Il vento della libertà di Arwen297 (/viewuser.php?uid=123055)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Figlia dell'alta società ***
Capitolo 2: *** Figlio della piccola borghesia ***
Capitolo 3: *** Il Concerto ***
Capitolo 4: *** Dopo il concerto ***
Capitolo 5: *** Emozioni inaspettate ***
Capitolo 6: *** Traslochi e dolci risvegli ***
Capitolo 7: *** Rombo di moto ***
Capitolo 8: *** Di partenze e scontri ***
Capitolo 9: *** Verità nascoste ***
Capitolo 10: *** Mare sotto le stelle ***
Capitolo 11: *** Invito a cena ***
Capitolo 12: *** Voglio sentirti mia ***
Capitolo 13: *** Ti presento il mio fidanzato ***
Capitolo 14: *** Ti spio ***
Capitolo 15: *** Adrenalina ***
Capitolo 16: *** Tra passato e presente ***
Capitolo 17: *** Amare verità e pesanti silenzi ***
Capitolo 18: *** Vuoti e minacce ***
Capitolo 19: *** Aggressioni ***
Capitolo 20: *** Midnight Moon ***
Capitolo 21: *** Tutti i nodi vengono al pettine ***
Capitolo 22: *** Scegliere il tuo destino ***
Capitolo 23: *** Epilogo ***
Capitolo 1 *** Figlia dell'alta società ***
Il
vento della Libertà
Idea
di Arwen297
– Personaggi
di
Naoko Takeuchi
1^Capitolo:
Figlia dell’Alta Società
La
scuola era ormai finita da qualche giorno, e la stagione estiva si
era affacciata prepotente alle porte del cielo che in quei giorni era
di un bel colore azzurro turchino. L’anno scolastico come
sempre
era stato molto proficuo e non vi erano state delusioni. Non dal
punto del rendimento per lo meno. Per quanto riguarda le amicizie
invece era tutta un’altra storia, come al solito lei era
arrivata
al termine di un altro anno scolastico senza avere un’amica
con cui
condividere le giornate.
Questo
era uno dei tanti prezzi che doveva pagare in cambio di un cognome
importante, a cui si aggiungevano un grande talento e una discreta
bellezza. Così il destino aveva decretato la sua condanna,
privandola del piacere che un'amicizia sincera poteva darle nei
momenti più. Crescendo aveva imparato che dalle sue coetanee
non
poteva aspettarsi altro che invidia per il suo successo scolastico
unito al fatto che ovunque ella stesse attirava l’attenzione
dei
ragazzi come una calamita le scaglie di ferro, appena faceva la sua
comparsa nei corridoi della scuola tutta l’attenzione era
catalizzata su di lei: le sue coetanee commentavano velenose, i
ragazzi facevano apprezzamenti fin troppo pesanti a volte. E lei
aveva dovuto imparare a ignorare tutto ciò, rifugiandosi ben
presto
nella pittura e nella musica, unici strumenti con cui riusciva a
esprimersi senza aver paura di essere in qualche modo
evitata,lasciata da parte o cadere vittima di attenzioni a volte
eccessive. Quando si immergeva nell'arte niente di tutto ciò
a cui
era abituata tornava a galla, al contrario le si apriva un mondo dove
era si al centro delle attenzioni di tutti, ma questa volta per le
sue eccelse qualità artistiche e musicali.
“Michiru
sei pronta?” la voce autoritaria di sua madre
risuonò nella
stanza.
“Si
mamma sono pronta” rispose lei sospirando tristemente. Come
sempre
i suoi genitori le avevano decisamente imposto di andare alla festa
che vedeva la partecipazione delle famiglie più benestanti
di Kyoto.
E purtroppo i Kaioh facevano parte di questo gruppo. Aveva chiesto
senza neanche troppa convinzione qualche ora prima di poter
partecipare ad una festa sulla spiaggia organizzata da una discoteca
che d’estate era anche un Lido, ma loro niente,
l’avevano quasi
ignorata, dicendo che sicuramente durante tutto l’arco
dell’estate
di feste così ce ne sarebbero state altre. Mentre di quelle
che
interessavano la sua famiglia ne erano state programmate
“solamente”
una trentina. Si preannunciava un estate noiosa al pari di tutte le
sedici estati che avevano fatto parte della sua vita. Non poteva a
questo punto biasimare le poche persone che si erano avvicinate a lei
nel tentativo di stringere un rapporto di conoscenza: ogni qual
volta che era invitata da qualche parte, ad una festa fuori dall'alta
società la risposta dei suoi genitori era sempre e soltanto
una. No.
“Dai
sbrigati o faremo tardi sei la solita tartaruga” la riprese
sua
madre seriamente. La signora Kaioh era una donna austera di
quarantasei anni dallo sguardo molto severo che non ammetteva
repliche. Compieva ogni gesto con estrema eleganza e naturalezza,
quella stessa grazia che caratterizzava la figlia.
“Si
Mamma” Sarebbe stata una lunga serata quella che le si parava
davanti, anche nell’alta società non aveva amiche,
la maggior
parte erano invidiose del suo talento e della sua bellezza, in una
piccola parte erano solamente delle grandissime oche e quelle due o
tre che rimanevano le erano amiche solamente per il cognome che
secondo molti aveva la fortuna di portare. Per quanto la riguardava
era solamente una grandissima fregatura.
Per
quella serata indossava un abito blu elettrico piuttosto aderente e
senza spalline, valorizzato da un filo argentato che decorava il
corpino donandogli mille riflessi. Sul collo faceva bella mostra un
cristallo del medesimo colore dell’abito e la borsa era
bianca così
come i sandali che però presentavano dei brillantini qui e
la e un
tacco alto ben dodici centimetri. Suo padre era elegantissimo come
sempre, anche quando si recava al lavoro indossava sempre giacca e
cravatta, qualsiasi clima ci fosse o in qualsiasi stagione erano.
La
macchina di famiglia era già stata condotta dal loro
maggiordomo
appena fuori il portone della grande villa immersa in un giardino
delle medesime dimensioni. Era in stile moderno quello era vero, ma
lasciava a bocca aperta tutti i loro ospiti.
“Buonasera
signori” era l’autista che sorrise loro attraverso
lo specchietto
prima di mettere in moto l’automobile.
Appena
l’auto uscì dal giardino della villa immettendosi
così nella
trafficata via principale passò proprio davanti alla
spiaggia dove
ci sarebbe stata la festa a cui Michiru avrebbe dovuto partecipare,
al loro passaggio molti ragazzi si voltarono a guardare la loro
lussuosa macchina nera con l’interno in pelle color ghiaccio
che
era conosciuta in ogni angolo della città, e tra quei
ragazzi la
violinista scorse alcuni dei suoi compagni di classe che, beati loro,
avrebbero trascorso una serata all’insegna della musica e del
divertimento.
La
festa a cui avrebbe dovuto partecipare era stata organizzata dal
sindaco di Kyoto nella sua villa privata poco fuori la
città.
L’abitazione era in puro stile tradizionale giapponese e
possedeva
un ampio giardino con un laghetto al di sopra del quale si estendeva
un bel ponte, nel centro del giardino il sindaco aveva fatto
costruire un bel gazebo in legno di ciliegio; non era la prima volta
che partecipava a feste di quel tipo presso l’abitazione del
primo
cittadino e conosceva quindi a memoria ogni singolo angolo di quella
dimora che ai tempi in cui era bambina le sembrava enorme e
soprattutto speciale. Quando aveva all’incirca sei anni aveva
definito pazzo il sindaco, che allora era solamente un ottimo amico
del padre, perché le sue case erano strane e
“cartose”. Questo
perché oltre ad essere una dimora tradizionale era costruita
anche
secondo i canoni definiti ormai secoli primi e inseriti nel piano
regolatore cittadino per divenire così una guida per tutti
coloro
che avrebbero voluto costruirsi una dimora di quel tipo.
Il
tetto dell’abitazione era costruito rispettando il modulo
– di
nome Ken– nato nel 1467 a seguito di un incendio che
colpì Tokyo e
che non era nient’altro che la spaziatura tra i montanti
ligneii
che reggevano il tetto vero e proprio formando una specie di telaio.
Al di sopra di questo telaio poi erano posizionati pannelli
intelaiati e rivestiti di carta traslucida all’interno con un
graticcio di legno nella parte interna. La metratura
dell’abitazione
era invece calcolata in base al tatami, grande
quanto un letto
occidentale.
Al
loro arrivo presso l’abitazione Michiru scoprì che
era proprio
come se la ricordava, non era cambiata proprio per niente e fu
decisamente rincuorata di trovarsi in un luogo in cui infondo era
cresciuta. Il giardino era già pieno di ospiti e anche di
ragazze e
ragazzi della sua età che parlavano animatamente tra loro,
molto
probabilmente perché si conoscevano ancor prima della festa
oppure
erano parenti. Si guardò intorno alla ricerca di qualcuno
che
potesse risultarle simpatico a pelle, ma come si aspettava
l’impresa
fu tutt’altro che semplice. Molto di quegli adolescenti
presenti
quella sera li conosceva già perché in fondo le
famiglie benestanti
sono sempre le stesse e quindi ci si conosce un po’ tutti, e
le
persone mai viste poteva contarle seriamente sulla punta delle dita.
Dopo un breve giro del giardino senza genitori a seguito decise che
la cosa migliore fosse quella di farsi servire da mangiare dai
camerieri che servivano al boufet e prendere anche un bicchiere di
acqua minerale per poi sedersi in un angolo e aspettare come al
solito che la serata passasse cercando di ignorare i commenti
più o
meno malevoli nei suoi confronti da parte delle altre ragazze della
festa, come sempre del resto. A pensare che i coniugi Kaioh avevano
il coraggio di dire che lei aveva una folta schiera di amici. Ma
dove? Se quelli erano amici, ci vedevano proprio male i suoi
genitori. O forse vedevano solo ciò che gli faceva
più comodo. Prese il piatto in porcellana finemente ricamata
dalla sommità della
tavolata e si diresse verso l’area delle pietanze salate, si
riempì
il piatto di tramezzini di ogni tipo e di coktail di gamberetti in
salsa rosa, dopodiché in un angolo mise qualche oliva e una
manciata
di patatine prima di dirigersi verso i camerieri per farsi versare un
bicchiere d’acqua.
Il
tempo scorreva lento, come tutte le volte che ci si annoia lo si sa.
Michiru osservò i suoi genitori che a differenza sua
parlavano con
gli altri invitati perfettamente a loro agio, in quel preciso istante
sua madre stava ridendo apertamente come di rado l’aveva
vista
fare. Perché non aveva ereditato la passione per queste
feste e per
quell’ambiente dai suoi genitori? Si sentiva
un’estranea tra
tutte quelle persone anche se erano le componenti della
società in
cui era vissuta fin da piccola. Tutta quell'ipocrisia e quei finti
sorrisi cordiali le davano il volta stomaco, non c'era ambiente
più
falso di quello che aveva intorno a lei in quel momento.
“Mi
scusi sa per caso che ora è?” una voce maschile la
riportò alla
realtà mentre si portava alla bocca un oliva conficcata
nello
stuzzicadenti. Arrossì violentemente per la pessima figura
che aveva
appena fatto a causa del modo molto poco elegante con il quale stava
mangiando.
“Non
ho capito può ripetere?” rispose lei focalizzando
meglio il punto
dal quale proveniva la domanda alla sua destra, il suo sguardo si
posò su un ragazzo che aveva circa vent’anni dai
capelli neri come
la pece tenuti legati in un codino dietro le spalle, era piuttosto
alto rispetto a lei.
“O
si sono le nove e dieci” rispose dopo aver guardato
sull’orologio
che aveva al polso con il cinturino impreziosito di zirconi
luccicanti.
“Grazie”
rispose il ragazzo senza però far cenno di andarsene,
l’attenzione
di tutto il genere femminile si catalizzò su loro due come
sempre
quando a lei si avvicinava qualche ragazzo bramato dalle donne
presenti. Il perché non riusciva ancora a capirlo, lei non
faceva
niente per essere notata, anzi faceva il massimo che le era possibile
per passare inosservata in quegli ambienti eppure non passava festa
durante la quale non venisse avvicinata da qualche ragazzo.
Sospirò
puntando le sue pupille in quelle del ragazzo con sguardo
interrogativo.
“Oh
che stupido non mi sono neanche presentato” esordì
lui sedendosi
su una sedia poco lontano da quella dove era seduta la ragazza.
Sai
cosa mi interessa a me del tuo nome.
Pensò
Michiru. “Seiya Kou piacere” continuò
poi porgendole la mano in
segno di saluto.
“Michiru
Kaioh” si limitò a mormorare lei volgendo la sua
attenzione da
un’altra parte senza poter far a meno di notare che sua madre
stava
osservando, purtroppo per lei, tutta la scena insieme alle due
persone con le quali poco prima stava ridendo.
“Che
scuola frequenti?” le chiese dopo pochi minuti di silenzio
lui.
“Non
vedo cosa possa interessarti Kou” rispose gelida lei in modo
tale
da non conferire nessun appiglio al baldo giovane per intavolare il
discorso. Prima o poi l’avrebbe lasciata in pace.
“E
invece mi interessa…e anche molto”
Si
so fin troppo bene cosa ti interessa e con cosa ragioni.Pensò,
forse troppo prevenuta nei confronti del ragazzo, ma
d’altronde
aveva già fatto alcune brutte esperienze in campo amoroso e
voleva
evitare di stare ancora male. Voleva evitare di innamorarsi
nuovamente di qualcuno perdutamente. Perché tanto ai ragazzi
interessava solamente una cosa, data o non data quella, tutto
finiva.“Leggiti i giornali e ci sarà scritto
almeno una volta a
settimana!” Che tentativo idiota
di iniziare a fare
il filo ad una ragazza. Lui sembrò
risentirsene molto della
risposta che ricevette, e non passarono molti minuti che
tornò
all’attacco, questa volta con il tentativo di ferire
volutamente la
persona che aveva davanti.
“Ora
non mi meraviglio del perché sei sempre sola in un angolo
acida come
sei sfido chiunque a intrattenere un discorso come si deve con
te”.
Senza sapere che quelle parole avrebbero colpito la violinista nel
profondo, ferendola più di quanto lui non avesse voluto.
“O
ma posso sapere cosa vuoi tu dalla mia vita? Ma chi ti conosce non ti
permettere di giudicarmi in questo modo senza neanche sapere chi sono
e cosa faccio!” ribattè Michiru cercando di
mascherare il tremore
che le parole del ragazzo avevano provocato nella sua
voce. Erano
terribilmente vere quelle poche affermazioni del suo interlocutore,
ma in fondo lui di lei cosa ne sapeva? Niente! Non conosceva ne
poteva immaginare il motivo del suo essere così acida e
insofferente
nei confronti di ciò che la circondava. Dopo aver
pronunciato quelle
parole con gli occhi di tutti i presenti puntati addosso si diresse a
passo spedito verso la loro macchina ben consapevole che
l’autista
era ancora li.
“Michiru
dove hai intenzione di andare?” era sua madre che stava
procedendo
poco più indietro di lei nella sua stessa direzione.
Sicuramente per
sgridarla per l’errato comportamento tenuto in pubblico. Il
fatto
che forse Kou non era stato gentile nei suoi confronti non sarebbe
passato minimamente nella mente dei suoi genitori. Questo mai.
Sentiva le risate provenire dal giardino della villa, molto
probabilmente qualcuno aveva commentato ciò che era appena
successo
causando l’ilarità generale dei presenti.
Sentì le lacrime
salirle agli occhi, era solo un motivo di divertimento e
nient’altro.
E molto probabilmente Seiya era andato da lei proprio per farla
prendere in giro in seguito dai ragazzi e dalle ragazze suoi amici.
Sentì la presa ferrea della signora Kaioh sul suo polso che
uno
strattone la costrinse a voltarsi. Erano a pochi metri dalla
macchina.
“Michiru
sei pregata di rispondermi dove pensi di andare?”
tuonò la madre
mentre l’autista aveva tolto la sicura dalla macchina.
“A
casa, non sono dell’umore adatto per continuare ad essere
presente
a questa festa” rispose la ragazza sostenendo lo sguardo
della
donna.
“Non
dire idiozie, ti sembra il comportamento corretto da tenere in
pubblico questo?”
“No
mamma scusa però” le parole della ragazza furono
interrotte da
quelle della madre. “Ecco quindi per evitare brutte figure
ora
smettila di piangere e torna indietro e chiedi scusa per il tuo
comportamento siamo intese? Non possiamo dare scandalo in questo modo
per una scemata come una litigata tra ragazzini”. Ovvio le
sue
erano solamente e solo scemate.
“Si
mamma” rispose lei abbassando il capo incrociando
così le sue
scarpe con i suoi occhi umidi. Prima di seguire la madre nuovamente
nel giardino mentre l’autista scuoteva il capo. Non aveva mai
approvato i metodi educativi dei Kaioh e non sarebbe mai riuscito a
farlo. Si sentiva come un padre per quella ragazzina dai capelli
verde acqua, ed era stato tale quando la pittrice era bambina e i
suoi genitori partivano per tour che duravano anche quindici o venti
giorni. L’aveva vista crescere giorno dopo giorno e oltre
alla
cameriera che le aveva fatto da tata era quello che la conosceva
maggiormente e che soprattutto apprezzava quella fragile stella
marina. Vederla trattata così gli provocava una stretta al
cuore.
Intanto
Michiru era giunta nuovamente il luogo da cui era scappata poco prima
e trovò Seiya esattamente dove lo aveva lasciato gli si
avvicinò
mentre la madre tornava dal signor Kaioh e dalla coppia cui avevano
trascorso tutta la sera, e che notò solamente in quel
momento avere
due bambini, il più piccolo sfoggiava una capigliatura
argentea e
dei bei occhi verdi e avrà avuto circa dieci o undici anni,
mentre
l’altro aveva i capelli castani e dei profondi occhi neri
super giù
dimostrava avere gli stessi suoi anni.
“Scusa
per prima non so cosa mi sia preso, non ti meritavi una reazione
simile da parte sottoscritta” mentii Michiru davanti al bel
bruno.
“Non
importa” rispose lui non curante, mentre ascoltava distratto.
Michiru
si sedette nuovamente nel posto lasciato pochi minuti prima in preda
al moto di nervoso mosso da quelle poche parole di quel ragazzo di
cui non sapeva niente oltre il nome. Non voleva tutta via dimostrarsi
in qualche modo interessata a lui, in fin dei conti l’aveva
sempre
ferita e si trattava pur sempre di un ragazzo. Anche se sembrava
appartenere ad una famiglia ricca almeno quanto la sua e quindi molto
probabilmente poteva escludere l’ipotesi che fosse
interessato
solamente al nome, anzi al suo cognome che invece lei odiava tanto.
“Sei
figlia unica giusto?” chiese lui sinceramente incuriosito.
“Si
esattamente tu?” rispose lei, alla fine poteva benissimo
trattarsi
di una normale chiacchierata tra conoscenti la loro, non
necessariamente lui doveva puntare a quel qualcosa che volevano
tutti.
“Io
no ho due fratelli, vedi? Sono quelli li” rispose lui
indicando con
un dito la coppia che parlava con i genitori della ragazza, in
effetti ad osservarli bene quei due ragazzini che aveva notato poco
prima gli assomigliavano parecchio.
“Quello
con i capelli argentei si chiama Yaten ed ha quasi undici anni,
l’altro invece e Taiki e ne ha sedici siete
coetanei” gli
illustrò lui. Mentre Michiru si incupiva visibilmente: se i
suoi
genitori parlavano tutta la sera con i genitori del ragazzo che aveva
di fronte non prometteva nulla di buono, conoscendoli avrebbero fatto
si che la loro conoscenza divenisse sempre più profonda. E
al solo
pensiero di vedersi imporre un’amicizia dai suoi le salivano
nuovamente i nervi, nervi che si trasformarono in breve in un groppo
alla gola. Non potevano giungere addirittura a
programmarle la vita quello era troppo, già la costringevano
nonostante il suo indiscutibile talento nella musica a seguire
lezioni private anche se non le servivano più, ora dovevano
anche
scegliere per lei chi doveva frequentare. Era passata un’ora
e
doveva stringere i denti ancora fino a mezzanotte e poi avrebbe
potuto andarsene a casa e rifugiarsi nel piccolo nido che era la sua
camera, l’unico luogo in quell’abitazione che la
faceva sentire
in qualche modo protetta. L’unico in cui si sentiva se stessa
senza
aver paura di essere ripresa o in qualche modo giudicata.
“Ho
detto qualcosa che non dovevo?” la voce di Seiya si fece
lentamente
strada tra i suoi tristi pensieri, nel suo sguardo un espressione
sinceramente preoccupata.
“No
figurati pensavo solamente” mormorò lei facendolo
annuire. La
restante ora che li divideva dal tornare a casa la passarono quasi in
assoluto silenzio, interrotto solamente da qualche tentativo di far
conversazione da parte del ragazzo che però non
andò a buon fine;
nonostante ciò però lui si rese conto che il
silenzio della ragazza
che aveva davanti non era decretato solamente dalla noia che ne
derivava dalla circostanza, ma da qualcosa molto probabilmente di
più
profondo, i suoi occhi erano molto profondi e soprattutto tristi. Non
erano sicuramente gli occhi di una ragazza di sedici anni. Si perse
nelle ipotesi che avrebbero potuto causare un sguardo di quel tipo in
Michiru senza trovare però una causa plausibile, chi stava
meglio di
lei? Poteva permettersi qualsiasi cosa volesse, abiti firmati, i
migliori parrucchieri. Aveva ormai una carriera già
delineata a
sedici anni, mentre lui a venti aveva appena iniziato gli studi per
divenire avvocato e il suo futuro non era certo: ok che avrebbe
ereditato lo studio del padre ma questo non significava niente,
riuscire a guadagnare sarebbe dipeso solamente dalla sua bravura
nelle cause, e avendo l’intenzione di laurearsi nel penale
sarebbe
stato tutto molto impegnativo.
“Michiru”
era suo padre “Vieni dobbiamo farti conoscere delle
persone”
continuò l’uomo sui quarantacinque inoltrati, con
qualche capello
grigio, e uno sguardo dolce che tradiva la sua natura severa forse il
doppio di quella della moglie.
“Che
palle…” si lasciò sfuggire in un
mormorio che non fu abbastanza
basso da non arrivare all’orecchio del bruno al suo fianco.
“Se
vuoi ti accompagno tanto ho la sensazione che debbano presentarti i
miei genitori” disse Seiya. Ci
manca solo che ci vedano insieme.
“No
davvero non è necessario grazie comunque” rispose
la violinista
prima di alzarsi per andare a conoscere i genitori di
lui. Raggiunse
i suoi genitori in meno di cinque minuti, trovandosi davanti una
donna dai capelli bruni e dai grandi occhi blu e un uomo dai capelli
castani simili a Taiki.
“Michiru
volevamo presentarti i coniugi Kou” le disse il padre
“ E loro
sono Taiki e Yaten, Seiya credo che lo conosci già visto
ciò che è
successo poco fa” continuò l’uomo.
“Piacere
di conoscervi” rispose sfoderando un sorriso di cortesia
insieme a
un lieve in chino. Nella sua testa invece continuava a chiedersi che
cosa stavano architettando i suoi, il solo fatto che loro avessero
anche minimamente intenzione di programmarle anche le amicizie o
peggio ancora i suoi fidanzamenti le dava la nausea. Ma come potevano
essere così? Come poteva essere uscita lei che era
così sensibile
da due esseri che erano fatti tutti al contrario.
“Così
abbiamo l’onore di conoscere la giovane promessa della musica
classica giapponese” le disse la madre di Seiya.
“Si”
rispose timidamente. Quella coppia le metteva una strana soggezione,
una sensazione diversa da quella che imprimevano i suoi genitori con
un solo sguardo.
“Be
se posso io potrei andare allora?” mormorò mentre
teneva lo
sguardo basso.
“Si cara puoi andare” il permesso di
congedarsi le arrivò dalla madre. Appena si
allontanò dal quartetto
decise che era meglio se rimaneva da sola con se stessa fino alla
fine della festa, così decise di raggiungere cercando di
essere il
più discreta possibile la macchina per fare quattro
chiacchiere con
l’autista. Mancava ormai poco alla fine della festa ed era
certa
che sua madre la stava osservando per vedere dove si stava dirigendo,
ma che a differenza di prima non sarebbe intervenuta a fermarla per
farla tornare indietro. Raggiunse la macchina allontanandosi dal
frastuono della musica che permeava l’area del giardino,
quando
giunse nei pressi della loro automobile non dovette neanche bussare.
Il loro autista aveva già aperto lo sportello posteriore
della
macchina per farla salire, senza scendere. Perchè alla
signorina
piaceva cavarsela da sola, e quando i suoi genitori erano assenti a
lui piaceva assecondare quel fragile fiore.
Una
quarantina di minuti più tardi erano in viaggio verso villa
Kaioh,
con il gomito appoggiato alla base del finestrino sopra alla portiera
Michiru osservava come ipnotizzata la moltitudine di luci che
sfilavano davanti ai suoi occhi. Non vedeva l’ora di
rientrare a
casa per raggiungere la sua camera, cambiarsi e perdersi nella
morbidezza delle sue lenzuola, lasciando leggermente socchiusa la
finestra scorrevole che la separava dal giardino per dar modo al
rumore ritmico delle onde di raggiungerla ovattato dalla spiaggia al
di la della strada. La rilassava molto, da piccola la cameriera la
portava spesso sulla spiaggia quando i suoi genitori erano assenti da
casa, e da quel giorno si era innamorata di quel bellissimo elemento
che iniziò a considerare poco dopo come un fratello. O
meglio un
amico con il quale non aver paura di confidarsi e farsi vedere
più
fragile di quanto non sembrava.
“Michiru
abbiamo invitato i Kou a pranzo domani, era da molto tempo che non ci
si vedeva più e abbiamo approfittato di questa loro visita a
Kyoto
per invitarli alla villa. Ergo domani alle undici massimo dovrai
essere già sveglia e vestita per la giornata” era
sua madre, la
ragazza riuscì a trattenere a stento un sospiro rassegnato:
anche la
giornata successiva sarebbe stata una noia mortale.
“Ok
mamma” si limitò a rispondere, cercando di
sembrare il più
contenta possibile. Ben conscia che ciò che stavano facendo
i suoi
era imporle la presenza di Seiya. All’improvviso si
pentì di
avergli rivolto anche solo per due minuti la parola quella sera. Era
bastato quello per portare i suoi genitori a false conclusioni. Lei
non voleva fidanzarsi, l’amore non la interessava, non quello
falso
e materiale dal quale era circondata fin da quando era nata. Lei
cercava un altro tipo di amore. E chissà se mai lo avrebbe
trovato
in qualcuno. Sospirò tristemente constatando che per fortuna
erano
molto vicini a casa, non avrebbe sopportato ancora per molto la
presenza dei suoi genitori così vicini a lei eppure
così distanti
con la testa. Poco dopo il rumore familiare delle ruote che
avanzavano sulla ghiaia del vialetto destinato alle macchine in
giardino raggiunse le sue orecchie, dandole nuovamente il benvenuto a
casa. L’auto attraversò l’ampio giardino
con il prato
all’inglese attraversato dalla strada in ghiaia bianca che
risaltava nel verde acceso dell’erba, ai lati della strada vi
erano
delle siepi che in primavera fiorivano e che per il resto
dell’anno
formavano dei muretti naturali intorno al viottolo, viottolo che poco
dopo il cancello d’ingresso alla tenuta si divideva in un
ramo più
piccolo ove vi erano sempre le siepi che però si
congiungevano in
alto a formare un arco, questo portava al piccolo giardino sul quale
si affacciava la vetrata della camera della ragazza. La villa era in
stile piuttosto moderno ed era molto ampia, suddivisa in due piani di
cui il piano terra era leggermente allungato a formare una penisola,
penisola all’interno della quale vi erano le camere di
Michiru e
dei suoi genitori, al primo piano invece vi erano i locali della
servitù e per gli ospiti. Era tutto sommato
un’abitazione carina.
Appena entrata in casa salutò i suoi genitori augurando loro
la
buona notte, e girò a sinistra per immettersi nel corridoio
che
portava alle loro camere, il pavimento era di marmo bianco
così come
nel grande salone su cui si apriva l’ingresso
dell’edificio, i
muri invece erano tutti intonacati in stucco veneziano e riempiti con
foto dei suoi genitori ai più svariati concerti da un lato,
mentre
dall’altro c’erano le sue foto sempre a qualche
concerto fin da
quando aveva nove o dieci anni. Chiunque avrebbe accusato i suoi
genitori di costringere la figlia a studiare anziché fare
una vita
come qualsiasi bambina di nove anni, e forse avevano ragione.
Appena
arrivò in camera si mise una baby-doll in seta azzurra che
le
arrivava poco sopra il ginocchio e poi si diresse verso il bagno
interno alla sua camera, era piccolo ma accogliente, in tinta con il
resto della camera con le piastrelle bianche con venature simili a
quelle del marmo ma di colore verde acqua che riprendevano il muro
della sua camera anch’esso in stucco veneziano verde acqua.
Si lavò
i denti velocemente perché era veramente molto stanca e dopo
una
decina di minuti circa aveva messo sotto carica il suo iPhone 4 per
poi infilarsi sotto le lenzuola candide e profumate. Cercando di non
farsi rovinare la nottata dai mille pensieri che iniziavano
già a
farsi strada nella sua mente riguardo le intenzioni dei suoi genitori
con Kou. Non che fosse un brutto ragazzo Seiya, ma tuttavia non
riusciva a fidarsi di lui, aveva in qualche modo paura di soffrire
come già le era successo in passato ergo non riusciva ad
aprirsi
come avrebbe dovuto. Era anche vero che lo aveva conosciuto solamente
da tre, massimo quattro ore e quindi era veramente difficile aprirsi
con lui così come con ogni estraneo, ma era sicura che per
il solo
fatto che fosse un ragazzo non sarebbe stato semplice.
Michiru
ma cosa stai dicendo? Vi conoscete solamente per quattro
parole,
non sai neanche se ha la ragazza.
Una
vocina ai lati della sua coscienza si intromise nei suoi pensieri. E
aveva proprio ragione.
Un
ronzio causato dalla vibrazione del telefono sul legno del comodino
attirò la sua attenzione. Riceveva messaggi veramente di
rado.
Sicuramente era la sua compagnia telefonica che l’avvisava
del
rinnovo della promozione di internet associata al suo numero. Con sua
sorpresa però toccando il tasto home del telefonino vide
sullo
schermo: Seiya. Poco sotto le righe del messaggio.
Ma
come diavolo faceva a sapere il suo numero?.
Aprì
comunque il messaggio del ragazzo per rispondergli, le aveva scritto
un semplice “Che fai?”, al quale lei rispose
piuttosto
freddamente con: “Si dal caso che la sottoscritta stava per
addormentarsi e che il tuo messaggio abbia provocato il suo
risveglio. Notte” cliccò invio e posò
nuovamente il telefono sul
comodino girandosi poi di schiena ben decisa a ignorare qualsiasi
altro messaggio da parte del ragazzo che avrebbe ricevuto in seguito.
Respirò profondamente a pieni polmoni il profumo di pulito
del
cuscino prima di stringerlo mentre si girava a pancia in giù
per poi
lasciarsi cullare dalla presenza di Morfeo nella sua stanza.
Il
mattino fu svegliata dalla cameriera che fin da quando era piccola si
era occupata di lei, e che ormai a distanza di quindici anni iniziava
a manifestare i primi segni dell’età. Kaori aveva
quasi
cinquant’anni e i suoi capelli castani iniziavano ad avere
qualche
filo più grigio, mentre lievi rughe di espressione
decoravano
graziosamente il suo viso quando sorrideva.
“Signorina
Kaioh è l’ora di svegliarsi, sua madre la vuole
massimo per le
undici e mezza in salotto, a mezzogiorno arrivano i Kou, sono
già le
dieci e quaranta” disse la donna.
“Mmm”
furono la sola cosa che uscì dalla bocca della sedicenne.
Aveva
troppo sonno anche se aveva dormito ben dieci ore le pesava troppo
alzarsi, nel suo letto ma soprattutto in quella stanza stava troppo
bene. Ma purtroppo doveva farlo.Si alzò lentamente e si mise
a
sedere sul letto prima di stiracchiarsi volgendo le braccia
all’indietro in un sonoro sbadiglio, i capelli spettinati che
le
incorniciavano il volto. Appena alzata si diresse in bagno e dopo
essersi legata i capelli e averli coperti con una cuffia di plastica
si fece una doccia rilassante sotto l’acqua tiepida cercando
di non
pensare troppo all’imminente secondo incontro che avrebbe
visto
Seiya invadere il suo terreno. Era innervosita al solo pensiero, e si
promise di non farlo proprio entrare in camera sua, quelle quattro
mura infatti costituivano il suo nido e un estraneo non doveva
assolutamente metterci piede. Dopo la doccia veloce uscì dal
bagno e
si diresse in camera dove cosparse la sua pelle con una crema per il
corpo prima di indossare l’intimo e sparire nella cabina
armadio
alla ricerca di un abbigliamento adatto. Era un pranzo tra amici
quindi poteva vestirsi come meglio si sentiva comoda. Optò
perciò
per una gonna di jeans scuro a pieghe che le arrivava poco sopra il
ginocchio di Abercrombie e una camicetta bianca di raso che era
solita portare legata in un nodo sul davanti che lasciava intravedere
l’ombelico, mentre dietro arrivava a coprire di circa tre
centimetri la gonna, ai piedi dei sandali bianchi e sul viso un filo
di trucco completato da un lucida labbra. Era pronta per andare di la
dai suoi genitori, prese il telefono e lo mise dentro la tasca della
gonna e si diresse nel grande salone.
Il
salone era anch’esso in stile moderno con un grande divano ad
angolo che terminava con una penisola a circa una trentina di
centimetri dalla fine del corridoio sulla sinistra, nel muro di
fronte vi era una parete in grigio piombo al contrario delle altre
tre di colore bianco sulla quale faceva bella mostra una parete
attrezzata con un televisore LCD di ben trentacinque pollici. Tra il
divano e la parete attrezzata un tavolino di cristallo sotto il quale
vi era un tappeto rosso. Sulla stessa parete della televisione vi era
un arco che divideva più in basso per mezzo di un muretto la
zona
pranzo da quella giorno. La cucina era rossa e davanti ad essa vi era
un tavolo dello stesso cristallo del piccolo tavolino davanti al
divano intorno al quale vi erano sei sedie nel medesimo materiale.
Quell’angolo cottura però non era quello
utilizzato di regola in
quella casa, no c’era un’altra cucina molto
più modesta dove la
cuoca cucinava al piano di sopra. Un autentico spreco per quella
cucina che era nuova e mai utilizzata. I suoi genitori erano seduti
in silenzio sul divano. Il tutto era completato da una grande vetrata
che si apriva sul giardino retrostante l’abitazione.
“Buongiorno
Mamma, Buongiorno Papà” disse immediatamente dopo
averli visti.
“Michiru
finalmente è tardissimo corri a fare colazione che poi Kaori
deve
pulire tutto” le disse sua madre. Si avviò sul
grande tavolo dove
c’erano già delle fettine di pane tostato con del
cappuccino,
divorò immediatamente tutto prima di alzarsi e dirigersi nel
bagno
vicino alla sala per andare a togliere gli eventuali baffi dovuti
alla tazza. Poco dopo il suo rientro in sala si sentì
suonare il
campanello, i Kou erano arrivati. E per qualche strano motivo Michiru
si sentiva agitata e quasi imbarazzata al solo pensiero di ritrovarsi
davanti colui che le aveva scritto la sera prima poco prima che si
addormentasse. La cameriera andò velocemente ad aprire e
davanti a
lei e ai suoi genitori comparvero Taiki e Yaten vestiti con un paio
di jeans e una camicia lasciata fuori dai pantaloni a quadretti
azzurri per il primo e grigi per il secondo. Poco dietro dei due
bambini vide i coniugi Kou, lei con un completo nero di giacca e
pantaloni sotto al quale emergeva un top beige, lui vestito come i
figli.
“Buongiorno”
dissero in coro i due fratelli del bruno.
“Buongiorno
ragazzi” rispose cordialmente sua madre avvicinandosi per
abbracciare la madre di Seiya.
“Buongiorno
Michiru” rispose la madre di lui.
“Buongiorno
Signora”
“Ciao”
la voce del ragazzo era giunta all’improvviso, per qualche
oscuro
motivo non si era minimamente accorta della sua presenza quella
mattina, o semplicemente non aveva voluto registrarla?
“Ciao”
mormorò arrossendo voltandosi verso la parete per non far
notare il
rossore ai suoi genitori, si sentiva terribilmente in imbarazzo.
Perché mai poi? Questo non lo avrebbe mai potuto sapere,
forse
perché era decisamente palese che quel ragazzo di fronte a
lei non
aveva intenzione di basare il loro rapporto alla pura amicizia.
“Hai
dormito bene?” rispose lui sfoderando il suo migliore sorriso.
“Si
grazie” rispose lei senza guardarlo in viso, concentrando lo
sguardo sullo porta dell’ingresso come se non la conoscesse
già
abbastanza. “Tu?” aggiunse dopo qualche minuto di
silenzio per
non sembrare scortese, mentre si appoggiava con la vita sullo
schienale del divano. Quella sarebbe stata una lunga giornata.
“Io
abbastanza bene, ho ricevuto la buona notte da una persona
speciale”
aveva deciso di gettare un piccolo amo, per vedere l’effetto
che
faceva su quella ragazza che gli sembrava diversa da tutte le sue
coetanee del loro ambiente. Era seria, non era affatto un’oca.
“Sono
felice per te” rispose lei in tono piatto. Come aveva
sospettato
era il solito farfallone collezionista di ragazze che ne frequentava
tre o quattro contemporaneamente senza troppi problemi. Almeno per
lui. I tipi così le facevano un leggero schifo. Presa da un
improvviso nervoso mosse i passi che la dividevano dal divano e si
sedette vicino alla vetrata immensa della stanza intenta a guardare
fuori. Kaori stava apparecchiando il tavolo il legno del gazebo in
giardino, avrebbero quindi pranzato fuori, avrebbe voluto aiutarla ad
apparecchiare come facevano sempre quando a casa rimaneva da sola,
era una mansione così semplice, ma che la faceva sentire una
ragazza
normale. Mosse la mano in un timido ciao rivolto al loro autista che
aiutava la donna a preparare la tavolata, l’uomo le rispose
sorridente facendo l’occhiolino. Quelli in un certo senso
erano i
suoi genitori, coloro che le donavano tutto l’amore che
quelli
biologici non erano in grado di donarle.
“Chi
saluti?” era nuovamente il bel bruno.Oddio
ma è peggio di una cozza questo.Fu
il pensiero nella testa della ragazza.
“La
cameriera e il nostro autista, ma non vedo cosa possa
interessarti”
rispose seccata. Ma cosa cavolo aveva fatto di male per meritarsi un
pesce bollito così a seguito?
“Capisco”
rispose lui senza sapere bene come proseguire il discorso, Michiru
era veramente molto chiusa in se stessa, e voleva in tutti i modi
cercare di capire perché, invece della felicità e
allegria nei suoi
occhi si leggeva solamente una grande tristezza. “Guarda che
non
mangio sai, anche se dici qualche parola in più, non sono
mica un
lupo che ti sbrana” disse lui. Riuscendole così a
strappare un
sorriso.Quanto è
dolce quando sorride.“Dovresti
sorridere più spesso sai, sei più
carina” Il commento del ragazzo
la fece arrossire vistosamente. Un complimento. Le aveva fatto un
complimento.
“Ragazzi
è pronto in tavola” la voce della madre della
violinista echeggiò
dal giardino, togliendola da quella situazione a dir poco
imbarazzante in cui si era cacciata. Non perse un secondo di
più e
si avviò a passo veloce verso il gazebo. Appena
uscì la brezza
estiva la colpì in pieno viso portando con se il profumo del
mare.
Notò con grande disappunto che gli unici due posti liberi
erano
purtroppo vicini uno accanto all’altro, si sedette con aria
infastidita senza dare troppo a vedere che quella soluzione le stava
al quanto stretta. Poco dopo la cameriera iniziò a portare
le
pietanze partendo dall’antipasto a base di pesce, molto
simile al
sushi che lei adorava, Yaten e Taiki erano fastidiosamente vivaci a
tavola e facevano più baccano del dovuto. Decisa a non
proferire una
parola più del necessario iniziò a mangiare
tenendo lo sguardo
basso e intervenendo nei discorsi degli adulti solamente se
interpellata. Domande che come in fondo si aspettava riguardavano
dalla prima all’ultima la sua carriera musicale, che avrebbe
visto
un concerto durante l’estate ai primi di Agosto molto atteso
dagli
appassionati del genere.
Seiya
al suo fianco cercava di guardarla ogni volta che gli era possibile
cercando di non farsi troppo vedere: la ragazza gli appariva
semplicemente perfetta nella sua ricercatezza, e non poteva non
pensare che una creatura di simile bellezza sia l’ideale per
l’ambiente in cui era nata. Pochi minuti più tardi
i due ragazzi
diressero la loro mano nello stesso esatto momento verso la caraffa
dell’acqua, gesto che portò per la prima volta i
loro corpi a
sfiorarsi e che provocò un vistoso arrossamento sul viso
della
violinista.
Ci
manca solo che ora arrossisco come un pomodoro. Michiru ma che cosa
ti prende? Furono
le uniche cose che attraversarono i pensieri di lei. Non aveva
nessunissima intenzione di legarsi a qualcuno tanto meno a Kou.
Circa
un’ora e mezza dopo erano ormai giunti al dolce, Kaori aveva
portato in tavola un ampio piatto contenente i Dorayaki e dei Daifuku
mochi i primi ripieni al cioccolato e i secondi con una crema di
fragola al loro interno. Michiru prese letteralmente in assalto i
Dorayaki ripieni al cioccolato che erano, fin da piccola, i suoi
preferiti e non si sarebbe affatto sorpresa se la cameriera quella
sera le avrebbe confidato che li aveva fatti proprio per questo
motivo. Si perse nel sapore dolce del pancakes che si amalgamava con
il cioccolato deliziando le sue papille gustative. Seiya invece al
contrario sembrò prediligere i Daifuku mochi. Dopo aver
terminato di
pranzare i genitori dei ragazzi e il bruno presero un buon
caffè.
“Michiru
tesoro perché non fai sentire ai nostri ospiti qualche tuo
brano?”
le disse ad un certo punto la signora Kaioh.
“Mamma
sinceramente devo accordare le corde e ci vuole un po’ di
tempo non
mi sembra il caso” mormorò lei nel tentativo di
declinare
l’offerta dei suoi genitori, tentativo che dopo pochi istanti
parve
molto vano.
“Abbiamo
tutto il pomeriggio a disposizione, puoi fare tutto con molta
calma”
le rispose la madre con un tono che non ammetteva repliche.
“Ok,
allora se volete scusarmi vado a prepararmi” rispose lei,
alzandosi
e dirigendosi verso l’interno della casa diretta alla sua
camera a
passo spedito, non aveva voglia di mettere in mostra la sua bravura
per l’ennesima volta quasi fosse un fenomeno da baraccone.
Non che
non le facessero piacere i complimenti, ma non viveva per quello e
anzi avrebbe preferito decisamente non riceverli e non doversi
esibire sui palcoscenici cittadini. Questo le pesava più di
ogni
altra cosa. Arrivata in camera si diresse verso la sua scrivania
sulla quale teneva appoggiata in un angolo la custodia nera dello
strumento, era una custodia di quelle impermeabili fatta con un
materiale molto simile a quello degli ombrelli, prese le chiavi della
serratura posta poco sopra la cerniera che ne circondava il perimetro
e le infilò nella chiusura girando finché
l’ormai familiare
scatto non le giunse alle orecchie. Ai suoi occhi apparve lo
Stradivari che suo padre le aveva regalato due anni prima quando
giunse il momento di passare dal violino a tre quarti di lunghezza a
quello ormai da adulti, definito nel gergo specialistico lungo
quattro quarti. Il violino giaceva sul velluto azzurro che foderava
la custodia, e la ragazza fece scorrere sulla liscia superficie in
legno la sua mano in una delicata carezza prima di concentrare la sua
attenzione sull’archetto per tendere i crini che strofinando
sulle
corde in ferro sprigionavano quel suono tanto amato e familiare. Dopo
aver teso al punto giusto le corde dell’archetto lo passo sul
blocchetto di resina, in fine prese lo strumento e lo
appoggiò sulla
spalla, prima di iniziare a regolare con i bischeri la tensione delle
corde in modo da ottenere l’accordatura perfetta delle note.
L’intera
operazione durò circa una mezz’ora al termine
della quale Michiru
afferrò uno degli spartiti contenente le note di una sua
recente
composizione e si diresse verso il giardino sul retro dove aveva
lasciato i suoi ospiti. Appena fece la sua comparsa in giardino fu
sorpresa dall’assoluto silenzio che si venne a creare, quasi
avesse
interrotto qualche discussione importante di cui doveva rimanere allo
scuro, e la cosa non le piacque per niente. L’unica cosa che
forse
le fece un po’ piacere fu il sorriso che vide comparire sul
viso di
Seiya al suo ritorno, decisamente fin troppo radioso per uno che
avrebbe dovuto assistere per la seguente mezz’ora ad un
concerto di
musica classica quando lui sembrava tutt’altro che amante del
genere.
“Vuoi
che ti tengo lo spartito?” le chiese il giovane.
“Se
vuoi ok… ma comunque conosco il pezzo a memoria quindi credo
che
non avrò neanche bisogno di leggere lo spartito”
si limitò a
rispondere prima di assumere la posizione consona per suonare. Appena
l’archetto iniziò a sollecitare le corde dello
strumento tutto
intorno a lei scomparve, esistevano solamente lei e le dita che
scorrevano veloci sulle corde, quelle stesse corde della sua anima
che in quegli istanti erano libere di mostrarsi a chi aveva davanti
senza la paura di essere giudicata negativamente. L’inizio
del
brano si rivelò essere malinconico e triste. Questo
è per farvi capire come mi sento a vivere ogni santo giorno
in
questa prigione di cristallo. Si
quelle che sentivano i presenti non era solamente un susseguirsi di
note, erano ben si i suoi stati d’animo, le sue emozioni la
sua
essenza. Forse per questo che aveva così talmente successo
davanti
al pubblico, perché lei in ciò che suonava ci
metteva il cuore,
perché lei era se stessa in quell’occasione e
basta. Il ritmo virò
in allegro moderato. Questo
è per voi mamma e papà nella speranza che capiate
che l’allegria
è ciò che mi togliete tutte le volte che mi
private delle uscite
con gli amici.
I
genitori dei ragazzi così come anche Yaten e Taiki rimasero
ammutoliti per via delle emozioni che permeavano l’aria,
Seiya
rimase colpito dalla quantità di stati d’animo che
poteva sentire
arrivare a solleticare il suo essere, stati d’animo che erano
un’accozzaglia di emozioni che poteva leggere nella ragazza
che ad
occhi chiusi regalava loro quello spaccato di se stessa, abbattendo
tutti i muri che era solita costruirsi intorno, e ne fu certo: quella
era la vera Michiru. Non la ragazza posata ed insicura di se stessa
che aveva avuto davanti fino a pochi minuti prima. Fu distratto da un
ritmo ancora più incalzante che riconobbe essere un
rondò molto
veloce e vivace. Ed era sicuro: quella non era gioia, ma rabbia. Il
motivo ancora lo ignorava.
Questo
invece è per la rabbia nel constatare ogni volta che ve ne
fregate
di quello che sento e che ignorate tutto di me. Persino il
significato di ciò che suono.
Quando
il suono squillante dello strumento si spense nel giardino a tutti i
presenti sembrò di ridestarsi all’improvviso dal
migliore dei loro
sogni. Lei riaprì gli occhi e in quello stesso istante
ricostruì la
barriera che ormai manteneva intorno a se per una sorta di abitudine
radicata.
“Complimenti
veramente complimenti, ciò che suoni è veramente
emozionante” la
prima ad esprimersi fu la madre di Seiya. Complimenti a cui la
violinista con un sorriso di cortesia.
“Sorprendente
come riesci a esprimere ciò che senti nel profondo della tua
anima”
intervenne Seiya, guardandola negli occhi. Sguardo che la ragazza non
riuscì a sostenere a lungo.
“Be
noi sarà meglio che andiamo, il viaggio di ritorno a Tokyo
è
piuttosto lungo e sono già le sedici” disse il
padre del ragazzo.
“Yaten, Taiki è meglio che iniziate ad andare in
macchina”
“Buongiorno!”
salutò il bambino con i capelli argentei prima di correre in
sala e
poi uscire nuovamente nel giardino che formava l’ingresso
della
villa.
“Giorno!”
si limitò a dire Taiki seguendo a ruota il fratello.
Michiru
fissò Seiya in attesa del suo saluto, saluto che
però non arrivò.
Provocando il lei un enorme sorpresa.
“Seiya
allora noi ci vediamo verso la metà di Agosto” gli
disse il signor
Kou.
A quelle parole lo stupore della ragazza aumentò a
dismisura, confermando le ipotesi che portava dentro di se ormai
dalla sera prima: ovvero che i suoi genitori stavano combinando
qualcosa alle sue spalle. Ed era fin troppo consapevole di cosa.
“Be
se vuoi ti accompagno a vedere dov’è la tua
camera” disse prima
ancora di capire il senso delle sue parole. E arrossendo subito
dopo.Ma che
diavolo sto facendo?Sono forse impazzita?.
Vocabolario:
-
Daifuku mochi: Il suo nome
significa“dolce di riso
della grande fortuna” ed è composto da una pallina
di pasta di
riso ripieno di dolce, solitamente la pasta di
fagioli azuki conosciuta
come anko. Ci
sono varie forme e tutti i Daifuku mochi sono ricoperti da un
sottilissimo strato di amido di mais per impedire che si attacchino
tra loro o risultino appiccicosi al contatto con le mani.
- Dorayaki:Questo
dolce consiste di due strati di pancake riempiti al centro con la
salsa di fagioli rossi chiamata anko. La
ricetta
tradizionale prevede il ripieno di fagioli rossi ma è
possibile
trovarne anche con il cioccolato ( i preferiti della nostra Michiru)
e con crema alle castagne.
Note
dell'autrice: Rieccomi tornata con questa
storia, come accennato nella descrizione avevo già
pubblicato la storia qualche anno fa, per poi non proseguirla. Ora l'ho
ripresa in mano, modificata e con l'intento di portarla a termine.
Mi raccomando fatemi sapere cosa ne pensate, è
tanto tempo che non scrivo più e sarò sicuramente
arrugginita.
|
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Capitolo 2 *** Figlio della piccola borghesia ***
2^Capitolo:
Figlio della “piccola Borghesia”
Un
rombo proveniente dal motore di una Ducati rossa risuonò nel
piazzale dove l’aspettava il suo gruppo di amici, chi non lo
conosceva invece si limitò a girarsi a guardarlo, tutta
questa
curiosità provocata dal gioiellino che ruggiva sotto la
sella, quasi
fosse una belva infuriata. Dopo averla messa sul cavalletto il
motociclista scese elegantemente da essa levandosi poi il casco e
passarsi le dita tra i capelli color del grano, prima di infilarsi i
suoi ray-ban dalla montatura sottile e argentata e dalle lenti color
graffite, sulle quali si rifletteva ciò che lo circondava,
posati
sul capo come se fossero un cerchietto. Adorava sentirsi gli occhi
puntati addosso mentre attraversava la piazza illuminata dai
lampioni, tenendo il casco nero e rosso sotto il braccio sinistro. Il
suo gruppo era quasi al completo, mancavano lui e Makoto.
“Sera
Ruka-chan” lo salutò Hotaru, la più
piccola del gruppo che aveva
appena compiuto diciannove anni, dai capelli neri come la pece e gli
occhi viola che risaltavano ancora di più la sua carnagione
chiara.
Indossava dei pantaloncini di jeans e un top nero. Il biondo fece
schioccare la lingua “Sera gente” rispose prima di
sedersi sulla
scalinata di un palazzo che dava sulla piazza, con la schiena contro
il corrimano.
“Com’è
andata oggi?” gli chiese Setsuna, capelli neri dai riflessi
verdi
lunghissimi, occhi amaranto fisico mozza fiato foderato quella sera
da dei jeans attillati e una camicia altrettanto aderente. Ai piedi
delle decolté con un tacco di dodici centimetri.
“Solita
rottura di palle Sets, mamma sempre a dire che dovrei stare in casa,
o iniziare a lavorare seriamente, piuttosto che uscire così
tanto,stare fuori anche per due giorni e perdere il mio tempo nelle
corse automobilistiche. Ma sai qual’è la
verità? Sopportatela tu
Usagi dalla mattina alla sera.” Sbottò lui.
Provocando una risata
nell’amica. “Che programmi ci sono per la
serata?”
“Non
saprei dobbiamo aspettare Makoto, sempre che decida di
venire”
rispose la ragazza.
“Ma
in questo gruppo mandare sms per chiedere equivale ad un
optional?”
chiese lui, roteando gli occhi e tirando fuori dalla tasca dei
pantaloni il suo palmare di ultima generazione per scrivere un
messaggio all’amica “A parte questo i programmi
quali sono?”
“Rei
ha portato qualche bottiglia, e quindi stiamo qui” rispose la
bruna.
“Non
so se sia una buona idea, c’è il Boss in giro
stasera, e sai
quanto io e lui andiamo d’accordo” rispose.
“Ruka,
non vedo quale problema ci sia, se non ti provoca per qualcosa
perché
mai dovrebbero succedere dei disguidi”
“Perché
tu credi veramente che non faccia niente per provocarmi se mi vede
nella piazza?” rispose mentre si toglieva gli occhiali dai
capelli
per infilarli sul colletto della tuta da motociclista in pelle nera
che gli fasciava perfettamente il busto. “Povera
illusa”
“Raga
mi ha appena scritto Mako, ha detto che non può venire
stasera
perché è in buona compagnia per tutta la
notte” la voce di Rei si
alzò sopra il gruppo mentre la ragazza rimetteva a posto il
cellulare. I suoi occhi neri come la brace rovente che fissavano i
suoi amici, i capelli corvini che le arrivavano poco sotto i reni
fluenti intorno al capo, indossava un top rosso che lasciava fin
troppo poco all’immaginazione e una gonna bianca che arrivava
a
metà coscia.
“Sicuramente
sarà con quel Furuhata” mormorò lui
maliziosamente. “Comunque
sia, Rei ste bottiglie?” disse all’amica. Il
piazzale man mano
andava riempiendosi di compagnie di ragazzi che, anno più
anno meno
avevano la loro stessa età, si conoscevano quasi tutti di
vista.
Poco lontano da loro c’era il gruppo di quelle che se la
tiravano,
tra le quali c’era anche l’ex fidanzata del Boss,
Ami gli pareva
si chiamasse, impossibile non notarla in quanto in quel gruppo era un
autentico pesce fuor d’acqua. Il biondo portò la
bottiglia di
birra alla bocca sorseggiando il liquido fresco che scendeva nella
sua gola andando a rinfrescare le sue corde vocali.
Haruka
aveva appena terminato la bottiglia quando nell’aria si senti
il
suono familiare di un motore truccato che si avvicinava alla piazza,
rumore che tutti temevano, ma non lui. Era la BMW x-6 di quello che
da tutti era chiamato il Boss ma che all’anagrafe risultava
portare
il nome di Takeshi. Capelli neri, occhi color rame, fisico da
palestrato con qualche tatuaggio che faceva bella mostra sui bicipiti
scolpiti così come i pettorali. Il classico bullo del
quartiere che
si era conquistato la fama non sul rispetto ma sulla paura che
soprattutto incuteva tra i più piccoli, quasi fosse un
dittatore.
Paura che però non toccava Haruka, i due erano eterni rivali
soprattutto in quanto a successo con il genere femminile, principale
campo di competizione tra loro, e l’unico in cui il
palestrato non
regnasse incontrastato in quanto a popolarità.
Haruka
notò come Amy aveva lasciato il suo gruppo di amiche per
raggiungere
una zona della piazza poco in vista e piuttosto scura, quasi avesse
paura dell'essere che stava per fare il suo ingresso trionfale. Quasi
fosse consapevole che quella sera lui fosse li per lei. Le sue amiche
intanto ignare di tutto continuavano a raccontarsi pettegolezzi e
prese dall’euforia dell’alcol avevano iniziato a
fare le oche con
i ragazzi presenti.
“Strano…non
trovi?” disse Haruka. Continuando ad osservare la scena con
interesse.
“Non
ti seguo Ruka” gli rispose Setsuna osservandola con fare
interrogativo e un sopraciglio alzato.
“Ami,
la ex del Boss ho come la sensazione che sia terrorizzata da Takeshi,
chissà come mai” rispose lui.
“Non
fare cazzate nel tentativo di scoprirlo che se tua madre ti vede
arrivare a casa con un occhio nero poi inizia nuovamente a rompere le
scatole per un mese sulle compagnie che frequenti” la
rimproverò
Rei “Tanto cosa cavolo ti frega?” Si in effetti a
lui non
fregava, ma il semplice fatto di provocare il suo rivale di sempre
gli faceva salire una sorta di adrenalina. La stessa adrenalina che
sentiva quando correva ad altissima velocità sulla sua moto
o
sull’automobile decapottabile. Tuttavia scelse di non dare
troppo
peso a quella situazione limitandosi ad osservarne
l’evolversi
degli eventi. Pronto però ad intervenire se il
“Boss” avesse
esagerato nei confronti della sua ex.
“AMI
TANTO LO SO CHE SEI QUI, ESCI FUORI VOLEVO SOLO SCAMBIARE QUATTRO
PAROLINE CON TE” urlò Takeshi sfoderando il suo
sorriso beffardo,
facendo zittire tutti i presenti comprese le amiche della sua ex
ragazza. A quelle parole Ami si fece coraggio e avanzò di
qualche
passo per entrare nella zona illuminata dalla piazza.
Che
stupida ragazza. Fu il pensiero di Haruka alla visione di
quel
gesto, mentre il palestrato iniziò a camminare a passo
deciso verso
la ragazza dai capelli blu, che lo guardava senza tradire la paura
che in realtà l’attanagliava, ma mantenendo al
contrario un
atteggiamento molto freddo.
Quando
il ragazzo le fu davanti appoggio le mani sulle spalle di lei
“Senti
perché non ci fai un pensierino e torniamo insieme? Sai so
che tieni
molto alla tua famiglia…trai tu le tue conclusioni
bocconcino” le
disse con un tono non sufficientemente basso per non far arrivare
quella velata minaccia alle orecchie di Haruka che fece
l’atto di
alzarsi.
“No!”
gli sussurrò Setsuna bloccandolo con un braccio che fece
scattare
davanti al petto del biondo e che lo costrinse a sedersi.
“Takeshi…io…io
non ti amo più…è inutile
…stare ancora insieme” rispose Amy
mormorando mentre teneva lo sguardo volto verso il terreno, incapace
di guardarlo negli occhi.
“Forse
non ci siamo capiti, sai benissimo che ho i mezzi per far passare un
brutto quarto d’ora alla tua famiglia, sai bene che i miei
genitori
fanno tutto ciò che desidero, basta pronunciare qualche
parola nel
modo giusto al momento giusto” continuò lui
“Hai capito?” Non
ottenendo risposta la scosse sempre dalle spalle, gesto a cui Haruka
non poté rimanere impassibile. Ignorando le proteste delle
sue
amiche si alzò in piedi e scendendo i gradini della
scalinata si
diresse verso il ragazzo.
“Ehi
amico, non ti sembra di esagerare?” sbottò con
tono arrogante, se
c’era una cosa che non poteva sopportare erano quei ragazzi
che si
ostinavano a infastidire le ex anche quando la storia è
visibilmente
arrivata alla frutta.
“Ten’o
non hai ancora imparato a tenere il tuo brutto muso al di fuori degli
affari altrui?” rispose Takeshi visibilmente infuriato per
l’interruzione appena subita da quel piccolo insolente.
“Vuoi per
caso che ti rinfreschi la memoria?”
“
Mi
sembra che la signorina abbia chiaramente esposto la sua posizione
non vedo perché devi ancora nuocerle in questo
modo” rispose
l’altro andando sotto di muso al primo. Per tutta risposta il
palestrato gli diede uno spintone.
“
Rimango
del parere che sei un’enorme ficca naso, e sai cosa si fa ai
ficcanaso? Gli si fa un caricatone di botte” detto questo
mosse
all’improvviso il pugno per infliggere al ragazzo che aveva
davanti
un destro che avrebbe fatto rabbrividire chiunque per la sua forza, e
soprattutto velocità. Velocità che
però non funzionò con Haruka,
che come ogni volta che si presentava l’occasione riusciva
chiaramente a prevedere da dove arrivava il colpo grazie
all’aria e
al suo spostamento causato dai movimenti dell’avversario. E
anche
in quell’occasione il vento non la tradì,
incredibile quasi
spaventosa l’affinità che sentiva di avere con
quel elemento, così
incontrollabile, volubile e devastante. Impossibile da imprigionare
dove lui non voleva, proprio come il biondo. Di risposta
Ten’o
colpì in pieno muso l’avversario provocandogli la
frattura del
setto nasale, rivoli di sangue iniziarono ben presto a scorrere sul
viso del “Boss”.
“
Sei
un figlio di Puttana Ten’o hai capito? Non finisce
qui!” disse
Takeshi mentre cercava di arginare la perdita di sangue ormai copiosa
che gli aveva macchiato la sua maglia bianca che gli foderava gli
addominali mettendoli in evidenza.
“Non
vedo l’ora Takeshi…non vedo
l’ora!!!” rispose in tono di
sfida il motociclista voltandogli le spalle mentre l’altro si
avvicinava alla sua BMW bianca. Tornò dove si era seduto
prima
vicino a Setsuna che lo guardava sbalordita.
“Ruka
ti ha dato di volta al cervello?” esplose la bruna dagli
occhi di
ametista. La risposta era sicuramente positiva, compiere un gesto
così nei confronti del “capo” era da
fuori di testa.
“Ti
sembra normale che debba trattare una ragazza in quel modo? Sembrava
uno straccio!Sai benissimo che queste cose non le tollero,
specialmente da un bastardo come lui” sbottò lui
con gli occhi
verde smeraldo furenti.
“Ruka…”
era Rei che dopo un istante gli indico con lo sguardo Amy che si era
avvicinata silenziosamente al loro gruppo, che fosse timida quella
ragazza non vi era alcun dubbio. Ma aveva anche la nomina di essere
molto studiosa e seria, si sapeva che aveva iniziato Medicina
all’Università e – stando ad alcuni
pettegolezzi – aveva una
media eccellente.
“Ehm…
volevo ringraziarti…per quello che hai fatto”
mormorò lei con i
suoi grandi occhi blu puntanti nelle iridi verdi dell’altro.
“Figurati
non devi” rispose lui, con gli occhi che gli cadevano proprio
in
quel momento sull’orologio che portava al polso. Erano quasi
le
quattro del mattino, erano passate due ore e neanche se ne era
accorto.
“
Ragazzi
sono le quattro già io credo che sarebbe il caso di tornare
a casa”
disse Hotaru “Inizia anche a fare freddo, tanto a quanto ho
capito
stanotte di discoteche non se ne parla..”
“Si
ha ragione Hotaru” rispose Rei convinta, la temperatura si
era
abbassata notevolmente nonostante fossero in estate.
“Be
se le cose stanno così allora io vi lascio”
rispose lui
infilandosi il casco in testa per poi attraversare la piazza diretto
alla sua moto, non aveva voglia di tornare a casa, ma
d’altronde da
solo cosa poteva fare? Andare in giro per la città fino alla
zona
costiera dove abitavano gli esponenti più influenti sul
panorama
cittadino, ma per fare cosa? Solo invidiarli per il fatto che
potevano stare dalla mattina alla sera senza fare niente
perché
circondati da una moltitudine di servitori. Senza aggiungere che le
ragazze più fighe della città facevano parte di
quell’elite che
tanto odiava per l’ozio in cui aveva la fortuna di vivere.
Avrebbe
voluto lui stesso la fortuna di avere una vita simile.
I
suoi pensieri furono interrotti dal rombo della Ducati sotto di lui
appena diede gas alla moto, saluto il suo gruppo di amici e si immise
nelle strade principali diretto verso casa, le luci dei locali ancora
aperti si riflettevano sulla visiera del casco creando dei giochi di
luce e riflessi.
Una
ventina di minuti più tardi era dentro al garage del palazzo
dove
abitava con la sua famiglia, situazione che sarebbe durata ancora per
poco in quanto finalmente aveva trovato un piccolo appartamento di
settanta metri quadri di cui stava pagando i lavori di
ristrutturazione con i soldi guadagnati nelle corse a livello
nazionale che lo tenevano occupato per tutto l’inverno, e che
non
piacevano a sua madre, la quale sosteneva che non rappresentavano un
ingresso duraturo di denaro. Non vedeva l’ora che quegli
ultimi
giorni di lavori passassero in fretta in modo da trasferirsi, anche
perché sua sorella stava attraversando
quell’età in cui si è più
sciocche che intelligenti ed era una noia mortale doversela
sopportare dato che condividevano la stessa camera. Si diresse verso
la porta che dava accesso diretto al portone del palazzo, il quale
aveva l’ingresso in marmo con un tappeto blu che univa il
portone
all’ascensore, i muri color panna.
Loro
abitavano all’ultimo piano e nonostante non fossero vicini al
mare
godevano ugualmente di una buona vista nel loro piccolo appartamento
in cui vivevano da ormai tre anni. Aveva lo stretto necessario: due
camere, un piccolo salotto che faceva anche da ingresso, una cucina e
un piccolo bagno. Niente di speciale. Erano pure in affitto, affitto
che pagavano con lo stipendio di sua madre e quando era necessario
con i proventi che lui stesso portava a casa con le corse.
Girò
lentamente le chiavi nella serratura nel tentativo di far meno rumore
possibile, ben conscio che appena avrebbe fatto il suo ingresso in
camera sua sorella si sarebbe svegliata tutto ad un tratto pcome
quasi tutte le sere che rientrava a quell’ora.
Poggiò il casco sul
divano e dentro ad esso mise le chiavi della moto e di casa, poi si
tolse il giubbotto e lo mise vicino al casco per poi andare in camera
sua. Era stanco morto.
Appena
giunse in camera sua e della sorella accese la piccola lampada sul
suo comodino, la stanza era abbastanza grande, su una parete faceva
bella mostra una libreria sotto la quale vi era un’ampia
scrivania
che si allungava in una penisola sotto la finestra. Sulla parete
opposta vi era un armadio a ponte sotto il quale vi era il letto di
sua sorella, mentre alla fine di questo; posto perpendicolarmente al
ponte con la fine a circa una trentina di centimetri dalla porta vi
era il suo. Si sedette sul suo letto dopo aver chiuso la porta per
non svegliare la madre che dormiva nella camera di fronte.
“La
mamma quando saprà l’orario si
arrabbierà moltissimo” una voce
di ragazzina si alzò da sotto il lenzuolo. Usagi aveva gli
occhi
azzurri e dei capelli lunghissimi biondi, che in quel momento erano
liberi di incorniciare il suo esile corpo mentre si sedeva a gambe
incrociate sul suo letto, indossava un pigiama rosa con dei
coniglietti bianchi.
“Se
nessuno glielo dice non vedo come potrà venirlo a sapere
Usagi”
rispose lui esasperato facendo roteare gli occhi, prima di togliersi
i pantaloni per sostituirli con i pantaloncini del pigiama.
“Si
ma non è giusto che puoi rimanere fino a quest’ora
e io alle
undici massimo devo essere a casa” si lamentò lei
stropicciandosi
gli occhi assonnati prima di emettere un sonoro sbadiglio.
“Ti
dimentichi un particolare sorellina, tu hai un età compresa
tra i
dodici e i quattordici anni, mentre io ne ho ventuno, per come la
vedo io hai fin troppa libertà per i miei gusti in
proporzione
all’età” sbottò il biondo
prima di mettersi sotto le lenzuola e
spegnere la luce.
“Haru…”
sentì la voce della sorella nel buio.
“Dimmi”
“Ti
voglio bene”
“Anche
io buona notte” bofonchiò già preso dal
sonno incombente.
“Haru…”
ma cosa aveva fatto di male per meritarsi una scassa palle
così al
posto di una sorella?
“Che
vuoi…”
“Ti
manca anche a te papà?” chiese la ragazzina.
“Si
Usa-chan manca anche a me” solo lui poteva sapere quanto
sentisse
la mancanza di una figura paterna, che capisse il suo amore per i
motori e per la velocità. Era proprio il padre ad avergli
trasmesso
quella passione che a distanza di tre anni gli dava
ancora
la forza di andare avanti senza entrare in brutti giri come quello
della droga. Anzi, proprio grazie all’adrenalina delle corse
entrava in contatto con il vento. Ragione in più per non
mollare.
Sua sorella aveva sofferto molto per la perdita, e si era attaccata
quasi morbosamente alla sua figura che era ciò che conosceva
di più
simile a suo padre, in fondo era troppo piccola per sopportare una
perdita di tale portata, ma anche troppo grande per non ricordarsi
della presenza dell'uomo nella loro vita. All’epoca aveva
solamente
quasi dieci anni. Chiuse gli occhi nel buio della stanza, e
ripensò
a quel giorno.
Inizio
Flash Back
Era
ormai qualche mese che la sua famiglia era piombata in un tunnel
buio, infinito e tremendamente doloroso. Non sapeva neanche lui da
cosa traeva la forza necessaria a non lasciarsi andare, a non fare
cazzate quando la sua famiglia era ridotta allo sfascio. Forse la
consapevolezza che il dolore di sua madre non sarebbe riuscito a
sopportare un’altra perdita.
Il
loro calvario era iniziato circa sei mesi prima quando a suo padre fu
diagnosticato un tumore ai polmoni già degenerato in
metastasi che
si erano sparse in tutto il corpo. Haruka non vedeva l’ora
che
tutta quella sofferenza finisse, vedere ogni pomeriggio suo padre con
il volto sofferente, sollevato dai dolori provocati dalla massa
tumorale grazie ad elevate dosi di morfina lo distruggeva. Non
avrebbe più retto molto alla visione di quella vita che si
spegneva,
alla sofferenza di sua madre, al visino triste e serio di sua sorella
che era solamente una bambina costretta ad affrontare qualcosa di
troppo grande per lei. E che molto probabilmente per il resto della
sua vita avrebbe risentito della mancanza della figura paterna, alla
quale era tanto attaccata così come a ciascun membro della
sua
famiglia.
Ma
sicuramente non si sarebbe immaginato che sarebbe finita
così
presto.
Troppo
presto.
Ma
la domanda che si chiedeva sovente era perché? A quale pro
dio gli
infliggeva un dolore simile, con quale scopo? Sempre che un Dio ci
fosse, perché non era possibile - in base a ciò
che aveva sentito
dire di lui – che fosse così crudele da infliggere
loro una prova
di simile portata.
“E
tu ti arrabbierai
si
ti arrabbierai,
e
ti chiederai se esiste davvero Dio,
ma
son sicuro che, tu poi capirai,
quanto
poteva essere,
speciale
lui, lui, lui...”
Quel
giorno a prendere lui e sua sorella all’uscita non si era
recata la
madre come sua abitudine ma li aveva raggiunti la nonna materna con
un volto triste, sofferente. Un volto che diceva tutto.
“Nonna…papà
come sta?” chiese il ragazzino biondo, con il cuore in gola
mentre
la sorellina si ascoltava in silenzio dietro di loro.
“Da
oggi bambini miei…avete uno splendido angelo che vi ama e vi
protegge da lassù”
Il
dolore che gli provocarono quelle parole era indescrivibile,
sentì
le lacrime salire copiose ai suoi occhi, come poteva essere successo
proprio a loro? Cosa avevano fatto di male per meritarsi un dolore
così forte, cosa aveva fatto di male Usagi per perdere una
figura
così importante quando ancora era così piccola,
poco più di una
bambina.
Lui
che era sempre stato un punto di riferimento. Con la sua risata, con
i suoi modi forse un po’ duri ma sempre con la battuta
pronta. Lui
con il quale aveva condiviso gioie e dolori del Moto Mondiale, e
della Formula 1. Lui che era l’unico che lo capisse
veramente, uno
dei pochi che lo accettava per quello che era.
Ma
soprattutto la figura sulla quale poteva contare sempre, qualsiasi
scelta avesse fatto nella vita. Una figura che era scomparsa per
sempre.
Dolore.
Rabbia. E di nuovo disperazione.
“E
poi capirai che se,
se l'è portato via è
perché,
c'era un vuoto nel cielo
e serviva la
stella,
la stella più bella,
quella che
brilla
solo per te per mamma tua,
e potete sentirla
solo voi,
dentro voi,”
Fine
Flash Back.
Haruka
si asciugò velocemente le lacrime che sentiva scendergli
sulla
pelle, non voleva ammetterlo, e non lo avrebbe mai ammesso con
nessuno ma a distanza di tre anni soffriva ancora per la perdita di
quell’uomo favoloso che era suo padre. Anche se era certa che
lui
era sempre con loro, in qualche stella come diceva il filosofo greco
Platone. E a lui piaceva in un certo senso pensarla così.
Sospirò
mentre si sentiva divenire le palpebre pesanti. Tremendamente
pesanti. Segno che Morfeo aveva deciso di sollevarlo da quei tristi e
dolorosi pensieri.
Il
mattino dopo fu svegliato da un peso improvviso che gli
piombò
addosso, seguito da una risata soave che conosceva fin troppo bene,
così come gli era ormai familiare il profumo alla vaniglia
che
permeava l’aria quando sua sorella era negli immediati
dintorni.
“Usagi…”
bofonchiò con la voce impastata di sonno, il viso nascosto
nel
cuscino, negando alla sorella qualsiasi idea riguardo la
possibilità
di alzarsi.
“Haru
la mamma dice che è ora di alzarsi” le disse la
sorella
spingendolo di peso verso il muro per poi sdraiarsi accanto a lui
allegramente.
“Mpf…che
ora è?”
“Sono
le undici…” rispose la ragazzina. Provocando il
disappunto
nell’altro che tuttavia però si decise ad alzarsi
imitato un
secondo dopo dalla sorella che sparì attraverso la porta
diretta in
cucina. Si stiracchiò rumorosamente prima di stropicciarsi
gli occhi
e dirigersi in bagno per una doccia con l’unico tentativo di
svegliarsi. Il bagno era sui toni del rosa, le
piastrelle
del pavimento bianche con venature di questo colore, circa a settanta
centimetri dal terreno vi era un bordo con decorazioni floreali
verdoline e rosa pallido mentre da questo bordo fino al muro del
soffitto le piastrelle erano del medesimo colore delle striature del
pavimento. I mobili erano bianchi e il marmo intorno al lavandino
rosa.
Mezz’ora
più tardi si diresse in cucina per fare colazione con i
corti
capelli biondi umidi e spettinati, trovò sua madre dietro ai
fornelli già intenta a preparare il pranzo, e la colazione
sul
tavolo: cappuccino e pane tostato con la marmellata. Dal televisore
giungeva ben distinta la voce della giornalista che conduceva proprio
in quel momento il telegiornale.
“Oggi
che hai intenzione di fare?” la voce della madre
richiamò la sua
attenzione.
“Non
saprei credo che dormirò oppure metterò un
po’ a posto la
macchina” rispose lui.
“Invece
di perdere tempo in queste sciocchezze, potresti dare una mano a tua
sorella con i compiti delle vacanze? Io inizio il turno alle
quindici, e finirò alle venti ragion per cui non posso
seguirla io”
disse la donna provocando una reazione a dir poco scocciata nel
biondo che si dondolava sulla sedia mentre assaporava la dolcezza
della marmellata sopra al pane abbrustolito al punto
giusto. “Se
proprio devo” si limitò a rispondere.
“Che
bello, che bello passeremo il pomeriggio insieme Haru”
esclamò la
ragazzina con due buffi codini in cima ai quali vi erano due odango
tenuti a posto da due nastri rosa.
“A
quanto pare si, testolina buffa” sbuffò lui.
Scocciato. “Per
pranzo cosa stai cucinando?” chiese poi alla madre.
“
Pasta
al pomodoro e un’insalata di quelle con olive, mozzarella e
altre
cose” rispose la donna.
Al
telegiornale intanto erano passati alle notizie riguardo alla
mondanità e agli spettacoli cittadini. Unica parte del
telegiornale
che interessava a Usagi, che come sua abitudine alzò in modo
spropositato il volume del televisore.
“
Veniamo
ora ai prossimi appuntamenti concertistici sul panorama musicale di
Kyoto” diceva la giornalista “Che come evento
importante per
questa settimana vede il concerto del prossimo Giovedì sera
della
violinista Michiru Kaioh figlia dei due ampiamente conosciuti
musicisti”.
Haruka
prestò più interesse del voluto alle immagini dei
concerti passati
della violinista di cui la sorella era una fan sfegatata, e che
apparteneva per sua fortuna all'elite benestante e politica della
cittadina. Doveva ammettere che quella ragazzina non era niente male,
capiva la sorella, che la considerava un idol sia per la sua musica
eccellente che per il suo aspetto che per la piccola Tenou era un
esempio da seguire. E come dare tutti i torti alla sorella? Era
semplicemente perfetta. E soprattutto Bellissima.
“Mamma
possiamo andare a vedere il concerto?” chiese la biondina.
“Usa
sai benissimo che da quando papà non
c’è più non possiamo
permetterci di spendere cifre simili per andare a vedere un concerto,
tanto vedrai che lo trasmetteranno alla televisione sulle reti
cittadine piccola” intervenne il motociclista con una stretta
al
cuore per via dell’espressione triste che si dipinse in pochi
istanti sul volto della sorella. Le corse erano finite e per via dei
lavori di ristrutturazione di casa sua aveva risparmiato pochissimo,
e prima di Ottobre la nuova stagione di gare non sarebbe
ricominciata, ragion per cui avrebbero dovuto campare solamente con
lo stipendio della madre, che per quanto promiscuo riusciva a far
fronte alle cose più importanti. Certamente non a concerti e
a
scemate varie. Lui nel periodo invernale era auto sufficiente e non
andava a chiedere niente a casa per i suoi sfizi ripagati dallo
stipendio ottimo che portava a casa alla fine di ogni gara a cui
partecipava. D’estate la cosa era totalmente diversa,
specialmente
quell’anno in cui aveva finito i risparmi
dell’inverno per
mettersi a posto casa. Guardò sua madre, e nei suoi occhi
lesse la
tristezza che ogni risposta negativa ai desideri della famiglia le
comportava. Lui non riusciva più a reggere il dolore di sua
madre.
Ma non poteva farne neanche una colpa a sua sorella per quelle
richieste forse un po’ più mature di una ragazzina
della sua età
che in teoria dovrebbe interessarsi alla musica pop, rock e metal e
non alla musica classica, per quanto si potesse definire tale la
musica suonata dalla Kaioh.
Uscì
dalla stanza diretto alla loro camera con una morsa al cuore
impossibile da ignorare.
Note
dell'autrice: Ringrazio chi ha recensito il primo
capitolo, e tutti quelli che lo hanno letto senza farlo. Voglio
offrirvi qualche delucidazione in merito alla scelta del titolo:
sebbene il termine "piccola borghesia" sia una definizione tipica del
marxismo e del regime economico totalitarista, l'ho scelto
poiché il mestiere della madre di HaruKa rientra in quelli
dei piccoli borghesi.
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Capitolo 3 *** Il Concerto ***
Note
dell'autrice: Cari
lettori
mettetevi comodi perché questo è il capitolo
più lungo che abbia
mai scritto. Ringrazio chi recensisce e chi ha messo la mia storia
tra le seguite e le preferite. Se avete voglia fatemi sapre che ne
pensate, pareri e scommesse su come evolverà la trama sono
sempre
ben accetti.
3^Capitolo:
Il concerto
Erano
passati tre giorni da quando Seiya si era stabilito per
l’estate a
villa Kaioh, i due ragazzi non avevano potuto trascorrere moltissimo
tempo insieme per via dei preparativi che tenevano impegnata Michiru
in vista dell’imminente concerto.
Il
bel bruno si limitava ad osservarla da lontano studiando ogni minimo
particolare e ogni piccolo cambio di umore della ragazza, nel
tentativo di trovare un qualcosa che la interessasse per riuscire a
far breccia nella fortezza che aveva retto intorno a se la
violinista. Non si capacitava in fatti dello stato d’animo di
lei,
quando suonava diveniva un’altra assisteva ad una
metamorfosi. Una
metamorfosi che al contrario di quella di Franz Kafka era bellissima.
“Signorina
ha deciso il repertorio per il concerto?” la voce
dell’insegnate
interruppe i pensieri di lui, mentre il prezioso strumento veniva
delicatamente tolto dalla sua custodia per essere accordato prima del
suo utilizzo. La ragazza si limitò ad osservare per qualche
istante
l’uomo sulla sessantina che aveva davanti e che la seguiva
fin da
piccola: era basso e grassottello con due iridi color cioccolato che
facevano capolinea da dietro un paio di lenti rotonde. Il capo era
glabro e lucido, i baffetti bianchi adornavano il suo viso rotondo e
segnato dall’età.
“Porto
il solito repertorio, non sono ancora sicura delle nuove
composizioni” mormorò la ragazza quasi senza porre
molto
attenzione alla questione. Quello non era l’ennesimo
concerto,
quello era l’ennesima volta in cui i suoi genitori la
mettevano in
mostra quasi fosse un fenomeno da baraccone, un cucciolo di cane
ammaestrato, una tigre sofferente a tratti rabbiosa che però
si
piega come un giunco sotto gli ordini del suo addestratore senza
spezzarsi. Questo era lei.
“Se
vuole posso darci un’occhiata” le chiese il maestro.
“Non
si scomodi non le porterei comunque non so se al pubblico
piacciono”Sia
mai che faccia fare brutta figura ai miei genitori. Concluse
lei iniziando ad accordare lo strumento, prima della lezione
quotidiana. Senza accorgersi che Seiya si era allontanato dalla
stanza diretto in una delle vie principali a comprare qualcosa che,
era sicuro, l’avrebbe tirata su di morale. O almeno sperava.
***
Il
sole di mezzodì gli aveva dato il buongiorno dopo una notte
passata
in giro per la città in macchina, dalla quale si era
ritirato alle
quattro come d’abitudine. Aveva intenzione di accompagnare
Usagi al
concerto della Kaioh a qualsiasi costo, per questo la notte
precedente aveva chiesto alle sue amiche di prestargli la quota
necessaria a raggiungere la cifra per acquistarne due.
L’importo
eccessivo non gli importava e loro sapevano che li avrebbe restituiti
appena avrebbe corso nella sua prima gara della stagione quello
stesso Settembre come aveva sempre fatto, sapevano quanto lui fosse
legato alla sorella, ergo avevano preso appuntamento per vedersi.
Setsuna e Hotaru erano da sempre le sue migliori amiche, anche loro
di buona famiglia, forse anche migliore della sua, ma per niente con
la puzza sotto il naso e proprio come lui rappresentavano le pecore
nere delle loro rispettive famiglie. Si diresse direttamente in
cucina dove sua mamma gli aveva già preparato la colazione,
sua
sorella si era già cambiata e non indossava più
il suo pigiama
rosa.
“Haru
hai voglia di andare al mare oggi?” la bionda dai buffi
codini si
voltò speranzosa verso di lui, era da tantissimo, forse
anche troppo
che non passavano un pomeriggio insieme. E lei ne sentiva decisamente
il bisogno.
“Usa-
chan non ho voglia oggi, ma se vuoi andiamo a comprare una cosa
insieme” rispose lui nel tentativo di non farsi rovinare i
piani
della giornata da parte della sorella, la sorpresa sarebbe riuscita
lo stesso.
“Ok
allora vengo con te, cosa devi comprare?” chiese con una
curiosità
evidente che le illuminava i suoi grandi occhi blu. Mentre la madre
delle due puliva la tazza in cui il biondo aveva consumato il suo
cappuccino, sopra al quale come abitudine metteva una spolverata di
cacao in polvere, prima di recarsi al lavoro.
“E’
una sorpresa” rispose lui,osservando la madre che aspettava
che il
loro discorso finisse “Devi dirmi qualcosa mamma?”
chiese pochi
istanti dopo.
“Si,
ho preparato gli onigiri per pranzo oggi e altre pietanze al riso,
come ad esempio gli arancini, te ne occupi tu di riscaldarle se
necessario Haruka?Io tra un’ora inizio il turno e non ci sono
a
pranzo oggi” gli rispose la donna togliendosi il grembiule
che si
era messa per proteggere il completo nero che indossava. Era sempre
elegantissima soprattutto quando si recava al lavoro.
Un’eleganza
che pian piano Usagi stava facendo sua se pur con diverse modifiche
specialmente nel genere di abiti che preferiva. Un attimo dopo Yukiko
fece nuovamente la comparsa in cucina con la borsa sulla spalla per
dare un bacio ad entrambi i frutti dell’amore che
l’aveva legata
al marito e uscì fuori di casa.
Lo
sguardo del motociclista si posò su una foto molto piccola
che la
madre aveva sempre tenuto su una mensola della credenza, erano
insieme ai loro genitori: Yukiko aveva dei capelli biondi piuttosto
lunghi con dei bellissimi occhi azzurri che aveva tramandato alla
figlia, il viso leggermente ovale e l’espressione felice di
chi ha
coronato il suo sogno d’amore. A fianco a lei c’era
Kaito capelli
neri e occhi verdi come il biondo, volto mascolino e forse
leggermente spigoloso; in quella foto indossava la sua tuta da moto
preferita che Haruka a distanza di anni custodiva ancora gelosamente,
avrebbe voluto poterla indossare ma il suo fisico era troppo diverso
da quello del padre e gli sarebbe stata troppo larga. Avrebbe dato
qualsiasi cosa pur di riportare indietro suo padre, soprattutto per
la sorella, decise tuttavia che fosse opportuno cacciare via quei
ricorrenti tristi pensieri con tutte le insicurezze che essi
comportavano.
“Che
dici mangiamo? Io alle tre ho appuntamento con le mie due amiche, mi
piacerebbe non fare tardi” chiese poi alla sorella dopo aver
osservato che l’orologio segnava quasi le dodici.
“Si
ok, allora io preparo la tavola” esclamò allegra
la ragazzina, il
tavolo aveva la forma di un semplice quadrato in legno che
all’occorrenza poteva allungarsi in modo tale da poter
sistemare
comodamente sei persone. La cucina anch’essa era in legno. Il
tintinnare delle posate che Usagi posava sul piatto fu interrotto da
un messaggio arrivato proprio sul cellulare della quattordicenne che
si affrettò a spegnere la suoneria e a leggerne il contenuto
arrossendo vistosamente agli occhi del fratello.
“Cos’è
hai gli spasimanti?” buttò li ridendo il
motociclista, solo per il
gusto di far diventare ancora più rossa la già
imbarazzatissima
sorella.
“Ehm..ma
no…cosa dici Haru…sono troppo piccola per queste
cose” rispose
lei arrossendo ancora di più “ehm.. forse magari,
potrei andare
già a prepararmi per uscire” mormorò
tentando di togliersi da
quell’impaccio.
“Usa
ma se sei già vestita” rispose l’altro
foderando il suo sorriso
sghembo. Vedere la sorella così impacciata per una semplice
domanda
lo divertiva ancora di più.
“Ehm..
si hai ragione…mangiamo?” chiese la ragazzina, non
vedeva infatti
l’ora di uscire con lui, un evento del genere succedeva
veramente
raramente d’Inverno quando lui era troppo impegnato con le
gare nei
week and e lei con la scuola durante la settimana. Lei odiava la
scuola, odiava la Matematica e ogni volta che doveva studiarla la
fatica era paragonabile a quella di un parto trigemellare .
Afferrò
affamata tre onigiri e li depose nel suo piatto mentre guardava la
televisione.
Il
motociclista dal canto suo osservava la sorella, osservava quanto
fosse cresciuta e quanto il suo corpo fosse cambiato nonostante la
sua giovane età, si stava trasformando lentamente in una
donna, e
ben presto avrebbe preso anche lei la sua strada. E lui ben sapeva
quanto gli uomini potessero essere attirati dal fisico e usarla
solamente per quello, soprattutto nel giro che lui stesso frequentava
e da cui voleva tenere a debita distanza la sorella, non
perché ci
fosse droga, o almeno nel suo gruppo non ve ne era e anche se ce ne
fosse stata sua sorella non si sarebbe sicuramente fatta trascinare
dai pareri altrui perché la conosceva fin troppo bene, e
nonostante
la perdita del padre era cresciuta con un carattere forte e
determinata ma allo stesso tempo dolce e
estroverso. Alla
televisione passò nuovamente la notizia del concerto che ci
sarebbe
stato l’indomani sera e nascose a stento un sorriso quando la
sorella guardava affascinata le scene che ritraevano la sua
beniamina, occhi che però tradivano un po’ di
tristezza per la
mancata possibilità a vederla dal vero. Tristezza che grazie
a lui
sarebbe stata presto dimenticata. Finito di mangiare si fece un buon
caffè.
“
Lavi
tu i piatti che sono già le tredici e devo ancora
prepararmi?”
chiese lui finendo di bere il liquido nero nella minuscola tazzina,
domanda alla quale l’altra rispose semplicemente annuendo
prima che
il ragazzo si alzasse diretto in camera. Scelse gli abituali jeans,
una maglia rossa a maniche corte piuttosto aderente e
afferrò la sua
giacca in pelle nera nel caso che si rinfrescasse l’aria nel
tardo
pomeriggio e poi si infilo come era solito fare i Rayban tra i
capelli,due spruzzate della sua colonia preferita e si diresse verso
la sala dove la sorella lo stava aspettando. La bionda indossava dei
pantaloncini bianchi a metà coscia e una camicetta rosa
così come i
nastri che coprivano i fermagli degli odango per una questione
puramente estetica, come poté notare lui si era messa un
sottile
strato di lucidalabbra.
“Sei
pronta?”
“Prontissima
vado a prendere la borsa in camera e arrivo subito” rispose
lei
correndo nella loro stanza per afferrare la borsa e il suo
portafoglio. La borsa era bianca e piuttosto capiente, decorata da
pietre trasparenti di svariati colori su un fianco: verdi, fucsia,
lilla, gialli, arancioni era insomma una borsa allegra, elegante ma
anche sportiva. Quando tornò nell’ingresso scorse
la figura del
ragazzo nel corridoio con la schiena appoggiata contro il muro del
piano che scriveva qualcosa sul telefonino.
“Eccomi!!!!”
disse allegra prima di girarsi e chiudere la porta blindata con le
chiavi, subito dopo i due si diressero alla macchina parcheggiata in
garage.
Erano
le due in punto quando giunsero sul luogo dove Haruka aveva
appuntamento con le sue due amiche, che come scoprirono erano
già li
sedute sui rispettivi motorini.
“Usa
tu rimani in macchina faccio subito e poi andiamo a prendere quella
cosa che ti ho detto ok?” chiese voltandosi verso la sorella.
“Ok”
rispose lei sorridente, voltandosi poi verso il marciapiede per
salutare le due brune che di rado vedeva a casa. Era da quando il
fratello le aveva detto che doveva farle una sorpresa che si
interrogava su cosa potesse essere, da sempre le odiava: non
perché
non le piacessero ma piuttosto per l’attesa. Proprio per
questo fin
da piccola odiava il Natale e il Compleanno. Si mise a cercare di
origliare i discorsi che avvenivano poco lontani
dall’abitacolo nel
tentativo di capire di cosa si poteva trattare.
