This House is a Circus

di _Whatever_
(/viewuser.php?uid=260680)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** I ***
Capitolo 3: *** II ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


La sveglia suonò puntualissima alle 6.25, ma Julia era già sveglia, quindi si alzò subito e si infilò i pantaloni della tuta neri e la canotta gialla. Si sciacquò il viso in bagno velocemente, intrappolò i lunghi capelli ramati in uno chignon e recuperò le Nike nere dalla scarpiera.

Quel rito mattutino durava esattamente cinque minuti e lo ripeteva da più tre anni, praticamente tutti i giorni, escluse le festività e le giornate di febbre o raffreddore.

Uscì sull'uscio di casa e controllò l'orario sul suo ipod: le 6.30.

Il cielo era azzurro scuro, ancora un po' tendente al blu e l'aria era freschissima, infatti un brividino la raggiunse.

Iniziò a correre non appena ebbe superato il cancello del suo giardino.

Il tragitto era sempre lo stesso: continuava lungo il marciapiede che costeggiava le ville lungo la via e a un certo punto deviava verso un grande giardino pubblico.

Incontrava sempre le solite persone e ormai si sorridevano l'un l'altro. C'era chi portava fuori il cane prima di andare al lavoro e chi faceva jogging. Di tanto in tanto aveva scambiato due chiacchiere con altri che come lei correvano nel parco, ma non erano mai state conversazioni importanti: la mattina non si é mai troppo loquaci e comunque dovevano risparmiare il fiato.

Dopo tre giri completi del parco, si avviò verso la sua pasticceria di fiducia per andare a comprarsi la colazione.

Quella mattina optò per un pezzo di crostata alla crema con le fragole. Era la prima cliente della giornata e trovava sempre i dolci appena sfornati e intatti.

Il proprietario, Patrick, era un signore sulla cinquantina, di origini italiane, che ogni mattina l'accoglieva con un aforisma diverso.

"La musica esprime ciò che non può esser detto e su cui é impossibile rimanere in silenzio"

'Questa di chi é, Pat?' Chiese Julia sorridendo.

"Un francese poco importante, un certo Hugo" rispose il pasticcere, facendo scorgere un po' dello spirito campanilistico per la sua terra natale.

"Oh sisi, uno da nulla proprio. Comunque, un giorno mi spiegherai da dove li tiri fuori e come li scegli soprattutto"

"Vedremo, vedremo. Ora va, altrimenti arrivi tardi al lavoro"

Julia pagò, uscì dalla pasticceria e riprese a correre verso casa, tenendo il sacchetto con la torta ben saldo tra le mani. Arrivata al marciapiede che costeggiava le abitazioni, rallentò per iniziare a camminare e a riprendere fiato. Guardò l'ora: le 6.58. Sorrise soddisfatta pensando alla doccia calda che l'aspettava e alla torta che aveva scelto per la colazione. Il cielo si stava rischiarando e non c'erano nuvole all'orizzonte, si prospettava un'altra splendida giornata a Los Angeles.

Non c'era gente per strada, fatta eccezione per un taxi fermo davanti alla casa prima della sua. Dall'automobile scese un ragazzo magrolino e non sembrava stare troppo bene e si notava per il fatto che aveva barcollato per fare solo due passi per avvicinarsi al cancelletto. Cercò le chiavi tastandosi le tasche degli strettissimi skinny neri che indossava, ma poi le trovò dentro le tasche della giacca di pelle.

Non appena riuscì a tirarle fuori, gli caddero e Julia gli stava passando accanto proprio in quel momento, così si fermò a raccoglierle, altrimenti lui sarebbe di sicuro caduto in avanti mente cercava di recuperarle.

"Faccio io"

"Grazie mille" biascicò il ragazzo.

Le prese in mano e le osservò confuso.

Indossava degli occhiali da sole scuri e non sembrava abbastanza lucido per capire che se li sarebbe dovuti togliere per vedere meglio, visto che le chiavi si assomigliavano tutte tra loro.

"Vuoi una mano?" Julia non era sempre così disponibile per i ragazzi ubriachi, ma quelo sembrava abbastanza innocuo soprattutto per le condizioni in cui versava.

