Life after death

di Tessa Fray
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 3 ***
Capitolo 4: *** 4 ***
Capitolo 5: *** 5 ***
Capitolo 6: *** 6 ***
Capitolo 7: *** 7 ***
Capitolo 8: *** 8 ***
Capitolo 9: *** 9 ***
Capitolo 10: *** 10 ***
Capitolo 11: *** 11 ***
Capitolo 12: *** 12 ***
Capitolo 13: *** 13 ***
Capitolo 14: *** 14 ***
Capitolo 15: *** 15 ***



Capitolo 1
*** 1 ***


Lo schermo del computer segnava che era l’una e trenta di notte, tuttavia non avevo ancora sonno. Dormire era tempo sprecato, per questo la sera stavo sveglia fino a orari impossibili e tutte le mattine prima delle otto mi alzavo. Tenevo lo sguardo incollato alla pagina bianca di word, sperando che le parole si digitassero da sole sulla tastiera e per miracolo componessero qualcosa di accettabile, ma le idee non volevano proprio saperne nulla di saltare fuori. Così, di mala voglia, chiusi il computer e aprii il libro che tenevo sul comodino lì a fianco. Avevo pure perso il segno, fantastico. Sospirai, abbandonando la testa sul cuscino. Amavo leggere e scrivere, ma in quel periodo era come se tutto si fosse bloccato. Non potevo comprare libri nuovi e non avevo niente da scrivere e condividere con i lettori virtuali di tutto il mondo. La vita non mi era mai sembrata così ingiusta come in quel momento. C’era chi scriveva storie romance trite e ritrite e aveva milioni di visualizzazioni, e poi c’ero io, che sognavo di diventare una grande scrittrice e vedere il mio libro tradotto in 32 lingue, ma non riuscivo a superare quel dannato blocco dello scrittore. La vita è ingiusta, per caso lo avevo già detto? Capii di sognare quando vidi scritto “Adele Morris” sulla costina di un libro che tenevo in mano. Non mi risultava di aver mai finito di scrivere qualcosa nei miei 18 anni di noiosissima vita, trascorsa sbavando sui numerosi protagonisti maschili degli altrettanti libri di cui mi infarcivo ogni giorno. Era difficile avere tempo per portare avanti rapporti con esseri viventi della tua stessa specie quando avevi il cervello costantemente impregnato di vampiri, cacciatori di demoni e alieni luminescenti così fighi da far impallidire persino uno del calibro di David Beckham e riuscire a smuovere ogni singolo ormone presente nel tuo corpo. Non avevo proprio speranze. Ero una normalissima ragazza con occhi e capelli castani, piuttosto alta, e con troppo culo e poche tette. Non pensavo di essere così repellente al sesso maschile. A quanto pare mi sbagliavo. Non credevo che sarei arrivata a diciotto anni potendo contare i miei amici sulle dita di una mano. Mi sbagliavo anche su questo. Cosa avevo di sbagliato proprio non riuscivo a capirlo. Comunque, il fatto che stessi leggendo un mio libro era la conferma del fatto che stavo dormendo, e anche pesantemente. Sulla copertina, in un effetto evanescente, c’era un volto di ragazzo sulle tonalità del grigio, con le orbite completamente bianche. Avevo scritto qualcosa a proposito di alcune apparizioni di fantasmi. Anche se non ne avevo bisogno,trovai la seconda conferma del fatto che stavo sognando. Io non credevo nei fantasmi. 7.52 Il sole filtrava dai buchi della tapparella, ancora tenue. Se speravo di trovare ispirazione per scrivere storie curiosando tra i viaggi mentali notturni, dovevo ricredermi. Che stupida idea i fantasmi. Forse per quel giorno sarebbe stato meglio lasciar perdere i miei inutili tentativi di diventare una scrittrice di successo e dedicarmi piuttosto all’autocommiserazione. Già, nonostante la maggior parte delle volte riuscissi a tirarmi su grazie all’ostentamento di un atteggiamento davvero molto vanitoso, ogni tanto capitava anche alla sottoscritta di mettersi in un angolino, arrabbiarsi con il mondo (in particolare con il suo ex, che l’aveva scaricata senza motivo), desiderare di essere una ragazza meno noiosa e ricevere ogni giorno almeno 165 likes alle foto su face book. Quando poi tornavo in me, prontamente mi tiravo due ceffoni mentali, rimproverandomi per aver anche solo pensato una cosa così stupida. Non oggi. Al diavolo tutto. Qui bisognava dare una svolta significativa alla vita di Adele Morris. Oggi sarebbe stato il suo giorno.

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Capitolo 2
*** 2 ***


La mia migliore amica aveva il potere di persuadere la gente a fare quello che voleva. La sola e unica eccezione ero io, che rispondevo alle sue stoccate con altrettanta forza. Immaginate quindi la sua sorpresa quando mi chiamò, supplicandomi di andare a ballare con lei quella sera, e io accettai alla prima offerta.

- Adele, ho sentito bene? – mi chiese dopo qualche secondo di silenzio.

- Veronica, non farmelo ripetere un’altra volta, prima che cambi idea –

La sentivo fremere dall’altro lato del telefono e infine esplose in un piccolo urlo di gioia.

- Evviva! Vengo io da te e ci prepariamo insieme. – e riattaccò.

Così trascorsi tutto il tempo che avevo a disposizione rileggendo uno dei miei libri preferiti. Quando Veronica arrivò e andai ad aprirle la porta con il libro ancora in mano, il suo sguardo corrucciato parlava da solo.

- Non avevo dubbi che stessi leggendo! Ma Adele, andiamo! E’ finita la scuola ormai! Dovresti uscire! –

Aveva ragione, ovviamente, ma nonostante i miei lati solitari e noiosi, lei mi era sempre stata a fianco e mi aveva difesa contro gli altri.

Le sorrisi - Siamo qui per questo, no? –

Per tutta risposta mi fece anche lei un sorriso enorme. – Stasera sarai bellissima, nessun ragazzo potrà ignorarti! –

- Vee … -

- Lascia fare a me –

Iniziò a frugare nell’armadio. Io mi misi a pregare mentalmente.

- Ti vedo, stai pensando di rimangiarti tutto e di non venire! – Mi accusò, con la testa ancora sommersa nel guardaroba.

- Non puoi vedermi Vee – sogghignai

- Beh, non venirmi a dire cosa posso o non posso fare perché lo so. Scordatelo. Tu questa sera vieni con me, e noi due ci divertiamo. –

Uscì fuori dall’armadio tenendo tra le mani una gonna di jeans molto corta e una camicetta nera tutta scollata, che combinate assieme equivalevano ad andare in giro praticamente nuda. Inorridii. – Oh, no no … -

- Addie, hai delle belle gambe, falle vedere. Quando ti guarderanno si dimenticheranno pure il loro nome. Persino quel coglione di La… -

- Non voglio fare la gatta morta davanti a Lance! – sbottai.

Lance era il mio ex. Sì, quello che mi aveva piantata senza motivo. No, non ero più innamorata. Certo che no.

- Non è quello che ho detto! Ma gli cadrà la mascella a terra, e l’unica cosa che potrà pensare è “sono stato un coglione ad aver mollato Addie”, e immagina il suo caz…-

- Vee!!! –

- …zo come farà i salti di gioia dentro ai pantaloni! –

- Veronica Marshall, sei proprio una pazza, psicolabile pervertita! –

Non so come, ma mentre sproloquiava sul cazzo del mio ex era riuscita a intrecciare i miei capelli, facendomi sembrare già più grande della mia età.

Prese un astuccio pieno di trucchi e iniziò a mettermi del fondotinta.

- Domani mi ringrazierai, quando ti sveglierai da qualche parte, abbracciata a Lance, dopo aver fatto una bella scopata – mi fece l’occhiolino.

- Non ho bisogno di scopare con Lance – dissi di getto.

- Oh, forse hai solo bisogno di scopare! –

Presi il primo oggetto contundente che mi capitò sotto mano e glielo tirai addosso.

- Ehi! Un po’ di rispetto per la tua make-up artist! –

- Allora non dire cavolate! – nonostante tutto scoppiai a ridere, e Vee si unì a me. Era così bello averla come migliore amica. Era schietta, frizzante e sempre pronta a divertirsi, anche se stava con Rick da quasi quattro anni ormai.

- Finito – disse. Mi alzai e andai ad osservare il mio riflesso allo specchio.

- Ti mancano solo i tacchi – disse Vee, e me li passò.

Dopo averli indossati, mi voltai di nuovo a guardarmi. Non avevo parole. Ero davvero io? Vee non aveva esagerato con il trucco, solo un po’ di eye-liner e mascara, oltre a un velo di gloss.

- Un applauso all’artista? –

- Clap clap –

- Perché devi rovinare sempre tutto? –

- Dai, Vee, lo sai che ti adoro. Sei stata eccezionale come sempre – le diedi un bacetto sulla guancia – ma ora devi proprio pensare a te, come minimo ti ci vorranno altre due ore! – scherzai.

Non scherzavo affatto. Due ore non sarebbero mai bastate a Veronica per prepararsi. Dopo che ebbe finito di vestirsi e truccarsi anche lei, finalmente eravamo pronte per conquistare Lan… ehm, il mondo.

- Sei uno schianto, Addie, mi fai invidia anche se sono stata io a prepararti –

- Nessuno può eguagliare la mia naturale bellezza – le feci la linguaccia.

Lei sospirò divertita – Riecco spuntare l’ego grande come una casa. Mi era mancato oggi –

Risi di nuovo. Era così facile farlo in sua compagnia. Non ero molto brava a parlare con gli altri, né ad esternare a parole i miei sentimenti. Per questo scrivevo sempre tantissimo. Ma avevo imparato a mie spese che non potevo lasciare che tutto si risolvesse grazie a carta e penna. Dovevo imparare a uscire dal mio guscio di inchiostro.

Presi le chiavi della mia macchina, determinata come non mai, feci un bel respiro, come i tuffatori un secondo prima di lanciarsi dal trampolino, e infine dissi: - Andiamo a divertirci. –

Finalmente, quella sera, il mondo avrebbe conosciuto Adele Morris. 

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Capitolo 3
*** 3 ***


Il mondo non avrebbe conosciuto un accidenti di nessuno se continuavo a rifiutarmi di scendere dalla macchina. 
- Addie non fare l'idiota! - 
Veronica sembrava pronta ad uccidermi, e, nella più felice delle ipotesi, a buttarmi giù dall'auto a calci nel sedere. Faceva davvero troppo freddo per stare in minigonna e camicetta. Che fine avevano fatto le care vecchie giacche? E le calze? Okay, non faceva poi così freddo, ma il vento era pungente, e non avevo più così tanta voglia di far vedere al mondo che non ero solo una sfigatissima lettrice accanita.
- Questo non è il mio posto, Vee -
Era così vero che faceva male. Adoravo il mio passatempo, non potevo farne a meno. Vivere centinaia di storie, per quanto fatte di fogli di carta stampata, rendeva le mie giornate più piene ed entusiasmanti, mi permetteva di trasformarmi in qualcuno che altrimenti non sarei mai stata. Ma allo stesso tempo desideravo essere una ragazza come tutte le altre, impegnate a pensare alla prossima malignità da dire riguardo a questa o quella, a mangiare rigorosamente sano e a cambiare ragazzo una settimana sì e l’altra pure.
- Sciocchezze. Per favore, questa sera pensa solo a divertirti – Veronica mi teneva le mani tra le sue – da quando tu e Lance vi siete lasciati non sei più la stessa, Ad –
Cercai di nascondere il mio nervosismo simulando meglio che potevo un sorriso.
- Che dici, sono sempre la solita idiota affetta dalla sindrome del “leggounlibroalgiorno” –
Vee continuava a guardarmi preoccupata, ma alla fine lasciò perdere e tornò a essere deliziosamente stressante ed esagitata come al solito. Mentre eravamo in coda per entrare, non la finiva più di parlare riguardo al nuovo taglio di capelli di Claire, di quanto era diventato figo Kane, delle sue tette troppo grosse, che a detta sua, oltre a non stare mai al loro posto, facevano venire un terribile mal di schiena (le suggerii di farsele togliere e di regalarmele).
Continuava a cambiare discorso circa ogni dieci secondi, e ben presto smisi di prestarle tutta la mia attenzione. Speravo solo che, anche senza bere, la serata passasse in fretta.
- … mi senti? –
Mi resi conto di non aver capito nulla di quello che Vee mi aveva detto negli ultimi quindici minuti, e probabilmente lo capì anche lei, perché mi prese per una spalla e mi voltò verso di lei, per ripetermi che era sicura che Caleb Butler mi stesse tenendo d’occhio da quando eravamo arrivate. Le scoppiai a ridere in faccia, scatenando l’istantanea comparsa del suo broncio, perché quella era una palla bella e buona con la quale sperava di spingermi tra le sue braccia … o peggio.
Trascorse ancora un po’ di tempo così, con tutti accalcati fuori dall’ingresso principale, finché finalmente la fila iniziò a muoversi e, dopo aver mostrato il documento al buttafuori, fummo dentro al locale, che in breve diventò soffocante.
Non entrammo subito in pista. Le luci erano ipnotiche e i bassi tuonavano nelle orecchie. Quando iniziammo a ballare, Vee sembrava perfettamente a suo agio: la musica la possedeva, i fianchi le ondeggiavano a ritmo, ogni suo movimento era flessuoso, sensuale e armonioso, senza risultare volgare. Avrei voluto tanto essere come lei, sprigionare quel potente mix di ferinità e vitalità, che per i ragazzi era come carta moschicida, invece non riuscivo a sciogliermi. Non ballavo male, ma i muscoli non si rilassavano e le mosse erano troppo calcolate. Migliorai quando con Vee ci mettemmo a fare le sceme, ballando assieme.
Mi urlò nell’orecchio: - Guarda che avevo ragione! Caleb ti sta proprio guardando! –
Sorrisi. Mi accorsi di starmi divertendo. Non avevo mai amato la discoteca, ma cominciavo a capire perché piacesse così tanto. Ero libera. E non ero la solita me. Mi muovevo senza preoccuparmi di ciò che facevo, ridevo tanto. Veronica mi guardava con approvazione: la sua missione stava procedendo come voleva ed ero contenta che non ci fossero intoppi. Forse sarei davvero riuscita a far vedere che non ero solo quella che parlava poco e leggeva tanto, che anche io ero normale quanto gli altri. Che potevo essere desiderata.
Mi avvicinai a Vee e per farmi sentire le urlai: - Se hai ragione e Butler sta osservando proprio me, vado da lui –
Per tutta risposta Vee strizzò un occhio, e allora mi voltai.
Era proprio vero. Lo vidi a una ventina di metri da noi, appoggiato a una parete con alcuni suoi amici, e mi stava guardando.
Mi sorrise.
Caleb era il classico bel ragazzo: lineamenti squadrati, bel fisico, capelli biondo scuro e occhi azzurri. Era il principe che tutte le ragazze volevano. E stava guardando me.
Lo osservai, e pian piano incurvai le labbra in un sorriso pericoloso, di cui Vee sarebbe stata assolutamente fiera. Stavo giusto cominciando ad avvicinarmi a lui, quando lo notai.
Lance.


||Ciao ragazzi, spero che la storia vi stia piacendo! Se avete voglia lasciate pure una recensione, mi fareste molto piacere!||

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Capitolo 4
*** 4 ***


Strabuzzai gli occhi.
Lance.
Ero completamente immobile. Una piccola parte del mio cervello si ricordava che ad aspettarmi c’era Caleb Butler; un’altra parte, disgustosamente grande, vedeva solo Lance.
E Lance era completamente appiccicato con ogni centimetro del suo corpo a Victoire. La mia vicina di banco.
Sarebbe stato un dettaglio interessante, se mi fosse ancora importato qualcosa di lui (il che non era). Ormai ero andata oltre, la nostra storia non significava più niente. Allora perché le ginocchia mi tremavano?
Tutto iniziò a diventare più confuso. La musica martellava incessante, la vista iniziava ad annebbiarsi.
- Vai da Caleb, su! – la sua voce mi arrivò ovattata. Dato che mi ero arrestata di punto in bianco in mezzo alla pista, Vee si era di nuovo avvicinata.
Confusa, le dissi – Credo di non sentirmi molto bene, devo avere un capogiro, gli occhi… -
- Stai piangendo? –
- Cosa? No, non sto … - mi passai distrattamente una mano sulla guancia e la sentii umida. Cercai di ricompormi.
Non mi avrebbe rovinato la serata.
Non questa volta.
Non lui.
Senza farmi vedere, piegando un po’ la testa per nascondermi la faccia, cercai di asciugare le lacrime che mi erano scappate.
Avevo trascorso fin troppi giorni pervasa dal dolore e immersa nell’autocommiserazione. Il dolore c’era ancora, ma non era più solo quella fitta lancinante al petto. Si era trasformato, e ora graffiava e ruggiva, come le bestie affamate rinchiuse in gabbia. Ero come una iena, spinta dall’odio e dalla fame.
- Non sto piangendo – dissi più a me stessa che a Vee.
La lasciai lì dove lei mi aveva raggiunta e mi diressi verso Caleb. Non potevo restare a guardare.
Lui si accorse che stavo arrivando e si raddrizzò, rassettandosi la camicia.
Mi arrestai davanti a lui e gli dissi – Ti va di ballare? –
Non rispose nemmeno, mi circondò la vita con un braccio e mi trascinò ancora una volta in mezzo alla calca. Gli misi le braccia al collo e iniziammo a ondeggiare seguendo il pulsare dei bassi. Sembravamo proprio come tanti lì dentro: mi teneva per i fianchi, io cercavo di non stargli troppo lontana e ogni volta che i nostri bacini si sfioravano lui si faceva un po’ più vicino.
Ma non sentivo nulla. Non mi divertivo più.
Caleb mi offrì da bere, e io accettai. Non so nemmeno cosa ordinai. Andammo a sederci al tavolo con i suoi amici, che ridevano, si davano pacche sulle spalle, flirtavano con altre ragazze. Il drink al suo passaggio lasciò una scia di fuoco. Ero seduta sulle gambe di Caleb, e non so come, pian piano ricominciai a divertirmi. Quando mi lamentavo per la sete, prontamente qualcuno mi passava bicchieri d’acqua fresca. Feci due tiri dalla sigaretta di Caleb, stringendo le labbra in maniera allusiva. Lo trascinai nuovamente in pista e, questa volta, volevo solo che mi stringesse più forte. I capelli si erano sciolti, adesso danzavano anche loro. Lui si chinò, avvicinandosi al mio collo, con il pollice mi scostò qualche ciocca di capelli e mi disse qualcosa all’orecchio. Non capii bene cosa, ma non aveva importanza, perché finalmente stavo bene.
Andammo in un angolo dove le luci stroboscopiche non accecavano, mi avvicinò alla parete e appoggiò entrambe le mani sul muro, all’altezza della mia testa. Stavo ancora ridendo quando coprì la mia bocca con la sua. Sentii un vago sentore di tabacco, ma era incredibilmente bravo, e il tocco era morbido. La delicatezza lasciò subito posto alla frenesia. Eravamo entrambi sudati e accaldati, l’aria era rovente, il mio corpo chiuso in una morsa tra il muro dietro e il suo petto davanti. Stava risalendo con una mano su per la coscia, le lingue si esploravano a vicenda, e non c’erano dubbi o domande, perché tutto era perfetto.
Mi prese per il mento, sollevandomi la nuca verso l’alto, e iniziò ad assaggiare il mio collo. Respiravo forte. C’era spazio solo per Caleb e il suo corpo, quando qualcuno lo spinse via con forza e si parò davanti a me. Vedevo solo un una schiena fasciata da una camicia di jeans.
- Torna dai tuoi amici, Butler –
- Ehi, amico, guarda che … -
Si sentì uno schiocco. Non vidi partire il gancio perché era troppo buio, ma il suono dell’impatto contro la mascella si sentì benissimo nonostante il caos.
Caleb imprecò, tenendosi una mano sul mento, e poi si allontanò.
Mi sfuggì un singhiozzo, e sentii risalire su per lo stomaco qualcosa di acido.
Era proprio tipico. Ormai avevo capito che per tutta la vita sarei stata spacciata, perché Lance mi avrebbe tormentata e avrebbe rovinato ogni mio progetto.
Mi piegai in due, con una mano sullo stomaco, e gli vomitai sulle scarpe.
Peggio ancora.
Dopo questa, sicuramente non avrei nemmeno più dovuto preoccuparmi di vivere un altro giorno.

