Classy and messy.

di imallaboutcalumsbass
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** That rainy day. ***
Capitolo 2: *** "Do you need a ride?" ***
Capitolo 3: *** Angelic voice. ***
Capitolo 4: *** Wasted. ***
Capitolo 5: *** "A number?" ***
Capitolo 6: *** To call or not to call? ***
Capitolo 7: *** Date? ***
Capitolo 8: *** Little promises kept. ***
Capitolo 9: *** First frozen swim. ***
Capitolo 10: *** "You're an accident." ***
Capitolo 11: *** A father daughter discussion. ***
Capitolo 12: *** Meet the big sister. ***
Capitolo 13: *** How to eat a burger. ***
Capitolo 14: *** "He pretends." ***
Capitolo 15: *** "Three things cannot be long hidden: the sun, the moon and the truth." ***
Capitolo 16: *** That girl at the party. ***
Capitolo 17: *** An uncommon waiter. ***



Capitolo 1
*** That rainy day. ***


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That rainy day.

Isabelle odiava la pioggia: le rovinava i capelli perfettamente acconciati, le sciupava i vestiti e la faceva sentire terribilmente angosciata. Da bambina, qualcuno le aveva raccontato che la pioggia erano le lacrime degli angeli, che piangevano la perdita di una persona. Quando era nella sua stanza e le goccioline d'acqua iniziavano a scendere sui vetri, lei tirava giù le immense tende di seta e chiedeva ad Arnold, il maggiordomo, di cantare per lei per coprire il suono dei tuoni. Isabelle ha imparato ad amare la voce di Arnold fin da piccola, quando la faceva addormentare, cantando qualche ninna nanna o leggendo per lei le fiabe più belle. Quel giorno però, la giovane non poteva tirare giù le tende dell'immensa città in pieno temporale e si pentì di essere uscita senza un bodyguard. Si guardò intorno spaesata, stringendo la borsa - che avrebbe dovuto buttare al ritorno - sopra la sua testa. Individuò un negozio ancora aperto: piccolo, un po' decadente, ma che avrebbe potuto ripararla. Corse con grazia fino all'ingresso e fece scorrere la porta, facendola tintinnare. Quando la porta si chiuse alle sue spalle sospirò, rivolgendo lo sguardo al cielo scuro e che incuteva timore.
"Posso aiutarti?" Sobbalzò la ragazza, quando una voce alle sue spalle la distrasse. Davanti a lei, si presentava ora un giovane che le rivolgeva un sorriso cordiale.
"Cosa?" Chiese Isabelle presa alla sprovvista. Lanciò uno sguardo all'interno del negozio, in cui strumenti di tutti i generi erano esposti.
"Cosa ti serve?" Si grattò la testa il ragazzo, forse in imbarazzo.
"Ehm...io...." Balbettò Isabelle. Non voleva deludere il giovane che la guardava, probabilmente speranzoso dell'ingresso del primo cliente in un giorno di fitta pioggia. "Vorrei vedere delle chitarre elettriche?" Buttò lì, notandole poggiate alla parete. Il ragazzo le indicò di seguirlo, mostrandole tutte le chitarre presenti nel negozio, spiegandole le funzionalità, le differenze e i vari gradi di difficoltà nel suonarle. Isabelle lo ascoltò attentamente ed educatamente, senza interromperlo, come le era stato insegnato. C'era qualcosa di ipnotizzante nei suoi modi di fare e nella sua voce, che avrebbe potuto superare di gran lunga quella di Arnold. Aveva lo stesso effetto calmante, mentre si destreggiava tra il negozio, facendo scivolare le chitarre tra le sue braccia e raccontandone le storie.
"Canti?" Sputò Isabelle, senza pensarci. Vide il ragazzo immobilizzarsi e tossicchiare, preso per la gola. "Chiedo perdono, non era mia intenzione interromperti." Si scusò Isabelle, sistemandosi al suo posto, dritta. "Continua pure." Sorrise rassicurante. Il ragazzo rise divertito e un cipiglio si formò rapidamente tra le sopracciglia, perfettamente complementari, della ragazza.
"Si, canto." Sorrise il giovane, togliendo il dubbio di Isabelle. "E non devi 'chiedere perdono' o qualsiasi cosa." La prese quasi in giro, facendo abbassare il suo sguardo, ma si riprese all'istante. Non mantenere lo sguardo di qualcuno, significa mostrargli le tue debolezze. "Non ti interessa una chitarra elettrica, mi sbaglio?" La guardò furbo. Isabelle si sistemò il braccialetto al polso, a disagio.
"Cosa mi ha tradita?" Chiese sospirando. 
"Non sembri una tipa da chitarra elettrica." Rise il ragazzo, squadrando Isabelle vestita nel suo tailleur, troppo da adulta per lei.
"Mi dispiace." Confessò la ragazza, mortificata. "È che non amo la pioggia, nemmeno vederla, solitamente abbasso le tende, avevo solo bisogno di un rifugio." Tentò di giustificarsi, rivelando perfino il suo innocente segreto.
"È tutto apposto, puoi stare qui, finché non smette." La tranquillizzò il giovane.
"Perché hai continuato a mostrarmi le chitarre?" Chiese Isabelle, curiosa. Il ragazzo piegò la testa, elaborando la domanda. "Se sapevi che non mi interessava." Spiegò la giovane. Lui alzò le spalle.
"Perché mi piaceva il modo in cui mi guardavi, mentre lo facevo." Le sorrise, facendo colorare le guance pallide della ragazza in un tenue scarlatto.
"Ti dispiace se faccio una telefonata?" Cambiò velocemente discorso, sembrando ricordarsi le circostanze in cui si trovava. Il ragazzo annuì, tornando al bancone e poggiandoci i gomiti, osservandola senza vergogna, come se fosse perfetta. Nessuno l'aveva mai guardata così, nessuno le aveva mai attributo tutti gli sforzi per provare a raggiungere la perfezione che le avevano sempre imposto, nessuno l'aveva mai fatta sentire come se facesse abbastanza, come se lo fosse. Pescò il telefono dalla borsa e cercò Arnold tra la rubrica, schiacciando l'icona di chiamata.
"Signorina Isabelle?" Chiese conferma l'uomo dall'altro lato della cornetta.
"Ho un problema." Pronunciò velocemente, senza la dizione che aveva duramente imparato. 
"Sei uscita di nuovo da sola, non è così?" Isabelle non poteva vedere Arnold, ma sapeva che aveva alzato gli occhi al cielo. "Inviami la tua posizione, sto arrivando." Affermò l'uomo, non appena non ricevette risposta dalla ragazza. Isabelle staccò all'istante e fece come le era stato detto.
"Stanno venendo a prenderti?" La voce del ragazzo giunse alle sue orecchie. Lei annuì lievemente.
"Arnold sarà qui fra qualche minuto." Confermò, sistemando il suo telefono nella borsetta.
"Arnold sembra il nome di un maggiordomo." Pronunciò divertito il giovane.
"Beh, lo è, in realtà." Scrollò le spalle la ragazza, non capendo cosa ci fosse di così divertente.
"Oh." Lasciò uscire lui, facendo cogliere ad Isabelle una punta di delusione.
"Sembri deluso?" Si assicurò.
"Ti avrei chiesto il numero, ma non penso che lo farò." Affermò diretto, colpendola per la sua schiettezza.
"Cosa c'entra questo con Arnold?" Continuò curiosa Isabelle, mentre si aggirava tra gli strumenti, accarezzandoli leggermente. Il ragazzo aggirò il bancone, appoggiandovici sopra e osservando la sua grazia.
"Maggiordomi, ricconi...non è esattamente alla mia portata." Spiegò, facendo bloccare Isabelle sul posto, grata della sua sincerità.
"Eppure dormiamo sullo stesso materasso e mangiamo gli stessi hamburger." Rifletté la ragazza, avendo lo stesso effetto pensoso sul ragazzo.
"Vuoi davvero così tanto che ti chieda il numero, non è vero?" Ironizzò lui, accompagnato da una risata cristallina.
"Stavo solo dicendo." Puntualizzò la ragazza, sorridendo al divertimento di lui. La porta tintinnò e i due saettarono il loro sguardo all'ingresso. 
"Arnold." Pronunciò con vigore e dolcezza Isabelle. Due fossette, che il ragazzo non aveva potuto notare prima, si aprirono ai lati delle sue rosee labbra.
"Signorina Isabelle, la macchina la sta aspettando." Inchinò la testa il maggiordomo, in segno di rispetto e le diede del lei, in via ufficiosa. Isabelle rivolse la sua attenzione al giovane.
"Arrivederci..." Iniziò educata lei, ma si trovò costretta a bloccarsi sulle sue parole, quando si ricordò di non aver chiesto il nome del ragazzo. 
"Calum." Sorrise lui, capendo la sua mancanza.
"Oh allora, arrivederci Calum." Salutò con educazione, raggiungendo Arnold.
"Arrivederla, signorina Isabelle." Ricambiò il saluto divertito, prendendola quasi in giro. Ma la ragazza sorrise, per una volta si era sentita trattata come tutti gli altri, qualcuno le aveva parlato schiettamente e si era "permesso" di parlarle scherzosamente, le piaceva non essere presa sul serio a volte. Arnold spinse la porta per Isabelle e aprì l'ombrello sopra la sua testa. La ragazza tirò il maggiordomo sotto la coprente stoffa dell'ombrello.
"Non voglio che ti ammali e mi mandino un maggiordomo vecchio e scontroso." Puntualizzò Isabelle e Arnold sapeva, in cuor suo, che la ragazza non era affatto preoccupata per il suo possibile nuovo maggiordomo, solo era troppo affezionata a lui per lasciare che si ammalasse. Si rifugiarono nella lussuosa macchina e Isabelle si sistemò nel suo vestito.
"Ti ha, per caso, recato fastidio il tono con cui quel ragazzo si è rivolto a te?" Chiese Arnold, ricordando l'allusione del giovane.
"Che intendi?" Chiese delucidazioni la ragazza.
"Ha utilizzato dell'evidente sarcasmo nel salutarti." Spiegò il maggiordomo, guardando di sottecchi la ragazza che sospirava. Avrebbe voluto sapere cosa le frullava per la testa.
"No, in realtà è carino che ogni tanto qualcuno la smetta di trattarmi come una reginetta." Si espose Isabelle, senza voler suonare troppo sdegnosa e irriconoscente.
"Tuo padre è un imprenditore molto importante, ancora prima lo è stato tuo nonno e ancora prima di lui il tuo bisnonno. È questa la vita che è stata scelta per te." Spiegò l'antifona, come se la ragazza non la conoscesse. Arnold sentì il cuore stretto in una morsa, quando la ragazza sospirò delusa.
"È questo il problema, Arnold. La mia vita è stata scelta da qualcun altro." Isabelle scivolò sul sedile scomposta, rivolgendo il suo sguardo al finestrino oscurato, dove a malapena si percepivano le gocce che lei non amava vedere. Il maggiordomo non riprese Isabelle per la sua posizione non composta, sapeva che la giovane sapesse mantenere l'ordine, ma con lui si sentiva così a suo agio da non farlo.












Hello everybody!
Wow, quanto sono international.
Non so quanti di voi sono arrivati alla fine di questo capitolo o quanti si soffermeranno a leggere questo piccolo spazietto che mi sto ritagliando, ma volevo solo ringraziarvi per aver speso anche qualche secondo per questa storia. Mi piacerebbe tanto sapere cosa ne pensate e se vale la pena andare avanti. Alla prossima, si spera!

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Capitolo 2
*** "Do you need a ride?" ***


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"Do you need a ride?"

Era un ennesimo giorno di fitta pioggia, Isabelle stava rientrando a casa dalle sue lezioni di scherma. Arnold notò la ragazza stranamente silenziosa, scrutava il mondo fuori dalla lussuosa macchina dai vetri oscurati. Da un paio di giorni Isabelle svolgeva la sua giornata meccanicamente, come un automa, come se ormai si fosse abituata al fatto che la sua vita non appartenesse a lei.
"Dandy, ferma la macchina." Ordinò Isabelle al suo autista, bussando insistentemente sul vetro che li separava. Arnold sobbalzò all'improvvisa esaltazione della ragazza e spalancò gli occhi, quando la vide scendere dalla macchina con molta no chalance, senza né perché e né per come. Si alzò dal suo posto scuotendo la testa, ormai abituato alle piccole bravate della ragazza. La individuò, ma decise di risedersi.
Isabelle provava a raggiungere il ragazzo insistentemente, ma lui manteneva un passo troppo veloce, così si decise a chiamarlo a gran voce. Finalmente lui si girò e si avvicinò alla ragazza, strofinando le sue stesse braccia, infreddolito.
"Ti serve un passaggio?" Sorrise dolcemente Isabelle, indicando la macchinona qualche passo più indietro. Calum spostò il suo sguardo sulla macchina lussuosa e una smorfia comparve sul suo viso.
"Penso che continuerò a piedi." Scrollò le spalle, portando nuovamente il suo sguardo su Isabelle. La vide sospirare e tremare dal freddo. "Dovresti tornare in macchina." Le consigliò, allungando una mano sui suoi vestiti madidi di acqua piovana. Lei imitò il gesto del ragazzo, stringendo tra la mano la maglia umida di Calum.
"Dovresti venire anche tu." Gli consigliò, mettendo su un sorriso irresistibile. "Devi andare al negozio, vero?" Chiese Isabelle, iniziando ad allontanarsi. Calum scosse la testa ridendo e non poté fare altro, se non seguirla nell'enorme macchina, che non aveva niente a che fare con lui. Si sistemarono comodi tra i sedili e l'aria calda che filtrava nell'abitacolo li fece rabbrividire, per il cambio improvviso di temperatura.
"Stiamo inzuppando i sedili." Sussurrò Calum roco nell'orecchio di Isabelle. Quest'ultima rabbrividì, per il fatto che fosse zuppa d'acqua, si disse.
"Non importa." Sorrise la ragazza, poi piegò leggermente la testa verso il giovane, trattenendo una risatina. "Perché sussurri?" Volle togliersi il dubbio. Il ragazzo si avvicinò nuovamente all'orecchio della ragazza, facendola mettere sull'attenti.
"Perché il tuo maggiordomo, seduto di fronte, mi osserva tutto il tempo." Chiarì Calum, lanciando subito dopo uno sguardo ad un Arnold inquietante. La ragazza rise di gusto.
"Arnold è innocuo." Lo rassicurò, continuando a vedere il giovane lanciare sguardi al maggiordomo. "Canta sempre per me." Raccontò la giovane, con una sorta di ammirazione nella voce.
"Devi avere un'ossessione." Ironizzò Calum, alzando gli occhi al cielo.
"A cosa ti riferisci?" Chiese la ragazza, confusa.
"Il giorno in cui sei entrata al negozio, mi hai chiesto se cantavo." Spiegò il giovane, spostandosi sul sedile per guardarla meglio. Voleva allungare una mano verso di lei e spostarle i capelli zuppi dal suo viso di porcellana, ma la figura del maggiordomo di fronte a loro lo metteva estremamente a disagio.
"Te lo ricordi?" Si sorprese Isabelle, scostando la testa per incontrare gli occhi di Calum.
"Non dovrei?" Scrollò le spalle il ragazzo, fintamente disinteressato.
"Ammiro chi sa cantare, riconosco subito una bella voce anche solo parlando, nonostante io non abbia la voce adatta, perciò mi piace ascoltare gli altri." Confidò Isabelle, sorprendendo Calum.
"Immagino tu abbia i tuoi cantanti personali? O qualcosa del genere." Chiese il ragazzo, ma non sembrava scherno nella sua voce, solo curiosità.
"No, solo Arnold canta per me." Ammise la ragazza, sistemando il suo bracciale a disagio.
"Lo fai ogni volta." Notò Calum.
"Cosa?" Isabelle alzò lo sguardo su di lui, schiarendosi la voce.
"Giochi col bracciale sul tuo polso, quando sei nervosa." Chiarì il giovane, passando il suo sguardo dal bracciale, su cui Isabelle spostò subito la mano, al suo sguardo. Le guance della ragazza si colorarono all'istante di scarlatto.
"Siamo giunti a destinazione, signore." Informò Arnold, non appena la macchina si arrestò. Calum distolse lo sguardo dall'uomo che aveva attirato la sua attenzione, per rivolgersi nuovamente ad Isabelle.
"Grazie per il passaggio." Ringraziò gentilmente il giovane e avrebbe voluto fare qualcosa, sfiorare la sua mano o la sua guancia, ma ancora una volta decise di tenere le mani morte sulle sue gambe ed uscì dall'abitacolo. Prima di chiudere lo sportello però, rivolse le sue ultime parole ad Isabelle. "Comunque stasera suono con la mia band al Red Moon, se ti va di sentirmi cantare." Isabelle non ebbe il tempo di rispondere, perché Calum chiuse lo sportello di tutta fretta, come se temesse qualcosa.











Hi or hey?
Torno ad inizio settimana, sperando di rendere un po' più leggero questo lunedì, o meglio dire post-domenica. Voglio subito ringraziare chi ha già dato fiducia alla storia al primo capitolo, aggiungendola tra le preferite, ricordate e seguite, ed ovviamente anche alle lettrici fantasma che mi hanno regalato più visite di quante mi potessi aspettare. Ancora siamo solo agli inizi e non succede nulla di eclatante, ma spero di non deludervi più avanti e che, entrando nel vivo, possiate apprezzare sempre di più ed essere partecipi, perchè mi piacerebbe conoscere le vostre opinioni anche con una piccola recensione, tanto per farmi sapere che ci siete e  che non dovrei perdere la voglia di continuare. Mi sto allungando troppo e sembro fin troppo seria, non è proprio da me ahahah intendo che essere seria non è da me, essere chiacchierona è una dote, anche se non tutti la pensano così. Alla prossima!

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Capitolo 3
*** Angelic voice. ***


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Angelic voice.

Isabelle non era mai stata ad un pub prima d'allora, aveva avuto solo l'occasione di conoscere ristoranti lussuosi e mangiare i più pregiati tacchini, importati direttamente dal Maine. Ora davanti all'imponente insegna al neon che indicava il Red Moon, la ragazza si sentiva fuori luogo, ma era intenzionata ad andare fino in fondo.
"È sicura di voler entrare da sola, signorina Isabelle?" Lucius, il bodyguard, al suo fianco la distrasse. Lei annuì, forse cercando di convincere più se stessa che l'uomo. "D'accordo, se le serve qualcosa sono qui fuori." Le assicurò il bodyguard, prima di allontanarsi dalla ragazza, tenendola ugualmente sott'occhio. Isabelle fece un respiro profondo e si diresse con grazia - nonostante i trampoli su cui camminava - all'interno del pub. Rimase ferma all'ingresso, guardandosi intorno e ponderando il da farsi. Davanti ad una distesa di gente che si scatenava, un palchetto rialzato catturò la sua attenzione. Lo vide e non avrebbe pensato di tremare così. Lui aveva la testa chinata, le sue dita intente a giocare con le corde del basso, facendo contrarre i muscoli delle braccia vigorosamente. Fu rapita dall'amore e l'energia che il ragazzo ci metteva nel suonare lo strumento.
"Hey, togliti dalla porta." Qualcuno la spintonò e lei si ricordò di essere ancora ferma sull'ingresso. Avanzò lentamente, il suo sguardo non lasciò mai il ragazzo. Si accomodò su uno dei numerosi sgabelli, posizionati ai lati della stanza, senza farsi notare troppo. Fu un attimo, il ragazzo afferrò il microfono e la sua voce esplose fra le mura del pub. Isabelle poté giurare di non aver mai sentito una voce più angelica della sua. Successe che Calum la trovò fra la folla e il respiro della ragazza si smorzò, mentre sembrava che lui sussurrasse quelle parole solo per lei.
"Tell me where you're hiding your voodoo doll, cause I can’t control myself. I don’t understand, wanna run away, but I’m trapped under your spell." Recitava Calum, senza mai staccare gli occhi della ragazza, che era completamente ammaliata. Un piccolo sorriso si aprì sulle labbra del ragazzo, avendo il medesimo effetto su di lei, con l’aggiunta di qualche stretta dolorosa al petto.
Qualche canzone più tardi, Isabelle era ancora ferma al suo posto. La performance sembrò durare troppo poco, non si sarebbe mai stancata di ascoltare quella voce. Vide Calum parlottare con gli altri membri della band, che si rese conto di non aver nemmeno considerato, poi si separò dai tre e si diresse nella sua direzione. Isabelle si sistemò sullo sgabello, su cui il suo sedere si era ormai modellato, e lisciò la sua gonna. 
"Hey." Calum la salutò. Una sorta di adrenalina si espanse nel suo stomaco. Isabelle si schiarì la voce.
"Ciao." Ricambiò lei, arrossendo.
"Sei venuta." Constatò lui, sorridendole riconoscente. Lei annuì, non in grado di spiccicare parola. "Cosa ne pensi?" Chiese il ragazzo, alzando le spalle in aspettativa.
"Penso che sia valsa la pena di venire." Ammise Isabelle, complimentandosi indirettamente.
"Che ne dici se...mmh" Iniziò il ragazzo, molleggiando sui suoi piedi nervosamente. "Andassimo da qualche parte?" Propose infine. Isabelle buttò un'occhiata sull'orologio al suo polso, Arnold non ne sarebbe stato contento.
"In realtà..." Combatté dolorosamente l'impulso di accettare. Il ragazzo sembrò intendere cosa la giovane stesse per dirgli e abbassò lo sguardo, consapevole. "In realtà, penso che si possa fare." Scrollò le spalle Isabelle. Per una volta, si disse, avrebbe deciso lei per se stessa. Calum spalancò gli occhi sorpreso e prese a spiegare confusamente qualcosa, poi scrollò la testa.
"Aspettami qui, faccio un salto in camerino e torno." Promise, prima di destreggiarsi fra la folla, senza mai staccare gli occhi da Isabelle.
"Signorina, il tuo drink." Il barman alle sue spalle la richiamò, facendole distogliere lo sguardo dal punto in cui Calum stava man mano confondendosi tra la folla. Si girò confusa, osservando il miscuglio colorato nel bicchierino davanti ai suoi occhi.
"Io non ho ordinato nulla." Affermò, arricciando il naso. L'uomo rise dell'ingenuità della ragazza.
"Qualcuno lo ha fatto per te." Il barman le fece un occhiolino, indicando con un cenno della testa un ragazzo qualche sgabello più lontano. Isabelle rivolse il suo sguardo al ragazzo, che alzò il suo bicchiere, in segno di salute. La ragazza si ritrovò costretta ad imitarlo, per non sembrare scortese. Purtroppo, le sue buone maniere, quella sera, non avrebbero portato benefici.