“Buongiorno
Ruka” lo salutò Setsuna, vestita come sempre
elegantemente anche
se erano le tre di pomeriggio.
“Giorno,
be allora potete aiutarmi si? Usagi ci tiene veramente molto, hanno
trasmesso nuovamente alla televisione che domani ci sarà il
concerto
e si insomma…” mormorò lui.
“Certamente,
non ti preoccupare appena puoi tanto sappiamo che li restituisci
quindi non ci sono problemi figurati, quanto ti serve?” le
chiese
Hotaru. La sorella dell’amico le stava particolarmente
simpatica,
anche se lui non voleva che si facesse vedere in piazza alla sera con
loro semplicemente per proteggerla dai bulletti tipo il Boss.
“Tremila
yen*, ma non vi sentite in obbligo ragazze veramente” disse
lui,
forse un tantino in imbarazzo.
“O
non ti preoccupare figurati, te ne diamo la metà, in due
fanno la
quota che ti serve ok?” chiese Setsuna.
“Va
benissimo, grazie” rispose l’altro sorridente, loro
si che erano
delle vere amiche c’erano nel momento del bisogno in quel
momento
così come in passato e soprattutto ci sarebbero state in
futuro in
eventuali momenti difficili che gli sarebbero presentati davanti nel
corso della vita. “Avete degli impegni per oggi? Altrimenti
potreste venire con me e Usagi non penso che le date
fastidio”
buttò li lui, passandosi le dita tra i capelli.
“No
è da tanto che non uscite insieme stai pure con lei al
massimo ci
vediamo stasera al solito posto” le disse la bruna dai lunghi
capelli, prima di passare il prestito al giovane imitata dalla loro
amica. “E poi io devo studiare sai dovrò pure
finire l’università
un giorno o l’altro non trovi?” detto questo si
infilò
nuovamente il casco in testa e girò la chiave nel motorino
che si
accese immediatamente, poco dopo anche la più piccola tra le
due la
imitò.
“Allora
a stasera se ci sei Ruka” gli disse Hotaru.
“Vedrò
cosa posso fare ragazze mal che vada ci si vede nei prossimi
giorni…e
grazie ancora” rispose lui riconoscente abbassandosi gli
occhiali a
coprire gli occhi verdissimi prima di avviarsi verso la sua macchina.
Usagi
in macchina appena vide le amiche del fratello partire
cambiò
immediatamente posizione per non dare l’impressione che
stesse
origliando, e fece finta di mandare un sms con il telefono.
“Scrivi
al tuo spasimante?” la voce del ragazzo la fece sobbalzare e
arrossire nel medesimo momento, reazione che provocò una
risata in
lui.
“Haru
smettila con questa storia” rispose lei piccata gesticolando
moltissimo come tutte le volte che si sentiva agitata per la
situazione “ dove mi porti?” chiese poi dopo un
attimo di
silenzio.
“Ora
lo vedrai da sola” rispose lui uscendo dal parcheggio e
immettendosi in una delle strade che portavano verso il mare e nella
zona del teatro, oltre che in quella residenziale dove abitavano le
persone alto locate. Usagi osservava incuriosita le abitazioni
davanti a se, in quella zona della città infatti era
capitata
veramente molto di rado, e come tutte le cose nuove la incuriosivano,
all’inizio del lungo mare fino circa alla traversa da cui
erano
sbucate vi erano Hotel lussuosi e palazzi del loro stesso livello,
sull’altra metà della passeggiata che dava sulle
spiagge invece vi
era la zona delle ville, una più bella dell’altra.
Davanti a lei
sfilavano edifici dei più disparati ordini e stili
architettonici.
Alcune di esse erano in puro stile giapponese, altre erano
modernissime ma ugualmente stupende. L’attenzione della
ragazza
però si focalizzò su una struttura che conosceva
molto bene perché
l’aveva vista più volte dal telegiornale e anche
dal vero in
passato, i loro genitori erano soliti portare lei e colui che guidava
al suo fianco a vedere spettacoli e musical. Il teatro di Kyoto era
una struttura molto moderna, era di nuova costruzione e divideva gli
spettacoli con il Kabuki che era esattamente dall’altra parte
della
città nell’entro terra. L’edificio del
Concert Hall** invece era
stato costruito su una lingua di terra che si allungava sulla baia
cittadina, aveva una forma esemplare, la struttura che definiva il
volume del teatro sembrava come una collina moderna bianchissima su
cui spiccava una grandissima vetrata d’ingresso, il tetto di
questa
collina però formava due ali parallele che si alzavano verso
il
cielo, poco distante dall’edificio centrale, ma abbastanza
vicino
da essere percepito come una struttura unica dall’occhio
umano si
ergeva una figura curva simile ad una falce di luna, che presentava
sulla curvatura più bassa dei fari che a prima vista
sembravano
quelle luci che si usano in bagno per illuminare lo specchio sopra ai
lavandini. La ragazzina ne rimase affascinata chiedendosi come
potesse reggersi in piedi una struttura del genere. Si rese conto che
era proprio li che erano diretti, ma ancora non ne capiva il motivo.
Sapeva solo dalla televisione che il giorno dopo, alle nove e mezza
avrebbe suonato all’interno di quella meraviglia la Kaioh, ma
non
le risultava che facesse un concerto gratis pomeridiano. E allora
cosa stavano andando a fare li?
L’auto
si fermò a pochi metri dall’entrata del teatro, e
Usagi fece
l’atto di scendere.
“No
Usa aspettami qui torno subito, non ci metterò
più di un quarto
d’ora promesso, e poi andiamo in centro, ti offro qualcosa da
mangiare in pasticceria” disse il biondo ben sapendo che sua
sorella a sentire la parola pasticceria perdeva il lume della
ragione: amava i dolci più di qualsiasi altra cosa. Si
diresse
quindi verso l’ampia vetrata, l’interno del teatro
era in legno
rossiccio ma molto moderno anch’esso, in perfetta armonia con
l’esterno. Al banco delle informazioni e delle prenotazioni
vi era
una ragazza che avrà avuto circa ventisette anni, dai
capelli rossi
e gli occhi castani, il viso cosparso di lentiggini.
“Buon
pomeriggio signore posso esserle utile?” chiese gentilmente.
“Buon
pomeriggio a lei, ci siamo sentiti ieri via email, e ho bloccato due
biglietti per il concerto di domani sera di Michiru Kaioh, sa la
violinista. Sono qui per saldare il conto e ritirarli”
rispose lui
foderando uno dei suoi bellissimi sorrisi che sapeva far sciogliere
qualsiasi esponente del sesso femminile. La ragazza arrossì
visibilmente.Niente
male la ragazza.
Si ritrovò a pensare.
“Certo
può dirmi il suo nome per favore?” disse lei
cercando di mantenere
a freno gli ormoni che il solo sguardo magnetico del ragazzo
scatenavano dentro di lei.
“Haruka
Ten’o” rispose lui appoggiandosi sul bancone con
non curanza e
passandosi nuovamente le dita tra i capelli. Mentre osservava meglio
quel teatro.
“Ha
prenotato due posti in Platea Gold giusto?” chiese la
signorina.
“Esattamente”
rispose lui senza girarsi neanche a guardarla.
“Ok
ho mandato in stampa i biglietti, paga in contanti mi sembra di aver
capito giusto?”
“Giustissimo,
quanto le devo?” chiese lui.
“Tremila
e cento yen come accordato via email”
“Ok”
rispose lui prendendo il portafoglio dalla tasca posteriore dei jeans
“Tenga, può contarli ma sono giusti”
appena controllò l’importo
ricevuto dal biondo la fanciulla consegnò lui una busta con
l’intestazione del teatro contenente i biglietti del
concerto.
“Arrivederci”
“Arrivederci
Signor Ten’o”
Haruka
era impaziente di giungere alla macchina per vedere
l’espressione e
soprattutto la reazione della sorella nel leggere ciò che
c’era
scritto sui biglietti, la trovò seduta fuori
dall’automobile su
una dei muretti presenti vicino all’ingresso
all’ombra di un
grande albero.
“Be
allora? Posso sapere cos’hai comprato mentre andiamo in
pasticceria?” chiese sua sorella su di giri alzandosi e
andandole
incontro senza minimamente immaginare il regalo che lui stava per
farle.
“Certamente
testolina buffa, prima però guarda un po’ cosa
c’è qui dentro”
rispose lui porgendole la busta. Usagi afferrò la busta con
lo
sguardo di chi non ci stava capendo niente, la voltò e vide
l’intestazione del teatro, stampato su di essa con un
inchiostro
bordeaux e recante l’’immagine dello stesso con
scritto sotto in
uno stampatello molto elegante, forse Times New Norman, o qualcosa di
molto simile, in corsivo. Ma
cosa mai avrà combinato? Si
chiese mentre voltava nuovamente la busta per aprirla. Dentro vi
erano due strisce quasi perfettamente sovrapposte bianche e lucide,
da un lato spiccava una chiave di violino nera intrecciata con delle
rose color fucsia, lesse ciò che vi era scritto affianco a
quel
disegno così simile ad uno stemma:
“Michiru
Kaioh in concerto
Concert
Hall Kyoto
Ore
21:30 Mercoledì 30 Giugno
Posto
23 terza fila Platea Gold”
Gli
occhi di Usagi si illuminarono e guardò il biondo con gli
occhi
luccicanti prima di piombargli addosso e abbracciarlo. Haruka la
strinse forte.
“Grazie
Haru…grazie di cuore.. ti voglio bene” gli disse
con gli occhi
lucidi.
Lui
la fissò: ecco cosa gli piaceva della sorella, la sua
genuinità
anche nelle emozioni dovute alle cose più semplici e
insignificanti,
era convinto che chiunque avesse conquistato il cuore della ragazza
che aveva tra le braccia sarebbe stato molto fortunato.
“Che
facciamo? Stiamo qui fino a domani sera?” le chiese lui, la
biondina alzò lo sguardo verso di lui in adorazione.
“Non dovevamo
fare un salto in pasticceria?” la ragazza fece si con la
testa
continuando a guardare i biglietti che stringeva tra le mani, le sue
amiche sarebbero sicuramente morte d’invidia a saperlo. E
tutto
questo grazie ad Haruka. Seguì il motociclista verso la
macchina,
pronta a mangiarsi un grosso krapfen nella pasticceria più
rinomata
della città Kyoto, avrebbe preso quello e un buon frappe
alla
nocciola.
La
pasticceria “Cioccolato e Chantilly” si ergeva al
centro della
via principale di Kyoto, il nome dell’insegna sembrava fatto
interamente di cioccolato con lo sfondo dai toni pastello, gli stessi
toni delle glasse più dolci e vellutate. Sotto di essa vi
era la
vetrina, ogni giorno era abbellita da una torta diversa, il quel
momento ve ne era una con il pan di spagna di cioccolato guarnita con
la panna e le fragole, accanto vi erano innumerevoli pasticcini,
biscotti e scritte di cioccolato bianco, al latte e fondente.
All’interno il locale era suddiviso in due stanze: in quella
principale i muri erano color salmone, il bancone del colore di legno
del medesimo colore del cioccolato, qui i visitatori potevano
ammirare le deliziose composizioni del pasticcere che necessitavano
di un frigo: crostatine alla frutta, bignè alla crema e al
cioccolato ricoperti di glasse colorate. I due superarono la porta
scorrevole in vetro decorata da svariati dolci che separavano la
stanza principale da quella dove vi erano i tavoli. Anche in questa,
i colori dominanti erano quelli pastello, i tavoli erano in legno
color cioccolato e le sedie color pan di spagna. Per loro fortuna
trovarono un tavolo libero e ben presto la ragazza che prendeva le
ordinazioni arrivò a chiedere l’ordine.
Haruka
si limitò a una fetta di torta al cioccolato con la panna e
le
fragole, mentre la sorella ordinò come aveva deciso al
teatro un
krapfen alla crema e il frappe alle nocciole. Si sentiva la ragazza
più felice del mondo.
***
Finì
le lezioni di musica che erano le quattro di pomeriggio, come
abitudine aveva avuto solamente un’ora di stacco per il
pranzo, era
la prassi da seguire nei giorni prima di un concerto, secondo i
coniugi Kaioh era necessario correggere eventuali sbavature
nell’esecuzione, ma lei come del resto il suo maestro
sapevano
benissimo che di sbagli non ve ne sarebbero stati affatto. Quei brani
li sapeva a memoria, primo perché li aveva composti e
secondo perché
ormai erano due anni che li suonava nel suo repertorio e le dita
sulla tastiera del violino si muovevano senza che lei pensasse
realmente a ciò che stava facendo. Ripose il prezioso
strumento
nella sua custodia dopo aver pulito la cassa armonica dalla resina
che aveva perso l’archetto mentre suonava e che poteva
rovinarla.
“La
prossima lezione è fissata per Giovedì
giusto?” chiese la
ragazza.
“Si
signorina” rispose l’insegnante, mentre riordinava
tutti gli
spartiti che aveva portato per il solfeggio, anche se la sua allieva
dopo ben dieci anni non aveva più nessuna
difficoltà a leggerli.
“Allora
a Giovedì, arrivederci” detto questo si
avviò verso la sua camera
a poggiare la roba utilizzata durante le ore pomeridiane di lezione,
pronta ad affrontare il concerto del giorno dopo, agitazione?
Assolutamente no, nervoso per essere messa in mostra dai suoi
genitori per pavoneggiarsi con tutti i presenti si. E molto anche.
Arrivata in camera sua si diede una veloce aggiustata ai capelli
raccogliendoli in un chignon piuttosto morbido che lasciava qualche
ciocca libera di caderle sulle spalle, si lavò poi il viso e
prese
il quaderno sul quale era solita compiere i disegni sui fogli ruvidi
che poi avrebbe colorato con i pastelli. Si diresse verso il giardino
dove tre giorni prima avevano pranzato con i coniugi Kou e si sedette
nel chiosco in riva al piccolo lago che adornava il giardino e si
guardò intorno in cerca di qualche spunto, i suoi occhi blu
si
posarono sulla fontana nel centro del laghetto e sulle carpe koi che
nuotavano placidamente sotto il pelo dell’acqua.
Iniziò a
disegnare proprio la fontana, lo specchio d’acqua e i fiori
che
apparivano dietro di essi, la matita lasciava tratti sicuri e leggeri
sul foglio, e man mano ciò che era davanti a lei prendeva
vita sulla
superficie cartacea. I suoi genitori non c’erano erano usciti
subito dopo pranzo e sarebbero arrivati dopo cena.
“Sera”
sobbalzò quasi, a sentire la voce di Seiya dietro di se
così
all’improvviso e soprattutto così vicina al suo
orecchio, come da
manuale un rossore diffuso si impadronì delle sue guance, un
brivido
la percorse. Michiru
ma cosa ti prende? Dacci un taglio è il solito pallone
gonfiato non
lo vedi? Si
disse tra se e se.
“oh
ciao.. non ti avevo sentito arrivare…sai quando disegno o
dipingo
mi isolo totalmente da ciò che mi circonda”
mormorò lei
scostandosi un poco per far posto al ragazzo sulla panchina del
chiosco bianco ricoperto di edera.
“Lo
avevo immaginato tranquilla non vi è alcun
problema” rispose lui,
solo in quel momento lei si accorse che aveva una piccola scatola in
cartoncino rosa di quelle che danno in pasticceria per trasportare i
dolci.
“Avevo
pensato che dopo così tanto studiare ti avrebbe fatto
piacere
mangiare qualcosa” rispose lui forse per la prima volta in
quei tre
giorni un tantino impacciato, d’altronde colei che aveva di
fronte
lo aveva sempre tenuto a debita distanza dimostrandosi sempre
distaccata o nella maggior parte dei casi seccata dalla sua presenza.
“Grazie
mille” rispose lei spostando il quaderno dei disegni
sull’angolo
della panchina prima di prendere il pacchetto che lui le porgeva.
Aprendolo scoprì che aveva preso tre crostatine ai frutti di
bosco e
due cannoli alla crema.
“Avrei
voluto prendere tutti cannoli, ma ne erano rimasti solo due”
le
disse.
“O
non ti preoccupare, va benissimo anche così, tu non ne
vuoi?”
ribatté lei prendendo una crostatina che era ricca di
mirtilli e
lamponi. Era veramente buonissima il leggero tono aspro dei frutti di
bosco si amalgamava benissimo con i toni dolci e vellutati della
crema.
“Sei
sicura che non le mangi tutte?”
“Figurati
sono cinque, io quando ne mangio due massimo tre sto a posto”
Perché
mi guarda
in quel modo? Avrò sicuramente qualche semino dei lamponi
sui denti.
Pensò lei guardandolo dritto negli occhi. Il contatto visivo
durò
per qualche istante, finché lui non allungo una mano diretto
al viso
di lei, più precisamente sul naso.
“Sei
sporca di crema” sussurrò lui pulendola. Al tocco
di lui sentì
una sensazione strana allo stomaco mai provata prima, e anche se non
lo avrebbe mai ammesso Michiru sapeva benissimo che cosa volesse
significare. E ciò non le piaceva. Non le piaceva affatto.
Non
voleva legarsi sentimentalmente a nessuno, tanto meno a Seiya.
Fisicamente era molto attraente, ma chi le diceva che lui non stesse
scherzando? Era premuroso ma ciò non era certamente una
certezza che
lui non si prendesse gioco dei suoi sentimenti.
“O
non me ne ero accorta” rispose. “Comunque
sarà meglio che torni
in camera mia a riposarmi un po’, sai sono molto
stanca” rispose
lei alzandosi di scatto. Ritraendosi nel suo guscio da cui forse fino
alcuni istanti prima era riuscita ad affacciarsi.
“Ok…come
preferisci, ho fatto qualcosa che non dovevo Michiru?”
mormorò
lui.
“No
tu non hai fatto niente che non va, il problema sono io ci vediamo a
cena” rispose lei avviandosi con un passo deciso e ugualmente
elegante sul vialetto in ciottoli che collegava il chiosco alla
vetrata del salone d’ingresso della villa stringendo a se
l’album
dei disegni.
Perché
ti ostini a nasconderti nel tuo guscio. Sono sicuro
che
all’interno di quel guscio ci sia una perla, ma come posso
riuscire
a tirarla fuori? Pensò lui guardandola
allontanarsi.
***
Arrivarono
a casa verso le nove di sera dopo aver passato la restante parte del
pomeriggio al “Cioccolato e Chantilly”, dove Usagi
aveva
consumato una fetta di torta e due cannoli alla crema oltre al
krapfen e al frappè. La madre ancora non c’era e
l’abitazione
era molto silenziosa, la ragazzina posò la busta con i
biglietti sul
tavolo della sala e andò in camera sua a cambiarsi, mentre
invece
Haruka si sedette sul divano e accese la televisione dubitando
seriamente che la sorella avesse fame dopo tutto ciò che
aveva
consumato alla pasticceria, lui si sarebbe fatto un’insalata
più
tardi se avesse avuto voglia.
“USA
HAI PER CASO FAME?” urlò senza molta convinzione.
La conosceva
troppo bene. Sentì qualche passo veloce provenire dalla
camera e la
vide comparire sulla soglia della stanza con indosso il pigiama.
“No,
temo di aver esagerato al locale” rispose imbarazzata per la
sua
enorme golosità che le faceva perdere la testa davanti a
qualsiasi
tipo di dolce. Poi lo raggiunse sul divano e si sedette con le gambe
al petto e il mento appoggiato sulle ginocchia, i capelli ancora
raccolti nella sua acconciatura preferita. Iniziò a
fantasticare
sulla sera seguente senza prestare molta attenzione alla televisione,
chissà se fosse riuscita a farsi fare un autografo? Era
emozionatissima al solo pensarci. Avrebbe visto il suo idolo dal
vivo. Dopo tanto fantasticare il suo sguardo cadde
sull’orologio
della cucina che si vedeva chiaramente anche dalla sala, e
scoprì
così che erano ormai le dieci passate, pensò di
conseguenza che in
ospedale c’era stata qualche urgenza che aveva trattenuto la
madre
oltre il suo turno abituale di lavoro, si intristì non poco:
avrebbe
voluto darle la bellissima notizia dicendole che sarebbe andata al
concerto della Kaioh ma si sentiva troppo stanca per
l’intensa
giornata che aveva passato insieme al biondo che guardava annoiato il
programma di turno.
“Haru…”
mormorò dopo un sonoro sbadiglio “Credo che io
vado a dormire sono
proprio stanca, glielo dici tu a mamma del concerto?”
continuò
alzandosi diretta in camera.
“Si
sta tranquilla glielo dico” rispose lui dandole il bacio
della
buona notte “non ti preoccupare pensa a dormire a
domani”
sentendo quelle parole la bionda dai buffi codini si diresse in
camera serena.
Dischiuse
lentamente le palpebre assonnate, il viso sotto il lenzuolo si
voltò
verso la porta semi socchiusa della loro camera dalla quale entrava
uno spiraglio di luce che giungeva fino al letto del fratello, che
sembrava ancora vuoto. Si mise in ascolto nel buio e le sue orecchie
captarono una forte litigata provenire dalla sala o dalla cucina, era
difficile dirlo. Erano Haruka e sua madre.
Hikaru
Ten’o era arrivata a casa esausta quando mancava poco a
mezzanotte,
la giornata in ospedale era stata pesante e piena di emergenze
provenienti dal pronto soccorso di cui l’ultima
l’aveva tenuta
impegnata fino a circa un’ora prima, quando finalmente approfittando
della calma apparente instauratosi timbrò il cartellino per
uscire e
andò nel suo studio a lasciare il camice. Arrivata a casa
trovò
Haruka in sala al buio davanti alla televisione, convinta che lui
dormisse si era avvicinata per svegliarlo o laddove non ci fosse
riuscita almeno spegnere la televisione.
“Ciao
Mamma, finalmente” la precedette il motociclista girandosi a
guardarla e distogliendo per qualche istante lo sguardo dalla
televisione. La donna si avvicinò al tavolo della sala ove
qualche
ora prima la figlia aveva appoggiato la busta con i biglietti e lo
sguardo mentre poggiava la borsa sulla superficie in legno e la
giacca in lino sulla sedia le andò a finire proprio su
quest’ultima.
Decise allora di guardare cosa ci fosse dentro, anche se ai tempi in
cui il marito era ancora in vita ne aveva viste tantissime di buste
provenienti dal Concert Hall.
“Haruka
posso sapere cosa significano questi?” chiese con un tono
piuttosto
rigido, mostrandogli i due biglietti con uno sguardo a metà
tra
l’arrabbiato e il severo.
“Cosa
ma?” rispose lui voltandosi nuovamente verso la donna e
realizzando
solo in quel momento ciò che la madre stringeva tra le dita
della
mano sinistra. “Oh… si sono due biglietti per me e
Usa del
concerto di domani della Kaioh” mormorò senza
curarsi molto della
reazione di Hikaru.
“E
di grazia dove li avresti presi?” chiese serafica la donna.
“Mamma
ma che domande fai scusami? È logico che li ho presi al
teatro mica
li ho rubati da qualche parte ma cosa ti frulla in quella
testa?”
rispose risentito, ok che gli piaceva uscire e passare le notti
fuori, e non aveva almeno per il momento intenzione di lavorare
seriamente escluse le corse. Ma non per questo era un ladro.
“I
soldi dove li hai presi che non ne abbiamo?”
attaccò nuovamente la
donna.
“Li
ho chiesti in prestito a due mie carissime amiche, a Settembre dopo
la prima corsa della stagione glieli restituisco come ho sempre fatto
non vedo dove sia il problema” sbottò, iniziava
seriamente a
innervosirsi per il comportamento della donna che aveva davanti.
“QUANTE
VOLTE TE LO DEVO DIRE CHE NON DEVI CHIEDERE IN PRESTITO NULLA EH?
QUANTE?” esplose allora la madre.
“MA
TI SEI RINCOGLIONITA MAMMA? NON HO COSTRETTO NESSUNO A DARMELI HO
CHIESTO, SE NON ME LI DAVANO AMEN! NON LI HO CHIESTI DI CERTO ALLA
YAKUZA*” urlò lui.
“
TI
SEMBRA GIUSTO CHE OGNI VOLTA DEVI CHIEDERE PER FAR CONTENTA USAGI?
QUANDO IMPARERA’ A CRESCERE TUA SORELLA EH? DEVE CAPIRE CHE
NON Può
AVERE TUTTO DALLA VITA!” rispose a tono lei.
“NO
SAI COSA DOVRESTI CAPIRE TU? CHE TUA FIGLIA NON CHE MIA SORELLA SENTE
LA MANCANZA DI SUO PADRE, NON LO VUOLE FAR VEDERE MA SE PERMETTI
ALMENO FIN QUANDO NE HO LA POSSIBILITà VORREI CERCARE DI
OVVIARE A
QUESTA MANCANZA AFFETTIVA” esplose, sapeva benissimo che
quelle
parole avrebbero ferito la donna ma era la verità, la cruda
e vera
verità. Lei aveva imparato a convivere con il vuoto lasciato
da quel
maledetto tumore, ma la sorella era piccola, troppo piccola e anche
se era una ragazza allegra con tutti, gli aveva confidato
più volte
che le mancava il padre. E lui non poteva far finta di niente. Dopo
aver urlato contro la madre uscì furente dalla stanza
diretto in
bagno a prepararsi per la notte. Si lavò il viso con
dell’acqua
fresca per cercare di darsi una calmata, prima di dare un calcio
contro il cestino degli indumenti sporchi. Quella situazione era
insopportabile. Sua madre lo era. Dopo qualche minuto uscì
dalla
stanza e andò dritto in camera sua e della sorella, stava
appunto
per aprire la porta quando sentì dei singhiozzi provenire
dalla
cucina, e la sua meta cambiò in un secondo. Sua madre stava
piangendo. Non l’aveva mai vista in quelle condizioni, era
sempre
stata una donna forte e sicura di se, in quel momento invece sembrava
un gattino bisognoso di cure. Le si avvicinò senza far
rumore.
“Mamma…
scusa per prima... la rabbia a volte fa dire cose che non si
dovrebbero neanche pensare” mormorò lui sentendosi
tremendamente
in colpa nei confronti della donna che aveva davanti. Sono
proprio una merda. Pensò.
“Che
scusa…avevi ragione… è solo che
è così difficile ammetterlo.
Credi che a me non manca vostro padre? È da quando
è morto che non
riesco a trovare un uomo con cui sto bene mi manca una parte di me
stessa. Ovunque. “ disse Hikaru “ Credi che non me
ne sia accorta
di tua sorella? Ma cosa posso fare? Se non lavoro l’affitto
non si
paga, come potremmo mai campare? Ma con il lavoro perdo tutti gli
attimi della vostra crescita…ma dimmi come devo fare?
Come?”
scoppiò a piangere.
“Mamma
non piangere dai..:” furono le uniche parole che lui
riuscì a dire
abbracciandola. Svariati minuti più tardi sentì i
singhiozzi
affievolirsi segno che la madre si stava pian piano calmando.
“Forse
è meglio che vai a dormire sei stanca, oggi hai lavorato
tanto”
mormorò lui, staccandosi da lei, le sembrava improvvisamente
più
vecchia di cento anni. Il motociclista si alzò e si diresse
definitivamente in camera sua, era l’una passata e aveva
bisogno di
dormire, e soprattutto di pensare.
Appena
Usagi sentì la porta della loro camera aprirsi chiuse gli
occhi
facendo finta di dormire cercando di trattenere il pianto che saliva
veloce agli occhi. Sentire sua madre piangere l’aveva colpita
profondamente, e si sentiva terribilmente in colpa. Se non avesse
fatto intendere ad Haruka che era triste perché non avrebbe
potuto
andare a vedere il concerto, tutta quella litigata non ci sarebbe mai
stata. E l’unica figura genitoriale rimastole non sarebbe
stata
così male. Sentì lui girarsi più volte
nel letto, dopo di che fu
colta dal sonno.
***
Appena
giunta in camera Michiru si sdraiò sul letto e
fissò il soffitto,
non che fosse così interessante un muro bianco, ma il suo
cervello
era troppo impegnato a elaborare ciò che pochi minuti prima
era
successo in giardino tra lei e Seiya. Con una mano si toccò
il naso
nel punto esatto in cui l’aveva sfiorata il bruno. Non
c’era
nulla di diverso, ma quel tocco così istintivo creatosi per
un po’
di crema dei cannoli che lei goffamente si era spalmata sul naso
aveva provocato in lei una sensazione diversa. In compagnia del
ragazzo stava bene, anche se non riusciva a dimostrarlo come avrebbe
dovuto, la sua presenza anche se non sembrava le faceva piacere,
ciò
non voleva assolutamente dire che provava qualcosa per lui, ma non
poteva escludere questa ipotesi. Non in quel momento almeno.
Se
veramente si fosse innamorata avrebbe solamente condotto il gioco dei
suoi genitori, che cercavano di lasciarli soli il più
possibile in
casa, chissà con quale intento. O meglio l’intento
era fin troppo
chiaro per i suoi gusti. Sbuffò stizzita. I suoi pensieri si
concentrarono sul concerto dell’indomani, sarebbe stato il
primo in
cui si esibiva da solista e un po’ di agitazione
c’era,
solitamente era sempre stata accompagnata dal padre o dalla madre,
anche se ovviamente suonavano i pezzi scritti da lei. Quella volta
suo padre e sua madre sarebbero stati tra il pubblico in prima fila
insieme alle autorità pronti a crogiolarsi nei complimenti
che
avrebbero ricevuto in sua vece per aver allevato una ragazza prodigio
come più volte l’avevano apostrofata i giornali
cittadini. Se
sapessero a cosa doveva questo suo immenso talento sarebbero rimasti
tutti di sasso, era brava è vero. Ma la sua bravura nasceva
dalla
necessità di esprimersi, perché non riusciva a
farlo in altro modo.
Per questo la sua musica era emozionante, vera: perché in
essa erano
contenute le sue emozioni. Le sue e di nessun’altro.
Sensazioni che
ritornavano a vivere ogni volta che suonava un brano su un
palcoscenico o ad una festa che i suoi organizzavano alla villa
periodicamente. E doveva ammettere che Seiya in questo ci aveva
pienamente azzeccato tre giorni prima, come aveva detto?
“Sorprendente come riesci a esprimere ciò
che senti nel
profondo della tua anima” . Forse quel ragazzo era
più
intelligente di quanto non sembrasse. Sbadigliò sonoramente
prima di
sentire la macchina dei suoi genitori percorrere il vialetto, era
quasi ora di cena ed erano tornati a casa puntuali come sempre. Lei
invece era stanca, se avesse potuto si sarebbe addormentata per
risvegliarsi l’indomani sera dopo il concerto,non aveva la
minima
voglia di suonare ma era costretta. Iniziò a sfogliare il
suo
quaderno dei disegni, e in prima pagina trovò il suo simbolo
artistico, lo aveva disegnato lei stessa: una chiave di violino
intrecciata ad una moltitudine di rose fucsia, era il disegno che
compariva su tutti i biglietti dei suoi concerti da due anni a quella
parte. Si sentiva così simile ad una rosa: fragile, delicata
ma al
tempo stesso pronta a pungere qualsiasi persona che avesse tentato di
farle del male. Per quello aveva scelto le rose, e la chiave di
violino fu un’associazione immediata per via del suo talento
musicale. Gli altri disegni erano studi preparatori per qualche
dipinto che aveva finito e con il quale aveva più volte
partecipato
a delle mostre, organizzandone anche di proprie. Pian piano
sentì le
palpebre farsi sempre più pesanti.
“Signorina
Kaioh i suoi genitori l’attendono per iniziare la
cena” la voce
della domestica risuonò dopo un tempo imprecisato vicino al
letto.
No non aveva voglia di alzarsi, aveva solamente voglia di dormire.
“Di
a mio padre che non mi sento bene e preferisco rimanere a
letto”
mormorò senza aprire gli occhi “Non ho molta
fame” mentii, in
realtà avrebbe potuto mangiare una balena intera, ma la poca
voglia
di vedere le persone che l’avevano data alla luce, e
soprattutto il
bruno le davano dei buoni motivi per spingerla a rimanere a letto e
fare la finta malata ben sapendo che i suoi genitori avrebbero
preferito farla riposare, piuttosto di rischiare di dover annullare
all’ultimo momento il concerto in programma per la sera
seguente.
In fondo era sempre stato così, a loro interessava della sua
guarigione solo e solamente se c’era un concerto di li a
pochi
giorni. Sprofondò in un sogno tranquillo e senza sogni.
***
24
ore più tardi
Dopo
una cena veloce costituita da quattro tramezzini e un insalata con
mozzarella, pomodori, olive, mais e wustel era corsa a finire di
prepararsi, da li a poco più di mezz’ora doveva
lasciare la villa
per recarsi al teatro in modo tale da arrivare mezz’ora prima
del
concerto. Si mise un vestito rosso, con una gonna molto semplice e
dritta anche se un po’ a campana che le arrivava poco sopra
il
ginocchio, poi legò il nastro che partiva dal corpino dietro
al
collo. Si tirò su parte dei capelli fermandoli dietro con
una
piccola rosa rossa, e completò il tutto con un po’
di rossetto
rosso e un filo di rimmel e matita. Scarpe e borsa bianche. Dopo di
che prese il suo fidato violino e si avviò verso
l’ingresso
dell’appartamento, qui trovò Seiya già
pronto in giacca e
cravatta nere.
“Sei
bellissima” disse il moro sorridendole e porgendole il
braccio,
gesto che non sfuggì alla violinista.
“Grazie”
mormorò arrossendo come un pomodoro, molto probabilmente
aveva il
viso della stessa tonalità del suo vestito. “I
miei sono già in
macchina?” chiese poi. Porgendo il braccio al ragazzo per
prenderlo
a braccetto.Alla
fine che cosa poteva fare di male? Niente. Il
contatto con il braccio di lui provocò in lei la stessa
sensazione
che aveva sentito il pomeriggio prima in giardino. Che non accennava
a diminuire, anzi tutto il contrario: era costante e presente nel suo
essere.
Qualsiasi
cosa indossa ha un’aurea di eleganza che le alleggia intorno.
Chissà se anche lei prova ciò che sto provando
io. Pensò il
bruno osservandola prima di rispondere.
“Si
ci stanno aspettando, sarà il caso di andare
quindi” le rispose
sorridente, un sorriso che le scaldava decisamente il cuore e che
stava benissimo su quel viso perfetto.
I
due ragazzi si diressero insieme giù dalle scale
sull’ingresso
della villa davanti alle quali la macchina nera era già
accesa con
le luci che illuminavano il prato di fronte. I suoi genitori
parlavano non curanti del loro arrivo con l’autista, molto
probabilmente per cercare di individuare la strada meno intasata a
quell’ora della sera. Seiya le aprì gentilmente la
porta per
permetterle di salire.
“Grazie”
mormorò lei donandogli il primo sorriso da quattro giorni a
quella
parte, dopo aver chiuso si mise a fissare al di fuori del finestrino
come era sua abitudine fare per distrarsi dal concerto imminente. Si
perse dopo pochi minuti a osservare le luci della città, in
particolare fissò il mare, una distesa nera come la notte
che si
muoveva ritmicamente, il teatro dove avrebbe suonato era proprio al
termine del lungo mare e illuminava parte della baia riflettendosi
sull’acqua. In una decina di minuti raggiunsero la loro meta
e
l’autista si diresse verso l’entrata secondaria del
teatro
riservata all’ingresso degli musicisti o degli attori. Il
parcheggio era già gremito da auto di tutti i generi: dalle
porsche
carrera alle utilitarie familiari.
L’ingresso
riservato agli artisti era molto sobrio, e non aveva niente a che
vedere con l’ingresso decisamente più elegante e
sofisticato
riservato al pubblico, il quartetto fu accolto da uno dei
responsabili del teatro che ormai la violinista conosceva fin troppo
bene, l’uomo diede loro il benvenuto esibendosi in un
perfetto
baciamano sia nei confronti della signora Kaioh che della figlia che
si limitò a sfoderare uno dei suoi migliori sorrisi di
cortesia
senza rispondere.
“Miss
Kaioh se vuole il suo camerino è già
pronto” le disse.
“Grazie
mille, con il vostro permesso andrei a prepararmi allora”
mormorò
lei prima di salutare e dirigersi verso la stanza ormai estremamente
familiare in quanto era stata riservata dai suoi genitori alla sua
famiglia. Solite manie di grandezza che lei tollerava a stento, avere
un camerino come tutti gli altri era così indignitoso?
Poco
dopo che era da sola nella stanza dove spiccavano un ampio specchio
appeso ad una parete sopra una scrivania e una poltroncina davanti ad
essi di velluto rosso, sentì bussare alla porta.
“Avanti”
a quella parola Seiya fece il suo ingresso, andandosi poi a
stravaccare senza fare troppi complimenti sulla poltroncina
“Non ne
potevo più dei discorsi che stavano facendo, mi sono
defilato”
mormorò con un tono al quanto stizzito.
“Io
è tutta la vita che sento questi discorsi pensa un
po’ che culo”
arrossì subito dopo per l’espressione poco
femminile che le era
uscita dalle labbra “Scusami… non volevo fare
un’affermazione
così… poco consona al mio livello per cosi
dire… culturale”
cercò di rimediare mentre afferrava il prezioso Stradivari
per
accordarlo, per il moro anche quei suoni così scoordinati
tra loro
erano una melodia meravigliosa.
“Posso
capire perché ti scusi?” disse lui prendendo il
quaderno ove erano
contenuti gli spartiti, con una copertina color blu scuro.
“Perché
comunque un espressione come “culo” non
è certamente adatta
visto il cognome che porto” rispose torva “Comunque
non penso che
ci capirai sono tutti spartiti” rispose lei senza smettere di
saggiare con precisione ogni nota del suo strumento alla ricerca di
qualche stonatura.
“Io
dico che devi farti meno problemi sai? E pensi molto male, si da il
caso che il sottoscritto suoni una chitarra elettrica per
hobby”
rispose lui sfoderando un sorriso da far girare la testa a chiunque.
Ma non a lei. Alla quale provocò solamente una strana e
minima
sensazione.
“Ah
davvero? Non lo avrei mai detto!” rispose lei stupita mentre
guardava l’orologio. “Sarà meglio che
vada, tra cinque minuti
devo essere sul palco” mormorò lei afferrando lo
strumento.
“Ehi
ma questi non ti servono?” Le disse lui sollevando il
quaderno con
gli spartiti.
“No
non mi servono, ti conviene raggiungere il tuo posto a sedere in
platea oppure non ti faranno più entrare poi”
disse lei sparendo
nel corridoio.
Un
quarto d’ora più tardi era li, con un centinaio di
occhi puntati
addosso che la osservavano dal buio della sala davanti a lei. I suoi
genitori in prima fila che la guardavano con un espressione che non
tollerava sbagli o brutte figure. Si sentiva sola. Era terribilmente
sola. Le ragazze presenti in sala molto probabilmente avrebbero
ucciso per essere al suo posto, per una vita così agiata,
per
studiare nel miglior istituto cittadino. Lei no. Perché
sapeva che
in tutto quello sfarzo mancava la cosa più importante:
l’amore dei
propri genitori. Era li sul palco a preoccuparsi di due persone che
non si chiedevano minimamente se era giusto o sbagliato lo stile di
vita che le stavano donando. Perché secondo loro poteva
solamente
essere giusto.
Decise
di non pensarci mentre posizionava il suo miglior amico e confidente
sulla spalla per poi posizionare l’archetto sulla corda a cui
era
assegnato l’attacco del brano.Forza Michiru
ignorali. Pensò
tra se e se, un attimo prima che una melodia dolce si levò
dal
palcoscenico.
*
* *
Usagi
fece ingresso
nell’Auditorium attaccata affettuosamente al braccio del
ragazzo,
perfettamente consapevole che agli occhi degli sconosciuti potevano
essere scambiati per una coppia di fidanzatini. Intorno a lei gli
sguardi invidiosi delle ragazze che come lei erano andate a vedere il
concerto. La sala dove si teneva il concerto era molto moderna,
bianca con le poltrone per gli spettatori nere, sopra il palco il
soffitto disegnava una rosa molto sofisticata all’interno dei
contorni era tutto rigata, e non ci volle molto tempo a capire che
l’aria condizionata proveniva proprio da quelle fessure,
erano
stati più volte in passato in quel teatro ma non se lo
ricordava
affatto così stupefacente. Si girò verso il
biondo al suo fianco e
lo abbracciò.
“Grazie
Haru, è un regalo bellissimo ciò che hai fatto,
sei la persona
migliore del mondo” esclamò scoccandogli un
baciò sulla guancia.
E strappando un sorriso sghembo a lui che non amava molto le
effusioni affettive.
Pochi
istanti dopo le luci in sala calarono, e prima dell’inizio
dello
spettacolo fu trasmesso il solito messaggio automatico che intimava
ai presenti di spegnere i dispositivi cellulari in modo tale da
limitare se non eliminare del tutto le interferenze con
l’audio.
Dopo qualche secondo di buio le luci illuminarono il palco rivelando
la violinista al centro di esso che reggeva il violino poco sotto la
vita sorreggendo con il mignolo della stessa mano anche
l’archetto.
La bionda dai buffi codini era emozionatissima e non riusciva a stare
un attimo ferma sulla sedia.
Difficile
spiegare ciò che avvenne in Haruka dal punto di vista
emotivo al
vedere quella creatura così splendida e perfetta su quel
palcoscenico. In televisione era molto carina, ma dal vivo era
bellissima, sembrava uscire da un dipinto di Michelangelo o
Raffaello. Sentiva il proprio essere palpitare alla vista di quella
figura, come se un tornando o un vento violento la sferzasse
dall’interno, muovendo i lati più reconditi del
suo essere. Quando
poi quella visione angelica iniziò a intonare le note che
avevano
fatto innamorare metà della popolazione della
città e non solo,
quella sensazione di stravolgimento aumentò.
Quella musica che
poteva apparire così dolce, a tratti aggressiva e ad altri
triste e
drammatica, sentiva che gli appertenesse, sentiva che ciò
che
comunicava la musica comunicava le stesse emozioni che sentiva lui:
solitudine, dolore, tristezza, repressione. Sensazioni vivide,
intense, da mozzare il fiato. Che ti rapivano nel profondo portandoti
a tirare fuori un lato di te stesso che non avresti mai immaginato di
possedere, e che era sicuro era lo stesso che possedeva quella
creatura angelica.
Angolo
chiarimenti:
Yakuza:
Corrispondente della mafia italiana in Giappone. Non è altro
che la
mafia giapponese.
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Capitolo 4 *** Dopo il concerto ***
4^Capitolo:
Dopo il Concerto.
Appena
la nota di arrivederci si alzò dalla cassa armonica del suo
compagno
più fidato svanendo nella sala pochi istanti dopo, dal
pubblico si
levò un fragoroso applauso, ma gli occhi
dell’artista andarono
immediatamente a scorrere la prima fila ove sedevano i suoi genitori,
per cercare di capire mentre eseguiva un grazioso inchino se aveva
colmato le loro aspettative o, al contrario, le aveva deluse.
I
coniugi Kaioh, però, erano già impegnati con i
convenevoli con
delle svariate autorità presenti quella sera al debutto da
solista
della figlia. Lei invece corse dietro le quinte senza indugiare
molto. Non ne aveva voglia. Quella visione le metteva più
nervoso
del dovuto. Arrivata nel corridoio dove si trovava il suo camerino
scorse la figura di Seiya , era appoggiato al muro a braccia conserte
proprio di fronte alla stanza verso la quale si stava dirigendo.
“Che
ci fai qui?” disse appena lo ebbe raggiunto, mentre faceva
scorrere
il pass nel lettore della serratura.
“Lo
sai che non sopporto molto i tuoi no? Comunque non volevo lasciarti
sola, ho la sensazione che i tuoi saranno impegnati per un
po’..”
rispose lui alzandosi dal muro.
“Com’erano
i miei? Contenti?Hanno detto qualcosa?” domandò
lei di rimando,
con un tono ansioso, temeva di aver compiuto qualche errore di cui
non si era accorta e per cui si sarebbe presa a casa una sonora
ramanzina.
“Si
mi sembrava di si, non si sono lamentati di niente…ma
neanche si
sono profusi in complimenti” rispose lui “Ma poi
scusa a te cosa
te ne importa? Hai suonato divinamente, anche se hai sbagliato una
nota di mezzo tono, cosa che non mi sembra di aver percepito,
fregatene no?” il bruno era irritato dalla rassegnazione con
il
quale la ragazza affrontava la vita che le girava intorno, senza
però
travolgerla in modo significativo.
“
Tu
non conosci i miei genitori” gli rispose mentre allentava i
crini
di cavallo che costituivano l’archetto del suo violino per
poi
riporli nella custodia, dalla parte del coperchio, dopo di che prese
un fazzoletto di carta e pulì la cassa armonica dello
strumento
dalla resina.
***
Appena
la violinista suono l’ultima nota, parte del pubblico in sala
si
alzò in piedi e Usagi era tra questi, con gli occhi pieni di
felicità per la musica appena sentita che l’aveva
riempita di
emozioni e soprattutto ricordi legati alla sua infanzia quando ancora
era presente il suo papà, che aveva notato la Kaioh ancor
prima che
sfondasse nella musica in quel modo.
Haruka
al suo fianco invece faceva altri pensieri, il suo cervello infatti
era andato in tilt quando l’artista aveva fatto il suo
ingresso
nella sala e da quel momento aveva deciso di non funzionare
più.
Doveva assolutamente pensare a qualcosa per rivedere
quell’angelo
che aveva catalizzato la sua attenzione per quelle due ore. Ma come
poteva fare?
“
Haru,
io devo andare in bagno…mi scappa” gli disse la
sorella
voltandosi verso di lui dopo aver preso la giacca dalla poltrona alle
sue spalle.
“Ok
allora vai ti aspetto dall’ingresso, sai tornarci
no?” rispose
lui, con la testa che pensava sempre a quel bel chiodo fisso che non
aveva nessuna intenzione di andarsene, anzi! Guardò la
sorella
alzarsi e abbandonare la fila per andare ai servizi, lentamente
intorno a lui la sala si stava svuotando e man mano il vociare calava
fino a spegnersi. Una decina di minuti più tardi rimase
totalmente
solo in quella sala, fisso il palco mosso da chissà quale
desiderio
di vederla riapparire per suonare un brano solo ed esclusivamente per
lui. Si maledisse da solo per quanto era ridicolo a pensare solo e
minimamente che lei potesse averlo in qualche modo notato nel buio in
mezzo a quel centinaio di persone che la adoravano quasi fosse un dio
in terra.
Usagi
nel frattempo si era avviata nel corridoio del teatro che portava
all’entrata della sala alla ricerca del bagno, sapeva che era
da
quelle parti, se lo ricordava fin da quando anni prima i loro
genitori li accompagnavano a vedere spettacoli di ogni tipo, il
corridoio era piuttosto anonimo, dai muri bianchi e dal pavimento in
legno rossiccio, così come il battiscopa, il suo sguardo si
posò
sulla freccia che indicava i bagni e svoltò da quella stessa
parte.
Trovò nel disimpegno dove vi erano cinque lavandini svariate
donne,
dai bellissimi ed elegantissimi abiti e sentì le sue guance
divenire
rosse al solo pensare quanto fosse anonimo ciò che
indossava.
Nessuna firma importante le rivestiva il corpo. Si sentì
improvvisamente fuori posto tra tutto quello sfarzo.
“Tesoro
devi andare in bagno?” la voce di una donna dai capelli bruni
raccolti dietro al capo la riportò alla realtà,
indossava un abito
rosso carminio, che metteva in risalto il suo seno prosperoso, la
stava fissando con i suoi neri, in attesa di una sua risposta.
“Si
grazie mille” rispose lei infilandosi nel primo bagno libero
sperando che quando ne sarebbe uscita fosse stata sola.
Dopo
aver tirato lo scarico girò la chiusura del bagno e dopo di
che si
lavò le mani con il sapone, decise di non asciugarsele per
sentire
un po’ di fresco in più nonostante
l’aria condizionata fosse
accesa e ben funzionante. Fatto questo uscì nuovamente nel
corridoio
e si guardò intorno non sapendo bene da che parte andare per
ritornare verso l’ingresso, decise di percorrere il corridoio
verso
sinistra, non sapeva se poteva essere quello giusto ma dalla parte
opposta era esattamente della stessa lunghezza, e soprattutto
identico. Raggiunse in breve tempo la fine del corridoio e
voltò
verso destra, le ballerine che risuonavano a contatto del pavimento.
Quel corridoio però non lo aveva mai visto, o era
semplicemente una
sua impressione? Forse era solamente enormemente confusa ed era
solamente frutto della sua immaginazione il fatto che avesse
sbagliato strada.
***
Dopo
aver posto nella custodia il violino si voltò verso Seiya
scoprendo
che il bel moro era proprio accanto a lei, quella vicinanza
così
improvvisa le provocò strane sensazioni che le percorsero
tutto il
corpo, si sentiva a disagio quasi in imbarazzo. Capirai che
novità!
Con lui era sempre stata in imbarazzo, ma quella volta era diverso.
Era una sensazione diversa, e sentiva gli occhi del bel moro puntati
su di lei.
“Perché
mi fissi? Ho forse qualcosa fuori posto?” mormorò
girandosi a
fissarlo incuriosita, e in effetti pensò lui, una cosa fuori
posto
l’aveva: una ciocca si era liberata
dall’acconciatura tenuta
insieme da dei ferretti e le era ricaduta scompostamente su una
spalla.
“A
parte questa, niente di più” le
sussurrò lui fissandola mentre le
rimetteva apposto il ciuffo, provando inspiegabili emozioni quando i
suoi polpastrelli sfiorarono il viso di porcellana della violinista,
avrebbe voluto rimanere li in eterno, in quella specie di incantesimo
che si era creato nel silenzio di un gesto così semplice,
così
casto. Si persero nel loro contatto visivo, godendosi quei lievi
attimi di un’intimità appena accennata.
Michiru
ma cosa credi di fare?Una voce ai lati della sua coscienza la
riportò alla realtà spezzando
l’incantesimo di cui erano caduti
vittima, riprese lucidità e registrò
immediatamente la presenza
della mano di lui sul lato sinistro del viso , portò la sua
sopra a
quella del ragazzo, come a non sapere cosa fare, come comportarsi.
Sapeva solamente che quel gesto era tremendamente dolce.
“Non
ti preoccupare, un passo per volta” disse lui riportando la
mano
sui fianchi: aveva intuito il cambiamento di lei avvenuto in pochi
secondi, quasi avesse capito la “
gravità” di ciò che stava
avvenendo e il frutto di quella consapevolezza aveva fatto si che il
muro di ghiaccio tornasse al suo posto. Poco male.
L’importante era
sapere che quel muro poteva pian piano essere scalfito, se non
addirittura sciolto.
“Forse
è il caso che raggiungiamo i miei, si staranno chiedendo
dove sia
finita” gli rispose mordendosi il labbro inferiore.
“Si
hai ragione” mormorò, prima di prendere la giacca
di lei per
appoggiargliela sulle spalle, lei afferrò il violino e si
diresse
verso la porta del suo camerino, appena ne uscì
però senza neanche
guardarsi intorno, perché in effetti non ci sarebbe dovuto
essere
nessuno in quel corridoio tranne lei, e in quel caso Seiya,
andò a
sbattere contro qualcosa che sembrava a occhio e croce una persona.
Se non fosse stato per il ragazzo alle sue spalle avrebbe fatto una
rovinosa caduta in terra, per sua fortuna e soprattutto per il suo
prezioso violino questo non avvenne. Guardò la persona che
l’aveva
scontrata. Era una ragazzina di massimo quattordici anni con i
capelli acconciati in due buffi e stranissimi codini in cima ai quali
svettavano due odango rotondi, bionda con gli occhi azzurri.
Ahi
che botta! Fu questo ciò che pensò in
prima battuta Usagi
quando si ritrovò da un momento all’altro per
terra, prima di
fissare le scarpe della persona che aveva rovinosamente scontrato,
come al solito aveva l’abitudine di andare in giro con la
testa tra
le nuvole e come sempre non si era smentita con le sue orrende e
terribili figuracce.
“Vuoi
una mano per alzarti?” una voce sconosciuta ma al tempo
stesso che
conosceva a memoria per averla sentita svariate volte alla
televisione la riportò alla realtà, il suo
sguardo si incammino
dalle scarpe su, lungo il corpo di colei che la stava osservando con
un velato interesse dall’alto. Il suo sguardo
incontrò una gonna
di un vestito rosso appena sopra il ginocchio, e poi finalmente
arrivò a incrociare il suo sguardo con un paio di dolcissimi
occhi
blu, arrossì vistosamente mentre una grandissima emozione si
impadroniva di lei. Era li a pochi centimetri dal suo idolo di sempre
ed era andata a finire in terra dopo averlo scontrato. Usagi
hai fatto proprio una bruttissima figuraccia. Si
disse. “Ehi ci sei? Non ti mangio mica sai!” le
disse.
“Si
scusa e che…vedi non mi aspettavo proprio che fossi
tu…”
biascicò imbarazzata prima di prendere la mano della
violinista e
alzarsi. “Anzi… sc-scusami, non volevo farti
male…” mamma
quanto si sentiva ridicola. Certo che dal vivo era ancora
più bella.
“O
figurati non ti scusare proprio, colpa mia che non ho guardato
neanche prima di uscire dal camerino” le sorrise il suo idolo
“Piuttosto che ci fai in questa zona del teatro, è
riservata agli
artisti e agli attori”
“Ehm…
si… credo di essermi persa” mormorò la
biondina.
“A
ok be allora se vuoi ti aiuto a ritrovare la strada, io e Seiya
stavamo proprio andando all’uscita principale”
disse lei.
“Ok
Grazie” rispose, non sapendo bene cosa dire. Poteva chiederle
un
autografo, in fondo quando le sarebbe capitato di nuovo di stare
così
a pochi passi da lei? Mai più! E doveva sfruttare
quell’occasione.
Si incamminò a fianco della ragazza dai capelli mossi, in
silenzio.
“Eri
al concerto immagino” interruppe il silenzio proprio
quest’ultima.
“Si…anzi
sei bravissima, suoni dei brani incredibili ti ammiro tantissimo sai?
Mio papà era un tuo ammiratore fin da quando eri ancora ai
più
sconosciuta, se fosse ancora qui non ci crederebbe mai”
rispose con
gli occhi luccicanti.
“Grazie…
troppi complimenti” sorrise l’altra.
“Anzi
se non sono troppo indiscreta posso chiederti un autografo?”
buttò
li con non curanza, al massimo le avrebbe risposto di no, sicuramente
non l’avrebbe mangiata o almeno lo sperava!
“Si
certo prendo carta e penna e te lo faccio subito” detto
questo si
fermò poco prima di svoltare nel corridoio e ritrovarsi
nell’atrio
“Seiya tieni un secondo” esclamò
porgendo orizzontalmente la
custodia del violino per tirarne fuori un quaderno di spartiti e una
penna blu mare stilografica, dopo di che sfogliò il quaderno
al
primo foglio libero, e diede un colpo secco per strapparlo.
“Ma
no, hai rovinato un tuo spartito, scusa non volevo”
mormorò
mortificata Usagi.
“Sai
quanti fogli finiscono nel cestino quando compongo? Una miriade! Come
ti chiami?” rispose l’altra mentre scriveva
qualcosa con la sua
calligrafia elegante.
“Usagi…Usagi
Ten’o”
“Usagi…che
bel nome, sai che significa coniglio lunare?” rispose lei
mentre
disegnava accanto alla piccola dedica un coniglio in stile kawaii.
“No
non lo sapevo”
“Tieni”
la biondina afferrò il foglio che le porse
l’artista “ I tuoi
sono nell’ingresso? Dobbiamo salutarci qui perché
appena mi
vedranno sarò sommersa dai giornalisti sai
com’è anche saper
suonare ha i suoi lati negativi…e non immagini neanche
quanti
siano” mormorò.
“Ok
nessun problema…grazie ancora…d’avvero
non avrei mai immaginato
di incontrarti…anzi scontrarti!” rispose
l’altra prima di
avviarsi felicissima verso il fratello che l’attendeva con la
schiena appoggiata il muro con quella sua area da strafottente che da
sempre lo contraddistingueva, mentre lo raggiungeva non poté
fare a
meno di notare quante ragazze lo osservavano da lontano, e si
sentì
orgogliosa di poter essere l’unica a poterlo abbracciare
quanto
voleva. Suscitando in loro l’invidia più cieca in
assoluto.
“Haruka,
non sai cosa mi è successo!” esclamò
saltando al braccio di lui.
“Che
cosa? Hai fatto una cacca più grossa del solito visto quanto
ci hai
messo?” commentò lui con il suo sorriso sghembo.
“No
Haru! Ho incontrato Michiru… la Kaioh capito?
Guarda!” esclamò
facendogli vedere il foglio con l’autografo.
Le
parole della sorella catturarono l'attenzione del biondo, che si
tirò
su ricuperando la sua postura naturale.
"Dove
l'hai incontrata Usa?" le chiese immediatamente lui.
"
Poco fuori dai bagni perché avevo sbagliato strada, mi ha
accompagnata fino a quella porta li" esclamò lei,
indicandola
con un dito " poi mi ha lasciata per non essere presa di mira
dai giornalisti, è tutta diversa da come la immaginavo molto
alla
mano veramente.. ed è ancora più bella vista da
vicino e dal vivo!"
esclamò la ragazzina emozionata.
"Potevi
mandarmi un sms, così venivo a recuperarti e la conoscevo"
mormorò lui "Così anche io avrei avuto il mio
autografo"
rispose lui, ma alla fine dell'autografo non gli interessava, era la
musicista l'oggetto reale delle sue attenzioni.
***
Circa
un'ora più tardi le sue scarpe col tacco toccarono
finalmente l'auto
di famiglia, l'arco di tempo compreso tra la fine dell'esibizione e
quel momento era stato riempito da mille convenevoli provenienti da
persone che lei nemmeno conosceva e con la quale non aveva mai
scambiato alcuna parola. La stanchezza della giornata iniziava a
pesarle, nonostante fosse abituata a quella vita estiva il suo fisico
non era del suo stesso avviso.
Durante
l'inverno era tutto estremamente più semplice con la scuola
di
mezzo, era forse impegnata molto di più ma almeno con la
scusa dello
studio i suoi concerti venivano ridotti solo al periodo di Natale per
farla concentrare nel rendimento scolastico e negli allenamenti della
squadra di nuoto della quale lei faceva parte essendone il capitano.
Le vacanze estive invece per lei erano una prigione da cui non
riusciva a scappare e che ogni anno le diventava sempre più
stretta.
Dietro in macchina con lei c'erano sia Seiya che sua madre, la donna
era in mezzo a loro.
I
suoi pensieri si andarono a posare a quando era stata da sola nel
camerino con il ragazzo che era al suo fianco, nei sedili posteriori
dell’auto. Sul dolce imbarazzo provato, ma soprattutto si
concentrò
sull’alchimia che si era venuta a creare
nell’istante stesso in
cui il bruno le aveva spostato il ciuffo di capelli sfuggito alla sua
pettinatura. Non sapeva come definire tutto ciò, era
perfettamente
sicura che forse non era il caso di fidarsi, soprattutto di uno che
sembrava avere tutto l’appoggio dei suoi genitori. Ma fatto
sta
che, in quei giorni, Seiya era riuscito a scalfire quella corazza che
negli anni si era eretta intorno a se, più simile ad un
guscio dal
quale affacciarsi ogni tanto pronta a nascondervisi appena ce ne
fosse stato bisogno. E il tutto si era verificato senza che lei se ne
accorgesse, fino a quel momento per lo meno.
Il
solo pensiero di correre il rischio di essere presa in giro le
baluginò nella mente, si voltò verso il ragazzo e
vide il suo
profilo un po' di sbieco mentre anche lui come lei fino a pochi
istanti prima osservava come ipnotizzato le luci dei locali e dei
lampioni davanti a se. Forse perché si sentì
osservato voltò dopo
qualche attimo il viso e i loro sguardi si incrociarono, sul volto di
lui si dipinse il migliore dei sorrisi. No era impossibile che lui
era come tutti gli altri, pronto a ferirla sparendo dalla
circolazione, il suo affetto sembrava molto sincero. E se non lo era,
il bruno era molto bravo a fingere. Come gli altri incontrati in
passato. Arrossì con la paura di essere apparsa troppo
sfacciata a
fissarlo in quel modo, un arrossamento accompagnato da un muto e
imbarazzato sorriso nell'oscurità che a intervalli regolari
piombava
nell'abitacolo.
Il
moro era rimasto sorpreso da come la violinista nonostante fosse di
nobili origini si fosse aperta in presenza di quella ragazzina che
l'aveva scontrata. Al suo posto il novanta per cento delle nobil
donne avrebbe snobbato se non altro umiliato una plebea, poco importa
se questa era poco più che una bambina. Questa sfumatura
della
ragazza provocò in lui alcuni pensieri sul perché
con lui invece
fosse così gelida, verso quell'ambiente e quella vita che in
molte
le invidiavano lo era.
La
macchina scura ci impiegò pochissimo a percorrere la
passeggiata a
mare che collegava il teatro alla villa di Michiru, nonostante i
semafori a quell'ora tarda il traffico era veramente irrisorio.
Arrivati
alla villa i genitori della ragazza come prevedibile si fermarono in
sala a bersi qualcosa, dando un rapido sguardo alla televisione per
vedere se in qualche giornale di tarda notte ci fossero già
delle
notizie riguardanti il concerto di quella sera. Sembravano avere una
fissazione per il successo, per loro era una droga vera e propria.
Dalla quale era impossibile disintossicarsi, almeno fino a quando
loro non avrebbero voluto farlo, e quell'opzione era al quanto
stramba se non insensata rivolta alle persone che l'avevano messa al
mondo. Come era abituata non ricevette un minimo di complimento da
loro.
“Io
mi ritiro nella mia stanza perché sono stanca”
mormorò lei “Buona
notte” quel disinteresse che affliggeva i suoi genitori le
faceva
sempre un gran male, anche se ormai era la prassi a cui era abituata
da sedici anni, ma si sa che nonostante un abitudine sia radicata,
non vuol dire che essa sia totalmente indolore per chi la subisce.
Mentre si dirigeva verso la sua stanza però, non
poté far a meno di
notare che qualcuno la stava seguendo, molto probabilmente era Seiya,
anzi sicuramente era lui, arrivata accanto alla porta della sua
camera la socchiuse.
“Dovevi
dirmi qualcosa?” chiese prima di entrare voltandosi verso di
lui,
non si spiegava altrimenti il motivo per il quale l’aveva
seguita
fino a li.
“Niente…
volevo solamente augurarti la buona notte, e poi non te la
prendere…”
le disse lui sorridente come sempre, come riusciva ad essere sempre
così allegro? Sarebbe rimasto sempre un autentico mistero
per lei.
“Per
cosa non me la dovrei prendere scusami? Non
capisco…” O meglio,
faceva finta di non capire, se lui si era accorto che c’era
qualcosa che non va anche se la conosceva solamente da una settimana,
come potevano i suoi genitori non accorgersene quando la conoscevano
da sedici anni.
“Per
i tuoi genitori Michiru…” sospirò lui,
prima di trattenere a
stento uno sbadiglio piuttosto rumoroso, che fece sorridere la
ragazza che aveva di fronte. “Sarà meglio che io
vada a dormire,
domani entrambi dobbiamo studiare ed è meglio essere freschi
e
riposati”
“
Si
hai ragione…be allora buona notte ci vediamo
domani” rispose lei
facendo l’atto di entrare in camera sua.
“Michiru…”
si sentì chiamare dopo pochissimi istanti, fu costretta a
riemergere
dalla stanza trovandoselo davanti, fu un istante e sentì le
labbra
del ragazzo sulla guancia. “Sogni d’oro”
mormorò prima di
allontanarsi da lei come se niente fosse successo, lasciandola li in
balia della scossa che le aveva provocato lui con quel semplice
gesto. Dopo averlo visto avviarsi per il corridoio diretto alla sua
camera fece rientro nella stanza, chiudendosi definitivamente la
porta alle sue spalle, dopo di che andò immediatamente a
lavarsi i
denti e poi si infilò sotto le coperte.
***
“Haruka
ma non dire idiozie!” Setsuna lo guardava con uno sguardo che
avrebbe fatto impallidire chiunque.
Non
lui.
Il
biondo la fissò in silenzio, mentre muoveva la bottiglia di
birra in
modo da farne roteare il contenuto.
Ripensava
alla sera prima. Lui ed Usagi erano rientrati quando era già
l’una
passata, cercando di fare il minor rumore possibile, a luce spenta
per non svegliare la madre che già dormiva nella stanza di
fronte
alla loro. Sua sorella era stata la prima ad andare in bagno, per
uscirne poco dopo coi lunghi capelli biondi che liberi dalle
costrizioni a cui erano obbligati durante il giorno
l’avvolgevano
quasi fossero un mantello, indosso aveva il solito pigiama rosa e
bianco, si era diretta verso la scrivania ove era poggiato il foglio
su cui era stato tracciato l’autografo, gli occhi ancora
luccicanti
per le emozioni provate al concerto. Dopo di che, la vide
raggiungere il suo letto e spense la luce proprio nel momento in cui
il motociclista si dirigeva in bagno per prepararsi, si lavò
i denti
e si mise il pigiama prima di andare in cucina a bere un bicchiere
d’acqua. L’abitazione era avvolta nella
più completa oscurità.
Tornato
in camera, impostò il condizionatore al massimo, si
sdraiò nel
letto, facendosi avvolgere definitivamente
dall’oscurità e dal
silenzio tutt’intorno, le tenebre interrotte solamente dalle
luci
che filtravano dalla strada attraverso le tapparelle.
Doveva
rintracciarla. In qualunque modo, non poteva non rivederla,
poteva aspettare qualsiasi altro suo concerto, ma sentiva il bisogno
di parlarle a quattro occhi.
Il
suo pensiero era rivolto solamente a un chiodo fisso: Michiru Kaioh ,
non aveva mai incontrato nessuna in grado di fargli provare delle
emozioni così forti solamente nel suo essere ammirata. Forse
la
musica era stata complice nel dipingere la figura di
quell’angelo
bellissimo comparso sul palco ma quelle due ore erano bastate per
fargli provare il desiderio di rivederla. Era più forte di
lui. Non
poteva resisterle. Quello era l’unico pensiero che gli
martellava
il cranio. Era stato tormentato tutta la notte da quel pensiero,
tanto da riuscire a chiudere occhio solamente verso le sei, per
quattro piccole ore, dopo di che aveva dovuto alzarsi per forza,
quella nottata aveva lasciato come strascico un forte mal di testa
per aver dormito troppo poco, contribuendo a fargli prestare ancora
meno attenzione a ciò che la sua migliore amica gli stava
dicendo.
Non che in condizioni normali le avrebbe dato retta.
“Ruka
ci sei?” la voce della bruna lo riportò alla
realtà.
“Certo!
Stavo solamente pensando” mormorò “E
comunque Sets ormai ho
deciso, devo fare di tutto per incontrarla” aggiunse dopo
qualche
secondo mentre sorseggiava dalla bottiglia, seduto sulla sella della
sua moto, accanto alla quale c’era l’amica.
“Ti
rendi conto di quello che dici? Torna alla realtà per
favore” era
sbigottita, tutto ciò che aveva sentito fino a quel momento
non
aveva senso “ Appartenete a due mondi completamente diversi,
è
matematicamente impossibile che lei ti degni anche solo di un minimo
sguardo, quella è un piccola principessa viziata come solo
lei sa
quanto” provò a convincerlo, con poca convinzione,
ben sapendo che
era un’impresa disperata, che avrebbe solamente arrecato
altro
dolore alla persona che aveva a fianco, e lei come sempre avrebbe
dovuto assistere impotente a tutto ciò. “E poi
come la rintracci?”
chiese all’improvviso.
“Quello
ho già risolto” le disse, pensando alle ricerche
che aveva fatto
su internet quel pomeriggio dopo pranzo “ Abita con
moltissime
probabilità sul lungo mare, come tutti gli abitanti
benestanti della
città”
“E
quindi?” fu incalzata.
“E
quindi ho trovato una nuova zona della città dove compiere
la mia
corsa pomeridiana” le fece l’occhiolino, prima di
lanciare con
una mira perfetta la bottiglia nella spazzatura, dopo di che si
infilò il suo casco integrale sulla zazzera bionda, e dopo
averla
salutata diede gas alla moto prima ancora che lei potesse dirgli
qualcosa. Di qualunque tipo. Ne era sicuro, prima o poi
l’avrebbe
incontrata, avrebbe incontrato Michiru Kaioh.
***
Il
mattino dopo giunse a colazione con un po’ di anticipo, e
trovò
solamente i suoi genitori al tavolo che stavano iniziando a spalmare
della marmellata di mirtilli su delle fettine di pane, poco lontano
dal porta pane c’era una caraffa con succo
d’arancia e le tazze
erano ancora totalmente vuote.
“Buongiorno”
esclamò ancora un po’ assonnata appena sedutasi
sulla sedia, dopo
di che si servì del succo d’arancia e del pane
tostato sul quale
avrebbe poi spalmato della nutella.
“Giorno
cara, senti volevamo parlarti a proposito dei quattro giorni di tour
che io e tuo padre dovremo iniziare la prossima settimana” le
disse
la madre, con un tono falsamente apprensivo.
“E
cosa dovevate dirmi?” chiese lei, senza porre poi molta
attenzione
alla risposta mentre spalmava con una violenza non necessaria la
crema alla nocciola sul pane.
“Seiya
verrà con noi per questi quattro giorni perché
deve tornare a
Tokyo, sai credo debba sistemare alcune cose con
l’Università”
le rispose, questo voleva dire quindi che lei sarebbe rimasta sola
per quattro giorni. Stranamente però invece di essere
contenta come
le altre volte della mancata presenza dei suoi genitori, si
incupì
visibilmente e si limitò ad annuire solamente.
“Buongiorno
a tutti” Seiya fece la sua comparsa più radioso
che mai in cucina,
al contrario dei Kaioh però la ragazza si limitò
a fissare il
piatto in cui c’erano le sue fettine di pane, senza
rispondere.
Improvvisamente non aveva più fame, anzi stare seduta a quel
tavolo
era divenuto all’improvviso troppo soffocante, non sopportava
più
stare li e non vedeva l’ora che la cameriera di casa portasse
il
cappuccino come tutte le mattine.
Il
bruno sembrò non farci invece molto caso all’umore
sotto terra
della violinista, pensò subito che si fosse svegliata male o
che
avesse dormito troppo poco almeno quanto lui, continuò
però a
fissarla più che poteva nella speranza che lei alzasse lo
sguardò
verso di lui, azione che non si verificò neanche quando lei
allungò
la mano per afferrare la tazza con il cappuccino fumante, molto
probabilmente era successo qualcosa in sua assenza, tuttavia i
coniugi Kaioh di cui era ospite non sembravano adirati. Che
l’avessero ripresa per un comportamento errato della figlia
per
quanto riguarda la sera prima che lui non aveva notato? Doveva
assolutamente capire la ragione di quella totale chiusura verso il
mondo esterno. Possibile che quella reazione era stata causata da
quel bacio innocente che le aveva dato sulla guancia? No era
decisamente impossibile, doveva esserci dell’altro sotto. Si
era
sicuramente così.
Mentre
lui era immerso nei suoi pensieri, finalmente lei decise che era
opportuno pronunciare qualche parola.
“Se
non arreco disturbo, preferirei ritirarmi nella mia stanza”
si
limitò a dire, sperando che i suoi le concedessero il
permesso di
sparire da li almeno fino alla lezione che aveva in programma per
quel pomeriggio.
“Certamente
Michiru fai pure” le rispose suo padre. La violinista si
alzò
senza guardare nessuno, era mortificata dalla notizia che le avevano
dato i suoi, era molto immatura quello si, ma c’era rimasta
male
per il comportamento del ragazzo. Si sentiva presa in giro, e in un
certo senso anche abbandonata. Aveva pensato erroneamente che lui non
avesse una vita e degli amici a Tokyo, che fosse come lei e solo in
quel momento si accorse quanto i suoi pensieri fossero egoistici. Era
naturale che lui li avesse, mica tutti erano come lei costrette a
starsene in casa a perdere tempo con lezioni futili e inutili. Mentre
era quasi al corridoio che portava alle stanze sentì una
sedia
spostarsi, qualcosa le diceva che fosse proprio il bel bruno a
essersi alzato per raggiungerla.
Seiya
per favore lasciami stare non ho voglia di parlare, per favore.
Pensò.
Lui era l’ultima persona che avrebbe voluto vedere in quel
momento.
“Michiru
aspetta!!” lo sentì esclamare poco distante da
lei, ma decise
comunque di ignorare quel richiamo, costringendolo ad afferrarla per un
braccio, con più forza di quanto lui avesse realmente
voluto, non
voleva farle male ma doveva scoprire il perché di quella
improvvisa
chiusura anche nei suoi confronti, voleva sapere cosa aveva sbagliato
con lei.
“Lasciami
Seiya!!” fu la risposta gelida di lei, che si volse a
guardarlo con
gli occhi di ghiaccio, del colore del mare in tempesta
improvvisamente molto meno dolci.
“Si
ti lascio ma a patto che parliamo, sei strana stamattina”
rispose
lui allentando la presa intorno al polso di lei. Abbassando lo
sguardo con fare colpevole.
“Non
c’è niente di cui parlare, dopo tutto sono io
stupida a pensare,
che tutti siano come me. Ma giustamente anche tu hai una vita e dei
tuoi amici, e perché no magari anche una ragazza e io non
sono
nessuno” si sentì rispondere, la voce della
pittrice tremava per
il magone. Quanto era stata stupida ad illudersi così tanto.
Ma chi
glielo aveva fatto fare?
“Ma
cosa stai dicendo? Non capisco!! Io sono single, da dove ti esce sta
esclamazione?” rispose stupito lui sgranando gli occhi, ma
che cosa
le prendeva? Non riusciva proprio a capirla.
“
Non
fare il finto tonto Seiya, andrai a Tokyo con i miei
genitori” si
morse il labbro “ e non mi hai detto niente prima di dirlo a
loro”
Sei
ridicola. Pure la scenata gli fai ora. Si
disse dentro di se.
“
Per
questa cosa tu mi fai tutta sta scena?” rispose lui
incredulo, non
si sarebbe mai aspettato una reazione del genere, non da una ragazza
come quella che aveva davanti. Le era sembrata sempre indifferente
alle sue attenzioni, ma quella discussione confermava
l’esatto
contrario.
“Si
lo so sono ridicola, sono stupida solo che…” si
bloccò conscia
che se fosse andata avanti avrebbe parlato troppo, scoprendosi troppi
lati della sua psiche, i suoi punti deboli per giunta. Le sue
mancanze affettive avute durante gli anni della sua infanzia.
“Solo
che?” le domandò lui, con il cuore che gli batteva
a mille, temeva
e insieme desiderava conoscere la risposta alla sua domanda.
“Niente…”
mormorò lei cercando di ricacciare indietro le lacrime prima
che
fosse troppo tardi per poterle fermare, sentì una mano del
ragazzo
appoggiarsi sul suo viso che fu alzato verso l’alto dal
bruno, i
loro occhi ora potevano fissarsi.
“Cosa
ti turba Michiru, dimmelo…magari possiamo trovare una
soluzione.
Non volevo ferirti credimi” nei suoi occhi un sincero
dispiacere
per averla ferita senza volerlo veramente.
“
E
solo che…non voglio rimanere
sola…un’altra volta…”
mormorò
lei sentendo le lacrime scorrerle ai lati del viso.
“Non
rimarrai sola, te lo prometto. Quattro giorni non cambieranno niente
nel nostro rapporto” la rassicurò lui prima di
trarla a se per
abbracciarla. Quella reazione aveva svelato più di quanto
era palese
agli occhi suoi ma anche di qualsiasi altra persona che avrebbe
voluto vedere ciò che vi era da vedere: ovvero una ragazza
sola, che
aveva bisogno di sentirsi amata per quello che è, e non per
le doti
che la natura le aveva donato credendo di farle un immenso regalo.
Tra
quelle braccia si sentiva protetta, al sicuro si sentiva estremamente
scoperta, e vulnerabile per aver dato così sfogo a
ciò che da anni
si portava dietro, e ora lui avrebbe potuto giocare con lei come
voleva. Ma soprattutto ciò che la sua mente si chiedeva era
una
domanda sola: ciò che aveva causato quella reazione, era
forse un
sentimento di gelosia? O era solamente la paura di rimanere sola come
aveva appena ammesso. Aveva la strana sensazione di essersi imbarcata
in qualcosa di tanto grande quanto desiderato, voleva bene a quel
ragazzo conosciuto poco più di una settimana prima. E poteva
essere
sicura che anche lui le voleva bene. E questo per il momento le
poteva bastare, se la sua anima gemella fosse lui o un’altra
persona sicuramente non poteva, ne voleva, saperlo.
Note dell'autrice: Eccovi
il quarto capitolo, grazie a chi ha recensito e a chi ha inserito la
storia nelle seguite ecc... come al solito fatemi sapere come ne
pensate. Mi rendo conto che i capitoli sono un pò lenti, e
ancora la storia non è partita al 100% e saranno
così per altri vari capitoli. Ma spero mi continuiate a
seguire :D
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Capitolo 5 *** Emozioni inaspettate ***
Note dell'autrice:
Eccomi qua con un nuovo capitolo, spero che abbiate passato una serena
Pasqua abbufandovi di cioccolata. Questo capitolo probabilmente non
piacerà ad alcuni lettori, ma tuttativa si rende necessario.
Spero comunque che non molliate la storia, perché andando
avanti le cose cambieranno. Rispetto a tutti gli altri pubblicati fino
ad ora è anche più corto, ma se proseguivo
diventava davvero troppo lungo. Fatemi sapere cosa ne pensate come
sempre, e buona lettura. Ringrazio tutti quelli che stanno
seguendo la mia storia, senza recensire ;)
Capitolo
5: Emozioni Inaspettate.
Quella
mattina si era dovuta svegliare alle otto per via di una lezione con
il suo insegnante privato che sarebbe iniziata alle nove. Non che ne
avesse particolarmente bisogno perché era perfettamente a
conoscenza
delle sue capacità, ma i suoi genitori non volevano sentire
lamentele. Erano convinti che suonare ed esercitarsi, oppure studiare
la Storia dell’Arte erano passatempi di gran lunga migliori
piuttosto di perdere il tempo in spiaggia in disdicevoli
convenevoli.
Lei era la primogenita di una casata antica da
secoli, e per tanto non poteva permettersi di avere un livello di
cultura mediocre, non nei campi in cui i suoi genitori eccellevano.
Sospirò con fare annoiato mentre a intervalli regolari i
suoi
timpani erano solleticati dal tintinnare del cucchiaio contro la
ceramica della tazza entro la quale fumava il the caldo con cui
spesso faceva colazione. Lo sguardo alla finestra poco lontano, dalla
quale filtravano i primi raggi di sole di quella giornata estiva che
per lei sarebbe trascorsa monotona come da copione.
Seiya poi non
si era ancora fatto vedere, e in cuor suo temeva di averlo offeso la
mattina prima con la scenata che si era permessa di fargli, senza
essere in fondo nessuno.
Ripensando alle parole che gli aveva
detto si sentiva tremendamente fragile, come poteva attaccarsi in
quel modo ad una persona solamente per il semplice fatto che sembrava
che a lei ci tenesse? Forse perché a parte la cameriera e
l’autista
in quella casa non l’aveva mai calcolata nessuno, e dai suoi
non
aveva ricevuto chissà quali segni di affetto.
Solo in quel
momento avvertì una presenza dietro di lei e si
girò di scatto
senza badare al fatto che la tazza si rovesciasse permettendo al
liquido trasparente di allargarsi sul tavolo intorno al piattino dove
aveva disposto qualche biscotto anche se la fame era l’unica
cosa
che sentiva non attanagliarle le viscere in quel momento.
“Mi
chiedevo quanto avresti impiegato ad accorgerti della mia
presenza”
le disse il ragazzo verso il quale i suoi pensieri erano rivolti poco
prima, se era
sceso a quell’ora ben sapendo che stava facendo colazione
quando
solitamente lui si alzava pressappoco quando le lezioni con
l’insegnante terminavano verso le undici le donò
un filo di
speranza in più. Non era arrabbiato allora.
“Scusa ero
persa nei miei pensieri” mormorò, tenendo sempre
lo sguardo
basso prima di voltarsi verso il tavolo, tornando a dargli le
spalle.
“Non importa stai tranquilla” le rispose,
avvicinandosi per darle un bacio tra i capelli prima di sedersi al
tavolo per farle compagnia, ben sapendo che i coniugi Kaioh erano
usciti molto presto quella mattina “Ti consiglio di
controllare un
po’ di più il tuo imbarazzo, sembri nuovamente un
peperone”sorrise, aumentando ancora di più il
disagio di lei, che
affondò il viso dietro alla tazza mentre beveva il poco the
che vi
era rimasto dopo il piccolo incidente, senza sapere bene come
comportarsi.
Tra i due scese il silenzio, entrambi non avevano la
minima idea di come agire in seguito a quello che era successo
ventiquattro ore prima, se fosse stato tutto nelle mani del bel moro,
la situazione si sarebbe risolta facilmente. Se seguiva il suo cuore
infatti avrebbe catturato con le sue labbra quelle rosee e carnose
che aveva davanti e che mordevano con lentezza quasi calcolata il
biscotto che Michiru aveva deciso di mangiare, scatenando in lui una
tempesta ormonale senza eguali. Possibile che un gesto così
semplice, potesse suscitare una reazione così improvvisa in
lui? Ne
aveva viste di persone compiere quell’azione, ma la piccola
artista
dal carattere introverso e insicuro era l’unica che riusciva
a
fargli provare un brivido così intenso lungo la schiena. La
bocca
gli era diventata improvvisamente molto secca, rendendogli difficile
anche deglutire mentre le mani erano state invase da una sudorazione
esagerata.
Perché
la stava fissando così?Ignorare
quelle iridi scure e profonde per lei era quasi impossibile, era
davanti a lei, con quel fisico scolpito al quale non aveva dato peso
la prima volta che si erano incontrati alla festa ormai più
di una
settimana addietro, e la stava fissando senza preoccuparsi molto di
apparire troppo impertinente. Il silenzio faceva da contorno a loro,
permettendo al suono del biscotto spezzato di risuonare nei timpani
di entrambi, mentre iniziava a masticare lentamente senza
interrompere il contatto visivo che avevano instaurato qualche
istante prima.
Mi
sta provocando? Quegli
occhi profondi come gli oceani avevano assunto una strana sfumatura
che mai aveva letto in loro, possibile che lei lo desiderasse almeno
quanto lui la desiderava?Era impossibile, anche se la reazione di
gelosia che aveva avuto la sera prima era tutto un programma, da
decifrare.
Senza compiere errori di cui pentirsi
amaramente.
Doveva però ammettere con se stesso che quelle labbra
sul biscotto avevano un non so che di tremendamente erotico, almeno a
suo avviso. Per non parlare poi dell’atto con cui raccoglieva
le
briciole ogni tanto inumidendosi le labbra.
Datti
un contegno Seiya per piacere.
Si
disse da solo, quasi imbarazzato per tutte le elucubrazioni che la
sua mente stava producendo senza che lui riuscisse a fermare quel
fiume in piena sfuggito al suo controllo. Ma era più forte
di lui
non riusciva proprio a farne a meno.
“Signorina
ha finito di fare colazione? Devo dare una ripulita prima che arrivi
il suo insegnante, guardi che macello che ha combinato stamattina sul
tavolo, ma dove ha la testa?” a rompere
quell’incantesimo ci
pensò la cameriera che, comparsa da chissà quale
punto imprecisato
dell’abitazione, aveva pronunciato quelle parole in tono
sbrigativo
senza preoccuparsi di ciò che aveva appena interrotto. Che
poi aveva
interrotto qualcosa oppure era tutto frutto della sua
immaginazione?
“Si scusami, ho rovesciato il tea per sbaglio,
ero distratta” mormorò la ragazza ritornando al
suo contegno
abituale e abbandonando il terzo biscotto finito per metà
sul
piattino prima di alzarsi per permettere alla donna di servizio di
mettere in ordine. Visto che erano le otto e quaranta, decise di
fermarsi in sala e guardare la televisione in attesa del suo
insegnante. Fu raggiunta poco dopo dal ragazzo che tuttavia si
appoggiò al bracciolo del divano senza sedersi realmente su
di
esso.
“Hai programmi per la giornata?” le chiese.
“No il
pomeriggio è libero, al mattino come sempre
lezione” gli rispose
lei, non curante mentre cambiava canale di continuo alla ricerca di
un qualcosa di intelligente da vedere.
“Ti va se dopo che hai
finito lezione facciamo qualcosa insieme?” esclamò
lui. O
la va o la spacca.
“Bo
si poi quando finisco vediamo” si limitò a
rispondere, con
l'attenzione rivolta allo sguardo che le stava rivolgendo poco prima
al tavolo lui. Non le era mai capitato niente del genere, era stato
qualcosa di magnetico e ancora doveva capire che cosa lo aveva spinto
a rivolgerle uno sguardo così intenso.
“Signorina
il suo maestro è arrivato” annunciò la
domestica, dopo aver
tossito nervosamente.
“Si
grazie mille fallo pure entrare” le rispose la ragazza
“Bé
allora a più tardi” mormorò rivolta a
Seiya.
“Se
fai un po' di pausa io sono in camera mia, il mio numero lo hai fammi
uno squillo” le disse prima di avviarsi per il corridoio
diretto
nella stanza dentro al quale era ospitato dagli amici dei suoi
genitori. Entrambi sapevano che la pittrice non avrebbe avuto pausa
fino alle dodici e trenta, ma alla ragazza quel suo interesse
piacque.
“Buongiorno
Signorina Kaioh” la voce dell'uomo che le teneva lezione
risuonò
nella stanza, Aritomo era un signore sulla sessantina di bassa
statura con due baffoni grigi e il capo lucido come una sfera di
cristallo, gli occhi grigi sorridevano bonari da dietro un paio di
lenti a montatura quadrata argentata, prese un fazzoletto dalla tasca
dei pantaloni neri che indossava quella mattina e si asciugo
sbrigativo le gocce di sudore sulla fronte causate dal gran caldo di
quel periodo.
“Buongiorno
Aritomo, dormito bene?” rispose lei sfoderando un cordiale
sorriso,
mentre si sedeva nuovamente al tavolo affianco all'uomo, dopo di che
prese il metronomo dalla sedia alla sua sinistra ben sapendo che
almeno la prima ora di lezione sarebbe stata dedicata al solfeggio
sugli spartiti, e il ticchettio ritmato prodotto da esso l'avrebbe
aiutata in caso che perdesse per qualche millisecondo il ritmo,
eventualità che si verificava ormai molto di rado.
Aveva
sempre odiato compiere gli esercizi di solfeggio, e per quanto
basilari in quanto servivano per dare la durata giusta alla nota
sullo strumento,li trovava noiosi e ripetitivi senza ne capo e ne
coda. Sopratutto quando era ancora piccola e non suonava brani di
difficoltà elevata, poi però con il passare degli
anni e
dell'aumentare della sua bravura tutto era cambiato, e aveva dovuto
dare ragione a ciò che tempo addietro le diceva l'uomo che
in quel
momento sedeva al suo fianco.
Tirò
un sospiro prima di concentrarsi sullo spartito che aveva davanti,
proprio mentre il professore azionava il metronomo.
Erano
ormai quasi le tredici quando Michiru terminò le sue lezioni
giornaliere, che quella mattina avevano compreso anche alcune
tecniche di perfezionamento di composizione che l'avrebbero aiutata
ad affinare le sue capacità compositive nel momento in cui
si
dedicava alla composizione di nuovi brani, anche se ne aveva giusto
tre o quattro da integrare nel suo repertorio al posto di alcuni
ormai ampiamente datati e risalenti a qualche anno prima. In qualche
cartella dove riponeva i vecchi spartiti custodiva ancora gli
adattamenti per gli strumenti suonati dai suoi genitori.
Salutò
il suo insegnante e senza porre molta attenzione a dove poggiava i
piedi si voltò di scatto andando a sbattere contro qualche
corpo
piuttosto duro ma non solido. Mai possibile che sono andata a
finire contro la porta. Mica c'era ieri. Fu il pensiero che
si
formò nella mente della violinista
“Ma
come hobby vai a sbattere contro le persone te?”
alzò i suoi
grandi occhi blu per trovarsi a fissare quelli di lui, arrossendo
visibilmente. Aveva ragione, andava sempre a sbattere perché
aveva
la testa tra le nuvole, in un mondo tutto suo dove il mare poteva
parlarle e i suoi genitori erano eternamente in viaggio così
che
potesse fare quello che voleva, uscire e divertirsi. E non vedeva
l'ora che i suoi partissero per riuscire ad andare al mare, di
nascosto e contro il loro volere, ma a lei la spiaggia piaceva. La
rilassava.
La
faceva sentire a casa.
Avrebbe
voluto che anche Seiya rimanesse con lei, per andare con lui in giro.
Poter disporre della sua compagna quando i suoi non c'erano sarebbe
stato decisamente bello, non avrebbe dovuto preoccuparsi di stare
attenta a ciò che compieva nei confronti del ragazzo in modo
tale da
non alimentare in loro false speranze.
Inutile
sperare.
Loro
sarebbero partiti, e il ragazzo con loro.
Sarebbe
rimasta sola.
Sola
ma libera.
“Ci
sei Michiru?” mormorò lui costringendola a
malincuore a
distogliere lo sguardo dai suoi occhi, non sarebbe mai riuscito a
sostenere al lungo quel mare in cui lentamente stava annegando, e
sopratutto non avrebbe resistito al richiamo delle labbra della
ragazza che lo attraevano come una calamita da quella mattina a
colazione.
“sssi...io
ehm...” biascicò lei senza sapere bene cosa dire
dopo averlo
osservato per tutto quel tempo “Forse è meglio
andare a pranzo che
dici?” propose per rompere l'ennesimo silenzio imbarazzante
che
altrimenti si sarebbe venuto a creare in quella giornata.
Il
menù di quel giorno prevedeva pasta al sugo di polpa di
granchio e
orata al forno, fu consumato velocemente da entrambi i ragazzi che
consideravano il pesce il loro piatto preferito.
Nel
pomeriggio entrambi si spostarono nel giardino a prendere un po' di
sole a bordo piscina, Michiru sulla sdraio con il suo quaderno degli
schizzi per immortalare qualche angolo del giardino sul retro che
ormai conosceva quasi a memoria, tuttavia era convinta che a seconda
del suo stato d'animo e delle variabili meteorologiche ogni schizzo
che aveva compiuto pur uguale per quanto riguarda il soggetto, era
diverso perché immortalato in un attimo unico e irripetibile.
Seiya
al suo fianco non poté fare a meno di osservarla da sotto le
lenti
degli occhiali da sole, percorrendo il suo esile corpo con le iridi,
sul viso le si dipingeva un'adorabile espressione concentrata mentre
si impegnava nel disegnare la sua ennesima opera d'arte, il labbro
inferiore leggermente sporgente rispetto all'altro. Inconsapevole di
quanto fosse lei stessa una meraviglia della natura.
Il
cuore prese a galoppargli a ritmo forsennato nel petto.
Era
ignaro di ciò che colei che aveva al suo fianco stava
disegnando.
Ignaro
che in quel disegno sarebbe comparso anche lui.
E
forse neanche in un ruolo marginale.
Il
tratto sicuro della graffite tracciò le spalle scolpite, il
viso dai
tratti decisi, il codino del bruno che ricadeva sul petto per un
pezzetto anziché dividere in due parti simmetriche la
schiena nuda.