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Capitolo 5
*** 5 ***


Ero ancora acquattata per terra, lo stomaco che gorgogliava pericolosamente, e Lance non si era spostato di mezzo passo. Non volevo rialzarmi. Sicuramente, se lo avessi fatto, Lance avrebbe rotto il silenzio e a me non andava di parlare con lui. Purtroppo, restare lì a terra come un sasso non servì a niente, perché dopo una manciata di minuti che parvero ore, vedendo che non avevo nessuna intenzione di muovermi, Lance si chinò e mi sollevò di peso, rimettendomi in piedi. Non disse nemmeno una parola. Si limitò a cercare Vee, e quando la individuò mi accompagnò da lei, le disse solo “dovresti controllare meglio quello che fa la tua amica”, e si allontanò.
Non sapevo se essere più triste, irritata, delusa o arrabbiata.
E anche solo il fatto che senza fare nulla riuscisse a scatenare in me tutte quelle emozioni mi mandava in bestia.
- Dove accidenti eri finita, Addie!? – Vee era arrabbiata. Mi strinse il polso con la sua mano e non mollò la presa finché non fummo uscite fuori dal locale.
- A divertirmi, come avevi detto tu – biascicai. Ero ancora spossata, singhiozzante. Un altro conato mi rivoltò lo stomaco e dovetti rallentare qualche secondo. Brividi freddi mi scuotevano tutto il corpo e la testa girava, girava, girava …
Camminava a passo di marcia nonostante i dodici centimetri di tacco a spillo, cercare di tenere il suo passo era una tortura. Quando infine si fermò, dopo che ci fummo allontanate diverse decine di metri dall’ingresso della discoteca, mi diede uno scossone. – Ma sei sparita! Dopo che sei andata da Caleb non ti sei più fatta vedere! Hai idea di quanto tempo sia passato? – Non lo sapevo, no. Ma in me si era risvegliata una forza, era scattata una scintilla luminosa come mille stelle, che mi aveva reso bella, attraente, desiderabile. Tutte cose che per Lance non sarei stata. Mai più.
Intanto il vento continuava a soffiare, gelido, facendo rizzare i peli sulle mie braccia. In testa avevo un vero e proprio trapano. Vee non sapeva più cosa dirmi, era così furiosa da aver esaurito le parole, ed era meglio così, perché non sarei stata in grado di ascoltarla un minuto di più. Dovevo tornare a casa, tapparmi nella mia camera al buio per almeno ventiquattro ore e aggiustare quella situazione di merda. Che cosa avevo combinato?
- E poi, probabilmente, saresti ancora là dentro a fare chissà cosa, se Lance non ti avesse trovata e riportata da me! Dio, Addie, lo capisci che mi hai fatta preoccupare? –
Il mio cervello si era inceppato su quel se Lance non ti avesse trovata, e non era riuscito a registrare molto altro. Già, se Lance non mi avesse trovata… Se Lance non mi avesse trovata, adesso non sarei qui a farmi mille problemi e mi starei ancora divertendo. Me la starei spassando con un bellissimo ragazzo. Non mi sarei coperta di ridicolo vomitandogli sulle scarpe. Non starei soffrendo per la sua totale e innegabile indifferenza.
Non ressi più ed esplosi.
- Vaffanculo, Vee –
Lei mi guardò incredula: - Come, scusa? –
- Vaffanculo, Vee, vaffanculo. Cosa non ti è chiaro? – stavo partendo per la tangente. Io e Vee non litigavamo quasi mai. Quando succedeva, il fatto assumeva proporzioni epiche. – Vuoi proprio saperlo, cosa sarebbe successo? Si sarebbe avverato il tuo fottutissimo desiderio di vedermi felice, ecco cosa! Invece no, perché per qualche assurdo motivo o per una strana coincidenza astrale, da mesi a questa parte, tutta la mia vita è un’immensa montagna di merda! – Veronica mi fissava con la bocca spalancata. Continuai, implacabile. – Anzi, no, la causa di tutto questo schifo che ho addosso ha un nome, ed è Lance Storm, il mio ex, non so se hai presente, e … - crollai. Ero esausta, e singhiozzavo, un po’ per Lance, un po’ forse anche per l’alcool. – Ma a me … a me non importa nulla di lui … nulla di … -
Veronica era immobile. Sembrava incredibilmente triste, mentre cercava un modo di riavvicinarsi. – Addie – sospirò, e il suo fiato si condensò nell’aria, come una nuvola di fumo. Tese una mano, tremante, fino a sfiorarmi il braccio, ma subito mi scansai. Cercò di nascondere un singhiozzo, ma non mi importava. Mi sentivo tradita.
Ero bloccata in quel momento. Non potevo riavvolgere il nastro e tornare indietro, ma non riuscivo nemmeno a premere play e andare avanti. Le gambe mi reggevano a malapena, stanche, ma restavo lì, immobile sul ciglio della strada buia, con Vee che stava per mettersi a piangere, poco distanti da quello che fino a qualche minuto prima era stato il luogo della mia rivincita e della mia rinascita. Le auto erano parcheggiate lungo entrambi i cigli della strada, come lunghi serpenti striscianti. La nostra doveva trovarsi nella direzione opposta a quella verso cui ci eravamo spostate per discutere. Stremata sia per il dolore alle gambe che per il litigio, e per la serata in generale, un po’ traballante e con una lentezza esasperante, mi avviai di nuovo nella direzione del locale, e potevo sentire Vee che, senza dire nulla, si trascinava alla mie spalle. Credevo di aver intravisto l’auto, quando lui varcò la soglia della discoteca e uscì all’aria aperta, i capelli una chiazza scura e scompigliata che si confondeva con le ombre. Ci notò subito. E io smisi di respirare.
Dopo quella che parve un’ora, ma che in realtà fu solo una manciata di secondi, avanzò di mezzo passo verso di noi. Verso me. Per la prima volta nella mia vita, sentivo il bisogno di scappare da Vee, che si stava avvicinando alle mie spalle. Per la seconda volta nella serata, mi sentivo ingabbiata, chiusa in una morsa troppo stretta, tra lei e Lance. Per la terza volta in un’ora, avevo il bisogno impellente di vomitare, ma mi trattenni. Stavo anche per dire il quarto vaffanculo in dieci minuti, un record per i miei standard.
Non sapevo come fuggire, non trovavo una via di fuga.
- Addie … - mugolò Vee, sempre più vicina, supplicante.
- Adele – la sua voce.
Adele, Adele, Adele
Il mio campo visivo fu attraversato da una forte luce bianca, le orecchie invase dal rumore sordo di un motore sotto sforzo.
Giunse in un attimo, dal nulla della notte, silenzioso come un predatore. Potevo sentire i ruggiti, potenti, forti, in qualche modo rassicuranti.
Adele, Adele, Adele ...
La testa. Oh, la testa, come fischiava. Da quando tutto girava? Perché Lance era a solo pochi metri da me? La luce bianca lo avvolgeva da dietro, sembrava quasi un negativo fotografico. Articolò qualcosa con la bocca, ma il suono si perse nel rombo che accompagnava la luce.
Adele, Adele, Adele
Sentivo il mio nome, detto da lui, che risuonava all’infinito, al ritmo dei battiti del mio cuore. Lance era proprio così: luce e suoni. Bianco splendente e ruggiti vigorosi. Un felino, bello e pericoloso. Molto pericoloso. Mi ero avvicinata troppo e mi ero già fatta male una volta. Adesso eravamo troppo vicini e non volevo ripetere l’esperienza.
- ADELE!!! – Questa volta la sua voce risuonò nitidissima, un faro sulla nera distesa del mare.
E di colpo eccola lì. C’era solo una via di fuga possibile, e io dovevo mettermi in salvo.
Lance scattò in avanti.
Vee urlò.
Ci fu lo squillo di un clacson, uno stridore di freni, e poi più nulla.

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Capitolo 6
*** 6 ***


Da piccola osservavo sempre con grande curiosità gli uccelli, che sfidavano la gravità in un modo del tutto semplice eppure per me incredibile. I loro volteggi nel cielo, che animavano danze improvvise e sconosciute, ma ipnotiche, erano del tutto simili a come mi sentivo io in quel momento. Una piccola particella impazzita, che girava, girava, girava. Sembrava dovessi fare quei movimenti spasmodici e irregolari per sempre, come se avessi un’infinita riserva di energia. Il tempo, se c’era, scorreva silenzioso, senza lasciare tracce del suo lento e continuo incedere. Ero del tutto inconsistente. Fino a quando tutto era rimasto avvolto dall’oscurità, mi sentivo più leggera della brezza che al mattino scuote gli alberi.
Poi, di colpo, il buio si crepò.
***
Il fuoco dell’alcol che avevo bevuto era piacevole. Quello che in quel momento mi pervadeva, invece, era un costante tormento che infuriava nel mio corpo, anche se sentivo che fuori da me faceva freddo.
- Stanno arrivando – mi avvisò qualcuno, ma non capivo chi. Lo sentii di nuovo, più urgente e vicino – Stanno arrivando! – e questa volta compresi che doveva essere Lance.
***
Non avevo idea di dove mi trovassi. Sembrava una gigantesca festa di carnevale, con mille colori e suoni che si rincorrevano fondendosi tra loro. Ciò che era sconvolgente era il fatto che sembrasse una festa privata, fatta esclusivamente per me. Infatti ero sola in mezzo a quel caos, senza sapere bene cosa fare, dato che non avevo nessuno con cui parlare che potesse spiegarmi cosa stava succedendo.
Non appena queste considerazione iniziarono a sfiorarmi la mente, sentii un tocco leggero sulla spalla e per la sorpresa sobbalzai. Mi voltai di scatto per vedere che a darmi quel colpetto era stato niente meno che un uomo sulla quarantina, il quale subito mi rivolse un sorriso smagliante.
Notai che era vestito in un modo stranamente formale, per trovarsi a una festa di carnevale, e che era l’unica cosa (ehm, beh, forse sarebbe più corretto dire forma di vita, oltre a me, ovviamente) nera in quella specie di quadro variopinto.
Avevo un sacco di domande da fargli. Ma mentre stavo per aprire bocca e chiedergli che razza di posto era quello, tutto ciò che avevo davanti svanì in soffici volute di fumo.
***
Dentro. Fuori. Dentro. Fuori.
Prendere il respiro faceva male come mille coltelli puntati nella schiena. Eppure continuavo a farlo ritmicamente, come le onde del mare quando divorano la costa.
Avevo la vaga impressione di trovarmi su qualcosa di duro e bianco.
- Sala di rianimazione, il paziente respira ma il cuore è vicino al collasso –
Chiazze verdi e bianche passarono attraverso le mie palpebre socchiuse.
Poi di nuovo il nulla.
***
Ero tornata esattamente nel punto in cui l’uomo mi era apparso. Lui mi stava aspettando in piedi, con le braccia conserte, e quando mi vide sembrò essere contento.
- Oh, eccoti qui finalmente, mia giovane amica – esordì lui in tono confidenziale – sai, cominciavo a pensare che non saresti tornata –
Tutte le domande che poco prima volevo fargli mi si seccarono in gola, non sapevo più che cosa pensare.
- Scusami, sono proprio un maleducato. Faizah, porta alla nostra giovane ospite tutto ciò che le serve per essere a proprio agio –. Subito una donna, anche lei dell’età dell’uomo, di una bellezza inusuale e dalla pelle color caffè, fece una piccola riverenza e obbedì all’uomo – Sarà fatto subito, Iblis – e si allontanò fino a svanire in una chiazza di colore verde scuro.
Allora Iblis, l’uomo, tornò a concedermi la sua attenzione, mentre passeggiando avanzava in quello strano posto. Lo seguii.
Percorremmo un corridoio dalle molte tonalità del blu e del verde, dove poco prima era sparita la donna di nome Faizah. Tutto era perfettamente liscio e disadorno, ma non c’era bisogno di nient’altro, tutti quei colori insieme bastavano a riempire e a rendere soffocanti gli spazi. Giungemmo in una stanza maestosa, l’unica a tinta unita, dalle pareti e i pavimenti rossi, arredata con mobili semplici e moderni, in legno nero e ossidiana. Iblis si sedette su un voluminoso divano di pelle (nero pure lui) e mi fece cenno di andargli vicino per sedermi accanto a lui. Proprio in quel momento ritornò Faizah, con due morbidi cuscini bianchi ricamati e un carrellino con un servizio da tè in porcellana bianca. – Lo sai cosa penso del bianco, mia cara Faizah – disse Iblis con la sua voce melodiosa. Celava forse dell’irritazione? Faizah non lo calcolò nemmeno e versò il tè per ciascuno in una tazza. – Sempre così impertinente – sbuffò allora Iblis, mettendo su un broncio davvero poco adatto per un uomo della sua età.
Presi qualche sorso del tè nero che mi era stato offerto, e infine mi decisi a rompere il mio silenzio, seppur con titubanza.
- Ehm, signore, devo essere un po’ confusa, sa, ieri ho bevuto qualche bicchiere, e credo di non capire bene dove mi trovo. E’ stato molto gentile per la sua ospitalità, ma credo proprio di dover tornare a casa –
Lo guardai, e qualcosa nei suoi occhi, scuri come due pozze di petrolio, prese a scintillare. Gli angoli della sua bocca si sollevarono all’insù fino a che non scoppiò in una fragorosa risata sguaiata.
- Faizah, forse sto invecchiando AHAHAH perché non sono sicuro di aver sentito bene! AHAHAH – Iblis rideva così forte da avere gli occhi strizzati a formare tante piccole rughe e intanto sbatteva un pugno sul carrellino, facendo traballare le tazza e la teiera che ancora vi erano sopra.
Faizah sollevò gli occhi al cielo e bofonchiò tra se qualcosa con tono scocciato che suonava vagamente come un tutte le volte la stessa storia, poi si rivolse a me, e con un sorriso di scuse disse: - Ora io ti dirò di non spaventarti, di stare calma, e che questa è una cosa perfettamente normale. –
Continuavo a guardarla senza capire. Così, senza tanti giri di parole, Faizah esclamò: - E va bene! Smetto di tenerti sulle spine. Stai morendo, okay? –
***
Venni bruscamente risucchiata alla realtà ancora una volta. E ricordai perfettamente quello che avevo fatto.
Tutto intorno a me era un caos di chirurgi e assistenti, che si abbaiavano ordini l’uno con l’altro, si passavano strumenti, e si accanivano su un corpo a cui ormai restava ben poco tempo su questo mondo. Il mio.
Avevo stupidamente pensato che per risolvere i miei problemi sarebbe semplicemente bastato passare oltre. Ora che il mio cuore si appesantiva e faticava sempre di più a battere capivo quanto mi ero sbagliata. L’aria sembrava solida, entrava a fatica nei polmoni. Tutto quanto formicolava in modo doloroso.
- Perde troppo sangue! – diceva qualcuno
- Si ricorre subito a una trasfusione, adesso! – impartì un altro.
- No, no, la stiamo perdendo. Defibrillatore! –
Feci la conta con lui.
Uno. Due. Tre.
Mi aspettavo del dolore qualcosa, ma non pensavo di non provare nulla. Provarono altre due volte.
E capii che avevo finito il mio tempo. Così, senza un ultimo sguardo a tutto ciò che aveva fatto parte della mia vita e che mi stavo lasciando dietro, immaginai che mi stessi per addormentare nel silenzio di camera mia, con un libro abbandonato sulla pancia e le coperte ammassate al fondo del letto.