Wassuuuuup.
Questo capitolo mi è stato ispirato dal video Voodoo Doll (One Mic, One Take), in particolare il minuto 1:51, in cui Calum sorride proprio in direzione della telecamera e sento un mancamento ed il mio cuore esplode, ma prima di morire del tutto ho deciso di passare a postare questo ennesimo capitolo. E' un po' corto, ma i guai stanno per arrivare. Si, al quarto capitolo, non ce la faccio proprio a stare buona. Ringrazio chi ha aggiunto la storia tra le preferite, ricordate e seguite e vi invito a lasciare una piccola recensione, se ne avete voglia, per capire cosa vi piace e cosa no. Ci sentiamo presto!

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Capitolo 4
*** Wasted. ***


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Wasted.

Calum scattò letteralmente fuori dal camerino, seguito dai suoi amici che lo guardavano divertiti.
"Con calma, Speedy Gonzales." Lo prese in giro Ashton, facendo ridacchiare gli altri due. Il bassista alzò gli occhi al cielo, ma era troppo su di giri per offendersi realmente. Si bloccò improvvisamente sui suoi passi, lo sguardo immobile sullo sgabello sul quale l'aveva lasciata. Ashton sventolò una mano davanti ai suoi occhi, scrollando le spalle, quando non ottenne una reazione. 
"Non c'è." Sussurrò Calum, la voce quasi inesistente, tanto che i suoi amici dovettero avvicinarsi per sentirlo.
"Io l'avevo detto che se l'era sognata." Michael diede una pacca sulla spalla dell'amico, ridendo di gusto ed ottenendo la medesima reazione negli altri. Tranne nel moro ovviamente, lui sembrava assorto, il respiro pesante, sul punto di dare di matto. Luke se ne accorse.
"Cazzo Michael, smettila." Il biondo lo difese, avvicinandoglisi. "Magari è andata via?" Si rivolse poi a Calum, che scrollò la testa con convinzione, iniziando a guardarsi intorno.
"Si, magari con qualcun altro." Rise Michael, battendo il cinque ad Ashton e beccandosi una frecciatina da Luke. 
"Lei non sarebbe andata via, non senza dire nulla. È troppo...educata per farlo." Annuì strettamente fedele alla sua teoria, evitando di proposito di rispondere alla provocazione di Michael, che sembrò notare solo in quel momento la preoccupazione negli occhi dell'amico. "Ragazzi, le è successo qualcosa." Affermò poi, con una serietà nella voce, che loro gli avevano sentito poche volte.
"Okay, dividiamoci e cerchiamola." Propose Michael. "Cosa dobbiamo cercare esattamente?" Chiese delucidazioni, completamente all'oscuro delle sembianze della ragazza.
"Lei ha i capelli castani, molto lunghi. È vestita di rosa." Provò a dare un’immagine di lei. "Cazzo, non potete sbagliare, è diversa da tutte le altre dentro questo posto." Si portò le mani sul viso sospirando.
"Dai amico, la troviamo." Garantì Ashton, dandogli una pacca sulla spalla e mettendosi subito a lavoro, seguito dagli altri. Calum si guardò intorno, non sapendo da dove cominciare. Troppe persone popolavano il pub, troppa confusione lo sopprimeva e si sentì colpevole di averla condotta in quel posto, non era un posto per lei. Si diresse allo sgabello su cui l'aveva lasciata, notando il barman dietro al bancone, poco più lontano.
"Hey, barman." Lo chiamò con vigore. L'uomo si girò per controllare chi desiderasse la sua attenzione e si avvicinò a Calum. "Sto cercando una ragazza." Premise il ragazzo, vedendo l'espressione sul viso del barman mutare in una risata divertita.
"La stiamo cercando tutti, amico." Scrollò le spalle, asciugando un bicchiere e poggiandolo sul bancone, davanti agli occhi del giovane. "Che ti porto, latin lover?" Scherzò. Calum sbatté le mani sul bancone, trattenendosi dal rompergli una bottiglia in testa.
"Senti simpaticone, c'era una ragazza, seduta su questo sgabello." Gli fece intendere e stavolta, non si sarebbe dovuto sognare di fare il sarcastico.
"Ah, la moretta." Annuì l'uomo. "Ha bevuto solo un drink e cazzo, ha dato di matto. Ha iniziato a blaterare che doveva proteggersi dal temporale." Spiegò poco interessato, allontanandosi da Calum. La mente di quest'ultimo sembrò elaborare velocemente.
"Senti." Calum richiamò il barman. L'altro si girò. "Avete delle tende in questo posto?" Chiese il ragazzo e l'uomo semplicemente indicò un corridoio, infondo alla stanza, senza provare nemmeno a chiedere che ci dovesse fare con delle tende. Da quando lavorava in quel posto, quella era la richiesta meno stravagante.
Calum raggiunse il corridoio, percorrendolo interamente, quasi strappando via ogni sorta di tenda o anche qualcosa che ci somigliasse vagamente. Ormai con solo le ultime tre tende mancanti, sentì come se avesse sbagliato ragionamento, come se fosse andato completamente fuori strada. Un lamento attirò la sua attenzione e cercò di capire da dove provenisse, avvicinandosi alla fonte del suono. Raggomitolata fra una tenda, Isabelle lo guardava con i suoi occhioni grandi. Il ragazzo si piegò sulle ginocchia per tirarla fuori da quel groviglio, lei si aggrappò a lui, che sospirò sollevato. Quando Calum la allontanò leggermente dal suo corpo, per chiederle se stesse bene, la consapevolezza lo colpì dritto in pieno volto, notando le sue pupille dilatate.
"Ti hanno drogata." Esclamò ghiacciandosi. Il ragazzo cercò di non farsi prendere dal panico, perché sarebbe stato solo d'impiccio e prese Isabelle in braccio, testando che non riuscisse a stare in piedi da sola. Uscirono da quell'immenso corridoio, provando a farsi spazio fra la folla, con Isabelle stretta su di lui. Si scontrarono con Luke.
"L'hai trovata." Esclamò quest'ultimo sollevato. Calum gli fece segno di seguirlo, mentre si dirigeva verso i bagni. Luke mandò un messaggio agli altri due, poi fece come gli era stato detto.
Qualche minuto dopo, i quattro erano rintanati nel bagno puzzolente e straboccante di vomito e preservativi usati.
"È carina." Affermò Michael, osservando la ragazza, aggrappata a Calum.
"È drogata." Controbatté quest'ultimo, furioso. I tre si lanciarono qualche sguardo preoccupato, per la reazione del ragazzo e per le condizioni di lei.
"Deve vomitare." Si intromise Ashton. "Vomita ed espelle qualunque merda le hanno dato." Spiegò. Calum sospirò, accarezzandole una guancia, mentre Isabelle mormorava confusamente. Successivamente la guidò in un bagno e la guardò, sentendo lo stomaco rivoltarsi.
"Non posso farlo." Affermò, abbandonando il bagno. La ragazza si fece scivolare sul muro, inerme. Luke spinse l’amico per le spalle.
"Cazzo fratello, o le fai vomitare la merda che ha assunto o la guardi stare sempre più male." Gli urlò il biondo, provando a motivarlo. "Ha bisogno di te, non puoi tirarti indietro." Sussurrò dopo, mentre Calum la osservava nervosamente. Quest'ultimo si avvicinò nuovamente alla ragazza, stavolta irremovibile. Lo faccio per lei, si ripeté.
"Mi dispiace." Le sussurrò, prima di ficcarle due dita in gola e sentirla, subito dopo, rimettere anche l'anima. Chiuse gli occhi, come se non vederlo potesse farlo sentire meglio, ma non sembrò funzionare.
Isabelle tossicchiò un'ultima volta, subito dopo si aggrappò a Calum, facendogli spalancare improvvisamente gli occhi. Si strinse al suo petto, come se fosse l'unica cosa di cui avesse bisogno e il ragazzo le accarezzò delicatamente i capelli, sospirando. 
"Possiamo uscire da qui?" Sussurrò quasi impercettibilmente Isabelle, dopo qualche minuto che ebbe mantenuto la posizione.
"Si, andiamo." La assecondò il ragazzo, tirandola fuori da quel posto, intenzionato ad abbandonare l'incubo tra quelle quattro mura.
Lucius assotigliò gli occhi, notando in lontanza Isabelle moribonda che lasciava il pub, in compagnia di quattro ragazzi. Scattò dal suo posto, lanciando sull'asfalto la sigaretta che stava consumando e li raggiunse.
"Ho bisogno che mi consegniate la ragazza." Affermò l'uomo e non sembrava voler essere contestato.
"E tu chi cazzo saresti?" Chiese Calum, nascondendo Isabelle alle sue spalle. La ragazza non era in grado di riconoscere dove si trovasse, stringeva soltanto la maglia di lui, confusa.
"Se la ragazza subisce danni, incidenti o disagi, devo estrarla dal posto. È il protocollo." Provò a spiegare il bodyguard, non voleva avere problemi con dei ragazzini.
"Non era questa la mia domanda." Lo mise in guardia Calum, quando Lucius provò ad avvicinarsi. Gli altri tre ragazzi guardavano il loro amico e quell'uomo discutere, dubbiosi sul da farsi.
"Sono un bodyguard, ho la responsabilità della signorina Isabelle e la porterò a casa sana e salva." Cercò di essere ragionevole l'uomo. Calum lo squadrò, nel suo completo in giacca e cravatta. Non sapeva se potersi fidare.
"Fammi parlare con Arnold." Decretò infine. Lucius alzò un sopracciglio, non intenzionato a farsi mettere i piedi in testa da un ragazzino.
"Ricevo ordini solo dalla signorina Isabelle." Affermò con aria di sfida.
"Fammi parlare con Arnold e ti lascerò prendere Isabelle." Propose ragionevolmente il giovane. Lucius si arrese, considerando che il ragazzo era in possesso della signorina Isabelle e lui aveva l'ordine di non metterla in pericolo. Infilò una mano all'interno della giacca, estraendone il telefono. Scorse fino al numero di Arnold e passò il telefono al giovane. Calum afferrò l'apparecchio e fece segno ai ragazzi di tenere d'occhio Isabelle, allontanandosi di qualche passo.
"C'è qualche problema?" Rispose la voce dall'altro capo. Il giovane si schiarì la voce.
"Arnold?" Si assicurò il ragazzo.
"Si, con chi parlo? Dov'è Lucius? La signorina Isabelle è in pericolo?" Sputò fuori il maggiordomo.
"Sono Calum." Rispose soltanto il ragazzo, lanciando una sguardo ad Isabelle, che era ora sorretta da Luke. "Non so se si ricorda di me, sono..."
"Mi ricordo." Lo interruppe immediatamente Arnold. "Dov'è Isabelle?" Chiese nuovamente, come sua unica priorità.
"Mi ascolti. Isabelle ha preso qualcosa..." Iniziò il giovane.
"Cosa? Sii preciso." Lo incitò il maggiordomo.
"Droga, credo che qualcuno abbia messo qualcosa nel suo bicchiere." Sospirò Calum, passandosi una mano sul viso.
"Lei non beve." Affermò certo l'uomo, dubitando del ragazzo.
"L'ho trovata in quello stato, non so cosa sia successo esattamente. Ha vomitato, sta meglio, ma è ancora confusa." Spiegò Calum. "Ho bisogno che si prenda cura di lei." Confessò dopo, sconsolato.
"Come sempre." Rispose atono il maggiordomo. "Lasciala a Lucius, la porterà a casa e da lì me la vedrò io." Lo guidò l'uomo. Il ragazzo annuì, come se Arnold potesse vederlo. "C'è altro?" Chiese ancora, notando il suo silenzio, che non aveva ancora nemmeno riattaccato.
"Ho bisogno che faccia un'altra cosa." Ammise infine.













A doge-afternoon to all of you!
Lo avete notato? Lo avete notato, vero? Come non notare quell'imponente banner a capo pagina? fiammifero che, tra l'altro, è stata la prima a recensire per mia grande gioia, mi ha consigliato di aggiungere un banner per rendere il tutto più completo e beh, detto fatto. Volevo ringraziare XLouX che è stata molto disponibile ed ha realizzato in davvero poco tempo questo magnifico banner, quindi se ve ne serve uno ve la consiglio vivamente. Passando alla storia, il quarto capitolo è più lungo rispetto agli altri ed incasinato, d'altronde quel "messy" nel titolo ci sta per un motivo, ma questo è solo un assaggio, ho grandi guai da far succedere! Che bella prospettiva di vita ahahah Come sempre, vi invito a lasciare una piccola recensione, se vi va, voglio solo sapere la vostra opinione. Come avete visto, sono aperta a qualsiasi consiglio e/o critica costruttiva che vogliate farmi. Alla prossima!

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Capitolo 5
*** "A number?" ***


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"A number?"

Isabelle batté lievemente le palpebre, fino ad aprirle completamente.
"Buongiorno signorina Isabelle!" Esclamò Arnold, scostando le tende, che fecero guaire la ragazza per i raggi che si infiltravano, dispettosi.
"Ciao Arnold." Salutò la ragazza, sbadigliando.
"Come ti senti?" Chiese il maggiordomo, posando il vassoio ricco di leccornie sul suo comodino.
"Sto bene." Affermò la ragazza, mettendosi seduta e stiracchiando la schiena. Arnold colse un broncio mal celato sul suo viso.
"C'è qualcosa che ti turba?" Provò a scoprire il motivo di tale broncio. La ragazza portò la tazza alle sue labbra, bevendo pigramente, poi sospirò, sicura di non poter nascondere nulla ad Arnold.
"Per una volta che decido da sola, lo faccio male, ora capisco perché ho persone che decidono per me, non sono abbastanza capace, non sono abbastanza." Provò a spiegare la ragazza, riferendosi alla sera precedente, sconfitta. Sapeva di poter mostrare le sue debolezze e preoccupazioni ad Arnold, lui non l'avrebbe giudicata, né rimproverata per averlo fatto.
"Non è così, Isabelle." La consolò, in maniera informale, sedendole accanto. Le accarezzò lievemente la guancia e sorrise alla dolce ingenuità della ragazza. Lei non sapeva quante potenzialità realmente possedesse. "Non devi cedere mai alle paranoie di questo mondo. Ti impongono di essere perfetta, che poi cos'è la perfezione? Una buona dizione, saper camminare nella posizione corretta, imparare l'ordine delle numerose posate e il modo in cui si utilizzano, conoscere frasi tratte da poesie, dai quali potrai esprimere qualche pensiero elevato, per screditare chi non può permettersi un libro? Tu sei molto più di questo ed il raggiungimento della perfezione potrai averlo soltanto quando riuscirai ad essere abbastanza per te stessa. Non dico che questo non ti farà prendere decisioni sbagliate, ti farà solo perdonare te stessa per essere umana." Espresse saggiamente Arnold. Isabelle strinse le mani al petto, guardando con ammirazione l'uomo.
"Mi sono resa conto che essere perfetta non riguarda quelle cose, perché tu non le hai mai imparate, eppure sei una persona magnifica." Ammise, abbandonando ormai la sua colazione e mettendosi sulle ginocchia per stringere Arnold. L'uomo sorrise fra i capelli profumati della giovane, quasi commosso dalle sue parole e grato che stesse crescendo buona e intelligente, davanti ai suoi occhi. Quando si allontanarono dall'abbraccio, l’uomo strinse la mano di Isabelle, lasciandole un pezzo di carta stropicciato tra le dita. Isabelle separò le dita confusa, tastandoci qualcosa incastrato e osservò i numeri scarabocchiati sulla carta.
"Cos'è?" Chiese la ragazza curiosa.
"Un numero." Rispose ovvio il maggiordomo e Isabelle pensò che si stesse prendendo gioco di lei.
"Un numero?" Ripeté, lasciando che un cipiglio si formasse sulla sua fronte.
"Non so se lo ricordi, ma ieri sera Calum mi ha chiamato, con il telefono di Lucius." Spiegò Arnold, mentre la ragazza osservava ancora il foglio, forse iniziando a prendere coscienza. "Mi ha fatto segnare il suo numero e mi ha detto di dartelo, solo quando ti saresti sentita meglio." Spiegò brevemente. "Mi ha detto anche che non sei obbligata a chiamarlo, che non sa se tu voglia farlo dopo ieri sera, e che è solo una tua scelta." Aggiunse infine. Isabelle rigirò il foglietto fra le sue dita, sorridendo quasi impercettibilmente. Arnold ritenne opportuno lasciare la ragazza sola per riflettere, quindi afferrò il vassoio della colazione, ormai consapevole che Isabelle non lo avrebbe più considerato.
"Perché me l'hai dato, Arnold?" Chiese Isabelle, prima che il maggiordomo potesse abbandonare la stanza.
"È uno dei miei compiti." Affermò sulla porta. "Riferire i messaggi." Spiegò, aspettando il consenso per lasciare la camera.
"Non era un messaggio ufficiale." Gli fece notare la ragazza. "Ma comunque, non era ciò che intendevo." Lo anticipò, prima che potesse dire qualcosa. Arnold stette in silenzio, aspettando che la ragazza si spiegasse. "Da quanto ho potuto capire, non ti piace particolarmente Calum." Chiarì infine, facendo una smorfia contrariata. Non amava che Arnold fosse in disaccordo con lei, era l'unico che la sosteneva solitamente in ogni cosa.
"Ma piace a te." Sospirò, abbassando poi il capo rispettosamente ed abbandonando la stanza.










Non so mai come iniziare questo spazio, perciò dirò semplicemente "ciao".
Lo so, il capitolo è corto ed inutile, è il compito dei capitoli di passaggio essere futili, ma in parte necessari, ovviamente non potevo far comparire magicamente il numero di Calum nella rubrica di Isabelle. Oltre questo, ho voluto aggiungere un piccolo confronto tra Arnold ed Isabelle, per farvi entrare un po' meglio nell'ottica del loro rapporto, considerando che Arnold sarà un personaggio fondamentale nella storia, A VOI sembra solo un maggiordomo, MA MA MA. Tralasciando gli spoiler, ho un annucio: visto che questo capitolo è quasi del tutto superfluo, ho deciso che, al posto dei soliti due capitoli a settimana, ce ne sarà un terzo, che pubblicherò tra sabato e domenica. Mi sono fatta perdonare un po' per questo quinto capitolo, o no? Prima di chiudere, voglio ringraziare mei_mei98 che ha speso il suo tempo nel recensire i capitoli uno per uno, rendendomi molto propensa ad andare avanti con la storia. A presto!

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Capitolo 6
*** To call or not to call? ***


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To call or not to call?

