato la simmetricità degli elementi, la ripetitività degli schemi, l'apparentemente casuale fioritura di cavi e il loro intrecciarsi e diramarsi. Hank parlava spesso anche di come lo stesso schema delle connessioni sinaptiche si potesse trovare nella ramificazione di un albero o in un diagramma sullo studio delle attività sociali umane. Era davvero affascinante come la casualità potesse essere, alla fine, ordinata in schemi precisi e ripetitivi, sempre gli stessi, dal macrocosmo al microcosmo.
Finalmente, individuò la piattaforma quadrata, il cui bordo era frastagliato da innumerevoli zampette saldate a una piastra smeraldina, venata da ruscelli di un verde più chiaro.
Come previsto dal marito, Osborne aveva davvero poca fantasia e aveva lasciato inalterato ogni più piccolo dettaglio, nel timore che questo potesse compromettere l'esito finale delle sue macchine. Il cuore della struttura continuava a chiamarsi Alkema.
Janet si inginocchiò e posò a terra (o era su una parete? A quelle dimensioni la gravità diventava relativa) lo zainetto che aveva assicurato sulle spalle e ne estrasse un dispositivo grande come un atlante e che, nella sua forma, ricordava un pettine gigantesco dove il vuoto tra i denti era colmato da strisce metalliche. Era ironico pensare che, in dimensioni reali, non era più grande e leggero di un tasto del suo portatile.
Non perse tempo a contemplare l'oggetto (a casa, davanti a un microscopio, avrebbe avuto tutto il tempo che voleva): cercò l'alloggiamento e incastrò il pettine-flashdrive nella sua fessura. L'unico segno che confermò che quella cosa stava funzionando in qualche modo, fu il leggero ronzio che, dopo un sussulto d'assesto, soppiantò quello originale.

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Il momento era arrivato. Lo sentiva sibilare nell'aria e nel rombo del terreno sotto i suoi piedi. La quiete prima della tempesta stava cedendo il posto a quell'ansia ficcante, quell'adrenalina positiva, quella prontezza di riflessi che precedeva la battaglia.
Dopo ci sarebbe stato solo l'istinto forgiato da duri allenamenti e da anni di pratica oltre a una naturale propensione alla calma ragionata. Si sarebbe fatta scudo della sua nomea anche se, contro il suo avversario, sarebbe stato del tutto inutile: Thanos era superiore a questioni di facciata come un ruolo o un'appartenenza razziale.
Stava assicurando il mantello sulle spalle quando Heimdall si annunciò e, dopo il suo invito, si manifestò nella stanza. A differenza dell'alloggio del padre, arredato con il gusto e la raffinatezza propri degli Aesir che, per quanto lui professasse il contrario, trasparivano da ogni suo gesto, quello di Hela era ridotto al minimo: le pareti erano tinte di rossi cupi e drappeggiate con pesanti tende di lana, abbinate che rammentavano il calore dell'inferno nonostante la sua dimora affondasse nelle nebbie impenetrabili. Ma era il meglio che poteva ottenere in quel posto per sentirsi a proprio agio.
Altri inferni avevano la caratteristica di essere perennemente ghiacciati ma tutti avevano in comune una sola cosa, come i deserti: erano vuoti, sterminati, claustrofobici nella loro spaziosità. Invitavano alla disperazione o alla meditazione coatta, l'una e l'altra o l'una causa dell'altra a seconda dei soggetti. La sua stanza rispecchiava questo modo di vedere la vita, al di là del colore e dei materiali scelti per decorarla.
Heimdall le porse l'elmo ricco di ramificazioni come il palco di un cervo. Maggiori erano le ramificazioni, maggiore il valore della bestia “Thanos è qui!” le disse solo.
Lei annuì. Lo sapeva. Ed era pronta.
Si era preparata a quell'incontro e sapeva che solo uno di loro ne sarebbe uscito vincitore. Ma prima aveva un altro incarico, affidatole da suo padre. Strinse le labbra cianotiche per la determinazione. Se questo era il desiderio di suo padre, il re degli inganni, fare chiarezza nella propria posizione ad Asgard, l'avrebbe accontentato. Sua madre non le aveva detto nulla, al riguardo, ma serviva fedelmente la casata reale degli Aesir. A lei non era mai stato fatto alcun male. Eppure era una Jotunn e ora la curiosità divorava anche lei: chi aveva sconvolto in quel modo gli Jotnar, storicamente assoggettati alla bella Freyia, la Vanir fattasi Aesir, a cui era stata dedicata addirittura una statua nel centro di Utgardr, la capitale di Jötunheimr.
Hela uscì dal suo accampamento e vi trovò le truppe schierate in ranghi precisi e ordinati. Aspettavano solo lei. Vide la bella e bionda Amora occhieggiare il suo accompagnatore. Non per reale interesse, come poteva esercitarlo su di lei un uomo scostante e irrequieto come Thor, ma solo perché il dio Bianco rappresentava la più magnifica delle sfide: era l'unico Aesir che non si piegava ai suoi sortilegi. Questo da un lato la rendeva furiosa, dall'altra alimentava il suo spirito competitivo. Davanti ad Amora, nella fila opposta, Surtr, il nano demoniaco che aveva contribuito a produrre le loro armature di invincibile Uru.
Il volto cereo di Hela non lasciava trasparire alcuna emozione e l'elmo, che le copriva parzialmente la faccia, le infondeva il coraggio dato dal poter celarsi ad occhi indagatori.
Giunta alla fine del lungo corridoio umano, avvertì un frusciare di mantelli, tramestio di armi e cozzare di corazze, mentre le truppe si volgevano, in sincrono, a seguirla. Si fermò sul crinale formato dai resti del Bifröst, la via tremula dai molti colori, o, come amava chiamarlo lei, Asbru, il ponte degli dei. E attese.
Lo spazio infinito dei tre fiumi cosmici (Kormt, che lambiva Asgard, Kerlavgar, il fiume centrale e principale, maestoso e pieno di vita, e del suo effluente Ormt) si estendeva, spettrale e placido e sensuale davanti a lei. Adorava quel paesaggio, scuro come la pece e rischiarato da luci vive di una miriade di colori lontane anni luce. Amava tutto ciò, così diverso dalla sua dimora, e avrebbe protetto il gioiello che era Asgard dall'ingerenza di Thanos a qualunque costo.
La quiete del luogo ormai disabitato che era Asgard venne turbata dall'improvvisa apparizione di una singola nave aliena. La fusoliera era affilata ma i bordi erano morbidi e sinuosi, come se fosse stata scolpita dal flusso di innumerevoli correnti cosmiche che l'avevano modellata a piacimento per renderle il più possibile agevole il passaggio nei loro meandri in un tempo pressoché infinito di eoni.
Non avanzò oltre. Non si diresse al cuore del recinto degli dei con intenzioni ostili, come già tempo addietro aveva fatto il suo predecessore, l'elfo oscuro Malekith di Svartalfaheimr, anche se era palese la volontà di conquista da parte dell'invasore.
La nave si abbassò e attraccò. Dal fianco di metallo si snodò una passerella organiforme costellata di scintillanti luci azzurre a delinearne la sagoma, nera su fondo nero.
Dal varco appena creatosi la figura possente di un uomo dalla pelle violacea ci materializzò con sublime atteggiamento sfrontato. Avanzò di un passo, lasciando che la luce delle stelle ne delineasse i tratti massicci e quasi grotteschi. Alle spalle di Hela, l'esercito spianò le armi, pronto a intervenire al minimo cenno di pericolo. Per ora, forse, i due avrebbero solo parlamentato.









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Ok, io sto finendo i capitoli di riserva e qui, tra una cosa e l'altra, non riesco a trovare il tempo per sedermi e scrivere un capitolo... -_-
Non temete, non vi lascerò a secco!
Dunque...
Lasciando i Vendicatori a sbrogliarsela (e tanto per non far fare la figura del fesso, ecco che pure Tony è stato turlupinato), rivolgiamo la nostra attenzione a Hela per un attimo -così chiudiamo un altro GRANDE discorso lasciato in sospeso dal film-
Che dirvi? :D aspettate e vedrete :3

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Capitolo 20
*** Il potere di Thor ***


20. Il potere di Thor






All'esterno il combattimento infuriava. Mystica e Ororo erano riuscite a sbloccare le manette dei prigionieri senza far loro saltare gli arti. Ancora storditi e mezzi incoscienti, Hellstorm, Drumm e Strange avevano cercato di racimolare un po' di energia per scagliare qualche sortilegio ma erano troppo esausti per riuscire a concentrarsi adeguatamente.

“Tu sei il figlio di Odino...” biascicò sfinito il giovane antropologo ed esorcista scorgendo Thor che cercava di darsi da fare come poteva.
Il biondo dio norreno gli si avvicinò “Mi conosci?”
“Non direttamente...” sputacchiò “Ma conosco Hela e Loki. E Odino. Un nostro amico...” disse lanciando un'occhiata al giovane psicologo haitiano che diede un cenno della testa, a conferma delle sue parole, mentre scrutava il biondo con occhio clinico “...è membro dei Guardiani della Galassia, credo tu li conosca...”
Prima che Thor potesse anche solo fiatare per replicare a quell'asserzione e prodigarsi in solenni promesse di reciproco aiuto e stima, lo stregone lo anticipò “Il tuo potere non è perduto. Aiutare l'umanità è la condizione. Ma è un'esigenza che è ormai tua come una seconda pelle. Proteggere Midgard è importante quanto proteggere Asgard...” disse con gli occhi velati dalla patina di un'improvvisa cataratta “Puoi vendicare qualunque torto mosso agli umani mediante il tuo potere. Il vincolo di Odino era un pretesto capzioso nascosto in una bailamme di doveri. Crescere prima di rivendicare qualunque diritto al trono. Ma il padre degli dei aveva capito quale fosse il tuo più grande desiderio. Ed egli sa meglio di te cosa è meglio per te... scusa l'anafora...” si giustificò quello con un imbarazzo così umano che strideva con il tono trascendentale onnisciente usato fino a quel momento “Prestagli ascolto quando vi incontrerete di nuovo, a fianco di Loki, per proteggere Asgard dall'invasore... Egli sa qual è stato il motivo primigenio che ti ha spinto a difendere la Terra ma sa anche che, ora, non è che un pretesto anch'esso. Tu ambisci alla gloria della battaglia. Ma per quel che riguarda gli affetti, non c'è nulla come casa...” così dicendo, allo stesso modo con cui si era intromesso nel discorso di Daimon Hellstorm, Jericho Drumm tacque, esausto dalla sua visione o dalla comunicazione avuta, probabilmente, sul piano astrale.
Thor sembrava turbato, i rumori della battaglia ormai ridotti a un brusio attutito in sottofondo. Le parole dello stregone l'avevano confuso e avrebbe dovuto analizzarle con calma, non appena fossero riusciti a mettersi in sicurezza. Ora, però, i suoi amici avevano bisogno di lui, gli scontri infuriavano e lui non era di alcuna utilità.
Pretesto capzioso, aveva detto.
I suoi amici avevano bisogno di lui. Amici umani. Per combattere una minaccia non umana. Nel breve termine. Ma già nel medio termine, l'umanità tutta era messa a repentaglio da un manipolo di altri uomini che volevano soggiogarla. Che fosse questo il ragionamento che non aveva fatto fin dal principio e che l'aveva precipitato nello sconforto? Odino non aveva messo restrizioni sugli avversari. Robot o umani che fossero, per difendere Midgard poteva ricorrere al potere del tuono. Strinse i pugni lungo le gambe e si ritrovò a fissare il giovane Hellstorm dritto negli occhi, come ipnotizzato. Intorno a loro si levò un forte vento. Violente scariche elettriche si diramarono repentine dalla zona circostante.
“Che cosa succede?” domandò Sharon Carter volgendosi verso Ororo che si giustificò con un'alzata di spalle.
“Non sono io!” replicò la donna prima di volgere, incredula, gli occhi verso il dio rapito da una sorta di trance. Thor levitava a mezz'aria e i lunghi capelli biondi gli frustavano il volto.
D'un tratto un bagliore accecante costrinse i presenti a ripararsi gli occhi.
Quando il piccolo uragano cessò, davanti a loro Thor svettava vestito di tutto punto con la sua armatura lucente, l'elmo alato calcato in testa, il mantello di lana rossa che pendeva nervoso dalle spalle... e Mjöllnir stretto saldamente in pugno. Con un movimento tanto naturale quanto violento, Thor si lasciò scivolare a terra e, nel farlo, lasciò che il peso del braccio portasse il martello contro il pavimento. La deflagrazione che ne seguì mandò in tilt i macchinari tutt'attorno e fece saltare la luce.
Solo gli Ultron 0.5 si muovevano ancora e, in quell'impenetrabile oscurità, facevano saettare i solo laser come le lame delle luci iridescenti e sincopate delle discoteche.
“Ho davvero di nuovo i miei poteri...” si stupì osservandosi le mani.
Il suo stupore non durò a lungo. Uno sguardo determinato e divertito gli balenò negli occhi e in un lampo fu sul campo a combattere spalla a spalla con quelli che lui riteneva i suoi compagni.
“Ho fatto!” esultò a un certo punto Janet, ritornando a grandezza naturale in mezzo a quel mucchio di rottami ambulanti.
“Non mi pare sia cambiato nulla...” commentò l'Uomo Ragno piroettando in aria e sparando le sue ragnatele ormai quasi esauste. Aveva provato a ingabbiare quei robot in ogni modo ma quelli trovavano stratagemmi sempre nuovi e creativi per liberarsi.
“No, guarda!” lo corresse Stark sotto la morsa di un Ultron.
Il robot da cui era emersa Janet sembrava essersi disattivato e svettava immoto al centro della sala mentre tutt'intorno continuava a infuriare lo scontro.
“Beh, è fantastico! Ne abbiamo sistemato uno... ne mancano solo altri novantanove...” commentò sarcastico il ragno.
“Strano...” disse Janet osservando da vicino il robot. “Dovrebbero essere tutti collegati da un unico microprocessore. Come gli animali, cervello collettivo...”
“Se è come gli animali siamo fregati!” commentò ancora il ragno “Perché cervello collettivo vuol dire che ognuno è indipendente e fanno solo sistema. Eliminato uno il gruppo si riassesta e continua sulla sua strada, imparando dagli errori del singolo... Diverso sarebbe se fosse come le piante. Cervello centrale e diverse propaggini. Uccidi il centro e muore il resto. L'esempio che cerchiamo noi è l'idiozia su cui solo la società umana può reggersi. Tolto un cervello a caso crolla l'intero sistema.”
“Ma è risaputo che Hank è stupido...” commentò Deadpool non lontano
“Non ti permettere di insultare mio marito, sgorbio!” replicò Janet lanciando una scarica elettrica sul sedere di Wade che saltellò sul posto tra l'indispettito e il compiaciuto.
Distratto da quella mossa, tuttavia, Deadpool perse l'equilibrio e finì schiacciato da un robot che non perse tempo a caricare il suo Enchepalo – Beam “Oh, cacchio! Dai ragazzi, datemi una mano... non voglio perdere la testa per un robot...non sono ancora così pazzo... Perdere la testa, l'avete capita? Ah ah ah ah”
Ma nessuno lo badava e anzi, Janet, ripreso a combattere come poteva gli altri robot, continuò a battibeccare con l'arrampicamuri “E per essere precisi, Spidey, intendevo dire che dovrei avergli installato un virus e col cervello collettivo si dovrebbero passare l'informazione l'un l'altro”
“Pregate perché sia così” commentò Kurt bamfando da una parte all'altra.
Dopo aver assestato l'ennesimo e inutile pugno di metallo contro metallo, fu Bucky a far fermare il gruppo “Il mio si è spento!” urlò sopra la mischia.
Ad uno ad uno i robot andavano disattivandosi e si bloccavano con pugni a mezz'aria, armi in caricamento e sguardo vacuo.

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Da canto suo, la dea non mutò posizione né espressione: Thanos non sarebbe avanzato oltre.
“Ti porgo i miei omaggi, Hela, regina di...”
“Non so cosa farmene dei tuoi omaggi, Thanos. Possiamo pure chiuderla qui. E tu puoi pure tornare a imbarcarti e sloggiare di qui prima che ti annichilisca. Non sei il benvenuto!” lo interruppe lei, brusca.
Ma l'altro non sembrò impressionato. Non retrocesse ma si concesse di studiarla a fondo. “Fai sul serio?”
“Non avanzerai oltre. Dovrai passare sul mio cadavere. Mio e di tutti quelli che si sono radunati attorno a me!” replicò lei, arcigna.
“Vedo...” cominciò il titano lasciando scorrere lo sguardo sulle truppe “...che ci sono anche diversi Aesir al tuo fianco...”
“E molti altri ne verranno. Vanir, innanzitutto. Non siamo soli, Asgard non è indifesa.”
“Vanir...quindi la città è stata evacuata...” commentò l'uomo massiccio appuntando lo sguardo impenetrabile sulle cinta murarie a protezione della città.
“Evacuata a misura cautelativa...”
“E ci sei tu a difenderla...” ghignò l'uomo trovando la cosa ridicola.
“Ho voluto io lo scontro alla pari. Non volevo darti altri pretesti per la tua miserabile sconfitta. Devi solo girare sui tacchi e tornare da dove sei venuto. Sei una delusione e non meriti nulla di quello che questo posto ha da offrire.”
“Tutto perché Midgard non si è arresa?” domandò lui, ora la sicurezza e la tracotanza che lo caratterizzavano stavano svanendo.
“Non è Midgard che mi interessava, lo sai. Il nostro patto era il Tesseract, il cubo cosmico. Che ora è in mano ai Guardiani della Galassia. Mi hai deluso.”
“Loki, tuo padre, ha sbagliato e ha fallito!” ringhiò l'uomo con fare minaccioso.
Ma lei non si lasciò distrarre né intimorire. Lo zittì con un gesto della mano, come se quella non fosse altro che la patetica scusa di un inetto. “C'è un umano che mi serve quasi meglio di te. E non è conquistando Asgard in mio nome che pagherai il tuo pegno. Come vedi, posso benissimo arrangiarmi. Così, ho dimostrato ancora una volta di esserti superiore e di non aver alcun bisogno dei tuoi servigi. Vattene, prima che dia l'ordine di attaccare.”
“E' vero che non ho né il Tesseract né il dominio su Midgard e che Tarene è sfuggita alla cattura. Ma tutto perché tuo padre ci ha fornito dati sballati. Gli umani dovevano essere preda facile, Loki doveva averli dispersi, aver seminato zizzania tra loro e invece si sono radunati più forti che mai, coesi e compatti, con poteri simili a quelli degli dei. Addirittura con armi simili al vostro potente Distruttore. Non è mio l'errore, Hela!”
“Non scaricare la tua frustrazione su altri, tanto meno se questo è mio padre. Sei un incompetente. E questa ne è l'ennesima prova. Non sei degno di me. E Tarene è al sicuro, ibernata in un corpo umano ospite, su Midgard, e presto il suo potere passerà a chi è più degna di lei di sopportarlo, vincolando Thore il suo potere al suo fianco. E quella persona non sei tu: non sei tu che siederai alla tavola degli Aesir, guidandone le truppe. Le norne hanno parlato, Odino l'aveva predetto e Heimdall l'ha confermato.”
“Chi, allora? Chi può avere il potere di Tarene?” ruggì l'uomo umiliato.
“Chi è così degno da essere stato posto a guardia delle Valchirie dei Falchi Rossi da Odino in persona?”
“Sif?” allibì l'altro
“Lady Sif è l'erede del potere di Tarene. E sia Thor che mio padre Loki ti impediranno di farle del male. Non è un potere che puoi offrirmi. Come vedi, se lo volessi, ancora una volta, potrei arrangiarmi e andare io stessa dai Falchi Rossi. Non sarai mai mio alleato. Vattene, Titano. E' inutile ingaggiare battaglia.”
“Inutile per chi ha qualcosa da perdere...” ringhiò lui, sommessamente “Io ho perso tutto! Chiedevo una sola cosa e l'avrò, col ferro e col fuoco, se necessario. Sarò re di Asgard.”
“Dove sono le tue truppe di Chitauri, Thanos?” lo schermì lei.
“Chi ti dice che non siano già tra le tue fila, pallida Aesir?” replicò lui con un ghigno. Quindi, alzando la mano guantata di splendidi gioielli, diede il segno d'attacco.
In un batter di ciglia, tra le fila a guardia del Bifröst si scatenò l'inferno. Amici si tramutarono in aguzzini e, nell'impossibilità di distinguere il nemico, cominciò un tremendo massacro fratricida.
“Tecnologia Skrull...” commentò Thanos “Induttori di immagini così sofisticati da passare l'esame del più attento scanner. Scacco. Ti arrendi?”
“Hai aperto con i pedoni... e sono i miei pedoni che stai massacrando... ma sei ben lontano dal re.” ghignò lei di rimando, per nulla intimidita, nonostante l'attacco a sorpresa. Thanos restò stupefatto dalla sua reazione: stava decimando le sue truppe e lei rideva come se fosse stata in netta superiorità numerica. “Dimmi solo una cosa, prima che passi al contrattacco e ti massacri. Chi ha tradito gli Aesir con gli Jotnar? Quale Aesir ha scatenato tutto questo che, in definitiva, è opera tua...?”
Thanos stirò le labbra, ermetico. “Ti sei resa conto che anche quella era una mia macchinazione?”
“Sono figlia del dio degli inganni. Riconosco odore di trappola lontano anni luce. E anche lui. Il tuo trucco ti si è ritorto contro perché è stato usato a vantaggio degli Aesir, che hanno riconfermato il loro ruolo predominante e cardine sugli altri otto regni... Voglio solo un nome...”
“Una pedina senza volto non è degna di nome...”
“Lo è se la pedina era un alfiere del regno splendente...”
“E' solo un rinnegato, un morto senza tomba alcuna...”
Hela ridusse gli occhi ferini a due fessure “Vali...”
“Se preferisci chiamarlo così...” replicò Thanos facendo spallucce.
Soddisfatta della risposta ottenuta, Hela picchiò a terra il proprio scettro da cui si dipanò istantaneamente un reticolo magico che la intrappolò col suo nemico. Thanos, confuso da quella mossa, la fissò perplesso.
Un altro tocco dello scettro tagliente e una colonna di fumo verdastro si levò dal suolo come un uragano. Quando si placò, alle loro spalle le porte di Asgard venivano spalancate.
Thanos, nella sua arroganza, stava per ringraziarla del dono. Ma il largo mento deforme rimase abbassato, incredulo, da quello che i suoi occhi gli stavano mostrando.





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Ed ecco svelato un altro tassello che risale addirittura al primo film di Thor.
Chi ha aperto il varco agli Jottun? Secondo me, Loki ne ha solo approfittato per girare la cosa a suo favore nel contorto piano di accettazione genitoriale...
Vali è quel fratello di Thor di cui Odino non sapeva che fine avesse fatto -ve l'ho detto ancora nella prima parte della Saga-. Nel mito Vali nasce con lo solo scopo di vendicare la morte di Baldr che, lo ricordo, è stata causata proprio da Loki. Ed ecco che faccio quadrare il cerchio. Vali, dato per morto o disperso, ha cercato di incastrare Loki nella sua stessa rete di menzogne al solo scopo di vendicare la morte del fratello.

Per quel che riguarda Tarene -che nei fumetti è poi Thor Girl- la tratto come pura entità cosmica  molto potente che al momento si è incarnata -guarda guarda, giustifichiamo anche le malefatte di Malekith- in Jane Foster e Thor ne è affascinato a livello inconscio. E dunque, volendo io far tornare Thor con Sif (come poi anche nel fumetto e nel film -si capisce dai che prima o poi lasceranno a casa la Foster), ecco che ho fatto sì che Tarene fosse solo un potere che andasse associato a Thor e al suo potere. Quando il potere andrà a Sif, anche lui tornerà ad Asgard.
Ma che c'entra Thanos? Tra le varie cose, per conquistare Morte (come ha ben indovinato qualcuno di voi, faccio coincidere Morte con Hela), Thanos aveva cercato di usare i poteri preveggenti di Tarene per annullare la vita nell'universo. Al poveretto, però, è andata buca. Diciamo, quindi, che in questa storia voleva fare 2 al prezzo di 1: prendersi Tarene e pure il potere/la vita di Thor e conquistare Asgard (sempre per offrirla poi a Hela). Hela-o meglio, Morte- che, però, nonostante gli sforzi, continua a rifiutarlo categoricamente. Per il momento.

Che altro? :) vi rimando alla prossima settimana. Baci a tutti!

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Capitolo 21
*** Vita in morte ***


21. Vita in morte






Dai portoni dorati, una torma di guerrieri variegati si stava riversando sul campo da guerra. Tra essi, Thanos riconobbe eroi terrestri e divinità dei nove regni, stretti gli uni agli altri, fianco a fianco, a respingere la sua avanzata.
“Traditrice!” sibilò con sguardo furente, pronto a colpire la sua interlocutrice. L'incantesimo appena formulato, però, si era serrato attorno ai suoi arti, impedendogli qualunque movimento. Hela era cosciente che lui l'avrebbe uccisa se solo ne avesse avuto la possibilità.
La dea sollevò il mento, altera, e ghignò “Cosa avrei tradito? Non c'era alcuna alleanza tra noi. Mi hai perseguitata con la tua presenza e mi hai sfidato a prenderti in sposo se mi avessi consegnato il Tesseract o la Terra. Non hai fatto né l'uno né l'altro. Mentre io difendo un regno che è mio di diritto...”
“Non è tuo, sgualdrina!” rantolò furente il titano
“No, è vero. Hai ragione. Ma, se io sterminassi la discendenza di Odino... allora sì, lo sarebbe...” replicò lei con un ghigno “...e mi sarebbe così semplice, se solo lo volessi... Io ho ereditato momentaneamente il governo del regno mentre mio padre è impegnato altrove. Sono disposta ad ogni patto per non lasciarlo nelle tue mani”
“Anche ad allearti coi tuoi nemici?” Thanos schiumava di rabbia.
“Oh, Thanos...” lo canzonò lei, girandogli intorno “La mente del dio degli inganni è troppo complicata perché un cervello fino come il tuo possa afferrarlo. Per te il suo pensiero è inintelligibile” replicò stirando un sorriso nero come la pece ma così dolce che non le aveva mai visto su quel viso pallido e crudele.
Ben presto la rivolta fu sedata e Plutone, divinità infernale dell'olimpo Vanir, accorse al loro cospetto a comunicarle il cessare delle ostilità.
“Siete una famiglia di matti...” sibilò il dio dell'oltretomba affiancandola “...tu e tuo padre andreste rinchiusi, per il bene di tutti!”
“Oh, caro Ade... forse ora capite che non è il caso di averci come nemici e di non farci mai arrabbiare...” replicò lei mentre, senza sforzo, si trascinava appresso il titano inerme, reso leggero e fluttuante dalla sua magia.
“Hela...” si inchinò Makkari il messaggero andandole in contro.
E così fecero tanti altri dei dei più disparati olimpi. Tutti accorsi a proteggere l'equilibrio dei nove regni.
Thanos vide Ercole, il campione dell'Olimpo, bello e selvaggio anche se un po' stupido, che non si piegava al loro passaggio, diffidente. Al suo fianco il compagno Ares, lordato di sangue dei nemici da testa a piedi e orgoglioso della sua bravura, al contrario, strizzava l'occhio alla loro conduttrice norrena mentre si scarmigliava il lugubre moicano che gli tagliava in due il cranio. A quel gesto, anche Hela, distante e protetta, avvertì Thanos fremere di rabbia. Passarono oltre e incrociarono Thena che li studiava con voluta sufficienza. La bionda dea della guerra e della strategia era orgogliosa di quel piano perfettamente congegnato anche se ne discuteva la violenza. E poi, ancora, altre divinità dagli olimpi egizi, nipponici, sudamericani, gli elfi lucenti del regno Shi'ar capeggiati dal loro campione Gladiator e i nani meccanici di Muspell, tutti stretti assieme. I Chitauri, e gli Skrull da cui originavano, non erano affatto nemici facili da abbattere e quella vittoria dava a tutti una ventata di ottimismo in caso di nuovo scontro con quegli esseri. Tutti erano più che consapevoli che, nell'ottica degli eoni delle loro vite, quella appena vinta non era stata che una delle molte battaglie. Si erano mobilitati in molti nel dubbio che le truppe disponibili non bastassero a reggere l'assalto. Ora avrebbero ricalibrato la loro forza offensiva, al momento, sicuramente esagerata.
Giunta che fu sulla soglia, Hela si volse un'ultima volta verso il suo prigioniero e davanti a tutti rilasciò la sua sentenza “Thanos di Titano, araldo della Morte, che, come primo tributo al tuo amore hai versato la vita della tua stessa madre alla tua nascita, io ti condanno a un'esistenza solitaria, lontano da tutti e da tutto. Anche se ora dovessi evadere da questa prigionia, non ci saranno poteri o doni che acquisirai che renderanno reversibile questa sentenza. Né il Cubo Cosmico né Urano né la Terra, con la sconfitta dei suoi eroi, né la compensazione del grande squilibrio tra il regno dei vivi e quello dei morti, a cui hai fornito un significativo contributo, sono doni sufficienti ad attirare l'attenzione di colei che brami. Finora l'hai solo infastidita e per questo ella ti punisce. La Morte non ti rivolgerà mai più la parola e se l'ha fatto fino ad ora, in particolar modo in questo frangente odierno, è stato solo per la pura cortesia con cui si può ripagare un vecchio servitore. Non sarà sufficiente spegnere tutte le stelle dell'Universo. Nonostante porti nel tuo nome il suo vessillo, sei a lei inferiore e per questo ne sei indegno. E, qualora tu diventassi talmente potente da spegnere la luce del Creato saresti troppo potente perché lei, a sua volta, possa parlarti. Ella ti ama per il contributo che apporti alla sua causa ma dovresti ubbidirle ciecamente, evitando ogni iniziativa personale tesa a surclassarla o a compromettere i suoi piani. Finché l'arroganza albergherà nel tuo cuore, finché cercherai di oscurare il ruolo di Galactus, quale uccisore di stelle, contribuendo alla spaccatura tra il regno dei vivi e quello dei morti anziché sanarla, tu sei bandito dai nove regni e dall'Universo intero e non ti resta che la prigionia della realtà arida e sterile della zona negativa. A questo destino, noi, rappresentanti di tutti gli olimpi terrestri, ti condanniamo con il beneplacito dei Guardiani della Galassia: morte in vita e vita in morte”
Nell'udire quel nome Thanos sbiancò, la condanna era definitiva: aveva torturato la figlia di uno di loro, Dragoluna figlia di Drax. Poteva aspettarselo che avrebbero dato il via libera alla sentenza di Hela. E tutto perché aveva cercato di farsi notare da quella stessa donna che amava e che mai, prima di allora, gli aveva prestato la benché minima attenzione. Aveva sovvertito l'ordine naturale delle cose per lei e questo, al posto di impressionarla, l'aveva così irritata da condannarlo a un'esistenza da eremita per la quale non c'era possibilità alcuna di riscattarsi.
Due lancieri lo affiancarono, pronti a scortarlo al suo castigo. Ma Odino si fece largo tra la folla e, dopo un violento brusio iniziale dovuto alla sorpresa, tutto tacque.
“Propongo...” disse con fare solenne, lanciando un'occhiata benevola alla nipote adottiva che lo osservava con un'espressione neutrale che non tradiva sorpresa né irritazione né curiosità “... di concedere al prigioniero la possibilità di fare ammenda per le sue colpe.” Hela lo guardava, ora, allarmata e con aperto stupore, così come molti altri dei: Odino era forse impazzito? Loki le aveva detto quanto le decisioni del Padre degli dei potessero essere folli. Eppure, dalle sue parole, traspariva anche un senso di orgoglio e appartenenza, forse riconoscendogli la lungimiranza e correttezza delle stesse. Eppure, ora più che mai, sembrava una richiesta assurda. Da sempre Thanos mirava ad Asgard o a Midgard per far crollare l'equilibrio dell'Universo e ora il padre degli dei lo difendeva? Perché? “C'è qualcosa che vuoi forse dire, Thanos di Titano, fratello Eterno Vanir che, per il tuo aspetto più simile agli Eterni Devianti, hai scelto l'auto reclusione tra gli Skrull e, tra le cui fila. ti sei distinto al punto da riuscire a prendere il comando del gruppo denominato Chitauri e a conquistare il trono di re degli elfi oscuri e degli orchi Dvergar di Svartalfaheimr?”
“Io...” disse raddrizzando il più possibile la schiena già impeccabilmente dritta in un rigore marziale “...sì.” disse solo cercando di scegliere con cura le parole “Io...desidero solo la Morte. Nulla di più. Tutto ciò che a ogni Eterno è negato, se non in modo violento, io lo desidero. Mi sono eretto sopra i miei nemici non per desiderio di sfida, né per testare la nostra resistenza. In principio, sì, volevo mi fosse riconosciuta la sua ammirazione. Ora, se non posso averla, chiedo solo di morire come uno dei comuni mortali a cui ho dato la caccia fino a oggi. Non v'è pena più grande di sapere di essere disprezzati dall'oggetto del proprio amore. L'indifferenza, la ritrosia, il silenzio. Tutto è sopportabile. Ma il disprezzo no. Sapere che mai ti amerà e che, al posto di allietarla, la tua sola presenza la infastidisce... se siete così misericordiosi come vogliono gli umani di Midgard, di cui forse non ho compreso appieno l'importanza e il potenziale, se mettete tutti da parte le reciproche rivalità per far fronte comune contro di me per proteggere loro, allora chiedo l'esaudimento di un ultimo desiderio, quello definitivo, che accontenterebbe ambo le parti: poter commutare la mia natura e poter morire come un terrestre.”
Odino lo fissò con il suo tipico sguardo impenetrabile e a tratti inespressivo. Fece poi scivolare il proprio sguardo su Hela, quindi su tutti gli dei lì riunitisi. Thanos lo avvertì appena pronunciare una specie di rimbrotto, una maledizione per avere a che fare sempre con gente stupida e ottusa che non vedeva al di là del proprio naso. Quindi, con voce stentorea, il padre degli dei parlò alla folla “Avete sentito tutti la richiesta del nostro consanguineo?” un muto borbottio si propagò come un'onda marina che si abbatte sulla battigia mugghiando. “Accettiamo di ottemperare alla sua unica richiesta?”
“Non vi sono alternative?” domandò Hela, improvvisamente ansiosa.
Odino le scoccò un'occhiata, forse risentita forse divertita. Non avrebbe saputo dirlo. “Solo quelle da te pronunciate nella tua condanna... morte in vita e vita in morte”
Quella che chiedeva Thanos, però era solo Morte. Morte pura e semplice, l'annichilimento totale. Di Thanos sarebbe rimasto solo uno spirito etereo senza corpo. Un processo irreversibile.
Normalmente irreversibile. Perché, ovviamente, le eccezioni esistono sempre, anche in casi limite come quello. Certi umani, umani mutati o mutanti, infatti, erano particolarmente sagaci e scaltri nel trovare cavilli per tornare in possesso del proprio corpo. Al momento, però, Hela non era in grado di confezionare nessun stratagemma per un uomo che, in fondo, l'aveva servita bene e che non disprezzava più di tanto. Non al punto di condurlo alla Morte dolce di cui reclamava il diritto. La Morte di un Eterno non era poca cosa.
Ed egli era, di certo, il miglior servitore che avesse trovato nell'Universo. A pari suo c'era solo quello sfortunato terrestre un po' folle e dotato di estrema -anche se altalenante- longevità. Ma Wade, d'altronde, desiderava solo l'idea di lei, non la conosceva affatto, mentre Thanos addirittura la stimava.
Tutto dipendeva da lei, ora. A testa alta, l'uomo fiero come un condottiero e crudele come pochi, attendeva senza paura alcuna il verdetto. Il suo verdetto.
“Scusate...” si intromise anche Plutone “Ma tutto questo casino è venuto fuori perché Hela non ha saputo gestire degnamente il suo corteggiatore. Non sarebbe giusto che pagasse anche lei uno scotto?”
Un coro unanime d'assenso ruggì potente, questa volta, tra le fila degli dei, frustrati e umiliati, stanchi e manipolati per una disputa così futile. Fu subito chiaro a chi avrebbero prestato ascolto. Odino tuonò con lo scettro per terra e la platea inferocita tacque all'istante. Solo lo scorrere uniforme e ininterrotto dei fiumi cosmici al di là del Bifröst distrutto accompagnava i loro respiri.
“Il verdetto è dunque unanime...” disse il Padre degli dei come se si stesse consultando telepaticamente con i capogruppi dei diversi olimpi. Ora Zuras, ora Amaterasu, tutti chinarono il capo a conferma. Anche se, per un attimo, ad Hela sembrò una decisione già concordata in precedenza. Possibile che, sul loro castello dalle pareti contorte, gli dei fossero riusciti a costruire un nuovo e assurdo livello di macchinazioni? “Thanos, il Consiglio degli Dei ti condanna alla schiavitù nelle nebbie di Niflhrimr e sarà responsabilità della sovrana di Helheimr assicurarsi che tu non costituisca più un pericolo per l'equilibrio dei nove regni e dell'Universo stesso e impiegarti come meglio riterrà. Vita in morte.”

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“Meno male, non ne potevo più!” sbuffò Jessica osservando i robot ridotti a vuote armature raccapriccianti.
“Io cominciavo a scaldarmi...” ridacchiò Logan mentre dava il cinque a Rogue, che la pensava esattamente come lui
“Incorreggibile...” lo zittì Mystica
“Non per fare il guastafeste...” esordì l'Uomo Ragno avendo notato un sinistro lampeggiare tra le macchine.
“Lo sei sempre! Ma è per questo che mi piaci tanto, amore mio!” lo rimbeccò Deadpool
- Si stanno riattivando!- commentò lo spettrale Visione studiando i suoi simili con occhio clinico.
“Cosa? Sono ancora vivi?” domandò isterica Jessica
“Ecco! Grazie per avermi tolto la curiosità...” replicava Peter nel frattempo con tono disperato
“Esseri robotici, tecnicamente, non possono essere vivi... anche se nella comunità scientifica c'è un gran dibattito su ciò che discrimina una vita o una non vita...” si accavallò anche Tony, per rimbeccare l'agente S.H.I.E.L.D.
“Oh, per favore, piantala!” sbottò Peter “Come diavolo li fermiamo? Questo era solo quel colpo d'assestamento di cui stavo parlando! Pensa a una soluzione, genio!”
“Non usare quel tono strafottente con me, ragazzino!” ribatté Iron Man.
- Mi correggo: non si stanno riattivando...- si sbilanciò il sintezoide, inserendosi nel battibecco -Si è innescato il sistema ultimo difensivo: Alkema!-
“Ah, certo! Ora sono molto più sollevato...” commentò Kurt.
“Contatta tuo marito!” rinsavì Stark, rivolgendosi alla signora Pym
“Non posso, è una zona coperta!” replicò Janet che, senza perdere tempo, si avviò all'uscita per cercare di comunicare con Hank.
“Tagliamo la corda!” suggerì saggiamente Natasha
“Non puoi fare nulla, elfo?” domandò Logan andando a strattonarlo per la collottola
“Nein mein freund, non so assolutamente nulla di come è concepita questa lattina di Halloween. Avessi almeno uno schema tecnico... Stark ne può sapere più di me..”
Sotto il tiro di sguardi incrociati, Tony alzò le mani rassegnato “E' roba di Pym, io non ne so nulla... anch'io avrei bisogno dello schema tecnico...”
“Potevate farvelo dare, geni!” li rintuzzò il canadese
“Scusate l'ignoranza..” domandò Rogue mentre il gruppo cominciava a defluire e i designati cercavano di trasportare i prigionieri con garbo “...in cosa consiste questo Alkema?”
-Una bomba a neutrini...- rispose Visione, asciutto.
“Una cosina da niente, insomma...” ringhiò Natasha che odiava le sorprese. Soprattutto quelle mortali.
“Hai idea di quanto tempo abbiamo?” domandò Clint mentre aiutava Bucky, impegnato a scavalcare il muro di mattoni crollato trattenendo tra le braccia quell'eccentrico di Hood.
- Non molto, credo. Sarà stato tarato in modo che non possiamo raggiungere la superficie in tempi brevi... siamo molto sotto il livello stradale e non c'è modo di scappare a un'onda di neutrini...-
“Geniale... qualunque cosa siano i neutrini!” ringhiò Steve “Kurt, non puoi teleportarci fuori? Ora conosci la strada...” domandò quando il gruppo era ormai compatto e tutto in marcia accelerata lungo i corridoi
“Nein. Posso trasportare solo due persone alla volta e devo fare dei salti intermedi: non ce la faccio ad arrivare con un balzo unico in superficie”
“Siamo nella merda!” ringhiò Stark “Dio, pensavo di aver scampato una morte orribile! E non sarebbe nemmeno la prima volta...”
“Ho un'idea!” sbottò Deadpool
“Non ora, Wade!” lo zittì Rogue
“Ma se Petey li legasse un attimo, i robot, tanto per essere sicuri che non si mettano a inseguirci tipo zombie?”
“Ci ho già pensato, testa vuota!” replicò l'interessato.
“Che intelligente che sei...
commentò ammirato E allora perché non usiamo Stark come carretto, ci saliamo sopra tutti quanti e Quickie ci spinge tutti fuori a velocità luce?”
“Piantala o ti affetto!” ringhiò anche Logan
“Era un'idea carina!” si lagnò quello
“Come fa ad aver voglia di scherzare, e di parlare, in questo frangente?” domandò Sharon a Steve che fece spallucce

“Per te, bella, potrei avere voglia di fare tante altre cose, anche in questo momento...anzi... forse sarebbe pure più eccitante. Pensaci, io e te, la fine del mondo, un tramonto di sangue...”
“Boccaccia mia!” imprecò l'Agente 13
“Oh, accidenti!” urlò Peter
“E ora che c'è!” sbottò Tony, i nervi a fior di pelle. Mancavano ancora tre piani. Non ce l'avrebbero mai fatta.
“Il mio senso di ragno pizzica tremendamente. Ho come idea che non ci rimanga molto tempo.” Non ebbe il tempo di finire la frase che una potente deflagrazione scosse i muri dell'edificio.
“FUORI!” urlò Sharon a squarcia gola mentre il rombo di pareti che collassavano si faceva sempre più violento.
Correvano a perdifiato ma, più delle pareti che crollavano, consumate da loro stesse, temevano l'ondata di neutrini. Piccoli e invisibili, avrebbero distrutto tutto senza che loro potessero avere tempo di rendersene conto. Era una corsa disperata e inutile. Tutti ne erano coscienti. Ma non c'era altro da fare se non tentare.
Infine, un lampo bianco investì il campo visivo, le pareti divorate, i rumori attutiti. La fine era giunta silenziosa ma non inaspettata. Almeno, non negli ultimi minuti. Nessuno, però, si sarebbe aspettato di fare quella fine quando si era svegliato quella mattina.
E morire in casa del nemico era forse la cosa più fastidiosa che potesse capitare.









AV AV AV AV AV AV AV AV AV AV AV AV AV AV

Scusate il ritardo ma qua sto avendo un sacco di problemi e mille altri impegni che mi distolgono dai miei doveri (tra cui, tipo, anche continuare a scrivere...non ho davvero più molti capitoli di scorta). Chiedo miseramente il vostro perdono.
Dunque. Finito il capitolo di Hela e Asgard e spiegati tutti i retroscena, ho sistemato anche le vicende in base all'Universo 616.
Per quel che riguarda Ultron, avete notato che ho citato, così a caso, Alkema come programmazione nascosta? In realtà, dopo Jocasta ispirata a Wasp -non potevo inserire anche lei-, Alkema era ispirata a Barbara Morse -che io ho fatto morire preventivamente- ex moglie di Clint Barton.
E dunque...liberati gli ostaggi...come si salverà il nostro nutrito gruppo da una bomba ai neutrini (che manco so bene come funziona)?
Dovrete aspettare una settimana ;)
A presto!