"Ehm, se ti va..." Alex avrebbe voluto spiegarle che era stato poche volte in quella casa e che quindi era ancora tutto nuovo per lui, ma era un discorso troppo complicato per come stava in quel momento.

Julia armeggiò con le chiavi, fino a che non trovò quella che apriva il cancello.

Entrarono e percorsero il viale fino alla porta di ingresso.

"Sono la tua vicina di casa, ma non ti ho mai visto in giro" disse Julia, almeno per introdursi, ma non si aspettava un qualche tipo di reazione.

"Sei molto...molto..."

"Gentile credo che sia la parola che stai cercando" rispose Julia dopo aver aperto anche la porta di casa.

"Esatto. Vado a letto" disse Alex entrando in casa senza preoccuparsi di salutare e di chiudere la porta. Julia sorrise per le condizioni di quel ragazzo e tornò verso il viale per andare finalmente a farsi la doccia e poi fare colazione.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** I ***


In studio era stata una giornata delirante: avevano dovuto incontrare dei nuovi clienti con un problema molto grande ed erano indecisi.

Il loro studio era uno dei più importanti della città e avevano una reputazione da mantenere, erano bravi in quello che facevano e questo era il motivo per cui quell'azienda che si occupava di alimentari si era rivolta a loro. D'altra parte il caso era così difficile e così importante che una loro scivolata sarebbe stata deleteria per lo studio legale.

I suoi soci erano indecisi esattamente come lei e dopo due ore di riunione non erano arrivati a una conclusione.

Arrivata a casa, si tolse la stretta gonna nera attillata e la camicia rosa comoda per infilarsi nella sua tuta grigia da casa.

Aprì il frigo per organizzare la cena, ma il martedì era il giorno della spesa, quindi non aveva nulla di commestibile.

Aveva voglia di un'insalata fresca, perché a pranzo i carboidrati avevano fatto da padroni, quindi, controvoglia si infilò qualcosa di più decente con cui farsi vedere in giro per il suo quartiere e andò a fare la spesa.

C'era un supermercato vicino a casa sua, ma prese l'automobile perché aveva intenzione di fare scorte.

Non era una fissata con l'alimentazione o con la buona cucina, ma sua mamma era italiana e tutto quello che aveva imparato sull'alimentazione era metodo suo. La sua dieta quindi seguiva uno schema rigoroso che prevedeva i carboidrati entro le cinque di pomeriggio e a cena solo proteine e verdura. Non riusciva a capacitarsi di come la gente potesse mangiare panini a qualsiasi ora del giorno e persino della notte in alcuni casi. I suoi colleghi la prendevano in giro perché non ordinava mai la pizza quando era in ufficio con loro, ma lei sapeva che se avessero mai assaggiato quella italiana, poi non sarebbero più riusciti a tirare un morso a quella che loro chiamavano pizza.

Il supermercato si trovava vicino a casa, ed essendo una zona particolarmente particolare di Los Angeles, non aveva molti dubbi sulla qualità dei prodotti venduti.

Fece la spesa con molta calma, anche cercando degli ingredienti particolari per nuove ricette e giunta alla cassa aveva il carrello pieno di roba, anche se viveva da sola.

Davanti a lei, in fila, c'era un ragazzo moro, magro, con pantaloni neri attillati e una camicia color cheddar.

Si girò a guardarla quando sentí il rumore del carrello dietro di lui e lei lo riconobbe: era il ragazzo di quella mattina, e anche in quel momento indossava gli occhiali da sole.

Lei sorrise impercettibilmente notando che il suo sguardo era puntato sul suo carrello pieno di roba e anche lui sorrise, a modo suo, cioè tirando su di un millimetro quasi un angolo della bocca.

Probabilmente non si ricordava minimamente del loro incontro di quella mattina e Julia non poté biasimarlo, era conciato veramente male.

Durante l'attesa si prese la libertà di vedere cosa ci fosse dentro il suo carrello: bottiglie di superalcolici, birre, patatine fritte di ogni gusto possibile immaginabile, pop corn, varie confezioni di infusi di té, cibo in scatola e un sacchetto di mele.