Isabelle aveva sempre saputo di essere una persona perennemente indecisa. Anche per le domande più banali, come se avesse preferito di più ricevere un cane o un cavallo, la ragazza non era riuscita a prendere una decisione fissa e coerente per almeno i cinque minuti successivi e non avendo saputo scegliere, suo padre glieli aveva semplicemente regalati entrambi. Isabelle non aveva mai dovuto scegliere tra una cosa e un'altra, perché avrebbe ottenuto sia una cosa che l'altra. D'altro canto, per le decisioni non banali, come il vestito che avrebbe indossato per un gala, i corsi da frequentare o una campagna da sostenere, la ragazza aveva coloro che sceglievano per suo conto. Di fatto, Isabelle possedeva il potere decisionale, ma non aveva mai dovuto farne appello. E si rese conto della sua incapacità nel prendere una decisione quando, per l'ennesima volta, con il telefono fra le mani, gli occhi puntati sullo schermo e il numero già composto, si ritrovò a premere il pulsante rosso e lanciare lontano il telefono sospirando, come da tre giorni a quella parte.
"Sai, ho sentito che la gente comune ha un metodo decisionale infallibile." La distrasse Arnold, divertito. 
"E sarebbe?" Chiese la ragazza, alzando un sopracciglio, fintamente infastidita dall'ilarità del maggiordomo.
"Tirare una monetina." Se ne uscì con falsa saggezza. Isabelle inizialmente non lo prese nemmeno sul serio, poi scrollò le spalle, andando a pescare una monetina. Non mi costa nulla, pensò. Arnold la guardò curioso e leggermente esterrefatto che avesse seguito realmente il suo stupido consiglio.
"Testa lo chiamo, croce non lo faccio." Chiarì la ragazza ad alta voce ferma, più a sé stessa che all'uomo presente nella stanza. Con uno scatto del dito, lanciò la monetina in aria ed improvvisamente ebbe la sua risposta. La monetina sulla sua mano indicava croce. "Lo chiamo." Dichiarò Isabelle.
"È uscita croce." Fece notare Arnold.
"Si, ma quando la monetina era in aria, speravo con tutto il mio cuore che uscisse testa, perché, dentro di me, è la decisione che voglio prendere." Spiegò la ragazza e il maggiordomo rimase positivamente colpito, dal modo in cui la ragazza avesse dato un significato talmente profondo al semplice lancio di una monetina.
"Era ovvio che avresti voluto chiamarlo." Affermò l’uomo, cercando di farsi spiegare meglio il punto di vista della ragazza. 
"Si, ma da un'altro lato avevo - ed ho ancora - molti dubbi e domande, però ora so che prevale la voglia di chiamarlo." Chiarì Isabelle, sorridendo consapevole. Quando si decise ad afferrare il telefono, senza ripensamenti, qualcuno spalancò la porta della sua camera, senza tanti complimenti, raggiungendola. Alzò lo sguardo, distratta dal trambusto che la persona in questione aveva causato. I suoi occhi si illuminarono e saltò fra le braccia di suo padre, come se fosse ancora una bambina. Arnold abbandonò la stanza, per lasciare i due da soli, dopo il lungo tempo in cui non si erano visti.
"Ho saputo che sei stata male." Parlò le sue prime parole il padre, preoccupato. Isabelle si allontanò dall'abbraccio e si risedette al suo posto sul letto, lasciando che Edward prendesse il posto accanto a lei.
"È successo quattro giorni fa." Mormorò la ragazza.
"Non sono potuto tornare prima, sai come sono i giapponesi..." Provò a giustificarsi l'uomo, come succedeva ogni volta. Ma a lei non importava, o almeno, cercava di godersi quei pochi momenti che poteva trascorrere con il suo papà.
"Com'è il Giappone?" Dirottò il discorso la ragazza.
"Non che io abbia visto così tanto, oltre uffici e sale conferenze." Alzò le spalle rassegnato l'uomo, facendo sorridere la figlia tristemente. "Ma per quello che sono riuscito a vedere, il Giappone è un paese affascinante. Dovremmo andarci insieme qualche volta." Sospirò il padre sognante. Isabelle alzò lo sguardo su di lui. Era una bella prospettiva, ma non sarebbe mai divenuta reale.
"Dovremmo." Sussurrò la ragazza consapevole. 
La suoneria di un telefono si diffuse fastidiosamente per la stanza e il padre sbuffò, sfilando il telefono dalla giacca e facendole segno che sarebbe tornato fra qualche minuto. Isabelle annuì, pur sapendo che l'uomo non avrebbe fatto ritorno, troppo preso dal lavoro. Quando il padre uscì e lei seppe di essere rimasta sola, la ragazza prese velocemente il telefono, prima che i numerosi pensieri le si infiltrassero nuovamente in testa, e compose il numero, che ormai le sembrava di conoscere a memoria, tante erano le volte in cui lo aveva composto, senza portare a termine l'azione. Premette sul tasto verde, prendendo un grosso respiro e portando il telefono all'orecchio. Dopo qualche squillo a vuoto, che le metteva una tremenda ansia, qualcuno dall'altro capo dell'apparecchio parlò.
"Pronto?" Esordì la voce del ragazzo. Isabelle aveva immaginato quella conversazione un trilione di volte, ma in quel momento non aveva la più pallida idea di cosa avrebbe dovuto dire per non sembrare una stupida. Pensò perfino di riattaccare. 
"Sono Isabelle." Sputò, strofinando una mano sudata sulla sua coscia.
"Oh hey, come stai?" Chiese Calum gentilmente e le sembrò di udire il sospiro di un sorriso, che la fece rilassare leggermente.
"Sto bene." Mormorò. "Tu?" Chiese di rimando, per cortesia e per mantenere il discorso. 
"Isabelle, senti." Iniziò il ragazzo, facendo montare nel cuore della ragazza la paura di essere respinta, di aver aspettato troppo. "Sono al negozio adesso e ci sono persone, quindi devo...capisci..." Provò a spiegare il più gentilmente possibile. Isabelle si sentì quasi umiliata, avrebbe scommesso che era un modo carino per liquidarla.
"Nono, capisco." Sussurrò la ragazza, provando a mascherare la delusione.
"Possiamo vederci stasera, da Starbucks, per continuare la chiacchierata?" La sorprese Calum, tanto che non riuscì a proferire parola. "Se ti va." Aggiunse il ragazzo, non udendo risposta.
"No, cioè sisi, mi va." Mormorò confusamente, dandosi mentalmente della sciocca.
"Allora, alle otto?" Chiese conferma il giovane.
"Siamo d'accordo." Confermò la ragazza.
"A stasera, Isabelle." Sussurrò melodiosamente il suo nome Calum, prima di riattaccare.











Guess who's back!
Come avevo promesso, eccomi con il terzo capitolo della settimana. Spero non siate annoiati dal fatto che non siamo ancora arrivati al dunque, ma mi sembrava un po' improbabile che Isabelle afferrasse semplicemente il telefono e chiacchierasse tranquillamente con Calum, come se nulla fosse. Andiamo, una ragazza si crea problemi inesistenti per cose che non stanno né in cielo e né in terra, io sto solo cercando di renderlo il più realistico possibile. Finalmente però, nel prossimo capitolo, avremo questa tanto agognata uscita, con l'augurio che niente vada storto *risata malefica*. Scherzo, non voglio essere linciata. Ma aspettate un secondo, chi è appena tornato dal Giappone? Proprio Edward, il padre, ha fatto la sua prima apparizione. Come vi è sembrato? Sono curiosa di sentire le vostre opinioni al riguardo, per favore, fatemi sapere. Ho deciso di continuare almeno alle due/tre recensioni, perchè scrivere per me, mei_mei8 e le rose non mi sembra produttivo, nonostante mei_mei8 mi faccia sentire tutto il suo calore. Spero di tornare presto!

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Capitolo 7
*** Date? ***


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Date?

Isabelle non era di certo una ragazza che si trascurava, d'altronde portava un cognome importante ed era obbligata ad essere presentabile e dare una buona impressione di lei. Quel giorno però, la ragazza non si sentiva, in nessun modo, fedele a quei principi. Sembrava che ogni capo le stesse in modo sbagliato, che i suoi capelli non volessero collaborare e le era perfino spuntato un brufolo sulla fronte, come ciliegina sulla torta. Non era un appuntamento, Isabelle ne era a conoscenza, ma...non c'era un ma, voleva solo essere carina, per lui. Quando l'orologio segnò cinque minuti alle otto, la ragazza fu costretta ad ignorare lo specchio che le intimava di nascondersi sotto il letto e fuggì dalla stanza, per evitare ripensamenti. Arnold aveva già fatto preparare una macchina per lei, con Lucius al suo interno, a cui aveva fatto promettere di rimanere fuori dal locale. L'uomo inizialmente non era stato entusiasta all'idea, a causa di ciò che era successo la volta precedente, ma Isabelle aveva una tattica persuasiva infallibile, d'altronde suo padre era un imprenditore e lei aveva acquisito numerose tecniche di contrattazione. Il viaggio in macchina fu accompagnato dal tipico mal di pancia da ansia, man mano che scorgeva dal finestrino la strada che scorreva e la meta sempre più vicina. Giunta a destinazione, fece un respiro profondo, lisciò i suoi vestiti con le mani, diede un'ultima controllata ai capelli e saltò giù dalla macchina, facendo il suo ingresso allo Starbucks. Si guardò intorno, sperando di scorgere Calum e lo vide, quando il ragazzo sventolò una mano in sua direzione. Isabelle si appuntò mentalmente di mantenere la calma e si avvicinò al tavolo occupato da lui, che gli fece segno di sedersi, sussurrando un 'hey'.
"Ciao." Lo salutò cordialmente la ragazza, facendolo sorridere di rimando. Non ebbero il tempo di scambiarsi molte parole, perché una giovane cameriera, con la cicca in bocca, li raggiunse e li osservò, ticchettando il piede sul pavimento e masticando fastidiosamente.
"Che vi porto?" Si decise a chiedere, spalancando la bocca esageratamente. Isabelle si schiarì la voce.
"Per me una vanilla cream, grazie." Le rispose cordialmente. La cameriera squadrò la ragazza, alzando gli occhi al cielo, quasi seccata, e scarabocchiò qualcosa sul suo blocchetto. Il ragazzo non poté fare a meno di notare il contrasto tra la delicatezza e la gentilezza di Isabelle e la sguaiataggine e la rudezza della cameriera.
"Per me un mocha." Aggiunse velocemente Calum, in modo da fare sparire velocemente la ragazza che masticava come un cammello. Quando quest'ultima si allontanò dal tavolo, i due riportarono lo sguardo su di loro. Calum osservò Isabelle intensamente, quasi volendosi assicurare ancora una volta che stesse bene, quella ragazza che solo qualche sera prima aveva dovuto vedere in condizioni orribili, a causa sua e sospirò. "Sai, mi sento così in colpa." Confessò improvvisamente, alzando impercettibilmente gli angoli della bocca, non in una vera e propria espressione di felicità.
"Riguardo a cosa?" Chiese delucidazioni Isabelle, aggrottando la fronte quando notò il ragazzo turbato.
"Quello che è successo al Red Moon." Spiegò sospirando, ancora una volta. Lei odiava l'idea che lui si sentisse in colpa, per qualcosa che non aveva commesso.
"Non è stata colpa tua, non sei stato tu a drogarmi, né potevi impedire in qualche modo che succedesse." Provò a convincerlo la ragazza. Calum le sorrise rassicurante, non voleva che Isabelle dovesse consolarlo, era lei dopotutto la vittima, però non poteva negare che adorava il modo in cui lei si preoccupasse di farlo stare meglio.
"Non dovevo farti venire in quel posto, scommetto che nel 'tuo mondo' non ti succedono queste cose." Scrollò le spalle il ragazzo, imbronciandosi. Isabelle piegò leggermente la testa per osservare meglio il suo viso, ma non ebbe il tempo di aprire bocca che la cameriera - che non aveva smesso di masticare fastidiosamente - si presentò al loro tavolo con i due bicchieri, colmi delle bevande ordinate. Isabelle la ringraziò cordialmente, mentre lei sbuffò scocciata di tutta risposta, e camminò via. Calum le fece il verso, facendo ridacchiare di gusto la ragazza. Presero qualche sorso dalle loro cannucce, facendo calare il silenzio per pochi secondi, prima che Isabelle attirasse nuovamente l'attenzione del ragazzo.
"Sai, quando avevo 6 anni, la mia babysitter mise della polvere di vetro nella mia merendina." Iniziò a raccontare Isabelle. Il ragazzo si chiese cosa c’entrasse, ma non volle interromperla. "Non per farmela mangiare, voleva solo essere l'eroina che se ne accorgeva in tempo ed entrare nelle grazie di mio padre. Io la rubai di nascosto e finì in ospedale." Spiegò per far cadere la teoria del ragazzo. Quest'ultimo spalancò leggermente la bocca.
"Qual era il problema di questa donna?" Chiese retoricamente il giovane, scuotendo la testa.
"Almeno alla fine ammise di essere stata lei." Alzò le spalle Isabelle.
"Davvero?" Un cipiglio si formò sulla fronte di Calum. 
"Si, insomma, fra le preghiere e le suppliche." Rise leggermente la ragazza, trasportando anche l'altro.
"Dovrebbe farmi sentire meglio il fatto che non è la prima volta che ti succede?" Chiese il ragazzo, abbassando lo sguardo.
"No, dovrebbe farti sentire meglio il fatto che nessuno tagliò la testa ai bodyguards, che non si accorsero di nulla, quindi la tua testa è salva." Lo prese in giro Isabelle. Il giovane scosse la testa al divertimento della ragazza, a sue spese, anche se un piccolo sorriso fece capolino sul suo volto.
"Solitamente, due persone comuni al primo appuntamento provano a conoscersi con domande banali, come il colore preferito o lo sport che praticano, noi stiamo parlando di come hanno provato ad ucciderti a sei anni e stiamo concordando che la mia testa rimanga dov'è." Rise Calum strizzando gli occhi, in un modo che Isabelle avrebbe definito adorabile. E lo avrebbe fatto, se non fosse stata troppo occupata ad ignorare il fatto che quella "chiacchierata" era evidentemente diventata qualcosa di più. La ragazza si riscosse, schiarendosi la voce, fintamente seria.
"Oh scusa, nel 'mio mondo' invece, al primo appuntamento, ci vantiamo di quante volte hanno provato ad avvelenarci. Non l'avevo completamente messo in conto." Lo prese in giro Isabelle. "Ma se ti fa sentire a tuo agio, dimmi pure quale sport pratichi." Continuò, ridacchiando. Il ragazzo finse di pensarci su.
"In realtà, questa domanda mi mette sempre in difficoltà, perché effettivamente io suono solo il basso, ma non penso possa essere considerato uno sport." Scrollò le spalle, con un sorriso complice sulle labbra. "Tu?" Chiese Calum, avvicinandosi leggermente per rendere la conversazione più intima. 
"Tennis, nuoto, scherma, equitazione, cricket, golf. Credo di non averne dimenticato nessuno." Elencò Isabelle, contando sulle dita. Riportò lo sguardo sul ragazzo, che sembrava sbalordito.
"Wow, ora avrei voluto dire qualcosa come calcio e hockey e rugby per fare il figo." Rise il giovane per dissimulare, facendo spuntare un sorriso alla ragazza.
"Tu suoni solo il basso, ma almeno è qualcosa che ami fare, la maggior parte degli sport che pratico io nemmeno mi piace." Scrollò le spalle la ragazza. "Non vorrei sembrare ingrata o altro, mi piacerebbe soltanto decidere da sola quale attività svolgere, forse lo farei anche meglio, perché è qualcosa in cui io voglio metterci impegno e non sono gli altri che me lo impongono, capisci ciò che voglio dire?" Spiegò Isabelle, sospirando e abbassando gli occhi sulle sue mani. Calum osservò la ragazza, quasi onorato del fatto che si stesse confidando con lui, senza accorgersene e sorrise velatamente.
"Non puoi semplicemente fare quello che ti pare?" Scrollò le spalle il ragazzo. "Voglio dire, sei tu che hai il potere, dovresti importi tu sugli altri, non viceversa." Delucidò il suo punto di vista, facendo ridere amaramente la ragazza.
"Questo mondo non è come credi. Io posso impormi poco, quando ho un'intera società contro che predilige perfezione e uniformità. Se a me andasse di giocare a pallavolo non potrei, perché non è uno sport che loro praticherebbero, verrei giudicata una sciagurata. Quando vai ai country club, devi saper giocare per forza a tennis o a golf, sei considerato un reietto se non prendi lezioni di, come minimo, questi due sport, che sono quelli basilari. Certo, è vero, il denaro mi permette di viaggiare, di vivere agiatamente, di mangiare a sbafo, ma è equilibrato a tutto ciò che non ho il permesso di fare. Ci credi che non ho mai mangiato al mc donald's?" Confessò in uno sfogo Isabelle. Prese un respiro profondo e alzò i suoi occhi su Calum, che sembrava concentrato ancora sulle sue labbra, che avevano appena finito di muoversi frenetiche. "Mi dispiace, mi sono lasciata trasportare, ma è come se non stessi vivendo la mia vita a pieno, intrappolata in questo mondo." Spiegò lei, prima che il ragazzo potesse anche solo aprire bocca. Quest'ultimo sorrise, fra sé e sé.
"Cosa faresti, se potessi?" Chiese improvvisamente interessato ed Isabelle si sarebbe aspettata la qualunque, tranne che una domanda del genere. C'erano così tante idee che le frullavano per la testa, che non riusciva nemmeno ad acchiapparne una e sputarla fuori.
"Non sono mai andata al mare, mi piacerebbe colorarmi i capelli...e farmi un tatuaggio, si, lo vorrei. Forse fare bungee jumping, sembra spaventoso, ma così eccitante. Il campeggio, tra la natura e quegli animaletti viscidi. Fare surf, anche se non ne sarei sicuramente capace. Girare la città in vespa ed andare ad un concerto e ad un parco divertimenti. Vorrei indossare ciò che mi pare senza problemi e abbuffarmi da mc donald's e burger king." Sputò fuori la ragazza, sognante. Solo ad immaginare cosa avrebbe potuto fare, libera dalle costrizioni a cui doveva sottostare, poteva quasi tastare quella brezza di libertà. Posso solo immaginarlo, si disse e sospirò rassegnata.
"Con cosa cominciamo?" Esordì Calum eccitato, facendo spalancare gli occhi della ragazza.











Hi there!
Nonostante non abbia raggiunto le recensioni che mi ero prefissata, sto pubblicando ugualmente il settimo capitolo, perchè immagino di non poter pretendere nulla e ancora un po' ci spero in questa fan fiction. Spero che questo semi-appuntamento non vi abbia deluso, ho cercato di non renderlo troppo superficiale o scontato. Ringrazio wild_nirvana per aver lasciato una recensione al capitolo precedente ed anche voi lettori fantasma che mi avete regalato numerose visite, con l'augurio che vi facciate presto vivi. Alla prossima!

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Capitolo 8
*** Little promises kept. ***


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Little promises kept.