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Capitolo 22
*** Le fiamme dell'inferno ***


22. Le fiamme dell'inferno






“Sono morto! Sono morto! Sono morto!”
La nenia di Wade Wilson era un misto di esultanza e disperazione che difficilmente si sarebbero accostate bene assieme nello stesso frangente. Ma, per un uomo che non poteva morire e che non desiderava altro che metter fine alle proprie sofferenze, la paura atavica del trapasso e l'accoglienza delle sue preghiere si fondevano in un unico, contraddittorio, desiderio.
“Dici che dobbiamo svegliarlo?” domandò T'Challa a Pym con un ghignò cattivo sul bel volto d'ebano.
Ma l'attenzione di Pym era tutta rivolta alla moglie che si stava rimettendo in piedi tenendosi la testa tra le mani. “Te l'avevo detto che era rischioso! Che noi siamo scienziati, non supereroi!” prese a rimproverarla. Vedendola, però, stanca e affaticata, le parole gli morirono in gola e la strinse a sé, irritato con se stesso, per averla messa in pericolo non prendendone il posto, e con lei, per essersi ficcata in una situazione pelosa.
Il gruppo di Vendicatori, materializzatisi alla Stark Tower, sembrava alquanto confuso ma, sostanzialmente, incolume.
“Non so se lo voglio fare un altro giro su questa giostra...” commentò Tony levandosi l'elmetto.
“Si può sapere cos'è successo?” sbraitò Sharon Carter. Evidentemente, il suo ruolo come agente S.H.I.E.L.D. non l'aveva vaccinata a sufficienza contro le stranezze. Forse, realizzò Tony, fino a quel momento era stata una semplice passacarte che ora Fury aveva spedito sul fronte con un bel calcione su quel didietro -troppo perfetto per un soldato- abituato agli agi delle poltrone di pelle imbottita e non al fango della trincea.
“Chi è stato, soprattutto...?” sputò con livore Jessica, i lunghi capelli neri scarmigliati la rendevano attraente nonostante l'aria stanchissima.
Per tutta risposta il gruppo di mutanti scoppiò in una fragorosa risata collettiva. L'unico che non si unì ai festeggiamenti fu l'angelo dalla pelle cianotica che guardava i compagni con aria stralunata.
“Oddio... un'altra teleporta... stavamo scarsi...” biascicò Rogue con le lacrime agli occhi
“Dobbiamo chiamare Piotr!” saltò su Nightcrawler bamfando da una parte all'altra della stanza, euforico.
Chi avesse guardato con attenzione, avrebbe notato come la giovane Illyana si ergesse al centro del gruppo degli appassionati di esoterismo con una mezza armatura calata addosso e una spada luminosa stretta in pugno. Lo sguardo della giovane Rasputin era, però, freddo e duro come nessuno l'aveva mai visto: il grazioso fiocco di neve della campagna russa appena sbocciato nella sua adolescenza aveva lasciato il posto a una donna precoce e crudele, almeno all'apparenza.
“Non c'è nulla di cui gioire...” replicò la ragazza facendo scomparire l'armamento in uno sciabordio luminoso.
“Non solo ci hai salvati tutti ma... wow! Hai dei poteri tutti tuoi!” saltellò il piccolo demonio blu esagitato. Il desiderio di abbracciarla era palese come la sua istintiva paura nel farlo.
“Non è un bel potere. Non faresti a cambio con me!” replicò la ragazzina dandogli le spalle e riavvicinandosi a Wanda.
Kurt sbuffò divertito “Certo, per non traumatizzarti! Non è stato un bel vivere con l'aspetto di un demonio, all'inizio. Tante torce accese e tanti forconi pronti a infilzarmi sul falò come uno spiedino... un vero inferno, insomma...”
Ma l'occhiataccia che la piccola Illyana gli riservò fece ghiacciare il sangue nelle vene dei mutanti prima ancora che lei si spiegasse “Allora non faresti davvero a cambio col mio, che mi ha relegata all'inferno, quello vero, per un periodo di otto anni condensati in poco meno di una settimana...” spiegò rannicchiandosi accanto a Wanda, l'unica che non sembrava spaventata da quei discorsi luciferini e che sembrava capirla “Non mi crederesti nemmeno se ti dicessi che ora sono la regina del limbo e che la mia seconda mutazione, perché come molti di noi ne ho una seconda, mi trasformo in un mostro mezzo caprino...”
Un silenzio pesante calò su tutti i presenti che, nel dubbio si trattasse della verità e non del frutto della mente di una ragazzina particolarmente creativa quanto disturbata, preferirono evitare ogni discorso: al momento qualunque cosa sembrava rientrare in un campo minato che era preferibile evitare. L'unica presenza che si aggirava tra i presenti con fare disinvolto era il maggiordomo robotico che distribuiva coperte e bevande calde a tutti.
“E dunque, come ci siamo arrivati qui?” domandò Clint Barton, l'unico abbastanza coraggioso -o avventato- da azzardarsi a porre la domanda cruciale.
“Illyana …” spiegò Wolverine con fare bonario “... ha creato un disco abbastanza grande da comprenderci tutti... hai presente Star Trek? Ecco, una piattaforma abbastanza grande da includerci tutti e che ci smaterializzati e ricomposti qui allo stesso modo in cui uno scanner cattura un'immagine. Come sapesse dove andare, però, non lo so. Né credo di volerlo sapere...”
“Non ci vuole un genio...” ringhiò ancora la biondina folgorando Stark con un'occhiata. Era l'ultima arrivata in tutti i sensi ma metteva più paura dei veterani.
“E adesso cosa facciamo?” domandò Kurt “Abbiamo recuperato i nostri amici...”
“Sappiamo che Norman li voleva per evocare Loki... ma qualcosa mi fa pensare ci sia sotto qualcosa di più grande...” commentò T'Challa mentre stingeva in un tenero abbraccio la fidanzata.
“Abbiamo un altro problema, prima, temo...” Pietro, comparso ad accoccolarsi accanto alla sorella che, però, non lo badava per niente, intenta com'era a studiare i suoi salvatori. Quicksilver, già vestito di pigiama pulito e coi capelli umidi di una doccia appena fatta, stava chiudendo il suo cellulare e stava guardando in cagnesco quel piccolo dispositivo elettronico. “Zia Misty... puoi provare tu?”
“Che succede?” domandò la mutaforma ruotando gli occhi al cielo.
“Papà non risponde...” disse solo, con fare grave.
“Ah!” sbottò Logan “Paparino... fa un certo effetto sentire il vecchio chiamato con tanto affetto...”
“Come padre non è un granché...” gli stava rispondendo la mutaforma
“E detto da te...” commentò Rogue acida
“...ma è un ruolo biologico molto più naturale di quel che si pensa... che molta gente non direbbe adatto nemmeno a te...” terminò Mystica, rispondendo a Logan e ignorando la figliastra, mentre componeva il numero sul suo telefono “E' stato giovane e in preda alle passioni anche lui, anche se pare incredibile...”
“Doveva essere anche un bell'uomo...” commentò Rogue facendo mente locale.
“Dio, Rogue! Ti butti sui vecchi ora?” scherzò Kurt bamfando al suo fianco “Remy è già finito nel dimenticatoio?”
“Dico solo che si vede!” protestò “Il carisma non l'ha perso. Quindi, posso solo immaginare come abbia fatto a conquistare la loro madre...” sbuffò la mutante con un cenno della testa.
“Ti prego!” strillò Pietro tappandosi le orecchie “Ancora con questi discorsi cretini! Che schifo! Piantala! Dio, è mio padre!”
“Ma smettila!” replicò Mystica chiudendo il telefono e squadrandolo preoccupata “Effettivamente non risponde...”
“Grazie della fiducia...” replicò Pietro “Cos'è? Pensavi che se non rispondeva a suo figlio avrebbe risposto alla sua amante?”
Mystica gli rifilò un'occhiata di fuoco ma tacque, impegnata a capire come aggirare il problema.
“Tu e la lattina?” ghignò allora il canadese “Dio... quante cose mi son perso?”
“Al posto di dire cazzate anche tu, prova a chiamare il tuo mentore!” replicò la mutaforma
“Perché dovrei chiamare casa?” replicò lui divertito. Nel dubbio agguantò il telefono di lei e compose il numero a memoria. “Niente: segreteria...”
“E' normale?” domandò la donna
“No che non lo è...” si intromise Tempesta, abbandonando il caldo e sicuro rifugio delle braccia del Re del Wakanda. “Ero lì fino a due giorni fa...” commentò guardando prima Logan e poi Kurt. Sembrava si parlassero con gli occhi. Non servirono altre parole perché, dopo qualche istante di silenzio, i tre giunsero alla stessa conclusione “Dobbiamo tornare a Westchester...”
“Stark, ce l'hai un aereo da prestarci?” domandò Logan con fare spiccio.
“Che succede?” domandò quello riemergendo dai fumi dell'alcol in cui si era rifugiato nel mentre. Nessuno stava più badando i mutanti da quando si erano messi a bisticciare tra loro e tutti erano crollati dalla stanchezza.
“Temiamo sia successo qualcosa alla scuola...” si fece avanti Rogue. Una donna: serviva una donna a convincerlo.
“Dovrei saperne qualcosa...” disse Sharon intromettendosi. “Coulson era andato alla scuola proprio per fare da collegamento con me... Datemi un momento...” fu il turno dell'agente dello S.H.I.E.L.D. estrarre il telefono e comporre un numero. Attese qualche minuto finché dall'altra parte una voce di donna non rispose imprecando. Erano le due di notte. “Valerie? Scusa l'ora ma ho un'urgenza... Sì, lo so che è sempre così ma davvero... Oh, avanti! Quando è stata l'ultima volta che ti ho buttato giù dal letto per un problema mutante?”
“Problema mutante? Da quando siamo un problema?” si indispettì Kurt.
Ma Sharon gli fece cenno di tacere “Sì... va' alla scuola e dimmi se è tutto a posto... i mutanti che ho qui non riescono a contattare nessuno dei loro capi... o meglio, nessuno nell'edificio. E dicono sia strano... sì, ecco, grazie! Grazie Valerie... sì. Ok, fa con calma...d'accordo... Sì... Come?” Sharon tacque, ascoltando la domanda che l'altra donna le stava ponendo “Sì, grazie... sì sì... mi affido a te... ok, a dopo. Ciao”
“Dunque?” domandò Kurt ansioso
“Valerie è la nostra responsabile governativa, la responsabile del gruppo di analisti cosiddetto X-factor. Ovunque ci siano problemi legati ai mutanti, lei c'è. In particolare, studiano le abitudini, gli elementi e gli schemi di una varie situazioni. E' una delle maggiori esperte di mutanti... anche se non in settori medico-culturali-antropologici. Se ne intende di statistiche e sociologia. Ora si veste e va a vedere anche se ha farfugliato di qualcosa occorso recentemente che non hanno avuto modo di analizzare a dovere: domattina i documenti saranno pronti: avete tutto il tempo di mettervi comodi mentre io vedo di risolvere un altro casino...” disse buttando l'occhio fuori dalla finestra. In molti seguirono il suo esempio e ciò che videro li lasciò sgomenti. O elettrizzati, i più borderline. Il palazzo di Norman Osborne era divorato dalle fiamme. L'esplosione si era fatta largo fino al livello stradale dove il fuoco divampava violento, sollevando scure, quanto invisibili nella notte, volute di denso fumo nero.

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Mentre Sharon si riattaccava al telefono, Pepper affiancava Tony e gli altri nell'assistenza ai prigionieri. Il più strano di tutti, Hood, aveva chiesto di essere lasciato andare. In quanto malavitoso non voleva essere coinvolto negli affari di due uomini così potenti e avversari tra loro. Recuperato un minimo di forze, ringraziò e cercò di darsela alla chetichella. Solo quando le porte dell'ascensore si furono chiuse sulla sala lussuosa si permise di prendere un respiro di sollievo.
“Deve far proprio male...” commentò una voce dal soffitto. Parker Robbins saltò sul posto per lo spavento. “Non temere!” aggiunse Spider-Man calando dall'alto “Non voglio farti nulla... avremo modo di incontrarci per le strade di New York. O forse no... dipende da come ti comporti, caro Gene Simmons... A parte gli scherzi...” si affrettò ad aggiungere, notando come il pallore e il terrore del delinquente stessero raggiungendo livelli critici “...Volevo solo darti un consiglio da amico...” disse tirando fuori il portafogli e, da quello, un biglietto da visita “Vai qui a farti ricucire. O estrarre i bossoli se non l'hanno già fatto i macellai di Osborne...”
“Io non sto...” stava cominciando quello che Peter lo interruppe piroettando a terra dal suo filo..
“Oppure...beh, tienilo buono per il futuro... Sono gentile con te solo perché siamo omonimi....” spiegò rimettendosi in piedi, fraintendendo lo sguardo allucinato dell'altro “Questo è il numero dell'Infermiera di Notte... vai... esercita proprio per quelli come noi. E non pensare cose strane: è solo un'infermiera! Le cosacce le fa solo col Dottore quando fanno i loro giochini... ah ah ah... L'hai capita... divertente... poi si scopre che sta davvero con un dottore1... Sai, questo alone di mistero che l'avvolge e quella mise un po' succinta... Dio... e sono un uomo sposato... Tu sei sposato?” Ed Parker annuì appena, tenendo il cartoncino stretto tra le dita e tentando di svicolare dalle porte ormai aperte sull'ampia, quanto vuota, hall di vetro “Vedi? Siamo l'uno la copia dell'altro...forse in barricate diverse... però, insomma, vacci! Ok? E' brava!” aggiunse con un grido supplementare mentre Hood si allontanava a gambe levate. “Simpatico...” sorrise tra sé.

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Quando Peter rientrò, trovò il dottor Strange che sbraitava, bianco in volto, parole pressoché incomprensibili a una Sharon Carter dall'aria annoiata o allarmata. Non era chiaro.
Quello che era sicuro era il fuoco che continuava a divampare dal grattacielo davanti a loro e che, a causa della pareidolia, sembrava recasse al suo interno un gigantesco volto demoniaco.
“E' Dormammu, ti dico!” urlò ancora, isterico il dottore. “E' opera di Hood! Dove si è cacciato quel cretino che combina questi casini?”
A quel punto, seccata seppur stremata, la giovane Illyana si alzò in piedi e sbottò “Ci penso io... vecchio!”
In un batter di ciglia era sparita e altrettanto rapidamente il fuoco al di là del vetro era sparito lasciando tutti a fissarsi stupefatti e sbalorditi. Solo Daimon Hellstorm non sembrava impressionato più di tanto. L'amica della mutante e sorella di Pietro, Scarlett, invece, sembrava essersi rabbuiata alla scomparsa della bionda.
“Sarà il caso di proteggere questo posto...” mugugnò Jericho Drumm affiancando l'uomo che fino a pochi secondi prima starnazzava incontrollato “Avanti Stephen...dammi una mano...son troppo stanco per farcela da solo...” disse tirando il collega per un braccio.
“Mi hai dato del vecchio?” domandò stordito lo stregone, lasciando che l'haitiano lo trascinasse in centro alla sala.
“Eh sì!” sbottò giulivo Stark per un goccetto di troppo, riemergendo, sporco di grasso, da dietro la sua armatura per la quale, sbronzo com'era, aveva appena trovato una qualche miglioria da apportare immediatamente e che non poteva aspettare il giorno dopo “I capelli bianchi donano solo a George Clooney! Bevici su!” disse, mostrandogli la bottiglia quasi vuota, invitandolo a unirsi a lui.
E così come era scomparsa, Illyana Rasputin tornò in un bagno di luce. Mentre il portale scompariva ai suoi piedi, si accasciò al suolo, esausta.
Il giovane esorcista, dal petto scarificato con il pentacolo rovesciato, si fece trovare nelle vicinanze e la sorresse quando le cedettero le gambe. “Sei stata in gamba...” mormorò reggendola per le spalle. La giovane mutante era così debole che non si oppose e, addirittura, lasciò che lui la prendesse in braccio. Daimon fece per rivolgersi a Stark ma, trovandolo totalmente inaffidabile, si rivolse all'agente 13 per sapere dove poteva far stendere la ragazza. Sharon lo guidò tra i corridoi come se il palazzo fosse casa sua. Quando l'ebbero spogliata sommariamente e le ebbero rimboccato le coperte leggere, l'agente della squadra paranormale annunciò alla donna che l'indomani mattina sarebbe tornato a Las Vegas dalla sorella “Per quanto siano tesi i nostri rapporti, penso che ne sappia qualcosa...e se non dovesse saperlo, ritengo di doverla informare...” si era giustificato e la bionda non aveva aggiunto altro. Non sapeva nemmeno se lei stessa dovesse informarne Fury poiché poteva benissimo essere che l'uomo davanti a lei avesse già riferito.
“Avresti anche una moglie da avvisare...” fece, allora, Sharon, sovrappensiero, senza alcuna intenzione di creare polemiche o spiegare a chicchessia come comportarsi.
“Oddio!” imprecò quello “Quella stupida donna invadente... Tu non dire nulla a Patsy, ok? Sennò mi perseguiterà coi suoi conigli rosa...”
Sharon evitò di indagare sugli strani animali da compagnia degli Helstorm-Walker e, accompagnato Hellstorm in un'altra stanza perché riposasse, tornò nella sala dove i Vendicatori erano tutti riuniti come bambini in campeggio che tirano tardi a dispetto degli adulti controllori. Al di là del vetro, la torre di Osborne si confondeva nella notte, nera di fuliggine e distruzione “Tutti a letto! Non c'è più niente da vedere!” disse con un tono di voce abbastanza alto da farsi udire da tutti ma non tale da costringerla ad urlare “Domani ci aspetta un'altra giornata interessante, avanti!” li incoraggiò sentendosi più una mamma che una collega per tutti loro.
Ora capiva cosa intendeva dire Coulson: loro, gli agenti regolari come loro, erano tagliati fuori da quel genere di beata stupidità che contagiava anche agenti esperti ma particolari come potevano esserlo gli agenti Drew, Barnes, Barton, Romanoff. All'inizio, forse, quei quattro erano riusciti a resistere a quel carisma magnetico ma, alla fine, ne erano stati risucchiati in brevissimo tempo.
Tirò un sorriso dispiaciuto: d'altronde loro erano tutti superumani.
Le persone normali, per quanto venissero coinvolte da personalità eccentriche, erano escluse dal club da un muro invisibile quanto involontario. E non erano i poteri in sé a delineare quel muro quanto l'incoscienza e le soluzioni a dir poco creative che li caratterizzavano.
Quella doveva anche essere, con ogni probabilità, la spiegazione al cameratismo mutante.
Non era nulla di nuovo sul fronte psicologico: persone che vivevano insieme eventi traumatici seppur brevi, proprio per la loro intensità ne erano legati come se lo fossero stati dalla nascita. E non esistevano racconti affascinanti di zie e nonne che potessero tenere il passo: per quanto leggerne o sentirne parlare attivasse i neuroni specchio, la scarica adrenalinica che caratterizzava l'evento vissuto di persona non poteva essere replicato. Sfortunatamente per i comuni mortali come lei.





1    Infatti è l'amante del Dottor Strange.

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Eccomi eccomi eccomi
Scusatemi per l'assenza improvvisa ma è stata una settimana intensa e assurda. La prima parte di settimana son stata così impegnata da non avere il tempo nemmeno per andare in bagno. Quando si era ormai fatto mercoledì -e volevo aggiornare- ecco che mi ammalo. Son stata a letto con una stupida febbriciattola che mi impediva di capire che cavolo stessi leggendo, figurarsi correggere e postare.
Venerdì sera ero guarita ma son stata risucchiata di nuovo in eventi familiari che mi han vista libera solo sabato sera. A quel punto... =_= aggiornavo oggi.
Vi chiedo immensamente scusa... e vi ringrazio per la pazienza.
Dunque. Son tutti salvi, Illyana si è dimostrata una mutante coi controfiocchi... che succede a Westchester? :D dai dai...ci stiamo avviando al finale... provate a immaginare :3
E per ogni rigerimento all'accoppiata (che aborro) Rogue+Magneto non c'è nulla di casuale: era una strizzata d'occhio all'universo 616. Ma tale resterà, sia chiaro!
Alla prossima!


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Capitolo 23
*** X-Factor ***


23. X-Factor






Il mattino dopo, di buon'ora e dopo una sostanziosa colazione, gli ospiti alla Stark Tower si erano divisi nuovamente in due squadre. Una, composta dagli agenti S.H.I.E.L.D. sopraggiunti il giorno prima, impegnata nell'assistenza delle vittime di Osborne; l'altra diretta a Westchester che riaccompagnava a casa il nutrito gruppo di mutanti, preoccupati per lo strano silenzio radar da parte dei leader dei due movimenti contrapposti come di tutti loro studenti e accoliti.
“Ripetimi perché state venendo anche tutti quanti voi, in pompa magna” Piagnucolò Wade, legato come un salame sul fondo del QuinJet, quasi fosse l'unico autorizzato a essere incluso nel gruppo mutante.
“E diglielo, Nat...” gli fece eco l'agente Barton che non ne poteva più delle insistenze del mercenario.
“Va bene, Wade...” ghignò la rossa sporgendosi sadica verso il canadese chiacchierone “Veniamo tutti perché non abbiamo assolutamente di meglio da fare. Ti va bene come risposta?”
“A parte gli scherzi...” cominciò Logan squadrando il piangente Wade tra il divertito e l'irritato “...non c'era bisogno...”
“Io dico di sì...” intervenne Steve Rogers, avanzando tranquillo nel corridoio dell'aereo senza servirsi delle apposite maniglie per mantenere l'equilibrio. “La cosa è sospetta...”
“Disse lo stratega...” commentò Iron Man prima di rituffarsi nel suo sacchetto di carta.
“E tu perché non voli all'esterno, visto che stai tanto male a viaggiare chiuso in una scatola come questa?” domandò petulante Pietro, come sempre facilmente irritabile.
“Non volevo perdermi i pettegolezzi...” replicò sarcastico il magnate prima di lanciare un'occhiataccia al fondo del velivolo dove la sua armatura giaceva immota in autoriparazione, accoppiata a una Visione apparentemente ibernata che ne controllava i sistemi operativi. Chi l'avrebbe mai detto che i ruoli si sarebbero invertiti a quel modo?
“Come dicevo...” continuò Rogers, folgorando Tony con lo sguardo, il quale gli rispose con un sorrisino innocente “E' sospetto che non risponda proprio nessuno... E la dottoressa Cooper non ha ancora dato sue notizie...”
-Preparatevi all'atterraggio- comunicò Kurt, dall'altra parte del velivolo tramite l'interfono.
“La scuola c'è ancora?” domandò Rogue al fratello, urlando dal fondo della carlinga.
“E tu perché non sei fuori in ricognizione? Così lo sapresti e non assorderesti tutti coi tuoi modi da grezza contadina del sud...” replicò ancora Pietro.
Rogue tirò un gran respiro prima di rivolgersi al figlio di Magneto “Non so se meriti risposta... e non credo tuo padre ti abbia educato così...”
“Infatti...” rispose ancora lui, polemico “Se n'è ben lavato le mani, il grand'uomo...”
“Pietro!” lo riprese Mystica assumendo l'aspetto dell'uomo in questione “Basta così!”
Pur sapendo di aver a che fare con la mutaforma, Pietro calò immediatamente le penne.
Nel silenzio del ventre dell'aereo, cullati solo dal rombo dei motori, la suoneria di un cellulare squillò prepotente e inopportuna.
“E' mio, scusate, scusate...” disse Tony, riemergendo dal suo sacchetto. “Vivavoce, grazie.” disse sfilandoselo appena dalla tasca dei pantaloni.
-Tony, dove diavolo sei?- sibilò la voce di Pepper, chiaramente alterata.
“Ehm.... sono a prendere una boccata d'aria...”
- Con l'armatura? Proprio quella distrutta?-
“Senti, Peps...”
- No, non voglio sentire le tue scuse...- lo zittì lei -Tanto sarebbero patetiche bugie... Piuttosto, voglio che tu mi spieghi che cos'è quest'odore di bruciato che impregna ogni stanza dell'attico. Che cavolo hai combinato, 'sta volta? Il laboratorio è più in basso...-
“Ehm... Pep... come? Non ti sento...” disse mordendosi le labbra “Non c'è..... ampo. La ...inea è dis...bata. De... anda... Ciao.”
“Patetico” commentò Natasha quando Tony ebbe riagganciato
“Avevi idee migliori?” replicò lui folgorandola con lo sguardo e tornando a nascondere il viso nel suo amato sacchetto.
“Non trovo corretto mentire così alla propria compagna”
“Ha parlato la regina della trasparenza” replicò quello, la voce ovattata. Natasha gli scoccò un'occhiata glaciale ma non replicò.
Un silenzio teso e nervoso calò nuovamente nella stiva.
Pochi minuti dopo, il suono tipico del cellulare per i messaggi in entrata riecheggiò allegro e quantomai fuori luogo.
“Non sono io!” ringhiò Tony, sentendosi gli sguardi dei compagni puntati addosso.
Invece, la maggior parte dei presenti, incuriositi, stavano osservando la sua vicina che si stava affaccendando sul suo dispositivo portatile con dita leggere che volavano veloci sul piccolo monitor.
“Tony...” mugugnò Janet poco dopo, richiamando l'attenzione del magnate. Quello levò appena lo sguardo dal suo sacchetto e a lei, che pure non lo guardava, bastò come dimostrazione di interesse “Hai presente Simon? Quello che solo ieri ci ha dato uno strappo a casa a L.A.?” Senza aspettare una vera risposta, la signora Pym continuò per la sua strada “Beh, mi ha appena scritto che un nostro amico comune, Marc Spector, quello che non riuscivo a raggiungere al telefono, è rientrato dai suoi viaggi... sai che lo dava per disperso e si stava preoccupando?” ancora una volta, Janet non diede nemmeno il tempo a Tony di elaborare un qualunque pensiero e continuò “...Vorrebbe mandarlo in terapia... da noi... 'che siamo esperti di cose strane. Dice che è ritornato... eccentrico. Più del solito. Blatera qualcosa al riguardo di Lune ed Egitto... ti pare abbia senso?” domandò infine, poggiando il telefono sulle gambe con fare seccato.
“La risposta è: Sailor Moon!” cinguettò Deadpool
“Taci, una buona volta!” ringhiò Clint, ormai al limite della sopportazione, tentando di rifilargli un calcio nel costato.
“Egitto non mi dice nulla...” replicò a stento Iron Man.
“A te, Clint...?” domandò Janet avendo notato come l'arciere si fosse irrigidito e fatto nervoso.
Quello sbuffò e si volse a fissarla “Non c'entra nulla...”
“Ne sei sicuro?” domandò ancora la donna, ora più curiosa.
“Scusate...di cosa parlate?” domandò Thor dopo aver levato educatamente la mano.
Janet lanciò un'occhiata sbieca all'arciere che restò ostinatamente muto, quindi a Natasha che, anche lei, taceva noncurante. Quindi appuntò lo sguardo su Wade che rotolava per terra, isterico ed euforico al contempo. “La moglie di Clint è morta in Egitto, in una delle basi S.H.I.E.L.D. ancora diversi anni fa...”
“Janet!” intimò il biondo. Il ricordo era ancora doloroso, nonostante non l'amasse più -o non l'avesse mai amata-. Bobbi era morta in modo stupido. Stupido per un agente abituato a tutto. Per qualche strano motivo ci si aspetta che agenti ed eroi andassero per forza in contro a morti eroiche ed onorevoli. Ma Bobbi era stata colpita alle spalle da agenti HYDRA infiltrati nella base egiziana sotterranea, nascosta tra le dune del deserto e invisibile anche ai radar. Era da quel momento che lo S.H.I.E.L.D. aveva abbandonato definitivamente le basi terrestri, preferendo singoli velivoli grandi come città volanti ma inespugnabili in quanto, seppur in piena vista ed isolate, come roccaforti medievali, dominavano l'orizzonte e ogni attaccante sarebbe stato prontamente neutralizzato.
L'attacco era stato portato in un momento di calma relativa, quando i migliori agenti erano impegnati altrove, a Parigi, nel tentativo di impedire ad HYDRA, in possesso delle avanzate tecnologie della MARS Industries, di radere al suolo mezza Europa. Teatro dello scontro principale, nonché epicentro della tentata annichilazione europea prima e globale poi, Parigi e il suo simbolo, la Torre Eiffel. Era in quell'occasione che Natasha e Wade avevano collaborato l'ultima volta: impedire la letterale corrosione del simbolo della Francia ad opera di nanomacchine divoratrici di sostanze ferrose.
Il QuinJet atterrò delicatamente e distolse gli interessati dai loro pensieri e dai loro cupi ricordi. Uno dopo l'altro, Vendicatori e X-men scesero alla spicciolata e si allargarono a ventaglio sotto il muso del velivolo.
“Beh?” domandò Logan, risentito
“Beh, cosa, nanerottolo?” replicò Pietro
“Chiamami ancora così, Speedy Gonzales, e, quant'è vero Dio, ti faccio ingoiare tutti i denti...” ringhiò quello di rimando
“Devi prima riuscire a prendermi...” replicò quello
“Fatela finita tutti e due...” tuonò stanco il Dottor Strange che non era voluto tornare al suo attico a Greenwich Village in nome dell'amicizia con Xavier. “Dicevi, Logan?”
“Nessun missile, nessuna bomba... nessuna imboscata... è strano!” commentò Ororo, anticipando l'artigliato.
“Scusa... ma che razza di scuola lancerebbe razzi?” domandò stordito e inorridito Cap.
La mutante stirò un sorriso mesto ma orgoglioso al contempo “Beh, sai, siamo abituati a essere temuti e odiati. Ci proteggiamo, semplicemente. Soprattutto da attacchi aerei.”
“Anche le scuole del Wakanda hanno simili sistemi difensivi...” minimizzò anche T'Challa, contribuendo, però, a dipingere un quadro di stranezze moderne che il capitano faticava a metabolizzare.
Rogers avrebbe voluto replicare ancora ma il rombo di un motore lontano lo trattene. Si era abituato a tutto, ormai. Ma che una scuola per gente diversa dovesse adottare quel genere di misure cautelative gli sembrava decisamente eccessivo.
Il rombo di un'auto sportiva crebbe con il profilarsi all'orizzonte del mezzo governativo, nero e scintillante: uno strano contrasto tra la rumorosità delle prestazioni e l'anonimato della carenatura.
Il gruppo di Vendicatori non si mosse da sotto il QuinJet. Era una posizione che dava loro un'istintiva sensazione di sicurezza: in caso d'attacco, prima sarebbe stato colpito l'aereo.
L'auto dai finestrini scuri inchiodò davanti alla punta del jet, quasi volesse sfidare il mostro d'acciaio con il suo rostro corazzato.
Dal mezzo ne discese una donna, altrettanto anonima, vestita di anonimi abiti neri, il cui volto era celato da anonimi e banali occhiali da sole dalla foggia tutt'altro che innovativa. Una serpentina ritorta, incapsulata in una guaina di gomma, faceva capolino all'altezza della basetta sinistra per poi scomparire all'interno del padiglione auricolare.
“Valerie Cooper, Dipartimento Affari Mutanti” si annunciò con professionalità stringendo l'anonima ventiquattrore nera in pugno a cui era legata da un paio di manette, come se da quella cartella dipendessero le sorti mondiali. Data la sua serietà -e gli uomini, armati fino ai denti, che erano scesi dall'auto a proteggerla- sicuramente lei riteneva fosse davvero così. “Il nostro gruppo di analisti, X-factor, come l'agente Carter vi avrà già informato, ha il compito di monitorare le attività mutanti sospette, stilare profili e delineare possibili scenari futuri: in pratica, antiterrorismo. Nulla di più e nulla di meno di quello che fanno altri enti in modo molto più capillare e quotidiano. Chiarito questo dettaglio, così che non corriate subito a protestare dai vostri avvocati per intentarmi causa per razzismo o specismo o qualunque altra puttanata vi salti in testa, passo a fornirLe i dati raccolti.” disse fissando Capitan America. “Lei solo ha l'autorizzazione per consultarli.”
“Come se poi non li condividesse con tutti noi...” farfugliò Stark indispettito.
Valerie lo squadrò con un'occhiata glaciale, tipica delle donne come lei. La battuta, ammesso che volesse essere tale, non era divertente.
C'erano due tipi di donne, nella mente di Anthony Stark: quelle che possono essere conquistate, più o meno agevolmente, per fini più o meno ludici, gretti e opportunisti e quelle che, invece, belle o brutte che fossero, erano dotate di un'autostima così forte o di una sicurezza così salda in loro stesse che nessuna lusinga le avrebbe mai piegate. C'era da dire che tante, che apparentemente sembravano appartenere alla seconda categoria, erano quelle che, invece, si piegavano più facilmente di tutte le altre, vinte da un complimento mai ricevuto o frainteso, pur se oggettivamente stupende, brillanti, interessanti e simpatiche. Valerie apparteneva sicuramente alla seconda categoria. E non perché fosse fresca di divorzio consensuale che l'aveva lasciata in ottimi rapporti con l'ex marito, di cui la fede al collo era un chiaro segnale. Semplicemente, non era il tipo di donna che avrebbe mai preso sul serio (o anche solo in considerazione) una persona frivola come lui.
La dottoressa Cooper consegnò la valigetta, da cui non intendeva separarsi, al capitano Rogers che si spostò sul cofano della macchina ancora caldo per consultare le carte con una certa agevolezza.
“Ci farebbero proprio comodo dei giovani come voi...” disse a un certo punto la donna, spostando lo sguardo tra Rogue e Pietro che si guardarono perplessi “Nel nostro gruppo, intendo. Qualche mutante che sappia leggere i comportamenti dei suoi simili...”
“Non siamo traditori della nostra razza!” sibilò Pietro.
Valerie assottigliò lo sguardo, divertita “No, certo. Ma avete contatti, seppur indiretti quando non proprio privilegiati, con le persone più potenti se non pericolose di questo mondo. Nathaniel Essex, Eric Lensherr... Charles Xavier... solo per citarne alcuni.” scandì appuntando lo sguardo su ciascuno di loro. “E tutti possono diventare un problema per i loro simili... figurarsi le figure che emergono nel panorama attuale. Lo sapevate che esistono dei protocolli, scritti in lingua Shi'ar, che descrivono nel dettaglio la strategia da adottare per annientare i poteri di qualunque mutante sia noto al professor X? Ma, la domanda più ficcante è: chi controlla il controllore? Esiste una strategia per fermare anche l'ideatore dei protocolli X, Charles Xavier?”
“Senti bella, son stato a sentirti anche troppo... Chuck non farebbe mai una cosa del genere!” tagliò corto Logan, infastidito.
“Non mi sorprende che tu sia stato tenuto all'oscuro di tutto dato che sei quello di cui si fida di meno...” replicò la bionda zittendolo e tornando a concentrarsi sui più giovani. “Allora? Che ne dite? Avreste un vostro ruolo sociale, coordinereste altri come voi... Per non parlare delle agevolazioni di cui godreste...”
“Io... io devo pensarci...” bofonchiò Pietro, le cui parole scatenarono le ire della sorella
“Tradiresti tutti noi?” tuonò Wanda, i capelli neri improvvisamente elettrici.
“Proteggerei tutti noi...” replicò quello nel tentativo di calmarla “Pensaci... potrei tenere d'occhio questi burocrati senza che nemmeno se ne accorgano. E papà sarebbe finalmente fiero di me...”
“Io ci sto...” disse Mystica infilandosi nel discorso.
“Non farci ridere Raven...” replicò Logan “Sei l'ultima persona di cui il governo potrebbe fidarsi. E non sei giovane...”
“Effettivamente il tuo passato ti precede ma saresti davvero un'ottima talpa.” concordò Valerie.
“Ma per favore! Allora io sono uno dei più potenti eroi della Terra...” replicò ancora Logan
“Onestamente... sì. Sei praticamente immortale e, Magneto a parte, nessuno può fermarti... credo che saresti stato utile contro l'orda di alieni spaziali che si è abbattuta su New York qualche tempo fa”
“Ma sentite che stronzate!”
“A questo punto è ovvio che Rogue sarebbe una raccomandata!” scherzò Pietro, già immaginandosi in una scintillante uniforme austera e intimidatoria “Con mammina superspia e papino brutale vendicatore, non poteva venire fuori nulla di meglio...”
“Tappati quella bocca” replicò la Bella del Sud.
“Altrimenti cosa?” la sfidò ancora Pietro, impertinente.
“Però devi dargliene atto, zucchina...” concordò Logan che se la stava rideva di gusto “Sei brutale quanto me... e puoi ottenere le stesse informazioni di Raven. Se non anche di più. Io ci farei un pensierino...”
“Già, così cambio aria, conosco nuova gente... e magari mi tolgo anche un certo Cajun dalla testa, vero? Hai dimenticato un dettaglio: non posso!” sbottò nevrastenica la mutante indicandosi gli occhi completamente neri con la mano da cui guizzava incontrollato il potere cinetico del ladro.
Logan e Mystica non si lasciarono impressionare e, con un'alzata di spalle, risposero in sincrono “L'hai detto tu...”
“Io dico solo che devi pensare prima di tutto a te stessa...” commentò Logan “Se cambiare aria ti facesse stare semplicemente un po' meglio, allora fallo!”
“Se abbiamo finito con le riunioni familiari...” tossì Valerie, per richiamare l'attenzione di tutti, avendo notato come Cap fosse alla fine dei suoi documenti. Si frugò nella tasca interna della giacca e ne estrasse dei sobri biglietti da visita governativi e li porse ai mutanti. “Nel caso cambiaste idea...” aggiunse mentre Roger si rimetteva in piedi e riconsegnava gli incartamenti alla legittima proprietaria e custode. Il capitano salutò cordialmente con una salda stretta di mano la dottoressa, ringraziandola della gentile condivisione.
Stark, dal suo cantuccetto, ancora una volta, faceva loro il verso, scatenando ilari reazioni tra gli agenti S.H.I.E.L.D. più sfaticati e genuini del gruppo, rimasti con lui nelle retrovie, e domandandosi dove potesse essere nascosta la gentilezza in quella dannata sanguisuga governativa che tutta si credeva.
Valerie e i suoi uomini risalirono in macchina e, con una violenta accelerata, così come erano arrivati, altrettanto rapidamente, se ne andarono.
Quando la nube sollevata dal passaggio dell'auto si fu depositata nuovamente al suolo, Cap si rivolse a tutti con aria solenne. In quelle carte aveva trovato qualcosa di terrificante che necessitava dell'attenzione di tutti e di menti diversamente abili.


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Raga, poco da dire sto giro.
Sto soffrendo quanto basta per l'estrazione di un dente del giudizio e non ce la faccio a connettere. Soprattutto sono di nuovo con la connessione 56k in quanto, col fratello, non si sa come, abbiamo esaurito il traffico a disposizione...vabbé capita.
Solo una cosa su Barbara-Bobbi-Mimo- Morse. Non mi è mai piaciuta. Mai. E mai ho capito cosa ci trovasse Clint in una zitella simile. Cmq. A parte questo, voglio ricordarvi che tutta la storia della morte di Barbara (e della storia Egitto/Parigi/MARS industries) l'avevo presa volontariamente come crossover con il primo film dei G.I. Joe. Riguardatevi i primissimi capitoli e capirete.
Tutto qui
Ci sentiamo decentemente quanto prima. ;)

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Capitolo 24
*** I codici Xavier ***


24. I codici Xavier






Steve stava ancora osservando, ipnotizzato, la scia di polvere sollevata dall'auto di Valerie Cooper quando Stark, sbottò, inquieto e impaziente. “Si può sapere cosa diamine c'era scritto su quei fogli, Mister For your eyes only?”
Roger si riscosse, come risvegliandosi da un sogno “Scusate...” disse a giustificazione, passandosi la mano tra i corti capelli biondi. Quando avvertì su di sé lo sguardo penetrante e carico di interesse ed aspettativa della giovane mutante che rispondeva al nome di Wanda, il nervosismo e l'imbarazzo crebbero all'istante “Dunque... sembrerebbe che due giorni fa... o meglio.. trentasei ore fa, più o meno nelle stesse ore in cui anche noi, al Triskelion, eravamo sotto attacco da parte di...” si interruppe, ricordandosi di come Rogue fosse inconsapevolmente colpevole di troppe cose. Si schiarì la voce, a disagio, e continuò “Il rapporto parla di un'operazione repentina e chirurgica.”
“Che diavolo vuol dire?” grugnì Logan già all'erta.
Cap si volse a fissarlo dritto negli occhi e, quando parlò, le sue parole suonarono lapidarie come una condanna a morte “Non c'è rimasto nessuno...”
“Sono tutti morti?” Rogue, la voce più acuta di un'ottava per l'angoscia, sbiancò all'idea.
“No... cioè... non sanno dirlo. Nella scuola non c'è nessuno. Come se, all'improvviso fosse stata fatta evacuare. Dai rilevamenti, però, non risulta nulla di tutto ciò. Sembrerebbe siano stati tutti narcotizzati contemporaneamente ed estratti ad uno ad uno senza spostare nulla.”
“O teleportati” commentò qualcuno dal mucchio
“O teleportati...” concordò Steve “Non ci sono segni di lotta, di effrazione, di tentata fuga... nulla. E, sempre secondo i rapporti, non manca nulla nell'inventario: non sono scappati portando con sé solo il minimo indispensabile. Per il gruppo di analisti di X-factor, il tutto rimane un mistero”
“Ma di chi stiamo parlando? Alieni? Oddio... anche voi vi siete fatti un giro in disco di recente e ancora nessuno non mi ha spiegato nulla...” domando l'agente Barton, accusando implicitamente Natasha di avergli taciuto notizie essenziali. “ E ormai non dovrei più sorprendermi di sentir parlare di alieni... E dove li avrebbero portati, poi? Voglio dire...se non ricordo male stiamo parlando di almeno un centinaio di ragazzi” domandò allibito.
“Duecentosessantuno, per la precisione” lo corresse Logan “Sono docente e li conosco tutti...”
“E cosa può mai insegnare uno come te? Tecniche di sopravvivenza?” Lo canzonò, spavaldo, Pietro.
“Come dissi già anni fa ai genitori del tuo amico Drake, dei W.A.S.P. fino al midollo e altrettanto scettici... Arte” lo rintuzzò con un sorriso tirato, sfoderando gli artigli con noncuranza, lasciando sottintendere a quale arte si riferisse. D'altronde, quella della guerra e del combattimento, in diverse parti del mondo era considerata una vera e propria arte. E lui seguiva strettamente i precetti del Bushido.
“Per rispondere alle tue domande, Clint...” continuò Cap “... queste sono alcune delle domande a cui non sanno rispondere.”
“Insomma, non sanno un accidenti” commentò seccato Kurt, incrociando le braccia al petto e frustando l'aria con la coda lanceolata.
“Possiamo entrare a casa nostra e dare un'occhiata? Magari cogliamo cose che quei burocrati guardoni non hanno notato...” domandò Wolverine.
“Veramente sarebbe tutto transennato...” replicò Cap lasciando intendere quanto desiderasse dargli il via libera.
“Nessuno parla di infrangere i sigilli...” commentò Mystica con un ghigno, supportando il collega “Abbiamo ben due teleporta...”
-Tecnicamente i sigilli sono messi per evitare che la gente entri in un dato ambiente e lo contamini...- replicò la Visione che, da lontano, aveva immagazzinato tutti i dati dei documenti consultati da Rogers e cercava di analizzarli sotto un'ottica più analitica.
“Spegni quella lattina...” replicò Rogue, rivolta al fratello che sghignazzò in risposta ma non si mosse.
“Facciamo così...” propose Natasha “Lasciamo che siano i mutanti a tornare a casa... e a contaminare le prove... noi li aspettiamo qui...”
“Bel modo per lavarsene le mani, principessa!” replicò Logan
“E' un modo intelligente per pararci il culo tutti quanti, zietto” rispose altera la rossa. “Se siete stati voi... noi non ce ne siamo accorti... Non possiamo testimoniare né per voi né contro di voi... e poi è casa vostra: le vostre impronte saranno già ovunque in ogni caso.”
“Mi sta bene!” replicò quello agguantando Rogue per il braccio e trascinandosela dietro “Avremo bisogno dei tuoi poteri...” l'avvertì mentre chiamava a raccolta gli altri. “Ororo, tu no. Tu e Warren dovrete fare una ricognizione aerea, valutare qualunque cosa fuori posto si possa notare solo dall'alto. Chi è stato qui non è certo stupido e di sicuro non ha lasciato tracce evidenti per i federali... che, in una visione più estesa, magari raccontano tutt'altra storia.” Non appena i due gruppi furono ben distinti, lanciò un'occhiata alla piccola Illyana “Te la senti di portarci tutti dentro?”
La bionda lo osservò con sguardo vacuo per alcuni istanti, quindi annuì. Subito una spada lucente le comparve in pugno e, dopo aver mormorato qualche frase incomprensibile ai più, un luminoso disco lucente comparve ai piedi del gruppo mutante. Quel disco di luce si alzò rapidamente verso l'alto, cancellando al suo passaggio ogni traccia dei suoi occupanti.
“Non era meglio una smaterializzazione alla Star Trek? Dio, sembra siano stati cancellati dalla faccia della Terra, come la gomma su Photoshop...” mugugnò Janet esterrefatta

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Quando i mutanti si rimaterializzarono all'interno della villa, un silenzio soffocante avvolgeva l'ambiente. Ogni stanza, solitamente invasa dalla vitalità esuberante di ragazzi in pieno sviluppo, rimbombava tetra dei loro passi mentre si aggiravano guardinghi in cerca di qualunque prova o traccia avessero potuto trovare.
“Ha qualcosa di inquietante...” commentò Kurt, quello più avvezzo alle ombre dell'animo umano. Al suo fianco, la sorellastra annuì sovra pensiero.
“Tu non senti nulla?” domandò, quasi ringhiando, Pietro, nervoso e impaziente.
Logan scosse la testa “Avrò bisogno di una mano...” disse tendendo la mano nuda verso la giovane mutante dalla ciocca argentina e gli occhi come tizzoni ardenti che lo seguiva dappresso. Rogue, al gesto del canadese, si ritrasse immediatamente nonostante ci fosse un metro buono a separarli. “Avanti, Rogue... So che non è piacevole avermi in testa... ma possiamo dividerci e semplificarci il lavoro...”
“Io direi che potrebbe fare anche tutto lei...” replicò Mystica, mani ai fianchi.
“Scansafatiche!” la rimproverò l'artigliato beccandosi in risposta un'occhiata di sufficienza.
Con estrema grazia, Raven agguantò Pietro per il colletto della camicia e, senza soffocarlo con lo stesso, lo costrinse a voltarsi verso la figliastra, come non fosse altro che un gattino preso per la collottola. “Si chiama ottimizzazione delle risorse... perché fare da solo se lei può fare tutto in dieci secondi?”
“Ehi!” cominciò a scalciare il giovane albino nel tentativo di liberarsi “Che c'entro io?”
“Non farci perdere tempo inutile!” lo rintuzzò la donna.
“Ho capito cosa stai pensando! Ma non ci penso proprio a farmi toccare da quella!” strepitò isterico a una velocità appena udibile.
“Quanto sei infantile...” replicò Mystica roteando gli occhi. In tutto quel trambusto notò che anche Wanda, la sorella taciturna del velocista, sembrava infastidita dal casino che quello produceva ogni volta che apriva bocca. “Wanda... ti dispiace?” le domandò con fare complice e un sorriso incoraggiante.
Sentendosi tirata in causa, la strega gitana sbarrò gli occhi e nascose le mani dietro la schiena “Meglio di no...” biascicò “Succedono cose strane quando...”
“Oh, suvvia... non credo che tuo fratello si sottrarrebbe mai al suo ruolo di cavia, visto quanto tiene a te... e quanto rompe a noi ogni volta che si parla di te... facci un favore...vuoi?”
Wanda sembrò meditare sulla richiesta mentre Pietro imprecava rivolto alle tre donne che cospiravano contro di lui, povero santo, e che dovevano avere seri problemi col genere maschile in generale per essere così acide e sadiche. Ma quando se ne uscì recriminando sul fatto che la strana coppia madre-figlia era composta da pervertite che si concedevano con facilità mentre la sua adorata sorella sarebbe rimasta al riparo da viscidi lupi libidinosi se non altro perché aveva ricevuto ben altra educazione, Wanda sibilò un “Cuciti la bocca!” inviperita e paonazza.
“Se non ti spiace, Anna, io ne approfitterei...” commentò Mystica, divertita mentre Pietro realizzava, sconcertato, di avere improvvisamente le labbra incollate e letteralmente cucite tra loro.
Rogue sbuffò ma si tolse un guanto e appoggiò appena il palmo sulla guancia del giovane, ricevendone immediatamente tutta la carica adrenalinica e la sensazione che il mondo girasse al rallentatore. Il contatto fu più fugace del solito ma altrettanto potente. Il potere di del fulmine d'argento aveva velocizzato anche il suo potere primario: se il contatto si fosse prolungato secondo i tempi a lei noti, probabilmente l'avrebbe ucciso.
“Coraggio, cocca... almeno mi conosci... non posso essere tanto peggio di Pietro...” ridacchiò il canadese, porgendole ancora la mano che lei sfiorò appena con la punta delle dita. “Tutto qui?” domandò perplesso lui, osservando la brevità del contatto.
Lei annuì e sorrise. “Ci mettiamo al lavoro?”
“Dammi un po' di vantaggio...” replicò lui
“Ti do cinque minuti... fatteli bastare...” rispose con un ghigno mentre sfilava veloce tra le stanze che erano la loro casa.
“E noi stiamo solo qui ad aspettare?” domandò Kurt, sedendosi a gambe incrociate per terra.
“Puoi metterti anche tu a cercare qualcosa di utile... visto che è il tuo pane: computer, macchine...?” replicò Mystica
“Mmm...sì... meglio che dia un'occhiata... Illyana, vieni con me?” domandò rivolto alla biondina inquietante che annuì e, sfoderata nuovamente la sua spada, scomparve in un disco lucente.  “Mi ha preceduto...” imprecò, attonito, bamfando via in una nuvola di zolfo nera.
Nel lungo corridoio, i mutanti originari della Confraternita erano rimasti soli. Soli a casa degli avversari. Quale preziosa occasione si profilava all'orizzonte.
“Direi che ora puoi pure liberarlo...” disse la mutaforma a quel punto, essendosi divertita a sufficienza a vedere Pietro angosciato e disperato che cercava di liberarsi dal suo magico bavaglio. Wanda l'osservò accigliata, quindi lo liberò con un emplice gesto della mano.
Pietro continuò a grattarsi la bocca rabbiosamente per qualche secondo prima di rendersi conto di essere tornato normale.
“MA SIETE PAZZE?!” urlò non appena si accorse di essere tornato normale. “Ti rendi conto che potevo morire soffocato??”
“Volesse il cielo...” replicò Mystica, già pentitasi del contrordine. Ma anche Wanda si era ricreduta e, con un leggero movimento del polso, imbavagliò stretto il fratello, lasciandolo cadere su un fianco, incaprettato da una corda misteriosa e impossibilitato dal liberarsi tanto facilmente.
“Mi piaci, ragazzina...” commentò la mutaforma “E ora facciamoci un po' i fatti degli X-men, vuoi?” domandò allontanandosi in direzione diametralmente opposta a quella presa dal suo compagno di Arma X e dalla figliastra.

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Stranamente, i computer non rispondevano ad alcun comando da lui conosciuto. E dire che era uno dei pochi capaci di lavorare sul sistema di raccolta e classificazione dati chiamato Cerebro. Kurt inclinò la testa di lato, meditabondo. Nessuna password sembrava funzionare e anche il riavvio manuale forzato aveva dato esito negativo. Sembrava quasi che la memoria del super computer fosse stata cancellata. O meglio, formattata più volte per impedire un qualunque ripristino. Quindi erano ciechi, sordi e muti: nessun filmato di sorveglianza perimetrale, nessun dato ambientale... niente di niente. Nemmeno se gli sciacquoni erano ancora in funzione.
“Non oso pensare cosa voglia dire entrare nella stanza del pericolo in queste condizioni. Nel migliori dei casi è sigillata o non operativa. Nel peggiore, inarrestabile. Vabbè che né Anna né Logan avrebbero problemi... però...”
“Se provassimo a entrare in ambiente DOS cambierebbe qualcosa?” suggerì la bionda al suo fianco che aveva assistito in silenzio a tutte le operazioni dell'elfo blu.
“Com'è che una fraulein come te conosce una cosa preistorica come DOS?” domandò Kurt, sorpreso.
“In Russia, i fortunati che possiedono un pc... i fortunati della classe borghese, si intende... non i ricchi ricchi... sono tali se possiedono un pc con una vecchia versione Chicago. Whistler è ancora troppo recente e quelle intermedie facevano schifo. I contadini come i miei genitori non sanno nemmeno cosa sia un pc. Ma a scuola riusciamo a venire in contatto con modelli scartati dal ricco occidente. E impariamo a programmare...”
“E a fare le spie...” scherzò Kurt “O i terroristi... vedi Ivan Vanko”
“Con quello che guadagna qui il più povero di un vostro insegnante, da noi quasi potrebbe comprarsi una dacia tutta sua...” continuò la ragazzina “...Quando cresci con un'idea, non è facile togliersela di testa. E anche se appartieni a una generazione libera, i tuoi nonni sono cresciuti con il Comunismo più spietato, hanno trasmesso questo sentimento ai tuoi genitori... e tu ne vedi la conferma quando varchi i confini e ti trovi davanti a eserciti di donne sfruttate che fanno lavori che gli occidentali snobbano. Ma Piotr mi ha spiegato che è una percezione deformata e mi ha insegnato a leggere le differenze. Mi piacerebbe che anche voi capiste che, sì, può essere che facciamo le spie... per voi è qualcosa di negativo ma la vostra intelligence ficcanasa negli affari di tutto il mondo... allo stesso modo e con la stessa retorica noi lo facciamo per il nostro paese.”
“Ti ricordo che io sono tedesco...” sorrise Kurt “E anche la Germania ha le sue gatte da pelare quanto a passato.”
“Lo so...” disse Illyana “L'abbiamo studiato. La rivolta degli studenti quando hanno scoperto che genitori e nonni erano stati, se non nazisti, aperti collaborazionisti di un crimine poi condannato da tutti... l'ipocrisia umana a volte mi fa vomitare...”
“Non credi di essere troppo dura?” domandò l'elfo riprendendo a smanettare sui tasti, in un lampo di intuizione, il volto tirato dalla preoccupazione e dall'urgenza.
“Parafrasando un film che piace tanto a mio fratello... Ho visto cose che voi umani... Un momento... che cos'è quella cosa?” domandò indicando lo schermo.
“Bella domanda... vorrei saperlo anch'io” bofonchiò il teleporta osservando preoccupato il monitor su cui campeggiava lo stato della memoria di tutti gli hardware della scuola. “Soprattutto...com'è possibile?”
“Il sistema centrale non era protetto?” replicò Illyana, ora curiosa come una normale ragazzina della sua età
“Da un codice crittografico Shi'ar, sì. Quello che più mi preoccupa è che siano spariti alcuni dati specifici... Nessuno può decifrarli ed erano ben nascosti nelle memorie, in modo che, anche in caso di immediata evacuazione, potessero rimanere confinati al sicuro. La procedura standard, per sviare l'attenzione dalle memorie, prevedeva l'attivazione di un'apparente pulizia totale dei dischi. In caso contrario i file erano sigillati e impossibili da trovare a meno di non conoscerne l'esatta ubicazione. E solo io e Charles sappiamo dove siano.”
“Erano così importanti?” domandò ancora la bionda, ansiosa dopo il mutismo tombale in cui si era calato il demone.
Kurt, facendo perno sui gomiti, poggiò i sei polpastrelli tra loro davanti al volto, pensieroso. “Decisamente. Si trattava dei Codici Xavier. Ovvero, le chiavi universali per netralizzare qualunque mutante Chuck abbia mai incontrato... Quelli di cui parlava Valerie. Forse per lei questi codici sono solo qualcosa di mitologico e chimerico... ma c'è solo da pregare che, chiunque li abbia presi, non riesca a decifrarli...” alitò angosciato.