“Cosa
stai disegnando?” gli chiese curioso, dato che dalla sua
pozione
non riusciva proprio a vedere il soggetto.
“Non
posso dirtelo, non svelo mai il soggetto dei miei disegni prima di
averli finiti, altrimenti poi succede sempre qualcosa e non mi
vengono più bene” rispose lei senza spostare lo
sguardo dal
foglio.
“Antipatica”
brontolò lui assumendo una finta aria offesa, e scatenando
un lieve
risolino nell'altra “Comunque miss Kaioh, non so lei ma io
sto
abbrustolendo al sole, ragion per cui gradirei farmi il
bagno”
detto questo il bruno si alzò dalla sua sdraio e si
avvicinò al
bordo della piscina, rimase in bilico per qualche istante prima di
effettuare un perfetto tuffo, degno di un nuotatore di professione,
cosa che lui assolutamente non era. Compiette qualche bracciata per
riscaldarsi e poi torno vicino al bordo della piscina dal quale si
era gettato in acqua.
Quant'è
sexy.Pensò Michiru nell'osservare il suo viso
cosparso dalle
goccioline trasparenti, che colavano giù dalle sue spalle,
si
sentiva improvvisamente attratta da lui, non sapeva quantificare
ancora in quale misura, ma sicuramente non la lasciava indifferente.
In caso contrario non gli avrebbe fatto la scenata di gelosia. O
forse no?
“Vieni
in acqua o hai intenzione di scioglierti sulla sdraio?” la
voce di
lui la riportò sul pianeta Terra.
“Vengo
a bordo piscina, credo di aver freddo se mi faccio il bagno”
mormorò lei, raggiungendolo per poi sedersi con i piedi che
sfioravano l'acqua, leggermente accavallati tra loro. “Quando
hai
il primo esame all'università nella prossima
sessione?” chiese
poi.
“Alla
fine di Settembre, ho ancora tempo anche se ho già iniziato
a
studiare nonostante siamo ancora a inizio estate, ma tuttavia quando
tu sei impegnata con le tue lezioni, mi sentirei veramente in colpa a
non studiare anche io, e poi mi metto avanti e non guasta senz'altro
non trovi?”
“Si
certo anche io durante l'inverno faccio così con i compiti
di
scuola, non vedo l'ora di finire” sospirò,
cercando di non farsi
prendere dalla tristezza che l'attanagliava ogni qual volta pensava
al fatto che nonostante la sua classe fosse piuttosto numerosa, e che
erano insieme ormai da qualche anno, ancora non aveva stretto una
vera amicizia con nessuno.
“Capito,
e dopo? Cosa hai intenzione di fare?”
“Non
lo so ancora, credo che mi dedicherò alla musica
definitivamente, il
lavoro sicuramente non mi manca visto che ho una fila di richieste
per concerti che non finisce più”
“Ma
è veramente quello che vuoi questo?” disse lui
voltandosi appena
per guardarla negli occhi.
Era
veramente ciò che voleva? Non se lo era mai chiesto, aveva
sempre
dato per scontato che doveva fare ciò per cui i suoi
genitori
l'avevano cresciuta, ovvero la musica e l'arte. Per questo motivo non
si era mai fermata a pensare se i suoi desideri erano ben altri. E
ora a quella domanda non sapeva che cosa rispondere.
“Non...
non lo so...non me lo sono mai chiesta” mormorò
con lo sguardo
basso.
“E
questo che non va bene, dovresti chiedertelo; fare le tue dovute
considerazioni e poi scegliere la strada che più ti sembra
appropriata. Altrimenti te ne pentirai a vita, io prima di scegliere
ho vagliato un certo numero di possibili altre vie, dopo ho preso
quella di mio padre e solo ora mi accorgo di quanto possa essere
difficile seguirlo. Avrò comunque sempre un termine di
paragone, più
bravo...meno bravo, insomma puoi capire bene quanto possa essere
complicato.” le disse lui.
“Seiya
io non sono uguale a te...loro...loro non me lo permetterebbero
mai”
quel discorso le stava andando stretto. Le stava iniziando a fare
male. Perché sapeva che il bruno al suo fianco aveva
tremendamente
ragione, stava vivendo in modo passivo la sua vita senza permettere
alla stessa di coinvolgerla veramente, fino in fondo. Il tutto
perché
fin da piccola le era stato detto che era una brava violinista e che
quindi aveva la strada spianata anche grazie al nome che portava.
Ma
quella strada era veramente quella giusta?
Non
poteva affermarlo con certezza.
E non
sarebbe mai riuscita a farlo.
I suoi
non le avrebbero mai permesso una cosa simile.
“E
qui che sbagli, subisci le scelte altrui, senza porti delle domande
al fine di capire se siano veramente quelle giuste” rispose
lui
“Magari giungi alla conclusione dei tuoi genitori, per
carità può
succedere, ma almeno fattele queste domande”
“Non
serve a niente...lo capisci o no?Loro non mi stanno ad ascoltare, non
posso neanche uscire per andare al mare perché per loro
è una
perdita di tempo, come posso proporre qualche altro percorso di
studi? “ disse in tono secco. Prima di alzarsi e prendere il
pareo
per coprirsi e tornare in casa. Con un passo nervoso, mentre si
mordeva il labbro per non cedere alle lacrime come una bambina. Come
poteva pretendere che lei riuscisse a reagire? Era sempre stato
così
fin da quando era piccola, per lei la sua vita per quanto la facesse
sentire diversa dagli altri, era stata la medesima da quando era
nata.
I suoi genitori erano così, punto. Come avrebbero potuto
cambiare se le uniche cose che chiedevano era come era andata la
lezione di musica senza mai preoccuparsi se lei stava bene. Inutile
il suo carattere non sarebbe mai riuscito a imporsi alla loro rigida
educazione.
Arrivata
in camera indossò le prime cose le capitarono a tiro e
accese il
computer portatile per far passare il tempo dopo essersi spalmata la
crema dopo sole. Gli occhi le caddero sull'orologio nell'angolo
sinistro dello schermo, erano quasi le cinque.
Si era
messa a graficare con Photoshop sul computer, e le ore erano volate
più velocemente del normale, succedeva sempre quando aveva
un po' di
tempo libero per modificare le foto, la maggior parte delle quali
erano dei suoi concerti a cui toglieva il colore, faceva fotomontaggi
o similari. Alcune poi nonostante non fosse una grafica
professionista venivano utilizzate per le locandine dei concerti.
Stando agli organizzatori dell'evento, esprimevano il suo modo di
essere e ciò non sarebbe riuscito a farlo nessuno.
Un
bagliore improvviso illuminò il buio in cui era stata
immersa la
stanza con il passare delle ore, subito dopo un fragore potente era
risuonato nel cielo facendole balzare il cuore in gola. Presa com'era
dai lavori al computer non si era nemmeno resa conto che il sole
aveva lasciato posto alle nubi cariche di pioggia e al temporale.
E lei
aveva sempre avuto paura del temporale.
Lo
odiava.
Fin da piccola.
Tentò
di accendere la lampada sulla scrivania, schiacciò
più volte
l'interruttore ma niente. La lampadina non voleva collaborare. Dopo
aver infilato le infradito uscì a vedere com'era la
situazione per
quanto riguardava la cena, ben decisa a non far trasparire il terrore
che ogni tuono suscitava in lei. Trovò Seiya davanti al
televisore
che illuminava almeno in parte la sala d'ingresso, donando un po' di
luce rassicurante nel buio.
“Signorina
ho preso tre candele per la luce, e visto che non potevo cucinare
molto al buio spero che le vadano bene dei toast” la
cameriera era
apparsa con un vassoio tra le mani all'interno dei quali erano
presenti le tre candele più una quarta accesa per far luce
alla
donna, e i piatti con cinque toast. La donna posò sul
tavolino
davanti alla televisione il tutto prima di accendere una delle tre
candele che aveva portato. Dopo di che andò via come era
abitudine.
“I
suoi hanno telefonato per avvisare che a causa del mal tempo
rientreranno domani” disse poi arrivata all'uscio della
stanza “Le
auguro buon appetito e buona notte”
“Grazie
mille per l'avviso e per la cena, buona notte anche a te”
rispose
la ragazza cordialmente mentre si sedeva sul divano vicino a Seiya ma
non troppo. Non voleva che lui si accorgesse del suo timore riguardo
i temporali. Ciò non toglieva che tutta quella situazione
aveva un
non so che di romantico, anche se i tuoni la torturavano a ogni
fragore che sprigionavano nel cielo, e che quella era pur sempre una
cena a lume di candela.
Arrossì
violentemente al pensiero di essere tutta la sera al buio con lui al
suo fianco. Pregando a se stessa che lui non se accorgesse, anche se
l'imbarazzo era decisamente notevole.
“Tieni”
la voce di lui attirò la sua attenzione, le stava porgendo
il
piattino con i tre toast sopra. Lo afferrò prima di sedersi
a gambe
incrociate sul divano di pelle, e iniziò a mangiare in
silenzio.
Michiru
era tesa per qualcosa e non riusciva a capirne la causa, era forse
ancora arrabbiata per le parole che le aveva rivolto quel pomeriggio?
No era impossibile, non credeva affatto che era il tipo di legarsi al
dito una discussione simile.
O
almeno lo sperava con tutto il suo cuore.
Eppure
qualcosa la turbava, la osservò meglio mentre mangiava, ma
ci
volette solamente l'ennesimo lampo per fargli capire il
perché di
quella tensione che leggeva in lei, in pochi secondi infatti se la
ritrovò aderente al suo corpo con il viso nascosto alla base
del suo
collo. Il suo respiro che gli solleticava la pelle, provocando un
accelerazione del battito del bel moro.
Aveva
paura dei temporali.
Poteva
solamente essere questo il motivo che l'aveva spinta a fare un gesto
così poco calcolato, e sopratutto genuino, senza porsi il
problema
di ciò che avrebbe provocato o che lui stesso avrebbe
pensato a
riguardo.
Le
cinse le spalle con il suo braccio destro dopo aver posato la sua
cena sul piatto, sentiva chiaramente il battito di lei furioso sul
suo petto. Il profumo di rose e di mare invase le sue narici.
“Hai
paura dei temporali?” le mormorò dolcemente,
provocando un si muto
in lei che mosse la testa in senso affermativo.
“Non
prendermi in giro” bofonchiò senza muoversi e
stringersi ancora di
più a lui al tuono successivo.
“E
per che mai dovrei?” si sforzò di dire lui,
ignorando il fatto che
sentire il suo corpo così aderente al suo, con solo il
tessuto a
dividerli aveva prosciugato la sua bocca rendendola tremendamente
secca,avrebbe voluto che quel momento durasse un eternità.
“Così...”
ottenne come unica risposta mentre lei si voltava a guardarlo, era
tremendamente vicino al suo viso, e nonostante la paura del
temporale, il suo cuore stava battendo di un ritmo molto diverso da
quello della paura, e poi si sentiva decisamente al sicuro tra le sue
braccia. Provò tuttavia ad alzarsi per assumere una
posizione più
comoda sul divano, scoprendo in tal modo che il ragazzo la voleva
tenere stretta a se.
“Non
ti muovere...” lo sentì sussurrare più
vicino di quando lei aveva
immaginato “Non ho detto quello che ho detto per farti
allontanare
anzi...”
Anzi.
Che cosa voleva dire
quell'anzi? La sua mente
lo aveva catturato subito, ma che significato aveva di preciso? Non
voleva montarsi la testa, ma se lo aveva pronunciato voleva dire che
avrebbe preferito che lei stesse stretta a lui, ma perché?
La
considerava un'amica o qualcosa di più complicato?
Girò appena il
volto nuovamente per vedere dove fosse il viso di lui, a vederlo
così
vicino le si mozzò il fiato, posò lo sguardo sul
viso reso ancora
più perfetto dalla penombra che avvolgeva la stanza grazie
alla luce
della candela. Le loro iridi si incrociarono per un secondo lungo
un'eternità, mentre il suo sguardo saettava fino alle labbra
di
Seiya e poi ritorno. In un segnale che il ragazzo colse al volo
abbassando leggermente il viso per unire la propria bocca con quella
della ragazza, mentre la traeva a se con il braccio dietro alla nuca
di lei. Scoprendo che l'oggetto della sua brama da qualche giorno a
quella parte era ancora più dolce di quanto aveva sognato
nel buio
della sua camera. Di una dolcezza che sapeva appartenere a colei che
aveva davanti. Le morse il labbro prima di staccarsi definitivamente
e osservarla nuovamente negli occhi, il viso rosso per l'imbarazzo o
forse per quel contatto che aveva leggermente scaldato il corpo di
entrambi, gli occhi languidi.
Michiru
non si era aspettata un contatto del genere da parte di lui, si era
anche lievemente irrigidita inizialmente, prima che capisse che non
era uno di quei baci che sotto intendevano qualcosa di più
da dare
immediatamente, no Seiya aveva mantenuto le mani al loro posto senza
allungarle più del dovuto. Le aveva scaldato il cuore.
Compiendo
ciò che per anni i suoi genitori non erano stati capaci di
fare.
Le
aveva stregato il cuore, facendolo galoppare nel suo petto,
provocandogli una morsa allo stomaco come se fosse pieno zeppo di
minuscole farfalle.
E
sopratutto aveva di nuovo voglia di quel contatto.
Una
voglia mai provata.
Ma che
le piaceva.
E
anche più di quanto avrebbe creduto.
Cerco
nuovamente senza dire una parola, con la paura di rovinare
quell'atmosfera che si era creata quel contatto più intimo
di tutti
quelli che li avevano visti nei giorni successivi interagire, ma che
riusciva a farla rilassare senza pensare a nient'altro che non fosse
loro.
Approfondì
leggermente il bacio cogliendo il ragazzo di sorpresa, il bel bruno
aveva infatti creduto dal lieve irrigidimento iniziale avvertito poco
prima, in quanto lei era tra le sue braccia, che fosse stato il suo
primo bacio, ma a quanto pare almeno su quel frangente aveva un
pizzico di esperienza in più. Tanto meglio.
Michiru
Kaioh era il mistero fatto persona.
E lui
non vedeva l'ora di scoprirli tutti i suoi misteri.
Anche
quelli più intimi.
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Capitolo 6 *** Traslochi e dolci risvegli ***
Note
dell'autore: Ciao a tutti! Ecco a voi il sesto
capitolo, questa volta
più lungo del precendente di qualche pagina. Fatemi sapere
che cosa ne
pensate, per migliorare il vostro parere è sempre prezioso.
Grazie a
tutti coloro che hanno messo ultimamente la storia tra quelle seguite.
Al prossimo capitolo, anche se anticipo già una one-shot di
cui ho
quasi ultimato la stesura, dedicata ad un evento avvenuto di recente. A
presto!
Capitolo
6: Traslochi e dolci risvegli
“Cazzo
che botta!!!” Haruka si massaggiò la testa
dolorante dopo il colpo
che si era inferto da solo a seguito della perdita di equilibrio
causata da una scatola che era stata letteralmente lasciata in mezzo
alle palle. Era una delle tre scatole che conteneva i suoi vestiti.
Ma in qualche secondo si era trasformata in un attentato alla sua
incolumità, e chiunque l’avesse lasciata li, era
riuscito nel suo
intento: fargli sbattere la testa contro lo stipite della porta.
Nonostante
la casa non fosse ancora del tutto finita aveva infatti deciso di
farne la sua dimora stabile, più nella speranza di un
eventuale
serata con la violinista che ormai da svariati giorni abitava i suoi
sogni, che per altri reali motivi. Si sentiva al quanto stupido per
tutti i pensieri che faceva in ogni momento del giorno sulla ragazza
alla quale stava morbosamente dando la caccia, lei probabilmente non
sapeva nemmeno della sua esistenza: non gli sembrava proprio il tipo
da interessarsi al mondo delle corse, ancor meno doveva saperne di
quelle clandestine a cui ogni tanto partecipava, soprattutto d'estate
per tirare su qualche soldo.
Sicuramente
i genitori della Kaioh erano quel genere di persone per cui le cose
che faceva lui rappresentavano un attentato alla vita delle persone
della città, ignorando il fatto che se qualcuno si faceva
male alle
due di notte non potevano essere che i piloti che per qualche incauta
manovra andavano a piantarsi contro un muro nell’ipotesi
migliore…nella peggiore? Nella peggiore…era
meglio che non ci
pensava. Altrimenti non avrebbe più corso e di conseguenza
non
avrebbe più guadagnato niente per il sostentamento suo ma
anche
della sua famiglia. Sbuffò scocciato lasciandosi cadere
sulla sedia
della cucina. Unica stanza della casa che era completamente a posto.
Fissò il pavimento bianco che creava un contrasto piuttosto
evidente
con la cucina in stile moderno di color prugna scuro, il tavolo era
con le gambe in acciaio satinato e il resto era invece in vetro, il
frigo era del medesimo colore della struttura del tavolo.
Era
stanco morto, era dalle nove di quella mattina che stava facendo la
spola tra casa sua e l'abitazione in cui si trovava in quell'istante
per portare tutti i vestiti, e poterli così mettere a posto
come
voleva nell’armadio. Setsuna si era offerta di dargli una
mano nel
pomeriggio, prima non poteva perché aveva un impegno che non
aveva
voluto approfondire. Che fosse qualche appuntamento romantico? Mosse
la mano nel vuoto come a sottolineare quanto fosse assurda
l’idea
che il suo cervello aveva appena finito di produrre.
E
chi la sopporta quella? Praticamente nessuno. Nessuno tranne
lui,
l’unico con il quale era riuscita a creare una forte e
intensa
amicizia, senza secondi fini se non quello di sorreggersi e
ascoltarsi a vicenda nel momento del bisogno. E questo gli andava
bene. Troppo bene.
Si
alzò per prendere l’acqua nel frigo e saziare la
sua sete, mentre
apriva sul tavolo il giornale che aveva comprato proprio quella
mattina per vedere se in programma in qualche teatro ci fosse qualche
concerto di Michiru. Non trovò niente, sul giornale
c’erano le
tappe del tour di quattro giorni che i genitori della ragazza
avrebbero iniziato da li a poco, ma il nome di colei che bramava non
compariva, non erano in programma sue apparizioni. Maledizione!Diede
un pugno sul tavolo, imprecando contro se stesso per il colpo inferto
al vetro. Ci mancava solo che lo rompesse pochi giorni dopo il suo
arrivo in quella casa. Capì solamente in quel momento quanto
avesse
ragione Hotaru qualche mese prima quando aveva detto che quel tavolo
in casa sua avrebbe avuto vita assai breve visto il suo modo di fare
degno di un elefante. E in effetti si era sorpreso nel constatare,
dopo aver alzato la tovaglia, che il vetro non si fosse
spaccato.Tanto meglio. Pensò mentre un
senso di colpa nasceva
in lui al pensiero della sera precedente, quando aveva dovuto dire a
sua sorella che si sarebbe trasferito. Era stato difficile per lui,
ma soprattutto per lei accettare il distacco, sempre che lo avesse
già metabolizzato.
“Usagi
senti io da domani mi trasferisco a vivere in un’altra casa,
è
giunta l’ora che io inizi ad essere indipendente sia dal
punto di
vista economico che per la gestione
dell’appartamento” le aveva
detto mentre erano seduti in sala davanti alla televisione, in attesa
che la donna che li aveva dati alla luce finisse di preparare il
pranzo. Aveva osservato quei grandissimo occhi azzurri sgranarsi per
lo stupore e poi in una frazione di secondo mutare la loro
espressione, riempiendosi di lacrime. Aveva osservato il suo labbro
roseo iniziare a tremare. “Non piangere piccola, sarai la
benvenuta
da me, quando vuoi sai che hai una casa in più dove stare,
per ora
c’è solo il letto matrimoniale più
avanti ci sarà anche una
stanzetta tutta per te, te la scegli tu come la vuoi ok? Andiamo
insieme” continuò a dirle sorridendole dolcemente,
fece l’atto
di accarezzarle il viso rigato dalle lacrime, ma ciò che
ottenne in
cambio fu solamente uno schiaffo diretto alla sua mano.
“Non
toccarmi, non mi interessa la camera nuova, non mi interessa la casa
nuova… mi abbandoni, mi abbandoni come ha fatto
papà” la
biondina iniziò a singhiozzare nascondendo il viso dietro
alle mani.
Facendolo
sentire in colpa.
Sapeva
benissimo che era divenuto per sua sorella un punto di riferimento
dopo la morte del padre, anzi non un, ma l’unico punto di
riferimento. E sentirla rivolgergli quelle parole, con quel tono gli
faceva male. Non avrebbe mai voluto farla soffrire.
“Usa,
dai non dire così io non me ne vado come
papà…io sarò sempre con
te, accanto a te ogni qual volta lo vorrai” provò
a mormorare.
“Lasciami
in pace, non mi dire più niente”
esclamò con un tono carico di
rabbia la ragazzina, prima di alzarsi e scappare in camera loro.
Voleva essere lasciata sola, non aveva nessuna intenzione di
perdonare una scelta simile, Alla persona più simile a un
padre che
avesse conosciuto. Era stato ingiusto. Lei non voleva rimanere sola.
E invece ci sarebbe rimasta. Sempre. Senza gli occhi verdi e vivaci
di Haruka quella casa sarebbe stata ancora più vuota di
quanto non
lo fosse già dopo la morte del suo papà. Del loro
papà. La persona
che più aveva amato al mondo, e che le era stata strappata
via dopo
mesi e mesi di agonia. Sradicata come un albero secco dalla faccia
della Terra per colpa di un cancro.
Ricacciò
indietro le lacrime, non aveva nessuna intenzione di piangere per il
litigio avuto con lei, non poteva assolutamente pretendere che lui
stesse a casa per sempre. Voleva i suoi spazi, e se li era guadagnati
con le gare ufficiali e clandestine. E questo gli bastava per non
pesare sulla famiglia. Si stava convincendo dalla sera prima che lui
non aveva fatto nulla, e che sua sorella era solitamente la solita
piagnucolona..
Ma
allora perché si sentiva uno schifo? Perché aveva
tradito sua
sorella, lei che aveva sempre protetto da tutto e tutti da quando
erano rimasti senza una figura paterna, se ne era andato proprio
mentre la sua Usagi si stava trasformando in una donna. Probabilmente
ha reagito così malamente solo perché
è un'adolescente, tra
qualche giorno i suoi problemi saranno altri. Si era
senz'altro
così.
Era
diventata meravigliosa ragazzina, intorno alla quale avevano iniziato
a girare intorno dei fastidiosi mosconi di cui lui si era scoperto
inaspettatamente geloso, anche se non lo faceva vedere. Se solo
qualcuno l’avesse fatta nuovamente soffrire, si era detto,
avrebbe
dovuto vedersela con lui.
E
Ten’o non era mai stato clemente in queste cose.
Tanto
istinto di protezione per quelli al di fuori della famiglia, e non si
era accorto alla fine che l’azione che stava per compiere nei
confronti della sua Usa-chan era ciò che di più
peggiore ci fosse
al mondo. Ma cosa gli era saltato in mente?
“Cosa
hai intenzione di fare ora eh?!!?” la voce di sua madre era
carica
di rabbia, ingiustificata, dolorosa da provare. Ma soprattutto
dolorosa da subire. Rancore che aumentava la consapevolezza di aver
fatto una cazzata. Di quelle grosse, di quelle colossali.
“Mamma
ma cosa devo fare? Devo rinunciare a farmi una vita solamente
perché
papà è morto? Mi sembra che mantengo la famiglia,
più di questo
cosa devo fare, me lo dici?” esplose furente, trattenendo le
lacrime. Qualsiasi cosa facesse era sempre tremendamente sbagliata.
“Potresti
avere più rispetto di tua sorella” lo riprese la
donna.
“Ma
va a fan culo va!!” controbatté lui
“Andatevene a fan culo
tutti. Sai che ti dico? Che andarmene da sta casa non può
che farmi
bene” si diresse verso l’ingresso per poi uscire
sbattendo la
porta.
Sua
madre poi non gli era nemmeno di aiuto, avrebbe dovuto supportarlo,
capire che a ventidue anni aveva voglia di poter godere dei propri
spazi, che desiderava portarsi una ragazza a casa la sera senza dover
dar spiegazioni a nessuno di cosa dovevano fare insieme. Voleva
essere indipendente e cosa importante, voleva esserlo con le sue
risorse economiche. Senza dover chiedere niente a nessuno, in fondo
poteva eccome, bastava usare la testa nella programmazione degli
acquisti per i mobili.
Cosa
c’era di sbagliato in tutto ciò? Non aveva chiesto
alla madre di
stirargli la roba pulita, ne di fargli da mangiare. Eppure colei che
lo aveva messo al mondo non sembrava contenta di questa sua
decisione. L’unica cosa che importava nella sua famiglia e
come si
sentisse Usagi, poi se lui soffriva della situazione non era mai
fregato a nessuno.
Era
così difficile da capire che la morte del padre aveva
scaricato
sulle sue spalle una responsabilità troppo grande? E che
anche lui,
come era convinto chiunque fosse stato nelle sue condizioni, avrebbe
reagito allo stesso modo? Cercando di guadagnarsi un’entrata
fissa
e sostanziosa per poter essere libero?
Già
libero, come il vento ma con il cuore più pesante di un
macigno.
Si
alzò di scatto, doveva uscire, doveva salire in moto e
girare per la
città altrimenti sarebbe sicuramente impazzito a farsi tutti
quei
pensieri.
Aveva
bisogno di evadere, di sentire solamente l’unico che sentiva
che lo
capiva intorno a se: il vento. E aveva già una meta stampata
in
testa.
***
Socchiuse
gli occhi, per poi sbattere più volte le palpebre nel
tentativo di
farle abituare ad una luce che non era quella che era abituata a
trovare al suo risveglio nella sua camera. Molto meno forte,
più
pallida, meno vivace. E soprattutto che non t’invogliava per
niente
ad alzarti dal letto ma che, al contrario, ti portava a girarti
dall’altra parte nel tentativo di immergere il viso nel
cuscino
alla ricerca del buio tanto agognato. In attesa che morfeo ti
accogliesse per una seconda volta nelle sue dolci braccia.
Michiru
respirò nel cuscino profondamente, all’odore di
bucato fresco si
mischiò quello di un profumo da uomo piuttosto pungente,
dandole la
seconda conferma che non si trovava nel suo letto, altrimenti come
poteva spiegare quel profumo sul suo cuscino? Non c’era
assolutamente una scusa plausibile per tutto ciò.
Ripensò alla sera
prima, al temporale e a quello che aveva comportato.
Aveva
baciato Seiya. Al solo pensarlo sentiva le sue guance arrossarsi come
dei pomodori maturi. Mamma che imbarazzo. E
soprattutto perché
si trovava nel suo letto? Che cosa era successo la notte prima? Non
è
che… scosse la testa nel cuscino.Michiru non dire
assurdità!
Hai ancora i vestiti addosso. E impossibile. O forse no?
Forse
non lo era, e magari il fatto che non ricordasse di preciso che cosa
fosse successo era per il fatto che aveva bevuto? Doveva
assolutamente scoprire che cosa era successo la notte prima, e il
motivo per il quale si trovava nel letto del ragazzo. Sarebbe stata
la prima cosa che avrebbe fatto appena lui si fosse svegliato. Si
mosse appena, nel tentativo di girarsi a pancia in su, per fissare
quel soffitto biancastro che li sovrastava beffardo, unico testimone
di quella notte cremisi.
Non ci
riuscì. Arrivata a metà del girò si
andò a scontrare con qualcosa
di morbido, di caldo. Sentì il respiro del moro solleticarle
l’orecchio, erano davvero così vicini? Si strinse
vergognosa su se
stessa, per sfuggire a quel contatto che reputava troppo esagerato,
troppo…intimo. Troppo ricco di perché, di forse e
di spiegazioni
ancora non date. Avrebbe voluto svegliare Seiya, ma quel gesto le
sembrava fuori luogo, inappropriato e, soprattutto, egoistico.
Tutte
quelle domande senza risposta l’avevano svegliata e non era
sicura
che sarebbe riuscita nuovamente a prendere sonno, ed erano solamente
le nove del mattino.
Sentì
muoversi il moro alle sue spalle, movimenti seguiti da un sonoro
sbadiglio che tradiva il suo aprire gli occhi a sua volta, lo
sentì
spostarsi appena da dietro di lei, e fu finalmente libera di girarsi
a pancia in su. E ora? Non sapeva decisamente come iniziare il
discorso, si sentiva così stupida e inesperta su queste cose.
Le sue
compagne di classe avevano avuto già una miriade di
esperienze in
campo amoroso.
Lei
no. Lei era una bestia rara anche da quel punto di vista.
“Buongiorno
piccola” la voce di lui impastata dal sonno ma dal tono
incredibilmente dolce attirò la sua attenzione, le fece
vibrare il
cuore in modo diverso, in un modo mai provato. Mentre sentiva una
morsa impadronirsi del suo stomaco.
“Ciao…”
si limitò a mormorare con lo stesso tono, solo un
po’ più sveglio
di quello di lui mentre sentiva la sua mano accarezzarle i capelli. I
suoi occhi blu si specchiarono in quelli più scuri di lui.
“ Che
cosa è successo ieri
sera….perché…perché abbiamo
dormito
insieme?” gli mormorò.
“Avevi
paura dei tuoni, siamo stati in camera mia a vedere una cosa sul
computer e poi mi giro e dormivi, mi spiaceva farti
svegliare” le
rispose lui con semplicità. E
meno male che non lo fatto, sei bellissima appena sveglia, con i
segni del cuscino sul volto e i capelli un po’ spettinati. Avrebbe
voluto aggiungere. Non lo fece. Aveva paura di turbarla più
del
dovuto, e quella era l’ultima cosa che avrebbe voluto fare.
“Seiya…come
devo interpretare ieri sera?” si decise a chiedere la
ragazza,
tornando a fissare il soffitto, ben decisa a non piangere se la
risposta fosse stata: “un passa tempo”. In fondo
c’era
abituata, tutti la usavano a tale scopo e lei aveva finito ormai da
un bel pezzo di fidarsi dei ragazzi che aveva intorno.
Lui
Non sapeva come gestire la situazione, qualsiasi risposta gli venisse
in mente gli sembrava tremendamente poco appropriata. Aveva paura di
dire troppo, ma allo stesso tempo anche troppo poco. In fondo non
aveva la minima idea di come avrebbe reagito la ragazza e questo lo
turbava e non poco.
“Va
bene ho capito” disse nuovamente la pittrice, mordendosi il
labbro
con più forza del necessario facendo si che le uscisse del
sangue.
Deglutì rumorosamente per cacciare indietro le lacrime che
minacciavano per l'ennesima volta di segnarle il volto. Si
alzò di
scatto dal letto ben decisa a non illudersi in quel modo appena un
ragazzo dimostrava di avere anche un minimo interesse nei suoi
confronti. Sentì il ragazzo muoversi al suo fianco fino a
che la sua
mano non la bloccò per il braccio.
“Lasciami...Lasciami per
favore, non abbiamo niente da dirci” rispose secca, con la
voce che
tremava. Che cosa voleva da lei? Non si era divertito già
abbastanza.
“Posso
sapere che cosa hai già capito? Qualcosa mi dice che le tue
deduzioni siano al quanto errate” lo sentì dire,
si voltò a
guardarlo e lo vide, più bello che mai mentre la luce delle
tapparelle sfioravano le sue spalle, il suo corpo ancora sdraiato.
Aveva un corpo perfetto, scolpito, longilineo e sopratutto
fantastico.
“Che
sei uno dei soliti farfalloni che vogliono prendersi gioco di me,
come sempre il mio intuito non sbaglia mai, lo avevo pensato nel
esatto momento in cui ci siamo parlati la prima volta, e la prima
impressione in fondo è quella che non viene mai
smentita” mormorò
gelidamente lei.
“Se
pensi questo non hai capito proprio niente di me signorina. Ma
proprio niente. Sai cosa significa niente? Mi hai catalogato nel
gruppo di ragazzi sbagliato. Non ti sei mai soffermata a chiederti
perché mi sono mostrato da subito sempre disponibile per
quello che
ero. Non ti sei mai fermata a pensare se ti stavi comportando nel
modo giusto nei miei confronti oppure no. Te lo sei mai
chiesto?”
rispose con una voce carica di ira lui. Vedere che colei che aveva
davanti pensava che fosse il solito stronzo che cercava solamente una
notte di sesso per poi sparire lo aveva ferito.
Lui
non era così, in molti al suo posto avrebbero sfruttato la
notte
appena finita per arrivare fino in fondo toccando le corde
più
intime di quel bocciolo di rosa che aveva davanti, per poi sparire o
trattarla male per allontanarla.
Lui
no, non riusciva a farlo ne lo avrebbe mai voluto. Perché
non lo
avrebbe mai creduto ma si era innamorato della Kaioh. All'inizio era
scettico, pensava che fosse solamente la solita ragazza viziata
figlia dell'alta società almeno quanto lui.
Ma poi
aveva imparato a conoscerla in quei quasi dieci giorni che avevano
passato insieme, giungendo a capirla. Capire i suoi silenzi,
ciò che
la faceva soffrire di più. E capendo anche che non sarebbe
mai stata
felice fino a quando non avesse potuto fare una vita da sedicenne
normale, andando al mare a divertirsi con le amiche che non aveva.
Ne era
sicuro di questo, anche se lei non glielo aveva mai confessato. Lo
vedeva nell'espressione triste che le si dipingeva in volto quando
vedevano un film con protagonisti un gruppo di amici o di amiche. E
questo gli dispiaceva molto. Voleva in qualche modo aiutarla a uscire
da quel guscio di insicurezza in cui era cresciuta.
“Allora??!!!?
Te lo sei chiesto o no?” esclamò nuovamente.
“No
non ...non me lo sono mai chiesto” mormorò lei con
lo sguardo
basso mentre stringeva tra le dita delle mani il lenzuolo. In un
gesto carico di nervoso.
“Bé
prova a chiedertelo e poi magari sappimi dire la risposta...o magari
anche la conclusione al quale il tuo cervello da musicista è
riuscito a giungere”
Si
sentiva così talmente stupida, come aveva potuto dubitare di
lui?
Aveva capito dove voleva andare a parare Seiya, lui non era come gli
altri, altrimenti si sarebbe ritrovata nuda sotto le coperte. E
invece non aveva approfittato della situazione.
“Scusami...non
so veramente che cosa mia sia preso..davvero”
mormorò arrossendo
per l'imbarazzo, gli occhi ancora umidi per le lacrime sfiorate e
trattenute.
“Sei
proprio scema” disse lui “Dai vieni qui
musicista” concluse
traendola a se, in un abbraccio carico di affetto.
Quell'affetto
che lei non aveva mai provato e che le riscaldava il cuore, il corpo
ma sopratutto l'anima. Non era mai stata importante per qualcuno, non
per i suoi genitori almeno, e ora il rapporto che la stava
avvicinando sempre di più al bel bruno la faceva stare bene.
Per lei
era un'autentica novità, ma avrebbe pagato fior di quattrini
per
poterla tornare a viverla tutta. Magari anche al rallentatore.
“Ti
voglio bene” la sentì sussurrare lui mentre
nascondeva il volto
nell'incavo del suo collo, la immaginò arrossire come sempre
quando
esprimeva qualche suo stato d'animo o dei sentimenti per qualcuno
come in quel caso.
“Anche
io, e non dubitare mai più della natura dei miei sentimenti,
non
pensare che ti voglio sfruttare. Non cerco solamente sesso da te,
quando vorrai arriveremo anche li. Ma finché non ne sei
convinta...aspetterò” la strinse ancor
più forte a se e la sentì
rilassarsi. “Be siamo nelle condizioni giuste per scendere a
far
colazione?”
“Si...aspetta
però...devo andarmi a cambiare non posso scendere in questo
stato”
esclamò preoccupata la ragazza.
“Ma
figurati, i tuoi tornano oggi e a me non fa proprio ne caldo ne
freddo, sei bella lo stesso” le labbra si curvarono in un
sorriso
beffardo mentre vedeva nuovamente il suo viso divenire paonazzo.
“Dai
andiamo oppure la tua domestica chissà dove pensa che siamo
finiti”
detto questo si alzò dal letto e si mise una maglietta
aderente che
metteva risaltava il suo fisico, e uscì dalla camera diretto
in
bagno a darsi una rinfrescata al viso, seguito da lei che doveva fare
esattamente la stessa cosa.
Un
quarto d'ora dopo erano entrambi davanti al tavolo imbandito per la
colazione con due tazze, del pane e dei biscotti, non mancava neanche
una caraffa con il succo d'arancia.
“Stamattina
hai nuovamente lezione giusto?” chiese lui conoscendo
già la
risposta.
“Si
dovrebbe arrivare per le undici il mio maestro, aveva un impegno
prima e quindi oggi ritarda farò solamente due
ore” rispose lei.
“Che
ne dici se allora facciamo un giro oggi pomeriggio visto che sei
libera? Invece di rimanere in casa intendo” propose lui
sorseggiando il contenuto della sua tazza, guardandola negli occhi da
sopra il bordo circolare di ceramica.
“Non
credo che i miei genitori apprezzino il fatto che io
esca...vedi...dovrei concentrarmi sui disegni e sulla
pittura”
rispose lei, anche se la proposta era una di quelle che aveva sempre
sognato: uscire. Uscire e pensare di essere una ragazzina normale
almeno una volta nella vita, prima che fosse troppo tardi e
l'età
avanzasse. Le si illuminarono gli occhi per la contentezza, anche se
non avrebbe mai potuto accettare la proposta, i suoi genitori
altrimenti chi li avrebbe domati al loro ritorno a casa? Quando
avrebbero trovato la casa più silenziosa che mai? Sarebbe
stato
impossibile, loro non avrebbero mai ascoltato le sue ragioni,
ciò
che importava era che lei si impegnasse e basta, e tutto ciò
che era
lungi distante dal suo compito era sbagliato a priori. Senza se e
senza ma.
“Non
credo abbiano obiezioni a riguardo, nel caso mi prendo tutta la
responsabilità io, dirò che tu non volevi e che
ti ho costretta io
perché non avevo voglia di uscire da solo, e qui alla fine
non
conosco nessuno” trovò la soluzione con
naturalezza e semplicità.
Tanto
i tuoi non diranno niente fidati, lo so e ne sono sicuro. Aveva
i suoi buoni motivi per esserlo, conoscendo la meta reale del viaggio
dei coniugi Kaioh.
* * *
Bloccò
la moto sul cavalletto e si fermò in una zona un po' isolata
e
tranquilla della città, dove si sentiva in pace con se
stesso. Sfilò
il casco dalla testa e lo poggiò sulla sua
“bambina” che
attendeva solamente che lui avesse svolto i suoi compiti per tornare
a ruggire mentre correva instancabile, sfrecciando sul tracciato
stradale. Sospirò e si accese una sigaretta, non che fosse
un
fumatore incallito, anzi un pacchetto gli durava più di un
mese,
arrivando a finire addirittura alla fine del terzo; ma era una
necessità che saliva quando era nervoso, inquieto. Quando
aveva
qualcosa che lo turbava. Drogarsi di nicotina lo aiutava decisamente,
al diavolo i polmoni.
Non
era dipendente dal tabacco, ma una volta ogni tanto faceva sempre
piacere, proprio come un buon bicchiere di vino alla fine di
un'ottima cena al ristorante. Calciò con un piede qualche
piccola
pietra, spingendola in mezzo alla corsia sulla quale aveva guidato
fino a pochi istanti prima. Davanti alle sue iridi sfrecciavano mezzi
di ogni tipo e di ogni cilindrata che passavano a intervalli regolari
rompendo il silenzio di quel luogo quasi distaccato dalla
realtà
della città.
Dietro
di lui c'era un campo, una distesa verde e sconfinata che faceva
venire voglia di mollare tutto e scappare, lontano per non tornare
più. Ed era proprio ciò di cui avrebbe avuto
bisogno. Far perdere
le proprie tracce, cambiare i dati anagrafici e andarsene via.
Lontano.
Scosse
la testa per scacciare via quei pensieri che sarebbero rimasti tali,
non poteva fare una cosa del genere, perché la sua famiglia
aveva
bisogno di lui, ed era solamente quello il motivo per cui non aveva
mandato ancora al diavolo tutto, che aveva scelto di non abbandonare
i luoghi in cui più volte era stato con il padre quando
ancora era
in vita, lottando con i ricordi dolorosi, solamente per loro doveva
rimanere li, rifugiandosi nelle corse con le moto e con le macchine.
I suo
pensieri furono interrotti all'improvviso da uno squillo insistente
che proveniva dal suo telefonino custodito gelosamente nella tasca
interna della tuta da motociclista. Rispose senza leggere il nome di
chi lo stava chiamando.
“Pronto”
rispose svogliatamente.
“Come
pronto? Dove diavolo sei?” la voce stridula di Setsuna
risuonò con
tonalità veramente estreme al di là del microfono.
“Sono
fuori in moto” rispose lui, realizzando solo in quel momento
che
lei sarebbe dovuta andare a casa sua, per aiutarlo a mettere a posto
gli scatoloni sparsi per l'abitazione. Merda.
Me ne sono completamente dimenticato.
“Come
fuori in moto? Ma dove cazzo hai la testa? Ti rendi conto che sono
qui sotto casa tua che suono come una cretina da mezz'ora?”
esplose
la bruna adirata
“O
Sets dacci un taglio, tra venti minuti sono a casa mamma mia quanto
rompi” rispose lui chiudendo la comunicazione, poi
lanciò sulla
strada la rimanenza della sigaretta dopo aver fatto ancora un tiro e
si mise il casco prima di dar gas alla moto.
Quando
giunse sotto casa sua trovò la sua amica appoggiata al muro
poco
lontana dal portone con le braccia conserte sotto il seno che lo
guardava con uno sguardo assassino. Troppo assassino.
“Ciao”
esclamò dopo aver parcheggiato la moto nei parcheggi
riservati al
palazzo. Non ottenne nessuna risposta, allora era arrabbiata sul
serio. “O Sets mamma come sei pesante però, mi
sono dimenticato
ok? Scusami ma avevo un sacco di pensieri nella testa”
sbottò
subito dopo.
“Si
proprio pensieri...pensieri che sanno di violini impossibili
altroché!!” esclamò lei acida,
facendolo arrossire imbarazzato.
“Ma
smettila non ero pieno di pensieri solamente per lei. Anzi magari,
sarebbero stati sicuramente più piacevoli.” disse
mentre apriva il
portone con la chiave, prima di compiere qualche passo e bloccare la
porta con il piede teso un po' all'indietro.
“Certo
che per quanto riguarda le buone maniere non te la cavi proprio
benissimo” mormorò l'amica “Credo che
devi seguire qualche
lezione di buone maniere, altrimenti Miss Kaioh non ti
degnerà
nemmeno di uno sguardo”
“Altrimenti
miss Kaioh non ti degnerà nemmeno di uno sguardo”
le fece il
verso, sfoderando una delle sue facce ridicole “Ma stai
zitta, se
mi vuole mi prende così come sono, con i miei pregi e
difetti.
Altrimenti tanto piacere!!” continuò seriamente
“Benvenuta in
casa Ten'o” esclamò facendola entrare in casa
prima di lei “E'
piccola ma credo che sia molto confortevole, insomma c'è
posto per
due e anche per una cameretta” disse in tono sbrigativo
mentre la
bruna si guardava intorno nel piccolo ingresso sul quale si
affacciava la camera matrimoniale due piccoli corridoi lunghi circa
tre metri davano accesso al bagno, alla cucina, alla cameretta e alla
sala che sembrava essere la stanza più ampia.
“Molto
carina non c'è che dire...” commentò
“Abbiamo un posto dove
fare i nostri festini” disse provocandolo.
“Si
come se nel nostro gruppo girasse la droga, ma sta zitta va”
la
canzonò lui “Vuoi un bicchiere d'acqua?”
chiese “Così poi ci
mettiamo al lavoro”
“Si
grazie” rispose la ragazza sedendosi sulla sedia,
perpendicolarmente alla stessa “Che cosa devi mettere a posto
ancora?”
“I
vestiti nell'armadio e poi credo che ci sia da dare una lavata ai
piatti che ho preso, non sono male erano in offerta” bevve un
sorso
dal bicchiere “Ti offrirei qualcosa da mangiare ma
sinceramente il
frigo è ancora vuoto, devo andare a fare la spesa ancora, ma
credo
che andrò domani. Per stasera ordinerò una
pizza”
“Ho
capito, stasera hai intenzione di uscire?”
“Non
lo so, se ne ho ancora le forze dopo aver finito qui”
concluse lui.
I due
si misero ben presto a riordinare i vestiti del biondo nell'armadio
della camera matrimoniale, il guardaroba era di colore bianco,
così
come il pavimento mentre tre pareti su tre erano biancastre, la terza
bordeaux scuro che faceva risaltare il letto del medesimo colore del
mobile che aveva di fronte.
Vicino
all'ingresso della stanza sulla destra c'era un mobile più
basso con
soli cassetti sopra al quale c'era un ampio specchio. Ai due lati del
letto due comodini che non erano altro che le sue copie in miniature
bianchi con delle righe argentate che definivano orizzontalmente la
divisione tra un cassetto e l'altro.
Portarono
per prima cosa tutte le scatole nella stanza occupandosi prima delle
cose invernali, che in quel periodo dell'anno erano inutilizzate e
che potevano essere messe nelle ante più alte dell'armadio
più
ampio.
Mentre
Haruka si occupava dell'inverno, Setsuna aveva preso a carico la
moltitudine di camice che possedeva il motociclista, in
quantità che
andava ben oltre l'umana misura.
“Ma
che cosa te ne fai di tutte queste camice che tra le altre cose non
indossi neanche” commentò ad alta voce.
Un
commento che il biondo non avrebbe mai voluto sentire.
Perché quelle
camice erano collegate ad un passato non troppo lontano e a ricordi
felici.
Ai
tempi di quando ancora il suo animo era sereno e tranquillo e gli
permetteva di suonare un pianoforte, passione ereditata dal padre.
Che lo aveva accompagnato a moltissimi saggi, alla fine di ciascun
anno di Conservatorio.
Ne
aveva fatti sei, dei dieci previsti per il conseguimento del Diploma
di Primo grado, poi la morte del padre l'aveva segnato nel profondo,
cambiando il suo animo. Affidandogli responsabilità troppo
grandi,
che lo avevano portato a coltivare un'altra grande passione: le
macchine, nella speranza di trovare un po' di conforto nel vento che
in tal modo lo sferzava affettuoso.
Quelle
camice erano tutte quelle che aveva preso per i saggi, per fare bella
figura davanti a tutti. Ma lei non poteva saperlo...quella parte del
suo carattere non era nota a nessuno.
Neanche
alla sua migliore amica.
Sospirò
pesantemente, rimpiangendo nel profondo del suo cuore la sensazione
che provava in passato nello sfiorare i tasti in avorio del
pianoforte che avevano avuto in casa fino a qualche tempo prima.
Chissà
se le avrebbe provate nuovamente, un giorno.
Chissà
se sarebbero state le medesime che l'avevano invasa anni prima.
Chissà
se suo padre sarebbe stato orgoglioso di lei.
Non
poteva saperlo, sapeva solamente che quella frase era fuori luogo, e
che lo aveva colpito come non avrebbe mai creduto.
La
bruna dal canto suo aveva notato il cambio di umore di Haruka, e si
pentì immediatamente della domanda che le era sfuggita di
bocca con
fare troppo impertinente. Del resto non era sicuramente lei quella
che amava i pettegolezzi nel gruppo. No, quelli erano affari di
Minako, era lei che chiedeva le cose più intime senza provar
imbarazzo anche quando avrebbe dovuto.
“Scusami...non
volevo” mormorò abbassando lo sguardo con fare
colpevole.
“Fa
niente” fu la risposta dal tono piatto che ottenne con le sue
scuse, quanto era stata stupida a non farsi gli affari suoi.
Il
motociclista invece sentiva tutto ad un tratto l'aria nella camera
farsi pesante, insopportabile. La presenza della sua amica lo
irritava in quantità smisurata, i suoi nervi all'improvviso
vennero
messi a dura prova.
Un
silenzio inaspettato avvolse entrambi.
Di
quelli insopportabili, che premono contro i timpani facendoti cercare
disperatamente qualcosa da dire alla persona che hai vicino.
Nessuna
parola riusciva a solleticare le loro corde vocali per rompere il
gelo che si era creato all'improvviso.
Passarono
una buona mezz'ora in quella situazione, il tempo necessario a
Setsuna di mettere a posto le camice, dopo di che la bruna si
alzò e
si volse a guardarlo, riconoscendo nelle spalle piegate e le braccia
conserte un atteggiamento chiuso che la invitava ad andarsene. Fu
quello che fece.
Indossò
il cappotto nero.
“Forse
è meglio che io vada, quando hai bisogno sai dove
trovarmi” disse
congedandosi dal biondo che si limitò a darle un accenno con
il capo
in segno di assenso.
Poi fu
silenzio.
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Capitolo 7 *** Rombo di moto ***
Capitolo
7: Rombo di moto
Haruka
rimase qualche minuto fermo a fissare il pavimento, era stato stupido a
chiudersi così nei confronti di Sets, alla fine lei non
poteva immaginare ciò che quegli indumenti rappresentavano
per lui. In fin dei conti non le aveva mai parlato della sua passione
per il pianoforte, per paura di riaprire ferite troppo grandi. Prima o
poi dovrò parlargliene, così forse capisce
perché mi sono chiuso così all'improvviso.
Pensò. Poi rivolse l'attenzione ai tre scatoloni di vestiti
che aveva ancora da mettere a posto, e si fece prendere dallo
sconforto: non aveva voglia, quei lavori non gli erano mai piaciuti
molto. Sarebbe stato bello se Usagi gli avesse dato una mano,
lei era bravissima in quelle cose. Lui invece non era molto tagliato,
più che altro non aveva la minima idea di come sistemarli al
meglio per ottimizzare lo spazio e non sprecarlo.
Devo chiamarla per
sentire come sta.
Dalla sera prima, non
si erano più sentiti, il che era strano perché
sua sorella quando non era scuola scriveva sempre se non erano insieme.
Se l'è presa veramente tanto. Pensò dispiaciuto.
Afferrò il
cellulare che aveva abbandonato sul letto, e fece scorrere la
rubrica fino alla comparsa del nome della sorella. Infine
toccò con il dito la cornetta.
Dopo qualche istante
di silenzio il cellulare iniziò a squillare, il silenzio
attorno a lui era quasi innaturale. E si accorse di quanto
fosse importante che la sorella gli rispondesse, improvvisamente quella
chiamata era diventata il fulcro della sua esistenza. E se fosse andata
negativamente, era certo che quella giornata iniziata già
male si sarebbe conclusa di merda.
Dopo qualche squillo i
rumori nella cornetta cambiarono, virando in un rumore più
veloce. Segno inconfondibile che Usagi aveva respinto la chiamata di
proposito.
Vaffanculo.
Guardò
l'orario, e decise di chiamare sua madre che era certo non essere
ancora andata al lavoro, nel tentativo di farsi passare la sorella.
Doveva chiarire con lei, doveva farle capire che il loro rapporto non
sarebbe cambiato per nulla al mondo. Lei era la sua sorellina, niente
li avrebbe mai separati.
Compose il numero di
sua madre, non riponendo tuttavia molte speranze in lei. La conosceva
troppo bene, e mentre sua sorella almeno respingeva la chiamata, la
donna che lo aveva messo al mondo era solita non fare nemmeno quello ma
chiudersi in un mutismo assoluto fino a quando l'altra persona non gli
chiedeva scusa. Solo che lui, quella volta, non era
intenzionato a porgerle le sue scuse: non aveva fatto niente di male.
“Vaffanculo
anche a te” urlò nella stanza vuota spegnendo la
chiamata, buttando il cellulare sul letto con rabbia. Si
alzò furente, i vestiti li avrebbe continuati a sistemare
qualche altro giorno. Per il momento si sarebbe solamente limitato ad
appendere il sacco da box per tirare qualche pugno. Ne aveva
estremamente bisogno, altrimenti era cosciente che le parole sarebbero
volate non appena sua madre avesse deciso di richiamarlo.
***
Aveva appena finito la
sua lezione di musica, Seiya al contrario delle loro abitudini quel
mattino non si era fermato ad ascoltare la lezione teorica, avendo
iniziato dopo, l'insegnante aveva diviso la lezione in un'ora di
solfeggio e in una di pratica. La voglia di uscire con il moro le era
passata durante quelle due ore, aveva piuttosto il desiderio di
iniziare a fare i compiti delle vacanze. Era un'abitudine radicata la
sua, li aveva sempre iniziati a fare in anticipo in modo da poterli
fare con calma senza ridursi all'ultimo e conservare magari 15-20
giorni di relax prima dell'inizio vero e proprio delle lezioni. Quel
mattino le lezioni si erano svolte in giardino, per dare modo alla
cameriera di preparare la tavola in tutta tranquillità. Il
maestro le aveva dato un nuovo brano di musica classica da studiare, ne
aveva studiati e svolti parecchi di Paganini ma quello almeno a prima
vista le sembrava più difficile degli altri. O forse era
solo il suo stato d'animo che le impediva di concentrarsi, rendendo il
tutto poco immediato da capire e memorizzare.
“ Signorina
allora ci vediamo tra 10 giorni in quanto vado in ferie con la scuola e
quindi non tengo lezioni private, come lei ben sa” le disse
l'uomo.
“Si certo
non si preoccupi; e si rilassi anche per me...” rispose la
ragazza, aveva confidenza con lui, e anche se continuavano a darsi del
lei per una forma di rispetto reciproco, sapeva che ormai egli era
quasi come un amico, per quello si era permessa di augurargli di
rilassarsi per due.
“ Michiru
non si preoccupi, non mancherò” le rispose
l'anziano signore facendole l'occhiolino. Fece scattare poi la
ventiquattro ore dove custodiva gli spartiti musicali, eppoi prese la
giacca. “ Le raccomando di esercitarsi sul Paganini, spero
che quando ci si rivedrà per la prossima lezione lei lo
sappia fare al meglio.”
“Non si
preoccupi studierò sicuramente” sorrise la ragazza.
“Vado che
mia moglie mi sta aspettando per il pranzo, buona giornata
Michiru”
“Buona
giornata anche a lei” rispose la violinista.
Una volta visto il
maestro salire in macchina, raccolse il materiale che le aveva lasciato
e rientrò in casa. Trovò Seiya sul divano della
sala che guardava la televisione.
“Ho finito
lezione, vado a posare le cose in camera mia eppoi mangiamo”
gli disse lei, anche se dubitava che l'avesse sentita.
“ Si fai
pure, intanto io guardo il telegiornale non c'è nessun
problema” le mormorò lui senza staccare lo sguardo
dallo schermo.
Una decina di minuti
più tardi Michiru fece nuovamente il suo ingresso in sala,
un rumore di protesta si alzò dal suo stomaco abbastanza
vuoto. La sera prima a causa del temporale non aveva mangiato poi
molto. Trovò il ragazzo gia seduto a tavola, i primi erano
già stati serviti e nella stanza si era espanso il profumo
del sugo di pomodoro fresco col basilico. Si sedette al tavolo, di
fronte al moro.
“Buon
appetito” si sentì dire da lui.
“Grazie,
ascolta... riguardo a oggi, non mi va molto di andare in giro mi sento
stanca..stanotte a causa del temporale non è che ho dormito
benissimo...magari potremmo uscire insieme un'altra volta...se per te
non è un problema...” rispose lei.
“ Come vuoi,
io lo dicevo per farti uscire..ma se preferisci riposarti ok..io
però esco lo stesso ho bisogno di prendere un po'
d'aria.”
Fu lieta del fatto che
lui non avesse insistito per portarla fuori a tutti i costi, ma che al
contrario l'avesse assecondata e capita.
“Grazie”
mormorò raccogliendo l'ultima forchettata di pasta dal
piatto. Dopo qualche minuto la cameriera fece ingresso con il secondo,
portando una bella insalata accompagnata da degli involtini primavera.
La donna poggiò anche una piccola scodella con della salsa
di soia agrodolce, accanto al piatto più grosso da cui i due
ragazzi si servirono. Mangiarono il secondo in silenzio,
nella stanza risuonava solo il tintinnio delle posate.
Fuori in giardino, il
giardiniere dava l'acqua alle piante dopo aver tagliato i
rami che facevano perdere la forma ai muretti di cespugli. Un lavoro
che avrebbe benissimo potuto fare suo padre, se non avesse sempre
l'esigenza di fare lo snob.
In realtà
una mansione qualsiasi poteva essere svolta senza avere una
servitù pronta a servirli e riverirli, e infatti solitamente
quando i suoi in casa non erano presenti, lei cercava di cavarsela da
sola. Le piaceva svolgere quei piccoli servizi che la facevano sentire
una ragazza normale come, ad esempio, lavare i piatti o pulire la sua
stanza. Ma anche farsi da cucinare, aveva più volte cucinato
insieme alla cameriera, e mangiato con lei e l'autista in assenza dei
genitori. E la semplicità di quelle persone così
umili e diverse da quelle da cui era sempre circondata la facevano
sentire a suo agio.
In cuor suo sperava di
trovare un ragazzo normale, che non appartenesse a quell'ambiente; ma
sapeva anche che tutto ciò sarebbe stato impossibile
poiché i suoi genitori non le avrebbero mai permesso di
mischiare il suo sangue con un cittadino comune e
“rovinare”, a loro dire, il puro e regale sangue
dei Kaioh. Sospirò.
La verità e
che si sentiva costantemente in una gabbia.
Tipo gli animali del
circo, costretti a uscirne solamente per esibirsi in cambio di qualche
boccone.
“Qualcosa
non va?” le chiese lui, al quale non era affatto sfuggito il
suo triste sospiro e la malinconia che le si era dipinta in volto.
“No figurati
non c'è niente che non vada bene, sono solo
stanca” mormorò, ingoiando l'ultima forchettata di
insalata che le era rimasta nel piatto.
“Sarà...”
si limitò a commentare lui, eppure quella risposta da parte
di lei non lo convinceva affatto. E' triste per qualcosa, potessi
capire cosa. Mai mi era capitata una ragazza così difficile,
solitamente le altre cadono ai miei piedi come niente fosse, anche se
non è mia intenzione farcele cadere. Lei invece no. Eppure
sto facendo il diavolo a quattro per cercare di conquistarla un po'.
Il fatto di non
riuscire a cambiare il modo in cui lei lo vedeva, lo
intristì molto. Avrebbe voluto che il loro rapporto fosse
diverso, nonostante il bacio che c'era stato e che lo aveva fatto ben
sperare in un eventuale apertura nei suoi confronti; tutto
ciò non era arrivato. Ma anzi forse i piccoli cenni di
apertura si erano vanificati, perché la violinista si era
chiusa nuovamente nel suo guscio da cui era uscita a farla affacciare
un minimo.
“Signorina
tutto a posto? Posso togliere i piatti?” la voce della
cameriera interruppe i pensieri di entrambi.
“ Si certo
faccia pure” rispose la ragazza, avrebbe voluto darle del tu,
ma non erano sole. E non poteva, altrimenti se i suoi genitori lo
avessero saputo l'avrebbero ripresa. E non era ancora sicura che si
potesse fidare di Seiya. Ragion per cui preferì non
rivolgersi alla donna in modo amichevole.
***
Finì di
passare l'asciugamano sui suoi corti capelli biondi, essersi sfogato
contro il sacco da box lo aveva aiutato a distendere i nervi, lavoro
che aveva poi concluso la tiepida acqua della doccia. La casa era molto
silenziosa, era ormai pomeriggio inoltrato, ma egli aveva deciso che
era arrivato il momento opportuno per iniziare seriamente a svolgere le
sue ricerche, era già passato qualche volta dopo
il concerto nella zona vicino al mare. Ma non aveva ancora iniziato una
ricerca sistematica, e quindi il suo girovagare si era rivelato
piuttosto inutile.
Mentre era sotto la
doccia aveva infatti pensato a come rintracciare la Kaioh nel
più breve tempo possibile, i suoi pensieri infatti erano
sempre rivolti a lei. E nemmeno il litigio con sua madre e con sua
sorella lo avevano distratto dalla bellissima violinista.
Una volta trovata la
villa su Google sarebbe stato un gioco da ragazzi pattugliare la zona
per cercare di scontrarla casualmente. Hotaru gli aveva giustamente
fatto notare che una ragazza come Michiru difficilmente si sarebbe
abbassata a fare un giro da sola, magari senza scorta. Ma che al
contrario sarebbe sempre stata circondata da qualcuno, amici o guardie
non era importante, perché tanto il risultato per lui
sarebbe stato sempre lo stesso: non avrebbe potuto avvicinarla.
Sospirò preso dalla frustrazione che gli provocarono quei
pensieri che all'apparenza non avevano via di uscita per riuscire nel
suo intento.
Sei idiota? Ti poni i
problemi ancor prima che si presentino, cerca la casa prima.
Pensò in
compagnia di se stesso mentre finiva di vestirsi, in fin dei
conti era la cosa più importante da fare, prese la giacca di
pelle, il casco e le chiavi che gli erano necessarie. Poi cerco su
internet dal cellulare dove era localizzata Villa Kaioh, ci
vuole qualche minuto per dare modo al telefono di caricare quanto gli
era stato richiesto.
Non è poi
così lontana dal teatro la tua casa Michiru.
Pensò prima
di chiudere la porta di casa e dirigersi verso il garage dove aveva
parcheggiate sia la moto che la sua macchina. La seconda decapottabile.
L'occhio gli cadde su
un po' di polvere presente sul fanale della quattro ruote e si
inchinò a lucidarlo un po' con la manica del giubotto che
indossava.
Poco dopo poi prese il
casco, allacciò il cinturino sotto il mento e sali a cavallo
della sua moto.
Un ruggito rabbioso si
levo dal mezzo nel momento in cui la chiave girò
nell'accensione, facendosi più acuto e potente quando il
biondo diede gas in attesa che la saracinesca del garage fosse
abbastanza alzata per permettergli di uscire.
Un minuto
più tardi l'aria gli sfrecciava intorno al corpo, donandogli
una di quelle sensazioni per cui amava correre. In sella alla sua
bambina era libero, senza costrizioni di nessun genere, poteva passare
in mezzo alle macchine ferme in coda, o sorpassarle come e
quando voleva. Poteva girare nelle arterie della città
pulsante, passando in una decina di minuti da un organo all'altro di
quell'enorme creatura.
Una ventina di minuti
più tardi svoltò a sinistra, trovandosi a quel
punto sul lungo mare cittadino, avrebbe dovuto percorrerlo tutto prima
di arrivare a destinazione, sperava a quel punto di riuscire a
incontrarla. In tal caso avendo il giorno dopo libero, sarebbe
sicuramente tornato, magari dal pomeriggio presto. In modo da avere poi
più tempo a disposizione.
Rallentò
quando davanti ai suoi occhi comparve la Villa che stava cercando, dal
poco che si poteva vedere dal cancello sembrava molto moderna, e non
aveva niente a che vedere con le case tradizionali giapponesi.
Strano
però, i Kaioh sono una delle casate più antiche
della città oltre a essere molto conosciuti.
Avevano sicuramente
svolto ruoli importanti nella storia recente, gli faceva per tanto
strano che una famiglia che teoricamente doveva essere molto legata
alle tradizioni del Giappone, avesse in realtà una casa
così all'ultima tendenza.
Parcheggiò
la moto poco distante eppoi scese per dare un'occhiata. Non sperava
sicuramente di trovarla immediatamente, li in giardino. E anche se
fosse non avrebbe saputo come attirarne l'attenzione. Sempre che lei lo
avesse degnato di uno sguardo. Dall'esterno osservare l'interno della
villa non era per niente semplice, una cospicua superficie di giardino
allontanava l'edificio dalla ringhiera, e svariati cespugli ben tenuti
formavano dei muretti lungo il ciglio dei sentieri che lo
attraversavano togliendo in parte la visuale.
Impossibile riuscirla
a scorgere in queste condizioni. Pensò stizzito. Potrei
però provare a vedere se riesco a farla affacciare, facendo
rumore con la moto come se nulla fosse. Fu il pensierò che
venne a galla pochi istanti dopo.
Si diresse
così verso il mezzo e gli saltò nuovamente in
groppa, prima di girare la chiave e iniziare a sgasare. Quel rumore di
motore a giri altissimi gli infondeva una scarica di adrenalina che in
pochi erano riusciti a suscitargli.
Speriamo che si
affacci.
***
Aprì gli
occhi assonnati, che le restituirono una visione annebbiata della sua
stanza, si era ritirata li dopo pranzo, nel tentativo di recuperare un
po' di sonno arretrato.
Sbadigliò
sonoramente.
In realtà
aveva ancora sonno sebbene avesse dormito molte ore quel pomeriggio, le
riuscì molto difficile capire il motivo per il quale Morfeo
aveva deciso di abbandonarla, in fondo non era nemmeno ora di cena, e
anche se lo fosse stato non aveva fame.
Aveva solo voglia di
tornare a dormire, se non fosse per le sue sensibili orecchie che erano
raggiunte e tormentate da un ruggito da leone che probabilmente
apparteneva a una moto.
Eppure non le sembrava
proprio che li fuori ci fosse coda, in fin dei conti quello era l'unico
rumore che sentiva, mentre quando la strada era congestionata non si
riusciva più a distinguere un rumore dall'altro. E a dire
che era un orecchio esperto, il suo.
Ci mancava solamente
sto scemo con la moto. Giuro su me stessa che non
frequenterò mai e poi mai una persona così
stupida.
Si alzò per
andare in bagno e rendersi almeno presentabile, poi
controllò il cellulare. Nessuna chiamata. In fin dei conti
la sua normalità era quella. Nessuno la cercava se non aveva
bisogno di qualcosa, solo per il piacere di fare due chiacchiere. Ma al
contrario era un continuo chiedere favori. I suoi genitori
erano troppo impegnati a svolgere le loro faccende per degnarla anche
della minima attenzione.
Sospirò.
Quel giorno non aveva
nemmeno voglia di passare il suo tempo con Seiya, e fu grata al moro
quando scoprì che non era stato in casa per lei, ma che al
contrario era uscito per farsi un giro e prendere un po' di aria come
era giusto che fosse. Si spostò in sala dove
trovò la cameriera intenta a spolverare il mobile sul quale
era poggiata il televisore HD di ultima generazione.
“Michiru non
sei uscita?” fu la domanda che le rivolse la donna, libera
dall'etichetta perché si trovavano sole in casa.
“Non avevo
particolarmente voglia di uscire oggi...scusa ma sto rumore di moto
continuo cos'è? C'è qualche manifestazione sul
lungo mare di cui ero all'oscuro?” chiese la ragazza.
“No tesoro,
abbiamo già controllato, sembra essere un motociclista
maleducato che si diverte a sprecare benzina qui davanti. Probabilmente
starà facendo qualche gara con gli amici.” le
rispose la donna.
“Spero di
non dover mai avere a che fare con persone di questo genere”
fu il commento della violinista.
La cameriera si
lasciò andare in una risata “ Michi sai meglio di
me che tu non incontrerai mai gente di quel calibro, anche
perché i tuoi genitori in caso contrario ti
diseredano”
Quella frase fece
rabbuiare la ragazza, aveva detto la pura verità. Se si
fosse innamorata di qualcuno che ai suoi non andava bene, sarebbero
stati capaci di toglierle l'eredità per il disonore arrecato
al loro cognome. E se lei era innamorata di questa persona a loro non
gliene sarebbe importato nulla.
***
Era più di
mezz'ora che dava gas alla moto senza ottenere nessun risultato, si era
avvicinato incuriosito al cancello solo un membro della
servitù, o così gli sembrava. Iniziava a dubitare
che miss Kaioh fosse in casa.
Quando si dice essere
sfigati.
Sbuffò
spazientito, mentre teneva sott'occhio il livello della benzina in modo
tale da averne una quantità che gli permettesse di tornare a
casa o quanto meno di raggiungere un distributore.
Tanto cara la mia
violinista, non sarà oggi ma primo o poi le nostre strade si
incroceranno, vedrai.
La sua attenzione si
posò su un ragazzo che probabilmente era poco più
grande di lui che passeggiava verso il cancello della villa, lo
guardava con una sorta di fastidio sul volto. Probabilmente per il
troppo rumore che stava facendo. Era moro, ben piazzato per la palestra
ma niente di particolarmente preoccupante. Arrivato alla Villa
suonò, e poco dopo il cancello si aprì.
E quel tizio chi
sarebbe? Si ritrovò a pensare poco dopo, mentre una punta di
fastidio si faceva largo dentro di lui. Non poteva di certo essere il
fidanzato di quella dolce creatura, insieme non li vedeva proprio. Era
più forte di lui. Quel tipo per quanto egli non lo
conoscesse era spocchioso e arrogante. E non gli avrebbe mai permesso,
una volta conosciuta la violinista di starle troppo attorno.
Stanco
di stare li immobile, decise di dirigersi verso casa, sarebbe tornato
il giorno seguente e quelli dopo ancora nei pressi della Villa,
sperando che presto arrivasse il suo giorno fortunato.
Note dell'autrice: Ecco a voi il nuovo capitolo, molto corto, ma anche
qui se lo univo al prossimo diventava troppo lungo, vi faccio una
piccola anticipazione, riguardo al prossimo capitolo, tutti quelli che
aspettavano l'incontro tra Haruka e Michiru hanno finito di aspettare.
Spero di non deludere le vostre aspettative.
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Capitolo 8 *** Di partenze e scontri ***
Note dell'autrice: Ok,
finalmente siamo arrivati al capitolo che molti forse aspettavano, un
grazie al mio ragazzo per avermi aiutata a rendere abbastanza
realistica la parte sulle macchine, in quanto io ne capisco meno di
zero. Detto questo vi lascio alla lettura del capitolo con una domanda:
Secondo voi, come reagirà Michiru nei capitoli successivi?
Voglio vedere chi di voi ci azzecca, in quanto ho iniziato la scrittura
del capitolo 14.
Capitolo
8: Di partenze e scontri.
"Il tempo di un minuto
per sapere chi sei
[...] nel silenzio tra
un
secondo e l'altro io vivrò
nell'ansia
dell'attesa di un
miracolo"
Finley
"Michiru svegliati!! Io, tuo padre
e Seiya stiamo
per partire" la voce di sua madre risuonò improvvisamente
nella sua camera
andando a interrompere la quiete delle dieci del mattino.
"Uhm..." uscì dalla sua
bocca, mentre ancora
teneva gli occhi chiusi. Quella notte si era riuscita ad addormentare
molto
tardi, solo dopo aver finito un disegno che le era uscito in testa di
punto in
bianco. E in quel momento l’ultima cosa che desiderava era
doversi alzare dal
letto forzatamente.
"Dai su, tra mezz'ora lasciamo
casa, vieni a
salutare Seiya e tuo padre" la sentì dire. Aprì i
suoi occhi blu, e si
ritrovò a fissare la spalliera del letto, mentre era
abbracciata al suo
cuscino. Non aveva proprio la voglia di vestirsi e alzarsi
così presto. Si
mosse appena, sapeva che se non si fosse
presentata in sala all'orario che le era stato detto, sua madre
l'avrebbe
ripresa; ogni qualvolta non ubbidiva veniva ripresa duramente. Anche se
la
maggioranza delle volte erano sciocchezze vere e proprie quelle che
commetteva.
Disciplina, disciplina. Al diavolo!
Pensò mentre si alzava
di peso dal letto, spostando le
lenzuola e infilandosi le infradito. Si diresse in bagno a darsi una
lavata
veloce per rendersi abbastanza presentabile. Uscita andò
verso il suo capiente
armadio e ne tirò fuori i primi indumenti che le capitarono
sotto mano e
potessero essere indossati insieme. Non perse nemmeno tempo a
pettinarsi, si
limitò solamente a legarsi la chioma in un chignon
abbastanza stretto in modo
da nascondere il lato ribelle dei suoi capelli mossi.
Dopo aver preso il cellulare,
uscì dalla stanza e
percorse il corridoio al piano superiore fino alle scale che
l'avrebbero
portata alla porta di casa e, in seguito, nella sala da pranzo.
Arrivata nell'ingresso
notò che le valigie dei suoi
genitori e il minimo bagaglio del ragazzo erano già pronti,
l'autista si stava
apprestando a portarle già in macchina. L’uomo le
sorrise non appena fece la
sua comparsa nel suo campo visivo.
"Buongiorno signorina" le disse
l'uomo
facendole l'occhiolino.
"Buongiorno" gli rispose lei
sorridente,
consapevole che per quattro giorni sarebbe stata libera di fare
qualsiasi cosa
volesse, anche di uscire e andare al mare esattamente come le sue
coetanee.
Avrebbe dovuto solamente ricordarsi gli occhiali da sole per non
attirare l'attenzione
delle persone che incrociava, per il resto non doveva rendere conto a
nessuno.
Arrivata in sala da pranzo li
trovò già seduti che
consumavano la colazione e si affrettò a unirsi ai tre per
consumare la sua.
"Michiru mi raccomando, non tenere
comportamenti
scorretti mentre noi non ci siamo" iniziò suo padre, come
ogni volta che i
due partivano in tour per qualche giorno. Non si erano ancora abituati
al fatto
che, la loro bambina, ormai fosse grande abbastanza da cavarsela da
sola senza
ricevere millemila raccomandazioni. Raccomandazioni che, per altro, a
lei erano
sempre sembrati come una minaccia.
"Si papà stai
tranquillo, non farò niente di
disdicevole per una ragazza dell'alta società" sorrise,
ennesimo sorriso
falso che era costretta a sfoderare a sostegno dell'ovvietà
espressa dall'uomo.
"Ormai sono grande non dovete temere"
"Brava tesoro, è
così che deve essere"
intervenne la madre sorseggiando il suo capuccino.
La violinista si limitò
ad annuire, mentre mescolava il
liquido fumante nella sua tazza, Seiya stranamente non aveva proferito
parola
da quando si era seduta al tavolo, non si erano nemmeno salutati. Come
se
improvvisamente doveva mantenere un distacco che in realtà
avrebbe dovuto
sempre esserci. Lo guardò di sottecchi mentre si portava la
tazza alle labbra.
Avrebbe voluto poter far colazione da sola con lui, per salutarsi e
chiacchierare come avevano fatto in quei giorni. Ma con i suoi genitori
presenti non avrebbe fatto nulla, e sperava che il moro non iniziasse
ad
attaccare discorso. Gli occhi le caddero sull'orologio nella stanza, e
si rese
conto che era tempo che partissero.
"Forse è il caso che
andiate, sennò farete tardi,
nel caso poi troviate traffico è meglio non rischiate"
mormorò.
La signora Kaioh dopo averla
ascoltata si voltò in
direzione dell’orologio, constatando che la ragazza aveva
ragione, avrebbero
dovuto sbrigarsi.
"Si tesoro hai ragione,
è meglio andare"
rispose la donna. Guardando gli altri due, si alzarono tutti, compresa
la
violinista.
Arrivati all'ingresso la ragazza
abbracciò prima sua
mamma, poi il padre e per ultimo il ragazzo.
"Buon viaggio allora" disse a lui "
Fatemi
sapere quando arrivate così non mi fate stare in pensiero"
volse lo
sguardo verso i suoi genitori per cogliere un cenno affermativo da
parte dei
Kaioh. Cenno che non arrivò mai da parte dei suoi genitori,
non che ci sperasse
particolarmente: non era mai arrivato. E come al solito non le
avrebbero dato
notizie del viaggio, ma in cuor suo la violinista sperava che almeno
Seiya
sarebbe stato attento a quella richiesta.
Guardò salire in
macchina il trio. Si fermò sull’uscio a
vederli sparire al di la del cancello, mentre una gioia immensa si
impadroniva
della sua mente. Scacciando in un batter di ciglio l’immensa
stanchezza causata
dalle poche ore di sonno che aveva potuto compiere durante la notte.
Era libera, finalmente.
Libera di uscire e fare
ciò che voleva, senza assurdi
protocolli da rispettare. Quella mattina per cominciare sarebbe andata
a farsi
una passeggiata in
riva al mare, quando
ancora la città era quasi addormentata la zona
immediatamente fuori la Villa
era molto tranquilla e sebbene ci fosse la strada prima, e la spiaggia
poi, a
dividerla dal mare riusciva a sentire il rumore delle onde in modo
molto
distinto.
Corse in camera sua a cambiarsi il
più velocemente
possibile per non perdere tempo prezioso, scelse una gonna di jeans che
le
arrivava a metà coscia e un top azzurro che le lasciava
scoperta la schiena.
Afferrò poi una paroure completa di bracciale, orecchini e
collana in oro e piccoli
diamanti e una caviliera che si era fatta fare su misura identica a
questi
ultimi. Un velo di trucco leggero, e dopo aver preso la borsa in jeans
si
infilò i sandali bianchi che adorava per via delle
conchiglie di cui erano
adornati. In fine si avvicinò alla vetrata che la separava
dal giardino, e fece
scorrere la finestra sulla guida; quell'angolo di giardino pieno di
piante di
rosa era il suo preferito, era a riparo da sguardi indiscreti e le
donava una
privacy naturale che la faceva sentire protetta dal mondo che la
circondava.
Purtroppo le rose non la proteggevano da ciò che per lei
significava quella
casa, ma soprattutto la sua famiglia. Eppoi lei amava immensamente le
rose, di
cui indossava anche un buonissimo profumo firmato. Erano le piante che
più le
si addicevano: bellissime, ma capaci di ferire con quelle stesse armi
che
utilizzavano per proteggersi da eventuali minacce e aggressioni. Lei in parte era
così, e seppur con
dispiacere ne era perfettamente consapevole.
***
Un sonoro sbadiglio uscì
dalla sua bocca coperta dalla
mano sinistra mentre la destra teneva fermo il casco sulla sella della
moto.
Le sue ricerche in quei giorni
ancora non avevano
dato frutto, e il vedere la
macchina degli abitanti della villa che si allontanava senza
più far ritorno,
lo aveva molto demotivato. Non era riuscito a vedere chi sedeva in
quella
macchina, e così la paura che lei fosse partita per qualche
tour all'estero
lungo chissà quanto lo attanagliava. Al solo pensiero che
lei fosse in
compagnia del bruno che aveva notato le fece attorcigliare le viscere.
Cazzo la mia solita fottutissima
sfiga. Mai una volta che
la ruota giri dalla mia parte.
Sbuffò rumorosamente
attirando l'attenzione di un gruppo
di petulanti giovani donne che camminavano sul lungo mare, immerse in
un
chiacchiericcio al quanto irritante da sentire.
I loro occhi lo fissavano, e decise di giocare con loro,
sfoderando uno
dei suoi sorrisi ammaliatori. Non perchè avesse qualche
intenzion seria, ma
vedere le reazioni del gentil sesso che rispondeva a un solo sguardo se
inflitto con il giusto modo di fare lo aveva sempre divertito.
La
maggioranza delle
donne è tutta uguale, sembrano fatte con lo stampino.
Per questo suo modo di fare si era
sempre guadagnato
l’appellativo di play-boy
o, ancora, quello
di latin lover. E questo non faceva si che far crescere il suo ego in
un modo
smisurato.
Era sempre stato consapevole
dell’ascendente che aveva
sul gentil sesso, e spesso se ne era approfittato senza nemmeno
chiedere
permesso a colei che aveva davanti. In fondo le sue storie serie si
potevano
contare sulle dita di due mani. Lui era libero, non voleva costrizioni.
O
almeno si sentiva così fino al pomeriggio del giorno del
concerto.
Improvvisamente poi le sue aspirazioni e le sue idee erano cambiate
radicalmente,
concentrandosi solo sul desiderio di avere al suo fianco quella che per
lui era
una sirena.
Si godette lo spettacolo di quel
gruppo di
sconosciute che -
sospirando sognanti -
, lo stavano mangiando con gli occhi, e nel frattempo sussurravano tra
di loro
cose che non riusciva a captare con le sue orecchie. Non senza
avvicinarsi
almeno.
Le classiche troiette che svengono
al primo sguardo.
Troiette di alto borgo. Probabilmente il loro frutto del desiderio
è d'oro, o
probabilmente di platino.
Probabilmente lo è anche
quello di Miss Kaioh.
Arrossì violentemente a
quel pensiero, nonostante ormai la ragazza riempiva i suoi sogni ogni
notte da
quel maledetto concerto. E non sempre in immagini caste, anzi.
Che diamine di pensieri
faccio, cazzo! Devo dare una regolata agli ormoni.
Un rumore di cancello che
si apre attirò immediatamente la sua attenzione, era quello
della Villa della
violinista. Si raddrizzò un pò nella sua
posizione per cercare di vedere al
meglio chi lo aveva fatto aprire.
A quanto pare nessuna
macchina, altrimenti l'avrebbe già vista sfrecciare fuori,
dopo qualche istante
comparve una figura che conosceva fin troppo bene.
E al suo cuore mancò
immediatamente un battito, era da sola. Nessuna traccia del pallone
gonfiato
bruno che aveva visto entrare giorni addietro.
Aprì la sella del
motorino
in modo quasi automatico e senza pensare troppo, l'unico tarlo il fare
in
fretta.
Era giunto il momento di
entrare in azione.
***
Appena uscì dal cancello
della villa si soffermo qualche istante a respirare la brezza del mare
che le
smuoveva i suoi ondulati capelli acquamarina e le sue vesti. L'odore di
salsedine lo amava, forse ancor di più di quello delle rose
che le aveva
riempito le narici fino a qualche minuto prima. Doveva godersi quei
giorni a
pieno, perché come sempre sarebbero volati in un batter
d'occhio, riportandola
con i piedi per terra nella sua prigione di cristallo e oro.
Il lungo mare era
frequentato principalmente da persone normali, non appartenenti al suo
ceto
sociale, quelle che i suoi genitori definivano "plebe" citando la
scala sociale meno fortunata ai tempi romani europei. A lei quel
soprannome non
piaceva: sicuramente non avranno avuto Porsche e Ferrari, ma era certa
che
nella loro semplicità custodivano un grande cuore. Lo poteva
notare ogni qual
volta si fermava a un banchetto per comprare un gelato o una brioche.
Lo poteva
percepire dal modo in cui i genitori guardavano i figli, uno sguardo
che lei
mai aveva visto in chi
l'aveva messa al
mondo. Era amore puro, incondizionato. Non quello volto al successo e
alla fama
a cui era abituata. Lo
aveva notato
anche ogni tanto nell’incrociare un bambino che piangeva, e
nei toni della
madre che lo sgridava: molto diversi da quelli che usavano coloro che
l’avevano
messa al mondo. Nonostante la ramanzina, dalle parole della donne che
più volte
si era fermata ad ascoltare, trasudavano affetto e amore. Scosse
lievemente la
testa per far scivolare via quei brutti pensieri che la rattristavano
ogni qual
volta ci si soffermava, e iniziò ad incamminarsi in
direzione del gelataio per
prendersi un ottima brioche e un bicchierone di tea freddo da
sorseggiare
durante la sua passeggiata. Prima però abbassò
gli occhiali da sole sul volto,
in modo da non essere riconosciuta.
Voleva veramente passare
una giornata da “plebea”, come
l’avrebbero chiamata i Kaioh,
senza il pericolo di essere riconosciuta a
ogni passo e fermata per domande curiose e richieste di autografi. Di
quelli ne
aveva già abbastanza durante i concerti a cui aveva dovere
di partecipare.
Percorse quei duecento
metri che la separavano dal venditore con tutta la calma possibile, per
godersi
ogni singolo passo e la bellezza del mare estivo pieno di scaglie di
liquida
luce interrotte da piccole
vele bianche.
Da quella distanza sembravano gabbiani pronti a spiccare il volo verso
una meta
lontana.
Appena trovo un posto
tranquillo devo fare uno schizzo in bianco e nero, così
appena posso lo
trasformo in un vero e proprio quadro questo spettacolo.
Pensò la musicista
mentre
aspettava il suo turno per ordinare. Il signore del banco era sempre
quello da
anni e anni, e iniziava ad accusare i segni dell'età, lei
fin da piccola lo
aveva sempre visto dalla macchina quando passava. Alto, magrolino
sembrava una
canna di bambù. La voce squillante quasi fosse un topolino.
"Prego in cosa posso
esserti utile?" si sentì dire dopo qualche minuto, mentre
l'uomo la
guardava.
"Buongiorno, guardi vorrei una
brioche con la crema
alla nocciola e un tea freddo al limone" rispose lei, prendendo dalla
borsa il porta monete.
"Certo" le rispose lui prima di
aprire la
vetrinetta del banco e afferrare la brioche "Da portare via giusto?"
chiese ancora.
"Si grazie, quanto le devo?"
mormorò lei,
nonostante il tono familiare dell'uomo era troppo abituata a dare del
lei per
poter dare del tu ad uno sconosciuto. Anche se apprezzava questa
abitudine, che
faceva sentire tutti un po’ in famiglia.
Pose l'importo dovuto nel piattino
della cassa, e dopo
aver ricevuto il resto afferrò il
sacchetto con la brioche e il bicchiere in carta con la cannuccia della
bevanda. Bevve un sorso del liquido ghiacciato, un toccasana nella
calura di
quella giornata estiva.
***
Aveva deciso di seguirla a
distanza, mentre studiava un
metodo per poterla avvicinare senza sembrare uno di quei paparazzi di
cui
spesso le celebrity rimanevano vittima, loro malgrado. Anche
perché sicuramente
voleva mantenere l'anonimato, sensazione datagli dal fatto che
indossava
occhiali da sole che le coprivano la maggior parte di quel suo
splendido viso.
Si era fermato a circa un duecento
metri dal banchetto
delle brioche, nella speranza che dopo aver preso qualcosa la
violinista avesse
fatto marcia indietro avvicinandosi alla sua posizione. In effetti il
fatto che
avesse preso qualcosa da bere gli aveva suggerito il pretesto ideale
per poter
scambiare qualche parola, in realtà aveva anche preparato un
biglietto di carta
con il suo numero scritto nella miglior calligrafia di cui era capace.
Nonostante in epoca scolare lui avesse sempre scritto da cani, o meglio
a zampe
di gallina. Ma per quella volta si era sforzato molto, e secondo lui
aveva
ottenuto risultati quanto meno passabili e decifrabili rispetto al
solito.
La sua attenzione tornò
alla ragazza che aveva appena
ritirato le cose ordinate per poi voltarsi e procedere nella direzione
in cui
era lui.
Finalmente sono baciato dalla
fortuna, son talmente sexy
che manco lei mi resiste.
Fu il suo pensiero, mentre un
sorriso sghembo gli
comparve sul viso. Si tirò su dalla ringhiera del lungo
mare, per poi togliersi
la giacca in pelle nera che indossava quel giorno, sotto una maglietta
bianca
aderente al punto giusto. Spostò la giacca su una spalla
facendola dondolare
sul retro, tenendola appesa con due dita della mano sinistra. Nella
destra
stringeva il foglietto di carta.
Man mano che camminava verso la
ragazza sentì il cuore
che gli batteva con un ritmo innaturale nel petto, sembrava che la
ritmica del
movimento avesse scelto una strada tutta sua, facendogli mancare il
respiro.
Datti una calmata Haruka.
Sospirò vistosamente per
darsi un contegno, aveva sognato
e pensato più volte a quel momento,e ora che stava per
viverlo non sapeva cosa
aspettarsi. Ormai a
dividerli c'era
solamente qualche metro, e doveva cercare di far sembrare lo scontro il
più
naturale possibile, frutto semplicemente di una svista per colpa del
suo essere
svampito. Non doveva sembrare una cosa progettata e cercata.
Ma ne sarebbe stato capace? O
avrebbe fatto una delle sue
figure di merda?
***
I suoi pensieri volarono ai suoi
genitori che erano via
insieme a Seiya, chissà cosa gli avrebbero detto,
chissà se avrebbero indagato
sul loro rapporto. La sua speranza era che non fosse così,
ma che al contrario
non si fossero accorti minimamente del cambiamento.
Perché un cambiamento
c'era stato vero? La
realtà e che non lo sapeva affatto, non sapeva come
interpretare ciò che si
erano detti. La realtà è che aveva davvero poca
esperienza nelle faccende
amorose, e anche a scuola le sue compagne non la rendevano partecipe.
Dopo
tutto con i suoi genitori di vietarle di uscire non si era integrata
nella
classe. E quindi quelle poche amicizie sincere che sarebbero potute
nascere,
erano state stroncate in partenza. Alla fin fine non le sembrava vero
che un
tipo come Seiya avesse intenzioni sincere nei suoi confronti, nel loro
ambiente
raramente c'era qualcosa di veritiero, spesso erano tutte
falsità.
Era totalmente in sovrappensiero, e
non si accorse che si
stava dirigendo contro un ragazzo che viaggiava esattamente sulla sua
stessa
traiettoria, e che non dava cenno di spostarsi.
Fu una questione di attimi, e si
rese conto di essere
andata contro a qualcosa, urto che la fece sobbalzare all'indietro, e
nel
tentativo di non perdere l'equilibrio sia il bicchiere che la borsa le
sfuggirono di mano. Il primo per andare a finire sulla maglia dello
sconosciuto, mentre l'altra diretta al suolo per spargere il suo
contenuto.
Michiru ma cosa combini? Pensò
la ragazza come appena risvegliata da un sogno in una realtà
parallela. I suoi
occhi blu si posarono sulla maglietta della persona che aveva scontrato
rivelandole, nonostante le lenti scure degli occhiali da sole, una
macchia di
tea piuttosto estesa.
" O santo cielo mi scusi
infinitamente, non so dove
avevo la testa" esclamò mortificata, portandosi una mano
alla bocca, a
nascondere il suo rammarico. Solo in quel momento guardò
veramente chi aveva di
fronte, un ragazzo decisamente alto, capelli biondi come il grano ad
Agosto e
due occhi verdi come il prato. Indossava dei jeans e in mano aveva una
giacca
nera. Fisico
asciutto e statuario.
Si sentì improvvisamente
in imbarazzo. Sembrava uscito da
un quadro.
***
La osservò con
attenzione dall'alto del suo metro e
ottanta, sul palcoscenico complici i tacchi le era sembrata una decina
di
centimetri più alta di quanto era in realtà come
aveva appena finito di
constatare. Ma il suo fisico era quello, e non era di certo stato un
vestito
importante a valorizzarlo. Anzi, vestita al "naturale" forse era
molto meglio.
"Ma non ti preoccupare,
può capitare nessun problema
anzi" rispose lui, mentre la musicista faceva l'atto di chinarsi a
raccogliere le sue cose.
E' il momento giusto per il
biglietto.
" Permettimi di darti una mano a
raccogliere"
le disse, chinandosi più velocemente di lei, per fortuna non
erano uscite
tantissime cose, ma il giusto per permettergli di lasciare al suo
interno il
bigliettino, nella speranza che lei poi usasse il suo numero. Ipotesi
probabilmente molto remota in realtà, ma che almeno gli
donava un barlume di
speranza.
Approfittando di un momento di
distrazione della ragazza
il pezzetto di carta era stato depositato nella borsetta.
" Permettimi di presentarmi
però, io sono Haruka
piacere di conoscerti" mormorò tendendo la mano destra verso
l'altra.
"Oh... piacere mio, io sono...
ehm... Ise"
rispose l'altra.
Come Ise? Miss Kaioh tu non me la
stai raccontando
affatto giusta. Fu il pensiero di lui, mentre un
sorriso sghembo gli
si dipingeva in viso. Quel tentativo di
nascondere la sua vera identità ai suoi occhi apparve buffa.
Fin troppo.
Se tu
sapessi la
verità Michiru, non racconteresti sta cazzata.