Isabelle non credeva alle promesse, aveva smesso di crederci già da bambina, quando suo padre le prometteva di essere presente per il suo compleanno o a Natale e puntualmente le rifilava la solita giustificazione sui voli in ritardo, sulla neve che bloccava i mezzi di trasporto o su dei clienti difficili. Lei non si spiegava qual era lo scopo di fare una promessa, perché qualcuno dovesse sottolineare il fatto che avrebbe mantenuto la parola data, deludendoti più del dovuto, nel momento in cui non l'avrebbe fatto. Perché, in realtà, il vero problema non era che una persona non mantenesse la promessa, ma il fatto che lei la facesse, senza che tu lo avessi mai richiesto. La persona accostava un "te lo prometto" alle frasi, facendoti sentire il post it inserito di tutta fretta con uno sputo, alla cima delle sue proprietà, il posto che all'ultimo minuto riusciva a trovare per te, a cui non poteva davvero dire di no, ma si sapeva che la saliva dello sputo prima o poi si sarebbe asciugata e il post it sarebbe scivolato via, così come la promessa. Fortemente convinta di questa teoria, la ragazza non si aspettava realmente che, quel giorno, Calum si sarebbe presentato sotto casa sua, come le aveva promesso la sera precedente al telefono, dato che ormai non passavano un minuto senza scriversi, anche sciocchezze. Così non appena aprì il messaggio di quest'ultimo che recitava un 'Sono sotto casa tua, scendi e non accetto no :)', senza se, senza ma e senza possibili fraintendimenti, la ragazza dovette interrompere ciò che stava facendo, mettersi seduta e rileggere il messaggio più volte, sconvolta, totalmente presa in contropiede. Isabelle si accostò all'enorme finestra che dava sulla strada e scostò la tenda, perlustrando il perimetro. Richiuse la tenda in uno scatto, scivolando sul pavimento. Lui era davvero lì, nella sua macchina un po' scassata, che aspettava lei. La ragazza si strinse il telefono al petto sospirando, non si ricordava di qualcuno che le avesse mai dato tutte quelle attenzioni, senza che lei le avesse esplicitamente ordinate. L'entusiasmo che aleggiava nell'aria si scaraventò al suolo in un attimo, quando si ricordò di indossare una banale tutina e di non avere neanche un filo di colore sul viso. Si alzò lentamente dal pavimento e scostò nuovamente la tenda. Uno sbuffò uscì dalle sue labbra, mentre digitava un 'Non puoi presentarti senza preavviso, mi serve qualche minuto per prepararmi'. In realtà, le serviva più di "qualche minuto". Rilesse il messaggio prima di inviarlo, sembrava così fredda ed ingrata. Decise di aggiungerci una emoji, subito prima di tornare ad osservare Calum dalla finestra. Riusciva a vederlo a malapena con il tettuccio della macchina che copriva in parte il suo viso, ma non le sfuggirono le sue labbra che si allargarono, mentre leggeva il messaggio. Lo vide muovere velocemente i pollici sullo schermo e qualche minuto dopo, le arrivò la risposta con scritto 'Indossa solo qualcosa e vieni da me'. Isabelle sentì un calore propagarsi per il suo stomaco, d’altra parte sembrò restia all'idea di farsi vedere in quelle condizioni. Passò una mano tra i suoi lunghi capelli, quel giorno leggermente mossi, pettinando le punte con le dita, indecisa sul da farsi. Calum la guardava sempre in quel modo che la faceva sentire bellissima e lei non voleva che smettesse. Indirizzò nuovamente lo sguardo al di fuori della finestra e notò che il ragazzo stesse guardando proprio nella sua direzione. Squittì con l'intento di trascinare la tenda per coprirsi, ma poi lui sorrise, come se non avesse nemmeno notato la tutina ridicola che indossava, come se non gli interessasse se fosse un completo disastro. Lui le fece semplicemente segno di raggiungerlo e Isabelle si dovette arrendere al fatto che probabilmente non se ne sarebbe andato fino a quando non avrebbe ottenuto ciò che voleva e stranamente, per una volta, non le dispiaceva che qualcuno decidesse per conto suo. Si allontanò dalla finestra e spalancò l'armadio, provando a non essere troppo puntigliosa su ogni vestito che afferrava. Sapeva che avrebbe dovuto perderci più tempo di così, ma per quella volta decise di sbrigarsi, arrendendosi ad indossare una delle prime cose che le erano passate sotto le mani. Raggiunse il bagno, adiacente alla stanza, decidendo di ignorare appositamente lo specchio, convinta del fatto che si sarebbe relegata in casa nel momento esatto in cui si sarebbe resa conto di come stava avendo il coraggio di uscire. Si prese la libertà di perdere qualche minuto nell'appuntare i capelli in una coda alta, non esisteva che uscisse realmente con questi ultimi abbandonati sulle spalle, che le sarebbero gonfiati nell’arco di qualche minuto, facendola apparire Eleanor Abernathy, la gattara dei Simpson, quel cartone animato che, da piccola, sgattaiolava a vedere di nascosto, perché "non era per una signorina per bene come lei". Tornò nella stanza, riempiendo la borsa di cose che le sarebbero potute servire. Ammise che probabilmente la maggior parte delle cose che ci aveva infilato dentro di tutta fretta non le sarebbero servite a nulla, ma la borsa era stata pur creata per metterci cose totalmente inutili e poi pentirsene, quando sarebbero pesate fastidiosamente sulla spalla. Indossò gli occhiali da sole, che sembravano un'ottima tattica per coprire gli occhi struccati e si decise finalmente ad abbandonare la stanza. Si rese conto che, probabilmente, mai si era preparata così velocemente. Raggiunse il piano inferiore, semplicemente informando Arnold che sarebbe stata via per un po'. Il maggiordomo spalancò gli occhi, rendendosi conto che la ragazzina stesse semplicemente prendendo e uscendo, senza farsi alcun tipo di scrupolo. 
"Dove credi di andare?" La riprese, prima che potesse varcare la soglia di casa. Isabelle si fermò sul posto, sapeva dopotutto di non poterla fare franca. Così velocemente, insomma. Arnold si sarebbe convinto con qualche moina e gli occhi dolci, per poi pentirsene non appena lei avrebbe abbandonato la casa, ma a quel punto non era più un problema suo, o no?
"Per favore Arnold." Piagnucolò, giungendo le mani.
"Isabelle, tuo padre non è in viaggio adesso e chiede di te più spesso di quanto immagini. Cosa dovrei dirgli? Non posso coprirti quando è qui e può assicurarsi con i suoi occhi della verità." Spiegò il maggiordomo, cercando di mantenere uno sguardo severo. 
"Digli che non sai niente, affronterò le mie conseguenze quando tornerò a casa. Grazie Arnold." Decise, come la persona matura che sapeva di essere. Non aveva intenzione di rinunciare all'uscita con Calum, non dopo che lui l'aveva aspettata parecchio tempo in macchina, sotto il sole cocente, non dopo  che aveva fatto km per lei, non dopo che qualcuno le aveva dimostrato che le promesse potevano ancora essere mantenute. Suo padre non l'avrebbe punita troppo severamente, era pur sempre la sua unica e sola figlia ed erede. Arnold sospirò, ma la lasciò semplicemente andare. Raggiunse la macchina del ragazzo, che non si era spostata di un solo cm, segno che non avesse avuto il minimo dubbio che Isabelle l'avrebbe raggiunto, o forse ci aveva sperato tanto. La ragazza bussò sul finestrino, distraendo Calum che era intento a canticchiare la musica che fuoriusciva dalle casse. Lui sobbalzò colto sul fatto, facendola ridacchiare quando cercò di darsi un contegno, fingendo disinvoltura. Isabella aprì lo sportello e si sistemò accanto a lui, che si stava allungando per spegnere la radio.
"Lascia." Permise la ragazza, riferendosi alla musica, facendogli intendere che non le recasse alcun fastidio. Calum abbassò il volume, ma mantenne la piacevole melodia in sottofondo. "Ci ho messo troppo?" Chiese Isabelle, mentre si allacciava la cintura. Il ragazzo mise in moto, inoltrandosi sulla strada.
"Meno di quanto mi aspettassi." Rise sollevato.
"Non so se sia un complimento, ma farò finta di si." Alzò le spalle la giovane, con un sorriso a caratterizzare il suo volto e anche quello del ragazzo. Isabelle rivolse il suo sguardo fuori dal finestrino, dove il sole batteva alto in cielo. Si congratulò con se stessa per non aver indossato qualcosa di troppo soffocante. Chiuse gli occhi, godendosi il calore del sole che accarezzava la sua pelle chiara, beandosi della musica che aleggiava delicata e sorridendo fra sé e sé. Era sinceramente colpita dal fatto che lui avesse mantenuto la sua piccola promessa, che non l'avesse delusa e realizzò che, nonostante la conoscesse solo da qualche giorno, si era più preoccupato lui di lei, che molte altre  persone che la conoscevano da tutta una vita. Non era solo il fatto di aver mantenuto la parola data, lui aveva questo strano "vizio" di chiederle ogni giorno come stesse ed, anche se erano due semplici parole con un punto di domanda accostato, per lei significava che qualcuno si preoccupasse perché volesse, non perché dovesse. Magari poteva sembrare una domanda casuale, di circostanza, ma pareva che a lui importasse realmente della risposta, gli importasse di lei e la ragazza si chiese il perché, perché volesse farlo. Aprì gli occhi improvvisamente, rendendosi conto che non aveva nemmeno chiesto a Calum dove stessero andando, si era completamente consegnata a lui. Si girò nella sua direzione, prendendosi qualche minuto per osservarlo. Lo sguardo dritto sulla strada e i capelli ordinati in modo scompigliato. Abbassò il suo sguardo e notò che indossava una canottiera, che evidenziava i suoi bicipiti, ma ciò che catturò realmente la sua attenzione furono i tatuaggi sul suo braccio sinistro. Dalla sua posizione, ciò che dava più all'occhio era il ferro di cavallo sull'avambraccio ed una parola a caratteri cubitali, non realmente comprensibile. Si chiese cosa significasse quel ferro di cavallo. Risalì gli occhi sul suo viso, trovando un sorrisetto sulle labbra di Calum, da poco comparso.
"Mi fissi." Esordì il ragazzo, facendo sobbalzare Isabelle, presa alla sprovvista. Lei si sistemò sul sedile e spinse gli occhiali da sole sul suo naso. Non avrebbe di certo ammesso che lo stava realmente studiando.
"Mi stavo solo chiedendo dove stessimo andando." Borbottò la ragazza, fintamente offesa. Lui rise di gusto e svoltò in un parcheggio. 
"Pensavo che non me l'avresti chiesto più." Confessò Calum, spegnendo l'auto. Lei non ebbe il tempo di rispondere, perché il ragazzo le impose con lo sguardo di guardare davanti a loro. 











Hiya!
Avete sentito She's Kinda Hot? Ovvio che si, io circa 84954 volte. Non voglio divagare, perché so che lo farei se iniziassi a parlare di QUELLA canzone, quindi passiamo al motivo per cui siamo qui oggi: L'OTTAVO CAPITOLO! Non che io abbia molto da dire al riguardo, ho già scritto abbastanza, anzi spero che non siate troppo annoiati dalle descrizioni e le riflessioni della protagonista che hanno praticamente riempito un capitolo, ma voglio farvi entrare nell'ottica di Isabelle il più possibile. Chissà dove l'avrà portata Calum, uhm. Sono curiosa di sentire le vostre teorie, alla prossima!

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Capitolo 9
*** First frozen swim. ***


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First frozen swim.

Isabelle fu costretta ad alzare gli occhiali da sole sulla testa, intenzionata a gustare al meglio ciò che le si presentava ora di fronte: una distesa di sabbia seguita dal mare, che le fece brillare gli occhi e fece sentire Calum come se avesse fatto qualcosa di speciale. Sembrava ancora più bello di come le cartoline lo mostravano, pensò la ragazza.
"Hai detto che non sei mai andata al mare, quindi...andiamo o no?" Chiese divertito il giovane, spalancando il suo sportello. Lei non rispose, semplicemente imitò il suo gesto e scese dalla macchina, completamente ammaliata dalla vista. "Non è proprio il periodo giusto per andarci, ma non c'è nessuno, quindi è abbastanza tranquillo." Spiegò lui, camminando sulla sabbia. Si girò indietro, notando Isabelle ancora ferma accanto all'auto, che osservava il panorama con gli occhi di una bambina. Calum fu sorpreso nel vederla abbassarsi su se stessa e togliersi le scarpe. Isabelle le strinse tra le mani ed immerse i piedi fra la sabbia, come aveva desiderato fare più e più volte. Sembrava di affondarci, notò. Proseguì il percorso verso quella distesa limpida di acqua, lasciando dietro di sé dei profondi solchi nella sabbia, causati dai suoi piedi che, quasi con forza, si infiltravano fra i granelli, completamente estasiata nel sentire quella polverina che li ricopriva. Poggiò la borsa sulla sabbia, con poco riguardo, ma in quel momento era troppo presa per farci caso. Raggiunse la riva del mare, su cui le onde si infrangevano e si ritrovò a squittire quando l'acqua congelata scivolò sui suoi piedi. Corse lontano dalla riva e notò Calum divertito, seduto qualche passo più indietro. Era così incantata da quel paesaggio, quell'atmosfera e l'odore di salsedine che si era completamente dimenticata di ringraziarlo. Si avvicinò al ragazzo, sedendosi al suo fianco.
"Farei volentieri un bagno, se l'acqua non fosse così congelata." Ammise la giovane, facendo sorridere il ragazzo. "Nessuno aveva mai fatto qualcosa di così carino per me." Confessò, in un muto ringraziamento. Ed era vero, nessuno si era mai preoccupato di ascoltare ciò che volesse realmente. Lui non l'aveva solo sentita, lui l'aveva ascoltata e compresa. Il ragazzo alzò le spalle, come se non avesse fatto nulla di che.
"Avrai così tante persone che ti danno ciò che desideri, portarti qui non è nulla." Sospirò lui, straiandosi sulla sabbia. La ragazza si sentì un po' delusa, pensava che lui avesse capito, che lui l'avesse capita. Pensava che lui avesse capito che ciò che coloro che venivano comandati a bacchetta potevano darle, non era comunque paragonabile ad uno spettacolo della natura come quello che si ritrovava davanti adesso, ma sopratutto non era spontaneo, non era realmente qualcosa che volevano fare per lei.
"Sai qual è la differenza tra te e quelle persone?" Chiese retoricamente Isabelle, guardando dritto verso il mare. "Loro sono obbligati a farlo, tu no." Sospirò la ragazza, alzandosi poi in piedi e scrollandosi la sabbia di dosso. Lanciò gli occhiali sulla borsa, che le incastravano i capelli fastidiosamente. Calum dovette interpretare in modo diverso quell'azione, perché scattò seduto.
"Non lo sono, è vero." Affermò fin troppo velocemente. Isabelle si girò a guardarlo, colpita dal modo in cui avesse reagito.
"E allora perché lo fai?" Chiese in un sussurro la ragazza, per mettere a tacere i suoi dubbi.
"Non dovrei?" Alzò le spalle il giovane, furbo. Isabelle era sicura che lui quella scusa l'avesse già utilizzata in precedenza, ma lasciò correre, non riuscendo a trattenere una risatina al sorrisetto del ragazzo. "Allora, questo bagno?" Esordì Calum, facendo spalancare gli occhi alla ragazza.
"Cosa?" Quasi urlò quest'ultima, scuotendo le mani in segno di assoluta negazione.
"Vuoi davvero sprecare quest'opportunità?" Fece dondolare le sopracciglia il ragazzo. Lei annuì vigorosamente, quando lo vide man mano avanzare verso di lei minacciosamente. Il giovane si sfilò la maglietta, lanciandola da qualche parte sulla spiaggia, facendo rendere conto ad Isabelle che facesse sul serio. Quando lui iniziò a correre, lei fece lo stesso, ma non era mai stata una grande atleta e ne ebbe la conferma quando lui la acchiappò nemmeno dopo tre passi. Il ragazzo la caricò sulla sua schiena come un sacco di patate - ed effettivamente era il modo in cui si sentiva - e si lanciò letteralmente contro la corrente. Isabelle sentì l'acqua inondarle i vestiti e perfino le orecchie. Quando tornò a galla, Calum rideva allegramente, passandosi le mani fra i capelli per portarli indietro, in una visione paradisiaca.
"Mi verrà la broncopolmonite." Tremò la ragazza, stringendosi tra le sue stesse braccia. Il giovane notò il labbro violaceo della ragazza tremare e i denti sbattere e le si avvicinò per circondarla con le sue braccia e spingerla sul suo petto.
"Ammetti che è solo una scusa per farti abbracciare." La prese in giro Calum, mentre le accarezzava la schiena. Sicuramente Isabelle non aveva usato giochetti simili, lei era più una persona che lo avrebbe semplicemente chiesto quell'abbraccio, ma ammise che, sentendo il modo in cui il ragazzo la stava coprendo col suo corpo, non avrebbe negato, per timore che si allontanasse. Rimasero alcuni minuti a godersi il calore di quel contatto e il movimento del mare che li trasportava. Isabelle provò a rilassarsi semplicemente fra le sue braccia, ma le sue ossa stavano lentamente congelandosi e quando non riuscì più a resistere, allontanò Calum, sotto lo sguardo stranito di lui. 
"Ho freddo." Sussurrò lei per non allarmarlo. Il ragazzo annuì comprensivo e prese la mano di Isabelle per aiutarla ad uscire fuori dall'acqua, testando che la corrente trascinava il suo corpo senza problemi. 
"Ho qualche telo in macchina, aspetta." La informò lui, correndo in direzione dell'auto e lasciando la ragazza a strofinare le mani sulle braccia, infreddolita. Tornò, come promesso, con due teli fra le mani. Uno lo poggiò sulle spalle di Isabelle, con l'altro asciugò il suo petto dalle goccioline, lo strofinò poi sui suoi capelli e subito dopo lo stese sulla sabbia, facendo segno alla giovane di sedercisi. Lei non se lo fece ripetere, stava congelando e quei vestiti zuppi addosso non le davano alcun aiuto.
"Perché non togli i vestiti? Li metti ad asciugare al sole e ti asciughi col telo." Le suggerì Calum, sembrando leggerle nella mente. Lei arrossì al solo pensare di dover mostrare così tanta pelle al ragazzo, solo la sua sarta forse l'aveva vista in intimo.
"Preferisco di no." Scosse la testa lei, non riuscendo a guardarlo negli occhi, imbarazzata.
"Ti do la mia maglia, se ti fa sentire più a tuo agio." Alzò le spalle il ragazzo, strofinandole la schiena congelata da sopra il telo. Isabelle sotterrò i piedi nella sabbia, non potendo farlo con la testa. "Non guardo, giuro." Portò in alto le mani Calum, ridacchiando quando la ragazza si coprì il viso con le mani. Quest'ultima si alzò, lasciando scivolare il telo e andò a riacchiappare la maglia del giovane, che solo qualche minuto prima lui aveva lanciato in un punto casuale. 
"Resta girato." Gli fece promettere Isabelle, mentre lui le dava le spalle, alzando le mani innocentemente. La ragazza fece scivolare il pantalone lungo le gambe, calciandolo via dai piedi, fece lo stesso con la maglia, togliendola dalla testa, per poi afferrare il telo ed asciugare l'umido che stava man mano aderendo alla sua pelle. Si sciolse i capelli, che erano ormai scesi e sarebbero stati ugualmente un pasticcio. Prese la maglia di Calum, infilandosela. Le arrivava solo a metà coscia e fu costretta a tirarla fino allo stremo con le mani, non poteva mostrare così tanto le gambe. Si accorse che si intravedeva il reggiseno dalle maniche che erano decisamente troppo larghe e si portò le braccia a coprire il seno, si sentiva così esposta. Afferrò nuovamente il telo e se lo strinse addosso, attorcigliandolo ben bene nei punti che non avrebbe voluto mostrare.
"Hai fatto?" La distrasse Calum. La ragazza si risedette al suo fianco, poggiando una mano delicata sulla spalla di lui, per girarlo nuovamente nella sua direzione. Il giovane la esaminò, facendo abbassare lo sguardo di Isabelle in soggezione. Calum notò che lei aveva delle gambe favolose e si chiese perché non le mostrasse mai, la sua maglia si intravedeva soltanto, dato che il suo corpo era per la maggior parte coperto dal telo. Salì il suo sguardo sul viso della ragazza, i capelli bagnati che ora le cadevano sul viso, dandole un'aria da dea, le guance rosse e gli occhi azzurri che si alzarono timidamente su di lui. Ad Isabelle sembrava non importare il fatto che fosse un completo disastro in quel momento, perché lo sguardo del ragazzo era in grado di farla sentire magnifica anche in quelle condizioni. La ragazza allungò le gambe sul telo, straiandocisi lentamente sopra e appallottolando il suo corpo alla ricerca di un po' di calore. Calum si stese al suo fianco, iniziando a scaldare le sue guance. 











Hola bellas gentes! (No, non conosco realmente lo spagnolo.)
Ho lottato fino all'ultimo secondo sul pubblicare o no questo capitolo, ma l'ho fatto, anche se non mi convince particolarmente. Spero che non siate del mio stesso avviso, d'altronde è tutto dedicato alla nostra coppietta che, a proposito, chissà cosa combinerà su quel telo. Vi prego, non siate maliziosi, anche se le foto dal concerto di Irvine della scorsa sera hanno fatto la loro buona parte. Ho visto anche le foto di Bryana con le fans e mi sono chiesta qual è lo scopo della mia esistenza, è tipo perfetta in ogni sua forma e colore, insomma mi stanno tutte simpatiche fino a quando non sono le fidanzate di Calum. Divagazione a parte, fatemi sapere cosa ve ne pare del capitolo, di cui sono alquanto demoralizzata, e ci sentiamo presto!

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Capitolo 10
*** "You're an accident." ***


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"You're an accident."

Isabelle aveva lo sguardo rivolto verso il cielo, cercando di riconoscere qualche forma fra le nuvole, mentre Calum stava osservando il modo in cui le labbra della ragazza si alzavano in un sorriso, non appena vedeva qualcosa che le piaceva. Lei picchiettò la mano sul petto di quest'ultimo, indicando una nuvola in particolare. Il ragazzo si ritrovò a pancia in su, a scrutare il cielo.
"È il tuo tatuaggio." Affermò entusiasta la giovane. "Il ferro di cavallo." Puntualizzò, spostandosi nella posizione in cui era precedentemente Calum per guardarlo e carpirne la sua reazione. Lui riprese la postazione, facendoli trovare faccia a faccia. 
"Quando l'hai notato?" Chiese il ragazzo, girando le punte dei capelli di lei fra le sue dita. Isabelle abbassò lo sguardo sul braccio del giovane, passando un dito sul tatuaggio.
"In macchina, è stato il primo che ho notato." Confessò, facendo scorrere le punte delle dita sulle altre macchie di colore. "Posso chiederti cosa vuol dire?" Chiese alzando lo sguardo su di lui.
"Certo." Annuì il ragazzo, portando una sua ciocca di capelli dietro l'orecchio. "Il ferro di cavallo è simbolo di protezione e fortuna." Calum sorrise, quando vide la ragazza meravigliarsi. Adorava il fatto che si sorprendesse delle piccole cose. "Guarda." Disse portando le sue dita a tracciare il contorno del tatuaggio. "È rivolto verso l'alto perché la fortuna viene ingabbiata all'interno della curva del ferro di cavallo, mentre se le due estremità puntano verso il basso tutta la fortuna uscirà e porterà sfortuna." Spiegò ancora, lasciando che lei ci passasse le dita delicatamente sopra. Quasi accanto al ferro di cavallo, all'esterno dell'avambraccio, una rondine catturò la sua attenzione, ma non tanto quella, quanto il fatto che ci fosse scritto qualcosa sotto. "Che mi dici di questo?" Chiese curiosa, provando a decifrare la scritta dall'alto.
"È per mia sorella, Mali-Koa è il suo nome." Rispose, alzando le spalle per dissimulare l'imbarazzo. Isabelle si stupì della tenerezza del ragazzo, che mostrava un'espressione quasi colpevole.
"È stata una cosa dolce da parte tua." Ammise lei, per fargli capire che era seriamente conquistata dal fatto. "Tua sorella è più piccola o più grande?" Si informò, per pura curiosità.
"Più grande." Rispose annuendo, quasi orgoglioso.
"Si vede che le vuoi molto bene." Sorrise Isabelle, intenerita da quell'amore fraterno.
"Tu sei figlia unica?" Arrivò il turno delle domande per lei e si ritrovò costretta ad annuire, sconsolata.
"Si, da un lato mi sarebbe piaciuto avere qualcuno con cui crescere, ma dall'altro non sono sicura che avrei saputo gestire una sorella o un fratello." Confessò la ragazza. Calum si ritrovò a ridere sommessamente.
"Ma non c'è nulla da gestire in un fratello o in una sorella." Le fece notare, divertito.
"È un rapporto impegnativo." Affermò Isabelle, quasi offesa che non la prendesse sul serio.
"Si, ma lo vivi giorno per giorno e basta, non è qualcosa di organizzato." Spiegò il ragazzo, semplicemente. Isabelle rifletté qualche secondo sulle sue parole, d'altronde la sua vita era tutta già organizzata da quando aveva messo piede al mondo, non conosceva altri modi per viverla.
"Forse hai ragione, ma è abitudinario per me, la mia vita è tutta già organizzata." Ammise, rendendosi conto di starsi ciecamente fidando di lui, rivelandosi. Quest'ultimo scosse la testa.
"Noi non lo siamo." Notò il giovane, facendo aprire uno scintillante sorriso sul suo viso. Isabelle sapeva che Calum aveva appositamente utilizzato quel "noi", non era un "tu ed io", un "te e me", era un noi, erano due pronomi che si fondevano, proprio come i loro respiri in quell'istante.
"Tu sei un imprevisto." Sussurrò la ragazza. Calum le accarezzò il dorso della mano.
"Un imprevisto che ti sarà parecchio d'intralcio." Annuì il ragazzo, respirando pesantemente. Isabelle era convinta che quello fosse il momento perfetto, fra quelle parole dolci appena sussurrate, ed il posto perfetto, fra quel rumore di onde che li cullavano e che si infrangevano sulla riva, poi c'era lui, che era sicuramente la persona perfetta con cui viverlo. Ma qualcuno evidentemente non la pensava allo stesso modo, perché una suoneria li fece allontanare bruscamente, di soprassalto. Calum si lasciò andare con la schiena sul telo, mentre Isabelle si alzò di tutta fretta, lasciando scivolare il telo dalle sue spalle e raggiungendo la sua borsa per afferrare il telefono.
"Chi parla?" Chiese, ancora leggermente scossa.
"Sono Arnold." La voce dall'altro capo del telefono sussurrava, quasi impercettibilmente. "Devi tornare adesso, tuo padre sta dando di matto." Riferì velocemente. Un'altra voce in sottofondo, che riconobbe come quella di suo padre, la preoccupò. Non voleva che Arnold finisse nei pasticci per colpa sua. La linea cadde e lei sospirò affranta. Lasciò scivolare il cellulare nella borsa e si girò in direzione di Calum, che la guardava, reggendo il viso sulle mani, sorridendo rassicurante. Non era arrabbiato, notò. 
"La mia maglia sta meglio a te che a me, per la cronaca." Esordì, facendo improvvisamente rendere conto alla ragazza che fosse mezza nuda di fronte a lui. Si coprì il viso con le mani imbarazzata. Poco dopo, si sentì circondare da due braccia. "Davvero, voglio che tu la tenga, come ricordo di quando ti ho quasi fatto prendere una broncopolmonite." Rise lui, passando lentamente le mani ad accarezzarle i capelli in un gesto rilassante.
"Invece voglio una foto col mare, come ricordo di questa giornata." Controbatté. "Anche perché non penso che ci tornerò molto presto." Sospirò. "Ma tengo anche la tua maglia." Puntalizzò, facendo ridere di gusto il ragazzo. Isabelle ripescò nuovamente il cellulare dalla borsa, impostando la fotocamera. 
"Dammi il telefono, te la faccio io la foto." Si propose Calum. La ragazza alzò un sopracciglio contrariata e tirò il ragazzo accanto a lei, con lo sfondo del mare in prospettiva.
"Voglio che ci sia anche tu." Affermò quasi ovvia, subito prima di scattare la prima foto. 
"Non ero in posa." Si lamentò il giovane. Si posizionò dietro di lei, stringendole i fianchi sui suoi. Le guance della ragazza ebbero un effetto immediato, mentre la fotocamera scattava a caso e le loro pose assurde scatenavano risate leggere nell'aria.