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Torno a citare Ivan -MioPappagallo e DroniMelio- Vanko dopo un'infinità di tempo. Mi mancava...
Ah, ricordo che per non fare pubblicità ho usato i nomi in codice (controllate su Wikipedia) di Windows 95 e XP, rispettivamente Chicago e Whistler, già trovati sempre nella prima parte di questa saga (capitolo 25, si parlava di Budapest)
A parte questo, cominciate a capire dove stiamo andando a parare?
No? Peggio per voi XD
Scherzo.
Non ho molto da aggiungere: sono capitoli intermedi, preparatori al gran finale. Dovete solo pazientare un pochino.. :)

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Capitolo 25
*** Battibecchi ***


25. Battibecchi






I Vendicatori si erano messi comodi per affrontare l'attesa che li aspettava mentre i mutanti scomparivano nel loro personale sopralluogo, a caccia di indizi che solo loro avrebbero potuto rilevare.
Dapprima osservarono incuriositi le direttive che la dea dei venti impartiva al giovane angioletto malaticcio, quindi ne osservarono per un pezzo le evoluzioni aeree, i più affascinati, curiosi e perplessi. Per molti di loro quello era un'ottima occasione per cercare di trovare nuovi spunti per le proprie invenzioni o soluzioni ottimali a problemi riscontrati in precedenza. Come tutti gli ingegneri e designer in generale sanno bene, la natura è la più prolifica delle muse. E cos'erano i mutanti se non meraviglie della natura le cui peculiarità loro -scienziati e militari- cercavano di riprodurre con le più moderne tecnologie?
Accampati alla meglio sulla rampa d'accesso al Quinjet, i restanti agenti S.H.I.E.L.D. bivaccavano sbracati e annoiati, Tony finiva di registrare la sua armatura coadiuvato dalla Visione, Janet schizzava, sul suo blocco per appunti, nuovi vestiti più simili a costumi teatrali -la maggior parte apparivano importabili anche per il palco- ispirati dai due mutanti aviari. Rogers ne approfittava, spulciando via internet sul tablet di Tony, per depennare dalla sua lista personale le cose che avrebbe dovuto approfondire per completare la sua cultura generale.
“Ma insomma...” sbottò a un certo punto Wade, tra un burrito e una fajita, la maglia, tirata su fin quasi allo sterno, da cui sbocciava una pancia tonda e ripugnante “Voi due state assieme o no? Che con tutti gli scambi di coppia che ci sono nel Marvelverse uno si perde. Anche se poi, a ben vedere, tutto torna sempre su binari storici prestabiliti...”
“Devo ammettere che questa è davvero un'ottima domanda!” si accodò giuliva Janet, mollando i suoi disegni e ruotando il busto di centottanta gradi “Dunque???” domandò sbattendo ostentatamente le lunghe ciglia.
“Jan...” la folgorò Clint con un ringhio. La distanza tra lui e Natasha non era niente di inusuale: non stavano appiccicati come adolescenti in calore né come perfetti estranei. Erano colleghi e basta. Come sempre. E nessuno aveva indagato oltre sulle vicende del mattino precedente.
“In effetti sono curioso anch'io.” rincarò Tony, mollando l'armatura e avviandosi giù per la rampa, la figura interamente sporcata di grasso meccanico qua e là, la parte superiore del toni da lavoro blu legata in vita e una canotta a coste leggermente deformata al centro del petto, dove un tempo era alloggiato il generatore Ark. Ma all'occhiataccia gelida di Natasha rispose con un'alzata di spalle “Ok, ok, regina delle nevi: se non vuoi dirmelo... STEVE!!!”
“Cosa?” domandò Cap, annoiato e sovrappensiero, immerso nella lettura.
Lo sguardo della spia si fece, se possibile, ancor più minaccioso. Tony sogghignò sardonico e continuò in un modo che lei non poteva prevedere “Carina l'agente 13, Sharon Carter, nonché mia cugina, eh?”
“Uh?” domandò il Capitano come svegliatosi da uno stato letargico che solo il nome della bionda aveva potuto infrangere. Abbassò le mani che reggevano il dispositivo elettronico e sollevò lo sguardo verso il collega “Sì, carina. E seria. Donne come lei non fanno per te” disse con troppa enfasi “E nemmeno si direbbe che avete qualcosa in comune. Tanto meno che quel qualcuno fosse Peggy. Dev'essere tutta colpa di Harold, ne sono certo” sorrise al ricordo dell'amico.
“Oh...” sghignazzò il magnate “Svicoli? Chissene frega che è mia cugina, so riconoscere una bella donna... Ma, sbaglio o siamo sulla difensiva... per caso? No, perché io non sto mica insinuando nulla...”
Steve stava per ribattere a tono quando un'idea improvvisa sembrò bloccarlo. Levò gli occhi al cielo, quasi a leggere un suggerimento, quindi tornò a fissare il suo interlocutore con un sorriso furbo “Non vedo perché dovrei... Mi pare che Sharon sappia metterti al tuo posto bendata e con un braccio legato dietro la schiena!” Sorrise ulteriormente, vittorioso, e si rituffò nella lettura.
Indispettito, Stark non era affatto pronto a vedersi liquidare a quel modo e in così breve tempo “Sì, decisamente devi avere qualche complesso se ti piacciono quelle così, un po' rigide e frigide... come Sharon, Peggy …” Cominciò a enumerare ma alla successiva si interruppe e, notata la reazione del Capitano, si affrettò a riportare il discorso sui binari da cui si era appositamente allontanato “Ma ti ringrazio... hai risposto alla mia domanda...”
Basito, Steve non sapeva chi guardare né riusciva a capire cosa avesse combinato.
“Non capisco il senso di questa manfrina...” confessò Janet, guardandolo scettica.
“Certo... sei abituata al cervello di tuo marito, cosa puoi capire dei piani che navigano in una delle menti più brillanti del pianeta?” domandò retorico Tony “Il punto è che la qui presente Natasha ha fatto un gran casino per accalappiarsi il qui presente Steve. Cose che la suddetta spia per poco non si metteva a lanciare i piatti del mio servizio buono contro il qui presente Clint e viceversa. Tu non c'eri ma si respirava tanta tensione...” disse con fare teatrale mentre Natasha cominciava a innervosirsi. Clint, al suo fianco, ascoltava quasi ammirato la teatralità con cui il magnate descriveva il tutto. “...sessuale, sopra e nonostante tutto.”
“Continuo a non capire..” ammise la donna
“E' semplice. Tutto sto casino e poi uno dei due si dimostra così poco interessato all'altro?” domandò indicando Steve con entrambe le braccia, esasperato, come se la cosa fosse lampante anche agli occhi dei più ottusi “La cosa non quadra... e quindi ho ragione io!”
“Ovvero?” domandò Natasha cogliendo una falla nel suo ragionamento, sfidandolo a riempirlo con un azzardato volo pindarico.
“Cioè che...” cominciò lui spavaldo per poi terminare con un borbottio, essendosi reso conto che gli mancavano più di metà dei dettagli per capire quale fosse la vera natura della relazione tra i due mastri assassini: magari avevano solo fatto pace, magari si erano beccati solo per una questione di fiducia reciproca... Eppure, ne era certo, c'era qualcosa sotto, sennò perché darsi tanta pena a escogitare sotterfugi con la complicità di Capitan Serietà? Ora aveva un nuovo obiettivo nella vita: smascherare e rendere la vita impossibile alla superspia. C'era riuscito con Nick Fury, cosa avrebbe mai potuto il suo braccio destro dai capelli rosso fuoco?
L'improvviso arrivo del gruppo mutante al completo lo trasse d'impiccio.
“Scoperto qualcosa di utile?”domandò subito T'Challa piroettando a terra, rimasto per tutto il tempo di vedetta sul tetto del jet, perfettamente mimetizzato. Più probabilmente, si era perso nel contemplare la sua amata.
“Emma Frost, l'algida e provocante regina bianca del Club Infernale, se non indossa completi da professionista, adora le mutande della nonna... e pare sbavi di notte, dormendo in pose assurde e per niente sexy.” commentò Mystica, serissima, osservando una polaroid rubata chissà dove.
“Non interessa a nessuno!” replicò Pietro, inviperito per lo scherzo che gli aveva giocato la sorella.
“A me sì. E ti dirò che ora ha guadagnato qualche punto sulla scala della sensualità. Anche se non batterà mai la mia amata Bea Arthur...”
“Chi?” domandò il velocista quasi schifato.
“Una vecchia cariatide di cui si son perse le tracce... e di cui è più che naturale e sano che un marmocchio come te non abbia memoria” commentò Mystica assumendo le forme della donna: una signora di una certa età, il volto segnato dalle rughe di espressione di una vita di emozioni non cancellate dal botulino, capelli bianchi candidi dalla piega perfetta e portamento elegante.
“Non offendere Bea!” strepitò Wade, offeso. Poi, giunto istantaneamente a più miti consigli, modulò il tono di voce in una richiesta adorante “Puoi mantenere ancora un po' il suo aspetto? Please! ♥”
“No!” fu la lapidaria risposta della mutaforma che riprese immediatamente il proprio aspetto, lasciando il mercenario a disperarsi.
E mentre i due discutevano, gli altri mutanti avevano riferito delle tracce, seppur impercettibili, che avevano individuato.
“Dall'alto non abbiamo notato nulla. Se fossero atterrati degli aerei nel bosco ci sarebbe stato un pertugio, per quanto piccolo, lasciato dal loro atterraggio o decollo. Ammesso che fosse verticale..” stava illustrando Ororo, per prima, spiegando quale fosse la situazione all'esterno “Ma non sono atterrati nemmeno nei dintorni della scuola. Nessuna traccia, bruciatura, alone... niente di niente.”
“In casa c'era un odore penetrante di deserto. Lo senti nella secchezza dell'aria...” annuì Logan quando la donna ebbe finito, a segnalare che aveva recepito le sue osservazioni, e prendendo la parola in risposta.
“E non dimenticare il profumo pungente di sale e spezie” interloquì Rogue
Logan grugnì “Non ne hai la conoscenza ma, mentre quella fragranza di spezie puoi trovarla un po' ovunque per il mondo, la particolare nota terrosa di cui parlo io è tipica del deserto del nord Africa. Ororo potrebbe confermarti se avessimo un telepate a connetterci... E ti dico che è Egitto, e non Marocco, per via del sotto tono di acqua, limo e pietra. Ci scommetto il fattore rigenerante.”
“Ad ogni modo, io ho individuato anche un altro odore... strano... asettico.” Continuò la mutante dai capelli rossi screziati dalla vistosa ciocca bianca.
“Ricordava i laboratori di Arma X..” confermò il canadese “Ma era qualcosa di completamente diverso... dobbiamo andare e verificare. Forse quando raggiungeremo la meta capiremo...”
“E come sapete dove dovete andare?” domandò Natasha, scettica
“Sottolineo il come?” interloquì Stark “Solo tre di voi sanno volare e solo due sono teleporta... e non su lunghe distanze, credo...”
“Considerato poi che non avete l'X-Jet...” insistette anche Stephen Strange che, con quell'uscita, aveva calamitato su di sé l'attenzione del gruppo. “Lo sanno tutti che gli X-men hanno il loro jet privato. E, se fosse ancora nell'hangar, Kurt l'avrebbe fatto volare...” replicò calmissimo.
“Illyana è una teleporta... in qualche modo faremo!” replicò Logan
“Ma non può offrirvi la protezione e la potenza di fuoco di un Quinjet!” replicò Cap
“Rubato!” precisò Wade
“Preso in prestito...” sorrise Stark di rimando
“Dio, Rogers... non sapevo che avessi radici latine...” bofonchiò Logan alla generosità del reduce “Siete già al centro dell'attenzione senza che vi immischiate nel casino mutante...”
“Perché rubare un QuinJet non attira attenzione... anche se con la complicità di agenti interni... Per caso, Jessica era ancora sotto l'effetto dello scettro di Loki?”
“La puoi smettere una buona volta?” domandò Stephen Strange, esasperato.
“Concordo con il dottore...” ridacchiò Thor, rimasto in disparte fino a quel momento “Vorrei capire cosa stanno dicendo”
“Al posto di dibattere inutilmente sul come raggiungere l'Egitto -è chiaro che la spunteremo noi- perché nessuno si domanda come fanno a sapere dove andare?” insistette Natasha
“E cosa ti fa credere che la spunterai tu, bella? E che ti riveliamo i nostri trucchi?” domandò Rogue
“Ma sono sempre così litigiosi i tuoi amici?” domandò T'Challa con un sorriso alla fidanzata che teneva stretta tra le braccia.
Ororo, per tutta risposta, si liberò dalla stretta, stizzita e si schierò anche lei, aggiungendo la propria voce al coro cacofonico di voci esagitate “I miei amici litigiosi? Ma li vedi i tuoi?”
“Si tratta di ospitalità, Ororo... ma sembra che tu abbia dimenticato cosa sia”commentò indispettito il re del Wakanda.
“Dimentichi che sono una superspia?” ghignava intanto Natasha
“E tu dimentichi che la mia matrigna è più superspia di te?” replicò Rogue “E che io posso essere più superspia di tutte e due messe assieme, se solo volessi?”
“La Madonna che casino che fanno, questi... adulti, dicono...” commentò Pietro, estraneo alla mischia. “Anche il Capitano... ha perso tutto il suo contegno.. vergognoso. E dire che sembrava tanto figo quando ha pianificato il vostro salvataggio... e ora è lì che starnazza come tutti gli altri. Faccia di pomodoro, laggiù, è quello che ha più aplomb di tutti questi nevrotici. Messi assieme e narcotizzati a valeriana, si intende...”
“Mi hanno stancata...” sibilò Wanda, stritolando la mano del fratello nel tentativo di calmarsi.
“Sì, concordo. A ben guardare, escluso il robot, l'unico che si salva è l'arciere che si sta facendo un pacco di fatti suoi...” Pietro ridacchiò del nervosismo della sorella.
“Basta....!” ringhiò quindi la giovane gitana con i nervi a fior di pelle. Non appena ebbe pronunciato quella parola, tutti si congelarono al proprio posto. Quella baraonda improvvisamente sedata aveva un ché di inquietante. Che fosse il suo potere magico o che gli adulti fossero stupiti di essere riusciti a far alterare una creatura così scostante, poco importava: il risultato era stato raggiunto. “Non mi piace il caldo.” esordì dopo aver attirato l'attenzione dei litiganti “...gradirei sapere perché dovremmo andare proprio in Egitto...”
“Perché qualcuno ha perso questo...” spiegò Raven estraendo dalla tasca dei pantaloni chiari una targhetta metallica tutta graffiata.
Subito Natasha gliela strappò di mano. “HYDRA ...” commentò “Ma... la tecnologia è S.H.I.E.L.D.” disse con una strana consapevolezza negli occhi, restituendo il cimelio alla mutaforma.
“E allora?” domandò Tony, pinzandosi l'attaccatura del naso con fare stanco.
“E allora viene da una base specifica. Ogni base ha un codice identificativo. Terra, Aria, Acqua, Subacqueo o Sotterraneo. Quindi c'è l'identificativo regionale. E le basi sotterranee in Nord Africa si contano su una mano. Se Logan dice di sentirci odore d'Egitto e non di Tunisia, così è.”
“Avevo detto Marocco...” precisò il mutante
“Ma l'altra base è in Tunisia. Che dovrei farmene del Marocco...?” replicò la spia.
“Mi sto perdendo...” ammise Janet
“Io no.” sibilò Clint digrignando i denti “Quelli di HYDRA sono così micragnosi che risparmiano anche sulla componentistica... oltre a insediarsi in una base nemica dopo aver ammazzato tutti gli occupanti, usurpandone il posto come volgari assassini. O come beceri parassiti virali”.
“In realtà è molto peggio.” replicò la spia “Come si diceva qualche tempo fa... il confine tra la nostra agenzia e la sua nemesi è molto sfumato. HYDRA è lo S.H.I.E.L.D. E in Egitto c'è sicuramente stato un avvicendamento tra le due. Un po' plateale, forse...”
“O forse serviva solo a salvare le apparenze...” imprecò l'arciere pensando al motivo per cui sua moglie era stata uccisa. Un motivo davvero stupido da un verso. Terribilmente sensato nell'ottica dei capi dell'operazione. Gli agenti non erano che numeri e certe transazioni la sola cosa davvero di valore.
“Quindi Egitto?” domandò Wade per ricapitolare.
“Egitto...” confermò Logan mentre Ororo sbarrava gli occhi e rabbrividiva impercettibilmente. Ma non abbastanza per i suoi sensi ipersviluppati “E poi vedremo dove andare da lì in poi” Il sollievo che percepì irrorare le gote della compagna gli fecero strizzare gli occhi. Lui e la regina dei venti dovevano farsi una chiacchierata.
“Che figata! Sembra una caccia al tesoro!!”
“Sorella, ti prego... se mai dovessi scegliere un uomo, ti prego, non qualcuno come Wade. E in assoluto, non Wade!”
“Hai detto bene...” commentò Wanda, lasciando scivolare lo sguardo sull'arciere, per il quale, dopo quell'impeto di rabbia più che giustificata, aveva perso ogni interesse, pur ritenendolo ancora un ottimo esemplare umano. E il fatto che fosse solo umano giocava a suo svantaggio a differenza di Cap che, almeno, era un superumano.
“Eh?” domandò stranito il velocista “Cosa?”
“Chi ti dice che io non abbia già scelto? E chi ti dice che sia un uomo?” domandò enigmatica, lasciandolo solo a riflettere su quanto aveva appena rivelato.
Forse per la prima volta in vita sua, da che i suoi poteri mutanti l'avevano trasformato in un proiettile d'argento, Pietro sperimentò la sensazione straniante che tutto andasse al rallentatore. Ma non come gli succedeva in continuazione. Tutto scorreva inesorabilmente, senza che lui ne avesse alcun controllo, lentamente per i propri sensi ma a velocità supersonica per le sue reazioni. Il cervello non connetteva. O meglio, lo faceva fin troppo bene e le soluzioni che proponeva non erano minimamente accettabili, cosa che, in qualche modo, lo mandavano in tilt, bloccando ogni altra reazione fino alla soluzione successiva.
“Ehi!” lo chiamò Illyana andando a prenderlo per il braccio “Tutto bene? Andiamo?”
“Non mi toccare! Pervertita!” ringhiò scartandola immediatamente nemmeno fosse stata lava incandescente. “Ti ho capito, piccola adoratrice del demonio! Ho capito cosa hai fatto a mia sorella!” disse con un tono di voce così alto che gli altri lo sentirono da dentro il jet in cui avevano già cominciato a infilarsi “Già avevate fatto amicizia e la cosa mi puzzava... con un'X-men... ma quando mai! E poi sta cosa di pentacoli e incantesimi...”
“Veramente Wanda è più grande di me ed ha i suoi poteri mutanti da molto tempo prima che io sviluppassi i miei. Cioè, all'incirca...un mese fa.” replicò il piccolo fiocco di neve con la tranquillità di una donna matura che affronta una formica.
“Puttanate! Tu sei cresciuta a pane e t.A.T.u.! Inutile nascondersi dietro un dito!” Pietro, ormai decisamente fuori di sé, blaterava incontrollato senza alcun filo logico “Siete voi russe che avete lanciato il movimento delle Femen che se ne vanno in giro a fare le scostumate in topless! Guarda anche la rossa che è con noi, un'altra svergognata!”
“Ce l'ha con me?” domandò Natasha, perplessa, affacciandosi con aria interrogativa, più incuriosita che infastidita dai deliri del ragazzino.
“Veramente il movimento era ucraino...” precisò Illyana con freddezza. Non c'era nulla di peggio degli ignoranti che confondevano la nazionalità di una persona con gli stati confinanti tanto, più o meno siamo là.
“E tu non sei ucraina? Chernobyl e le radiazioni hanno reso voi Rasputin tutti strani..”
“Vengo da un klchoz vicino al lago Baikal, in Siberia...” rispose roteando gli occhi, infastidita da tanta ignoranza. “Chernobyl...”
“Stessa roba...”
“L'hai finita di dire stupidaggini?” intervenne serafica Wanda che, come una sorella maggiore, tollerava a stento i capricci del piccolo di casa.
Indispettito e umiliato, Pietro trattenne la lingua con una smorfia che gli storpiò i lineamenti. Infine, conscio di non poter realmente interferire con le decisioni della sorella e non sapendo come replicare, con le lacrime agli occhi sputò con livore, additandola “Ricordati che per te farei tutto. E per tutto intendo letteralmente tutto. Vuoi ardere il mondo? Ti porterei la benzina. Tutta la benzina che riuscirei a trovare. Vuoi uccidere papà? Beh...cercherei di aiutarti. Almeno a non finire in galera. Tutto, Wanda, ricordalo. Ma mi sembra il minimo essere messo a parte delle tue decisioni... per quanto possa non condividerle”
“Tu vorresti interferire...” precisò quella, un sorriso commosso nascosto tra le increspature delle labbra imbronciate.
“Io... voglio quello che è meglio per te...” si giustificò l'albino mentre Illyana raggiungeva il resto del gruppo, scrollando le spalle demoralizzata
“E pensi di sapere cos'è meglio per me non essendo me?”
“Io sono il tuo gemello, Wanda. Sono l'unico che può rimandarti un'immagine di te stessa sufficientemente oggettiva. Non ti loderò mai come i maiali che cercheranno solo di portarti a letto né ti sminuirò come le oche invidiose. E sì: ricorda che non si può ammirare un affresco se ci pianti contro il naso.”
“Ma non puoi notarne le crepe se lo osservi da una distanza eccessiva...” replicò lei
“Appunto. Io sono a mezza strada. Fidati di me, Wanda, ogni cosa che dico o faccio, anche se ti sembra arrogante o egoista, la faccio per te...” piagnucolò. “Sei la sola sorella che ho...”
“Ne riparleremo...” concluse lei dopo un po', indecisa se aprirsi o meno. Gli prese la mano e, con dolcezza, lo condusse fino al Jet, i cui motori ormai rombavano assordanti, pronti al decollo alla volta del nord Africa.






AV AV AV AV AV AV AV AV AV AV AV AV AV AV AV AV AV AV AV AV

E come dice Wade “sembra una caccia al tesoro!”
Non avete idea di dove vi condurrò, muahahahah.

Tornando per un attimo a fare le persone serie, vi avviso che la prossima settimana e quella dopo ancora NON aggiornerò per via di Lucca Comics. La prima settimana starò smadonnando per finire gli ultimi dettagli del costume (chissà chi farò... si accettano scommesse XD Cercate una Rogue a caso e mi troverete ;) ) e la seconda mi starò riprendendo/riorganizzando.
E, beh, scusate il ritardo ma, appunto, lavorando sul costume, ho perso di vista la data e quindi l'ora... =_= abbiate pazienza...
E... niente... aspetto i vostri commenti!

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Capitolo 26
*** Di re e regine, di ombre e di gemme. ***


26. Di re e regine, di ombre e di gemme.






“'Ro...?” chiamò Logan torreggiando sulla regina dei venti, accoccolata in un angolo del velivolo, stretta nel tenero abbraccio del fidanzato T'Challa “Tutto bene?”
“Cosa vuoi che sia viaggiare in aereo per una che soffre di claustrofobia...” commentò sarcastico il re Wakandiano rispondendo per la donna. Ororo sciolse dolcemente la presa, forse infastidita da quel fare troppo protettivo. Diamine! Era una donna fatta e finita e sapeva mettere a posto i propri amici! Non si faceva certo scrupoli al riguardo.
“Non parlavo con te...” lo rimbeccò Wolverine, sbuffando e senza staccare gli occhi da quelli azzurrini della donna, i cui lineamenti erano un attraente, quanto bizzarro, miscuglio dei tratti somatici peculiari delle diverse razze umane: il taglio degli occhi a mandorla ricordava gli sguardi misteriosi delle donne orientali, i capelli chiari e le iridi cristalline sembravano esser stati rubati alle terre dei ghiacci perenni, il naso piccolo e grazioso era quello che la nobiltà europea incipriava continuamente, la bocca carnosa e invitante emanava tutto il calore delle terre amerindie. Solo il corpo e la carnagione d'ebano la identificavano come Kenyota: alta, slanciata, le curve ben tornite e i muscoli scattanti.
Al mutante, tuttavia, non sfuggì come la stretta sul polso della donna da parte di T'Challa si fosse serrato in un moto di inappropriata gelosia. Scettico, inarcò un sopracciglio, quindi sorrise di quel sentimento. Lui e Ororo? Ma quando mai? Lei era alta due metri e lui... beh... il suo essere diversamente alto era stato fonte di sberleffi per decenni, secondo solo al nano Puck. Ma almeno, quello aveva validi motivi per essere grande come un barilotto di whisky. E pelato. Logan, semplicemente, non era mai cresciuto molto e, almeno, manteneva tutto il suo pelo animale. D'altronde, rimuginò tra sé, era nato un secolo prima. E tra i suoi simili era nella norma.
“Tutto bene” rispose la donna alla sua precedente domanda “Perché?” domandò, alzando fiera lo sguardo su di lui.
Seriamente. Come poteva essere balenata a T'Challa una simile idea in testa? Non sarebbero stati credibili nemmeno come amici di letto. O forse quello sì?
“Cosa c'è in Egitto che ti fa paura?” Istantaneamente Ororo si irrigidì. Era fiera, indomabile. Solo il re wakandiano era riuscito ad aprire un varco nella sua volontà adamantina. In questo, in fondo, non era dissimile da lui. Entrambi si aprivano il minimo indispensabile agli altri e, nonostante questo (o forse proprio in virtù di questo atteggiamento) radunavano attorno a loro gli altri mutanti e, ovunque andassero, diventavano subito capipopolo.
T'Challa stava già per replicare qualcosa di stupido che lei, abbassati gli occhi per la vergogna improvvisa di esser stata smascherata tanto facilmente dal compagno canadese, rispose in un alito “Il re delle Ombre...” Un nome che lasciò il suo amante totalmente indifferente. Segno che lei non gliene aveva mai parlato.
Logan strinse ancora gli occhi, studiando la coppia. Forse non era poi un bene, e lei lo sapeva, che la Pantera Nera le girasse attorno. La rendeva debole e ne sminuiva l'importanza pur senza volerlo. Lei era innamorata di un re. Già l'amore rende stupidi, ma quando l'oggetto del desiderio è un uomo di potere -o comunque qualcuno di rango superiore e non paritario- l'unica reazione è l'adorazione: non si può restare oggettivi.
A ruoli invertiti, cioè al posto suo, lui si sarebbe azzerbinato completamente. E l'aveva fatto. Per Mariko. Ma la sua indole si era presto ribellata al suo stesso giogo trovando soffocante l'ambiente frequentato da lei.
“E chi sarebbe?” domandò mentre lei si muoveva a disagio a fianco del fidanzato.
Appena fosse finita quella storia, avrebbe dovuto fare quattro chiacchiere con la dea dei venti. Ricordarle che lei era libera come l'aria tanto quanto lui poteva diventare sanguinario, selvaggio e incontrollato come un lupo rabbioso. Doveva ricordarle come l'altro, T'Challa, le avesse già spezzato il cuore in passato. Doveva informarla che, per quanto una persona cambi e maturi, in fondo, il canovaccio su cui recita è sempre lo stesso.
Ed era un discorsetto che avrebbe dovuto rifare anche a Rogue. Benedetta ragazza! Non poteva cadere nella rete di qualcuno che non fosse legato a doppio filo a così tanti delinquenti e delinquente lui stesso?
Logan si sorprese per un attimo. Forse ora riusciva a cogliere i dettagli che muovevano la gelosia di T'Challa. Lui e Ororo erano più simili di quanto non potesse sembrare a colpo d'occhio. Di quanto, fino ad allora, non fosse sembrato anche a lui.
“E' stato il mio protettore...” alitò la donna prima di vuotare il sacco “Quando ero piccola, prima di sviluppare i miei poteri e incontrare Charles, Farouk era colui che mi offriva vitto e alloggio...”
“In cambio dei furti al bazar...” completò l'artigliato per lei “E' stato il tuo maestro?”
“Anche...” confermò lei.
Ecco perché, a differenza di lui e Raven, lei aveva sempre visto di buon occhio il giovane Cajun. Forse si riconosceva in lui, nella sua vita riscattata. Forse, tra simili, riusciva a scorgerne la bontà. Forse si immedesimava con lui e voleva vedere il lupo solitario circondato da sciacalli. Alla faccia del detto che vuole non ci sia onore tra ladri.
“E perché hai paura di tornare in Egitto?” indagò ancora il mutante
“Prima di incontrare T'Challa per la prima volta...” disse prendendo un gran respiro “Io vivevo con Farouk e la sua banda di monelli. Sapeva essere spietato e crudele con chi non rispettava le consegne o con coloro che disattendevano le statistiche giornaliere... ma era la mia famiglia. L'unica altra famiglia, prima degli X-men, che abbia mai avuto dalla morte dei miei genitori.” Logan annuì, incitandola a proseguire “Ma eravamo legati a lui da un patto. O minaccia, scegli tu... Se mai ci fossimo allontanati, l'avessimo abbandonato o tradito, lui si sarebbe vendicato.”
“Minacciava il vostro futuro... tattico...” si complimentò il canadese, meravigliato
“Minacciava le nostre vite” precisò la donna “Se mai ci avesse ritrovati, saremmo morti all'istante.”
“E per questo hai una paura boia... comprensibile... Ma ti terremo al sicuro...” commentò l'altro, convinto di poter concludere e tornare a sedersi.
“Non capisci...” replicò lei facendo un cenno stanco di diniego con la testa “E' un telepate potentissimo, secondo solo a Charles. E ha il potere secondario di tramutarsi in nebbia senziente. Così tiene sotto scacco una zona molto più vasta di quello che potrebbe fare con la sua semplice telepatia...”
“E noi non abbiamo un telepate...chiaro...” affermò l'artigliato serrando i pugni “E Dio solo sa cosa può combinare un telepate mal intenzionato...” sbuffò irrequieto e impotente.
“Potrei offrirti la soluzione...” interloquì T'Challa, ostentando un sorriso di superiorità.
Logan lo guardò storto: per caso, si stava vantando di riuscire a proteggere 'Ro meglio di lui? Erano arrivati a quello? E in così poco tempo? Il ragazzo doveva essere molto insicuro o messo molto male. A occhio e croce si sarebbe detto divorato dai sensi di colpa, per avere quel genere di alzate. Con tutto che era un re e quindi doveva essere abituato a gestire situazioni spinose. Sospirò e cercò di dimostrarsi il più gentile possibile ma quello che ne uscì risultò un ringhio minaccioso “Sentiamo...”
T'Challa lo squadrò a sua volta, cercando di capire cosa aspettarsi da lui “Tu sai come il Wakanda sia tecnologicamente avanzato...” cominciò prendendole le mani tra le sue, quasi a delimitare un possesso e un confine invisibili. Logan dovette trattenersi dal sorridere a quel gesto infantile “Per ogni evenienza... tutti i sovrani, tutte le Pantere Nere del Wakanda, devono indossare una tiara. Ma questa...” disse indicandola “Non è una corona qualunque. E' un dispositivo schermante per impedire che il re sia soggetto a questo genere di attacchi e apra le porte ai nemici o consegni loro i nostri giacimenti di Vibranio...” disse sfilandosi l'anello dalle tempie per posarselo in grembo. Lo osservò per qualche istante come soppesandolo. Quindi proseguì mentre con le mani faceva pressione sul disco e uno scatto meccanico si produceva dallo stesso “Tutti i re... e le regine...” precisò alzando appena gli occhi sulla mutante “Nel Wakanda c'è parità di genere e ciò che sa il re, sa la regina. Il volere dell'una è la volontà dell'altro... Due tiare per due sovrani...” disse liberando i due anelli, incastrati uno nell'altro, un maschio e una femmina, l'uno con una protuberanza che correva tutto intorno all'anello, l'altro con una piccola scanalatura al centro “Un unico disco per un unico regno...”
La spiegazione era stata abbastanza chiara ma Ororo sembrava non afferrare il concetto. Logan stirò un sorriso divertito e stava per intromettersi quando alle sue spalle arrivò un commento a mezza voce che fece sobbalzare il gruppetto.
“Questa si che si chiama dichiarazione!” fu il commento di Nightcrawler, appollaiato nell'ombra poco lontano, a testa in giù.
“Kurt!” lo rimproverò la donna, colta di sorpresa.
“Avanti, sorella!” commentò anche Rogue comparendo affianco al fratello, le iridi, ora, stranamente dorate ma sempre su fondo nero, a testimoniare come si fosse indelebilmente impregnata del potere assorbito da Gambit.
Con una piroetta, atterrò accanto a Logan, esibendo una momentanea pelle blu pelosa e una coda lanceolata che scattava nervosa alle sue spalle: la curiosità era stata tale da spingerla a sfoderare di nuovo i poteri del fratellastro, tanto per essere sicura di non perdere alcun dettaglio della succosa storia sul più bello. “Si può sapere che aspetti?”
Ororo, presa in contropiede, spostò lo sguardo dall'amica all'artigliato per poi tornare a scrutare il suo fidanzato. Trovandosi i suoi occhi puntati addosso, svicolò e cercò quelli lucenti di Kurt. Alla fine non poté non ritornare a guardare il re wakandiano, una domanda inespressa sulle labbra.
“Lo sai, Ororo... te l'ho già detto e chiesto... E sai anche cosa spererei di sentire in risposta...” la incoraggiò lui.
Per tutta risposta, la dea dei venti drizzò la schiena e lo squadrò improvvisamente scettica. “E' un ricatto!” commentò e più che una domanda, era un'affermazione. Lui le avrebbe dato quella tiara di cui ora bramava il possesso solo a una condizione. Solo se fosse diventata la sua regina.
“Cosa?” sbalordì T'Challa “No! Non hai capito... cioè... no! Non fraintendere!” compreso, troppo tardi, il pensiero che era balenato in testa alla mutante, le consegnò il disco, cacciandoglielo tra le lunghe dita affusolate, per poi voltarsi dall'altra parte, offeso. “Non sono quel tipo d'uomo. E quello puoi tenerlo. Qualunque sia la tua risposta.”
Incerta se ringraziarlo o meno per quel gesto, Ororo alzò lo sguardo sui suoi compagni che, però, capita l'aria che tirava, si erano dileguati nuovamente in testa all'aereo, lasciandoli soli.

AV AV AV AV AV AV AV AV AV AV AV AV AV AV

-Io mi sto rompendo... Com'è che non succede nulla di interessante?- ringhiò la voce nell'interfono.
Il pilota, dall'altro lato della cuffia, sogghignò “Cos'è? Preferiresti che J-Son di Spartax tornasse a stuzzicare Kallark?”
-Gli Shi'ar sono dei pazzi...- interloquì una voce femminile.
“Anch'io sono pazzo...” ridacchiò il giovane condiscendente, sapendo che l'avrebbe mandata su tutte le furie.
E infatti... -Già... non mi sorprende che quei volatili abbiano tanta passione per voi terrestri... e viceversa...- sputò con livore.
-Sei solo invidiosa, Gamora!- replicò ancora la prima voce mentre, in sottofondo, si avvertiva il rumore tipico scaturito dalla manutenzione delle armi da fuoco. Quella, per tutta risposta, si rifiutò di ribattere. Ma il suo interlocutore non sembrava averlo notato -Già... hai visto che razza di sventole arrivano dalla Terra?-
“Tu per loro sei solo un roditore, Rocket!” commentò ancora il pilota
-Non sono un dannatissimo criceto... o koala.... come si chiama...-
“Procione, Rocket... procione”
-Senti, Peter... supremo Starlord del mio cannone fasico... quando fai così lo stronzo ti manderei volentieri...-
-Io sono Groot!- lo rimproverò una nuova voce, bassa e cavernosa.
-E io cosa stavo dicendo?- lo rimbeccò l'altro -..Il D'ast... lo manderei a Il D'ast... un posto stupendo...- continuò sarcastico
“Rocket... lo sai che per noi non contano le misure...” cercò di tranquillizzarlo Peter
-Così non è che mi fai stare meglio!-
“Ma per le terrestri... beh... quelle non sanno nemmeno cosa sia lo spazio profondo... avanti! Begli involucri.. ma vuoi mettere Angela o Gamora...”
-Angela mi ha già dato un bel due di picche, come dici tu... e Gamora è di là da ogni tentazione...-
-Lo prendo come un complimento- si inserì quella, veloce.
“Vi rendete conto che è da idioti parlare nelle cuffie quando siete tutti in stanze attigue?” domandò l'uomo dalla pelle verde, tatuata con quello che sembrava sangue fresco, parandosi davanti al capitano della nave che stava sbracato con le gambe incrociate sulla plancia di comando.
“Avanti, Drax...” sbuffò quello “... E' tutto tranquillo... abbiamo consegnato il Tesseract alla Nova Corps... che altro dovrebbe succedere?”
-Io non lo chiederei due volte, guardiano...- crepitò una nuova voce. Quill saltò sul sedile all'istante ma qualcosa gli diceva che poteva evitare di agitarsi.
In un lampo, tutto l'equipaggio era già radunato in sala di comando. Alla vista della nave argentata dai propulsori purpurei, lo Starjammer, Rocket imprecò e Gamora si chinò sull'interfono.
“Salve, Corsaro... avete problemi?”
“Ehi!” sbottò Quill andando a coprire il microfono con la mano “Non siamo mica l'assistenza autostradale...” allo sguardo laconico della donna, il capitano lasciò la presa, alzando gli occhi al cielo.
-Tutto bene, lady Gamora...- una donna dalla voce suadente e vellutata rispose per il capitano dell'altra nave -Volevamo solo scambiare quattro chiacchiere con gente civile...siamo in viaggio da eoni...-
-Esagerata...- replicò qualcuno in sottofondo che si beccò, in risposta, un -Cuciti la bocca, Raza!-
“Salite a bordo, allora...” li invitò Gamora
“Cosa?”sbottarono in coro Rocket e Quill. “Perché prendi queste decisioni senza consultarci?”
“Perché so che quando si tratta di Hepzibah..” disse alludendo alla donna felina dall'altra parte del microfono “Siete sempre d'accordo con me... Non ho forse ragione?”al silenzio dei due, Gamora si rizzò in piedi e si volse a osservare Drax “E poi possiamo barattare informazioni sulle gemme... E Corsaro è più che bendisposto a trattare con noi...”
“Non ricordarmi il compito ingrato che ci ha appioppato quella dannatissima strega!” strepitò Quill mentre l'altra andava ad trafficare sui comandi di apertura portelloni.
“Io sono Groot!”
“Tu saresti capace di mangiartele, le gemme!” piagnucolò Rocket
“Parlavate delle Gemme?” domandò Corsaro, facendo capolino, sorridente, nella pancia della nave, la zazzera scompigliata come se fosse stato esposto alle correnti galattiche, e la fascia in fonte come un hippie degli anni '70.
Oddio. Quill aveva poco da criticare, lui, un reduce e sopravvissuto degli anni '80. Chissà quante cose erano cambiate sulla Terra, in tutti quegli anni. Erano andati molto vicini al tornarvi una volta o due, ma il contatto più diretto che avevano avuto era stato per mezzo di Loki, non molto tempo prima.
“Maggiore...” Quill salutò con poca convinzione il nuovo venuto “Sì... quello era l'argomento...”
“Oh...” l'altro si finse sorpreso mentre prendeva posto, accavallando le gambe davanti a sé e buttandole sulla plancia dei comandi “E io che me lo riservavo per più avanti...”
“Sapete qualcosa?” domandò Angela, una specie di valchiria mezza nuda, appoggiata allo stipite del portellone che dava al corridoio.
“Sono state localizzate tutte... tranne una... anche se noi sospettiamo di aver capito chi ce l'abbia e come mai sia così... sfuggente...” spiegò l'uomo con fare misterioso.
“E dove sono le altre?” domandò Drax, confuso
“Una ce l'ha la Nova Corps; una è tenuta in custodia dal consiglio degli dei; una la custodisce, gelosamente e secondo tutti i crismi, il Collezionista; una è nascosta da un collettivo di una manciata terrestri, che conoscono i rischi connessi all'uso sconsiderato di determinati poteri e che si fanno chiamare Illuminati; una è stata localizzata come nucleo pulsante di una stella, ribattezzata Phoenix. L'ultima, la più sfuggente, quella che permette la manipolazione del tempo, neanche a dirlo, continua a comparire e scomparire dai radar, modificando costantemente le mappe storiche di picchi energetici della galassia. Lo so perché li abbiamo noi e stiamo cercando di capirci qualcosa...”
“E perché proprio voi? Che autorità avete?” sbroccò Rocket
“Il possessore è un terrestre...” rispose Corsaro con un sorriso sghembo ma triste “Per quanto possibile, voglio proteggere il pianeta su cui dovrebbero ancora vivere i miei figli e vorrei evitare che la nostra razza fosse additata come responsabile di tremende atrocità che potrebbero scaturire dal possesso della pietra.”
“Insomma, avete un nome per questo irresponsabile che si diverte a girovagare per lo spazio-tempo?” si animò Rocket, impaziente.
“Risulta avere diversi nomi. O meglio, mi spiego. Sono state identificare tre persone di tre età diverse. E' opinione diffusa che si tratti sempre della stessa persona che, in determinati momenti della sua vita, ha cambiato nome.”
“Questo vuol anche dire che nessuno è mai riuscito a sottrargli la pietra...” commentò Gamora, attenta
“Forse perché da questa conclusione, in altre epoche ci siamo arresi all'inevitabile...” commentò Raza, un uomo dall'aspetto di uno spaventoso guerriero.
“E avete idea di come voglia sfruttarla? Voglio dire..per il passato non possiamo fare nulla, ma per il futuro...”
“Di certo in modo egoistico e avventato...” rispose Corsaro “Il ché è strano, dato che la versione di Nathaniel Richards che ho conosciuto io, Immortus, è il primo che condanna l'abitudine di fare i viaggi nel tempo...”
“Aspetta...” sbottò Rocket mentre già faceva volare le zampette prensili sulla tastiera. “Richards è un nome che ho già sentito...”
“E' il nome del padre di Reed Richards, un altro con la fissa dei viaggi temporali. Immortus, da giovane, si ribattezzò col suo nome come tributo al suo genio.”
“Fantastico...” alitò Quill, conscio di non poter fare granché ma altrettanto consapevole di essersi cacciato, ancora una volta, in guai più grandi di lui.








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Rieccomi, scusate la lunga attesa. Meno male che vi avevo avvisato perché dopo Lucca son stata letteralmente sommersa di lavoro. Neanche volendo sarei riuscita ad aggiornare.
Cmq, rieccoci qua. Io sono ancora in preda ai fumi della fiera e ora che finalmente cominciato -perché ho trovato compagnia, non per altro. Andare in fiera con amici ed essere l'unica vestita che viene fermata non è bello- sono completamente drogata e continuerò a farlo in eterno.

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Capitolo 27
*** Esposti e vulnerabili ***


27. Esposti e vulnerabili






“Vedi di farla finita...” sibilò l'uomo dallo sguardo truce, sperando che la sua minaccia sortisse l'effetto desiderato.
Ma il suo interlocutore, al posto di quietarsi, fu scosso da un'ulteriore convulsione nel tentativo di trattenere le risate. “O mio Dio...” sospirò quando riuscì a riprendere fiato “Ti ci immagino...” commentò prima di ricominciare a ridere.
“Buttate fuori dalla nave questo cialtrone di un irlandese!” sibilò il guercio alle giovani reclute che componevano il gruppo di cui faceva parte anche la figlioccia. “A calci nel sedere e zavorrato a dovere... siamo in prossimità della Fossa delle Marianne, no?”
“Smettila, Nicholas...” sospirò la donna al suo fianco, passandosi una mano tra i capelli corvini segnati da una ciocca argentata “E no, siamo nei pressi di Nazca...”
“Tanto meglio...” ringhiò sommessamente quello, le mani puntellate a permettergli di protendersi sul tavolo lucido.
“Non dovrei stupirmi che il tuo gruppo di eroi si comporti come un branco di bambini in gita. Tu fai lo stesso...” commentò Maria Hill appoggiata con le braccia allo schienale di una delle poltrone disposte lungo l'altro lato del tavolo.
“Sei tu il comandante della nave, Maria...” replicò Fury squadrandola “Ti inoltro domanda formale di espulsione di quel soggetto dal tuo equipaggio..”
“Oh, finiscila!” lo zittì quella prendendo posto davanti a Valentina. “Hai paura che si diffonda il germe della consapevolezza che anche Fury è umano?”
“Ho già fallito con Loki...” ringhiò lui.
“Lo hai rispedito a casa...” precisò la Hill “E hai reso i tuoi eroi popolari, sovvertendo il destino che il CSM aveva già decretato per tutti noi... Non è abbastanza?”
Fury tacque un attimo, indeciso se accendersi o meno un sigaro, facendo così saltare tutti gli allarmi di quella dannata bagnarola supertecnologica.
“Io ritengo...” cominciò Valentina “...che tutta questa storia non possa far altro che consolidare i miti che ti circondano... Nick Fury e HYDRA...” disse usando le mani a indicare uno spazio vuoto in cui sarebbe idealmente campeggiata una scritta, sulla falsariga delle insegne pubblicitarie “Un po' epico... come gli eroi della classicità... o un moderno film d'azione...”
“Anche nell'antichità lottavano nudi... non c'è nulla di cui vergognarsi!” rincarò la Hill
“Smettetela...” sibilò l'uomo, livido di rabbia.
“Avanti Nick! Eri il più inerme possibile e hai messo a nanna un'intera base HYDRA...” ghignò ancora Timothy Dugan.
“La prossima volta vedi di portarmi almeno un paio di mutande...” ringhiò il guercio alla sua amante.
Val, per tutta risposta e con un sorrisetto furbo, replicò con un'alzata di spalle “Non saresti... non saremmo stati credibili. Sei evaso e hai combinato quel putiferio in quattro e quattr'otto. Non avresti avuto il tempo per indossare nulla...” disse lasciando scorrere uno sguardo carico di sottintesi lungo il suo torace, ora ricoperto da un lupetto e dall'inseparabile giubbotto di pelle.
Fury avrebbe voluto replicare che, portare via i fascicoli (tutti i fascicoli) che avevano trovato con le pudenda al vento, non era stata la cosa più edificante, consona e virile che avesse fatto in vita sua. Né che avrebbe mai voluto fare.
Certo, l'espressione sbalordita che aveva scorto attraverso le maschere degli agenti HYDRA, mentre veniva apparentemente scortato da Val lungo i corridoi dall'aspetto malsano, malamente illuminati da neon esausti e sfarfallanti, era stata impagabile. Il grande Nick Fury ridotto all'impotenza, privato di ogni arma -eccetto il suo stesso corpo- e ridicolizzato, esposto in tutta la sua umanità e in tutta la vulnerabilità della sua nudità, aveva suscitato forti emozioni in quelle guardie che, pur sul fronte opposto, ne ammiravano le imprese, l'arguzia e la sagacia. Per quanto potesse essere odiato e temuto, era comunque una figura leggendaria e molti non avrebbero mai accettato il fatto che un così valido avversario fosse capitolato così facilmente. L'umiliazione gratuita a cui era stato sottoposto, e su cui Val aveva calcato la mano, aveva turbato la maggior parte di loro perché rappresentava la fine di qualcosa a cui nessuno voleva dar credito nonostante tutto. E si sa che tutto ciò che chiude qualcosa crea disagio.
E loro due, stronzi come pochi, avevano approfittato bassamente di questo turbamento per farsi strada in una delle basi HYDRA più protette del pianeta.
“Ora finitela di sghignazzare tutti come idioti!” replicò la super spia guercia “E mettetevi al lavoro per capire che cavolo avevano in mente quei due decerebrati dei Fenris. Avanti! Spulciate 'ste carte e trovate qualcosa di utile!”
“Anche perché la cosa è ributtante...” commentò Daisy “Con tutto il rispetto, Nick, Val...” disse la ragazza.
“Oh, ma come l'abbiamo tirata su per bene...” fischiò sarcastico Dugan a commento di quella reazione “...tutta per benino...l'esatto contrario di te... si sconvolge per poco... cos'è, non hai mai visto un uomo nudo?” buttò lì, fin troppo volgarmente.
“Timothy!” ringhiò furente Fury. Tutto era concesso ma il fuciliere doveva capire quand'era ora di smetterla. Anche perché Daisy non era che una bambina.
“Onestamente...” si inserì anche la Hill, dura e tagliente “Sarei stufa anch'io di sentir parlare di come Nick se ne andava in giro col batacchio al vento. E non è un'immagine che vorrei ricordare...”
“Paura che ti turbi il sonno?” ghignò Val dall'altra parte del tavolo
“Ti ci metti pure tu, ora?” sbraitò Fury, livido, pentendosi di non averla uccisa, quella notte di poco tempo prima, dopo il loro ultimo amplesso. Altro che farla rinsavire. Non poteva che restare la serpe che era. “Si presuppone che tu sia gelosa...” disse, avendo esaurito convinzione e pazienza.
“Io sono superiore, bello...” gli sorrise la donna “Posso far morire le altre di invidia quanto voglio...”
La Hill la squadrò dal basso, come se avesse a che fare con una pazza. Quindi, preso un plico di documenti e battutolo un paio di volte sul pianale del tavolo per pareggiarne il contenuto, si alzò, facendo strisciare rumorosamente la sua poltroncina sul linoleum della stanza “Io torno nel mio ufficio. Non riesco a lavorare nel reparto asilo infantile...”
“Zitella...” replicò Val, facendole la linguaccia.
Il comandante, per tutta risposta, si limitò ad alzare gli occhi al cielo. Aprì la porta di vetro e si lasciò quei dementi alle spalle.
“Noi andiamo in camera a lavorare?” domandò Val con fare innocente facendo andare il sangue alla testa a Fury.
A rispondere per lui fu, però, la giovane Daisy che, con cipiglio da donna adulta, sorprese tutti “Capisco che l'avventura ti abbia messo... appetito... ma non riesci a controllarti un minimo? Sembri una bambina viziata. Oh, scusa, dimenticavo che è quello che sei...” disse con noncuranza, rituffandosi nelle scartoffie.
Mai ricordare alla contessina Valentina de Fontaine il suo retaggio nobiliare. L'agente, come previsto dalla furba ragazzetta, si zittì immediatamente, indispettita, lasciando che Fury agguantasse un fascicolo. Il guercio squadrò Dugan per sicurezza, nella speranza di invogliarlo, per mezzo del suo sguardo truce, a mettersi al lavoro ed evitare ulteriori alzate d'ingegno.