Quanto si poteva dire di una persona solo guardando la sua spesa: scapolo, giovane, inesperto ai fornelli, con amici esigenti dai gusti esigenti e vari circa alcool e patatine, anche perché considerando la sua stazza e il suo fisico era improbabile che bevesse e mangiasse quella roba in continuazione.

Nessuna restrizione particolare sul cibo, nessuna dieta da seguire, probabilmente mangiava in giro quando era fuori e sgranocchiava mele o beveva té quando era a casa.

Julia si chiese se il ragazzo si fosse sentito osservato, perché si voltò di nuovo verso di lei, ma gli occhiali da sole le impedirono di capire che sguardo le aveva riservato.

Arrivato il suo turno, iniziò a sistemare gli acquisti sul nastro trasportatore e quando la cassiera arrivò a passare i superalcolici sul lettore dei codici a barre, lo scrutò in viso per capire se poteva vendergli quei prodotti o se avesse bisogno di controllare la carta d'identità.





Il ragazzo notò lo sguardo indeciso della cassiera e decise di toglierle ogni dubbio.

"Guarda" si interruppe per fermarsi a leggere il nome della ragazza sul cartellino che aveva appuntato al petto.

"Guarda, Jane, tengo gli occhiali da sole solo per poter nascondere delle occhiaie davvero tremende, ma ti assicuro che anche io ho le rughe vicino agli occhi, stai tranquilla"

La ragazza era immobilizzata: quel tipo le aveva parlato con un tono che difficilmente sarebbe potuto appartenere a un ragazzino e anche i suoi modi erano stati abbastanza sfacciati da non lasciare alcun dubbio.

Quando la cassiera ebbe finito di passare la merce, gli comunicò il prezzo senza il coraggio di guardarlo in faccia.

Julia aveva assistito alla scena sorridendo: conosceva quella cassiera, era una ragazza giovane e carina e i suoi scrupoli sull'età di quell'uomo erano più che giustificati, si era comportato in modo da attirare l'attenzione. Non aveva aperto bocca fino a quando non le aveva fatto quel discorso e anche l'aver tenuto gli occhiali da sole poteva essere fraintendibile.

Julia sorrise a Jane e stava per dirle di lasciar perdere quel soggetto, ma quel soggetto si era fermato all'uscita del supermercato a controllare il telefono e Julia non era intenzionata a mettere ulteriormente in imbarazzo quella ragazza.

Pagó la sua spesa e uscí dal supermercato superando il ragazzo.

"Scusa?" La stessa voce che prima aveva volontariamente fatto diventare rossa la cassiera la fece fermare.

"Si?" Julia si voltò.

"Tu sei quella che stamattina si é fermata ad aiutare un ragazzo ubriaco?" Chiese lui avvicinandosi.

"Probabile"

"Ti volevo ringraziare e soprattutto ci tenevo a dirti che non mi capita spesso di ridurmi in quelle condizioni, sai...non vorrei che pensassi che hai un vicino di casa con problemi di alcolismo cronico"

"Tranquillo, l'alcolismo non é niente di nuovo, siamo a Los Angeles, ci sono cose ben peggiori." Rispose Julia sorridendo per fargli capire che le sue preoccupazioni erano infondate.

"Comunque, piacere, io sono Julia" concluse appoggiando una busta per terra per stringergli la mano.

Il ragazzo esitó e poi gliela strinse di rimando.

"Io sono David"

"posso restituirti il favore portandoti una busta verso casa?" Chiese David gentilmente.

"Sono venuta in macchina sapendo che sarei andata via carica, al massimo ti offro un passaggio se non vuoi camminare fino a casa"

"Volentieri, grazie"

Si avviarono verso l'automobile della donna.

"Cosa fai nella vita, David?" Chiese Julia per fare conversazione.

"In questo momento niente di particolare, ma in generale diciamo che mi occupo di"

Un momento di esitazione.

"Arte, ecco sí, arte"

"Quanto mistero dietro quelle lenti scure, David. Facciamo che mi farò andare bene questa risposta abbastanza evasiva che vuol dire tutto e niente"

Intanto erano arrivati alla macchina e così caricarono le buste nella bagagliaio.