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Capitolo 7
*** 7 ***


La morte aveva davvero un suono rassicurante. Mi ero sempre immaginata cose come anime luccicanti che vagavano nel cielo, o fiamme infernali che avviluppavano i disobbedienti, invece era semplicemente un mondo di velluto nero, dove il dolce frusciare delle pagine di un libro si ripeteva ritmicamente e senza sosta. Se mi concentravo più a fondo potevo quasi sentirne l’odore, una fragranza a metà tra carta e polvere, potevo immaginare i minuscoli granelli di quest’ultima volteggiare placidi nell’aria intorno a una pagina appena voltata, potevo sentire la ruvida consistenza della carta.
- Oh, sono tutte sciocchezze queste! –
Spalancai gli occhi.
- Oh, tesoro, finalmente ti sei risvegliata! – esclamò Faizah.
Vidi che ero sdraiata in un letto a baldacchino in una stanza molto ampia, con alti soffitti a volta, le pareti coperte con carta da parati rossa e pesanti tende bordeaux appese a ganci in ottone vicino a finte decorazioni che riproducevano grossi finestroni aperti su un paesaggio lacustre. Lei invece era comodamente seduta su una poltrona rivestita di velluto color cremisi, e teneva una copia della Divina Commedia di Dante in grembo. Sembrava che in quel posto avessero una particolare fissa per il rosso.
Poi realizzai.
Non ero morta.
Almeno, Faizah mi sembrava del tutto viva quindi …
Feci per porle i miei dubbi ma lei mi anticipò. – Non sei stupita? Oh, piccola Adele, hai fatto una cosa pazzesca! Saresti dovuta morire, e invece … – ridacchiò, sollevando il libro con la mano destra, tenendone il segno con il pollice, e sventolando le braccia come a voler dire et voilà.
- Comunque, ciò che conta è che era da tanto tempo che non vedevo Iblis così furioso – continuò sedendosi nuovamente, con un ghigno a storcerle la bocca carnosa. I suoi occhi, neri e luccicanti come diamanti, bruciavano come due tizzoni ardenti, sprizzando scintille. – Nemmeno quando gli disobbedisco io si infuria tanto – sorrise apertamente, mostrando un perfetta fila di denti bianchissimi e proporzionati, tante piccole perle splendenti grazie al contrasto con la pelle scura. Si scostò le ciocche di capelli che le ricadevano davanti al viso, lisce e dalle sfumature ambrate, con un pigro gesto di una mano. – Mi auguro solo che la tua fortuna continui, è davvero uno spettacolo vedere Iblis infuriato – e fece nuovamente quella sua risata soddisfatta.
Io ero rimasta lì, paralizzata nel letto, a osservare a fasi alterne prima lei e poi il libro, e viceversa. Non ero morta. Non ero morta dopo essermi volontariamente buttata sotto un’auto! Il mio cuore palpitava come un piccolo uccellino spaventato, come se avesse dovuto recuperare tutti i battiti che aveva rischiato di perdere. All’improvviso tutta quell’aria che mi circondava e che entrava e usciva dal mio corpo, il sangue che scorreva caldo nelle vene, non mi sembravano più cose così scontate. Ci ero andata davvero vicinissima.
Dopo aver superato lo stupore iniziale, però, vennero a galla tutti i miei dubbi. Dov’ero? Perché non ero morta? Vee stava bene? Era con Lance? Chi erano Iblis e Faizah? Non feci nessuna di queste domande, tenendole per me. Mi concentrai invece sull’unico particolare chiaro e concreto al quale ero riuscita ad aggrapparmi. 
- Leggi la Divina Commedia? – chiesi a Faizah, sinceramente incuriosita.
Lei sembrò ricordarsi solo in quel momento del libro che teneva in mano. – Oh, si. Ma si può sapere chi si credeva di essere questo Dante? Di sicuro un uomo con un nome e un intento a dir poco pretenziosi … per non parlare del naso, poi – alzò gli occhi al cielo.
- Credeva davvero negli insegnamenti che voleva trasmettere con la sua opera, era un uomo forte e riponeva la propria fiducia nella giustizia divina –
- Come vuoi Adele, come vuoi, ma questo non lo ha mai autorizzato a inventarsi le cose o a ometterne delle altre – mi disse lei in tono grave.
- Che vuoi dire? – le domandai – la Commedia è solo un’opera come tante altre, corrisponde a una determinata ideologia consolidata in quei tempi e … -
- Non intendo giustificarlo! - esclamò Faizah con foga. Poi si ricompose. – Senti Adele, io tifo per te fino a quando darai problemi a Iblis, ma se ti dico ancora qualcosa poi lui darà dei problemi a me. Ora rimettiti a dormire. Sei la prima persona che se la scampa così, e immagino che hai bisogno di molto riposo per ristabilirti del tutto. – Si alzò dalla sua poltrona e quando stava per uscire dalla porta si fermò, voltandosi di nuovo a guardarmi. Poi sparì.
Mi allungai sotto le coperte, sentendo con piacere ogni fibra del mio corpo, indolenzito ma ancora lì. Poi mi ricordai dei miei interrogativi e la momentanea felicità svanì. Dovevo capire al più presto dove mi trovassi e andarmene via. Iblis non sembrava l’unico con qualche rotella fuori posto, lì dentro.
***
Dovevo essermi nuovamente addormentata perché il cuscino stava quasi per cadere dal materasso e io ero una specie di involtino di coperte. La porta della stanza era socchiusa e da fuori provenivano, anche se attutite, due voci concitate. Mi alzai in punta di piedi per avvicinarmi senza farmi sentire e tentai di vedere oltre il piccolo spiraglio lasciato aperto. Tutto quello che vedevo erano un braccio e una gamba fasciati in uno smoking nero e delle scarpe sempre nere tirate a lucido.
- Non so come sia potuto succedere, lo giuro! – disse una delle due voci. Il tono disperato con cui lo disse mi fece contrarre il cuore in una morsa. – Non volevo deluderti, credimi, non volevo! –
- Non so cosa farmene del tuo patetico rimorso! Adesso sa, e questo potrebbe cambiare tutto. Ah, ma mi verrà in mente qualcosa … - la seconda voce apparteneva a Iblis. Era lui che riuscivo a intravedere.
Le sue parole mi causarono un brivido lungo la schiena, ma mantenni la mia posizione senza fare un rumore. Era troppo importante cercare di capire qualcosa in più e tutto quanto riuscivo ad apprendere mi sarebbe sicuramente servito d’aiuto per scappare da quella casa assurda. Infatti la mia priorità era diventata proprio quella: scappare. E’ vero che non mi era stato fatto nulla di male. Perlomeno non al momento. Ma Iblis aveva qualcosa di strano, e Faizah non sembrava da meno, con i suoi sbalzi d’umore.
La voce che non conoscevo, e che apparteneva a un altro uomo che però non riuscivo a individuare, proseguì: - Come … come pensi di agire adesso? –
Per dieci secondi buoni Iblis non rispose. Il mio respiro iniziò a farsi più affannoso a mano a mano che i secondi passavano e la risposta tardava ad arrivare, perché sapevo, sentivo, che stavano parlando di me. Di cosa farmi. Cercai di mantenere il controllo. Poi lui rispose.
- Per ora è una sorpresa. Non sei sempre stato tu a dirmi che sono una persona monotona? – dal suo tono si capiva che era compiaciuto. – Dov’è Faizah quando serve? Che possa bruciare se sta di nuovo leggendo quello stupido libro –
- Non sto leggendo il mio stupido libro, caro – esordì Faizah all’improvviso. Doveva essere arrivata anche lei davanti alla porta ma dallo spiraglio riuscivo sempre a vedere soltanto Iblis – E comunque è maleducazione discutere davanti alla camera dell’ospite, con le vostre chiacchiere amichevoli si sarà sicuramente svegliata. –
Inspirai bruscamente e questo mi fece barcollare, mandandomi con il sedere per terra. Addio al mio proposito di passare inosservata. Velocemente mi rialzai in piedi e mi lanciai sul letto, proprio mentre la porta si apriva rivelando Iblis in tutta la sua statura. Faizah stava dando un veloce buffetto sulla guancia all’altro uomo, che subito scomparve nel corridoio che dava sulla mia camera, colorato sui toni dell’arancio e dell’azzurro.
- Stavi origliando, Adele? – esordì Iblis con il suo sguardo severo. Le sopracciglia folte e il taglio a spazzola dei suoi capelli neri come l’inchiostro contribuivano solo a renderlo più minaccioso. Stavo per squittire che no, non stavo assolutamente origliando, quando Faizah si intromise, salvandomi da quello che probabilmente sarebbe stato un penoso tentativo di salvarmi la pelle.
- Iblis, su, pensi sempre male delle persone. Cosa mai ti ha fatto questa povera fanciulla? Non vedi come la stai spaventando? Su, su, non piangere Adele. Ecco sei contento adesso? Guardala, non riesce nemmeno più a parlare, sei proprio un mostro, Iblis, sono anni che siamo assieme e ancora non sei riuscito a imparare le buone maniere. Oh, ma che splendido panorama da queste finestre! Dalla nostra stanza non si vedono altro che rocce. Lo so che è finto, sì, ma che vuoi farci? E’ deprimente, sono anni che ti dico che c’è bisogno di qualche ritocco qua e là, ma quando mai mi hai dato retta? –
Sembrava un fiume in piena che continuava a sbrodolare ondate di parole su parole, senza un filo logico e senza più fermarsi.
- Guarda, sono quasi le cinque, mentre vado a preparare un bel tè, fai fare un giro per la casa alla nostra Adele e dille dove ci troviamo – Si coprì la bocca con le mani per nascondere un sorriso e uscì in fretta dalla stanza.
Iblis, che la aveva guardata per tutto il tempo con la bocca spalancata, adesso stava assumendo una forte sfumatura violacea che mostrava quanto la sua colera stesse divampando silenziosa e fosse sul punto di esplodere.
- Ti do trenta secondi per metterti qualcosa – mi disse, e si sbattè la porta alle spalle. Sprecai cinque secondi a fissare imbambolata l’uscio, poi aprii l’armadio appoggiato alla parete sulla destra del letto. Rimasi stupida dalla valanga di indumenti bianchi che vi erano al suo interno, ma non avendo tempo presi la prima vestaglia che mi capitò sotto mano e la misi sopra al pigiama che doveva avermi messo Faizah quando mi ero addormentata.
Una volta raggiunto Iblis, lui mi squadrò con disapprovazione. – Non potevi proprio metterti qualcos’altro, no? –
- Non c’erano vestiti di altri colori, signore – sussurrai. Lasciai che la fiamma indomita dietro i suoi occhi si calmasse senza dire niente e mi limitai a seguirlo.
Scoprii che la casa aveva innumerevoli corridoi variopinti e ognuno di essi portava all’accesso di decine di stanze, tutte ampie, rigorosamente pitturate di rosso e alte come case di due piani. Il tutto sembrava trovarsi sullo stesso livello, ma anche se continuavamo a spostarci non vidi mai una porta d’ingresso.
- Signore, Iblis … come mai questi corridoi sono così colorati? – ogni parete, ogni pavimento, ogni centimetro di tutti i soffitti era come una tela schizzata da innumerevoli pennelli, e soltanto le stanze erano rosse.
- Ecco Adele, questa è una questione che ti riguarda. Vedi, saresti dovuta morire, ma per sfortunate circostanze questo non è successo. Tuttavia non sei ancora del tutto sveglia. –
Sorvolai su quel sfortunate, fingendo che fosse stato un errore di pronuncia, e mi concentrai sul resto: - in che senso non sono sveglia? –
- Pensi forse che ci si possa buttare sotto una macchina e risvegliarsi senza un graffio? Che magicamente, puf, ecco sparire tutto il male e la sofferenza? – mi incalzò lui – No, le cose sono più complicate. Tu stai sognando. –
- Impossibile – replicai subito – Capisco sempre quando sogno –
- Ah, ma è questo il bello. Questo non è un sogno come gli altri. Concentrati meglio su quei ghirigori incomprensibili che sono là davanti. – Mi indicò un punto di una parete a tre metri di distanza, dove verde, ocra e blu si fondevano tra loro. Non mi ero mai soffermata troppo ad analizzare i giochi sui muri perché quella confusione mi faceva venire la nausea e mal di testa. All’inizio i colori sembravano vorticare, poi andarono a formare figure più precise, dai contorni più netti.
- Ma quella è la spiaggia di casa! – esclamai.
Iblis battè una volta le mani, compiaciuto. – Ottimo, ottimo. Ora, tutto questo pasticcio che hai combinato sulla tappezzeria della mia casa sono i tuoi ricordi, smembrati e dispersi. Tu qua puoi vedere, sentire, fare tutte le cose che potevi fare quando eri viva –
- Hai detto quando ero viva –
- Non preoccuparti di questo. La sei ancora – sbuffò lui spazientito – Solo che non sei esattamente cosciente. Sei in coma. –
La verità di ciò che mi disse mi piombò addosso di colpo. Era impossibile riprendersi da un incidente come il mio. Sarei addirittura dovuta morire.
- Ma, allora – sussurrai – potrei anche non svegliarmi più. Però ancora non capisco. Che posto è questo, se sto sognando? –
- Questo è il posto dove finiscono tutti quelli che come te stanno per morire. Se fossi morta i tuoi ricordi sarebbero stati dispersi del tutto per lasciare la tua anima libera di ricominciare. Ma non sei morta, quindi hai lasciato questo bel casino da ripulire – disse Iblis in tono noncurante, stuzzicandosi un’unghia.
- Posso risvegliarmi? – gli domandai. E in quel momento compresi che lui aveva la risposta. Era un uomo strano, ma aveva smesso di farmi paura durante il tempo trascorso a scoprire tutti gli angoli e i recessi della sua abitazione. Perciò, anche se non lo conoscevo affatto e sembrava più un’allucinazione che una persona reale, decisi di fidarmi della sua risposta. Poteva essere l’unico modo per andarmene da lì.
- Certo – si limitò a rispondermi.
- Come? –
- E’ molto semplice. Devi riappropriarti di ogni tuo ricordo. -

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Capitolo 8
*** 8 ***


Dopo la conversazione con Iblis ero stata fatta riaccompagnare nella mia stanza ed ero rimasta lì ad aspettare, immobile, senza pensare. Nessuno mi disturbò, nemmeno Faizah.
Solo dopo quelle che mi parvero ore, riflettei su quello che mi aveva detto Iblis. Devi riappropriarti di ogni tuo ricordo. Non mi sembrava una cosa così difficile. Iniziai a concentrarmi. Mi chiamavo Adele Morrison. No, Morris, mi corressi. Avevo diciotto anni. Chiusi gli occhi per focalizzarmi meglio sui miei pensieri. Improvvisamente mi venne un attacco di panico. Cosa mi stava succedendo? Ricordavo qualche nome, degli squarci di paesaggi, nulla di più. Ma cosa erano per me? No, non poteva essere vero. Non potevo essere a conoscenza solo del mio nome e della mia età. Cercai di tranquillizzarmi, di fissare lo sguardo su un punto preciso della parete di fronte a me, in modo tale da riacquistare il controllo sulla mia mente, ma tutto quel rosso mi faceva venire in mente solo il sangue.
Sangue …
Era così affascinante quella parola, così calda, intima, si scioglieva in bocca. Cos’era il sangue? Questo riuscivo ancora a ricordarlo. Iniziai a rovistare nell’armadio e nei cassetti, nel bagno annesso alla stanza, e infine trovai ciò che cercavo. Andai a risedermi su un angolo del mio letto, studiando con attenzione il piccolo pugnale lucente, con l’impugnatura di ossidiana nera tempestata di minuscoli e preziosi rubini, che tenevo in mano. Feci delicatamente scorrere il polpastrello del pollice della mano destra sulla lama affilata, fermandomi sulla punta. Feci lievemente pressione e, dove il pugnale mi punse, sgorgò una singola e scura goccia di sangue scarlatto, che sbocciò come il germoglio di una rosa. Il suo colore ricco e vellutato aveva acceso in me il bisogno di averne ancora. Appoggiai il pugnale di piatto su uno dei miei avambracci, lo inclinai appena, disegnando una striscia rossa che pian piano fioriva dalla mia pelle, dritta, netta, precisa. Provare quel dolore pungente mi faceva sentire normale.
Presa com’ero, non avevo sentito che qualcuno mi aveva raggiunta.
Avvertii la sua presenza solo quando mi arrivò così vicino che se avesse allungato il braccio mi avrebbe toccato la spalla.
Mi voltai di scatto, tenendo il pugnale saldo nella mano, sapendo bene che era l’unica cosa che poteva ancora tenerci separati.
La sua figura sembrava tremolare, come lo schermo di un televisore male sintonizzato, ma potevo comunque distinguerlo chiaramente. Quello che avevo di fronte era un ragazzo alto e castano. E decisamente bello. Incredibilmente bello. Egregiamente bello. Avevo ancora molti altri avverbi da aggiungere alla parola bello, ma pensai che forse era meglio lasciar perdere le mie divagazioni. Il taglio dei capelli doveva avere qualche mese, perché erano di quella lunghezza che era impossibile da domare, con ciocche che cadevano ribelli sulla fronte o sparavano dritte in aria. Il viso aveva tratti spigolosi, alternati alle curve più morbide delle labbra e delle sopracciglia. La carnagione era chiara. E gli occhi erano del colore dell’ambra, e in quel momento mi fissavano, come se spostando lo sguardo non avesse più potuto riportarlo su di me. Durò tutto non più di qualche secondo, poi il ragazzo arretrò di qualche passo e io iniziai ad abbassare il pugnale. Però continuava a guardarmi con insistenza, quasi maleducazione, e il suo sguardo mi bruciava, mi passava da parte a parte, come se avesse potuto vedermi dentro. Non riuscivo a sostenerlo e abbassai il mio. Eravamo bloccati come un nastro in pausa. Inceppati come uno stereo rotto. Quando risollevai gli occhi sussultai lievemente, cercando di trattenermi per non far trapelare tutto il mio sgomento: lui era piegato davanti a me, il viso all’altezza del mio, distante soltanto pochi respiri, e nonostante ciò non avevo avvertito il suo spostamento. Un attimo prima era a diversi passi da me, quello dopo era così vicino che se avessi piegato la testa in avanti le nostre fronti si sarebbero toccate. Sentivo il pugnale ormai inutile nella mia mano. Eravamo troppo vicini, e tutto quello che volevo era aumentare la distanza tra noi. Il mio istinto mi urlava di scappare, di ritrarmi il più possibile, ma c’era qualcosa che me lo impediva. I nostri occhi intrecciati erano più solidi di due ceppi di ferro. Poi abbassai lo sguardo sulle sue labbra piene, rosse e carnose, ricche di mute promesse, e se prima avevo avuto il desiderio di allontanarmi, ora l’unica cosa che sentivo era che se non avessi posato le mie labbra sulle sue non avrei potuto farlo mai più. Il mio corpo tremava sotto il peso di quella strana ma assoluta consapevolezza. Così, senza ragionare, allentai la presa sul pugnale, che cadde tintinnando sul pavimento, e allungai le mie braccia per aggrapparmi al misterioso ragazzo che avevo davanti, che sembrava risucchiato in quella situazione tanto quanto me. Ci separava solo qualche soffio d’aria, ma improvvisamente lui s’irrigidì. Qualcosa era scattato, e balzò in piedi in un istante, per poi avvicinarsi subito alla porta. Non c’era mai stata distanza più incolmabile. Aveva uno sguardo quasi spaventato, a tratti disgustato, un misto di confusione e repulsione, anche se non capivo verso cosa. Restò diversi secondi a fissare la porta, dandomi la schiena. Non pensavo che si sarebbe voltato.
Mi sbagliavo.
- Adele – soffiò, lanciandomi un’occhiata in tralice.
Il mio cuore perse un battito. Non era possibile. Io non conoscevo quel ragazzo. Eppure tutto dentro di me sembrava voler affermare il contrario. Ma nonostante questo, cercai di non pensarci. Dopotutto, avevo quasi dimenticato il mio stesso nome e chissà cos’altro. Non c’era motivo di sentirmi in paranoia perché pensavo di aver riconosciuto la sua voce.
- Io … - volevo capire chi era, ma le parole non volevano uscire, erano incastrate in gola.
I suoi occhi lampeggiarono, come un avvertimento. E, in quel secondo in cui lui mi guardò prima di uscire dalla stanza, vidi che le iridi non erano più dorate, ma rosse, come la linea di sangue ormai secco sul mio braccio.