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Ogni strada polverosa de Il Cairo era affollata come se in ciascuna si trovasse un suq, un bazar, un mercato. La folla era una massa mobile e viva che penetrava in ogni intercapedine, costringendo l'ignaro turista a seguire un percorso a zig zag come se si trovasse immerso in un corso d'acqua. Camminare in gruppo si era rivelato da subito impresa impossibile e gli eroi, abbandonati gli abiti tattici per tenute che dessero meno nell'occhio, si erano fatti largo in quel marasma umano.
Wade, ovviamente, era l'unico che si era travestito da classico turista fuori di testa e che, per questo, rendeva credibile il gruppo composto altrimenti di persone anonime. Nonostante la loro eccentricità, la sua collana di fiori hawaiana, le sue ciabattine infradito e il suo panama nuovo di zecca scomparivano nel mare delle bancarelle ricche di stoffe, spezie, ortaggi e tappeti.
Clint, Natasha e Steve fendevano la folla spalla a spalla, come un cuneo che si scava la strada in una spaccatura rocciosa.
Ororo viaggiava al centro del corteo, preceduta da Logan e seguita da T'Challa, nel timore che il Re delle Ombre si facesse vivo e la reclamasse. La vicinanza dei due uomini a cui teneva di più le dava sicurezza e dissipava l'angoscia che la scarsità di spazio le procurava. Rogue e Kurt chiudevano la lunga fila in quanto era il luogo in cui la possibilità di andare addosso ad altre persone e ferirle inavvertitamente era inferiore. Con loro viaggiava anche un sempre più spaesato Warren che osservava tutto con occhi rapiti e che, troppo spesso, rallentava il passo per studiare gli oggetti esotici che incontravano lungo il cammino.
Dopo aver girovagato per il centro, in cerca di un ingresso diretto alla struttura paragovernativa, Natasha e Clint avevano ordinato il rientro al loro mezzo di trasporto, lasciato camuffato dietro una duna di deserto nei pressi delle tre piramidi che tutti i turisti credevano lontanissime dal centro abitato, isolate nel centro del deserto.
Una volta riparati tra le pareti di metallo del Quinjet, Natasha si lasciò andare su quello che considerava il suo seggiolino personale mentre Kurt si teleportava ai comandi e si apprestava a scaldare i motori, se non altro per avere l'aria condizionata.
“Che succede?” domandò Iron Man raggiungendola.
La Vedova Nera e Occhio di Falco si scambiarono un'occhiata con cui sembrò stessero riassumendo ore di conversazione. Alla fine la rossa sospirò, lasciandosi andare sullo schienale “La base è in disuso. E da parecchio tempo.”
“Lo dicevo io che quell'odore veniva da un'altra parte” borbottò Logan in disparte.
“Abbiamo trovato diversi accessi, tutti bloccati dal codice di evacuazione forzata che si usa nei casi di abbandono della struttura.” continuò Clint
“In pratica non si può entrare...” terminò Wade che era stato, anch'egli, per quanto imprevedibile, un agente S.H.I.E.L.D.
“Ma se non si può entrare non si può nemmeno uscire...” continuò Clint, confermando con un cenno della testa le parole di Wade.
“L'unico ingresso rimane l'hangar, 50 miglia più a sud di qua...” concluse Natasha
“Mi state dicendo che dobbiamo andare ad assaltare una base HYDRA senza sapere se sia effettivamente piena o vuota? Ci rovescerebbero addosso i caricatori non appena entrassimo nel loro spazio aereo...”
“E che problema sarebbe per te, scusa, armato di tutto punto come sei?” replicò Natasha
Tony stava per replicare ancora ma tacque all'improvviso, la mano sospesa a mezz'aria. La spia aveva ragione. Non c'era proprio il minimo problema a infilarsi in un covo di vipere come quello guidato da Norman Osborne...
“Decolliamo?” domandò Kurt già al posto del pilota. L'oloproiettore, ancora in funzione, gli dava l'aspetto di un bucaniere uscito da un film degli anni 50.
“Arrivo...” disse Natasha alzandosi e raggiungendolo al posto del copilota.
“Se non vi secca, io viaggerei all'esterno...” disse Ororo, pronta a sgusciar fuori dal portellone che si stava richiudendo.
“Ti accompagno, sorella...” rispose Rogue alzandosi in piedi mentre ancora si stava liberando degli abiti protettivi ma soffocanti. Era cresciuta al Sud, certo, ma quel caldo era troppo anche per lei. “Warren, dolcezza... ci fai compagnia?” domandò andando a liberare il compagno dall'oloproiettore che faceva apparire le sue ali metalliche come uno zaino da montagna, carico all'inverosimile e perfettamente credibile per un turista occidentale a caccia di souvenir esotici.
Warren si riscosse e, imitando Rogue, si liberò in breve tempo di quasi tutti gli indumenti che seminò senza riguardo sul pavimento metallico. “Warren!!” ringhiò la Bella del Sud mettendosi a raccogliere la scia che il bell'angelo aveva lasciato lungo tutta la carlinga come traccia del suo percorso verso l'esterno. 

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Bene, i ragazzi stanno facendo un po' il giro dell'oca intorno al pianeta. Ma la cosa non sorprenderà nessuno, visto che le cose vanno così anche nei fumetti. 
Che dire? al momento sono a corto di argomenti sulla fic (parla da sè) forse perché la mia attenzione è tutta calamitata dal post-Lucca che sta rivoluzionando la mia vita. Mi resta solo da trovare clientela per i cosplay e poi sono a cavallo XD
Abito in un posto sfigatissimo e dimenticato da Dio dove il cosplay non sanno manco cosa sia. Poi uno si domanda perché, dopo un primo timido tentativo, avevo rinunciato. :3 ma visto il successo di quest'anno ora non mi ferma più nessuno. Vi terrò aggiornati, anche se non ve ne frega nulla XD

A presto fanciulli.

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Capitolo 28
*** Immersi nell'oscurità ***


28. Immersi nell'oscurità





Si trovavano in un luogo che non conoscevano. Che nessuno di loro conosceva. Ne era certo. Tutt'intorno era buio, la percezione del mondo esterna ovattata e attutita. Si sentiva stordito come da una qualche droga potentissima. Non riusciva a vedere né sentire alcunché. Prima che il panico si impadronisse di lui, fece dei grandi respiri. O almeno pensò di averlo fatto. Gridare, lo sapeva per esperienza, sarebbe stato inutile. Anzi, avrebbe galvanizzato chiunque ci fosse stato dietro tutto quello.
Cercò di raccapezzarsi mentre estendeva i propri sensi, nel tentativo di riprendere almeno il controllo del proprio corpo. Dovevano essere immersi in una qualche vasca di deprivazione sensoriale e immobilizzati in modo scientifico e pressoché perfetto. Quindi, doveva esserci una grande quanto perversa mente dietro tutto quello. Per un altrettanto grande quanto perverso scopo.
Doveva pensare a uno scienziato malato. E lui ne conosceva solo uno tanto folle da arrivare addirittura a rischiare di scatenare le sue ire. Cercò di evocare il suo potere ma niente si mosse attorno a lui. Forse gli avevano cacciato addosso uno di quegli odiosissimi collari del M.R.D. E se era così, era pressoché inutile tentare di chiamare aiuto telepaticamente.
In quella situazione assurda quanto sconosciuta, un pensiero gli attraversò potente la mente. I suoi figli. Sperava che almeno loro fossero in salvo. Sperava che non capitasse loro nulla di quanto era già successo a lui.
Riaprì gli occhi, più per riflesso condizionato che per reale bisogno. Continuava a esserci un buio così fitto che non avrebbe saputo dire se era sospeso in aria in posizione verticale od orizzontale, se fosse al centro di una stanza o a ridosso di un muro. Non c'era nulla che gli offrisse il benché minimo appiglio per decifrare quella nuova realtà.
Un gemito contrariato gli sfuggì dalle labbra. Chiunque fosse stato, avrebbe pagato con la vita quello scherzo di cattivo gusto.
“Sei sveglio? Riesci a sentirmi?” domandò una voce così flebile e ovattata che la percepì appena e quasi pensò di averla sentita solo nella sua testa. Come sempre.
“Se stai giocando col mio cervello, sappi che è uno scherzo di pessimo gusto” disse dopo essersi schiarito la voce, incerto sul fatto che sarebbe uscita o meno o che fosse un ringhio catarroso.
“Ho provato a chiamarti per evitare di attirare la loro attenzione...” continuò la voce dell'amico “...ma credo ci abbiano fregati tutti e due...”
“Non è molto signorile, da parte tua, parlare in questo modo, Charles” bofonchiò l'altro.
“Non ho idea di cosa stia succedendo, ma non dev'essere nulla di buono... Sono troppo ben organizzati, Erik, per coglierci così di sorpresa... Per cogliere noi due e tutta la mia scuola, così di sorpresa...”
“E detto da te... Dì, non sei contento di non avere più voci in testa? Quello che molti dei tuoi perseguono è questo assurdo annichilimento dei sensi...”
“Alcuni non possono farne a meno...altri non sono abbastanza forti...” si scusò il suo interlocutore senza rispondere alla sua frecciata velenosa.
“Non ti rispondo come al solito solo perché, in questo momento, mi sentirei come quello che ci ha messo in questo pasticcio. E tu sai a chi mi riferisco...E' l'unico che può aver osato tanto...”
“Spero solo che i ragazzi che ho a New York non siano rimasti coinvolti... e che si accorgano della nostra scomparsa...”
“Per una volta concordo con te. Anche se il mio fare affidamento su Wanda potrebbe essere quanto meno... infantile...”
“Quanto la tireranno per le lunghe, secondo te?”
“Non sappiamo nemmeno da quanto tempo siamo in questo stato... ma conoscendo i folli che fanno queste cose, il tempo è l'ultimo dei loro pensieri, amico mio... mettiti comodo... ammesso che tu riesca a sentire la stanchezza...” celiò sarcastico il signore del magnetismo mentre la sua mente vagava al mondo che conoscevano e che avevano lasciato. Inutile quanto inevitabile era porsi domande su cosa fosse successo quanto su dove fossero, perché e come fosse la situazione all'esterno. Ovunque fosse questo esterno.

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Kurt e Natasha pilotarono il Quinjet fino alle coordinate impostate dalla spia. Si erano isolati in cabina di comando per non venir disturbati dal chiacchiericcio infantile e sconsiderato del loro seguito. Solo un pugno di loro comprendeva dove si stessero recando e quanto potesse risultare pericolosa l'intera manovra.
All'esterno del velivolo, i tre mutanti amici del teleporta fendevano l'aria, guidando il mezzo nell'azzurro luminoso del cielo del deserto. A vederli da dietro il vetro del Quinjet sembravano tre creature mitologiche e sovrannaturali, spiriti protettori degli eroi in viaggio che li accompagnavano in quella missione assurda privi di qualunque pensiero.
Warren viaggiava in posizione di punta. Coi suoi colori e con quelle ali aguzze il biondo miliardario era, dal punto di vista visivo, naturalmente predisposto a quel ruolo: sembrava tagliare la densità dell'aria senza il minimo sforzo, manteneva lo sguardo fisso come un rapace predatore. Al suo fianco correvano, altrettanto veloci, le due donne, in una coreografia perfetta e simmetrica. Tutti e tre erano incredibilmente rapidi e sembrava impossibile che potessero tenere testa a quel jet supersonico. Alla minima fluttuazione del velivolo, i mutanti si disponevano immediatamente in modo tale da anticiparne la rotta.
A cinque miglia dalla meta, entrambi i piloti avevano preso ad asciugarsi ripetutamente i palmi delle mani sugli indumenti. La tensione era palpabile e i sensi erano all'erta nel captare un qualunque eventuale minimo segnale di allarme che la strumentazione avesse rivelato. Ma il Jet si avvicinava e gli allarmi non scattavano.
Certo, i velivoli in dotazione dello S.H.I.E.L.D., tanto quanto il Blackbird o il Midnight Runner degli X-men, erano invisibili ai radar ed erano equipaggiati di tecnologia mimetizzante e i tre mutanti all'esterno erano troppo piccoli per essere considerati una minaccia, ma questo non giustificava quella totale inattività da parte del loro nemico.
Scesero piano fino a dove Natasha sapevano esserci i portelli circolari che, aprendosi tra le dune del deserto in costante movimento, permettevano il decollo verticale dei mezzi della base. A quel punto, chiunque fosse all'interno doveva averli rilevati ma ancora nessuna controffensiva era scattata.
La rossa armò la cloche sotto lo sguardo sgomento del teleporta “In qualche modo dobbiamo pur entrare...” commentò mentre stabilizzava i reattori verticali e configurava tutti i parametri del caso.
Kurt deglutì “Potessi mi teleporterei dentro...” alitò nervoso. Non dovette nemmeno avvertire la sorella si scansarsi dalla traiettoria. Aprendosi, i portelloni in cui erano custodite le armi, dovevano aver fatto abbastanza baccano da farsi sentire anche dai tre esterni.
“Oh, non darti troppa pena... ho il vago sospetto che il posto sia disabitato.” disse Natasha, stirando un sorrisetto. “Pronta a far fuoco..” disse tornando di colpo fredda e professionale.
Kurt diede un cenno d'assenso, la cloche stretta tra le mani tripartite “Quando vuoi!”
“Fuoco!” disse solo la donna prima di premere il grilletto. Il teleporta ne fu in qualche modo stupito: si aspettava un urlo da assalto in battaglia, come nei film. Anche i pirati urlavano. Invece, la realtà era ben diversa. A pensarci, nemmeno loro, in tutte le scaramucce con la Confraternita, si erano mai esposti in ululati cinematografici. Né l'avevano fatto i segugi di Arma X quando li catturarono. Tenne salda la presa, impedendo che il rinculo del mitragliatore potesse in qualche modo destabilizzare il velivolo e colpire i compagni che pure si erano spostati in zona di sicurezza.
In breve tempo, una breccia, un pozzo nero e infinito che catturava lo sguardo in maniera ipnotica si aprì sotto di loro.
“Non mi piace...” commentò notando come non riuscissero a vedere nulla sotto di loro.
“Io non sono poi tanto dispiaciuta...per ora...” commentò la spia, mordicchiandosi l'interno della guancia. Avevano evitato uno scontro frontale ma il fatto che la base -da cui provenivano le tracce lasciate a Westchester- non fosse operativa aveva qualcosa di inquietante e poco chiaro.
Calarono il velivolo con ulteriore cautela, illuminando l'hangar con i potenti fari di dotazione.
Non una luce, neanche d'emergenza, né una spia led rischiarava quel luogo tetro e abbandonato da anni. Probabilmente, calcolò mentalmente Natasha, da quando il commando S.H.I.E.L.D. che lo presidiava era stato annientato. Sperava solo che i corpi fossero stati rimossi. Perché, oltre all'odore insostenibile, voleva evitare che Clint trovasse il cadavere della moglie -o ciò che ne restava- ancora scomposto dopo l'assalto nemico.
Fortunatamente, però, il luogo sembrava pulito. Impolverato, pieno di ragnatele, arrugginito, con la sabbia del deserto che percolava dalle invisibili crepe dei portelloni ma, fondamentalmente, intonso. Atterrarono delicatamente, sollevando un leggero spostamento della polvere circostante.
Natasha sganciò l'imbracatura mentre Kurt scompariva nella carlinga. Non si era nemmeno raddrizzata che già stava armando la pistola. Raggiunto il resto del gruppo trovò i veterani già pronti all'assalto. “Tranquilli...” sibilò passando in testa e spostandosi al fianco di Clint “Il posto è deserto!” disse mentre l'arciere attivava i portelloni.
Scesero alla spicciolata, silenziosi e letali. Prima i due agenti che puntarono le armi in tutte le direzioni prima di allontanarsi di qualche passo. Quindi Logan e Steve. Tutti gli altri seguirono, con molta prudenza, solo in seguito.
Intanto, anche il reparto aviario dei mutanti era atterrato. I volti delle donne erano tirati per la tensione mentre Warren sembrava in uno stato di trance. Le ali metalliche, inoltre, gli conferivano uno sguardo quanto mai sinistro e crudele.
“Avremmo bisogno di un po' di luce...” commentò Stark azionando il suo uniraggio in modo che producesse una luce soffusa.
“La delicatezza in persona!” sbottò Wade, un'ottava oltre il normale tono della voce “Bel modo per attirare l'attenzione!”
“Tu stai facendo lo stesso...” replicò Natasha da un punto imprecisato nel buio. Nella cavità risuonò secco il suono della sicura che veniva inserita nuovamente. “Se volevano ci avrebbero già attaccato...”
“Lo sapevo...” commentò asciutto Tony con strafottenza.
“Gne gne gne...”
“E Stark ha ragione... ci serve luce... se ben ricordo, gli interruttori dovrebbero essere...” stava ragionando la spia quando un potente bagliore inondò la sala.
Sorpresa, si voltò verso la fonte luminosa come tutti gli altri. Sospesa a mezz'aria, Rogue ardeva come la Torcia Umana. “Se fate un po' di casino forse riesco ad attivare anche il potere di Dazzler...”
“MJ è in tour con Lila ed Alison...” commentò Spidey affascinato.
“Puoi usare il potere di Jubes, cocca...” replicò Wolverine, sorridendo di quella trovata “Per quello non ti serve il rumore”.
“Giusto...” commentò la ragazza mentre dal fuoco del suo corpo si dipanavano una serie di fuochi d'artificio, spettacolari e bellissimi “Non so quanto riuscirò a resistere, dolcezza...datti una mossa a trovare quegli interruttori. Quando tutto 'sto casino sarà finito replicherò lo spettacolo, se vorrai”
Natasha, riscossasi come da un sogno, batté le ciglia un paio di volte, quindi girò sui tacchi e, nella luce tremolante delle fiamme e intermittente dei giochi pirotecnici, si affrettò nel ridare vita a quel posto.
Ricordava vagamente dove fosse il generatore di corrente e sperava che l'impianto elettrico non si fosse deteriorato completamente. E che quei pezzenti di HYDRA non si fossero fregati anche le lampadine. Trovò il quadro generale e attivò tutti i relè. Subito i neon, assonnati ed esausti, sfarfallarono ora pigramente ora istericamente in tutto l'hangar. Qua e là si sentì una piccola esplosione, come di un palloncino già mezzo sgonfio che veniva bucato. Complessivamente, comunque, c'era luce a sufficienza per addentrarsi un po' ovunque nella base.
Ora si distinguevano netti i segni di sfregio portati dall'agenzia avversaria: l'aquila stilizzata, marchio dello S.H.I.E.L.D., era stata ora crociata, come a cancellare un errore dal foglio, ora trafitta da frecce stilizzate, ora resa più simile a un polipo da vandali armati di semplici bombolette spray verdi. Un gesto infantile quanto deplorevole che marcava il senso di inferiorità di cui erano vittime gli agenti di HYDRA, il cui unico modo per darsi un valore era imbrattare le effigi nemiche. Perché non sarebbero mai riusciti a fare di meglio nello scontro diretto.
“Sono sicuramente passati di qua...” grugnì Logan dopo aver pesantemente annusato l'aria “... Ma non è da qui che provengono. Questo dev'essere una tappa intermedia. Non chiedetemi perché. Io so solo cosa mi raccontano i miei sensi.”
“Riesci a rintracciare una scia che ci guidi nel punto giusto?” si affrettò a domandare Ororo, preoccupata.
Il canadese sbuffò “E' tutto vago... gli odori si sono mescolati... ma, sì, riesco a sentire una traccia appena più penetrante delle altre anche se sono sicuramente passati diversi giorni.”
“Io continuo a non percepire nulla...” li informò Stephen Strange che, per tutto il viaggio, era rimasto in uno stato semi-comatoso che Wanda aveva definito trance dovuta all'accesso al piano astrale. La cosa sembrava indebolire vistosamente il corpo ospite ed era stato il motivo per cui a Il Cairo, Illyana, Wanda e Pietro erano rimasti a bordo del jet: le due avevano ricevuto i rudimenti delle arti magiche e Pietro si era rifiutato di allontanarsi dalla sorella, ora che l'aveva ritrovata.
“Chiunque sia stato non ha usato la magia per far sparire i nostri amici...” terminò per lui Thor una strana ombra gli segnava il bel volto nordico.
A quella notizia, i Vendicatori originari si guardarono tra loro. Se non era magia si trattava di scienza. E doveva trattarsi sicuramente di qualche altro trucchetto rubato ai laboratori Pym-Richards-Stark.
Tacitamente d'accordo, Rogue e Logan si misero in testa alla carovana, cercando di captare la traccia che li avrebbe condotti alla meta.
Mentre loro si inoltravano nelle viscere della base, gli altri li seguivano sparpagliandosi in giro, cercando ulteriori indizi che potessero essere di qualche utilità.
“Per quanto mi piaccia gironzolare per la città quando è notte, ho una paura boia del buio...” commentò tra sé e sé Peter Parker, curiosando in giro.
“Fossi in te starei col gruppo principale, allora...” ghignò Deadpool accanto a lui. “Non si sa mai cosa può nascondersi nell'ombra... o quali siano le intenzioni di quella sadica dell'autrice...”
Un brivido gli scivolò lungo la schiena al solo pensiero dello scenario più roseo che le parole di Wade ventilavano. O era il suo senso di ragno che pizzicava? Se era così, la minaccia non doveva essere imminente. Forse era il residuo di pericolo che aleggiava in quella base...forse erano solo paturnie che si faceva lui.
Allontanarsi da quel posto inquietante era decisamente la cosa più saggia. Anche perché lui aveva esperienza diretta di cosa volesse dire cacciarsi in luoghi non autorizzati. Una volta gli era andata, tutto sommato, bene. Non poteva certo dire se avrebbe avuto così tanta fortuna una seconda volta.
Fece per allontanarsi quando, inavvertitamente, urtò con il piede dei cocci di vetro e avvertì, sotto la suola, qualcosa di viscido. La sensazione di disagio tornò prepotente ma la curiosità lo spinse a indagare. A terra non c'era nulla, solo vetri infranti. Si allontanò con circospezione, prestando attenzione a dove poggiasse la punta delle scarpe: ci mancava altro di prendersi delle schegge. E, come era venuta, l'idea di aver toccato qualcosa di umido e appiccicaticcio se ne era andata. Quel posto era inquietante e lui voleva andare altrove. Anche tra le fauci del nemico. L'importante era che fosse chiaro contro cosa combattevano. L'indeterminazione lo infastidiva.






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Buondì, fanciulli. Mi scuso per la brevità dei miei interventi a fine capitolo ma non ho molto da aggiungere alla storia in sé, nonostante sia strapiena di impegni e pensieri (tutti positivi, si intende).
Spero che continuiate a gradire mentre ci avviciniamo inesorabilmente verso la fine (e all'ovvio mega scontro di rito).
Baci a tutti!

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Capitolo 29
*** Piani occulti ***


29. Piani occulti






Percorsero i corridoi della base abbandonata in lungo e in largo fino a quando, rassegnati, tornarono al punto di partenza.
“Non c'è un accidenti di nulla!” tuonò Pietro, insofferente. “Sei sicuro che questo sia il posto giusto?”
“Sicurissimi...” ribatté Rogue, eccessivamente suscettibile.
“E allora dove diavolo sono tutti quanti?” sbottò anche Clint “Voi cervelloni avete detto che se non si tratta di magia, allora si tratta di scienza... che vuol dire?”
Tutti si voltarono verso Thor e Tony che gli stava accanto. Fu il magnate a rispondere per il dio “La magia di cui fanno uso sia Thor che Loki non è altro che un avanzato concetto di scienza. Stiamo parlando di cose che nella nostra realtà sono come rette parallele...”
“Non si incontrano mai...” continuò T'Challa, riassumendo. “Ma come sosteniamo da tempo noi, in Wakanda, magia e scienza non sono necessariamente antitetiche. E come due rette, all'infinito, o cambiando piano di riferimento, arrivano a incontrarsi...”
Notando le facce per lo più perplesse del loro pubblico, Tony si affrettò a spiegare “Fidatevi. Due rette parallele, disegnate su superficie curva, si incontrano. Vi basti questo. Ora...nel mondo da cui viene Thor, è la stessa cosa: magia e scienza si incontrano. Se è difficile per me accettarlo, non dovrebbe esserlo per dei miscredenti come voi...” disse gesticolando in aria.
“Bada a come parli, dolcezza!” sbottò Rogue, mani ai fianchi.
“Quello che voglio dire è che... oh, dannazione!” imprecò nervoso “Non abbiamo trovato nulla di strano, giusto? Giusto! Nulla di magico o di fuori posto. Ergo deve trattarsi di qualcosa di meccanico, scientifico, tecnologico o qualcosa di simile, fate voi.”
“Scusa la domanda stupida...” interloquì Peter “Ma se i nostri sensi, le nostre...arti magiche... non riescono a individuare questa cosa...che sospetto sia una porta che conduce a un altro ambiente... tecnologia per tecnologia... non conviene far svolgere il compito a una macchina, i cui sensi non si fanno ingannare come i nostri?”
“... Stavo arrivando proprio a questo punto...” replicò indignato Stark, avanzando verso il QuinJet. “Avanti, T'Challa, dammi una mano con questi affari...” disse indicando la sua armatura e il sintezoide Visione, assicurato alla carlinga da robuste -quanto inutili- cinghie di Kevlar.
“Non chiamarli affari...” sibilò Wanda, rimasta fino a quel momento, in totale silenzio. “Sono senzienti. Cosa definisce il confine tra una vita e una non vita? Sei uno scienziato, dovresti sapere meglio di me che esistono creature che non rispondono al parametro dell'ossigeno ma a quello dell'ammoniaca... Allo stesso modo, non credo che il carbonio possa essere una discriminante rispetto al silicio. Porta rispetto per una forma di vita intelligente che non riesci a capire!”
Tony levò gli occhi al cielo. Come diceva il detto “A padroni e matti non si comanda...” e lui padroni non ne aveva mai avuti quindi pensò fosse meglio lasciare la marmocchia delirante a crogiolarsi nel suo insoluto problema dissociativo con le macchine. Problema che, a dirla tutta, avevano sempre avuto sia lui che Hank. Certo poteva dire di capirla, ma scattare a quel modo...
“E noi cosa facciamo nel frattempo?” domandò Wade buttandosi per terra “Qui non hanno nemmeno la tv via cavo...figurati la pay-per-view...”
“Mangia, Wade! Hai fatto scorta di Kebab... mangia e taci...” replicò Logan.

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Scivolò nel buio di una sala appartata e pressoché invisibile dall'ambiente principale, così vasto che i suoi confini si perdevano all'orizzonte. Quel posto era meravigliosamente ingegnoso. Ci si poteva nascondere all'infinito. E la stanza in cui si era ritirato non era che una finestra sullo spettacolo che andava profilandosi nell'immediato futuro.
Da lì poteva vedere tutti i sarcofagi, i macchinari, le sostanze che servivano allo scopo abbastanza perverso del suo ospite. E i paesaggi olografici sulle pareti che mostravano l'ambiente d'origine. E poi ancora le celle ad alveare in cui erano rinchiusi i soggetti dei test, quelli in attesa di collocazione, e gli esperimenti che sembravano procedere nel verso giusto. Il suo ospite, inoltre, aveva classificato alcuni di questi con il caratteristico rombo rosso, a denotare che erano progetti di vecchia data, già avviati nel passato e di cui intendeva controllare o accelerare lo svolgimento.  
Tutto procedeva esattamente come lui aveva previsto.
I meccanismi che aveva azionato per godimento personale e, in secondo luogo, nel tentativo un po' vano di dare una svegliata al fratello -amava le cose complicate e le missioni pressoché impossibili- si erano rivelati più gustosi, soddisfacenti, sorprendenti e comici di quanto non avesse previsto.
Gli esseri umani erano così pateticamente prevedibili ma così dannatamente essenziali per l'equilibrio dell'universo. Non gli Shi'ar, non i Kree... razze potentissime e così avanzate da risultare, talvolta, un obiettivo irraggiungibile per gli stessi Asgardiani: razze che avevano messo a ferro e fuoco l'intera galassia si inginocchiavano, in attesa, davanti a quei patetici vermetti rosati.
Poco importava che alcuni si ergessero sopra la massa, arrivando a stabilire preziosi contatti commerciali con mezzo universo. Contatti commerciali che lui si era preso la briga di preservare: era folle, non stupido e quei ragazzini gli servivano. Erano stati dei partner fantastici: da una parte avevano consolidato il mercato interplanetario, dall'altra erano stati grandi burattinai nella sua maestosa pantomima. Tramite loro era arrivato ai vertici delle organizzazioni che governavano Midgard e da quelle a tutte le sue pedine.
Una delle quali era sorprendentemente cinica e disinteressata a tutte le velleità terrene, focalizzato unicamente sul suo desiderio di studiare, capire, sezionare, ricreare, raggiungere la perfezione degli eroi.
Aveva lasciato Nathaniel Essex in quella che risultava essere l'ultima stanza in fondo al labirinto che aveva sapientemente predisposto per gli eroi della Terra. Li aveva bastonati e umiliati (anche se riteneva di esser stato ancora molto magnanimo rispetto ai suoi standard) e quelli non si erano né spezzati né piegati. Avevano incassato ogni suo attacco, che venisse dall'opinione pubblica, dai loro diretti superiori o da loro stessi. E ancora non si mettevano in discussione, si ostinavano a testa bassa, come muli cocciuti. Ma era per questo che li trovava tanto divertenti. Al posto di arrendersi, scoppiare in lacrime, compatirsi o scaricare la responsabilità dei loro mali sul mondo circostante, se ne erano assunti la responsabilità, se l'erano caricata sulle spalle senza fiatare, come il pesante bagaglio di uno sherpa nepalese.
Ma lui sapeva che a tutto c'è un limite. E che, raggiunta la soglia, la classica goccia avrebbe fatto tracimare l'altrettanto classico vaso.
Sarebbe stato meraviglioso.
Aveva predisposto tutto con cura e intendeva godere fino all'ultimo dello spettacolo così sapientemente architettato. Le in gioco variabili non erano schegge impazzite ma tutto rigorosamente monitorato, seppur con un buon margine di autonomia dei singoli. Era un esito scontato, in fondo. Ma sarebbe stato comunque divertente vederlo concretizzarsi sotto i suoi occhi. Oh, come avrebbe goduto nel vederli perdere tutti il controllo, diventare furibondi.
Perché i cosiddetti eroi erano disposti a sacrificare tutto, a perdere ogni cosa, compresi loro stessi, per un bene superiore.
Tutto.
Con delle eccezioni. Ammesso che non fossero dei folli psicopatici come lo erano i suoi alleati. Ma erano eroi, appunto. E come tali, pur con le loro imperfezioni umane, incarnavano, maldestramente e spesso involontariamente, le virtù che ispiravano a un comportamento migliore.
E lui sapeva bene come bambini innocenti e vecchi paralitici potessero muovere gli animi più induriti. Se a tutto questo si aggiungeva il fatto che folli scienziati erano incaricati di torturare e sperimentare su questi soggetti... per non parlare del sadismo nell'infierire, aggravare e fomentare situazioni già particolarmente traumatiche...
Il tutto, ovviamente, all'insaputa del prescelto.
Riuscire a scatenare l'ira degli eroi sarebbe stato a dir poco galvanizzante.
Uno spettacolo per cui si era assicurato un posto in prima fila e che gli avrebbe reso gli onori che il padre gli doveva. Anzi, non solo il padre ma l'universo tutto.
Con il suo genio, lui, Loki di Laufey, avrebbe fatto compiere alla Terra quel balzo evoluzionistico in avanti che ancora gli mancava per confrontarsi alla pari col resto dell'universo civilizzato. I terrestri si sarebbero potuti proteggere da soli dalle incursioni di predatori interstellari, lasciando il tempo e il modo agli Aesir, e a tutti gli altri coinvolti nel mantenimento dell'equilibrio della loro maturazione genetica e intellettiva, di dedicarsi ad attività ludiche più pragmatiche e interessanti.
Il Ragnarok, ad esempio, era uno dei tanti eventi che avrebbe gradito si svolgessero quanto prima.
Oh, certo, non ultimo, in questo modo avrebbe anche preservato sua figlia dalla grinfie di quell'orrendo e deforme Vanir che era Thanos. Perché sapeva che il castigo a cui il gigante era stato relegato non poteva che essere temporaneo. Quando sarebbe tornato alla carica, deciso a sterminare il gioiello dell'universo, avrebbe trovato chi, in sua vece, avrebbe indirettamente protetto la figlia da promesse sconsiderate.

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Il suo assistente era inquieto e nervoso. Avvertiva distintamente il suo nervosismo anche se quello rimaneva immobile come un telamone davanti alle vetrate. Paradossalmente, la cosa gli impediva di concentrarsi a dovere. Anzi, cominciava a dargli decisamente sui nervi. Levò gli occhi dalla sua cartellina e gli piantò lo sguardo accigliato sulla schiena. “Cosa c'è... Prelato Summers? Qualcosa ti disturba?”
Quello non diede segno di averlo sentito ma poco dopo si voltò, dando le spalle al paesaggio virtuale quanto lussureggiante che si estendeva a perdita d'occhio al di là del vetro. Il suo personale giardino dell'Eden, gentile concessione del suo mecenate.
“Non concordo con la vostra tolleranza...” sibilò appena mentre i capelli ormai troppo lunghi gli ondeggiavano davanti agli occhi.
Lo scienziato si prese qualche istante per osservarlo e valutarlo. L'aspetto trasandato che aveva all'inizio era stato soppiantato dalla sfumatura selvaggia che -ne era certo- brillava anche nei suoi occhi roventi. La passione che gli ardeva in petto era stata a lungo repressa dall'errata convinzione di dover essere più che responsabile per proteggere il fratello. Quello che nessuno dei due aveva mai capito era il fatto che la sorte era stata crudele nei confronti di entrambi. I pochi mesi che li avevano separati alla nascita avevano delimitato un confine invisibile tra il maggiore e il minore, con stupide ripercussioni su entrambi: erano entrambi solo dei bambini quando erano rimasti orfani in uno sfortunato incidente aereo.
Nonostante i suoi sforzi di rimuovere quelle barriere mentali che la vita aveva sedimentato nel loro animo, certi atteggiamenti permanevano. Così Scott rimaneva ligio al dovere e insofferente alla leggerezza con cui Alex, protetto dalla sua ombra che al contempo gli gravava addosso come un modello soffocante e irraggiungibile, affrontava la vita.
“Credimi...sono un tipo ben poco tollerante... Ma è meglio lasciare che Alex si sfoghi o potrebbe riversare il suo malumore nel lavoro...” commentò lo scienziato andando alla balconata poco distante da cui, per mezzo di altri schermi olografici, poteva avere l'impressione di osservare il cuore della loro città segreta.
A una discreta distanza, sotto di loro, più in là nella vasta sala dell'immenso laboratorio, il secondo Prelato Summers era impegnato in un vivace incontro ravvicinato e del tutto smaliziato con la sua compagna di una vita, uno dei suoi più alti ufficiali, l'attuale Cavaliere Pestilenza. Anche Lorna, in fondo, non era cambiata poi molto: le medesime passioni continuavano a legare i due giovani ora come allora. Al riguardo, Essex si trovò a sogghignare, poiché trovava del tutto inappropriato il livore di Scott. Il suo senso del dovere lo frenava ma in realtà...
“Non credo...” disse tornando a guardare i propri appunti “Che tu sia nella posizione più indicata per criticare Alex...Tu hai addirittura un harem...” lasciò cadere pensando alla bionda e alle due rosse che gli girovagavano per i laboratori, chi come complice chi come cavia.
“Ma non lascio che ciò interferisca col mio lavoro...” ribatté subito quello, colto nel vivo.
“Ti dirò...quasi preferirei vedervi...cioè...sapervi all'opera più frequentemente...” confessò il genetista quasi stesse valutando i pro e i contro di quella proposta: più attività da parte loro, più materiale genetico da studiare per lui.
“Signore...” li interruppero altri due cavalieri comparsi dal nulla e vestiti completamente di nero e rosso com'era la loro nuova divisa. Shiro e Remy si erano fatti ancora più silenziosi e circospetti da che erano diventati Cavalieri. Non che dovesse sorprendersi: il primo era giapponese e, con ogni probabilità, le doti da ninja erano connaturate nel suo D.N.A. Mentre Remy... beh...era stato cresciuto dal capo della confraternita dei ladri, quindi il suo addestramento non poteva che venire acuito da quella trasformazione.
“Ditemi, miei cari...” li invitò mentre, con occhio clinico osservava la camminata del giapponese. Dopo l'incidente e la perdita delle gambe, ora camminava forse meglio di prima. Poteva dirsi più che soddisfatto. E doveva ringraziare solo la sua piccola creaturina artigliata. Più tardi sarebbe passato anche da lei a vedere come stava.
“I Vendicatori sono arrivati alla base in Egitto...” disse Shiro con serietà e senza mezzi termini.
Il disappunto si dipinse rapidamente sul volto cereo del genetista e si trasformò quasi istantaneamente in rabbia. Come era stato possibile? A chi doveva attribuire la colpa? Sapeva che, prima o poi, l'assenza di tutti gli occupanti della scuola di Westchester -così come di altre strutture sparse per il mondo che accoglievano mutanti e superumani- sarebbe stata notata. Ma non che gli interessati giungessero a destinazione. E, sicuramente, non in così breve tempo.
Serrò la mascella nervoso e poi subito si rilassò. Non aveva nulla da temere. Erano al sicuro, protetti come in una botte di ferro. Anche ammesso che quelli fossero riusciti ad arrivare fin lì (cosa altamente improbabile anche se con gli eroi più potenti della Terra a piede libero non si poteva mai essere sicuri di nulla) non ne sarebbero mai usciti. Non vivi, per lo meno.
E anche nel malaugurato caso si fossero rivelati così estremamente inarrestabili lui si era predisposto una scappatoia. Bisognava sempre prevedere il più terribile degli scenari per essere pronti a farvi fronte nel caso si fosse mai realizzato. Era da stupidi romantici credere che il predisporre uno o più piani di riserva volesse dire non credere sufficientemente nell'idea principale. Era l'atteggiamento di chi agisce sull'onda dell'istinto, di chi non è abituato a guardare lontano a pianificare, l'atteggiamento del soldato semplice, non del Generale.
Essex si guardò attorno, lasciò scivolare uno sguardo di tenero compiacimento a tutti i suoi esperimenti. Gli sarebbe dispiaciuto perdere tutto. Ma avrebbe avuto sempre i suoi rapporti e referti. Storse appena il naso all'idea. Avrebbe dovuto effettuare dei back-up con maggior frequenza, fintanto che l'allarme non fosse passato. In caso di attacco, salvare il possibile e distruggere ogni documento, cartaceo o virtuale che fosse, sarebbe stato più complicato, avrebbe richiesto più tempo. Diede le spalle ai suoi accoliti, meditabondo. Doveva trovare una soluzione che gli permettesse di guadagnare tempo prezioso e non correre gli stessi inutili rischi corsi con Arma Plus.
Ma la soluzione era semplice e a portata di mano, come in una partita di scacchi.
Per salvare il re, si sacrificavano tutte le pedine. E anche gli alfieri e i cavalli. E le torri financo la regina.
Ecco cosa avrebbe fatto. Semplice, brillante. Nessuno avrebbe mai sospettato nulla. Né dei suoi avversari né delle sue stesse pedine. D'altronde, in quel posto era l'essere più intelligente e chi lo superava ampiamente era ridotto al silenzio.
Sorrise.
Avrebbe portato un tributo trionfale al suo signore e l'era di Apocalisse sarebbe finalmente scesa sulla Terra proclamando la fortuna e la superiorità dei più geneticamente avanzati.