"Tu invece?" Chiese David per distogliere l'attenzione da se, non appena salirono in macchina.

"Io sono un avvocato, lavoro in un studio in centro"

"Oh, interessante" rispose Alex non sapendo bene cosa dire.

"Non mentire, per uno che si occupa di arte in generale non dev'essere nulla di interessante o avvincente"

"Dipende dai punti di vista"

"Non sei americano" disse Julia, non era una domanda perché l'accento non lasciava molti dubbi sulla provenienza del ragazzo.

"No, sono inglese"

Julia rimase in silenzio aspettando che David le dicesse qualcosa di più.

"Sono di Sheffield, una cittadina nel nord"

"Il cambiamento deve essere notevole"

"Diciamo che é stata una cosa graduale: prima sono passato da Londra e New York e ora eccomi qui"

"Capisco. Quello lí sta aspettando te?" Erano a pochi metri da casa di David e notarono un'automobile parcheggiata davanti al suo ingresso. Fuori dalla macchina c'era un ragazzo alto con i capelli lunghi raccolti in una coda.

"Già, é un mio amico" rispose David nervoso.

Julia accostò al marciapiede e David scese dall'automobile.

Grazie mille, Julia”

Di niente” sorrise la ragazza.

Scaricò la sua busta dal bagagliaio e le sorrise passando di fianco al posto del guidatore per raggiungere Zack.

Dov'eri? E' tutta la mattina che ti chiamo, Al!”

Eh, sono andato a fare la spesa e ho dimenticato il cellulare a casa”

Al guardò preoccupato in direzione di Julia per vedere se avesse sentito della conversazione con Zackary e dal suo sorriso quasi compassionevole, capì che la ragazza aveva sentito perfettamente quello scambio di battute. Lei sapeva benissimo che lui non aveva dimenticato il cellulare a casa perchè lo stava controllando all'uscita dal supermercato prima di fermarla, ma c'era un'altra cosa.

Sarebbe voluta scendere dall'auto per chiedergli se ' Al' fosse il diminutivo di Alfred, Alvin, Alan, Alfie, Alex, ma sorrise e fece manovra per raggiungere casa sua.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** II ***