***
Perchè sorride? Cosa
avrò detto per provocare in lui
questa reazione. Fu il pensiero di lei, aveva
mentito sul suo nome per non
essere trattata diversamente da come la stava trattando. Era sicura che
appena
egli avrebbe sentito il suo nome avrebbe fatto due connessioni che lo
avrebbero
portato a realizzare che davanti a lui c'era l'eccelsa violinista, la
ragazzina
prodigio della musica classica. E questo lo avrebbe portato ad
utilizzare dei
toni formali che lei non voleva sentire, aveva bisogno di sentirsi dare
del tu
senza dover dare per forza del lei. Nonostante lei lo stesse usando per
educazione.
Quel sorriso però, le
aveva provocato un aumento del
battito e una sensazione di avere le gambe morbide come burro al sole.
Si doveva
opporre alla sua forza di volontà per non crollare a terra
come un'ameba. Quel
ragazzo sconosciuto era davvero affascinante, certo anche Seiya lo era.
Ma lui
aveva un qualcosa in più che l'attirava. E non era in grado
di capire quale
fosse il motivo di così tanta attrazione.
"Cosa stai combinando sulla
passeggiata Ise" si
sentì chiedere.
"Un giro, quattro passi...mi piace
ammirare il mare,
credo che con un sole come quello di oggi sia qualcosa di spettacolare"
probabilmente i suoi discorsi a lui erano incomprensibili, in fondo lei
guardava tutto in un'ottica artistica. Molto probabilmente lui non
sarebbe
stato in grado di capirla.
"Oh concordo con te, ma sai io lo
trovo ancora più
affascinante quando è accarezzato dal vento ed è
infuriato. Mi piace l'unione
tra di loro, la sensazione di maestosità e potenza che ne
deriva" ottenne
come risposta.
" Si diciamo che anche quando
è agitato è un bello
spettacolo" il suo interlocutore aveva ragione, spesso lo avvertiva
dalla
sua camera. Infuriava spostano le pietre e la ghiaia della battigia
durante la
risacca. Quella era la sua voce, la voce del mare. E lei
l’aveva sempre
considerata anche la sua. " Tu cosa fai invece da queste parti?"
chiese a sua volta.
***
"Ero qui per staccare un
pò dalla solita routine,
ogni tanto mi piace venire sul mare, e godermi quella brezza che si
può trovare
solo qui" le rispose lui. Probabilmente per le norme della sicurezza
non
poteva rivelargli il suo vero nome, e questo un pò lo aveva
irritato..non era
di certo un malato mentale lui. Non aveva molto senso come cosa.
Avrebbe voluto
dirle che l'aveva riconosciuta benissimo, ma se poi lei sarebbe
scappata?
Non posso permettermi un errore
simile in questo momento,
glielo dirò appena mi scrive sul telefono. Sempre che scelga
di sentirmi.
Furono i suoi pensieri, si erano
allontanati molto dal
punto in cui si erano scontrati, parlando avevano fatto circa 900 metri
senza
accorgersene, e anche se la ragazza era piccolina non aveva fatto
fatica a
stare dietro alla sua falcata.
Sicuramente farà qualche
sport in cui è importante la
resistenza fisica.
A suo malincuore dovette constatare
che il tempo era
passato abbastanza velocemente, e che quel pomeriggio aveva
appuntamento con il
meccanico per sbrigare una faccenda riguardante la sua macchina, era
giunto
quasi mezzogiorno tra una cosa e l'altra. E da li a poco avrebbe dovuto
andarsene, anche se non si sarebbe mai voluto staccare da lei, ma anzi
portarsela via lontano. Da quel bruno pallone gonfiato, sopratutto.
"Ascolta io tra poco dovrei andare
però, ho un
impegno questo pomeriggio a cui non posso proprio mancare e devo
pranzare e
attraversare mezza città. Se vuoi però posso
riaccompagnarti a casa senza
problemi" le propose, nella speranza che lei scoprisse la sua vera
identità, sfoderando un bellissimo sorriso.
" Ti ringrazio ma non credo sia
necessario"
rispose lei rimanendo sulle sue. Cosa che le riuscì
difficile dopo aver visto
il sorriso splendido dell'altro.
Cazzo Miss Kaioh, non ti conquista
proprio nulla. Pensò
lui.
Si certo, è da stupidi
pensare che una come lei cadda ai
piedi di una persona solamente per un sorriso, dovrò
impegnarmi di più. Dopo
tutto lei non è una come le altre. E soprattutto
sarà abituata a ricevere
sorrisi da ogni persona con cui aveva a che fare.
"Come vuoi Ise, beh spero di
rivederti presto... sai
io vengo spesso qua magari ci si ribecca nuovamente" mormorò
lui.
"La vedo difficile ma grazie lo
stesso per la
compagnia" fu la risposta della ragazza, improvvisamente dentro di lei
si
fece largo una strana malinconia: con questo ragazzo sconosciuto si era
sentita
una ragazza normale, lontana dalle etichette e il loro tempo a
disposizione era
già miseramente finito.
Eppoi oggettivamente era un adone,
era bellissimo. Non
avrebbe mai immaginato che al mondo esistesse qualcosa di tanto bello e
perfetto, anche lui poteva diventare il soggetto di un suo disegno.
Aveva
proporzioni ottime e misurate, come se qualche artista lo avesse
scolpito dal
blocco della vita.
"Come vuoi Ise" rispose lui "io ci
spero
comunque, buona giornata" egli si congedò con una morsa al
cuore, doveva
richiamarlo lei. Doveva a tutti i costi non poteva essere finita
già così tra
loro, tante ore di appostamento solamente per scambiare tre chiacchiere
con
un'identità celata.
***
Seguì il misterioso
sconosciuto con lo sguardo, fino a
quando non lo vide avvicinarsi a una moto. Una moto di quelle serie
che,
probabilmente, sfiorava a occhio e croce i trecento chilometri orari.
Rabbrividì al solo
pensiero di un bolide del genere che
sfrecciava tra le strade caotiche della città.
Bisogna
essere
proprio matti.
Pensò.
Le sfuggì un sospiro
maliconico, poco più sotto rispetto
alla sua posizione la spiaggia si era già riempita di
persone e bambini urlanti
che come lucertole avrebbero passato la restante parte della giornata
sdraiati
al sole. Per ottenere un’abbronzatura perfetta.
Nella libertà che stava
vivendo in quel momento non le
era comunque permesso prendere il sole. Farsi vedere abbronzata quando
i suoi
sarebbe stato il modo migliore per fargli scoprire le sue fughe
clandestine in
loro assenza.
Dopo qualche istante scelse di
iniziare a muoversi verso
casa, per poter mangiare qualcosa e successivamente rimettersi a letto
per
qualche oretta in modo da recuperare le ore di sonno che la partenza
dei suoi
genitori le aveva rubato. A tal pensiero si portò la mano
alla bocca per
nascondere il sonoro sbadiglio di cui cadde vittima.
Michiru
sei proprio
stanca, sarà il caso che torni a casa a riposarti un
po’ prima di uscire
nuovamente quando fa un po’ meno caldo.
Amava tornare sulla spiaggia al
tramonto, per sedersi
vicino alla riva per permettere all’acqua di bagnarle i piedi
e rilassarsi
sotto il suo tocco delicato. Ogni volta che lo faceva aveva come la
sensazione
che l’oceano la cullasse, rassicurandola come mai avrebbe
fatto una persona.
***
Si fermò al primo
semaforo rosso che aveva beccato da
quando aveva lasciato il lungo mare. Il piede sull’asfalto.
Tirò leggermente la
manica della giacca per controllare l’ora.
Cazzo
sono in
ritardo sulla tabella di marcia. Non riesco a pranzare. Se sto diavolo
di
semaforo scattasse.
Fu il suo pensiero. Non poteva
permettersi di saltare
l’appuntamento preso con il suo meccanico, dovevano finire di
apportare
modifiche al suo gioiellino da pista prima che iniziasse la stagione a
Settembre.
Avevano iniziato a lavorarci fin da
subito, non appena i
festeggiamenti per il primo posto in campionato emergenti che per il
terzo anno
di fila si era portato a casa insieme a una buona somma di denaro.
Un attimo dopo il suo piede si
alzò dalla strada, nello
stesso istante diede gas e si allineò con la riga che
divideva le due corsie,
in modo da passare davanti a svariate macchine, rimanendo comunque
sulla sua
corsia di marcia.
Diede nuovamente gas e la sua bimba
ruggì come ad
approvare quel aumento di velocità da parte sua. Con la coda
dell’occhio captò
distintamente un gruppo di ragazzi che si girò al rumore da
lui provocato e
sorrise compiaciuto di suscitare così interesse al suo
passaggio solamente
dando gas.
Arrivò nei pressi della
pista in ritardo di una decina di
minuti, si diresse
subito nel piccolo
box che avevano affittato fin dagli inizi della carriera. Scorse la
figura del
meccanico poco fuori la struttura che si fumava una sigaretta.
“Atzu perdona il ritardo
ma ho avuto un imprevisto, e
come sempre tutti i semafori rossi erano miei o quasi”
esclamò immediatamente
“La macchina è a posto?” chiese.
“Si ho appena finito di
montare il nuovo iniettore,
dovrebbe andare come prima, ma vediamo come si comporta in
pista” gli rispose
l’uomo.
“Ottimo, mi tolgo la
giacca e poi la prendo” i suoi occhi
verdi si posarono sul gioiellino tirato a lucido. La sua Toyota mr2 lo
stava
aspettando. Aveva
leggermente cambiato i
dettagli della carrozzeria, riducendo la presenza del rosso a un bordo
sottilissimo
lungo i cerchi e delle strisce lungo i fianchi del veicolo che parevano
essere
li al posto degli spruzzi di fango. Un brivido gli percorse la schiena,
erano
quasi due mesi che non correva. Non nelle corse ufficiali per lo meno.
Ma per
quelle usava tutt’altra cosa, la quale riposava
tranquillamente nel garage del
palazzo dove abitava.
Aprì lo sportello del
guidatore, pronto a salire in sella
alla belva, da troppo tempo tenuta in gabbia.
“Che gomme hai
montato?” chiese dunque al suo gommista.
“Medie Tenou”
rispose costui, un ragazzo più giovane del
meccanico di nome, che era entrato in squadra un anno prima e che era
alla
preparazione della seconda stagione con quel team.
“Perfetto Oshi, Atzu mi
raccomando monitora tutti i
valori della macchina col computer, e se noti anomalie segnatele, son
ben
deciso a spingerla al limite”diede ordine il pilota.
Dopo di che girò la
chiave e diede al contempo il gas. Il
rumore del motore trepidante provocò una sorta di
eccitazione in lui, la stessa
che viveva a ogni gara e che gli permetteva di rimanere lucido fino
alla fine
dei giri previsti.
Indossò quindi le cuffie
con il microfono che gli
sarebbero servite per tenersi in contatto con il meccanico e gli altri
membri
della squadra, per essere avvisato in caso di anomalie diffuse o
pericolose per
l’incolumità sua e della macchina.
“Mi sistemo sulla linea
di partenza, quando siete pronti
con il monitoraggio avvisate che parto”
“Va bene
Haruka” sentì nelle orecchie. Poi
schiacciò
l’acceleratore, anche se non quanto avrebbe voluto, per
quello avrebbe dovuto
aspettare l’ok del suo staff.
Chissà
come la
prenderebbe Michiru a sapere che faccio questo genere di lavoro. Improvvisamente
l’immagine della violinista sul palco si formò
nella sua mente. Mentre il piede
sull’acceleratore non permetteva al motore di scendere sotto
i nove mila giri. Non è il momento
di pensare a lei, devo
rimanere concentrato e con lei tra i pensieri è impossibile.
“Tenou quando vuoi parti pure”
sentì la voce del gommista.
Lui non se lo fece ripetere
due volte e mollò la frizione, sentendo la macchina ruggire
sotto di lui.
“Ben ritrovata signora”
esclamò lui rivolto alla macchina,
prima di scalare le marce. Seconda. Terza. Quarta. Quinta. Sesta.
Gli occhi puntati sul
cruscotto, aveva raggiunto i trecentocinquanta chilometri orari in
pochissimi
secondi.
A quella velocità in un
attimo dovette rallentare per passare la prima curva, poi la seconda. Alla terza curva
sentì il mezzo perdere un
po’ di aderenza e il posteriore spostarsi verso
l’esterno della curva. Un colpo
di volante nel senso opposto riportò tutto alla
normalità.
“Otsu che è
successo? Sono
le gomme?” chiese immediatamente nel microfono.
“Direi di si, sei
letteralmente scivolato col posteriore, cambierò tipo di
gomme. Probabilmente
col nuovo assetto non vanno bene” rispose il ragazzo.
“Meno male che non ci
faccio altro col posteriore” rispose lui ridendo.
“Cerca di risolvere il
problema delle gomme al prossimo check voglio quelle più
adatte”
“Certo” rispose l’altro.
Tornò a concentrarsi
sulla
guida, e soprattutto alla sensazione che essa gli dava se affrontata in
situazioni simili a quella che stava vivendo.
Per quanto riguarda le
corse clandestine, l’adrenalina aumentava al pensiero di
dover schivare le
macchine delle persone che ignare non si spostavano.
Li si che le sue
capacità
di guida erano chiamate a dare il meglio di loro stesse per lui.
“Bene allora ci si vede
la
prossima settimana, mi raccomando le gomme Otsu” si rivolse
al gommista “ E
anche gli altri problemi emersi per quanto possibile voglio siano
risolti per
quella data” mormorò il biondo. Erano rimasti a
discutere le varie migliorie da
effettuare sul veicolo già di per se a livelli eccellenti. E
avevano finito
dopo quasi un’ora. Erano quasi le sei del pomeriggio, e
avrebbe dovuto
sbrigarsi a tornare a casa: quella sera Setsuna, Rei e Hotaru erano a
casa sua
per inaugurare la nuova casa e non voleva di certo arrivare in ritardo.
Così non appena si fu
congedato dalla sua troupe corse immediatamente alla moto e si mise il
caso
dopo averla accesa.
Dopo di che si immise nel
traffico diretto verso casa, leone ardente tra le pianure di asfalto.
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Capitolo 9 *** Verità nascoste ***
9
Capitolo: Verità nascoste
Il
viaggio verso la capitale giapponese si era rivelato lungo e noioso,
sopratutto perché svolto con due personaggi che il bel moro
detestava fin da quando era più piccolo.
Come
erano rimasti d'accordo con i genitori di Michiru, loro lo avrebbero
lasciato a casa sua non appena arrivati in città, e in quel
momento
erano proprio diretti alla sua abitazione, era quasi orario di cena e
i suoi lo stavano sicuramente aspettando insieme ai suoi fratelli per
consumare il pasto. E in effetti ora che ci pensava aveva proprio una
fame da lupi, e sperava che fosse quella la priorità della
sua
famiglia. Lasciando i discorsi al dopo cena, anche perchè
aveva
bisogno di zuccheri per poterli assimilare, non poteva permettersi di
sbagliare le prossime mosse da fare.
A
quel pensiero un sorrisetto maligno gli si dipinse in volto, la
natura gli aveva donato una buona capacità recititativa, che
aveva
potuto sviluppare con un corso di recitazione di un annetto e tanta
esperienza in campo femminile visto che li a Tokyo le belle ragazze
di certo a uno come lui non mancavano.
"Seiya
penso proprio che siamo arrivati" sentì la voce del signor
Kaioh provenire dalla parte anteriore dell'abitacolo.
"Si
direi di si" rispose il ragazzo, dopo essersi affacciato
leggermente verso il centro della macchina per poter guardare davanti
a se, quella davanti a lui era proprio l'ingresso al grattacielo di
cui i suoi avevano acquistato l'attico di trecento metri quadri
qualche anno prima.
"Va
benissimo, allora poi l'autista ti comunicherà quando ti
veniamo a
prendere per il rientro" rispose l'uomo.
"Non
ci sono problemi di nessun genere" concluse il moro, prima di
aprire lo sportello della macchina seguito dall'autista che si
prodigò ad aprire il portabagli per dargli modo di
recuperare il suo
misero bagaglio.
"Ha
bisogno che l'accompagni fino all'ascensore signorino?" gli
chiese l'uomo con grande rispetto.
"No
si figuri faccio da solo, non è troppo pesante ma grazie lo
stesso
per la cortesia" rispose lui, prima di piegarsi per salutare
un'ultima volta i genitori della musicista.
Dopo
aver raggiunto l'ingresso del cancello riservato ai pedoni
digitò il
codice associato alla sua abitazione nella tastiera, e pochi istanti
dopo il rumore della serratura che si apriva giunse alle sue
orecchie. Quel grattacielo era all'avanguardia delle tecnologie in
campo gestionario della vita in appartamento, così facendo
chi
abitava li non doveva far perdere tempo ai parenti per fargli andare
ad aprire quando arrivava a casa. Stesso discorso per il portone, che
veniva aperto in automatico dopo aver digitato il codice al cancello
d'entrata.
Appena
mise piede nel portone la luce si accese in automatico, guidata dalle
fotocellule che rilevavano il movimento delle persone. La stessa cosa
avveniva su ogni piano del grattacielo non appena un abitante metteva
piede sul pianerottolo delle scale.
Arrivato
all'ultimo piano si diresse verso la porta di casa sua, rispetto agli
altri piani li c'erano solo due appartamenti di dimensioni
ragguardevoli, anziché quattro o cinque di dimensioni
piuttosto
comuni. Sentì subito la voce di suo fratello Yaten, che
correva ad
aprire. Lui e i suoi fratelli erano molto legati e ogni volta che lui
era costretto a stare per diverso tempo fuori casa per lavoro o per
altre motivazioni come in quel caso era una piccola sofferenza per
tutti e tre.
Vide
comparire gli occhi verdi del fratello sopra l'uscio della porta.
"
Fratellone che bello che sei tornato" esclamò lui raggiante
"
ti stavamo aspettando per iniziare a cenare fai presto. Vai a lavarti
le mani" continuò il ragazzino.
"Ciao,
arrivo subito poso due cose in camera, mi lavo le mani e sono da voi"
rispose il bruno. Avrebbe voluto farsi una doccia, ma avrebbe
rimandato a prima di andare a dormire. Posò la piccola sacca
che si
era portato dietro alla fine del letto accanto alla sua chitarra
elettrica nera e bianca appoggiata sul piedistallo, era da tanto
tempo che non si dedicava alla musica e alla composizione di brani.
L'università gli portava via un sacco di tempo, e anche se
continuava a suonare sia brani suoi che altri per mantenersi in
esercizio non aveva più avuto la possibilità di
perdere giornate
intere a comporre. E anche la sua musa ispiratrice era andata in
vacanza.
Quando
arrivò in cucina fu accecato dal tramonto che illuminava la
stanza e
la tavola già imbandita per la cena. Era una delle cose che
amava in
quella casa, la vetrata della cucina che insieme a quella della sala
permettevano al sole di illuminare gli ambienti tingendoli di
sfumature diverse rispetto al momento della giornata in cui si
trovavano. In quel momento di colori rosati e aranciati.
"
Eccolo" esclamò Taiki sorridente, prima di alzarsi e dargli
il
benvenuto con uno schiaffo affettuoso dietro la nuca.
"Ciao
mamma, ciao papà" disse lui sedendosi al suo posto, stare
via
di casa anche solo per poco più di una settimana gli era
pesato
molto e anche se era per una buona causa, era felice di essere
tornato anche solo per qualche giorno a casa.
"Com'è
andata tesoro?" era sua madre, che glielo domandava mentre gli
passava il tegame con il pollo arrosto ripieno e le patate.
"Bene
mamma, ma credo che sia più opportuno parlarne dopo con
calma e non
durante la cena.." rispose lui, perfettamente consapevole che i
suoi avrebbero capito. Meno persone erano a conoscenza della cosa e
meglio era, e anche se i suoi fratelli sarebbero rimasti muti senza
parlare in giro di quelle cose era meglio non rischiare.
I
suoi pensieri furono interrotti da un rumore che si alzò dal
suo
stomaco nel momento di più totale silenzio da quando si era
seduto a
quella tavola. Scatenando una risata generale nella sua famiglia.
"Seiya
mi sa tanto che il tuo stomaco reclama cibo" sottolineò il
concetto Yaten.
***
Era
sdraiata sul letto con lo sguardo al soffitto e un braccio appoggiato
sulla fronte. L'altra mano a stringere un foglietto di carta trovato
nella borsa quando arrivata a casa aveva tirato fuori lo smartphone.
Nella sua testa una moltitudine di pensieri, nella maggioranza dei
quali facevano capolinea due occhi verdi vivaci e che sapevano il
fatto loro. Era rimasta stregata dallo sconosciuto che le aveva messo
quel biglietto nella borsa, gesto di cui non si era minimamente
accorta nel momento in cui era stato compiuto, molto probabilmente
quando si era offerto di aiutarla a raccogliere. La realtà
era che
lui si era appropriato della sua mente come nessuno aveva mai fatto
prima, le sensazioni che stava provando sembravano quasi come se un
terremoto avesse spostato inspiegabilmente il suo baricentro, per
unirlo a quello di..come aveva detto di chiamarsi? Haruka. Si era
sicura, aveva detto esattamente quel nome. E il suo occhio allenato
alle proporzioni aveva impiegato meno di un minuto a notare la
perfezione contenuta nel corpo di lui.
Non
aveva niente a che vedere con Seiya, certo anche lui era un
bellissimo ragazzo. Ma si sentiva come bloccata da qualcosa che
nemmeno lei sapeva spiegare, nei suoi confronti aveva un freno. E
sebbene il bacio che c'era stato tra loro le aveva scatenato dentro
non poche emozioni, nella sua mente c'era qualcosa che la spingeva a
scappare da lui. Come se ogni volta che si apriva un pò nei
suoi
confronti nel suo inconscio suonasse un allarme, nel tentativo di
proteggerla da qualcosa di pericoloso.
Era
questo quello che sentiva nei confronti del bruno, non riusciva
proprio a spiegarsi come mai avesse così
difficoltà ad aprirsi con
una persona che, sebbene appartenesse all'alta società, si
era
sempre comportato bene nei suoi confronti. Senza elogiarla di
continuo, ma anzi aveva saputo comunque riprenderla duramente quando
lei aveva esagerato con le sue pretese.
Eppure
quel Haruka era un'attrattiva più forte, probabilmente
perché per
lei era ancora sconosciuto. O forse perché anche se lo
conosceva
poco, dai suoi modi di fare aveva capito che apparteneva a quel mondo
semplice e fatto di cose buone a cui lei non era permesso di far
parte poiché era stata assegnata dal destino ad un gradino
più alto
della società. Forse la causa principale era quella, la
libertà
che sentiva provenire da lui, che andava contro alla società
aristocratica che Seiya comunque portava con se, e che lei conosceva
fin troppo bene.
Si
girò su un fianco, per prendere il telefono dal comodino. La
sveglia
segnava le nove di sera, aveva già cenato da ormai due ore.
E i suoi
genitori sarebbero dovuti arrivare nella capitale giapponese ormai da
un bel pò, eppure accendendo lo schermo non trovò
nessuna loro
chiamata che la informava che era andato tutto bene.
Come
al solito, non si ricordano mai di avvisarmi che sono arrivati e se
il viaggio è andato tutto come era stato organizzato.
A
farle più male però era la mancata presenza anche
solo di un
messaggio di Seiya, ai suoi genitori era abituata ma lui pensava e
sperava fosse diverso. Evidentemente si sbagliava. Evidentemente lui
era esattamente come tutte le persone dell'alta società che
se ne
fregava di coloro da cui erano circondati.
Lesse
per un'ultima volta il numero sul foglietto di carta, prima di aprire
la rubrica e memorizzarlo, aspettò qualche minuto prima di
controllare se era comparso nella rubrica di Whatsapp.
***
Setsuna
seduta al tavolo della sua cucina insieme a Hotaru e Rei lo
osservavano incredule dopo che aveva finito di raccontare il suo
pomeriggio. Le sue amiche erano andate da lui a inaugurare la nuova
casa portando delle pizze e quattro birre. Alla fine della cena, si
era deciso a raccontare loro dell'incontro, o meglio scontro che
aveva avuto quel pomeriggio sul lungo mare, culmine di svariati
giorni di ricerca in cui spesso la frustrazione l'aveva fatta da
padrone accompagnata dalla sensazione di star perdere inutilmente
tempo. Tempo che poteva occupare in altre faccende, nella macchina ad
esempio. O a
portarsi a casa una di quelle ragazze che gli morivano dietro in
passeggiata facendo le ochette, gli sarebbe bastato uno schiocco di
dita per trovarsene una o due a letto per una sana e serena scopata.
Il
punto era che da quando aveva in testa la violinista le altre non gli
interessavano. Ma anzi in confronto a lei gli sembravano
così
insignificanti.
"Ruka
ma ci sei? Pianeta terra chiama testa di cazzo ..mi sentite?"
disse Setsuna passandogli la mano davanti agli occhi.
"Ehm
si cosa hai detto?" mormorò lui.
"Cavolo
sta principessina ti ha proprio bruciato i neuroni, ti ha appena dato
della testa di cazzo e non hai reagito...la faccenda è
grave"
si intromise Hotaru tra le due.
"Ragazze
non potete capirmi, lei è qualcosa di meraviglioso, devo
fare di
tutto per conquistarla, ha una voce bellissima.... i suoi gesti sono
di un eleganza inspiegabile. " fu la risposta dell'altro.
"
Mi sa che la situazione non è grave... è proprio
in coma...lo
abbiamo perso...è andato... è cotto"
mormorò Rei. "Che
hai intenzione di fare se non ti scrive?" chiese ancora la
ragazza.
"No
deve farlo, me lo sento che lo farà... ho sentito qualcosa
di
inspiegabile quando ci siamo incontrati la prima volta...e come se il
centro della mia esistenza si fosse spostato su di lei. E il bello
è
che è successo dopo appena aver scambiato tre parole... e
aver fatto
qualche passo insieme" continuò lui.
"Haruka
per l'amore del cielo torna coi piedi per terra, obbiettivamente a
lei di te non fregherà nulla..con tutti i rampolli che ci
sono in
città perché dovrebbe notare proprio te, che fai
parte della gente
comune?" gli chiese Setsuna. L'attrazione così forte del suo
amico per questa ragazza che ancora nemmeno si era fatta sentire, e
nemmeno conosceva la preoccupava e non poco. Era quasi insana, e
aveva paura che lui soffrisse se la violinista non avesse deciso di
prendere dei contatti con lui in tempi brevi. E come biasimare quella
ragazza? Visto il cognome che portava aveva tutto il diritto di
snobbare la gente come loro, di cercare di meglio. Quel meglio che
sicuramente era alla sua portata. E non a chi, come loro, faceva
parte del ceto medio basso della città.
"Non
lo so Sets perché dovrebbe, spero solamente che lei lo
faccia perché
sennò giuro che me la vado a prendere dove abita. Le
conviene
scrivermi il più presto possibile" rispose lui.
"
Ma non dire stronzate, che se la sequestri passerai dei bei guai. E
tua mamma non ha bisogno di altri pensieri" mormorò Hotaru
scettica nel sentirlo parlare così. E la sua amica aveva
ragione, ma
era davvero più forte di lui, non poteva non pensarci. Aveva
voglia
di baciare quelle labbra, accarezzarle il corpo sentirne il profumo e
il sapore.
Sentiva
che avrebbe potuto impazzire se la violinista non si fosse fatta
viva.
"Ti
ha vibrato il cellulare pesce bollito" gli disse una delle sue
amiche allungandosi fino al mobile per prenderglielo e passarglielo.
Haruka
prese in mano il telefono e schiacciò il tasto laterale per
vedere
chi lo aveva cercato, era un msg su whatsapp, e il numero sembrava
non essere presente nella sua rubrica.
A
quella constatazione il suo cuore iniziò a battere
all'impazzata,
perché poteva essere solo una persona ad avere il suo numero
senza
che lui sapesse il suo.
"Ragazze,
è lei...mi ha scritto..." mormorò facendo
scorrere il dito
sullo schermo per sbloccare il blocca-tasti.
"Che
cosa ti ha scritto?" chiese Hotaru curiosa. Sporgendosi un
pò
verso di lui.
"
Ha scritto solamente, Ciao sono Ise" rispose lui "Mi ha
dato falso nome, probabilmente per paura che fossi un paparazzo o
simili. Ma sono sicuro che è lei"
Ciao,
son contento che tu mi abbia scritto...come stai?
Si
mise a scrivere sulla tastiera velocemente, lei era ancora in linea,
probabilmente ad aspettare una sua risposta. Non poteva farla
aspettare e rischiare che si stufasse, probabilmente era abituata ad
avere tutto e subito. Dopo di che approfittando dell'attesa
memorizzò
il numero di telefono sotto il vero nome della persona parlando.
Ho
il numero di Miss Kaioh finalmente, se lo sa Usagi impazzisce.
Bene,
mi annoio solamente un pò.. stasera non so proprio cosa fare
e sono
da sola in casa..
"Mi
sembra un chiaro invito ad andare da lei.." commentò Setsuna
un
pò perplessa per il fatto che una ragazza così
per bene facesse
allusioni del genere.
"No
non credo Sets, massimo massimo secondo me è un tentativo di
farti
capire che può invitarla a uscire, le ragazze con la puzza
sotto al
naso non si fanno subito portare a letto" commentò invece
Rei
forse con un tono un pò acido.
"Anche
secondo me ha ragione Rei" mormorò lui "Lei non è
il tipo
di fare allusioni così... non chiedetemi come faccio a
saperlo ma ne
sono sicuro" mormorò.
Mi
dispiace molto che sei a casa da sola, io se vuoi sono libero Ise...
se hai voglia posso passare a prenderti per fare un giro.
Non
voglio arrecarti disturbo, magari avevi altri programmi per la
serata; non è necessario
"In
effetti tu saresti anche impegnato con noi tre stasera, non ha tutti
i torti la principessina" commentò Rei, un po' innervosita
dal
fatto di essere probabilmente cacciate fuori di casa da li a poco per
un appuntamento che non era nemmeno in programma.
"Taci,
che chissà quando mi ricapita una cosa del genere"
mormorò lui
piccato, il tono pungente della sua amica bruna non gli aveva proprio
fatto piacere.
Ma
figurati non avevo nessun impegno, stavo guardando solamente la tv,
niente di particolarmente interessante :D
Scrisse
in risposta, era anche vestito decentemente, ragion per cui se lei
gli avesse detto di si avrebbe potuto uscire in cinque minuti e
fiondarsi da lei. Cosa che sperava accadesse con tutto il suo cuore,
in modo da conoscerla un po’ meglio.
Haruka
pensa a un posto decente in cui portarla, senza fare le tue solite
figure di merda.
Si disse tra se e se, mentre aspettava di vedere quel "sto
scrivendo" nella finestra della chat, lei il messaggio lo aveva
sicuramente letto. La spunta era diventata azzurra immediatamente.
Probabilmente stava solamente pensando, o forse aveva paura di uno
sconosciuto.
Se
non avevi veramente nulla da fare allora va bene, possiamo uscire. Mi
puoi passare a prendere dove ci siamo scontrati oggi pomeriggio.
Credo che sia comodo per entrambi... c'è un sacco di posto
per la
macchina :)
Non
ti preoccupare per il posto della macchina, posso venire a prenderti
direttamente a casa se vuoi così non devi stare in giro ad
aspettarmi da sola che di sera non è una bella cosa per una
ragazza.
Non
è necessario ci vediamo in passeggiata allora quando arrivi
scrivimi. A dopo :D
Il
cuore iniziò a battergli forte, e improvvisamente il tempo
gli
sembrò scorrere troppo lentamente per i suoi gusti. Avrebbe
voluto
avere il teletrasporto per arrivare immediatamente sul lungo mare,
anziché doversi fare mezz'ora in macchina con le farfalle
nello
stomaco e la gola secca.
Si
sentiva come un adolescente alla prima cotta, eppure lui era ormai
abbastanza grande..e sicuramente non era alla prima esperienza. Aveva
già amato in passato, ma mai nessuna era stata capace di
arrecargli
una tempesta interiore come la musicista.
"Ragazze
scusatemi, lo so mi sto comportando malissimo nei vostri confronti,
ma per favore cercate di capire. Per me lei è tutto non
posso farmi
sfuggire una possibilità simile... prossimi giorni prometto
che mi
farò perdonare" esclamo guardando le tre davanti a lui negli
occhi. Sapeva che Hotaru non gli avrebbe fatto problemi, Sets
più
che altro era dubbiosa su quella storia perché aveva paura
che
rimanesse ferito per l'ennesima volta. Rei invece orgogliosa com'era
sicuramente non gli avrebbe rivolto la parola per qualche giorno.
"Ruka
per noi non c'è problema lo sai, ma stai attento a non
rimanere
scottato" gli disse la più grande delle tre "credo che
anche per loro due valga la stessa cosa" continuò lei,
muovendosi nella sala per prendere la sua giacca seguita da Hotaru e
Rei. "In ogni caso se vuoi poi raggiungerci noi credo che saremo
in giro, batti un colpo..e mi raccomando domani aggiornaci"
"Certo
ragazze, grazie infinite per l'appoggio" le rispose lui con un
sorriso raggiante prendendo la giacca e le chiavi della macchina.
Miss Kaioh non poteva sicuramente portarla in giro in moto. Non si
addiceva ad una signorina come si deve.
***
Tokyo
19
anni prima
Una
giovane donna procedeva con passo svelto grazie alle scarpe da
ginnastica che aveva scelto di indossare sotto i jeans e il trench.
I
capelli lunghi raccolti in una lunga coda dietro la testa. Era in
ritardo all’appuntamento. La pioggia e il vento le rendevano
difficile camminare senza bagnarsi eccessivamente.
Doveva
parlare con lui a tutti i costi, doveva scegliere cosa fare insieme a
lei.
Il
test che aveva fatto nel suo bagno quella mattina non lasciava nessun
dubbio.
Era
incinta. E lo era di lui.
Anche
se non aveva ancora fatto l’esame per controllare i valori
delle
beta, indice di gravidanza in atto, i dubbi erano ormai lievi.
Ed
era sicura che lui della notizia non sarebbe stato contento. Il loro
legame era abbastanza delicato già così senza
ulteriori
complicazioni.
Ma
non avrebbe abortito, mai. Doveva fare in modo di convincerlo a
riconoscere il bambino che sarebbe nato. Per donare a suo figlio una
vita migliore di quella che lei stessa aveva vissuto.
Spinse
appena la porta del locale, che si aprì poi in automatico.
Lo
sguardo accarezzò ogni tavolino alla ricerca della figura
familiare
con la quale aveva appuntamento. La trovò nel tavolo
più lontano
dall’ingresso e, facendo attenzione a non scontrare gli altri
tavoli si precipitò da lui.
Il
ragazzo la fissò con i suoi occhi blu, profondi come gli
abissi. Che
su di lei avevano avuto, fin dal primo momento, un ascendente molto
forte. Il carisma dell’uomo che aveva davanti era percepibile
anche a qualche centimetro di distanza.
“Prendi
qualcosa?” gli domandò l’uomo,
schioccando poi la lingua tra le
labbra tradendo un evidente stato di nervosismo.
Era
scocciato dalla sua presenta, ne era convinta.
“Un
bicchiere di acqua naturale, nient’altro” rispose
la giovane
donna.
“Bene”
fu la risposta secca di lui “Cosa dovevi dirmi?”
“ Ho
fatto un test di gravidanza stamattina, come ti avevo accennato avevo
un ritardo. Sono incinta” il tono con cui aveva pronunciato
quelle
parole non fece trasparire nessun tipo di emozione. Ma in quel
momento dentro di lei se ne crearono tante. Aspettative ma anche la
paura di ricevere una determinata risposa che non avrebbe mai
accettato.
Il
silenzio tra loro si fece quasi insopportabile. “Non dici
nulla?
Non ti interessa che aspetto un bambino da te?”
incalzò lei.
“Cosa
dovrei dire? Sai già cosa devi fare, conosco un eccellente
ginecologo qui a Tokyo, lascerò detto che sei
un’amica di mia
moglie e abortirai a mio nome” rispose lui, con sguardo di
ghiaccio.
“Non
abortirò mai. Porto a termine la gravidanza se fosse, e
dovrai
riconoscerli come figli tuoi”esclamò lei, cercando
di non perdere
la calma.
“Questo
non è possibile non voglio scandali sulla mia famiglia, ti
sei fatta
scopare. Hai chiesto tu di non usare contraccettivi, ora non fare la
vittima, e torna a fare la cagna nei locali”
“Tu
ad aprirmi le gambe senza precauzioni eri d’accordo
però, non ti è
mai sfiorata l’idea che così c’era il
pericolo di poter
concepire un figlio da me?” chiese. Anche si sentiva morire
dentro,
la stava umiliando. Trattandola come la peggiore delle sgualdrine.
“Certo,
ma era sottointeso che tu abortissi se fosse successo. Non dare la
colpa a me se ti piace farti sbattere dal primo riccone che passa. Ti
comunico orario e data dell’appuntamento dal ginecologo. Vedi
bene
di andarci e liberarti di questa scocciatura” La donna
capì che la
conversazione era finita anche prima di ricominciare, il fare
autoritario dell’uomo non ammetteva replica alcuna. Lo vide
alzarsi
dalla sedia lasciando il conto sul tavolo. Sebbene non avesse
consumato niente dell’ordine che avevano fatto.
***
Seiya
aspettò pazientemente che sua madre finisse di mettere a
posto la
roba della cena in sala suo padre era accanto a lui . I suoi fratelli
si erano ritirati nelle rispettive stanze a guardare la televisione
ed era quindi il momento giusto per affrontare un certo tipo di
discorsi.
Non
si sentiva minimamente in colpa per quello che stava facendo, anzi
era contento se poteva aiutare i suoi genitori in qualcosa come in
quell'occasione.
"Eccomi
ho finito" la voce della madre irruppe nella stanza coprendo per
qualche istante il rumore della televisione. Suo padre provvedette
subito ad abbassarne il volume in modo da potersi parlare con
più
facilità.
"Seiya
tesoro dicci tutto, hai accennato prima a cena che sta andando tutto
bene" gli chiese la donna, mascherando malamente un sorriso
misto tra soddisfazione e malignità.
"Si
mamma, guarda francamente la Kaioh è molto più
cocciuta di quanto
pensassi, non è facile conquistarla. Ha un carattere
piuttosto
chiuso ma ho avuto già dei progressi. Credo che presto
sarà ai miei
piedi... " rispose lui sorridendo.
"Benissimo,
così finalmente riusciremo a mandarli fuori gioco una volta
per
tutte" intervenne il padre.
"Certamente"
rispose il ragazzo, sorridendo.
"A
proposito della vita privata di Michiru sei riuscito a scoprire
qualcosa? Frequenta qualcuno?" fu la domanda della madre,
perché
se era una storia che non era conosciuta ai giornalisti sarebbe stato
un ottimo scoop per una famiglia riservata come quella di cui stavano
parlando. La presenza di qualcuno nel cuore della ragazza
però,
sarebbe stato un ostacolo non indifferente per tutta la questione.
Tra le loro famiglie non era mai corso buon sangue, ed ora erano
pronti ad usare qualsiasi mezzo per poterli disintegrare.
Specialmente lei non vedeva l’ora di far soffrire quella
ragazzina. Suo marito in fondo era un avvocato e sapeva come piegare la
legge a
suo piacimento, e lei lavorava in banca. Ragion per cui le era molto
facile raggiungere dei dati sensibili.
"No
della vita privata non c'è niente in realtà
Michiru è una ragazza
molto sola, e io sto giocando proprio su questa debolezza. Non ha un
buon rapporto con i suoi anzi, mi pare di aver capito che loro
pensano solo al successo della figlia. " Cavolo
che idiota mi sono dimenticato di mandarle il messaggio quando sono
arrivato a casa. Fu
improvvisamente il suo pensiero. Una mancanza così poteva
cancellare
tutti i progressi fatti in quei giorni, ma si sarebbe fatto perdonare
con uno di quei messaggi sdolcinati che tanto sanno far sciogliere
una ragazza. Li aveva usati mille volte con le ragazze che si era
portato a letto per puro divertimento, e non avevano mai fatto
cilecca. Anzi! Erano anche tornate da lui per una seconda notte e
anche per quelle successive.
"
Mi raccomando qualsiasi novità scopri a proposito avvertici
immediatamente che faremo uscire un bello scandalo" disse la
donna.
"Non
mancherò mamma" rispose lui sorridendo.
***
Appena
aveva mandato il messaggio di conferma al biondo si era
immediatamente alzata dal letto per prepararsi, aveva aperto la sua
cabina armadio con impeto, alla ricerca di un paio di jeans
leggermente attillati, li avrebbe messi con sopra un maglia nera
aperta sulla schiena da sotto il reggiseno a due cm prima del sedere.
Dopo essersi infilata i vestiti si dedico al trucco, optò
per un
ombretto color argento accostato a una matita nera e intensa per gli
occhi e il rossetto rosso che aveva già utilizzato per il
concerto
per le labbra. Le unghie erano color petrolio, un verde acqua molto
scuro quasi nero. Ai piedi mise un paio di sandali bianchi col tacco
di Cavalli impreziositi da zirconi e abbinati alla borsa, al collo e
alle orecchie una parure in oro bianco e diamanti che le avevano
regalato due compleanni prima i suoi genitori.
Un
suono interruppe il silenzio nella stanza, era il suo cellulare sul
cui schermo era apparsa una notifica, sicuramente era sua.
Sono
qui ti aspetto :*
A
leggere quelle parole sentì le gambe farsi improvvisamente
più
instabili e le mani che improvvisamente iniziavano a sudarle
nonostante non ci fosse così tanto caldo da permetterlo.
Sentì una
sorta di mal di pancia nel basso ventre, quello stesso mal di pancia
che si impadroniva qualche anno addietro del suo corpo quando, ancora
insicura delle sue capacità musicali, era agitata ad ogni
concerto.
E si, quella sera era proprio agitata allo stesso modo, come se
dovesse passare un esame senza possibilità di fare errori.
Per
lei era quasi più facile suonare davanti a un pubblico di
duecento
persone piuttosto che uscire da quella stanza in quell'istante.
Michiru
calmati, è semplicemente un'uscita tra amici. Disse
a se stessa nel tentativo di far calare la tensione. Si diresse verso
la vetrata scorrevole della sua camera in punta di piedi per non
svegliare la servitù. Avrebbe dovuto fare attenzione anche a
chiudere piano il cancello, per non farli svegliare. Probabilmente
era agitata anche perché era la prima volta che usciva di
sera da
sola e sopratutto di nascosto ai suoi genitori e agli abitanti della
casa che quando erano in tour facevano le loro veci.
E
che non era sicura che l'avrebbero fatta uscire a quell'ora della
sera se avesse detto la verità. Lasciò quindi la
finestra della
sua camera aperta abbastanza da poter rientrare senza passare dalla
porta principale della villa. E prese le chiavi del cancello,
teoricamente l'ingresso era accessibile anche passando un dito su un
lettore di impronte digitali. Il problema e che i movimenti di
ciascun membro della famiglia rimanevano in un registro che i suoi
genitori controllavano periodicamente. E che era abbastanza quindi
per essere scoperta e passare un brutto quarto d'ora.
Non
appena chiuse il cancello del giardino della sua abitazione, la sua
attenzione fu catalizzata da una macchina parcheggiata dall'altra
parte della strada a circa cento metri da li. Fece finta di niente,
dirigendosi dalla parte opposta verso il punto in cui lei e Haruka si
erano scontrate, senza dare troppo peso a quella macchina. Anche se
la sua presenza la innervosiva, più che altro non sapere chi
c'era
dentro le donava un senso di inquietudine. Alzò il ritmo del
passo,
per raggiungere il prima possibile la sua meta, ma non aveva nemmeno
fatto un terzo del percorso che sentì una macchina accostare
accanto
a lei.
"
Miss Kaioh, al suo servizio per questa notte" disse una voce
già
sentita, si voltò appena per guardare il guidatore che aveva
il
finestrino abbassato, il braccio appoggiato alla portiera e gli
occhiali da sole alzati sulla testa.
"Haruka"
fu l'unica parola che riuscì a pronunciare, a causa della
tempesta
che quegli occhi le provocarono. Erano magnetici come pochi, ci
sarebbe annegata per ore in quei smeraldi bellissimi.
"Sono
perfettamente consapevole di essere un capolavoro della natura, ma
signorina Kaioh non le sembra esagerato guardare una persona che
quasi non conosce con quello sguardo?" la punzecchiò lui.
Godendosi il rossore che le si dipinse sul volto " Dai che
aspetti? Salta in macchina" concluse poi.
La
musicista fece il giro della vettura per raggiungere il posto
affianco a quello del guidatore.
Che
culo da favola. Pensò
l'autista. Per
fortuna che non può leggermi nel pensiero altrimenti mi
prenderebbe
per un maniaco sessuale. Con una come lei accanto vorrei proprio
vedere chi non lo sarebbe.
"Volevo
chiederti scusa per aver mentito sul nome... mi hai scoperta subito"
mormorò lei mortificata per la pessima figura che aveva
appena
fatto.
"Michiru,
non c'è problema e capisco anche le tue motivazioni, ma puoi
stare
tranquilla con me...non c'è pericolo...non darò
in pasto ai
giornali le nostre uscite ne altro" rispose cercando di
rassicurarla. Non sapeva per quale motivo ma l'istinto gli faceva
pensare proprio quello.
"Oh..."
il biondo aveva compreso a pieno quale fosse il discorso, e
ciò la
sorprese. Molto probabilmente fosse stata un'altra persona non
avrebbe compreso, e anzi magari si sarebbe anche arrabbiata con tutte
le ragioni del mondo. "Grazie" si limitò a Eccdire.
"Beh
io avrei una mezza idea di dove andare, ma volevo sentire prima se tu
hai già delle mete in testa oppure no, dimmi tu sono al tuo
servizio stasera" le disse " E renditi conto che onore che
hai, avere me come tuo autista, mica è roba da poco questa"
sottolineò gonfiando un pò il petto. La frase
provocò una risata
cristallina nell'altra, che portò la mano alla bocca per
coprirla. "
Perché ridi? Guarda che offendi il mio ego"
"
No è che ti gonfi da solo, senza che io dica nulla." le
scappò
di nuovo da ridere " E questa cosa è troppo buffa"
continuò facendo comparire un broncio da finto offeso sul
viso
dell'altro.
Quando
ride è stupenda.
Quel
broncio è adorabile.
Si
ritrovarono a pensare insieme, senza sapere nulla dei pensieri
dell'altro.
"Comunque
io non ho nessuna meta, fai pure tu.. mi va bene qualsiasi cosa"
Tutto è
meglio che stare dentro a quella maledetta abitazione.
Il
biondo schiacciò la frizione e, dopo aver inserito la
marcia,
sull'acceleratore, la sua metà sebbene sconosciuta alla
violinista
era stata quindi promossa. E ne fu sorprendentemente contento.
Note
dell'autrice: Eccovi il nono capitolo, scusate
il ritardo ma i giorni appena passati non sono stati i migliori per la
sottoscritta. Grazie per le recensioni e chi ha inserito la storia
nei vari elenchi. Come sempre fatemi sapere cosa ne pensate. Per
migliorarmi le vostre recensioni sono importanti.
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Capitolo 10 *** Mare sotto le stelle ***
Capitolo
10: Mare sotto le stelle
Aveva
scelto di portarla in un posto poco fuori Kyoto, in quel momento la
sua auto sfrecciava veloce sulla corsia dell'autostrada. In quel modo
avrebbero fatto prima ad arrivare a destinazione senza dover fermarsi
a ogni semaforo rosso che incontravano sulla via. Conosceva una
spiaggia con qualche scoglio un po nascosta dove aveva passato alcuni
dei momenti più felici della sua infanzia, e portare li
Michiru, lo
considerava come di buon auspicio per quello che poteva a tutti gli
effetti considerare un loro primo appuntamento. Per le altre persone
poteva essere sciocca la sua superstizione, ma iniziare qualcosa in
un posto dove si era trovato bene in passato lo faceva sentire bene.
E quindi mentre si recava a prenderla non aveva avuto dubbi su quale
spiaggia scegliere.
Sebbene
nell'abitacolo c'era silenzio da un po, aveva beccato la violinista a
guardarlo di sottecchi già tre volte, e quel comportamento
unito
allo sguardo che gli aveva rivolto poco prima quando si era accostato
in macchina lo facevan ben sperare. Forse anche troppo visto che, a
conti fatti, della vita privata della musicista non sapeva un
granché
poiché ancora niente era stato dato in pasto ai giornali.
Per quanto
ne poteva sapere ella avrebbe potuto avere un fidanzato, o comunque
essere promessa sposa contro il suo volere a qualcuno scelto senza
nemmeno interpellarla dai suoi genitori. Al solo pensiero gli si
attorcigliarono le viscere, al solo pensare che lei potesse andare a
letto con altre persone un moto di rabbia gli montava in corpo.
"Come
hai passato il resto della giornata?" Le chiese.
"Niente
di particolare...sono tornata a casa per cena, poi mangiato e il
resto lo sai" gli rispose "te invece?Non dovevi portare la
macchina dal meccanico? Già messa a posto?" Si
sentì
domandare.
"La macchina in questione non era affatto questa,
vedi Miss Kaioh, stai parlando con il miglior pilota di tutti i
tempi, e anche con il ragazzo più figo..modestamente, dimmi
se è
poco" rispose lui con tono orgoglioso, suscitando un'altra
risata in lei " Miss Kaioh, così mi sta offendendo"
mormorò facendosi scappare un sorriso quasi impercettibile
nel
buio.
"Lo hai fatto di nuovo, ti sei tutto gonfiato mentre
parlavi" disse lei divertita " sei assurdo sei una delle
poche persone che si comporta così che io conosca"
"No
Michiru, io non sono una delle tante persone che tu conosca, io sono
l'unica che si comporta così" la riprese scherzosamente lui,
mentre accendeva la freccia all'uscita dell'autostrada che gli era
più comoda per raggiungere la spiaggia.
"Agli ordini
capitano" esclamò la ragazza cercando di trattenere un
barlume
di risata " Ma dunque cosa dovevi fare alla macchina? E che tipo
di macchina è l'altra?" chiese incuriosita da quel mondo che
le
era totalmente ignaro.
"Una
macchina da corsa, non ti sto a dire il modello perché
sicuramente
tra cinque minuti te lo scorderai come la maggioranza delle ragazze.
La sto iniziando a modificare e preparare per la prossima stagione, e
nel frattempo la tengo sempre in perfetta forma caso mai piomba dal
cielo qualche gara in più" le rispose.
"Ah
ho capito, cioè non molto perché mi stai parlando
arabo ma posso
immaginare ciò che mi stai dicendo..più o meno"
mormorò la
musicista.
"Non
ti preoccupare, se vorrai ti insegnerò un sacco di cose"
furono
le parole di lui.
"Volentieri,
sai io a parte la musica, l'arte e le materie che ho da fare a scuola
non è che conosca molto gli altri campi..specie se poi non
sono
campi femminili"
"Nessun
problema Miss Kaioh" sorrise lui.
Sentirsi
chiamare da lui in quel modo a cui purtroppo era abituata le fece
dipingere in volto un sorriso. Solo per il fatto che lo aveva
pronunciato lui le sembrava diverso, dolce e affettuoso. Non il
solito appellativo di circostanza freddo e intriso di una rispettosa
ipocrisia. Non nascose a se stessa che le era piaciuto. Volse la sua
attenzione al mare che sotto di loro rifletteva i raggi lunari
spezzandoli in una miriade di scaglie luminose per andare a
riflettere quella che era una luna piena.
Il
rumore di un ghiaietto smosso dalle ruote della macchina raggiunse
improvviso le sue orecchie interrompendo il quieto ronzio delle ruote
che rollavano sull'asfalto, mentre gli alberi della costa
sostituirono con i loro tronchi la nera massa d'acqua che da sempre
la attraeva come una calamita. Era inutile: per quanto si sforzasse,
non sapeva resistere all'attrazione che l'oceano esercitava su di
lei, sulla sua emotività e sopratutto sul suo umore. Era
capace di
sentirsi nervosa se non addirittura arrabbiata nel sentirlo agitato,
e tranquilla e pacata se lui stesso era una tavola piatta. O ancora
le era capitato che si era tranquillizzata sentendolo cantare sulla
battigia al di la della strada davanti a casa sua. Amava per questo
la sera, momento in cui la passeggiata a mare era meno popolata e
riusciva così a captarne il magnifico suono, naturale e
maestoso.
Rassicurante nella sua ciclicità.
"Non vorrei disturbarti ma
direi che siamo arrivati a destinazione" la voce di Haruka le
arrivò alle orecchie provocandole una strana morsa a livello
dello
stomaco. Le labbra e la bocca le si seccarono improvvisamente,
dandole delle sensazioni che non aveva mai provato prima. Con nessun
altro. Nemmeno con Seiya per quanto lui si sforzasse di essere carino
nei suoi confronti. Il biondo invece era riuscito a provocarle quelle
reazioni solo parlandole, e il suono prodotto dalle corde vocali di
lui alle sue orecchie parve come la più sensuale e vellutata
melodia mai sentita.
" Nessun disturbo, è solo che io quando
vedo il mare mi incanto letteralmente, mi ipnotizza lo amo"
esclamò lei, prima di aprire lo sportello. Decise di
lasciare la
borsa in macchina in modo da non essere interrotta da chiamate sul
cellulare da parte dei suoi, non voleva affatto che le fosse rovinata
anche quella serata. Eppoi non voleva nemmeno pensare al
comportamento scorretto di Seiya che le aveva promesso un messaggio
appena fosse arrivato a destinazione, cosa che si era puntualmente
dimenticato di fare. O meglio aveva deciso, secondo lei,
deliberatamente di non mandarglielo. Forse per farla pendere dalle
sue labbra. Ma non era così, con lei aveva proprio sbagliato
persona, era troppo abituata ai suoi genitori per pendere dalle
labbra di un colleziona ragazze.
"Qualcosa non va?" La
voce di lui giunse a insinuarsi dolcemente nei suoi pensieri.
"No
tranquillo, dove dobbiamo andare per scendere in spiaggia?"
Chiese lei cercando di dissimulare la tristezza che l'aveva assalita.
Non
fare la stupida, pensa a questa bellissima serata e lascia fuori
dalla testa tutto ciò che non la riguarda.
Si disse da sola in un tentativo non troppo convincente.
"Di
qua vieni, ma poi quando siamo giù ti conviene toglierti le
scarpe,
non mi sembrano molto adatte a camminare nella sabbia Miss Kaioh"
mormorò indicandole una scala coi gradini in cemento e la
ringhiera
in ferro battuto che si infilava tra gli aberi. Decise di farsi fare
strada dal ragazzo per poi seguirlo subito dopo.
Al contrario di
quanto si aspettava, la discesa non durò molto, ad occhio e
croce
giusto cinque minuti. Appena arrivata sulla sabbia sentì il
piede
sprofondare, fino all'attaccatura del tacco. Le sfuggì un
sospiro
esasperato, senza nemmeno volerlo. Doveva trovare un posto a cui
attaccarsi, e la ringhiera della strada era troppo lontana per
adempiere al lavoro per cui era nata. Gli ultimi gradini
probabilmente per la poca manutenzione non avevano nulla a cui
appoggiarsi.
"Appoggiati pure" le disse lui "Così
riesci a toglierti i sandali con più facilità" le
disse
prontamente Haruka.
"Grazie mille" rispose la
violinista, appoggiandosi con una mano al braccio sinistro del
biondo. Impiegò pochi instanti per ritrovarsi a piedi nudi
sulla
sabbia. Al tatto ancora tiepida, anche intrisa dall'umidità
della
notte. Adorava da sempre camminare sulla spiaggia a piedi nudi, e
sentire i granelli di sabbia tra le dita. Era una delle tantissime
cose che la rilassavano e che non poteva svolgere spesso. E svolte di
notte erano ancora più efficaci. "Ma cosa fai?Mi leggi nel
pensiero? Avevo giusto pensato al fatto che mi sarebbe servito un
appoggio" esclamò lei.
"Può
darsi Michiru, può darsi" disse, sorridendole. In
realtà si
era offerto solamente nella speranza di avere in questo modo una
scusa innocente per avere un contatto con lei. Elemento che tranne lo
scontro di quel pomeriggio era venuto a mancare.
Al solo essere
sfiorato dalla ragazza aveva provato dei brividi lungo la schiena che
erano di un'intensità ben oltre a quella a cui era abituato.
Il
cuore aveva di nuovo accelerato il battito. Mentre la osservava
dall'alto in basso, mentre lei era intenta a sganciarsi il cinturino
della seconda scarpa. Nonostante la difficile posizione, l'eleganza
che la contraddistingueva non era ancora venuta meno.
E
a pensare che alcune ragazze sono degli autentici bufali.
"Vieni
ti faccio strada" le disse, mentre le porgeva la mano, convinto
che lei si rifiutasse categoricamente, cosa che non avvenne.
Provocando in lui un secondo brivido seguito da una sensazione di
completezza che non sentiva più da ormai tantissimo tempo.
Le loro
mani strano ma vero si incastravano perfettamente, come gli
ingranaggi di una macchina pronta a mettersi in moto al comando della
persona che la utilizzava.
Il posto che aveva in mente non era
molto lontano dalla scaletta e impiegarono davvero poco tempo a
raggiungerlo, la spiaggia era illuminata solamente dal tenue bagliore
dei raggi lunari. In quell'atmosfera un po ovattata e quasi magica la
creatura che lo seguiva a ruota sembrava avere la pelle ancora
più
bianca, quasi diafana. Il pensiero lo condusse ai racconti
mitologici che vedevano protagoniste le muse della musica, e le
ninfee del mare. La violinista assomigliava proprio a quelle strane
creature che da sempre lo avevano affascinato.
"Eccoci
arrivati" mormorò appena raggiunse uno scoglio grande
abbastanza per due. " Se vuoi sederti fai pure, ma occhio
però
perché essendo nero a volte sporca i vestiti" aggiunse.
Aveva
letto che alcuni di quegli scogli erano di origini vulcaniche, per
quello avevano un colore corvino. "
Oppure se vuoi sederti sulle mie gambe per me non c'è nessun
problema" in realtà le sue labbra pronunciarono quella frase
senza nemmeno dargli modo di riflettere. Il nervosismo si
impadronì
di lui un secondo dopo, per la paura che lei si arrabbiasse per una
richiesta tanto sfacciata.
Sei
un genio, ecco un modo per convincerla che sei un maniaco sessuale.
La vocina ai lati della sua coscienza era tornata a fargli visita, e
lui la odiò immensamente.
"Non
vorrei essere troppo pesante in realtà" mormorò
lei in
risposta, e nonostante la tenue luce notturna poté vederla
arrossire
per l'imbarazzo. E'
ancora più bella con le guance rosse. Si
ritrovò a pensare.
"Figurati
se sei troppo pesante non sei mica obesa, anzi..." Anzi
hai un culo da favola, un fisico perfetto e non sei nemmeno messa
tanto male come balcone.
Terminò saggiamente il suo pensiero solamente in testa. Con
la paura
di farla arrabbiare.
"Grazie"
le rispose lei, mettendosi comoda sulle sue gambe, esattamente
perpendicolare a lui, in modo che si potessero guardare in viso
mentre si parlavano.
Non
appena si fu seduta, lui le appoggiò non curante la mano su
una
gamba poco sopra il ginocchio, provocandole un aumento del battito
del respiro e una strana sensazione al basso ventre. Sebbene la
trovò
molto piacevole, il suo respiro si alterò lievemente, e
sperò anche
in modo non visibile al biondo. Non voleva palesare la marea di
emozioni che stava vivendo con un semplice tocco, si sentiva
estremamente vulnerabile nei confronti di lui. Non le era mai
capitato di tremare per una cosa così semplice. Con Seiya
non era la
stessa cosa.
Michiru
ma perché continui a pensare sempre a lui?
Si riprese da sola. Abbassando lo sguardo imbarazzata, a guardare la
mano. Era perfetta anche quella, era tutto meravigliosamente
perfetto. Aveva una mano affusolata dalle lunghe dita. Una
mano da..
"Suoni
per caso il pianoforte?" chiese. Anche se era sicurissima di
ciò
che stava affermando, la sua mano parlava per lui anche se le unghie
erano un po' troppo lunghe per un pianista che suonava regolarmente.
Alla mente le tornarono le lezioni di pianoforte che aveva seguito
come complemento dei suoi studi in violino, e ricordava anche bene la
difficoltà causatole dalle sue unghie lunghe nello
schiacciare i
tasti, unghie che però con le corde del suo amato violino le
facilitavano le esecuzioni.
"Suonavo...
un bel pò di tempo fa... ma ormai non suono più
da molto non saprei
nemmeno dirti se ne sarei ancora capace" le fu impossibile non
notare il velo di malinconia e tristezza che si dipinse sul volto di
lui. Improvvisamente si sentì in colpa per aver causato quel
cambiamento di umore così repentino. Anche se non ne capiva
il
motivo, e le sembrava esagerato pensare che fosse imputabile al fatto
che non suonasse più. In fondo trovare qualcuno con un
pianoforte in
casa per poterlo suonare ogni tanto non era difficile.
O
forse non lo era solamente per lei, e per le persone normali era
tutto il contrario. Tante cose le erano facili solamente
perché era
membro della sua famiglia, tante cose le erano concesse anche se al
più erano vietate sempre per lo stesso motivo. E il doppio
lo erano
vietate a lei per gli ambienti che frequentava.
"Mi
dispiace Haruka, non volevo farti intristire così tanto"
mormorò mortificata, voltandosi a guardare il mare. Era
stata una
stupida a permettersi di fargli una domanda così tanto
intima, alla
fine non si conoscevano che da meno di un giorno.
"Non
è colpa tua, sono solo ricordi... e tu non potevi sapere che
non
suonavo più" le rispose.
"
Si però beh mi sono permessa di indagare in cose che non mi
riguardano, mi sento una ficcanaso" rispose lei tornando a
specchiarsi nei suoi occhi verdi. Colore che era ancora più
cupo e
intenso nella luce notturna. Sentì il battito aumentarle
nuovamente,
insieme a nuovi brividi che la percorsero tutta senza darle la
possibilità di opporsi.
"Non
ho mai pensato che tu lo fossi, dovresti stare più serena,
senza
preoccuparti troppo per ogni minima cosa...non ti godi la vita
così"
le rispose lui.
"Hai
ragione ... ma sono troppo abituata a farmi tanti problemi...sai nel
mio mondo quello che conta è l'etichetta....e credimi non
è
facile..non lo è per niente" mormorò tristemente
lei "Vivo
in un mondo dove è l'apparenza a contare, la perfezione in
ogni
minimo gesto, in ogni minima esibizione, persino a casa devo stare
attenta a questo e quello quando ci sono i miei genitori. È
come se
io fossi sempre sotto esame...e quando non sono così
controllata è
strano ma è come se io avessi paura di fare qualsiasi cosa.
Come se
tutte queste regole, tutto questo bonton in cui mi hanno cresciuta
sia talmente intrinseco alla mia persona che quando vengono a mancare
creano in me la paura di sbagliare e di non essere all'altezza"
tirò un sospiro.
Che
cosa ti è preso Michiru. Ora ti scambierà per una
persona pesante,
che fa discorsi troppo altolocati per capirli. Brava stupida, ti sei
etichettata da sola come una noiosona. La
verità era che aveva un'immensa necessità di
sfogarsi con qualcuno.
Ma non aveva la minima idea del perché avesse scelto proprio
lui.
Le
sue parole furono accolte da un profondo silenzio del suo
interlocutore, egli non sapeva cosa dire. Aveva percepito con tutto
il corpo la sofferenza in esse racchiusa, il sentirsi in gabbia.
Prigioniera di un mondo che non era il suo ma che nonostante tutto
l'aveva plasmata contro il suo volere per renderla perfetta in tutto.
Anche in ciò che non riguardava direttamente la musica,
capiva come
l'immagine che aveva vista sul palcoscenico per quanto meravigliosa e
bellissima era in realtà il risultato di anni e anni di
sofferenze,
di bocconi amari mandati giù e parole severe dei suoi
genitori.
E
tutto questo provocò in lui un moto di rabbia atroce, come
potevano
ridurre a uno stato di tale sofferenza un fiore così bello e
delicato? Come potevano averla imprigionata in quell'ambiente che lei
sentiva tanto estraneo, esattamente quella estraneità a cui
lui
stesso si era abituato quando li aveva lasciati suo padre.
Fino
a quell'istante aveva sempre invidiato l'alta società per
tutti gli
agi che donava a chi aveva la fortuna di farne parte, ma dopo aver
sentito quelle parole il suo parere a riguardo era cambiato quasi
istantaneamente. Ed ora era esattamente l'opposto. Lui non sarebbe
mai riuscito ad adattarsi a una classe sociale che viveva di
apparenze, falsità e regole di comportamento. Lui era uno
spirito
libero, e nessuno aveva il diritto di incatenarlo in un posto
più
del dovuto.
"
Non hanno il diritto di comportarsi così nei tuoi confronti,
reagisci cerca di vivere la tua vita... sei una ragazza, ormai quasi
donna.. non può essere che ti trattino a questo modo, ci
sarà pure
un cazzo di modo per far cambiare il loro atteggiamento, se ti fa
così soffrire" esclamò improvvisamente dopo
qualche minuto di
silenzio. Avrebbe voluto portarla via da quell'inferno per sempre, e
si promise che lo avrebbe fatto in un modo o nell'altro.
"Lo
so, ma non è esattamente semplice come sembra.. sai non mi
lasciano
nemmeno uscire per andare a prendere un gelato..perché per
loro è
una perdita di tempo, mandano la cameriera a prenderlo se in casa non
c'è" rispose lei, consapevole di quanto lui avesse ragione.
In
fin dei conti anche lui, sebbene con un tono diverso, stava dicendo
esattamente le stesse cose di Seiya. Il problema grosso però
è che
a lei sembrava impossibile venirne fuori. Loro, i suoi genitori,
erano da sempre stati severi.
"Ma
quindi ora? Come sei riuscita a uscire?" si sentì chiedere.
"
I miei sono impegnati in tour di quattro giorni nella capitale...e
gli unici giorni di totale libertà che ho sono questi in cui
loro
non ci sono... la cameriera, il maggiordomo e l'autista lo sanno che
io esco di casa ma non hanno mai riferito nulla. Nello specifico
però
ora non sanno nemmeno loro che sono fuori, ma non lo scopriranno.
Sanno benissimo che non voglio essere disturbata alla sera"
spiegò lei, guardandolo negli occhi. Senza farsi sfuggire il
fatto
che più volte lui aveva fatto scendere lo sguardo sulle sue
labbra.
Quella constatazione la fece arrossire e non poco. Provo un enorme
senso di vergogna.
Il
suo arrossire non passò inosservato a lui, che
però non ne capì la
causa.
"So
perfettamente di essere un figo da paura, ma arrossire come un
peperone a una signorina come te non le se addice proprio mm" la
prese in giro. Facendola arrossire ancora di più mentre lei
abbassava i suoi profondi occhi blu, distogliendoli dal suo viso. In
quegli occhi avrebbe potuto annegarci per secoli interi, sembravano
contenere il mare.
"Scusami..."
rispose lei, senza captare il tono scherzoso di lui, proprio in
virtù
del discorso che stavano facendo.
"
Michiru stavo scherzando, puoi arrossire quanto vuoi e quando vuoi,
non farti assolutamente problemi di nessun tipo con me"
chiarì
il biondo "Anzi con le guance rosse stai benissimo" Cazzo
sparo come un mongoloide.
"Ehm
grazie..." mi
ha appena fatto un complimento. Anche
se piccolo, quel gesto le provocò letteralmente le capriole
a
livello dello stomaco ma anche del cuore. Si ritrovò a
rabbrividire
per il freddo.
"Hai
freddo?" il biondo non aspettò nemmeno risposta e si tolse
la
giacca per mettergliela sulle spalle, per poi vederla stringersi al
suo interno, confermando che la sua sensazione fosse giusta.
"Si
direi di si che sta volta i brividi erano per il freddo"
esclamò
lei, buttando senza pensare un esca per lui. Ma
sono matta? Fu
il suo immediato pensiero, si era esposta già troppo. Troppo
per
essere davanti a una persona che non conosceva nemmeno, eppure era
più forte di lei. Da quando era salita su quella macchina,
bramava
il tocco di colui che aveva davanti in maniera quasi insana.
"Cosa
intendi con sta volta? Perché le altre che brividi erano
mhm?"
esclamò lui con forse troppo impeto del dovuto. Impossibile
che siano brividi per me, sarebbe troppo bello, e sopratutto
suonerebbe tutto troppo semplice. Devo riuscire a mantenere i piedi
per terra.
"
Ehm, ma era un modo di dire... non vuol dire nulla" cercò di
recuperare lei, trattenendo l'imbarazzo profondo che sentiva e
sperando di non arrossire per l'ennesima volta quella sera. Il
problema, se così si poteva chiamare, e che lui era troppo
bello. Sentì improvvisamente, per la seconda volta, la mano
dell'altro
sulla sua gamba, altezza coscia. Questa volta non ferma, ma che si
muoveva lentamente verso il basso eppoi verso l'alto. Il cuore
iniziò
a galopparle nel petto con un battito quasi intollerabile,
costringendola ad aumentare il ritmo del suo respiro mentre si
perdeva nei suoi occhi.
"
Michiru...Michiru... tu non me la stai raccontando giusta."
mormorò lui con una voce più bassa del normale,
insolitamente
sensuale. Muovendosi leggermente verso di lei, rimanendo a pochi
centimetri dal suo viso. Continuando a mantenere il contatto visivo
con quei dolcissimi zaffiri che lo stavano guardando.
"Che..che
intendi dire?" mormorò lei inebriata dal suo profumo,
probabilmente pino, e dal respiro di lui che sentiva solleticarle la
faccia.
"
Il tuo corpo... appena ho iniziato a muovere la mano poco fa, ti sei
leggermente irrigidita... e il tuo respiro ha cambiato ritmo.."
sorrise, combattendo contro l'impellente desiderio di farla sua. In
quell'istante, su quella spiaggia. In cuor suo però, sapeva
che non
sarebbe stata la mossa giusta, non con lei. Lei che era diversa da
tutte le altre. Con l'altra mano le sfiorò la guancia, senza
accennare un movimento, che fosse nella direzione della violinista o
in direzione opposta. Sentiva in modo quasi palpabile l'attrazione
tra di loro, e sentiva in modo ancora più chiaro che lei era
diventata tutto ad un tratto il suo baricentro. Il centro della sua
esistenza. La osservò chiudere appena gli occhi sotto la
carezza
appena accennata sul suo viso, mentre la mano sulla gamba era ora
ferma.
"Miss
Kaioh, sarà meglio rientrare... si è sicuramente
fatto molto
tardi" mormorò rimanendo a pochi centimetri da lei "Non
ora... non ancora" disse prima di allontanarsi definitivamente
da lei e interrompere la connessione tra i loro sguardi. Lasciandola
quasi stordita dalle sue emozioni. Quanto
ti voglio Michi, non hai idea. Lei
deglutì come a voler ritrovare un minimo contegno, un
flebile
accenno di equilibrio.
"Si,
forse si hai ragione, forse è meglio rientrare" rispose dopo
un
sospiro profondo, che a lui parve come un tentativo di ritrovare la
calma apparente in cui l'aveva vista fino a cinque minuti prima.
"
Ti conviene indossare la mia giacca, fa un po' freddino poi dalla
macchina" le consigliò apprensivo.
"
Forse è meglio, si" rispose lei, prima di indossarla. Si
sentiva decisamente meglio, sentire il profumo di lui sull'indumento
gli donava un segno di sicurezza. Si chinò a prendere i
sandali che
per tutto quel tempo erano stati abbandonati sulla sabbia vicino allo
scoglio, e come all'arrivo si fece guidare dal motociclista dandogli
la mano. Si sentiva improvvisamente stanchissima, e chissà
che ore
erano. Non era nemmeno tanto sicura di voler controllare l'ora sul
suo telefono perché aveva paura di trovare una miriade di
telefonate
dei suoi e magari anche un messaggio di Seiya. O peggio ancora non
trovare nulla.
Si
appoggiò nuovamente a lui per infilarsi i sandali firmati e
stringere il cinturino per poi salire le scale.
Arrivarono
alla macchina in un arco di tempo che le sembrò molto
più breve di
quando erano arrivati, ma sicuramente era una sua sensazione. Si
lasciò sfuggire un sonoro sbadiglio.
"Scusami,
non volevo" si affrettò a dire.
"Nessun
problema, dopo tutto sono quasi le quattro del mattino"
mormorò
lui. La
principessa mi sa che non è abituata a questi orari che di
umano
hanno ben poco. Quel
pensiero gli fu suggerito dagli occhi sbarrati di lei a udire quella
frase, sopratutto l'ultima parte.
"Davvero?"
era quasi incredula che tutte quelle ore fossero volate in un attimo.
Ora
chissà i miei cosa diranno che non ho risposto alle
chiamate. Il
pensiero la mandò nel panico più totale, era
sicuramente una
sciocchezza ma conoscendo i suoi genitori non lo era.
"
Qualcosa non va?" gli domandò lui captando il suo stato di
nervosismo.
"
E' tardissimo sicuramente i miei mi avranno chiamata chissà
quante
volte.. e io non ho risposto domani mattina non oso immaginare che
scenata che mi faranno" sputò fuori tutto in un fiato.
"
Michiru, non vedo dove sia il problema.. di loro che ti sei
addormentata dopo cena; d'altronde alle dieci ancora non ti avevano
chiamato, perché eravamo ancora in macchina credo sia
normale che tu
dopo le dieci di sera stessi dormendo non trovi?" la
rassicurò
con semplicità, anche se per lui era impensabile che per una
sciocchezza del genere lei andasse così in panico. E tutto
ciò era
frutto della severa educazione che le avevano impartito.
"
Si ma se non ci credono? Come devo fare?" esclamò agitata
lei.
"ehi...
sta tranquilla vedrai che non accadrà nulla, intanto guarda
se ti
hanno chiamata..senza fasciarti la testa prima di romperla" le
consigliò.
"
Si forse hai ragione" mormorò la ragazza, allungandosi verso
i
sedili posteriori per recuperare la borsetta. Trovò subito
il
cellulare nello spazio angusto in cui era contenuto, e
schiacciò un
tasto per far accendere lo schermo.
Non
vi erano chiamate, solamente un msg ricevuto su whatsapp quasi a
mezzanotte, da parte di Seiya.
Leggere
il suo nome le provocò un sorriso. Si
è ricordato allora.
"Ci
sono chiamate?" indagò lui.
"No
per fortuna no, non saprei che avrei fatto sennò... ma alla
fine è
normale che sia così, sai raramente chiamano quando sono
via. A
dire il vero raramente si ricordano che hanno una figlia e non uno
spettacolo dei baracconi" improvvisamente sentì gli occhi
pizzicarle, incredibile come i suoi genitori riuscivano a cambiarle
l'umore nel giro di pochissimi istanti.
Lui
si sentì sollevato alla notizia, anche se gli dispiaceva
vederla in
quelle condizioni, e non poté far a meno di pensare a quanto
fossero
diversi i suoi genitori. Era fortunato ad aver avuto un padre e una
madre come i come loro, improvvisamente era consapevole di quanto
questo fosse importante per formare il carattere di una persona. Ne
aveva la prova davanti, quella timidezza non era una caratteristica
della violinista, ma solamente una forte insicurezza data dalla paura
di sbagliare e sentirsi riprendere duramente. Il suo carattere era
stato sacrificato e imprigionato. Era sicuro che sotto quel muro,
l'essenza vera e propria della pittrice era un'altra.
"avresti
fatto come ti ho detto" rispose dopo qualche minuto passato a
guidare in totale silenzio. Non ottenne risposta dalla persona seduta
al suo fianco. Si voltò velocemente per guardare se era
tutto a
posto.
Dorme.
È crollata come un cucciolo impaurito. Sorrise
dolcemente al pensiero di averla accanto a se profondamente
addormentata.
Accostò
accanto al cancello della villa dopo quasi un'ora di guida, sebbene
fosse abituato a quegli orari iniziava anche lui ad accusare la
stanchezza di quella giornata densa di emozioni. Si lasciò
sfuggire
uno sbadiglio dopo aver spento la macchina, dopo di che si volse
verso la violinista che ancora era profondamente addormentata. Se
avesse seguito l'istinto si sarebbe chinato a baciarla, dolce com'era
era impossibile non farlo. Il suo viso angelico, era ancora
più
bello rilassato nel sonno. Ma erano le cinque e un quarto, e doveva
tornare a casa. Slacciò dunque la cintura a se stesso prima
di
smuovere lievemente la ragazza sul sedile per farla svegliare.
"Uhm..."
fu il solo rumore che uscì dalle labbra di lei.
"
Sei arrivata a casa... svegliati... ancora un dieci minuti e potrai
dormire tranquillamente" le mormorò dolcemente. Solo in quel
momento si accorse che indossava un profumo alle rose buonissimo. Che
scoprì di amare già, anche solo dopo quei pochi
istanti. Vide di
nuovo quei due pozzi blu mare aprirsi sul mondo, il viso un po'
stropicciato dal sonno e dalla posizione scomoda in cui si era messa
dopo essersi addormentata.
"
Buongiorno.." le mormorò, provocandole un timido sorriso.
"Sarà
meglio che vada a letto, sennò dormo di nuovo qua..."
mormorò
lei assonnata, era stanca ma felice come non lo era mai stata. Aveva
passato una serata come una ragazza normale, e non avrebbe mai saputo
come ringraziarlo per quello splendido regalo che gli aveva concesso
a sua insaputa.
"
Beh vorrei ben vedere, beh voglio dire, capisco pure che voglia
ancora ammirarmi nel mio splendore, ma possiamo vederci domani..
quando ci svegliamo" azzardò lui. Lei per la stanchezza si
limitò ad annuire solamente.
"
Buona notte Michiru" le sussurrò all'orecchio prima di
stamparle un bacio sulla guancia, bacio che gli provocò una
scossa
elettrica non indifferente.
"Grazie
di tutto ..." mormorò lei "Non sai quanto tu abbia fatto
per me stasera...e il fatto che io sia una perfetta sconosciuta..al
di la del mio talento artistico..." le parole le morirono in
gola, non riusciva davvero a trovarle "Beh buona notte"
disse infine, sporgendosi a ricambiare il bacio a sua volta.
"Quando
arrivo a casa ti scrivo, anche se credo che dormirai già" la
prese un pò in giro " nel caso scrivimi quando ti svegli
domattina" aggiunse poco prima che lo sportello della sua auto
si chiude dietro alla musicista. Aspettò che lei chiudesse
il
cancello, prima di rimettere in moto e schiacciare il piede
sull'acceleratore.
L'aveva
appena lasciata, e già ne sentiva la mancanza mentre si
avviava
verso casa.
Note
dell'autrice: Vi auguro buon inizio settimana :) e spero
che il capitolo vi sia piaciuto.
|
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Capitolo 11 *** Invito a cena ***
Note dell'autrice:
Eccovi il capitolo 11, leggermente più
lungo, volevo avvisarvi che i tempi di pubblicazione
potrebbero diventare leggermente più lunghi. Sia
perchè ho degli esami universitari a Giugno, sia
perché ho cambiato metodo di organizzazione della
mia attività di scrittura, e non mi piace pubblicare i
capitoli subito dopo averli scritti. Per farvi capire, ho
quasi finito il quattordicesimo capitolo, questo mi permette di
rileggere e correggere eventuali cose con svariate letture successive
al termine della stesura. Vi auguro buona lettura :)
Capitolo
11: Invito a cena
Appena
arrivata in camera, nonostante la stanchezza si sforzò di
mettere a
posto nella cabina armadio ciò che aveva indossato quella
sera per
non dare troppo nell'occhio nei confronti della servitù. Il
lavoro
le occupò solamente qualche minuto, prima di permetterle di
cambiarsi per la notte e indossare solamente una canotta e un paio di
slip.
Era
esausta per quella giornata, ma piena di nuove emozioni e
aspettative, anche se viveva nella consapevolezza che i suoi genitori
non avrebbero mai accettato un eventuale loro relazione se mai fosse
uscita fuori. E questo la turbava, e non poco. Devo
rispondere a Seiya.
Quel pensiero si impadronì di lei instancabile, il suo
inconscio
quella sera era comunque stato rivolto alla mancata presenza di un
messaggio da parte del moro, ma ora che lo poteva leggere e poteva
rispondergli stranamente non sentiva più tutta l'importanza
di cui
lo aveva rivestito prima di cena. Ma le avevano insegnato che era
educato rispondere, avrebbe raccontato ovviamente delle
falsità.
Ciao
Michi, perdonami se non ti ho scritto subito ma i miei genitori e i
miei fratelli mi hanno totalmente rapito appena sono entrato in casa.
Il viaggio è andato bene, ma non vedo l'ora di tornare per
passare
un pò di tempo nuovamente insieme a te. Ti voglio bene
<3
Il
messaggio era delle undici passate, ma le sembrava estremamente
falso. In fondo poteva ritagliarsi un momento per scriverle anche
prima.
Michi
tutto a posto? Perchè non mi rispondi?
Questo
invece era di mezzanotte, e ovviamente lei aveva ignorato senza
neppure sentirne la mancanza anche lui.
Sei
arrabbiata con me? Scusami davvero, non l'ho fatto a posta credimi. Non
offenderti non era mia intenzione farti del male.
L'ultimo
messaggio risaliva all'una di notte, e se non fosse per la sua
estrema educazione, ebbe l'impulso di ignorarli tutti e tre e non
rispondere. Di farsi sentire solamente la mattina dopo quando si
sarebbe svegliata, se non addirittura dopo pranzo per lasciarlo a
cuocere nel suo brodo. Eppoi ad essere onesta con se stessa non era
lui che voleva sentire in quel momento. Era incredibile come sentisse
già la mancanza di Haruka anche se non era passata nemmeno
un'ora da
quando lo aveva salutato. Lui si che gli mancava, ma non voleva
essere la prima a scrivergli, non voleva dare l'impressione di essere
già ai suoi piedi. Anche se sentiva che qualcosa di molto
forte si
era creato tra loro quella sera.
A
ripensare alla carezza sul viso che le aveva dato sullo scoglio e
alla mano sulla sua gamba il cuore le iniziava a battere forte, per
non parlare poi dei suoi bellissimi occhi verdi. Verdi come le
foreste incontaminate, e i prati bellissimi che c'erano
nell'entroterra dove i cavalli vivevano liberi.
Ciao
Seiya, non sono assolutamente arrabbiata con te. Ho letto solamente
ora i tuoi messaggi Perdonami, non l'ho fatto a posta. Buona notte
:)
Scrisse
velocemente sulla tastiera, prima di inviare e infilarsi sotto le
coperte, voleva aspettare un messaggio del biondo. Chiuse gli occhi
per cercare di sentire meno la stanchezza. Dopo qualche istante
sentì
il cellulare vibrarle nella mano.
Ciao
<3
Cos'hai
fatto allora tutto sto tempo, per esserti dimenticata di me :(
Mi
sono semplicemente addormentata Seiya nient'altro, e comunque non
credo che ti debba poi tanto interessare, visto che tu non ti degni
nemmeno di scrivermi. O meglio lo fai solo quando non hai altro di
meglio da fare.
Gli
rispose quasi innervosita, non aveva assolutamente voglia di stare a
discutere a quell'ora della notte. Ma non voleva di certo fargli
credere che poteva trattarla così.
Ti
ho già chiesto scusa..
Non
serve a molto chiedere scusa dopo, dovevi pensarci prima. Ora se non
ti dispiace mi rimetto a dormire. Buona notte.
Ciao
piccola,
Grazie
ancora della bellissima serata passata insieme, spero ce ne siano
altre in futuro così se non ancora migliori. Sei una
bellissima
persona, non essere triste. Un grande bacio sogni d'oro piccolina, a
domani :*
Ehi,
stavo proprio per spegnere e andare a dormire, grazie a te. Non sai
quanto ne avevo bisogno di una serata così. Sono stata
veramente
bene per tutto questo ti dico grazie. Ti voglio bene sogni d'oro.
L'ultimo
messaggio invece la fece sorridere, Haruka al contrario del moro si
era ricordato di lei, non gli aveva detto che le avrebbe scritto
solamente per tenerla buona in attesa di un messaggio che sapeva che
non avrebbe mai mandato. Forse quel biondo sconosciuto la conosceva
molto di più delle persone che aveva intorno in quella casa,
stranamente si sentiva capita e accettata per la persona che era e
non per ciò che faceva. E per lei era una cosa del tutto
nuova, e in
parte ne era anche spaventata.
Poggiò
il cellulare sul comodino per scongiurare il pericolo di farlo finire
in terra una volta caduta tra le braccia di Morfeo. Bastò
qualche
istante per riprendere il sonno interrotto quando era scesa dalla
macchina e piombare in un sogno color del grano pronto alla raccolta.
***
Il
piccolo salotto si illuminò rivelando ai suoi occhi il vario
materiale cartaceo che aveva lasciato sul tavolino vicino al divano
qualche ora prima nel momento in cui le sue amiche avevano suonato al
campanello della porta.
Preso
dalla fretta di uscire si era dimenticato anche di lavare i quattro
bicchieri che in quel momento lo guardavano abbandonati sulla cucina,
li aveva giusto tolti dal tavolo per non perdere troppo tempo. E a
fin dei conti aveva fatto più che bene nonostante lui non
tollerasse
il minimo disordine.
Un
sonoro sbadiglio interruppe i suoi pensieri, quella era stata davvero
una lunghissima giornata. Erano quasi lei sei e quello voleva dire
che erano quasi la bellezza di ventiquattro ore che non dormiva
seriamente, e quella mancanza iniziava a farsi sentire sia
fisicamente ma sopratutto mentalmente.
Quando
aveva preso il telefono per scrivere alla violinista si era accorto
che sua sorella lo aveva chiamato due o tre volte, e si
rattristò.
Sapendo benissimo quanto ci era sicuramente rimasta male la sua
Usagi.
Già
Usagi che era sicuro che avesse qualche farfallone che le stava
dietro, perché non l'aveva mai vista arrossire
così quando al
cellulare messaggiava con le sue amiche. Tanto meno l'aveva mai vista
cambiare discorso quando le chiedeva con chi si stava scrivendo.
Chiunque
sia se la fa soffrire dovrà ben vedersela con me.
Pensò
in preda a un moto di protezione fraterna nei confronti della
biondina mentre con movimenti svogliati si lavava i denti in bagno,
davanti a una sua immagine riflessa dallo specchio.
Certo
che ho proprio una faccia da culo. Pensò
sorridendo. Mentre sciacquava lo spazzolino sotto l'acqua corrente
prima di dirigersi in camera.
La
stanza era matrimoniale con un mobile dalle linee essenziali e
moderne di colore marrone molto scuro. Il letto aveva un ripostiglio
sotto il materasso che in quel momento era ancora vuoto ma era sicuro
che gli sarebbe tornato molto utile in futuro quando avrebbe iniziato
a comprarsi altri vestiti. Si sedette sul bordo del letto per
sfilarsi gli indumenti e prepararsi per la notte, mentre lo specchio
della camera gli restituiva un immagine che non era esattamente la
sua, quella con cui la maggioranza delle persone che gli stavano
intorno lo conoscevano.
Avrebbe
dovuto dirle anche quello a Michiru, la verità
però era che non
sapeva se ne avrebbe trovato il coraggio.
Un
nervoso improvviso si impadronì di lui facendo si che
posasse il suo
sguardo da un'altra parte prima di sollevare le coperte e infilarsi
sotto.
Una
volta pronto per dormire il suo pensiero volò verso il bruno
che
aveva visto entrare qualche giorno prima nella villa della
violinista, sembrava più o meno avere la sua età
anno più e anno
meno. Probabilmente era il fratello anche se nei giornali di cronaca
nessuno ne aveva parlato a pensarci bene, rendendo la sua ipotesi
molto irreale. Oppure qualche parente che veniva da fuori la
città.
Il
punto era che il suo sub-inconscio si rifiutava di credere che quel
fusto gonfiato fosse in qualche modo legato sentimentalmente con la
sua Michiru. Non lo vedeva affatto con una ragazza così
fragile come
la pittrice, gli sembrava uno di quelli che preferiva la scopata
facile. Un pò come lui in fondo, fino a quando non era
andato al
concerto. Da quel momento in poi tutto era cambiato e non sarebbe
tornato indietro per nulla al mondo. Le emozioni che lo avevano
sconvolto a ondate quella sera non glielo permettevano.
Probabilmente
anche per sto tizio è successa la stessa cosa. Pensò
infastidito al solo pensiero. Il
problema e capire se Michiru prova le stesse cose anche per lui, o se
invece lei a lui proprio non lo corrisponde. E
per capire ciò non sapeva proprio come indagare senza
passare per il
geloso di turno o poco opportuno nel chiederle le sue cose.
Meglio
dormire che forse il sonno porta consiglio.
Si sporse a spegnere la luce.
***
"
Forza!! E ora di alzarsi orso in letargo!!" la voce di Yaten
piombò improvvisamente nella stanza facendolo svegliare di
soprassalto, il cuore in gola. Odiava svegliarsi in quel modo, lui
aveva bisogno dei suoi tempi e non di un rompi scatole come quello
che girovagava nella sua stanza in quel momento che lo costringesse
ad alzarsi.
"
Che ore sono" bofonchiò con la faccia nel cuscino, a
proteggersi dalla luce intensa del sole. Si era addormentato che
erano quasi le sette del mattino, dopo essere stato a rimurginare
sulle risposte taglienti di Michiru ai suoi messaggi di scuse. Temeva
di aver compromesso tutto, e di aver cancellato quei pochi progressi
che era riuscito a fare prima di recarsi dalla sua famiglia e
aggiornarla sull'evoluzione degli eventi. Non poteva proprio
accettare che lei si fosse richiusa per una sciocchezza simile verso
di lui, altrimenti non poteva essere affatto utile per i suoi
genitori. E questo lo frustrava notevolmente.
"Sono
le dieci e mezza" mormorò allegro il ragazzino.
Le
dieci e mezza? Perfavore Yaten no..
"Lasciami
dormire, mi sono addormentato che erano le sette del mattino
perchè
avevo troppi pensieri in testa per poterlo fare prima" si
lamentò.
"Che
pensieri?" domandò l'altro, incuriosito. Raramente suo
fratello
si dimostrava turbato per qualche cosa.
"Non
ho voglia di parlarne ora, se puoi tirare giù la tapparella
e
lasciarmi riposare te ne sarei molto grato. Se per pranzo non sono
ancora sveglio di alla mamma di lasciarmi le cose, poi ci penso io
quando ho fame" disse il bruno girandosi a pancia in su per
osservare l'altro.
Yaten
si avvicinò nuovamente alla tapparella per tirarla
nuovamente giù
per una seconda volta.
Finalmente
i miei poveri occhi riposano.
"Va
beeene, allora buona dormita" rispose il ragazzo dai capelli
chiari.
Dopo
aver udito il rumore della serratura della sua camera che si
chiudeva, sospirò pesantemente, l'oscurità era la
sola cosa che gli
andava a genio in quel momento. Specialmente dopo il cambiamento di
Michiru nei suoi confronti avvenuto la sera prima, era troppo strano.
Tuttavia pensare a lei gli fece anche intuire che per non peggiorare
la situazione sarebbe stato meglio scriverle in modo che trovasse
qualcosa di suo al risveglio.
Il
problema e che non sapeva nemmeno lui cosa scriverle, il rapporto era
ancora troppo freddo e senza eccessiva confidenza. Ed era anche
consapevole di dover accellerare i tempi con lei.