Heyheyhey!
Più vado avanti con i capitoli, più mi rendo conto che questi due stanno diventando diabetici...sarà la quiete prima della tempesta. Ma onestamente, non ricordo nemmeno a cosa pensavo mentre scrivevo questo capitolo, sarà che ormai sono i personaggi che manovrano me ed io non riesco ad averne il controllo. Nonostante questo, il tanto atteso bacio da Elena non è avvenuto, ma in mia discolpa, è stato Arnold ad interromperli, io non c'entro nulla. Wow, faccio schifo nelle giustificazioni. Tralasciando il mio essere impedita e parlando della nostra protagonista, chissà cosa la aspetterà al suo ritorno a casa. Sono curiosa di sentire le vostre teorie, noi lo scopriremo alla prossima!

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Capitolo 11
*** A father daughter discussion. ***


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A father daughter discussion.

Isabelle non voleva realmente mettere fine a quella giornata, le era sembrato di star vivendo finalmente la sua vita, aveva sentito il brivido e l'eccitazione del proibito, ma la sua parte razionale le aveva categoricamente imposto di saltare in macchina sulla strada del ritorno, se non per lei, per Arnold che stava passando i guai al suo posto. Voleva disperatamente concentrarsi su altro, ma i pensieri di cosa avrebbe trovato al suo ritorno in casa si insinuavano nella sua mente, quasi come a rinfacciarle la giornata appena vissuta, quasi come per ritrovare l'equilibrio. 
"Sei silenziosa." Notò Calum, timoroso che si fosse pentita della giornata passata in sua presenza.
"Sono preoccupata." Specificò la ragazza.
"Vuoi dirmi per cosa?" Chiese lui, cercando di non essere troppo invadente.
"Io sono venuta con te oggi di nascosto." Ammise lei, sospirando. Non pentita, ma evidentemente a lui arrivò in modo diverso.
"Mi dispiace." Sussurrò lui, tenendo gli occhi fissi sulla strada. Isabelle spalancò gli occhi, non era assolutamente ciò che intendeva.
"No Calum, hai capito male. Lo rifarei altre mille volte." Confessò nella foga di non farsi fraintendere. Poi si schiarì la voce, muovendosi sul sedile a disagio. "Arnold sembrava strano al telefono prima, sono preoccupata per lui." Spiegò la ragazza, scrollando le spalle ed abbassando lo sguardo. 
"Hey." La richiamò lui, facendole alzare lo sguardo. "Arnold è un osso duro, mi ha steso con uno sguardo quella volta in macchina." Le lanciò un'occhiata, vedendola sorridere finalmente. Isabelle cercò di coprirsi il viso con le mani, era imbarazzante che con una sola frase lui fosse capace di farle rispuntare il sorriso. La musica in sottofondo le risultò improvvisamente familiare. 
"Adoro questa canzone!" Esclamò la ragazza, muovendosi a tempo di Sugar dei Maroon 5. Calum alzò il volume ed iniziò a cantare al di sopra della voce di Adam Levine. 
"Canta con me!" La incitò il ragazzo. Isabelle scosse la testa, non amava la sua voce. "Andiamo, ci sono solo io." Cercò di convincerla. Alla giovane si strinse lo stomaco al suo tentativo, era come se le volesse dire che di lui si potesse fidare, anche per quelle sciocchezze, che a lui potesse mostrare quella parte che non aveva mostrato a nessuno, che a lui potesse mostrare quella parte che nessuno era mai stato interessato a farsi mostrare. "Dai." Le intimò fiducioso. Isabelle sorprese sé stessa lasciandosi andare, come poteva non farlo nel momento in cui Calum le accarezzò il dorso della mano, poggiata pigramente sulla sua gamba. Stonò, eccome se stonò, ma al ragazzo sembrò non importare, quando si unì a lei in un urlo confuso. Isabelle urlò fuori dal finestrino e quasi poté sentire le pressioni abbandonare il suo corpo e quando la canzone finì, scoppiò in una risata liberatoria. E non lo capì, non capì cosa la rendesse così, poi si girò in direzione di Calum, che non la stava additando come pazza, ma stava ridendo insieme a lei e in momento le fu tutto chiaro: era lui, era lui a renderla così. Quando giunse davanti alla sua imponente casa sospirò, sapeva che da quel momento in poi avrebbe dovuto riprendere le vesti che era obbligata ad indossare, serie e ordinate. Slacciò la cintura ed osservò l’abitazione, prendendo tempo. Come avrebbe dovuto salutarlo? Prima che il telefono li interrompesse in spiaggia stavano per baciarsi, o forse era solo una sua illusione? Le domande affollavano la sua testa, rendendole impossibile pensare razionalmente, agire, quindi se ne rimaneva lì immobile. Sentì la presenza di Calum farsi sempre più vicina e trattenne il fiato, quando lui le lasciò un lieve bacio sulla guancia.
"Andrà bene." Sussurrò il ragazzo, in modo quasi ipnotizzante, facendola annuire. Abbandonò l’auto e quatta quatta raggiunse la porta di servizio. Si infiltrò all’interno della casa e camminò silenziosamente in punta di piedi, guardandosi intorno cauta. Si sentiva una ladra nella sua stessa casa, ma non poteva di certo rischiare che qualcuno la beccasse completamente zuppa, ci sarebbe stato fin troppo da spiegare. Quando raggiunse la sua stanza e girò la chiave nella serratura, si lasciò andare ad un sospiro di sollievo. 
"Bentornata." Una voce alle sue spalle le fece lanciare un gridolino spaventato. Si portò la mano al cuore, notando Arnold seduto compostamente sul bordo del suo letto. Le era andata bene. "Lavati e vestiti velocemente, tuo padre ti aspetta per la cena." Riferì il maggiordomo, alzandosi per abbandonare la stanza. Isabelle sentì il senso di colpa invaderla, quando Arnold non la degnò di uno sguardo in più.
"Arnold?" Lo richiamò la ragazza, prima che potesse aprire la porta. L'uomo la guardò, in attesa. "Mi dispiace di aver pensato solo a me stessa." Confessò Isabelle, sincera. Non avrebbe dovuto comportarsi da egoista, lasciare che Arnold combattesse le sue battaglie e scontasse le sue pene. Le labbra del maggiordomo si alzarono in un sorriso, subito prima che abbandonasse la stanza, lasciando Isabelle perplessa. Arnold era seriamente arrabbiato o voleva solo che lei capisse le sue colpe? La ragazza non lo riuscì a comprendere con certezza. Dopo anni che lo aveva accanto, il più delle volte, quell'uomo si dimostrava ancora un mistero, con i suoi metodi strambi di impartirle qualche insegnamento, non come quelle stupide cose che ti insegnano al corso di postura o di dizione, ma un insegnamento per la vita, per affrontare il mondo reale. La ragazza sentì l'orologio rintoccare le otto, mentre l'acqua scorreva sulla sua pelle. Sorrise ripensando a quella giornata, non si era forse mai sentita in pace come quel giorno, senza pensieri, né oppressioni, solo libera a godersi la natura, l'aria pulita e quel ragazzo. Chiuse l'acqua e mise un piede fuori dalla vasca, coprendosi con l'asciugamano. Camminò a piedi nudi fino alla camera, lasciando che i capelli le gocciolassero sulla schiena. Indossò uno dei suoi vestiti da cena, uno di quelli che suo padre adorava perché la facevano sembrare una donna già adulta ed in carriera. Cercava solo di addolcirlo un po', di modo che potesse indorare la pillola più facilmente. Acconciò i capelli, ancora gocciolanti a causa del bagno, ma non aveva il tempo materiale di asciugarli e non voleva fare aspettare troppo il padre, colorò anche il viso il minimo necessario per mostrargli che ci aveva messo amore e preoccupazione. Raggiunse la sala da pranzo, dove lui stava già attendendo dal suo lato del tavolo. Si sedette di fronte, così come aveva dovuto sempre tenere quel posto, distante. 
"Hai i capelli bagnati." Notò Edward, anche se era a conoscenza del fatto che lei lo sapesse.
"Non volevo farti attendere, padre." Sorrise lei, senza mostrare alcun segno di cedimento. L'uomo sistemò il tovagliolo sulle sue gambe, lasciando che Isabelle lo imitasse e dando il via ai camerieri.
"Allora." Esordì il padre, prima di iniziare a prendere un boccone. Isabelle deglutì, era già arrivato il momento, sapeva che quella sera non avrebbe mangiato nulla. "Arnold mi ha detto che sei andata a visitare zia Carol oggi." Disse l'uomo, prendendo il primo boccone. La ragazza mormorò qualcosa di scomposto, non era quello che si aspettava. Rivolse uno sguardo al maggiordomo, che stava sulla porta con aria colpevole. Isabelle gli sorrise riconoscente, mimandogli un 'grazie' con le labbra. Quando il padre alzò lo sguardo su di lei, quest'ultima cambiò interamente espressione.
"Era da tempo che non la vedevo." Spiegò poco interessata, per non far percepire al padre il suo nervosismo al riguardo. 
"Sai che a me non piace che vai in quel posto, preferisco fare portare zia Carol qui, ma se ne hai sentito il bisogno avresti solo dovuto dirmelo, non c'era alcun motivo di nasconderlo." La rassicurò il padre. Isabelle fu sicura che non sarebbe stato tanto accomodante, se fosse venuto a conoscenza di ciò che stava realmente facendo quel pomeriggio.
"Mi dispiace di essere andata alla casa di riposo senza dire nulla, la prossima volta sarai il primo a saperlo." La ragazza ripeté le sue scuse come una pappardella, che conosceva a memoria.
"Niente più segreti." Decretò lui infine. Isabelle avrebbe voluto davvero raccontagli di come Calum era in grado di farla sentire, aveva davvero bisogno di raccontarlo a qualcuno o quelle emozioni le sarebbero esplose dentro per sovraccarico, ma sapeva che lui non fosse la persona adatta per farlo, quindi annuì.
"Niente più segreti." Ripeté come un automa, lo sguardo fisso su qualcosa di imprecisato ed un falso sorriso sul suo viso. Il padre prese l'ennesimo boccone, mantenendo il silenzio ed Isabelle pensò che potesse fare altrettanto, considerando la piega che aveva preso la serata. Se l'era scampata, come al solito grazie ad Arnold. 
"Come sta la zia Carol?" Edward alzò gli occhi su di lei, proprio quando quest'ultima aveva abbassato la guardia. Pensava che avesse finito per quella sera.
"Bene, era contenta che fossi lì, conosci zia Carol." Argomentò la giovane, per rendersi più credibile.
"Cosa ti ha detto?" Chiese ancora l'uomo, forse solo per fare conversazione. Isabelle e suo padre, per la maggior parte delle volte, non avevano dei dialoghi troppo lunghi, solitamente riuscivano a dialogare solo durante i pasti, a causa del telefono dell'uomo che squillava all'improvviso, di qualche urgenza all'ultimo minuto o addirittura, a volte, l'uomo era tanto nervoso, a causa del lavoro, da preferire il silenzio. La ragazza era triste di dover mozzare ogni volta la conversazione con Edward, aveva bisogno a volte di quelle chiacchierate padre-figlia. Quella sera invece, che lei si trovava in difficoltà e non aveva alcuna voglia di dialogare, sembrava che nessuno avesse voglia di interromperli. L'ironia del destino, pensò.
"Solite cose." Rispose vaga, poi alzò lo sguardo sul padre, che la osservava immobile, in attesa. Lei si schiarì la voce. "Mi ha detto che sono cresciuta dall'ultima volta che mi ha visto e che le piacerebbe che l'andassi a trovare più spesso, mi ha chiesto se ho il "fidanzatino". Mi ha anche detto che le manchi e dovresti farti vedere ogni tanto." Elencò con no-chalance, come solo una grande attrice avrebbe potuto fare. D'altronde Isabelle era abituata a fingere, il suo mondo era tutto finzione, finta perfezione che si ostentava per ignorare ciò che realmente era il mondo. Lei odiava mentire, ma nessuno gliene avrebbe potuto fare una colpa, perché chi non mentiva non sopravviveva in quella società. Per fortuna, conosceva anche a memoria  le parole che la zia le ripeteva ogni volta che la vedeva, come se ne conservasse un copione. Il padre smise di masticare e strofinò il tovagliolo sulle labbra.
"Le hai parlato di Eric?" Chiese entusiasta, non ottenendo però la medesima emozione nella figlia. L'uomo si era messo in testa di combinare degli appuntamenti fra lei e il figlio di un famoso delle industrie, un certo Waldorf, ma Isabelle non era ovviamente d'accordo con l'idea di uscire con l'ennesimo figlio di papà, che l'avrebbe portata a mangiare aragoste e le avrebbe raccontato di un grande affare che suo padre aveva per le mani. Avevano priorità differenti.
"No." Rispose fredda e diretta la ragazza. 
"Perché no? È un ragazzo fantastico." Batté le mani eccitato l'uomo. Isabelle dovette trattenersi dal rispondere maleducatamente. Edward non conosceva nemmeno quel ragazzo, conosceva solo suo padre e i suoi bilanci.
"Ne sono sicura." Lo assecondò la figlia, sperando di far morire la discussione. Il padre sospirò, privato del suo entusiasmo, ma riprese a cibarsi, senza aprire più bocca per il resto della cena.











Hey you!
A quanto pare, ad Isabelle è andata meglio di quanto immaginavamo, grazie ad Arnold, ma se quindi la "tempesta" di cui parlavo non era Edward...beh, lo scoprirete solo se continuerete a seguire la storia! Mi sento un po' Marlene King che trolla i fan di Pretty Little Liars da cinque anni a questa parte e, per la cronaca, io sono una di quelle, ma non voglio parlare di me e di come mi faccio prendere per il culo da una divora ciambelle. Spero che questo confronto padre-figlia vi abbia fatto inquadrare meglio il carattere di Edward e come influisce su Isabelle. Alla prossima! 

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Capitolo 12
*** Meet the big sister. ***


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Meet the big sister.