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Capitolo 9
*** 9 ***


Due pugni forti aggredirono la porta della mia camera.
- Adele, dobbiamo cominciare la tua preparazione! –
Dopo che il misterioso e affascinante ragazzo mi aveva fatto visita poco prima, avevo trascorso il mio tempo ripetendo all’infinito il mio nome, come se smettere di pensarci per qualche secondo avesse potuto farmelo dimenticare. Soprattutto dopo essere stata con quel ragazzo, che aveva scombussolato ogni cosa in cinque minuti.
Iblis era finalmente arrivato a prendermi e io non avevo nemmeno qualche secondo da perdere. Più il tempo scorreva, più mi sentivo come una gomma bucata che perde tutta l’aria che la tiene gonfia: io stavo perdendo tutti i miei ricordi, però.
Così mi misi in fretta in piedi e varcai la soglia della stanza con grande piacere, aspettandomi tutto il meglio da quel momento in poi, ma quando andai da Iblis lui non era solo.
- Tu! – esclamai, sorpresa. Era lo stesso ragazzo che si era introdotto nella mia camera.
Che si era introdotto come un dannatissimo psicopatico, che cavolo!
Teneva noncurante lo sguardo rivolto verso il basso. Quando sollevò il mento, mi diede appena un’occhiata e con fare annoiato disse: - per caso ci conosciamo? –
Ero incredula.
- Mi stai davvero chiedendo questo? – risposi, iniziando ad alterarmi – Sei entrato in camera mia! Eri a tanto così! – urlai, avvicinandomi a lui, gli occhi stretti a due fessure, per fargli capire che non stavo scherzando. Questa volta la vicinanza dei nostri corpi non stava scatenando una serie di reazioni incomprensibili, per fortuna. C’era solo il ghiaccio della mia voce.
- Non è vero – replicò lui, scandendo bene ogni parola, con una fermezza tale da farmi dubitare delle mie convinzioni
A denti stretti digrignai: - Ti dico che eri in camera mia. –
Lui scambiò un rapido sguardo con Iblis, così veloce che se me lo fossi perso non me ne sarei mai accorta.
- Su, Luc – intervenne Iblis, con il suo tono diplomatico ma autoritario – non tormentare la nostra ospite, dopotutto stava per morire. Ah, che schifo, questa gentilezza … non parlarne con tua madre, potrebbe pensare di avere il diritto di darmi ancora più tormento del solito – e sputò per terra.
- Tua ..? – Dio mio non potevo perdermi mezzo secondo in quel posto, si scoprivano cose nuove e assolutamente spiazzanti più o meno in continuazione. Comunque non riuscii a finire la mia esclamazione, perché Luc, che ora sapevo essere il figlio di Iblis e Faizah, disse: - Forse sta solo perdendo la testa, papà. – la freddezza nella sua voce era più spaventosa della rabbia di Iblis – Forse ha allucinazioni – calcò per bene l’ultima parola, riempiendola di veleno. E nel pronunciare queste parole mi conficcò gli occhi addosso, come fossero due chiodi.
Non resistetti alla rabbia cieca che si impossessò di me, e gli tirai uno schiaffo in faccia. Alleggiò il silenzio per un secondo, con l’eco della mia mano sul suo volto che si disperdeva nel corridoio. Riportò il volto, che si era girato per la forza dell’impatto, verso di me, e con la sua mano enorme strinse il mio polso. Faceva male, e iniziavo ad avere paura. Mi stavo quasi dimenticando di Iblis, ma lo intravidi con la coda dell’occhio e iniziai ad andare nel panico al pensiero che suo figlio fosse un violento mostro e che lui non avesse intenzione di fermarlo.
- Ti prego … ti prego, io … - singhiozzai.
Ma lui continuò a stringere e a tagliarmi con i suoi occhi. Che, notai in quel momento, non erano né dorati né rossi. Ma che stava succedendo? Erano neri come due pozze di petrolio, neri proprio come quelli di suo padre. Trasalii, perché per me essere perseguitata, maltrattata, e incontrare persone con gli occhi cangianti, in una sola giornata era troppo.
Avevo quasi le lacrime agli occhi e stavo per tirare su con il naso, e Luc finalmente si decise a lasciarmi andare con uno scrollone.
- Non. Riprovarci. – ringhiò, lo sguardo omicida.
Collocai mentalmente il nome di Luc nella colonna del mio taccuino mentale che stava sotto la voce di “pazzi psicopatici”. Non potei fare a meno di notare con soddisfazione che sulla guancia aveva un bel segno rosso.
Gli feci una smorfia e con la mano sinistra, quella che non aveva quasi rischiato di staccarmi dal braccio, gli feci il dito medio.
Come sempre il mio istinto di autoconservazione non valeva un accidenti. Luc avvampò, accendendosi di rabbia, e suo padre fece appena in tempo a trattenerlo per la spalla prima che potesse scagliarsi su di me e distruggermi in tanti piccoli bocconcini di Adele.
- Ti uccido! – sbraitò furioso – Giuro che ti uccido! –
- Ora basta. – Iblis era minaccioso come non mai. Non che a Luc sembrasse importare.
In mezzo a tutta quella confusione di urla e mani che volavano, giunse Faizah, tutta avvolta nei sui vestiti bianchissimi, e con l’aria di essere molto turbata per qualcuno o qualcosa.
- Oh, no, la mia donna è arrivata! – disse piano Iblis – Mio bellissimo diamante! – esordì invece ad alta voce.
- Risparmia le carinerie, ti ho sentito, e anche bene. Non sono mica vecchia! – rispose a tono Faizah, alzando gli occhi al cielo. – Nonostante la mia pelle sia scura e cotta dal sole. E vorrei ricordarti che questa è solo colpa tua. –
Secondo me Faizah era bellissima, ma quanto aveva detto era inquietante. Colpa di Iblis?
- Ma non sono qui per questo – disse, tornando seria e triste – Shay non sta bene, ha un’altra delle sue crisi e non so come placarla. Sembra soffrire così tanto …  -
Luc si calmò immediatamente, ora vigile e attento, e Iblis si rivolse a sua moglie.
- Quanto? – chiese soltanto.
- Va sempre peggio Iblis … se continua così non avrà più molto tempo. –
Gli occhi di Faizah erano lucidi, ma non si lasciò sfuggire nemmeno una lacrima. Rimase silenziosa, con noi tre che la guardavamo preoccupati, io in particolare, perché, nonostante avesse un figlio e un marito, quella donna mi sembrava così sola che stavo male per lei. Shay doveva essere qualcuno a cui lei teneva molto e che se avesse perso l’avrebbe distrutta definitivamente.
- Vuoi che ti dia una mano con … lui? – chiesi esitante a Faizah, perché non potevo sopportare di vedere qualcuno soffrire in quel modo. Inoltre credevo che la compagnia di un’altra donna le sarebbe potuta essere d’aiuto, piuttosto che quella scontrosa e burbera dei suoi uomini.
Luc intervenne, prima che lei potesse rispondermi con lo sguardo già un po’ più dolce e riconoscente. – No, ci penso io. Shay è solo un cane. –
- Come osi!? – sussurrò Faizah, immobile come una statua di ghiaccio. Guardava suo figlio con uno sguardo a metà disperato e a metà folle. – Sei un ingrato, proprio come tuo padre! – E corse via alla nostra sinistra, forse per tornare dal suo Shay.
Luc attirò di nuovo la mia attenzione su di sé, facendo un commento maligno e andando anche lui nella direzione della madre. Rimasi a guardare tutti e due che diventavano piccoli puntini prima di imboccare una nuova svolta all’interno dei corridoi serpeggianti. Mi voltai verso Iblis quando lo sentii battere le mani.
- Complimenti! Dovrei proprio prenderti come mia assistente per lo scompiglio che sei riuscita a gettare in soli pochi minuti! – disse deliziato, la bocca contratta in un sorriso forzato e gelido. – Credo, purtroppo, che dovremo rimandare la nostra seduta a domani. Un altro po’ di sonno ti aiuterà. Dormi bene, dolce Adele. – E detto ciò, scomparve anche lui.
Un po’ frastornata, rientrai in quella che ormai era diventata la mia stanza, mi infilai nel letto, sotto le coperte, e iniziai a giocare con un angolo del cuscino. Avevo troppe domande che si affollavano nella mia mente, ma iniziavo ad avere mal di testa e desideravo solo dormire e cancellare l’incontro nella mia camera con Luc, che però diceva di non essere lui, la discussione di poco prima tra lui e sua madre, e Shay, che non sapevo chi o cosa fosse, ma occupava troppo spazio nella mia testa già incasinata. Così per rimettere ordine nei miei pensieri e cercare di dormire tranquilla, pensai al mio nome, per ripeterlo infinite volte, come se fosse una garanzia di normalità, tranquillità e protezione. Mi chiamo Adele. Ripetevo. Adele, Adele, Adele, Adele …
E al suo suono rassicurante, stanca e confusa, mi addormentai di nuovo.



Ciao a tutti! vi sta piacendo "Life after death"? Commentate, lasciatemi le vostre recensioni, così ho delle opinioni concrete su quanto sto facendo! Grazie per seguire la mia storia! Se vi è piaciuta (magari) suggeritela! ;)
- Tessa Fray / lovedaemonblack

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Capitolo 10
*** 10 ***


Un debole fruscio mi accarezzò le braccia, facendomi rabbrividire. Mi voltai sul fianco, tirandomi le coperte fin sotto il mento. La stanza era scura, vedevo appena i profili dei mobili. Questa volta giunse al mio orecchio un cigolio di cardini che ruotano, e non fu per il freddo che rabbrividii. Questa sensazione era davvero fastidiosa, eppure sentivo nelle viscere che qualcosa non andava. Mi resi conto, quasi con stupore, che stavo sognando. Cioè, era quasi come un sogno dentro al sogno, dato che io ero intrappolata ai confini del tempo e dello spazio, ma ora ero sicura di star sognando. Primo, perché non poteva esserci brezza nella mia camera, dato che era priva di finestre, e, secondo, perché io semplicemente mi rendevo conto di quando ero immersa nei miei sogni stravaganti. Perciò non mi preoccupai troppo e sperai con tutto il cuore di svegliarmi il più presto possibile, per evitare quello che aveva tutta l’aria di essere un incubo spaventoso. Rimasi raggomitolata per un po’ di minuti, con la vescica gonfia, senza sentire altri suoni sinistri. La sensazione di essere osservata stava ancora lì, in un piccolo angolino del mio subconscio, ma la ignorai. Non potendo resistere ancora a lungo, decisi di alzarmi. Appena prima di mettermi seduta, sentii una specie di risucchio, e l’aria divenne di colpo più fredda. Il mio corpo era scosso da violenti tic, iniziavo a battere i denti, un po’ per il freddo e un po’ per la paura. Non volevo voltarmi. Era solo un incubo. Non volevo urlare. Non potevo più resistere. Mi voltai. E urlai, con tutto il fiato che avevo in gola, come se sputare un polmone o due non avesse poi tutta questa grande importanza per la mia salute. Sentii le cosce e il letto sotto di me bagnarsi, e se fosse successo in un altro momento, questo mi avrebbe mortificata. Ma non ora. La porta era chiusa. Non c’erano lame di luce ad illuminare la scena, bastavano gli occhi rossi della figura che si trovava di fronte a me, a meno di un metro di distanza. Sembrava un’ombra più scura delle altre che ci circondavano, ma il bagliore degli occhi mostrava chiaramente di chi si trattava. Era Luc. Luc, che avanzava verso di me, gli occhi rossi e spiritati, la bocca mezza aperta, e uno strano luccichio che pervadeva tutta la sua figura, non completamente definita in mezzo all’oscurità. Perché, perché doveva darmi il tormento? Cosa avevo fatto per meritarmelo? Non riuscivo a fare altro che singhiozzare, con il mento che tremolava incontrollabile. Era solo un incubo, un dannatissimo incubo. Entro poco mi sarei svegliata, sarei stata in un lago di sudore, ma sarebbe andato tutto bene. I miei muscoli erano paralizzati, avevo la pelle d’oca. Luc era sempre più vicino, ansimante, e gelido. Emanava un potente gelo che mi scendeva fin dentro le ossa. Mi portai una mano alla bocca, mordendomi le nocche, per non urlare più. Nessuno sarebbe accorso per salvarmi. Luc non accennava ad allontanarsi dal mio capezzale, prendeva brevi respiri mozzati, avanzava a piccoli scatti, emetteva un suono strozzato dai denti. Allungò una mano, esitante, per poi fermarla a mezz’aria, sospesa tra noi. Io non potevo fare altro che fissarlo con gli occhi in lacrime. Qualcosa improvvisamente però si mosse dentro me, ritrovai l’uso degli arti, e sorprendendo sia me che lui balzai giù dal letto e corsi alla porta.
- Aiuto!!! – il mio strillo sembrava quello di un’isterica chiusa in un manicomio.
Mi aggrappai alla maniglia e cercai di girarla più volte. Era bloccata. Ero chiusa dentro la camera. Sbattei con i pugni sulla porta, urlando e scalciando. A quel punto non avevo più speranza di sfuggirgli. Tanto valeva affrontarlo faccia a faccia.
Era forse il peggior incubo che avessi mai fatto.
Mi girai con le spalle verso la porta, per affrontare direttamente il figlio psicopatico di Iblis. Ero spaventata, ma, consapevole del fatto che era tutta una finzione, un parto della mia mente debole, stanca e impaurita a causa dell’incidente, riuscivo ad avere quel tanto di coraggio che mi permetteva di reggermi in piedi e di non afflosciarmi a terra. Luc ormai era nuovamente vicinissimo. Provò di nuovo ad allungare un mano verso di me, ma questa volta rimasi immobile.
Mentre lo fissavo, rividi quel dolore e quel disgusto sul suo volto, che aveva anche quando si era avvicinato a me nella realtà, quell’unica volta, il giorno prima.
Non capivo.
Poi posò la sua mano sulla mia clavicola. Non era affatto ciò che mi aspettavo. Non potevo prevedere nulla di simile.
Nel momento in cui la nostra pelle entrò in contatto, i suoi occhi baluginarono, più intensi e vividi che mai, con se avessero avuto dentro un fuoco vivo, un incendio indomabile. Il suo tocco non era tangibile. Sentivo un peso addosso, ma non percepivo la sua mano. Non sentivo niente. E tutto il calore che avevo, pian piano iniziò a defluire dal mio corpo, sostituito da un gelido torpore. Sentivo le forze che lentamente mi abbandonavano, e la mia energia che scorreva da me a lui. E non solo quella. Più mi prosciugava, più l’aria di cui sembrava fatto si solidificava, andando a formare un corpo reale. Un corpo che non era più quello di Luc.
Avvicinò la sua testa alla mia, chinandosi appena e posizionandola nello spazio tra la spalla e il collo. Era circa dieci centimetri più alto di me, con gli stessi tratti di Luc, ma piccole differenze, come la linea della mascella leggermente più morbida, le ciglia più lunghe e folte, il fisico sempre muscoloso ma più asciutto e meno massiccio.
Mi mancava il respiro.
Sentivo il cuore che si tendeva al massimo, rischiando di spezzarsi e uscire dal petto.
Ecco di nuovo quelle emozioni contrastanti. Quel bisogno di stragli più vicina, nonostante fosse totalmente sbagliato.
- Adele … Adele, spostati. – soffiò lui nel mio orecchio. Di nuovo il mio nome. Lo sapeva, sapeva chi ero, senza che io sapessi chi fosse lui. Ma non potevo spostarmi, era impossibile, perché si era appoggiato con tutto il corpo su di me, invadendo il mio spazio, impedendomi di muovermi, e la sua presa si era fatta ancora più salda.
- Prima … che sia … troppo tardi. Ti prego. – continuò lui, lo forzo evidente nella voce. Ora sentivo che era diversa da quella di Luc. Più bella, e calda. Non dovevo pensare a cose del genere in quel momento.
Si ritrasse appena per guardarmi dritta in faccia, di nuovo, con il suo sguardo ipnotico e infuocato. Riuscivo solo a pensare a quanto adesso mi sembrasse bello, intenso, e con le labbra leggermente dischiuse che mi facevano desiderare cose indicibili. Sentivo un ronzio nelle orecchie, e una pressione unita a un piacevole formicolio sul basso ventre. Un impulso irrazionale mi spinse verso di lui. Quando le nostre labbra furono così vicine da sfiorarsi, non chiusi gli occhi. Quel lieve contatto, leggero come una piuma, stava mandando i miei nervi in cortocircuito. Volevo di più. Anche se era solo un sogno, volevo di più. Perché sembrava tutto così vero. Così incredibile. Stavo per assaggiare le sue labbra morbide, il suo sapore, che già mi solleticava la punta della lingua.
- Non ci riesco – improvvisamente lui sospirò, affranto, girò di nuovo la testa con un rapido movimento, per riportarla dove stava poco prima, togliendo le sue labbra dal mio raggio d’azione, per poggiarle alla base del collo, dove, con improvviso e totale abbandono, mi morse. Forte.
Non riuscii a trattenermi e urlai. Non fu disturbato da questo. Continuò a stringermi, come se potessi andare in pezzi se mi avesse mollata. E probabilmente era davvero così. Sentivo il freddo propagarsi a ondate dal punto in cui mi aveva morsa. E lui che non mollava. Che si nutriva di me.
Cercavo di dimenarmi per svegliarmi, per mettere fine all’incubo, ma non avevo più forze. Ero completamente stremata.
La mia energia vitale era stata prosciugata. Il mio sangue stava facendo la stessa fine.
La vista iniziò ad appannarsi, il mio campo visivo si offuscò ulteriormente, rendendo ancora più fitte le ombre, e a quel punto capii. Non c’era mai stato nessun incubo. Tutto ciò che era successo, che mi stava succedendo, era assolutamente e innegabilmente reale.
Infine staccò la bocca dal mio collo, tremando, ma sempre tenendomi stretta a sè - Mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace … - la litania della sua voce mi cullava nel buio. La trovavo ancora sorprendentemente affascinante e meravigliosa, nonostante tutto. Riuscivo ancora a vedere qualcosa, e notai che i suoi occhi non erano più due tizzoni ardenti, ma avevano il colore della cannella, delle caramelle mou, un denso oro o ocra liquido. Erano bellissimi. Sarei rimasta a guardarli per tutta la notte, ma il mio corpo non ce la faceva più.
- Adele! Adele! – La voce di Faizah mi giunse ovattata, lontana. E poco dopo sentii che cercava di aprire la porta della mia stanza.
- Dannazione! – la sentii imprecare.
Non riuscivo a risponderle, sentivo che stavo per svenire. Poi qualcosa rimbombò sotto il mio orecchio. Capii che il ragazzo stava parlando.
- Non può risponderti, mamma – disse con voce ferma. Eppure riuscivo a sentire la nota di tristezza che cercava di celare. – Non ce la fa –
Seguì solo il silenzio. Poi, dall’altra parte della porta, sentii dire a Faizah, con voce tremante: - Cosa diavolo ci fai qui, Shaytan? –
E finalmente persi i sensi.