Buongiorno
:* <3
Si
limitò a questo, un messaggio semplice ma che comunque le
avrebbe
fatto vedere che ci aveva pensato. Alla fine lui non era un tipo da
smancerie e miele vario, lui era abituato a prendersele le ragazze.
Senza corteggiamenti, per lui il modo di fare di Michiru era
snervante. Sembrava non interessarle in generale ma poi se compieva
delle dimenticanze nei suoi confronti lei si alterava, e non come si
fa abitualmente con una persona di cui non ti frega niente. I
comportamenti di un giorno, si contraddicevano con quelli del giornon
prima mandandolo in totale confusione.
***
Due
occhi blu fissavano assonnati il soffitto della loro stanza, erano
quasi le tredici ma non aveva proprio voglia di alzarsi. Era stata
svegliata dalla cameriera, la quale aveva socchiuso la vetrata per
iniziare a fare un cambio d'aria nell'ambiente, permettendo al
profumo di rose di entrare prepotentemente e giungere alle sue
narici. In lontananza il rumore del mare le solleticava i condotti
uditivi.
Avrebbe
dovuto lasciare il suo letto, non poteva rimanervi fino al
pomeriggio, anche se il suo fisico glielo implorava. Doveva almeno
alzarsi per mettere sotto i denti qualcosa di buono in modo da far
tacere la sinfonia che sentiva nel suo stomaco. Il suo stomaco
sottolineò il concetto con un rumore sopra la media.
Sarà
meglio che mi alzi per darmi una sistemata e scendere a pranzo.
Pensò
mettendosi a sedere sul letto qualche istante dopo, afferrò
il
cellulare per controllare l'eventuale presenza di chiamate da parte
dei suoi, ma come al solito nessuna notifica. C'era solamente l'icona
di whatsapp a segnarle che qualcuno le aveva scritto. Sperava con
tutta se stessa che fosse il motociclista.
Invece
i suoi occhi lessero il nome Seiya in cima alla finestra di chat, le
aveva mandato il buongiorno quasi tre ore prima. Posò lo
smarphone
sul comodino prima di dirigersi in bagno. Decisa a farsi una doccia
veloce con annesso lavaggio dei capelli, il dolce scorrere
dell'acqua tiepida la rinvigorì in pochissimi istanti. Visto
che i
suoi non c'erano avrebbe potuto pranzare tranquillamente con i
capelli umidi, nessuno le avrebbe detto nulla. Quando era totalmente
sola, esclusa la servitù, poteva anche girare per casa solo
coi
calzini, cosa che amava fare ma che non le era concesso.
Costringendola a portare o le infradito o le pantofole invernali.
Passò
in bagno una buona mezz'ora, più che altro per domare i
capelli
umidi con il pettine, quando li lavava diventavano sempre un
pò più
mossi di quanto non fossero già quando erano asciutti. Aveva
già
passato una schiuma per definire maggiormente le onde.
"Ecco
fatto"
esclamò
soddisfatta la figura davanti a se, mentre muoveva un pò la
testa
per guardare meglio anche ai lati. Per il dietro servivano gli
specchi della cabina armadio che erano l'uno di fronte all'altro
nelle ante apribili in modo da permetterle di guardare il dietro.
Indossò
qualcosa di leggero prima di uscire dalla stanza diretta in sala,
quel giorno avrebbe mangiato direttamente in cucina. Come era sua
abitudine quando i suoi genitori non c'erano, avrebbe fatto compagnia
alla cameriera che cucinava e serviva i piatti.
Quell'abitudine
rimasta segreta ai suoi le dava quella sensazione di
normalità che
tanto cercava.
"Buongiorno
signorina" la salutò la donna sorridente " vuole fare
colazione intanto che aspetta il pranzo? O preferisce dedicare le sue
attenzioni a quest'ultimo"
"
Quando non ci sono i miei puoi darmi tranquillamente del tu, te lo
dico sempre, a me dell'etichetta non mi interessa particolarmente.
Altrimenti non sarei a mangiare in cucina con te, lo sai benissimo"
le rispose la padrona di casa.
"Hai
ragione Michiru ma è la forza dell'abitudine, mi viene
normale darti
del lei anche quando i tuoi genitori non ci sono" rispose
l'altra mentre finiva di tagliare a dadini i pomodorini " per
pranzo cosa vuoi?"
"
Mi va bene quello che ti fai per te, non stare a impegnarti in cose
troppo elaborate" anche i piatti da grandi chef l'avevano quasi
stancata. Ormai tollerava poco qualsiasi cosa era caratteristica
della vita agiata che faceva.
"
Io per me stavo facendo un'insalata con pomodorini, mozzarella,
olive, mais e striscioline di prosciutto cotto"
"
Va benissimo quello allora" mormorò la ragazzina, prendendo
posto sulla sedia, ora che vedeva cucinare si rese conto di avere
più
fame di quanto credesse in realtà. " Preparo la tavola
intanto
così facciamo prima" esclamò dopo qualche
secondo, alzandosi
per dirigersi verso i cassetti del mobile. Li dentro c'era una
moltitudine di tovaglie, ma sapeva che quelle dei primi due cassetti
erano per il tavolo della cucina che era più piccolo e usato
dai
domestici, quelle contenute nei restanti due cassetti erano per
quello della tavola da pranzo che abitualmente veniva utilizzata
dalla sua famiglia e durante le feste o cene di lavoro dei suoi
genitori a cui anche lei era costretta a presiedere.
Prese
poi due piatti e le posate dall'armadio che era sopra il lavandino, e
in seguito anche i due bicchieri necessari. Dopo di che andò
a
prendere l'acqua dal frigorifero.
"Ecco
fatto ho finito!" esclamò soddisfatta del suo piccolo
lavoretto.
"Ottimo
io ho finito con l'insalata così possiamo mangiare"
mormorò
l'altra.
"
Non vedo l'ora"
***
Aveva
appena finito di cuocere il riso, quando sentì il suo
telefono
squillare svariate volte segno che era una chiamata.
La
gente deve proprio rovinare l'esistenza delle persone a quest'ora.
Non si riesce nemmeno a mangiare in santa pace.
Haruka
posò il piatto sul tavolo, per poi dirigersi velocemente in
camera
sua a recuperare la causa del suo innervosimento. Era Usagi, si era
completamente scordato al suo risveglio di chiamarla. Era
più
urgente mettere a tacere il suo stomaco, che quasi alle quattro del
pomeriggio esigeva la sua dose di energie giornaliera.
"
Pronto" soffiò nella cornetta, sperando che fosse quanto
meno
una cosa importante e non una sciocchezza quella per cui era stato
interrotto il suo pranzo. Torno davanti al piatto e prese la
forchetta.
"Ciao
Haru" la voce squillante della sorella risuonò nelle sue
orecchie più del dovuto, costringendolo ad allontanare la
cornetta
dal suo orecchio e inserire il vivavoce per poter tenere il
telefonino sul tavolo.
"Ciao
Usa-chan scusami se non mi sono fatto più sentire ma pensavo
che non
ne avessi voglia, poi ieri sera quando hai chiamato ero impegnato...
" se
sapessi con chi sono uscito ti sentiresti male testolina buffa "per
quello non ho risposto, però ora dimmi tutto" le disse.
"
Ti chiedevo scusa Haru, sono stata infantile a non capire che anche
tu hai diritto di crearti una vita tua... è solo che per non
so
quale ragione ho avuto paura di perdere pure te visto che non ci
possiamo vedere più tutti i giorni" nonostante non la
vedesse,
intuì che i suoi occhi prima allegri vivaci ora erano
diventati
tristi.
"
Non devi aver paura, io non ti lascerò mai qualsiasi cosa
accada,
eppoi c'è un posto per te in questa casa quando vuoi venire.
Ho due
posti letto in più" ed era vero, oltre al posto al suo
fianco
nel letto matrimoniale in cui vedeva solo una persona con i capelli
verde acqua, aveva anche un divano-letto a una piazza e mezza. Che
nonostante tutto gli era sembrato molto comodo quando lo aveva aperto
per provarlo.
"Si
lo so, per quello a pensarci mi sono sentita davvero una sciocca"
era mortificata per il suo comportamento, ma era apprezzabile che era
diventata così matura da ammettere le sue colpe e non fare
la
bambina.
"Scuse
accettate Usa-chan" concluse lui " la mamma come sta?"
avrebbe voluto non fare quella domanda, ma sapeva che aveva l'obbligo
di chiedere visto come aveva reagito all'idea che lui andasse a
vivere in una casa tutta sua. Era consapevole che per sua madre era
un'altra ferita dopo la scomparsa del padre.
"È
giù ma credo che le passerà in fretta" rispose
lei "
comunque ora devo andare, che poi tra un pò devo uscire"
"Dove
te ne vai di bello?" indagò lui, sapendo già che
probabilmente
fosse un ragazzo.
"Oh..
in giro con delle amiche niente di particolare..ciao Haru!"
prima che potesse farle altre domande la conversazione fu interrotta
proprio da lei.
Nel
frattempo lui aveva finito di cucinare il suo pranzo e
afferrò un
piatto dalla credenza per svuotarvi dentro il contenuto della
pentola. Mansione che gli occupo pochi minuti.
Ciao
piccola,
Hai
dormito bene? Spero di si, io ho dormito benissimo. Stasera allora
riesci ad evadere? Così potremmo vederci un pò
ancora. Scusami se
non ti ho scritto prima ma mi sono appena svegliato e ho provveduto a
cucinarmi qualcosina.
Fammi
sapere il prima possibile :*
Si
rese conto di non averle ancora scritto, e cercò di
rimediare
sperando che lei non si offendesse troppo per quel suo ritardo. Aveva
visto infatti che si era connessa l'ultima volta verso le tredici e
trenta. Che non gli avesse scritto non lo stupì
particolarmente.
Lei
sarà sicuramente una di quelle ragazze che almeno nel primo
periodo
si fanno desiderare e cercare. E
il comportamento di lei confermava il pensiero di lui. Molto
bene, a me piace darle la caccia.
***
La
stanza era invasa da un brano vivace e volubile al tempo stesso, una
melodia che dava la sensazione di essere indomabile e di non poter
essere imprigionata da niente e nessuno. Un rincorrersi di note
libere di volare nell'aria portate dal vento. Note che sapevano di
capelli color grano e occhi verdi come le foreste. Aprì gli
occhi di
scatto non appena il suono di un nuovo messaggio si mischiò
al quel
nuovo pezzo che le era uscito di getto, mentre perfezionava i brani
che prima o poi avrebbe fatto debuttare. Tutti scritti da lei. Era
abbastanza insicura sul valore di quei pezzi, e per questo nonostante
fossero pronti ormai quasi da un anno non aveva ancora trovato la
forza di presentarli al grande pubblico.
Appoggiò
delicatamente il violino sul letto, e ancora con l'archetto nella
mano destra si avvicinò al telefonino abbandonato nella
parte
opposta.
A
leggere il nome sulla notifica il cuore iniziò a batterle
all'impazzata.
Chissà
se sapesse che mi ha ispirato una nuova melodia come la prenderebbe.
Non
vedeva l'ora di vederlo, più che altro voleva sfruttare al
massimo
il tempo da passare con lui, perché era consapevole che da
li a due
giorni, con il rientro dei suoi le cose si sarebbero di molto
complicate.
Ciao,
ho dormito anche io fino a tardi e benissimo. Immaginavo che dormivi
ancora :) comunque si riesco ad evadere anche oggi. Che poi evadere
è
una parola grossa quelli della servitù lo sanno benissimo.
Per che
ora vieni a prendermi?
Scrisse
veloce, si prospettava una bella sera anche quella, in
realtà
pensava che qualsiasi posto sarebbe stato bello se visto con lui.
Avrebbe voluto cercare di esporsi un pò di più
per fargli capire
qualcosa, ma la timidezza e l'insicurezza prendevano di gran lena il
sopravvento.
Eppure
era sicura di provare qualcosa per lui, Seiya molto probabilmente era
stato solo un infatuazione, da quando aveva conosciuto il
motociclista era come se lui non fosse quasi esistito. Messaggi a
parte si intende.
Se
te la senti pensavo di stare a casa da me stasera, cucino io
ovviamente. Sempre che ti fidi di me sia per quanto concerne le arti
culinarie, sia per la mia persona. Non vorrei che tu pensassi che io
sia un maniaco.
Sorrise
nel leggere ciò che aveva scritto, specialmente per la
precisazione
sulla questione maniaco. Non lo aveva mai pensato in realtà
che lui
potesse esserlo, anche perché era convinta che le sarebbe
saltato
addosso subito, specialmente la sera prima che erano in una spiaggia
isolata dove nessuno l'avrebbe potuta sentire gridare. Il solo
pensiero le fece venire i brividi.
Smettila
lui non è così e lo sai benissimo.
Si
credo di riuscire ad essere pronta per prima di cena, mi passi a
prendere tu?
E
tanto per essere precisi, non ho mai pensato che tu fossi un maniaco.
Si
sentiva improvvisamente più leggera, o forse era solamente
un
tantino più felice di quanto lo era stata fino a due giorni
prima. E
a pensare che probabilmente nel giro di tre giorni sarebbe ripiombata
nell'inferno a cui era abituata una morsa allo stomaco la pervase.
Non era convinta di essere in grado di ricadere nella
severità e
nella monotonia imposta dai suoi genitori. Eppoi con loro sarebbe
tornato Seiya. E le sue insicurezze derivavano anche dal fatto di non
sapere come comportarsi con lui, sopratutto contando che i suoi
genitori lo appoggiavano in pieno, mentre era certa che non avrebbero
fatto lo stesso con il biondo. Anzi le avrebbero vietato di vederlo
se lo avessero saputo.
***
"Pronto?"
sapeva benissimo chi fosse stata a chiamarlo, poiché aveva
visto
comparire il numero sullo schermo.
"
Ruka ciao!" era Setsuna, probabilmente lo aveva chiamato
perché
ancora non si era fatto sentire da quando la sera prima si erano
salutate al di fuori del portone del suo palazzo. E ora come ogni
amica che si rispetti voleva gli aggiornamenti su come era andata,
peccato che lui di natura fosse una persona molto schiva, che
raramente raccontava la sua vita privata in giro. E non faceva
eccezione nemmeno con le amiche nella maggior parte dei casi. Ma Sets
era Sets. Si conoscevano fin da quando erano entrambi dei ragazzini,
e forse era l'unica persona che di lui sapeva veramente tutto. Vita,
morte e miracoli. Beh si forse era meglio dire maledizioni.
"Ciao
Sets, dimmi tutto" mormorò lui, anche se aveva
già capito il
motivo di quella chiamata.
"
Sei da solo? Perché sono nella zona di casa tua, e mi
chiedevo se
volevi venire a berti qualcosa al bar" si sentì chiedere "
Così intanto mi dai aggiornamenti che dici?"
In
fondo non aveva molta scelta, se avesse detto di no lei si sarebbe
presentata sicuramente a casa sua, e non aveva voglia di avere gente
in casa specialmente in un momento come quello in cui poi avrebbe
avuto da fare per preparare la cena a Miss Kaioh.
"
Si va bene, quando sei qui sotto al bar?" chiese lui, sperando
di avere almeno il tempo di darsi una pettinata e indossare qualcosa
di più decente rispetto alla sua tuta per casa.
"
Credo tra circa un cinque minuti, ho appena parcheggiato il tempo di
venire li a piedi, ma non sono troppo lontana" gli disse la
bruna, continuando a camminare.
"
Beh allora ti metto giù che mi devo dare una sistemata
veloce, a
dopo! Suonami quando sei qua sotto" rispose lui chiudendo poi la
comunicazione.
Ecco
il motivo per cui si trovava in quel momento seduto al tavolino del
bar con la ragazza che lo fissava in attesa di un suo desiderio
nell'iniziare a raccontare della sera precedente. Intenzione che lui
tardò molto a far emergere.
"
Beh allora? Come è andata ieri sera?" gli chiese curiosa,
aveva
voglia proprio di sapere tutto nei minimi dettagli.
"
E' andata bene Sets, siamo stati in spiaggia quasi fino alle quattro
del mattino a chiacchierare, è stato bello e ti
dirò lei è
veramente bellissima e non è affatto snob come in
realtà fa
credere. Anzi non la vedo molto nemmeno in quell'ambiente, credo che
soffra molto per il fatto di farne parte. Mi ha raccontato un sacco
di cose, i suoi sono molto severi. Sentirla mi ha fatto ringraziare
di non essere nato in quei ranghi...io con tutte quelle regole non
riuscirei a vivere" disse lui, tutto in una volta.
"
Ma sei riuscito a capire se almeno ti corrisponde la cotta? Oppure
non hai avuto nessun indizio" indagò di più lei
prima di
prendere un altro sorso dell'analcolico che aveva ordinato pochi
minuti prima. Aveva già bevuto la sera precedente e non
voleva
esagerare con gli alcolici.
"
Si Sets, o meglio me lo ha fatto capire il suo corpo per mezzo di
alcuni segnali, appena la sfioravo le cambiava il respiro... un sacco
di cose che mi fanno ben sperare" rispose lui con gli occhi
luccicanti.
"Capito..."
mormorò lei, in realtà l'unica domanda che le
premeva di fargli era
solamente una, che probabilmente lui si aspettava. " Ma quella
cosa gliel'hai detta?"
"Quale
cosa?" rispose lui dubbioso " Se parli del "Ti amo"
non direi, mi sembra troppo presto e azzardato. Bisogna chiarire un
sacco di cose prima, ad esempio la posizione dei suoi nei miei
confronti. Sempre che lei sia attratta da me a quel punto."
"
Ruka non parlavo del ti amo... ma di quell'altra cosa che tu sai
bene" mormorò la ragazza. Non voleva di certo rovinargli il
suo
movimento felice, ma doveva comunque farlo riflettere con i piedi per
terra.
"No
ancora non sa niente..." mormorò lui capendo a cosa alludeva
"
E non so quando le dirò di questa cosa... ho paura di
perderla"
concluse.
"Non
puoi tenerle nascosta una cosa così importante e lo sai
bene, più
di me" continuò la bruna, capiva bene le paure della persona
che aveva davanti, ma non poteva non ricordargli di quella cosa.
"Certo,
prima o poi glielo dirò" rispose lui.
"Quando
vi rivedrete?" gli chiese.
"Stasera,
viene a mangiare da me... poi la riporto a casa sul tardi" e
non vedo l'ora.
"
Ma avete già..." la osservò fare il gesto con cui
di regola si
fa sottointendere una scopata.
"
No, voglio aspettare...ieri non era il momento giusto anche se devo
essere sincero ho fatto davvero tanta fatica a non farmela sulla
spiaggia. E' troppo bella, impossibile non fare certi pensieri su di
lei" rispose. Omettendo il fatto che poi, arrivato a casa aveva
soddisfatto da solo le sue voglie. Pensandola ovviamente.
"Capito..."
***
Dopo
aver mangiato si era ritirato in camera sua con la scusa di voler
suonare un pò la chitarra, cosa che non faceva da tempo. La
sua
mente però era inchiodata sul fatto che Michiru non gli
avesse
ancora risposto al messaggio, e anche se le dita si muovevano da
sole, la sua testa era decisamente altrove. Il comportamento della
violinista non gli quadrava affatto, era un cambiamento troppo
repentino nei suoi confronti, avvenuto casualmente quando lui era
lontano. Stava addirittura pensando di non aspettare i genitori della
ragazza, ma rientrare prima in città per capirci un
pò di più. Ne
avrebbe parlato sicuramente con i suoi, ma non aveva dubbi che loro
fossero d'accordo.
Dopo
tutto stava facendo tutto questo per loro, e più arrivava a
conoscere la ragazza, più erano alte poi le
possibilità di ferirla
quando sarebbe arrivato il momento opportuno. Senza contare che senza
i suoi genitori intorno erano più alte le percentuali di
portarsela
a letto per una sana scopata.
Un
sorriso quasi malvagio gli dipinse il volto: tornare prima era la cosa
giusta.
|
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Capitolo 12 *** Voglio sentirti mia ***
Note dell'autrice: Eccovi
il dodicesimo capitolo, sono stata combattuta fino all'ultimo su un
eventuale cambiamento. Rimango ancora nel dubbio che gli avvenimenti
narrati siano un pò forzati forse, magari è solo
una mia impressione non saprei.
Inoltre
fatemi sapere anche privatamente se è meglio cambiare il
raiting della storia, onde evitare di prendere segnalazioni. Mi trovo
sempre in difficoltà a valutare il rainting delle mie
storie.
Buona
lettura :)
Capitolo
12: Voglio sentirti mia
Il
rumore di un cancello che si apre giunse alle sue orecchie, facendo
si che lui abbandonasse la contemplazione del mare per volgere la sua
attenzione alla persona che stava uscendo. Finalmente era lei, le
aveva scritto quasi venti minuti prima che era arrivato, e alla
risposta che era quasi pronta si era rassegnato a dover aspettare
almeno una quarantina di minuti in più. Perché
per la maggioranza
delle donne quel " sono quasi pronta" equivale a dover
passare il resto della propria vita pazientemente ad aspettare,
sperando di non vedere la propria pelle formare una marea di rughe.
La
sua attenzione si catalizzò sulla figura che controllava la
strada
prima di attraversare, quella sera aveva deciso di indossare un
vestito sui toni del bianco e del grigio. Più che altro dava
l'impressione che un pittore avesse mischiato a caso le due
colorazioni come se il tessuto fosse una tavolozza per creare le
sfumature da utilizzare poi su un quadro. Le spalle nude erano
coperte da un copri-spalle nero, ai piedi un paio di scarpe in
vernice nera con il tacco e la borsa era intonata a queste. Non le
tolse gli occhi di dosso per tutto il tragitto fino alla sua
macchina, fece poi scattare la sicura per darle la
possibilità di
entrare.
Un
profumo di rose e di mare si impadronì della sua automobile
nel
momento esatto in cui la musicista chiuse la porta.
"
Buonasera Miss Kaioh" la salutò, si limitò a
quello anche se
avrebbe voluto assaggiare le sue labbra, che con il rossetto rosso di
quella sera costituivano per lui una forte attrattiva.
"Ciao"
rispose lei regalandogli un sorriso da togliergli il fiato, prima di
sporgersi verso di lui per dargli un bacio sulla guancia e
provocargli un brivido acuto che dal collo si allungò su
tutto il
basso ventre.
Stasera
sarà difficile non cedere. Fu
il suo pensiero. Era troppo bella.
"Beh
che hai cucinato di buono?" si sentì chiedere mentre
svoltava
per uscire dalla passeggiata a mare.
"Non
si può dire Michiru, è una sorpresa" rispose lui.
In realtà
il menù era tutto a base di pesce dall'antipasto al secondo,
erano
cose semplici ma che erano piaciute a tutti quelli ai quali aveva
fatto assaggiare la sua cucina.
"Daiii
un indizio" lo supplicò lei, con un espressione imbronciata.
"Assolutamente
no" sorrise " Come hai passato la giornata?"
"
In casa a suonare, e a perfezionare alcuni nuovi brani che prima o
poi lancerò a uno dei prossimi concerti... oltre che a
dormire, sai
un ragazzaccio mi ha tenuta fino alle 4 del mattino fuori" disse
lei nel tentativo di punzecchiarlo.
"
Così ora sarei un ragazzaccio? Ieri sera mentre eri in
braccio, mi
sembra che non la pensavi in questo modo" rispose lui impettito,
con la coda dell'occhio la vide arrossire per la prima volta quella
sera. E in cuor suo pregò che non fosse nemmeno l'ultima,
perché
era adorabile.
"
Che c'entra ieri sera?" gli sembrò tornare sulla difensiva
anche se era convinto che l'allusione a quei momenti le avevano
provocato quanto meno una scossa nel profondo.
"
C'entra che non la pensavi allo stesso modo" ribadì girando
a
destra con la macchina, il tragitto non sarebbe nemmeno stato troppo
lungo. Mancava circa un chilometro al loro arrivo al palazzo dove
lui abitava. Iniziò a scalare le marce per rallentare,
avevano avuto
la fortuna di beccare la maggioranza dei semafori verdi e
così il
trasferimento fu molto veloce. Parcheggiò la macchina nel
giardino
del palazzo, per fare più in fretta, poi aprì lo
sportello e sentì
che anche lei faceva lo stesso per scendere. "Vieni, il portone
è da questa parte" mormorò lui " certo non ti
aspettare
una reggia, perché è molto piccola
sarà un terzo di casa tua"
mormorò un po' imbarazzato.
"
Sarà senz'altro bellissima, a prescindere dalla sua
dimensione non
ho dubbi" si sentì rispondere, sorrideva. Uno di quei
sorrisi
che arrivavano fino agli occhi e non fingono.
Si
limitò a sorridere a quelle parole, e a quel tentativo di
toglierlo
dall'imbarazzo di ospitarla nella sua modesta casetta.
***
Il
portone del palazzo presentava un ampia e alta vetrata, il soffitto
era di un bordeaux scuro che staccava con il bianco dei muri e dei
marmi che adornavano i pilastri, sulla parte bassa vi erano nuovi
marmi questa volta tendenti al grigio scuro e al nero. Il citofono
aveva la telecamera per guardare da casa chi suonava e aprire senza
correre pericoli, era un palazzo comunque signorile ad occhio e
croce. Seguì il ragazzo fino all'ascensore e lo vide premere
il
tasto per chiamarlo. Si appoggiò al muro accanto alla porta
scorrevole in attesa che le porte si aprissero, con i tacchi riusciva
quasi a guardarlo direttamente negli occhi senza alzare troppo la
testa, erano alti uguali.
"Prego"
le disse il biondo facendole segno di entrare.
L'ascensore
era appena arrivato ed era anche abbastanza stretto rispetto a quelli
a cui era abituata, non che le desse fastidio, ma quella vicinanza
costretta le provocò una vampata di calore e , in
particolare,
nelle sue zone più intime. Sensazioni molto simili a quelle
provate
la sera prima a sentire il tocco di lui sulle gambe. Sentì
il
respiro interrompersi contro il suo volere, per accelerare la
frequenza.
Accidenti
dovrò darmi un contegno, non è possibile che io
abbia delle
reazioni così solamente perché gli sono un po'
più vicina di
quanto fino ad ora non sono stata grazie agli spazi ristretti della
cabina.
"Michiru..."
mormorò il biondo, e la sua voce era fin troppo vicina a
lei. Alzò
lo sguardo e ritrovò il suo viso a pochi centimetri dal suo.
"Si?"
non si sentiva in grado di aggiungere altro, il suo cervello era
andato completamente in tilt ed era sicura che con una frase
più
lunga avrebbe pronunciato qualcosa di incomprensibile. La
realtà era
che non si aspettava di trovarsi così vicino al suo viso,
non così
all'improvviso per lo meno.
"Tutto
a posto?"
Certo
tutto a posto, se non fosse che ho un ragazzo bellissimo, a pochi
centimetri dal mio viso e il cuore che mi batte all'impazzata.
"
Certo... " bisbigliò, lottando contro il suo istinto di
annullare la distanza che li divideva.
"
Non sembra, mi sa tanto che il tuo respiro è di nuovo
cambiato"
esclamò lui con un tono tra il compiaciuto e il divertito,
prima di
accarezzarle il viso proprio nel momento esatto in cui le porte
dell'ascensore si aprirono "Siamo arrivati"
"
Si ho visto.." purtroppo,
sarei stata li dentro in eterno. Il
pianerottolo aveva dei muri anonimi e bianchi, il pavimento scuro che
riprendeva il marmo presente nel portone. La ringhiera delle scale
sembrava in ferro battuto, che formava complicati riccioli e
ghirigori conferendo al tutto quel pizzico di eleganza in
più che
giù nel portone non aveva affatto notato.
La
porta di casa sua era quella più lontana dall'ascensore, si
diresse
in quella direzione, avvicinandosi a lui mentre le sue scarpe
facevano un rumore assordante sul pavimento in freddo marmo. Si
sentiva imbarazzata dai battiti profondi causati dai suoi passi, per
fortuna che i metri da percorrere erano veramente molto pochi.
Lui
aspettò di averla vicino prima di aprire la porta di
ingresso.
"Miss
Kaioh ti do il bevenuto in casa Ten'o" disse sorridente,
facendole spazio per farla passare.
"Grazie"
rispose lei, trovandosi davanti un piccolo appartamento, ben arredato
e che a primo colpo sembrava essere molto accogliente. Nulla a che
vedere con la Villa dei suoi genitori, certamente maestosa ed enorme
ma gelida. Gelida come il cuore delle persone che l'abitavano. Per
fortuna lei non sentiva di avere un cuore così, o meglio
sperava di
non averlo. E viste le emozioni già provate quella sera in
così
poco tempo, sapeva di averlo vivo più che mai.
"Fai
pure come fossi a casa tua, se vuoi guardare la tv accendi pure non
farti problemi, io vado a preparare le ultime cose per la cena quando
ho finito ti chiamo" le disse lui. " Se hai bisogno del
bagno è la prima porta a destra nel corridoio"
"Va
bene grazie" era impegnata a guardarsi intorno, il suo sguardo
viaggiava per scrutare ogni minimo particolare che le potesse far
capire un po' il carattere della persona che aveva davanti, fece
qualche passo verso il divano, davanti al quale vide un tavolino con
una cornice e una foto dentro. Ritraeva Haruka in compagnia di una
ragazzina bionda dai lunghi codini che le assomigliava discretamente.
Io
sta ragazzina l'ho già vista da qualche parte.
"
Haruka
ma questa ragazzina che è con te nella foto sul tavolino
della sala
chi è?" chiese con un tono di voce alto quanto basta
affinché
lui potesse sentirla.
***
"
Quella con i codini dici? É mia sorella perché?"
urlò lui da
una parte all'altra della casa, mentre finiva di impiattare
l'antipasto. Probabilmente l'aveva riconosciuta, anzi sperava che da
una parte si ricordasse di Usagi. Ma con tutte le persone che
sicuramente aveva modo di incontrare tutti i giorni gli sembrava
surreale. Sentì i passi della musicista dietro di se, segno
che la
ragazza lo aveva raggiunto in cucina, ed era anche molto vicina.
"
Possibile che io l'abbia incontrata, a dire il vero direi scontrata, al
mio ultimo concerto? Ho fatto un autografo a una ragazzina che le
somigliava molto" si sentì dire dalla ragazza.
"
Si è possibilissimo, anzi ti dico per certo che è
lei, perché è
una tua grandissima fan, ti ammira tantissimo. Ogni volta che ti vede
in televisione non puoi capire che casino che fa... e c'ero anche io
al tuo ultimo concerto ad accompagnarla" ammise. È
da li che tutto è iniziato piccola, se non ti avessi vista
quella
sera non saremmo qui, in televisione non ti avevo mai notata e
nemmeno fino a qualche anno fa. Pensò
senza però avere le palle per dirlo.
"Allora
si credo proprio che sia lei, si chiama Usagi vero? Mi è
rimasto
impresso il suo nome, significa coniglio lunare... le ho fatto un
coniglietto sull'autografo. Mi è sembrata una ragazzina
tanto
allegra"
"
Lo è infatti, è molto estroversa...comunque
accomodati pure che è
pronto"
La
tavola era apparecchiata con una tovaglia bordeaux, molto scura. Su
cui facevano bella mostra di se dei piatti bianchi con il bordo
dorato accompagnati dai bicchieri per l'acqua e il vino bianco in
vetro. Le posate invece erano argentate. I tovaglioli bianchi e
dorati. Al centro del tavolo un porta-candele del medesimo colore
della tovaglia, conteneva delle candele color panna sulle quali
erano state applicate delle foglioline dorate che donavano alla
stanza una fragranza dal profumo fresco e leggerlo. Che illuminavano
la stanza dove lui abbassò volutamente le luci per ricreare
un'atmosfera il più adatta possibile a quella cena sulla
quale aveva
scommesso molto. Si limitò ad annuire mentre prendeva posto.
"Spero
che ti piaccia il pesce, perché altrimenti farai la fame
stasera"
aveva un tono scherzoso.
"
Si è uno dei miei cibi preferiti, hai azzeccato in pieno"
sorrise lei " non mi servire però, sono capace a farlo da
sola...non mi vanno tanto a genio queste cose" più che altro
non le piaceva l'idea di farsi servire da lui solo perché
apparteneva all'alta società quando loro spesso e volentieri
si
servivano da soli.
"Come
vuoi, a me comunque fa piacere..." le rispose lui sedendosi al
suo posto, di fronte alla ragazza.
L'antipasto
era veramente ottimo, era talmente impegnata a spazzolare tutto che
non proferì nemmeno la minima parola. Era anche affamata,
poiché
tra un brano e l'altro si era anche dimenticata di spezzare il
pomeriggio con una macedonia di frutta. E l'insalata mangiata a
pranzo era già stata assimilata da qualche ora.
"Hai
detto che stai lavorando a nuovi brani?" chiese lui curioso.
"Si
ma ho paura che non piacciano al grande pubblico, e non vorrei
compromettermi così la carriera" gli spiegò lei
sorseggiando
l'ottimo vino bianco. Non
ci sono dubbi, ci sa fare con la cucina e con l'abbinamento del vino
ai piatti. Sebbene
lei non avesse studiato, era abituata a un mangiare di un certo
livello e le sue papille gustative erano ormai in grado di scorgere
un abbinamento perfetto.
"Impossibile,
da quanto posso sentire dai tuoi brani che ascolta Usagi... dovresti
avere un po' di fiducia in più in te stessa"
esclamò mentre
mangiava l'ultimo pezzo di pesce spada marinato.
Lei
rise " Fiducia? Io? Sono troppo abituata a seguire gli schemi
per averne abbastanza per fare di testa mia...te l'ho già
detto"
esclamò alludendo al discorso fatto la sera prima.
Lui
si alzò per prendere i piatti e metterli nel lavandino
pronti per
essere puliti, per poi rivolgere l'attenzione alla padella nella
quale la pasta stava concludendo la cottura.
La
suoneria di un cellulare proveniente dalla sala interruppe il
silenzio nella stanza. Lei sospirò, aveva riconosciuto la
musichetta
come quella del suo telefono, non aveva voglia di sentire nessuno.
Non aveva voglia di farsi rovinare la serata già agli inizi.
"
Rispondi pure se vuoi, non farti problemi..." mormorò lui.
"
Non me ne faccio... figurati... è solo che non ho proprio
voglia di
sapere chi è, tanto meno di parlarci" disse con
sincerità
alzandosi per andare a prendere la causa di tanto baccano.
***
Non
poté fare a meno di ammirarla mentre con la sua innata
eleganza si
dirigeva verso il divano, camminava sui tacchi con naturalezza. Come
se ci fosse nata sopra e non fossero in realtà quelle
calzature
scomode, che facevano patire le pene dell'inferno alla maggioranza
delle donne. La vide tornare in cucina per fargli compagnia
nonostante la chiamata.
"
Pronto" la sentì chiedere, anche se le sue orecchie
captarono
un cambio nel tono della voce. Se prima era dolce e tranquilla, ora
sembrava quasi irritata per quella interruzione. Alle sue orecchie
arrivò una voce maschile, che però gli sembrava
troppo giovane per
essere del padre della musicista. Un moto di fastidio lo
assalì alle
viscere. Avrebbe voluto strozzarlo chiunque egli fosse, per aver
tolto l'attenzione della pittrice da lui e sopratutto per averla
fatta palesemente innervosire con la sua invadenza.
"Come?
Ritorni domani? Ma come mai scusa? Non dovevi stare finché i
miei
genitori non finivano il loro tour?" aveva un tono piuttosto
infastidito, notò come il dito della mano libera era corso
ai
capelli per arricciarne in modo quasi convulsivo una ciocca. "Guarda
che non c'è problema se rimani qualche altro giorno, io da
sola sto
benissimo" la sentì dire " Non c'è nessun motivo
per cui
ho ignorato il tuo msg stamattina, semplicemente voglio starmene per
i fatti miei e credo di avere tutto il diritto di farlo" il suo
tono si stava decisamente alterando e lui ne fu dispiaciuto. "
Senti ora non ho tempo da perdere, ho da fare. Stavo suonando, se
permetti torno a fare ciò che stavo facendo. Non ho proprio
voglia
di rovinarmi la serata a discutere con te, per una cosa che hai
già
deciso ancor prima di interpellarmi. Buona notte"
Sto
suonando? Perché
mai raccontare una palla, a chiunque fosse il suo interlocutore di
sesso maschile. Certo era che, chiunque egli fosse, non le destava
particolarmente simpatia visti i modi con cui si era appena finita di
rivolgere ad egli. Lei appoggiò malamente il telefono sul
tavolo.
Per
dedicarsi alla pasta con salmone fresco, pomodorini e rucola aggiunta
a fine cottura.
"
Tutto a posto Michiru?" chiese lui, cercando di tenere a bada la
gelosia che sentiva nascergli dentro.
"
Tutto a posto, cioè non è a posto per
niente...perché da domani
pomeriggio non sono più sola a casa con un giorno di
anticipo se non
due" rispose lei tristemente .
"
Scusa se mi permetto? Come mai?" indagò lui, era sicuro che
a
quel punto lei fosse fidanzata e la disperazione che sentiva nel
petto era enorme.
"
Perché Seiya, uno che i miei genitori mi hanno letteralmente
imposto
in casa per tutta l'estate che abita nella capitale e i cui genitori
sono conoscenti dei miei, anziché aspettare mio padre e mia
madre
per fare rientro con loro alla fine del tour musicale rientra domani"
rispose lei con rabbia.
"
Ma questo Seiya per te cosa rappresenta?" mormorò lui a
bruciapelo, pronto alla peggiore delle risposte. Sicuramente lei era
promessa sposa allo sconosciuto, conoscendo come andavano le cose nei
rami della società di cui ella faceva parte.
"Non
penso rappresenti qualcosa di particolarmente serio, non in questo
momento, pensavo fino a qualche giorno fa che potesse uscirci
qualcosa...ma ora come ora ho capito che non è quello
giusto"
la vide arrossire, mentre si portava un pomodorino alle labbra.
"Comunque è buonissima sta pasta, sei bravissimo a cucinare"
le luccicavano gli occhi, improvvisamente sembrava tornata quella che
era prima della telefonata indesiderata.
Michiru
mi sorprendi, prima sei un mare in burrasca e poi un attimo dopo
torni a essere calma e tranquilla come se la tempesta non fosse mai
arrivata.
Il
cambio repentino nel suo umore lo lasciò piuttosto
perplesso. Sei
incredibile. Fu
il suo commento alla volubilità dell'altra. Sei
un po' come me in fondo
"Grazie,
diciamo che me la cavo, sai mia mamma è una dottoressa e
quindi
spesso e volentieri tocca a me a fare il pranzo a me e mia sorella.
In poche parole uso Usagi come cavia da laboratorio per i miei
esperimenti culinari"
Una
risata cristallina si sollevò dalle labbra della pittrice a
sentire
quelle parole.
"Povera
Usagi" si limitò a dire cercando di modulare
l'ilarità. "
Comunque a parte gli scherzi te la cavi molto più che bene,
anche
nello scegliere il vino adatto"
"
Beh diciamo che questa capacità lo ereditata da mio padre,
non è
totalmente farina del mio sacco se non fosse stato per lui io di vini
ci capirei meno di zero ad essere sinceri" rispose lui. "
Passami il piatto"
"Ah
capisco, beh si è normale che i genitori ci trasmettino le
loro
passioni in fin dei conti" mormorò lei.
Il
secondo prevedeva pesce spada con prezzemolo e pomodorini a cui a
fine cottura aveva aggiunto della vodka che aveva fatto infiammare
per consumare l'alcol. Il risultato era un sapore dolciastro ma non
amarognolo che ben si sposava con la dolcezza dei pomodori.
"Si
lo fanno tutti" rispose lui dopo qualche minuto di silenzio.
***
I
suoi occhi blu erano concentrati sul piatto che stava divorando con
una velocità incredibile, anche il secondo si era rivelato
essere
squisito. Haruka l'aveva piacevolmente stupita quella sera, non
pensava affatto che un ragazzo con la passione per le moto si
interessasse anche di cucina e di piatti che non erano sicuramente di
base per esecuzione e bravura.
Lei
a quei piatti era abituata, ma loro in casa avevano un cuoco, che lei
stessa aveva mandato in vacanza per quei quattro giorni senza i suoi
genitori. E le cose erano diversi trattandosi di un professionista.
Il ragazzo che aveva di fronte invece non lo era per nulla. Eppure se
la cavava egregiamente.
"E'
squisito anche questo complimenti, sembrano le cose che cucina il
cuoco che i miei hanno deciso di assumere" commentò.
"
Mi fa piacere che ti sia piaciuto tutto, manca solo il dolce ma
quello quando avrai finito direi di mangiarlo in sala" le
rispose lui. " Però aspetta un attimo solamente, arrivo
subito
vado un attimo in bagno intanto che finisci e poi ci trasferiamo li"
Si
limitò ad annuire mentre si affrettava a finire
ciò che aveva nel
piatto per raggiungerlo il più in fretta possibile, in fondo
i dolci
erano la sua parte preferita di qualsiasi pasto. Anche se durante la
settimana raramente ne mangiava a casa sua. La verità
è che
sebbene fosse in un'altra stanza, e che quindi era comunque insieme a
lei sentiva la mancanza fisica del biondo. Erano stati insieme fino a
qualche istante prima, ma la sua assenza già si faceva
sentire.
Sperava
con tutta se stessa che lui avesse intuito il motivo del
perché per
lei Seiya al momento aveva smesso di avere importanza.
"Se
hai finito il secondo vieni pure" lo sentì quasi urlare
dalla
stanza affianco " lascia il piatto sul tavolo lo levo più
tardi
poi"
Sentendosi
chiamare si mosse diretta nell'altra stanza, entrata lo
trovò seduto
sul divano con un braccio sulla spalliera e l'atteggiamento un po' da
strafottente che lo caratterizzava appena più accentuato.
Dal punto
in cui era non riusciva a vedere cosa c'era sul tavolo basso davanti
al divano, e incuriosita decise di velocizzare il passo.
"Eccomi"
sussurrò quando gli fu abbastanza vicina per farsi udire
chiaramente
da egli.
I
suoi occhi si posarono su una piccola torta con i lati ricoperti di
granella di nocciole e decorata con ciuffi di panna e fragole. In
mezzo faceva bella mostra di se una rosa rossa ben sbocciata. Accanto
alla torta una rosa, due flute e un contenitore con ghiaccio e
spumante. Rimase quasi spiazzata da quell'allestimento. E non sapeva
bene cosa dire. Sentiva solamente gli occhi lucidi, ma non
perché
doveva piangere, ma piuttosto per la felicità che le aveva
provocato
quella sorpresa..
"
Beh ti è caduta la lingua?Uhm forse devo cercarla sotto il
divano"
si sentì punzecchiare da lui, mentre i suoi occhi lo videro
chinarsi
per guardare sotto a dove era seduto " Questa ammetto che non
l'ho fatta io"
"No
è che non so cosa dire, nemmeno i miei genitori mi hanno
fatto mai
una sorpresa simile... " rispose lei sedendosi sul divano
accanto a egli. Purtroppo ciò che aveva detto era vero,
nemmeno ai
compleanni le era mai stata fatta una sorpresa del genere giusto una
torta preparata dal cuoco o dalla cameriera. Almeno che i suoi non
erano fuori per lavoro, e allora la servitù si prendeva la
libertà
di festeggiarle il compleanno nel migliore dei modi.
I
piattini destinati al dolce erano la copia in miniatura di quelli
utilizzati per il resto della cena.
"Beh
che aspetti?" le disse lui " Tagliala no?"
"
Potrei fare dei pasticci" rispose " Ma comunque va bene la
taglio io" come previsto non ebbe nessun problema a tagliare la
fettina per lui, ma ebbe non pochi problemi a metterla sul piatto
facendola rimanere dritta. Missione che fallì, stessa cosa
per la
sua fettina che la stava fissando sconsolata adagiata su un fianco
come una nave ferita mortalmente.
Era
emozionata da tutte quelle attenzioni a cui non era abituata, ma
sopratutto era emozionata da quegli occhi, che le facevano sentire la
dolcezza del miele al solo guardarli. La torta era deliziosa, dentro
aveva una crema alla nocciola delicata e molto vellutata.
***
La
stava guardando mentre seduta accanto a lei mangiava la torta in
silenzio, gli occhi luccicanti. Essere certo che fosse per merito suo
quella felicità lo rendeva felice e appagato a sua volta.
Devi
dirgli quella cosa. La
voce di Setsuna gli risuonò nella sua mente, sapeva che la
sua amica
aveva ragione, doveva dirle tutto. Ma non voleva rovinare quel
momento, quell'atmosfera che si era creata tra di loro, e
perciò
decise che avrebbe rimandato al giorno dopo o alla prima volta
disponibile. E nel caso non si fossero visti per alcuni giorni nella
peggiore delle ipotesi le avrebbe parlato via Whatsapp anche se, non
gli piaceva affatto affrontare un discorso così delicato in
quel
modo.
"Tutto
apposto?" gli chiese la violinista, dal suo tono capì che
aveva
notato che era in preda ai suoi pensieri.
"
Si tranquilla..." rispose lui " Michi... vieni qui..."
le fece segno di sedersi sulle sue gambe come la sera prima,
improvvisamente gli era venuta un'idea. Che sperava potesse piacere
alla ragazza. Lei non se lo fece ripetere due volte, e appena fu
sulle sue gambe sentì che la completezza oltre che a mentale
divenne
anche fisica. La desiderava come nessun altro, si sporse un po' verso
destra per prendere il piattino in cui lei aveva ancora un pezzetto
di torta, quello al quale era attaccata la fragola decorativa. A lui
invece gliene erano capitate una intera e una a metà. Ne
afferrò
una sporca di panna. E l'avvicinò alle labbra di lei, gli
occhi
legati magneticamente a quelli blu in cui poteva rispecchiarsi.
Respiro ora improvvisamente un po' più accelerato. Quella
situazione
volente o nolente stava risvegliando prepotentemente la passione che
albergava in lui dalla notte dei tempi, come da tempo non gli
accadeva. Nemmeno con quelle che si portava a letto.
La
guardò mentre mordeva il frutto con quelle stesse labbra che
bramava
tanto di possedere. La mano sinistra libera, era appoggiata sulle
gambe della pittrice.
Prese
la seconda fragola per ripetere lo stesso gesto di poco prima,
tornando ad avere la collaborazione della pittrice. Ma questa volta si
avvicinò al suo viso con il proprio. Era sicuro che non
sarebbe
riuscito a resistere ai suoi istinti, e a metterli a tacere per
l'ennesima volta in sua presenza.
La
desiderava.
Come
l'acqua nel deserto.
Il
fuoco in una gelida giornata di inverno.
E
l'ombra nel pieno di una giornata estiva.
Non
le diede nemmeno il tempo di inghiottire il terzo frammento di
fragola che, rispondendo a un esigenza quasi dolorosa, le sue labbra
furono sulle sue.
Appena
le toccò un brivido gli percorse l'intera lunghezza del suo
corpo,
un tornado di emozioni fino a quel momento rinchiuse in vecchie torri
diroccate si liberò al ritmo del cuore che batteva.
Sentì
lei rispondergli al bacio socchiudendo appena le labbra, mentre
spostò una mano dietro la sua nuca, per attrarla
maggiormente a se e
sentirla più sua. Le loro lingue si incontrarono in una
danza che
consumava l'ossigeno a loro disposizione più velocemente di
quanto
loro non volessero.
Le
morse delicatamente il labbro inferiore eppoi quello superiore prima
di staccarsi da lei per qualche millimetro il tempo di riprendere
fiato.
Il
suo viso era rosso, ma non per l'imbarazzo, sembrava accaldata dalle
emozioni che lui stesso le aveva trasmesso. I suoi occhi avevano una
strana luce, come se lo stessero bramando almeno quanto lui
desiderava lei.
"
Michi fermami, non so se riuscirò a fermarmi qua" gli
sussurrò
sulle labbra.
***
Il
battito accelerato le rimbombava nelle orecchie, tutto quello che era
successo in quei pochi minuti l'aveva devastata. Non aveva mai
provato una mole così forte di sensazioni per nessun altro
in vita
sua. Quel semplice bacio le aveva consumato le viscere, si era
impossessato del suo cervello mandandolo in corto. Le aveva provocato
una fiammata in tutto il corpo che infine si era concentrata nel
basso ventre. Era assetata di lui, assetata di quello che egli
rappresentava.
Assetata
del sapore così dolce delle sue labbra, e del suo sapore.
Così
nuovo eppure che sembrava esserle da sempre familiare.
"
Non fermarti allora Haruka" gli rispose mordendosi un po' il
labbro, fosse stata con un altro non sarebbe mai stata così
audace
da esporsi in tal modo. Ma il suo corpo lo desiderava in misura
maggiore di qualsiasi umana sopportazione. Non era mai riuscita ad
essere così provocante in passato, la timidezza l'aveva
sempre fatta
da padrona con qualsiasi ragazzo, quella frase l'aveva sorpresa.
Si
sentì catturare le labbra per una seconda volta senza che
lui
aggiungesse niente, la mano libera e non dietro alla sua testa era
passata sotto la gonna del vestito, a contatto con la sua pelle
candida.
Un
brivido di eccitazione la pervase. Lo voleva. Lo voleva in
quell'istante, su quel divano. Voleva farlo suo. E anche se sarebbe
stato il primo, era sicura che non se ne sarebbe pentita.
Si
sentì improvvisamente sollevare da lui che l'aveva
letteralmente
presa in braccio, senza interrompere il contatto con le sue labbra,
era famelico. Lo sentiva. La voleva quanto lei lo desiderava.
Sentì
un'inaspettata e nuova sensazione al basso ventre.
Le
loro labbra si separarono solo per quel brevissimo istante in cui lui
la poggiò sul suo letto prima di esserle sopra.
"Ti
fidi di me Michi?" le ansimò sul viso.
"
Si perché?" chiese curiosa lei, prima che lui si alzasse,
prendere un nastro di seta a cui aveva pensato solo in quel momento e
che aveva abbandonato quel pomeriggio sul comodino dall'altra parte
del letto.
***
Dopo
aver preso il nastro e averlo portato sul letto le fu nuovamente
sopra, le morse le labbra, strappandole un gemito. Il suo corpo a
sentire quel suono si smosse ancora di più
Non
hai idea di quanto ti abbia desiderata Miss Kaioh. Non mi sembra
nemmeno vero di averti qua sotto di me a bramarmi con questi occhi
famelici.
Si
spostò sul collo di lei, mentre una delle mani era passata
nuovamente sotto il vestito, ad accarezzarle la gamba. Le
lasciò una
scia umida fino al petto dove incontrò il bordo del vestito.
La
pelle alla base del collo che si alzava spasmodicamente in preda alla
passione.
Si
staccò lievemente da lei per farla alzare quel minimo per
tirarle
giù la cerniera del vestito e aiutarla a sfilarselo. Ora era
sotto
i suoi occhi solo con l'intimo in pizzo nero che lasciava intuire le
forme sottostanti.
Si
abbassò nuovamente col volto tra i suoi seni, senza
scoprirli ne
liberarli dalla morsa del tessuto, mentre con la mano ancora libera
iniziò a torturarne dolcemente la sommità prima
di tornarle a
baciare e morderle il collo. Lei in tutta risposta iniziò ad
accarezzarle la schiena, infilandogli le dita tra i capelli dorati,
per poi scivolare giù sull'addome e salire su verso il petto.
"No
Michi, stai ferma" la vide aprire gli occhi, come a
rimproverarlo di quella interruzione così ingiusta e
crudele. Prima
di passarle il nastro sopra gli occhi a legarlo dietro alla testa,
così che lei potesse solo sentirlo e non vederlo.
Così da farle
ingigantire le sensazioni date dal fatto di non poter prevedere le
sue mosse con lo sguardo.
Le
sganciò i gancetti del reggiseno firmato, prima di
ricominciare a
intrecciare le loro lingue, in una danza sensuale e vorticosa. La sua
mano destra era ora sugli slip di lei.
***
La
sorpresa di non poter vedere quel che faceva, le accese i sensi al
massimo, facendoglielo desiderare ancora di più di quanto
non lo
avesse desiderato prima. Come se la mancanza dello sguardo
necessitava di essere colmata con gli altri sensi. Con la passione
che le scorreva nelle vene fino allo spasimo. Era ora un mare in
burrasca sotto le dita di un caldo vento.
Avvertì
la mano di lui infrangere il muro del leggero tessuto che lo separava
dal suo essere più intimo. Quella vicinanza la fece gemere.
"Haruka
ti prego" quella frase le uscì dalle labbra come una
supplica
ad accelerare i tempi, non ne poteva più di essere torturata
in quel
modo. Sentì il fiato di lui poco sotto l'ombelico.
"Abbi
pazienza piccola" mormorò lui, e anche se non poteva vederlo
intuì che sul suo viso c'era un sorriso.
Lo
sentì sfilarle gli slip, e il fatto di essere completamente
nuda
davanti a lui e la prima volta davanti a qualcuno al di fuori di sua
madre che l'aveva vista da piccola non la imbarazzò.
Sentì
il respiro interrompersi nel momento in cui le labbra di lui
incontrarono il suo interno coscia, mentre lentamente un dito varcava
la sua femminilità. Poco dopo raggiunto anche da quella che
intuì
essere le labbra di lui.
"Non
ti fermare.." ansimò inarcando involontariamente la schiena
per
andargli incontro, di lui sentiva solo il fiato bollente sulla sua
parte più segreta e le mani appoggiate sui seni.
Sentì
le corde della sua esistenza e della sua anima imprigionate dalle
dita sapienti di lui, che le stava lentamente portando a suonare una
melodia che sarebbe stata conosciuta solamente a loro e a nessun
altro. Composta apposta per lui. Ma sopratutto dalla loro unione.
Un
senso di leggerezza e di impotenza si stava lentamente prendendo
parte di lei mentre i muscoli erano tesi e concentrati a ciò
che li
stava toccando.
Lo
sentì interrompersi.
"
No per favore, ti voglio" disse quasi sull'orlo della
disperazione. Perché interrompersi ancora? Perché
le stava facendo
questo?
"Ancora
un attimo" mormorò lui, prima di impadronirsi in modo
appassionato delle sue labbra per poi alzarsi nuovamente dal letto.
Questa
volta sentì aprire eppoi chiudere un cassetto alla sua
sinistra.
***
In
pochi istanti era nuovamente sopra di lei a toccarle il basso ventre
con la mano libera, le dita che disegnavano dei piccoli cerchi sul
suo punto più sensibile mentre con le labbra si prendeva
cura dei
suoi seni mordicchiandone delicatamente i capezzoli.
L'odore
della sua pelle misto a quello della sua intimità lo faceva
andare
in estasi, accrescendo la sua voglia di possederla il prima
possibile.
La
sentì strusciare contro di lui gemendo, come a chiedergli
qualcosa
di più che non riusciva più ad aspettare dopo
tutte quelle
interruzioni, ai suoi occhi insignificanti.
Darle
piacere, e vederla godere grazie a lui, accresceva anche la sua
passione. Sentì nuovamente le anche di lei premere disperate
contro
il suo bacino a seguito dell'ennesimo gemito che le usciva dalle
labbra.
"Ci
siamo quasi Michi" le sussurrò nuovamente. Non vedeva l'ora
nemmeno lui di vederle raggiungere l'apice del piacere per mano sua,
ma era pronta per qualcosa di più. Si staccò
leggermente, prima di
tornarle sopra e diventare un corpo solo con lei. Notando appena la
resistenza che incontrò sulla sua strada.
Iniziò
a muoversi al di sopra. Godendosi a pieno quegli attimi, in cui era
completamente perduta per lui, inerme e bloccata tra le lenzuola dai
turbini di piacere che lui gli stava donando.
I
movimenti della pittrice aumentarono improvvisamente, segno che ben
presto avrebbe fatto vibrare i lati più nascosti del suo
essere, con
una brezza che sapeva di amore. Amore intenso, amore scoppiato
all'improvviso. E di cui si scoprì essere dipendente.
"Oh
Michi guardami... guardami" le disse con un tono acceso.
Le
alzò il nastro dagli occhi quando la sentì
irrigidirsi sotto di lui
per poi rilassarsi improvvisamente. Negli occhi di lei l'esplosione
di emozioni travolgenti che lui sapeva di avergli donato.
***
Ci
mise qualche instante per riprendersi dal maremoto che si era
scatenato dentro di lei. Il respiro ancora un po' alterato da
ciò
che lui le aveva fatto provare. Qualcosa di angelico e devastante.
Dolce e forte allo stesso tempo. Si alzò leggermente per
baciarlo
dolcemente, perché già la mancanza di quelle
labbra era
insopportabile. Solo in quel momento però notò
che lui era rimasto
vestito, nel mentre il suo corpo non aveva registrato di non essere
contro la sua pelle.
"
Come mai vestito? Non capisco..." esclamò all'improvviso,
non
capiva veramente quella scelta assurda..
"
Non c'è nulla da capire, questa sera volevo donarmi
totalmente a te,
volevo farti sentire come mai prima d'ora. Per me è quasi
più
importante di farlo io per primo" rispose lui, ma lei ebbe
l'impressione che in realtà il motivo fosse un altro anche
se ancora
non riusciva a capire cosa. "Come ti senti piccola..."le
chiese spostandosi di lato per cadere sul letto e non gravarle
addosso col suo peso.
"
Direi bene " gli rispose lei appoggiando la sua mano alla testa
per stare più comoda sul fianco e guardarlo negli occhi.
Sembrava
preoccupato per qualcosa di cui ignorava la presenza. " Sei
sicuro che vada tutto bene? Mi sembri molto pensieroso"
provò a
incalzare " Ti sei pentito di quello che abbiamo fatto?"
mormorò cercando di ignorare il motivo per cui a quelle
parole i
suoi occhi avevano iniziato a pizzicarle notevolmente.
"
Ma sei scema? Non pensare nemmeno una cosa del genere" rispose
lui traendola a se "E' solo che sono in pensiero per una cosa"
"Cioè?"
quella risposta l'aveva in un certo senso rincuorata, perché
per lei
tutto ciò che le aveva fatto era qualcosa di meraviglioso.
Lo
vide spiazzato da quella domanda, quasi come se fosse sulle difensive
per una ragione a lei ignota.
"Ripeto
non è importante" si sentì rispondere nuovamente.
"Come
vuoi, ma sappi che io per qualsiasi cosa ci sono non farti problemi a
parlare" disse la violinista. Ed era convintissima di quanto
aveva appena pronunciato, anche se fossero problemi economici non si
sarebbe tirata indietro per lui. Non dopo ciò che aveva
sancito tra
loro quella notte. Non ora che l'aveva fatta completamente sua.
"Michi...
ma ero il primo con cui hai fatto l'amore?" chiese lui a
bruciapelo. Sentì le guance arrossire. Era stato
così palese ai
suoi occhi? Che non aveva mai avuto rapporti fino a quel punto?
"Si...
perché?" rispose imbarazzata.
"Come
mai hai scelto me? Mi conosci solamente da pochi giorni e mi sembra
strano..." mormorò lui.
"Non
lo so, mi sembrava giusto che andasse così...ed è
stato bellissimo"
esclamò lei baciandolo "Non so cosa diventeremo, ma non mi
pento della scelta che ho fatto." aggiunse.
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Capitolo 13 *** Ti presento il mio fidanzato ***
Note
dell'autrice: Buona sera
a tutti, ecco il capitolo sedici, leggetelo lentamente e con
calma perché fino a dopo il 6 Luglio molto probabile che io
non riesca ad aggiornare per un esame universitario. Ancora non ho modificato il
raiting della storia, perché volevo prima sapere ( in
privato) quanti minorenni ci sono a seguirla attualmente,
perché se fossero tanti preferisco togliere una parte dal
capitolo precedente e pubblicarla come One- Shot con il raiting
appropriato per non togliere la possibilità a chi ha
iniziato a seguirla di non sapere come va a finire. Ringrazio tutti quelli che hanno perso un pò di tempo a recensire il capitolo precedente. Vi auguro
buona lettura, e per chi ha gli esami di Maturità un
grandissimo in bocca al lupo!
Capitolo
13: Ti presento il mio fidanzato.
Si
svegliò che erano quasi le quattordici, era rientrata a casa
che
erano le sei del mattino. E non si era riuscita ad addormentare
subito, un pò per i pensieri rivolti alla splendida serata e
un pò
per attendere il messaggio del biondo.
Non
era proprio abituata a quei ritmi di vita: quando aveva un concerto
andava a dormire tardi, ma mai superava le tre di notte.
Aveva
detto alla cameriera che non si sentiva tanto bene, in modo da poter
rimanere a letto anche per il pranzo, costituito da degli onigiri
fatti in casa e dell'ottima tartare di tonno.
Il
suo pensiero in quel momento era rivolto all'imminente arrivo di
Seiya, dopo gli avvenimenti di quegli ultimi due giorni non sapeva
bene come comportarsi , e in più l'essere da sola in casa
con lui le
arreccava non poche preoccupazioni su come tenerlo a bada. Era sicura
che quello che aveva provato per lui era solamente un bisogno di
protezione di un amico, non altro. Era stata anche ingenua a
scambiare le corde che vibravano dentro di lei con quelle suonate
dall'amore che era esploso improvvisamente nella sua vita.
Una
cosa era certa: non gli avrebbe parlato di Haruka, non si fidava di
lui. Lo percepiva troppo vicino ai suoi genitori, ed era consapevole
che nel momento in cui gli avrebbe rivelato la sua presenza, loro le
avrebbero creato un sacco di problemi.
La
cosa più difficile sarebbe sicuramente stata uscire alla
sera, per
poi svegliarsi alle dieci del mattino come se niente fosse, facendo
finta anche di essere riposata. Non era sicura di essere in grado di
sostenere quel ritmo al lungo, anche se sapeva di doverlo fare:
durante il giorno le sarebbe diventato impossibile passare del tempo
col biondo.
Doveva
farlo per lui e per tutto ciò che egli rappresentava: la
libertà
che spesso aveva sognato senza mai viverla fino in fondo e di cui
era assetata. I due giorni precedenti sembravano aver pareggiato il
conto. Era come se lui le avesse dato l'acqua di cui aveva
disperatamente avuto bisogno fino a quel momento, ma sentiva che non
bastava, aveva la sensazione che per stare finalmente bene avrebbe
dovuto avere la presenza del ragazzo costantemente al suo fianco.
Per
lei quello era essere libera.
E
anche il suo mare era d'accordo, in fin dei conti lui si faceva
accarezzare dal vento ogni giorno, dall'alba al tramonto. Come
avrebbe potuto farle capire che non era la cosa giusta?
Sospirò
lievemente. I suoi pensieri furono interrotti da un telefono che
suonava, sul display il numero di sua madre.
Chissà
che vuole, non ho voglia di sentirla.
"Pronto
mamma" rispose poco dopo finendo di masticare una delle ultime
forchettate di tonno. Cercando di fare il minor rumore possibile: ai
suoi non piaceva che mangiasse a quell'ora, e sicuramente sua madre
le avrebbe fatto la scenata. Incolpando volentieri quella della
servitù: situazione che lei voleva evitare.
"
Ciao Michiru, tutto bene?" le disse la donna.
Strano
si sono ricordati di avere una figlia, chissà come mai.
"Si
tutto benissimo, i concerti come stanno andando?" chiese lei di
rimando, era quasi certa che quella telefonata nascondeva un bisogno
primario. In caso contrario non l'avrebbero mai chiamata. In fin dei
conti non lo avevano mai fatto, se non per avvisarla che le avevano
fissato un altro concerto, ovviamente
senza dirle nulla.
"
O bene tesoro, per ora il teatro è tutto esaurito, anche per
i
concerti di stasera e domani sera" la sentì dire al telefono
"
Ti ho chiamata per dirti che Seiya ha preso l'aereo qualche ora fa
dovrebbe essere ormai quasi a casa, mi raccomando comportati bene con
il nostro ospite"
"Sono
contenta che stia andando tutto bene, non mancherò
mamma...dovevi
dirmi altro?" indagò la pittrice.
"
No tesoro, solo questo fai attenzione a non farlo rimanere male,
è
così un bravo ragazzo"
Ma
quando impareranno a farsi gli affari loro? Non solo mi mettono in
casa un estraneo e mi dicono pure come trattarlo.
"Mamma
stai tranquilla andrà tutto bene" rispose lei " Ci vediamo
dopo domani allora, buon concerto" chiuse la chiamata così,
senza dare il tempo alla donna di replicare, in caso contrario
sarebbe nata una discussione senza fine.
Haruka
non si era ancora fatto sentire. Probabilmente
starà ancora dormendo, poco male, ne approfitto per farmi
una doccia
prima che inizio a digerire il pranzo.
Fu
il suo pensiero mentre si alzava dal letto, addosso aveva ancora
l'odore dell'acqua di colonia di lui, un profumo del quale sapeva
già
di non poter fare a meno.
L'acqua
tiepida che le scorreva sul corpo era un toccasana per le sue membra
stanche e abituate ad altri ritmi. Ma si sentiva comunque coccolata
da quel elemento così vicino all'oceano vasto e profondo.
Dopotutto
anche l'acqua in determinati momenti della sua esistenza era parte
del mare, la differenza non era troppa.
Decise
di lavarsi anche i capelli, lo shampoo era naturale e al miele.
Donava ai suoi capelli mossi un buonissimo profumo, rendendo definite
le onde che le scendevano quasi a metà schiena. Se li
massaggiò
velocemente per non perdere troppo tempo con loro.
Devo
escogitare un modo per riuscire comunque ad uscire alla sera,
nonostante ci sia Seiya senza farmi scoprire da lui.
Quel
pensiero era oramai fisso, chiudere la vetrata era possibile,
poichè
la finestra aveva un fermo e una sua piccola chiave. E quindi da li
non sarebbe potuto entrare nella sua stanza alla notte per
verificarne la presenza, ma la porta che dava sul corridoio non
avrebbe potuto chiuderla con tanta facilità: la cameriera al
mattino
si sarebbe accorta di quel cambio di abitudini facendolo
insospettire.
Era
preoccupata anche per l'atteggiamento che lui avrebbe tenuto nei suoi
confronti, le sembrava uno di quei ragazzi che non mollano la presa
facilmente. Sarebbe stato molto difficile per lei tenerlo a bada, ma
era costretta a farlo.
***
Un
fastidioso ronzio arrivò alle sue orecchie, costringendolo
ad aprire
gli occhi nella penombra della stanza creata dai raggi del sole che
filtravano le tapparelle. L'attenzione fu catturata dal suo cellulare
che a causa della vibrazione macinava centimetri sul comodino.
Ma
che cazzo, la gente proprio non pensa che gli altri potrebbero voler
dormire.
Pensò
irritato, a giudicare dal mal di testa e dal malessere generale che
sentiva sul corpo aveva dormito per massimo quattro o cinque ore.
Allungò il braccio per arrivare al telefono con qualche
fatica.
Sullo schermo compariva il nome di sua madre.
Ma
non poteva chiamarmi più tardi? Che rottura di palle.
"Pronto"
disse con la voce impastata di sonno, sperando che la chiamata fosse
breve.
"
Ciao stavi per caso dormendo?" gli chiese la donna,
ingenuamente.
"Mah,
guarda che strano..direi proprio di si... sono solo le dieci del
mattino" rispose lui stizzito.
"
Non sarebbe strano se tu andassi a dormire ad un orario umano..deduco
che stanotte sei stato fuori a fare il matto come tuo solito" lo
riprese lei.
No,
non aveva capito proprio niente se lo aveva capito a quell'ora per
fargli una ramanzina senza ne capo ne coda.
"No
mamma ieri sera sono stato a casa tranquillamente in ottima
compagnia, ma non ritengo opportuno questo tuo modo di fare visto che
sono andato via di casa. Se dovevi chiamarmi per farmi la paternale
potevi anche risparmiare tempo e denaro." le rispose forse
più
duramente di quanto avrebbe voluto, ma i toni tranquilli e bonari con
sua madre non avevano effetto. E per quanto gli dispiacesse trattarla
in quel modo, non aveva alternative per tutelare la sua privacy.
"No
in realtà ti chiedevo se potevi venire a pranzo da noi oggi,
Usagi
vuole farti conoscere una persona, ti avrebbe chiamata lei ieri ma si
è dimenticata perché troppo presa dalla scuola"
si sentì
rispondere in un tentativo abile della donna che lo aveva messo al
mondo di non litigare.
"
E chi sarebbe questa persona? Tu la conosci?" mormorò lui
sulle
difensive, se era una sua amichetta la risposta era già no.
Aveva
già abbastanza scocciatrici di cui non gli interessava molto
per
andarsene a cercare altre.
"Si
io questa persona la conosco già da qualche giorno, ma tua
sorella
ci teneva a fartela conoscere" la curiosità di lui fu
stuzzicata incredibilmente bene dalla donna che lo aveva messo al
mondo.
"Bene,
se è importante la mia presenza tenterò di
esserci anche se ho
molto sonno e preferirei dormire fino a dopo pranzo. Ma se Usagi
vuole questo va bene" si rassegnò lui.
Addio
beato dormire. Addio sogni beati.
Che poi tanto beati non erano visto che, erano sempre popolati da due
grandi occhi blu, circondati da dei capelli verde acqua.
Chissà
quando avrebbe potuto presentarla a loro due. Il pensiero
andò
subito a Usagi, sarebbe impazzita nel sapere che il suo idolo era la
sua fidanzata.
"
Ci vediamo per le tredici qui a casa" mormorò la donna prima
di
chiudere la comunicazione.
Trovò
vari messaggi di Setsuna, di quella mattina. Mentre della violinista
ancora non c'era traccia.
Decise
di rimettersi a dormire ancora per qualche oretta. Anche se poi
avrebbe dovuto correre per arrivare puntuale a pranzo, i suoi occhi
però non avrebbero accettato di fare nient'altro di diverso.
Buongiorno
piccola, torno a dormire. Dopo a pranzo da mia mamma, se non mi senti
quando ti svegli più tardi è per quello :*
Si
sforzò di scrivere su Whatsapp, si sforzò anche
di leggere i
messaggi che aveva ricevuto da Setsuna. Sapendo che a quel punto
avrebbe dovuto pure risponderle per evitare che lei lo sommergesse di
altri messaggi mentre stava dormendo.
Certo
che la principessina ti ha proprio fottuto il cervello per non farti
rispondere a così tanti messaggi, e sopratutto per levarti
dalla
circolazione per così tante sere di seguito, beh come
è andata?
Sapeva
che la sua amica aveva ragione, succedeva davvero di rado che
qualcuna lo prendesse a tal punto da fargli dimenticare di prendere
contatti con il mondo esterno come aveva fatto in quelle ultime ore.
Di solito qualcosa scriveva sempre, ma quella volta era diverso,
sentiva che l'unica che voleva sentire era solamente l'artista. Di
tutto il resto del mondo, famiglia compresa, improvvisamente gli
importava meno.
Sets
cazzo, stavo dormendo per quello che non rispondevo. È
andato tutto
bene, presto credo che riuscirò anche a presentarvela. Torno
a
dormire qualche oretta, che sono poi a pranzo da mia madre con Usagi.
Digitò
stizzito. Peggio
di mia madre quando ci si mette. Fu
il suo pensiero. Le persone che pressavano così tanto gli
altri non
gli andavano tanto a genio, lui era uno spirito libero, le
costrizioni e i vari soffocamenti da parte di chi gli girava intorno
li tollerava poco. Bastava un niente per farlo innervosire. E questo
brutto lato del suo carattere si ripercuoteva sul suo comportamento
quando era nei box prima di qualche gara automobilistica. Momento in
cui voleva solamente starsene solo, alla ricerca di quell'empatia con
il vento, quell'alchimia che lo tranquilizzava più di
qualunque
altra cosa.
Sospirò
nel tentativo di rimanere tranquillo mentre toglieva la connessione
dal cellulare, per poi appoggiarlo sul comodino e voltarsi
dall'altra parte avvolgendosi nelle coperte.
***
Sentì
bussare lievemente alla porta nel momento in cui si tirò su
il
secondo ciuffo da fissare dietro al capo con una molletta insieme a
quello preso con la mano destra poco prima.
"Arrivo
un attimo" esclamò a voce un po' alta per essere sicura di
essere udita al di la del muro; dopo di che fece una lieve pressione
sui capelli per permettere al fermaglio di bloccarli. Lo sguardo le
cadde sugli orecchini che portava alle orecchie, due roselline rosse
a bottoncino. Mise qualche goccia di correttore a nascondere le
occhiaie, non erano molto presenti ma sicuramente sia la
servitù che
Seiya le avrebbero notate, tempestandola di domande in un solo
momento.
"Signorina
mi scusi se la disturbo ma è arrivato Seiya" la voce della
cameriera si alzò al di la del muro.
E'
già qua? Speravo potesse passare ancora qualche ora prima di
rivederlo.
Fu il suo pensiero, ancora si sentiva poco pronta a quella nuova
esperienza. Sapeva già che il rapporto con lui era cambiato,
almeno
dalla sua parte, e aveva paura di ferirlo. Il bruno comunque non se
lo meritava, e in quella situazione quella che giocava coi sentimenti
era lei: da vittima a carnefice.
La
realtà era che in qualsiasi modo si fosse comportata con lui
lo
avrebbe solo ferito. Da quando aveva conosciuto il biondo le sue
priorità erano cambiate, e le imposizioni dei suoi genitori
iniziavano ad andarle veramente strette. Più di quanto non
le
andassero già.
Percorse
il corridoio che la separava dalla sala il più lentamente
possibile:
non aveva nessuna fretta. Arrivata a pochi passi dalla porta alla
fine del lungo corridoio scorse immediatamente la figura del ragazzo
in piedi, era volto verso la finestra e osservava con sguardo assorto
il giardino davanti a se.
"Ciao
Seiya" mormorò mentre entrava nella stanza, cercando di non
essere troppo distaccata ma mantenendo tuttavia un certo contegno.
***
Si
volse improvvisamente verso la sorgente di quella voce che,
nonostante i pochi giorni di assenza, gli era mancata. Era difficile
ammetterlo ma il silenzio della ragazza che aveva mantenuto davanti
ai suoi messaggi di Whatsapp gli aveva fatto temere veramente il
peggio. E sperava con tutto il suo cuore che i timori non si
avverassero. Quel filo sottilissimo che sentiva legarlo a lei avrebbe
dovuto crescere molto di più per poi essere spezzato con il
giusto
rumore.
Non
devo pensarci ora, devo pensare a lei. Altrimenti il filo da spezzare
non ci sarà in partenza. Fu
il suo pensiero.
"Ehi
ciao bimba" le rispose dolcemente, abbassandosi per darle un
bacio sulla guancia, l'irrigidimento di lei al contatto della pelle
con le sue labbra non gli sfuggì inosservato. "Qualcosa non
va?" chiese immediatamente.
"No
Seiya tutto a posto, sono stata benissimo in questi giorni senza
persone intorno. Persone di nessun
genere" gli rispose lei, calcando la penultima parola di
proposito.
Mi
sta facendo capire che non sono gradito, dev'essere successo qualcosa
mentre io ero assente. Vorrei tanto capire che cosa.
"Michiru
ma sei ancora arrabbiata perché sono tornato a casa con i
tuoi
genitori approffitando della situazione?" era sicuro che sotto
sotto era quella la causa dell'allontamento di lei. Si era offesa
molto quando lo aveva saputo, e il piccolo litigio che avevano avuto,
in cui era emersa un pò della gelosia di lei era un ricordo
ancora
nitido. Dopo tutto lo avevano avuto solamente pochi giorni prima.
"Ma
assolutamente no figurati, non vedo perché dovrei ancora
essere
arrabbiata per una sciocchezza simile" sorrise lievemente. Lui
ebbe la sensazione che lei lo stesse rassicurando. Ma non riusciva a
stare tranquillo, sapeva che non gliela stava raccontando giusta. Il
suo cambio era stato troppo repentino.
"Come
mai non hai risposto quasi mai a ciò che ti scrivevo?"
chiese
allora qualche istante dopo.
"
Semplicemente perché avevo di meglio da fare, non penso sia
un
problema. Siamo solo amici dopo tutto"
Solo
amici. Lo
aveva declassato dunque a solamente "un amico". Un amico
come tutti gli altri. Sentì il nervoso ammontargli dentro,
la
ragazza era più furba di lui. Gli aveva fatto credere
chissà che
cosa per poi dirgli di no.
"Che
vuoi dire con solo amici scusa?" le rispose, cercando di tenere
a bada le emozioni. Quel dialogo rischiava di mandare a monte tutto,
doveva trovare il modo e la strada per farla ricredere. Per farle
pensare che lei era quello giusto.
"Non
penso che ci siamo tante interpretazioni a questa frase non credi?"
si sentì rispondere. E aveva maledettamente ragione la
ragazza.
"Hai
ragione, non ci sono molte interpretazioni però gli amici
non si
baciano di regola. O forse sono io che non sono aggiornato sulle
relazioni delle nuove generazioni" non riuscì a trattenere
un
moto di sarcasmo.
"E'
stato un errore, probabilmente una debolezza per entrambi, ma mentre
eri via ho capito che alla fine a te voglio bene come a un caro
amico". Piombò il silenzio, non sapeva proprio come
risponderle, il discorso che lei aveva fatto non faceva una piega: la
lontananza le aveva fatto capire che quello che le era parso di
provare, anche se un sentimento minimo, non era ciò che
entrambi
pensavano che fosse. O meglio non era quello che lui sperava che lei
sentisse nei suoi confronti.
Rischia
di mandare a monte tutto questo imprevisto. Devo inventarmi
qualcos'altro per riuscire a mettere in moto il piano. Altrimenti i
miei genitori saranno molto delusi da me. E' la prima ragazza che non
cade ai miei piedi con qualche moina, probabilmente ne riceve
talmente tante che per lei non sono un qualcosa per cui batte forte
il cuore.
Ti
- Ti.
I
pensieri del moro furono interrotti dallo squillo del cellulare di
lei, suono che riconobbe come quello di Whatsapp. La osservò
attentamente mentre tirava fuori lo smartphone Notò come gli
occhi
cambiarono immediatamente espressione non appena lessero il mittente
del messaggio, da freddi e distaccati gli sembrarono improvvisamente
più luminosi e vivi. Era molto simili a quelli che lei aveva
qualche
giorno prima nei suoi confronti.
Deve
aver conosciuto qualcun altro durante la mia assenza. Non ci sono
spiegazioni, e molto probabilmente questo qualcun altro è
più bravo
di me a farla cadere ai miei piedi.
"Chi
ti ha scritto?" provò a indagare, non che fosse convinto del
fatto che lei gli dicesse la verità a proposito.
"Una
mia compagna di scuola, mi ha chiesto se posso passarle delle cose
che le servono per i compiti che ci sono stati assegnati dai docenti"
rispose lei, mordendosi il labbro subito dopo.
Non
me la stai raccontando giusta, il mordersi il labbro è un
segno di
disagio. Fu
il pensiero del bruno. Prima
o poi riuscirò a capire cosa mi nascondi questo è
poco ma sicuro
Kaioh. Ti terrò d'occhio.
***
Erano
le tredici in punto quando suonò al citofono del palazzo in
cui
aveva vissuto fino a quasi una settimana prima. Nonostante il sonno
era contento di poter passare una giornata in compagnia della sua
famiglia, o almeno di quanto ne rimaneva.
Prima
di recarsi verso il palazzo si era fermato nella pasticceria
preferita di Usagi, quella in cui erano andati a far merenda dopo che
aveva acquistato i biglietti del concerto.
Michiru...quanto
vorrei che tu potessi essere qui in questo momento.
Al
solo pensiero che lei potesse essere in compagnia di quel pallone
gonfiato che aveva visto uscire dalla villa mentre le faceva la posta
lo mandava in bestia.
Quel
tipo anche se non lo aveva visto da vicino e nemmeno gli aveva
stretto la mano gli ispirava tutto fuorché fiducia.
Non
ci devo pensare, altrimenti mi rovino la giornata e rovino anche il
pranzo a mamma e Usagi. Si
disse, più per autoconvizione piuttosto che altri motivi.
Arrivato
in ascensore sollevò leggermente i rayban dagli occhi per
controllare che i capelli fossero a posto, una veloce passata di mano
li mise nella posizione migliore.
Tirò
leggermente il colletto della maglietta per far si che stesse un
pò
su senza afflosciarsi inutilmente sulle sue spalle.
Il
suono dell'ascensore che era arrivato al piano arrivò alle
sue
orecchie nel momento esatto in cui aveva finito di mettersi a posto.
Entrò nel pianerottolo deserto, illuminato dalla luce, e si
diresse
verso la porta di casa sua. Una volta che l'ebbe raggiunta
suonò il
campanello, dall'interno arrivò la voce di sua madre ma non
riuscì
a capire la natura del suo interlocutore.
"E'
arrivato, è arrivato" era sua sorella, e aveva una voce
euforica ed emozionata. Pochi secondi dopo vide la porta aprirsi e
gli odango bianco invadergli il campo visivo.
"Usagi,
mi stritoli se fai così" si limitò a dire,
ricambiando
l'abbraccio di lei. Nonostante fosse una stratosferica rompi scatole
quando era a casa, non averla più tra i piedi gli era
mancato molto.
"Scusa
Haru, e che mi sei mancato un sacco questi giorni" mormorò
lei,
guardandolo con quei due pezzi di cielo che aveva incastonati nel
viso. Molto diversi dagli occhi blu come gli oceani della sua
violinista.
"Mi
sei mancata anche tu" rispose lui "dai entriamo in casa
così posso salutare anche la mamma" avanzò.
"Devo
presentarti una persona però prima, scusami se non ti ho
parlato
prima di questa persona...è solo che mi vergognavo da
morire"
la sentì mormorare, mentre le gote le arrossivano
copiosamente.
Si
sentì afferrare improvvisamente dalla mano della ragazzina
che lo
tirò lungo il corridoio fino ad arrivare alla sala. Seduta
sul
divano di fronte all'ingresso c'era la donna che aveva dato al mondo
entrambi tanti anni prima, i suoi occhi però si fermarono
lungo la
figura maschile che era seduta dandogli le spalle e che non gli
sembrava affatto di conoscere.
"Ah
ecco che è arrivato il mio primo genito" mormorò
la donna al
loro ospite, lo sconosciuto si alzò immediatamente in piedi
voltandosi verso di lui.
Rivelando
un ragazzo sui diciannove anni dai capelli corti e bruni e dagli
occhi blu scuro abbastanza alto. Vestito con un paio di jeans e una
camicia bianca sopra la quale c'era un maglioncino a mezze maniche.
"Haru,
lui è Mamoru... è il mio ragazzo" la voce della
sorella
raggiunse squillante le sue orecchie. Di tutta la frase la sua mente
registrò solo mio
ragazzo .
Cosa voleva dire? La sua Usagi si era fidanzata? E da quando? No
no no! Non poteva essere, la sua sorellina era troppo piccola ancora
per pensare a quelle cose. O
forse no? Forse doveva solo accettare la realtà che Usa
stava
crescendo.
"Piacere
Haruka, sono veramente lieto di fare la tua conoscenza, Usagi mi ha
parlato davvero molto di te, ti vuole davvero tanto bene" disse
il bruno.
"Piacere
mio, scusami ma non sapevo che mia sorella fosse fidanzata...per me
è
un pò una doccia gelata questa" rispose lui, senza
preoccuparsi
di fare brutta figura.
"Nessun
problema Haruka, Usagi mi aveva detto che ancora non ne sapevi nulla
perché si vergognava a dirtelo" sorrise.
Beh
perlomeno non è un pallone gonfiato, e sembra una persona
semplice.
"Beh
ragazzi, direi di approfondire la conoscenza davanti ai piatti
pieni" intervenne sua madre, nel tentativo di rendere il più
informale possibile l'incontro dei due.
I
quattro si spostarono subito in cucina, dove la tavola era
già
preparata con una tovaglia blu, i piatti bianchi e dei semplici
bicchieri in vetro dal bordo superiore del medesimo colore della
stoffa.
Come
immaginava la donna , nonostante il lavoro, aveva dato tutta se
stessa nel preparare le diverse portate. Tutto questo per la
felicità
della figlia ma anche per fare bella figura.
"Nella
vita studi o lavori?" chiese dunque al loro ospite, era curioso
di sapere che tipo prediligeva sua sorella.
"Studio,
sono al primo anno di Università, e studio qui in
città"
rispose lui.
Primo
anno di università.... cosa? Vuol dire che ha diciannove
anni, la
mia Usako ne ha solo quattordici. No! No! No! E' troppo grande.
Cercò
di non far trapelare il suo sconcerto nell'apprendere
quell'informazione.
Hanno
interessi diversi, lei è una bambina...lui è un
uomo.
Non
sapeva come comportarsi, certo l'importante e che lui la facesse
stare bene, ma pensarla con un ragazzo così tanto
più grande lo
turbava e non poco.
"E
così studi?" chiese la madre, distogliendolo dai suoi
pensieri
apprensivi.
"Studio
Giurisprudenza, i miei genitori hanno uno studio e per me legge
è
una vera passione, il pensiero che un giorno potrò aiutare a
far
prevalere la giustizia aiutando le persone ingiustamente incolpate o
a metterne in galera altre mi rende orgoglioso e determinato verso il
percorso scelto" rispose lui, con passione.
"
E' un percorso molto impegnativo quello che hai scelto complimenti"
rispose la donna, lieta del fatto che sua figlia fosse in buone mani.
"Tu
Haruka invece che fai?" chiese il moro curioso, mentre iniziava a
mangiare il primo. Un bel piatto di pasta al forno.
"
Corro con la macchina, partecipo alle gare giovanili sul circuito di
corse giapponese, e sono quattro stagioni che chiudo al primo posto"
rispose con una punta di orgoglio.
Meglio
che non gli dica che partecipo anche alle corse clandestine, sempre
che Usagi non glielo abbia già detto. Visti
i suoi genitori, era meglio non rischiare un arresto.
***
La
melodia che raggiungeva le sue orecchie era molto più vivace
e
allegra di quelle che aveva sentito fino a pochi giorni prima in
quella casa, durante le lezioni di musica a cui aveva assistito. Se
non di persona almeno con le sue orecchie mentre studiava per i suoi
esami di Settembre.
Le
note prodotte in quel momento invece, gli comunicavano un senso di
leggerezza e libertà. La ragazza però non si
sentiva libera, per
niente. Glielo aveva fatto intuire più di una volta durante
quei
pochi giorni di conoscenza, si sentiva stretta tra quelle mura. In
quel giardino pieno di fiori e cespugli. Quello a cui lei anelava era
la libertà, e quella musica che improvvisamente le sentiva
suonare,
gli faceva venire in mente proprio quello.
Era
successo qualcosa durante quei due giorni, ne era sicuro più
che mai
in quel momento sentendo il cambiamento di melodia repentino con cui
esprimeva il suo stato d'animo.
Chiuse
il libro che stava cercando di studiare, senza ottenere molti
risultati a causa dei diversi pensieri che affolavano la sua mente.
Decise
di sdraiarsi un po sul letto per cercare di rilassarsi a tal
proposito afferrò il suo ipod dalla scrivania della piccola
camera
che i Kaioh avevano messo a sua completa disposizione.
A
coprire la dolcezza del violino si intromise il suono vibrante e
acuto di una chitarra elettrica, era uno dei brani che lui e i suoi
fratelli avevano inciso a livello amatoriale senza mettere nemmeno in
conto la possibilità di esordire a livelli alti. Non avevano
nemmeno
mai provato a mandare il disco inciso a livello non professionale a
qualche casa discografica.
Devo
parlarne con gli altri, si può sempre provare magari
riusciamo a
farci un nome e a portare una buona fonte di guadagno in casa.
Pensò
il bruno. Non aveva avuto una brutta idea, doveva solo convincere
Yaten e Taiki a sconfiggere la timidezza, o meglio la timidezza, che
avevano quando si parlava delle loro creazioni canore e musicali.
Alcune
volte facevano persino storie per far sentire il loro disco agli
amici dei loro genitori che curiosi chiedevano di averne un assaggio.
Non
li capirò mai, abbiamo una possibilità di
diventare qualcuno e non
la sfruttiamo. Poi c’è chi non ha ne doti ne la
possibilità che
si sbatte per trovare la propria strada. E non sempre la trova in
modi limpidi e corretti.
Sospirò
rumorosamente. Si sentiva improvvisamente molto spossato,
probabilmente per il viaggio che aveva fatto. Sebbene non lungo, era
comunque un cambio di ambienti. E in quel momento non si trovava
affatto nel suo.
In
cuor suo sperava che presto si presentasse la possibilità
che tanto
sperava, per poter fare del male psicologico alla ragazza a pochi
muri da lui.
Ed
era sicuro che quel momento non era nemmeno molto lontano.
Avevano
pranzato insieme, un pranzo veloce e soprattutto silenzioso. Che gli
aveva donato l’impressione che lei volesse stare in sua
compagnia
il minor tempo possibile. E i suoi pensieri furono confermati dal
fatto che, appena finito l contorno, la ragazza si era diretta
direttamente in camera sua senza nemmeno degnarlo di uno sguardo.
Era
abituato ad avere le donne ai suoi piedi, che lo imploravano
solamente per avere uno sguardo. La Kaioh invece aveva messo lui a
fare lo zerbino senza farsi troppi problemi.
***
Il
ronzio prodotto dalla vibrazione del telefono appoggiato sul comodino
la fece bloccare all’istante, distogliendola dalla melodia
che
stava suonando. Era fuori discussione il fatto che quei pezzi fossero
ancora custoditi tra quelle quattro mura: al prossimo concerto doveva
trovare il coraggio di proporre i suoi brani. Sarebbe andata come
doveva, e se non fossero piaciuti al pubblico se ne sarebbe fatta una
ragione.
A
chi la vuoi dare a bere sciocca, se non dovessero piacere, i tuoi ti
faranno un lavaggio di testa di ore. E te ne fregherà tanto,
forse
troppo.
Fu
il pensiero che si dipinse nella sua mente.
Per
lo meno però suonava qualcosa di totalmente suo, in cui i
suoi
genitori non avevano messo mano. Sarebbe stata libera di esprimere al
meglio se stessa sul prossimo palco. I brani che portava ormai da
tempo a teatro, erano stati messi a posto dai suoi genitori,
perché
ancora era molto insicura in composizione all’epoca. Ormai
quell’insicurezza era svanita, almeno nel comporre. Per
quanto
riguarda il suonarli in pubblico ancora no.
Raggiunse
con questi pensieri in testa il comodino, e si sedette sul suo letto
poco distante. Nonostante la stanchezza dovuta al ciclo del sonno
alternato, non vedeva l’ora di sentirlo.
Ciao
Michi,
Sono
ancora da mia mamma e da mia sorella, indovina… Usagi ha
portato a
casa il suo ragazzo. Gelosia a mille. Te che fai? Stasera ci sei?
Sentirlo
così geloso nei confronti del ragazzo di sua sorella la fece
sorridere.
Ehi
:3
Stavo
suonando i brani nuovi, sai quelli che dovrei presentare ai concerti
ma non mi decido davvero mai…Non pensavo che tu fossi
così geloso
nei confronti del fidanzato di tua sorella. Stasera non so se riesco
a esserci, ora che c’è Seiya uscire di nascosto
è molto più
complicato. Devo escogitare un modo però, stare tanto senza
vederti
non se ne parla :*
Scrisse
veloce, inviò ancor prima di non veder più online
il biondo. Da
come i suoi occhi verdi avevano brillato la sera prima, quando lei
aveva notato la foto della ragazzina e gli aveva chiesto di lei,
doveva essere molto legato alla sorella. E quella gelosia nei
confronti del fidanzato confermava le sue ipotesi. Lasciandola
piacevolmente sorpresa.