Isabelle non era particolarmente entusiasta quel giorno: suo padre l'aveva quasi rinnegata come figlia, perché aveva indossato qualcosa di leggermente diverso dal solito, solo ed esclusivamente per andare in piscina, le sue compagne di nuoto, perennemente invidiose, le avevano fatto notare che fosse ingrassata e, come se non fosse stato abbastanza, stava quasi annegando in piscina, se solo Quentin, l'istruttore giovane e sexy a cui tutte andavano dietro, non l'avesse salvata ed in seguito assicuratosi che stesse bene, causando nelle compagne più invidia del solito nei suoi confronti. La ragazza non si riusciva a spiegare da dove provenisse tutto quell'odio per lei: avevano tutte dei padri ricchi, che davano loro tutto ciò di cui avevano bisogno, o anche di più, Isabelle non possedeva né più né meno di loro. Ma d'altronde, l'invidia era uno dei sentimenti con cui doveva avere a che fare ogni giorno, poteva gestirlo, ma quel giorno, quel giorno no, quel giorno ne aveva abbastanza di tutto. Decise così di prendere la sua roba e sgattaiolare dalla porta sul retro, prima della fine della lezione. Sapeva che avrebbe dovuto affrontare le conseguenze di quella sua azione sconsiderata, ma aveva davvero bisogno di una pausa. E quasi inconsciamente, i suoi piedi la guidarono davanti quel negozietto decadente. Rimase un po' ad osservarlo, soppesando il da farsi. Non ci pensò troppo, sapeva che se l'avesse fatto sarebbe tornata a casa con la coda fra le gambe. Spinse la porta del locale ed entrò silenziosamente. Si guardò intorno, era proprio come l'ultima volta che c'era entrata, quella volta che il ragazzo le disse che non le avrebbe chiesto il numero di telefono, sorrise spontaneamente al ricordo, quasi ironico dal momento in cui, solo qualche settimana dopo, si trovavano a sentirsi ogni minuto della giornata. Scorse Calum nella stanza, che discuteva con una ragazza. Le sue sopracciglia erano inarcate, formando un profondo solco tra esse e le sue mani gesticolavano nervosamente. Isabelle constatò che era decisamente seccato e non avesse scelto il miglior momento. Probabilmente sentendosi osservato, pensando che fosse un cliente in attesa, Calum si girò nella direzione della ragazza, l'espressione ancora cupa. Quando però si rese conto di chi avesse davanti, il suo viso si rilassò e le sorrise, facendo scivolare la rabbia via alla visione di Isabelle, i capelli ancora un po' umidi e la postura leggermente contratta, a disagio ora che anche quella ragazza aveva gli occhi fissi su di lei.
"Isabelle." Pronunciò Calum, sorpreso. Ed era davvero difficile lasciare Calum Hood senza parole. La giovane si schiarì la voce, passando lo sguardo dal ragazzo alla ragazza, cercando di capire la prossima mossa da compiere. Lui sembrò rendersi conto della situazione solo in quel momento e decise di intervenire. "Lei è mia sorella." Lui si rivolse ad Isabelle, indicando la ragazza al suo fianco, in cui ora finalmente lei poteva scorgere i tratti tipici di Calum. 
"Mali-Koa, giusto?" Chiese conferma la ragazza, allungando la mano verso l'altra.
"Non ci credo che mio fratello ti ha parlato di me." Rise Mali-Koa, stringendo la mano di Isabelle. Quest'ultima si rilassò leggermente, quando vide la sorella di Calum rivolgerle uno sguardo amichevole, per nulla quello sguardo pregiudiziale o di sufficienza, a cui era abituata. Aveva gli occhi di suo fratello, forse era per quello che Isabelle non ne aveva timore. Purtroppo, sembrava che Calum e Mali-Koa non fossero esattamente amichevoli fra di loro, come lo erano con lei. La ragazza decise di cogliere la palla al balzo ed aiutare il giovane, che si trovava in difficoltà.
"In realtà, lui ti vuole molto bene." Chiarì Isabelle, sorridendole sinceramente. Mali-Koa portò lo sguardo su suo fratello, che stava alzando gli occhi al cielo alle parole della ragazza.
"Peccato che non lo dimostri." Mandò una frecciatina la sorella, facendo nuovamente infervorare Calum.
"Senti Mali, te lo ripeto un'ultima volta e basta. Non sono il tuo autista, non ti posso scarrozzare dove ti pare e quando ti pare, io lavoro, okay?" Quasi urlò il ragazzo, innervosito dalla sorella, che pareva non capire e pensare solo alle sue esigenze. Le voleva bene, certo, era sua sorella, ma sembrava volerlo fare diventare matto di proposito. Isabelle osservò Calum, passarsi la mano sul viso stanco, non era una bella giornata nemmeno per lui. Il suo sguardo si spostò su Mali-Koa, che lo stava guardando, a sua volta, indispettita.
"Io ho un autista, se ti serve." Alzò la mano quasi colpevole la ragazza, interrompendo lo scambio di sguardi rabbiosi tra i due. "Non mi sto vantando o altro, l'ho detto soltanto perché potrei darti un passaggio." Puntualizzò Isabelle per non essere fraintesa, scrollando le spalle. Calum abbassò lo sguardo su di lei, sospirando, ma Mali-Koa lo precedette, prima che potesse pronunciare sillaba.
"Grazie Isabelle, sei gentile, però è un posto abbastanza distante da qui e non devo nemmeno andarci ora, ma dopo pranzo. Non mi sembra giusto." Scrollò le spalle la sorella del ragazzo. Quest'ultimo alzò le braccia al cielo, sconvolto.
"Per me ti sembra giusto, invece?" Esordì, scuotendo la testa.
"Tu sei mio fratello, devi sopportarmi o per si o per forza." Rispose pronta l'altra, mettendolo a tacere.
"Io non ho problemi se devo fare un po' di strada in più o devo farmi venire a prendere dopo pranzo, andrò un po' in giro, tanto più tardi torno a casa e meglio è." Intervenne nuovamente Isabelle. Calum spostò lo sguardo su di lei, cercando di entrare e capire cosa la turbasse, tanto da preferire vagare da sola per la città.
"Sei sicura?" Chiese non molto convinta Mali, non voleva approfittarsene. Isabelle annuì, sinceramente entusiasta di poter essere utile. "Potremmo pranzare insieme, così non rimarrai sola nel frattempo." Propose eccitata la sorella del ragazzo.
"No." Rispose secco Calum, facendo spalancare gli occhi alle due. "Non andrai con lei." Affermò secco, prima di allontanarsi e raggiungere il bancone.
"Puoi darmi due minuti?" Sussurrò Isabelle all'altra, che annuì. La ragazza raggiunse il giovane, poggiando le mani sul bancone, esattamente di fronte alla sua postazione. "Calum?" Lo chiamò. Quest'ultimo alzò lo sguardo su di lei.
"No Isabelle, non ci provare." Chiarì il ragazzo, fin da subito, quando la giovane gli mostrò i suoi occhioni. Lei spostò le mani dal bancone e lo aggirò, sedendosi accanto a lui.
"Perché non vuoi?" Chiese, decidendo di cambiare approccio.
"Perché Isabelle..." Partì in quarta Calum, ma poi si bloccò e sospirò. "Perché mia sorella lo sta facendo solo per fare un dispetto a me, perché tu non puoi semplicemente andare in giro a dispensare gentilezze, perché la gente se ne approfitta e..." Si lamentò, quasi affranto.
"È tua sorella, non capisco quale sia il problema." Confessò Isabelle, cercando lo sguardo del giovane, perennemente abbassato sui suoi skinny jeans, colpevole.
"Non so nemmeno io quale sia il problema." Ammise. "Sei venuta qui per me, penso, no? Certo. E ora te ne vai con mia sorella." Si strinse nelle spalle, imbarazzato. Era quello quindi il problema, a Calum dava fastidio che Isabelle passasse con sua sorella il tempo che avrebbe potuto passare con lui. La ragazza cercò di mascherare un sorriso che lottava per spuntare sul suo viso, mentre lui alzò finalmente lo sguardo su di lei, non sentendo alcuna risposta.
"D'accordo, allora potresti venire a pranzo con noi, non appena sei in pausa." Propose la giovane, come se stesse parlando ad un bambino. 
"Dovevo mangiare con i ragazzi oggi." Ricordò dispiaciuto l’altro.
"Porta anche loro." Scrollò le spalle la ragazza. 
"Sicura?" Chiese conferma Calum. Lui sapeva che Isabelle non era sempre a suo agio in situazioni simili, non voleva infastidirla, non sembrava nemmeno il suo miglior giorno.
"Certo." Rispose invece lei, per nulla contrariata. La ragazza si spostò dalla sua postazione per riferire a Mali-Koa i programmi, ma lui le afferrò un braccio prima che potesse allontanarsi. 
"Che hai?" Le chiese, perforando i suoi occhi col suo attento sguardo.
"Niente." Rispose la giovane senza nessuna espressione, stringendosi nelle spalle e tentando di districarsi dalla presa del ragazzo. Lei non voleva annoiarlo ancora con le sue sciocchezze da principessina, magari lui aveva problemi più grandi, magari nemmeno gli interessava, le bastava anche solo vederlo e distrarsi, non aveva per forza bisogno che lui l'ascoltasse, nessuno l'aveva mai fatto, non era qualcosa a cui doveva fare l'abitudine.
"Isabelle." La fermò nuovamente lui. "Mi importa ciò che ti succede, non pensare nemmeno per un momento che non sia così." Pronunciò Calum dritto nei suoi occhi - e nel suo cuore - quasi leggendole nella mente. La ragazza ebbe un fremito per l'intensità con cui Calum la stava guardando, scavando nella sua anima. Si rimise seduta.
"La mia mattinata non è cominciata, né proseguita, nel migliore dei modi." Confessò Isabelle, mentre il ragazzo fece scivolare il tocco delicato sul dorso della sua mano. Lei deglutì, non era abituata a tutto quel contatto. "Sono scappata via dalle lezioni di nuoto." Ammise, osservando le loro mani giocare e attorcigliarsi. Non andò troppo nei dettagli, non era il momento, Mali-Koa la aspettava.
"Perché?" Chiese curioso Calum.
"Non sopporto nessuno in quel posto." Sbuffò, mentre i commenti cattivi delle sue compagne le rimbombavano nella testa. Il ragazzo ridacchiò all'espressione quasi schifata di Isabelle. 
"Che ne dici se pranziamo al mc donald's oggi?" Propose col suo solito sorriso rassicurante, per distoglierla dai cattivi pensieri. Purtroppo, non sapeva che con quella domanda li aveva fatti insinuare più profondamente nella mente della ragazza. Quest'ultima tossicchiò e cercò di trovare in fretta una scusa.
"Non si può nemmeno considerare pranzo un panino di quelli." Rise fintamente, facendo comparire un cipiglio sulla fronte del giovane.
"Pensavo volessi provarlo?" Uscì più come una domanda dalla bocca di Calum. Isabelle abbassò lo sguardo, osservò le sue gambe spiaccicate sulla sedie che sembravano due enormi cosce di pollo, non si sarebbe sorpresa se le avessero chiesto di friggerle ed inserirle in un nuovo panino: chicken mc Belle. Sobbalzò quando le dita del ragazzo le alzarono il mento, per riportare lo sguardo sul suo.
"Cosa sta succedendo nella tua testa?" Chiese Calum comprensivo. Lui notava spesso quello sguardo un po' assente, pensieroso, nella ragazza, che stava combattendo qualche sorta di guerra nella sua mente. Isabelle osservò gli occhi del giovane, dispiaciuti che lo lasciasse fuori. Lui stava davvero provando ad esaudire i suoi desideri, ma lei non glielo stava lasciando fare.
"Andiamo al mc donald's!" Esclamò allora la giovane, cercando di trasmettere un entusiasmo che non possedeva. "Magari prenderò un'insalata." Sussurrò fra sé e sé, ma poi non così tanto lievemente, si rese conto, quando il ragazzo la rimproverò con lo sguardo.
"Stai bestemmiando." Scosse la testa, seriamente contrariato Calum, come se si stesse parlando di un argomento serio. "Non ti lascerò commettere questo peccato." Annuì, fedele alla sua missione, portando una mano sul petto. Le labbra di Isabelle si allargarono in un sorriso. Non sapeva se Calum lo stesse facendo solo per distrarla e divertirla, ma se era quello il suo intento, ci stava riuscendo. "Davvero, vai al mc per la prima volta, dovresti assaggiare tutti i panini disponibili." Le consigliò e la ragazza stava già pregustando quella bontà, dal modo in cui lui la descriveva deliziosamente. Contò fino a dieci nella sua testa. Visione eliminata. Decise di assecondarlo in quel momento, aveva lasciato Mali-Koa da sola e senza una risposta fin troppo a lungo.
"Va bene." Emise il verdetto Isabelle, cercando di essere convincente. Calum la lasciò finalmente andare, con un sorriso soddisfatto in volto, che la fece sentire quasi in colpa. Avrebbe deluso anche lui, lo sapeva. Poco importava se avesse iniziato a farlo con una piccola bugia su un panino.











Is there anybody here?
Lo scorso capitolo ha avuto un calo di recensioni, per non dire che non ne ha avuta neppure una ed ovviamente ero alquanto restia all'idea di pubblicare questo ennesimo capitolo, ma le visite superavano le trecento ed io mi chiedo onestamente come sia possibile che su più di trecento persone, nessuna di queste possa lasciare due parole in croce, io davvero non voglio essere presuntuosa, non riesco semplicemente a spiergarmelo. Scusate se lo sono sembrata, ma oggi è un giorno un po' particolare: Louis Tomlinson ha confermato che presto diventerà padre  (tesi sul quale ho molte teorie), come se non bastasse è spuntata fuori una foto di Calum con una tizia mezza nuda e nessuno riesce a capire se sia un fotomontaggio o no, ora sono appena venuta a sapere che Zayn e Perrie si sono ufficialmente lasciati, quindi sono arrivata alla conclusione che mi serve una pausa da questi fandom o alla fine del 2015 avrò bisogno di un terapista. Oh e si, per chi non lo sapesse ho un problema con le band/boyband e sono ossessionata, oltre che dai 5sos, anche dai One Direction e dai The Vamps e la morale di oggi è che solo in quest'ultimo fandom si può convivere serenamente, senza continue sorprese e proprio ieri questi bimbi hanno compiuto tre anni da "Vegas Girl", la loro prima cover pubblicata su Youtube, ma senza Connor (discriminazione), e l'hanno riproposta ieri sera al concerto di Chicago e sono orgogliosa di vedere e sentire quanto siano cresciuti. MA WAIT, ieri è anche uscito il video di SKH, che se lo dovessi descrivere con una parola sarebbe KABOOM, penso che oltre a far divertire, alla fine di tutto ha un significato più profondo e spero che a voi sia arrivato ciò che è arrivato a me. Comunque avete visto che ho cambiato nick? inlovewithcalum era provvisorio mentre ne decidevo uno che mi convinceva maggiormente, mi aveva già stancato perché, se pur veritiero, risultava banale, così riguardando un paio di interviste annoiata ce n'era una in cui chiedevano a Calum "are you all about that bass?" e così è nata la stupida idea di questo nick. Questo spazio autrice sta diventanto più lungo del capitolo ed, a proposito, in questo conosciamo la big sister di Calum e non chiedetemi perché ho voluto aggiungerla, è stata un'idea last minute, ma considerando che Isabelle non ha una migliore amica come ogni protagonista che si rispetti, mi serviva una figura femminile e con questo non sto dicendo che diventeranno migliori amiche. Direi che è il momento di chiuderla qui, spero che qualcuno si faccia vivo, ho bisogno di tirarmi su il morale, ma soprattutto NO MORE DRAMA. Alla prossima!


Ps. Ora non che sono ossessionata o qualcosa del genere, ma il "meet the big sister" che si può ricondurre al "meet the vamps" come tributo? Giuro che non è stato fatto di proposito.

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Capitolo 13
*** How to eat a burger. ***


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How to eat a burger.

Calum digitò velocemente qualcosa sul suo telefono, prima di rivolgersi alla sorella, che continuava a lagnarsi del fatto che stessero aspettando in macchina ormai da un po'.
"Michael mi ha appena scritto che stanno arrivando, chiudi la bocca." Le intimò esasperato. Isabelle ridacchiò quando Mali fece la ripassata al ragazzo, che se ne accorse e le lanciò un pacchetto di fazzolettini, incastrato nel porta oggetti. Quei due erano esilaranti, la giovane avrebbe tanto voluto avere con qualcuno un rapporto così naturale e genuino. Rivolse il suo sguardo fuori dal finestrino ed il suo occhio cadde sullo specchietto, che rifletteva la sua figura. I suoi capelli si erano asciugati malamente, sembrava Eleanor Abernathy, appena uscita da una lotta con i suoi gatti. Constatò che, ultimamente, si ritrovava in lei più del dovuto. Decise di alzare i capelli fra le mani e appuntarli con l'elastico che portava al polso. Non fece in tempo a tastarli, per controllare che non ci fossero bozzi, che in un attimo li sentì nuovamente cadere sulle sue spalle. Si girò sorpresa in direzione di Calum, che le aveva rubato il codino.
"Lasciali sciolti, mi piacciono di più." Le riferì il ragazzo, facendola arrossire istantaneamente. Isabelle odiava il fatto che arrossisse così facilmente, odiava il fatto di mostrare quale effetto Calum avesse su di lei. Quest'ultimo infilò l'elastico al suo polso, per nulla intenzionato a restituirlo. La ragazza non ebbe molto tempo per contestare, perché gli amici di Calum sbucarono su una macchina dalla traversa, la musica a palla che fece tremare tutta la via. I tre scesero dalla macchina e raggiunsero gli altri. Isabelle non sapeva come comportarsi, di certo non aveva dato una buona prima impressione di lei quella sera al Red Moon, non sapeva che idea quei ragazzi si erano fatti di lei, non voleva che la guardassero con scherno ripensandoci. Il primo che si avvicinò fu un ragazzo dai capelli di uno stravagante colore, che salutò calorosamente Mali-Koa, batté il pugno a Calum, poi si rivolse a lei, a cui sudavano già le mani per il confronto. 
"Ti ricordi di me?" Chiese con un sorriso gentile. La ragazza si rilassò leggermente al modo in cui si rivolse a lei, ma fu costretta a scuotere la testa.
"No, scusami." Rispose sinceramente dispiaciuta. Subito dopo, altri due ragazzi li raggiunsero e Isabelle cercò di individuarli nella sua mente. "Mi ricordo di lui." Indicò il biondino. Ricordava perfettamente che lui l'avesse sorretta per qualche minuto quella sera e non si fosse per nulla lamentato, quando lei aveva fatto saltare un bottone della sua camicia, aggrappandosi, con la sensazione di star per cadere. 
"Tutte si ricordano di Luke." Si intromise ridacchiando il terzo ragazzo. Calum lanciò un'occhiataccia all'amico, non tanto per ciò che aveva detto, ma perché non voleva che quelle parole potessero metterla a disagio.
"No, è che..." Provò a giustificarsi la giovane.
"Ricordi Luke e non ricordi me? No, questo non lo accetto. Non potremmo mai essere amici." Esordì il primo, con tono fintamente offeso, sculettando via, verso il locale. Isabelle dovette trattenere un sorrisino, le stava già simpatico. 
"Se non l'avessi capito, sono Luke comunque." Si presentò il biondo, allungando una mano verso di lei, che la strinse. "Lui è Ashton." Parlò anche per l'altro, che la salutò con un cenno. "E la prima donna con cui hai appena avuto uno scontro è Michael." Rise scuotendo la testa, quando Michael urlò un 'vi date una mossa o no?'. 
"Io sono Isabelle." Lo informò la ragazza, come se Luke non ne fosse a conoscenza, a causa dei continui chiacchiericci di Calum. Quest'ultimo decise che fosse il momento di intervenire, prima che il suo amico mettesse in imbarazzo lui o, anche peggio, lei. Il ragazzo avvolse la sua grande mano attorno a quella piccola di Isabelle e la trascinò via, in direzione del mc donald's, con al seguito gli altri. Lei rimase interdetta dal gesto, ma decise di non porsi troppe domande, d'altronde non le dispiaceva per nulla. Quando le porte scorrevoli del locale si aprirono davanti a loro, un odore di patatine fritte li raggiunse, facendo brontolare i loro stomaci, in quel momento più affamati che mai. Isabelle si guardò intorno, notò che quel posto fosse gremito e si stupì di come così tanta gente potesse pranzare con dei panini, quando per lei non rappresentavano nemmeno un quarto dell'antipasto. Quello che ancora non sapeva è che non erano dei "semplici panini". Lei individuò Michael, che aveva già occupato un tavolo e scortò gli altri, senza mai sgusciare via dalla presa di Calum. Quest'ultimo si offrì di ordinare per tutti, garantendo ad Isabelle che avrebbe scelto qualcosa di buono per lei, nonostante le sue proteste bellamente ignorate. Ashton lo seguì, in modo che non dovesse trasportare da solo i numerosi vassoi, mentre gli altri rimasero a parlottare tra loro, coinvolgendo di tanto in tanto anche Isabelle, che ne sembrò lieta. Quando qualche minuto più tardi, i due tornarono con vassoi stracolmi, la ragazza non aveva la minima idea da dove avrebbe dovuto iniziare. Non c'erano coltelli né forchette, guardando un po' in giro si rese conto che avrebbe dovuto sporcarsi le mani. Afferrò il panino goffamente, lasciando spargere tutti i condimenti sul cartone. Michael rise di lei e fu sicura che Calum gli diede un calcio da sotto il tavolo, perché la sua risata scemò in un guaito di dolore. 
"Ti insegno io." Si propose il tinto divertito, cominciando a spiegarle come tenere il panino e come morderlo, senza lasciar scivolare via i condimenti, fra le risate e la salsina continuamente spiaccicata sul suo viso goffamente. "Comunque questo non significa che possiamo essere amici." Puntualizzò poi, con finta aria di sufficienza. Calum non sapeva come reagire ogni volta che Michael se ne usciva con quelle battutine, aveva il timore che lei potesse prendere sul serio determinate parole, non sapeva se 'nel suo mondo' quel tipo d'ironia fosse presente o concessa, di certo Isabelle poteva sopportare qualche battutina, ma era questo il problema, lei non doveva sopportare, lei doveva stare bene in sua compagnia. Quando si girò verso di lei e la notò ridacchiare sommessamente, si rese conto che forse si preoccupava per nulla, ma la vedeva così fragile ed innocente, mentre il mondo in cui lui viveva era un tale stronzo. E sembrò quasi una casualità, che a quel pensiero la stronza numero uno si presentò al loro tavolo, con tanto di borsa firmata e naso rifatto.
"Ciao ragazzi!" Squittì allegra, come se fosse la benvenuta. Nessuno l'aveva invitata, pensò infastidito il ragazzo, non nel momento in cui Isabelle era presente.
"Alissa." Salutò solo Michael, con il falso entusiasmo che solo un televenditore poteva possedere.
"Vi trovo bene." Notò piegandosi sul tavolo, per mettere in mostra la sua scollatura. Il giovane grugrì, girando lo sguardo su tutt'altro spettacolo: Isabelle. Lei masticava qualche patatina, mentre osservava neutra la ragazza che cercava in tutti i modi di stare al centro dell'attenzione, dell'attenzione di Calum, si rese conto, quando due braccia si allungarono sul suo petto. Alissa non si era fatta alcuno scrupolo nel mettersi a novanta, poggiando il mento sulla spalla del ragazzo e abbracciando il suo petto. 











Ho esaurito i modi carini con cui salutare, perciò dirò solo "buonasera".
Che poi, in realtà, non avevano nulla di carino i miei saluti, ma hey, una ragazza può sognare.
Isabelle conosce (AGAIN) l'Allegra Compagnia, perché ammettiamolo, la prima volta che li ha incontrati non era esattamente cosciente, in ogni caso sembra sentirsi a suo agio con loro, in special modo con Michael che, a tal proposito, è stato esilarante immaginarlo in divaH mood. Sono consapevole che, per il resto, è un capitolo alquanto piatto, l'unica emozione che mi ha suscitato è stata la voglia di correre al mc. E' da settimane che non ci mangio, anche l'avatar del mio profilo ha percepito la mia astinenza. Ah si, poi c'è anche questa tizia che spunta dal nulla a fine capitolo, Calum sembra alquanto infastidito da lei. Che ne pensate voi? Sarà una comparsa irrilevante? Io ho onestamente questa malsana idea di aggiungere uno spoiler del prossimo capitolo, giusto per stuzzicare un po' la vostra curiosità, so...

"Magari lui non potrà darti una lezione perché sei una ragazza..." Premise. "Ma io posso." Concluse, mollandole un pugno sul naso, scatenando nei presenti la medesima reazione sconvolta.

Ora sono curiosa di sentire le vostre teorie, vedremo qualcuno aggressivello, a quanto pare. Alla prossima!

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Capitolo 14
*** "He pretends." ***


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"He pretends".