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Capitolo 11
*** 11 ***


5 anni prima, 31 ottobre
La camera di Vee non poteva essere più diversa dalla mia. Il rosa dominava su qualunque cosa, sembrava un mondo fatto di Big Bubble. Aveva un letto enorme tutto per lei, dove dormivamo insieme tutte le volte che mia mamma mi permetteva di passare la notte da lei. La parete alla quale era appoggiato era piena di foto, ritagli di giornale con i suoi cantanti e attori preferiti, scritte fatte a mano con la pittura. A volte la avevo aiutata a decorare la sua camera e farlo era stato divertente. Due sedie girevoli occupavano lo spazio vuoto davanti alla scrivania sommersa di carte, penne, smalti e aggeggi vari. Di fronte al letto era appesa una tv da trentasei pollici e proprio a fianco c’era un mobile pieno di dvd. Alcuni comprati di nascosto, perché secondo sua mamma eravamo troppo piccole per sapere cosa fanno due ragazze quando si innamorano. O come eravamo nate. Beh, anche mia mamma sarebbe stata d’accordo con la sua … ma insomma, guardare film con qualche bacio e qualcosa di più era il nostro massimo di ribellione. E poi passavamo ore a fantasticare su come sarebbe stato il nostro primo bacio. Il nostro ragazzo. La nostra prima volta. E da lì correvamo e iniziavamo già a programmare il lavoro che avremmo fatto da grandi e il numero di figli che avremmo voluto avere. Era Halloween, e quell’anno ci eravamo organizzate per guardare un bel film spaventoso e fare indigestione di pop-corn e caramelle. Avevamo organizzato tutto da giorni fin nei minimi dettagli. Avevamo comprato le ragnatele finte e i cartelloni al supermercato. Avevamo ritagliato ragni e fantasmi da cartoncini neri e bianchi, e li avevamo incollati alle finestre. Avevamo noleggiato qualche dvd in videoteca, tutti con la carta di sua sorella, che era maggiorenne. E infine ci eravamo procurate delle candele e un accendino ( quest’ultimo rubato a suo padre ) per fare la nostra seduta spiritica. L’anno precedente anche Kate e Dana, assieme a Caleb, il fratello più grande di Kate, avevano fatto una seduta, e quando Dana ci aveva raccontato tutto, una volta a scuola, aveva giurato che qualcosa si era mosso nelle ombre della camera di Kate, e che la porta si era spostata, andando a sbattere, a causa di un improvviso vento che sembrava essere sorto dal nulla. Kate aveva negato tutto. Ci mancava il parere di Caleb, ma essendo un anno più grande di noi tendeva a evitarci, e inoltre, essendo un ragazzo piuttosto carino, non poteva mica dire di essersela fatta sotto per qualche rumore e un  po’ di buio la sera di Halloween. Dopo quel racconto, io e Vee morivamo dalla voglia di provare quell’esperienza: lei per dimostrarmi che i fantasmi esistevano; io per farla ragionare e avere la soddisfazione di vedere la delusione sulla sua faccia nel momento in cui avesse capito che erano tutte storie. Così eccoci lì, rannicchiate sotto il suo pesante piumone, a guardare un orrido film così splatter che avevo il voltastomaco. La luce era spenta, e io non avevo il coraggio di togliermi la mano dagli occhi, mentre continuavo a sbirciare la televisione dalle fessure tra le dita. Vee, invece, a intervalli regolari di circa cinque secondi, affondava la mano in una ciotola che solo dieci minuti prima era straripante di pop corn.
- Ma come fai? – le chiesi, disgustata.
Finì di sgranocchiare la manciata di pop corn che teneva in bocca e rispose: - Guarda te, più finto di così non potevano farlo ‘sto film! – Affondò nuovamente la mano nella ciotola. - NO! Non andare nella casa! – Strillò, rivolta alla ragazza che si muoveva sullo schermo, e che tre minuti dopo fu sventrata in modo del tutto spettacolare.
Soffocai un lamento.
Dopo altri settanta minuti di sofferenza, finalmente ci sedemmo sul tappeto fucsia che ricopriva quasi tutto il pavimento della stanza di Vee e, una volta posizionate quattro candeline bianche in cerchio, iniziammo la nostra seduta.
- Secondo te dovremmo pregare, prima di iniziare? – domandò Vee, dubbiosa.
Io la guardai esasperata. – Facciamolo e basta. – Presi l’accendino e al secondo tentativo riuscii a far guizzare la fiammella e ad accendere le candele, che tremolarono, proiettando i contorni delle nostre ombre ingigantite sulle pareti. Vee chiuse le sue mani sopra le mie, strizzandole fortissimo. – Ricordati che qualunque cosa accada, tu dovrai tenermi per mano. – mi bisbigliò.
- Non preoccuparti, non potrei mollarti nemmeno se volessi! – indignata, accennai col mento alle nostre mani intrecciate. Mi stava stringendo come se si trovasse appesa alla ringhiera di un balcone del sesto piano. – E poi non succederà nulla di nulla. –
Insieme recitammo la nostra preghiera, poi Vee lasciò che a condurre fossi io. Avevamo controllato su internet come fare, ma non avendo né un tavolino rotondo né una tavola ouija ci eravamo aggiustate a modo nostro. Tanto il risultato non sarebbe cambiato. Erano tutte cavolate. Mi schiarii la voce.
- Ehm, sono Adele Morris. Si dice che in questa notte la distanza tra noi anime mortali e voi spiriti del mondo sia più sottile. Per questo, chiedo che vi mostriate. Per questo, e per rispondere alle domande mie e di Veronica Marshall. –
Vee aspettava trepidante, gli occhi enormi per l’adrenalina e l’aspettativa. Io ero vagamente annoiata, una spiacevole sensazione di fondo, mentre la soddisfazione di aver avuto ragione cominciava a montarmi dentro. La stanza rimase immersa nel silenzio per qualche minuto. Si sentivano solo i nostri respiri, che risuonavano come tuoni in quella quiete.
- Addie, riprova, sono sicura che hai sbagliato qualcosa. – mi spronò Vee.
- Ho fatto tutto quello che andava fatto e non è successo nulla. –
- Andiamo, riprova per favore! –
La cera delle candele iniziava a diventare liquida. Per accontentare Vee ripetei la mia invocazione altre due volte. Aspettammo, mute, che accadesse qualcosa. Ancora niente.
Feci per tentare di sollevarmi, ma Veronica mi trattenne con forza. – Non puoi andartene, ricordi? – sventolò le nostre mani. – Bisogna prima chiudere il cerchio. Anche se vorrei aspettare ancora. –
- Vee, abbiamo aspettato un sacco! Lo capisci che non arriverà nessuno spirito di alcun morto per parlare con noi? – iniziavo a perdere la pazienza.
- Ma non possiamo tornare a scuola e non avere nulla da raccontare! – si lamentò lei, tirando fuori il broncio. – Forse la tua energia non va bene. E poi chi lo sa, avranno bisogno … -
Mentre Vee parlava, la stanza divenne ancora più fredda, e le candele tremolarono, fino a spegnersi, rilasciando nell’aria un lieve odore di bruciato misto a quello della vaniglia con cui erano fatte.
- … bisogno del loro tempo. – finì di bisbigliare Vee, ormai completamente inghiottita dalle ombre.
Nessuna delle due si mosse. Vee immagino per la sorpresa. Io per lo spavento. L’assenza di luce mi faceva battere forte il cuore. Gli occhi tentavano di catturare almeno i contorni delle figure. L’aria intorno a noi si mosse. Se questo era uno scherzo di Vee, più tardi gliel’avrei fatta pagare. Un brivido mi percorse la spina dorsale, facendomi stringere convulsamente le mani su quelle di Vee. Poi, con la coda dell’occhio, lo vidi.
Lo spirito riluceva leggermente di una tenue luce biancastra, come se fosse illuminato dai deboli raggi della luna che filtravano dalla tapparella abbassata, permettendo di distinguerlo in mezzo all’oscurità. Fluttuò fino a trovarsi sopra di noi, nel piccolo cerchio delimitato dalle nostre braccia unite. Io tremavo come un diapason, ondate di freddo che gradatamente mi attraversavano il petto, come lame di ghiaccio piantate nel cuore. Non ero mai stata tanto terrorizzata in vita mia, nemmeno quando ero rimasta chiusa nell’ascensore, da sola, a quattro anni.
Lo spettro ci osservava, librandosi a pochi centimetri dal pavimento, leggero e inconsistente come fumo. Sembrava essere vestito come un normalissimo ragazzo, con jeans e maglietta neri, ma la sua pelle era pallida, impercettibilmente rosata in corrispondenza degli ampi zigomi alti, trasparente come carta velina.
Avevo la bocca completamente asciutta e sentivo che la testa iniziava a pulsarmi. Fu Vee a riscuotersi per prima e a rivolgere la parola al fantasma.
- Ti ringrazio, spirito del mondo, per esserti mostrato, a nome mio, Veronica Marshall, e del mago del cerchio, Adele Morris. –
Subito i suoi occhi scattarono nella mia direzione.
- Vee, chiudiamo il cerchio – riuscii ad articolare, le palpitazioni a mille, la pelle d’oca e il mal di testa crescente. Strizzai gli occhi per una fitta improvvisa, facendoli lacrimare.
Veronica non mi ascoltò; si rivolse nuovamente allo spirito, questa volta con maggiore sicurezza.
- Gli spiriti del mondo sono antichi – esordì lei, con voce imperiosa, come una vera medium – e sono anche onniscienti. – Fece una breve pausa, nella quale il fantasma continuò a mantenere la sua posizione.
A quel punto non so cosa mi spinse a intromettermi.
- Se … se sei davvero un fantasma – la mia voce tremolava come un piccolo fiore avvolto nel vento – noi volevamo chiederti qualcosa sulle nostre vite, sul nostro futuro. –
- Forse non capisce ciò che diciamo – bisbigliò Vee
Capisco perfettamente ogni vostra parola.
Sbattei le palpebre un paio di volte e mi morsi l’interno della guancia con forza, facendomi un bel po’ di male. Sì, quelle parole erano risuonate nella mia mente. Guardai stupita e insieme spaventata Vee, la quale invece osservava lo spirito, l’aria di essere contraddetta.
- E dai, dicci qualcosa! – esclamò, supplicante.
Cosa volete sapere? Pagate il pedaggio e avrete le risposte che cercate. Le parole del fantasma risuonarono forti e chiare sopra alla mia emicrania sempre più forte.
- Non lo senti? – Le chiesi, al limite della sopportazione.
Lei ricambiò con uno sguardo interrogativo. – Sentire cosa? -  
- Lui! Il fantasma! –
- Addie, questo coso è rimasto fermo e non ha fatto niente se non stare qui a guardarci parlare al muro – disse Vee. Le sue mani erano ancora strette nelle mie e lei era perfettamente calma, come se avere davanti uno spettro fosse una cosa assolutamente normale e ordinaria.
- Tu … Non lo senti. – Strinsi ulteriormente la presa sulle sue mani, e le sue unghie mi graffiarono. Qualcosa cambiò nell’aria, come se si fosse risvegliato un antico potere. Le cavità degli occhi del fantasma, finora rimaste in ombra, si illuminarono come due rubini.
Lei non può sentirmi. Non ha un’aura potente come la tua.
- Puoi farti sentire? –
Se voglio, sì.
- Fallo. Per favore. –
La mia lingua si era azionata da sola, decidendo di andare a ruota libera. Ero ancora terrorizzata, ma era come se dentro di me fosse sorta una nuova coscienza, con volontà del tutto propria, che aveva deciso di interpellare il fantasma.
Qualche istante più tardi Vee mi guardò, sgranando gli occhi, e capii che l’anima doveva averle detto qualcosa.
- Dopo che ti avremo pagato … – feci per rivolgermi a lui.
Mi avete già pagato.
Le sue parole sfiorarono le nostre menti, la sua presenza riempiva ogni centimetro cubo della stanza.
Ponete ora le vostre domande. Sceglietele bene e con attenzione, non c’è modo di evitare la verità, una volta che essa vi sarà stata rivelata.
A quel punto persi ogni briciolo di coraggio, tenendo la bocca aperta ma senza riuscire a formulare un pensiero. Ancora una volta il gelo e la paura mi avevano bloccata. E sempre un’altra volta fu grazie a Vee che la conversazione riprese.
- A trent’anni avrò una famiglia tutta mia e due splendidi figli. E si chiameranno. Shawn e Lorelei. Non è così? – disse tutta eccitata, rivolta al fantasma.
Lui non esitò a risponderle. Sarà proprio come hai detto. Shawn, Lorelei e il loro padre saranno la tua famiglia.
Vee scoppiò a piangere di felicità, moriva dalla voglia di alzarsi e abbracciare lo spettro, magari avrebbe pure inscenato un balletto, se avesse potuto mollare la presa dalle mie mani. Cosa che però non fece. Invece ringraziò più volte e aspettò che anche io ponessi la mia domanda. Ora ero nervosa, oltre che tesa e super suscettibile. Cosa potevo chiedere allo spettro? C’era davvero qualche aspetto della mia vita che avrei voluto conoscere in anteprima? Non ne ero sicura.
- Di chi si innamorerà Adele? – sentii domandare Vee in un soffio. Inorridii. No, quello non volevo saperlo, non volevo essere condizionata da ciò che avrei sentito. Mi guardò con aria colpevole. Scusa, mimò con le labbra, attendendo la risposta dell’anima. Io la fulminai. Non aveva il diritto di immischiarsi così nella mia vita. Sapere il nome del destinatario del mio amore sembrava interessare molto più lei che me. E se mi fossi innamorata di Rick? No, lui era simpatico, ma sembrava provarci sempre con tutte. Se, invece, non mi fossi innamorata affatto? Quello sì che sarebbe stato un vero problema. Oddio, che tragedia, non potevo sopportare una cosa simile.
Il mio cervello lavorava frenetico per prepararsi alla risposta che avrebbe ricevuto, quando finalmente lo spettro si degnò di rispondere, tenendomi bene gli occhi puntati addosso.
Lance Storm. La risposta era per Vee, che lo aveva interpellato, ma la sua attenzione era tutta per me. Il mio cuore batteva frenetico, come le ali di un colibrì.
Sapevo la persona di cui mi sarei innamorata. La conoscevo. La conoscevo da sempre, da una vita, non … come …
- E staremo insieme, sarà come per la famiglia di Vee? – mi sentii chiedere.
Lui mi guardò, con quel tipo di sguardo in cui capii già che non sarei voluta stare a sentire ciò avrebbe detto, ma lo feci ugualmente. Attesi, il petto stretto in una morsa serrata, la gola chiusa, il dolore alle tempie che rischiava di spaccarmi in due il cranio.
Infine, la sua voce risuonò ancora una volta nei miei pensieri.
Non avrai una famiglia come quella della tua amica.
Il mio stomaco si annodò.
 – Perché? – domandò Veronica al posto mio, con una leggera sfumatura di ansia nella voce.  
Perché, Adele, a diciotto anni morirai.
Il silenzio che seguì quella sua risposta categorica si protrasse all’infinito. Aspettai che aggiungesse altro. Aspettai, aspettai, e aspettai ancora. Tremolava leggermente, stando fermo al centro del cerchio, ma non comunicò con noi un’altra parola.
Convulsioni iniziarono a scuotere il mio corpo. Volevo porre fine a quella stupida seduta.
- Ti bandisco. – dissi rivolta all’aria di fronte a me.
Il fantasma non svanì, anzi, tentò di protendersi verso di me, come se volesse appoggiarmi una mano sulla spalla con fare amichevole. Avevo letto che avrei dovuto recitare una preghiera conclusiva, qualcosa che liberasse lo spirito dal vincolo che lo teneva legato al mondo terreno, una preghiera che purificasse quel luogo ormai toccato dalla morte. Il problema era che avevo proprio perso la pazienza, perciò non feci nessuna delle due cose.
- Ti bandisco da questo maledetto cerchio!! – urlai, il volto rosso per lo sforzo e il dolore. Questa volta lo spirito indietreggiò, fino a sparire così com’era comparso, all’improvviso. Le fiammelle delle candele ripresero vita, danzando nella stanza; l’aria fredda svanì.
Mollai la stretta che aveva tenuto unite me e Vee in quella dannata seduta spiritica e mi alzai in piedi, per poi buttarmi dalla mia parte del letto e seppellirmi sotto le coperte.
Vee, che non aveva più parlato fino a quel momento, cercò di iniziare una conversazione. – Adele … -
- Non era uno scherzo divertente, Veronica. Minacciarmi di morte?! Sei impazzita? – sbottai, furiosa, mentre mi stringevo le braccia attorno al corpo in un abbraccio di conforto.
- Non era uno scherzo, Ad, era davvero un … lo sai. –
- Smettila. Non lo sentivi eh? Non eri nemmeno un po’ spaventata! Complimenti, davvero, per avermi terrorizzata a morte! – ululai, ferita nel profondo. Mi piaceva l’umorismo, ma quella trovata era stata davvero pessima e non me la sarei mai aspettata da una migliore amica, men che meno da Vee. – Non so come hai fatto. Ma ora lasciami stare – le dissi, senza concederle di spiegarsi. Ero troppo stanca e provata, e il mal di testa stava giusto iniziando a placarsi. Mentre lei spegneva le candele e le buttava nel cestino io mi voltai in modo da dare la schiena alla sua parte di letto. La sentii andare prima in bagno, per poi tornare al letto, sollevare il piumone e infilarsi sotto le coperte. Ebbe il buon senso di non provare a parlarmi.
Fu quella notte, mentre aspettavo impaziente che Morfeo mi cullasse, che, tra le lacrime di umiliazione, angoscia e paura, decisi di non credere alle stupide storie. Così lasciai andare i ricordi felici di anni passati ad aspettare Babbo Natale, il Coniglio di Pasqua e la Fatina dei Denti. E con quelli, smisi anche di credere a ogni cosa sovrannaturale. Fantasmi compresi. 


Ciao a tutti! Cosa ne pensate di questo nuovo capitolo? Vi incuriosisce la storia di Adele? Lasciate una recensione per farmi capire se vi è piaciuto e se c'è qualcosa che si può migliorare! Un bacione :)
- Tessa Fray