E
così sei un gelosone Haruka, non lo avrei mai detto.
Cerca
di trovare il modo piccola, che stasera ti presento le mie amiche.
Non puoi non esserci. Ho voglia di vederti. Bacio :*
Farò
il possibile, più tardi ti scrivo e ti dico se riesco ad
evadere.
Bacino e non fare troppo il gelosone nei confronti di questo ragazzo.
Per
risposta, quasi nell’immediato, ottenne una faccina che
sbuffava.
Lo immaginò dall’altra parte del telefono con
l’adorabile
broncio che sicuramente aveva messo su.
“ A
chi scrivi?”
Una
voce maschile e famigliare piombò nella sua stanza,
facendola
sobbalzare con il cuore in gola. Era talmente presa dal messaggiare
con il motociclista di non essersi minimanente accorta della presenza
di Seiya.
Ma
da quanto è qua? Ora che gli dico, devo inventarmi una scusa
credibile, e non so se quella della mia compagna di classe che chiede
per i compiti lo è abbastanza. Oddio. Che gli rispondo.
“Non
credo siano affari tuoi il sapere con chi mi scrivo Seiya”
rispose
secca, cercando di tenere a bada l’agitazione dovuta alla
paura che
lui capisse che probabilmente non gli stava raccontando la
verità,
ma tutto il contrario.
“Beh
direi che un po’ affari miei lo siano, sono tornato e non mi
stai
degnando nemmeno di uno sguardo. Come se io non esistessi e tutto
ciò
improvvisamente e senza motivo. Qualche dubbio forse mi viene che
dici” le rispose lui, fissandola negli occhi. Insinuando in
lei la
paura che potesse leggerle negli occhi tutta la verità che
non
voleva dirgli. Non si fidava di lui, era troppo sotto ai suoi
genitori. Era inutile.
“Non
penso che io debba dar conto a te di ciò che faccio e
soprattutto di
come decido di comportarmi nei confronti delle altre persone. E non
sempre deve per forza esserci un motivo sai..a volte lo faccio senza
un perché semplicemente perché mi va”
rispose gelida.
***
Gli
occhi blu che aveva davanti virarono in un colore tempestoso,
sembravano contenere un mare in burrasca che non accennava a
calmarsi.
Una
risposta così lo aveva spiazzato, il tono soprattutto. Lo
aveva
sorpreso di nuovo, fosse stata un’altra sentendosi dalla
parte del
torto avrebbe sicuramente iniziato a urlargli contro. Perché
unica
difesa era l’attacco verbale.
La
primogenita dei Kaioh invece era diventata improvvisamente fredda e
forse anche più calcolatrice di quanto lui pensava.
“ Da
una ragazzina viziata quale sei non ci si può aspettare che
questo.
Il giocare
con
i sentimenti altrui, così giusto perché ti
va” esclamò lui senza
mascherare il risentimento che provava verso la ragazza. Sebbene non
fosse totalmente sincero con lei, sentirla dire quel genere di cose
lo aveva fatto innervosire e non poco.
Devo
riuscire in qualche modo a prendere il suo cellulare quando
è
distratta per cercare di capire con chi si scrive, potrebbe tornarmi
davvero utile in futuro. Se le luccica lo sguardo una persona
insignificante non credo proprio che lo sia, al contrario di quanto
mi vuol fare credere.
“Preferirei
mille volte stare la fuori come una ragazza normale senza essere
immersa in tutte queste sfarzosità, senza non poter uscire
quando mi
pare e piace perché è una perdita di tempo oltre
che pericoloso
perché porto il cognome che porto. Non sai niente della vita
a cui
sono costretta e ti permetti pure di giudicare, sarai una persona
umile e sincera tu, che giudichi senza nemmeno conoscere a fondo chi
hai davanti…ora se non ti dispiace vorrei rimanere
sola.”
Continuarono
entrambi a sostenere lo sguardo dell’altro senza voler
cambiare la
loro meta, troppo pieni di orgoglio per ammettere una sconfitta. Una
debolezza, agli occhi dell’altro. Lui in particolare non
riusciva a
togliere gli occhi da quei due pozzi abbissali in cui si erano
trasformati quelli della violinista. Magnetici e gelidi, come a non
voler ammettere repliche. Ben distanti da quelli che aveva conosciuto
qualche giorno prima.
***
Non
avrebbe mai abbassato lo sguardo per prima, quando non si trattava
dei suoi genitori sapeva essere molto battagliera. Non si piegava
facilmente se davanti un estraneo. E in fin dei conti per lei Seiya
era quello: un estraneo che le avevano messo in casa i genitori con
chissà quale intento oscuro.
Ma
a lei questo non interessava, ciò che le importava veramente
era far
arrivare chiaro e tondo il messaggio al moro: doveva lasciarla in
pace. E meno la calcolava meglio era.
Improvvisamente
si sentì afferrare da dietro la nuca, attratta dalla mano di
lui
verso il viso dell’altro.
Fu
un instante, e sentì le labbra di lui sulle proprie. Un
gesto che
non si aspettava. Non era arrivata ad immaginare che lui si sarebbe
spinto a tanto, pur di cercare di calmarla. Pur di farle dire con chi
sentiva al telefono.
Sentì
le labbra di lui schiudersi per tentare un approccio più
approfondito nei suoi confronti.
Un
suono sordo, intenso e istantaneo arrivò alle orecchie di
entrambi,
nel momento esatto in cui la mano di solito aggraziata e tranquilla
della musicista si abbatté sulla guancia destra del ragazzo.
Dandole
la possibilità in quel modo di allontanarsi da lui.
“Ma
sei impazzita?” esclamò Seiya, toccando il punto
su cui si era
abbattuta il destro di lei.
“Sarei
impazzita io??? Te invece? Come ti sei permesso di
baciarmi??”
rispose alterata lei, cercando di mantenere un tono moderato per non
farsi sentire dalla servitù. Non voleva che intervenissero
loro. Non
erano affari loro, anche se lo avrebbero fatto senza farsi pregare
troppo.
“Qualche
giorno fa non ti sei fatta tutti questi problemi nel farlo, allora
quel giorno li ti andava bene, non sapevi cosa fare ed ero il tuo
giocattolo. Ora che avrai trovato qualche altro passatempo. Sempre
che non si tratti di qualcuno, io non servo più e devo
tornarmene al
mio posto come un cagnolino. Ti sbagli di grosso principessina. Devi
imparare ancora tanto” ribatté lui.
“Non
sei stato un giocattolo per me, ma questi giorni di lontananza mi
hanno fatto capire che al massimo la mia era un’infatuazione
passeggera, perché non ho sentito la tua mancanza. Mi spiace
essere
sincera ma è così” mormorò
lei, non voleva piangere. Ma sentirsi
additare come una di quelle persone che gioca con i sentimenti altrui
era troppo. Non voleva tuttavia dargliela vinta.
“O
forse te lo ha fatto capire qualcuno” mormorò lui
guardandola
negli occhi.
***
“Ma
tua mamma cucina sempre così tanto?” chiese Mamoru.
Erano
entrambi in sala, mentre Usagi aiutava sua madre a lavare i piatti
utilizzati durante il pranzo per poi conservarli nel mobile al loro
posto.
“Sempre
no, ma quando abbiamo ospiti si. Poi quando è al lavoro
cuciniamo o
io o Usagi dipende da chi torna a casa prima, di solito io”
gli
rispose il biondo. Non vedeva l’ora di poter andarsene da li,
e
soprattutto non vedeva l’ora di ricevere la conferma della
sua
dolce sirenetta per quella sera. Anche se sapeva che non sarebbe
stato facile, ma preferiva che lei stesse con lui, piuttosto di quel
pallone gonfiato di Seiya.
Era
geloso nei suoi confronti, anche se di fatto Michiru era stata chiara
che non sentiva nulla.
Ma
qualcosa ha provato, anche se negli ultimi giorni ha detto che le
cose sono cambiate.
Gli
disse una vocina nella sua testa, il fatto è che non
riusciva a
capire il motivo per cui potevano cambiare così velocemente
le cose.
Cretino,
sono cambiate per te le cose. Da quando ti conosce sono cambiate,
è
matematico.
Questa
volta a farsi sentire era il lato buono del suo essere, quello
più
ottimista e meno stronzo.
Quello
che non lo rendeva un tipo pericoloso e che gli consentiva di non
essere troppo impulsivo in determinate situazioni.
Testa
di cazzo pensa al soggetto che hai di fronte adesso.
“Ascolta,
che intenzioni hai con mia sorella?” chiese a bruciapelo,
senza
preoccuparsi di sembrare eccessivamente apprensivo verso di lei. A
quella domanda un espressione carica di stupore si dipinse sul volto
dell’altro, lasciandolo poi libero di tendersi in un sorriso
che
arrivava fino agli occhi.
“Haruka,
ti parlo da uomo a uomo. Io Usagi la amo, posso capire che sei
preoccupato un po’ per la differenza di età.
È comprensibile per
un fratello maggiore, e anche per sua madre. Non dico assolutamente
il contrario. Ma io tua sorella la amo, ho un livello di empatia con
lei eccezionale, mi sembra di conoscerla da secoli. Come se fossimo
da millenni destinati l’uno all’altra. Io ora non
posso
assicurarti che questa sarà la storia della vita per lei,
perché
non ho la sfera di cristallo e anche perché a quattordici
anni le
cose si evolvono e cambiano molto. Però posso darti la mia
parola
che mai la farei soffrire a causa di un mio comportamento scorretto
nei suoi confronti. Le litigate in una coppia credo che siano normali
ogni tanto, ma tolto questo non devi temere altro” rispose
lui.
Sembra
una persona seria, che non gioca con i sentimenti degli altri.
“L’importante
e che non giochi con lei, come di certo saprai ha già
sofferto tanto
nell’ultimo periodo e l’ultima cosa di cui ha
bisogno adesso è
di un ragazzo che la faccia soffrire nuovamente” gli disse
Haruka.
“Non
temere, non accadrà. Non potrei mai sopportare di farle del
male”
mormorò l’altro.
“Beh
di cosa parlano questi baldi giovani?” esclamò sua
madre
improvvisamente comparsa sulla porta.
“Cose
da uomini signora” fu pronto a rispondere Mamoru.
Rimase
sorpreso nel vedere come il bruno avesse capito che quella
conversazione doveva rimanere tra loro, senza spifferarla ai quattro
venti.
Il
ragazzo è anche molto intelligente allora.
“Si
mamma gli stavo parlando delle gare a cui partecipo, durante
l’inverno” rispose lui per rendere ancora
più coinvincente la
risposta.
“Mamoru
ti avrà fatto una testa enorme con i motori, perdonalo con
chi non
conosce il suo “lavoro” è sempre
così” mormorò lei
sorridendo.
“ Non
si preoccupi signora, a me i motori interessano particolarmente non
ho fatto fatica a seguire i discorsi di suo figlio”
“Mamo
hai voglia se andiamo a fare un giro?” era sua sorella a
parlare
adesso, aveva raggiunto il fidanzato.
“Certo
amore se vuoi andiamo a fare una passeggiata” rispose lui,
stringendola a se.
Vedere
quella scena provocò una stretta al cuore del biondo. Come
mai
accettare che sua sorella stava crescendo era così difficile
per
lui? Distolse gli occhi dalla coppia, come se gli fosse impossibile
poter osservare ulteriormente i due innamorati. Improvvisamente il
pulcino che aveva sempre tentato di proteggere stava compiendo i
primi voli fuori dal nido.
“Haru
ci sentiamo per telefono se non ci sei più quando
torno” esclamò
la ragazzina distogliendolo dai suoi pensieri.
“Certo,
lo sai puoi chiamarmi quando vuoi, appena posso ti rispondo”
le
disse dandole un leggero pizzicotto sulla guancia” rivolse lo
sguardo al ragazzo che aveva afferrato già la giacca leggera
dall’appendino vicino all’ingresso
“E’ stato un piacere
conoscerti Mamoru, alla prossima occasione”
“Anche
per me è stato un piacere conoscervi, grazie signora per il
pranzo
era tutto squisito” rispose lui, prima di aprire la porta di
casa
“Dai andiamo” disse alla biondina, che
varcò immediatamente
l’ingresso per fermarsi poi nel pianerottolo.
Pochi
secondi e la porta di casa si chiuse.
Il
pulcino ha lasciato il nido.
Pensò lui maliconicamente.
“Haruka
come sta andando nella nuova casa?” la voce di sua mamma, in
cui
potè cogliere una nota apprensiva lo strappò
nuovamente dai suoi
pensieri.
“Bene
ho quasi finito di mettere a posto tutte le mie cose, quando
sarà
tutto finito vi invito a mangiare da me a te e a Usagi”
rispose
lui.
“Come
ti è sembrato Mamoru?” chiese lei.
“Un
ragazzo a posto, non credo la stia prendendo in
giro…possiamo stare
tranquilli che è una brava persona”
sospirò appena, e si accorse
di come la parte più gelosa di se stesso in
realtà avrebbe sperato
il contrario per poter tornare ad avere la ragazzina di qualche
giorno fa, della quale ignorava le tresche sentimentali.
“Tu
invece? Quando hai intenzione di trovarti una ragazza come si
deve?”
chiese la donna.
“Molto
presto mamma, molto presto” rimase sul vago,: dirle
già qualcosa
era troppo azzardato, non sapeva ancora come si sarebbero evolute le
cose tra loro.
La
sua attenzione fu attirata dal ronzio emesso dal cellulare nella
tasca, sicuramente un messaggio.
Stasera
riesco a esserci, ho trovato il modo di uscire senza essere vista.
Però temo di esserci su tardi.
Sorrise.
Dopo quel messaggio quella giornata sarebbe volta decisamente in
meglio.
|
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Capitolo 14 *** Ti spio ***
Note
dell'autrice: Eccovi il capitolo 14. Vi auguro buona lettura,
e come sempre se volete un vostro parere è ben accetto.
Anche se credo mi odierete. * sorriso malefico * prossima settimana
vado in vacanza, e il quindicesimo capitolo non l'ho finito
probabilmente l'attesa sara un pò più lunga anche
questa volta. Appena ho tempo rispondo a tutte le recensioni.
14^Capitolo:
Ti spio
Il
gesto compiuto da Seiya l’aveva fatta arrabbiare forse
esageratamente, tanto che pochi istanti dopo lo aveva spinto fuori
dalla sua camera sbattendo la porta dietro di lui. E sebbene erano
quasi le diciotto, non aveva per niente voglia di cenare in sua
compagnia. Al solo pensiero la poca fame che aveva andava a
nascondersi. Doveva poi escogitare una scusa per giustificare il
fatto che quella sera avrebbe preferito andare a letto presto, senza
guardare film o qualsiasi altro programma televisivo. Chiudersi
quanto prima in camera sua sarebbe stato il modo migliore per
scappare di nascosto senza essere beccata. O almeno era quello che
sperava. Sospirò, toccando il tasto laterale del telefono
per
illuminarne lo schermo e controllare se c'erano nuovi messaggi da
parte di lui. Nessuna tendina però occupava lo schermo,
segno che
ancora il biondo non era arrivato a casa. Spostò lo sguardo
al vetro
della sua finestra, i giorni di totale libertà senza i suoi
genitori
stavano volgendo lentamente al termine. E al loro rientro
chissà
cosa ne sarebbe stato di loro, chissà se lui avrebbe avuto
la
pazienza di attendere giorni prima di vedersi. Dubitava fortemente di
tutto ciò, e anche se quel pensiero non la lasciava in pace,
era ben
decisa ad approfondire la conoscenza di lui. Le sensazioni provate la
sera prima, nella sua camera erano state uniche. Le guance le si
arrossarono al solo pensiero di ciò che avevano condiviso
anche se
solo in parte, e ancora in modo incompleto.
Haruka,
cosa mi stai facendo lo sai solamente tu.
Pensò mentre un sorriso le sollevo appena gli angoli delle
labbra.
Era ben decisa a mettere tutto su carta, o meglio sul pentagramma; la
sua decisione ormai era stata presa, in uno dei suoi prossimi
concerti non sarebbe stata sola sul palcoscenico. Le nozioni che le
erano state impartite sul pianoforte a complemento dei suoi studi
erano infatti più che sufficienti per comporre un pezzo in
cui i due
strumenti dialogavano. Ti riuscirò a
convincere a suonare.
Non so il motivo per cui non suoni più, ma tornerai a farlo.
L'istinto
le suggeriva che con la decisione di lui di non suonare più
c'entrava sicuramente qualche evento non troppo felice del suo
passato, la sua reazione quando gli aveva rivolto la domanda era
stata più che chiara a riguardo.
Chissà
cosa ti tormenta. Avrebbe
voluto
conoscere maggiormente lui, il suo mondo e ciò che lo
circondava. Ma
in fin dei conti era solamente un'estranea per lui, e certe cose
erano estremamente intime.
Il
suono di qualcuno che bussava alla porta la distolse dalla
composizione appena iniziata.
“Avanti”
rispose senza nascondere un tono scocciato. I suoi occhi registrarono
la comparsa della figura del bruno.
Mantieni
la calma e tira un respiro profondo Michiru, non è detto che
sia qui
per importunare la tua quiete.
“A
cosa devo la tua visita?” chiese con un filo di voce, alzando
a
stento gli occhi per guardare il ragazzo.
“Non
deve esserci per forza un motivo per godere della tua compagnia
suppongo, che cosa stai facendo? Comunque sono venuto perché
la
cameriera vuole chiederti alcune cose.
“Sto
componendo un nuovo pezzo.. gradirei non trovarti più in
camera mia
al mio ritorno, perché non riesco a concentrarmi con le
persone
intorno Seiya mi spiace” mormorò freddamente lei
posando la matita
per poi alzarsi e dirigersi verso la porta. Passò davanti a
lui,
sfiorandone appena il braccio destro “Beh cosa fai non
vieni?”
chiese poi.
“Ti
raggiungo dopo devo andare in bagno prima” rispose lui
tranquillamente guardando al di la della sua figura, verso la porta
della toilette.
“Va
bene, io intanto vado” la violinista si affrettò a
percorrere il
corridoio diretta verso quello che era il soggiorno, per poi
dirigersi oltre e raggiungere quindi la cucina. Arrivata nell'ampia
stanza scorse la cameriera indaffarata dietro ai fornelli per
preparare loro i piatti. Da quella sera si tornava alla
normalità e
non avrebbero più potuto mangiare insieme in tutta
tranquillità
senza troppi cavilli e formalità.
“Ciao
dovevi chiedermi qualcosa per la cena? Seiya è venuto a
chiamarmi”
le chiese sorridente, anche se sorridere era l'ultima cosa che
avrebbe dovuto fare, il senso di soffocamento che provava ogni qual
volta il ritorno dei suoi era vicino era tornato ad attanagliarle le
viscere.
“Chiedevo
cosa avresti voluto mangiare per regolarmi su cosa preparare anche
per voi” le rispose la donna. Mentre mescolava del sugo nella
pentola “Questo sarà pronto per domani a pranzo,
l'ho appena messo
su”
“Guarda
ho anche poca fame, per me vanno anche bene dei tramezzini, li mangio
in camera mia non ho molta voglia di stare in compagnia stasera. Sto
anche lavorando a un nuovo pezzo e mi serve un po' di
concentrazione”
rispose la ragazza.
“Come
vuoi Michiru, allora dico a Kou di avvisarmi quando vuole cenare, e
mi occupo solamente di lui..che nuovo pezzo stai componendo?”
concluse la donna facendole l'occhiolino.
“to
provando a scrivere un duetto per violino e pianoforte, con le mie
competenze dovrei essere abbastanza in grado, ma lo farò in
ogni
caso supervisionare dal mio maestro” spiegò
“Se non hai bisogno
d'altro io torno in camera mia”
“Certo
tesoro vai pure, che almeno te ne stai un po' tranquilla senza i tuoi
genitori” la salutò la donna. Tra gli abitanti di
quella casa,
escluso l'autista che però era via con i suoi, era quella
che
riusciva a capirla meglio di ogni altro. E anche in quel momento non
si era affatto sbagliata, nell'intuire che quello stato d'animo era
dovuto al rientro imminente dei suoi genitori. Oltre ad un filo di
agitazione per la fuga che avrebbe fatto quella notte.
Devo
scrivere ad Haruka per metterci d'accordo nei dettagli, non posso
commettere errori che facciano accorgere Seiya della mia assenza.
***
“Tu
ragazze quando nel porterai a casa per farcele conoscere?” la
domanda di sua madre cadde a bruciapelo nella casa caduta nel
silenzio nel momento in cui Usagi aveva varcato la soglia di casa con
Mamoru.
“Mamma
diciamo che ci sto lavorando, ma non mi chiedere nulla di
più fino a
quando non deciderò io che è arrivato il momento
giusto è un po'
delicata come cosa” rispose lui, cercando di rimanere sul
vago
della situazione, cercando tuttavia di non farla preoccupare.
“Delicata
in che senso? Non andare a immischiarti in giri strani, mi
raccomando. Non è drogata vero? Haruka posso stare
tranquilla?” il
tono apprensivo non sfuggì al suo udito super fino.
“No
mamma tranquilla è tutto il contrario, è una
persona
affidabilissima, e anzi ho la certezza che a Usagi piacerà
tantissimo. Stravederà per lei fin dal primo momento in cui
le
stringerà la mano” spiegò lui
“E' solo che fino a quando la
relazione non viene ben definita preferirei non complicare
ulteriormente le cose” precisò puntando i suoi
occhi verdi in
quelli più scuri della madre.
“Se
mi dici che posso stare tranquilla cercherò di starci anche
se lo
sai, per me negli ultimi anni è molto difficile. Ho sempre
paura che
vi possa capitare qualcosa, e a dirti la verità la notizia
che Usagi
avesse un ragazzo mi ha spiazzata molto, e come se io non fossi
pronta a veder andar via anche lei” mormorò.
“Mamma
stai tranquilla Usagi anche se tra sei o dieci anni andrà
via di
casa sarà sempre qui, con noi come del resto sono io. Quando
mi
chiamate che avete bisogno non ho problemi a venire anche se abito in
un altro appartamento” la rassicurò “Non
potrei mai abbandonarvi
lo sai”
“A
questa ragazza glielo hai detto di quella cosa?” chiese
nuovamente
la dottoressa per distogliere il discorso dal precedente, che le
stava provocando una forte malinconia interiore. La perdita del
marito non era stata facile da superare, tanto meno crescere due
figlie, di cui una ancora in età quasi adolescenziale.
“No,
ma dovrò farlo prima o poi anche se temo la sua reazione,
anche
Sets, Rei e Hotaru me lo hanno detto” mormorò.
“
Se
posso darti un consiglio, non aspettare troppo.. poi potrebbe saperlo
da terze persone e potrebbe essere brutto scoprirlo in quel modo e tu
lo sai. Non è facile come cosa da mandare giù,
evita che si
innamori di te mentre ancora è all' oscuro di
tutto..”
A
quelle parole sospirò, sua madre aveva tremendamente
ragione, e
anche le sue amiche. Ma ad affrontare la cosa nel bene o nel male non
erano loro. E ancora non si sentiva pronto.
“Hai
ragione mamma, infatti glielo dirò uno di questi giorni
sicuramente”
lo sguardo si posò sull'orologio della sala che segnava
già le
cinque passate del pomeriggio. “ Sarà meglio che
vada, ho
appuntamento con Sets e le altre per un aperitivo, poi devo passare
dopo cena a prendere lei che la porto fuori con il resto del
gruppo”
rispose lui.
“Va
bene, ci sentiamo poi nei prossimi giorni, mi raccomando non fare le
solite tue cazzate” lo raccomandò la donna.
“Mamma
sta tranquilla, so quello che faccio non mi accadrà
nulla” la
rassicurò lui “Lo sai, che un pilota
più in gamba di me non
esiste, è ormai qualche anno che sono in vetta alle
classifiche”
esclamò con tono impettito.
“
Sai
bene cosa intendo, non di certo le corse ufficiali che tra le altre
cose sono sospese fino a Settembre” lo rimproverò
nervosa lei.
“
Era
per dire che se non ho mai avuto un incidente in quelle ufficiali,
non lo avrò nemmeno in tutte le altre corse, lo sai...ora
vado
davvero” concluse, raggiungendo la giacca. Odiava arrivare in
ritardo agli appuntamenti, specialmente a quelli con le sue amiche.
Specialmente a quelli con Setsuna che conduceva una guerra contro i
suoi ritardi dal primo momento in cui si erano incontrati.
“Buona
serata Haruka” concluse lei, aprendo la porta
dell'appartamento in
cui viveva.
Michi
fammi sapere appena puoi orario e tutto per stasera, sono appena
uscito da casa dei miei ora vado ad un aperitivo poi ti passo a
prendere appena puoi :*
Scrisse,
mentre scendeva nel portone. Alle sue amiche ancora non aveva detto
nulla, ma era sicuro che non gli avrebbero fatto problemi,
probabilmente anche se non glielo avevano ancora detto, erano curiose
di incontrarla.
***
L'attesa
estenuante della risposta che cercava però si
rivelò più dura del
previsto. La smania di capire e sopratutto associare un viso a
quell'Haruka era diventata una questione di vita o di morte. Doveva
sapere tutto su quel ragazzo di cui aveva letto la conversazione sul
cellulare della violinista. Il suo gesto era sicuramente stato
meschino, ma nella consapevolezza che dall'artista non avrebbe avuto
nessuna informazione, toccata con mano la chiusura nei suoi
confronti, non aveva avuto altra scelta. E i suoi sospetti sulla
presenza improvvisa di un'altra persona, erano stati confermati.
Doveva
solo capire se la persona in questione poteva essere pericolosa a tal
punto da poter mandare all'aria il loro piano, oppure se poteva
invece tornare loro utile per far uscire uno scandalo su quella
famiglia che, della sua vita privata, non aveva mai dato motivo di
cui parlare e far pettegolezzi.
Quando
riuscirò ad avere i risultati di questa ricerca. Fu
il suo pensiero. Gli occhi gli caddero sull'orologio appeso al
soffitto. Dopo aver scoperto nome e cognome del ragazzo che gli stava
portando via Michiru, aveva fatto una chiamata a suo padre. Per
l'uomo sarebbe stato fin troppo semplice, vista la sua posizione,
accedere a tutti i dati che gli servivano. Nonché alle
relazioni che
questo nuovo e inatteso rivale aveva.
Il
telefono appoggiato sul suo petto iniziò a vibrare, lo
schermo
acceso che notificava una chiamata in arrivo. Era suo padre.
Probabilmente aveva portato a termine le sue ricerche. E forse aveva
trovato un appiglio a cui agganciarsi.
“Pronto
papà, dimmi tutto hai trovato qualcosa?” rispose
lui.
“Certo
Seiya, mi è stato utile sopratutto il numero di cellulare,
come
speravamo ha il numero intestato” sentì la voce
dell'uomo “ Il
punto è che non risulta nessun ragazzo con i dati emersi
dalla sim.
Li in città c'è solo un Haruka che ha i dati che
coincidono, il
problema e che all'anagrafe risulta essere una giovane donna. Le
altre persone, anche se uomini, non hanno i dati anagrafici
coincidenti” rispose lui.
Nel
sentire quelle parole gli occhi del ragazzo si sbarrarono stupiti. No
non può essere ci sarà sicuramente un errore,
impossibile che a
Michiru piacciano le donne.
“Papà
ne sei proprio sicuro? Perché la conversazione era veramente
tutta
al maschile, Michiru si rivolgeva in questo modo a lu...lei”
provò
a chiedere.
“Non
ci sono dubbi che sia lei Seiya, e ho trovato un sacco di
informazioni interessanti, ho un'idea per colpire Michiru e farla
stare molto male.” gli disse l'altro.
***
“Takeshi!!!
Il tuo telefono sta squillando da un pezzo!!” una voce
femminile
piombò nella stanza distogliendolo dai suoi pensieri. La
maggior
parte dei quali escogitavano un piano su come farla pagare a Ten'o
per l'affronto che egli aveva compiuto nei suoi confronti qualche
sera addietro.
“Pronto”Quell'insignificante
moscerino dovrà pagarla un giorno o l'altro.
“Buonasera
parlo con Takeshi Izuhu?” rispose una voce femminile, la sua
interlocutrice a occhio e croce avrebbe potuto avere una cinquantina
di anni, e non gli sembrava di conoscerla. Scostò il
cellulare dal
viso quel tanto che basta per vedere i numeri sullo schermo.
Anonimo.
Chi cazzo è sta stronza.
“Avrei
una questione estremamente urgente da proporle, riguarda Haruka
Ten'o” disse lui la donna. A sentire quel nominativo la sua
attenzione si accese ulteriormente.
“
Mi
dica pure, di cosa ha
bisogno” rispose lui, raddrizzandosi sulla sedia, spostando
leggermente la ragazza che stava donando attenzioni al suo collo.
Ascoltò
attentamente le parole della misteriosa sconosciuta. Cercando di non
farsi sfuggire nulla. “ Si mi potrebbe interessare
decisamente,
credo di riuscire a fare la cosa quanto prima, devo solo radunare i
miei compagni di squadra. Non rimarrà delusa
vedrà” rispose il
ragazzo prima di chiudere la comunicazione. La donna misteriosa gli
aveva offerto un compenso,nemmeno tanto piccolo. Ma avrebbe fatto
quel lavoro anche gratis. Vista la persona di cui si stava trattando.
Spostò in malo modo la sua concubina, prima di afferrare
nuovamente
il cellulare e iniziare a radunare la sua squadra, in base alle
informazioni che gli avevano dato per telefono, avevano poco tempo
per organizzare il tutto. Un'altra possibilità sarebbe stato
difficile trovarla.
***
Aveva
appena finito di scrivere la quarta riga di pentagramma sul foglio
quando sentì il cellulare vibrare rumoroso sulla scrivania,
poco
lontano dal pezzo di carta. Sarà lui
sicuramente.
A
quel pensiero un sorriso le dipinse il volto. Posò la matita
per
poi prendere il telefono, e aprire la finestra della notifica.
Ciao,
guarda credo che per le 22 riesco ad essere fuori,magari non fermarti
davanti al cancello di casa, aspetta un po' più indietro o
un po'
più avanti...e magari vieni solo tu dal cancello se non ti
fidi a
farmi fare 100m da sola.
Scrisse,
lui non era online ma confidava nel fatto che avesse la suoneria
inserita e la connessione internet accesa ovunque lui fosse. E
così
fu, la seconda spunta apparve a lato della nuvoletta del messaggio.
Devo
solo aspettare che mi risponda, poi devo mettere a punto la mia
uscita. Anche
se alla fine cosa
fare lo sapeva già. Seiya non si era fatto vedere, nemmeno
per
chiederle se voleva mangiare, e un po' di dispiacere
affiorò.
Sebbene sapeva che il distacco del ragazzo era la cosa migliore. Con
il ritorno dei suoi genitori non sarebbe stato ancora così
facile
tenerlo a bada, loro per lui stravedevano.
Tornò
a concentrarsi sulla composizione alla quale stava lavorando, sperava
di poterla finire quanto prima per poterla provare sullo strumento e
apportare le eventuali modifiche, se ce ne fosse stata la
necessità.
Devo
parlare ai miei di questo nuovo pezzo, e devo anche accennare loro
che il pianista voglio scegliermelo io per una volta.
E la seconda parte del suo pensiero era quella che più la
preoccupava. Difficilmente i suoi genitori le avrebbero dato cotanta
libertà.
Sospirò
lievemente, non vedeva l'ora di finire la scuola, per poter lottare
per andare via di casa. Fino a quel momento avrebbe dovuto per forza
fare la mantenuta, quella era l'unica motivazione che la teneva
ancora li. Era ancora troppo piccola per cavarsela da sola secondo la
legge.
Il
silenzio della stanza fu nuovamente interrotto dal bussare alla porta
di qualcuno. Se è di
nuovo lui questa volta le staffe le perdo veramente.
“Avanti”
esclamò, voltandosi verso la superficie in legno. Pochi
istanti più
tardi la cameriera fece capolino con un vassoio pieno di tramezzini,
la sua cena.
“Ecco
Michiru, ti ho portato già la cena, poi la consumi quando
più ti fa
comodo” le disse la donna sorridente.
“Oh..grazie,
pensavo fosse Seiya e non avevo nessuna voglia di reggerlo ora...anzi
se puoi ricordargli nuovamente che fino a domattina preferirei
rimanere da sola in camera mia perché ho da fare sarebbe
meglio”
dubitava molto che il moro sarebbe rimasto tutta la sera fuori dalla
sua visuale, doveva in ogni caso chiudere la porta a chiave
dall'interno, e chiudere anche la vetrata scorrevole con la chiave
che aveva nel comodino onde evitare che lui entrasse quando lei era
già fuori da un bel pezzo.
“Non
ti preoccupare, eviterò che ti venga a disturbare, se vuoi
stare da
sola non ha nessun diritto di importunarti.
“Grazie”
mormorò lei, prima che la donna chiudesse la porta della
stanza alle
sue spalle facendo piombare quelle quattro mura nel silenzio
più
completo.
***
Arrivò
al locale con circa un quarto d'ora di ritardo, a causa di una coda
imprevista generata da un incidente su una delle vie principali che
lo avrebbero portato alla meta.
Appena
entrato nel locale i suoi occhi vagarono alla ricerca del tavolo dove
sapeva avrebbe trovato le sue amiche. Riuscì a individuarlo
quasi
nell'immediato grazie alle urla di una biondina decisamente su di
giri che abbracciava felicissima quella che capì essere
Hotaru non
appena la bruna emerse dalla chioma dell'altra. Volse gli occhi al
cielo esasperato.
Si
devono sempre far riconoscere.
Constatò mentalmente, mentre si dirigeva verso di loro.
“Buona
sera ragazze” pronunciò appena fu abbastanza
vicino da farsi
sentire.
“Finalmente
Ruka, ti iniziavamo a dare per disperso, non vederti in giro per
così
tante sere di seguito è una rarità” lo
salutò Setsuna.
“Si
scusate ragazze ma immagino che Rei, Hotaru e Sets vi abbiano
spiegato tutto” si scusò.
“Certo
che ci hanno spiegato tutto!!” esclamò Minako con
la sua voce
squillante “ Tutto no, i particolari devi dirceli
tu” aggiunse
con un sorriso malizioso.
“Ma
non c'è nessun particolare di quelli che credete
voi...” cercò di
temporeggiare lui, nella speranza che l'arrivo del cameriere facesse
dimenticare la domanda della ragazza. “ Eppoi io qua non sono
l'unico a dovervi degli aggiornamenti.. Mako – chan temo
proprio
che tu ne abbia di novità quasi più di
me” rivoltò la frittata.
“Beh
non c'è tanto da dire, ci sono andata a letto, ma per ora
non so
come si evolverà il rapporto. Penso e credo che saremo amici
di
letto e niente più. La nostra è vera e propria
voglia di una sana
scopata e nient'altro” rispose la bruna senza tanti pudori.
Ben
sapendo che le persone davanti a lei non si sarebbero scandalizzate.
“
Come
fai a esserne così
sicura?” chiese allora Rei.
“Perché
le nostre cose in comune finiscono li, siamo troppo diversi. Inutile
illudermi per qualcosa che è impossibile già in
partenza”
mormorò.
“
Qua
il campione delle storie
impossibili è un altro cara, mica tu”
esclamò Rei ridendo “
Vero?” chiese guardando il motociclista negli occhi.
“Vi
dirò la verità, sta andando anche abbastanza bene
la
frequentazione, ora per dire che nascerà qualcosa
è presto ma sono
molto positivo” disse lui.
“
E
cosa te lo fa essere?”
chiese Makoto incuriosita.
“Sesto
senso” rispose lui.
“Buona
sera, avete già deciso cosa ordinare?” il
cameriere interruppe il
loro discorso per prendere le ordinazioni.
“Prendiamo
sei aperitivi, di cui due Sex on the beach, due Spritz, un analcolico
alla frutta e un aperitivo alla frutta alcolico” rispose
prontamente Setsuna, conoscendo a memoria le preferenze del suo
gruppo. Dopo intere serate passate insieme per anni era il minimo.
“Perfetto,
grazie arriveranno subito” rispose l'uomo, sulla quarantina
dai
capelli castani, fasciato nella divisa del locale.
“Grazie
tante” rispose il motociclista “Comunque ragazze,
stasera dopo
cena la passo a prendere, e la porto con noi. Ho la sensazione che ne
abbia bisogno, solo non andiamo in locali troppo frequentati per non
darle problemi”avvisò il gruppo.
“Bene
così finalmente la conosciamo, e vediamo se riusciamo a
capire
cos'ha di tanto speciale” commentò Rei. Proprio
nell'esatto
instante in cui una cameriera si avvicinò al loro tavolo per
portare
due piatti di tartine al prosciutto e al salmone e una coppa con
delle patine fritte al formaggio.
“Ecco
perché amo questo locale!” esclamò
Minako, alla vista del cibo. Un secondo cameriere porto loro i
bicchieri, con dei pezzi di pizza e
del sushi.
“Takeshi
invece si è visto in giro?” chiese il biondo
sorseggiando lo
spritz.
“No
stranamente anche lui in questi giorni non si è visto, e a
sentire
le voci che girano non ha combinato casini”
mormorò Makoto.
“Nemmeno
alla sua ex che voi sappiate?” prese un uzumaki con granchio,
avocado e maionese.
“Non
abbiamo sentito nulla a proposito, ma anche se fosse secondo me
dovresti stare alla larga da tutto” gli rispose Hotaru
“ Avrai
già abbastanza cose a cui pensare nel momento in cui i
genitori di
Michiru verranno a sapere della tua esistenza e non solo”
concluse
la bruna.
“
Quando
accadrà ci penserò,
per ora non avendo nulla a cui pensare posso farmi gli affari degli
altri. Come tratta quello le ragazze non mi piace proprio”
“Non
puoi farci nulla e lo sai, alla fine se loro ci stanno insieme se la
cercano pure direi” intervenne Minako, non è di
certo l'unico bel
ragazzo sulla piazza, ce ne sono molti altri ma tutte ci sbavano
dietro”
I
suoi occhi verdi caddero sull'orologio che occupava quasi totalmente
lo schermo del suo cellulare in stand-by in quel momento appoggiato
sul tavolo.
“Ragazze
dove ci vediamo? Che io tra un po' devo andare, devo farmi una doccia
e poi passarla a prendere con calma. Non voglio correre e questo
è
un orario di punta” chiese.
“Potremmo
vederci alla fine della passeggiata vicino al teatro, sai dove ci
sono gli scogli? Poi decidiamo se andare a fare un giro oppure no a
seconda di cosa preferite voi” propose Rei.
“Si
dai, potrebbe andare bene come punto di incontro così
decidiamo
insieme.. allora vi saluto a più tardi” si
alzò dal tavolo dopo
aver preso tre tramezzini da portarsi dietro. Si diresse poi alla
cassa per pagare la sua quota. Azione che gli occupò
pochissimi
minuti, prima di lasciarlo libero di uscire per andare alla macchina.
|
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Capitolo 15 *** Adrenalina ***
Note
dell'autrice: Eccomi
con
l'aggiornamento, vi chiedo scusa per il ritardo ma li pubblico a
fine stesura da ora in poi perché i capitoli già
pronti sono
finiti. L'estate mi porta spesso fuori casa e quindi i ritmi
rallentano. Spero sia di vostro gradimento il capitolo.
E
buon rientro dalle vacanze a tutti!
15
Capitolo: Adrenalina
Tirò
su la cerniera degli
stivali, mentre l'orologio segnava le nove e mezza di sera. Sarebbe
dovuta uscire dopo poco più di mezz'ora. Seiya per fortuna
non era
andato a disturbarla, e sapeva che in ciò c'era lo zampino
della
cameriera. Di lei sapeva di potersi fidare al cento per cento. Tutte
le volte che le aveva affidato un compito, non aveva mai fallito
nella sua realizzazione, e anche quella volta non si era smentita.
Sospirò
nel tentativo di
tener sotto controllo l'agitazione che aveva iniziato a salire nel
momento in cui si era iniziata a preparare. Se per tutto il giorno
era stata tranquilla, in quel momento non lo era affatto.
Si
diresse in bagno per dare
una veloce controllata al trucco leggero che aveva scelto, con gli
occhi sul grigio perla e un rosa carne per le labbra.
Aprì
poi il cassetto del
suo comodino, dentro al quale custodiva sia la chiave della sua
camera, sia quella per chiudere la vetrata scorrevole che le dava
accesso al giardino. Sul letto la borsa nera aspettava di essere
sollevata insieme alla giacca.
Michiru
sta tranquilla,
altrimenti rischi di fare rumore e attirare l'attenzione di qualcuno.
Si
incoraggiò mentalmente.
L'unica cosa che le rimaneva da fare era aspettare un messaggio di
lui, che l'avvisava del suo arrivo nei pressi del cancello. Da una
parte non vedeva l'ora di sentir vibrare il telefono, dall'altra
sperava che lui ritardasse per rimanere ancora un pò in
camera,
senza correre il pericolo di essere scoperta.
Il
silenzio dei suoi
pensieri fu interrotto da un ronzio. Lo schermo del telefono
illuminato.
Sono
qua dal cancello.
Bene
forza e coraggio, si aprono le danze. Mise
il cellulare nella borsa, e indossò la giacca a coprire+ il
top
nero, che le cadeva morbido sui fianchi e sui jeans.
Si
diresse poi verso la finestra, avendo cura di tirare le tende al
massimo in modo tale che coprissero tutta la superficie vetrata
nascondendo il letto agli sguardi esterni. Aveva chiuso la sua camera
prima di cena, per non dimenticarsene in quel momento.
Schiacciò
il tasto che bloccava la serratura della finestra e la fece scorrere
lentamente verso sinistra. Le mani leggermente sudate, quasi come
prima di un concerto importante.
Solo
che in quel momento si stava giocando molto più che un
applauso, se
fosse stata scoperta, i suoi genitori lo avrebbero saputo. E la sua
libertà quando erano via per lavoro sarebbe andata persa, e
con lei
anche Haruka.
No
non posso permetterlo.
Uscì
dalla sua stanza, e si voltò per chiudere la finestra, prima
facendo
scattare la chiusura e poi chiudendola definitivamente con la chiave.
Lo sguardo corse velocemente lungo il muro della villa, il suo
istinto la spingeva a controllare se la camera di Seiya era abitata
oppure disabitata. La luce era spenta, e nessuno sembrava essere
dietro la finestra in contemplazione del giardino.
Meno
male. Forse è impegnato a guardare la televisione.
L'instinto
le suggeriva che quello era il momento più adatto per
compiere il
sentiero nascosto dal roseto, e arrivare al cancello principale. Non
l'avrebbe vista nessuno.
Percorse
il tratto cercando di provocare meno rumore possibile, iniziando a
camminare sulle punte.
***
I
risultati della ricerca di suo padre lo avevano lasciato spiazzato,
forse troppo. Al solo pensiero che Michiru fosse lesbica sentiva un
brivido che gli percorreva la schiena.
Eppure
lei nei messaggi sembrava rivolgersi ad un ragazzo. Un
sospiro frustrato gli sfuggì dalle labbra. Tutta quella
storia non
aveva senso. Probabilmente sa benissimo che
è una donna ma
gli copre le spalle.
Quella
forse era l'unica spiegazione plausibile a tutte le scoperte che quel
giorno aveva fatto. Dopotutto, sempre dalle ricerche di suo padre,
era emerso che Ten'o partecipava alle gare automobilistiche, e a
pensarci bene quel nome non gli era affatto nuovo. Negli emergenti un
suo omonimo era in testa alla classifica da qualche anno.
Non
seguiva le corse, ma suo fratello Yaten invece si, e anche se non era
intenzionato a sentire, le onde sonore si propagavano attraverso i
muri della loro abitazione.
Che
sia proprio lui?
A questo punto
era molto probabile. Doveva averne la certezza assoluta in modo da
poter colpire anche lui e di riflesso far andare a picco anche la
violinista.
La
cameriera per qualche assurdo motivo lo aveva avvisato che la ragazza
avrebbe voluto passare la serata in camera sua perché
impegnata
nella composizione di un nuovo pezzo.
Una
risatina uscì dalle sue labbra: che tentativo misero di non
fargli
scoprire la verità, quando lui la verità la
conosceva già e non
vedeva l'ora che tutta la macchina si mettesse in moto. Da li a poco
per giunta, se niente intralciava il loro operato.
***
Flash
Back
Aveva
lasciato Harumoto al locale qualche ora prima, dopo essere usciti a
prendere una pizza con Rei e Setsuna. Era l'unico modo per staccare
dal clima cupo che si respirava a casa, e dal pensiero che volava a
cosa avrebbero dovuto fare dopo. I medici non avevano dato troppe
speranze all'uomo che li aveva messi al mondo, avevano suggerito
solamente una cura paliativa per non farlo stare troppo male con il
passare dei mesi. Erano stati
avvertiti
dall'oncologo che con il tempo sarebbe stato sempre peggio.
A
quelle parole era stato normale pensare che prima fosse terminato
tutto e meglio sarebbe stato. Non riusciva più a sopportare
quell'attesa straziante, avesse potuto avrebbe messo fine alla vita
di suo padre anche in quell'esatto momento. Per non farlo soffrire
ulteriormente per qualcosa che non sarebbe mai andato via, se non
portandoselo con se.
Usagi
nel suo letto si era addormentata da poco, l'aveva sentita piangere.
Per lei quella situazione era ancor meno facile di tutti loro. Tra i
tre era quella più legata a suo padre. Avevano costruito un
rapporto
speciale, in un modo tutto loro. Ancora diverso rispetto a quello che
lo legava lui all'uomo che dormiva nella stanza a fianco, tra di loro
il legame perfetto si era formato grazie alla musica e al pianoforte.
Avevano sempre passato ore fino a poco tempo prima a suonare, anche
in due, per riempire con la leggerezza delle note le mura
dell'abitazione.
Dopo
il referto medico, il loro incantesimo si era spezzato.
La sua
attenzione si spostò sul quadrante illuminato della sveglia
sul
comodino alla sua destra. Segnava le tre del mattino, e tutto
ciò
era strano, suo fratello non tornava mai così tardi a casa.
Si
alzò per andare in sala dove aveva dimenticato la giacca con
il
cellulare al suo interno. Il led verde lampeggiava velocemente, segno
che aveva perso qualche chiamata. Ogni tanto a intervalli molto
più
lenti diventava anche bianco: aveva anche una moltitudine di messaggi
da leggere.
Chissà
chi diavolo sarà ad avermi chiamato a quest'ora. Se
è uno dei
soliti scherzi di Setsuna questa volta mi sente.
Sullo
schermo comparvero tre chiamate dell'amica, ma anche chiamate da un
numero che non conosceva. Ma che dal prefisso era sicuramente un
numero fisso.
Un
agitazione gli montò in corpo. Aveva più volte
sentito nei
documentari televisivi che i gemelli erano uniti da un legame
particolare, quasi simbiontico e avessero la capacità di
percepire
immediatamente se l'altro stava vivendo qualcosa di particolarmente
grave.
In
quel preciso istante la consapevolezza che qualcosa di grave era
accaduto si impossessò del suo essere. E non aveva nessun
mezzo per
scacciarla via. Velocemente andò a scorrere i messaggi che
risultavano ancora da leggere sul cellulare.
Cazzo
rispondi al cellulare è successo un casino.
Scorse
verso il basso la finestra dei messaggi, mentre improvvisamente il
suo cuore divenne pesante come un macigno.
Rispondi
tuo fratello ha avuto un incidente, è un gran casino lo
stanno
portando in ospedale. Stiamo andando con lui.
Sentì
gli occhi bruciare, nel leggere i messaggi successivi.
E'
in gravissime condizioni avvisa i tuoi e venite subito qua non
c'è
tempo da perdere.
Non
è possibile che sia successo qualcosa ad Harimoto. Non
è possibile
che sia così grave. La
sua mente fu invasa a ripetizione da questi pensieri, sembravano un
disco rotto. Nel tentativo di pensare positivo non riusciva a
metterli a tacere, mentre si dirigeva verso la camera dei loro
genitori.
I
due adulti dormivano tranquillamente nel letto, avrebbe svegliato sua
mamma per avvisarla, non avrebbe svegliato suo padre che dormiva a
fatica per via dei dolori che non gli lasciavano tregua alcuna quando
la morfina terminava il suo effetto.
Devo
mantenere la calma, non posso lasciarmi andare come vorrei. Non
posso.
Sua
madre dormiva serena, era ormai da qualche mese che non la vedeva
così tranquilla e rilassata. Si sentì quasi in
colpa per essere
costretta a interrompere la quiete che regnava in quella stanza. Ma
doveva.
“Mamma”
esclamò sottovoce, scrollando lievemente la donna
“ Mamma
svegliati” mormorò a tono lievemente
più alto.
La
donna si mosse appena socchiudendo gli occhi con l'aria di chi era
stata interrotta sul più bello del sogno.
“Cosa
c'è Haruka?” si sentì chiedere.
“Mi
ha chiamata Setsuna, Harumoto ha avuto un incidente, mi ha detto di
andare immediatamente in ospedale perché la situazione non
è delle
migliori” esclamò, cercando di mantenere la calma,
una calma che
non pensava nemmeno di possedere.
***
Tornò
al presente a causa di un fastidioso picchiettio sullo sportello
della sua automobile. Si era estraniato completamente da ciò
che lo
circondava: in realtà si era estraniato totalmente dal mondo
intero
ormai da tempo.
Aveva
smesso di vivere la sua vita, per vivere quella del fratello, anche
se la sua aspirazione era sempre stata un'altra, sebbene la passione
per i motori li accumunava. Scosse energeticamente il capo, per
scacciare via la maliconia che sentiva annebbiare la mente. Non
stasera, devo concentrarmi su di lei adesso, non sul passato. Quello
ormai non posso più modificarlo o recuperarlo.
“Tutto
bene?” furono le prime parole che gli rivolse la violinista,
il
labbro inferiore leggermente sporgente in quella che riconobbe come
un espressione preoccupata.
“ Si
non ti preoccupare, erano solo pensieri” mormorò
in risposta,
prima di posarle un bacio sulle labbra.
“So
che siamo estranei quasi, ma se vuoi parlane io ci sono...è
il
minimo tu mi hai ascoltata l'altra sera” aggiunse la ragazza.
“Non
è necessario, ma grazie lo stesso lo apprezzo
molto” inserì la
retromarcia, subito dopo schiacciò leggermente
l'acceleratore per
distanziarsi dalla macchina davanti. Inserì la prima, prima
di dare
gas e scalare a una seconda, poi a una terza e infine a una quarta.
Il massimo che si poteva permettere sulle strade cittadine. “
Se ti
va ti faccio conoscere le mie amiche stasera, abbiamo appuntamento
con loro al teatro, che così è poco frequentato,
poi decidiamo in
base alle tue preferenze dove andare. Così se non vuoi farti
vedere
in giro per via dei paparazzi o simili sei tranquilla” le
disse
sorridendo. Si è questo che devo fare, sorriderle
finchè sono in
tempo. Dovrei anche dirle tutta la verità, ma ho paura di
rovinare
tutto. Pensò, guardandola con la coda dell'occhio.
***
A
quell'ammissione si senti subito un po' agitata, non aveva per niente
idea di come sarebbe stata accolta dalle amiche di lui. La sua minima
esperienza con gli esponenti del suo stesso sesso non aveva mai dato
buoni
frutti, ma anzi si erano rivelati essere tentativi disastrosi.
Sopratutto emotivamente. Nel suo ambiente, nelle case che era
abituata a frequentare fin da piccola, la sincerità era un
optional
e la falsità e l'ipocrisia regnavano sovrane.
Sospirò
cercando di rimanere calma, conoscere persone nuove di cui non sapeva
se poteva fidarsi o meno era sempre un dramma per lei.
“Si
mi fa piacere, poi vediamo che fare...ma credo che un locale fuori
città possa andare bene” mormorò lei,
dopotutto non poteva
rifiutarsi di incontrarle quando lui si era già messo
d'accordo.
“Stai
tranquilla comunque, sono persone molto tranquille. Oddio dipende dai
punti di vista, ma per esperienza personale ti posso dire che non
parlano, e non dicono gli affari degli altri in giro. Sopratutto se
riguardano questione delicate, te lo dico per esperienza
personale”
si sentì rispondere dal biondo.
Sopratutto
se riguardano questione delicate, te lo dico per esperienza
personale.
L'ultima frase le era
rimasta inspiegabilmente in mente, si accorse solamente in quel
momento di quanto poco conoscesse di lui. Improvvisamente avrebbe
voluto conoscerlo di più, essere a conoscenza dei turbamenti
che
agitavano il suo animo. Perché ne era sicura: sotto quello
sguardo
spavaldo, in realtà si nascondeva una persona che nonostante
la
giovane età aveva sofferto già troppo nella vita.
“Si
non c'è problema, è solo che quando devo
conoscere persone nuove io
mi agito un po'. Non sapendo che tipo di persone possono essere, ma
se dici così cercherò di fidarmi...dopo tutto
credo che le conosci meglio di me queste persone” furono le
sue parole.
“Oggi
con quel ragazzo come è andata?” chiese
l'automobilista.
“Male,
purtroppo è abbastanza ficcanaso, e faccio molta fatica a
tenerlo a
bada. Spero tanto che possa levarsi di torno il prima possibile. Non
lo sopporto molto” Erano quasi arrivati nel luogo
dell'appuntamento, alle sue orecchie giunse una risata vivace,
seguita da un'osservazione. Le due voci sembravano appartenere a due
ragazze a occhio e croce.
Sta
tranquilla Michiru, dopo tutto non devono essere tanto peggiori delle
persone a cui sei abituata, mal che vada.
I suoi
occhi blu cobalto si posarono su un gruppetto intorno a una panchina,
formato da una bionda, tre more e una castana. Quest'ultima davvero
altissima per essere una ragazza. Era alta quasi quanto Haruka.
Sentì
il ruggire del motore che calava man mano che l'automobile diminuiva
di velocità.
“Eccoci
arrivati” esclamò il biondo prima di spegnere il
motore. Dopo di
che scese e le aprì la porta, gesto che le fece molto
piacere.
“Guardate
che principe che è diventato, ora apre pure le porte... sia
mai
farlo con le sue amiche” la voce di una delle ragazze
colpì le sue
orecchie mentre scendeva. Proveniva da una delle due brune con i
capelli lunghi fino in fondo alla schiena. Che si era avvicinata alla
macchina non appena li aveva visti.
“ Piacere
Setsuna Meiou, un'amica di vecchia data del rompi balle zoticone che
hai al tuo fianco” scherzò puntando gli occhi
ametista in quelli
dell'altra.
“ Michiru..Michiru
Kaioh piacere di conoscerti” rispose timidamente.
“Non
dar retta a questa rompiscatole, io il principe lo faccio
sempre”
rispose il biondo “Anche con loro a dirla tutta, solo che non
lo
ammetteranno mai”
“Ciao sono
Hotaru Tomoe, piacere di conoscerti anche per me, ci ha tanto parlato
di te...non puoi nemmeno immaginare non vedevo l'ora di
conoscerti...” una brunetta poco più bassa di lei,
con i capelli
neri a caschetto, due grandi occhi viola e la pelle chiarissima si
fece largo nella sua direzione. “Beh diciamo che ti conoscevo
già ma ero
proprio curiosa di conoscerti per come sei veramente, sai lui per te
ha proprio perso la testa” esclamò la ragazzina.
A
quelle parole sentì le guance arrossarsi, mentre il suo
sguardo si
spostò velocemente su di lui, imbarazzato.
Non
avrei mai detto di piacergli così tanto. Cosa può
trovarci in una
come me, che è immersa nei convenevoli imposti da una classe
troppo
rigida.
“Piacere
di conoscerti anche a te” rispose di rimando. Alla fine
sembravano
molto simpatiche, e sopratutto molto diverse dalle ragazze a cui era
abituata.
“Hotaru
smettila!” la riprese il ragazzo senza nascondere il forte
imbarazzo dovuto alla rivelazione dell'amica. “Loro sono Rei
Hino,
Minako Aino e Makoto Kino” disse indicando le ultime tre
rimaste. I
suoi occhi si posarono nell'ordine sull'ultima bruna, la bionda dai
lunghi capelli e infine sulla ragazza altissima che aveva notato poco
prima. Capelli legati in una coda fluente.
“Piacere
tutto mio” esclamò per la terza volta quella sera.
“Ragazze
ne stavamo parlando prima in macchina, a Michiru andrebbe bene
qualsiasi locale fuori città, quindi possiamo sceglierne uno
e
andare li inizialmente, poi vedremo il da farsi” propose lui.
“Si
per noi può andare bene” disse Hotaru “
Ma in quale locale
possiamo andare, che non sia in centro?” chiese.
“ Potremmo
andare al Moonlight Denetsu” propose Setsuna. Ottenendo
l'annuire da parte del gruppo “ Se per te va bene
Michiru” chiese.
“ Non ho la
mimina idea di che locale sia, mi fido di voi credo che possa andare
bene in qualunque caso” rispose la violinista.
“Bene
allora potremmo vederci li, i primi che arrivano prendono il solito
tavolo” rispose la bruna.
***
“Ci
vediamo dopo” concluse rivolto alle sue amiche, prima di
volgere
l'attenzione alla musicista facendole cenno di salire in macchina.
“Come ti sembrano?” chiese dopo aver acceso l'aria
condizionata
ed aver inserito la prima. Una strana inquietudine si era
impossessata di lui, inquietudine che aveva sentito solamente una
volta in tutta la sua vita, e non si era rivelata essere di buon
auspicio.
Proprio
per niente.
E la
sua nuova presenza lo impensieriva più del dovuto, non si
era mai
reputato di possedere il dono della precognizione. Eppure la
sensazione, gli diceva di non passare dalla passeggiata per tornare
indietro e andare poi verso l'autostrada.
Al
diavolo le sensazioni, devo bere meno. Mi sa che ho esagerato
ultimamente per avere queste allucinazioni.
“Mi
sembrano simpatiche, non mi sembrano affatto come le persone a cui
sono abituata..anzi ...” mormorò lei.
“ Scordati
quel genere di persone quando sei con noi. Non abbiamo niente a che
fare con certa gente” rispose lui.
“Mai
pensato mi ci devo solamente abituare, è un mondo nuovo per
me
questo”
“Bene
son fottuto, da stasera in poi scapperai a gambe levate”
controbatté scatenando in lei una risata. “Dopo
quando lasciamo le
altre devo parlarti di una cosa seria, che non posso più
ignorare
perché mi fa star male con me stesso”
mormorò il biondo. Gli
occhi verdi a fissare il retrovisore con uno sguardo che
virò dalla
tristezza causata dalla decisione di parlarle all'ira nel riconoscere
le due macchine che si erano appena infilate tra lui e la macchina
dietro. Nelle pupille gli abbaglianti comparivano ritmicamente.
“Merda!!” esclamò.
Di
tutte le sere che potevi scegliere per rompere Takeshi, proprio
stasera che non sono da solo.
“Cosa
succede?” si sentì chiedere dalla ragazza, che non
tradì una
certa apprensione nella voce.
“Michi
qualsiasi cosa accade, qualsiasi curva o simili cerca di tenerti
forte alla maniglia dello sportello siamo intesi? Purtroppo anche se
non avrei mai voluto che accadesse avrai un assaggio di cosa faccio
nella vita. Altrimenti queste teste di cazzo mi distruggono la
macchina a suon di tamponamenti” rispose in fretta, prima di
chiudere la sicura della macchina e schiacciare il piede
sull'acceleratore dopo aver cambiato marcia.
Solitamente
quelle corse si svolgevano a notte inoltrata, quando la maggioranza
della città dormiva, in modo da non rischiare di colpire
civili che
non c'entravano nulla con la realtà delle corse. In quel
momento
oltre ai suoi inseguitori, avrebbe dovuto prestare attenzione anche
alle macchine normali agli incroci.
Giuro
che appena ti vedo ti rompo la testa a suon di pugni cazzone. Pensò
rivolto al suo rivale di sempre.
Terza.
Quarta. Quinta.
***
Concentrazione
e pupille che viaggiavano tre volte più veloce che la
macchina che
stava guidando, per controllare la posizione dei loro inseguitori
senza rischiare di centrare a quella velocità qualche
passante o un
altro automezzo. Questa era Haruka in quell'istante, non aveva
fino a quel momento potuto vederlo nel fare ciò che gli
piaceva
veramente: correre. L'impressione che ne derivò, tuttavia, e
che la
sua macchina. La loro macchina, in quegli istanti. Fosse quasi
guidata dal vento che ad ella non opponeva nessuna resistenza,
inchinandosi al ritorno di un sovrano rimasto lontano per troppo
tempo.
Certo
lei era abituata a tutt'altre faccende, e in quel momento era tesa.
Tesa quasi quanto le corde del suo amato violino.
Gli
occhi cobalto caddero sulla velocità indicata nel quadrante.
Si
pentì immediatamente della sua curiosità.
Stiamo
andando a centottanta chilometri orari. Un
brivido di paura le corse lungo la schiena a quella constatazione.
Aveva sempre pensato che quelle erano velocità usate nelle
piste,
mai avrebbe immaginato che fossero adatte anche alle strade normali.
Ma si sa, nella vita non si finisce mai di imparare. Decise di
distogliere lo sguardo dalle lancette per preservare la sua
incolumità mentale. In caso contrario avrebbe subito un
attacco isterico.
Le
luci della città erano un tutt'uno ai suoi occhi,
difficilmente
riusciva a distinguere le forme di ciò che superavano. Anche
le
macchine erano pressoché pozze di colore molto simili a
quelle che
spesso utilizzava sulla tavolozza quando dipingeva i suoi quadri.
Sotto i suoi occhi la città appariva in una forma mai vista
prima,
che senz'altro le sarebbe stata utile per una delle sue prossime opere
pittoriche.
Il
cuore le batteva a mille, e anche se avrebbe voluto gridare l'istinto
le suggeriva che era meglio non distrarre Haruka in quelle
condizioni.
I
clacson delle macchine in mezzo alle quali sfrecciavano erano una
musica che accompagnava la loro corsa quasi del tutto costantemente.
Le voci di passanti e guidatori, probabilmente ricche di imprecazioni
erano ai suoi timpani inudibili.
“Cazzo
quell'incrocio” mormorò il biondo improvvisamente.
Lei si voltò a
guardarlo sorpresa, con l'aria probabilmente di chi non sta capendo
nulla della situazione. Cosa aveva quell'incrocio di diverso dagli
altri?
Il
semaforo fu improvvisamente più vicino in pochissimi
secondi. Il
rombo di due macchine provenienti dalla destra arrivò alle
sue
orecchie e a quelle dell'altro immediatamente. Se erano macchine
preparate per correre, o macchine da strada non poteva saperlo.
***
Due
macchine entrarono nella sua vista periferica dandogli giusto il
tempo di sterzare col volante per cercare di non centrarle. Sapeva
che quello scatto così improvviso poteva essere pericoloso.
Ma non
poteva fare altro in quel momento. Il volante girò verso
sinistra, il
lato che vantava le corsie più vuote, tolti i mezzi
parcheggiati
lungo i marciapiedi.
Fu una
questione di pochissimi istanti, le gomme sgommarono lasciando
alcune strisce scure sull'asfalto appena steso, prima di perdere
aderenza.
Il suo
istinto infallibile gli comunicò che era un problema di
posteriore,
ma non ebbe tempo di reagire di conseguenza a causa della
velocità.
Il
tempo sembrò bloccarsi improvvisamente mentre tutto era
fermo, o
così a lui sembrava da sopra quel bolide che stava compiendo
alcuni
giri completi sull'asfalto, fortunatamente senza ribaltarsi. Si
sforzò di mantenere il volante il più in asse
possibile, per
evitare altre complicazioni.
Dai
bella recupera l'equilibrio forza.
Pensò sudando freddo. Alzò gli occhi dal
quadrante dove teneva
d'occhio la velocità da quando aveva compiuto quell'errore.
Buio.
Buio.
Buio.
Odore
acre di fumo alle narici, quasi sicuarmente causato
dall'antigelo
contenuto nell'acqua del radiatore, esploso a causa del colpo.
La
sensazione di una sostanza densa sulla fronte. Le tempie che
pulsavano. Un solo pensiero si impadronì della sua mente.
Michiru.
Se le era
accaduto qualcosa non
se lo sarebbe mai perdonato. Non in quel incrocio, non un'altra
volta. Non poteva accadere nuovamente tutto.
Si
sforzò di aprire gli occhi, temendo la visione che avrebbe
avuto
davanti da quel momento in poi, ma fare lo svenuto era fuori
discussione. Doveva pensare a lei.
La
vide.
Giaceva
quasi inerme sul sedile del passeggero, ricoperti da svariati vetri
provenienti dal vetro anteriore e da quelli laterali. Sul viso e sulle
braccia alcuni tagli da cui si erano formate delle striature rosso
scuro.
“State
bene?” una voce maschile piombò improvvisamente
dietro di lui,
facendolo girare di scatto. Come se fosse sulla difensiva, e
provocando in lui un dolore lancinante al braccio sinistro.
Cazzo
è rotto sicuro.
“ Mi
scusi per la reazione ma pensavo fosse un'altra persona... non so
dove sia il mio telefono adesso se può chiamare un'ambulanza
per
favore..la mia compagna non credo stia bene” disse
istericamente
prima di voltarsi nuovamente verso la violinista. Sapeva che in
quelle situazioni era meglio non spostare l'infortunato senza gli
strumenti necessari per bloccare le articolazioni più
importanti ai
fini vitali. Ma la sensazione di impotenza che lo aveva pervaso era
insopportabile.
***
Il
buio si era impossessato di lei in pochissimi istanti. Alle sue
orecchie era arrivato solo un forte botto prima che tutto si
spegnesse. Non riusciva a rendersi conto del tempo che trascorreva
intorno a lei, nonostante ai suoi timpani arrivassero voci del tutto
sconosciute. Una voce di un uomo vicina al punto dove si trovava,
chiedeva se stavano bene.
Eppoi
la sua di voce. Agitata come non mai che gli rispondeva. La voce
più
bella che avesse mai udito in vita sua. Era preoccupato. Preoccupato
per lei, avrebbe voluto aprire gli occhi e rassicurarlo ma si sentiva
troppo debole e al solo pensiero di compiere anche un piccolo
movimento si sentiva sopraffare da un'immensa stanchezza. Ad ogni
respiro le sembrava di avere una miriade di piccoli aghi nei polmoni.
“Michi
ti prego apri gli occhi” lo sentì mormorare vicino
al suo orecchio
sinistro. “Per favore fallo per me, torna da me”
riusciva a
percepire l'ansia contenuta in quelle parole. E nonostante la
situazione critica, ne rimase colpita. Si conoscevano solo da
pochissimi giorni, eppure lui sembrava tenerci. “Michiru per
favore
non farlo anche tu..non sopporterei anche te... ”
***
Flash
back
Non
appena varcò l'ingresso del reparto di terapia intensiva
l'odore
acre del disinfettante colpì le sue narici. Ormai passava
diverso
tempo in ospedale con suo padre, eppure quell'essenza infastidiva
sempre il suo olfatto come se fosse la prima volta. I suoi occhi
verdi si posarono sul duetto che lo aspettava in fondo al corridoio,
un silenzio quasi surreale aleggiava tra le due brune.
Le
vide voltarsi non appena il rumore dei suoi passi veloci giunsero
alle loro orecchie.
“Haruka
grazie al cielo sei qui” furono le prime parole di Setsuna,
sembrò
tutto ad un tratto più sollevata. Il motivo non era ben
chiaro.
“Come
sta mio fratello?” furono le uniche parole che
riuscì a dire alla
sua amica.
“Buona
sera lei è un familiare?” una voce di un uomo
piombò
improvvisamente alle sue spalle. Indossava un camice.
“Si
il paziente è mio fratello” mormorò
“Posso sapere come sta, per
favore?” chiese all'uomo.
“Suo
fratello al momento è cosciente, ma è molto
grave. Ha entrambi i
polmoni perforati e gli atti respiratori molto
compromessi...bisognerà vedere nelle prossime ore come
evolve la
situazione. Perché nelle sue condizioni tentare un
intervento è
impossibile” rispose il medico “Mi dispiace molto,
ma non sono
molto positivo. Tuttavia se vuole vederlo può farlo, ma non
lo
faccia agitare troppo. Dopo di che indurremo il coma farmacologico
per non farlo soffrire più del dovuto fino a quando non
starà
meglio.”
Quelle
parole gli piombarono addosso come l'acqua fredda. Immaginava fosse
grave ma non fino a quel punto. Sentì un nodo impadronirsi
della sua
gola.
Devo
essere forte, non posso permettere che capisca che le sue condizioni
sono critiche. Non posso. Furono
i suoi pensieri, mentre deglutì. Avrebbe voluto solamente
scappare
da quel posto in quell'istante. Correre lontano, insieme al vento. Ma
non poteva. Doveva permettere a sua madre di riposare, visto che
quella era una delle rare volte in cui anche suo padre riusciva.
Cosa
dirò ad Usagi, come glielo spiego che anche lui è
molto grave. Come
supereremo tutto questo. Respirò
profondamente nel tentativo di calmarsi, consapevole che quando
sarebbe uscito da quella stanza avrebbe trovato le loro amiche pronte
ad ascoltare il suo dolore. Come avevano sempre fatto.
La
stanza assegnata al fratello era coi muri verdolini, molto asettica.
Il rumore dei macchinari che monitoravano le funzioni vitali di lui
rassicuravano quasi nella loro ciclicità. Vide Harumoto
spostare
leggermente la testa per guardare nella sua direzione sotto la
mascherina dell'ossigeno che gli avevano prontamente fatto indossare
i medici. Il ritmo del respiro alterato rispetto alla normale
respirazione, che aveva imparato a conoscere fin da quando dividevano
la culla. Gli si avvicinò per guardarlo meglio negli occhi e
permettergli di parlare senza alzare troppo la voce.
“Come
va?” mormorò.
“Sento
dolori tremendi... ogni volta che.... respiro. E da quanto.... ho
capito i medici ….mi hanno detto che.... devono farmi un po'
dormire.... fino a quando la situazione.... non migliora...”
rispose il ragazzo con difficoltà.
“Si
ho parlato con il dottore, non ti sforzare” gli strinse la
mano
nella sua.
“Senti
Haruka, promettimi che.... qualsiasi cosa... accada baderai... a
Usagi e alla mamma...” lo sentì dire
“Qualsiasi cosa...”
“Perché
dici così?” esclamò senza mettere da
parte l'agitazione “Tu ne
uscirai Harumoto, sarà una cosa lunga ma ne uscirai, abbiamo
bisogno
di te.. la mamma, Usagi, papà...io sopratutto...vedrai che
tornerai
a casa..devi” tutto ad un tratto un brutto presentimento le
sfiorò
la mente, una sensazione devastante. Che non sarebbe mai riuscita a
controllare.
“Non
credo Haruka...ma devi essere forte..promettimelo” furono le
sue
parole di incoraggiamento. Ma quale forza? Era suo fratello la sua
forza, solo lui oltre al vento aveva la capacità di
completare il
suo essere. I pensieri provocati dalle parole di lui furono
interrotti dal fischio continuo della macchina che monitorava il
battito cardiaco sulla quale era comparsa una riga piatta.
I
passi affrettati del medico con cui aveva parlato poco prima giunsero
alle sue orecchie seguiti da quelli delle infermiere che se ne
occupavano.
“Harumoto
no, non mi lasciare!!” gridò prima di sentire la
presa di una
delle infer
miere
sul suo braccio “La prego di uscire, faremo tutto il
possibile per
riprendere suo fratello ma attenda fuori”
***
“Michiru!
Michiru!” le lacrime gli rigavano il volto, tutta quella
situazione
era un tremendo dejavù. Si era già trovato in una
situazione simile
anni prima e non si era risolta nel migliore dei modi. E se fosse
andata nello stesso modo anche quella volta non sarebbe riuscito a
incassare il colpo. Troppe persone a cui teneva lo avevano lasciato.
E ogni volta non era più stato lo stesso senza di loro.
Il
suono di un ambulanza che sembrava muoversi nella loro direzione
entro nelle sue orecchie, facendogli in parte tirare un sospiro di
sollievo. Anche se lo avevano afferrato per scortarlo lungo un
sentiero di ricordi lontani.
“Haru...”
la voce della violinista si insinuò improvvisamente nei suoi
pensieri riportandolo con i piedi sulla terra ferma. L'espressione
della ragazza era sofferente, troppo per i suoi gusti.
“Come
ti senti..” era una delle domande che temeva di
più, non gli era
mai piaciuta in passato. E quel momento non era da meno.
“Nausea..mal
di testa.. quando respiro sto malissimo...” si sforzo di
rispondere
lei.
“Senti
qualcosa di rotto?” mormorò il biondo.
“Mi
fa male forte solamente il polso, e non ho per nulla voglia di
muoverlo” rispose la musicista.
“Andrà
tutto bene vedrai” non sapeva più che altro se
quelle parole erano
per rassicurare lei, o invece erano state pronunciate nel tentativo
di convincere se stesso. L'unica cosa certa e che l'arrivo
dell'ambulanza lo aveva reso molto più tranquillo.
Note dell'autrice:I sintomi che accusa Michiru
sono stati cercati su internet, spero siano esatti e mi scuso se tra
voi lettori c'è qualcuno che ha studiato medicina.
|
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Capitolo 16 *** Tra passato e presente ***
Note dell'autrice:
Scusate per il ritardo, ma salvo cambiamenti i tempi di aggiornamento
potrebbero rimanere questi, circa uno al mese. Vi auguro
buona Domenica e sopratutto buona lettura!
16^Capitolo:
Tra passato e presente
La
corsia dell'ospedale era
immersa nel più totale silenzio, quella situazione era quasi
surreale. E anche se non avrebbe mai voluto, gli sembrò di
vivere un
deja-vu. Il pensiero di quella dannata notte di qualche anno addietro
tornò prepotente in lui. E le circostanze in
realtà molto simili
non lo aiutavano affatto. L'ambulanza era arrivata in tempi
relativamente brevi, e i soccorritori dopo aver tirato fuori Michiru,
l'avevano messa su una barella immobilizzandole il collo. Procedura
necessaria quando vi era un sospetto di trauma cranico, e i sintomi
caratteristici della patologia c'erano tutti. Per sapere quanto fosse
grave però avrebbero dovuto aspettare il risultato degli
esami.
Arrivati
in ospedale l'aveva
potuta accompagnare fino all'ingresso del reparto di terapia
intensiva, poi i medici lo avevano costretto a rimanere fuori, in
attesa di notizie. Da quel momento erano passati esattamente novanta
minuti, aveva la sensazione che il tempo si fosse fermato. Le
lancette dell'orlogio appeso al muro di fronte, tuttavia,
funzionavano e anche bene.
Cazzo
di orologio, il
tempo passa e qua nessuno si fa vivo. Se le succede qualcosa io...
Scosse
violentemente la
testa nel tentativo di scacciare quell'ipotesi.
Un
rumore di passi solleticò
il suo condotto uditivo, cadenze che conosceva fin troppo bene visto
che con loro aveva passato intere serate. Le sue iridi verdi si
posarono sul trio che avanzava nel corridoio verso di lui, le aveva
chiamate non appena era arrivato in ospedale. Erano le uniche che
avrebbe accettato di avere vicino in quei momenti. Sua madre avrebbe
solo iniziato a fargli la predica su cosa e chi aveva causato
l'incidente. Ed erano le uniche cazzate che non voleva sentire:
probabilmente quella volta la colpa era solamente sua, e di nessun
altro. Sua e dell'impulsività che lo contraddistingueva e
che ogni
tanto emergeva facendogli combinare danni potenzialmente
irreparabili.
Se
a Michiru dovesse
succedere qualcosa a causa mia...se per colpa di quella fottuta gara
lei non ci fosse più ...
"Cosa
è successo?"
la voce di Setsuna interruppe il flusso dei pensieri di lui
improvvisamente. Come se in realtà si fosse estraniato dal
mondo
circostante, per essere riportato brutalmente a terra dalla voce
della ragazza.
"Non
lo so, stavo
sfuggendo a Takeshi.. siamo arrivati all'incrocio eppoi non ho capito
più niente, ci siamo trovati una macchina che viaggiava ad
alta
velocità da destra o sinistra ora non ricordo bene..ho
cercato di
schivarla e il risultato e che ho perso aderenza..." mormorò
il
biondo.
"Takeshi?
Ma sei sicuro
fosse lui?"mormorò la bruna con un espressione incredula.
"Ti
rendi conto di che
casino hai combinato? Ora i Kaioh vi rovinano e vi sbattono sotto un
qualsiasi ponte, se vi va bene."esclamò Rei preoccupata per
la
sorte della famiglia di lui.
"Non
dire sciocchezze
Rei, al massimo distruggono la mia carriera da automobilista, e a
riguardo sai benissimo come la penso.." tagliò corto. Non
poteva nascondere che quell'ipotesi non lo avrebbe di certo fatto
dispiacere. Se lui correva, in fondo, era solamente per fare un
piacere alla sua famiglia, per continuare a mantenerla. Ma non era la
vita che desiderava, non lo era mai stata.
"Non
ne sarei molto
sicura, gli aristocratici possono ottenere tutto ciò che
vogliono"
mormorò Hotaru pensierosa "Ti hanno detto come sta?"
chiese.
In
quell'istante nuovi passi
risuonarono nel corridoio, questa volta però non avevano
nulla di
particolarmente famigliare ai suoi timpani.
"Hai
idea di chi è
quello?" bisbigliò Setsuna. Il biondo volse lo sguardo nella
direzione indicatogli dalla bruna, e i suoi occhi si posarono su una
figura maschile slanciata e già vista per puro caso qualche
giorno
prima.
O
no, sto coglione qua
no. Chi lo ha avvisato? Quei capelli neri tirati in un
codino e
quella camminata, sebbene lo avesse visto di striscio solamente una
volta, erano ben impressi nella sua mente.
"Si
Sets... è uno che
ci prova con Michiru, ma lei non sembra troppo entusiasta delle sue
attenzioni" spiegò senza togliere lo sguardo dal nuovo
arrivato. Non aveva mai visto una persona più viscida di
quel
soggetto in tutta la sua vita. Spocchioso e arrogante, era stato
cresciuto con tutti gli agi. Viziato da mamma e papà fino
all'inverosimile.
In
quel momento il dottore
che era entrato nel reparto in compagnia della violinista fece
capolino dalle porte, poteva essere coetaneo di sua madre, lo sguardo
severo e distaccato di chi ha già visto troppo durante lo
svolgimento delle sue mansioni lavorative.
"Chi
di voi è Kou?"
chiese l'uomo scrutando il quartetto.
***
"Sono
io dottore mi
dica, i genitori della ragazza sono fuori città per un tour
ma sono
già stati avvisati nonostante l'ora tarda e rientreranno nel
più
breve tempo a loro concesso. Intanto mi hanno dato il permesso di
informarmi delle sue condizioni di salute." rispose all'uomo. Lo
sguardo si posò sul trio seduto a lato del corridoio, non
ebbe
nessuna difficoltà nel capire chi di loro era Haruka. Non
gli fu
nemmeno difficile capire il motivo della cotta che aveva preso
Michiru nei suoi confronti, totalmente ignara del fatto che quello
che a tutti sembrava un giovane uomo, in realtà fosse una
donna. I
suoi occhi neri si incrociarono con quelli verdi dell'altro.
"Mi
segua all'interno
signor Kou" si sentì dire dall'uomo.
"Possiamo
parlare pure
qua dottore, credo che le amiche di Michiru
abbiano diritto di
sapere in che condizioni versa" rispose.
"Come
vuole, la
paziente nell'incidente ha subito un trauma cranico piuttosto
importante, e non essendoci rotture dello strato epidermico deve
essere tenuta in osservazione almeno fino a domani per intervenire
nel caso insorgano complicazioni. È stata effettuata anche
una tac
in modo da avere un quadro completo ma per i risultati ci
vorrà un
pò. Non oltre la mattinata comunque.." spiegò
rivolgendosi al
gruppo.
"Dottore"
la voce
femminile di un'infermiera lo interruppe "La paziente ha ripreso
conoscenza, ha chiesto di un certo Haruka" disse. La ragazza
aveva gli occhi color cioccolato e i capelli biondo cenere, indossava
l'uniforme di servizio che tuttavia fasciava splendidamente le sue
forme.
Giustamente
chiede di lui
e nemmeno di me. Quella
constatazione gli provocò un leggero nervoso, che decise
comunque di
tenere per se: presto o tardi avrebbe avrebbe chiuso quella
situazione del tutto surreale. E i Kaioh avrebbero avuto pane da
mordere per i loro denti.
***
Flash
back
La
stanza in cui fu
accompagnato aveva i muri candidi e il pavimento grigio antracite,
l'odore di disinfettante rispetto al corridoio persisteva in
quantità
maggiori. Al centro delle quattro mura i suoi occhi verdi si posarono
su colui che era sdraiato quasi inerme sul letto. Intorno macchinari
sconosciuti registravano i parametri vitali del paziente ad ogni suo
faticoso respiro. Vedere Harumoto in quelle condizioni
provocò un
nodo alla gola difficile da ricacciare indietro, e non era nemmeno
sicuro che fosse la cosa giusta relegarlo nello stomaco.
Il
fratello volse appena il
capo nella sua direzione facendogli lieve cenno di avvicinarsi.
"Come
ti senti?"
gli chiese. Era una domanda sicuramente stupida, perchè era
palese
lo stato del fratello. Forse era solo un tentativo di sfuggire alla
dura realtà.
"Mi
sento come ...se mi
fosse..passato..sopra ...un camion" fu la risposta del ragazzo
attravverso la mascherina dell'ossigeno. "Haruka... credo che
sta volta non uscirò da qua... " continuò.
"Ma
non dirlo nemmeno
per scherzo!!" esclamò "Vedrai che andrà tutto
bene i
medici faranno il possibile per sistemare tutto, a casa abbiamo
bisogno di te, sai benissimo che stiamo passando un brutto
periodo..papà non sarà con noi ancora per troppo
tempo. Non puoi
abbandonarci anche te" nel dire ciò si dimenticò
quasi di
prendere fiato. Deglutì rumorosamente nel tentativo di
ricacciare
dentro le lacrime. Era forte. Non doveva piangere. Il suo tentativo
non andò a buon fine: piccoli rivoli d'acqua ne rigarono le
guance
senza la possibilità di essere fermati.
"Haru..
per favore
...non rendere tutto più difficile... serve che tu non perda
lucidità a casa..hanno bisogno di te... promettimi solo che
ti
occuperai sia della mamma che di Usagi...promettimi che farai di
tutto...per renderle felici...anche dopo che papà non ci
sarà
più..." un debole sospiro uscì dalle sue labbra.
"Non
ti prometto nulla
perché verrai a casa con me... devi venire a casa con tutti
noi!!!"
la disperazione che sentiva crescere dentro era più grande
di quanto
era convinto potesse sopportare. La situazione del padre era
già
abbastanza, non era sicuro di poter reggere anche quel nuovo ostacolo
che il destino aveva scelto di porre davanti alla sua famiglia.
Un
improvviso fischio si
librò da uno degli strumenti di monitoraggio delle funzioni
vitali,
i suoi occhi verdi colmi di disperazione si posarono sul quadrante
del cardiografo sul quale la linea a zig-zag improvvisamente era
diventata piatta.
Non
ci volle molto tempo
prima che nella camera piombasse il medico seguito da due infermiere.
Una di queste, la più anziana, gli si avvicinò
con fare tranquillo.
"Forse
è meglio che
esci dalla stanza" le parole dell'infermiera dal volto rotondo e
paffutto incorniciati da capelli tendenti al grigio risuonarono in
lui come un eco lontano. Improvvisamente le sue gambe sembravano
fatte di piombo, ed era convinto che anche un solo passo gli sarebbe
costato immensa fatica. Si limitò a guardare la donna che
ricambiò
lo sguardo a sua volta con un espressione dolce e comprensiva di
quelle che potevano essere le sue sensazioni in quel momento.
Non
riuscì a dirle nemmeno
una parola. Sapeva che doveva concentrare le uniche forze celebrali
che gli rimanevano per riuscire a varcare la porta di quella stanza e
uscire dal reparto in attesa che gli facessero sapere qualcosa.
Come
unico accompagnamento
il rumore proveniente dal cardiografo.
***
Scosse
la testa come se
volesse scacciare una fastidiosa zanzara: vano tentativo di
rinchiudere i pensieri nel pozzo in cui li aveva riposti anni prima
per sfuggire alla presa soffocante del dolore che aveva provato e
sentito mentre era cosciente che suo fratello stava volando via e che
nessuno, nemmeno i medici, avrebbe potuto salvarlo. E ancora
pensò a
come quegli eventi si stavano ripetendo quella stessa notte, la
similarità tra passato e presente lo spiazzava come poche
cose prima
d'ora.
No
questa volta andrà
tutto bene, me lo sento.
Pensò
tra se e se. Il solo pensiero di perdere anche lei era
insopportabile. Era convinto che se lei se ne fosse andata, non
avrebbe avuto remore a seguirla, per le sue amiche poteva sembrare un
qualcosa di esagerato. Magari anche di incomprensibile, in fin dei
conti lui la violinista la conosceva da poco. Non avevano nemmeno
tutti i torti a pensarlo. Ma era ciò che gli sembrava
più giusto
fare, piuttosto che vivere una vita in cui era imprigionato.
Le
pareti del corridoio
erano bianco candido, hai lati dello stesso erano presenti sedie per
i visitatori e i vari carrelli con i medicinali e le terapie
necessarie per salvaguardare la salute dei pazienti ospitati in quel
reparto.
Al
suo ingresso nel
corridoio la giovane infermiera gli aveva fatto segno di andare fino
in fondo al corridoio per poi girare a destra. E il corridoio per
quanto stesse procedendo con passo svelto, sembrava interminabile.
***
Le
sue orecchie abituate a
captare qualsiasi rumore nell'ambiente circostante riconobbero subito
la cadenza del passo familiare che l'aveva accompagnata per alcune
ore nei giorni precedenti. Sapeva che lui non se ne sarebbe andato
prima di aver avuto la possibilità di vederla e parlarle.
Così come
sapeva che una volta saputo tutto, i suoi genitori non le avrebbero
mai permesso di continuare a vederlo. E all'idea si sentì
soffocare.
Fu costretta a chiudere gli occhi e respirare una grande
quantità di
ossigeno nella mascherina, non che avesse bisogno della respirazione
assistita, però in quel momento l'ossigeno le
tornò stranamente
utile.
Vai
a capire sti medici,
sto fin troppo bene per quanto mi riguarda.
L'unico
fastidio che
avvertiva era un dolore alla testa quasi permanente che si protendeva
fino alla cervicale per poi scendere sulle spalle. Qui aumentava e
diminuiva al ritmo del respiro.
Non
appena lo vide
sull'uscio della sua stanza, nonostante il viso segnato da qualche
graffio, ebbe come la sensazione di aver visto già tutto
ciò che
gli serviva nella vita. La sua presenza in quella stanza la
rincuorò,
sebbene a pelle sentiva il disagio e il turbamento di lui. Lo
fissò
quasi curiosa mentre lui le si avvicinava.
"Come...come
stai?"
gli chiese, deglutendo rumorosamente un attimo dopo.
"Dolori
vari a parte,
direi piuttosto bene...sto aspettando i risultati della tac per
scongiurare la presenza di lesioni importanti" gli rispose.
"Son
contento che non
stai troppo male" mormorò lui, leggermente più
sollevato.
"Volevo
chiederti
scusa, sono stato stupido ad accogliere la sfida di quel
coglione...avrei potuto farti morire... per colpa della mia
impulsività" la voce gli si incrinò. L'udito di
lei captò
immediatamente il cambiamento, a vederlo in quello stato le
dispiacque.
"Non
preoccuparti, non
potevi immaginare che sarebbe finita così" cerco di
rassicurarlo. Anche se il suo sesto senso capì che il suo
dispiacere
in parte derivava da qualcosa a lei totalmente sconosciuto, il
problema era capire cosa. Lo osservò attentamente. Il volto
contratto come a trattenere le lacrime, gli occhi lucidi e
leggermente arrossati dalla stanchezza, le spalle basse.
L'atteggiamento spavaldo che era abituata a vedere in lui da sempre
era in quel momento un lontano ricordo.
No
tu non stai affatto
bene, fai solamente finta. Ma dentro hai una voragine. Probabilmente
siamo più simili di quanto pensassi.
"Ti
hanno già detto
per quanto tempo ti tengono ricoverata?" si sentì chiedere
con
tono apprensivo.
"Non
ancora, credo
comunque due o tre giorni, in tempo necessario per accertarsi che io
stia veramente bene, visti i dolori che ho di cui sono a conoscenza"
gli spiegò "Haruka lo sai vero che ora i miei genitori
scopriranno tutto e non so come andrà a finire? Non so se mi
daranno
il permesso di vederti? Loro sono a favore di Seiya anche se io non
lo sopporto proprio ultimamente, non è lui quello che cerco"
il
solo nominare i genitori la fece agitare, impedendole di respirare
bene come aveva fatto fino a quel momento a causa dei dolori costali.
"Lo
so Michi, ma ti
prometto che un modo lo troveremo comunque anche se loro non saranno
d'accordo" disse il biondo sorridendole.
Una
terza persona bussò
allo stipite della porta, facendola voltare in quella direzione, era
una delle due infermiere del reparto. L'unica che aveva avuto
già
modo di conoscere da quando era arrivata in quella stanza ed aveva
ripreso conoscenza. Corporatura robusta e capelli raccolti in una
coda.
"Mi
scusi se la
interrompo, ma devo tutelare il benessere della nostra paziente, e le
devo chiedere di uscire per farla riposare" disse la donna
dagli occhi castani.
"Non
si preoccupi esco
subito il tempo di salutarla" fu la risposta del motociclista.
L'interlocutrice annuì per poi sparire nel corridoio.
"Meglio
che io vada, ci teniamo in contatto, nella tua borsa c'è il
cellulare ti scrivo li appena mi sveglio. Quando vado a casa cerco di
dormire un pò anche se sarà difficile. Ormai ho
perso il sonno"
"Aspetto
che mi scrivi
allora" mormorò la violinista, oggettivamente si sentiva
piuttosto stanca e debilitata, in fondo anche quando suonava a
qualche concerto, a quell'ora dormiva ormai da un pezzo.
"Buona
notte Michi"
furono le ultime parole di lui, prima che egli si abbassasse per
darle un bacio sulla fronte e dirigersi verso l'uscita del corridoio.
***
Flash
back
Alla
fine del corridoio
trovò le loro amiche di sempre ad aspettare. Sui loro volti
i segni
dell'angoscia che la faceva da padrone in quei terribili momenti.
Appena riconobbero il suo passo stanco alzarono lo sguardo su di lui.
"Allora?"
era
Setsuna, nonostante tutto trovava ancora la forza di chiedere, di
continuare a sperare che tutto si risolvesse per il meglio.
Continuare a sperare che Harumoto tornasse con loro a casa prima o
poi, con le proprie gambe. Magari con qualcosa di ingessato ancora,
ma vivo e vegeto.
Si
limitò a scuotere la
testa senza riuscire a dire nulla, mentre le lacrime tornarono
copiose a segnarne il volto.
"Che
vuol dire Ruka?"
esclamò lei, quasi incredula. Non poteva credere a
ciò che quel
modo di comportarsi della persona davanti a lei stava a significare.
O forse non voleva?