Calum fu costretto a fare qualche respiro per calmare i bollenti spiriti, probabilmente l'avrebbe scaraventata dall'altro lato della stanza, se solo non fosse stata una donna. Con gentilezza forzata, prese i suoi polsi ed allontanò il suo setto nasale deviato dalla sua figura. "Andiamo Big Hood, che ti prende?" Ridacchiò lei, non abbastanza umiliata per essere stata respinta. La preoccupazione del ragazzo in quel momento non era per nulla la biondina che lo stava importunando, ma più che altro per cosa Isabelle stesse pensando in quel momento.
"Non chiamarmi così." Puntualizzò il ragazzo fra i denti. Alissa sbuffò, fintamente scocciata. Un po' di dramma era ciò che voleva, la eccitava.
"Che sei noioso!" Affermò, soffiando sulle unghie smaltate, ma non pensando nemmeno per un momento di togliersi di torno. "Andiamo a farci un giro in bagno." Propose la ragazza, ma era più uscito dalla sua bocca come un ordine. I ragazzi spalancarono la bocca e quasi istintivamente, rivolsero lo sguardo ad Isabelle, che continuava quieta ad ingurgitare quelle patatine, che sembravano piacerle particolarmente. Lei era addestrata, addestrata a non mostrare le sue debolezze, addestrata a far finta che non fosse delusa da ciò che stesse succedendo attorno a lei ed era addestrata a far credere alle persone che tutto quello fosse reale, addestrata così bene che per un momento anche Calum pensò che le fosse scivolato tutto addosso, poi però vide la sua mano cercare il suo braccialetto, sentì il suo respiro irregolare e notò l'azzurro dei suoi occhi divenire lentamente più tenue. "Oh cosa?" Si finse colpevole la biondina. "Sei la sua nuova pseudo-fidanzatina?" Chiese retoricamente rivolgendosi ad Isabelle e ridendo sguaiatamente, una risata di scherno che il ragazzo non poteva sopportare si rivolgesse proprio a lei.
"Basta Alissa." Ordinò fermo Calum, ma lei la utilizzò come una spinta per continuare.
"Ma lei dovrebbe saperlo, tesoro." Annuì fintamente dispiaciuta, interrompendo Michael che le intimava di andare via. "Lui farà finta di essere interessato a te, innamorato anche se vuole fare le cose in grande stile, poi ti scoperà un paio di volte e alla fine, ti lascerà andare verso il tramonto da sola e senza la tua verginità." Spiegò quasi come se stesse raccontando una barzelletta. Calum non aveva nemmeno il coraggio di alzare lo sguardo su Isabelle, carpirne la sua reazione. Avrebbe voluto negare, avrebbe voluto trovare una motivazione valida, ma la verità era che non avrebbe potuto. "E' questo che fa, lui finge." Ripeté poi, perforando il ragazzo con uno sguardo gelido.
"No, sai cosa?" Si alzò improvvisamente Mali-Koa. "Magari lui non potrà darti una lezione perché sei una ragazza..." Premise. "Ma io posso." Concluse, mollandole un pugno sul naso, scatenando nei presenti la medesima reazione sconvolta. Alissa si strinse il naso fra le mani, puntando il dito contro Mali.
"Te la farò pagare." Urlò acutamente, fuggendo via. Il pubblico tornò presto a riazzannare il loro cibo, sul tavolo in questione calò il silenzio.
"Ora dovrà rifarsi il naso." Lo spezzò Ashton, scatenando una risata generale. Tranne in Calum ed Isabelle, ognuno dei due rispettivamente con mille domande e timori differenti. Lui voleva disperatamente sapere cosa le girasse per la testa, qualunque cosa fosse sapeva che non era positiva, dal modo in cui la giovane stava accucciata dal suo lato del tavolo, senza sfiorarlo nemmeno per sbaglio. Calum sapeva che avrebbe dovuto sfiorarle una mano e sussurrarle che le avrebbe spiegato tutto in seguito, ma non lo fece. Lei rimase solo in silenzio, attendendo pazientemente che Mali-Koa finisse il suo cibo, non voleva fare la maleducata ed interromperla nel bel mezzo del suo pranzo per un suo capriccio. Quando anche l'ultimo pezzo di rimasuglio del suo vassoio scomparve, Isabelle si schiarì la voce e si decise a pronunciare la sua prima frase, dopo un lasso di tempo ragionevole.
"Mali-Koa ti dispiace andare?" Chiese gentilmente, nonostante non avrebbe saputo ascoltare repliche. La testa di Calum scattò sulla sua figura, facendola sentire peggio di quanto già non si sentisse. Per la prima volta, quello sguardo su di lei risultava fastidioso. "Si è fatto tardi." Aggiunse per essere più convincente. Mali-Koa sembrò capire il motivo per cui Isabelle avesse tanta fretta e, nonostante le dispiacesse per suo fratello, non aveva altra scelta, considerando che la ragazza si era mostrata così gentile da fornirle un passaggio. D'altronde, quel coglioncello non stava alzando neanche un dito per farle cambiare idea, farla restare, magari chiarire. Se ne stava con la testa abbassata alla sua postazione, immobile, quasi rassegnato. La sorella lo guardò per un'ultima volta e fece un cenno di assenso ad Isabelle, rassegnata allo stesso modo.
"Lasciami solo andare un secondo in bagno." Chiese Mali con tono quasi supplichevole. "Ho un'urgenza." Le sussurrò saltellando sulle gambe. Isabelle non voleva rimanere al tavolo da sola con i ragazzi, perché fino a quel momento, Mali aveva cercato di mantenere vivo lo spirito di quel tavolo, dopo l'accaduto, ma se lei si fosse assentata, sarebbe tutto terminato in sguardi imbarazzati e discorsi a favore di Calum da parte degli amici, che non aveva proprio voglia di ascoltare. 
"Ti aspetto fuori." Decretò infine Isabelle, che si alzò immediatamente dal suo posto e si guardò intorno, per studiare il modo in cui sarebbe dovuta uscire. Il ragazzo doveva chiaramente alzarsi per lasciarla passare, ma lei si rese conto che non l'avrebbe fatto, non di sua spontanea volontà. "Puoi alzarti, per piacere?" Chiese senza mai incontrare il suo sguardo e con la solita gentilezza che la caratterizzava, ma quel pizzico di astio nella voce che Calum carpì forte e chiaro.
"Isabelle..." Sussurrò il ragazzo, in un ridicolo tentativo. Quello era tutto ciò che riusciva a dire. La ragazza si infervorò per il modo in cui lui fosse rimasto apparentemente impassibile.
"Alzati." Ordinò ferma con un tono di chi non ammetteva repliche. Sapeva perfettamente di non starsi riferendo a coloro che erano ai suoi servizi, ma Calum non si trovava nella posizione per contestare e fu sollevata quando il ragazzo si alzò e la lasciò passare. Non fu sollevata perché volesse realmente andare via da lui, lo fu perché non avrebbe sopportato un altro minuto il confronto con lui. Abbandonò il locale ironicamente da sola, quando solo qualche minuto prima lo aveva varcato con la mano incastrata in quella del giovane. 











Hi cutieees!
Si, sto cercando di iniziare questo spazio in modalità portatrice di pace nel mondo, per provare ad attenuare la collera delle maledizioni che mi lancerete dopo aver letto il capitolo. In tutta onestà, questa gita al mc doveva andare liscia nel mio programma iniziale, ma poi ho pensato che fossi stata buona per fin troppo tempo, quindi ho deciso di sconvolgere tutte le vostre convinzioni. Non siate arrabbiate, oggi è un giorno felice: dopo anni di scervellamenti, trollate, teorie improbabili e di gente che incolpava Aria perché fa "ssh" nella sigla, abbiamo finalmente scoperto chi si nasconde dietro il cappuccio nero di A, ma non spoilererò nulla, perché magari c'è qualcuno che segue Pretty Little Liars e non ha ancora visto la puntata (ho i miei dubbi) or sort of. Io per prima, per non incorrere in eventuali spoiler, dalla diretta delle due fino al momento in cui sono usciti i sub così che potessi vedere la puntata, mi sono estraniata dai social network e chiusa nella mia solitudine. Chi non lo segue mi odierà, perché oggi non si fa che parlare d'altro e penso che vi sia uscito anche dal buco del biiiiiiiiip. Cerco di fare la finta raffinata, It's No Lie, tanto per rimanere in tema di PLL. La smetto in questo preciso istante di parlare di cose non inerenti al capitolo e vi chiedo di espormi la vostra opinione riguardo ad esso, perché sono curiosa di sapere come avete voi inquadrato la situazione, cosa ne pensate di questa storia di cui parla Alissa? Se è falsa, perché Calum non reagisce? Se è vera, perché Mali difende il fratello, pur evidentemente trovandosi nel torto? A questo punto, dovrei aggiungere lo spoiler del prossimo capitolo, ma siete nella giusta modalità di sapere che le cose potrebbero andare peggio di così? Suppongo che questa frase sia già uno spoiler da sé, ce se vede!

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Capitolo 15
*** "Three things cannot be long hidden: the sun, the moon and the truth." ***


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"Three things cannot be long hidden: the sun, the moon and the truth."

Isabelle si sedette sulle scalinate sporche e consumate dal tempo, non voleva stare realmente lì a preoccuparsi per i suoi vestiti, tanto a suo padre non piacevano neanche. Chiamò Arnold, che le fece una strigliata per telefono del tutto meritata. Avrebbe dovuto ripetersi in testa quelle parole la prossima volta che le sarebbe venuto in mente di fare una bravata simile, con un ragazzo sopratutto, con Calum, quel Calum che ad Arnold non piaceva e si sapeva che Arnold aveva sempre ragione. Alla fine, il maggiordomo le aveva promesso l'arrivo della macchina fra qualche minuto, non poteva di certo negarglielo, anche se fosse stata una bella lezione. Quando qualcuno prese il posto accanto a lei, fece un sospiro di sollievo, non che avesse voglia di intrattenere un discorso con Mali-Koa in quel momento, ma per lo meno l'avrebbe distratta dai suoi pensieri.
"La macchina arriva tra circa dieci minuti." La informò Isabelle, strofinando le mani sulle sue ginocchia nervosamente. Voleva abbandonare quel posto, i capelli le puzzavano di fritto e non si era nemmeno gustata il panino. Non avrebbe dovuto comunque, presto l'avrebbero messa a dieta.
"Me ne servono cinque." Pronunciò la voce al suo fianco, che era decisamente più mascolina e profonda di quella di Mali-Koa. Il battito della ragazza sembrò fermarsi per pochi istanti alla realizzazione e sarebbe scappata immediatamente, se non avesse dovuto aspettare la sorella del ragazzo che le si trovava accanto. Dannata gentilezza, dannata educazione, pensò.
"Ti è tornata la parola." Notò ironicamente la ragazza. Da quando faceva ironia? Da quando non aveva altro modo per difendersi. "Ora sono io a non volerti ascoltare." Chiarì lei, alzandosi dalle scalinate e allontanandosi. Non poteva affrontarlo, non sarebbe riuscita nemmeno a guardarlo negli occhi. Chiaramente Calum la seguì, perché solo qualche secondo dopo si sentì afferrare il braccio. La ragazza oppose resistenza, ma lui riuscì ugualmente a farla girare nella sua direzione. "Calum, non puoi." Spinse il suo petto per farlo allontanare. "Non puoi usare la tua forza fisica per obbligarmi ad ascoltarti, non puoi decidere tu quando sia il momento di farlo." Gli sputò contro, con fin troppa enfasi. Non puoi comportarti come se te ne importasse, quando non è così, avrebbe voluto aggiungere. Il ragazzo chiuse le mani in due pugni, le strinse così forte da lasciare le unghia stampate sul palmo. Avrebbe dovuto calmarsi o avrebbe detto qualcosa di cui si sarebbe pentito.
"Isabelle, cazzo." Sputò lui, cercando di rilasciare un minimo di rabbia, non riuscendo a trattenersi. "Quando quel giorno sei entrata al negozio ed ho saputo che avevi un maggiordomo, ti ho detto che non avrei voluto avere a che fare con te, perché? Perché avevo dei fottuti pregiudizi, ma ti ho conosciuta, l'ho fatto lo stesso, per Dio. TU NON PUOI dirmi di odiare il tuo mondo perché è pieno zeppo di pregiudizi e quando arriva una tizia dal nulla che ti racconta una storiella, distruggi tutto ciò che abbiamo costruito per i tuoi stupidi pregiudizi, perché questi sono, non conosci la storia, ti sei fatta una tua idea e deve essere quella. Ma indovina? Non sai un cazzo!" Urlò rabbioso Calum, tirando le punte dei suoi stessi capelli. La giovane rimase totalmente immobile, ferita. Nessuno si era mai permesso di parlarle così.
"Se tu, solo per un momento, avessi smesso di essere rude e completamente pregiudizievole, avresti capito che la parte peggiore è stato il tuo comportamento completamente menefreghista ed impassibile, come se non esistessi. Non dico che dovevi difendermi, ma non hai cercato nemmeno di tranquillizzarmi o altro, quindi scusami, se io nel frattempo mi sono fatta la mia idea." Riferì Isabelle con una tranquillità, che avrebbe spaventato chiunque, una tranquillità che celava le più grigie e profonde emozioni.
"Beh, la prossima volta te ne parlo davanti ai miei amici, mia sorella, tutta la mia settima generazione e magari invito a tavolino anche gli One Direction." Alzò le mani sarcastico, scuotendo la testa. La ragazza si sorprese di quanto fosse irragionevole, si sentì presa in giro solo per il fatto che lui stesse affrontando col sarcasmo la discussione ed, in quel momento, si chiese come avesse fatto a non accorgersi del Calum che si nascondeva dietro quella copertura da ragazzo perfetto.
"Bene, siamo solo io e te adesso. Parla." Incrociò le braccia al petto quest'ultima, in una posizione di sufficienza. D'altronde, qualunque cosa avesse detto lui, non sarebbe potuto essere peggio di come l'aveva già fatta sentire.
"Era quello per cui ero venuto, ma tu hai deciso di fare la preziosa." La attaccò nuovamente il ragazzo. Isabelle spalancò gli occhi e si chiese perché lui stesse cercando di ferirla così ardentemente. Dalla bocca di Calum non uscivano altro che cattiverie, le sembrava di aver conosciuto un'altra persona in quegli ultimi giorni.
"Smettila di parlare, smettila di parlare adesso!" Gli ordinò furibonda lei, avendo già fatto il pieno, non aveva bisogno d'altro. Il giovane fremeva di una rabbia incontrollabile, che si espanse quando si sentì impartire ordini. 
"Esci dal tuo mondo da principessina e smettila di dare ordini." Le consigliò lui fra i denti, perché la situazione gli stava sfuggendo di mano. Isabelle lo guardò negli occhi e non riconobbe il ragazzo che aveva conosciuto nei giorni precedenti.
"Sto solo evitando che tu peggiori la situazione." Ammise lei, abbassando lo sguardo, esausta. Poteva una discussione sfinirla più di qualsiasi altra attività fisica?
"Stavo solo cercando di sistemare le cose e tu hai mandato tutto a puttane." La accusò lui, completamente fuori controllo. Isabelle non sapeva come salvare la situazione, nonostante tutto aveva sperato di poterlo fare, ma arrivata a quel punto non era sicura di volerci più provare. Vide la limousine svoltare l'angolo e la prese come una conferma divina, avrebbe dovuto abbandonare quel posto e lui in quel preciso istante.
"Io mi sono fidata di te, ti ho fatto confidenze che credo di non aver mai fatto a nessuno prima ed onestamente, ho abbastanza falsità nella mia vita, non ho intenzione di aggiungerne altra." Decise di fare un'ultima piccola premessa lei, prima di andarsene definitivamente. Cercò di mantenere una posizione severa e gli puntò un dito al petto, ma poi sospirò stremata. "Se devi dirmi qualcosa dillo adesso, perché dal momento in cui salirò su quella macchina non mi rivedrai più." Gli diede un ultimatum, un ultimo innocuo tentativo, che fallì miseramente davanti al silenzio di lui. "Come pensavo." Sorrise lei amaramente, dirigendosi verso la macchina e lasciando Calum solo, con il respiro ancora irregolare e duemila parole non pronunciate fra le labbra. Quest'ultimo vide la ragazza scomparire nella macchina, abbassò lo sguardo sul suo polso, dove era ancora infilato l'elastico che le aveva rubato minuti prima e diede un calcio all'aria, come se gli potesse ritornare. Isabelle aspettò che Mali-Koa la raggiungesse, tra l'altro aveva capito che le aveva solo dato del tempo per parlare con suo fratello, non era di certo rimasta incastrata col sedere sul gabinetto tutti quei minuti. Mali salì in macchina, estasiata davanti al lusso che le si presentava davanti, allegra e spensierata, evidentemente sicura che loro avessero chiarito. Isabelle rise amaramente per l'ennesima volta, probabilmente la sorella non sapeva che tale stupido fosse Calum. La ragazza si allungò verso il portacioccolatini e afferrò un Bacio Perugina, scartandolo. Aveva bisogno di contrastare quell'amaro che le era rimasto in bocca. Il foglietto stropicciato all'interno dell'involucro le scivolò sulle gambe e sorrise ironicamente, leggendolo: "tre cose non possono essere nascoste a lungo: il sole, la luna e la verità". Anche una stupido messaggio dei cioccolatini si prendeva gioco di lei.











I'm aliveeeee!
Sono vergognosa, no davvero, non aggiorno da più di una settimana, ma - scusate per i deboli di cuore - la scuola sta per ricominciare, però finché non lo dico ad alta voce non è vero, finché non lo dico ad alta voce non è vero, l'importante è continuare a ripeterlo. Questa dolorosa rivelazione non è fine a sè stessa ovviamente, il punto è che mi sto godendo gli ultimi giorni di vacanza e raramente passo a casa più di 30 minuti al giorno ed, in quei 30 minuti, o dormo o mi preparo per uscire. E sarebbe anche una buona giustificazione per concedermi il vostro perdono, se solo non mi stessi ripresentando con un capitolo del genere, che fa bestemmiare anche i più fedeli religiosi. Se allo scorso capitolo volevate solo picchiarmi, so che, dopo aver letto questo, state già preparando il luogo per la mia esecuzione. Mi dispiace per chi ha pensato che il disastro si concludesse allo scorso capitolo, in cui era ancora effettivamente salvabile, ma in mia discolpa, ha fatto tutto Calum. Wow, sarei un bravo avvocato. Isabelle è convinta di aver scoperto la vera natura di Calum ma, secondo voi, è davvero così? Oppure, cosa gli sarà preso? Lo scoprirete solo continuando a seguire questa storia e i miei disagi all'interno di essa. Alla prossima!

Ps. Non sono sicura che lì esistano i Baci Perugina, ma mi sentivo ribelle quando ho scritto questo capitolo. 

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Capitolo 16
*** That girl at the party. ***


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That girl at the party.