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Insomma, eccoli qua, finalmente chiariti in modo inequivocabile, i piani di Loki. Perché tutto è nato e perché tutto si è evoluto in questo pippotto da 100 e rotti capitoli.
Ora sapete cosa aspettarvi dai prossimi capitoli :)
Non dite che non siete stati avvertiti ;)

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Capitolo 30
*** Trappole ***


30. Trappole






“Lune ed Egitto....” bofonchiò Janet, lo sguardo rivolto al soffitto.
L'aria, all'interno della base nascosta, si stava facendo gradualmente ma inesorabilmente secca e graffiante dato che il portellone sventrato non tratteneva più l'umidità all'interno. Anzi, dalla sua voragine filtrava, eterea e traslucida, con ritmo casuale e irregolare, la sabbia dorata e calda del deserto e gli impianti di condizionamento -prima cosa che Natasha si era preoccupata di controllare appena aveva capito che ci sarebbe stato da aspettare- sembravano essere tutti fuori uso. Il caldo e l'afa stavano invadendo ogni angolo della base e ben presto stare lì non sarebbe stato molto diverso che stare all'esterno. L'unico sollievo era portato dal buio in cui avevano fatto calare nuovamente la base per impedire che i neon scaldassero troppo rapidamente l'aria fresca residua e in cui trovavano la protezione dai raggi roventi del sole.
“Cosa c'è?” domandò Tony sovrappensiero, intento a stringere una valvola di sicurezza che grondava olio. Era sudato come non l'aveva mai visto. Certo, Tony prima di essere un grande ingegnere sapeva essere un grande meccanico. Non si tirava indietro davanti alla sfida rappresentata da un motore e si immergeva fino alla cintola in ingranaggi sporchi e pericolosi. Ma, per quel che lo conosceva, aveva sempre mantenuto un certo distacco con la materialità di quello che faceva: era sempre pulito, profumato, coi capelli ingellati. Praticamente inappuntabile anche con un toni lurido legato in vita. Lo aveva visto ridotto in condizioni simili solo nelle riprese dei notiziari, quando era riuscito a scappare dal covo dei Dieci Anelli, anni prima. Quando, per salvargli la vita, gli avevano piantato in petto una miniaturizzazione del generatore Ark.
“Marc Spector...” alitò lei in risposta. In quello era rimasto lo stesso di sempre: quando lavorava si estraniava completamente dalla realtà circostante. Salvo tornare coi piedi per terra al minimo accenno di determinate parole magiche. Che lei, ovviamente, non aveva mai scoperto. Dio solo sapeva come facesse Pepper a reggere, e addirittura desiderare un uomo del genere. Non che lei fosse in una posizione particolare per poterla giudicare, visto l'uomo, geloso e a tratti violento, che si era scelta per marito “Ricordi cosa ti ho detto prima? Rientrato a L.A. farneticava sull'Egitto...”
“E dunque...?” domandò ancora l'altro trafficando sulla sua armatura. Era evidente che non la stava ascoltando. Abbastanza prevedibile, in fondo.
“Noi siamo in Egitto... e so che non credi alle coincidenze...” sbuffò lei tornando a fissare il soffitto. Nessuno, nel loro gruppo, ci credeva. Lei era l'unica che portava un po' di brio e magia in quel gruppo di nerd: lei, con le sue stoffe, i suoi colori, i suoi argomenti apparentemente frivoli, l'amore per il gossip, si era scavata in quel modo una nicchia particolare. Perché quando avevano bisogno di informazioni su qualcuno era da lei che andavano. E lo stesso quando avevano bisogno di un punto di vista esterno, non vincolato alla rigida e fredda logicità di menti matematiche. Lei, e in minima parte anche Susan, rappresentava la parte più creativa e flessibile di quel team di scienziati invasati.
“No, e allora...?” Questa volta Tony fu costretto ad alzare lo sguardo dal suo lavoro. La parola coincidenza gli suscitava sempre un certo prurito.
“Guarda là...” disse la donna con un'alzata del mento.
Il magnate fu costretto suo malgrado ad alzare la testa verso il cielo azzurro che si stagliava sopra di loro, filtrando dallo squarcio che avevano prodotto nel portellone per entrare. Non riusciva a capire cosa volesse dire Janet.
“Non avendo nulla da fare mi sono guardata attorno... Tu sai come il mio occhio da designer sia allenato a riconoscere forme, motivi, colori...”
“Sì sì, la storia della donna preistorica raccoglitrice...” tagliò corto l'uomo riprendendo a pasticciare con olio e cacciaviti.
Janet ignorò la punzecchiatura e proseguì “Ammesso che Marc non si riferisse ad altro, e può sempre essere... trovo curioso il fatto che i portelloni di questa base, nascosta sotto le dune del deserto egiziano, quando si aprono vadano a formare delle mezze lune...”
Piccola vespa. Sapeva di aver attirato la sua attenzione. “E quindi?” domandò ancora Tony, riportando l'attenzione al discorso di lei mentre alzava lo sguardo su uno dei portelloni chiusi. Effettivamente, dal modo in cui erano composti, si poteva desumere che l'apertura asincrona dei portelloni determinasse una luna crescente a partire dalla totale oscurità della luna nuova, rappresentata dal portellone chiuso, fino a giungere alla sua massima estensione nella figura della luna piena una volta che il passaggio fosse stato completamente sgombro, con l'apertura del secondo portellone “Pensi che anche lui sia stato rapito come i ragazzi di Westchester? E che sia riuscito a fuggire? Non vedo un collegamento. Quelli sono ragazzi e anche contando i loro tutori si tratta comunque pur sempre di mutanti. Io direi di guardare a qualcuno che ce l'ha a morte con loro... Marc è una persona normale: il caldo dell'Africa gli avrà cotto il cervello. Non ci sono prove che sia passato di qua.”
Janet lo guardò scettica “Anche tu appariresti normale se non avessi sbandierato ai quattro venti la tua identità. Marc può benissimo essere un superumano... d'altronde non esiste nessun registro al riguardo...”
“Non tocchiamo questo argomento, per favore... Pare che io e Steve abbiamo due opinioni diverse al riguardo... non vorrei inimicarmi anche te per quello che sono dei semplici discorsi da bar... quindi non dirmi come la pensi...in nessun caso, chiaro?”
Janet lo guardò confusa: era una cosa tanto ovvia. Il governo doveva avere un elenco, una lista di superumani su cui poteva o non poteva contare. Fece spallucce e continuò “Ad ogni modo... Trovo strano che Marc fosse qui e sia rientrato delirando di lune ed Egitto... se fosse un superumano potremmo avanzare l'ipotesi che una grande mente, forse anche malvagia, stia tramando contro quelli che potremmo definire eroi della Terra...”
Come se Janet gli avesse appena versato addosso una secchiata d'acqua gelata, Tony si raddrizzò di colpo. “Hai ragione...” disse con occhi sgranati e in qualche modo trasognati “Un genio del male... Loki può fare questo ed altro...ed è da quando abbiamo respinto la sua invasione che i media battono su questo tasto, cercando di convincere la popolazione civile che i superumani sono un pericolo... Steve!” urlò in modo che il Capitano lo raggiungesse. Ma quello era impegnato in chissà quale stupida e sterile discussione con Stephen Strange... omonimi... chissà di che altro potevano mai parlare se non del significato storico ed esoterico del loro nome? “Capitan Mistero!! Vieni qui un attimo!” aggiunse quando quello non diede nemmeno cenno di aver sentito la chiamata. Insultare Steve era una strategia che sembrava vincente: quanto meno, aveva girato la testa nella loro direzione.
“Per favore...” aggiunse sottovoce Janet, come un grillo parlante.
“Per favore...” ripeté lui con poca convinzione, a denti stretti.
Dopo poche parole di commiato, il Capitano si congedò dalla sua cricca e raggiunse Stark “Mi volevi?” domandò con velato sarcasmo quando fu a meno di due metri da lui.
“E' una trappola...” tagliò corto il magnate, ignorando che, senza preamboli, l'altro non avrebbe capito nulla del suo ragionamento.
“Cosa?” domandò, infatti, il soldato senza capire
“Uomini col dono della sintesi...” celiò Janet, restituendo la stoccata a Tony, e prese la parola in vece dell'amico.
“Donne che sparano parole più di un mitragliatore...” replicò Tony che voleva avere sempre l'ultima battuta.
La signora Pym levò gli occhi al cielo “Presumiamo...anzi, presumo, dato che Tony è scettico al riguardo, che la comunità mutante, e superumana più in generale, sia vittima... non tanto di persecuzione... quanto piuttosto di...”
“Crede ci sia una grande mente dietro a tutto questo che avrebbe rapito anche diversi rappresentanti non ancora identificati dei superumani...” tagliò corto Tony ancora una volta, impaziente.
Steve si prese qualche istante per riflettere su quello che i due gli avevano appena detto “E perché noi saremmo ancora a piede libero?”
“Voi siete conosciuti e il gruppo che vi circonda è un bersaglio troppo evidente che, scomparendo nel nulla dall'oggi al domani, solleverebbe troppe domande..” spiegò Janet mentre Steve prendeva posto accanto all'amico/nemico “Dovevate scavarvi la fossa con le vostre mani, screditarvi da voi, in modo che l'opinione pubblica vi ritenesse un pericolo e fosse contenta di relegarvi ella stessa in qualche campo o di marchiarvi con un chip identificativo o bandirvi per sempre dalla sua vita. Ora... lasciamo perdere perché sono fermamente convinta che la minaccia non si limiti ai mutanti, che incutono terrore perché la cosa risulta congenita e non opzionale, ma che si estenda più in generale alla comunità superumana nella sua interezza e che tutti i diversi siano in pericolo, quello che mi preme farti notare è che si tratta di un disegno di ampio respiro. Qualcuno -e Tony dice che sicuramente dietro c'è Loki, viste le tempistiche- ha organizzato tutto questo. Quindi, la strada che stiamo percorrendo alla ricerca dei vostri-nostri amici non sarebbe altro che una trappola ben congegnata.”
“Abbiamo alternative?” domandò Cap quando lei ebbe finito.
“In che senso, scusa?”
“Nel senso che le persone scomparse sono scomparse davvero, giusto? Non è una messa in scena” rispose tirandosi in piedi e riafferrando lo scudo, precedentemente posato a terra.
“Beh, sì...” rispose lei, guardando Tony, perplessa, cercando di afferrare il ragionamento del soldato.
“Allora c'è poco che possiamo fare. Dobbiamo continuare su questa strada. Poco importa che si tratti di una trappola o di un'imboscata e che usino dei ragazzi come esca. Sappiamo di dover prestare attenzione nelle prossime fasi, è già qualcosa. Ma non possiamo assolutamente sottrarci a questo incarico che noi stessi abbiamo scelto di portare avanti. Se non difendiamo prima di tutto i nostri simili, come potremmo mai sperare di difendere tutto un Pianeta? Terremo gli occhi aperti... vigileremo... Ma io non torno indietro. E il gruppo mutante di sicuro sarà con me...”
“Che discorsi stupidi...” sbottò Tony, avviando la sua armatura “E' ovvio che siamo tutti con te...”
“Allora occhi aperti..” annuì Cap.
“Tony...” lo apostrofò T'Challa avvicinandosi “Io ho finito. Sono riuscito a impostare Visione secondo i parametri concordati. Ti serve una mano?” domandò vedendolo con le mani in mano, la chiave inglese inerte tra le dita sporche di olio motore, lo sguardo perso nel nulla, come se fosse stato immerso in chissà quale ragionamento profondo.
“No..tutto a posto...ho finito anch'io..” disse richiudendo un ultimo sportello della sua armatura. Si prese qualche istante per studiarla: era un bell'oggetto, potenzialmente mortale. Era tutta ammaccata e strisciata. Come ogni altra sua armatura, l'amava più di una figlia.
Si rimise in piedi con una certa fatica e si sgranchì gambe e schiena: starsene rannicchiato per tutto quel tempo gli aveva rattrappito i muscoli e intorpidito le membra.
Il magnate e il re del Wakanda fecero eseguire alle due macchine due scansioni diverse dell'intera struttura e, mentre quelle si inoltravano nelle viscere della base abbandonata, i Vendicatori ne approfittarono per ripulirsi e vestirsi, pronti a ogni evenienza.
Dopo un tempo relativamente breve, le due macchine tornarono sui loro passi e fecero rapporto: invisibile all'occhio umano -e ogni altro tipo di diagnostica esplorativa condotta fino a quel momento- c'era effettivamente quella che sembrava essere una botola, un portellone, un macchinario dalla dubbia funzione.
Lasciato il QuinJet parcheggiato nel luogo dell'atterraggio, che Wade insisté per mettere in sicurezza, come fosse un'automobile con allarme elettronico, il gruppo si lasciò guidare dalle due intelligenze artificiali.
Furono condotti in una grande sala, apparentemente svuotata di tutta la sua strumentazione. Sulle pareti, infatti, aleggiavano le ombre lasciate dal tempo, dall'uso e dal mobilio che, una volta rimosso, aveva lasciato le sagome distinte degli oggetti che proteggevano i muri dal loro naturale decadimento.
“Siamo già stati qui...” interloquì Stephen Strange, avanzando dal gruppo con Wolverine alle calcagna che fiutava l'aria. “Mi pareva avessimo concordato ci fosse stato un trasloco massiccio di strumentazione preziosa e sensibile...”
-E' esatto...- concordò Visione -Ma davamo per scontato che fosse stato fatto con mezzi convenzionali...camion e facchini...-
“Non è così?” domandò Clint stupefatto
-No, Agente Barton...- rispose il sintezoide voltandosi appena verso l'arciere
“Spiegati...” ordinò Tony con un cenno del capo, le braccia incrociate sul petto.
-L'intera sala è stata trasformata relativamente di recente. Ci troviamo su una piastra teleportante.-
Steve lanciò un'occhiata a Tony che, a sua volta, interrogò T'Challa con uno sgurdo mentre poneva la domanda successiva al sintezoide  “Sai dirmi anche a chi hanno rubato questa tecnologia? No, perché ormai ho come il forte sospetto che...”
-Il progetto appartiene a Victor Von Doom- rispose subito Visione, impassibile.
“C'è qualcosa o qualcuno che non è stato vittima di plagio, furto o simili?” sbottò esasperato. Prima si erano imbattuti nelle sue armature che avevano dato il via al progetto Sentinelle e al prototipo che Visione rappresentava. Poi avevano scoperto come il progetto di Pym fosse stato usato per creare un superesercito di droidi semisenzienti. Ora sbucava il teletrasporto di Von Doom. A quando qualche strabiliante colpo di scena con mirabolanti tecnologie wakandiane? A quando qualcuna delle assurdità di Reed? Non c'era un singolo progetto, custodito da quelle menti geniali, che non fosse pericoloso e che non correva il rischio di essere rubato da delinquenti malintenzionati che, con ogni probabilità, avevano in libro paga qualche telepate o qualche strano congegno atto a sondare le menti dei più grandi scienziati della Terra.
“Sai attivarla?” domandò Natasha, pratica e chirurgica.
-Certo.- rispose il robot senza scomporsi.
Chissà qual era il trucco. Non voleva saperlo. O forse sì? Forse era meglio informarsi, per essere sicuri di riuscire a rientrare , nel caso avessero perso il sintezoide per una qualche sciagura inimmaginabile.
-Devo impostare l'ultima destinazione?-
“Certo...” replicò Tony con sufficienza. Era da stupidi mettersi a cercare nella cronologia (ammesso ce ne fosse una) di quella tecnologia Latveriana, di cui continuavano a sapere poco o nulla, la destinazione specifica se, tra l'altro, nemmeno avevano idea di cosa cercare. Non fece in tempo a domandare quale fosse la meta più recente e a domandare ai suoi compagni di avventura se fossero tutti pronti al nuovo viaggio che il sintezoide, accoppiatosi con il macchinario, aveva già attivato il congegno.
Stupide, stupide, stupide macchine.
Mai che capissero le sfumature della voce umana.
A volte si sorprendeva ad amarle tanto.









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XD sì, il giro dell'oca non è finito. Ma siamo quasi giunti a destinazione. Onestamente non amo particolarmente far vagare in lungo e in largo i personaggi (Pietro mi ruberà le parole quanto prima..). Purtroppo il Marvelverse insegna che a volte tutto sto girotondo è necessario. D'altronde, spesso, anche nella vita di tutti i giorni, non ci capita sempre di arrivare subito a destinazione, in quella vera, nel luogo giusto dove troveremo quanto ci serve. 
Chi indovina dove sono diretti i nostri amici non vincerà cmq nulla, mi dispiace dirvelo :P
Ma le scommesse sono aperte. Ricordate...gli indizi li avete avuti e sapete che non posso tirarla ancora troppo per le lunghe: mancano una decina di capitoli, sì e no...
Detto ciò, ho buttato lì un altro riferimento a Civil War (di cui faranno presto il film...non so come, visto che gli manca Spidey). Infatti, Janet si schiera con Tony a favore della registrazione dei superumani. E' un tema che non ho approfondito (per evitare di sollevare un vespaio) ma che resta strisciante in sottofondo.
Che altro?
Spiegherò mai se e come abbia fatto Marc Spector (alia Moon Knight) a scappare? :)
Continuate a leggere. Tanto non vi ammorberò ancora a lungo ;)
Alla prossima

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Capitolo 31
*** Welcome to the jungle ***


31. Welcome to the Jungle






La piattaforma, dal contorno apparentemente irregolare, si illuminò di una tenue luce dorata sotto i loro piedi. In un batter di ciglia il mondo attorno a loro cambiò radicalmente: le tetre viscere della solida base S.H.I.E.L.D. abbandonata sfumarono in quelle altrettanto cupe di una caverna dalle pareti muschiose ed umide.
“Spero per voi che sia l'ultima tappa di questo viaggio assurdo! Mi sono stancato di rimbalzare da un posto all'altro...” borbottò Pietro, indignato per quell'ennesimo spostamento.
“Finiscila!” lo rimbeccò Mystica
“Dove siamo?” domandò Tempesta “Mi sembra un clima familiare...” concluse scrutando con sguardo perplesso T'Challa che, in tutta risposta, alzò le spalle sorpreso. Il caldo umido di quel posto stava già facendo boccheggiare alcuni di loro.
“Possiamo avere delle coordinate?” domandò Natasha, seccata, come se avesse a che fare solo con bambini ritardati che non riuscivano a porre la domanda giusta nel modo più corretto. Odiava il caldo e odiava, ancora di più, non avere il controllo delle situazioni in cui si trovava coinvolta.
-85 gradi e 50 primi Sud, 65 gradi e 47 primi Est. Antartide. Polo Sud. Più precisamente Polo sud dell'inaccessibilità.-
“E' normale che al Polo faccia questo caldo?” domandò Illyana, sorpresa.
Per tutta risposta Pietro le rifilò un'occhiataccia mentre uno sprezzante commento a mezza voce gli scappava dai denti “Ma questa non dovrebbe essere abituata alle nevi perenni?”
La piccola Rasputin levò appena un ciglio, superiore a quel commento sarcastico. “Sai..? All'inferno può fare così freddo che ti si congelerebbe il sangue in meno di un minuto. In alternativa può fare così caldo da farti esplodere per aver raggiunto e superato il punto d'ebollizione dei tuoi liquidi corporei...”
“No, che non è normale...” rispose pacatamente il suo mentore, il dottor Strange, apprestandosi a uscire da quel posto, seguendo la flebile luce che scorgeva più in fondo. In quel branco di pazzi ed esagitati si sentiva il più normale di tutti anche se si rendeva conto che essere lo stregone supremo non lo collocava, nell'ottica altrui, in una posizione di miglior sanità mentale. Avanzò guardingo insieme a Rogers e a Stark che, a modo loro, stavano esplorando quel posto.
“A nessuno interessa sapere cos'è il polo sud dell'inaccessibilità?” domandò Janet vedendo come tutti si fossero messi, alla spicciolata, alle calcagna di Strange.
“Siamo a Sud, bella... il resto del nome è tutto un programma...” celiò Rogue, suscitando il disappunto della stilista che, vestita di tutto punto com'era, non era ben disposta nei confronti di quel luogo inaspettato e inesplorato.
Una grotta! Al polo Sud. Lontani anni luce dalla civiltà. Non sarebbe stata una facile scampagnata. “Potremmo anche lasciarti qui, sai? Così diventeresti sicuramente LA bella del sud... dubito ci siano tanti altri esseri umani al Polo...” sbuffò caustica Janet quando la mutante fu abbastanza lontana da non sentirla. L'aveva vista in azione e voleva evitare ogni possibile confronto con lei. Non era così stupida da sfidarla.
Si inerpicarono verso l'uscita e quando furono sulla soglia un silenzio estasiato calò sul gruppo.
Polo Sud, aveva detto Visione.
Fossero stati in qualche grotta vicino al nucleo terrestre... o semplicemente in qualche grotta riparata, la cui luce fosse stata determinata da organismi bioluminescenti, quel calore avrebbe avuto senso. Ma la vegetazione rigogliosa e primordiale che si estendeva a perdita d'occhio al di là del varco nella roccia era qualcosa che nessuno aveva neanche lontanamente immaginato. Quella era una giungla tropicale a tutti gli effetti.
Sbalorditi da quella vista, i Vendicatori si protesero esitanti all'esterno.
“Non ha senso...” borbottò Tony, assorto
“Ma certo!” sbottò Cap poco dopo osservando la natura selvaggia. “Lo Shangri-la dei diari di Byrd...ricordi che ne abbiamo parlato?”
Tony lo guardò storto, invitandolo tacitamente a non continuare su quella strada. Anche perché doveva ammettere che quelle panzane ufologiche, in questo caso, tornavano. In realtà cominciavano a tornare tutte e la cosa era pressoché inaccettabile per la sua mente scientifica.
“Rogue...?” chiamò Logan avendo notato come la mutante si fosse appartata in modo tutto sommato insolito anche per lei. Ed era l'unica che non si era sorpresa nel constatare come le parole Polo Sud e Vegetazione selvaggia non stridessero tra loro “Tutto bene?”
“Non mi piace.” sibilò mentre lo sguardo verde e scuro come il petrolio correva tutt'intorno alla ricerca disperata di qualcosa.
“Cosa c'è?” si impose l'artigliato.
“Ho un brutto presentimento. Karl... questa è casa sua...” Wolverine non le domandò come facesse a saperlo. Era una domanda troppo stupida. E attese “Dobbiamo andarcene... o meglio...dobbiamo trovare la nostra destinazione e correre...”
“Cosa c'è che ti preoccupa?” domandò anche Warren, avvicinandosi circospetto, le ali metalliche ritratta rigide e nervose sulla schiena. Quel posto aveva un che di familiare anche per lui.
“Che strano ponte...” gorgogliò Deadpool dalla cima della grotta su cui si era arrampicato per cercare di scorgere l'orizzonte.
“Ci sono ponti in questo posto dimenticato da Dio?” domandò Wanda, scettica.
“Uuuu si muove...” continuava il mercenario “Sembra... oddio, è strano davvero... sembra la brutta copia di Jurassic Park... Anche perché -lo sapevate, vero?- i dinosauri che c'erano nel film erano inventati di sana pianta...”
“Dinosauri?” sbottarono Steve e Tony, per una volta unanimi nel loro stupore
“E laggiù sembra pure esserci un qualche edificio...una piramide, a occhio e croce, tipo quelle Maya, con una torre di avvistamento...”
“E' meglio avviarsi...” sibilò Logan. Polo Sud, in un luogo definito inaccessibile, oggettivamente fuori contesto. Una costruzione doveva essere per forza la loro meta. Solo non capiva perché porre la piastra teleportante così distante e nascosta. In previsione di una fuga rovinosa? Per intrappolare in quel luogo i nemici? Non aveva senso e non voleva perderci il sonno.
“Posso dirvi che il mio senso di ragno pizzica all'impazzata?” domandò Peter con voce allarmata “Non dovremmo essere qui...ci siamo ficcati in un gran casino...”
“Quando ti sei cambiato il costume?” chiese Natasha con occhio clinico, cogliendolo in contropiede e non dando minimamente credito alla sua preoccupazione.
“Cosa...? Di che diavolo parli? Ho detto che siamo in pericolo...” replicò l'uomo ragno
“E io ti ho chiesto quando hai perso tempo a cambiarti..”ribatté la spia
“Io non...” stava cominciando a inveire quando, all'improvviso, qualcosa lo afferrò e lo sollevò in aria.
“Benvenuti nella Terra Selvaggia!” gracchiò una voce con una risata inquietante che fece accapponare la pelle a ogni membro del gruppo.
“L'autrice ti ha preceduto e già dal titolo -un po' abusato, a dire il vero- del capitolo l'avevamo capito!” bofonchiò Wade offeso
“Gambe!” urlò Logan quando l'ombra si abbatté di nuovo su di loro.
Un enorme pterodattilo teneva il buon Peter stretto tra gli artigli.
“Un lucertolone alato!”
“Andate! Ci penso io!” replicò Rogue sfoderando artigli ossei. “Karl è mio!” sbraitò mentre si levava in volo, senza prestare ascolto alle parole dei compagni di squadra che avrebbero voluto tenerla a terra e combattere con lei. Era abbastanza ovvio, però, che quello sarebbe stato uno scontro aereo e loro sarebbero stati di troppo.
“Mi dispiace, Bella...” replicò Karl “Questa volta non mi batterai...”
Tra moglie e marito non mettere il dito...” recitò Peter mentre lo pterodattilo, battendo le ali per prendere quota, lo faceva sobbalzare su e giù “Ma se posso permettermi ugualmente, e non so come stiano le cose tra di voi né quali siano i vostri trascorsi, vorrei farti notare che la fanciulla non è sola...” Karl stava già per scoppiare a ridere quando una ragnatela densa e appiccicosa andò a imbavagliargli il becco frastagliato e adunco. Per la sorpresa, Karl quasi non mollò la presa sulla sua preda. “E io che speravo ti arrendessi con le buone...” replicò il ragno, indispettito. Scoprendo una forza insospettata, fece leva con le braccia e riuscì a liberarsi più facilmente del previsto dalle sue grinfie. “Oh, cacchio!” bofonchiò quando si rese conto di essersi liberato in cielo aperto, senza il sostegno dei palazzi nelle vicinanze su cui lanciare la propria ragnatela e di essere, di conseguenza, in caduta libera. Ma qualcosa più forte di lui -comunemente denominato spirito di sopravvivenza- gli fece estendere le braccia e sparare comunque le sue ragnatele. Stranamente, la gittata di queste si estese per una lunghezza doppia rispetto al normale.
“Siamo di nuovo io e te, Karl..” ringhiava intanto Rogue, andando a colpire lo pterodattilo con un destro sul muso mentre quello, ancora sorpreso dalla reazione di Peter, cercava di liberarsi dai legamenti che Parker gli aveva lanciato contro. Precipitò a terra, ruzzolando malamente tra la fitta vegetazione. Incassato il colpo e liberatosi una volta per tutte della schifezza appiccicosa che aveva sul muso, alzò lo sguardo, pronto a spiccare il volo, imprecando. “Mi chiamo Sauron! Smettila di usare il nome del mio alterego umano... non sono umano... sono il potente Sauron, Re della Terra Selvaggia!” tuonò, convinto che lei se ne fosse rimasta al sicuro, in cielo, lontana dalla sua portata. Ma la mutante svettava davanti a lui, a pochi metri di distanza. Le gambe ben piantate per terra. “Hai qualcosa di diverso...” bofonchiò studiandola con sguardo attento mentre si trascinava in posizione eretta. Le ali, che si protendevano dalle braccia come vele di una nave, davano l'impressione che indossasse un mantello di pelle. “E non parlo del tuo ridicolo taglio alla finta moicana...” disse occhieggiando lo scempio che la mutante si era autoinflitta.
“Non sfidarmi...” replicò lei, chinandosi a terra e per prendere un sasso e caricarlo dell'energia cinetica che le sfrigolava in mano.
“Oh...” ghignò quello di rimando. Non sembrava particolarmente sorpreso da quella mossa, anzi. “Mi sembra alquanto familiare...”
“Lasciaci andare Karl. Non sono... non siamo venuti qui per te. Stiamo seguendo una pista e...”
“Sì, sì...lo so chi e cosa cercate... Ma vedi...” disse protendendo le proprie ali con fare minaccioso “Questo è il mio compito, ora. Proteggere la Terra Selvaggia da quelli come voi.”
“Ci sono Ka-Zar e Shanna per questo..” replicò ancora la donna
“Oh, sì...quell'omuncolo... Vuoi assorbire i miei ricordi per sapere cosa succede?” la sfidò lui “Prego, accomodati...sai qual è il prezzo...” ghignò con cattiveria
“Non ti lascerò entrare nella mia testa!” replicò la mutante non senza un briciolo di paura a punteggiare la sua rabbia.
“Come vuoi... ma non conterei sull'aiuto di Ka-Zar, ora che è ai ceppi. Lui e tutta la sua gente...” un sorriso malvagio trapelò, in qualche modo, da quel becco rapace e le diede una pessima sensazione, quasi di ineluttabilità. “Ad ogni modo... tu ti fermerai qui... insieme al tuo amico ragno...”
“E di me cosa dici?” sibilò ferale Warren, atterrato silenzioso alle spalle del lucertolone. Le ali metalliche erano spiegate e protese in avanti come armi senzienti e in un lampo andarono a cingergli la gola. “Fermerai anche me, bestiaccia demoniaca?”
Alla vista del biondo mutante alato, Karl sembrò perdere la sua verve combattiva. Anzi, sembrò quasi arretrare terrorizzato al suo cospetto pur rimanendo congelato dove stava.
“Non ho paura dell'angelo della Morte...” sibilò lo pterodattilo con un accenno di ritrovato coraggio.
Rogue avrebbe voluto dire al povero Warren smemorato e confuso di non prestare ascolto alle parole di quel rettile e avrebbe voluto cacciare un pugno in quel suo rostro che aveva per becco. Ma il biondo non sembrava essere rimasto turbato. Anzi, sembrava essere scivolato in una condizione simile a una trance aggressiva e feroce. A un suo cenno, liberò la giugulare del mutante, così da poterlo affrontare liberamente senza coinvolgere il bell'angelo.
A toglierli definitivamente dall'impasse, una palla vischiosa di fibra di ragnatela andò a colpire in pieno muso il sauro parlante. Un gridò di vittoria seguì l'impatto.
Parker arrivò in un salto, atterrando davanti a Karl Lycos e poco alla destra di Rogue.
“Cosa si fa, intrepido capo?” domandò volgendosi verso la ragazza che lo guardò come se si fosse ubriacato. Ma quello la anticipò “Sembri conoscere questo posto... E mister ali taglienti non mi sembra molto a posto...”
“Nemmeno tu, con quel costume...” replicò lei, non sapendo come sviare il discorso e i suoi sospetti.
“Ti ci metti pure tu? Cos'ha il mio costume che non va, tutt'a un tratto?” sbottò quello esasperato. Prima Natasha, poi lei...
“A parte che nero è lugubre anche se sfila?” si intromise lo pterodattilo come se fosse un problema anche suo.
“Nero?” strabuzzò Parker sotto la maschera allargando le braccia come a esporsi alla vista dei presenti “Ma siete tutti daltonici? E' blu e rosso....e...oh...avete ragione...” disse osservandosi meglio “Da quand'è che sono diventato nero?”
“Ti sarà scaduto il costume... Hai usato tessuti biologici fai da te?” replicò Lycos sarcastico, dall'alto della sua laurea, mentre cercava di portarsi, lentamente, in una posizione di sicurezza rispetto a Warren che pure continuava a puntarlo come un falco.
“Sì, io... ehi!” si fermò di colpo “Ma stiamo dialogando come nulla fosse con quello che ha cercato di farmi fuori? Chissene frega del mio costume! Non ho usato super nano particelle instabili. E allora? Funziona? Sì, pure meglio di prima. E' di te che dobbiamo preoccuparci!”
“Comunque è strano...” mormorò la mutante lì accanto
“Sì, lo so, ma avrò tempo per pensarci...dopo!” replicò l'uomo ragno.
“Dimmi, Karl...” cominciò Rogue avvicinandosi al rettile con Warren alle calcagna come fedele cane da guardia personale. Aveva sottolineato di proposito il nome umano del suo interlocutore, sapendo bene di irritarlo “Cosa ti lega a Ka-Zar, a Warren e.... a Remy?”
“A-ah...lo sapevo...” ghignò quello che non aveva perso la sua tracotanza, nonostante la presenza dell'angelo di cui pure aveva un evidente terrore.
Per tutta risposta, Rogue fece un cenno a Warren che artigliò la gola dello pterodattilo in un lampo. Lycos cominciò a dibattersi, impazzito di paura, tentando di spiccare il volo. Ma l'angelo, le cui ali metalliche si erano spiegate a contrastare la forza di quelle membranose che cominciarono a sbattere nervosamente, isteriche e senza coordinazione alcuna, non si lasciò intenerire e aumentò la stretta.
“Anche ammesso che ora voglia parlare, non credo ce la farebbe...” bofonchiò Peter, sarcastico e meditabondo, cacciandosi le mani sulla gola e fingendo di strozzarsi da sé.
“Lascialo, Warren...” ordinò Rogue. Ma quello non sembrò sentirla. “Warren!” quasi urlò, leggendo la follia nei suoi occhi: lo avrebbe ucciso!
Lo chiamò una terza volta e quando, ancora, quello non diede segno di averla udita, si affrettò a sfilarsi un guanto. Non ci pensò due volte e poggiò le dita sul collo dell'angelo, in modo da fermarlo nel tempo più rapido possibile.
Una scarica di visioni confuse e frammentate le inondarono la mente, un turbinio di emozioni violente e primitive. All'inizio, tutto era confuso. Gradualmente, i ricordi divennero meno caotici e si delinearono. Un laboratorio, una vasca amniotica...dei tubi... un conato minacciò di farsi strada nel suo petto ma lo trattenne. Non era la prima volta che osservava cose del genere. Aveva visto di peggio quando aveva scoperto il passato di Logan. Lei stessa aveva vissuto atrocità simili anche se, a ben vedere, in tutte e tre le esperienze c'era un filo conduttore, un leitmotiv... una firma comune.
Quando Warren fu finalmente sedato, la mole di informazioni che le vorticava in testa era tale che non avrebbe potuto resistere un secondo di più senza assorbire i tratti peculiari dell'angelo, si apprestò a staccarsi dal compagno ma una nuova ondata di ricordi, violenta e distruttiva, arrivò a invaderle la mente con tutta la sua brutalità. Si trattava di una serie di ricordi completamente diversi dai precedenti. Come se appartenessero a qualcun altro.





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Innanzi tutto, scusatemi per il bidone della settimana scorsa. Non ho avuto un attimo di pausa e non ho praticamente mai nemmeno acceso il pc. Figurarsi correggere e postare il capitolo. Ma penso che, tra lavori dell'ultim'ora e regali, siate stati impegnati anche voi. (Regali? o li ho presi 4 mesi fa oppure mi sveglierò dopodomani...)
Dunque.
Di Byrd e del Polo sud con la sua strana Shangri-la avevo già accennato nel capitolo 16 di Rien ne va plus.
Ecco quindi che, come vedete, continuo a chiudere le varie parentesi lasciate aperte.
La Terra Selvaggia. E chi c'è sempre al polo sud? :D eh eh eh Purtroppo per voi e per Pietro, il viaggio non è finito e le scatole cinesi non sono state ancora aperte tutte. Ma ci siamo quasi.
Quanto alla piattaforma l'ho messa in mezzo alla giungla perché così appare nella minisaga crossover dell'anno scorso di Age of Ultron. Un luogo dimenticato da tutti e -normalmente- immutato nel tempo. Quindi quale che sia l'epoca in cui viaggiano i nostri eroi possono star sicuri di trovarsi in un luogo protetto (diversamente dall'utilizzare un edificio o un luogo in zona coperta dalla cività che oggi è così, domani non si sa. Non a caso è lo stesso principio che seguono anche nella saga di Rubinrot)
Detto questo... :) al prossimo capitolo e al prossimo anno (Metto le mani avanti: dubito che in questi prossimi giorni, tra Natale, feste, parenti, mangerecci vari, riuscirò a riaccendere il pc. E pure voi)
Auguri a tutti.
E spero davvero che sia un bell'anno. Almeno...a me comincia a prospettarsi così. Ma vi terrò informati, non temete!
Intanto, gioia e serenità a tutti voi.

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Capitolo 32
*** Six Pack ***


32. Six Pack





Nonostante il corridoio aperto dal passaggio del velocista come un rasoio cauterizzante, avanzavano infermi tra la vegetazione ingombrante e invadente che invano tentava di arpionare loro gambe e braccia. A stento riuscivano a scorgere la loro meta, in mezzo a tutto quel verde. Correvano a perdifiato, con una certa dose d' ansia che attanagliava il petto e con il ritmo del sangue che pompava nelle orecchie.
Dinosauri...
Chiunque, persino Rogers, sapeva che i dinosauri erano estinti.
Non potevano esistere.
Erano un anacronismo.
Qualcuno doveva aver viaggiato nel tempo e dislocato parte dell'Antartide in...
Antartide. Erano in Antartide! La terra dei ghiacci e delle nevi perenni. Solo ora, davanti a un'assurdità ancora più grande, se ne rendevano conto. Tuttavia, c'era un caldo umido tropicale. Il sudore che colava copioso dalle loro fronti e l'affanno che accompagnava la loro fuga era qualcosa di innegabile.
Forse, a ben vedere, i dinosauri non erano nemmeno la più eccessiva delle stranezze, in quel posto.
E se non fossero stati tutti terrorizzati dalla paura di venire divorati da qualche T-Rex, forse si sarebbero addirittura goduti quella scampagnata come un'avventura.
Avanzavano frenetici e di corsa, per lasciarsi alle spalle quel bestione alato di cui non capivano la natura.
All'ennesimo intrico di liane in cui si facevano strada, sarebbero sicuramente ruzzolati giù dalla scarpata che si apriva come una voragine sotto i loro piedi se Pietro non fosse tornato subito indietro a sbarrare loro la strada. Lì, in una radura che sembrava esser stata piallata da una vanga d'immani dimensioni, si ergeva una piramide a gradoni grande quanto una piccola città. I blocchi che ne rivestivano le pareti esterne sembravano antiche e futuristiche insieme, percorse com'erano da muschio stratificato e sensori così avanzati da costringere Tony e T'Challa, che sbirciavano tra il fogliame quella meraviglia della tecnica, a guardarsi stupiti.
Il clima, la vegetazione, quella strana costruzione persa nel tempo e abbandonata in quel luogo lontano dall'umanità, davano l'impressione di essere in Sud America, in una sorta di parco tematico. A completare il quadro mancavano giusto un paio di figuranti con copricapo piumato e multicolore e brutali rituali sanguinolenti in cima all'edificio stesso. Per il resto c'era tutto, strane incisioni dal dubbio significato comprese.
Forse erano i dinosauri a essere nel luogo e nel tempo sbagliati. O forse Visione si era sbagliato: la piattaforma li aveva dislocati con una tecnologia simile al teletrasporto e questo doveva aver bruciato i microprocessori del sintezoide che, per questo, forse, sragionava ed erano finiti davvero in un parco tematico. In quel caso, allora, i dinosauri non sarebbero stati che meravigliosi marchingegni iper realistici che erano sembrati così spaventosi solo perché avevano colto il gruppo di sorpresa.
“Perché ci hai trattenuto dall'andare oltre?” domandò seccata e incuriosita Ororo, percependo la curiosità mal celata del suo compagno wakandiano. Pietro non le sembrava il tipo che potesse tirare strani scherzi. Certo, era arrogante e presuntuoso e anche dispettoso. Ma in quel frangente...
“Ho come idea che siamo arrivati...” bofonchiò Wade in risposta.
“Cosa te lo fa credere, genio?” replicò Wolverine mentre fiutava l'aria. C'era un odore familiare che gli faceva accapponare la pelle della nuca.
Prima che Wolverine potesse informare in gruppo, Pietro parlò, scostandosi una ciocca chiara dagli occhi azzurrini con gesto affettato “Ci sono due guardie armate. Non mi hanno visto perché i loro sensi sono troppo lenti per percepirmi... ma non ci metteranno molto a notare la presenza di intrusi”
Wade si protese, nel tentativo di scoprire chi fossero ma Logan lo trattenne bruscamente.
“Li conosci già...” sibilò l'artigliato, stendendo il braccio e indicando due figure solitarie, vestite di nero dalla punta dei capelli alla para degli scarponi appollaiati su una terrazza della costruzione: Domino e il Punitore.
“Nena ♥” sproloquiò Wade
“Quindi?” domandò Illyana visibilmente seccata “Li conosciamo già, cosa c'è da sapere al riguardo?”
“Niente che vi interessi, cocca!” replicò il canadese, tornando a scrutare tra il fogliame. “Ci penserò io... voi proseguirete non appena saranno entrambi distratti. Tutta questa storia mi piace sempre meno.”
“Non andrai da solo!” protestò Mystica con arroganza
“Facevano parte del Six Pack. Io ne ero membro... chi altri dovrebbe andare?” replicò lui, insofferente
“Ti porti Wade, tanto per cominciare!” impose la mutaforma.
“Da quando comandi tu, qui?” replicò lui, arricciando il naso. Wade era una palla al piede. Ma doveva ammettere che il suo lavoro sapeva farlo bene. Ed era stato un Six Pack anche lui.
“Da quando le persone di buon senso si sono trovate spaesate davanti a tutto questo...” rispose lei, alludendo al buon capitano alle sue spalle. Tutto quello, per gente non avvezza alle stranezze come lo erano i mutanti, era troppo da capire o sopportare.
“Cocca... guarda che c'è qualcuno più indicato di te a dare delle direttive..”
“Ah sì?” domandò la mutaforma incrociando le braccia al petto “E chi sarebbe?”
Logan puntò il pollice alle proprie spalle “Ororo. Ha diversi precedenti come vertice della catena di comando ed è quella più indicata per guidare il gruppo su un terreno imprevedibile come questo. Lei ha visto cose....”
“Allora mi prenderai nel tuo gruppo. Se temi che io possa essere una pedina di Essex e portare i tuoi amici a morte certa”
Logan la squadrò un attimo, incerto se fidarsi di lei. Certo, lui e Wade si rigeneravano. E anche lei. Quindi, anche se li avesse condotti in trappola, aiutando Nena e Frank, avrebbero avuto comunque qualche possibilità di cavarsela. Lasciarla con quel gruppo di bambocci, composto da tre adolescenti, un umano in armatura, uno armato solo di arco e frecce, uno pieno di steroidi, un altro con visioni mistiche e uno che si credeva mezzo pantera, una donna letale, ma pur sempre umana, e una frivola totalmente inutile e i suoi due migliori amici... beh... forse era la scelta peggiore che potesse fare: c'era già quello strano robot che lo impensieriva, nemmeno fosse stato una mina vagante già armata. Con un cenno della testa, acconsentì ad averla con sé.
“Sei stata una Six Pack anche tu.” disse caustico “Ma tradisci la mia fiducia e sarà l'ultima cosa che farai... te lo garantisco.”
“Quanto testosterone...” bofonchiò Pietro, schifato da quelle smancerie da primitivi rituali d'accoppiamento. Che solo lui vedeva come tali.
“Gli X-men saranno a capo del gruppo!” impose Logan, guardando il resto del drappello e fissando poi lo sguardo su Kurt e Ororo “Problema mutante, soluzione mutante” aggiunse rivolgendosi a Tony e Steve, quasi a scusarsi.
“Mi sta bene” disse Stark mentre Rogers storceva il naso. Dal suo punto di vista, la presa di posizione di Tony era sembrata un volersi sbarazzare della responsabilità di quella faccenda mentre lui avrebbe voluto rendersi utile alla causa dei suoi nuovi amici.
“Kurt, quando sarete al sicuro, potrai venire a vedere se puoi recuperarci. Per ora pensa a portarli tutti dentro” continuò l'artigliato mentre il demone annuiva serio. “Allora noi andiamo.” disse mentre Wade si separava a malincuore da una delle sue pistole per porgerla a Mystica.

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Mentre avanzavano nel corridoio, tutti quelli che incontravano si scansavano, allarmati e ammirati. Lo scalpiccio confuso rivelava quale metà del drappello fosse composta da agenti operativi e quale da tecnici più adusi al silenzio inquietante dei laboratori. Come tutti i loro compagni d'agenzia, erano vestiti interamente di nero, motivo per cui l'uomo in bianco tra loro spiccava come una macchia di sugo su una tovaglia immacolata.
Si riversarono nella sala conferenze con sicurezza, scegliendo ciascuno il proprio posto con naturale istintività. Solo l'uomo in bianco rimase in piedi, le mani intrecciate tra loro davanti a sé, in attesa, come se fosse stato davanti a un plotone d'esecuzione le cui armi fossero state caricate a salve.
“Un altro dei tuoi...” sibilò la donna dai corti capelli neri entrando dall'altra parte della sala. L'uomo al suo fianco ignorò il commento pungente e sarcastico e andò a stringere calorosamente la mano al suo amico mentre con l'occhio sano folgorava i due scienziati del gruppo “Non avete installato nessun acquario sull'aereo, vero?” domandò tagliente.
“No, signore...” rispose l'altro con un sorriso che si stendeva da un orecchio all'altro
“Solo una vasca di coltura per alghe Kree geneticamente modificate” continuò la ragazza dai lunghi capelli color cioccolato e dal sorriso innocente di una bimba di tre anni. Sentendo di aver calamitato l'attenzione del guercio, si affrettò a giustificarsi “Così dicono loro, coi loro roboanti nomi scientifici... sa come sono fatti...no?” continuò, nella convinzione di star peggiorando le cose.
“Vasche di coltura, Coulson?” domandò Nick Fury senza mollare la presa della stretta di mano dell'altro e lanciando un'occhiata enigmatica alla ragazzina, ultima arrivata nel gruppo “E' così che aggiri le mie direttive?”
“Fitz e Simmons ne avevano assolutamente bisogno...sai... T.A.H.I.T.I.” disse con fare cospiratorio.
L'altro strinse l'occhio, accigliato, più per la strafottenza dell'amico che per la bravata stessa “Avete fatto progressi?” domandò ai due scienziati che, nel frattempo, erano rimasti allibiti dalla confessione spontanea della loro ingenua collega livello 1 “Abbiamo ancora un bel po' di superstiti del Vertice e della Zona Blu da ricucire... dopo New York”
“Ci siamo quasi, signore... ma abbiamo avuto questo...contrattempo...” disse Jemma Simmons, adocchiando il loro ospite spettrale.
“Giusto...” convenne Fury, prendendo posto al tavolo e invitando quello strambo figuro, munito di un pass provvisorio, a sedersi al suo tavolo “Veniamo al dunque... Marc Spector...”
“Agente Marc Spector...” precisò quello, impettito.
“Sai, Marc...” cominciò Maria Hill “Ti è stata ritirata la licenza dopo che sei teoricamente morto in Egitto...”
“Anch'io sono teoricamente morto...” intervenne Coulson
“Il tuo M.L.D. è morto...” precisò la Hill squadrandolo gelida mentre quello faceva spallucce.
“Ero morto... e Khonshu mi ha riportato alla vita...” rispose Marc Spector.
“Ti rendi conto che il tuo DDI non ti rende compatibile con il servizio attivo, vero?” replicò acida la Hill non facendo mistero del fatto che ce l'avesse davvero a morte con i tizi in calzamaglia.
Ma Spector la ignorò e continuò “Mi ha riportato in vita e, lui e altre due divinità egizie, hanno infuso in me i loro spiriti...”
“Questo è un delirio, te ne rendi conto?” borbottò Fury, rivolto a Coulson, mentre con il braccio puntellato sul tavolo di reggeva la fronte, perplesso, quasi a volersi schermare dall'uomo in bianco davanti a loro che continuava a restare in piedi. Il suo interlocutore e amico si prodigò nel suo solito sorrisino enigmatico che invitava a continuare l'ascolto.
“Il suo DDI...” ricominciò l'agente Simmons
Disturbo dissociativo d'identità per le persone normali...” precisò la giovane Skye con un sorrisetto indisponente quanto quello di Coulson.
“... indica che il suo stato di alterazione mentale ha scisso la sua personalità in quattro, di cui una è quella originale di Marc Spector.”
“E le altre tre?” la incalzò Fury
“Sono compatibili con il suo racconto...” asserì la scienziata prima di cedere la parola ai colleghi.
“Khonshu, che si manifesta nella sua abbastanza ovvia qualità di Moon Knight...” disse Skye
“Un alter ego...” confermò Simmons, quasi a volerne avvalorare la veridicità: in quanto matricolina le sue parole potevano suonare sciocche ma aveva studiato il caso assieme a loro e fornito interessanti punti di vista e soluzioni quantomeno creative.
“Il Dio della Luna trasforma l'uomo sua marionetta nel proprio cavaliere, giustamente. Mi sembra un pessimo incrocio tra cartoni giapponesi degli anni 80-90” replicò Fury alzando l'occhio al cielo.
“Non sapevo ti guardassi ancora i cartoni, Nick” frecciò la Hill “Il tipo nostalgico è Coulson”
“Sono il mio piccolo segreto...” disse invitando la squadra a finire il proprio rapporto.
“Gli altri due, a cui ancora non siamo riusciti ad associare un'identità, sono la creatura En Sabah Nur e il faraone Rhama-Tut.”
“Che non sono divinità...” replicò Fury seccato “Non hai insegnato loro nemmeno a fare i compiti per casa?” domandò ancora, rivolto verso Coulson.
“Lo sappiamo che non sono divinità... Signore...” intervenne Skye, l'impertinente matricola protetta dall'ala di Coulson. Si morse le labbra per la propria impulsività. Quindi, notando lo sguardo del suo protettore, prese coraggio. Aprì il laptop sul tavolo lucido e cominciò ad armeggiare con tasti e comandi touch del lungo pianale che si trasformò immediatamente in un gigantesco schermo olografico.
“Come fa un agente livello 1 a saper far funzionare quell'affare?” domandò Fury, stupito “Non ci riesci nemmeno tu!”
“Ora sì” replicò l'agente col suo sorriso bonario. “Hai presente Lady Sif? L'amica di Thor? Beh, pare che nel regno dei cieli ci sia qualche casino galattico e lei, nella sua nuova qualità di Valchiria Falco Rosso -la guardia d'élite di Odino- è scesa a recuperare una fuggiasca alquanto pericolosa di nome Lorelei. In quell'occasione ci ha rivelato quanto la nostra tecnologia sia obsoleta, rispetto alla loro...”
“Cristo...”
Frattanto, Skye aveva innalzato schermate su schermate di videate tridimensionali e si apprestava a illustrarle “En Sabah Nur, in egiziano, vuol dire il primo... Ci siamo interrogati su cosa volesse dire e abbiamo scoperto che egli non è solo una figura mitologica frutto della fantasia popolare. Non è, cioè, una sorta di fanfiction del popolo, una divinità creata dalla mente degli egiziani assuefatti al loro pantheon. Egli risulta essere... il primo mutante della storia della Terra. La tecnologia che utilizzava all'epoca è classificabile a tutt'oggi come uno 0-8-4. Sconosciuto. Quindi, alieno.”
“Va avanti...” la invitò Fury, incuriosito e sorvolando sulla terminologia bizzarra e colorita usata dalla ragazza.
“Noi non ne abbiamo grande memoria ma questa mancanza potrebbe essere giustificata dal fatto che, ammesso di voler credere alla teoria, fosse un viaggiatore temporale...” disse lei, con lo sguardo angelico di chi sa di aver detto qualcosa di allucinante ma che spera ugualmente venga ritenuto plausibile dagli altri.
“Come c'entra con Spector e con l'altro...Ramses...?” domandò la Hill, già affetta da un lancinante mal di testa per tutte quelle teorie che lei reputava cretinaggini farneticanti.
“Rhama-Tut” precisò Simmons alle spalle di Skye per poi cedere di nuovo la parola all'amica.
“Rhama-Tut, nato Nathaniel Richards, conosciuto anche come Kang il conquistatore e Immortus...”
Fury quasi si strozzò con la saliva, sentendo quei nomi “Nathaniel Richards?”
Skye annuì, orgogliosa “Ho già detto che entrambi sono crononauti? Viaggiatori temporali? E' il motivo per cui noi non ne avremmo memoria. Modificando il nostro passato eliminano automaticamente ogni traccia di sé nella storia. In questo caso, Rhama-Tut sarebbe nato molti anni avanti nel futuro...”
“Trentunesimo secolo, per la precisione” si inserì anche Fitz, l'inseparabile compagno di Simmons.
“Esattamente” gli sorrise Skye “E in una realtà parallela alla nostra...”
“Comincio ad aver mal di testa...chiamatemi Banner e Stark... che mi traducano di cosa stanno blaterando...” bofonchiò Fury
“Come se loro sapessero parlare la lingua dei mortali” replicò la Hill scuotendo la testa.
“Oh, ma è molto semplice...” si affrettò l'agente di livello 1 mentre l'agente braccio destro di Fury smanettava sul suo tablet “Rhama-Tut si è autobattezzato col nome del padre di quello che per lui era il più grande scienziato della Terra per rendergli omaggio...” precisò sotto lo sguardo acquoso del guercio “Comunque...” aggiunse, per togliersi la fastidiosa sensazione di camminare sui carboni ardenti “Sembrerebbe che sulla Terra ci sia almeno un uomo che conosce tutta questa storia e venera i due di cui sopra come vere e proprie divinità.”
“Almeno un uomo?” domandò sempre più scettico Fury
“Sì...” rispose la ragazza, sentendo puzza di trabocchetto logico. “Nathaniel Essex, alias Sinistro.” si affrettò a precisare “Ed è abbastanza ovvio che, con la sua fissa per la purezza e potenza genetica di mutanti e superumani, abbia idolatrato Apocalisse... E che ci sia lui dietro la sparizione dei superumani del pianeta.”







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Ragazzi, rieccomi.
Scusate la lunga assenza. Non mi sono dimenticata di voi.
Semplicemente ho un po' -tanti- casini con la sistemazione di casa (per cui per un mesetto ancora non garantirò la puntualità della pubblicazione) che mi assorbe ogni energia e una connessione che fa sempre più schifo: la 56k (pare che la canaletta interrata sia stata danneggiata e vi sia entrata acqua -che gioia) ha cominciato a viaggiare dapprima a 26k e ora sono a un 9k costante... se trovate primitiva la 56k figuratevi quanto posso lavorare ora. La chiavetta, invece, ha ben deciso che può viaggiare sulla frequenza dei 4G. Solo che la zona non è servita nemmeno dai 3G. Risultato? Se prima andava a una velocità decente ora si sforza per nulla e mi va più piano della linea analogica. Non vedo l'ora che tirino l'adsl anche qui. Ma pare ci siano non pochi casini da risolvere...

A parte questo, spieghiamo un attimo il capitolo per chi fosse digiuno di Marvelverse.
Ho finalmente integrato anche la serie di Agent of S.H.I.E.L.D. nel racconto. Io sono ferma alla prima stagione (grazie DVD) ma un paio di cose si intuiscono e un altro paio le ho cercate.
Nel mio racconto c'è un'ovvia discrepanza (per chi sa) tra Daisy e Skye. Nel telefilm saranno la stessa persona: le giovincelle reclutate dal direttore dell'agenzia. Da una parte Fury dall'altra Coulson. Ha senso. Però, da purista e avendo cominciato la storia prima di AoS, ho dovuto scindere le due figure. Daisy resta Daisy, Skye resta Skye. Sulla strana natura di Skye tornerò nel prossimo capitolo ma non dovrebbe essere un gran mistero per nessuno (e se l'ho capito io...). Spiegherò per chi non segue il telefilm.
Così ho giustificato anche il fatto che Coulson sia sparito dalla fic per un po'. Aveva di meglio da fare che star dietro a Tony e Cap.