"Il
cardiogramma ha
smesso di segnare battito mentre ... mentre ero
dentro....stanno...stanno cercando...di riprenderlo..." disse,
immerso nel pianto. Pochi istanti dopo fu avvolto dal profumo che
sprigionava la chioma nera dell'amica che si era alzata di getto per
abbracciarlo.
"Andrà
tutto bene
vedrai, riusciranno a farlo stare bene" il tentativo dell'amica
di consolarlo, si rivelò essere vano. Non voleva sentire
nient'altro
che il medico che gli dicesse che suo fratello stava bene. In fondo
al cuore però, era conscio che ciò non sarebbe
mai avvenuto. Lui ed
Harumoto erano connessi da un legame viscerale fin da quando era
venuto al mondo. Non si erano mai staccati, e spesso erano capaci di
finire le frasi iniziate dall'altro. Erano in grado di avvertire il
disagio e il dolore reciproco senza il bisogno di particolari parole.
E
anche quella volta le
sensazioni che si erano impadronite di lui erano fin troppo chiare.
Troppo nitide per poter far pensare a qualcosa di positivo. E lui era
stato forte a lungo, e in quel momento era consapevole che sarebbe
crollato, il fiume del dolore aveva rotto la diga dietro alla quale
lo aveva rinchiuso da troppi mesi ormai.
"Chi
di voi è parente
del paziente?" la voce del dottore interruppe il loro discorso,
costringendo tutti a voltarsi nella stessa direzione.
Haruka
si voltò senza
allontanarsi troppo dalle loro amiche. Aveva bisogno di loro, il viso
del dottore parlava fin troppo chiaro. E non era nemmeno sicuro di
voler sentire cosa aveva da dire loro. Non era sicuro nemmeno di
voler avere il compito di dover chiamare i suoi genitori per dare la
triste notizia. In quel momento avrebbe voluto semplicemente scappare
lontano, come unica consolazione il vento sulla pelle. Ciò
che ci si
sarebbe aspettato da lui da quel momento in poi sapeva non essere
ciò
che in realtà avrebbe voluto.
Il
dottore si avvicinò al
trio molto lentamente, più volte nella sua lunga carriera
era stato
costretto a dare tristi notizie ai parenti dei propri ricoverati.
Ormai era abituato a quel genere di incombenze che facevano parte del
ruolo che ricopriva. Eppure quando si trattava di giovani vite, era
sempre più difficile che in altre situazioni parlare con chi
rimaneva al mondo. Forse perchè anche lui era padre, e
quindi poteva
benissimo immaginare il dolore che andava a infliggere alle persone.
Ad intere famiglie. O forse perchè, anche lui per altre
cause aveva
perso il fratello in giovane età. E doveva colmare ancora
quel
vuoto, nonostante era riuscito a formare una bellissima famiglia. Con
due bambini.
"Abbiamo
fatto il
possibile... ma il cuore non ha ricominciato a battere....mi
dispiace... se vuoi chiamo io i vostri genitori...." disse. Era
inutile cercare le parole migliori, perchè di parole belle e
dolci
per certi messaggi non ne esistevano.
I
singhiozzi del biondo
aumentarono a dismisura mentre la bruna tornò ad
abbracciarlo,
sovrastata anche lei da un pianto silenzioso. La focosa Rei, invece,
si lasciò cadere sulla sedia. Il volto tra le mani. Senza
sapere
cosa aggiungere. "Mi faccia sapere se devo fare io la
telefonata... vi lascio da soli per un pò" disse l'uomo,
prima
di ritirarsi. Aveva tante carte da firmare per il decesso.
***
Cacciò
indietro i ricordi
nel momento esatto in cui vide Seiya fissarlo con insistenza mentre
percorreva l'ultimo tratto di corridoio prima di uscire dal reparto. La
sua mente quella sera gli stava giocando dei brutti scherzi. I
pensieri volavano alla morte del fratello, e non riusciva a essere
sollevato dopo aver constatato di persona che la violinista stesse
tutto sommato bene vista l'entità dell'incidente che avevano
avuto.
La
presenza poi del bruno lo
innervosiva ancor di più. A pelle senza nemmeno sapere
perchè, il
suo istinto sembrava volergli comunicare che egli fosse una minaccia.
"Come
sta?" era
proprio l'oggetto delle sue silenziose considerazioni ad aver
parlato. A malincuore fu costretto a rispondere.
"Bene
solo qualche
dolore diffuso e ora sta aspettando i risultati della tac per vedere
se c'è qualche danno celebrale o altrove, come ha
già detto il
medico che si sta occupando del suo caso" rispose.
"Dai
è una bella
notizia no?" esclamò allegra Setsuna. Allegria sincera, era
consapevole che anche lei era stata in pena per la violinista.
"Si
direi di si"
mormorò lui, avrebbe voluto abbandonare l'ospedale in quel
preciso
istante per cercare di distrarsi e allontanare i brutti pensieri
evocati dall'incidente di qualche ora prima. "Comunque i medici
hanno detto di lasciarla riposare quindi non credo che ti facciano
entrare in questo momento" continuò rivolgendosi al bruno.
Non
appena tutto si fosse
risolto, sarebbe andato da colui che aveva causato loro l'incidente
sfidandolo nella corsa. E lo avrebbe fatto rimpiangere di averci
provato. Takeshi come spesso accadeva era forte se preso in gruppo,
col suo branco. Ma da solo valeva meno di zero, e ne aveva avuto la
conferma svariate volte.
E
lui, sapeva benissimo dove
trovarlo da solo.
"Sarà
meglio che vai a
farti medicare quel brutto taglio, caso mai poi ti rimane la
cicatrice sulla fronte non credi?" disse Setsuna.
"Lo
posso far fare
tranquillamente da mia madre a casa, non importa non è
urgente poi
più tardi la chiamo e la faccio venire" mormorò
lui.
Un
cellulare ruppe il
silenzio del corridoio.
***
Il
suono del suo cellulare
giunse alle sue orecchie, tirò fuori dalla tasca lo
smartphone e
lesse il nome sullo schermo.
I
genitori di Michiru.
Pensò.
"Pronto"
rispose,
cercando di mantenere un tono normale, nonostante la stanchezza.
"Seiya
ciao, ci sono
novità? Michiru come sta?Hai saputo cosa è
successo?" era la
madre della musicista. Il tono della voce era apprensivo e
preoccupato, era la prima volta che la sentiva così in ansia
per la
figlia. Di solito era già tanto che le desse il buongiorno
al
mattino.
"Michiru
sta bene,
stanno aspettando i risultati della tac per escludere il trauma
cranico o qualsiasi altro trauma a carico degli organi interni"
spiegò lui conciso "E a quanto pare sua figlia era in giro
con
un bulletto di quartiere che si diverte a fare le corse clandestine
quando hanno avuto un incidente" si premurò a dire
sorridendo
soddisfato mentre era volto verso la finestra, dando le spalle alla
gentaglia di basso borgo che condivideva il corridoio con lui.
"Ma
come è possibile?
Ma sei sicuro? Non ti sei accorto che era uscita?" chiese la
donna sconcertata, forse anche adirata per il comportamento
disdicevole della sua primogenita.
"Certo
signora,
sicurissimo. E non mi sono accorto di nulla poichè mi
è stato detto
che era andata a dormire" rispose tranquillamente lui. In fondo
era la verità, ma aveva come l'impressione che al ritorno
dei
coniugi l'organico della villa sarebbe cambiato drasticamente.
"Noi
stiamo per
partire, abbiamo annullato il concerto rimanente, in tarda mattinata
o massimo nel tardo pomeriggio dovremmo essere in ospedale, mi
raccomando cerca di prendertene cura tu. Quando veniamo provvederemo
a prendere i provvedimenti necessari nei confronti di Michiru e di
chi doveva tenerla d'occhio" la voce questa volta era tornata
quella autoritaria di sempre.
Bene
la coppietta felice
presto scoppia. E non sarà solamente colpa mia.
***
L'udito
fine di Ten'o non
potè far a meno di ascoltare le parole del giovane rampollo
della
capitale. Avrebbe dovuto farsi gli affari suoi, ma dopotutto lui era
un rivale. E doveva prevedere le sue mosse per cercare di strappargli
Michiru da sotto il naso.
Come
fa a sapere che
abbiamo avuto un incidente durante una corsa clandestina, se nemmeno
ha parlato con la polizia?
Fu
il primo pensiero del
biondo. Quella frase da parte dell'altro non tornava, era impossibile
che lui sapesse già tutto, dato che nemmeno i vigili avevano
ancora
pensato a quell'ipotesi. Dopotutto la Kaioh non era persona da uscire
con chi si guadagnava da vivere in quel genere di corse.
"Qualcosa
non va?"
mormorò Hotaru, notando l'espressione pensierosa sul volto
di lui.
"Qualcosa
non mi
convince in tutta sta storia, ma meglio parlarne poi in seguito e non
qui" rispose lui "Sarà meglio che andiamo a casa,
è quasi
l'alba e abbiamo bisogno di riposare, anche perchè non credo
che
questa storia finisca qua" concluse.
"Direi
di no, faranno
di tutto per schiacciarti lo sai..." questa volta era Rei.
"Lo
so, ma attendo le
loro mosse in primis, eppoi mi muoverò di conseguenza,
inutile
pensarci in questo istante".
Tuttavia
per sicurezza
avrebbe contattato il suo avvocato per avvisarlo
nell'eventualità
che avesse avuto bisogno di lui.
"Buona
giornata!"Esclamò in direzione di Seiya, più per
educazione
che altro. Se avesse potuto lo avrebbe gonfiato come un tamburo, ma
in quel momento non gli sembrava il caso: avrebbe aggravato la sua
situazione e non era affatto necessario.
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Capitolo 17 *** Amare verità e pesanti silenzi ***
Note dell'autrice:
Dopo non so quanto sono riuscita ad aggiornare, eccovi il 17^ capitolo,
la prima pubblicazione per questo nuovo 2016 ( colgo l'occasione per
farvi gli auguri). Spero che vi piaccia, e come sempre i commenti anche
in privato sono ben accetti. Vi aguro buona lettura e vi
segnalo la mia pagina FB: Arwen297
EFP e il gruppo su FB non ufficiale di questo fandom su EFP:
~
Noi, del Fandom Sailor Moon su EFP ~
17^Capitolo:
Amare verità e pesanti silenzi.
"Mamma
stai tranquilla
sto bene, l'incidente è stato piuttosto grave ma non ho
niente di
serio" esclamò con tono esasperato. Sua madre aveva saputo
dell'incidente dai telegiornali. I quali avevano omesso il nome della
seconda persona presente nell'abitacolo, sicuramente dopo grosso
compenso da parte di chi era interessato a mantenere il silenzio
stampa. Poteva aspettarselo, stava parlando di una giovane esponente
dell'alta società mica dell'ultimo clochard di periferia. Il
non
sapere più notizie di lei, però, era qualcosa di
insopportabile.
Stava andando fuori di testa.
"Chi
c'era con te in
macchina? Hanno parlato di due persone, ma hanno detto che la seconda
non è stata identificata ancora" il tono della donna era
preoccupato.
"Sta
bene, ma se i
giornali non hanno divulgato il suo nome è meglio che non lo
faccia
nemmeno io perché potrebbe non essere gradito da alcune
persone
questo mio gesto" rispose cercando di apparire tranquillo,
quando in realtà non lo era.
"Chi
non potrebbe
gradire? Haruka, se hai pestato i piedi a un membro della Yakuza ...
santo cielo! Ti ho sempre raccomandato di stare all'occhio..."
la voce femminile nella cornetta sembrava una mitragliatrice in preda
ad un attacco di isterismo acuto. E i pensieri che componeva il
cervello della donna erano totalmente fuori strada.
"Mamma
d'accordo che
sono una testa di cazzo, ma non lo sono fino a quei punti, loro non
c'entrano. Non ci ho mai avuto a che fare e mai lo farò. Sei
totalmente fuori strada, solo queste persone si possono permettere di
comprare i giornalisti per tenere il segreto stampa tutto qua, ed
è
frustrante per me questo. Perchè non riesco a mettermi in
contatto
con lei, e non ho idea di come stia. Se non ti dispiace ora vorrei un
pò riposare non riesco a chiudere occhio da tanto" omise il
fatto che gli occhi li chiudeva, ma i suoi sonni erano tormantati dai
peggiori incubi che avesse mai avuto. E tutti avevano come
protagonisti due persone: suo fratello e Michiru. Nel sogno si
sovrapponevano quasi. Ma se voleva riuscire a reagire e a trovare una
soluzione, doveva rimanere il più lucido possibile. Doveva
capire
come agire per far uscire la verità, difficilmente il suo
sesto
senso sbagliava.
"Aggiornami
su come si
evolvono le cose, ti saluta Usagi, poi scrivile che è
preoccupata"
si congedò la donna.
Grazie
al cielo ha
riattaccato. Non ne potevo proprio più delle sue cazzate. A
Usagi
scriverò più tardi.
L'unica
cosa che gli
importava davvero era ricevere notizie dalla violinista, e nel tardo
pomeriggio avrebbe fatto in modo di trovare l'escamotage adatto alla
situazione.
***
Le
sue condizioni si erano
stabilizzate velocemente e successivamente avevano iniziato a
migliorare iniziando la corsa per la guarigione. Dopo che Haruka era
andato via si era addormentata profondamente anche grazie alla
sonnolenza provococata da alcuni farmaci che le erano stati
somministrati. Al suo risveglio non aveva più trovato lo
smartphone
che fino a poche ore prima era sul suo comodino. Impossibilitata ad
alzarsi per via delle flebo a cui ancora era collegata, si era
rassegnata a farselo dare da chiunque fosse entrato nella sua stanza
in seguito. Qualcuno le aveva portato anche dei libri, sicuramente
era stato Seiya. Era troppo presto per il rientro dei suoi genitori,
sempre che fossero stati avvisati. Lei, ovviamente, sperava di no.
Qualcuno
bussò all'ingresso
della stanza, strappandola brutalmente alle elecubrazioni mentali.
Sperava fosse l'infermiera, o al massimo sperava fosse il
motociclista. Attese che furono immediatamente rese vane non appena
la porta fosse abbastanza aperta da permetterle di vedere una figura
maschile dai lunghi capelli neri.
Di
tutte le persone che
avrei voluto vedere, proprio l'unica che poteva starsene a casa sua.
Gli
occhi cobalto si
fermarono sulla cartellina arancione che il ragazzo stringeva
accuratamente al petto. Il suo contenuto sembrava molto prezioso, e
sopratutto consistente visto lo spessore.
"Come
stai?"
furono le prime parole di lui mentre si accomodava sulla poltrona
accanto al suo letto.
"Bene"
Se non
arrivavi tu probabilmente molto meglio. Si trattenne appena
dal
dare voce ai suoi pensieri. Dopotutto le era stata impartita un certo
tipo di educazione.
"Son
contento di
questo" rispose il moro " devo parlarti a proposito di
quell' Haruka per il quale hai perso la testa a tal punto da scappare
di casa alla notte, tenendo un profilo che non si addice a una
giovane con il tuo stato sociale"
"Seiya
mi bastano già
i miei genitori che mi fanno le prediche, non ti ci mettere anche tu
per cortesia. Qualsiasi cosa mi dirai sul suo conto a me non cambia,
anzi!" esclamò innervosita. Se intendeva metterle i bastoni
nelle ruote non aveva proprio capito nulla. Non glielo avrebbe
permesso.
"Aspetta
per dirlo
bellezza, che qui dentro ci sono informazioni che scottano, di cui i
tuoi genitori ovviamente sono già a conoscenza. Sono
arrivati in
città qualche ora fa, e posso dirti che non hanno preso bene
questa
faccenda. E hanno deciso di rinnovare i servi della villa. Come avrai
notato si sono presi anche il tuo telefono. Tra circa un'ora mi hanno
detto che verranno a farti visita per parlarti" spiegò lui
"Tuttavia ho fatto qualche ricerca sul tuo Haruka" si sentì
rispondere.
"Che
genere di
ricerche?" mormorò lei, non sapeva se fidarsi o meno di
ciò
che il suo interlocutore le stava per dire.
"Ho
chiesto a mio papà
di informarsi su questo tizio, di mia iniziativa" le spiegò.
"Come
scusa? Ma come ti
sei permesso!! E chi te lo ha chiesto???" le infermiere le
avevano detto di stare il più tranquilla possibile. Ma come
avrebbe
potuto rimanere tranquilla davanti a quel pallone gonfiato.
"Nessuno
figurati, mia
semplice curiosità, giusto per capire che cosa poteva avere
un
individuo simile a differenza mia, e sai è bastato fare
qualche
ricerca e tutto mi è stato più chiaro"
Alla
violinista non sfuggì
il ghigno che si dipinse sulle labbra di lui, come se godesse della
rivelazione che stava per farle. Come se sperasse di arrivare a certe
scoperte con le ricerche non autorizzate compiute.
"Cosa
intendi per
chiaro?" mormorò lei, cercando di capire meglio.
"Il
tuo Haruka, è in
realtà una donna, per essere più precisi ha preso
il posto del
fratello Harumoto dopo che questi è morto improvvisamente
per un
incidente stradale. Hanno fatto credere a tutti, probabilmente con la
complicità dei medici che non fosse Harumoto il defunto. Ma
probabilmente la stessa Haruka" spiegò lui. A quelle parole
il
suo cuore perse un battito.
"Ma
sarà senz'altro un
errore, avrete sbagliato persona sicuramente" cercò di far
ragionare lui, convinta che la ragazza di cui parlava il moro non era
il giovane uomo che aveva fatto breccia nella corazza in brevissimo
tempo.
"Esiste
solamente un
Haruka con quel cognome e nata nel medesimo giorno del medesimo anno,
le altre da questo punto di vista sono incompatibili, e caso vuole
che lei avesse un fratello gemello. Che correva nelle corse
esattamente come lei" spiegò lui "Comunque qui ci sono
tutti i documenti raccolti su di lei, se vuoi dare loro un'occhiata.
Mi spiace ti abbia ingannata" commentò in fine. Prima di
porgerle la cartellina che aveva stretto tra le braccia fino a quel
momento. E lei ebbe l'impressione che mai dispiacere fu più
falso.
Si
limitò ad annuire, senza
sapere come comportarsi a quella rivelazione, si sentiva totalmente
smarrita. Aveva solo bisogno di stare da sola, a riflettere. Il
comportamento del biondo era stato innaccettabile nei suoi confronti.
"Puoi
lasciarmi da sola
fino a quando non arrivano i miei genitori per favore? Ho bisogno di
pensare, scusami Seiya ma la voglia di stare in compagnia mi
è
totalmente sciamata" mormorò lei.
"Nessun
problema,
capisco benissimo che venire a sapere queste cose così
improvvisamente sia un vero e proprio trauma. Vado a farmi un giro
torno coi tuoi così hai modo di pensare alla faccenda quanto
vuoi,
anche se non meriterebbe nemmeno più la tua attenzione
quell'essere.
Se posso permettermi" si azzardò a commentare lui, ottenendo
come unica risposta un'occhiata fulminante che gli fece capire che
ciò che aveva detto era fuori luogo, almeno in quel momento.
I suoi
occhi blu lo seguirono fino a quando egli non sparì
chiudendo la
porta alle proprie spalle. Non appena fu lontano dalla sua visuale le
lacrime salirono copiose agli occhi. Sgorgarono poi sulle guance come
se fossero una cascata nata da una diga artificiale appena aperta.
Non
riusciva a credere che
Haruka fosse in realtà una donna, non riusciva a realizzare
come
fosse possibile che non se ne fosse accorta. Forse per colpa del
fisico androgino dell'altra. Non si era accorta nemmeno del reale
sesso dell'altra quando erano andate a letto insieme. Era riuscita a
prendersi gioco di lei, era riuscita a ingannarla nel peggiore dei
modi pur di riuscire a conquistarla.
Ecco
perchè mi ha
bendata prima di iniziare a farlo. Ora
quel particolare a cui inzialmente non aveva dato peso aveva
acquistato importanza. Si sentì ulteriormente ferita da quel
dettaglio. Ferità da una persona in cui aveva riposto parte
della
sua fiducia, perchè le sembrava sincera. E invece si era
rivelata la
regina della falsità.
Eppure
quella sera, a letto
con lei si era sentita esplodere di desiderio e sopratutto si era
sentita felice e libera. Al pensiero di ciò che era stato
tra loro
una punta dolorosa si fece sentire nel basso ventre.
È
una donna Michi,
levati dalla testa che può esserci qualcosa tra di voi. Pensò
mentalmente. Era consapevole però che quel divieto esisteva
solo
nella sua mente, e sopratutto in quella dei suoi genitori. In fin dei
conti il pensiero di essere andata con una donna non la disgustava,
si sentiva solamente ferita per aver creduto alla sincerità
della
bionda che in realtà l'aveva ingannata. E nemmeno su una
cosa di
poco conto.
Aveva
ingannato lei.
Aveva
ingannato la sua
sessualità.
Cercò
di asciugarsi le
lacrime che non era riuscita a fermare, e che stavano trascinando via
tutta la delusione di quella scoperta. Piccole gocce d'acqua che
lavavano le ferite che sentiva dentro.
Quella
felicità che aveva
assaporato i giorni precedenti era stata spazzata via da un'onda
improvvisa di maremoto.
***
"Sono
sicura che quel
Seiya c'entra qualcosa con l'incidente" esclamò innervosita
verso Setsuna e Rei. Le due brune la fissavano dubbiose.
"Ma
come fai a dirlo?
Prima hai detto che era Takeshi, ora tiri fuori quel Seiya... non ti
sembra di esagerare un secondo?" ribattè Rei, tutto
ciò era
semplicemente assurdo.
"No
non esagero!! In
ospedale lui già sapeva cosa fosse successo, e non l'avevano
ancora
comunicato ai telegiornali l'incidente. È matematicamente
impossibile che lui potesse sapere già qualcosa!!" si
arrabbiò
la motociclista "Loro due c'entrano qualcosa, devo solo capire
come posso arrivare al nocciolo della questione il prima possibile.
Prima che mi sia addebitata la colpa solamente a me"
esclamò.
"
E come hai intenzione
di fare? Sei già abbastanza nei guai fino al collo, non puoi
di
certo permetterti di andare contro ai Kaioh. Sicuramente c'entrano
anche loro allora in questa storia, non ha agito sicuramente da solo
quel Seiya che c'era in ospedale. Forse era un avvertimento per
avvisarti di stare lontana dalla figlia" intervenne Setsuna con
l'estrema calma che la caratterizzava da sempre. Se lei era la
tempesa, la bruna era la calma piatta. Per quello si erano subito
trovate ad andare d'accordo.
"No
secondo me loro non
c'entrano, inizieranno sicuramente a farmi guerra da adesso in poi,
fino ad ora loro non sapevano nemmeno che esistessi.. " disse
all'amica "Devo solo trovare un avvocato il prima possibile
perché sicuramente servirà più avanti"
aveva già un'idea di
chi chiamare per farsene consigliare uno. Mamoru, il fidanzato di sua
sorella sicuramente sapeva chi poteva essere il migliore per la
situazione che andava delineandosi.
"Ora
però devo
assolutamente andare in ospedale e cercare di riuscire a vedere
Michiru, devo sapere come sta. Il silenzio stampa sul nome dell'altra
vittima dell'incidente mi preoccupa. Non mi convince, non stanno
dando nemmeno informazioni sul suo stato di salute pur non dicendo il
nome" aggiunse senza cercare di nascondere il turbamento.
"Probabile
che siano i
genitori stessi a voler mantenere il riserbo su questa faccenda"
ipotizzò Rei.
"Sicuramente
sono loro, ma questa mancanza di notizie mi sta uccidendo, se dovesse
suggederle qualcosa di grave io non potrei mai perdonarmelo...non
anche con lei" mormorò. Deglutì nel tentativo di
ricacciare
indietro il nodo alla gola "Anzi se non vi dispiace provo ad
andare in ospedale" si alzò e prese la giacca in pelle
appesa
sullo schienale della sedia.
"Non
ti illudere troppo
Ruka, se non vogliono far sapere l'identità dell'altro
passeggero è
probabile che non vogliano nemmeno che riceva visite" le disse
Rei.
"Provo,
nel caso
escogiterò qualcosa per riuscire a mettermi in comunicazione
con
lei" era ben decisa a far chiarezza nella faccenda. Costi quel
che costi.
Uscì
dal locale, e si
diresse verso la sua moto, unico mezzo di locomozione rimastogli dopo
l'incidente, anche se in cuor suo sperava che chi di dovere
concludesse i rilievi necessari sulla sua macchina in modo da poterla
portare a farla mettere a posto. A vedere il danno, sicuramente la
spesa sarebbe stata tutt'altro che irrisoria, ma non poteva rimanere
senza la sua bambina.
***
"Michiru,
io e tuo
padre siamo molto delusi, pensavamo di averti impartito un certo tipo
di educazione. E pensavamo anche che a sedici anni sapessi
distinguere cosa è sbagliato e cosa non per una ragazza del
tuo
rango" la voce dura e severa di sua madre riempì la stanza a
seguito dei saluti seguiti da un gelido silenzio in cui erano caduti.
Avrebbe
voluto solamente
rimanere sola con i suoi pensieri, senza dover ascoltare il lavaggio
di cervello che i suoi genitori le avrebbero fatto per l'ennesima
volta. Incuranti del suo stato emotivo in quelle ore, e incuranti
della sua felicità in generale. Che si era sentita felice in
quei
giorni a loro poco importava, come sempre.
"Sappi
che abbiamo
licenziato tutta la servitù, e assunto un'altra. Non
possiamo più
fidarci nemmeno di loro, visto che ti davano così tanta
libertà.
Senza nemmeno controllare cosa facevi." irruppe suo padre. A
sentire quelle parole si girò di scatto. Il magone che le
attanagliava le viscere.
"Cosa? Loro non c'entrano nulla, non
dovevate licenziarli, erano l'unica famiglia che avevo!!!!"
gridò contro l'uomo. Sentire quelle cose le fece odiare
ancor di più
i due adulti davanti a lei.
"Non
credo che tu sei
nella posizione di dare ordini e opporti alle nostre decisioni
Michiru, da questo momento in poi hai divieto assoluto di uscire
dalla nostra residenza e di utilizzare il tuo cellulare. Hai anche
divieto assoluto di frequentare quella pervertita lesbica con cui sei
uscita fino a questo momento" la punizione si abbattè su di
lei.
"Non
è una pervertita
lesbica!!! E' la persona con cui sono stata meglio in sedici anni
della mia vita, voi cosa ne sapete di come mi sento quando sono a
casa? Mi sento uno schifo!! Ne amici ne nulla non potete vietarmi di
vedere lei" gridò con le lacrime agli occhi " Non
è ne
peggiore ne migliore di voi, è esattamente uguale" fece
appena
in tempo a finire la frase che un sonoro schiaffo la colpì
in pieno
viso. Era stata sua madre a perdere la pazienza, ne aveva abbastanza
dei capricci della figlia, e ne aveva abbastanza di tutta la storia
che si era palesata ai loro occhi grazie a Seiya.
"Non
ti permettere di
paragonare quella sporca lesbica plebea ai membri della nostra
famiglia, che se non portavi il cognome che avevi quella pervertita
manco ti avrebbe rivolto la parola. Punta solo ai nostri soldi, e per
farlo svende il suo sesso a uomini e donne" rispose gelida la
donna " Ad ogni modo le nostre disposizioni non cambiano,
abbiamo dato ordine all'infermiera che ti seguirà
personalmente di
non far entrare nessuna ragazza con il nome Haruka.
"Non
potete farmi
questo, per favore!!" le lacrime le scorrevano copiose, per
l'ennesima volta in quel pomeriggio le segnavano le guance. Il senso
d'impotenza la prevalse.
"Il
discorso è chiuso
Michiru, non appena ti sarai rimessa completamente tornerai a casa"
furono le ultime parole di suo padre prima di uscire dalla stanza.
Sua madre invece si limitò a salutarla con un flebile cenno
del
capo.
Non
appena i due furono
usciti dalla sua stanza, si sentì più sola che
mai. Non avrebbe più
visto Haruka, non avrebbe più potuto chiederle la
verità e le
ragioni per cui le aveva tenuto nascosto una cosa così
grande. Non
avrebbe più potuto avere contatti con il mondo esterno, e
anche
quelli che erano la sua famiglia, i membri del personale della villa
non ci sarebbero più stati a darle il benvenuto a casa una
volta
tornata dall'ospedale. Dopo sedici anni sarebbe stata realmente sola
in quella casa.
***
Guardò
nervosamente
l'orologio, aveva sentito Mamoru quel pomeriggio stesso. Subito dopo
aver seguito alla televisione l'ennesimo servizio sull'incidente in
cui era rimasta coinvolta sua sorella. Era rimasta colpita da un
particolare inquadrato sull'asfalto dalla telecamera. Un particolare
che forse ai più sarebbe stato insignificante ma che per lei
che
seguiva il suo idolo fin dagli esordi grazie a suo padre, significava
tanto.
E
se la persona che era in
macchina con sua sorella era quella che pensava, Haruka avrebbe avuto
bisogno di un legale che sapesse fare il suo lavoro nel migliore dei
modi. Senza aver paura di andare contro alle famiglie potenti, la cui
missione di vita fosse esclusivamente far giustizia.
E
chi poteva aiutarla nella
ricerca se non il suo fidanzato? Ecco il motivo per cui gli aveva
chiesto se potevano vedersi con urgenza.
"Usagi!"
la voce
profonda del moro le piombò alle spalle e fece si che si
voltasse
immediatamente. Lo vide in macchina accostato al marciapiede e gli
corse incontro. Non si vedevano dalla sera prima, ma per lei era
un'eternità. Fin dal primo momento che lo aveva visto sapeva
che
sarebbero stati perfetti l'uno per l'altra. Come se loro stessi
fossero le reincarnazioni di amanti sperduti nei secoli appartenenti
a chissà quale regno.
"Ciao
amore" lo
salutò prima di appoggiare le proprie labbra sulle sue
mentre
chiudeva lo sportello dell'automobile.
"Ciao
piccola, che
succede? Come mai eri così preoccupata al telefono" chiese
lui
mentre entrava nel traffico.
"Ho
sentito mia
sorella, sai che ha avuto un incidente se hai visto la televisione.
Non mi ha detto chi è l'altro passeggero, ne a me ne a mia
mamma. Ma
a quanto ho capito si tratta di qualcuno di rilievo in
città. E io
ho paura che non gliela facciano passare liscia, e se fosse
così
devi aiutarmi, le serve un buon avvocato che sappia proteggerla senza
farsi intimidire dalle famiglie benestanti" mormorò.
"Potrei
chiedere a un
paio di conoscenze in famiglia se sarebbero disposte a prendere in
carico il caso, conosco anche un agente privato, che potrebbe
aiutarvi forse, ma devo fare un paio di telefonate. In ogni caso stai
tranquilla che qualcuno lo trovo, cerca di non preoccuparti troppo,
tua sorella è tutt'altro che stupida e sono sicuro che ne
verrà
fuori" le rispose il ragazzo nel tentativo di rincuorarla. Anche
se sapeva che le famiglie benestanti erano in grado di comprarsi
qualsiasi cosa, mettendo sul tavolo il denaro. E chiunque fosse la
famiglia in questione difficilmente sarebbe stata migliore delle
altre, ma non era il momento di pensarci quello.
"Speriamo
bene, sono
preoccupata Mamo-chan" lo sconforto l'aveva assalita già da
qualche ora. Se avessero arrestato anche la sorella per lei sarebbe
stato insopportabile dopo le mancanze che già avevano
colpito la
loro famiglia, sperava solo che i genitori dell'altra vittima
dell'incidente fossero persone di buon cuore.
"E'
normale, ma è
inutile fasciarsi la testa prima di rompersela, aspetta prima di
vedere come evolveranno le cose eppoi ci si penserà" la
rassicurò " Dai ti porto in pasticceria così
prendi quello
che vuoi" le propose accarezzandola sulla testa.
***
L'ospedale
in confronto
all'ultima volta che aveva varcato la porta d'ingresso era molto
più
popolato, e le attività di dottori e infermiere erano
frenetiche
all'interno del prontosoccorso separato dalla sala d'ingresso da una
grossa e luminosa vetrata.
Il
cuore le batteva a mille,
di li a poco avrebbe potuto vedere nuovamente la violinista e
sincerarsi del suo stato di salute di cui non aveva più
avuto
notizia alcune. Era sicura che stesse bene, altrimenti al
telegiornale lo avrebbero detto. Tuttavia non sarebbe riuscita a
stare tranquilla. Vederla era ormai una necessità.
Entrò
in ascensore e
schiacciò il tasto corrispondente al piano in cui avrebbe
dovuto
stare in degenza la ragazza. La risalita occupò solamente
pochi
minuti.
Uscì
sul piano e imboccò
il corridoio di fronte.
"Mi
scusi!!!" una
voce femminile giunse alle orecchie della bionda, era un'infermiera
del reparto.
"Mi
dica pure"
rispose lei, incuriosita dall'atto della donna.
"Abbiamo
ricevuto
ordine di non farla passare, i genitori della paziente hanno vietato
il suo accesso." esclamò l'altra. A quelle parole
sentì il la
rabbia salire in corpo, ma cercò di trattenersi. In fondo
l'infermiera non aveva colpe, ambasciator non porta pena.
Ricchi
e sfondati di
cattiveria. Ora
iniziava a
capire perchè Michiru li aveva descritti così, e
perchè aveva così
timore di loro. Sono solamente dei luridi
bastardi.
"Posso
almeno sapere
come sta Michiru?" chiese, anche se intuiva già la risposta.
"Mi
dispiace ma abbiamo
avuto ordine di non far sapere a nessuno le condizioni di salute
della ragazza" mormorò lei visibilmente dispiaciuta per
ciò
che le stava dicendo.
Fanculo
snob di merda.
Era nervosa,
eccome se lo era.
Doveva trovare una soluzione per mettersi in contatto, e forse aveva
già un'idea su come fare. Avrebbe dovuto solamente parlarne
con sua
sorella per riuscire a coinvolgerla.
***
"Come
è andata?"
quando i suoi genitori se ne erano andati, erano stati sostituiti da
Seiya. Aveva avuto l'impressione che non volessero lasciarla sola per
paura che si vedesse ancora con lui, o meglio lei, doveva ancora
metabolizzare bene cosa le era stato rivelato. Per poterlo fare al
meglio aveva solamente bisogno di essere lasciata sola, ma sembrava
che le persone intorno a lei non se ne accorgessero.
"Sai
benissimo come, se
non ti dispiace puoi togliere il disturbo, non ho voglia di avere
gente intorno. Se devi farmi la guardia siediti fuori dalla mia
stanza" rispose gelida. Convinta forse che quel tono avrebbe
fatto allontanare il ragazzo.
"Michiru
non c'è
bisogno di essere arrabbiata anche con me" rispose lui senza
toglierle lo sguardo di dosso.
"A
no? Non c'è
bisogno? Potevi tenerti per te la scoperta che Haruka era una donna,
potevi non dirlo ai miei...e nemmeno a me se per questo, e invece
cosa hai fatto? Hai pensato bene di rovinare tutto!!! DI ROVINARE LA
MIA ESISTENZA IN QUELLA MALEDETTA CASA, COME SE NON FOSSE GIA' UNA
PRIGIONE" i tentativi iniziali di mantenere la calma erano
andati in fumo. Nonostante avesse una grandissima voglia di piangere
cercò di mandare indietro le lacrime, promettendo loro di
lasciarle
libere di uscire una volta rimasta da sola in camera.
"Stai
esagerando, l'ho
fatto per il tuo bene e lo sai, quell'essere spregievole
chissà per
quanto ancora ti avrebbe presa in giro raccontandoti falsità
sul suo
conto" rispose lui, per nulla turbato dalla scenata della sua
interlocutrice.
"NON
STO ESAGERANDO!!!
HANNO LICENZIATO LA SERVITU' ANCHE!!" continuò.
Avvertì lui
avvicinarsi forse nel tentativo di consolarla. Supposizione che fu
confermata dalle dita che le sfiorarono il viso.
"Non
mi toccare!
Lasciami sola. Non voglio vedere nessuno, nessuno hai capito?? Dormi
per terra in corridoio stanotte se devi farmi la guardia come il
peggiore dei criminali!! odio i miei genitori, ma sappi che odio
ancora di più te. Hai rovinato tutto!!" a quel punto vari
singhiozzi le mosserò le spalle. La diga stava per crollare.
"Esci... esci per favore" mormorò senza guardarlo negli
occhi. Non sarebbe riuscita a trattenerle, le lacrime, se avesse
alzato lo sguardo verso di lui. E Seiya era l'ultima persona da cui
avrebbe voluto essere consolata.
La
prima, era lei. Per
chiedere chiarimenti sopratutto.
Si
rifiutava di credere che
era tutto un inganno.
Non
da parte di Haruka.
|
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Capitolo 18 *** Vuoti e minacce ***
Note dell'autrice: Eccomi, chiedo venia per i tempi
di aggiornamento davvero lunghi che hanno colpito questi ultimi
capitoli, cercherò di fare del mio meglio per i prossimi.
Quel che posso dire e che siamo per certi versi in dirittura di arrivo,
ma non tutte le matasse intrecciate saranno sciolte. Ho infatti deciso
che questa storia avrà un seguito, e parte della trama di
questa sarà rilevante per quella successiva. Spero siate
contenti di questa scelta xD Ma si è già
delineata la trama dell'altra nella mia testa. Vi auguro buona lettura,
e se ci sono delle imprecisioni segnalatele per favore per farmele
correggere. Ammetto che questa volta non l'ho riletto prima della
pubblicazione.
18
Capitolo: Il vuoto dentro
19
anni prima, Tokyo.
Erano
le 13 del pomeriggio,
l'infermiera l'aveva appena fatta accomodare in sala travaglio.
L'agitazione che sentiva dentro di se era sempre più forte.
L'unica
persona della sua famiglia presente era sua madre, gli altri non
avevano accettato che lei fosse incinta. Non avevano accettato che lo
fosse in seguito a un'avventura con un uomo sposato che non avrebbe
riconosciuto il bambino.
I
mesi della gravidanza
erano stati tutt'altro che facili emotivamente, suo padre e gli altri
si erano progressivamente allontanati. Tanto da arrivare a non
salutarsi nemmeno in quei giorni.
Aveva
più volte tentato di
chiamare il padre biologico della creatura che portava in grembo, ma
senza ottenere risultati. Gli ultimi tempi la voce della compagnia
telefonica l'aveva informata che il numero era inesistente.
Se
era vero o no non lo
avrebbe mai potuto sapere. E in quel momento non le interessava
neppure. Voleva solo stringere a se il suo bambino.
Sapeva
che quella giornata
sarebbe stata lunghissima e sopratutto molto dolorosa.
"Buongiorno,
come
andiamo?" la ginecologa che l'aveva seguita durante la
gravidanza fece capolinea vicino alla porta.
"Per
ora bene, nessun
dolore ancora" aveva superato la data prevista per la nascita,
e anche i giorni di attesa affinchè il parto iniziasse
spontaneamente.
Nulla
da fare, suo figlio
non voleva proprio nascere. E così aveva preso appuntamento
in
ospedale per l'induzione.
"Benissimo,
tra qualche
minuto verrà l'ostretica per praticarle un clistere. Serve
per
essere pulite, per quando inizierà il travaglio vero e
proprio e
dovrà spingere" le spiegò gentilmente "Ma stia
tranquilla, andrà tutto bene".
Se
lo diceva lei doveva
fidarsi, in fin dei conti non aveva molta scelta.
***
"Michiru
vuoi mangiare
per favore?? Altrimenti non ci tornerai mai a casa se ti ostini ad
essere così cocciuta!!" le taglienti parole del moro
arrivarono alle sue orecchie. Erano passati tre giorni da quando
aveva saputo la verità su Haruka. Ed erano stati tre giorni
di
inferno. A contribuirli a renderli tali oltre alla scoperta, anche la
decisione dei suoi genitori di licenziare il vecchio personale,
persone con cui era cresciuta. Il solo pensiero di tornare a casa e
non ritrovare la domestica la faceva star male. Dolore che andava a
sommarsi a quello provocato dalla falsità della bionda nei
suoi
confronti, come aveva potuto ingannarla? Come aveva potuto prendersi
gioco della sua sessualità in quel modo? Erano tutte domande
che
avrebbe voluto farle di persona, ma sapeva in cuor suo che non
l'avrebbe più rivista ne sentita. E se da un lato ne era
quasi
sollevata, dall'altra sentiva che con lei aveva perso la parte
migliore di se stessa.
"Mi
stai ascoltando si
o no?" la attaccò Seiya. La ragazza che aveva davanti era
ormai
l'ombra di se stessa, lo sguardo non era più battagliero e
luminoso
ma triste e desolato. A stento parlava, si era ammutolita di colpo e
a lui pareva di star cercando di far un discorso da adulti con una
bambina di quattro anni.
"Mi
sembra ovvio di si
Seiya, ma se devo essere sincera non ho nessuna voglia di parlare con
te e i miei genitori, non ho voglia di parlare con nessuno. Se sto
così male è anche colpa tua, quindi se puoi
uscire e startene in
corridoio. Puoi stare tranquillo nessuno mi rapirà dalla
finestra in
tua assenza" terminò la frase con una punta di sarcasmo
nella
voce, i suoi occhi che scrutavano in silenzio il viso del bruno.
"Come
vuoi Michiru ma
comportarti così certamente non ti aiuterà a
rivedere la lesbica"
mormorò piattamente lui. Prima di dirigersi verso l'ingresso
della
stanza. Era sicuro che quella fase di ribellione sarebbe passata nel
momento stesso in cui la violinista avrebbe capito di essere
solamente un giocattolo da collezione per Tenoh.
***
L'ingresso
dell'ospedale era
proprio come nei ricordi di qualche anno prima, ricordi dolorosi che
doveva cercare di tener lontano dalla sua mente. Doveva essere lucida
abbastanza da non compiere errori. Fissò la sua immagine nel
riflesso della vetrata che la separava dalla hall del servizio
ospedaliero, la superficie rifletteva la figura di una giovane
ragazza dagli occhi celesti e i lunghissimi capelli biondi raccolti
in una morbida treccia.
Indossava
una camicetta rosa
e dei pantaloncini di jeans chiaro, ai piedi dei sandali bianchi come
la borsa.
Dipendeva
tutto dalla
riuscita di quello che stava per fare, e ancora doveva abituarsi
all'idea che da li a poco avrebbe incontrato uno dei suoi idoli di
sempre, passione nata grazie a suo padre.
Sospirò
profondamente nel
tentativo di ritrovare un pò di quella calma che le sarebbe
servita.
Si
spostò verso l'ingresso
per interrompere il raggio della fotocellula che apriva le porte,
pochi istanti dopo le sue narici furono colpite dall'odore
dell'edificio.
Si
guardò intorno per
trovare la reception, anche se era stata li in passato non si
ricordava proprio in che punto della sala fosse, un grosso cartello
però arrivò in suo aiuto indicandole la strada.
Il
bancone era nero, il
pianale di un materiale simile al marmo bianco e lucido. Si
avvicinò
timidamente alla donna che lavorava dietro al compute, una bruna di
mezza età dagli occhi scuri e profondi, le ricordava molto
Hotaru.
"Buongiorno,
vorrei
sapere dove posso trovare Michiru Kaioh so che è ricoverata
qui e
vorrei farle visita" esclamò cercando di sembrare il
più
sicura possibile nonostante il cuore che le batteva all'impazzata.
"Devo
chiederti nome e
cognome, abbiamo una lista di persone che non possiamo assolutamente
far passare. Devo controllarla per avvisare la sicurezza di lasciarti
eventualmente passare" le spiegò la donna.
La
risposta non fu quella
che sperava, sua sorella non le aveva parlato di nulla. Per fortuna
però era preparata anche a quell'evvenienza.
"Certo
sono Yui Yosei,
sono una compagna di scuola di Michiru..." mormorò in
risposta,
sorridendo alla donna. Non era mai stata brava a mentire, era una
cosa che odiava. Ma sperò lo stesso di essere molto
convincente.
"Perfetto,
non appari
nella lista quindi puoi passare" si sentì rispondere "
Questo è il piano con il relativo numero di stanza" la bruna
le
porse un biglietto.
"Grazie
mille, le
auguro buona giornata" salutò cordialmente prima di voltarsi
e
dirigersi verso l'ascensore, a quel punto liberò un respiro
di
sollievo. Il primo ostacolo era superato, sperava di non trovarne
altri.
***
19
anni prima, Tokyo.
Sua
madre era a fianco del
suo letto, pronta a infonderle tutto il coraggio di cui aveva bisogno
per mettere al mondo la creatura che portava in grembo. Dopo
l'ostretricia aveva rifatto la comparsa la ginecologa di sua madre,
che aveva seguito la gravidanza dall'inizio alla fine. Avevano fatto
in modo che fosse lei di turno, la conoscevano da anni ed era ormai
un'amica di famiglia. L'ago-cannula le pungeva fastidiosamente, ma
sapeva che era necessario, avrebbe potuto aver bisogno dell'induzione
farmaceutica se non fossero iniziate spontaneamente le contrazioni
grazie al gel che le avevano già steso sulla pancia.
La
dottoressa aveva uno
sguardo davvero dolce, unito alla presenza di sua madre ne fu molto
rincuorata.
"Proviamo
ad aggiungere
dell'altro gel, se non partono nemmeno così ti
farò l'iniezione per
l'induzione" le spiegò con tono professionale. Lei si
limitò
ad annuire, sperava con tutto il suo cuore che non l'aspettasse un
parto doloroso e lungo. Anche se le premesse non erano affatto
incoraggianti dal suo punto di vista.
La
prima, dolorosa,
contrazione giunse quasi all'improvviso, senza nemmeno avvisarla.
Facendola gemere. Suono a seguito del quale sia la dottoressa che sua
madre si voltarono a guardarla.
"Era
una contrazione,
credo che ci siamo" mormorò, cercando di far forza a se
stessa
per affrontare le prossime ore con coraggio. Certo se il padre del
bambino fosse stato presente, sarebbe stato tutto diverso. Aveva
sognato più volte da ragazzina quel momento, e ora che era
arrivato
era molto diverso rispetto a ciò che aveva immaginato tempo
addietro. Dopotutto non si sarebbe nemmeno mai immaginata di rimanere
incinta di uno con cui andava a letto senza impegno da parte
dell'uomo di cui pensava di essere follemente innamorata, uno che era
convinta ricambiasse i suoi sentimenti nonostante fosse sposato.
Nove
mesi prima che lei non
sarebbe stata l'eccezione in cui il loro rapporto si sarebbe svolto
alla luce del sole, ma bensì aveva scoperto di essere la
regola in
cui i giocattoli usati si buttano. Una nuova dolorosa fitta
all'addome la rimportò alla realtà strappandola
dai suoi pensieri.
***
"Tu
chi saresti?"
si sentì domandare dal ragazzo che aveva notato
già da inizio
corridoio, era seduto su una delle sedie fuori dalle stanze.
Propabilmente proprio davanti a quella dove era diretta.
A
giudicare dalla
descrizione, deve essere Seiya questo. Fu
il suo primo pensiero, mentre faceva mente locale su cosa avrebbe
dovuto dire a lui. Avevano provato e riprovato decine di volte se non
di più a casa.
"Sono
una compagna di
classe di Michiru, la signora alla reception mi ha detto che potevo
tranquillamente passare perché non era nella lista dei nomi"
spiegò tranquillamente al moro "Michiru è
occupata?"
"No
è da sola in
camera, ma non è molto di buon umore oggi...non so se
accetterà di
passare del tempo con te" si sentì rispondere.
Sarà
anche un pallone
gonfiato, ma è molto carino. E se non fosse per la
situazione
formerebbero pure una bella coppia lui e Michiru.
"Provo
ugualmente,
grazie mille per avermi avvisata" si voltò verso la porta
col
numero che le era stato indicato dalla donna al piano terra.
Bussò
qualche volta col dorso della mano, per essere sicura di non
disturbare. Dall'altra parte del muro però non giunse
nessuna
risposta.
Forza,
nonostante questa
gelida accoglienza devi entrare Usagi. Non andrà poi
così male
dopotutto mal che vada ti sbatte fuori.
Fece
pressione sulla
maniglia ed entrò nella stanza asettica del polo
ospedaliero, poi si
girò e chiuse la porta alle sue spalle per avere un minimo
di
privacy.
Quando
la vide, il cuore le
aumentò il battito dall'emozione, fin da piccola sperava di
incontrarla un giorno e avere tutto il tempo per parlarle. E
nonostante lo scontro al suo ultimo concerto le era stato molto utile
permettendole di portare a casa l'autografo, l'incontro che aveva da
sempre sognato con il suo idolo era molto simile a quello che stava
vivendo. Certo, avrebbe voluto un luogo diverso da una camera di
ospedale.
Gli
occhi blu dell'artista
la fissarono, senza capire chi fosse in realtà. Era
comprensibile
dopo tutto: mica poteva ricordarsi di tutte le persone a cui scriveva
dediche e autografi.
***
Fissò
la ragazzina che
aveva appena varcato la soglia della sua stanza, portava una lunga
treccia appoggiata sulla spalla che si allungava fino alle ginocchia
coprendole per metà la camicia che indossava. Ad occhio e
croce
aveva sicuramente due anni in meno di lei, e il viso non le era
nuovo.
Provò
a far mente locale su
dove avrebbe potuto incontrarla, senza ottenere risultati.
"Ciao
Michiru, tu
sicuramente non ti ricordi di me... ma ci siamo già
incontrate..al
tuo ultimo concerto sono la ragazzina che hai scontrato nel
corridoio..." la sentì parlare con tono basso.
La
consapevolezza di chi
fosse, fu forte dopo aver udito quelle parole.
E'
la sorella di Haruka.
Cercò
di moderare lo
stupore. Non era certa di essere contenta di quella presenza in
camera sua, pensare alla motociclista le faceva troppo male. E avere
davanti a lei la sorella, che le somigliava come lineamenti non
faceva altro che girare il coltello nella piaga.
"Mi
ricordo di te, ho
visto anche una tua foto..." si limitò a rispondere, tenendo
per se la domanda sul perché fosse li per non sembrare
scortese. La
osservo arrossire mentre una mano correva alla testa per grattarsi in
quello che intuì essere un movimento dettato dal forte
imbarazzo.
"Scusami
se ti
disturbo, e che sai mio fratello era preoccupato..non gli rispondi
nemmeno al cellulare, i giornali e le televisioni mantengono lo
stretto riservo..."
Fratello.
L'attenzione
si posò sull'utilizzo di quella parola coniugata al
maschile.
Possibile che loro non erano ancora stati contattati dai suoi
genitori per mettere le cose in chiaro? Le sembrò al quanto
improbabile conoscendo di che pasta erano fatti i Kaioh.
"Guarda
puoi anche
chiamarla sorella, so che è una ragazza. Me lo ha detto il
moro che
hai sicuramente visto nel corridoio." non riuscì a
trattenere
una punta di fastidio nel pronunciare quella frase.
"Non
so cosa ti ha
detto mia sorella, ma credimi lei non lo ha fatto con
cattiveria...avrebbe voluto dirtelo ma credo che non abbia trovato il
momento giusto e il coraggio necessario per farlo, non la sto
difendendo ti capisco bene e si è comportata molto male nei
tuoi
confronti" alla fine di quella frase le sembrò che Usagi non
avesse preso fiato per l'agitazione.
"Non
lo metto in
dubbio, ma credo che prendere in giro una persona su una questione
così importante come può essere la
sessualità sia qualcosa di
meschino, falso e davvero di cattivo gusto. Oltre al fatto che non
hai idea di quanto mi abbia ferita il fatto che mi abbia nascosto una
cosa così grande..." non aveva la minima idea del
perché si
stesse sfogando in quel modo con la bionda. In fondo non ne aveva
colpe, ambasciator non porta pena dopo tutto. Forse perché
sperava
che riferisse tutto alla madre di quelle menzogne? Si probabilmente
si.
"Lo
so hai
ragione...vedi... ti avevo portato questo tablet...è di
Haruka.. ha
pensato che poteva farti piacere tenerti in contatto con lei..."
tirò fuori il dispositivo tecnologico dalla borsa. Un tablet
Samsung
bianco da sette pollici. "Ha già impostato tutto, devi
scrivere
a Yui Yosei, sempre se vorrai questo è chiaro" le
spiegò.
"Grazie
Usagi, ma non credo sia il caso, continuare a sentirla dopo quello
che mi ha fatto mi farebbe stare ancora più male. Ho bisogno
di
tempo per elaborare tutto...ho bisogno di tempo per capire cosa
voglio... ho bisogno di tempo per capire se sarà possibile
continuare a frequentarla adesso che i miei genitori si sono accorti
delle mie fughe durante le loro assenze e hanno cambiato tutto il
personale della villa...mi serve tempo per capire se davvero voglio
continuare a vederla" tirò un respiro profondo. Dopo quelle
parole si sentiva incredibilmente più leggera.
"Capisco...
beh io il tablet te lo lascio comunque, se dovessi cambiare idea
così potrai scrivere quando vuoi" sorrise, uno di quei
sorrisi che
trasmettevano allegria al solo guardarli. Era una ragazzina davvero
solare, non c'era alcun dubbio "E non so se mia sorella te lo ha
detto, ma io sono una tua grande fan, ti ammiro tantissimo e essere
qui per me oggi vuol dire realizzare un mio grandissimo desiderio.
Certo avrei voluto incontrarti in altre circostanze e non in queste,
ma la vita non sempre ti riserva ciò che vorresti..."
La
violinista notò un velo di tristezza nello sguardo, come se
alla
fine della frase fosse riemerso un ricordo che la biondina avrebbe
voluto dimenticare.
"Ti
ringrazio tanto per i tuoi complimenti" le scappò un
sorriso,
ed era da giorni che non accadeva.
L'ultima
volta ero con
lei.
L'associazione mentale
involontaria le provocò una fitta al cuore.
"Figurati
sono meritatissimi, ho un sacco di tuoi concerti di qualche hanno fa
registrati su dvd e cassette" esclamò leggermente
imbarazzata,
gli occhi azzurri fissarono l'orologio. " Scusami ma devo andare
adesso, non pensavo fosse diventato così tardi, spero di
rivederti
presto e magari poter parlare più serenamente" la
osservò
alzarsi e afferrare la borsa che aveva lasciato sul letto " A
presto Michiru!"
"Grazie
mille per la visita sei stata molto gentile a venire" le
rispose, e in fin dei conti era vero. Anche se era stata mandata da
Haruka. Proprio lei, certo che era capace di inventarsene una
più
del diavolo per continuare a sentirla, senza ombra di dubbio ci
teneva davvero tanto a lei. Il punto era capire se anche lei era
attratta nello stesso modo o se al contrario si era rotto qualcosa
dentro che sarebbe stato irreparabile.
***
Il
nervosismo unito alla preoccupazione l'aveva mandata fuori di testa,
la notte passata aveva esagerato con l'alcol. Dopo aver spiegato per
l'ennesima volta a Usagi come comportarsi in ospedale, era andata nel
primo bar che aveva trovato e aveva iniziato a bere forse
più del
dovuto.
Si
era anche divertita a flirtare con qualche bella ragazza presente,
avrebbe voluto andare anche oltre per cercare una distrazione alla
situazione che stava vivendo. Ci sarebbe anche riuscita se due occhi
blu come l'oceano non la tormentassero ogni qualvolta chiudeva i
suoi.
Della
sua notte brava le rimanevano solamente la nausea e un intenso mal di
testa, erano ormai le prime ore del pomeriggio e di li a poco Usagi
l'avrebbe raggiunta in casa per aggiornarla.
Aveva
paura di ricevere brutte notizie, dopo tutto erano stati annullati
tutti i concerti a breve termine della violinista. E non era un
segnale positivo.
Si
alzò dal letto per recarsi in bagno a darsi una rinfrescata,
si
spogliò e si infilò nella doccia beandosi
dell'acqua fresca che
accarezzava le sue forme. Dopo poco si ricoprì di schiuma e
cosparse
la chioma bionda di shampoo.
Devo
essere quanto meno
presentabile, se Usagi mi vede in condizioni pessime
riferirà a
nostra madre e non ho voglia di stare a sentire le solite prediche.
Uscì
dalla cabina dopo
circa una decina di minuti, successivamente si asciugò
togliendo il
grosso dell'acqua dai capelli e dal corpo prima di indossare i
vestiti puliti che aveva portato con se dalla camera. Pantoloncini
corti di cotone neri e maglia abbinata bianca.
Alle
sue orecchie giunse il
suono del campanello. Respirò profondamente per darsi una
calmata,
poi uscì dal bagno per andare ad aprire a quella che sapeva
essere
Usagi. La sua piccola Usagi.
"Come
ti senti Haru?"
fu la prima cosa che si sentì chiedere, gli occhi azzurri
leggermente pensierosi e preoccupati.
"Sono
già stata
peggio, ma anche meglio... ma pian piano passerà.. vuoi
qualcosa da
bere? Ho delle brioche in congelatore da mettere nel microonde"
sapeva che a quelle non avrebbe mai resistito.
"Latte
e brioche se li
hai" le rispose entusiasta. L'entusiasmo era una delle cose che
la rendeva diversa da lei, sua sorella riusciva a metterlo in ogni
cosa che faceva. Anche la più ardua, cosa che per lei non
era mai
stata così automatica.
"
Certo, vieni che così
mi racconti com'è andata.." si voltò e si diresse
in cucina.
Aprì lo sportello inferiore del frigorifero e ne estrasse il
pacco
di brioche dal quale ne prese due. Dopo aver messo a posto si
avvicinò al fornetto e impostò il timer,
inserì dentro i dolci per
poi dedicarsi a riempire il pentolino per il latte.
"Sei
riuscita a
incontrarla? Cosa ti ha detto? Sta bene?" chiese poi a brucia
pelo dopo essersi seduta sulla sedia di fronte alla sorella.
"Sta
abbastanza bene,
mi sembra anche che si sia ripresa piuttosto bene... le ho anche
lasciato il tablet come avevamo deciso..." non sapeva se dire
tutto alla motociclista o omettere il fatto che lei sapesse tutto.
"Ma?
Cosa c'è che non
va?" dal tono della voce dell'altra intuì che c'era
dell'altro
e che era indecisa se tenerglielo nascosto o se metterla al corrente.
"Sa
che sei una donna
Haru.... credo che abbiano fatto delle ricerche su di te...e sa che
le hai nascosto la tua sessualità, e credo che non l'abbia
presa
bene. Ha accettato il tablet ma non mi ha promesso nulla. Non sa se
lo utilizzerà per parlarti o meno. Ha detto che bisogno di
tempo per
capire se ha ancora senso continuare a frequentarti o se è
meglio
troncare li, hanno cambiato tutto il personale a casa sua e non sa
nemmeno quindi se riuscirà ad uscire di nascosto ora che i
suoi
genitori lo sanno... mi dispiace" mosse la sua mano per
afferrare quella dell'altra. Il suo dispiacere era sincero, sperava
che adasse molto meglio. Ma non biasimava nemmeno la violinista, anzi
la comprendeva a pieno. E sua sorella a far così aveva
sbagliato.
Non è una verità che si può tener
nascosta.
"Non
ti
preoccupare..alla fine me la sono cercata e voluta questa situazione,
avrei dovuto dirle subito la verità come mi avevano
suggerito Hotaru
e le altre. Suggerimento a cui non ho dato ascolto per codardia. Le
avrei detto tutto presto o tardi, solo che non ho mai avuto il
coraggio..." deglutì rumorosamente, non voleva piangere
davanti
a lei. Il suo orgoglio non glielo avrebbe mai permesso.
Sei
una testa di cazzo
Haruka, sei una fottuta testa di cazzo. Se avessi dato ascolto alle
ragazze in questo momento avresti un problema in meno da affrontare.
Fottuta testa di cazzo.
"Per
quanto riguarda
l'avvocato e le indagini che vuoi far fare Mamoru ha trovato qualcuno
che è disposto a seguire il tuo caso..credo che stasera
massimo
domani mattina ti chiama per chiederti quando può prendere
appuntamento... Sei davvero sicura di quello che stai facendo?"
la sentì dire con apprensione.
"Si
Usa-chan sono più
che sicura di quello che sto facendo, sono sicurissima che Seiya in
tutto questo c'entri qualcosa, devo solamente capire in che modo ha
agito e dopo di che sporrò denuncia verso di lui e verso
Takeshi.
Devo solo provare che si siano sentiti in qualche modo e che la
macchina che ci inseguiva era dei suoi compari...non sarà
facile
vincere un eventuale causa contro i Kaioh ma devo... devo farlo per
lei...devo farle capire che mostro ha accanto, non voglio lasciarla
li.." la voce gli si spezzò.
"Sorellina,
andrà
tutto bene vedrai, riuscirai a portare a termine ciò che ti
sei
prefissata... io credo in te e credo nel fatto che sarà
fatta
giustizia, la verità verrà a galla ne sono
sicura!" La sua
piccola dolce Usagi. Si limitò a sorriderle silenziosamente
prima di
osservarla prendere due tazze e versare dentro il latte caldo. Poi la
guardò tirar fuori dal forno anche le brioche.
Alla
vista di quelle il suo
stomaco brontolò rumorosamente, era dalla sera prima che non
toccava
cibo e quello era il suo modo di ricordarglielo.
***
19
anni prima. Tokyo
I
dolori che le permeavano
il corpo erano quasi insopportabili, e dopo ben otto ore di travaglio
non aveva più forze. L'avevano portata in sala parto,
perché
finalmente la dilatazione necessaria era stata raggiunta, ma era
talmente sfinita che tra una contrazione e l'altra credeva di potersi
addormentare. Una parte di se stessa in realtà voleva
ardentemente
dormire.
Sua
madre era con lei, alla
fine aveva scelto di entrare per vedere nascere il suo nipotino.
"
Forza spingi, ci
vogliono ancora pochissimi sforzi, la testa si vede già non
mollare
ora" era la ginecologa che la incitava a continuare con le
spinte "Alla prossima contrazione spingi il più forte che
puoi"
la incoraggiò la dottoressa.
"Forza
tesoro che tutta
questa sofferenza è quasi finita" mormorò la
donna che le
teneva la mano per infonderle forza e un pizzico di
tranquillità.
Ma
partorire è così
difficile? Così doloroso... non c'è la faccio
più. Voglio solo
riposare. Aveva
il respiro
accelerato per lo sforzo. Ma si fece forza per dare le ultime spinte
che la dividevano dallo stringere il suo bambino.
"Eccolo
che è uscito, sei stata bravissima" a parlare era
l'ostretricia. La sua voce fu seguita dopo pochi istanti da un pianto
squillante e vivo. Un pianto che la ripagò di tutto il
dolore e il
patimento di quelle ore, voleva stringerlo forte a se. Voleva
abbracciarlo per non lasciarlo mai più.
Dopo
lunghi minuti che le sembrarono un'eternità, adagiarono il
piccolo
fagotto sul suo petto.
"Benvenuto
al mondo Seiya" disse dolcemente con gli occhi lucidi per
l'emozione .
***
Dopo
che Usagi era uscita per tornare a casa, aveva deciso di guardare la
televisione sul divano, aveva quindi alzato un pò il
climatizzatore
per rinfrescare maggiormente la stanza e si era messa comoda con la
testa sul cuscino che normalmente sarebbe dovuto essere sul letto. Le
sue amiche per fortuna non si erano fatte sentire, non avrebbe avuto
nessuna voglia di ascoltarle. Perché in fondo sapeva che
loro
avevano ragione.
Sul
cellulare aveva la finestra di Skype constantemente aperta, nella
speranza che Michiru si decidesse a scrivere, anche se era sicura che
non sarebbe mai accaduta una cosa del genere.
Era
immersa nei suoi pensieri quando improvvisamente sentì
suonare al
campanello di casa.
Strano
non aspetto
visite, con Mamoru siamo rimasti d'accordo che ci vediamo domani. Con
mamma ci siamo sentite poco dopo cena... Usagi è a casa, e
le altre
sicuramente non sono.
Il
suo istintò le comunicò
di stare il più in allerta possibile dopo aver aperto, ma
una parte
di se stessa a lei sconosciuta premeva per andare ad aprire. E a
dirla tutta era curiosa di sapere chi fosse a quell'ora della sera.
Infilò
rapidamente i piedi
nelle infradito e si diresse verso la porta d'ingresso.
Quando
la aprì non ebbe
dubbio su chi aveva davanti, avrebbe riconosciuto gli occhi tra mille
anche se di persona non li aveva mai visti così da vicino.
E
questi cosa vogliono
ora? Ci mancava pure la visita del paparino miliardario a difesa
della sua candida figlioletta. Devo cercare di mantenere la calma per
non peggiorare la situazione, è già troppo
complicata così. Ma
dopo aver saputo tutto ciò che hanno combinato in passato e
continuano a combinare a Michiru...
"Sei
Haruka Ten'o
giusto?" le domandò l'uomo, la voce autoritaria la fece
quasi
rabbrividire, e capì al volo come si dovesse sentire la sua
violinista ad aver a che fare tutti i giorni con una persona del
genere, fin da quando aveva pochi mesi.
"Si
sono io, se volete
accomodarvi" scelse la via diplomatica, anche se visto il suo
carattere era sicuramente la più difficile.
"Molto
gentile" fu
il commento della donna, che non mascherò una sorta di
disprezzo nei
confronti suoi e dell'abitazione che con tanta fatica si era
guadagnata.
"
A cosa devo la vostra
visita?" chiese, era inutile girarci intorno, erano sicuramente
andati li per parlare di ciò che era successo a Michiru.
"Dritta
al punto la
ragazza, ammirevole" fu il commento dell'uomo " credo tu
abbia capito chi siamo, se così non fosse siamo i genitori
di
Michiru Kaioh, la ragazza che hai tentato di scopare e che hai
spedito in ospedale" fu la risposta dell'uomo.
"Io
non ho spedito
all'ospedale di proposito nessuno signore, e non era mia intenzione
scoparmi sua figlia senza il consenso di Michiru...non sono una
bestia come lei crede" ribattè.
Pezzo
di merda, ringrazia
che per Michi farei qualsiasi cosa, altrimenti non sarei
così
gentile ed educata.
"
Beh mia figlia è
ricorverata dopo essere stata in macchina con te, quindi non direi
proprio che sia valida la tua versione. Tolto questo siamo venuti qua
per chiederti di lasciare in pace nostra figlia, di dimenticarla. In
caso contrario saremo costretti a prendere seri provvedimenti, e non
garantiamo di far uscire incolume la parte di famiglia che ti resta"
continuò l'uomo, senza staccarle gli occhi di dosso " Una
ragazza come Michiru non è degna di finire a letto con una
sporca
lesbica, e per di più venire a vivere in un appartamento
così
miserabile"
Haruka
si limitò ad
annuire, cercando di cacciare indietro la rabbia che sentiva
ammontarle dentro nel sentire quelle parole. Non potevano farle
questo, non potevano minacciarla così. E sopratutto non
potevano
umiliarla in quel modo.
"Bene
signore, se può
uscire stavo giusto per andarmene a dormire" mormorò.
"Certo
stai tranquilla
Haruka, non desideriamo trattenerci in questa topaia a lungo, abbiamo
impegni ben più importanti che intrattenere discorsi con una
come
te" questa volta fu la madre della violinista a parlare. E la
bionda per la prima volta tirò un sospiro di sollievo.
"Bene
quella è la
porta, visto quanto è miserabile questa casa non
è necessario che
vi accompagni. Vi prego di uscire immediatamente fuori da questa
topaia" rispose gelidamente. Doveva parlarne con
Mamoru e
con l'avvocato che l'avrebbe seguita l'indomani di questa visita di
cortesia.
Li
osservò avviarsi verso
la sua porta di casa senza voltarsi e li osservò anche
uscire.
"Andate
a fanculo
aristocratici bastardi, me la pagherete e quando uscirà
fuori la
verità sarò io a cantare. Non voi, non quel lecca
culo di Seiya, ma
io" disse a denti stretti. Presa dalla rabbia afferrò il
bicchiere sul tavolino davanti al divano e lo lanciò contro
il muro,
infrangendolo in mille pezzi.
|
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Capitolo 19 *** Aggressioni ***
Note
dell'autrice:
Eccomi qui col capitolo numero 19. Spero che vi piaccia e come sempre
se notate qualcosa che non funziona nella sintassi ecc.. fatemi
sapere il vostro parere anche in privato. Per chi mi pregava di non
lasciare troppo in sospeso per il seguito della storia, posso solo
dire che in questa verrà risolto solo una delle due trame
stese
mentre l'altra sarà il fulcro del seguito. Vi auguro buona
lettura.
19
Capitolo: Tornata a casa
Erano
passate due settimane
da quando Usagi era riuscita a vedere Michiru per darle il tablet e,
sebbene avesse Skype sempre aperto, la violinista non si era fatta
viva. Sua sorella l'aveva avvisata che ci sarebbe voluto tempo e
pazienza, ma così non era troppo? L'attesa era per lei
snervante.
Odiava non essere padrona del suo futuro, e in quel momento non lo
era affatto.
Mi
sono cacciata davvero
in una bruttissima situazione. Chi me lo ha fatto fare? In fondo la
amava e non era una cottarella passeggera. Lo strazio che viveva da
settimane al pensiero che fosse finita le aveva dilagnato l'anima.
Fissò
la scrivania della
segrataria di fronte a se, un'anziana bassa e con qualche taglia in
più le sorrise bonariamente. Fin dalla prima visita in
quello studio
aveva preso in simpatia quella donnina che si occupava di gestire gli
appuntamenti dell'avvocato che Mamoru le aveva procurato.
L'arredamento
era moderno e
sofisticato, sui toni del nero e del metallo. Le sedie in sala di
attesa erano ergonomiche e in plexiglass, così da sembrare
di vetro. L'archietto che si era occupato della sistemazione dello
studio
aveva gusto, non c'era ombra di dubbio.
«Haruka
vieni pure Yuichiro».
Il suo
avvocato fece capolino alla porta del suo studio, salutando con un
cenno il cliente prima di lei. Il fatto che le dava del tu l'aveva
messa subito a suo agio, non le era affatto sembrato uno di quei
avvocati spocchiosi ed arroganti, ma tutto il contrario. Si diresse
verso la stanza passando affianco all'uomo.
«Ci
sono novità? Come mai
mi hai chiamata?». Gli
chiese, senza
preoccuparsi di non dargli del lei, col fatto che era un amico della
famiglia di quello che probabilmente sarebbe stato il suo futuro
cognato l'aveva categoricamente ripresa sul distacco con cui si era
rivolta a lui in sede del primo incontro.
«Si
ci sono delle grosse novità, come ti avevo precedentemente
accennato
la polizia aveva sequestrato le telecamere della banca presente nella
via dove si è verificato l'incidente per controllare se in
una di
quelle rivolte sulla strada era rimasto registrato il vostro
passaggio. E la risposta è positiva. Fortuna vuole che la
targa
dell'altra macchina fosse abbastanza leggibile quindi eccola qua».
Le spiegò l'uomo porgendole un foglio con una
foto in bianco
e nero «Ti
dice qualcosa questa
targa?»
«Non
mi è nuova credo che come pensavo c'entri Takeshi».
Rispose, trattenendo la rabbia che quella conferma le fece
salire. Non era il luogo più adatto per fare scenate, ma una
volta
uscita di li avrebbe dato sfogo alle sue emozioni. Era poco ma
sicuro.
«Inoltre,
sono stato informato dal Maresciallo che proseguiranno le indagini.
Il loro obbiettivo è scovare un eventuale mandante, in
questi giorni
analizzeranno i tabulati telefonici di Takeshi e sentiranno
nuovamente la versione di Seiya Kou perché a quanto sembra
ci sono
alcune cose che non tornano. Le indagini insomma procedono bene. Per
il momento ti consiglio di non denunciare i Kaioh per le minacce che
ti hanno fatto a casa loro, meglio avere un testimone per farlo»
gli spiegò.
«Certo
se tu per ora non lo ritieni necessario seguo il tuo consiglio, a me
interessa che lascino in pace la mia famiglia. Altrimenti non credo
che risponderò delle mie azioni»,
esclamò a denti stretti.
«Se
lo faranno prenderemo immediatamente provvedimenti»
«Bene
sono contenta di sentirti dire questo».
Concluse lei.
«Appena
ho nuove notizie ti aggiorno, preferisco parlartene in studio a voce
onde evitare che ti facciano controllare il telefono».
Rispose lui. «So
come
agiscono le famiglie potenti».
«Certamente
fai bene, ci vediamo alla prossima allora»
. Rispose l'avvocato, congedandola dal suo studio.
Non
appena uscì dalla
stanza si sentì decisamente più leggera rispetto
a prima, salutò
la segretaria e si diresse verso l'uscita dello studio. Si era fatto
tardi e le rimaneva giusto il tempo per andare a casa di sua madre
per cena. Avrebbe rivisto nuovamente Usagi e con molte
probabilità
anche Mamoru.
***
«
Michiru per favore, devi mangiare qualcosa, non puoi fare
lo
sciopero della fame in eterno».
La
voce del moro interruppe per
l'ennesima
volta il flusso dei suoi pensieri. Non gli rispose, da quando era
stata dimessa dall'ospedale qualche settimana prima vivere alla villa
era stato tutt'altro che semplice. L'appetito già minimo in
ospedale, era scomparito completamente. Quella casa per lei era
diventata ancor di più una prigione e la presenza di Seiya
nei suoi
confronti era sempre invadente, come in quel momento per l'appunto.
«
E' inutile che mi
convinci a mangiare non ho fame, voglio solamente essere lasciata
sola...non mi sembra ci sia così tanto da capire
». Gli disse.
«Non
puoi continuare ad
andare avanti così, tornerai in ospedale in meno di una
settimana se
non ricominci a mangiare. Pensavo fossi più
matura».
Possibile
che non capisca
che non me ne frega nulla della salute? Non posso più uscire
da
sola, tutte le persone a cui volevo bene qui dentro sono state
licenziate. I nuovi domestici sono peggio dei miei genitori e per lui
l'unico problema è il mio appetito.
«
Posso sapere quante volte
io te lo debba dire? Ti ho già detto che per me mangiare in
questo
momento non ha importanza, questa casa per me è un inferno,
lo era
già in passato ma in questo momento lo è ancor di
più. La tua
presenza mi infastidisce perché anche tu sei la causa di
tutto
questo». Ripeteva quella frase tutti i giorni. Senza ottenere
molti
risultati.
«Lo
sai che io l'ho fatto
per te, per proteggerti Michi. Non meritavi una persona così
viscida
e falsa al tuo fianco. Capisco il tuo stato d'animo, ma non potevo
tener nascosto tutto ai tuoi genitori...come avrei potuto
giustificare l'incidente?». La voce pentita di lui
arrivò le sue
orecchie, spingendola a voltarsi e a osservarlo con gli occhi appena
sopra il bordo del lenzuolo.
Il
ragazzo sembrava davvero triste, non riuscì a captare
nessuna
finzione in lui. Forse era stata troppo frettolosa nel giudicarlo in
base al suo istinto. In fondo il suo cuore le aveva suggerito di
fidarsi ciecamente di Haruka e i risultati erano sotto gli occhi di
tutti, giornali compresi.
Probabilmente
il suo intuito
non funzionava più troppo bene. Gli occhi blu zaffiro lo
osservarono avvicinarsi lentamente al letto. Quasi impaurito.
Riconobbe a se stessa che in quell'ultimo periodo non lo aveva
affatto trattato bene.
Quanto
so essere cattiva
a volte, alla fine lui non c'entra. La situazione è quasi
totalmente
colpa mia. I miei genitori hanno ragione, sono stata un
irresponsabile a fidarmi di una sconosciuta che mentiva sulla sua
identità. Probabilmente era solo interessata ai miei soldi,
in fondo
non conosco nulla di lei.
Nei
pochi attimi liberi
aveva avuto l'impulso di prendere il tablet di Usagi, ma la paura di
pentirsi di contattare la bionda era forte. Era realmente disposta a
sentirla? Ad ascoltare le sue giustificazioni? Non lo sapeva.
«Mangi
qualcosina allora?
Fallo per me». Il ragazzo le porse il piatto con qualche
uramaki con
salmone, phidalphia e avocado. Accanto due grossi onigiri, e sulla
sinistra dei pezzi di sushi.
«Seiya
davvero, non lo
faccio per farti un dispetto, il mio stomaco proprio è
chiuso.
Quando sono giù per qualcosa mi capita molto spesso,
passerà».
Mormorò lei, cercando di convincere anche se stessa.
Perché, prima
o poi, doveva passare no?
«Bevo
solo un pò di tè
con lo zucchero grazie lo stesso per aver pensato a me».
Prese
dunque la tazza sul vassoio, al tè non riusciva a dire di
no. Era
più forte di lei, probabilmente era semplicemente drogata di
teina.
Un pò come suo padre lo era con la caffeina.
«Credo
che parlerò con i
miei genitori, non riesco a stare a casa e prima di iniziare l'anno
scolastico vorrei andare qualche settimana dai nonni almeno cambio
aria e può farmi bene». Decise di metterlo al
corrente delle sue
intenzioni, non sapeva nemmeno lei perchè, ma era l'unico
che le si
era dimostrato amichevole dalla fine della degenza e in generale.
Motociclista a parte.
«
Cambiare aria ti aiuterà
sicuramente, non credo che i tuoi genitori ti dicano di no».
Le
rispose.
«
Non esserne troppo
sicuro. Specie dopo gli ultimi avvenimenti». I suoi occhi blu
fissarono la finestra della sua camera, e non potè fare a
meno di
pensare alle sue fughe di qualche settimana prima.
Chissa
cosa stai facendo
Haruka. I
suoi occhi si
inumidirono al pensiero di quei pochi giorni in cui era stata bene,
non potè fare a meno di paragonarli alla situazione in cui
era ora.
Senza la possibilità di rivederla, senza la
possibilità di chiarire
e molto probabilmente senza la possibilità
«Qualcosa
non va?». Seiya
era visibilmente preoccupato per il peggioramento improvviso del suo
umore.
«Nulla
di particolare,
comunque vorrei dormire adesso se non ti dispiace, poi dovrei fare
anche i compiti e con te in camera non riesco..».
Tentò di sviare
il discorso. «Quando avrò fatto tutto semmai ti
richiamo, tanto non
scappo puoi star tranquillo ho solo voglia di tornare a fare le cose
che facevo tutto qua.» E in effetti quella era una mezza
verità.
Voleva veramente ritornare ai suoi hobby, nonostante tutto.
«Come
desideri, ma se hai
bisogno non esitare a contattarmi mi raccomando ». Concluse,
dirigendosi verso la porta. La violinista, tolto il problema del
mangiare , aveva reagito bene a tutta quella storia. Fin troppo
rispetto a quanto si aspettava in realtà. Sapeva in cuor suo
che
probabilmente sarebbe stato necessario qualcosa di più che
un
semplice incidente per farla capitolare, tuttavia non poteva agire
senza il consenso dei suoi genitori. Poteva dunque solamente
aspettare l'evolversi degli eventi, nella speranza di riuscire prima
o poi a raggiungere il suo vero scopo.
***
Sua
mamma aveva preparato
un'ottima cena, in tavola erano state servite tutti i piatti che lei,
Mamoru e Haruka preferivano. E nonostante il grande numero erano
stati tutti spazzolati via.
Da
grande spero di
imparare a cucinare come lei, così da poter fare tutti i
manicaretti
migliori al mio Mamo-chan. Fu il
suo pensiero mentre stringeva più forte la mano di lui nella
sua.
«Qualcosa
non va Usagi? ».
Le chiese lui.
«
No pensavo solamente che
spero di imparare a cucinare bene come mia mamma così quando
andremo
a vivere insieme ti faccio tante cose buone da mangiare». Lo
guardò
dolcemente, avevano deciso di fare una passeggiata dopo cena, ed
erano dunque sul lungo mare a godersi l'aria tranquilla di fine
estate. Il mare era calmo e soffiava una leggera brezza marina.
«
Sono sicuro che
diventerai bravissima, ci vogliono solamente pazienza e dedizione. Ma
sono sicura che riuscirai piccola». La rassicurò
lui, l'aveva amata
fin dal primo momento. Aveva capito subito che era destinato a lei e
non era riuscito più a farsela scappare. Nonostante fosse
più
piccola di lui non gli importava, e a quanto gli sembrava non
importava nemmeno a sua suocera e a sua cognata. Lo avevano accolto
tutti bene in famiglia.
Ti
amo tanto Usagi, non
so come farei se ti succedesse qualcosa.
«
Credo che sia ora di
tornare a casa, si è fatto tardi e io domani ho lezione
molto
presto, se dormo tardi non riuscirò ad essere molto
attivo». Le
disse. Fosse stato per lui avrebbe passato l'eternità con
lei.
«
Hai ragione Mamo, io
anche devo svegliarmi presto domani, meglio se andiamo così
anche
mia mamma non si preoccupa troppo. Ha già tanti pensieri per
mia
sorella poverina. Sai lei è tanto apprensiva, si spaventa
per nulla,
non ha ancora superato la morte di papà completamente e la
minima
cosa la ansia parecchio.»
Non
lo ammise, ma anche lei
era molto preoccupata. Se erano veri i sospetti di Haruka,
significava che c'era qualcuno che era disposto a uccidere delle
persone nella sua stessa città. E se volevano farla pagare a
sua
sorella, potevano arrivare anche a loro. Un brivido le
percorse
la schiena al solo pensiero.
«
Come è giusto che sia,
vostra madre vi vuole molto bene voi due siete la sua forza per
andare avanti ogni singolo giorno. Ha avuto voi fin dall'inizio e
questo l'ha aiutata molto. Continuerete a farlo sempre, anche se un
giorno adrete entrambe via di casa. Hai freddo amore che hai i
brividi?». Le chiese apprensivo « Sono sicura che
vostro padre e
vostro fratello sono orgogliosi di voi ovunque siano in questo
momento ».
«No
sto benissimo, ho solo
tanti pensieri». Sorrise.
«Mi
sa che è meglio
tornare a casa, altrimenti tua mamma penserà che ti ho
rapita,
inizia a farsi tardi. E visti i problemi che ci sono meglio non farla
impensierire più del dovuto». Propose lui,
l'avrebbe accompagnata
quasi a casa in modo da essere sicuro che nessuno le facesse nulla.
In cuor suo sperava di trovare un posto dove fermarsi proprio davanti
al palazzo, ma spesso era tutto occupato. Motivo per il quale Usagi
era costretta a fare duecento metri a piedi prima di entrare nel
giardino seguiti dalla distanza per raggiungere il portone.
«Hai
ragione, anche se
starei con te per ore». Fu la risposta di lei.
***
Sua
sorella e il fidanzato
erano usciti ormai da due ore. Lei aveva deciso di far compagnia a
sua mamma fino a quando la ragazzina non fosse tornata a casa. In
modo da rassicurarla se avesse ritardato. In fondo anche lei sentiva
che era giusto così, probabilmente quella notte si sarebbe
fermata
li a dormire, non era esattamente dell'umore giusto per rientrare a
casa e stare da sola fino al giorno dopo.
«Ci
sono aggiornamenti per
l'incidente?». Le chiese la madre.
«No
mamma, niente di
significativo stanno ancora indagando ma l'avvocato è
abbastanza
ottimista. Io mi fido di lui quindi non mi preoccuperei
eccessivamente si vede bene che sa il fatto suo».
Mormorò. Per lei
il problema principale era un altro: non aver ancora sentito Michiru
per cercare di chiarire la sua posizione per quanto delicata essa
fosse, tutti quei giorni senza sentirla la stavano sfinendo.
«Hai
avuto notizie di
quella ragazza che era con te in macchina? Sta bene?». Fu la
seconda
domanda della madre. I telegiornali avevano solamente annunciato che
per gravi motivi i concerti fino a Ottobre erano annullati in seguito
erano stati comunicati gli estremi per il rimborso, ma nessuno aveva
lasciato trapelare le motivazioni.
«Ne
so quanto te, lei non
mi ha più contattata... ha saputo che sono una ragazza per
mezzo di
terze persone e io non avevo ancora trovato il coraggio necessario
per dirle la verità». Mormorò afflitta.
«Le ragazze mi avevano
avvisata di dirglielo il prima possibile, e io davvero volevo
dirglielo perché era giusto, ma non si è mai
creata l'occasione.
Avevo troppa paura della sua reazione. E alla fine ho azzeccato, sono
due settimane che non si fa sentire e so per certo che sta
bene».
«Probabilmente
ha solo
bisogno di più tempo Haruka, cerca di capirla. Per me
è normale
vederti uscire con ragazze. Per tua sorella pure. Molto probabilmente
lei ha sempre frequentato ragazzi senza ottenere particolarmente
risultati oppure non è mai uscita con un possibile
fidanzato. Arrivi
tu che sei cotta, probabilmente rientri anche nei suoi gusti
personali e poi alla fine scopre che sei una donna. Sarà
confusa, si
sentirà presa in giro da te perché lo ha saputo
da un'altra persona
e non ha potuto sentirselo dire dalla diretta interessata. Dai tempo
al tempo figlia mia, vedrai che presto o tardi le cose si
sistemeranno». Vedere sua figlia più grande
così abbattuta per lei
era insopportabile. La sua bambina era lo spettro di se stessa in
quel momento. Il tormento era chiaro negli occhi verdi di lei,
tuttavia sapeva che oltre a consolarla non poteva fare altro. Doveva
uscire da sola da questa delusione amorosa, costi quel che costi. E
lei sarebbe stata sempre li pronta a sostenerla in ogni battaglia
personale e non.
«Hai
ragione mamma. Ormai
il latte è stato versato e non posso fare diversamente,
anche se mi
sto pentendo di qualsiasi cosa. Se sapevo che sarebbe andata a finire
così le avrei detto tutto fin dal primo istante credimi
io...». La
voce le morì in gola. Non aveva altre parole da spendere,
ormai
tutto ciò che poteva dire lo aveva esposto. Inutilmente.
Doveva solo
aspettare di sentire il suo avvocato.
La
sua attenzione fu
catturata dal cellulare che vibrava. Gli occhi corsero a guardare
l'orologio più vicino.
Chi
può essere a
quest'ora?. La
sua mente
produsse solo una risposte per quanto improbabile fosse. Si
alzò dal
divano per raggiungere lo smartphone sul quale vide scritto anonimo.
Questo voleva dire che sicuramente non era sua sorella. Non era
nemmeno Michiru perchè non le sembrava il tipo. Ma allora
chi poteva
essere?
***
«Amore
ti scrivo quando
arrivo a casa, così ci diamo la buona notte».
Mamoru si fermò nel
primo spazio grande abbastanza per accostare con la sua macchina.
Come sempre fin troppo lontano dal cancello della palazzina della
fidanzata.
«Aspetto
un tuo messaggio
allora». Mormorò la biondina aprendo lo sportello
del mezzo. Si
protese dunque verso il guidatore per un bacio sulle labbra.
«Mi
manchi già sappilo». Prese la borsa che aveva
appoggiato in terra
tra i piedi e uscì attraversando la strada per raggiungere
il
marciapiede approfittando del fatto che la strada era totalmente
deserta.
Accelerò
leggermente il
passo mossa da un'improvvisa inquietudine dalla motivazione
all'apparenza sconosciuta.
E'
meglio che mi sbrigo,
ho una strana sensazione...come se io non fossi sola stasera.
Accelerò il passo, mentre il bruno le passava vicino in
macchina. Lo
vide scomparire in fondo alla strada proprio nell'esatto momento in
cui varcò il cancello per entrare nel giardino del palazzo.
Uno dei
lampioni che lo illuminavano era fulminato ormai da qualche giorno,
così gran parte dello spiazzo era immerso nella semi
oscurità. Si
diresse dunque verso il portone fermandosi accanto ad esso per tirare
fuori le chiavi di casa. Un rumore improvviso la fece voltare
allarmata.
Usagi
non essere sciocca,
sarà sicuramente un gatto o un cane che si è
introfulato dal
cancello. Pensò,
mentre
rovistava alla ricerca delle chiavi.
Fu
questioni secondi e si ritrovò in terra senza capirne la
causa.
Subito dopo sentì una presa forte appartenente a un uomo
muscoloso
afferlarla per tirarla su.
Nel
suo campo visivo comparve una seconda persona, il volto furbamente
incapucciato per non farsi riconoscere, solo un tatuaggio a forma di
croce celtica sul collo faceva bella mostra di se poco lontana dallo
spasmo muscolare.
«Ma
guarda, guarda che bel
bocconcino che abbiamo qui. Averlo saputo prima non facevo tutte
quelle resistenze quando ci hanno contattato». Disse egli.
L'alito
di menta misto a una leggera nota alcolica.
«Lasciatemi
andare cosa
volete da me?». Esclamò lei, l'ultima cosa da fare
era far vedere
che aveva paura di loro.
«Oh
da te non vogliamo
niente, forse solo una bella scopata per godere un pò come
si deve».
I denti bianchi brillarono alla luna grazie al ghigno
«Tuttavia
anche se ci piacerebbe scoparti non è il motivo per cui
siamo qua». Il tipo davanti a lei fece un cenno muto al
compare.
Usagi
sentì immediatamente
una fitta acuta alla gamba, che la costrinse ad abbassarsi, prima di
ricevere un secondo calcio questa volta all'altezza del fianco. Un
gemito le sfuggì sommessamente. Il respiro corto per la
paura.
Avrebbe voluto reagire, ma non sapeva come potevano difendersi.
Avrebbe potuto urlare, ma avrebbero potuto ammazzarla per quello.
Un
terzo colpo, poi un
quarto e un quinto si abbatterono su di lei. Seguiti da un numero
imprecisato di percosse ai suoi occhi gratuiti.
Non
ebbe idea di quanto durò
quel trattamento. Realizzò solo il gusto del sangue sulle
labbra
dopo uno schiaffo in pieno viso, e una serie di dolori al minimo
muscolo contratto.
«Bene
possiamo anche
chiamare la destinataria di questo bel lavoretto». A parlare
era
sempre il solito dei due, lo vide vagamente prendere il telefono,
rimanendo immobile per evitare di spronarli a colpirla ancora.
Ora
è tutto chiaro,
tutto questo è per Haruka. Quei poveri vigliacchi hanno
colpito me
perchè sanno quanto le possa far male tutto questo. La
cattiveria di chi aveva di fronte la ferì ancor di
più che i colpi
che le avevano inferto, lacrime amare le iniziarono a scorrere sulle
guance.
«Puttanella
non piangere,
che te ne arrivano il triplo. Quella sporca lesbica così
impara a
infilarsi in cose più grandi di lei».
Sibilò l'uomo che
inizialmente l'aveva tenuta da dietro.
I
suoi timori erano giusti
quindi, avevano massacrato di botte lei, per arrivare alla sorella.
Potevano centrare solamente due persone con quei due loschi
individui.
«Pronto?
Parlo con Haruka
Tenou?».
***
La
voce che le colpì il
timpano le sembrò a metà tra il conosciuto e
l'ignoto. Aveva come
la sensazione che non le fosse nuova. Ma non seppe collegarla a
qualche viso a lei conosciuto. Sicuro però che quella voce
cercasse
lei.
«Si
sono io, chi parla?».
Chiese incuriosita. Chi poteva cercarla a quest'ora? Per di
più
mantenendo il numero anonimo. Non prometteva niente di buono.
Spero
solo che non
c'entri Usagi altrimenti fanculo al buon senso: pianto un casino. Se
le hanno fatto del male per arrivare a me giuro sulla mia stessa vita
che non la passeranno liscia.
«Non
ha importanza. Scendi
nel portone, c'è un regalo per te, la tua sorellina ti sta
aspettando ed è impaziente di vederti».