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Capitolo 12
*** 12 ***


- Torna tra un po’. E’ meglio che tu non ci sia, al suo risveglio. –
- D’accordo. Io non … -
- Va tutto bene Shay, va tutto bene. Ora riposati un po’ anche tu. – sussurrò Faizah.
***
Aprii di colpo gli occhi al suono insistente di un allarme che mi stava letteralmente perforando il cranio. Ciò che era successo prima che svenissi mi travolse di colpo come una valanga. Ero di nuovo sdraiata nel mio letto. Ma non potevo preoccuparmi dei miei strani incontri, in quel momento. Non sapendo cosa fare, e cercando di interpretare l’allarme come chiunque avrebbe fatto, mi alzai precipitosamente dal letto e uscii dalla stanza, andando a finire nel corridoio. Non mi aspettavo di trovare la confusione che vidi. Dappertutto c’erano persone vestite in modo alquanto bizzarro, un miscuglio di pelli strappate, jeans logori, borchie, piercing, creste e capelli colorati, animali di ogni tipo e taglia. Il vociare era coperto dalla sirena, che continuava a urlare col suo suono stridulo. Tutti si gettavano spintonando nella stessa direzione e io li seguii, anche se nessuno sembrava essersi accorto di me.
Davanti avevo due ragazze e un ragazzo che discutevano animatamente.
- Chissà cosa vuole Iblis questa volta. – disse una delle due ragazze, quella con i capelli biondissimi e lisci, con ciocche qua e là colorate di viola. Sulla spalla scoperta era tatuato un enorme geco in tinta unita nera, mentre sull’altra c’era appollaiato un vero corvo.
- Giuro che se ci ha di nuovo chiamati per ordinarci di stare confinati da qualche parte prendo e me ne vado! – sbuffò il ragazzo.
- Rilassati Harrison, lo sai che ogni tanto diventa paranoico. – L’altra ragazza, che aveva un caschetto corto, nero con riflessi blu, rispose svogliata a Harrison, masticando una cicca, che gonfiò fino a farne un’enorme bolla.
Harrison si voltò di fianco quel tanto che mi bastò per vedere il suo piercing al sopracciglio, mezzo nascosto dai capelli neri. Allungò un dito e bucò la bolla alla ragazza.
- Rex, sei insopportabile, come sempre. Sono stufo di stargli dietro, non si sta comportando bene. –
- Harris, Rexanne ha ragione – si intromise la bionda, attorcigliandosi una ciocca di capelli intorno alle dita – Iblis avrà le sue motivazioni. Lo sappiamo che è sempre stato incline agli sbalzi d’umore. –
- Staremo a vedere, Glenn, ma per me dovrebbe smetterla di fare la mammolletta, iniziare a fare sul serio e usare un po’ di più la sua donna. – Harrison ghignò. – Ha Faizah, cazzo, tutti vorrebbero Faizah qua, lui lo sa benissimo e nonostante ciò va a spassssarsela dove capita. –
Inorridii nel sentir pronunciare quelle parole. Cosa stavano dicendo quei tre?
- Sssapete che vi dico? – Proseguì Harrison, con la sua voce che dal nulla era diventata stranamente sibilante – Non ho motivo di stare a sssentire quello che ha da dire. Io me ne torno in stanza. –
Detto questo si girò, e non ebbi il tempo di schivarlo e spostarmi, perché la folla premeva troppo e io gli ero rimasta incollata per sentire cosa dicevano. Così andai a scontrarmi contro di lui.
- Ma che … ?! – Esclamò, richiamando l’attenzione delle due ragazze.
Mi prese per le spalle, allontanandomi quel tanto da permettergli di osservarmi.
- E tu chi diavolo sei? – mi interrogò, squadrandomi da capo a piedi. I suoi occhi erano di un verde innaturale, brillante, con la pupilla un po’ allungata, e stavano passando al vaglio i miei capelli castani scompigliati e la vestaglia bianca che indossavo.
- Glenna, dammi un pizzicotto, fa qualcosa, sventrami e strappami le budella, e poi dimmi che non è chi penso che sia. – Rexanne fece un gesto teatrale con la mano, gettando indietro il capo e facendo ballonzolare i corti capelli come molle.
Glenna si avvicinò a me, accostando il volto a quello di Harrison. Mentre lui aveva una pallina nera al sopracciglio, lei aveva un anellino metallico dalla parte destra del naso. Il suo tatuaggio-geco seguiva le curve della sua spalla sinuosamente, gli occhi come due piccole pietre nere che mi fissavano.
- Kraaah! – Il suo corvo emise un lamento stridulo, piegando di scatto la testa di lato, come se avesse il collo spezzato con un angolo innaturale. Mi allontanai di un passo, spaventata.
- Tu sei … -
- Adele! – sentii il mio nome giungere da un punto imprecisato alle mie spalle, piuttosto lontano. I tre smisero di fissarmi e alzarono lo sguardo per capire chi stava urlando a quel modo in mezzo a quel baccano, e anche io li imitai, voltandomi per individuare chi mi stava cercando. Certo, non c’erano molte persone che avrebbero potuto volermi trovare. Da quello che avevano detto i tre, Iblis aveva indetto una specie di riunione. Dalla voce che sentivo, di certo non era Faizah a cercarmi. Quindi o era Luc, oppure …
- Adele! Diamine, che confusione. –
Il mio inseguitore ci raggiunse e il mio stomaco precipitò.
Con la coda dell’occhio vidi che Rexanne, Harrison e Glenna avevano tutti piegato il capo, come un inchino formale, un segno di rispetto. Shaytan nemmeno li calcolò.
- Ti ho cercata nella tua stanza, ma non c’eri. Qua, tra tutti questi … tra tutti loro non sei al sicuro, saresti dovuta restare dov’eri! – mi rimproverò tutto d’un fiato.
Registrai le sue parole e subito la rabbia mi montò dentro.
- Sarei dovuta restare in camera, eh? Dove tu … tu … -
Intanto il terzetto si era fermato a osservarci e anche altri rallentarono, attirati dalla mia voce che sovrastava il mare di persone e dalla presenza di Shaytan. Non appena veniva notato, subito le teste si chinavano in segno di saluto e rispetto. Ma perché? Intanto lui era rimasto piazzato davanti a me, senza accennare a spostarsi.
Non gli avrei dato retta. Dio solo sapeva perché voleva tenermi confinata in quella stanza. Per potersi di nuovo avventare su di me? Di certo non per proteggermi.
- Vai al diavolo! – gli sputai in faccia.
Sentii nascere un risolino da qualcuno che era lì e ci stava osservando.
Shaytan, che fino a quel momento non aveva avuto occhi che per me, si voltò e fulminò la sorgente di quella risata sommessa.
- Ti sembra divertente, Harrison? – lo apostrofò, con fare minaccioso. Strizzò gli occhi a due fessure, la mascella rigida. Anche se ero scossa per ciò che mi aveva fatto, oltre che infastidita per quello che mi aveva appena detto, non potei non soffermarmi a osservarlo mentre lui non mi stava tenendo d’occhio, ammirando il suo profilo forte, la sua postura fiera, le spalle larghe e i suoi occhi dorati.
Harrison si passò una mano tra i capelli distrattamente, un gesto che sembrò far irrigidire ancora di più Shaytan.
- Beh, non posso negare che non lo sia. – ribatté lui, ghignando. – E’ piuttosto ironico, non trovi? –
- Dì un’altra parola – ruggì Shaytan – e posso giurarti che diventerò il tuo peggiore incubo. Potrei essere impaziente di scoprire che sapore ha il tuo sangue. –
- Ehi, ehi, Harrison finiscila. Scusalo, Shaytan, per favore. – Glenna intervenne, mentre i due si stavano ancora squadrando come se stessero valutando il modo migliore per farsi a fettine. – Harrison! – richiamò ancora il suo amico.
Finalmente, dopo diversi istanti interminabili, Shaytan si ritrasse e si ricompose, rivolgendosi a Glenna: - Come vuoi. Ma questa non è la prima volta. – poi, rivolgendosi a Harrison – Mio padre non riuscirà a sopportarti ancora a lungo se continui così. E nemmeno io. –
Harrison gli diede le spalle, ritornando alla direzione verso cui tutti prima si stavano incamminando, poi sputò per terra e sollevò in aria una mano, come per salutare.
- Vai al diavolo, Shaytan. –
Lui, che era al mio fianco, strinse i pugni in modo convulso, i bicipiti che si gonfiavano e i tendini che si flettevano.
Gli uscì un’imprecazione dai denti: - Brutto figlio di … -
Quando capii che si sarebbe avventato su di lui, allungai il braccio e chiusi la mia mano sul suo polso. Immediatamente smise di parlare e portò la sua attenzione su di me, e i nostri sguardi si allacciarono. Appena lo toccai sentii che il suo corpo era solido, non come la prima volta che la nostra pelle era entrata in contatto, ma subito percepii anche il freddo che lo accompagnava. I suoi occhi iniziarono a virare verso il rosso, e sentii che inspirò bruscamente.
Continuando a guardarlo negli occhi cercai di mandargli un muto messaggio. Non farlo. Volevo dire. Non ne vale la pena.
Non so come, ma lui sembrò capirmi. Fece scivolare il polso dalla mia presa e quell’improvviso momento di sintonia tra noi svanì, come il gelo che aveva iniziato ad avvolgermi.
In quel momento mi accorsi che avevo trattenuto il respiro, e tornai a prendere grandi boccate d’aria con sollievo.
- Andate. Tutti quanti. Iblis vi vuole subito. –
Passò qualche secondo prima che la piccola folla che si era radunata intorno a noi iniziasse a disperdersi. Per ultime rimasero Glenna e Rexanne.
Quest’ultima fece qualche passo per avvicinarsi a me.
- Adele, eh? – disse, pensierosa. – Così sei tu che hai fregato il grande capo … mi dispiace per te, Shaytan –
- Non devi – rispose lui, immediatamente – Non ho mai voluto nulla di tutto questo. – Aggiunse, sotto voce, talmente piano che faticai a sentirlo.
- Lo sappiamo Shaytan. Almeno, io lo so. – Glenna parlò, quasi senza rendersene conto, e nel sentirsi pronunciare le ultime parole sgranò gli occhi.
- Glenn … -
- Noi andiamo. Rexanne, su, facciamo tardi. – Glenna portò l’enorme massa di capelli tutti sulla spalla con il tatuaggio, che rimase completamente sommerso, e mentre si girava e andava via prese qualcosa da una tasca della sua borsetta in pelle nera e la avvicinò al becco affilato del suo corvo, che gracchiò soddisfatto.
Osservai le due ragazze allontanarsi e infine mi accorsi che nel corridoio eravamo rimasti solo io e Shaytan.
- Adesso vieni con me. Non ti voglio fare male, sul serio. – Era di nuovo tranquillo – Mi segui? –
In risposta annuii una volta e ci avviammo insieme, ma non nella direzione verso cui erano andati tutti quanti.
- Dove andiamo? –
- Ti riporto nella tua stanza. –
- No, voglio sapere cosa sta succedendo. – mi impuntai. Shaytan emise un sospiro, prima di rispondermi.
- Non è niente che ti riguarda, Adele. –
- Come puoi pretendere di rivendicare qualche diritto su di me? – gli dissi, sollevando un po’ la voce.
- Non pensavo di averlo fatto. – mi lanciò un’occhiata – Ma stare con tutti loro è una cosa che ti sconsiglio di fare. –
Alla fine del corridoio svoltammo in uno più piccolo sulla destra. Le pareti vorticavano, come sempre.
- Di nuovo questa storia. Sono solo un gruppo di persone, di cui peraltro ignoravo l’esistenza, che si vestono in modo un po’ eccentrico. – Ripensai al top e ai leggins in pelle (entrambi neri) di Glenna, alla gonna super corta e alle calze strappate di Rexanne e a tutti gli altri. – Come è possibile che io debba stare lontana da tutti loro? E come diamine è possibile che nel tempo che ho passato qui io non abbia mai visto nessuno, se non la tua famiglia? Che posto è questo? Una specie di strana casa per ragazzi disagiati? Persone con problemi? – mi fermai in mezzo al corridoio, piantando le mani sui fianchi.
- Adele, calmati. No, niente di tutto questo. Ma devi fidarti di me. –
La voce di Shaytan era profonda e rassicurante, ma non gli volevo credere. Non potevo credergli, dal momento che era stato lui a introdursi nella mia camera e a fare quello che aveva fatto.
- Mi chiedi di fidarmi di te? – Dio, ero in una situazione assurda. – Ti rendi conto di quello che stai dicendo? Cos’è, psicologia inversa? Lo psicopatico che cerca di far bere la sua storiella alla sua povera e innocente vittima? – lo accusai, lanciando le mie parole come coltelli. – Tu stai approfittando di me. Ricordo a mala pena il mio nome, quanti anni ho, e quello che mi è successo appena prima di ritrovarmi in questo posto. I tuoi genitori hanno avuto il buon cuore di prendersi l’incarico di aiutarmi e tu – gli puntai un dito contro – tu vuoi solo abusare di me! – stavo quasi urlandogli in faccia.
Shaytan fremette, le sue narici si allargarono e la sua postura si irrigidì tutta.
- Non è … Merda, non è così! Lo so che sembra assurdo, ma tu non sai tutto. Anzi, non sai proprio un bel niente! – anche lui aveva alzato il tono di voce, cosa che gli conferiva una certa autorità, oltre a renderlo più minaccioso. Non me ne curai.
Con quelle ultime parole mi aveva ferita più di quanto volessi ammettere. Tutta la mia vita era divenuta un grande e grosso buco nero, e anche se non lo conoscevo e non avrebbe dovuto fregarmene niente delle sue parole, ciò che aveva pronunciato era stato un bel colpo basso.
- Sai che ti dico? – strillai istericamente – non mi interessa. Non mi interessa un accidenti se vuoi che me ne ritorni nella mia stanza! –
- Dannazione, tappa quella bocca e fa come ti dico! – allungò il suo braccio per cercare di afferrarmi la spalla, ma io lo schivai e con entrambe le mani gli diedi uno spintone al petto, spingendolo verso il muro. Lo scossi solo di qualche centimetro perché era solido come una roccia, ma rimase stupito, forse perché non si aspettava che lo prendessi a pugni. Poi sibilò qualcosa a denti stretti, non riuscii a capire, e abbassò lo sguardo, portandosi una mano all’altezza del cuore.
- Sei peggio di Luc. – lo dissi in tono definitivo, una semplice constatazione, un dato di fatto. Almeno Luc mostrava ciò che era. Shaytan, invece, cercava di nascondersi dietro a finte gentilezze e premure.
Restammo fermi, senza più niente da dire. Non negò di essere peggio del fratello. Non cercò di difendersi. Non tentò di spiegarmi niente, così per darmi almeno una motivazione per potergli credere. Non accennò a riportarmi nella mia stanza, come aveva detto che avrebbe fatto. Non fece nulla. Restò immobile nella sua posizione, quasi come se si stesse abbracciando da solo.
- Vattene. – disse solo quando riprese la parola, senza rialzare lo sguardo.
- Non provare a dirmi cosa … - attaccai.
- Ho. Detto. Vattene. – ringhiò – Subito. –
Se prima la sua voce era vigorosa e potente, adesso era più sottile, e vagamente sofferente.
Alzò lo sguardo, i capelli che gli ricadevano disordinatamente ai lati del volto e sulla fronte, piccole gocce di sudore gli bagnavano il collo, le labbra erano appena dischiuse. Le iridi erano rosse come due semafori, non più color caramello come poco prima. Il respiro gli si era fatto affannoso e la sua figura aveva iniziato a tremolare.
- Adele, va’ via. – mi implorò. La mia espressione virò dall’essere stupita a esprimere spavento e preoccupazione. Questa volta non me lo feci ripetere. Prima mi allontanai di qualche metro, camminando all’indietro per controllare Shaytan, poi mi voltai, per percorrere a ritroso il corridoio che avevamo attraversato insieme e ritrovare gli altri, ovunque essi fossero. Ma, appena prima di voltarmi per mettermi a correre, vidi Shaytan stringere di più la presa sul petto, accasciarsi contro la parete e poi scivolare a terra.



Allora, cosa ve ne pare di questo capitolo? Se vi è piaciuto lasciatemi una recensione ;)
Grazie a tutti quelli che stanno oleggendo!
- Tessa Fray