Non aveva più incontrato quel ragazzo nei giorni successivi, nonostante passasse davanti a casa sua varie volte al giorno, in macchina o a piedi, e si era anche arrovellata poco sul perché di quelle bugie. In studio erano giorni di fuoco per via dei nuovi clienti e non aveva tempo di psicanalizzare il suo vicino di casa.
Una sera era seduta in veranda per godersi la sua quarta e penultima sigaretta della giornata, quando notò una figura sul marciapiede davanti all'ingresso. Era lui.
"Hai sbagliato ingresso, casa tua e l'abitazione successiva" disse Julia un po' seria, un po' per sfottere.
"In realtà non ho sbagliato, volevo passare proprio da te e ne ho approfittato perché dalla finestre del primo piano ti ho vista in veranda"
Julia lo raggiunse e aprì il cancelletto per farlo entrare.
"Ah, dimmi tutto" lo accolse Julia un po' confusa.
Alex allungò la mano per presentarsi.
"Piacere, sono Alex, il tuo vicino di casa"
"Julia"
"Volevo scusarmi per l'altro giorno, il mio atteggiamento non è stato dei migliori"
"Tanto piacere, Alex"
"Non ho la presunzione di pensare che tu ci abbia pensato più di tanto, avrai di certo una vita piuttosto intensa, ma volevo provare a spiegare perché mi fossi comportato in modo così" una pausa "bizzarro" concluse Alex.
"Non avrei saputo trovare una parola migliore per descriverlo" ammise Julia.
"Vieni, vuoi qualcosa da bere? Non ho molto in casa, non sono una gran bevitrice"
"Del tè sarebbe perfetto" disse Alex educatamente.
"Bene. Accomodati in veranda, torno subito" Julia scomparve dentro casa.
Alex prese posto su una delle poltrone di vimine poste sotto il porticato e si accese una sigaretta.
Julia tornò dopo poco tempo reggendo in mano due grandi bicchieri pieni di tè freddo e ghiaccio, ma notò una nota di delusione sul viso di Alex, ma non ebbe tempo di chiedere.
"Quando ho detto tè, mi riferivo a un tè caldo, ma questo andrà benissimo"
L'espressione sul viso di Julia era di immenso stupore.
"Non voglio risultare maleducato e forse ti sembrerò anche uno psicopatico, ma nonostante i trenta gradi all'ombra, parlavo di tè caldo, sai, quello con gli infusi, il limone e le zollette di zucchero" disse Alex quasi mortificato.
Julia rise sonoramente.
"Sempre più bizzarro, io davo per scontato che volessi qualcosa di fresco. In ogni caso, se vuoi, vado dentro a mettere su il bollitore"
"No, davvero, stai tranquilla. Penso di dovermi abituare a non vivere più in Inghilterra"
"Il tè freddo in una calda giornata penso sia un buon inizio" concluse Julia sedendosi di fronte a lui.
Alex sorseggiò il suo tè guardandosi attorno: il giardino era ordinato e c'era un lettino per prendere il sole vicino a un tavolino. Le piante erano poche e ben tenute, di certo era più ordinato del suo giardino, in cui si potevano anche trovare bottiglie di Corona abbandonate in giro.
"Mi piace come hai sistemato il giardino" disse per fare un po' di conversazione.
"Se ne occupa mio padre nel week end, io non saprei nemmeno da dove iniziare. E' il suo svago. Non penso lo apprezzerai così tanto quando inizierà a tagliare l'erba alle nove del mattino del sabato"
"Ah, di certo non mi disturberà, io non sento nulla quando dormo"
"Che fortuna, ti invidio tanto"
"Diciamo che sono costretto a farlo, quando posso, devo recuperare interi mesi di sonno persi"
Alex era serio e Julia non sapeva come alleggerire la situazione, così decise di non farlo.
"E questo immagino che sia collegato alla tua identità segreta"
"Già" Alex sorrise.
"Sai, mi immaginavo in altro modo gli agenti segreti inglesi, ma forse è colpa di tutti i quei film su 007"
"Perché? Non ti ricordo vagamente Daniel Craig?"
"Diciamo che al massimo posso concederti Pierce Brosnam, ma nemmeno troppo"
Alex rise di gusto e appoggiò il suo bicchiere di tè freddo sul tavolo in mezzo a loro.
"L'altro giorno ero reduce da un post sbornia notevole, devi scusarmi" disse Alex tornando improvvisamente serio dopo alcuni secondi.
Julia non rispose, perché sapeva che Alex non aveva finito.
"E il motivo principale della mia sbronza è stato lo stress di trovarmi in un locale in cui tutti gli avventori sembravano sapere chi fossi. La cosa non mi sorprende considerando il locale che i miei amici avevano scelto, ma diciamo che non ho reagito proprio bene. Mi sentivo braccato e sotto pressione, così mi sono messo a bere per cercare di affrontare la situazione con leggerezza"
"Comprendo, solo che non so se sentirmi sollevata o mortificata per non avere la minima idea di chi tu sia"
"Io ne sono sollevato" ammise Alex sorridendo timidamente.