Calum se ne stava sdraiato sul suo letto a strimpellare una qualche melodia improvvisata con la chitarra, quando Michael irruppe nella stanza e balzò accanto a lui. Quest'ultimo punzecchiò il suo fianco fastidiosamente e costrinse il moro a poggiare la chitarra per rivolgergli la sua attenzione.
"Che c'è?" Chiese il ragazzo atono, non avendo realmente voglia di ascoltarlo. D'altronde, poteva già immaginare cosa avesse intenzione di dirgli l'altro.
"Dovresti agire, Cal." Consigliò infatti l'amico per l'ennesima volta, come aveva ripetuto per le settimane precedenti. Calum sbuffò, si alzò dal materasso facendolo molleggiare leggermente e raggiunse la scrivania, sistemando freneticamente il caos che vi era posto sopra. Non gli era mai importato di tenere la sua stanza in ordine, ma gli sembrò una prospettiva migliore di avere quella conversazione. "Ti manca più di quanto vuoi ammettere." Affermò il tinto, facendo cadere di mano al ragazzo un qualche oggetto che stava spostando insensatamente da una parte all'altra della scrivania. Odiava che Michael dovesse psicanalizzarlo, odiava che dovesse continuare a parlargli di lei, ma più di tutto odiava che, dopo quelle tre infinite settimane, non fosse riuscito a convincerlo che non ne avesse bisogno. Parlarne, avere una discussione a cuore aperto, confessare i suoi sentimenti, non era qualcosa che voleva fare, né tantomeno che gli sarebbe servita a qualcosa. Era soltanto una ragazza come tutte, aveva sentito delle nuove sensazioni con lei e gli sarebbero sicuramente rimasti dei ricordi, magari ci avrebbe scritto anche una canzone di successo sopra, ma era tutto ed a lui andava bene e non capiva perché se andasse bene a lui, non dovesse andare bene al suo amico. In un gesto avventato, decise di virare il discorso e dimostrargli che si sentiva meglio di quanto quest'ultimo pensasse.
"Hai ragione, devo agire." Lo assecondò Calum. "Stasera si va a ballare." Affermò battendo le mani entusiasta. Michael afferrò il cuscino accanto alla sua testa colorata e lo spiaccicò sul suo viso. Non era ciò che il tinto intendeva, per niente, ma voleva solo che l'amico si riprendesse, per questo, quella stessa sera si ritrovarono nel bel mezzo del caos scalpitante di un night club. Michael si raccomandò con Calum di non far niente di cui si sarebbe potuto pentire, ma il moro sembrò non sentirlo nemmeno, quando si gettò nella mischia eccitato. Quest'ultimo non si ricordava come, sapeva solo che dopo qualche bicchierino di troppo, si era ritrovato in una stanza con una ragazza di cui non sapeva il nome. Lei lo spogliava e lui si faceva spogliare e l'unica cosa che non abbandonava la sua testa era il profumo di lei, che non assomigliava per nulla al profumo di Isabelle. Calum la sovrastò e la spogliò ferocemente, provando ardentemente a non pensare, ma l'unica cosa su cui riusciva a focalizzarsi era che gli occhi che stava guardando, non erano quelli azzurri, intensi ed innocenti che avrebbe voluto vedere. Il ragazzo portò le mani a coprire i suoi occhi, come se oscurando essi, avesse potuto di conseguenza annebbiare i suoi pensieri. La giovane di cui non ricordava il nome, tolse la mani dal suo viso e prese a baciarlo, per riacquistare la sua attenzione. Lui sapeva nel profondo, che quelle non erano le labbra che voleva baciare, tanto da trovarle quasi nauseanti, da essere nauseato da sé stesso per star ricascando velocemente alle sue disgustose abitudini. Calum si alzò di scatto dal letto, come risvegliatosi improvvisamente da un incubo. Si guardò intorno respirando affannosamente, come in quel momento in cui si cerca di rendersi conto che quello che si stava vivendo era solo un brutto sogno. Ciò che realizzò, gli fece portare la testa fra le mani. Si rese conto di essere stato sveglio tutto quel tempo, ma di non aver mai tenuto gli occhi aperti. 
"Che ti prende?" Chiese la ragazza, osservandolo seduta. Lui sembrò riprendersi, andando alla rinfusa alla ricerca dei pantaloni, che infilò velocemente. "Qual è il problema?" Chiese nuovamente lei, intenzionata ad ottenere una risposta, che sembrava lui non avesse intenzione di pronunciare. 
"Non posso...sto pensando a qualcun'altra." Confessò Calum sospirando e passandosi una mano sul viso, esausto di combattere quella guerra all'interno del suo cervello. O del suo cuore? Di certo, in entrambi Isabelle ne era la protagonista.
"Beh, che ti pare? Anch'io ti avrei scopato pensando ad Harry Styles." Scrollò le spalle la ragazza, per niente colpita. Calum si sorprese della reazione pacata di lei e, quando la vide accendersi una sigaretta, qualcosa lo attirò nuovamente a sedersi al suo fianco, principalmente per rubarle qualche tiro. "Come si chiama?" Esordì la giovane senza nome, dopo un lungo silenzio pacifico.
"Chi?" Chiese il ragazzo, quasi stupidamente.
"Lei." Rispose ovvia. Un solo nome fluttuò nella testa di Calum a quel pronome.
"Isabelle." Sospirò quest'ultimo, sdraiandosi sul letto e chiudendo gli occhi. Solo una figura riusciva ad apparire sulle sue palpebre chiuse. 
"Mi assomiglia?" Chiese inaspettatamente la ragazza, facendo strabuzzare gli occhi al giovane.
"Cosa?" Urlò questo, sconvolto. "No!" Esclamò il secondo seguente. Calum si pentì immediatamente del modo in cui reagì, notando lo sguardo offeso di lei, ma non poteva davvero mettere a confronto quella tizia con Isabelle, non avrebbe potuto vedere qualcuno al suo livello. Si rese conto di suonare fin troppo drammatico, forse le mancava davvero più di quanto avesse mai voluto ammettere o forse l'alcool che scorreva nelle sue vene si stava prendendo gioco di lui.
"Ho capito, pensavo che fossi venuto qui con me perché ti ricordo lei." Spiegò la giovane senza nome. Lui si girò ad osservarla: era fisicamente il perfetto contrario di Isabelle e, si rese conto, che inconsciamente fosse andato a pescare la ragazza più lontanamente simile. Forse stava imponendo a sé stesso di non farsela mancare perché, se aveva capito una cosa quella sera, dalla reazione che aveva avuto solo toccando qualcun'altra, era che sicuramente quel distacco con Isabelle non gli era andato così a genio come credeva.
"Non avrei mai saputo trovare qualcuno come lei, in ogni caso..." Ammise Calum. Si sentiva anche un po' infastidito da sé stesso, avrebbe solo voluto ignorare quella sensazione di bisogno fisico ed emotivo di sentire nuovamente Isabelle vicina.
"Perché sei qui e non sei con lei?" La fece facile la tizia.
"Perché mi sono comportato da coglione." Confessò il ragazzo, sbuffando al solo ricordare quante parole inutili e per nulla necessarie aveva sputato quel giorno su di lei.
"Non ti vuole perdonare?" Chiese curiosa la giovane senza nome. Calum non sapeva realmente perché si stesse confidando con una sconosciuta, forse non gliene importava a causa dell'alcool ingerito o forse aveva solo bisogno di qualcuno con cui parlare, qualcuno che non lo conosceva e che quindi non avrebbe potuto giudicarlo.
"Non le ho chiesto di perdonarmi." Rispose semplicemente lui, ricevendo una manata sul petto. Il ragazzo spalancò gli occhi, urlandole contro.
"Perché?" Gli urlò di rimando lei.
"Ho avuto la mia occasione e non l'ho fatto, immagino sia così." Spiegò il giovane, scrollando le spalle. La ragazza alzò nuovamente la mano per colpirlo, ma lui le afferrò il polso. "Smettila di colpirmi." La avvertì fra i denti.
"Devi scusarti." Ordinò la tizia sconosciuta, come se la riguardasse in prima persona. Calum rimase qualche minuto in silenzio, riflettendo. Forse doveva solo andare in quel modo, d'altronde Isabelle faceva parte di un mondo che non apparteneva a lui, non sarebbero mai potuti andare bene insieme.
"D'altronde è meglio così, io non faccio per lei." Diede voce ai suoi pensieri il ragazzo, seriamente non sentendosi alla sua altezza, molto più convinto di questa teoria al ricordo di come aveva trattato Isabelle. Aveva realizzato di aver esagerato nel momento in cui lei era salita su quella macchina, ma si sapeva, Alissa gli ricordava un periodo oscuro della sua vita e quando gli era sembrato di essere attaccato perfino da Isabelle, si era sentito in dovere di proteggere sé stesso, come un riccio, che si nasconde nel suo guscio, ma allo stesso tempo ferisce chi prova ad avvicinarsi con le sue spine. Era sempre stato cosciente del fatto che si sarebbe dovuto scusare, ma non aveva mai realizzato quanto effettivamente il perdono di Isabelle fosse importante per lui. Michael aveva ragione, Calum stava solo cercando di convincere sé stesso di qualcos'altro, perché era troppo vigliacco per affrontarla, perché aveva paura di un rifiuto, anche se un po' pensava di farlo per lei, pensava che sarebbe stata meglio senza uno come lui. La giovane lo colpì nuovamente, facendolo mettere seduto, infastidito. "Dannazione." Imprecò lui, guardandola malamente. "Questo per cos'era?" Chiese poi, ormai rassegnato.
"Questa è la giustificazione che dai a te stesso?" Gli urlò contro lei, scuotendolo. Calum scosse la testa, forse leggermente spaventato dalla sua ferocia. Si era ritrovato a letto con l'unica pazza che non si era incazzata, perché lui si fosse fermato nel bel mezzo di una scopata, ma al contrario gli urlava di buttarsi tra le braccia di un'altra. Forse però una sorta di ragione in ciò che quella tizia sosteneva c'era: Isabelle non aveva mai cercato di farlo sentire a disagio per la fascia economica a cui apparteneva, erano tutti problemi che stava creando lui nella sua testa per convincersi che andasse bene così, che non fosse un grande affare il fatto che l'avesse persa ed invece, proprio quella pazza che gli stava danneggiando i timpani, l'aveva fatto rendere conto che non avrebbe potuto guardare un'altra ragazza, pensando che fosse quella giusta per lui. "Senti amico, io non so cosa tu le abbia fatto o cosa ti abbia detto lei, l'unica cosa che so è che noi ragazze vogliamo semplicemente che voi ci chiediate scusa, che voi dimostriate che vi meritate il nostro perdono e credimi, non importa cosa vi urliamo contro, vorremmo solo...questo." Concluse in un sussurro la ragazza e Calum non fu più sicuro che stesse ancora parlando di lui.
"Ho combinato un gran casino." Ammise il giovane, portando le mani in viso, quasi realizzando in quello stesso momento.
"La tua Isabelle dovrebbe sapere che non riesci a reggere lo sguardo di una ragazza che non sia lei." Gli parlò lei più quieta, passandogli una mano sulla schiena, in un gesto rassicurante. "Sai, probabilmente è andata a discapito mio, ma quando mi hai detto che non riuscivi ad andare avanti perché la tua testa era troppo presa da qualcun'altra ti ho ammirato, perché un altro ragazzo se ne sarebbe semplicemente fregato." Ammise sorridendogli, quando lui alzò lo sguardo. "Tu non puoi permettere a te stesso di rinunciare ad una persona che ha un così grosso potere su di te." Affermò la ragazza, prima di dargli un ultimo sguardo intenditore ed alzarsi dal letto, per andare alla ricerca della sua maglia. Quelle parole rimbombarono nella testa di Calum, come un mantra.
"Perché mi stai dicendo queste cose?" Era l'unica cosa che non capiva lui e sputò fuori dalla sua bocca. La giovane indossò la maglia e poi si girò nella sua direzione.
"La prossima volta che ci incontreremo, voglio vederti mano nella mano con Isabelle." Affermò lei facendogli un occhiolino, prima di stringere le sue scarpe al petto e sgattaiolare via dalla porta. Calum si rese conto di non aver nemmeno capito come si chiamasse, ma alla fine di quella notte non gli importava, perché quella ragazza che sembrava fosse stata mandata appositamente, gli aveva lasciato di certo qualcosa, non sapeva cosa con esattezza, ma l'avrebbe portato ad agire, quella volta per davvero. D'altronde, aveva bevuto più di quanto avrebbe dovuto, non ricordava dove aveva lasciato le chiavi della macchina, probabilmente non ci sarebbe nemmeno arrivato a casa, non ricordava neanche quale numero ci fosse dopo l'undici o quante dita potesse contare in una mano, ma c'era un'unica cosa che non riusciva a togliersi dalla testa: la voce di Isabelle, il profumo dei suoi capelli ed il suo sorriso dolce.











Buonas......zzzzzz...SONO QUI, SONO SVEGLIA!
Perdonatemi, ma stanotte - o meglio dire stamattina - mi sono messa a letto alle cinque e mezza...ebbene si, perché ho fatto follie notturne...non è vero, sono rimasta sveglia a guardare i vma che, tra l'altro, quest'anno non sono stati nulla di particolare, ma siccome da tre anni a questa parte faccio la notte per vederli, ho deciso di farlo anche quest'anno. Quanto meno i ragazzi hanno vinto la categoria "Song of the summer" con SKH, yupphi. Un po' meno yupphi le fans delle fifth harmony (non so come si chiamino, I don't really care), che prese da un moto di gelosia hanno scritto "cose poco carine" - mi limito a dire - ad Ashton, il peggio è che lui le ha notate anche, ma non voglio soffermarmi su questa merda, perché mi rifiuto già di vivere su questo pianeta e preferisco non incrementare la mia voglia di lanciarmi nello spazio. Passando al motivo per cui siamo qui oggi riuniti...no, così sembra che sto dicendo la messa. Si può carpire che sono alquanto assonnata, riavvolgiamo il nastro. Per quanto riguarda il capitolo, cosa vi aspettavate? Che avrei fatto scopare Calum con la prima che gli capitava davanti? Avete così poca fiducia in me? Beh, dopo i precedenti capitoli...MA QUESTI SONO DETTAGLI. NO, ovviamente a lui serviva una spinta per capire...questo suona malizioso. Come penserete che agirà il nostro baldo giovane? Devo davvero smetterla di parlare, ho troppo sonno e deliro, inoltre stasera ho mangiato tanta anguria e mi scappa proprio, quindi corro, ci sentiamo presto! 

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Capitolo 17
*** An uncommon waiter. ***


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An uncommon waiter.

"Signorina Isabelle, c'è un problema con i tavoli." Un cameriere si rivolse alla ragazza, esausta ancor prima che la serata cominciasse. Eric la affiancò, guardando con aria di sufficienza il giovane.
"Beh? Risolvilo, cameriere." Pronunciò con scherno a quest'ultimo, che si strinse nella spalle dalla vergogna. "Vi paghiamo per questo." Concluse, sventolando la mano per mandarlo via. Il cameriere rivolse lo sguardo ad Isabelle, aspettando il suo consenso.
"Arrivo fra qualche minuto." Annuì la ragazza, tranquillizzandolo e facendogli un cenno con la testa, per fargli intendere che potesse andare. Eric sbuffò infantilmente, ma lei non ci badò, troppo impegnata a dare direttive agli altri collaboratori nella sala. "Qual è il problema Eric?" Chiese la giovane, accorgendosi della sua costante presenza al suo fianco.
"Dovresti semplicemente lasciare fare a loro e rilassarti." Affermò il ragazzo, con una calma che gli apparteneva fin troppo. Come biasimarlo, d'altronde: il suo più grande problema era la scelta giornaliera dei mocassini più appropriati.
"Non voglio sembrare scortese, ma se tu non vuoi fare niente, non significa che non debba farlo anch'io." Gli fece notare lsabelle, cercando di essere ragionevole. Sperava ancora di poterlo essere con lui, di poter fare una conversazione con la testa, ma ogni qualvolta che lui apriva bocca le sembrava di sentire parlare un bambino, con la voce di un uomo. Eric non si smentì neppure quella volta, sbuffando alla frase della ragazza. Non faceva altro che sbuffare, pensò lei.
"Insomma, perché ti importa tanto?" Quasi la rimproverò il giovane, seccato. Forse per la prima volta da quando lo aveva conosciuto, Eric le aveva posto una domanda intelligente. Ad Isabelle non era mai importato di quegli eventi, qualche settimana prima non avrebbe mai giurato di ritrovarsi ad organizzarne a migliaia nelle ultime tre settimane. Il trucco era che la tenevano occupata, la stressavano la maggior parte delle volte, la pressione che tutto dovesse essere perfetto era rovesciata sulle sue spalle, ma la sua testa riusciva a focalizzarsi solo ed esclusivamente sull'impeccabile organizzazione. Era la sua distrazione, le bastava guardare quanto lavoro avesse da fare ogni volta che la sua mente vagava su pensieri sui quali non avrebbe dovuto. E si sentiva un po' vuota a volte, un guscio vuoto, perché era triste pensare che non avesse nulla oltre quello, quello che si poteva chiamare lavoro. Lo ammetteva, lei aveva voluto impegnarsi al massimo su quel progetto, lei era andata da suo padre e, con il sommo piacere di lui, gli aveva proposto quell'accordo, ma le serviva qualcosa, qualunque cosa che riuscisse ad allontanare da lei il pensiero di Calum, di far tacere le voci nella sua testa che la torturavano con le frasi che lui le aveva gridato quel giorno. Quell'organizzazione frenetica la aiutava, la aiutava a respingere i pensieri del ragazzo, la aiutava a respingere i pensieri delle giornate passate insieme e delle parole pronunciate, ma a volte, quando trovava qualche minuto per riflettere, si rendeva conto che quel continuo respingere e non voler ricordare i bei momenti, l'aveva portata a quel punto in cui stesse dimenticando, dimenticando quegli attimi spensierati, dimenticando i piccoli dettagli di lui. Aveva letto da qualche parte che la prima cosa che si dimenticava di qualcuno era la voce ed Isabelle lo odiava, lei amava ascoltare le persone parlare, cantare, specialmente nel caso di Calum, perché la sua era quella voce che le cantava qualcosa al telefono per farla addormentare, che la calmava, la rilassava e le sussurrava parole dolci. Riconosceva che fosse stata bene con Calum, che le mancasse quella sensazione di libertà che provava quando stava con lui, perché lei voleva farlo, le mancasse provare quelle sensazioni che lui era in grado di scatenare in lei, ma non per questo avrebbe lasciato che qualcuno le mancasse di rispetto, specialmente che la prendesse in giro, mostrandosi per quello che non era. Forse era quello che l'aveva ferita di più: il suo mondo era un cumulo di falsità, nascosto dietro un velo di perfezione, lei pensava di aver trovato qualcuno di sincero e speciale, ma il ragazzo si era rivelato proprio come tutti gli altri che popolavano quel mondo che lui diceva di disprezzare. Era questo che non la faceva pentire di starsi quasi imponendo di dimenticare: Calum non era il ragazzo che lei aveva conosciuto, Calum era il ragazzo che le aveva urlato contro quelle cose che non aveva nemmeno il coraggio di far tornare equivocabilmente nella sua testa.
"Mi piace." Rispose Isabelle semplicemente, facendo sfumare via quel fiume di parole che invece avrebbe voluto sputare fuori. "Ed ora, se vuoi scusarmi, devo andare ad occuparmi del problema con i tavoli." Riprese a parlare nuovamente e prima che l'altro potesse aprire bocca, lasciò la sua postazione per raggiungere il cameriere che poco prima le aveva parlato. Non appena lo individuò fra il via vai di gente, si avvicinò a lui, chiedendogli spiegazioni.
"Ho risolto, c'era stata solo confusione nella lettura dei comandi." Le disse il cameriere, annuendo quasi freneticamente. 
"Bene, grazie." Sorrise la ragazza, riconoscente, ma si rese conto che lui fosse letteralmente pietrificato dalla sua presenza. Doveva apparire un mostro ai suoi occhi, pensò. 
"Mi dispiace di averla disturbata per nulla, signorina Isabelle." Aggiunse il giovane, abbassando la testa rispettosamente e aspettando il consenso per ritornare al suo lavoro. Lei studiò il suo viso, le sue mani che si incrociavano nervosamente fra loro, così a lungo che il cameriere alzò nuovamente lo sguardo su di lei, confuso.
"Come ti chiami?" Esordì Isabelle, sorprendendo il ragazzo.
"Nathan." Rispose velocemente l'altro. Isabelle gli sorrise, provando ad incutergli sicurezza. Nathan fissò lo sguardo negli occhi di lei, senza distoglierlo, per la prima volta da quando si erano parlati.
"Nathan, mi sento in dovere di scusarmi per conto di Eric per prima, per essersi rivolto in quel modo verso di te, ma voglio dirti anche che io e lui siamo persone distinte, quindi se c'è qualche problema, anche insignificante, tu vieni, me lo dici ed io vi aiuto a risolverlo, perché io ed Eric non abbiamo lo stesso modo di pensare ed io non ho intenzione di urlarti contro." Chiarì la ragazza, stupendo il cameriere che non si aspettava quel genere di discorso da una come lei. Isabelle avrebbe voluto aggiungere che non aveva manie di protagonismo e di grandezza come le aveva Eric, che non li considerava schiavi come faceva Eric, ma non voleva di certo mostrare il suo disgusto nei confronti di quest'ultimo o abbassarsi ai suoi livelli.
"Questa è la prima volta, in due anni che lavoro per voi, in cui qualcuno mi parla rispettosamente, ne sono grato." Ammise Nathan, portando una mano al petto sinceramente riconoscente. Isabelle sorrise, felice che, forse per quella volta, fosse riuscita a non apparire come la ricca spietata che sapeva di non essere. Riprese presto il comando della situazione, prima di lanciare uno sguardo all'orologio e rendersi conto che gli ospiti sarebbero arrivati di lì a poco. E come aveva infatti previsto, i ricconi in giacca e cravatta fecero il loro ingresso nella sala di quell'enorme reggia, solo qualche minuto dopo. 
Isabelle decise di meritarsi un drink, di quelli analcolici, quando notò che la serata stesse passando liscia ed ormai il suo aiuto fosse superfluo. Quando il primo cameriere si avvicinò alla sua postazione, che aveva comunque deciso di non abbandonare per tenere tutto sotto controllo, lei afferrò un bicchiere dal suo vassoio, poi gli fece un cenno come consenso per poter passare agli altri ospiti, ma quello rimase immobile, al suo fianco. La ragazza riusciva a sentire la sua presenza imponente ed alzò sbadatamente lo sguardo su di lui, per sapere se ci fossero problemi. Ma ciò che trovo la spiazzò, facendola strozzare con la stessa bibita che stava sorseggiando.
"Cosa ci fai tu qui?" Tentò di tenere un tono di voce basso lei, rivolgendosi minacciosamente al giovane, che stava in piedi immobile, nei panni di un finto cameriere, provando a non attirare l'attenzione. Isabelle aveva messo in conto gli imprevisti che sarebbero potuti incorrere nel corso della serata ed era pronta a gestirli, ma trovare Calum in un posto in cui non avrebbe mai pensato di vederlo, in un ambiente che non era il suo, quello non se lo sarebbe mai aspettato. Non si sarebbe aspettata di dover affrontare Calum, a prescindere.











Ciao...
Come potete ben notare, oggi sono particolarmente felice *insert irony here*, domani è il mio primo giorno di scuola ed io potrei giurare che era giugno solo qualche giorno fa. La cosa positiva è che fra 108 giorni è Natale, yeaaaaah...si, faccio schifo in questa cosa del pensare positivo. Chiudendo lo spazio non inerente al capitolo e di cui non frega a nessuno, ammetto che ho inserito Nathan nel capitolo per portarvi fuori strada leggendo il titolo, anche se l'apparizione di Calum era alquanto ovvia, c'ho provato. Se rivedremo o non rivedremo Nathan? Chi lo sa...no seriamente, non vi sto prendendo in giro, non so cosa farmene di lui, non ho ancora deciso, in realtà lui non è così rilevante...oh, despicable me. Completamente random ho ricordato il fatto che Elena aka wild_nirvana aveva l'esame oggi, quindi spero che ti sia andato bene. Non so cosa c'entri, ma è il mio spazio autrice e ci scrivo ciò che mi pare...oh, despicable me. Mi scuso per il mio atteggiamento, ma è colpa dell'incombente rinizio della scuola e anche un po' del ciclo, o forse sono solo un'acida di merda...ow, whatever. Ora vado a fare finta di coricarmi presto, quando invece mi crogiolerò nel mio dolore ripetendomi che sono una guerriera ed abbatterò la scuola. A presto! (...se non ci muoio lì dentro)

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