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Capitolo 13
*** 13 ***


Il corridoio mi era sembrato molto più corto quando lo avevo percorso assieme a Shaytan. Correvo come una matta ma mi sembrava di girare in tondo, tornando sempre al punto di partenza. Era impossibile distinguere quale strada avessi già preso e quale meno, perché le chiazze di colore vorticavano sulle pareti, rendendo tutto uguale e confuso. Shaytan … il modo in cui era crollato a terra … non sembrava nulla di buono, ma io non potevo stare con lui, dovevo trovare Iblis, la folla e capire cosa stava succedendo. Ed ero troppo spaventata. La paura sembrava esser diventata la mia compagna perenne: non mi lasciava nemmeno nel sonno, soffocandomi. Un senso di panico crescente si diffondeva nel mio corpo come acido, bruciando ogni nervo e muscolo, facendomi schizzare in aria al minimo rumore. Dopo un po’ mi ritrovai di fronte alla porta della mia stanza. La osservai. Potevo decidere di nascondermi ancora, di rintanarmi sotto il mio guscio di coperte. Era una scelta facile, tutto sommato. Bastava seppellire la curiosità in un angolino remoto della mia mente e cercare un piccolo spazio dove regnasse una relativa tranquillità. Oppure potevo girare i tacchi e continuare a cercare, sfidando l’angoscia e il nervosismo. Andando verso l’ignoto. Volevo davvero sapere qualcosa che avrebbe potuto sconvolgermi? Volevo davvero abbandonare la mia ignoranza, che fin’ora mi aveva protetta dallo sgretolarmi in tante macerie? Soppesai le mie alternative. E con un sospiro, il cuore in gola e una rinnovata determinazione che infuriava sotto pelle, decisi per la seconda opzione. Dopotutto, non avevo nulla da perdere. Il vuoto nella mia mente era riuscito solo a ritardare in parte l’inevitabile. Prima o poi avrei dovuto ricucire gli strappi della mia vita, tanto valeva cominciare subito. Cercai di ritrovare il passaggio giusto, dove poco prima avevo seguito Glenna, Rexanne e Harrison. Mi sembrò di riconoscere una particolare macchia blu sul soffitto, così proseguii in quella direzione. Dopo altri corridoi, numerose svolte, e parecchi moti di stizza, finalmente mi sembrò di riuscire a sentire un brusio lontano. Lo seguii, e a poco a poco questo si faceva sempre più forte, andando a comporre il vociare di numerose persone. Finalmente, pensai con sollievo. Pensavo mi ci volesse una vita intera. Avrei fatto in tempo a diventare vecchia.
Il corridoio era a fondo cieco, e terminava con un enorme portone di mogano scurissimo, alto almeno quattro metri e decorato ai bordi con strani simboli fatti di pallini e linee spezzate tra loro intricate. Il rumore adesso era fortissimo. Appoggiai una mano sul legno liscio. Oltre che alto, il portone doveva essere anche piuttosto spesso, un grosso blocco imponente, maestoso e irremovibile. La mia mano pallida non avrebbe potuto nulla contro tutta quella massa. Feci pressione, senza ottenere, ovviamente, alcun risultato. Provai con due. Con la spalla. Di schiena. Tirai un calcio. Niente.
- Maledizione! – sbottai contro la porta.
Fissavo quel varco come se con lo sguardo avessi potuto dargli fuoco. Scommisi che se mi fossi trovata in un libro, quello sarebbe sicuramente successo. I miei occhi avrebbero perforato quel dannatissimo legno e sarei entrata nella sala adiacente con aria trionfante. C’era un unico problema. Non ero in un libro. Poi mi ricordai di un dettaglio importante: non ero nemmeno nella realtà. Non appena ero giunta lì mi era stato detto che mi trovavo in un limbo, in un luogo teso tra spazio, tempo e logica. Ero nella mia mente. E cosa non si poteva fare, con una mente bene aperta alle stramberie? Non avevo divorato tutti quei libri fantasy per nulla. Appoggiai entrambe le mani sul portone, questa volta con delicatezza. Lo stesso feci con la fronte, Poi chiusi gli occhi e aspettai.
Sentii immediatamente il cambiamento nell’aria. Questa si era caricata di elettricità statica, tanto che i miei capelli stavano svolazzando ribelli intorno al viso. I palmi delle mani si stavano surriscaldando a contatto con il legno. Adesso lo buco con le mani fornello! Pensai estasiata, aprendo gli occhi. Ciò che vidi mi lasciò senza fiato. I simboli che contornavano l’ingresso brillavano tutti di una vivida luce viola. Porca …
Improvvisamente il portone si spalancò. Persi l’appoggio sulle ante e barcollai in avanti, andando a inciampare e finendo per terra. Che imbarazzo … sollevai lo sguardo e notai che tutti quelli che erano lì intorno mi stavano fissando. Mi correggo. Mi stavano fissando minacciosi e silenziosi e altezzosi e … vabbè. Qualcuno bisbigliò qualcosa nell’orecchio al vicino, altri fecero smorfie, altri ancora semplicemente, dopo appena uno sguardo di sufficienza,  tornarono a ignorarmi.
- E’ lei, la ragazza … -
- Prima Shaytan la portava con lui. –
- … umana pericolosa. –
Velocemente mi alzai, lisciai i vestiti e cercai di sparire da quegli sguardi indiscreti. Era come se ai loro occhi fossi un fenomeno da baraccone. Mi muovevo tra la miriade di persone, tenendo la testa chinata, chiedendo scusa quando davo spallate o pestavo piedi, mantenendo un profilo basso. La sala era incredibilmente grande. Era pervasa da una luce soffusa, calda e dorata, che proveniva da migliaia di candeline appese in aria o lungo le pareti, le quali erano perfettamente nere. Tutti si trovavano in piedi, occupando lo spazio disponibile, e disposti a formare cerchi concentrici vi erano piccoli alberelli scheletrici che andavano a fuoco senza consumarsi e senza sollevare soffocanti volute di fumo nero. Osservarli era uno spettacolo singolare. Il mio sguardo vagava attraverso la stanza, cercando volti conosciuti, e si soffermò in un punto rialzato presente al centro, dove vi erano quattro imponenti scranni in marmo nero con venature giallo-dorate splendenti. Tre di quei troni erano occupati. Ero troppo lontana per distinguere le figure. Cercai di avvicinarmi spintonando in mezzo alla folla.
- Hey! – mi rimproverò qualcuno, quando per sbaglio gli rifilai una gomitata nel fianco. Riuscire a trovare uno spazio era stata un’impresa, ma alla fine ero giunta abbastanza vicina, e ora, con immenso sgomento, potevo vedere benissimo chi avevo di fronte, in uno dei due seggi centrali.
Iblis stava seduto sul trono con fare annoiato. Teneva le gambe accavallate, la postura sbilanciata verso sinistra, appoggiando il volto alla mano. Il braccio destro, invece, era disteso sul bracciolo, terminante in una morbida voluta. Indossava il suo solito smoking nero, e i capelli erano tirati perfettamente all’indietro. Alla sua sinistra, in un trono leggermente decentrato e di dimensioni ridotte rispetto ai due centrali, sedeva Luc, perfetta copia del padre: stesso sguardo sprezzante, stesso beffardo atteggiamento.
- Silenzio! – tuonò una voce imperiosa. Subito i presenti obbedirono al comando, che era stato impartito niente meno che da Faizah, la quale si trovava in piedi di fronte al secondo dei due seggi principali.
Non so cosa mi stupì di più: se il vederli tutti lì assieme, il fatto che fossero seduti su dei troni, o che Faizah non fosse vestita di bianco. Il suo corpo era perfettamente fasciato in un lungo abito nero. La parte del busto era costituita da una sottile filigrana nera semitrasparente che copriva le braccia fino ai polsi e gran parte del petto. I seni e l’addome invece erano coperti da un secondo tessuto, che sembrava liscissima seta, come se fosse un secondo vestito con una scollatura a cuore. La parte della gonna scendeva sinuosa e stretta fino ai piedi, come una cascata, con uno spacco vertiginoso dalla parte della gamba destra. Non aveva nessun gioiello, solo una spilla scintillante che teneva i capelli fissati in una semplice acconciatura.
Faizah aspettò che il brusio si placasse del tutto, facendo scorrere il suo sguardo in ogni anfratto della sala. Fu così che casualmente incrociò i miei occhi. Vidi passare sul suo volto un lampo di sorpresa. Sembrava che stesse per dire qualcosa, ma subito ogni segno del fatto che mi avesse notata fu seppellito  sotto uno sguardo fiero e altezzoso, e tornò a rivolgersi alle persone. C’era un tale silenzio che sentivo il mio respiro rimbombarmi nelle orecchie.
- Benvenuti, figli e figlie! – esclamò. La folla rispose con un fragoroso boato. Faizah dopo qualche istante alzò una mano col palmo aperto per richiamare il silenzio.
- Rendete omaggio al vostro mentore, alla vostra guida, colui che eternamente reggerà le nostre terre! Salutate Iblis! –
Il folto gruppo di persone questa volta non si pronunciò con schiamazzi; tutti si inginocchiarono, i visi rivolti verso lo scranno di Iblis, il pugno destro sollevato in aria, in un perfetto silenzio reverenziale. Io li imitai, cercando di confondermi con loro, pur sapendo che ormai ero già stata vista da Faizah. Iblis si erse in piedi in tutta la sua compostezza, lisciando le pieghe dei suoi pantaloni gessati, e, dopo essersi portato al centro del podio sul quale si trovavano i quattro troni, proprio mentre iniziavo ad avere crampi al braccio e alle gambe piegate, lui ci permise di ritornare in piedi con un gesto della mano, e poi iniziò a parlare.
- Come sapete, siete stati tutti confinati nei piani inferiori, senza possibilità di uscita. Questo varrà anche al termine di questa riunione. –
Subito iniziarono a volare lamenti per tutta la sala, una voce che si udiva sopra tutte.
- Lo sapevo. Cosa cazzo stiamo facendo, eh? Tutto per una stupida umana? –
La tensione accumulata sulle spalle discese alla colonna vertebrale in un brivido che mi percorse da capo a piedi.
- Taci, Harrison. Dovresti portare un po’ più di rispetto, non credi? E questo significa non prendere la parola mentre sto parlando io. Ricordati chi sono. – Il tono di voce era rimasto neutro, atono, ma proprio quella fermezza faceva sembrare Iblis ancora più terrificante, perché non aveva dovuto mettere una piega minacciosa in quelle parole. La minaccia era già contenuta in esse.
Volevo individuare Harrison, ma non potevo muovermi. Poi, come se un’onda avesse attraversato la sala, mi ritrovai ancora più compressa contro le persone alla mia sinistra. Quindici metri, circa, più a destra, si era creata una bolla di spazio che era stata occupata da un gigantesco serpente. Molti fecero esclamazioni di stupore, io mi lasciai sfuggire un gridolino. Un secondo prima c’erano solo delle persone, quello dopo era comparso dal nulla un enorme serpente, che per colori e forme sembrava essere simile a un anaconda verde, ma che, per assurdo, era di dimensioni ancora più grandi. La paura che provavo non si estendeva al resto dei presenti, per i quali ciò che stava succedendo sembrava essere all’ordine del giorno.
Il serpente scivolò fino al podio, sibilando. Iblis lo fissava immobile di rimando.
- Harrison, no! –
La voce di Glenna tagliò la stanza. Ma di Harrison continuava a non esserci traccia.
- Harrison, nooo. – le fece il verso Iblis – Caro Harrison, forse faresti meglio a dare retta alla tua amica. –
Le parole erano rivolte al rettile. Ma come poteva un  serpente capire ciò che gli veniva detto? La consapevolezza mi colpì come una frusta. Harrison era il serpente. Non c’era più il ragazzo dai capelli scuri e con il piercing al sopracciglio, bensì, al suo posto, un enorme anaconda verde.
La sua coda continuava ad arrotolarsi sul pavimento, parte del busto si erse e si tese, pronto ad attaccare.
- Fallo, e marcirai nelle fosse. Non importa cosa proverà a dire Glenna in  tua difesa. – Iblis, nel pronunciare queste parole, aveva fatto un passo in avanti, e il suo volto si era scurito, adombrato dalla totale mancanza di compassione.
Harrison non prestò ascolto a nessuno dei due. Stava per scattare in avanti, quando improvvisamente il portone della sala si spalancò con fragore. Harrison indirizzò tutta la sua attenzione verso l’ingresso e Luc si alzò dal suo trono. Iblis e Faizah rimasero immobili, tutti noi ci voltammo di scatto verso la porta. Forti folate di vento invasero la stanza, spegnendo tutte le candeline e facendo crepitare con maggior forza le piante infuocate, che però continuarono ad ardere, imperterrite. La figura che si stagliava sul portone iniziò a muoversi. Era molto alta, più di due metri. La corporatura era massiccia. I capelli biondo rame si agitavano nell’aria. Iniziò ad avanzare, e più si avvicinava al podio, più la sua stazza sembrava imponente, se paragonata a quella di Iblis. Non arretrò di fronte al serpente. Non arretrò di fronte a nessuno. I fasci di muscoli erano visibili sotto all’armatura nera che indossava. Un ghigno gli piegava la bocca. I suoi movimenti furono seguiti dagli occhi di ogni presente.
- Sembra che tu abbia qualche problema interno, fratello. – disse sarcastico, la voce roca e molto bassa, come se avesse un grumo in gola.
- Tu. – Iblis fremeva, ora i suoi occhi avevano il colore delle nuvole temporalesche. – Dovevi aspettare il mio permesso, prima di entrare. –
Il nuovo arrivato scoppiò in una risata spezzata. – Lo sai che non sono un tipo paziente. – Diede un colpo di tosse per schiarire la voce, gorgheggiando.
Faizah si fece avanti, intromettendosi tra i due. – Non sei il benvenuto, Belzebù, dovresti saperlo bene. –
Tutto quello a cui stavo assistendo era molto confuso. Esisteva ancora qualcosa che appartenesse alla normalità e che non fosse del tutto illogica?
Belzebù sogghignò. I suo occhi brillavano di un vivido giallo, come quelli dei gatti. Ignorò Faizah, rivolgendosi ancora a Iblis.
- Sei così pieno di te. Tutti sono stufi di stare alle tue imposizioni. Sarai anche crudele e rabbioso, ma il tuo dispotismo ha stufato i più. Me compreso. Ma questa è storia vecchia, dopotutto. – Ogni parola che pronunciava usciva fuori con fatica, come se a trattenerla in gola ci fossero migliaia di insetti ronzanti che volevano fuoriuscire. – Non sono venuto per ricordarti il mio disgusto fraterno, oh no. Sono qui per il tuo giocattolino umano che custodisci con tanta cura. Voglio Adele come mia consorte, e finalmente l’inferno potrà risollevarsi nella gloria e nell’antico splendore con i sovrani che merita. -





Ciao a tutti, eccomi qua con un nuovo capitolo! Spero che la storia continui ad essere appassionante, e ringrazio di cuore tutti voi che la state seguendo! Se volete farmi sapere la vostra opinione o i vostri consigli/critiche, fate pure! Un bacione
- Tessa Fray

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Capitolo 14
*** 14 ***


Belzebù fronteggiava Iblis con grande sicurezza, tenendo la schiena ritta e con un sorrisetto strafottente sulle labbra. La mia vista incominciò ad annebbiarsi ed emisi un mugolio. Io cosa c’entravo in quella faida? In cosa diavolo mi ero cacciata? Diavolo … Iblis era …
Osservai nuovamente i troni, tutto quel nero, il fuoco, la fissa per il rosso. Non ero affatto nelle mani di una famiglia eccentrica. Ero nelle mani di una famiglia infernale. La famiglia infernale per eccellenza, retta dal demonio in persona. Ciò voleva dire che Luc e Shaytan erano demoni. Che tutti quelli che mi circondavano lo erano. Guardai con orrore Harrison, ancora mutato in serpente, che ora non sembrava più prestare attenzione a Iblis, preferendo fissare minaccioso Belzebù. Anche Faizah mi aveva mentito per tutto quel tempo. Forse era quella la cosa che faceva più male di tutte, nonostante l’assurdità della situazione. Avevo creduto che in qualche modo lei si sarebbe presa cura di me e mi avrebbe aiutata. Ma era la moglie del diavolo, e avrei fatto meglio a non aspettarmi nulla da lei. Il suo sguardo incrociò il mio, ma non sapevo come leggerlo; non sotto a quella maschera nera che non riuscivo proprio ad associarle, non con quel senso di tradimento che a ogni secondo si instillava nel mio cuore. C’erano molte cose che non riuscivo a capire, ma se ero arrivata fino a quel punto, sarei potuta anche andare oltre.
- Adele resterà sotto la mia tutela, fratello. –
Quando Iblis rispose a Belzebù, rompendo il silenzio, ricominciai a respirare.
Belzebù tossi una risata sprezzante che veleggiò per l’enorme sala. Da dove mi trovavo riuscivo a vedere come portò il capo indietro per ridere di gusto, la faccia impassibile di Iblis, Luc sempre fermo dietro al padre e le persone intorno che osservavano la scena in allerta. Placate le risate, Belzebù si rivolse ai demoni nella stanza.
- Ancora temete questo capo così freddo e distante che è capace solo a punire e mai a ricompensare? Volete davvero seguirlo nel suo ennesimo atto di egoismo? Che vantaggio traete, voi tutti, dall’avere un’umana qui, nel nostro regno? – Fece finta di pensare alla risposta, accarezzandosi il mento con sguardo interrogativo. Poi, improvvisamente, l’espressione sul suo voltò si inasprì in una terribile smorfia. – Fatemi indovinare: nessuno. – E nel dire l’ultima parola scattò nuovamente con lo sguardo su Iblis. Una serie di mormorii incominciò a farsi strada fino alle mie orecchie.
Per la prima volta Luc fece sentire la propria voce.
- Loro tutti sanno che, se dovessero disobbedire, ci sarà di sicuro un posto nelle fosse infernali libero e pronto all’uso. Non arrabbiarti zio, ma Adele è un mio problema. –
Ero cosa? Ero così stupefatta che stavo per rivelare la mia presenza, ma Iblis mi precedette, lanciando uno sguardo di avvertimento al figlio.
- Taci, Luc. – I due sembravano comunicare silenziosamente. Il primo a cedere e a spostare lo sguardo fu Luc, che tornò a sedersi sul suo scranno.
La tensione era palpabile, l’atmosfera era così densa che si sarebbe potuta tagliare con un coltello.
Belzebù si godeva lo scompiglio che stava provocando, mentre Iblis cercava di riportare i presenti all’ordine, prima di tornare a rivolgersi al fratello.
- Ricordati che sono io a comandare. Ricordati chi ha il potere. –
- Il tuo potere si sta sbriciolando, non serve a nulla nasconderlo. Se io adesso chiedessi ai tuoi fedeli di unirsi a me, quanti pensi che resterebbero al tuo fianco? –
Le parole di Belzebù mi fecero accapponare la pelle. Avevo sempre guardato a Iblis come a qualcuno che è meglio non fare arrabbiare, ma Belzebù sembrava esser peggio di lui.
Iblis manteneva la sua facciata di calma e compostezza, ma il tono della sua voce tradiva il suo umore.
- Ritorna subito a Ekrom. Adesso. – digrignò.
- Non prima di aver preso con me Adele. Chissà cosa potrebbe succedere all’altro tuo figlio, altrimenti. –
Faticavo a stare dietro al discorso, era tutto nuovo e disarmante per me, ma riuscivo a capire che la situazione stava degenerando, e sentivo il bisogno di uscire allo scoperto, solo per evitare che si scatenasse l’inferno … all’inferno. Forse era un proposito un po’ troppo ambizioso.
- Adele è mia, e resterà qui. – Iblis sputò a terra. – Piuttosto, perché Astaroth e Azazel non sono con te? Non dirmi che anche tu sei mosso da scopi egoistici. Proprio non me lo aspettavo … -
La frecciatina fece infuriare Belzebù. Una nuova scarica di vento attraversò la sala, accompagnato da un terribile ruggito. La potenza di quella folata d’aria mi costrinse a portarmi le mani agli occhi, per ripararmi dalle ciocche di capelli, che scudisciavano come fruste il mio volto. Un ronzio assordante riempì le mie orecchie, unito a un coro di esclamazioni. Quando riaprii gli occhi e cercai di individuare il demone, non c’era più l’uomo imponente e dai capelli biondi, ma una creatura alta tra i tre e quattro metri, con il volto di ariete, il busto umano e le gambe di un rapace. Sulla schiena si facevano strada due enormi ali nere squamate; l’aria era piena di insetti affamati. Le corna enormi e nere si allungavano verso l’alto. La parte del busto era attraversata da piaghe fetide, dalle quali sgorgavano pus e nuovi insetti. Al confronto, l’anaconda di Harrison sembrava un animaletto domestico. Faizah si ritrasse disgustata, mettendosi davanti a Luc per proteggerlo. Mi sembrò una cosa insolita per il momento e il luogo, ma fu un gesto che mi colpì. Iblis sembrava pronto a scatenarsi come una furia.
- Come tu non hai detto nulla sulle sue potenzialità, anche io tengo per me i miei segreti. -  tuonò Belzebù – dammela subito. – Gli insetti si agitavano intorno a lui.
Tutti i demoni nella stanza parevano confusi. Alcuni si chiedevano perché mai valessi così tanto. Altri mi avrebbero subito ceduta pur di mandare via Belzebù. Una parte più piccola accettava le decisioni di Iblis.
- Mai. –
Esplose il caos.
La furia di Belzebù era incontenibile. Migliaia di insetti presero ad attaccare ogni demone presente, pungendo, graffiando, nutrendosi di sangue. L’orrore che provavo mi paralizzò per qualche secondo. Belzebù si lanciò verso la famiglia infernale, ma Harrison lo rallentò, frapponendo la sua anaconda gigante. Le urla salivano fino al soffitto, ma sopra tutte sentii Glenna e Rexanne, che avevano i visi sconvolti, le bocche spalancate in grida laceranti. Non ci volle molto perché Belzebù scaraventasse Harrison al tappeto come una bambola rotta. Il serpente gigante scomparve nel momento dell’impatto, lasciando un enorme vuoto che permise a Belzebù di avvicinarsi rapidamente a Iblis, Faizah e Luc. L’adrenalina in circolo nel sangue mi fece muovere. Nessuno di loro meritava il mio aiuto, ma il sacrificarmi a favore degli altri era sempre stato qualcosa che mi riusciva bene. Così le mie gambe scattarono e, mentre Belzebù stava per avventarsi sui tre, raggiunsi il podio con i troni e mi parai davanti a tutti.
- Fermati! – urlai disperata, ma i suoi occhi infuocati dicevano il contrario. Era accecato dall’odio e dal risentimento, poco importava che dinnanzi a sé avesse l’oggetto del suo desiderio.
- Adele, no! – Il grido di Faizah sembrava tanto simile alle urla che avevo sentito prima che dei fari mi accecassero. Prima che saltassi nel vuoto.
- Adele! – Mi voltai per trovare chi aveva urlato ancora il mio nome. L’ingresso del salone era di nuovo aperto, contornato dall’alone luminoso dei simboli che lo decoravano. Qualcuno stava correndo velocissimo verso il podio dove ci trovavamo. Belzebù ormai era vicinissimo. Il tanfo permeava ogni particella nell’aria e gli insetti avevano formato una barriera che mi bloccava la vista. In un gesto infantile, sollevai le braccia sopra la testa per farmi scudo, ben sapendo che non sarebbe servito a nulla. Avevo scampato la morte una volta, solo per doverla affrontare nuovamente in maniera assai peggiore.
Chiusi gli occhi.
Un’improvvisa vampata di calore mi accarezzò la pelle. In pochi secondi tutto divenne rovente. Quando trovai il coraggio per osservare cosa stava succedendo, vidi che mi trovavo al centro di una tempesta di fuoco. Le fiamme degli alberi che bruciavano si erano levate e intensificate in enormi colonne infuocate, che si piegavano come i serpenti al suono del flauto degli incantatori, come le marionette nelle mani di un burattinaio. Stavano divorando tutti gli insetti che mi avevano intrappolata, trasformandoli in minuscoli coriandoli di cenere, e contemporaneamente creavano una barriera contro i cicloni di Belzebù. Qualcuno si era frapposto tra noi e il mostro. Ci dava le spalle, i capelli che vorticavano sollevati dalle volute di aria arroventata, il collo teso e traslucido per il sudore. Qualcosa si mosse dentro me, una sensazione più forte delle ondate di paura e stupore che mi avevano invasa assistendo a quella specie di riunione.
Lui voltò il busto quel tanto che bastò per vedere anche il profilo del volto. Mi lanciò un’occhiata devastante, ardente come le fiamme che imperversavano inghiottendo tutto ciò che si parava loro di fronte.
Poi spezzò quel flebile contatto, portando tutta la sua attenzione su Belzebù. Era una lotta tra elementi, tra l’aria e il fuoco. Capii subito chi avrebbe vinto. Il salone sembrava rispondere al volere di Shaytan, che con strani gesti delle mani e schiocchi della lingua dominava le fiamme, guidandole verso lo zio. Una prima e fondamentale regola della natura era che nulla brucia senza ossigeno. L’aria di Belzebù era come un proiettile pronto a essere scagliato da una pistola. Provò a resistere, ma le continue stoccate di Shaytan lo stavano mettendo a dura prova. Le urla che lanciava erano terrificanti, come se gli stessero strappando la pelle. E in un certo senso era così, le piaghe che si allargavano a dismisura, il pallore che aumentava visibilmente. Era uno spettacolo crudo e violento che stava minando seriamente il mio stomaco. Avrei dovuto provare paura, ma le uniche cose che sentivo erano il sollievo di non essere sovrastata da milioni di locuste e la strana ammirazione nei confronti di Shaytan, che sembrava essere un tutt’uno con il fuoco, un angelo vendicatore temibile ma bellissimo. La maglietta nera che indossava si tendeva per seguire i movimenti delle spalle, mostrando la forma perfetta del suo busto. Stava quasi per avere la meglio su Belzebù, quando quello si scompose in centinaia di mosche che, in una nube vorticosa e nera, si scagliarono fuori dal salone e scomparvero.
Le colonne di fuoco si riassorbirono, tornando a essere i gracili alberelli che bruciavano continuamente. Shaytan abbassò le mani, continuando a guardare con furia il portone. I demoni erano tutti ammutoliti e guardavano Shaytan come se fosse Iblis. Forse anche peggio. Mi resi conto che anche io lo stavo fissando a bocca aperta. Poi un mugolio richiamò la mia attenzione.
Faizah, con le lacrime agli occhi, si era portata entrambe le mani alla bocca. Luc aveva abbandonato le braccia sui fianchi, le gambe ancora in procinto di scattare verso un pericolo che non c’era più. Iblis avanzò fino a trovarsi alle spalle del figlio.
- Shaytan, sei stato … - fece per esordire.
Ma Shaytan lo bloccò, prima che tutti noi potessimo sentire cos’era stato.
- Non una parola. – disse, voltandosi verso il padre. – Non voglio sentirti. Risparmia il fiato per trattenere i tuoi sudditi. Mi avresti lasciato morire. –
Subito un’ombra oscurò il volto di Iblis, trasfigurandolo.
- Non te. – sembrava che ci fossero un sacco di sottintesi in quelle due parole, che nessuno poteva capire, ma che Shaytan sembrò afferrare.
- Ancora peggio. – sibilò. L’ira non rendeva più brutti i suoi tratti. In qualche modo li esaltava, facendo risaltare la sua forza. Non aggiunse altro. Girò i tacchi e percorse di fretta la distanza che lo separava dall’atrio, tra il silenzio generale. Solo quando fu uscito dalla stanza le mie gambe ripresero a funzionare.
- Aspetta! – quello che nelle mie orecchie era sembrato un urlo, probabilmente doveva essere uscito in un soffio. Iniziai a inseguirlo, ma qualcuno riuscì a trattenermi prima che arrivassi al portone, prendendomi con una stretta decisa. Era Faizah, che non avevo minimamente sentito muoversi, troppo presa dal suono del mio cuore che scalpitava nelle orecchie. La guardai malissimo, ferendola più che potevo senza dire una parola. Me la scrollai con forza di dosso, e ripresi a correre.
Trovai Shaytan poco lontano dal salone, seduto con  la schiena appoggiata a un muro fucsia e arancione. Sentendo i miei passi scattò in piedi per allontanarsi di nuovo.
Stava per prendere una svolta, ma riuscii a fermarlo in tempo.
- Ti prego, fermati! – gli corsi dietro. Lui si fermò di colpo, cosa che quasi mi fece andare a sbattergli contro.
Ruppi il silenzio per prima.
- Per prima. Eri incredibile. Io … volevo dire … il fuoco, tu … - Dio, che scena pietosa. Non riuscivo nemmeno a formulare una frase di senso compiuto.
- Quello che sto cercando di dire è … grazie. Per avermi salvata. –  dissi tutto in un soffio.
Ero tesissima. Perché ci metteva così tanto a rispondermi? Stava bene?
- Shaytan? – lo chiamai. Il suo nome rotolò sulla mia lingua appena sussurrato, un suono incredibilmente facile da pronunciare, con una particolare musicalità che mi piaceva. Mi resi conto con stupore che era la prima volta che mi rivolgevo direttamente a lui. Non lo avevo mai chiamato per nome ad alta voce.
Forse fu quello che lo fece voltare.
Aveva ancora una volta gli occhi con le iridi rossissime, e mi fece spaventare. Era infuriato, e non sapevo perché.
- Se mi avessi dato retta, non sarebbe successo nulla. – mi ringhiò in faccia. – Il casino che è successo è solo per colpa tua. -