Sempre da AoS ho preso la discesa di Sif su Midgard. Come già detto precedentemente (capitolo 10 di Rien ne va plus e 20 di questa stessa), Sif è una Valchiria dei Falchi Rossi: scendere sulla Terra a caccia di pericolosi ricercati fuoriusciti dalle prigioni asgardiane nonostante la guerra in atto, rientrava nelle sue mansioni.
Quanto a Marc Spector, il mio amato Moon Knight, se ne è già accennato nei capitoli precedenti...e ora, eccolo qui ;)

Il Six Pack. Qua siamo quasi alle origini dei mutanti, roba anni '90. Originariamente era formato da Domino e Deadpool oltre che dai meno noti Hammer, Anaconda, Solo e all'amico/nemico storico di Cable, l'agente S.H.I.E.L.D. G.W. Bridge. A seconda dei tempi e delle versioni, il Six Pack, annovera tra le sue fila anche lo stesso Cable, Garrison Kane, Grizzly e il Costrittore oltre al ben più noto mutante e naufrago temporale, Alfiere.
Ripassino per chi non conosce il mondo mutante: Domino è una donna pallidissima, sempre vestita di nero, con una voglia/macchia nera su un occhio il cui potere mutante è che tutto vada secondo la sua volontà. Un potere idiota che non ho mai capito, molto simile a quello di Longshot. E' stata amante e/o migliore amica di Cable, un altro viaggiatore temporale figlio di uno degli storici X-Men, Ciclope, e del clone (Madeline) di sua moglie (Jean Grey, un'altra degli X-Men originali). A essere onesti, Cable è in realtà il clone del figlio di Ciclope che, da piccolo, fu infettato da un virus tecnorganico. Cable risulta il buono e l'originale, Stryfe, il cattivo (di solito i cattivi sono sempre i cloni). Ad ogni modo, entrambi se ne vanno a zonzo tra passato e presente e non si sa mai bene se finiscono nel futuro o in UN futuro.
Lo stesso dicasi per Alfiere, di cui abbiamo avuto un piccolo contentino nel film Giorni di un futuro passato. Le incongruenze che ci sono fanno paura e sorvolerò. Cable e Alfiere, comunque, si conoscono benissimo soprattutto perché il secondo, in preda alla follia e convinto di essere nel giusto, ha cercato di uccidere la figlia adottiva del primo. Peccato non ci sia riuscito.
Ma torniamo al Sic Pack.
Dati i primi due membri qui citati e prendendo spunto dalle diverse formazioni di X-Force (un gruppo 'segreto' di mutanti fuoriusciti e fuggiaschi col compito di occuparsi dei compiti sporchi), ho deciso arbitrariamente di riciclare il nome Six Pack (per non usare, appunto, X-Force) e di sostituire i meno noti con mutanti altrettanto letali. Il Punitore, ovviamente, continua a non entrarci nulla ma il Six Pack originale non era composto di soli mutanti. E comunque chi è più letale di Wolverine e il Punitore? Passatemi la libertà. Nel gruppo ho inserito anche Mystica, in quanto storico membro di X-Factor (gruppo, invece, alle dipendenze governative, tramite tra i mutanti -ricercati- e il mondo 'normale') e agente S.H.I.E.L.D. e/o vittima di Arma X, sempre a seconda delle versioni da cui si pesca.

Apocalisse, Rhama-Tut e Kang? :) continaute a seguire e capirete




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Capitolo 33
*** Altre realtà ***


33. Altre realtà







Aveva sganciato la bomba ma sembrava che nessuno fosse particolarmente colpito da quella sua deduzione. Il signor Sinistro era così noto agli uomini in nero?
“Apocalisse?” domandò la Hill scettica, levando un sopracciglio. Forse era semplicemente disgustata dall'idea che il genetista, uomo di scienza, si perdesse in fantasie superstiziose.
Ma Skye diede un'altra interpretazione alla sua smorfia “Sì, un po' troppo... troppo...come nome anche secondo i miei gusti... ma En-Sabah-Nur si prefigge di eliminare ogni traccia di Homo Sapiens dalla Terra...” rispose, stringendosi nelle spalle nemmeno fosse lei la colpevole della scelta di quel nome e sentendosi sempre più alle corde e in colpa per il messaggio catastrofico che le sue parole, per quanto fossero solo un ragionamento (il più lineare e convincente che fosse riuscita a elaborare) che riusciva a giustificare tutto “...quindi mi pare abbastanza azzeccato come nickname...”
Nickname...” sibilò l'agente Mei, rimasta fino a quel momento in silenzioso riposo al fianco di Coulson, levando gli occhi al cielo. Un'operativa come tutti gli altri. Inquietante quanto letale. E che non capiva appieno il suo cervello creativo.
“Scusa una domanda...” domandò Fury, sorvolando sul neologismo della giovane matricola. Strano che fosse arrivata così lontana sana e salva e al contempo così stupidamente innocente “Se quel deficiente di Sinistro è l'unico uomo ad avere queste informazioni, che per quel che mi riguarda sono un mucchio di scemenze con cui potrebbe aver fatto il lavaggio del cervello a Spector, come fai a convalidarle?”
“Qua entra in ballo T.A.H.I.T.I.” intervenne Coulson protendendosi sul tavolo.
“Il Kree?” domandò scettico Fury “Siete riusciti a decrittare la mente e il linguaggio del Kree?”
“Skye può questo ed altro...” rispose orgoglioso Coulson, strizzando l'occhio al suo capo. Avevano un'arma in più e non sarebbero più stati costretti ad affidarsi più ai soli Vertice e S.W.O.R.D. D'altronde, Skye era anch'ella uno 0-8-4 e c'era una validissima quanto ovvia ragione per cui riuscisse a interfacciarsi così facilmente con un Kree. Piuttosto, la loro priorità, ora, era proteggerla dalle grinfie di quelli che stavano facendo sparire tutti i superumani. Anche se la sua copertura, che era ignara di impersonare, risultava sottotono, nonostante tutto. “Comunque, pare che questi due -non Khonshu, che è roba nostrana- siano figuri già tristemente noti alle autorità galattiche.” terminò Coulson con un sorriso tra il triste e l'amareggiato.
“Se non hanno lasciato traccia di sé nel nostro passato, in quanto crononauti, dovrebbe essere lo stesso in ogni altro punto dell'universo” replicò Maria Hill che, avendo cominciato a lavorare con Stark saltuariamente, iniziava a capire qualcosa di fisica quantistica. O almeno... le sembrava di afferrare concetti leggermente più complicati della fisica classica. Anche se, doveva ammetterlo, anche Pepper sembrava capire qualcosa di più degli sproloqui del magnate.
“Del nostro universo...sì...” confermò l'agente “Ma non per il Multiverso.” disse, lasciando appena qualche secondo perché la notizia appena condivisa, facesse presa sulla mente confusa del suo superiore come un gas venefico che si insinui negli alveoli. “Ci sono realtà che riusciamo a mala pena ad immaginare. E se gli scienziati hanno teorizzato il multiverso e gli studi di Stark sul Tesseract ne hanno dimostrato l'esistenza, ciò che non avevamo neppure immaginato potesse esistere è che ci sia un'organizzazione, superiore a noi e allo S.W.O.R.D. e superiore anche ai Guardiani della Galassia, che controlla e monitora ogni multiverso. Abbiamo osservatori silenziosi e pacifici che scorrazzano liberamente sulle nostre teste come veri e propri gendarmi e sui quali non abbiamo alcun potere.”
Lo sguardo spento e stordito di Fury si riaccese di colpo “Excalibur! Non è una fregnaccia!”. Coulson scosse la testa a confermare la sua intuizione.
Dopo qualche minuto di silenzio, Fury tornò a sondare la squadra eterogenea (una delle tante) che lui stesso aveva autorizzato.
“Ok, Multiverso. Chiaro. Dunque?”
“Dunque, a questi nomi corrispondono effettivamente persone molto potenti. Essex lo sa e li ha presi a modello. E sempre Essex ha lavorato sulla mente di Spector.”
“Ammesso e non concesso che creda alla cazzata che uno come Essex sia riuscito ad acciuffarti... Come ti saresti liberato? Le vittime di Arma Plus lo sono state per anni prima che riuscissimo a intervenire...” domandò Fury rivolgendosi all'uomo in bianco.
“E anche in quel caso si liberarono dall'interno...” borbottò Coulson “Noi intervenimmo solo a tamponare il danno, smantellare le strutture e portare soccorsi...”
“Non ho idea di come mi sia liberato. O perché mi abbiano lasciato andare. Io so quello che ho visto e voi mi confermate che non è tutto solo frutto della mia fantasia.” fu la risposta laconica di Spector.
“E' come se qualcuno avesse voluto mandarci un segnale dall'interno...” replicò Skye, volgendosi verso Fury e facendo oscillare la lunga chioma color cioccolato dorato.
“C'è dell'altro? Dubito ti saresti scomodato solo per farmi sapere che sei vivo e vegeto...” ringhiò il guercio dopo aver rifilato alla matricola un'occhiataccia. Marc Spector stava per rispondere quando la Hill, fattasi bianca in volto, afferrò la manica del suo superiore e gli mostrò il tablet. “E questo che vuol dire?”
“Bruce Banner non è più sui nostri radar...” disse quella, appena.
“Impossibile... il marcatore tracciante lo rende localizzabile ovunque sulla faccia della Terra... Non può essersi accorto che lo stiamo monitorando né può aver elaborato una strategia di risposta senza che noi ce ne accorgessimo..”
“Da Banner puoi aspettarti questo e altro..” meditò Coulson lì accanto.
“Non lo potete trovare su questa Terra... ma se fosse altrove?” domandò Fitz, chiedendo il sostegno delle sue amiche con lo sguardo.
Altrove dove? Nello spazio?” Fury quasi abbaiò “Sottoterra?” domandò cinico e aggressivo. Tutta quella situazione lo stava mandando fuori di testa e i bambini non contribuivano certo a tenere calme le acque.
Fitz cercò lo sguardo di Simmons, che annuì, e, stringendole la mano, deglutì e prese coraggio “C'è una teoria di cui il dottor Reed Richards ci ha parlato, una volta, in accademia... era una speculazione che aveva appena partorito, senza alcun dato oggettivo a suffragarla..”
“Perché sento un ma in arrivo?” domandò quello quasi divertito. Quasi.
“Ma...” balbettò incerto.
“Il Kree nella vasca di coltura ha ricordi di questa... realtà” intervenne Skye, spavalda, meno intimorita dei colleghi dalla leggenda vivente.
“Di cosa stiamo parlando, precisamente?” domandò Fury, ormai fuori dai gangheri.
“Della Zona Negativa, Signore... della Zona Negativa...” replicò incerta, come se a ripetere la sua risposta si fosse resa conto dell'assurdità che le era uscita di bocca.
Fitz e Simmons stavano per lanciarsi in una pedante descrizione di cosa fosse quella cosa ma il guercio li congelò sul posto con un occhiata. “Già il nome non è promettente...” disse per poi spostare l'attenzione sull'agente Spector “E' da lì che sei scappato?”
Marc Spector annuì appena.
Fury stava già imprecando quando il telefono squillò. Lo estrasse, seccato, dalla tasca della giacca. “Valerie...” sibilò. E quando chiamava l'agente Cooper non era mai qualcosa di buono.

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Il Six Pack era stato, come diceva il nome stesso, un gruppo composto da sei persone, impiegato dalle più disparate organizzazioni o governi per missioni altamente rischiose, in cui le doti e le abilità dei suoi componenti risultavano decisive. Tra le sue fila si contavano, originariamente, una certa ripetitività e metodicità. Erano presenti due tiratori scelti, due segugi, due donne, due mercenari, due agenti federali (ufficiali) e due umani. Nel caso mezza squadra fosse stata indisponibile o compromessa, le missioni risultavano ancora comodamente fattibili in quanto i membri erano intercambiabili tra loro.
Ma una situazione come quella non era mai capitata: due contro tre di loro se non anche una metà contro l'altra metà.
“Non darei per scontato il fatto di essere in superiorità numerica” aveva sibilato Mystica in risposta all'occhiataccia scettica di Logan.
E, in effetti, l'artigliato aveva ragione: era in atto la caccia al superumano e, se anche Frank Castle era stato accalappiato, cosa impediva che anche il sesto membro fosse stato soggiogato?  Preferiva non pensarci. Anche perché, doverci avere ancora a che fare non sarebbe stato piacevole. Avrebbe potuto usare la mutaforma come scudo umano...anche se sapeva in partenza che non avrebbe mai funzionato.
“Come pensi di agire, intrepido capo?” domandò Wade scrutando oltre la boscaglia mentre il resto del gruppo scompariva, inghiottito dalla vegetazione, per cercare di infilarsi nell'entrata non appena loro avessero distolto l'attenzione dei cecchini.
“Attacco frontale? Possiamo permettercelo...” bofonchiò Logan in un'alzata di spalle.
“Che cosa stupidamente maschile...” ringhiò Mystica. “Comunque, conviene  muoverci alla svelta, prima che lo facciano loro... Chiamalo intuito femminile, ma lui è qui..”
“Preferisco chiamarlo doppio gioco...” sibilò il canadese sfoderando gli artigli e puntandoli contro la donna.
“Mi credi in combutta con chiunque ci sia dietro tutto questo?” replicò lei, stizzita e offesa.
“Cosa ne so di quali squilibri ti trascini dietro dopo Arma Plus” replicò lui “Tu, come tutti noi. Solo che, almeno noi, siamo onesti nell'ammettere le nostre colpe.”
“Continuate pure come se io non ci fossi” si inserì Wade, studiandoli curioso.
Per tutta risposta, la mutaforma scosse la folta chioma fiammante “Voglio solo proteggere i miei figli...”
“Ciò non nega nulla. Potresti intendere il venderti al nemico come lasciapassare per loro... sei tremendamente perversa, poco chiara e poco lineare” continuò lui mentre lei studiava la struttura.
“A Frank posso pensare io...” replicò la donna, cambiando discorso “Dovrei riuscire a distrarlo quanto basta... Ma Domino è tutto un altro paio di maniche..”

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D'improvviso, come se fosse stato strattonato a forza, sbalzato fuori dalle onde scure e vorticose che minacciavano di affogarlo, l'aria fresca gli frustò il bel viso, riportandolo di colpo al presente. Si sentiva debole e confuso, aveva le vertigini e un lancinante mal di testa. Il verde circostante, che sembrava volerlo fagocitare, gli feriva gli occhi con la sua vitalità.
Avvertì un paio di mani gentili correre a sorreggerlo per le spalle mentre una serie di grugniti e gemiti strazianti, che sperava non provenissero da lui stesso, riempivano l'aria.
“Vieni via...” bisbigliò il suo salvatore. Mani nere, lucide, lo sollevarono senza il minimo sforzo e senza fargli male... non ricordava nessuno con quelle caratteristiche... aveva un vuoto di memoria. Quando si sentì abbastanza saldo da non vomitare nel ruotare la testa, scrutò il volto mascherato. Non aveva ricordi che l'Uomo Ragno indossasse un costume nero come la notte.
“Che è successo?” domandò, cercando di rialzarsi.
“Eri impazzito. Rogue ti ha calmato ma ora nei guai c'è lei... anche se sembra gestirla bene, tutto sommato...” rispose l'altro con voce confusa.
Warren si puntellò sui gomiti e si scostò le ciocche bionde e ribelli dal volto tirato. Poco oltre, lo pterodattilo Sauron e Rogue si fronteggiavano, le mani artigliate intrappolate le une nelle altre. Eppure c'era qualcosa di strano che strideva con il ricordo che aveva dei due. A Sauron erano spuntate piccole piume sulle punte delle ali carnose mentre Rogue...
Un brivido gli corse lungo la schiena.
La ragazza era totalmente irriconoscibile: una lunga e possente coda sbucava da sotto la gonna, le calze si erano smagliate per far posto a polpacci rostrati, incastrati negli stivali militari che non accennavano a cedere sotto la pressione del corpo troppo cresciuto, mentre, dalla schiena, un paio di ali membranose e piumate insieme si erano propagate ed estese lungo tutte le braccia; la carnagione aveva assunto un aspetto leggermente cianotico e a tratti squamoso. Il volto, infine, era una commistione di tratti umani e rapaci insieme e da cui gli occhi rossi scintillavano come pietre laviche.
“Cosa le è successo?” balbettò spaventato.
“Ti ha toccato per calmarti. Quindi, prendendola alla sprovvista, Karl l'ha afferrata per il collo, forse intimamente convinto di poterla strangolare, non lo so...”
“E' … mostruosa...”
Peter storse il naso e avrebbe voluto rimbeccare il pennuto di guardarsi allo specchio. “E' semplicemente regredita allo stadio precedente...” bofonchiò offeso. Notando lo sguardo perplesso del biondo belloccio, sbuffò e spiegò “Le teorie evolutive dimostrano che si è passati dai pesci agli anfibi e da questi ai rettili, quindi agli uccelli e ai mammiferi... se osservi lo sviluppo degli embrioni si passa per tutti gli stadi evolutivi... è affascinante...” stava commentando quando il feroce bestione alato atterrò malamente lì vicino, scagliato dalla forza sovrumana della donna i cui vestiti erano ormai completamente sporchi e laceri.
“Non puoi sperare di battermi, Karl!” ringhiò quella avanzando pesantemente nell'erba alta mentre il rettile si puntellava a stento nel tentativo di fronteggiarla. Sul volto stravolto campeggiava un'espressione crudele e ferina. “Avrai assorbito le mie energie, Karl, ma ora ti ho in testa...” disse indicandosi la tempia con un dito uncinato “E ho in testa anche Warren... non puoi sperare di vincermi. So tutto, non ostinarti e lasciaci andare!”
“Sai, Bella... potresti anche pensare che il mio sia un atto di cortesia...” ghignò quello di rimando, faticando per ritrovare una posizione consona “Per risparmiarti una morte dolorosa e sofferta più avanti...”
Rogue ghignò di rimando “Sì, ho visto...” commentò “Ma la tua mente è disturbata e, quindi, anche per niente affidabile...”
“Di che parlano?” domandò Peter, confuso. Gli mancavano dei tasselli per comprendere appieno le esperienze del gruppo mutante.
“Ne so quanto te... evidentemente sono ricordi che si sono scambiati” commentò Warren.
“Non ve ne andrete di qui...” sibilò Sauron tirandosi in piedi tremante “E quando ti avrò abbattuta, toccherà a loro, che nei miei confronti hanno ben poche protezioni. In più hai sfiancato il tuo amico pennuto che, però, a ben vedere, potrebbe pure rivoltarvisi contro...” aggiunse lasciando sottintendere di saperla lunga sulla natura mostruosa e violenta dell'angelo “Ti tocca finirmi... assassina!”
“Non mi paragonare a te!” urlò lei scagliandoglisi contro, confermando al contempo le sue parole.
Il tonfo dei due corpi che si incontravano fu un sinistro stridore di ossa che si incrinavano e muscoli che si comprimevano sotto la spinta dell'impatto. Ruzzolarono in un turbinio di ali, code e artigli, e i suoni della lite si protrassero a lungo, attutiti appena dall'alto fogliame.
Un ultimo colpo, dal suono più inquietante dei precedenti, e il successivo silenzio tombale, decretarono la fine dello scontro.
Peter deglutì a vuoto, spaventato. Si sarebbero accompagnati a un'assassina o avrebbero avuto a che fare con un folle pluriomicida. Non sapeva quale scenario preferire.
Chi si rialzò, però, fu Sauron che li squadrò con occhi iniettati di sangue, galvanizzato dal sangue appena versato.
“Ce la fai a volare?” domandò Peter tirando Warren in piedi. Dovevano fuggire e alla svelta.
Quello scosse la testa “Sono troppo debole...” si giustificò il biondo.
“Beh, prova a correre.” disse lasciando la presa e ponendosi in atteggiamento di difesa “Non so quanto riuscirò a trattenerlo.”
“Per andare dove? Ad avvisare gli altri che non ce l'abbiamo fatta?” lo rimproverò il mutante stirando piano le ali metalliche alle sue spalle per sembrare minaccioso. Ma facevano un male cane all'attaccatura. Era un dolore orribilmente noto, come se qualcuno gli stesse strappando, ancora una volta, le sue amate propaggini “Non devono tornare indietro per noi! Il piano mi sembrava abbastanza semplice: guadagnare tempo perché loro riuscissero a scoprire dove si trovano gli altri e tirarli fuori dai guai.” Sorrise mestamente “E' così che si comportano gli X-Men”
Quelle parole lasciarono il reporter sorpreso e perplesso. Il tono stesso, quanto la postura, indicava che non aveva più a che fare con il Warren svampito che aveva imparato a conoscere in quei giorni. Sembrava normale... rinsavito. Che diavolo gli aveva fatto il tocco di Rogue?
“D'accordo, allora. Uno per tutti e tutti per uno...” disse per poi fermarsi a pensare, divertito dalla sua stessa battuta “Tu chi fai? Mi ricordi molto Atos... di certo non sei un mangione né un pio devoto.” Warren lo guardò interdetto e Peter capì cosa ci trovava di divertente Wade nel fare battute anche nei momenti meno adatti “Tu, invece, mi sembri viscido come il cardinale” continuò il ragazzo, additando il lucertolone che ormai troneggiava su di loro.
“Ma la pianti mai di blaterare?” ringhiò quello dandogli una zampata che il ragazzo schivò con un agile colpo di reni e una capriola all'indietro, così rapidamente da sorprenderlo, dato che superava di molto i suoi stessi tempi di reazione standard.
“Effettivamente, la stupidità di Deadpool deve avermi contagiato...” stava bofonchiando quando la coda del lucertolone lo investì in pieno petto con tutta la potenza di una frusta quale era il suo corpo sbilanciato dopo che il Ragno ne aveva scansato il primo attacco.
Questa volta, era stato decisamente colto alla sprovvista. Eppure, il vuoto d'aria che si aspettava di trovarsi nei polmoni a seguito dell'impatto non lo raggiunse mai: niente apnea, bruciore, senso di soffocamento... Il colpo, la botta, il dolore fisico, però, quello sì lo aveva avvertito.
Ma era strano.
Normalmente, le due cose coincidevano.
Normalmente.







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Scusate il ritardo -ancora- ma sto uscendo pazza a star dietro a tutto. Abbiate pazienza. Ora cominciano i lavori e non dovrei più avere grosse sorprese.
Dunque, chiariamo quanto lasciato in sospeso la volta precedente. Skye è un'Inumana (perché sì e perché gli spoiler mi confermano). E gli Inumani sono stati geneticamente modificati dai Kree molto tempo fa. Ecco perché faccio finta che lei riesca a capire (non so cosa si siano inventati nel telefilm ma sembra che il sangue Kree dia poteri di percezioni extra...). Cmq non approfondirò oltre.

Quanto a Excalibur (in realtà uno dei gruppi mutanti più famosi, la costola inglese degli X-men, capitanata da Kurt Wagner ma la cui peculiarità era proprio Capitan Bretagna, fratello di Psylocke), in realtà la realtà di cui parlo è Altromondo. Ma potete continuare a ignorare la cosa. Semplicemente -cito da Marvel Insanity Wiki- "non è che un enorme dimensione di sogno, dove il potenziale diventa reale". Ora, io faccio finta che il gruppo millantasse questa conoscenza di Altromondo e che nessuno ci credesse. Stop.

Oh... ;) tenete d'occhio Warren e i suoi dolorini ;) ci sarà un'altra svolta (chi sa, taccia)

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Capitolo 34
*** Effetto Domino ***


34. Effetto Domino






La conosceva. La conosceva meglio di chiunque altro. Il suo acuto spirito di osservazione, unito al fatto che avevano convissuto per anni nelle stesse baracche abbandonate durante le loro missioni, la collocava in quella metà del gruppo capace di notare intrusi tra loro.
Uno degli altri le stava coprendo le spalle.
Sperava solo -davvero- di non dover aver a che fare anche con l'altro. Sapeva che poteva trovarselo di fronte da un momento all'altro. Tutti i mutanti che conoscevano erano scomparsi dalle loro residenze: perché lui avrebbe dovuto essere un'eccezione? Avanzò sicura, fasciata dalla tuta di pelle nera che Domino indossava sempre: sperava solo di aver notato e riprodotto correttamente ogni suo dettaglio.
A conti fatti avrebbe dovuto avere almeno il tempo di mettere Frank fuori combattimento. Cosa complicata di per sé.
Perché se lui fosse stato lì, sarebbe stato rapido quanto spietato.
Soprattutto visti i loro trascorsi.
Forse doveva piantarla di andare a letto sempre e solo con gente potenzialmente letale.
Nonostante non l'avesse detto a Logan, sapeva che anche il canadese sospettava che i loro ex commilitoni, a differenza di Lycos, fossero trattenuti in quel posto contro la loro volontà. E che ci fosse, di conseguenza, una qualche forza magica o psichica a condizionarli. Come era successo a New York e a Muir, in concomitanza, non molto tempo prima.
Mystica aveva aspettato che Domino si allontanasse per un giro di ronda e, una volta lontana dalla loro portata, aveva finto di essere tornata sui propri passi o di esser stata più veloce del previsto. Nel caso fosse stato Frank ad allontanarsi per la ronda, avrebbe finto di averlo seguito.
In ogni caso, avrebbe avuto davvero poco tempo per stordirlo e prenderne il posto. Prima che Domino tornasse o prima che lui la percepisse e accorresse sul posto.
Perché sopraffare Domino con la sua dannata fortuna era cosa tutt'altro che semplice. Quanto meno, era più difficile che stendere Frank, il che la diceva lunga. Ma affrontarli tutti insieme era pressoché impossibile.
Avanzava con il passo tipico di Domino da quando ne aveva preso le sembianze, in modo da non essere tradita dal fine udito del Punitore. E al modo di Domino, senza una parola, gli si buttò accanto, con fare disinvolto e incurante, i gomiti puntellati sulla balconata, le braccia protese all'esterno, lo sguardo perso nel vento.
Frank, accanto a lei, si mosse appena, volgendosi a studiarla con la coda dell'occhio. Aprì bocca come per dire qualcosa ma la richiuse subito, sovrappensiero. L'aveva sgamata? Forse sì, a giudicare da come il tiratore aveva le braccia in tensione. Doveva agire in fretta. Ma come si abbatteva Frank Castle senza ucciderlo? Stava per risolversi a squarciargli la gola quando lui parlò, impacciato, sorprendendola.
“Posso dire di essere sorpreso di questa tua scelta?” disse duro.
L'aveva smascherata, senza ombra di dubbio. Il terrore le attraversò lo sguardo ma lei si ostinò a tenere lo sguardo fisso: avrebbe approfittato dell'istante in cui lui l'avesse attaccata, abbassando la guardia di conseguenza.
“E' vero che c'è un filo comune...” continuò lui, girando lo sguardo verso la giungla, imitandola “...Ma... come dire... non pensavo proprio di essere il tuo tipo...”
Mystica si congelò sul posto. Di cosa diavolo stava parlando? Era rivolto a Domino, questo era ovvio ma... come erano arrivati a quello? Quando? E chi dei due aveva cominciato quella schermaglia? Si era infilata in un ginepraio più grande di lei, nel momento meno opportuno. O forse era meglio così? Soprattutto... cosa gli avrebbe risposto? Non aveva la più pallida idea di come si comportasse Domino con gli uomini. Non le era mai interessato. Sapeva solo che amava bere allegramente in loro compagnia. E, forse, dopo averli storditi, se li portava nella tana. Per un'istante sovrappose all'amica l'immagine della Vedova Nera. No... sbagliava. Domino sapeva che tutto sarebbe andato secondo i suoi desideri... doveva convincersi di quello e giocarci abilmente.
Stirò un sorriso compiaciuto e, parafrasando Wade, si volse appena verso il cecchino con un sorriso malizioso sulle labbra tinte di nero “They call me, Domino1
Lui sgranò appena i piccoli occhi chiari, infossati in lineamenti duri e spigolosi da mercenario consumato “Tecnicamente la prima mossa l'ho fatta io...” sorrise poco convinto per poi abbassare lo sguardo sulla sua dotazione “Capisco... Non un gran merito, insomma. Tutto va sempre come desideri, no?”
Fortunatamente aveva optato per una risposta il più nebulosa e neutra possibile. Ora, che aveva decisamente la guardia abbassata, doveva sbarazzarsi di lui. Teoricamente, a conti fatti, Domino era già sulla strada del ritorno. Si spostò sotto di lui con una mossa audace quanto provocatoria. Il povero stupido, che ignorava il tranello in cui era caduto con tutti gli scarponi, aveva abboccato come un merluzzo e si protese subito, vorace, sulle labbra della donna. Per una frazione di secondo, Mystica fu tentata di respingerlo, non avendo lei la più pallida idea di come baciasse Domino. Ma subito si ricordò che, forse, se aveva fortuna (e impersonando Domino pretendeva di averne almeno un pochino), nemmeno lui.
Frank fu esattamente come Mystica se l'era sempre immaginato: grezzo, irruente, possessivo, invadente, indelicato. Qualità che, in altri frangenti, le sarebbero pure garbati, abituata com'era a partner animaleschi.

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Aprì piano gli occhi, sigillati non appena il colpo l'aveva raggiunto al petto, e rimase senza parole per quello che si trovò davanti “Che è successo?” alitò sconvolto guardandosi intorno in cerca di una spiegazione.
Warren fece spallucce, più confuso di lui “Se non lo sai tu... E' opera tua, quello...” disse. Peter si guardò sconvolto. Cosa diamine era successo? Lui non aveva fatto proprio nulla eppure Karl giaceva ai suoi piedi in una posa scomposta quanto grottesca, privo di sensi. “Sei stato velocissimo... e strano...”
“Che vuol dire strano?” domandò il ragazzo, improvvisamente attento.
L'angelo si rialzò barcollando “E' come se fossi ...esploso... e ti fossi poi riaddensato, ricomposto. Eri una macchia di inchiostro viva e letale...”
Peter osservò la propria tutta, dubbioso. Era la prima volta che capitava qualcosa del genere. Era strano e inquietante, certo, ma al momento non avevano tempo da perdere a interrogarsi su quelle bizzarrie. Si trovavano in un luogo assurdo in cui, forse, tutto era concesso.
Si chinò sul rettiloide per prendergli le pulsazioni mentre una parte di sé si canzonava per averla solo pensata, un'idiozia simile. C'era qualcosa di spaventoso nella sua tuta e non sapeva da cosa dipendesse né da quanto durasse. Certo era che le stranezze, a partire da un'aumentata prontezza reattiva, si erano manifestate in contemporanea col cambiamento di colore della sua mise. Che avesse davvero pasticciato una volta di troppo con la chimica?
Trovato il sauro ancora vivo, si avviò veloce a cercare Rogue per scoprire che fine avesse fatto. “Dimmi di te, invece..” disse a Warren mentre avanzava tra l'erba alta, seguendo la scia di distruzione che i due mutanti avevano lasciato nella loro lotta, scendendo un dolce dislivello del terreno. “Mi sembri... più in forma di prima...”
Il biondo scosse la testa, come confuso “Sì...” ammise “Mi sembra di aver vissuto in una bolla fino ad ora... ricordo tutto quello che è successo...” disse coprendosi gli occhi quasi a nascondere un improvviso senso di vergogna e orrore “Tutto. Ma in qualche modo è come se non fossero ricordi miei... come se avessi vissuto in un incubo per tutto questo tempo... intrappolato nel mio corpo...”
“E' stata lei a... sbloccarti?” domandò sempre più addentro nella vegetazione.
“Sì... e mi dispiace per lei... si è fatta carico di ogni... cosa...” disse con voce incrinata da un divertimento nervoso “Se penso che mi sono comportato come un idiota anche con lei, pur non volendo ferirla... Non solo Betsy...”
“Che sarebbe?” chiese l'altro corrucciato.
“La mia fidanzata... in quelle condizioni... prima che tu mi incontrassi, ho fatto di tutto per allontanarla... sono stato un vero stronzo. E poi... nel candore successivo, mi son comportato in modo tale che sembrava ci provassi... povera Rogue...” si commiserò scuotendo i bei riccioli d'oro.
Peter tacque, facendo finta di aver capito qualcosa di quello che gli aveva appena spiegato il pennuto e continuò a cercare finché, a un certo punto, una forza invisibile sembrò trascinarlo sulla destra, guidandone i passi. Sembrava quasi che la sua tuta fosse dotata di volontà propria e cercasse di aiutarlo.
Pochi metri più in là, nella direzione suggerita da quel nuovo istinto, Rogue giaceva svenuta a pancia in giù, con le ali membranose a farle da coperta. “L'ho trovata!” disse ad alta voce “E ora vediamo di portarti fuori di qui, bellezza...” commentò piano, cercando di afferrarla per le braccia e trascinarla nella radura, aggirando l'impiccio rappresentato dalle ali e sperando di non lussarle una spalla. Eppure, quando fece per afferrarle i polsi, il suo corpo agì autonomamente e in un batter di ciglia si trovò a portarla in spalla con una facilità insospettata, soprattutto visto che era un peso morto di oltre ottanta chili. Le braccia pendevano sulla sua schiena, solleticandogli il sedere con la punta delle ali mentre avanzava incerto, intento a schivare la grossa coda coperta di scaglie.

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“Rotta sud-sud ovest!”abbaiò frustrato affacciandosi sulla sala comandi. Perché non ne aveva avuto sentore? Era convinto di aver intravisto il gioco di scatole cinesi in cui volevano ingabbiarlo e, invece, l'avevano distratto con cose solo apparentemente più importanti...si era lasciato fregare come un novellino.
“Rotta sud-sud ovest!” ripeté il suo secondo all'interfono. Poco più in là, qualcuno ripeté nuovamente l'ordine che venne rimbalzato ancora una volta, frammentandosi tra i vari reparti in un'eco confusa e sbiadita.
“Dannazione!” ringhiò picchiando il palmo aperto sulla balaustra di metallo.
Valerie Cooper aveva riferito della scomparsa dei mutanti a Westchester. Nulla che potesse insospettirlo: erano spariti anche alla vigilia della guerra coi Chitauri, quegli inaffidabili! Solo in seguito aveva scoperto che il responsabile rimasto a tenere sotto sorveglianza la villa, Scott Summers, era in profonda depressione per essere stato scaricato dalla fidanzata (oltre che a essere nell'occhio del ciclone per una serie di triangoli amorosi che lo vedevano -a suo dire- involontario fulcro di tutto) motivo per cui aveva lasciato che i telefoni squillassero a vuoto. Quanto ai membri della Confranternita, non aveva preso nemmeno in considerazione l'idea di contattarli.
Ora, però, Valerie chiamava per comunicargli altre due gran brutte notizie.
Da un lato si erano perse le tracce di Banner. Cosa auspicabile dal dottore ma pressoché impossibile, visto il marcatore che gli scorreva in corpo. Appena indirizzato l'Helicarrier avrebbe provveduto a contattare chi poteva saperne qualcosa e a sguinzagliargli di nuovo alle calcagna la Vedova Nera. Ma quello che lo lasciava senza fiato, sgomento, inchiodato davanti a quel disegno più complesso e intricato di quanto avrebbe mai potuto immaginare, era la notizia dell'oceano pacifico tinto di rosso. Rosso sangue, come l'avevano visto lui e Logan lungo la costa giapponese, durante la mattanza dei delfini. Rosso fino all'orizzonte: una vista che lasciava intravedere nei più suggestionabili un'imminente fine del mondo. Ma tutto quel rosso, questa volta, si trovava al largo di San Francisco.
E c'era un'unica spiegazione.
Le comunità atlantidea e lemuriana erano state attaccate in modo barbaro e violento.
Valerie gli aveva mandato alcuni filmati raccapriccianti girati sul luogo ma lui doveva vedere di persona: tra le onde salmastre galleggiavano, privi di vita, centinaia e centinaia di corpi umanoidi privi di vita, la pelle coriacea e squamosa normalmente azzurrina o verdastra era ora tumefatta e gonfia, l'oro che ne decorava gli arti riluceva sinistro in quell'acqua scarlatta, le chiome nere ondeggiavano come alghe strappate al loro fondale.
Nonostante non si fosse mai visto nulla del genere, la concomitanza dell'evento cruento, lasciava supporre a Nick Fury che quell'attacco fosse stato portato per stanare, catturare o uccidere Namor, il principe dei mari. Gli indiziati che avevano mezzi e possibilità per scatenare un simile pandemonio non erano poi molti, anche nel caso si fossero alleati tra loro. Non si trattava di microcriminalità o di lotta razziale né di tratta di superumani per potenze occulte o di sequestro di menti brillanti. C'era qualcosa di decisamente sinistro e perverso in tutto quello. Come se non bastasse, dal Vertice, Abigail Brand, direttore dello S.W.O.R.D., gli aveva comunicato i risultati definitivi del censimento della popolazione Inumana dopo la guerra dei Chitauri.
Una guerra che aveva coinvolto anche lo S.W.O.R.D. e la Luna, più precisamente nella Zona Blu, l'unica parte vivibile del satellite roccioso, all'insaputa dei media terrestri grazie al riserbo delle parti coinvolte che avevano rispettato l'assoluto silenzio stampa in cui era avvolto l'evento.
Infatti, se già lo S.H.I.E.L.D. era un'organizzazione segreta, lo S.W.O.R.D., sua costola spaziale, era un progetto autonomo e classificato. E altrettanto confidenziale era l'esistenza della colonia di alieni che vivacchiava proprio sulle loro teste: il mondo non era pronto a sapere tutto ciò altrimenti sarebbe stato il panico totale. Bastavano i folli esaltati che si inventavano cospirazioni dietro a ogni ombra in regime normale, figurarsi cosa sarebbe successo nel momento in cui la presenza aliena sul Pianeta fosse stata comprovata, al di là dei film hollywoodiani. Ora, dopo quella carneficina, non dubitava più ci fosse un disegno per destabilizzare il mondo e sospettava che dietro a tutto ci fosse Osborne. L'attacco era stato trasversale. Terra, spazio e oceani. Mutanti, superumani e alieni. Se qualcuno fosse riuscito a screditare definitivamente lo S.H.I.E.L.D., reo di operare in segreto per la protezione di tutti, tramite attacchi mirati e alla portata dei media convenzionali, che non sarebbero potuti essere tutti censurati dagli hacker di turno come Skye, chi ne sarebbe uscito definitivamente vincitore sarebbe stato proprio lui. Dubitava potesse abbassarsi a quel livello ma, a essere maliziosi, era il miglior indiziato.
E gli Inumani avevano pagato caro, perdendo anche buona parte della loro élite regale ma non il loro re.
Il problema era che quelle... persone...sembravano essere disperse poiché non comparivano nemmeno nel conteggio dei morti. Ma essere dispersi, sulla Luna era un fatto praticamente impossibile.
Blackagar, il re, era sconvolto.
Era suo fratello, Maximus il folle, a fargli da interprete. E per una volta tanto non sembrava coinvolto nella congiura -anche se con quello non si poteva mai sapere anche perché ricordava a Fury un certo dio norreno cornuto con cui avevano avuto a che fare di recente- ma, anzi, sembrava sconvolto quanto il re della sparizione dei suoi consanguinei.
Atlantide e la Luna.
Ci mancava solo qualche disordine a Mandipoor  e una sollevazione popolare in Latveria e sarebbero stati al completo.










1. Mi rifaccio alla canzone dei Kiss, Domino, tratta dall'album Revenge che parla di una donna che ottiene sempre quello che vuole. Come la nostra Domino ;) Nell'originale è "They call her Domino", cioè, La chiamano/è detta Domino. Io l'ho trasformata in "Mi chiamano Domino"


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Non credo ci sia bisogno di aggiungere molto :D
Quindi :) vi lascio subito e ci sentiamo al prossimo capitolo! baciotti a tutti!

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Capitolo 35
*** Take me to the top ***


35. Take me to the top






Rispose meccanicamente a quell'assalto, senza provare il minimo piacere, pensando a come sbarazzarsi di lui che, nonostante tutto, non si accorgeva dell'inganno.
Gli uomini! Erano così patetici quando si facevano dominare dagli istinti. Perdevano ogni capacità di raziocinio. Poveri stupidi e manipolabili. Forse era per quello che non se li cercava dotati di maggiore intelletto: avrebbe significato partner meno malleabili e più reattivi. Cosa che a lei proprio non andava giù.
Gli fece scivolare le mani lungo tutto il corpo, in cerca di qualcosa con cui stordirlo, mossa che lui scambiò per apprezzamento e invito a procedere oltre, tant'è che cominciò a prendersi delle libertà che lei non aveva preventivato. Non che le dispiacesse, solo non era quello il momento. Ma lui non poteva saperlo. In realtà, ignorava molte cose.
Valutò come bloccargli la trachea sarebbe stata forse la scelta più rapida e indolore.
Mentre ancora passava in rassegna le altre opzioni, sentì d'improvviso il peso dell'uomo gravarle tutto addosso. L'istinto, frutto di anni di addestramento, le diceva che erano stati scoperti. Si sbarazzò del corpo inerme rotolando su un fianco e sfoderando l'unica vera pistola che possedeva e per la quale doveva ringraziare Wade. L'istante prima di premere il grilletto, ritrasse l'arma e mise la sicura.
Take me to the top...” gracchiò il mercenario, esibendo il martello di legno (che a suo dire aveva rubato ad altri fumetti) prima di beccarsi un pugno dal canadese.
“Vuoi farci scoprire, idiota?” sibilò “Ora ti accolli tu il compito di spostare Frank”
“Ma pesa!!!” piagnucolò l'altro
“Fila!” ordinò prima di rivolgersi a Mystica che aveva già riassunto le sue sembianze “Complimenti... anche se devo dire che sei un po' ripetitiva e prevedibile...” commentò l'artigliato con un sorriso divertito.
“Vero? Credo anch'io!” ringhiò una voce dall'alto della gradinata alle loro spalle che fece rizzare a entrambi i peli della nuca. Non ebbero il tempo di voltarsi ad affrontarlo che quello gli fu addosso.
“Oh, cazzo!” si lamentò Wade mollando Frank Castle in mezzo al pavimento per buttarsi nella mischia. Fece appena in tempo a sguainare le spade che una gragnola di proiettili piombò su di loro. “Fanculo, Domino! Siamo già impegnati in un'altra danza!” sbottò in risposta il mercenario.
Mentre Wade cercava di proteggersi dalla pioggia di piombo della vera Domino, apparentemente abbastanza alterata, Logan e Mystica cercavano di liberarsi della mole del loro aggressore, un uomo biondo e grosso come un lottatore di Wrestling, tutto coperto di pelle e pelliccia sui toni dorati.
“Cosa pensi di farmi, tappo?” ringhiò quello dopo aver lasciato a entrambi segni sanguinolenti e averli afferrati per il collo mentre il canadese, paonazzo in volto, si dibatteva con gli artigli sguainati. Più Logan si contorceva, più l'uomo serrava la presa. Si rivolse quindi alla donna che, in evidente difficoltà, mutava forma come uno schedario impazzito consultato da un bambino annoiato, mostrando un volto dopo l'altro senza soluzione di continuità, alla ricerca istintiva di una forma che le potesse salvare la vita “Domino!” urlò il lupoide fulvo distraendosi un attimo dalle sue prede “Fa attenzione a dove spari!” ringhiò ancora quando un paio di proiettili lo raggiunsero alla schiena. Quella, silenziosa quanto spietata, corresse il tiro, acconsentendo mutamente a quella spartizione dei compiti, concentrando sempre di più il suo fuoco sul mercenario chiacchierone che, nel frattempo, continuava a discorrere con lei del più e del meno, quasi lei non stesse cercando di ammazzarlo. “Lo sappiamo tutti che tra noi non può esserci nessun vero morto, ma questo non mi può impedire di farvi soffrire le pene dell'inferno insieme a tutti gli altri. Prima, però, voglio sapere che cazzo ci fate qui!” sibilò con la bava alla bocca come un cane rabbioso.
“Victor... lasciami andare...” lo supplicò la mutaforma tornata al suo aspetto di quando era umana: una ragazza bionda dai lineamenti delicati, la pelle di porcellana, occhioni dell'azzurro cristallino dei mari incontaminati in cui lasciarsi affogare e la chioma fluente e soffice “Ti ho portato Logan...”
“Non mi incanti, vacchetta!” ringhiò Victor per tutta risposta “Il nano sarebbe venuto qui comunque.” Non gli sfuggì lo sguardo tradito del canadese. Che si fosse davvero fidato di lei? James Howlett che si fidava di Raven Darkholme? Si era rammollito più di quanto avrebbe mai tollerato da uno come lui, da uno che considerava suo pari, lo specchio in cui riflettersi, che gli rimandava un altro sé, quello che aveva preso decisioni che l'avevano condotto su una via più retta della sua, quello a cui guardava come a un fratello per tenere il passo e migliorarsi costantemente e che, per questo, doveva stare dall'altra parte della barricata. La rabbia per quel cedimento del suo doppio lo pervase, gli fece stringere ulteriormente la presa sul collo dell'amico/nemico e le pulsazioni sotto il suo palmo schizzarono all'impazzata nell'ultimo tentativo di mantenere in vita un corpo ormai esanime, al cui cervello non arrivava più ossigeno. C'era una teoria secondo cui i lupoidi immortali come loro sarebbero morti solo se soffocati o annegati, quasi la carenza di ossigeno fosse l'unica cosa irreparabile anche per i loro superorganismi.
Era il momento giusto per scoprirlo. Un morto in più sulla coscienza, seppure di un certo peso, non gli avrebbe tolto di certo il sonno: strattonò il canadese come se fosse un sacco colmo d'acqua da svuotare delle ultime preziose gocce vitali.
“Ti prego..” piagnucolò Raven con le lacrime agli occhi “Voglio solo proteggere i miei figli!”
Ma Sabretooth si esibì in una fragorosa risata di scherno prima di avvicinarsi al volto della donna con un ghigno ferino “Davvero, Raven...?” disse, lasciandole un barlume di speranza “Davvero pensi che tu o i tuoi bastardi sarete risparmiati da questo grande progetto?”
“Beh... ci ho provato...” si giustificò quella, cambiando repentinamente espressione, facendosi di colpo seria e delusa, prima di esplodergli un colpo in pieno petto “Cretino” disse rimettendosi in piedi e svettando sul lupoide che latrava lamentoso per la ferita.
Logan era scivolato dalla sua presa ed era caduto a terra come morto ma non aveva dubbi che si sarebbe rialzato nel giro di pochi minuti. Si affiancò a Sabretooth mentre Neena e Wade continuavano a spararsi addosso: avrebbero finito i proiettili, prima o poi? Si chinò accanto al lupoide e gli puntò gelidamente la pistola sulla fronte “Di quale grande progetto parli, tesoro?”
“Crepa, vacca!” ringhiò lui, astioso.
Senza scomporsi per l'insulto si tirò in piedi e, osservandolo senza alcuna emozione, gli scaricò addosso la scorta di munizioni, sfigurandolo irrimediabilmente.
“Che diavolo fai?” strepitò Wade, più in là, attirato da quel rumore che, teoricamente, dovevano produrre solo lui e Domino.
“Abbiamo sempre Neena, che può informaci...” ghignò Mystica di rimando, mentre Wade e Domino spostavano il loro scambio di opinioni in uno dei corridoi terrazzati laterali, accomodandosi sul petto dell'uomo che aveva appena ucciso. O meglio, che avrebbe appena ucciso se si fosse trattato di una persona normale. “Anzi... ci spicciamo a darci un taglio?”
“Non credi dovresti domandarlo a me?” gridò Domino offesa, inserendosi in quello scambio di battute, sporgendosi appena dal suo nascondiglio.
Lei e Wade esplosero ancora una serie di colpi, alternativamente, finché Wade non rimase senza munizioni. Domino aveva fatto bene i suoi conti dato che ora erano tutti disarmati. Che fortuna sfacciata.
“Voltati Wade... e raggiungi la tua degna compagna...” ordinò la donna, emergendo trionfante dalla colonna che aveva usato come scudo e tenendo entrambi sotto tiro. Quello, sbuffando, alzò le mani e si avviò verso Mystica che lo guardava allibita. “E ora, in ginocchio!” impose, insistendo con la canna sul cranio del mercenario. “Niente scherzi, Mystica! Anche tu!” si corresse, spostando il tiro tra i due.
“Senti, Neena... da quando pensi di essere la migliore?” domandò offeso Wade.
“Non ti ho detto che puoi parlare...” ringhiò lei in risposta calciandogli l'incavo delle ginocchia per costringerlo a terra.
“Sai, cara la mia dalmatina... credo che tu faccia troppo affidamento sul tuo potere fortunello” replicò lui divertito mentre anche Mystica si accomodava accanto a lui e lo guardava esterrefatta: che avesse ancora proiettili? La vedeva come una cosa molto improbabile.
“Hai parlato una volta di troppo, Wade” ghignò la donna, scoprendo una fila di denti lucenti tra le mezzelune nere delle sue labbra. Quindi esplose il colpo.
Ma la pistola scattò a vuoto.
Istintivamente, Neena premette ancora e ancora il dito sul grilletto ma quello suonava irrimediabilmente nello stesso modo. Deadpool approfittò di quel momento di distrazione, estrasse le sue katane e disarmò la donna con un gesto fluido quanto rapido. “Non ti sei accorta della variazione di peso? Male, molto male... Pensa che l'agente Ward si accorge di una differenza di 30 grammi... ed è passato ad Hydra... mentre tu, forte del tuo fattore C, ti sollazzi convinta di essere in un videogioco con armi e vita infinite... Ma vedi, ti sbagli! Non siamo in un videogioco! Nossignori. Siamo in una maledettissima fan fiction che non accenna a voler finire!”
“Che cos'è il fattore C?” domandò Mystica, pentendosi all'istante della domanda idiota.
“Fattore Culo, come lo chiamiamo in Canada... Logan confermerà appena si sarà ripreso...”
Mystica levò gli occhi al cielo per la stupidità della cosa e, mentre Wade rideva della sua stessa battuta, Domino ne approfittò. Lo disarmò delle spade con un un calcio rotante che sorprese il mercenario. Non a caso era un'esperta di arti marziali.
“Stupido!” infierì la mutaforma dandogli uno scappellotto sulla nuca.
“Ahi!” protestò quello prima che un altro calcio di Neena gli facesse girare, letteralmente, la testa. “Ma che vi ho fatto?”
“Taci una volta tanto!” sibilò Mystica proteggendosi dall'assalto della mercenaria che, messo fuori combattimento Wade, aveva puntato a lei.
“Ho il collo girato innaturalmente, riesco a vedermi le chiappe!! Mi sento come un droide protocollare dorato, sigla D-3BO, in originale C-3PO, rimontato da un Wookie ubriaco e incapace dopo essere stato disassemblato da un colpo di...”
“VUOI TACERE?” urlarono le due donne in coro col fiato corto, raggiunta una posizione di stasi nel loro accapigliarsi.
“Vi distraggo, per caso? Continuate pure, non fate caso a me... ma se trovaste una pozza di fango in questa giungla umida in cui rotolarvi sarei più felice...” continuò a sproloquiare
“Quanto mi fai incazzare!” ringhiò Mystica. Chiuse gli occhi, irritata, e si lasciò scivolare a terra, strusciando con la spalla sul balcone e tirando Neena con sé. Impreparata a una mossa di quel tipo, a danno della controparte, Domino scivolò in avanti trascinata dal peso della mutaforma e picchiò la tempia sullo spigolo del corrimano. Quindi scivolò a terra svenuta.
“Già finito?” si lagnò quello mentre, a tentoni, cercava le sue armi.
La mutaforma, sospirò, esasperata, lo raggiunse e lo scavalcò. Quindi, prendendogli la testa tra le gambe, gliel'afferrò saldamente con le mani e gliela fece girare ancora, per riportargliela nella sua sede naturale. “Meglio?” lo folgorò con occhi lampeggianti.
“Se mi lasci restare così, sì...” disse alzando le mani per palparle il sedere.
Per tutta risposta lei gli assestò un calcio nei genitali con la punta dello stivale “Peccato che tu sia immortale...” replicò calma, più seccata per non avergli fatto irrimediabilmente male.
“Sei sadica!” gemette quello rotolando a terra per il dolore.
“Smettila di lagnarti e vieni a darmi una mano a legare questi tre. Vorrei aver finito prima che si risveglino”

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Rogue su una spalla, Warren appoggiato pesantemente all'altra; due paia d'ali in cui inciampare oltre a quella fastidiosa coda semovente. Seguì il solco nell'erba lasciato da chi lo aveva preceduto. L'angelo non parlava, probabilmente immerso ad analizzare quello che era stata la sua vita negli ultimi tempi e le ripercussioni che le sue azioni avevano avuto su chi gli stava attorno. Dal canto suo, Peter si permetteva di contemplare quel bizzarro paesaggio, conscio del fatto che qualcuno gli avesse spianato la strada da eventuali minacce. Ad un certo punto l'erba piegava in due direzioni diverse: una traccia, più marcata, proseguiva e costeggiava l'immensa struttura precolombiana, l'altra vi andava a sbattere contro. Decise per la via più breve e si avviò verso quello strano edificio a gradoni.
Al suo fianco, riconoscendo evidentemente il luogo, Warren tremò.
“Tutto bene?”
Quello si limitò ad annuire. “Sto ancora recuperando la memoria... ma credo potrei guidare tutti dentro a questo inferno... ho lampi e frammenti di … cose...” aggiunse quasi stesse sputando quella parola velenosa. Chissà cosa gli era successo.
“Ce ne aspettano di brutte, là dentro, vero?” domandò il fotografo mentre si risistemava il peso di Rogue sulla spalla.
“Molto brutte, temo...” rispose il biondo adombrandosi.