Usagi...
No Usagi no!!
Brutto bastardo!
«NO!
USAGI NO! Che cosa le
avete fatto?? » l'urlo strozzato che le uscì dalla
gola non passò
innoservato a sua madre che si voltò allarmata. L'unica
risposta che
ottenne è la chiusura della comunicazione.
«Che
succede??». Domandò
immediatamente la donna.
Gli
occhi verdi la fissarono
quasi smarriti, prima di realizzare che la ragazzina era giù
nel
portone chissà in quali condizioni.
Le
spiegazioni dopo, devo
andare da lei. Devo vedere come sta. La mia Usagi.A
sua madre rivolse solo una muta risposta, prima di precipitarsi
correndo verso la porta di casa, per poi prendere l'ascensore.
Doveva
contenere la rabbia, doveva cercare di rimanere lucida
perché anche
in quell'occasione era lei ad avere l'obbligo di essere forte, di
rappresentare un porto sicuro per la ragazza che andava a salvare.
Rischiava, poteva essere una trappola e non esserci nessuno se non
loro pronti a fare una rissa. Ma non poteva rischiare di lasciarla in
balia di quella feccia.
I
minuti in ascensore le sembrarono eterni.
Quando
cazzo ti fermi al
piano terra. Quando! Sei un ascensore di merda sappilo.
Fu
il suo pensiero, il pugno
contratto e tremante dalla rabbia.
Quando
l'ascensore si aprì
inizialmente scorse solo l'atrio vuoto. Solo in un secondo momento
vide lei sdraiata in posizione fetale fuori. Si diresse il
più piano
possibile. Col cuore in gola, mentre qualcuno chiamava nuovamente
l'ascensore su.
***
Sentì
nuovamente dei passi
che si avvicinavano a lei, ma non riuscì a capire da dove
provenissero. Sopratutto da chi. Erano forse di
nuovo tornati
i suoi aguzzini? La presenza si abbassò verso il basso e la
sfiorò.
«Non
toccarmi!! Per
favo..». Le parole le morirono in gola, inglobate da un
singhiozzo
che le scosse le spalle provocandole un enorme fitta.
«Usagi
sono io... sono io
Haruka...». Sentì una voce a lei familiare, prima
di avvertire le
mani della sorella che l'afferrarono per metterla dolcemente a
sedere.
Non
appena i suoi occhi
celesti incontrarono quelli verdi dell'altra le lacrime
incominciarono a scorrere copiose, infermabili come un fiume in
piena. Improvvisamente il dolore muscolare e non solo passò
in
secondo piano. Improvvisamente non contavano più le
probabile
fratture. In quel momento l'unica cosa che le importava e rimanere
tra le braccia di una persona che l'amava. «Piccola..
è tutto
finito... è tutto finito, non ti faranno più del
male te lo
prometto. Piangi quanto vuoi tesoro vedrai che starai meglio
dopo...». La sentì mormorare al suo orecchio.
«E'
stato terribile Haru..
volevo urlare...volevo farmi sentire, scappare.. ma la paura
è stata
più forte... ho avuto tanta paura...io ...io...».
Non riuscì a
terminare la frase. «Ho avuto paura di non rivederti
più...di non
rivedere più la mamma...». Anche se era durata
pochissimo la
violenza, aveva avuto seriamente paura di morire, e non voleva
arrecare loro ancora dolore. Non voleva arrecarlo al suo
Mamo-chan.
«Lo
so Usagi, ci sono io
qui con te...ti prometto che non ti faranno più del
male..» la
consolò. Dei passi femminili rimbombarono nel portone. Passi
femminili che erano familiari a entrambe. Camminata che si
trasformò
in una breve corsa verso di loro.
«Oh
santo cielo, Usagi che
cosa ti hanno fatto?». L'allarmismo di sua madre era quasi
palpabile. «Devo chiamare un ambulanza, meglio se ti portiamo
in
ospedale». Percepì il tono professionale, per
qualche strano motivo
la donna che l'aveva messa al mondo si era trasformata nella
dottoressa responsabile di un intero reparto nonostante
l'età
relativamente giovane.
«Mamma,
non è il caso di
chiamare subito l'ambulanza, dalle il tempo di calmarsi prima, poi la
chiamiamo. Credimi è meglio così..magari non
c'è nemmeno bisogno
di chiamare l'ospedale ora vediamo quando si alza se ha qualcosa di
rotto...». Furono le parole della motociclista.
Si
sentì improvvisamente un
pò meglio, di andare in ospedale non aveva proprio voglia:
voleva
solamente tornare a casa. Stare con loro due e con ....Mamoru.
«Posso..posso
chiamare
Mamoru?». Mormorò tirando su col naso.
«Può...può dormire da
noi?».
«Certo
che si, dormiremo
tutti qui stanotte.. al massimo io dormo sul divano..così
lui dorme
nel mio letto e state insieme...». Le rispose la sorella.
A
quella concessione, mosse
appena la testa sollevandosi dal petto di lei. Rivelando agli occhi
delle altre due un labbro decisamente gonfio e una parte del viso
leggermente più scura. Sulle gambe facevano la loro
apparizione
diversi lividi.
«Riesci
ad alzarti Usagi?».
Chiese la dottoressa, prima di provare a farla alzare. Movimento che
rivelò al trio l'impossibilità della ragazza di
poggiare il piede
destro.
Questa
me la pagate
fottuti aristocratici, sapete solo mandare sti pezzi di merda
così
da uscirne puliti. Io vi rovino.
|
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Capitolo 20 *** Midnight Moon ***
Note dell'autore:
Scusatemi tanto per il ritardo, come ho anticipato oggi sulla pagina FB
ero convinta di aver pubblicato l'ultimo capitolo il 27/28 Aprile non
il 16 dello stesso mese, e quindi mi sono messa a scrivere questo con
molto ritardo. E questi sono i risultati, ammetto che non ho riletto
nulla, quindi siate clementi se trovate qualcosa che non va segnalate
che la correggo. Prossimi giorni pubblicherò una
one-shot a quattro mani scritta in collaborazione con il mio ragazzo. E
ci terrei a ricevere un parere anche li. Non la pubblico su questo
account ma su un altro: Arwen297_Matath .
Vi segnalo
inoltre la mia pagina FB: Arwen297 EFP
Il gruppo
FB di questo fandom: ~ Noi, del Fandom Sailor Moon su EFP ~
20^Capitolo:
Midnight Moon.
Sua
madre aveva insistito e
alla fine sia lei che Mamoru avevano acconsentito a telefonare al
prontosoccorso per richiedere
l'ambulanza. Aveva ritenuto opportuno chiamare anche il capo della
polizia che stava indagando sull'incidente e le cause. Era infatti
sicura che l'aggressione avrebbe aiutato le indagini.
Mamoru
aveva acconsentito ad
accompagnarla in ospedale, in modo da stare vicini ad Usagi
fino a quando ce ne sarebbe stato bisogno. Sua madre lo aveva seguito
a ruota perché era ben decisa a far accompagnare la figlia
nell'ospedale in cui ella stessa lavorava.
Lei
invece era rimasta a
casa ad aspettare la polizia per esporre la sua versione dei fatti,
in seguito avrebbero chiesto la propria a tutti gli interessati.
Mamoru compreso.
Inizialmente
si era
arrabbiata notevolmente con il moro, in parte era anche colpa sua se
la sorella era stata aggredita: averla lasciata lontana da casa a
causa dei posteggi dell'auto era stata un'idea avventata.
Poi
però la rabbia aveva
lasciato spazio alla consapevolezza che sarebbe potuta andare molto
peggio, e non se lo sarebbe mai perdonata. Iniziava a pensare di
essere portatrice di una maledizione, tutte le persone che amava
venivano messe in grave pericolo di vita o la perdavano direttamente
senza possibilità di scampo.
L'esposizione
della sua
versione dei fatti era durata circa un'ora, durante la quale altri
poliziotti avevano setacciato accuratamente il giardino del palazzo
alla ricerca di qualche indizio. Il suo avvocato lo avrebbe messo al
corrente il mattino seguente, non le sembrava opportuno disturbarlo a
quell'ora della notte; e poi non vedeva l'ora di sapere come stava
Usagi. Da li a momenti sarebbero tornati sicuramente a casa: il fatto
che la madre fosse andata con lei aveva aiutato a saltare la fila al
pronto-soccorso.
Per
ammazzare il tempo che
sembrava aver deciso di rallentare, decise di scrivere a Setsuna, per
aggiornarla su ciò che era successo. Doveva avvertire tutte
le sue
amiche di stare attente: se erano arrivati a sua sorella pur di farla
desistere dalle indagini potevano arrivare a loro solo per il gusto
di ferirla in un batter di ciglia.
"Sets
sei sveglia?"
Scelse
di scrivere su Whatsapp, l'ultimo accesso dell'amica era
relativamente recente e questo la fece sperare che la bruna fosse
ancora sveglia. Aveva bisogno di parlarne con qualcuno, Michiru
sarebbe stata la cosa migliore ma la situazione non lo permetteva.
Eppoi, per quanto poteva saperne, lei magari era a conoscenza di
cosa stavano facendo i suoi genitori ed era anche d'accordo. Ecco
spiegato perché non si era fatta sentire ne niente...molto
probabilmente non era interessata a chiarire. Dopo tutto a una
ragazza come la violinista cosa poteva fregargliene di chiarire con una
proveniente dal ceto medio basso? Praticamente zero. Era stata una
sciocca a credere in chissà che cosa, in chissà
quale romanzo a
lieto fine. Tra di loro fin dall'inizio non sarebbe potuto esserci
niente, le sue amiche avevano avuto ragione a dirle di lasciare
perdere la Kaioh. Ma lei con la sua solita testa di cazzo si era
rifiutata categoricamente di dare loro retta. E quelli erano i
risultati.
Che
testa di cazzo che sono, non è una novità ma non
pensavo di esserlo
così tanto.
Il
telefono vibrò sul divano. L'anteprima rivelava che era
proprio
Setsuna ad averle scritto.
"Ciao
Ruka, successo qualcosa?"
"
Si, Usagi è in ospedale, i soliti hanno mandato qualcuno
appositamente per farle del male come atto intimidatorio. Sono nera,
ho bisogno di parlarne con qualcuno scusa se ti scrivo a quest'ora
della notte. Ho una rabbia cazzo, che non puoi capire. Quei
maledetti!"
"Cosa???
Ma come è stato possibile? Come sta ora? Vuoi che vengo da
te?"
"
E' in ospedale con Mamoru e mia madre, io sono rimasta
perché ho
chiamato la polizia e ho dovuto esporre la mia versione dei fatti. Io
sono a casa di mia madre ora, ho cenato da lei stasera. Dio Sets, se
le succedeva qualcosa li avrei ammazzati con le mie stesse mani"
Le
mani le tremarono per la rabbia, al solo pensiero. Una lacrima le
rigò la guancia.
Cazzo,
piangere ora no!! Non serve a un cazzo piangere come le bambine di
cinque anni Haruka. Smettila immediatamente.
La
mano destra si avvicinò al viso per asciugarlo, in un gesto
carico
di nervosismo e tensione.
"Calmati
adesso, sei arrabbiata è normale che dici così,
come hai intenzione
di agire ora? Non sarebbe il caso di piantare li tutto? Non vorrei
che diventasse troppo pericolosa la faccenda"
"Domani
mattina chiamo il mio avvocato, e intanto chiedo a quello che sai tu
di farmi sapere qualcosa, poi decido come agire. Grazie Sets, sono
arrivati ci sentiamo domani buona notte"
La
chiave girò nella serratura, e dopo qualche istante vide la
porta di
casa aprirsi per fare spazio a sua madre seguita dai due ragazzi.
Scattò immediatamente in piedi, cercando di nascondere le
lacrime di
pochissimi istanti prima.
«Come
stai Usa-chan?». Chiese. Spostando lo sguardo sulla ragazzina.
«Non
ha nulla di rotto, la caviglia è solamente slogata e hanno
dovuto
mettere una fasciatura per farla andare a posto bene. Per il resto
sono solo tanti lividi che passeranno con il tempo ma nel frattempo
deve rimanere a casa. Altrimenti i professori chissà che
idee mal
sane si fanno, e far sapere in giro la verità credo che sia poco
opportuno». Fu la donna a risponderle. «Mamoru per
stanotte dorme
qua per far compagnia a tua sorella, quindi apri pure il divano letto
che tu dormi li».
«Bene,
sono più sollevata...per il dormire non c'è alcun
problema, e
nemmeno per la scuola credo».
«La
polizia cosa ha detto a proposito? Sono riusciti a scoprire
qualcosa?». Chiese a quel punto Mamoru.
«No
non ancora, quei vigliacchi non hanno lasciato indizi, nei prossimi
giorni torneranno per sentire la vostra versione dei fatti. E mi
hanno chiesto di dirti...». Si rivolse alla sorella.
«Di far mente
locale su quanto accaduto e pensare a un qualsiasi particolare che
può essere di aiuto alle indagini per bloccare questi
folli».
«Ho
notato solamente un tatuaggio che spuntava sul collo di uno dei due
però non so dire con certezza che forma avesse».
Rispose triste.
«Non so quanto possa essere utile tutto
ciò».
«Può
essere utilissimo credimi Usako, ne so qualcosa. Basta un minimo
particolare per incolpare o scagionare una persona dalle accuse
quindi tutto ciò che ti ricordi di aver notato dillo.
Saranno poi le
forze dell'ordine a scegliere le più importanti»,
le spiegò
gentilmente Mamoru.
«
Coloro che ti hanno ridotta così devono solamente pregare di
non
trovarsi mai sui miei passi, altrimenti sarà l'ultima alba
che
vedono». Il suo tono era arrabbiato, non avrebbe mai permesso
a
quella feccia di rimanere sulla faccia della Terra se ne avesse avuto
l'occasione.
«Haruka,
non dire ste sciocchezze credo che hai già combinato
abbastanza guai
non credi??». La riprese la madre, fulminandola con gli
occhi.
«Credo che sia già abbastanza quello che stiamo
subendo a causa di
questa storia senza aggiungere legna da ardere. Tua sorella non c'entra assolutamente nulla.
Eppure sono arrivati anche a lei, io spero vivamente che sporrai
denuncia contro i Kaioh».
«Mamma
devo sentire l'avvocato prima di muovermi e non mi sembra il caso di
chiamarlo a quest'ora della notte, domani sarà la prima cosa
che
avrò premura di fare. E credo in ogni caso che tu stia
esagerando».
Si buona parte della colpa era sua, ma non poteva sapere che quella
sera di qualche settimana prima sarebbe finita con l'incidente. I suoi
piani erano totalmente diversi e decisamente migliori, per entrambe.
Sopratutto non ci sarebbero stati tutti quei problemi, Michiru non
sarebbe stata scoperta, e probabilmente sarebbero riuscite ancora a
frequentarsi di nascosto.
«Esagerando??
Ti rendi conto che tua sorella poteva non esserci più
stanotte?
Poteva finire malissimo, e tutto per cosa? Perché ti sei
innamorata
di Michiru, di tutte le ragazze che potevi trovare proprio di lei
». Tornò all'attacco sua madre.
«Al
cuore non si comanda!! Dovresti saperlo, tu papà lo amavi
non lo hai
sicuramente scelto al mercato». Possibile che doveva essere
colpa
sua di tutto?
«Al
cuore si comanda si, non sei una bestia. Sai cosa puoi fare e cosa
non puoi fare, ora anche Usagi a causa tua poteva perdere la vita. E'
già morto tuo fratello perché ti sei inzuccata a
fare una cosa.
Credo sia già abbastanza». Non sapeva cosa la
spingeva a parlare in
quel modo, forse la paura provata; forse il brutto presentimento che
le aveva atanagliato le viscere quando il cellulare poche ore prima
era suonato. Oppure l'istinto materno, quello di una donna che ha
già
sofferto troppo per le perdite di suo marito e di un figlio. O
semplicemente stava scaricando l'ansia accumolata da quando tutta
quella storia era iniziata.
Haruka
rimase qualche istante in silenzio, le accuse di sua madre l'avevano
colpita nel profondo, un nodo le si era formato in gola. Harumoto non
era morto per colpa sua, no che non lo era.
«Tuo
figlio non è morto per colpa mia, è morto
perché ha voluto
fermarsi ancora dopo la mia decisione di tornare!!! Cazzo non ti
permettere di dire che lui non è qui stasera a causa mia,
non
inventarti stronzate!! Ho cambiato la mia vita e ho soffocato i miei
sogni per cercare di portare avanti questa merda di famiglia. E
questo è il ringraziamento per fare i salti mortali per
piazzarmi
sempre al meglio nelle gare?? ». Le urlò in
faccia, e non gliene
fregava un cazzo se sua madre si fosse offesa a quelle parole. Tanto
meno se l'avrebbe fatta sentire in colpa.
«Haru...
Mamma... non litigate dobbiamo stare uniti, non è colpa di
nessuno
se lui non c'è più è il
destino». Si intromise Usagi mortificata
da ciò che stava succedendo. Non aveva mai sopportato le
liti in
famiglia, fin da quando era più piccola. Vedere le persone
che amava
non andare d'accordo tra loro la torturava. Era per lei logorante.
«Vai
a fan culo Usagi!! Andate a fan culo tutti». Urlò
nuovamente la
motociclista, poi prese la giacca e uscì dall'appartamento
sbattendo
la porta appositamente: sapeva che sua madre odiava quel gesto.
Doveva andarsene via da quella casa, si sentiva soffocare, non aveva
voglia di andare a casa sua. Le rimaneva quindi solo un opzione da
vagliare.
Prese
il cellulare dalla tasca dei jeans, compose il numero che sapeva a
memoria cercando di calmare il ritmo del respiro. La sua speranza e
che non si fosse ancora addormentata e che potesse ospitarla anche
solo sul divano.
«Pronto,
dimmi Ruka ». La voce della bruna interruppe il silenzio.
«Scusami
Sets, spero tu non stia dormendo, posso venire da te a dormire? Ho
bisogno di passare del tempo con qualcuno che non mi giudichi. Non
voglio tornare a casa stasera e ho litigato con mia madre».
Le
disse, mentre raggiungeva la sua moto per aprire la sella all'interno
del quale erano custoditi due caschi.
«Beh,
alle quattro di notte credo sia normale, ma comunque non riuscivo a
dormire, ti aspetto quando vuoi vieni». Rispose la ragazza,
in fin
dei conti gli amici servono nel momento del bisogno e non poteva
certamente farla dormire per strada. Cosa che Ten'o non avrebbe mai
avuto problemi a compiere, conoscendola.
«Arrivo
subito, la strada e vuota credo che in una decina di minuti
sarò
li». Rispose prima di chiudere la conversazione. Dopo di che
chiuse
il cellulare nella sella, chiuse la giacca in pelle nera e si
fissò
il casco in testa.
Girò
la chiave del motore e partì con un rombo per allontarsi
sempre di
più dal palazzo tanto odiato.
***
I suoi
genitori avevano accosentito a farla andare in vacanza dai nonni per
farle staccare la spina da tutti gli avvenimenti che l'avevano
colpita nelle settimane precedenti. Avevano però insistito
affinché
Seiya andasse con lei: era una questione di rispetto ed educazione
visto che era loro ospite. Si era immediatamente pricipitata in
camera per preparare le valigie con tutto il necessario per rimanere
li fino all'inizio del nuovo anno scolastico. Così in quel
momento
era in viaggio gia da quasi due ore, diretta alla villa dei suoi
nonni paterni. Tra i nonni erano i suoi preferiti, gli altri erano
lontani e li sentiva solamente per telefono. Eppoi avevano un
maneggio privato nel giardino di loro proprietà, molto
ampio. Che
non aveva niente a vedere con i giardinetti a cui era abituata in
città.
Al
maneggio c'era il suo cavallo, nero come la notte, per questo lo
aveva chiamato Moonless Night, era nato lo stesso anno in cui era
nata lei. Erano cresciuti praticamente insieme, e cinque anni prima i
suoi nonni le avevano detto che era il momento di montarlo senza
alcuna paura. E nonostante il temperamento giovane e focoso,
l'animale non le aveva mai causato cadute o ferite. Erano stati
affiatati fin dal primo momento che era salito in sella per
prepararsi a qualche gara. Per la felicità non aveva
mangiato niente
per l'ennesima volta, ma sperava in un certo senso di recuperare sul
quel fronte una volta arrivata. Sempre che il suo stomaco glielo
avesse permesso. Era sola dietro, e non poteva che essere
più grata
di ciò.
Il
bruno aveva deciso di sedersi davanti per parlare all'occorrenza con
l'autista, gli era sembrata la cosa migliore dopo aver constatato in
casa che la ragazza non aveva voglia di parlare con lui. Affrontare
un viaggio in totale silenzio non faceva per lui.
«Signorina
è sveglia? Siamo quasi arrivati». La voce del loro
autista
interruppe i suoi pensieri, spingendola a incrociare i suoi occhi blu
con quelli del guidatore nello specchietto retrovisore.
«Certo
che lo sono, non mi sono mai addormentata». Rispose, aveva
già
dormito decisamente troppo i giorni scorsi per far si che il tempo
passasse velocemente. Avrebbe dovuto affrontarli i suoi problemi, ma
debole com'era non riusciva. O forse era più comodo
scappare, non
farsi più sentire e sparire totalmente. Come del resto era
abitudine
di chi faceva parte dell'alta società.
Alla
fine si sarebbe comportata proprio come quelle persone che aveva da
sempre odiato, per quanto si sforzasse di essere diversa lei era
esattamente uguale a loro. Per quanto volesse sfuggire al destino che
le era stato donato alla nascita, non poteva cancellare ciò
che era.
Lei era l'ultima discendente dei Kaioh e che le piacesse o no doveva
rispettare tantissime cose. Avvertì la macchina girare
improvvisamente a destra, e il suo campo visivo entrarono le colonne
che sorreggevano i cancelli della tenuta dei suoi nonni. I prati
verdi nonostante l'estate inoltrata erano indice di grande cura da
parte dei giardinieri.
La
villa dove abitavano gli anziani signori era in vecchio stile, quasi
barocco. Vedere tutti i decori presenti sulla facciata l'aveva sempre
affascinata parecchio, fin da piccola.
Guardò
l'edificio avvicinarsi sempre più fino a quando la macchina
si fermò
nello spiazzo antistante all'ingresso, sulla porta di casa
potè
scorgere la figura dei due proprietari sorridenti. Loro si che erano
felici di vederla!
«Lasciate
pure i bagagli in macchina, provvederò io tra un attimo a
portarli
in casa». Esclamò l'autista spegnendo la macchina.
Lei lo
udì appena, intenta com'era a raggiungere i suoi nonni
preferiti,
udì una velata risposta di Seiya che le sembrò
ringraziare l'uomo
che li aveva accompagnati fin li.
«Nonno,
nonna». Disse, non appena fu vicina ai due anziani, prima di
baciare
le guance di entrambi. Li era come una seconda casa, forse era
addirittura l'unico posto che poteva definire casa.
Be,
forse l'unico esclusa la casa di Haruka. Fu
il suo pensiero improvviso, che scacciò immediatamente: non
poteva
farsi influenzare dalla situazione. Non aveva voglia di nascondere il
magone per evitare le domande che le avrebbero fatto sicuramente.
«Vi
presento Seiya». Disse poi, non appena furono raggiunti dal
moro.
«Piacere
di conoscervi signori, grazie dell'ospitalità».
Disse. Doveva fare
la più buona figura possibile, per non destare sospetti.
«Figurati
caro, gli amici di nostra nipote sono sempre i benvenuti». Fu
la
risposta cordiale della donna.
«Cara,
tu come stai?» chiese dunque Hoshi, suo nonno. Un ometto
basso di
settantanni con gli occhi ancora vivaci di chi si sente giovane
dentro, nonostante gli acciacchi dell'età.
«Abbiamo saputo cosa è
successo a casa, hai fatto bene a venire qui..vedrai che dopo
qualche giorno starai sicuramente meglio».
Adorava
suo nonno.
Adorava
entrambi, fine della storia.
Sorrise
all'anziano in modo sincero, era talmente tanto che non sorrideva
più
che si era quasi dimenticata come farlo. Doveva migliorare su quel
fronte, non poteva permettere alla situazione di strapparle quei
pochi sorrisi che le uscivano spontanei.
«Meglio
nonno, andrà sicuramente a migliorare la situazione
credo..» gli
rispose, più per farlo stare tranquillo che per convinzione
personale.
«Vedrai
tesoro che con i pranzi di tua nonna recupererai tutti i chili
persi». esclamò Yumi, sua nonna, anche lei una
donnina bassa e un
pò grassottella con i capelli bianchi legati in un chignon.
Battè
allegramente le mani davanti al petto, quasi pregustando tutti i
manicaretti che avrebbe potuto realizzare con l'aiuto della
domestica. Si, perché nonostante ne avessero una, lei aveva
sempre
voluto cucinare in sua compagnia e non aveva mai voluto sentire
ragioni sulla questione. Per tanto non condivideva la scelta di suo
figlio di riempire la casa di servitù, totalmente contraria
a come
lo avevano cresciuto.
Michiru
si limitò a sorridere con poca convinzione, non era affatto
sicura
che quei chili sarebbero tornati. Al momento la sua fame non aveva
dato segno di aumentare, ma forse era presto?
«Sai
già dov'è la tua camera, se vuoi andare un
pò a sistemare le tue
cose vai». Le disse suo nonno. «A Seiya ci penso
io». Si rivolse
al bruno «Vieni, ti faccio vedere dov'è la tua
camera». Si avviò
dunque verso il corridoio dove solitamente alloggiavano i loro
ospiti, ben lontano da dove avrebbe alloggiato la violinista.
Avrebbero potuto stare vicini con la camera, ma negli occhi della
nipote era riuscito a scorgere il desiderio di avere più
tranquillità possibile. Suo figlio aveva insistito per far
andare da
loro anche il ragazzo, e inutili erano stati i consigli suoi e della
moglie nel fargli capire che visto ciò che era successo
sarebbe
stato meglio mandare Kou a casa sua: i genitori avrebbero sicuramente
capito le esigenze della figlia.
«Ecco
questa è la tua camera, troverai già le tue
valigie. Spero tu abbia
portato anche il necessario per portare i tuoi studi avanti
perché
vorrei chiederti la cortesia di non disturbare troppo mia nipote, sta
passando un brutto momento ed è bene rispettare i suoi tempi
per non
aggravare ancor di più la situazione». Lo
avvisò, senza paura di
offendere. Michiru prima di tutto, la buona educazione davanti a
problemi di salute passava decisamente in secondo piano.
«Signore,
penso che sua nipote abbia bisogno di qualcuno che la distrae. Anche
se lei si ostina a dire di no credo che non sia una buona idea
lasciarla da sola con questo stato d'animo».
Ribattè lui: ci
mancava anche il nonnino apprensivo. Non era già abbastanza
delicata
la situazione, doveva stare attento a non compiere passi falsi. E
sopratutto doveva avvisare i suoi genitori del cambiamento delle
cose.
«Mia
nipote non sarà lasciata sola come a Kyoto, qui siamo tutti
in
pensione anche se siamo musicisti e gestiamo un maneggio. Non ti
stare troppo a preoccupare che sicuramente Michiru starà
meglio qui
che a casa». Rispose con tono gelido, per chiudere il
discorso. «A
ogni modo all'una e mezza si pranza, cerca di essere puntuale. La
cucina è esattamente difronte a te quando arrivi
nell'ingresso».
Detto ciò chiuse la porta alle sue spalle.
***
«Mamma
non pensi che tu abbia esagerato ieri sera con mia sorella?».
Furono
le parole di Usagi a interrompere il silenzio della colazione tra le
due. Mamoru era uscito al mattino presto, quando ancora stavano tutti
dormendo per passare da casa a darsi una rinfrescata prima di recarsi
all'Università. L'aveva salutata nel suo dormiveglia con un
bacio
sulle labbra, aveva dunque ritenuto opportuno affrontare in quel
momento il discorso con sua madre. La sera prima tra la presenza di
lui e il devastamento psico-fisico non ne aveva avuto le forze.
«Usagi
non iniziare anche te, tu eri più piccola quando vostro
fratello è
morto. E se loro non uscivano perché tua sorella si era
inzuccata ad
andare a quella festa sarebbero entrambi qua». Rispose
gelidamente
la donna. «Ogni volta che qualcuno si fa male nella nostra
famiglia
c'è di mezzo Haruka».
«Non
è colpa di mia sorella se lui è morto,
è stata una scelta sua
fermarsi di più dopo che lei era rientrata. E non
è nemmeno colpa
sua se papà è morto di cancro. Tanto meno lo
è per ciò che è
successo ieri, all'amore non si comanda mamma. Dovresti saperlo
meglio di tutte noi...ma a quanto pare ti sei dimenticata di quando
tu e papà eravate ragazzini».
«Usagi
per favore non ti ci mettere anche tu va bene? E' causa di sorella se
siamo in questa situazione ora, è inutile che dici di no. E'
così e
se vuole che io la perdoni deve piantarla li con ste stronzate,
altrimenti non otterrà più perdono da me. Tu non
potevi esserci più
oggi!! Potevano ammazzarti!!!» il tono si alterò
leggermente.
«Possibile
che vedi solo i lati negativi? Non siamo tutti perfetti! E Haruka ha
sempre fatto tanto da quando sono morti loro. Ha accettato anche di
sostituire in segreto Harumoto rinunciando ai suoi sogni senza
battere ciglio pur di garantire un buon tenore di vita a entrambe, e
tu cosa fai? L'accusi per ogni cosa, sarà anche la pecora
nera della
famiglia ma ha fatto molto più di te in questi hanni che hai
solo
saputo criticare qualsiasi cosa che la riguarda e mai
apprezzarla».
Gli occhi le bruciavano mentre parlava così a sua madre, ma
era
stanca della situazione che avevano in casa. Era stanca di sentire i
litigi tra di loro, che a seconda del periodo erano più o
meno
frequenti. Era stufa di tutto.
«Non
ti permettere di dirmi queste cose!». Si alterò la
donna.
«Perché
altrimenti cosa mi fai? Mi metti in castigo come quando avevo cinque
anni? Fammi il piacere..lasciami in pace! Non sono più una
bambina».
Tagliò seccamente prima di abbandonare la colazione non
finita sul
tavolo e dirigersi in camera sua sbattendo la porta alle sue spalle.
In
quel momento dovevano stare unite, ma la verità era che da
quando
suo padre se ne era andato in quella casa era sempre tutto uno
schifo. I loro rapporti si erano incrinati per il cancro prima, e per
l'incidente stradale di suo fratello maggiore poi. Erano sempre
riuscite a salvare le apparenze davanti agli altri parenti,
sembravano davvero una delle famiglie felici della televisione. La
realtà era ben diversa però. Il suo rapporto con
la sorella
maggiore era molto migliorato con la crescita di entrambe, assistere
a scene come quella della sera prima la faceva sempre stare male.
Papà
dove sei? Se tu fossi con noi sarebbe tutto più
semplice...tu si che
sapevi tenere unita la famiglia.
Pensò,
mentre stringeva tra le mani una foto presa dalla mensola dove
c'erano tutti e cinque. In quell'occasione si che erano felici. I
suoi codini erano notevolmente più corti perché
era più piccola.
Ma tolto quello era rimasta uguale. Stessi occhi e, all'apparenza,
stesso sorriso.
Portò
il dito alla guancia destra per raccogliere una lacrima che ribelle
era sfuggita all'occhio limpido.
***
Quel
mattino si era svegliata con una forte emicrania, avvolta nelle
coperte della sua migliore amica, completamente abbandonata sul
divano. Indossava ancora i vestiti del giorno prima, un sospiro di
sollievo le uscì dalle labbra: aveva subito pensato al
peggio, visto
che lungo la strada aveva preso qualche bottiglia di vino in un bar
aperto ventiquattro ore. Poca roba. No ok, forse a giudicare il suo
stato aveva un pò esagerato. Ma dopo le parole di sua madre
ne aveva
avuto bisogno, doveva scaricare i nervi in qualche modo e quella era
una delle rare volte in cui era consapevole che una scopata non
avrebbe risolto nulla. Ma anzi, avrebbe aggiunto rimorsi a tutti i
pensieri che già le affollavano la testa.
«Ma
da quando ti svegli così presto?». La voce di
Setsuna le solleticò
l'udito.
Avvertì
i suoi passi sempre più vicini.
«Ho
troppa roba da fare stamattina Sets, devo chiamare l'avvocato per
prendere l'appuntamento e vedermi anche con l'investigatore privato
che sai». Le spiegò. Aveva ingaggiato un
investigatore privato per
vederci più chiaro nella faccenda, perchè
qualcosa continuava a non
quadrarle... non si era più avvicinata a Michiru. Per quale
motivo i
suoi genitori avrebbero dovuto mandare gli agguzzini che avevano
picchiato sua sorella? Era sempre più convinta che sotto
c'era
qualcosa di particolarmente grosso e quella fosse solo la punta
dell'iceberg.
E no,
quel Kou non le piaceva per nulla.
«Che
cosa hai intenzione di fare? Investigatore privato
perché?». Gli
chiese la bruna mentre si alzava per andare in bagno.
«
Perché credo che io sia solo un pretesto e che i motivi per
cui
stanno agendo così in realtà siano altri. E non
voglio rimetterci
per i loro loschi affari, ne voglio che Usagi o mia madre rischino
per cose che a noi non interessano minimamente».
Spiegò prima di
entrare in bagno.
Si
diresse verso il lavandino e aprì l'acqua fredda,
allungò la mano
per saggiare la temperatura dell'acqua, per poi buttarsela
più volte
sul viso nel tentativo di svegliarsi.
«Sets,
mi faccio una doccia». Urlò.
«Fai
come fossi a casa tua, gli asciugamani sono sempre al solito posto, i
bagno schiuma stessa cosa scegli quello che vuoi di
entrambi». Gli
arrivò la risposta, a giudicare dalla voce la bruna era in
cucina a
preparare la colazione per entrambe. A quel pensiero il suo stomaco
brontolò sonoramente.
Credo
di aver un pò di fame, sarà meglio che mi dia una
mossa.
***
L'odore
di fieno le colpì le narici non appena oltrepassò
l'ingresso della
scuderia dei nonni. I vecchi gestori le avevano detto che non c'erano
più, dopo anni di servizio erano andati felicemente in
pensione.
Quella notizia le mise addosso una sorta di dispiacere, il suo
istruttore di equitazione sapeva essere nella vecchia leva e
probabilmente non lo avrebbe più rivisto. Come tutto il
vecchio
personale del resto.
Girò
a sinistra una volta arrivata alla fine del corridoio ed
entrò
nell'ala privata della scuderia dove venivano alloggiati i cavalli
della sua famiglia, sette in tutto tra cui il suo.
Un
magnifico stallone di razza Frisone, nero come la notte. Midnight
Moon aveva deciso di chiamarlo anni addietro quando le era stato
regalato. Era nato li alla scuderia da una giumenta che aveva
all'epoca suo nonno e che purtroppo era deceduta in seguito a una
caduta, nonostante era stato fatto il possibile per lei in risorse
umane e mediche.
Il box
era l'ultimo, e lui non aveva la testa fuori, probabilmente non aveva
ancora avvertito i suoi passi.
Qualche
passo dopo lo vide comparire con la lunga criniera, lo sentì
nitrire
in segno di saluto, proprio come al solito. Non si era affatto
scordato di lei. Era felice di rivederlo, era uno dei pochi esseri
viventi a farla stare bene. Uno dei pochi con cui era riuscita a
stringere un legame così profondo come il loro.
Si
fermò due box prima, dove era presente una porta che sapeva
custodire al suo interno la sella, le redini e la cavezza.
Ciò che
cercava era nello scaffale subito di fronte all'ingresso proprio dove
ricordava di averli lasciati l'ultima volta.
Prese
tutto il necessario e andò dall'animale.
«Ciao
cucciolotto». Gli disse dolcemente entrando nel box.
«Ancora un pò
di pazienza e andiamo a correre come ai vecchi tempi».
L'animale in
segno di assenso gli diede un colpetto alla spalla prima di lasciarsi
mettere cavezza e redini. Subito dopo mise il sottosella e la sella,
per poi stringere le cinghie nel modo più appropriato. Prese
quindi
le redini e lo guidò fuori dall'edificio, una volta fuori
salì a
cavallo e partì al galoppo.
Aveva
voglia di andare in spiaggia, anche se a giudicare dal vento il mare
sarebbe stato tutto tranne che calmo e piatto.
Sarebbe
tornata sicuramente in tempo per pranzo, e anche se non fosse stato
così il non mangiare non la preoccupava eccessivamente.
***
Aveva
fatto i salti mortali per arrivare puntuale all'appuntamento con
l'investigatore, aveva rischiato più volte di perdere
aderenza con
le ruote della moto a causa dell'asfalto bagnato, ma grazie alla sua
esperienza era riuscita a domare la tigre ruggente sulla quale era
seduta.
Per
non dare troppo nell'occhio decise di non togliersi il casco una
volta dentro il locale, ne aveva scelto uno piuttosto anonimo, che
non facesse troppo caso all'etichetta e che non la costringesse a
togliersi il copricapo.
Come
da accordi trovò l'uomo già seduto al tavolo del
locale, era
piuttosto giovane: ad occhio e croce doveva avere una trentina
d'anni, ma aveva già parecchia esperienza nel suo ambito.
«Buongiorno,
mi sono permesso di ordinare due cappuccini se non le
dispiace».
Mormorò l'uomo.
« Ha
fatto bene, è riuscito a scoprire qualcosa?».
Chiese immediatamente
abbandonando le frasi di cortesia.
«
Vuole andare diritto al punto Ten'o». Sorrise, portando le
mani
sotto al mento. « Ebbene si ho scoperto molte cose sulle
persone di
cui stiamo parlando...roba che scotta». Gli spiegò
guardandola
fissa negli occhi verdi.
«Che
tipo di roba?». Era curiosa di sapere tutti i giri che
ruotavano
dietro a una buona famiglia come i Kaioh.
«
Diciamo parentele... troverà comunque tutto nella cartellina
che le
sto per dare». Lo osservò tirare fuori dalla sua
ventiquattro ore
un contenitore in cartoncino rigido e giallo che le fu porso
dall'uomo. Proprio nell'istante in cui il cameriere di sala arrivava
a portare loro le tazze. «La guardi con calma a casa, se non
capisce
qualcosa poi sono a sua completa disposizione per chiarimenti e se
vuole approfondire le indagini potrò farlo senza problemi.
Lo faccia
vedere anche al suo avvocato mi dia retta, prima di decidere di fare
qualsiasi cosa».
«Ottimo,
poi mi sappia dire quanto le devo e provvederò a versare la
cifra
sul suo conto corrente, ovviamente le chiedo se può mandarmi
la
ricevuta via email». Mormorò, dopo un cenno di
saluto al cameriere.
«Certamente».
L'uomo la vide bere in un solo sorso il contenuto della tazzina.
«La
ringrazio molto per il lavoro da lei svolto, che mi sarà
sicuramente
molto utile per questa situazione». Prese dunque il
portafoglio.
«Mi permetta di pagare anche la sua colazione». Si
alzò quasi
senza attendere risposta, e si avviò verso il bancone del
locale
dove la cassa era già libera.
Meno
male, così non devo aspettare più di tanto per
tornare un attimo a
casa prima di incontrare l'avvocato oggi pomeriggio. Ho bisogno di
distendere i nervi e sopratutto sono curiosa di leggere attentamente
il contenuto di questa cartellina.
Una
volta pagato il totale per entrambi, si diresse fuori dal locale.
|
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Capitolo 21 *** Tutti i nodi vengono al pettine ***
Note dell'autrice: Per
questo capitolo devo ringraziare MadogV che mi ha aiutata
nella parte iniziale grazie ai suoi studi in Giurisprudenza. Vi ricordo
che in questo racconto porto a termine solamente una delle trame stese,
quella dell'incidente, l'altra verrà affrontata nel sequel.
Siamo quasi in dirittura di arrivo per questa fanfiction, che
dire...un pò mi dispiace perché è un
racconto che mi porto dietro da anni ma, bando ai sentimentalismi, vi
auguro buona lettura!
Capitolo
21: Tutti i nodi vengono al pettine.
Haruka,
onde evitare
sospetti, era uscita dal bar con la cartellina nascosta in un
sacchetto: aveva deciso di dare un'occhiata al suo contenuto una
volta tornata a casa, prima di andare dall'avvocato. Aveva
appositamente ritardato di un'ora l'appuntamento per poter studiare
tutti i documenti con la calma necessaria. La sensazione che
l'investigatore le avesse consegnato informazioni che scottano si era
impossessata di lei nell'esatto momento in cui aveva ricevuto il
contenitore. Non vedeva dunque l'ora di poterne leggere il contenuto.
Ecco perché in quel momento era seduta al tavolo della sua
cucina,
con la cartellina aperta mentre afferrava il primo foglio in essa
contenuto.
Atto
di nascita
n. 3450
Nascituro:
Nome:
Seiya Cognome: Kou
Sesso:
Maschio
Nato
il: 30
Giugno 1998 a: Kyoto ore: 16.40
Cittadinanza:
Giapponese
Genitori:
Madre:
Nome:
Asami Cognome: Kou
Nato
il: 25
Aprile 1978 a: Tokyo
Cittadinanza:
Giapponese
Residenza:
1-10-5, Akasaka, Minato-ku, Tokyo 107 (, Japan)
Padre:
Nome:
// Cognome: //
Nato
il: // a: //
Cittadinanza:
//
Residenza:
//
Vogliono
dichiarare davanti alla legge il riconoscimento del nascituro ai
sensi della legge vigente.
Voltò
la pagina per
continuare a leggere i fogli successivi, anche se già
sospettava
cosa avrebbe trovato al loro interno, in quel modo tutto avrebbe
trovato senso e probabilmente avrebbe automaticamente trovato il
responsabile di tutto ciò che era capitato nelle ultime
settimane.
Non
è possibile, non ci
credo. Se tutto questo fosse vero, e visti i documenti lo è
sicuramente, non si tratta solamente di un incidente. Ma è
qualcosa
di molto, ma molto più grosso.
Devo
portare la
cartellina dall'avvocato, ma non devo farla vedere caso mai qualcuno
mi sta seguendo e tenendo d'occhio; ora forse ho capito chi
è il
vero mandante dell'incidente. Non è solo una sfida da parte
di
Takeshi. Michiru è una vittima quanto me, è tutto
un gioco tra
famiglie potenti e nessuna di noi due ne ha colpa. Ci deve essere un
modo per far venire a galla tutto. È solo una ripicca da
parte di
Seiya, perché probabilmente vorrebbe essere lui il
primogenito dei
Kaioh, e invece lui è il figlio nascosto.
Il
sottoscritto Mitsuo Kaioh nato il 20 Agosto 1960 a Kyoto ore
4.00 Sesso: maschio Cittadinanza: Giapponese
Residente
in Kyoto 150, Minami - Ku (Japan) .
Dichiara
che:
Vuole
riconoscere come figlio naturale :
Nome:
Seiya Cognome: Kou
Sesso:
Maschio
Nato
il: 30
Giugno 1998 a: Kyoto ore: 16.40
Cittadinanza:
Giapponese
Prendendosi
in
piena responsabilità e consapevolezza tutti gli oneri a cui
dovrà
adompiere come padre in seguito alla deposizione di questa
dichiarazione.
Il
suo sguardo fissò per
qualche istante il foglio sotto i suoi occhi, per cercare di
metabolizzare quanto aveva letto e il significato delle parole
stampate anni e anni prima sui fogli. Michiru e Seiya erano fratelli,
e a quanto pareva nessuno lo sapeva tranne i diretti genitori.
E
forse non lo sapevano
nemmeno entrambi. Si alzò velocemente dalla sedia e
riordinò i
fogli prima di chiuderli nella cartellina, doveva andare dal suo
avvocato il prima possibile per scegliere come muoversi.
Prese
la giacca sottile che
aveva indossato fino ad un'ora prima, quando era rientrata in casa,
prese le chiavi della moto, quelle di casa e il casco e si
precipitò
dalla porta di ingresso.
Chiuse
a chiave la porta, e
si diresse verso l'ascensore. L'attesa di quest'ultimo le
sembrò
durare un'infinità di tempo: non vedeva l'ora di poter
salire in
sella alla sua moto.
Devo
riuscire a fare
chiarezza, così forse tutto si sistemerà a
dovere. Nonostante
tutto, glielo devo a Michiru non posso lasciarla in balia di quel
tizio. Dovevo immaginarlo che era la sua famiglia ad essere dietro a
tutto.
Entrò
nell'ascensore, e
schiacciò immediatamente il tasto che l'avrebbe portata
direttamente
nel garage privato della palazzina. Per fortuna la discesa le
sembrò
durare molto meno e in pochi minuti era a destinazione, il parcheggio
era vuoto. Chissà quando avrebbe potuto comprarsi un'altra
auto, far
riparare quella dell'incidente non ne valeva la pena. Il parcheggio
vuoto le provocava una strana sensazione allo stomaco.
Indossò
il casco e chiuse
la giacca leggera nella sella del mezzo, poi infilò la
chiave e la
girò. Un potente ruggito risuonò nell'ambiente,
prima che lei
accelerasse per raggiungere l'ingresso e inserirsi nel traffico.
Un'ora
più tardi era
nell'ufficio del suo avvocato che aspettava di essere ricevuta, era
più nervosa del solito. Aveva trovato sul suo telefono una
chiamata
proprio dall'uomo ed era preoccupata sulle notizie che aveva da
dargli, non era mai capito che a seguito di un appuntamento lui la
chiamasse.
Come
sempre trovò la
segretaria che aveva incontrato già le volte precedenti,
questa
volta però le sembrava più indaffarata. Perse
qualche minuto a
fissarla, il volto concentrato di chi è messo sottopressione
da
qualche consegna imminente o problema da risolvere.
Tutto
sommato molto simile a
quello che sicuramente sfoderava lei nel momento in cui gareggiava
nelle gare automobilistiche.
La
porta si aprì e ne vide
uscire una donna piuttosto prosperosa, dalle curve ben definite. Se
non fosse che erano in uno studio di un avvocato probabilmente ci
avrebbe provato con lei senza troppi problemi, nell'ennesimo
tentativo di scacciare dalla sua mente Michiru che, nonostante tutto,
era ancora una presenza costante.
«Haruka».
L'uomo le fece
cenno di entrare, e lei lo seguì cercando di mantenere a
bada
l'euforia che sentiva all'idea di far supervisionare i documenti
all'avvocato.
«Accomodati
pure, mi ha
chiamato il capo della polizia che sta seguendo tutto il caso
dell'incidente con annessa corsa. Sembra che grazie ad alcune
telecamere siano riusciti a rintracciare chi era alla guida dell'auto
che vi inseguiva. » le disse prima di sedersi di fronte a
lei. «Uno
dei quali sembra avere un tatuaggio visibile anche se sgranato,
sicuramente il viso si vede meglio, grazie alla targa sono riusciti a
rintracciare il proprietario della macchina che a quanto sembra
può
essere lo stesso che compare nel video; i poliziotti pensano che sia
la medesima persona che ha aggredito tua sorella l'altra sera e per
questo servirà che lei si presti per un riconoscimento
». Spiegò.
« Però non riescono a trovare il
mandante.»
«Il
mandante mi sa che è
stato trovato dall'agente privato che ho ingaggiato per alcune
indagini». Rispose immediatamente la motociclista.
«Cioè?».
L'avvocato era
visibilmente sorpreso.
«Cioè
ha scoperto che
Michiru e Seiya sono in realtà fratellastri, da quanto ho
capito il
padre di lei ha fatto le corna alla moglie, e ha messo incinta una,
la madre di Kou». Esclamò, cercando di non vedere
la felicità di
aver fatto questa scoperta. « Facendo due più due
temo proprio che
Seiya abbia tentato di togliermi dalla piazza perché vuole
prendere
ciò che gli spetta di diritto dato che anche lui ha il
sangue dei
Kaioh che gli scorre nelle vene. Molto probabilmente vuole proprio
sposare Michiru o qualcosa di simile».
L'uomo
l'ascoltò
volentieri, in effetti tutto combaciava, poteva essere realmente
così
e in quel caso come difensore della parte lesa avrebbe potuto
proteggere il suo assistito molto facilmente. Doveva immediatamente
avvisare la polizia in modo tale che si muovesse prima che fosse
troppo tardi.
«Sei
disposta ad andare
fino in fondo? Hai ben presente che si alzerà un polverone
senza
eguali e tu ci rimarrai dentro esattamente come tutti gli altri?
Potresti risentirne anche a livello della tua carriera, uno scandalo
del genere in una città come Kyoto è
pesante».
«Si
ne sono consapevole e
per la carriera non mi importa, anzi sarà la volta buona che
mi
metto a lavorare seriamente, come dice mia madre». Quella
donna non
sarebbe mai cambiata. Nonostante tutti i soldi che guadagnava, per
lei quello non era comunque un lavoro serio.
«
Bene, chiamo in
commisariato e informo delle novità, dopo domani dovrete
riconoscere
per quanto vi è possibile chi era alla guida,
dovrà venire anche
tua sorella per vedere se le persone sono le stesse. Ovviamente ci
sarà anche Michiru per forza di cose, ti pregherei di
mantenere un
certo contegno qualsiasi cosa accada, io sarò presente e se
dovesse
succedere qualcosa vedremo come procedere per aggravare la posizione
dell'accusa».
Lei
si limitò ad annuire,
quando aveva sentito che avrebbe visto la violinista da li a poche
ora aveva smesso di seguire tutto il discorso.
Esisteva
lei e basta,
nient'altro. Anche se era da settimane ormai che non si rivolgevano
la parola.
Non
mi ha nemmeno
contattata via internet, e io spero ancora che a lei gliene freghi
qualcosa di me.
Era
proprio una cretina.
Nonostante tutto continuava ancora a illudersi. Sbuffò
stizzita.
***
«
Pronto mamma» . Rispose
al telefono Michiru, erano solamente due giorni che soggiornava dai
nonni e si sentiva leggermente meglio, non aveva la minima idea di
cosa avesse spinto sua madre a chiamarla.
«
Pronto Michiru, tutto
bene?» . Disse la donna al telefono.
«
Tutto a posto, come mai
mi hai chiamata? Vieni al punto per favore perché ho da fare
non ho
tempo da perdere ». Il suo tono di voce uscì
più secco del
dovuto, era certa che sua madre l'avesse chiamata per avvisarla di
qualcosa. In cuor suo sperò che non fosse un concerto
perché ancora
non era pronta ad affrontare il palcoscenico, si sentiva morta
dentro. Quasi spenta, e avrebbe dovuto per forza prima riprendersi,
ancora non sapeva come, e poi avrebbe pensato alla musica.
«
Hanno chiamato dal
comissariato, a quanto pare hanno preso i responsabili che hanno
causato l'incidente insieme a quella Haruka, e devi essere presente
per il riconoscimento. Loro non ti vedranno ovviamente, sarai te a
vedere loro..». Le fu spiegato. « Una volta fatto
puoi benissimo
ritornare dai nonni se lo ritieni necessario e ti fa stare meglio,
questo fino a quando non inizi la scuola».
La
rivedrò. Fu
il suo immediato pensiero, e non capì se era una reazione
positiva o
totalmente negativa.
«
Capito, cercherò di
esserci. Credo che io non abbia possibilità di decisione
». Mormorò in risposta.
«Benissimo,
alle quattro
del pomeriggio devi farti trovare in commissariato». Concluse
la
donna, prima di chiudere la comunicazione. Sospirò, il
pensiero di
trovarsi nuovamente faccia a faccia con la motociclista le
provocò
una sorta di inquietudine: non aveva la minima idea di come avrebbe
reagito.
Forse
era il caso che le
scrivesse su Skype, azione che avrebbe dovuto compiere molto tempo
prima per cui il coraggio che aveva, comunque molto poco, era andato
anche lui in vacanza.
Ma
sarebbe stata la scelta
giusta? Poi cosa le avrebbe detto? Metti che Seiya la scopriva
nuovamente a parlare con lei? Cosa sarebbe successo? Aveva troppo
paura che le vietassero anche il soggiorno dai nonni, del bruno non
poteva proprio fidarsi. Aveva già commesso quell'errore una
volta, e
se non lo avesse fatto probabilmente sarebbero tutti in altre
circostanze.
Forse
i miei avrebbero
accettato Haruka senza battere ciglio. Le
venne quasi da sorridere a quel pensiero: anche se fosse andata
diversamente loro non avrebbero mai accettato che uscisse con una
ragazza. Ammesso che avesse deciso di uscirci come coppia.
Cercò
di scacciare quei
pensieri dalla mente per concentrarsi nuovamente sul disegno che
stava portando a termine quel pomeriggio, iniziato il giorno
precedente. Ultimamente i suoi soggetti esprimevano alla perfezione
il suo stato d'animo, aveva abbandonato i colori e si era concentrata
sui disegni in scala di grigio con il solo ausilio della matita. Era
da tempo che non faceva più con quella tecnica, e il
pretesto era
buono per riprendere la mano. Stava lavorando alla rappresentazione
di una sirena dal viso e dalla postura triste e abbattuta.
***
Quando
scese dalla moto in
garage erano quasi le ventuno, non aveva ancora cenato ma dati gli
avvenimenti di quell'ultima giornata aveva lo stomaco chiuso per il
nervosismo e l'agitazione. La cartella l'aveva lasciata nello studio
dell'avvocato per permettergli di studiarsela e fare le dovute
ricerche in materia legislativa che meglio si applicavano al suo
caso.
Aver
lasciato quei documenti
nello studio l'aveva sollevata notevolmente, perchè nel caso
qualcuno avesse fatto la spia almeno non avrebbe corso il rischio che
glieli portassero via. Avrebbero probabilmente messo la casa
sottosopra, ma senza ottenere i risultati che speravano.
Si
diresse verso l'ascensore
che l'avrebbe accompagnata direttamente al piano in cui aveva la
residenza, non vedeva l'ora di farsi una doccia tiepida per
rinfrescarsi e cercare di rilassarsi anche se quest'ultimo intento
non sarebbe stato affatto facile.
Quando
però le porti
scorrevoli della cabina si aprirono, tutti i suoi intenti basati
sulla serata di relax andarono letteralmente a farsi benedire.
Aveva
degli ospiti in casa,
ed erano per certo ospiti indiserati.
E'
la volta buona che gli
spacco la faccia a sti pezzi di merda, devono solo pregare che io mi
fermi in tempo prima di mandarli all'altro mondo.
La
collera repressa a causa
di tutti gli ultimi avvenimenti le fece andare il sangue al cervello
mentre come una furia si diresse verso l'ingresso dell'appartamento.
Come
c'era da aspettarsi
l'abitazione non era affatto in ordine come l'aveva lasciata, anzi
era molto più disordinata.
Quello
che non si sarebbe
mai aspettata era stato il trovarsi il padre di Michiru seduto sul
divano del salotto, con un atteggiamento freddo e al limite della
straffottenza.
Sto
figlio di puttana
cosa ci fa a casa mia ora?
«
Haruka, che piacere
vederti». Esordì l'uomo senza perdere la sua
posizione composta.
Quel modo di fare calcolato la mandava ancora di più in
bestia, si
sentiva lontano un miglio che era una persona falsa.
«
Se le dicessi che anche
per me è un piacere mentirei». Rispose lei in un
soffio,
avvicinandosi all'uomo.
«
Non ne dubito, dopo tutto
l'educazione non saprai nemmeno cosa sia. Tuttavia non sono di certo
qui per parlarti di questo. Gradirei che dopo il riconoscimento dei
colpevoli tu sparisca dalla città e dalla vita di mia
figlia, la
nostra famiglia ha delle conoscenze negli USA mediante le quali
potrai far carriera nelle corse automobilistiche e sicuramente
permettere alla tua famiglia un tenore di vita più...
agiato.
Ovviamente non dovrai più cercare Michiru, mai
più».
Precisò
lui.
«
E lei pensa che queste
minacce velate mi impauriscano? Dopo che ho scoperto che lei quando
Michiru non era ancora nata si scopava la prima puttana di alto borgo
che ha trovato, e per giunta l'ha messa anche incinta? Lei che ha
rovinato la vita a Michiru vuole decidere anche della mia?».
Stava
perdendo la pazienza, e se inizialmente il suo tono era abbastanza
tranquillo e pacato, sul finire della frase stava decisamente
urlando. Quell'uomo le faceva schifo.
Un
ghigno si dipinse sulle
labbra di lui, che attese qualche attimo per risponderle.
«
Non mi fai paura, non mi
fa paura nemmeno quello che hai scoperto. Perchè tu dopo
domani non
ti presenterai a testimoniare o la tua famiglia perderà
tutto. Mi
sono informato su tua madre, basta una mia parola e verrà
licenziata. Lo stesso vale per te, sai so benissimo che hai preso il
posto di tuo fratello, e che nel panorama delle corse nessuno
è a
conoscenza che tu sia una donna..sarebbe davvero un bello scandalo
che ti distruggerebbe la carrier..». Non fece in tempo a
finire la
frase che un pugno lo colpì in pieno viso, proprio sul naso
provocandogli un dolore lancinante e insopportabile. Poco
sentì il
sangue scorrere nelle narici per trovare una fuga verso l'esterno.
«Una
reazione così me
l'aspettavo da una come te, cresciuta per la strada..probabilmente
tuo padre era anche un drogato. Ma sai non mi importa, e non ti
denuncerò nemmeno. Qua ci sono i biglietti di sola andata
per New
York, sul biglietto tutti i contatti della nostra famiglia che sono
già stati messi al corrente di tutto. A te la scelta, se
cambiare il
vostro destino in bene, o rovinare per sempre la reputazione di tua
madre». Continuò l'uomo, dopo aver bloccato un
secondo pugno da
parte della ragazza. «Mi puoi sorprendere una volta, non due
ragazzina».
Cercò
di fare ancora più
forza per arrivare di nuovo alla faccia di lui, ma tutto ciò
che
ottenne fu solo un forte tremore per lo sforzo che stava compiendo.
«
Mio padre non è mai
stato un drogato, e vedendo lei che tipo di padre è deve
solamente
lavarsi la bocca con la candeggina prima di nominare il mio».
Gli
disse prima di girarsi furente dall'altra parte.
Non
voglio partire, non
riuscirei mai a cambiare così radicalmente vita. Sopratutto
non
riesco minimamente a pensare di non vederla ne sentirla una volta che
lascio il Giappone. Non posso però rischiare di rovinare la
carriera
di mamma per le mie cazzate.
«
Beh io ti saluto, i
doveri mi chiamano e devo giusto sistemare alcune cose prima di
venire in commisariato domani. Ricorda, non fare parola con nessuno
del nostro incontro o la tua famiglia patirà la fame per il
resto
dei suoi giorni e tu con lei». La ammonì
nuovamente l'uomo
pulendosi con il bordo della camicia il sangue che gli segnava il
volto. Poi si diresse verso l'uscita dell'appartamento, indossando
nuovamente quella maschera fredda e indifferente che aveva
inizialmente quando era entrata nell'appartamento.
Haruka
lo fissò minacciosa
mentre scomparve dalla sua vista. Poi come se fosse stata liberata da
un incantesimo guardò intorno: il casino che aveva fatto non
aveva
uguali, probabilmente stava cercando la cartellina.
Quel
figlio di puttana mi
avrà sicuramente fatta seguire e tenere d'occhio altrimenti
non mi
capacito di come poteva sapere della cartellina. Per fortuna l'ho
lasciata all'avvocato.
Pensò
prima di iniziare a
mettere un pò di ordine nell'appartamento, non avrebbe fatto
comunque tutto perché aveva voglia solamente di rilassarsi
in quel
momento e scaricare la tensione con una bella doccia.
Doveva
anche riflettere bene
sul da farsi, non voleva assolutamente prendere decisioni affrettate
che avrebbero influenzato il suo futuro, ma sopratutto quello della
sua famiglia. Avevano patito già troppo per le perdite
importanti in
quegli ultimi anni, e non poteva assolutamente rischiare che la
situazione già precaria si aggravasse ancora di
più.
Dopo
tutto se avesse detto
ai giornali che lei in realtà era una donna le avrebbe
stroncato la
carriera senza nemmeno troppa fatica, e per sua madre e la sorella
sarebbe stato un duro colpo dal punto di vista economico. Era una
lotta tra cuore e mente la sua, e anche se si sforzava di trovare una
soluzione che potesse permetterle di accontentare entrambi sapeva che
non sarebbe stato possibile.
Sapeva
anche che, anche
questa volta, sarebbe toccato a lei sacrificarsi e a rinunciare a
Michiru. Soffrire e tentare di voltare pagina, a molti poteva essere
assurdo che stesse così male per una ragazza frequentata
così poco;
ma la realtà era che la violinista le era entrata nel cuore
fin da
subito.
E
rimandarla al mittente
sarebbe stata dura, se non impossibile.
Decise
di fare la doccia che
aveva messo in programma quando ancora doveva arrivare nei pressi di
casa. Andò perciò in bagno, si spogliò
e si infilò nella cabina
aprendo l'acqua e impostandola su tiepida.
Era
sicura che la sua vita
sarebbe solo stata un insieme di costrizioni e limitazioni, lei che
era sempre stata uno spirito libero da piccola era ora ridotta a
pensare agli altri sacrificando se stessa e la vita che avrebbe
voluto fare, ben lontana da quella che purtroppo il destino le aveva
donato.
Fratellino,
se tu fossi
ancora qui probabilmente sarebbe tutto diverso. Tu saresti impegnato
nelle gare, in cui sicuramente eccellevi più di me. E io
probabilmente ora sarei stata in giro per il mondo a suonare il
pianoforte con le orchestre più famose.
Un
nodo le si formò in
gola, mentre lacrime amare iniziarono a scorrere sul suo viso.
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Capitolo 22 *** Scegliere il tuo destino ***
Note
dell'autrice: Buona sera a tutti, ecco il penultimo capitolo.
Spero vi piaccia, perché mi ha fatta
patire tanto durante la stesura e non sono totalmente soddisfatta del
risultato. Le frasi in blu sono tratte da "Non è mai un errore" di Raf. Vi auguro buona lettura, a presto.
22^Capitolo:
Scegliere il tuo destino.
I
giorni che seguirono
furono tutt'altro che semplici, combattuta tra il viversi la sua
vita, amare chi le era entrato nel cuore e il non mettere a rischio
la sua famiglia per un motivo così futile. Dopo tutto
Michiru non
sarebbe stata di certo l'unica ragazza sulla faccia della Terra; era
sicura che, anche se in quel momento le sembrava totalmente
impossibile, presto o tardi un'altra ragazza avrebbe preso il suo
posto.
Preda
di quei pensieri cosi
tormentati, per sicurezza aveva già fatto le valigie, in
modo tale
che se avesse scelto all'ultimo sarebbe stato tutto pronto. In fin
dei conti cambiare aria le avrebbe fatto sicuramente bene, avere una
spinta nella sua carriera altrettanto poteva significare far vivere
ancora meglio la sua famiglia. Lei non aveva mai apprezzato chi
riceveva raccomandazioni o calci nel culo per fare strada o carriera,
era una di quelle persone a cui piaceva guadagnarsi ogni traguardo
con ogni sorta di impegno e sacrificio.
Accettando
la proposta dei
Kaioh, sarebbe andata contro ogni suo principio. Tuttavia l'Haruka
che tutti conoscevano era morta anni prima quando aveva ricevuto la
notizia che suo fratello era volato via. Da quel momento in poi tutto
era cambiato: si era sostituita a lui, aveva iniziato a correre al
suo posto, mettendo da parte le sue vere aspirazioni. Aveva dato
tutto per la sua famiglia, e ora poteva darle ancora di più.
Dopo i
lutti che avevano avuto tutti, si era resa conto di essere
profondamente cambiata, la parte di lei impulsiva e combattiva si era
andata a nascondere chissà dove per lasciare posto a quella
che era
diventata. In soldoni era solamente lo spettro di se stessa.
Chiuse
la cerniera del
trolley quando era quasi giunto il tempo di uscire per andare a
prendere la sorella. Sarebbero andate insieme in questura per
riconoscere le persone catturate dalla polizia, sperando che fossero
quelle giuste e che quella faccenda giunsesse al termine.
Andò
in bagno per una
rinfrescata veloce e darsi una sistemata ai capelli, era già
pronta
da quella mattina, come sempre quando era nervosa per qualcosa.
L'impazienza la stava letteralmente divorando, decise quindi di
uscire dall'abitazione e di anticipare il suo arrivo a casa di sua
madre, dopo tutto doveva metterla al corrente della proposta di
lavoro negli USA. Non avrebbe detto tutti i dettagli, ma il minimo
indispensabile. Usagi sicuramente non l'avrebbe presa bene,
probabilmente nemmeno la madre, erano troppo attaccate a lei per
permetterle di allontanarsi così tanto da casa. Nel momento
in cui
avrebbe deciso, però non sarebbe più tornata a
casa.
***
Il
rientro nella villa a
Kyoto dopo così pochi giorni non fu così
trumatico come in realtà
si aspettava. Dopo tutto non aveva ancora potuto abituarsi alla
libertà che poteva assaporare a casa dei nonni anche grazie
a
Midnight, il suo cavallo. Seiya infatti non sapeva calvalcare, e
quindi il destriero nero si era trasformato prontamente in una valida
scusa per passare del tempo da sola senza che lui la seguisse come
una guardia del carcere. Passare un pò di ore in compagnia
dell'animale la faceva stare bene, stare in spiaggia con lui era
qualcosa che aveva sempre amato. Erano le uniche creature a
interrompere l'incanto della battigia al tramonto e quello le bastava
per allontare i pensieri o, in caso contrario, pensare accuratamente
ad essi.
Da
li a poco si sarebbero
recati in questura, non aveva ancora capito per cosa doveva
testimoniare: lei non si ricordava minimamente le facce di chi era
alla guida dietro di loro. La sua testimonianza la reputava al quanto
in utile.
Con
molte probabilità
avrebbe rivisto Haruka, e non sapeva come avrebbe reagito. Sarebbe
riuscita ad ignorarla e a rimanere impassibile? La risposta le era
fondamentalmente ignota. Nei suoi confronti si era comportata
malissimo, e in parte si sentiva in colpa. Avrebbe dovuto scriverle
forse, mettersi in contatto con lei per cercare quanto meno di
chiarire le rispettive posizioni.
Dopotutto
però perché
avrebbe dovuto chiarire qualcosa con una perfetta estranea?
Perchè
in fin dei conti di lei non conosceva nulla, sapeva solo che aveva
una sorella, che amava le corse e le moto e che era uno spirito
libero. Erano pochissime cose per pensare anche solo lontanamente di
mettersi contro la sua famiglia. Aveva solamente sedici anni, e senza
il loro appoggio non sarebbe andata poi troppo lontana. Lo scandalo
che avrebbe causato sarebbe rimasto nei ricordi cittadini per anni.
«Signorina,
è ora i suoi
genitori mi hanno detto che è ora di andare». La
nuova cameriera
interruppe i suoi pensieri. Era molto giovane, forse aveva una
ventina d'anni, poteva definirla quasi una sua coetanea. Ma non le
piaceva affatto. Troppo fredda e poco spontanea rispetto a colei con
la quale era cresciuta.
«Grazie
mille, vado
subito». Le rispose prima di afferrare la giacca e la borsa.
Si
diresse verso l'ingresso
dove trovò subito i suoi genitori, con loro scorse anche la
figura
di Seiya.
Ma
perché deve sempre
essere in mezzo ai piedi, deve venire anche in questura adesso?
Appena
la videro, anche loro
tre si diressero verso l'uscita dell'abitazione. Il silenzio regnava
tra loro. Tutta quella situazione era davvero molto pesante,
percepiva a pelle che i suoi genitori ancora non avevano digerito il
fatto che lei fosse uscita di nascosto con una perfetta estranea, e
per di più nemmeno della loro casta sociale.
***
Arrivarono
in commissariato
con largo anticipo rispetto l'orario che le avevano comunicato per
telefono quella mattina, sperava in quel modo che potessero
anticipare tutti i riconoscimenti, riuscendo così ad evitare
di
trovarsi faccia a faccia con Michiru, i suoi genitori e con molta
probabilità quello che a tutti gli effetti era suo fratello.
Aveva
deciso di non rivelare
l'identità del moro, in futuro forse lo avrebbe fatto, se ne
avesse
avuto l'occasione ma non in quel momento: non
poteva rischiare
di compromettere tutto. Per quanto le faceva male lasciare la
violinista in quelle condizioni, poteva solamente sperare che lei non
si innamorasse del bruno. Che qualcun altro facesse breccia nel suo
cuore, e non proprio lui.
«Tenou,
è il tuo turno».
Si sentì chiamare dalla poliziotta di turno quel giorno, sua
sorella
uscì poco dopo con gli occhi lucidi, segno che qualcuno era
riuscita
a riconoscere.
Bene
così, almeno uno
così pagherà le sue colpe per la violenza che ha
causato.
Sperava
di riconoscere più
o meno le stesse persone, perché in fin dei conti lei sapeva
benissimo chi era alla guida di quelle due macchine, i due mezzi
erano quelli utilizzati più di frequente da due del gruppo
di
Takeshi.
E
visto l'odio che egli
covava nei suoi confronti, non le sembrò poi tanto strano il
fatto
che avesse accettato di metterle i bastoni tra le ruote.
La
stanza con il vetro
oscurato era più piccola di quello che immaginava, ma al di
la del
vetro i tre sospettati erano fermi immobili. Li fissò
attentamente,
e ne riconobbe solamente due. Il terzo, con il tatuaggio sul collo
non sembrava un volto conosciuto.
«Allora
sono sicura
dell'identità di due di loro, e posso anche fare il nome del
capo
del loro gruppo. In quanto si considera un mio rivale senza alcun
fondamenta, visto che io non ho interesse a gareggiare con lui.
Probabilmente qualcuno li ha contattati sapendo di questo
attrito..».
Mormorò lei agli agenti. « E costui doveva
conoscermi davvero bene
per saperlo, oppure ha condotto ricerche accurate su chi sono o cosa
faccio».
«Quello
che pensiamo anche
noi, siamo riusciti a rintracciare il numero da cui è stato
chiamato, ma ancora non riusciamo a stabilire a chi è
intestato.
Sicuramente è frutto di una mente ingegnosa e pagata per
questo
genere di cose, visto che ha oscurato gli intestari e non sappiamo se
riusciamo a scoprirli». Le spiegò la poliziotta.
«Mia
sorella chi ha
riconosciuto? L'importante e che non rimangano impuniti».
Disse.
«Il
terzo che tu non hai
riconosciuto, per via del tatuaggio ed è quasi sicura che
tra quelli
che l'hanno picchiata ci fosse anche lui».
Maledetto
verme, sei
fortunato che ti stia osservando attraverso il vetro, in un
commissariato di polizia e che io non ti abbia beccato per strada.
Perchè giuro su me stessa che non saresti tornato vivo.
«Capisco,
se voi non avete
bisogno ancora della mia presenza io andrei, vorrei evitare di
incontrare i Kaioh». Disse, sperando che la
sincerità fosse
premiata, ottenne un accenno del capo che intuì come una
risposta
positiva.
Quando
uscì dalla stanza
Usagi era sparita. Dove si è infilata adesso, non
ho proprio
tempo da perdere.
Si
mosse verso l'uscita
dell'edificio nella speranza che lei la stesse aspettando fuori,
quella situazione la innervosiva, ogni minuto che passava era sempre
più nitido il pericolo di incontrare la violinista, ed era
certa che
se l'avesse vista avrebbe cambiato idea: partire sarebbe stato
impossibile, sopratutto dopo quello che aveva scoperto.
***
L'autista
li accompagnò
all'ingresso principale della questura e lei non vedeva l'ora di
tornare a casa per far rientro il giorno dopo dai nonni per
ciò che
rimaneva dell'estate, avrebbe approfittato di quel ritorno
inaspettato a Kyoto per prendere i libri che le sarebbero serviti
per portare a termine gli ultimi compiti che le erano stati
assegnati.
«Michiru,
da questa parte».
Si sentì chiamare da sua madre non appena il piede
toccò il
marciapiede, si limitò ad anuire prima di seguirla.
Quando
finirà questa
farsa? Non potevano accontentarsi della mia testimonianza a riguardo?
In ogni caso non saprei riconoscere nemmeno uno di quei tizi, voglio
solo tornare a casa!
Al
suo fianco trovò Seiya
con il suo solito sguardo a metà tra l'apprensivo e il
preoccupato,
negli ultimi tempi si rivolgeva a lei sempre con quell'espressione e
la faccenda le dava al quanto sui nervi.
A
quell'ora sarebbe stata
sicuramente a cavalcare sulla spiaggia e invece eccola li in pieno
centro città, tra lo smog a fare qualcosa che le pesava
tantissimo,
per non parlare del timore di incontrare Haruka.
Seguì
gli altri tre sulla
scala che la separava dall'ingresso e in cima a questa scorse quella
che intuì essere la sorella di Haruka, la stessa ragazza che
le
aveva fatto visita in ospedale.
Se
Usagi è qui,
sicuramente sarà qui anche lei..ancora.
Sentì
l'agitazione salire,
la preoccupazione era tanta ma non al pari di ciò che il
nervosismo
le stava causando in quel momento, fece un respiro profondo nel
tentativo di ritrovare un po' di serenità.
Consapevole
che, ormai, non
aveva altra scelta e avrebbe dovuto incontrarla per forza.
Entrati
nell'edificio
osservò i suoi genitori chiedere informazioni sulla stanza
in cui
doveva svolgersi il riconoscimento per cui avevano appuntamento.
Scoprirono essere poco lontano da li e lo raggiunsero poco dopo, i
suoi occhi blu che vagavano alla ricerca di una sagoma familiare.
La
sua attenzione fu
richiamata da una voce che cercava di trovare una certa Usagi,
particolare che non le sfuggì insieme alla descrizione che
corrispondeva alla ragazza vista sulla scalinata ad aspettare con
molta probabilità la sorella dopo aver testimoniato anche
lei ed
aver svolto la sua parte.
La
vide comparire davanti a
se e ai suoi accompagnatori improvvisamente, allo stesso modo Haruka
accelerò il passo non appena si rese conto di chi aveva
davanti.
«Haruka!».
Urlò con
qualche decibel sopra la norma. Si voltò a guardarla nel
tentativo
di fermarla, senza risultati. Immediatamente sentì una presa
ai
fianchi che intuì essere quella di Seiya: la stava bloccando
per non
farla andare, per non fargliela raggiungere in preda a
chissà quale
sconosciuta paura.
«Lasciami
Seiya, ti prego».
Mormorò cercando di liberarsi con tutte le sue forze, ma era
debole
a causa dei giorni precedenti che aveva mangiato poco e nulla.
«Michiru
lasciala perdere,
è solo una sporca pervertita che voleva i tuoi soldi oltre
che
infilarsi nelle tue mutande». La voce severa del padre
arrivò quasi
a gelarla sul posto. Ma non poteva arrendersi, non in quel momento:
una volta tanto voleva agire di testa sua, facendo ciò che
pensava
fosse giusto per lei. Non per i suoi genitori. Pestò forte
il piede
al bruno che sentiva accanto a se, questo in tutta risposta
mollò la
presa per il male dandole l'opportunità di scappare via e
cercare di
raggiungere la protagonista.
«Sarebbe
meglio evitare di
farle incontrare». Esclamò sua madre non appena
lei corse via,
sarebbe stato un rischio troppo grande, se usciva fuori che il volo
lo avevano pagato loro sua figlia non avrebbe più rivolto la
parola
a nessuno, non che in quel momento li deliziasse con chissà
quale
discorso.
***
Sentì
dei passi sempre più
vicini precipitarsi giù dalla scalinata principale e esterna
dell'edificio, passi che le erano familiari e che le fecero battere
il cuore forte del petto nonostante la decisione che aveva ormai
preso per il bene di tutti coloro che la conoscevano, ma non per il
suo. Le venne da pregare con tutto il cuore che non fosse lei mentre
i suoi occhi smeraldo si posano sulla sorella già seduta
sulla sua
moto dall'altra parte della strada.
«Haruka,
ti prego
aspettami». La voce le provocò un leggero aumento
di battito, e
dovette combattere contro ogni singola cellula del suo corpo per non
voltarsi e correrle incontro per abbracciarla forte a se.
Continuò
imperterrita a
scendere i gradini cercando di ignorarla nella speranza che capisse
che la cosa migliore per entrambe fosse che lei tornasse indietro;
alla fine del percorso, una volta giunta dal marciapiede la sua
visione periferica fu occupata da un riflesso acquamarina che ne
riempì subito dopo l'intero campo visivo. Sbuffò
infastidita a
quella visione.
«Michiru,
è meglio per
entrambe se tu torni indietro. Arrivate a questo punto non credo che
abbiamo qualcosa da dirci». Mormorò sottovoce,
compiendo una
violenza immane su se stessa, avrebbe voluto dire tutt'altro ma la
situazione in cui si era cacciata non glielo consentiva. Vide una
sorta di delusione dipingersi sul volto della violinista.
«Come
non abbiamo niente da
dirci? Io dire che abbiamo fin troppe cose di cui parlare».
Si sentì
rispondere, la voce dell'altra un pò tremolante.
«Non
credo proprio, tutto
quello che c'è stato è solamente un errore, e per
me tu non sei
nulla Michiru faresti meglio a porre la tua attenzione su qualche
rampollo esponente di qualche buona famiglia. Non su una lesbica come
me, non ti si addice. Ora se non ti dispiace fammi passare».
Il tono
che le uscì fu più duro di quanto in
realtà volesse, e da una
parte le dispiacque trattarla in quel modo non corrispondente alla
verità. Sentì il cuore andare in mille pezzi
quando vide chiare le
lacrime scorrere sul viso dell'altra. «Cazzo Michi!! Non
rendere
tutto più difficile, lasciami passare tra qualche ora ho un
volo per
gli Stati Uniti d'America, ho ricevuto una buona proposta di lavoro e
ho deciso di accettarla. Dimenticati di me». Concluse prima
di
raggirare l'altra e passare oltre.
«Allora
è così?? Per te
sono stata solo un gioco Haruka? Sei quindi uguale a tutti gli altri,
ambivi solo ai miei soldi, al mio status sociale mi hai porta a letto
per quello!». Il tono molto simile a quello di una crisi
isterica.
No
Michiru, la verità è
che tuo padre è un bastardo. La verità
è che quello che pensi
essere un amico di famiglia in realtà è tuo
fratello da parte di
padre e sopratutto la verità è che quelle merde
dei tuoi genitori
hanno minacciato di far saltare il posto di lavoro di mia madre se
non parto per gli USA. E che nonostante io ti conosca da
così poco
mi sei entrata nel cuore come nessun'altra aveva mai fatto prima.
Avrebbe
voluto risponderle
quello, metterla al corrente di tutto. Ma la sua posizione era troppo
delicata in quel momento, forse in futuro se il destino lo avesse
voluto avrebbero avuto un'altra occasione. Altrimenti si sarebbe
limitata ad ammirarla da lontano quando trasmettevano alla
televisione i suoi concerti, perché ne era sicura: avrebbe
sfondato
anche a livello internazionale, prima o poi.
Si
limitò a sospirare,
prima di avvicinarsi alle macchine parcheggiate e attendere che non
ne passassero sulla strada in modo tale da poter attraversare e
raggiungere la strada.
Perdonami
Michi.
Ti
guardo per l' ultima volta mentre vado via
Ti
ascolto respirare non scatto la fotografia
Non
porterò nessuna traccia dentro me
niente
che dovrò rimuovere.
***
I suoi
occhi blu invasi dalle lacrime le restituivano una visione opaca di
quello che la circondava mentre vedeva la bionda attraversare la
strada senza rivolgerle più la parola.
Quella
situazione era al di poco assurda non poteva credere che fosse tutto
vero e reale, avrebbe dovuto testimoniare ma non ne aveva voglia,
sapeva di essere costretta e sapeva anche che di li a poco i suoi
genitori sarebbero comparsi sulla soglia dell'edificio.
Il
vuoto che si era impossessato di lei però era lancinante, si
era
sempre imposta di non affezionarsi particolarmente alle persone
perché aveva ben chiaro che la cercassero solo per i soldi;
la
sensazione che però aveva avuto nel momento in cui aveva
scontrato
Haruka per la prima volta era stata totalmente diversa, le era
sembrata una persona sincera e genuina non attaccata alla
possibilità
di scalare la società. Anche perché per quanto
aveva capito, con le
corse guadagnava molto bene, non ne aveva bisogno particolare
insomma.
Invece
a quanto pare si era sbagliata, e la bionda si era forse rivelata una
delle peggiori persone con cui aveva avuto a che fare dal suo
debutto in società. Forse i suoi genitori non ne avevano
tutti i
torti, Seiya aveva perfettamente ragione. Aveva azzeccato in pieno
con il suo parere su quella storia.
L'unica
stupida che non se ne era accorta era stata solamente lei, e
così a
causa sua aveva persona anche gli unici amici che aveva in casa dei
suoi genitori: lei infatti non considerava sua quella casa, piuttosto
sentiva sua la casa dei suoi nonni dove riusciva davvero a stare
bene.
Aveva
mandato tutto all'aria per una stronza come Haruka. Si portò
le
mani a coprirsi la bocca per aver pensato la parolaccia, in un
riflesso quasi automatico dato dall'abitudine di esprimersi in
tutt'altro modo di regola in pubblico, ma anche all'interno di Villa
Kaioh.
Sospirò
profondamente nel tentativo di calmarsi mentre il rombo della moto le
solletico le orecchie un attimo prima di essere già lontano
da lei.
Se
hai sbagliato è uguale anche se adesso fa male [...]
E
se hai mentito è uguale ora lasciami andare.
E'
stato bello seguirti, rimanerti vicino
anche
solo per lo spazio di un mattino.
***
Non
aveva ancora comunicato la decisione di partire per gli Stati Uniti a
sua madre e a sua sorella, aveva poche ore per farlo prima di
prendere la valigia e recarsi in aereoporto. Non si aspettava
comprensione da parte loro, sicuramente avrebbero reagito entrambe
malissimo, e non poteva dare loro tutti i torti visto che non gli
aveva parlato di nulla fino a quel momento. Abituarsi all'idea che
dalle successive ventiquattro ore non sarebbe più stata
accanto a
loro non sarebbe stata cosa semplice, del resto nemmeno per lei lo
era cambiare ambiente, abbandonare le amicizie ma sopratutto la
sorella a cui, nonostante fosse pasticciona e ancora tanto bambina,
voleva molto bene.
Deglutì
nel tentativo di cacciare indietro il magone che portava con se tutta
quella storia, odiava farsi vedere piangere dalle altre persone e non
avrebbe iniziato a scendere ai compromessi con la sua coscienza di
certo ora.
Per
questo aveva pensato che la cosa migliore fosse accompagnare Usagi a
casa direttamente, sperando nel fatto che la madre non fosse
impegnata in clinica ma a casa, speranza che si rivelò
assolutamente
giusta nel momento in cui qualcuno aprì il portone del
palazzo dopo
che sua sorella aveva suonato al campanello.
Non
riusciva ad essere serena in quel momento, avrebbe dovuto essere
felicissima per il cambiamento inaspettato che da li a poco sarebbe
avvenuto nella sua carriera, ma non riusciva a gioirne. Non senza le
persone a cui teneva di più accanto a lei: suo padre e suo
fratello;
probabilmente se lui fosse stato li in quel momento era lui a dover
dare la notizia al posto loro, o forse sarebbe andata ugualmente
così
per altri motivi.
«Ragazze
com'è andata? Siete riusciti a riconoscere
qualcuno?». Fu la prima
domanda di sua madre non appena entrarono nel loro appartamento,
domanda a cui lei non rispose, anzi, la ignorò totalmente.
«Sentite..».
Esordì con una decisione in corpo che fino a quel momento
pensava di
non poter tirare fuori in un momento simile. «Qualche giorno
fa ho
ricevuto un importante proposta di lavoro ».
Esordì. «Sono stata
notata da una casa automobilistica molto famosa e americana, non vi
ho detto nulla fino ad ora perché ero io stessa indecisa se
accettare o meno fino a stamattina. Beh ho deciso di accettare la
proposta e quindi parto per gli Stati Uniti».
«Cosa?».
La prima a proferir parola fu sua madre, nel suo sguardo una sorta di
smarrimento evidente a quella notizia così improvvisa.
« Quando
devi partire?»
«Tra
circa..». I suoi occhi verdi corsero all'orologio appeso al
muro
della cucina attraverso la porta aperta. «Quattro ore, devo
infatti
andare a casa tra poco per prendere le valigie e andare in aereoporto
per il check-in».
«Giustamente
di me e di tua sorella non importa nulla come al solito!!! Vai a
lavorare all'estero e lo dici così, come se ti trasferissi
nell'appartamento accanto». Nella voce un tono di
risemtimento. «Non
bastavano tuo padre e tuo fratello, ora anche te devi
andartene».
No
questo è troppo, paragonarmi a loro due che non hanno avuto
scelta,
ma che erano stati condannati a morte a causa di circostanze non
controllabili.
«Ma
che cazzo dici?!!?». Sbottò, alzando leggermente
la voce. « Loro
sono morti, non è esattamente la stessa cosa!!! Dici sempre
che devo
mettermi a lavorare seriamente senza corse clandestine estive, bene
ho trovato il lavoro che volevi. E non me ne frega un cazzo se tu sei
d'accordo o no. È la mia vita e penso che io me la sia
rovinata già
abbastanza prendendo il suo posto. Non ti permettere di dire ste
cose».
La
donna davanti a lei non replicò le volse le spalle, un
tremolio
nervoso nelle mani chiuse a pugno, la osservò incamminarsi
verso
l'uscita della sala e dopo qualche istante la porta della camera
sbattere.
« Si
scappa pure come al tuo solito!! Che così i nostri cazzo di
problemi
li risolviamo, aveva ragione papà quando diceva che non si
poteva
parlare con te!! Ora lo capisco a pieno». Le urlò
dietro.
«Vaffanculo!». Spostò malamente la sedia
del tavolo per lasciarsi
cadere su di essa un attimo dopo. Spostò quindi lo sguardo
su sua
sorella che aveva assistito alla scena senza dire nulla, gli occhi
lucidi.
«
Usagi.. Non piangere anche te per favore, non vado in guerra. Ci
potremmo sentire quasi tutti i giorni su skype tramite cellulare e
computer, non sarà male vedrai. Quando vorrai potrai venirmi
a
trovare, magari passare le vacanze estive tutte in America..poi
tornerò per le feste». La biondina si
limitò ad annuire, senza
parlare, e a lei fu chiaro che non voleva influenzarla troppo con i
suoi atteggiamenti. La osservò alzarsi prima di raggiungerla
dall'altra parte del tavolo.
«Mi
mancherai Haru, non sarà la stessa cosa senza di te qua a
casa..però
capisco che devi farti una vita.. e poi sicuramente ti
aiuterà
cambiare aria visti gli ultimi avvenimenti.. non ti nascondo che
saperlo con così poco preavviso mi fa male.. ma sono sicura
che in
America farai mangiare della polvere a tutti».
Accennò un sorriso
quasi per rassicurarla.
La
tirò verso di se per abbracciarla forte. Si sua sorella
aveva capito
le sue esigenze, e non poteva che ringraziarla per questo.
«Grazie
Usagi». Mormorò sulla spalla dell'altra. Dopo di
che si alzò in
piedi, doveva per forza andare a prendere le valigie.
«Buon
viaggio allora..». Le disse la ragazzina più
piccola.
«Grazie».
Mormorò per la seconda volta prima di avviarsi verso la
porta
d'ingresso.
Usagi
la osservò sparire al di la della porta in legno, per poi
crollare
sulla sedia, incrociare le braccia sul tavolo, poggiare la testa su
di esse a sua volta e lasciarsi andare in un pianto infinito.
Da
quel momento sarebbe stata sola, ci sarebbe stato Mamo-chan con lei,
ma tolto lui era sola. Sapeva che prima o poi quel momento sarebbe
arrivato visti gli eccellenti risultati nelle gare nazionali di
Haruka, ma nn pensava che fosse giunto così presto.
Papà
mi manchi tanto. Ora più che mai.
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Capitolo 23 *** Epilogo ***
Note dell'autrice:
Eccoci qua, alla fine di questa fanfiction nata anni fa, come
già sanno i lettori che seguono la mia pagina fb dovevo pubblicare questo
capitolo la settimana prossima e quella dopo ancora il primo
capitolo del seguito, ma sono troppo impaziente e quindi pubblico
entrambi stasera ( sperando di non pentirmene). Vi auguro buona lettura
e a presto!
Capitolo
23: Epilogo
Tredici
anni dopo
La
voce dell'autoparlante
aveva appena chiamato il suo volo per Tokyo, quell'anno si sarebbe
presa tutta l'estate per la sua famiglia. Dopo tutto Usagi stava
preparando la tesi, un soggiorno più lungo era una parte in
più del
suo regalo per la grande occasione. Negli anni passati aveva sempre
fatto piccole escursioni in territorio nipponico, lunghe al massimo
una settimana, facendo molta attenzione a non girare per i locali di
Kyoto frequentanti dalla parte di popolazione più in vista
della
città.
Tredici
anni prima, pochi
giorni dopo il suo arrivo negli Stati Uniti, aveva intrapreso i primi
allenamenti della sua nuova carriera e nelle settimane successive le
era giunta notizia dalla sorella che i Kaioh avevano ritirato la
denuncia a suo carico per l'incidente una volta che erano emersi i
veri colpevoli. Tutto si era sistemato in pochissimo tempo, l'unica
cosa che non si era sistemata, nonostante tutto, era il suo cuore.
Non
era semplice fare i
conti con una cotta per una persona che in pochissimo tempo era
arrivata a calpestare i palcoscenici internazionali finendo
più
volte in televisione, uniche volte in cui aveva avuto la fortuna e il
piacere di rivederla.
Era
nonostante ciò contenta
per lei, che aveva trovato la sua strada nella musica, per quanto
ricordava era un vero talento e sicuramente con l'esperienza data
dall'età era diventata qualcosa di sublime.
La
sua attenzione fu
richiamata dalle hostess dell'aereo che le chiedevano il suo
biglietto per verificarne il nominativo e la sua presenza a bordo, la
ragazza sgranò gli occhi nell'intuire chi fosse il giovane
con i
rayban scuri che aveva davanti, le fece cenno con il dito di fare
silenzio. L'ultima cosa che avrebbe voluto e ritrovarsi sommersa da
eventuali suoi fan che volavano con lei. Si diresse quindi verso i
posti riservati a chi aveva preso il biglietto di prima classe.
Sarebbe stato un lungo viaggio, si era portata giusto un buon libro
da leggere per cercare di ingannare il tempo prima di dormire nel
caso che i film trasmessi dal personale di bordo non fossero di suo
gusto.
Fu
svegliata dalla hostess
dopo un numero inquantificato di ore di sonno, la informarono che
stavano per effettuare l'atterraggio, doveva dunque allacciare le sue
cinture per motivi di sicurezza.
I
suoi occhi verdi si
posarono sulla distesa blu dell'oceano sotto di loro, per poi
dirigersi verso le lucine che segnavano la costa giapponese in
lontananza. Finalmente era a casa, dopo tutte quelle ore di viaggio.
Cosa
le avrebbero riservato
quei mesi in territorio giapponese ancora non lo sapeva, ma era ben
decisa a trarre il meglio da qualsiasi cosa, compresi incontri
inaspettati.
Si
diresse a ritirare i
bagagli con il suo solito sorriso sulle labbra, qualsiasi cosa le si
sarebbe parata davanti, Haruka Tenou l'avrebbe affrontata.
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