Ciao a tutti! grazie a voi che siete arrivati fino a questo punto! se la storia vi piace, cercate di contagiare altre persone ahahahah
Fatemi sapere che cosa pensate di questo capitolo!
-Tessa Fray

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Capitolo 15
*** 15 ***


Il casino che è successo è solo per colpa tua. Il casino che è successo è solo per colpa tua. Il casino che è successo è solo per colpa tua. Se quelle parole avessero risuonato ancora per un po’ nella mia testa mi sarebbe venuta un’emicrania con i fiocchi. Dopo avermi gentilmente ricordato la mia inadeguatezza a quel posto ed essermi prontamente difesa fissandolo scioccata come un pesce lesso boccheggiante, Shaytan mi aveva piantata in asso nel corridoio e, in tutto il tempo che avevo impiegato per ritrovare la mia stanza e durante la notte, le parole che mi aveva sputato in faccia avevano risuonato prepotentemente nella mia testa. Le avevo persino sognate associate a immagini stupidissime, come un enorme vassoio di frittelle di mia mamma che mi era scivolato dalle mani. Ora che ci ripensavo, quello era stato un vero e proprio incubo. Mia madre era impettita, con le braccia sui fianchi (pessimo segno), e mi urlava contro, solo che la voce non era la sua, ma quella di Shaytan, e per questo spaventava ancora di più. Pure mentre seguivo Luc nei corridoi quelle parole faticavano a lasciarmi in pace. Lui si era presentato a quelle che sosteneva essere le nove di mattina, cosa che non avevo potuto appurare dato che non conoscevo ancora il modo per capire che ora fosse all’inferno, e mi aveva letteralmente buttata giù dal letto, sollevandomi di peso e spintonandomi nei corridoi. Anche ora di tanto in tanto mi dava qualche pacca.
- Smettila, mi stai irritando! – mi lamentai, insultandolo mentalmente con le mie parolacce più fantasiose. Per tutta risposta mi diede uno spintone ancora più forte che mi fece quasi inciampare.
- Muoviti. – La sua voce annoiata e atona riusciva solo a far crescere il mio malumore. – Oggi inizierai a recuperare i ricordi del tuo passato, e finalmente smetterai di sbavare su quel letto. –
- Io non sbavo! – protestai indignata. Ma guarda te quello stronzo! Girai la testa per fargli una patetica linguaccia, e le sue labbra si piegarono in un ghigno pericoloso.
- Sbavi eccome, pidocchietto. –
Sentivo il sangue ribollirmi dentro. – Come mi hai chiamata? –
- Sbrodolina. –
- Smettila. – lo imbeccai.
- Pidocchio sbrodolone. –
- Ma che diamine! – sbattei i tacchi per terra, incrociando le braccia, infuriata come non mai. Quel ragazzo era terribile. E continuando a prendersi gioco di me in quel modo avrebbe dovuto iniziare a guardarsi intorno. Avrebbe potuto trasformarmi in un’assassina. Un’assassina che non era nemmeno capace a farsi da sola la ceretta perché faceva troppo male. Chi volevo prendere in giro. Patetica. Il triste risultato fu che guadagnai una nuova spinta, più forte delle precedenti, e che i miei piedi si incrociarono, facendomi schiantare a terra.
- Merda! Questa volta ti ammazzo! – La sua lieve risatina mise a dura prova il poco contegno che mi era rimasto. Senza tante cerimonie, mi sollevò le gambe e iniziò a trascinarmi. I capelli mi erano tutti finiti in faccia, coprendomi la vista, e il mio sedere sfregava fastidiosamente sul pavimento. Provai a divincolarmi scalciando come una matta.
- Lasciami! Lasciami! – dalle urla che facevo, probabilmente, dovevo sembrarla davvero una matta.
- Credo che questo momento resterà impresso nella mia memoria in eterno. – Mi schernì Luc, mantenendo stretta la presa sulle caviglie.
- Giuro … se non mi lasci …! – Lo sforzo che facevo per tirarmi appena un po’ su e parlare era disumano. I miei addominali protestavano con foga.
Non serviva vederlo in faccia per capire che Luc si stava divertendo un mondo. – Ah ah, Adele, se continui così dovrò portarti a fare un tour alle fosse infernali. – mi scoccò un bacio volante.
- Che vuoi che sia, sono già all’inferno! – mugugnai a denti stretti, esasperata.
Quando arrivammo nella nuova saletta, ebbi il permesso di risollevarmi in piedi. Ci trovavamo in una specie di sgabuzzino privo di luci. Le pareti scure e l’assenza di finestre fecero faticare i miei occhi, che impiegarono qualche istante per mettere a fuoco le ombre.
- Che tipo di allenamento dovrei fare in un buco appena più grosso della mia macchina? – domandai scettica al mio accompagnatore, che era rimasto alle mie spalle, bloccandomi l’uscita.
Luc si appoggiò allo stipite della porta, con le braccia conserte, mentre un rapido sorriso gli attraversò il volto.
- Per recuperare te stessa devi prima mettere ordine nei tuoi pensieri. La tua mente sta compiendo un viaggio per lei estenuante. –
Con la testa annuivo, ma la mia espressione credo che mi tradisse, perché proprio non capivo dove volesse andare a parare. E dato che, ahimè, Luc non sembrava affatto stupido, si accorse che non stavo capendo niente e continuò a spiegare.
- La meditazione ti permetterà di ritrovare il tuo centro. Solo allora potrai davvero permettere ai tuoi ricordi di affollarti la mente. – Quelle parole che suonavano così filosofiche alle mie orecchie, dette da lui sembravano una lezioncina imparata a memoria da un bambino per compiacere il maestro. In una parola, erano irritanti.
- Quindi tutto quello che devo fare è meditare? – ero visibilmente allibita. – Che cagata. – sibilai. Luc mi sentì di sicuro, ma saggiamente decise di ignorarmi, chiudendosi la porta alle spalle e andando ad accomodarsi appoggiato a una parete. Il buio ci inghiottì, l’unica cosa vagamente luminosa erano i nostri occhi.
- Siediti al centro della stanza e fa come ti dico io. – ordinò Luc.
Mi posizionai in un punto freddo del pavimento, come aveva detto lui, e mi sedetti incrociando le gambe.
- Bene, ora chiudi gli occhi e concentrati. –
- Se li tengo aperti non fa nessuna differenza, non vedo lo stesso un accidenti. – replicai asciutta.
- Chiudi la bocca. – mi rimbeccò.
- Non erano gli occhi? – domandai da finta innocente. Rispondergli con le piccole frecciatine mi riempiva di soddisfazione. Era una lotta a chi aveva la testa più dura.
Poi li chiusi, ma la mente continuava ad affollarmisi di pensieri su pensieri senza senso.
- Concentrati, ho detto. – Il tono di Luc, il quale come sempre riusciva ad acquisire una perfetta immobilità, era persuasivo.
- Mi sto concentrando. – mentii.
- Sei una pessima bugiarda. –
- Sei tu che hai il radar per le bugie. Io mento benissimo. –
- Se ne sei così convinta … -
Decisamente non saremmo mai diventati amici.
Trascorsi almeno un’ora strizzando gli occhi e cercando di non pensare a niente, con risultati davvero pessimi. La presenza di Luc di certo non aiutava, perché le sue continue intromissioni e il suo ego smisurato proprio non mi lasciavano respirare.
- Basta, non ce la faccio più! – esclamai a un tratto, sfinita. Luc non si scompose, nemmeno quando scattai in piedi. In quel momento la temperatura nello stanzino precipitò e la porta fu attraversata da una figura umana indistinta. Mi schiacciai contro il muro alle mie spalle, preoccupata che fosse una qualche specie di demone, quando la figura parlò, rivelandosi essere Shaytan.
- Allenamento inconcludente? –
Se ero agitata per l’improvvisa comparsa di una creatura infernale, il fatto che la creatura in questione fosse Shaytan mi faceva letteralmente impazzire. Che ci faceva lui, qui? Dopo le parole che mi aveva detto … forse aveva deciso di tormentarmi. Possibile. Forse voleva risucchiarmi l’anima. Possibile di nuovo.
- Stai calma Adele, ero solo venuto a controllare. –
Rabbrividii, stringendomi le braccia intorno al corpo.
- So-sono perfettamente calma. – Che ci fai qui?, pensavo.
- Il tuo battito cardiaco è accelerato. – Shaytan aveva un sopracciglio sollevato, come per dirmi che non serviva che continuassi a dire bugie perché tanto lui sapeva già tutto.
- Non puoi sentirlo. – Ma che … aveva altri superpoteri oltre al controllo del fuoco?
- Sì. – risposta davvero inquietante. Sì, si sentiva il battito, o sì, aveva altri superpoteri?
- Comunque – proseguì lui – passavo per vedere come andava la tua prima lezione. – Figura sfocata o meno, riusciva sempre a impappinarmi il cervello da quanto era magnetico. – Quindi continuate pure, fate come se non ci fossi. –  Come se fosse stato facile ignorarlo e basta. Semplicemente, se c’era lui nella stanza, era impossibile non notarlo. Feci comunque del mio meglio per restargli indifferente. Ancora non sapevo se ce l’avesse o no con me, ma non dovevo assolutamente mostrargli come la sua presenza mi rendesse un pezzo di burro.
- Fantastico. – esultò Luc senza un briciolo di entusiasmo.
Liberare la mente era davvero un’impresa. Era impossibile! Ogni volta che mi sembrava di toccare il nulla, prontamente esplodevano colori e pensieri fin troppo rumorosi, la maggior parte dei quali legata a Shaytan. Era molto irritante. Non contava nulla per me. Non era nessuno. Lo conoscevo a mala pena, eppure era diventato una costante irremovibile.
Non passò nemmeno un’altra mezz’ora prima che Luc decidesse di finirla come primo giorno. Disse che ero disgustosamente incapace. Una palla al piede. Ero troppo sfinita per dargli corda. Mi limitai a sollevare le spalle con aria sconfitta, prima che mi desse appuntamento per tutta la prossima settimana alla stessa ora di quel giorno e sparisse lungo il corridoio.
La mia agitazione crebbe istantaneamente. Mi aveva lasciata da sola con Shaytan. Mi affrettai a rassettarmi i vestiti e a tirarmi su, per rivolgere qualche parola veloce di congedo a Shaytan prima che potesse impedirmi di andare via, ma lui fu più veloce di me.
Spostò la sua figura distorta davanti alla porta prima che riuscissi a varcarla.
- Shaytan, non volevo … - Non volevo cosa? Non sapevo nemmeno cosa avevo fatto. Desideravo solo che non fosse arrabbiato con me, ed era un desiderio del tutto irrazionale.
- Ti prego, non ancora. – disse lui  a bassa voce, roco. Teneva lo sguardo basso e i capelli gli ricadevano  morbidi sulla fronte, nascondendogli parte del viso.
- Non ancora … cosa? – sussurrai impietrita.
Restò in silenzio per diversi secondi, prima che sollevasse lo sguardo su di me e mi rispondesse.
- Io … no, niente. – L’oro liquido dei suoi occhi era così intenso che sarei potuta annegarci dentro.
Non sembrava intenzionato a spostarsi da lì, né tantomeno a dirmi cosa avevo combinato. Così cercai di schivarlo, ma lui si mosse per bloccarmi. La sua mano avrebbe dovuto serrarsi sul mio polso, invece mi trapassò, da parte a parte, gelandomi sul posto. Si immobilizzò, il braccio immerso fino al gomito dentro il mio corpo. Lo fissai con gli occhi sgranati. Poi si riscosse e allontanò di getto la mano e ogni centimetro del suo corpo da me. Fece una specie di mugolio, un verso di protesta, e rimase a fissarsi la mano, come se osservandola con maggiore intensità avesse potuto fare qualcosa. Ma cosa? La frustrazione e il senso di sconfitta erano più che evidenti sul suo volto. A un tratto sorrise amaramente, gettando mollemente le braccia lungo i fianchi.
- Mi ha proprio conciato per le feste. – disse con una risata sommessa, derivante in realtà dal nervosismo e dall’isteria. – Non sarò mai … mai niente. –
Guardarlo mi faceva male. Non capivo quale lotta lo devastasse a tal modo, ma avrei tanto voluto sapere. Magari avrei potuto aiutarlo. Con Vee avevo fatto la parte dell’ascoltatrice tante di quelle volte. Subito dopo che il pensiero mi attraversò la mente, aggrottai la fronte. Vee … chi era? Non riuscivo a trovare nessuno volto da associare a quel ricordo.
- Shaytan … -
- Adele, smettila. Se continui, io … - Shaytan adesso guardava me. Dal suo sguardo sembrava un bruco che osservava le ali di una farfalla: aveva scritta in faccia la disperazione di chi sa di non poter far nulla per ottenere ciò che brama.
Lentamente, davanti ai miei occhi, iniziò ad arretrare, come se fossi pericolosa, io, un’umana.
- Prova a dirmi cosa c’è che non va. – lo incoraggiai. Lo avevo visto fare il duro con Harrison. Shaytan era una persona con del carattere, non sembrava un perdente, uno che molla. Un altro passo indietro.
- Magari se ne parli non ti sembrerà più così difficile. – Dovevo aiutarlo, in qualche modo. Non sapevo nemmeno perché, ma era così. Ostinato, continuò a tenere la bocca serrata e ad arretrare.
Lacrime irrazionali iniziarono a pungermi gli occhi. – Se non fosse stato per te … - sussurrai. Avevo visto Shaytan dominare il fuoco come fosse un’estensione del proprio corpo, come se lui stesso fosse il fuoco. Era stato un spettacolo eccezionale. Non poteva star male così. Lui era forte. Lo sentivo.
- Se non fossi intervenuto, se non avessi fatto quello che hai fatto, sicuramente non sarei più qui a parlarti. – gli dissi, con le guance bagnate. Dannazione, non ci arrivava? – Io vorrei solo capirti un po’ meglio. Da quando sono qui sei stata l’unica persona a restarmi più vicino … e non ho paura di te. Non sei un mostro. – credevo fermamente in ogni parola che avevo detto. Era grazie a lui se ero viva. Era grazie a lui, nonostante tutto, se forse non ero ancora impazzita. Mi aveva avvisata, e io non avevo voluto dargli retta. Ora ne stavo pagando le conseguenze.
Quella barriera che si era eretto intorno sembrava così solida e impenetrabile … e invece, a un tratto, qualcosa di quello che dissi dovette fare breccia, perché avanzò di un passo, poi di due, e finalmente me lo ritrovai di fronte, a un palmo dal mio naso. Mi prese entrambe le mani con le sue, questa volta senza passarmi attraverso, semplicemente le appoggiò sopra le mie. Non passò nemmeno un secondo che sentii quello strano effetto che provocava il suo tocco. Chiusi gli occhi, mentre sentivo che le ginocchia perdevano stabilità e il freddo si irradiava nel mio corpo attraverso le vene. Finì prima che me ne accorgessi e, con stupore, sentii la pressione di un pollice sulla mia guancia, per asciugarmi le lacrime. Aprii gli occhi, e vidi che Shaytan adesso aveva la sua forma nitida. Ci fissammo così, immobili, per qualche secondo, poi arrossii, ritraendo la mano ancora rimasta intrecciata alla sua.
Gli angoli della bocca gli si incurvarono verso l’alto e, tra le gambe molli e quel sorriso, stavo quasi per accasciarmi al suolo.
Ma Shaytan serrò la presa su di me prima che potessi cadere, mi sollevò e mi strinse forte vicino al suo petto. Inspirai forte il suo odore, che mi fece girare la testa. Ero sempre più irrimediabilmente presa da lui, ogni giorno, ogni minuto, ogni secondo che passava.
- Vorresti davvero sapere cosa sono? – mi soffiò sul viso.
Sì, sì che lo volevo. Rischiavo di impazzire altrimenti. Annuii piano con la testa, non azzardandomi a parlare, finché il suo sguardo non fu di nuovo serio e, con tono sommesso, tenendomi sempre in braccio mentre si spostava nel labirinto infernale, disse: - A farmi diventare così è stato Belzebù. -






Ciao a tutti, ecco qui il nuovo capitolo, dopo un sacco di tempo! Scusatemi infinitamente! Spero che vi piaccia, e vi sarei grata se lasciaste delle recensioni per farmi sapere cosa ne pensate! Un bacio,
Tessa Fray 

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