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Are you, are you ♪ Coming to the tree ♫ They strung up a man ♪ They say who murdered three. ♫ Strange things did happen here ♪ No stranger would it be...1 canticchiava Deadpool per darsi il ritmo mentre trascinava il peso morto dei tre suoi ex colleghi ancora svenuti e prontamente incaprettati dagli altri due mutanti, X-Men e Vendicatori come lui, che lo seguivano dappresso lungo le balconate dell'edificio a gradoni “Se a qualche lettore viene in mente di polemizzare sul fatto che, nel 2012, anno di uscita di The Avengers, Hunger Games: Il Canto della Rivolta - parte 1 non era ancora stato girato, devo ricordare loro che il libro, invece, era già uscito da un pezzo (in America, nel 2010, per la precisione, e in soluzione unica come nel resto del mondo) e in Italia il 15 maggio 2012 (fonte Wikipedia). Inoltre, l'autrice mi ricorda che il film dei Vendicatori è uscito in Aprile. Quindi, anche se pubblicato dopo, per la cronologia della fanfiction siamo comunque perfetti, qualunque sia la versione a cui volete appoggiarvi. In ogni caso mentre lei scrive, il film di Hunger Games è già uscito e io lo so: sono il solo che possa abbattere la quarta parete e ogni distanza con la realtà. Fa un po' Matrix a pensarci... E comunque voi non lo sapete se cantavo a tempo o meno. Nel libro, come nella fanfic, è solo scritto!!”
“Smettila di parlare da solo e lavora!” sbottò Logan infastidito qualche metro più indietro.
“Puoi gentilmente ricordare ai lettori perché il lavoro sporco tocca a me?”
“Perché ti è capitata la pagliuzza più corta!” lo zittì Mystica tendendo l'orecchio a suoni strascicati che percepiva poco più in là e che non erano prodotti da Deadpool.
“Oh, siete voi! Grazie al cielo!” li salutò Peter Parker comparendo dal nulla. Lasciò che Warren si appoggiasse alla balconata di mattoni, quindi depositò il corpo della ragazza per terra.
“Rogue!” Strepitò Mystica correndo verso il corpo esanime e irriconoscibile riverso a terra.
Logan le fu accanto in un lampo e, prima ancora che il senso di ragno di Parker potesse cominciare a pizzicare, agguantò il giovanotto per il costume “Cos'è successo alla ragazza?” ringhiò sfoderando gli artigli, minaccioso.
Peter non ebbe nemmeno il tempo di cominciare ad accennare delle scuse che, sotto lo sguardo esterrefatto di entrambi, assalito e assalitore, la tuta si dileguò dai pugni del canadese, sciogliendosi come foss'altro che acqua o sabbia, scorrendogli inesorabilmente tra le dita per poi riaggregarsi insieme sul petto del ragazzo dove, nemmeno per un istante, la pelle era rimasta esposta e vulnerabile. Sembrava viva e sembrava non gradire il contatto col mutante.
L'attimo seguente, come uno tsunami in pieno oceano scatenato da un terremoto in montagna a miglia di distanza, lo stesso elemento plastico della tuta eruppe come una colonna fibrosa e animata che, in un batter di ciglia, scagliò violentemente l'artigliato lontano dal corpo del giovane. L'impatto del corpo zavorrato di adamantio di Logan contro il muro di mattoni risuonò nell'aria ferma della giungla di un'eco simile a quella prodotta da un gong giapponese a capodanno.
“Scusa scusa scusa scusa” stava sproloquiando il fotoreporter mentre gli correva incontro per aiutarlo ad alzarsi.
“Che diavolo è successo?” ringhiò quello mettendosi carponi e scuotendo veementemente la testa per snebbiarsi la vista.
“Non ne ho la più pallida idea, ma, giuro, non sono stato io!” piagnucolò l'uomo ragno da dietro la maschera.
“Ci sarebbero testimoni che potrebbero affermare il contrario” sentenziò Wade.
Quello si volse verso gli altri, l'espressione sgomenta dietro la maschera.
“Sento puzza di simbionte lontano un miglio, tappo! Ma tu non sai nemmeno cosa sia...” ringhiò una voce cavernosa alle spalle del gruppetto. “E liberatemi da queste corde prima che decida di bere il vostro sangue a colazione...” Victor Creed ghignava di gusto, rabbioso e divertito, dalla sua posizione capovolta e impotente, appaiato ai suoi due colleghi e altra metà del Six Pack.
“Non sperarci, Sabretooth...” sibilò Mystica, levando appena lo sguardo da sua figlia.
“Ho picchiato abbastanza forte la testa da essere libero dal condizionamento di quello stronzo...” replicò quello cominciando a innervosirsi come ogni buon animale selvatico preso alla catena “E, dato che vorrei farla pagare a chi mi ha ridotto così, posso guidarvi dentro...”









1    Come spiega DP, è la colonna sonora di Hunger Games – Mockingjay part 1Stai tu, stai tu / venendo all'albero?/ Dove impiccarono un uomo/ dissero che ne aveva uccisi tre/ Strane cose accadono qui/ non ci sarà alcun estraneo

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Ecco finalmente sdoganato anche il discorso Simbionte. Troverete la soluzione tra qualche capitolo :3
Chiuso il discorso Six Pack e Lycos, ora ci dedicheremo a questa benedetta piramide :) aspettate e vedrete :D
PS: Victor che dà della Vacca a Mystica non è una gran novità. Negli anni novanta sembrava essere l'unico epiteto che contenesse il suo vocabolario per rivolgersi alle donne. Vacchetta quando era in buona. Un pò ripetitivo...

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Capitolo 36
*** Akkaba ***


ARG!!!
Ragazzi vi devo chiedere scusissima!!! Me ne sono appena accorta!!!
Come avrete notato ho fatto un po' di casino: al posto del 36 avevo postato il 37 (oltre a essere in super ritardo con gli aggiornamenti...oggi mi son messa di buzzo buono e a mozzichi, un pò ora un pò dopo, son riuscita a venirne a capo).
Quindi in qualche modo vi siete beccati uno spoiler -_- abbiate pazienza. L'ho detto che è un periodo un po' così.

Riposto tutto nell'ordine esatto...
E.. dai... tra un mese dovrei aver finito i lavori a casa ed essere più serena per riprendere la regolare pubblicazione...
Intanto buon Age of Ultron a tutti



36. Akkaba





Un rapido sguardo, un cenno della mano, l'espressione corrucciata.
Ororo rimase impassibile mentre Steve si prodigava in gesti assolutamente incomprensibili che, alla meglio, lei aveva visto solo di striscio in qualche sequenza di film d'azione in TV, saltando da un canale e l'altro in cerca di qualche commedia. Steve ripeté il gesto, ora apparentemente innervosito e, come Ororo, anche gli altri rimasero a fissarlo incuriositi.
L'espressione sul volto del Capitano si stava trasformando rapidamente in una maschera di rabbia: rabbia rivolta espressamente contro due del gruppo che a quel punto sbuffarono e, ridacchiando, si tirarono in piedi.
“Possiamo andare...” disse Natasha, traducendo i segnali del capitano che si stava avvicinando a passo di marcia.
“Se faccio segno di via libera, voi...” stava ringhiando Rogers che Tony già gli rispondeva a tono. “Non abbiamo fatto la naja con te, sessant'anni fa...”
“Tu, forse! Ma per loro due questo linguaggio è pane quotidiano...” replicò quello mettendosi in testa al gruppo insieme alla mutante e a T'Challa.
“Non so te...” borbottò complice il magnate all'amica stilista, fingendo di nascondersi dietro il dorso della mano “Ma io avverto una certa tensione tra quei tre... non so se mi capisci...”  Quella, per tutta risposta, ridacchiò e basta.
Prima di infilarsi lentamente nella struttura a gradoni, Strange li fece fermare, tra lo scetticismo generale, come davanti a un confine impercettibile. Incrociò davanti a sé le mani un paio di volte, borbottando qualcosa di incomprensibile, prima di cedere il passo agli altri, apparentemente stremato. Solo Illyana e Wanda lo guardavano quasi con venerazione, cercando di assorbire ogni stilla di sapere magico, impressionate dallo sforzo -invisibile e quindi inutile per la mente limitata dei più- dell'uomo.
La prima linea di guardia esterna era stata messa fuorigioco. Ora dovevano valutare eventuali guardie poste all'interno di quello strano luogo.
Se da fuori sembrava una piramide precolombiana, l'interno rivelava un cuore nero e lucido, superfici lisce e asettiche, quasi tombali. Sottili guide luminose e azzurrine guidavano diversi percorsi in quella grotta dal tetto a gradoni: la piramide sembrava cava all'interno.
Ma perché mettere delle guardie armate lungo il perimetro se non c'era nulla da proteggere?
Attesero qualche minuto e, quando furono certi di potersi muovere liberamente senza essere spiati da indiscreti occhi elettronici, si addentrarono alla spicciolata, le suole delle scarpe che toccando terra producevano un'eco cacofonica simile a un applauso. Quel posto aveva decisamente una pessima acustica e il suo valore scendeva vertiginosamente man mano che scorreva il tempo.
“Dobbiamo andare al centro...” disse T'Challa all'improvviso, la cui voce bassa e ruggente riecheggiò tutt'attorno come un'onda marina che si rifrange sugli scogli più e più volte “Da lì si irradia una potente energia...” spiegò rispondendo così alle molteplici domande che tutti avevano in mente.
“I miei strumenti non rilevano nulla..” replicò Tony
“Non sai cosa cercare... “ rispose misterioso il re “Questa è tutta tecnologia wakandiana...”
A quelle parole, Tony aguzzò la vista. E un altro tassello di quel complicato puzzle andò al suo posto. Un'altra brillante mente era stata saccheggiata delle sue idee.
“La sala centrale, come nelle tombe egizie, è la chiave di tutto...”
“Si irradia, hai detto... come fa il router?” domandò Steve, cercando di afferrare il concetto.
Quello annuì. “Sospetto ci sia qualcosa che funzioni in modo analogo. Il centro di un edificio, sia in verticale che in orizzontale, è sempre il luogo ideale per irradiare e coprire più omogeneamente una superficie maggiore. Inutile mettere il ripetitore in un angolo, dove le onde andrebbero all'esterno e quindi perse.”
Si addentrarono ancora, guardinghi, nelle viscere di quel posto fiocamente illuminato, fino a sfociare nel centro dell'edificio che, più che una stanza, appariva come un'immensa vasca delle dimensioni mastodontiche di un paio di isolati. Eppure la struttura era decisamente più piccola. T'Challa e Tony si interrogarono se, per caso, non vi fosse un dispositivo di curvatura spaziale.
La vasca era riempita da bassi palazzi chiari, alti al massimo due piani, separati da strette viuzze affollate di bancarelle sudicie da cui si  diramavano gli schiamazzi tipici dei mercati rionali. La gente che ne animava le strade era vestiti in modo insolito con tuniche, zoccoli, cappucci e alte cinture, in un incrocio tra medioevo europeo e giapponese .
Ricapitolando: erano al polo Sud, c'era vegetazione tropicale e c'erano i dinosauri non estinti, c'era una piramide precolombiana ma ipertecnologica al contempo e c'era una città nella piramide popolata di creature sbucate da qualche assurda saga fantasy.
Tony scosse la testa, per snebbiarsi la mente. Quelli, probabilmente, erano solo gli operai e le relative famiglie, che mandavano avanti quell'assurda baracca. Baracca che ora si rivelava essere un poliedro duale, una bipiramide per metà affondata nel terreno. Una vera navicella spaziale.
“Dobbiamo mirare al cuore...” disse Thor, rimasto in silenzio fino a quel momento e indicando il centro della vallata da cui si innalzava una torre che richiamava l'acropoli di Atene nella sua altezza e la Città Proibita nei suoi fasti e nella sua inaccessibilità.
Quella era sicuramente la loro destinazione.
Ed era collegata al resto della struttura tramite due ponti sottili che insistevano sugli spigoli della struttura e che la tenevano sollevata e galleggiante sul borgo caotico. Spigoli posti a livello del terreno e che dall'esterno erano sembrati la base della piramide.
Si ritirarono lungo il perimetro che costeggiava tutta la vallata di quello strano posto e si mossero cautamente per non attirare l'attenzione, rannicchiati nell'angolo meno illuminato e più lontano dagli sguardi della folla sottostante.

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Quei pochi trilli a vuoto, normale tempo di attesa in una qualunque chiamata telefonica, sembravano essere un tempo così esasperatamente lungo che avrebbe voluto, potendo, teleportarsi lì, se solo fossero riusciti a metterne a punto la tecnologia. La preoccupazione ora lo divorava come un tarlo affamato.
Avevano preso anche loro? Stark non rispondeva – o meglio la sua segretaria/amante/amministratore delegato ne aveva perso completamente le tracce –; sui mutanti non avrebbe mai potuto fare affidamento visto che, una volta intercettati da Valerie, si erano dileguati nel nulla, come sempre; Pym non rispondeva e nemmeno sua moglie; per quel che riguardava Rogers e Thor era pressoché impossibile rintracciarli per motivi abbastanza ovvi. Ma il fatto che anche Natasha e Clint fossero irreperibili l'aveva allarmato più di ogni altra cosa.
“E' tempo di distruzione!” riecheggiò il vocione di Ben al di là della cornetta, lasciando Fury esterrefatto: che razza di segreteria aveva installato anche quel gruppo di squinternati?
Stava per riattaccare quando si rese conto di essere stato catapultato nel bel mezzo di una lite familiare, dove il bestione di roccia aveva un diavolo per capello per qualcosa che doveva avergli fatto il giovane scapestrato Johnny Storm, dato che fu lui a rispondere, giulivo e irriverente, al ricevitore con la frase di rito che avevano al Baxter Building.
Al silenzio basito del chiamante, Johnny dovette chiedere un paio di volte chi ci fosse dall'altra parte prima che Fury si riscuotesse: il mondo stava andando nuovamente in pezzi e i suoi campioni o erano spariti o giocavano ignari e sereni come bambini in un asilo.
“Sono Fury... ho bisogno di parlare con...” non aveva fatto in tempo ad annunciarsi che quello, senza nemmeno coprire la cornetta, aveva chiamato a gran voce il loro capofamiglia.
In un attimo, Nick sentì il passaggio di mano del ricevitore e si immaginò l'uomo di gomma protendersi da qualche tana-laboratorio fino all'altro capo del palazzo. Perché, per menti brillanti come le loro, avere più di un apparecchio telefonico o un cordless, doveva essere, evidentemente un'inutile perdita di tempo.
“Scusa il ragazzo...” si annunciò Reed
“Johnny!” strepitò anche la voce di Sue Storm, la sorella della Torcia Umana, scatenando la fantasia e la curiosità del guercio. Chissà che diavolo aveva combinato quel giovinastro quella volta? Una ne faceva e cento ne pensava...
Come contemplando i disastri del ragazzo, Reed continuò “...Dimmi tutto. E' insolito che sia tu a chiamare. Soprattutto da quando hai ufficiosamente abbandonato lo S.H.I.E.L.D....”
“Sai nulla dei tuoi colleghi?” si riscosse Fury, tornando l'uomo imperscrutabile e tagliente di sempre.
“Pym è qua da me a gli altri li ho visti... ieri o l'altro ieri, al più tardi... quand'è che si è tenuta l'inaugurazione del Triskelion?” rispose con velata ironia. “Perché?”
“Ti invio un documento... Non farlo vedere a Sue...” disse mentre smanettava con il computer di bordo e inviava allo scienziato il breve filmato girato al largo di San Francisco. Dopo qualche minuto di paziente attesa, Reed tornò a rivolgergli tutta la sua attenzione. Il brusio alle sue spalle era sparito, segno di come l'uomo si fosse ritirato in un ambiente appartato. Gli bastò un suo respiro, appena più profondo, a fargli capire che l'aveva visionato e che aspettava solo che lui continuasse la conversazione “Oltre ad Atlantide, anche la comunità Inumana ha subito un duro colpo. Il dottor Banner è sparito dai nostri radar come anche... tutti i mutanti. Dei superumani presenti al Triskelion l'altra sera, solo voi avete risposto alla chiamata. Il prossimo e ultimo sarebbe stato T'Challa ma...”
“Il Wakanda sa essere sfuggente, quando vuole.. non sarebbe garanzia di nulla...” concluse per lui lo scienziato.
“Precisamente”
Seguì un lungo silenzio, costellato da flebili pigolii di apparecchiature elettroniche intente a svolgere le loro mansioni, durante il quale Mr. Fantastic valutò la portata della rivelazione di Fury. Il guercio poteva quasi vederlo, corrucciato, in cerca di una soluzione.
“Un paio dei miei, che tempo fa assistettero a una qualche tua lezione all'accademia...” ricominciò Fury “...hanno accennato a una teoria che avevi partorito...qualcosa riguardo una certa Zona Negativa...”
“Era solo un'idea passatami per la mente come mille altre. Non ci ho mai perso nemmeno cinque minuti del mio tempo, figurarsi elaborarne una teoria!” protestò l'altro, puntiglioso.
“Come che sia. Devi spiegarmi in cosa consiste la tua idea.”
“Non l'ho mai realizzata, non credo sarebbe nemmeno lontanamente fattibile... perché ti sei puntato su questa cosa?”
Nicholas trasse un profondo sospiro “Stark aveva avanzato l'ipotesi che qualcuno potesse aver copiato o preso in prestito le idee più interessanti degli scienziati più formidabili del pianeta. Abbiamo rinvenuto evidenze di ogni tipo. Armi di Tony, robot sentinella di Pym...”
“E' vero...” gracidò una voce dall'altra parte del telefono. Una voce flebile e acuta, come distorta da una boccata di elio. Ma era inconfondibilmente quella di Pym. Probabilmente Hank aveva seguito il suo ospite nella sua forma miniaturizzata e aveva seguito la conversazione nascosto in qualche piccolo anfratto per  rivelare solo ora la sua presenza a entrambi. “E' vero...” ripeté con voce adulta e stentorea. “Ultron... Alkema... te ne ho parlato, Reed, ricordi? Ed erano progetti che nessuno, né telepate né altro, potevano scoprire. I pochi appunti che avevo al riguardo, aborti o embrioni di idea erano nel silo miniaturizzato che ho in un angolo del laboratorio, sorvegliato dalle formiche, che si fidano solo di me...”
Nicholas continuò “E ora, col fatto che stanno sparendo tutti i superumani, salta fuori l'ipotesi della tua realtà alternativa...”
“Non si tratta di realtà alternativa ma di un vero e proprio spazio fisico ricavato dalle pieghe del tessuto quantistico” cominciò Reed piccato e offeso.
“Sì sì, quella roba là...” lo silenziò l'agente S.H.I.E.L.D. “Il punto è: se sono finiti là dentro... tu sapresti recuperarli? Riusciresti a stabilire un collegamento con qualcuno di loro?”
“Se non ho un campione da usare come marcatore per indirizzare il segnale-segugio è praticamente...” stava dicendo lo scienziato quando Pym lo interruppe.
“Janet...” alitò appena “Janet era rimasta con Tony. Se Tony non risponde...”
“Pensavo fosse con te e che entrambi foste spariti...rapiti” confessò Fury.
Il silenzio calò nuovamente tra i tre mentre i due scienziati, con ogni probabilità, si studiavano vicendevolmente e comunicavano tra loro con il solo sguardo.
“Se Janet è nella Zona Negativa insieme a Tony, abbiamo una possibilità.” cominciò Reed.
“Janet ha sempre con sé una delle porte che abbiamo creato per poter passare da un posto all'altro annullando lo spazio intermedio...” continuò Pym
“In questo caso, se passare fisicamente dovesse rivelarsi troppo pericoloso, potremmo almeno far passare un messaggio. Le onde radio non dovrebbero aver problemi...”
“Ci mettiamo subito al lavoro”
“Pensate di riuscire ad aprire un varco per far passare delle truppe?” domandò Fury, pratico.
“Temo sia molto difficile. Se fosse un mio progetto, che parte da zero, mi organizzerei in modo da creare un varco che non strappi il tessuto spazio-temporale cercando di sfruttare al massimo la sua elasticità senza comprometterla. Ma devo introdurmi nella realtà di qualcun altro. E non ho la più pallida idea di quale sia il grado di resistenza della struttura creata né quanto sia grande questo ambiente...”
“Ci avranno caricato migliaia di superumani e tu ti preoccupi per qualche manipolo di uomini?” replicò Fury.
“E' fisica, Nick. Anche la struttura più solida ha un punto debole. Ora... immagina un vetro di cristallo tutto traforato. Un'opera d'arte. Se l'artista forasse una volta di più l'intera statua crollerebbe. Come il vetro del parabrezza. Un sassolino e addio vetro anteriore. E' solo un foro eppure compromette tutta la struttura. E noi non stiamo parlando di un vetro ma di una realtà vera e propria. Potrei farla collassare su se stessa e addio missione di recupero.” Reed era evidentemente agitato e allarmato. Non aveva mai parlato a quel modo e a quella velocità. O meglio, le sue dissertazioni sulla teoria delle stringe si avvicinavano tremendamente a quel tipo di sproloqui ma, questa volta, usava esempi banali e cadeva in assurde ripetizioni di termini.
“Vedete di far passare un segnale. Se è vero che i superumani sono prigionieri, allora ci sono due considerazioni da fare. Uno. Chiunque li abbia catturati -e un così gran numero- è scaltro, intelligente e molto potente. Può trattarsi anche di una trappola sofisticata elaborata da una manciata di supercriminali. Comunque sono astuti. Due. Per quanto possano essere scaltri, i loro prigionieri sono tutti, senza eccezione alcuna, armi viventi. Se non possiamo intervenire direttamente, dobbiamo far sì che loro stessi si attivino. Coordinarli ed essere pronti ad accoglierli qualora tornassero nella nostra realtà, preparare un luogo per farli evacuare tutti quanti. Questi è il nostro compito. Forza. Mettetevi al lavoro. Trovateli!”

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Capitolo 37
*** Zona Negativa ***


A distanza di una settimana riposto il capitolo già precedentemente pubblicato in vece del 36. Abbiate pazienza. Almeno ora li avete nell'ordine giusto...






37. Zona Negativa






Il cuore della cittadella appariva non più grande di una delle tante abitazioni sulle quali si ergeva così vertiginosamente da sembrare quasi galleggiare su di esse. L'ombra proiettata dalla piattaforma che la ospitava lo manteneva in ombra e occultato rispetto al piano interrato in cui la vita brulicante si dipanava per le strette viuzze di stampo mediterraneo e che rilucevano di calde luci aranciate, in netto contrasto con i profili blu elettrico della struttura futuristica.
Uno dopo l'altro, i superumani, scivolarono in quello che poteva definirsi a ogni buon diritto un cortile, decorato da un ordinato giardino zen, che circondava la struttura di stampo nipponico come il fossato colmo di coccodrilli dei castelli medievali.
Da lì avevano una visione completa della città sottostante, incastonata miracolosamente nella piramide a gradoni che era, a sua volta, collocata, fuori dal tempo e dallo spazio in una foresta equatoriale popolata di dinosauri dislocata al polo. Nessuno si sarebbe sorpreso se, oltrepassata la soglia, si fossero trovati all'interno dell'ennesima scatola cinese coi suoi paradossi fisico-spaziali.
L'essere al di sopra di tutta quella gente dava un senso di vertigine, metaforico oltre che fisico. Il potere e l'importanza che calava come un mantello su chi osservava quel panorama, dominandolo dall'alto, avrebbero fatto sentire chiunque al pari di un Dio.
Avanzarono guardinghi, senza mai dimenticarsi di essere in territorio sconosciuto e certamente pericoloso se non anche ostile. Il gruppo si divise e i membri militarmente più esperti si diramarono istintivamente a perlustrare la struttura fino a tornare a incontrarsi.
“C'è una sola porta...” disse T'Challa che, al fianco di Rogers, aveva ispezionato il lato che restava maggiormente in ombra e quasi addossato alla parete spiovente della piramide.
Il varco, evidentemente era quello individuato dal duo Barton-Romanoff, sulla facciata esposta alle luci della città.
“L'unica è procedere all'interno...” disse Ororo drizzandosi in tutta la sua regale statura di kenyota. Quasi soggiogati da un suo potere mutante secondario che non possedeva, il gruppo le si dispose attorno, rapito dal suo cipiglio sicuro e dal suo carisma. “Dottore...” chiamò gentile rivolgendosi a Stephen Strange “... può dirci se...”
“La via è libera...” rispose subito quello che, non visto, aveva già scandagliato la zona alla ricerca di possibili trappole di natura mistica.
“Nessun sensore... né meccanismo di alcun genere” aggiunse anche Visione, non interpellato, che, invece, aveva scansionato l'edificio in completa autonomia, cercando qualcosa che solo lui, ed eventualmente Tony Stark con le sue attrezzature, avrebbe potuto rivelare.
“Allora entriamo...” disse la donna a comando del gruppo salendo i pochi gradini che la separavano dal patio; Kurt era alla sua destra, fedele compagno di mille battaglie, pronto a bamfare addosso a chiunque si fossero trovati davanti.
Ororo posò la mano d'ebano sulla maniglia laccata che incorniciava la parete scorrevole di carta di riso e la fece scorrere sul suo supporto. Dapprima aprì di uno spiraglio sottile, giusto lo spazio per buttare un'occhiata dall'altra parte. Sorpresa da quello che aveva visto, si arrischiò ad aprirla fino ad ottenere il giusto spazio per passare con tutto il corpo. Quindi scivolò dentro, silenziosa come un felino. T'Challa fu subito dietro di lei, riuscendo ad anticipare anche il buon Nightcrawler che pure la seguiva dappresso.
Quando anche l'ultimo fu passato, Thor, si richiuse con garbo la porta alle spalle.
All'interno, come previsto, l'ambiente era molto più vasto della minuscola casupola a due piani nella quale erano penetrati.
In realtà, si trovavano in una stanza che sembrava avere tutta l'aria di un ufficio dismesso. Ma dalla parete davanti a loro, quasi si trattasse di una vetrata che dava sul corridoio che collegava tutti gli uffici e che abbracciava un cortile interno, si estendeva, per le dimensioni di un campo di calcio, un gigantesco laboratorio open space diviso, probabilmente, per genere di esperimento. Ancora scombussolati per quel repentino e assurdo cambio di scena, si riversarono, ammutoliti da quella situazione, nel corridoio e da lì studiarono il nuovo ambiente. C'erano assembramenti di macchinari e capsule con conseguenti derivazioni di cavi che subito calamitarono l'attenzione degli scienziati del gruppo.
Il gruppo intero reagì con stupore e ribrezzo a quella vista non appena i loro cervelli ebbero elaborato lo scopo a cui era destinato quel luogo. L'unico che mantenne un certo contegno fu Kurt, sconvolto dal ritrovarsi davanti ai suoi incubi peggiori, il Progetto Arma Plus redivivo e più operativo che mai. Le dita strette a pugno e la mascella contratta, però, rivelavano il suo tormento interiore.
“Questa cosa non è stata certo tirata su in un giorno...” commentò Tony dopo un po'.
“Sicuramente siamo nel posto giusto...” commentò anche Pietro “Posso andare?” domandò educatamente, forse annichilito da quella vastità.
“No!” fu la lapidaria risposta che gli diede la sorella che, invece, voleva attenersi ai piani e tenersi sotto l'ala protettiva degli adulti.
In lontananza, dall'altra parte dell'ovale (di cui loro dovevano occupare l'estremità diametralmente opposta), sembrava esserci una specie di palco, una zona rialzata, probabilmente gli alloggi personali di chiunque fosse dietro a quella roba. Per il resto, gli ambienti che potevano ricordare la disposizione degli spalti degli stadi erano divisi in due zone distinte. Al piano terra correva il corridoio in cui erano riparati loro, il cui vetro rifletteva ciò che si trovava al centro del vasto ambiente, proteggendo chiunque o qualunque cosa si trovasse al di qua. Non era da escludere che ci fossero laboratori di altro tipo e che quelle stanze andassero ispezionate ad una ad una per evitare di lasciare anche solo uno di quei poveretti nelle grinfie dei delinquenti che li avevano sequestrati.
Nella fascia superiore, invece, si intravedeva nuovamente la folta vegetazione della foresta da cui erano appena penetrati, quasi si trattasse di larghe vetrate.
“Non c'è dubbio che quelli siano schermi...” stava commentando Kurt, rapito.
“Potrebbero essere anche vere finestre addossate alla parete della piramide, per quel che ne sappiamo. Immagina una finestra a doppia camera: un vetro affaccia sulla giungla, uno è quello su cui poggiamo noi e, in mezzo, al posto dell'intercapedine d'aria, un sofisticato sistema che annulli e pieghi lo spazio, permettendo l'esistenza della cittadella da cui siamo appena entrati.” ribatté Stark affascinato quanto lui.
“Dio!” sbottò Janet “Ho lasciato Hank a casa per non dover sentire assurdità di questo tipo!”
-E' possibile?- domandò Visione, incuriosito. Tutto ciò che sembrava piegare le normali leggi della fisica sembrava affascinarlo. Forse perché la sua stessa esistenza era difficilmente giustificabile secondo i normali parametri dell'umanità mediamente istruita.
“Teoricamente sì...” rispose Tony, sovrappensiero “Ora che ci penso... una cosa simile, di un mondo dentro un mondo dentro un mondo...”
“Matrioska” commentò Natasha, rispolverando il suo perfetto accento russo.
“Sì...quella roba lì... Beh... Se non sbaglio Reed avrebbe voluto lavorare a una cosa del genere ma non ne ha mai avuto il tempo. Un mondo incastrato nelle pieghe dello spazio-tempo: la Zona Negativa.”
“Che brutto nome” commentò Janet arricciando il naso.
Tony roteò gli occhi, esasperato. Fu T'Challa ad andargli incontro “E' una normale dicitura sia in matematica che in fisica. Si tratta solo di una valida e concisa definizione della realtà per come dovrebbe essere...”
“Qualcuno ricordi questa stanza, ne tenga in mente l'ubicazione...” disse Ororo ritrovando la lucidità “O meglio... chi di voi ha dei mezzi... la marchi in modo che, se le cose dovessero andare male, sapremo subito dove fuggire... Non credo sarà una passeggiata.”
“Nulla di più semplice...” rispose Strange, facendo cenno a Illyana di procedere, visto che Wanda, invece, sembrava troppo restia sull'uso del suo nuovo dono.
La bionda sguainò una spada brillante di potere magico che nessuno le aveva visto pendere dalla cinta. Chiuse gli occhi e lanciò un incantesimo che si impresse come un marchio a fuoco sulla porta a vetri che dava sul budello in cui centinaia di porte identiche aprivano un identico varco. “E' visibile solo a noi... diversamente, avremmo appena rivelato l'intrusione” spiegò.
Con un cenno della testa, Ororo fece capire che la scelta le stava bene. A quel punto, studiò la disposizione delle uscite più vicine e come raggiungere indisturbati ogni silo in cui corpi non meglio identificati giacevano in animazione sospesa dentro a strani liquidi aranciati.
Non sembravano esserci guardie ma, per precauzione, i soldati furono mandati per primi, Capitan America in testa, a coprire la coppia di agenti S.H.I.E.L.D. con il suo scudo.
Procedettero silenziosi e accorti, le armi da fuoco (e l'arco, armato di frecce stordenti) spianate, pronte a vomitare proiettili.
Prima di esporsi, avevano controllato se ci fossero sensori e solo in seguito si erano lanciati al sicuro del primo pilone che si ergeva nel terreno, un misto tra un prato naturale e una pavimentazione di linoleum che risultava straniante e perturbante.
Cap si sporse appena dal suo riparo per vedere se la via era libera: appena fossero stati nuovamente al riparo avrebbe fatto avanzare il resto del gruppo al primo stadio. E questa volta T'Challa, unico che sembrava capirne qualcosa mimica d'assalto, avrebbe guidato il resto del gruppo.
Stava studiando l'intorno quando una risata bassa e gutturale lo sorprese alle spalle, facendo sobbalzare lui quanto gli altri due agenti. Eppure avevano fatto attenzione.
“Hai visto chi abbiamo qui?” domandò l'uomo dai capelli castani, il taglio incolto e strani occhiali dalle lenti rosse calzati sul viso, comparendo sugli spalti dal lato della Vedova Nera.
“Ora sappiamo proprio che la nostra talpa è affidabile...” convenne una seconda voce il cui proprietario si palesò subito su un altro spalto poco lontano ma in posizione speculare, un ragazzo fortemente somigliante al primo ma biondo, più curato e più giovane anche se non di molto. Non li avevano attaccati e i tre agenti non avevano la più pallida idea di chi avessero davanti né di come contrastarli.
“Posso metterli K.O.?” domandò piano Clint, pronto a mollare la presa dalla sua freccia già incoccata.
Scott Summers, l'uomo con gli occhiali rossi, rispose prima che Cap avesse modo di dargli il via libera con un cenno qualunque del corpo “Azzardati e mio fratello vi friggerà le budella all'istante. Hai una sola freccia, monodose. Non ci freghi. Siamo preparati, noi...”
“Al diavolo!” sibilò Natasha aprendo il fuoco su quell'arrogante davanti a lei. Clint, capite le sue intenzioni, si concentrò sul biondo.
Prima che potessero esplodere i loro colpi, agli agenti sembrò che sul volto dei loro avversari fosse comparso un sorriso divertito per una mossa che avevano già calcolato.
I proiettili della rossa sparirono nel nulla, inghiottiti o dirottati da un fascio di luce rosso intermittente che sembrava vaporizzarli nell'istante stesso del contatto, mentre le frecce dell'arciere venivano deviate o distrutte una dopo l'altra come da invisibili frustate di vento. Nessuno dei due sembrava riuscire ad avere la meglio sul proprio avversario.
“Dietro di me!” ordinò Cap, avendo avuto una brillante idea e avendo anche calcolato che le munizioni della Vedova si sarebbero presto esaurite inutilmente come anche le frecce di Clint. Concentrato il fuoco dei due su di sé, fece in modo che lo scudo riflettesse vicendevolmente i due poteri e che i due uomini si abbattessero tra loro, risparmiando a loro la fatica.

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“Che diavolo combina il nonno?” ruggì Logan, comparso nel medesimo corridoio in cui si era riversato il resto del gruppo, facendo sobbalzare i presenti per la sorpresa. Nessuno li aveva sentiti arrivare ma, ovviamente, Domino, Castle e Creed sapevano bene, essendo stati dall'altra parte, come penetrare indisturbati nella struttura.
“Rogue!” urlò Kurt bamfando al fianco del canadese per sostenere la sorellastra.
“Grazie, sono viva anch'io!” replicò Mystica passandogli accanto stizzita.
“No, davvero... 'Ro!” sbraitò Logan contro la dea dei venti. “Cosa combina?”
“E' appena successo... non sapevo ci fossero Scott e Alex a guardia di questo posto...” si giustificò lei, presa in contropiede.
“Di questo passò attireremo troppo l'attenzione...” sibilò sguainando gli artigli.
“Ehi, tappo...” lo apostrofò il lupoide che aveva liberato a malincuore “Vuoi una mano a mettere a nanna quei due bambocci?”
Quello stirò un sorriso teso “Non ho bisogno del tuo aiuto, Creed!”
“Potete spiegarci cosa sta succedendo?” domandò Thor confuso. Il loro amico aveva avuto un'ottima intuizione, ridirezionare i colpi ricevuti e sfruttarli a suo vantaggio, eppure il gruppo mutante sembrava in fermento.
“I due poteri si equivalgono...” fece notare T'Challa.
“E si annullano tra loro...” concluse Tony che stava analizzando i parametri biometrici segnalatigli dalla sua armatura.
“E' ovvio... sono fratelli!” ringhiò Logan.
“Ah, sì?” domandò sorpreso il magnate. Cosa poteva saperne lui di genetica mutante? Era la prima volta che si interessava alla questione.
“Lo scudo terrà...” si inserì T'Challa “Il vibranio assorbe ogni vibrazione e l'annulla”
“Tutto ha un punto critico di rottura, la goccia che fa traboccare il vaso. Anche il vibranio, ci scommetto la testa” ghignò il canadese.
“Allora, tappo, vogliamo andare?” disse Creed avviandosi alla porta.
“Non mi faccio dare ordini da te, cocco!” ribatté Logan in un certo qual modo, divertito. “Io mi tengo il coglione!” precisò poi.
“Quale dei due?” volle sapere Creed.
Logan storse il naso. Il fatto che anche a Victor stessero antipatici i fratelli Summers non glielo rendeva più simpatico. Anzi, gli urtava i nervi, nemmeno detenesse l'esclusiva e loro fossero un osso conteso. “Tienti pure Havok... Almeno avrò una valida scusa per pestare Ciclope” disse, usando i nomi in codice. Con uno come Victor come partner, era già una fortuna che li conoscesse e non si avventasse alla cieca sul proprio bersaglio, seguendo solo l'istinto. Pretendere che tenesse a mente anche i nomi di battesimo era effettivamente eccessivo. Scosse la testa per rimuovere un pensiero sgradevole: lui non era poi molto meglio. Sarebbe stato la sua copia esatta se non avesse mai incontrato un gruppo da considerare come sua famiglia, che gli desse altri obiettivi e priorità che non fossero quelli di sgozzare i suoi bersagli e procurarsi un pasto caldo.








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Ragazzi, io sono mortificata, davvero. Mi piacerebbe postare ai ritmi a cui vi ho abituato ma sono in una situazione davvero fuori di testa.
Per aggiornare oggi ho fatto letteralmente i salti mortali, ancora non sono convinta, e solo questo so che mi procurerà un sacco di rogne e ritardi come ripercussioni nei lavori ma non potevo farvi attendere oltre.
:( Vi chiedo scusissima. Non è cattiveria, ma il cantiere di casa mia dev'essere seguito (e ora sto pure personalmente contribuendo, trapano alla mano, alla pulizia di alcuni dettagli). Sì, casa, ho comprato casa, va ristrutturata ma non è che gli operai possano fare tutto da soli, io devo star lì con loro per le decisioni e per i problemi che si manifestano corso durante.
Poi devo aiutare in casa (bella la vita della disoccupata) e pure mio padre al lavoro. Non parliamo dei miei due lavori 'principali'. Ripetizioni il pomeriggio, tutti i pomeriggi tutto il pomeriggio, e la mattina, nei ritagli del cantiere, procedere con i progetti di costumi vari. Mi sono rimaste solo due settimane e sono ancora in alto mare. ç_ç non so come e se ne uscirò.
Per questo vi chiedo scusissima. In realtà quello che mi ha fregato su tutti i fronti è stato il cantiere. Non pensavo sarebbe stato così impegnativo starci dietro, prendere decisioni che mi sembravano ovvie in partenza etc.


Torniamo rapidamente a noi e alla storia.
Dunque, con Scott e Havok prelati, striziamo apertamente l'occhio all'Era di Apocalisse. Non temete, ci saranno altre chicche al riguardo.
Inoltre, in questo modo, ho riproposto il classico Wolverine VS Ciclope. Che senso ha Havok VS Sabretooth? Beh...tra i due non corre buon sangue ed entrambi hanno fatto parte di X-Factor. Malanimo portami via.
Ah! ultima cosa... sì, lo scudo di Cap può effettivamente rompersi ;)
Ora scappo, torno ai miei lavori forzati.
Baci, e scusatemi ancora!
Dai...perdonatemi ;) son sempre stata puntuale :P 

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Capitolo 38
*** Versus ***


38. Versus






“Quanto hanno intenzione di tirarla per le lunghe, ancora?” sbottò Domino ormai annoiata da quanto succedeva al di là della protezione offerta da quella strana struttura che ospitava stanze tutte uguali le une alle altre.
“Potrei andare a dar loro una mano...” sibilò T'Challa che venne fermato ancora una volta da Tony, troppo spaventato che una regale maestà wakandiana a caso si potesse fare male in qualche modo durante una missione guidata da lui e che, per quello, perdesse i propri favori diplomatici con quella ricca terra africana che lo riforniva di Vibranio.
“Dom... ne hai un paio?” domandò Frank Castle a quel punto con fare pratico, armando il fucile.
Nonostante il giochetto di Mystica non sembrava esserci alcun imbarazzo tra i due: o erano abili attori o, riacquistando i sensi, avevano dimenticato quello che poteva essere intercorso tra di loro. Oppure entrambi lo volevano davvero ed erano intimamente grati di quell'accelerata in avanti.
La donna si tastò le tasche e scosse la testa “Devo averli usati tutti su Wade...”
“Io ho l'arsenale pieno, se ti interessa” rispose garrulo quello anche se non interpellato “Sapete... Matrix... basta chiedere e l'autrice può soprassedere sulla coerenza di certi dettagli...”
Castle tese la mano, silenzioso quanto letale, rifilandogli un'occhiataccia e chiedendogli di essere così gentile da condividere le sue scorte e tacere ulteriori vaneggiamenti. Deadpool, per tutta risposta, gli mollò l'intero cinturone e si apprestò a spogliarsi anche dei caricatori che portava in spalla. Il cecchino vagliò le scorte del mercenario e, quand'ebbe trovato i proiettili che cercava, ne passò uno a Domino con suprema indifferenza. O non ricordava davvero o stava cercando di non pensare a quello che aveva cercato di fare sotto il controllo di qualche dio cornuto.
D'altro canto, la donna dall'incarnato pallido e dalla voglia sull'occhio sinistro, che la facevano sembrare più simile a un panda o a un dalmata, si comportava pressoché nello stesso modo freddo e professionale.
Come rodate ballerine, i due, caricarono le loro armi con movimenti sincronizzati, di eguale rapidità e forza. Gli scatti meccanici cadenzati che risuonarono nel corridoio, precisi al millesimo di secondo, davano l'impressione di una sola arma caricata. Il gruppo originario dei vendicatori, vedendo i due tiratori in azione, non poté non fare un parallelismo con la coppia di provetti assassini che conoscevano da più tempo e che, al momento, erano bersagliati dal fuoco nemico.
In contemporanea, seguendo quell'innata coreografia, caricarono e puntarono e altrettanto rapidamente e simultaneamente esplosero i loro colpi.