"Non sono un personaggio famoso, odio pensare di esserlo. Mi fa venire il voltastomaco la parola vip" disse Alex a una sempre più confusa Julia.
"Non vorrei sembrarti inopportuna o invadente, ma non puoi semplicemente dirmi cosa fai nella vita? Visto che dubito che ti occupi di arte in generale, giusto per citarti"
"Sono un cantante di una band inglese. L'altra sera eravamo in un locale piuttosto indie che passa spesso la nostra musica e chi ci va è possibile che mi riconosca e che quindi voglia fare una foto con me o con gli altri ragazzi della band"
"Oh"
"Diciamo che tollero poco queste cose"
"Non posso nemmeno immaginare cosa voglia dire vivere così"
"Sì, ma aspetta, prima che tu possa pensare che me la tiro e che me la credo. E' che non so proprio come comportarmi, non so cosa rispondere ai fan quando mi fanno domande personali, semplicemente perché faccio fatica a parlare dei fatti miei anche con i miei amici di sempre. Non so reggere il peso delle loro aspettative. Col tempo ho capito che i fan tendono a costruirsi un immagine dei loro artisti preferiti sulla base di quello che sentono nei testi delle canzoni, quindi pensano di conoscerti e ti considerano quasi un amico"
Julia non rispose, era interessata a sapere cosa ne pensasse di questa cosa.
"E' una cosa molto romantica, e ammetto di averlo fatto anche io fino a qualche anno fa, perché alcuni dei miei artisti preferiti mi hanno formato, non solo musicalmente parlando, ma ora che mi ritrovo dall'altra parte non so cosa fare"
Prese un sorso di tè.
"E quindi bevo"
"Vuoi farmi credere che da bravo inglese quale sei, tu non bevi se non in queste occasioni?" scherzò Julia.
"Ovvio! Infatti non so se hai notato la mia spesa l'altro giorno"
"Già, sembrava quella di un quindicenne a casa da solo per il week end"
"La mia vita è un lunghissimo week end a casa da solo"
Alex tirò fuori il pacchetto di sigarette e ne offrì una a Julia.
"No, grazie, per oggi me ne rimane solo una ed è destinata a dopo la cena"
Alex la guardò interrogativo.
"Niente, lascia perdere"
"Ne riparleremo, sono curioso" disse accendendosi la Marlboro Light.
"Sempre se ti andrà" riprese, quando si accorse di rischiare di essere invadente.
"In che band suoni? Potrei aver sentito qualcosa di vostro?" chiese Julia per cambiare discorso.
"Non so se ci hai mai sentito, non so quanto siamo presenti nella programmazione radiofonica americana" fece un'altra delle sue pause a cui Julia si era già abituata durante quella conversazione.
"Suono negli Arctic Monkeys, da Sheffield" il tono e l'espressione con cui aveva pronunciato quella frase non sembrava appartenere alla stessa persona con cui Julia stava parlando fino a pochi secondi prima.
"Bel nome" disse Julia dopo la sorpresa iniziale per il repentino cambiamento.
"Sì, lasciamo perdere" era tornato l'Alex della conversazione iniziale.
"In ogni caso, mi dispiace, ma non credo di aver mai sentito qualcosa di vostro. In fondo venite dal vecchio continente e di europeo credo di sapere a malapena qualche frase di canzone dei One Direction o di Sam Smith"
"Immaginavo, ma è meglio così. Almeno tu non crederai di conoscermi solo perché hai sentito qualche mio testo"
"Chi ti dice che non appena andrai via, andrò su youtube a cercare le vostre canzoni?"
"Accomodati pure, ma di certo quello che sentirai non ti sembrerà in linea con il ragazzo con cui hai parlato l'altro giorno"
"Peccato"
"E ti prego, se proprio manterrai questo insano proposito, non cercare su youtube i video ufficiali"
"Non ti stai aiutando. Te l'hanno mai detto che la curiosità è donna?"
"Sì, l'ho sentito dire, ma non riuscirei più a guardarti negli occhi se lo facessi"
"Sono così brutti?" chiese Julia quasi spaventata.
"No, ma le mie abilità recitative sono veramente pessime e ci sono un paio di video di cui mi vergogno profondamente"
"Sono certa che vedendoli capirò di certo di cosa parli"
Alex sorrise.
"E ringrazia che io non li guardi ora davanti a te. Se non dovessi prepararmi per andare a cena fuori, sarei già andata a prendere il pc dentro"
"Mi sono fottuto con le mie mani"
"Già" rise Julia di gusto.
Alex si alzò dalla sua poltrona di vimini.
"Io vado. E' stato un piacere parlare con te, Julia"
"Anche per me, Alex"
"Spero si possa ripetere, magari però a casa mia davanti a una tazza di tè caldo"
"Certo! Basta farmi un fischio dalla finestra del primo piano quando mi vedi in veranda"
"A presto" disse Alex e si avviò lungo il vialetto per uscire dal giardino e tornare a casa sua.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3158793