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Il raggio ottico di Ciclope rimbalzava sullo scudo e colpiva Havok, esattamente come facevano le scariche al plasma di quest'ultimo.
Le divise da prelati, blu con dettagli oro, si erano ben presto lacerate ma i loro possessori non sembravano aver subito alcun danno. Era come se semplice aria fresca scivolasse sui loro fisici scolpiti.
Erano fratelli e, evidentemente, qualcosa nel loro D.N.A. riconosceva ed risultava immune al potere dell'altro.
“E' tutto inutile!” constatò Rogers.
Scott rise sguaiatamente a quelle parole, come se fino a quel momento si fosse trattenuto davanti al più vano e sciocco dei tentativi, e Rogers si domandò come potesse essere che quell'arrogante venisse considerato il suo corrispettivo nel mondo mutante, il leader da seguire in battaglia ad occhi chiusi.
Logan, visto il dossier su cui si stava documentando a suo tempo, aveva commentato serafico “In effetti, siete egualmente retorici, buonisti e pallosi...”
Dovevano aggirare il problema. Se rimbalzare i poteri tra i due non funzionava, dovevano ricorrere a stratagemmi più convenzionali.
Stava cercando furiosamente di trovare una soluzione a quel pasticcio, come riuscire a lanciare il proprio disco contro uno in modo che rimbalzasse contro l'altro cercando, però, di evitare che il loro poteri li raggiungessero, che due ruggiti cavernosi si propagarono per tutta la radura.
D'improvviso, quasi fossero sbucati dal terreno sottostante come giunchi di bambù, due lupoidi sbavanti, artigli sguainati e zanne al vento, si fiondarono sui loro attaccanti.
Così come era iniziato l'assalto dei due prelati altrettanto rapidamente si estinse, l'attenzione di entrambi dirottata sui nuovi venuti e con i quali, ciascuna parte in causa, sembrava esserci un conto in sospeso.
La potenza sprigionata dai due fratelli aumentò esponenzialmente e, al confronto, gli attacchi portati agli agenti dello S.H.I.E.L.D. sembravano essere stati un riscaldamento, un giochetto.
Ora, la furia, la violenza e la rapidità dei  raggi, che saettavano sopra le loro teste a intervalli sincopati alla ricerca dei lupoidi che si acquattavano in questa o quella nicchia sopra i piani degli uffici o sopra le colonne che eruttavano dal terreno tutt'intorno prima di aggredire i due fratelli, dimostravano quanto si fossero trattenuti fino a quel momento.
Stordito dall'energia emanata da quegli individui, Rogers cercò il resto del gruppo con lo sguardo, chiedendo supporto o indicazioni sul da farsi da quel momento in poi.
Stava per ritornare sui suoi passi che Logan atterrò malamente al suolo poco distante da loro e il tonfo pesante del suo corpo zavorrato da uno scheletro di adamantio suonò lugubre tutt'attorno.
Nemmeno il tempo di chiedergli se stesse bene che quello rotolò su un fianco e scansò il raggio rosso emesso dagli occhi del mutante, tecnicamente suo compagno di squadra. Con un colpo di reni all'indietro e un'agilità insospettata per la figura bassa e tozza del canadese, questo si riportò in posizione di attacco e scagliò un salto verso l'alto, pronto a pugnalare il suo avversario con i pugni artigliati protesi in avanti.
Poco distante da loro, Sabretooth e Havok, imitavano quel mortale balletto solo che, a differenza di Logan e Scott, tra i quali scorrevano fiumi di insulti personali legati a tradimenti, donne e inadeguatezza al comando, loro si rinfacciavano mancanze di tipo tecnico e di rispetto di protocolli, regole condivise e sottoscritte come se entrambi avessero fatto parte di una stessa squadra1.
Gli artigli dei due lupoidi sembravano sibilare nel vuoto senza mai centrare il bersaglio mentre i raggi energetici dei prelati rimbombavano assordanti come tuoni in quell'ambiente comunque limitato. Suoni che si alternarono ciclicamente finché un sibilo sottile e più acuto degli artigli dei mutanti, sfrecciò nell'aria.
Il tonfo di due corpi che cadono al suolo privi di coscienza, simile a quello prodotto da un grosso sacco di patate che viene abbandonato dal suo portatore, riecheggiò lugubre.
“Era ora...” ringhiò Logan tornando a terra con un balzo e spolverandosi la tuta con fare seccato.
“Scommetto che è stato Wade a far perdere tempo...” concordò Sabretooth “Niente morti... aspettiamo che li sedino...” baccagliò scimmiottando il canadese mentre l'altro sbuffava spazientito.
“Tutto bene?” domandò Logan rivolgendosi al Capitano e deciso a ignorare Victor.
Quello annuì appena. Quindi, dalla porta da cui si erano scapicollati loro, il resto del gruppo si riversò in quella specie di radura. Rogue era ancora svenuta ma le ali e la coda erano scomparse, segno che di lì a poco si sarebbe svegliata.
“Qual è il piano, intrepido capo?” domandò T'Challa, sarcastico, rivolgendosi alla sua ragazza.
Ororo lo squadrò accigliata, soppesando la sua battuta. Affare mutante e i mutanti decidono.
“Siamo circondati da macchinari e capsule con gente in stasi. A un rapido esame risultano essere tutti mutanti. O mutati, se preferite. Non ho Cerebro con me e non so dirlo con certezza”
“Direi che vanno liberati...” sibilò Illyana, già armata di spada e mezz'armatura.
Ororo si dimostrò concorde con un cenno della testa “Forse è meglio dividersi in gruppi... o meglio, in coppie. Più siamo, più ne liberiamo.”
“Abbiamo affrontato Scott ed Alex...” si inserì Frank, solitamente taciturno ma che, in quel tipo di situazione, rispolverava istintivamente tutte le sue conoscenze di tattiche militari. “I Cavalieri non tarderanno a raggiungerci.”
Notando lo sguardo perplesso della folla, Domino si affrettò a spiegare “Sono in quattro. Mutanti, mutati, non lo so. Una donna, tre uomini. Sono dotati di poteri terribili. Possono uccidere a distanza...”
“Come quasi tutti noi...” replicò Ororo divertita. “Forse non sanno che siete liberi dal condizionamento mentale. Potete cercare di sopraffarli con l'inganno”
“Noi siamo in tre... loro in quattro... e se la matematica non è un'opinione...” ringhiò Victor Creed alludendo a una loro rapida sconfitta per inferiorità numerica.
“Prendete nella vostra squadra anche Logan e Wade. E Mystica. Loro non muoiono, quindi possono affrontare praticamente chiunque. E sanno come lavorate.”
“Grazie 'Ro...” celiò il canadese in risposta: i lavori sporchi toccavano sempre a loro.
“Ah!” sospirò teatrale l'altro lupoide “Il Six Pack nuovamente unito!”
“Ma finiscila...” sibilò il canadese, irritato, accendendosi un sigaro. E chi se ne fregava più del polonio e di illuminarsi come una lampadina per via delle radiazioni, in quel momento.
“Io non ci sto!” replicò Wade “Io sto col gruppo principale. Voglio fare coppia con Spidey!”
“Fai come vuoi...” alitò Logan, stanco.
“Tutti gli altri si scelgano un compagno con cui lavorano bene: andiamo a liberarli...” disse cedendo la parola a Kurt che avanzò di un passo, sotto il peso della sorella, per farsi notare dalla piccola folla riunita. “Non c'è molto da dire sulla tecnologia di queste bare: tengono in animazione sospesa i loro ospiti. In caso di mancato afflusso di corrente, si spengono e gli occupanti si svegliano come da un lungo sonno... Se c'è un vetro, rompetelo e fate uscire quanto più liquido possibile finché i ragazzi non riescono a respirare autonomamente. Se c'è un collare, un bracciale, qualsiasi dispositivo esterno, distruggetelo pure: inibiscono i poteri dei mutanti per poterli trattare con tutta comodità. Non c'è molto altro da aggiungere a parte il fatto che... non so se ci sia un allarme collegato...” disse quasi volesse sciogliere l'assemblea e sbolognare la patata bollente di come procedere a qualcun altro.
“Allora dateci il tempo di capirlo...” si offrirono Tony e T'Challa dopo essersi consultati rapidamente con gli sguardi: avevano avuto la stessa idea.
Fu quindi compito di Ororo, battendo le mani tra loro, segnare il rompete le righe. Unica aggiunta fu che si sarebbero sparpagliati, pronti a intervenire non appena gli esperti di tecnologia avessero capito come liberare tutti senza attirare troppo l'attenzione.
Mentre la piccola folla si disperdeva, la donna si rivolse a Kurt “Come sta?” domandò osservando la compagna ancora priva di sensi.
“Pochi minuti e dovrebbe riaversi...” rispose il demone blu senza indugi.
Ororo annuì, pensierosa. Quindi rivolse la sua attenzione alla radura. Pensava di essere rimasta sola, invece, accanto a lei, T'Challa si ergeva massiccio e sicuro. Con la sua vista acuta, teneva sotto controllo i dintorni, dandole modo di affrontare serenamente quella conversazione. “Noi procediamo insieme agli altri... voi raggiungeteci appena potete...”
“Ororo... una cosa...” la fermò Kurt prima che lei si levasse in volo “Come facevano Scott e Alex a sapere della nostra presenza? E perché non si sono portati dietro i rinforzi?”
“Non lo so Kurt... ma dobbiamo stare in guardia. Se loro, i prelati, lo sapevano, probabilmente ci stiamo ficcando in una trappola. Ma non possiamo fare diversamente” e, così dicendo, spiccò il volo mentre la sua ombra nera la seguiva, rapida e guizzante, da terra.

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Alla fine erano rimasti loro tre.
I perni della squadra.
Il vecchio, il nuovo e l'atemporale; il misurato, lo spensierato e l'avventato.
Erano antitetici e proprio per questo motivo quella situazione poteva considerarsi così dannatamente prevedibile.
Tony sbuffò. Stare in coppia con il buon Capitano gli pesava parecchio ma forse, per una volta, sarebbero riusciti a mettere da parte le loro divergenze. Forse.
In fondo, c'era pur sempre Thor a stemperare gli animi e a distrarli.
Clint e Natasha si erano dileguati quasi all'istante.
Ovviamente.
Anche se non aveva capito come e perché si fosse rotto, risolto e ricomposto il triangolo tra la coppia di assassini e il suo partner uscito direttamente da una cartolina del secolo appena trascorso, il fatto che quei due fossero stati culo e camicia fino a quella divergenza non poteva essere cancellato così rapidamente. E questa ne era la prova. Divergenze o no, lavoravano tremendamente bene assieme.
Aveva escluso di fare coppia con T'Challa praticamente all'istante, tutto preso com'era dalla sua dolce metà e fare il terzo incomodo era l'ultima cosa che gli passava per il cervello.
Stephen era finito, in modo assurdo, demenziale, vorticoso e ineluttabile, a fare da balia ai ragazzini mutanti: dapprima gli si era affiancata Illyana, avendolo riconosciuto come Maestro spirituale. La moretta schizzata, Wanda, aveva seguito a ruota la sua strana amichetta e Pietro aveva tallonato la sorella come un cagnolino fedele, vittima di quello strano -e abbastanza equivoco- complesso nei suoi confronti che solo certi fratelli potevano sperimentare.
Che bella cosa essere figli unici! Nessuno che avesse mai fatto la spia e nessuno che lo avesse mai stalkerato, autorizzato dalla sua stessa famiglia, per giunta. Si era risparmiato pure il peggiore dei casi in cui quello stesso parassita consanguineo tradisce la tua fiducia. Motivo per cui non invidiava affatto il suo biondo compare. Lanciò un'occhiata a Thor, pensando al suo rapporto con Loki. Chissà come la viveva lui, davvero. Il fratellastro era così contorto, a tratti malvagio e imperscrutabile. E l'affetto che dominava il biondo, e che dilavava le colpe di quello che considerava parte della sua famiglia, era innegabile.
Rimaneva Janet, ma Visione l'aveva raggiunta pressoché all'istante: d'altronde era la moglie di quello che lui poteva considerare, alla lontana, il suo creatore. Era plausibile credere che volesse stabilire un contatto con la sua storia: ogni forma di vita intelligente lo faceva, guardava al proprio passato per determinare il proprio sé e orizzontarsi verso il futuro. Una I.A., una forma di vita intelligente quanto qualunque altra e meritevole del dovuto rispetto, non faceva eccezioni né c'era niente di strano in questo.
Ecco... più che con la piccola zanzara, Tony avrebbe fatto volentieri coppia con il sintezoide. Una forma di vita artificiale. Il suo sogno. E invece si trovava a fare il paio con due idioti che non sapevano nemmeno dove stesse di casa il pulsante d'accensione della TV, seppure per motivi assai diversi tra loro.
Per quel che riguardava gli altri, Warren, forse ricordando qualcosa, si era innalzato in volo ancora prima che Ororo gli avesse dato il permesso. Sembrava rapito, come incantato da qualcosa. Non sapeva dire se era stato nuovamente posseduto e Tony si trovò a pregare segretamente di non aver mai a che fare con la versione bellicosa dell'angelo di cui aveva visto solo frammenti di filmati.
I mutanti rimanenti erano rimasti indietro, uno a proteggere l'altra: li avrebbero raggiunti non appena Rogue avresse ripreso i sensi: lui di star fermo ad aspettarli non ne aveva la minima intenzione.
E poi c'erano Peter e Wade. La migliore delle accoppiate. Meglio perderli che trovarli. Entrambi.









1. In effetti è così. Alla primordiale squadra guidata da Alex, che comprendeva originariamente Polaris, l'Uomo multiplo, Forzuto e Wolfsbane, si aggiunsero personaggi come Mystica, Sabretooth, Forge e Shard (sorella di Alfiere in versione olografica).


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Rieccoci con il consueto appuntamento settimanale. I miei casini a casa non sono diminuiti affatto, anzi...
Spero, però, di essere nuovamente in grado di offrirvi la consueta continuità... ci tengo davvero.
Un abbraccio a tutti quelli che hanno sopportato e pazientato fino ad ora.
Grazie mille!

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Capitolo 39
*** Simbionti ***


39. Simbionti







Quel posto lo rendeva tremendamente nervoso. Nonostante su di loro splendesse un bellissimo sole -sicuramente artificiale anche se i sensi, tratti in inganno dagli ologrammi, volevano fargli credere diversamente-, sentiva freddo fin nelle ossa. Quelle capsule di animazione sospesa gli provocavano i brividi e il suo senso di ragno pizzicava all'impazzata, rendendogli praticamente impossibile capire se c'era una qualche minaccia che incombeva su di loro e da dove provenisse.
“Ti vedo agitato, Petey” gracidò Wade al suo fianco, passando da una teca ad un'altra.
“Qualcosa non va...” commentò l'altro.
“Sì, il tuo look si è fatto particolarmente funereo... ti preferivo con una tutina in technicolor”
Peter roteò gli occhi nascosti dalla maschera ma doveva ammettere che, per quanto sobrio, quel nuovo costume -non voluto- non entusiasmava nemmeno lui. “Mi riferivo al fatto che non sia arrivato nessun altro a fermarci...”
“Beh... non abbiamo fatto saltare altri allarmi... che ne dici di cominciare a rompere un po' di questi gingillini dall'aria supercostosa.”
“Non dovremmo avere un criterio? E aspettare che i geni dell'informatica ci diano il via libera?” replicò il giovane che avrebbe volentieri cominciato a liberare tutti indiscriminatamente. Ma se nel farlo avessero compromesso in qualche modo i bioritmi delle persone intrappolate?
“Ehi!” sbottò il mercenario a un certo punto. “Guarda questa... che sventola!”
“Non è un catalogo per trovarti moglie, Wade...” replicò l'Uomo Ragno.
“Mi dà l'idea del tipino peperino... con quei capelli rossi e ricci...” commentò l'altro mentre leggeva le specifiche della ragazza “Theresa Rourke, alias Siryn, mutante, affiliata agli X-men, origine irlandese, figlia di Sean Cassidy, nipote di... uuuuh questa è bella... Black Tom Cassidy. Potere...vediamo un po'.... volo e urlo sonico persuasivo con relativa forza d'urto associata. Fantastica. Una che, quando ci litighi, ti riduce a polpette solo urlando, senza lanciare piatti. E sei anche contento che lo faccia. E' il mio tipo!”
Peter scosse la testa e si guardò ancora attorno, cercando di memorizzare quanti più volti e nomi possibile, in caso fosse servito svegliare qualcuno prima di altri. Mentre Wade sproloquiava sulla bella irlandese dal nome in codice che rievocava uno delle più potenti creature della mitologia mediterranea, il mostro che stregava i naviganti con la sua voce fino a farli uccidere, notò che la sua tuta sembrava più viva di quanto avesse dimostrato fino a quel momento. La sentiva muoversi sulla sua pelle, a tratti quasi sollevarsi, lasciando al suo posto una piccola intercapedine d'aria.
Nemmeno il tempo di rendersene conto e si stava muovendo. Solo che non era lui a far muovere le proprie gambe. “Wade...” balbettò spaventato. La tuta, come un esoscheletro, aveva preso il controllo del suo corpo e si stava dirigendo solo lei sapeva dove. L'unica facoltà rimasta al fotoreporter era quella della parola. Per chiedere aiuto. “WADE! Smettila di trastullarti con una che non te la darà mai! Dammi una mano!!”
“A far cosa?”
“La tuta sta facendo quello che vuole lei...”
“Figo!!! Come in The Host!”
“Aiutami, idiota!”
“E che cosa vuoi che faccia? Che mi metta a spingerti in senso contrario? Devo legarti e incaprettarti? Sai che la cosa mi piacerebbe...”
“Smettila di dire cretinate!”
“Io propongo di aspettare e vedere dove va. E di elaborare contromisure solo allora”
“Andata...” alitò l'altro, angosciato da quella situazione.
Wade trotterellò alle spalle di Peter per circa cinque minuti nei quali la tuta li guidò tra quegli inquietanti sarcofagi, facendo loro scavalcare strane barricate, fino a condurli nuovamente all'interno del circolo di stanze dal quale erano penetrati inizialmente e, quindi, davanti a una serie di quattro teche che contenevano nove corpi addormentati come tutti gli altri. Fuori dalla porta, la targhetta SIMBIONTI identificava l'esperimento. Non ci fu bisogno di spiegazioni: su otto corpi uno strano fluido, viscido e oleoso, ma al contempo aeriforme e compatto, aleggiava, si aggrappava e tornava a scostarsi dal corpo ospite come cercassero di adattarsi alla nuova situazione, di trovare la giusta posizione prima del sonno. Ibridazione fu la parola che venne in mente al ragazzo. E quei così di certo non erano terrestri.
Il nono corpo era l'unico, stranamente, inerte. Al di sopra delle teche, in cui ferveva la strana attività aliena, stavano altrettanti contenitori cilindrici vuoti.
La tuta nera di Peter cominciò a mostrare segni di insofferenza e cominciò ad agitarsi come i fluidi all'interno delle teche: cercò di protendersi; si animò tutta, come ribollendo di nervosismo e irrequietudine; quindi cercò di estendere una sorta di tentacolo gelatinoso nel tentativo di raggiungere ora i suoi simili ora il corpo ospite in sua attesa. Quella lingua viscida guizzava stordita e confusa tra i suoi obiettivi e, in qualche modo, rimandò a Peter l'immagine di un cane che rivede i padroni dopo una seppur breve separazione, eccitato e indeciso su chi riversare le proprie attenzioni.
“Direi che vuole liberare i suoi amici...tu che dici?” domandò Wade andando a consultare il display a lato delle teche. “Uhm...simpatici...si tratta di amorfi parassiti extraterrestri. Avevamo dubbi che in questa fic non sarebbero comparsi gli alieni? No, davvero? Chi è il deficiente che ne dubitava? D'altronde abbiamo già Thor... Ma dicevamo... questi cosi incrementano i poteri di base dei corpi riceventi, donano velocità, resistenza e forza. Sono anche autorigeneranti. Che culo! Ad ogni modo il tuo dovrebbe chiamarsi Venom... Magari se lo chiami per nome e lo culli si tranquillizza... Gli altri sono Carnage, Toxin, Scream, Hybrid, Lasher, Phage, Agony, Riot...tutti nomi molto graziosi, non trovi?1
“Non capisco cosa dovrei fare...”
“Sai? Per una volta tanto mi vien da pensare che, se sono rinchiusi là dentro, un motivo c'è. E, forse, andrebbero lasciati dove stanno...”
“COSA HAI DETTO?” stridette una voce che non apparteneva a Peter ma che le assomigliava molto e che proveniva dal volto deformato dello stesso. La maschera, originariamente priva di tagli, si era aperta in uno squarcio sfilacciato e raccapricciante che percorreva la testa del ragazzo da un orecchio all'altro in una sorta di ghigno malefico.
“Petey, se fai così mi spaventi...” flirtò Wade, non afferrando la vera natura del suo interlocutore.
“Non sono io, cretino!” replicò quello prima che la voce aliena tornasse a soffocare quella del ragazzo “Aiutami a liberarli!” gracchiò subito la seconda voce, supplichevole.
“Di'...soffri di schizofrenia anche tu? E' così bello sapere che siamo più simili di quanto sembri a prima vista”
“SMETTILA DI DIRE IDIOZIE!” ordinò il simbionte affondando le mani nel collo del mercenario e cominciando a stringere. “Lascialo andare!” ordinò a sua volta Peter, cercando di contrastare il controllo che il simbionte esercitava sul suo corpo: le dita si staccarono e subito si strinsero a pugno. “Collaborerò...” disse ancora il ragazzo “Ma lascialo stare...”
Raggiunta una specie di accordo, il simbionte liberò definitivamente il mercenario.
Wade rotolò via, lontano dai tentacoli viscidi della creatura. Alzando lo sguardo su quello che lui considerava un amico, lesse la disperazione che può provare solo chi vede il proprio corpo usato contro la propria volontà. Fino a quel momento il simbionte, Venom, aveva collaborato con l'Uomo Ragno, ciò poteva non perdurare in eterno. Aveva avuto ragione lui nella sua precedente uscita di spirito. Doveva liberarlo. Ma come? Quella cosa era viva, scostante e sfuggente. E dove l'avrebbe o li avrebbe ficcati una volta estirpati dai corpi? In un lampo di intuizione, si ricordò cosa aveva letto nella scheda tecnica. E di quale potesse essere la possibile soluzione ai loro problemi.
Uscì di corsa dalla stanza, quasi scappando a rotta di collo: Peter avrebbe capito. O almeno così sperava.
“Bell'amico che ti ritrovi...” commentò la voce strisciante del simbionte, rivolgendosi al suo ospite. Quindi, insieme, diedero le spalle all'ingresso.
Peter masticava un po' di informatica e di elettronica e questo il simbionte probabilmente lo sapeva visto che lo condusse direttamente al pannello di controllo: voleva che hackerasse il sistema.
Se non fosse stato più che attento, non solo sarebbe stata rilevata la loro intrusione virtuale ma anche quella fisica, sarebbe scattato l'allarme e, a quel punto, sarebbero stati tutti nel mirino di quei pazzi che erano riusciti a fare tutto quello.
Perché su una cosa non c'erano dubbi: chi era riuscito ad allestire tutto quello senza che nessuno notasse niente o si preoccupasse aveva i mezzi, le capacità e la volontà di fermare un gruppetto come il loro. Dopo tutto, compreso il Six Pack, erano solo una ventina di sparuti superumani mentre in quel posto sembravano essere raccolti tutti i restanti dotati dell'intero pianeta. E nessuno poteva dar loro la certezza che fossero, ancora e soltanto, in uno stato di animazione sospesa. Per quel che ne sapevano loro, potevano aver già subito un eventuale lavaggio del cervello ed essere pronti ad aggredire in massa il mondo per dominarlo, come specie evoluta e superiore.
-Nessuno tocchi le teche!- Nightcrawler, il mutante demoniaco blu, urlò all'improvviso nell'auricolare con tono feroce.
Peter stava ancora cercando il prompt per aggirare il sistema e si fermò in attesa di spiegazioni quando una sirena risuonò nell'aria lamentosa come un bambino furioso. “Cosa hai fatto???” sibilò la voce del simbionte, rabbiosa e terrorizzata, mentre il fluido vischioso si animava agitato, gonfiando a dismisura le proporzioni del suo corpo. “Non sono stato io!” riuscì a protestare debolmente il ragazzo mentre il suo corpo abbandonava stizzito la postazione e si avventava contro i vetri temperati delle capsule.

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“Era ora...” alitò sollevato Kurt quando Rogue, finalmente, riaprì gli occhi e si guardò attorno, confusa.
“Dove sono?” domandò quella tirandosi a sedere e prendendosi la testa tra le mani “Dio che mal di testa...”
“Hai messo fuori combattimento sia Angelo Nero che Sauron... non mi meraviglia...” commentò l'elfo scostandole una ciocca di capelli bianchi che le erano ricaduti sugli occhi che stavano perdendo il bagliore innaturale del Cajun. Un segno di speranza: forse Gambit, non era morto, dopo tutto. Forse era stato recuperato da chiunque fosse dietro a tutto quel progetto e, se si fosse trattato effettivamente di Essex, non potevano dire se l'avrebbero trovato al suo fianco, come un cavaliere Sith al fianco dell'imperatore o come vittima, in una teca insieme a tutti gli altri. Il paragone con Guerre Stellari gli piacque a prescindere, se non altro per il lieto fine che vedeva Darth Fener tornare a essere un Jedi. In punto di morte. Quella parte gli piaceva di meno e scacciò il pensiero. “Siamo penetrati in una fortezza all'interno di una piramide.”
“Nella Terra Selvaggia? O ci siamo spostati ancora?”
“Terra Selvaggia. Non chiedere, non so. Sono tante realtà una dentro l'altra. Apri una porta e sei nella jungla, ne apri un'altra e sei in un mercato di Bangkok...”
“Gli altri?” domandò ancora la donna notando come fossero rimasti solo loro due.
“Avanti. Cercano di capire come liberare tutti dalle loro capsule. Abbiamo trovato il luogo di raccolta. Il vero problema è che non sappiamo come reagiranno al risveglio. Con noi o contro di noi?”
“Perché dovrebbero aggredirci? Sono qui contro la loro volontà...” commentò, pensando al sollievo provato quando loro erano stati liberati dalle gabbie di Arma Plus, mentre si tirava lentamente in piedi e osservava i propri vestiti laceri. Sbuffò. Pazienza: ormai era abituata a perdere guardaroba interi in scontri inaspettati.
“Non è detto.” rispose Kurt “Siamo stati aggrediti da Scott e suo fratello Alex”
“Cosa?” sbiancò quella, riportando immediatamente l'attenzione al fratellastro.
“Sembravano posseduti...”
“Qualche idea di dove possa essere lui?”
Detto con quel ringhio, Nightcrawler non ebbe dubbi che si stesse riferendo a Sinistro e non a Gambit. Conosceva la rabbia che le leggeva negli occhi e non era nulla rispetto a quella cocente, mista a frustrazione e delusione, che l'aveva portata a fuggire a Muir solo pochi mesi prima. Quella che le guizzava sottopelle era rabbia distruttiva pura. Ed era inutile tacerle quei miseri brandelli di informazioni. “Crediamo si trovi dall'altra parte di questa stanza ma... Rogue!” urlò, nel vano tentativo di fermarla, vedendo come si fosse messa subito a levitare in attesa di orizzontarsi e partire all'attacco. Impulsiva come sempre, non gli aveva dato il tempo di spiegarsi e quello si configurava come un vero e proprio suicidio: era ancora debole ma la conosceva e sapeva che non si sarebbe mai fermata. Sarebbe stato compito suo impedire che si facesse male inutilmente.
Nemmeno il tempo di urlare il suo nome, quella partì come un proiettile verso l'estremità opposta di quella strana struttura ovoidale.
Doveva bamfarle addosso e farsi trasportare con lei nella baraonda che ne sarebbe seguita. Starle dietro a quella velocità, da terra, sarebbe stato impossibile.
Il problema sarebbe stato calcolare esattamente dove materializzarsi per evitare di precipitare nel nulla o di trovarsi fusi l'uno con l'altra. Era appena partita e la cosa era ancora fattibile con minimo rischio. Pregando che tutto andasse per il verso giusto, strizzò gli occhi e si smaterializzò in una nuvola di fumo e zolfo.
Un attimo dopo, come preventivato, si trovò a precipitare sulle teche e, se non avessero attirato l'attenzione in altro modo, distruggerle piombando dall'alto sarebbe stato sicuramente un modo creativo per farlo.
“Non devi seguirmi per forza...”lo rimbrottò la sorellastra indispettita ma che, accortasi delle sue intenzioni ed eseguendo un loop perfetto, era andata a recuperarlo come aveva già fatto diverse volte.
“Essex non ha fatto male solo a te, ricordalo...” replicò Kurt, in parte stanco che la donna si pensasse al centro dell'attenzione dello scienziato -anche loro avevano sofferto e non erano meno speciali di lei-, in parte geloso e un po' spaventato dalla sindrome di Stoccolma che la sorella stava sviluppando nei confronti di quell'uomo.
Perché, in fondo, scegliere come oggetto del proprio amore un uomo ambiguo e pericoloso come Gambit era già di per sé una scelta discutibile.
Che quello, poi, fosse il figlio (o meglio... il clone buono) dell'uomo che era stato dietro agli esperimenti e alle torture che avevano subito, complice o meno che fosse delle sue follie, per quanto Rogue lo giustificasse sempre avendo un accesso privilegiato ai suoi ricordi (che potevano pure essere impiantati), restava una dinamica allarmante.
E lui si sentiva in dovere di tutelare la fragilità nascosta di quella donna apparentemente così forte.









1    In ordine, il significato di ciascun simbionte menzionato è: Veleno, Carneficina, Tossina, Urlo, Ibrido, Frustata, Batteriofago (virus che uccide -o meglio, mangia- i batteri), Agonia, Rivolta.


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Ciao, ragazzi. Qui i problemi perdurano e davvero... non c'ho testa per star dietro a tutto.
Prossima settimana, poi, parto pure per l'Etna Comics... e con i voli low cost sarò costretta a mollare a casa il pc. Quindi niente aggiornamento. Scusate!!!

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Capitolo 40
*** Umani, Superumani, Inumani ***


40.  Umani, Superumani, Inumani







Si aggiravano circospetti in quella landa desolata punteggiata da bare trasparenti, scrutando i volti immersi nel sinistro liquido aranciato al di là del vetro, nella speranza di scorgere qualcuno di loro conoscenza.
Giovani e meno giovani, uomini e donne. Non sembrava esserci uno schema fisso nei raggruppamenti. Solo ogni tanto si erano imbattuti in gruppi eterogenei, per aspetto e poteri, di individui classificati con una I al posto di una M ma, in ogni caso, alcuni sembravano semplici umani, altri creature uscite dalle pagine di un libro di fiabe.
Avendo individuato qualcuno con una S nella sua scheda, Strange aveva suggerito ai ragazzi al suo seguito che quest'ultima fosse l'iniziale di un gruppo difficilmente suddivisibile in categorie, quello dei Superumani, composto da esseri umani vittime di incidenti di laboratorio o potenziati artificialmente, in modi diversi tra loro. A quel punto la M diventava automaticamente l'emblema dei Mutanti.
“E la I?” aveva domandato Illyana
“Credo stia per Inumani...” aveva risposto l'ex chirurgo.
“Inumani?” aveva domandato Wanda, confusa.
“Da quello che so, dovrebbe trattarsi di una sorta di ingegnerizzazione genetica della razza umana ad opera degli alieni Kree, dalla galassia di Andromeda” aveva risposto vago il dottore.
“E quindi? Cosa cambia da tutti gli altri?” l'aveva incalzato Pietro
“Il D.N.A. In un caso è stato ingegnerizzato dagli esseri umani, in un altro è una mutazione naturale mentre quello degli Inumani è stato ingegnerizzato, sì, ma da mani aliene. Una cosa certa, infatti, è che i poteri e le mutazioni degli Inumani non sono geneticamente trasmissibili alle generazioni successive mentre le prime due danno una certa ereditarietà. Pensate a Nightcrawler e ai suoi genitori: con i Mutanti e con i Superumani si può avere un certo grado di prevedibilità statistica mentre gli Inumani il fenomeno è totalmente randomico. Ecco perché rappresentano un interessante soggetto di studio”
Umani, Superumani, Inumani.
Mutanti e mutati a diversi stadi, gli eredi o l'evoluzione gli uni degli altri.
“E un mutante con un'inumana?” domandò Pietro, appoggiando involontariamente una mano sul vetro di una bara al di là della quale una giovane donna dai lunghi capelli biondi giaceva immobile nel suo sonno farmacologicamente indotto, rapito dalla sua bellezza. La targhetta di riconoscimento la identificava come Crystal e la identificava come posseditrice di pirocinesi, idrocinesi, geocinesi e aerocinesi, oltre ad altre abilità non specificamente menzionate.
Pietro digitò distrattamente sul dispositivo, per scoprire qualcosa di più su quella che era, a
tutti gli effetti, una creatura aliena, distante da lui eoni genetici. Eppure era così fisicamente simile a qualunque altro essere umano... Ne era affascinato.
Forse perché era l'unica giovane Inumana, l'unica giovane aliena, bloccata in quel posto. Gli altri erano adulti fatti e finiti, alcuni con un aspetto massiccio e spaventoso, altri avevano l'aspetto di mostruose chimere, raccapriccianti ibridi umano-animale. Uno, addirittura, aveva uno strano dispositivo dall'aspetto osceno che gli ricordava tremendamente volgari attrezzature per giochi erotici al limite della perversione, che lo immobilizzavano e gli impedivano l'articolazione di qualunque tipo di suono.
“Credo che il D.N.A. Kree risulterebbe dominante...” stava valutando il dottore “Quindi il potere non sarebbe la somma di quello dei genitori”
Pietro accedette al file che illustrava l'albero genealogico della donna e vide che gli esseri accanto a lei facevano parte della sua famiglia. Passò, quindi, a quello che sembrava essere il capofamiglia, quello immobilizzato da orribili cinghie, Blackagart.
L'attesa del caricamento della pagina era, per i suoi sensi ipervelocizzati, una vera agonia. Quando riuscì ad aprire la pagina, il lamento della sirena si alzò tutt'attorno quasi volesse avvertire dell'intrusione subita, lasciando lui, il dottore e le loro accompagnatrici, attoniti.
Possibile che fosse stata colpa sua? La banale consultazione di un file elettronico?

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Sorvolato ch'ebbero quel mare di teche, ora disposte in gruppi, ora allineate in righe compatte, quasi impattarono contro la tribuna che era la loro meta.
Sembrava una sorta di laboratorio sopraelevato open space da cui si dominava tutta la situazione nello sterminato cimitero tecnologico alle loro spalle.
Come mai non era intervenuto nessun altro oltre Scott e Alex? Possibile che davvero non nessuno si fossero accorto di nulla? Che tutti quelli che lavoravano in quel posto avessero tagliato la corda per tempo anche quella volta? Che si trattasse di una trappola?
Era una storia che avevano già vissuto.
La rabbia combattiva di Rogue sembrò scemare rapidamente alla vista dell'ambiente vuoto: se il motivo di tanto odio non era presente, che senso aveva far perdurare quel sentimento che non faceva altro che farle ribollire inutilmente il sangue nelle vene? Rodersi il fegato se non poteva massacrare il responsabile di quello schifo?
“Ci è sfuggito anche 'sta volta?” domandò retorica avvicinandosi a uno dei tavoli che facevano bella mostra di sé al centro dell'ambiente e sfogliandone distrattamente le carte abbandonate sul pianale.
Kurt non sapeva se essere contento di quella situazione o meno. Avrebbero controllato di essere effettivamente soli e poi avrebbe comunicato il via libera a Rogers.
Anche se...
Un orrendo pensiero gli attraversò velocemente la mente. In quel posto, secondo le loro stime, dovevano essere radunati tutti i Mutanti e i Mutati del pianeta...alla cui conta mancavano solo loro.
E se non fosse stato un progetto di Essex? L'avevano dato per scontato. Ma se, chiunque fosse stato dietro a tutto quello, non avesse aspettato altro che gli ultimi superumani, sfuggiti alla cattura silenziosa, si consegnassero di loro sponte?
Sbarrò gli occhi al pensiero. E se  non avessero aspettato altro che un gruppo di stolidi paladini, gli ultimi rimasti sulla terra, intervenissero per salvare i loro simili e si intrufolassero volontariamente all'interno di una realtà dimensionale in cui l'esplosione di una testata atomica non avrebbe comportato alcuna ripercussione nel mondo reale? Se avessero già caricato l'arma che avrebbe sterminato i superumani per mano dei loro simili?
“Nessuno tocchi le teche!” sbraitò furioso nell'auricolare prima che chiunque altro pensasse di aver via libera. Kurt fece appena in tempo a lanciare il comunicato che il silenzio di quell'ambiente venne squarciato dall'urlo assordante di una sirena.
“E così siete arrivati fin qui...” sibilò, divertita, una voce che ben conoscevano. Non sembrava sorpresa dalla loro presenza né dal raglio isterico dell'allarme.
A entrambi i mutanti si accapponò la pelle per il ribrezzo e l'orrore mentre Essex scivolava fuori dall'ombra e si palesava loro con quello strano sorrisino che lo contraddistingueva, a metà tra il divertito e l'ubriaco. Notando lo sguardo allarmato e al contempo sollevato dei due mutanti, stirò il migliore dei suoi ghigni compiaciuti e agghiaccianti. “Non è colpa vostra...” disse schioccando le dita in aria e subito il sibilo si spense e lui continuò “...ma sì, vi stavo aspettando.” Vista la reazione di Rogue, fattasi immediatamente scura in volto, sembrava stesse per aggiungere qualcosa ma la mutante non gliene diede il tempo. Si limitò a un sorrisetto condiscendente mentre lei scattava in avanti, i pugni serrati, pronta a colpire, finalmente, il mostro che da troppo tempo popolava i suoi incubi.
Kurt osservò la scena col cuore in gola, in parte sperando che la donna riuscisse finalmente a compiere la sua vendetta, in parte desiderando che la sorella non si trasformasse in un'omicida.
Il suo sogno controverso fu stroncato praticamente sul nascere.
Era più che prevedibile.
Essex non si sarebbe mai esposto a quel modo se non fosse stato più che certo di essere al sicuro. E, a pensarci in quel momento, nemmeno la sua misteriosa apparizione dal nulla era poi così strana: doveva aver avuto un dispositivo schermante che lo aveva reso invisibile fino al momento in cui non avesse voluto palesarsi. In pratica erano caduti in una trappola tra le più elementari.
Rogue impattò violentemente contro la sagoma confusa e inaspettata di un uomo, comparso all'improvviso a far da scudo al genetista. Una figura che, Kurt l'avvertì da distante, traboccava odio e rabbia da ogni poro.
“In particolare, aspettavo proprio te, Annamarie...” continuò Essex con un sorriso divertito come niente fosse, aggirando la sua guardia del corpo come se non fosse altro che una statua piazzata nel punto sbagliato del giardino “Ho preparato questa sorpresa appositamente, specificamente per te. Ci tenevo tanto a incontrarti, credo tu lo sappia... Ma Remy era così...come dire... geloso.” disse mentre gesticolava teatralmente “Ti voleva tutta per sé. Ma io non mordo mica...” disse sfoggiando un sorriso smagliante e denti aguzzi nemmeno fosse stato un vampiro. Anche la sua giovinezza risultava sospetta. Che si facesse davvero il bagno nel sangue di vergini sacrificate alla sua sete di vanità? Vedendolo, ai due fratellastri era sembrato che non fosse passato un solo giorno da quello della loro liberazione: aveva lo stesso identico aspetto d'allora.
L'uomo, che si era parato in difesa del genetista e che aveva scaraventato Rogue giù dal laboratorio a cielo aperto, aveva qualcosa di familiare ma, di primo acchito, Kurt non riuscì a capire chi gli ricordasse. Lunghi capelli bianchi e pelle nera come l'ebano: dai colori poteva sembrare un anziano afroamericano ma i lineamenti (il naso adunco, gli zigomi alti e scolpiti, le labbra sottili) erano caucasici. E non c'era alcun segno di decadimento fisico. Quanto agli occhi... avevano un'innaturale bagliore rossastro. Era troppo strano e insolito.
Al mondo non erano molte le persone a possedere una caratteristica simile anche se... possibile che si trattasse di Gambit? Se sì, cosa gli era successo per essere arrivato a un risultato simile?
Inebetito, lo osservò allontanarsi e dovette ammettere che, visto di spalle, colore dei capelli a parte, il corpo snello e asciutto così come la camminata erano i suoi. E sembrava fermamente intenzionato a uccidere Rogue.
“Oh sì...” ghignò Essex alle sue spalle, intuendo, o leggendo nella sua mente, l'angoscia del demone per quell'assurda situazione. “I nostri novelli Romeo e Giulietta... non ti sembra carino?”
Kurt reagì d'istinto. Per quanto avesse giurato a Dio che avrebbe cercato di restare sulla retta via, quelle parole, le conseguenze che prospettavano, la spregiudicatezza che sottintendevano e che ne erano alla base, gli diedero alla testa. Bamfò sul genetista intenzionato a ucciderlo con le proprie mani. Ma Essex -l'aveva dimenticato, accecato com'era dalla rabbia- le pensava sempre tutte. Un campo elettromagnetico che lo sbalzò lontano al contatto si era alzato a protezione prima ancora che lui si smaterializzasse per aggredirlo.
Essex stirò un sorriso di divertimento perverso e l'osservò rimettersi in piedi, fumante, prima di avviarsi a indicargli, orgoglioso, una teca speciale: un sarcofago del quale era impossibile determinare il contenuto. Sulle pareti del freddo metallo grigio campeggiavano due lettere rosse come il sangue.
Una X e una M.
Sopra l'inamovibile baldacchino, un display, sul quale scorrevano i valori di due soggetti distinti, indicava che l'esperimento aveva il nome di Onslaught. Essex, con fare magnanimo, fece cenno a Kurt di riavvicinarsi: lo invitava a indagare. Riluttante, mentre la sorella affrontava la sua lotta personale, si avvicinò a quell'armadio dal design futuristico. Cercando di tenere Essex sempre davanti a sé, come temendo di poter essere aggredito alle spalle, studiò il marchingegno. Ma non poté impedirsi di abbassare la guardia, per la paura, lo sconforto e la disperazione, quando lesse i nomi coinvolti in quell'operazione.
Essex era protetto da nient'altro che dalla fusione dei poteri delle menti più pericolose del pianeta: Charles Xavier ed Erik Lansher; il professor X e Magneto.
X e M.
Ecco cosa indicavano quelle lettere poste così sfacciate sulla paratia esterna di quella che ora si rivelava essere, in tutto il suo orrore, una tomba claustrofobica e sigillata.

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Dopo aver duramente impattato col suolo, capito all'istante che quello strano e losco figuro ce l'aveva con lei, Rogue scappò all'assalto spiccando un salto: inutile coinvolgere suo fratello. Il piccolo demone blu se la sarebbe cavata nonostante lei non desiderasse altro che tornare tra le sue braccia sicure e affrontare l'uomo che tanto odiava. Volare di nuovo al punto di partenza, però, non avrebbe risolto nulla. La guardia del corpo di Essex sembrava essere un mastino e se lo sarebbe trascinato dietro inutilmente: la seguiva come un'ombra e riusciva ad anticipare tutte le sue mosse, nemmeno la conoscesse come le sue tasche. Per prima cosa doveva liberarsi di lui.
Con piccoli salti si portava a distanza di sicurezza, cercando di smarcarsi da quell'inquietante individuo dall'aspetto stranamente familiare ma che non era ancora riuscita a osservare attentamente, concentrata com'era a scappargli e convinta di riuscire a sbarazzarsene in fretta. Quello, però,  si era rivelato uno dei peggiori ossi duri mai incontrati. E ancora non aveva rivelato il suo potere: si limitava ad anticiparla, come uno specchio, quasi godesse nel vederla affannarsi a cercare un'inesistente via di fuga.
Aveva provato, quindi, più volte, ad attaccarlo e ne era uscita sempre gambe all'aria, ammaccata e frustrata. Non le era mai capitato nulla del genere.
Alzò lo sguardo per studiarlo e capirne le intenzioni. La posizione in cui tratteneva il fisico, i lineamenti... Tutto le rimandava dolorosamente l'idea che a fronteggiarla ci fosse Gambit. Ma era un'idea impossibile. O l'aveva ucciso o lui era scappato approfittando del disastro al Triskelion. E il pensiero di essere stata presa così abilmente in giro le rodeva fin nelle viscere. Era arrabbiata, furiosa con se stessa e contro quel damerino finto francese. Di cui conservava ancora gli occhi roventi come braci.
Accecata dal ricordo, attaccò ancora, quasi avesse davanti proprio l'uomo responsabile delle sue sofferenze e una volta ancora finì lunga distesa dopo essersi scartavetrata la pelle sulla pavimentazione ruvida.
“Inutile che insisti tanto, Chère...” gorgogliò la voce cavernosa dell'uomo, così simile e così distante da quella che la rossa conosceva.
Inevitabilmente quanto involontariamente, un tuffo al cuore le scosse le viscere.
Quello era Remy LeBeau. Il suo Gambit.
Il clone e il figlio di Nathaniel Essex, il folle genetista.
E ora appariva... non solo diverso... proprio stravolto.
Come un schiaffo, le tornarono in mente le parole di Sauron: i ricordi di Karl non erano i vaneggiamenti di un folle.
Sentì gli occhi inumidirsi: non aveva creduto -non aveva voluto farlo- a quello che la mente del mutante preistorico le aveva mostrato.
E ora lui era lì.
Vivo, vegeto... e vendicativo.
Cosa gli era successo?
“Non puoi vincermi... in realtà non hai mai potuto. Ho sempre giocato con te.” confessò l'uomo con un sorriso genuino e orgoglioso, lasciandola più confusa di prima.
Cosa intendeva?
L'uomo si guardò distrattamente le unghie perfette, quasi godendo dell'agitazione suscitata. Sembrava sapere esattamente cosa la agitasse. “Unisciti a me” disse infine, tendendole la mano nuda senza esitazione alcuna.
Rogue non sapeva come reagire. Si era bevuto completamente il cervello? Perché offrirle la mano sguarnita? Voleva dimostrarle che non la temeva? Che in realtà poteva toccarla liberamente? Voleva confermare che aveva sempre giocato, che aveva fatto sì che lei dipendesse da lui?
Oppure... beh... la odiava al punto che la voleva morta. Tutte le moine in cui si era prodigato per farla capitolare e lei aveva continuato a nicchiare fino alla fine erano state una strategia per portare a quel momento? A mostrarle come lui fosse immune al suo potere e potesse eliminarla senza che lei si opponesse?
Ma perché continuare a flirtare? Aveva vinto lui. Voleva farla capitolare definitivamente? A quale scopo? Presa in giro o vero innamoramento?
Il solo pensiero le mandò il sangue alla testa. Brutto stronzo! Prendersi così gioco di chi aveva un problema come il suo. Chi poteva mai volere una come lei con un potere così invalidante? Se lui ne era sempre stato immune, era stato crudele a giocare così con lei, facendole desiderare l'impossibile.
Forse voleva farle pagare il fatto di essersi sottratta al suo giochino, di non aver voluto farlo divertire a sufficienza lasciandosi cadere nella sua rete seduttiva come tutte. Immaginava il divertimento di lui nel metterla così in difficoltà. Più è ostico l'avversario più è soddisfacente vederlo cadere nella polvere. E lui era il figlio di Essex. O meglio, il suo clone. Come aveva potuto essere così ingenua? Probabilmente, anche lui conosceva piccoli trucchetti mentali con cui circuire i suoi poteri. Era evidente che le aveva mostrato solo parte della sua mente. Bastardo.
E ora, in un ultimo tentativo di far finire i giochi come voleva lui, in ginocchio e supplichevole, arrivava a proporle quel tipo di accordo? Passare al nemico?
“Sono un X-men... e teoricamente lo eri anche tu...” replicò lei con voce tagliente. Cercò di drizzarsi in tutta la sua statura di un metro e settantasei, il mento sollevato in segno di sfida, gli occhi smeraldini che guizzavano vivaci della fiamma di lui da dietro le lunghe ciglia.
“E' un rifiuto?” sibilò l'altro, riducendo gli occhi a due fessure ardenti e ritirando la mano in un pugno stizzito.
“Vorrei ben vedere! Altro che non ne so nulla. Avevano ragione gli altri. Avrei dovuto dar loro ascolto! Invece, come una stupida, ho pensato che fossi come me! Che avessi davvero solo bisogno di una chance! Invece, tu hai aiutato tuo padre con le sentinelle contro i Morlock e contro noi stessi!” urlò puntandogli il dito contro “Dannazione! Tu ci hai schiaffato in questi cosi! Tu ci hai messo i collari! Tu hai contribuito alla merda che ci hanno fatto! Non sei stato solo un palo!”
Chère...” sibilò lui, con tono minaccioso, avvicinandosi lentamente ma inesorabilmente. Un brivido istintivo le corse lungo la schiena. Sembra la personificazione della Morte: aveva un'aura minacciosa come quella che aveva intravisto in Warren.
“Fatti da parte, Cajun. Non voglio farti del male. Non sono come te.” disse ritrovando un po' di orgoglio, di amor proprio e anche la forza sufficiente per far avanzare rigidamente le gambe che le tremavano come budini liquidi e dimenticando come, fino a quel momento, lui avesse abilmente eluso i suoi attacchi.
Nessuno dei due si scansò e finirono muso a muso un'altra volta. Nessuno dei due sembrava intenzionato a cedere.
“Libera questa gente... non far passare loro quello che ho subito io... ti prego...” lo supplicò in un ultimo, disperato, tentativo di redimerlo “Sei migliore di...questo...” disse lasciando scorrere lo sguardo su di lui.
“Non posso...” rispose lui, la voce sardonica improvvisamente incrinata da quella che sembrava nostalgia o dispiacere “Ho venduto la mia anima a Sinistro...” confessò subito dopo “Ho promesso a Essex che, in cambio del mio aiuto, lui mi avrebbe reso immune al tuo potere...” alitò tornando ad allungare la mano al volto di lei.
Prima che potesse rendersene conto, prima che potesse fermarla, una lacrima rotolò sul suo volto sconvolto dalla rivelazione. Non se ne curò. Al momento non le interessava nulla se non ciò che si nascondeva dietro alle parole del bel ladro. Lasciò che quella goccia d'acqua salata continuasse la corsa verso il terreno.
Per lei. Per poterla toccare, Remy aveva venduto la sua anima a quel delinquente di suo padre. E non una volta. Quando c'erano problemi, quel cretino tornava sempre all'ovile, in cerca di una qualunque soluzione. Prima il collare, ora questo...
Lasciò che la sua mano si avvicinasse al suo volto, desiderando egoisticamente poterlo toccare ancora, poter sfiorare ancora le sue labbra fino ad annegarvi.
Ne voleva ancora ma sapeva di doversi ritenere fortunata ad aver avuto almeno un'occasione per provare quello che per le altre era routine. Ne voleva ancora anche se sapeva perfettamente che avrebbe potuto ucciderlo definitivamente, privi com'erano entrambi di protezioni.
Lasciò che il Cajun le si avvicinasse, sopraffatta dai ricordi e dal desiderio che aveva di lui. C'era qualcosa di oscuro e sbagliato in tutto quello ma non poteva, non riusciva e forse non voleva negare l'attrazione che la spingeva verso di lui. Inutilmente, cercò di riscuotersi per allontanarlo ma il suo cervello sembrava essere in un loop impossibile da spezzare. La razionalità era sparita in un lampo, al punto da farle sospettare che lui stesse usando i suoi poteri secondari su di lei.
Quando, infine, la sua bocca si posò sulle sue labbra, il mondo sembrò scomparire, inghiottito da un buco nero.








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Rieccomi di rientro da Etnacomics. In questi giorni, poi, mi stanno montando la cucina. Spero quindi di avere una certa tranquillità a breve per riuscire a riprendere il normale ritrmo di aggiornamento.
Un bacio e scusate ancora il disagio!

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